ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 102
Antonio Musarra
IN PARTIBUS ULTRAMARIS I GENOVESI, LA CROCIATA E LA TERRASANTA (SECC. XII-XIII)
ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO 2017
Nuovi Studi Storici collana diretta da Massimo Miglio
Con il contributo della
Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone
ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-52-0 ________________________________________________________________________________
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a Francesco e Federico
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PREFAZIONE
Di lì [Roma] andammo a passare l’inverno nella città di Genova. Quando ci arrivammo, di nuovo vedemmo che somiglia al giardino del paradiso: il suo inverno non è freddo, né la sua estate calda; lì la verzura dura tutto l’anno, e vi sono alberi dai quali non cadono le foglie e che non restano mai senza frutti. Cresce là una sorta di vite che porta grappoli sette volte l’anno, ma non se ne spreme vino1.
Con queste parole, un viaggiatore d’eccezione, il monaco nestoriano Rabban Sàumâ, ambasciatore per l’il-khan Arëun, in missione diplomatica fra 1287-1288 a Roma, descrive le sue impressioni sulla città di Genova: una città presentata come figura del paradiso terrestre, circondata da giardini sempreverdi. Vi può essere un qualche elemento di retorica nelle sue parole, sebbene molti altri viaggiatori lodino la città ligure in modo non dissimile. Ma è il caso di notare che Rabban Sàumâ arrivava in Italia dalla Persia, ossia dalla terra che aveva partorito il modello della città-giardino poi diffuso dalla cultura araba in tutto il Mediterraneo. Se si prescinde dalla Sicilia e dall’Andalusia, dove la dominazione musulmana è stata duratura e ha messo radici profonde, Genova (ma anche altri centri liguri: da Bordighera a Varigotti) è la città occidentale in cui l’impronta della cultura arabo-islamica si avverte in maniera più forte. L’impianto strutturale del centro urbano era articolato – una cosa ancora visibile – in percorsi che si dipanavano dall’arco naturale del porto verso l’interno, con strutture che si ramificavano in forme sempre più complesse, terminando, talvolta, all’interno dei fondaci o delle proprietà delle consorterie, in modo non dissimile dalle città islamiche di mare. Le fotografie della Sottoripa ottocentesca, cioè della strada coperta che corre tutt’oggi parallela al Porto Antico, con le botteghe aperte da entrambe le parti,
1 Storia di Mar Yahballaha e di Rabban Sauma. Un orientale in Occidente ai tempi di Marco Polo, cur. P.G. Borbone, Torino 2000, p. 80.
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rimandano all’immagine più classica del suq arabo. La stessa onomastica e toponomastica risentivano pesantemente dei medesimi influssi: nomi – o soprannomi – di probabile origine araba come Caffaro, Bufeira, Buferio erano assai comuni nelle famiglie del ceto dirigente; “raibe” e “raibette” – termine derivato dall’arabo rahba, la piazza pubblica – erano i nomi dati ai luoghi di raccolta delle merci; e una Piazza della Raibetta, nei pressi del Porto Antico, permane ancora oggi2. È chiaro che la frequentazione costante dei mercati mediterranei d’Oriente e d’Occidente ebbe un largo influsso sulla cultura genovese; ma Genova era altrettanto attiva nelle imprese militari anti-saracene: due aspetti che non sono in contraddizione, perché la vita del Mediterraneo si nutriva tanto di commerci quanto di guerre. Molte sono state le città italiane che tra pieno e basso medioevo hanno giocato questo doppio ruolo nei confronti del mondo musulmano. Fra le loro diverse storie, quella di Venezia ha goduto del maggiore interesse storiografico, oltre a essere più nota al grande pubblico. Il suo rapporto con l’Oriente è, in un certo senso, più scintillante, evidente, laddove quello di Genova si tinge di colori più sobri, vicini a un mondo arabo-musulmano differente da quello orientale: il Maghreb, l’Andalusia. Ma per secoli Genova è stata in grado di spaziare fra i due poli, l’orientale e il tirrenico, e d’imporsi con una spinta propulsiva unica in tutte le direzioni del Mediterraneo. Non a caso, il suo ruolo nella crociata è fondamentale e precocissimo, oltre che duraturo; si lega, anzi, alle origini stesse della città. Sono questi i punti di partenza dell’analisi di Antonio Musarra, già esperto conoscitore, studioso e narratore della storia genovese, che, nelle pagine che seguono, compie il suo affondo più maturo per analizzare il ruolo di Genova nel movimento crociato; nonché l’impatto delle crociate sulla città e le sue istituzioni. È questa doppia direzione a caratterizzare il volume: si parte, infatti, da una discussione raffinata sull’origine della “compagna” (ossia della prima forma di governo comunale) genovese, della quale è sottolineata la vocazione militare ancor prima che quella mercantile; tale vocazione si sarebbe sviluppata in occasione delle lotte intestine che accompagnarono la riforma ecclesiastica: a Genova, come altrove in Italia, uno dei motori fondamentali per comprendere i mutamenti dell’XI secolo. È questa attitudine alle armi a segnare anche il modo in cui la città 2 F. Bonora, Presenze islamiche nella storia dell’ambiente ligure, in Giardini islamici: architettura, ecologia. Atti del Convegno (Genova, 8-9 novembre 2001), Genova 2001, pp. 129-137. Ma soprattutto cfr. A.N. Eslami, Genova e il Mediterraneo. I riflessi d’Oltremare sulla cultura artistica e l’architettura dello spazio urbano. XII-XVII secolo, Genova 2000.
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accolse le notizie di ciò che stava avvenendo in Oltremare. Come scrive Musarra: «non pare affatto un caso […] che il patto della “compagna” sia ripristinato proprio in vista della spedizione di Cesarea del 1100: la crociata rappresentava un richiamo potente alla pacificazione cittadina (…); la sua intrinseca bellicità, ancorché convogliata verso un fine superiore, corrispondeva ai caratteri di una società abituata a fare delle armi il mezzo prediletto per risolvere le controversie». La crociata, dunque, è un momento fondante della stessa vita cittadina, come mostra, del resto, la prima tradizione annalistica genovese: quel Caffaro la cui opera Musarra ben conosce e analizza qui nei dettagli. Allo stesso tempo, per quanto riguarda non tanto la storia della città, quanto quella della crociata, è importante l’attenzione dedicata alla figura del vescovo Airaldo: «La storiografia genovese ha generalmente tralasciato d’occuparsi in maniera approfondita – scrive ancora Musarra – della figura e dell’opera di questo presule, la quale risulta, invece, di capitale importanza per penetrare a fondo le scelte di quegli anni». E, in effetti, il quadro convincente fornito dall’autore mostra come i temi della riforma, della pacificazione della Cristianità, dell’esportazione della violenza oltre i suoi confini, così importanti per inquadrare il primo movimento crociato, siano presumibilmente penetrati a Genova attraverso il suo primo vescovo riformatore. Nelle pagine che seguono, diversi livelli di narrazione storica continuano a intrecciarsi: quello ideologico, quello propagandistico, quello economico, quello dei quadri culturali; tutti necessari per comprendere una parabola complessa, che si chiude (almeno nel racconto di Musarra) con un termine ad quem irreprensibile, ossia la caduta di Acri nel 1291. Nel frattempo c’è spazio per le guerre e i trattati, non solo e non tanto quelli con il mondo musulmano, quanto piuttosto con i rivali pisani e veneziani. Alla cosiddetta “guerra di San Saba”, difatti, è dedicato un intero capitolo. Tuttavia, la vocazione genovese per il Mediterraneo e il mondo musulmano arabo e turco, orientale e occidentale, non si conclude con la rovina di Acri. Il coinvolgimento di Genova nell’ascesa dell’impero ottomano e il suo ruolo controverso nella caduta di Costantinopoli lo dimostrano; così come il culto tributato alle reliquie crociate e la persistenza di devozioni d’Oltremare, alle quali Musarra dedica il capitolo conclusivo. Al pari – aggiungiamo – della stessa architettura cittadina dalla quale siamo partiti, se, in pieno Rinascimento, quando le élites cittadine cercavano sollazzo nelle ville extraurbane, queste erano descritte da Anselmo Adorno (membro del ramo degli Adorno trapiantati nei Paesi Bassi, non casualmente anch’esso saldamente legato alla Terrasanta) facendo nuovamente ricorso al topos del locus amenus:
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A tre o quattro miglia fuori dalla città vi sono altissime e vastissime dimore dei cittadini di straordinaria bellezza e leggiadria, che si appoggiano ai monti: non paiono, infatti, case, ma castelli stupendi e possenti; ciascuna ha annesso il proprio giardino, ameno, bello e ricco di ogni tipo di frutta, ed anche vigne ben ordinate: in questi tra gli altri prodotti, che sarebbe troppo lungo enumerare, abbiamo visto pietre o massi che ogni mese producono funghi o boleti; inoltre molti altri ottimi prodotti che i genovesi attivi in varie parti del mondo trasportano da lì a Genova, talvolta crescono in modo più rigoglioso qui, per il clima temperato, che nella terra di origine, da dove sono stati esportati. Se tutte queste dimore al di fuori della città si congiungessero e fossero vicine, formerebbero un’altra notevole grande città, come è Genova, e forse maggiore: sono, infatti, assai più numerose di quelle che sorgono sulla collina fiorentina fuori dalla città3. Rispetto alle ville di altre zone d’Italia, quella genovese-ligure mostrava – è stato osservato – caratteri propri, di forte ascendenza mediterranea e islamica: tetti a terrazza, logge angolari con posizione asimmetrica, presenza di merlature, feritoie, guardiole; tutti elementi che la avvicinavano al modello mediterraneo-occidentale e andaluso4. Insomma, gli interessi commerciali e militari che, intrecciati, hanno condotto i Genovesi a imporsi in tutto il bacino del Mediterraneo, lungi dall’essere un elemento accessorio nella storia della città, sono da leggere quale parte integrante d’un patrimonio genetico, umano come urbanistico, che andò formandosi tra XI e XIII secolo durante l’epopea crociata in partibus Ultramaris. Marina Montesano
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Itineraire d’Anselme Adorno en Terresainte (1470-1471), ed. J. Heers, Paris 1978, pp. 52-53. 4 Eslami, Genova e il Mediterraneo cit., pp. 175-189.
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RINGRAZIAMENTI
Questo libro è frutto di molti anni di lavoro. Si può dire che esso esistesse già, quantomeno «in nuce», nel corso dei miei studi universitari, condotti presso l’Ateneo genovese, conclusisi nel 2007 con una tesi sulla «guerra di San Saba», il grande conflitto che vide opporsi in Terrasanta Genovesi, Veneziani e Pisani e i loro rispettivi alleati. Debbo a Marina Montesano, a Franco Cardini e a Gabriella Airaldi il primo, fondamentale suggerimento relativo all’argomento, oltreché un’attenzione costante per il mio lavoro. A loro, che a buon diritto posso definire i miei primi Maestri, va tutta la mia riconoscenza. Una cospicua parte di quest’opera è stata concepita nel corso dei miei studi dottorali, condotti presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università degli Studi di San Marino sotto la guida di Anthony Molho, cui sono ugualmente riconoscente per l’importante lezione metodologica ricevuta. Lungo è l’elenco di coloro che hanno dedicato parte del proprio tempo alle mie ricerche. Voglio qui ricordare il personale dell’Archivio Segreto Vaticano, dell’Archivio di Stato di Genova, dell’Archivio capitolare di San Lorenzo, della Biblioteca Apostolica Vaticana, del département de la Reproduction della Bibliothèque Nationale de France, della Biblioteca dell’Università degli Studi di San Marino, della Biblioteca Universitaria di Genova, delle Biblioteche del D.A.FI.ST e del DI.GI.TA (Sezione Storia del Diritto) dell’Università degli Studi di Genova, della Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria, della Biblioteca Nazionale di Firenze e della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Nel corso di questi anni ho allacciato relazioni con quasi tutti gli studiosi interessati alla presenza italiana, e genovese in particolare, nel Mediterraneo orientale, la maggior parte dei quali mi ha fornito dei suggerimenti essenziali per proseguire nel lavoro. Va da sé che tutti gli errori e le mancanze contenute in questo libro sono da addebitarsi unicamente al sottoscritto. Mi sia concesso, ad ogni modo, ringraziare coloro che ne hanno letto o commentato singole parti, in particolare Michel Balard,
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RINGRAZIAMENTI
Laura Balletto, Enrico Basso, Elena Bellomo, Andrea Del Ponte, Ignazio Del Punta, John E. Dotson, Steven A. Epstein, Benjamin Z. Kedar, Mordechay Lewy, Giuseppe Ligato, Merav Mack, Annliese Nef, Giustina Olgiati, Luigi Russo, Renata Salvarani e Miriam Tessera. Tra loro, Giuseppe Ligato e Luigi Russo meritano una menzione speciale, avendo avuto la pazienza di reperire per mio conto del materiale altrimenti inaccessibile. Un ulteriore, sentito ringraziamento va a Michele Campopiano e a Jonathan Phillips, che mi hanno permesso di consultare alcuni loro lavori con lauto anticipo rispetto ai tempi di stampa; ad Anna Benvenuti, che mi ha consentito di esporre parte dei risultati ottenuti in un convegno tenutosi a Montaione nell’estate del 2011; ad Alfonso Assini, Valentina Ruzzin, Davide Gambino, Lorena Barale, e nuovamente, a Giustina Olgiati, per il sostegno ricevuto nell’interpretazione di alcuni passi ostici dal punto di vista paleografico; ad Alberto Harms, per il competente aiuto fornitomi nella corretta interpretazione dei testi in lingua tedesca; a Paulina B. Lewicka e Morteza Alinam, per avermi facilitato la lettura di alcuni passi in lingua araba e turca; a Caterina Musarra, per avermi sollevato dalla cura tipografica di alcune parti d’apparato. Sono grato, inoltre, a David Abulafia, Reuven Amitai-Preiss, Alessandro Angelucci, Emilio Bozzano, Fabrizio Benente, Simonetta Cerrini, Barbara Frale, Stefano Gardini, Christian Grasso, David Jacoby, Sandra Origone, Agostino Paravicini Bagliani, Giovanna Petti Balbi, Andrea Puglia, Giorgio Redigolo, Alessio Rogano, Beatrice Saletti, Francesco Surdich, Alberto Tondina, Paolo Valvo e Marco Villa per le interessanti discussioni intrattenute in questi anni – talvolta telematicamente, più spesso «de visu» –, dalle quali ho appreso molto. Infine, avrò sempre un grosso debito di gratitudine nei confronti degli amici del corso di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Genova, e di tutti coloro che hanno condiviso con me gli studi dottorali, con i quali s’è discusso molto, talvolta di massimi sistemi, talvolta delle vicende di quaggiù. *** «A Genova sono nato per caso, perché mio padre insegnava, e i figli dei professori nascono dove i genitori hanno avuto l’ultima cattedra; ma poi ho fatto il possibile per meritarmelo, mettendomi a studiare la sua storia». Non voglio operare alcun raffronto, tanto più con un personaggio cui sento il dovere di rivolgermi con l’umiltà del discente nei confronti del Maestro; ma queste parole di Roberto Sabatino Lopez paiono cucirmisi addosso. Oltre mille chilometri separano le «piagge di Cicilia» dai «sassi
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ardenti» di Liguria, e se i miei genitori non li avessero percorsi, ormai qualche decennio fa, difficilmente avrei scoperto Genova e la sua storia. A loro, dunque, il ringraziamento più grande; soprattutto per avermi insegnato ad agire onestamente e a lavorare sodo. Un immenso grazie, inoltre, a mia moglie Sonia, senza il cui appoggio e conforto non avrei potuto nemmeno lontanamente immaginare di peregrinare con i Genovesi «in partibus Ultramaris». Mi spiace solo che abbia dovuto sopportare che la nostra casa si riempisse di centinaia di volumi sulle crociate, sulla storia di Genova, su quella di Pisa e di Venezia. So bene che «di libri basta uno per volta, quando non è d’avanzo». Ma così è stato. Dedico di cuore questo libro ai miei figli, Francesco e Federico: posso dire che tutti e tre siano nati e cresciuti assieme. A. M. Genova, 4 ottobre 2015 San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia
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SIGLE E ABBREVIAZIONI
SIGLE E ABBREVIAZIONI AS GE = Archivio di Stato di Genova BAV = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana BBBTS = G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente Francescano, 21 voll., Firenze 1906-1933 BS = Bibliotheca Sanctorum BCBG = Genova, Biblioteca Civica Berio BFG = Genova, Biblioteca Franzoniana BNF = Paris, Bibliothèque Nationale de France BNMV = Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana BV = Bonvillano (1198), edd. J.E. Eierman – H.C. Krueger – R.L. Reynolds, Genova 1939 (Notai Liguri del sec. XII, III) BUG = Genova, Biblioteca Universitaria CDG = C. Imperiale di Sant’Angelo, Codice diplomatico della Repubblica di Genova, 2 voll., Roma 1936 (Fonti per la Storia d’Italia, 77) CDMS = Codice diplomatico del monastero di Santo Stefano di Genova (9651327), cur. M. Calleri - D. Ciarlo, 4 voll., Genova 2008-2009 (Fonti per la storia della Liguria, XXIII, XXIV, XXV, XXVI) DBI = Dizionario Biografico degli Italiani GC = Guglielmo Cassinese (1190-1192), edd. M.W. Hall – H.C. Krueger – R.L. Reynolds, 2 voll., Genova 1938 (Notai Liguri del sec. XII, II) GG = Giovanni di Guiberto (1200-1211), edd. M.W. Hall-Cole – H.C. Krueger – R.G. Reinert – R.L. Reynolds, 2 voll., Genova 1939-1940 (Notai Liguri del sec. XII, V) GS = Il cartolare di Giovanni Scriba, edd. M. Chiaudano – M. Moresco, 2 voll., Torino 1935 (Documenti e Studi per la Storia del Commercio e del Diritto Commerciale Italiano, I-II) LI = I Libri Iurium della Repubblica di Genova, cur. D. Puncuh – A. Rovere S. Dellacasa – E. Madia – M. Bibolini – E. Pallavicino – F. Mambrini – M. Lorenzetti, 2 voll. (I/1-8; II/1-3), Genova-Roma 1996-2008 (Fonti per la storia della Liguria, I, II, IV, X, XI, XII, XIII, XV, XVII, XX, XXI, XXII; Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XII, XIII, XXIII, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXII, XXXV, XXXIX) LF = Lanfranco (1202-1226), cur. H.C. Krueger – R.L. Reynolds, 3 voll., Genova 1951-1953 (Notai Liguri del sec. XII e del XIII, VI) LP = Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, ed. D. Puncuh, Genova 1962 (Fonti e studi di storia ecclesiastica, 1) OS (1186) = Oberto Scriba de Mercato (1186), ed. M. Chiaudano, Genova 1940 (Notai liguri del sec. XII, IV) OS (1190) = Oberto Scriba de Mercato (1190), edd. M. Chiaudano – R. Morozzo della Rocca, Genova 1938 (Notai liguri del sec. XII, I) MANSI = Johannes Dominicus Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, 31 voll., rist. Graz 1960 MGH = Monumenta Germaniae Historica
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SIGLE E ABBREVIAZIONI
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MS 102 = Genova, Archivio di Stato di Genova, Ms. 102, Diversorum Notariorum PL = Patrologiae cursus completus, series latina RAS = Rerum Anglicarum Scriptores RBMAS = Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores RHC, Doc. arm. = Recueil des Historiens des Croisades. Documents Armeniens, 2 voll., Paris 1869-1906 RHC, Hist. Occ. = Recueil des Historiens des Croisades. Historiens Occidentaux, 6 voll., Paris 1844-1895 RHC, Hist. Or.= Recueil des Historiens des Croisades. Historiens Orientaux, 4 voll., Paris 1872-1906 RHC, Lois = Recueil des Historiens des Croisades. Lois, 2 voll., Paris 1841-1843 RIS = Rerum Italicarum Scriptores RPR = Regesta pontificum Romanorum a condita Ecclesia ad annum post Christum natum MCXCVIII, edd. P. Jaffè – G. Wattenbach – S. Loewenfeld – F. 2 Kaltenbrunner – P. Ewald, 2 voll., Lipsiae 1885 RRH = R. Röhricht, Regesta regni Hierosolymitani, 2 voll., Innsbruck 18931904
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INTRODuzIONE
Negli ultimi decenni, lo studio delle crociate ha conosciuto un profondo rinnovamento. L’attenzione degli studiosi si è focalizzata su alcune tematiche di fondo, essenziali per comprenderne appieno le caratteristiche: un ampio dibattito, ad esempio, si è sviluppato attorno alla definizione stessa di “crociata”; di essa si sono indagate le radici e vagliati i mutamenti1. Com’è noto, la crociata, intesa come pluralità di azioni militari cui erano estese le prerogative del pellegrinaggio penitenziale, si formalizzò in termini giuridici soltanto nell’elaborazione canonistica del XIII secolo2. I primi segnali di un processo d’istituzionalizzazione si colgono con Innocenzo III, all’indomani, cioè, del fallimento delle spedizioni del 118911923. La «monopolizzazione da parte del pontefice del diritto a bandire la croce […] e la manipolazione giuridica della disciplina “de voto”» giocarono un ruolo non indifferente nel modificarne i caratteri precipui (anche se non si arriverà mai a una definizione chiara e univoca del fenomeno): come nota Franco Cardini, «una volta giuridicamente stabilito che fine specifico dell’iter armato in Terrasanta non era tanto la tutela dei Luoghi Santi quanto la tuitio, exaltatio e dilatatio Christianitatis» fu possibile rendere sostanzialmente equivalenti «all’iter Hierosolymitanum, ed estender loro i relativi privilegi spirituali e temporali, tutte quelle spedizio1
Il termine «crociata», affermatosi tardi rispetto ai più utilizzati «iter», «expeditio», «peregrinatio» o «passagium», mantiene in questa sede tutta la sua natura convenzionale. 2 Sul carattere e le tappe di tale elaborazione ritengo ancora validi: M. Villey, La croisade. Essai sur la formation d’une théorie juridique, Paris 1942, e J. A. Brundage, Medieval Canon Law and the Crusader, Madison 1969. 3 Sulla questione è d’obbligo il rinvio a C. Tyerman, Were there any Crusades in the Twelfth Century?, «English Historical Review», 110 (1995), pp. 553-577, riprodotto in Tyerman, L’invenzione delle crociate, Torino 2000 [Toronto-Buffalo 1998], pp. 13-51; ma cfr. anche: J. Flori, La guerra santa. La formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano, Bologna 2003 [Paris 2001]; N. Housley, Contesting the Crusades, Oxford 2006; A. Demurger, Crociate e crociati nel Medioevo, Milano 2010 [Paris 2006]; Tyerman, The Debate on the Crusades, Manchester 2011.
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ANTONIO MuSARRA
ni nelle quali si ravvisassero le condizioni di difesa ed esaltazione del nome cristiano»4. La diplomazia papale, in sostanza, si trovò in possesso di un valido strumento per il governo del «corpus Christianorum»; tuttavia, l’uso (o abuso) di tale strumento avrebbe determinato il sorgere di un ampio fronte critico, sì che i successi dei Saraceni in Terrasanta sarebbero stati addebitati, talvolta, alla stessa improvvida politica papale, accusata di permettere l’utilizzo della forza all’interno della Cristianità5. I mutamenti occorsi all’idea di crociata sono stati variamente intesi: da un lato, nell’ottica di un “ampliamento” delle sue caratteristiche fondanti, dall’altro, come pura e semplice “deviazione” dai suoi intenti originari6. Entrambe le prospettive, accomunate dal tentativo di sistematizzare concettualmente l’idea di crociata all’interno di un quadro teorico coerente, hanno privilegiato aspetti quali l’elaborazione canonistica, la predicazione o il finanziamento dell’impresa, trascurandone altri, altrettanto importanti. I molti problemi relativi all’identità e alle motivazioni di coloro che prendevano la croce, al modo d’intendere il «passagium» da parte dei diretti partecipanti, all’entità della risposta agli appelli papali, alla natura dei movimenti spontanei, o, ancora, alla crociata come espressione di una spiritualità “tipica” dell’Occidente medievale sono stati generalmente posti in secondo piano. Non senza importanti eccezioni: si pensi, ad esempio, allo studio di Jonathan Riley-Smith sui partecipanti alla prima crociata7, all’incursione di Benjamin z. Kedar tra i passeggeri di un’imbarcazio4 F. Cardini, Crociata e religione civica nell’Italia medievale, in La religion civique à l’époque médiévale et moderne (Chrétienté et Islam). Actes du colloque organisé par le Centre de recherche «Histoire sociale et culturelle de l’Occident. XIIe – XVIIIe siècle» de l’université de Paris X - Nanterre et l’Institut universitaire de France (Nanterre, 21-23 juin 1993), Rome 1995, pp. 155-164: 156. Cfr. anche Cardini, La crociata nel Duecento: L’«Avatára» di un ideale, «Archivio Storico Italiano», 135/1 (1977), pp. 101-139, disponibile in Cardini, Studi sulla storia e sull’idea di crociata, Roma 1993, pp. 259-289. 5 È questa, ad esempio, la critica mossa dall’Alighieri a Bonifacio VIII, cfr. Dante Alighieri, Inferno, XXVII, vv. 85-90. Le rimostranze nei confronti della crociata possedevano gli accenti più diversi: dal dubbio sulla liceità della lotta contro gli infedeli a quello sul gradimento della stessa da parte di Dio. Si tratta di atteggiamenti affatto contrastanti: sovente, la crociata contro i Cristiani era criticata proprio perché capace di rallentare o impedire il recupero di Gerusalemme e dei Luoghi Santi. A questo proposito cfr. P. A. Throop, Criticism of the Crusades. A Study of Public Opinion and Crusade Propaganda, Amsterdam 1940; E. Siberry, Criticism of Crusading, 1095-1274, Oxford 1985; B. z. Kedar, Crociata e missione. L’Europa incontro a l’Islam, Roma 1991 [Princeton 1984]; S. Schein, Fideles crucis. Il papato, l’Occidente e la riconquista della Terra Santa, 1274-1314, Roma 1999 [Oxford 1991], pp. 15-29. 6 È ormai invalso l’uso di definire queste posizioni “pluralista” e “tradizionalista”, cfr. Tyerman, L’invenzione delle crociate cit., pp. 3-12. 7 J. S. C. Riley-Smith, The First Crusaders, 1095-1113, Cambridge 1997.
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ne crociata del 12508, all’esame delle connessioni tra crociata e attività commerciale condotto da Aziz Atiya, David Abulafia e Michel Balard9, all’analisi condotta da Christopher Tyerman e Simon Lloyd sul rapporto tra la crociata e la società anglo-sassone10, o, ancora, all’approccio “antropologico” di Franco Cardini, teso espressamente alla comprensione dei modi in cui «gli occidentali dei secoli fra XI e XV intesero, immaginarono e vissero l’Oriente in tutte le sue forme e dimensioni, come “Altro-da-sé”, come mito, come astrazione, come multiforme realtà concreta»11. Alla base di questi approcci v’è, almeno in parte, la convinzione per cui l’intima essenza della crociata non sia da ricercarsi esclusivamente nella sua elaborazione canonistica – elemento, comunque, fondamentale per un corretto intendimento del fenomeno –, bensì nella capacità di occupare l’immaginario e il quotidiano; non, dunque, nella «crociata-istituzione» ma, se mi è consentito, nella «crociata-movimento»12. Tenendo conto di tale distinizione (nei fatti, ben più apparente di quanto possa giudicarsi a prima vista), questo libro tenta di valutare l’impatto del movimento crociato e della frequentazione della Terrasanta sulla società, sull’economia, sulle istituzioni e sulla cultura della Genova dei secoli XII e XIII. Se da questo punto di vista, Pisa e Venezia hanno ricevuto le maggiori attenzioni – basti pensare ai molti studi sulla quarta crociata e sull’influenza che essa ha avuto nella costruzione dell’identità muni-
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B. z. Kedar, The Passenger List of a Crusader Ship, 1250: Towards the History of the Popular Element on the Seventh Crusade, «Studi medievali», 13 (1972), pp. 267-278, disponibile in Kedar, The Franks in the Levant, 11th to 14th centuries, Aldershot 1993, XVI. 9 A. S. Atiya, Crusade, Commerce and Culture, Indiana 1962; D. Abulafia, The Role of Trade in Muslim-Christian Contact during the Middle Ages, in The Arab Influence in Medieval Europe: Folia Scholastica Mediterranea, cur. D. A. Agius - R. Hitchcock, Reading 1994, pp. 1-24; Abulafia, Trade and Crusade, 1050-1250, in Cross Cultural Convergences in the Crusader Period, cur. M. Goodich - S. Menache - S. Schein, New York 1995, pp. 1-20; M. Balard, Les Latins en Orient (XIe-XVe siècle), Paris 2006. 10 C. Tyerman, England and the Crusades, 1095-1588, Chicago-London 1988; S. Lloyd, English Society and the Crusade, 1216-1307, Oxford 1988. 11 F. Cardini, Gerusalemme d’oro, di rame, di luce. Pellegrini, crociati, sognatori d’Oriente fra XI e XV secolo, Milano 1991, p. VIII. 12 In questo senso, condivido a pieno quanto espresso da Cardini in un articolo pubblicato nel 1968 sull’Anuario de Estudios Medievales: facendo il punto sugli studi in corso dal dopoguerra in poi, egli definiva la crociata «un tema di storia culturale della civiltà medievale», cfr. F. Cardini, La storia e l’idea di crociata negli studi odierni (1945-1967), «Anuario de Estudios Medievales», 5 (1968), pp. 641-642. La necessità di studiare la crociata come una costante della civiltà cristiana medievale (e post-medievale) è stata sostenuta in passato da Alphonse Dupront, il quale, ereditando le teorie di Paul Alphandery, riteneva che la storiografia dovesse prestare maggiore attenzione al vissuto di chi prendeva la
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ANTONIO MuSARRA
cipalistica veneziana, o al modo in cui la storiografia pisana ha guardato a episodi quali la presa di Palermo, di al-Mahdiya o delle Baleari, alle spedizioni dell’arcivescovo Daiberto alla prima crociata e dell’arcivescovo ubaldo alla terza o, ancora, al culto di santi come Bona e Ranieri, radicati entrambi, sebbene in maniera diversa, nel culto di Gerusalemme e della Terrasanta –, Genova, pur beneficiando di validi lavori sul secolo XII, in particolare sull’opera storiografica di Caffaro, primo cronista cittadino (nonché crociato egli stesso), non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita, soprattutto a fronte della straordinaria continuità della sua “esperienza crociata”13. Eppure, come ha sintetizzato Elena Bellomo, i Genovesi percepirono l’ideale crociato in tutta la «complessità delle proprie implicazioni, sia materiali che spirituali»: come «insostituibile occasione di ascesa politica ed economica», ma anche come elemento capace di far «assurgere i suoi partecipanti a campioni della Cristianità»14. 1. I Genovesi, la crociata e la Terrasanta: una questione aperta La storiografia su Genova nel Medioevo non ha ancora fornito un’analisi complessiva dei rapporti sviluppatisi tra Genova e l’Oriente latino e musulmano nei cosiddetti “secoli crociati”, limitandosi sovente al solo commento dell’annalistica cittadina o delle superstiti testimonianze diplo-
croce, cfr. A. Dupront, Crociate e pellegrinaggi, Torino 2006 [Paris 1987], in particolare pp. 9-15. Nel tentativo di cogliere le illusioni, le leggende e le superstizioni che animavano il subconscio delle folle – e, cioè, tutto ciò che nella vita della Cristianità medievale esulava dalle istituzioni, dalla liturgia e dalla teologia ufficiali –, i due studiosi trascuravano, tuttavia, aspetti altrettanto importanti del fenomeno. Già nel 1957, Giovanni Miccoli evidenziava i limiti del loro pensiero, cfr. G. Miccoli, rec. a P. Alphandery - A. Dupront, La Chrétienté et l’idée de Croisade, 2 voll., Paris 1954-1959, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 26 (1957), pp. 294-303. 13 Gli scritti di Caffaro dedicati alla crociata sono stati recentemente oggetto di una traduzione inglese curata da Jonathan Phillips e Martin Hall, segno del crescente interesse della storiografia internazionale per il personaggio, cfr. M. Hall - J. Phillips, Caffaro, Genoa and the Twelfth-Century Crusades, Farnham 2013. 14 E. Bellomo, ‘Galeas… armatas strenue in Syriam direxerunt’: la prima crociata e il regno gerosolimitano del XII secolo nella cronachistica genovese sino al Duecento, in Mediterraneo medievale. Cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oltremare, cur. M. Meschini, Milano 2001, pp. 103-130: 130. Pur non condividendone le premesse (evidenti a chi abbia la pazienza di recuperare il passo in questione), riporto l’opinione di Roberto S. Lopez, secondo il quale la crociata sarebbe stata, per i Genovesi, «per così dire di perenne attualità», cfr. R. S. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Prefazione e aggiornamento bibliografico di M. Balard, Genova-Milano 20042, p. 68.