E. Rava, «Volens in testamento vivere». Testamenti a Pisa, 1240-1320

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ITALIA SACRA STUDI E DOCUMENTI DI STORIA ECCLESIASTICA

Nuova serie

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comitato scientifico

S. Fodale - G. Miccoli - M. Miglio - A. Monticone A. Paravicini Bagliani - G. Picasso - A. Rigon M. Rosa - F. Traniello Redattore: D. Gallo



ITALIA SACRA STUDI E DOCUMENTI DI STORIA ECCLESIASTICA

Nuova serie

2 ELEONORA RAVA

«VOLENS IN TESTAMENTO VIVERE » TESTAMENTI A PISA, 1240-1320 Apparati a cura di Attilio Bartoli Langeli

Istituto storico italiano per il medio evo Roma 2016


Volume realizzato con il contributo della Società Storica Pisana

ISBN 978-88-98079-50-6 Stabilimento Tipografico « Pliniana » - Viale F. Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (Perugia) - 2016


PREMESSA

Questo volume discende dalla mia tesi di dottorato: Ipertestamento. Le ultime volontà dei Pisani (1240-1320). Indicizzazione informatica e trattamento dei dati, 3 voll., Università degli studi di Siena, Dottorato di ricerca in Scienze del testo, xxiv ciclo, a.a. 2011-2012. Dopo il 2012, quando ho voluto chiudere la tesi per restare entro il triennio di dottorato, ho proseguito e ampliato la ricerca: basti dire che il corpus dei testamenti trattato nella tesi era di 428 unità, ora è giunto a 568. Ai fini di questo volume, dunque, quel­l’elaborato non solo è stato sottoposto al consueto lavoro di revisione e rielaborazione, ma ha ricevuto un incremento rilevante. Il titolo assegnato al volume merita una spiegazione. Si tratta di una delle tante motivazioni del­l’atto testamentario usate dai notai rogatari. Questa, volens in testamento vivere, pare essere un’invenzione del notaio-chierico Giovanni di Guglielmo, che l’adotta per tre dei suoi 24 testamenti: tre testatrici sane, persone che dunque hanno davanti a sé una qualche speranza di vita futura. Sembra l’esatto contrario del­ l’adagio nolens intestatus decedere, divenuto in storiografia un “classico” per essere stato assunto a titolo di un volumetto importante in tema di testamenti. La formula elaborata da Giovanni di Guglielmo esprime al positivo il medesimo concetto: “volendo vivere avendo fatto testamento” oppure, se si vuole, “volendo continuare a vivere (dopo la morte) nel testamento”: come che sia, è una pericope straordinaria, che ci ha indotto ad adeguarci alla moda dei titoli allusivi. Un’altra piccola notazione in tema di allusioni e dintorni. In epigrafe alle tre parti centrali e alle Conclusioni del mio lavoro ho posto alcuni brani di Carlo Goldoni; ho preso esempio dal­ l’articolo Il testamento nuncupativo di Emanuella Prascina nella «Gazzetta Notarile» del 2009, al­l’inizio del quale è riportato un passo assai brillante de La serva padrona. Perché Goldoni in un libro sui testamenti pisani di età medievale? Niente più di una coincidenza è il fatto che egli abbia esercitato la professione forense proprio a Pisa, per poco meno di cinque anni, tra il 1744 e il 1748 (su questo si veda il bel volume Carlo Goldoni avvocato a Pisa, a cura di Giancarlo De Fecondo e Maria Augusta


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PREMESSA

Morelli Timpanaro, pubblicato dal Mulino nello stesso 2009). Il fatto è che Goldoni, forse proprio per i suoi trascorsi da avvocato, abbonda nelle sue commedie di testamenti e testatori e successioni, in una misura che non ha pari nella letteratura italiana; nemmeno nella novellistica, che pure ama il tema e alla quale, infatti, sono ricorsa in un paio di occasioni. E dunque vedere il testamento comparire così frequentemente nelle commedie goldoniane non può che attrarre chi voglia considerarne l’impatto nella coscienza comune, nella percezione collettiva, che è argomento non secondario di questo volume. Voglio ringraziare Maria Clara Rossi per avermi permesso di visionare il database in uso nel suo gruppo di lavoro sui testamenti veronesi; il mio professore Mauro Ronzani per avermi messo a disposizione la sua profonda conoscenza delle fonti e della storia di Pisa e per i suoi preziosi e indispensabili suggerimenti; Alfio Cortonesi per aver letto attentamente tutti gli elementi relativi alla storia agraria, aiutandomi a valorizzarli; Michele Luzzati per avermi dedicato un’intera giornata (una delle sue ultime, purtroppo) nella selezione dei notai pisani nel mare magnum del fondo Notarile Antecosimiano; Antonio Ciaralli, Paolo Mari, Antonella Moriani e Antonella Rovere per le loro attente riletture e puntuali correzioni; l’amica Sarah Tiboni per l’insostituibile aiuto nella ricerca archivistica e bibliografica; la mia maestra Giovanna Casagrande per non avermi mai fatto mancare il suo aiuto; l’amica Frances Andrews per il soggiorno formativo presso il suo dipartimento; Isa Lori Sanfilippo, Daniela Staccioli, Elisa Carrara, Ferdinando Treggiari e Andrea Bartocci per le consulenze fornite; i revisori anonimi per la straordinaria lettura che hanno fatto di questo testo. Sono riconoscente a Massimo Miglio e Antonio Rigon per aver voluto accogliere questo lavoro nella prestigiosa Italia sacra e allo Stabilimento tipografico Pliniana per la cura e la pazienza messa nella stampa di esso; alla Società Storica Pisana e alla sua presidente Gabriella Garzella per aver sostenuto la pubblicazione di questo volume. Infine un grazie particolare al mio maestro Attilio Bartoli Langeli per aver seguito passo passo il mio lavoro, per i quotidiani insegnamenti e per avermi generosamente ed instancabilmente sostenuto con affetto e amicizia.


AVVERTENZA

I testamenti del nostro corpus sono sempre designati con il numero identificativo preceduto dalla sigla t e seguìto, quando opportuno, dal­ l’anno, tra parentesi quadre, es. [t 54, a. 1279]. I dati ad essi relativi sono consultabili nel file I testamenti contenuto nel cd allegato al volume. Le opere a stampa consultate sono citate nelle note in maniera abbreviata; le referenze complete si trovano nel­l’Indice delle opere citate alla fine del volume. Si adottano abbreviazioni particolari per le seguenti fonti, che ricorrono più volte: a) Formulari Boncompagno, Mirra = Boncompagno da Signa, Breviloquium. Mirra, ed. E. Bonomo-L. Core, Padova 2013; visto anche il manoscritto Paris, Bibl. Nat., Lat. 7732, cc. 74v-75v [abbr. ms. Parigi] Rolandino, Summa = Summa totius artis notariae Rolandini Rodulphini Bono­ nien­sis, Venetiis, apud Iuntas, mdxlvi [ristampa anastatica a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, Sala Bolognese 1977] b) Fonti normative pisane Constitutum legis 1233 = Constituta legis et usus Pisanae civitatis, ed. F. Bo­ naini, Firenze 1870, pp. 3-165 Breve communis 1287 = I brevi del Comune e del Popolo di Pisa, ed. A. Ghi­ gnoli, Roma 1998 Breve notariorum 1304 = Il Breve del Collegio dei Notai di Pisa del­l’anno 1304, ed. O. Banti (testo latino con traduzione italiana a fronte), Pisa 2005 Breve communis 1313 = Breve Pisani communis mcccxiii, ed. F. Bonaini, Sta­ tuti inediti della Città di Pisa dal xii al xiv secolo, ii, Firenze 1870, pp. 11-641 Quanto ai pochi documenti d’archivio che non siano testamenti citati di prima mano, si adotta (nelle note) ASPisa per Archivio di Stato di Pisa. Quanto ai protocolli notarili, si veda l’avvertenza a p. xx.


Le immagini sono riprodotte su concessione del Ministero per i beni culturali e le attività culturali e del turismo - Archivio di Stato di Pisa e con l’autorizzazione dell’Ufficio dei Beni culturali della Diocesi di Pisa (prot. n. 1760 del 9/2/2016).


INTRODUZIONE

1. Il testamento

tra salvezza del­l’anima e devoluzione patrimoniale

Sotto il profilo giuridico il testamento è un istituto di diritto privato di devoluzione del proprio patrimonio da attuarsi dopo la morte. Tornato in auge nel xii secolo, col recupero della tradizione giuridica romana, il testamento dava la possibilità a chi lo volesse di regolare la propria successione patrimoniale, attraverso l’istituzione di erede, i legati e altre disposizioni, la revocabilità. A questa concezione “romanistica” si sovrappose un’altra concezione, portata dalla cultura cristiana. L’istituto testamentario fu inteso come strumento di redenzione, volto cioè essenzialmente, se non esclusivamente, alla salvezza del­l’anima. Si rilegga Philippe Ariès: «A partire dal xiii secolo (...), l’uomo che sentiva avvicinarsi la morte voleva premunirsi con garanzie spirituali. [Egli] si trovava allora davanti al­ l’alternativa: o conservare il suo amore per i temporalia e perdere l’anima, o rinunciarvi a vantaggio della beatitudine celeste. Si ebbe allora l’idea di una specie di compromesso che gli avrebbe permesso di salvarsi l’anima senza sacrificare del tutto i temporalia, con la garanzia degli aeterna. Il testamento è stato il mezzo religioso e quasi sacramentale per associare le ricchezze al­l’opera personale della salvezza eterna (...), un “passaporto per il cielo” (...) che garantiva i legami del­l’eternità, e i premi erano stati pagati in moneta temporale: i lasciti pii» 1.

Una sorta di «atto religioso al quale, secondo quanto prescriveva la Chiesa, non era possibile sottrarsi se ci si voleva preparare ad una buona morte cristiana» 2. La finalità religiosa del testamento balza evidente agli occhi. Basta considerare gli interminabili elenchi di legati pro anima che caratterizzano molti atti di ultima volontà prima della Peste nera – talvolta, anzi, questa tipologia di lasciti è esclusiva, è l’unica ad essere presente 1

Ariès, Essais sur l’histoire de la mort, p. 70.  Gaudioso, Testamento e devozione, p. 101.

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INTRODUZIONE

nel­ l’atto testamentario. Oppure leggere le formule iniziali che spesso insistono sulla volontà di salvarsi l’anima: «volens mihi et anime mee providere», «cupiens saluti mee anime providere» e simili. O ancora osservare le indicazioni dei maestri di retorica e di notariato del tempo: come Boncompagno da Signa, il quale scrive che il testamento serve in primo luogo a salvarsi l’anima, poi anche a regolare la successione patrimoniale 3; o come Rolandino bolognese, che prescrive di disporre subito dopo il proemio e prima del­ l’istituzione di erede i lasciti pro anima, in quanto l’anima è superiore al corpo 4. A partire dal Duecento le finalità comunemente considerate pie erano numerosissime, molto più numerose di quello che si potrebbe pensare: «non soltanto il relictum ecclesiae e il relictum pauperibus (...) bensì anche l’esercizio di ogni dovere di coscienza e di natura» era ritenuto un legato pio. «Testamento pio era pertanto non solo quello con cui si devolveva tutto o parte pro anima o in favore dei poveri o della chiesa o in opere di beneficenza, ma anche quello che ordinava legati favore libertatis, per gli alimenti, per la dote, in favore della vedova, pro sussidio studii, per la riparazione di opere pubbliche, per l’edificazione di ospedali (...), per il pagamento dei debiti del defunto, (...) pro male ablatis» 5. Alla formazione di questa nuova concezione del testamento contribuirono potentemente gli ordini mendicanti e l’elaborazione dei canonisti. Gli ordini mendicanti svolsero un ruolo centrale e propulsivo nel promuovere coscientemente e programmaticamente, in aperto conflitto con il clero secolare, la pratica testamentaria, intesa come salvezza del­ l’anima, con i benefici della quale «ampliare la propria capacità di presenza, il proprio spazio vitale» nel tessuto urbano 6. Il diritto canonico, dal canto suo, prevedeva uno statuto privilegiato del­ l’ultima volontà pia, comprendente una casistica innumerevole di deroghe al regime

3  Il testatore «portionem de temporalibus Christi pauperibus primo appetit elargiri, ut in beate resurrectionis consortio recipiat eterna pro transitoriis et pro rerum caducarum exhibitione fruatur gaudiis Paradisi, et postmodum vult heredem vel heredes instituere, ne occasione dividendi hereditatem possit aliqua discordia suboriri» (Boncompagno, Mirra, p. 138; ms. Parigi, c. 74va). 4  «Secundo apponitur legata, et duabus rationibus. Prima ratio est quia legata fiunt propter animam et anima est dignior corpore, et ideo legata pręferuntur institutioni» (Rolandino, Summa, c. 52vb). 5  Treggiari, «Minister ultimae voluntatis», pp. 287-288. 6  Gaudioso, Testamento e devozione, p. 94.


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civilistico: il testatore poteva testare davanti a solo due testimoni; poteva decedere «pro parte testatus et pro parte intestatus»; poteva testare davanti a donne; poteva omettere di nominare l’erede; poteva pretermettere il figlio; in alcuni casi poteva addirittura legare la cosa altrui 7. Il principio ispiratore di tali deroghe era che, per la salvezza del­l’anima del de cuius, si facesse di tutto perché l’ultima volontà del defunto «modis omnibus conservetur» 8. I canonisti addirittura discutevano sulla capacità di testare ad pias causas di tutti quei soggetti che non possedevano la factio attiva, ai quali cioè il diritto romano, quello statutario e quello canonico negavano d’ordinario la possibilità di testare. Insomma, del testamento “pio” si fece un vero e proprio uso ed abuso. Esso fu un escamotage per sottrarsi alle ben più rigorose formalità della legge civile e poter assoggettare le proprie ultime volontà alla molto più indulgente disciplina canonica 9. Un’esagerazione, messa in ridicolo da satirici e novellieri. Famoso è il Testamento del­l’asino del poeta francese Rutebeuf (xiii sec.), che «satireggia sui lasciti alle chiese e sul­l’ingordigia levitica». Muore l’asino di un curato, e questi lo seppellisce nel cimitero. Informatone il vescovo, ne va sulle furie, chiama a sé il prete e lo rimprovera acerbamente; allora il curato prende venti lire, va dal vescovo e gli dice che il suo asino, guadagnando ogni anno venti soldi, ha potuto risparmiare queste venti lire, e che nel suo testamento le ha lasciate a lui, vescovo, per essere liberato dal­l’inferno. E il vescovo risponde: «Diex l’ament | Et si li pardoint ses meffais | Et toz les pechiez qu’il at fais» («Che Dio lo protegga, e gli perdoni le sue malefatte e tutti i peccati che ha commesso») 10. La storiella ebbe ampia fortuna. Se ne trova una analoga (non un asino ma un cagnolino) in una facezia di Poggio Bracciolini, De Sacerdote qui caniculum sepelivit. Eccone una versione volgare: «Uno prete essendogli morto uno cane, il quale haveva carissimo, gli fece sepultura et celebrò uficio. Fu accusato al veschovo: comparì; et confessò. Temendo la punitione del vescovo, sotto ombra

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Treggiari, «Minister ultimae voluntatis», pp. 288-289.   Decretum Gratiani, Causa 13, Quaest. 2, can. 4. Cfr. Treggiari, «Minister ultimae vo­lun­tatis», p. 284. 9   Ibid., p. 288. 10  Rutebeuf, Oeuvres complètes, ed. Zink, i, p. 104 (il testo intero è alle pp. 95-105). Il brano riportato al­l’inizio è di Bartoli, I precursori del Boccaccio, p. 19; di qui riprendiamo la parafrasi in italiano del racconto. 8


INTRODUZIONE

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di excusarsi dixe: ‘Monsignore, io lo feci, perchè voi non vedesti mai cane havere migliore sentiménto’; et havendo apparechiato uno sachetto di danari, sobgiunse: tra le altre cose e’ fece testamento, et mi lasciò che io vi dessi questi danari. Monsignore gli prese, et il prete fu absoluto» 11.

2. Una

storiografia divisa?

La preminenza assunta oggettivamente dalla dimensione religiosa del testamento ha avuto le sue ovvie ripercussioni nella storiografia, in particolare a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Le belle pagine di Michele Pellegrini scritte per Arbor ramosa, la miscellanea di studi offerti ad Antonio Rigon da allievi, amici e colleghi 12, mi esentano dal ripercorrere tutte le tappe che sotto la spinta del forte interesse per gli ordini Mendicanti nelle società europee del xiii e xiv secolo hanno caratterizzato lo sviluppo degli studi sulla fonte testamentaria. Sviluppo che si ebbe dapprima in Francia, dove forte fu l’impulso dato dal saggio programmatico di Jacques Le Goff su Apostolat mendiant et fait urbain del 1968 13, che, combinato con le tendenze allora in voga, dalla storiografia quantitativa applicata alla “mentalità collettiva” («le quantitatif au troisième niveau», formula di Pierre Chaunu) alla storiografia tanatologica (si è citato al­ l’inizio Philippe Ariès), dava presto un risultato di grande rilievo: si allude al volume di Jacques Chiffoleau La comptabilité de l’au-de-là,

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Facezie e motti dei secoli xv e xvi, ed. Papanti, pp. 129-130. Questo il testo di Poggio: «Erat sacerdos rusticanus in Tuscia admodum opulentus. Hic caniculum sibi carum, cum mortuus esset, sepelivit in coemeterio. Sensit hoc Episcopus, et, in ejus pecuniam animum intendens, sacerdotem veluti maximi criminis reum ad se puniendum vocat. Sacerdos, qui animum Episcopi satis noverat, quinquaginta aureos secum deferens, ad Episcopum devenit. Qui sepulturam canis graviter accusans, jussit ad carceres sacerdotem duci. Hic vir sagax: ‘O Pater, inquit, si nosceres qua prudentia caniculus fuit, non mirareris si sepulturam inter homines meruit; fuit enim plus quam ingenio humano, tum in vita, tum praecipue in morte’. ‘Quidnam hoc est?’ ait Episcopus. ‘Testamentum, inquit sacerdos, in fine vitae condens, sciensque egestatem tuam, tibi quinquaginta aureos ex testamento reliquit, quos mecum tuli’. Tum Episcopus et testamentum et sepulturam comprobans, accepta pecunia, sacerdotem absolvit» (Poggii Facetiae, ‹http://bepi1949.altervista.org/facezie/latino.htm›, link attivo il 15 ottobre 2015). 12  Pellegrini, «Testamentorum avida quaedam invasio». 13  Le Goff, Apostolat mendiant et fait urbain dans la France médiévale.


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