Antonio Rigon, Gente d'arme e uomini di chiesa. I Carraresi tra Stato Pontificio e Regno di Napoli

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 108

ANTONIO RIGON

GENTE D’ARME E UOMINI DI CHIESA I Carraresi tra Stato Pontificio e Regno di Napoli (XIV-XV sec.)

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO 2017


Nuovi Studi Storici collana diretta da Massimo Miglio

con il parziale contributo della

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone

ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-68-1 ________________________________________________________________________________ Stabilimento Tipografico ÂŤPlinianaÂť - V.le Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (Perugia) - 2017


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INTRODUZIONE

Il 17 gennaio 1406 fu l’ultimo giorno di vita per Francesco Novello da Carrara, signore di Padova. Abbandonato da tutti e non più in grado di difendere la propria città assediata dai Veneziani, nel novembre dell’anno precedente si era consegnato nelle mani di Galeazzo da Mantova, capitano generale dell’esercito di Venezia, ponendosi «ala merzè dela Signoria»1. Trasferito col figlio Francesco III nella città lagunare, dove si trovava prigioniero l’altro suo figlio Giacomo, era passato di prigione in prigione in attesa di un processo che non fu mai veramente celebrato2. Il clima generale gli era ostile, ma non tutti, dentro e fuori i palazzi del potere, volevano la sua morte e l’annientamento della sua famiglia. Un giorno ignoti oppositori scagliarono sul balcone di una casa in contrada San Basso una lettera contenente parole ingiuriose contro Venezia3. Più duro per i Veneziani fu scoprire che durante la guerra alcuni membri di illustri famiglie del patriziato avevano tenuto contatti col nemico e gli avevano fornito informazioni4. L’inchiesta, condotta con i consueti metodi di persuasione dal Consiglio dei Dieci (interrogatori serrati, torture, promesse di ricompense per i delatori) accertò le responsabilità degli accusati i cui nomi si trovarono registrati nel libro paga del Signore di Padova. Il loro coinvolgi1 G. e B. GATARI, Cronaca carrarese, confrontata con la redazione di Andrea Gatari, edd. A. MEDIN - G. TOLOMEI, in R.I.S.2, 17/1, Città di Castello-Bologna 1909-1931, pp. 574-575 e cfr. il recente puntuale studio di D. CANZIAN, L’assedio di Padova del 1405, «Reti Medievali Rivista», 8 (2007), pp. 1-25 on-line su <http:www.retimedievali.it> (link attivo il 23 novembre 2015). 2 Per la narrazione di fatti vedi I. RAULICH, La caduta dei Carraresi signori di Padova, Padova-Verona 1890, pp. 99-110, sempre molto utile per l’appendice documentaria a pp. 111-136; sull’assenza di un processo al Carrarese cfr. R. CESSI, Congiure e congiurati scaligeri e carraresi, in CESSI, Padova medioevale. Studi e documenti, cur. D. GALLO, I, Padova 1985, pp. 247-267: 247-249, il quale osserva giustamente che il processo intentato dal Consiglio dei Dieci contro i cittadini veneziani che avevano avuto rapporti con il carrarese non può essere identificato con un procedimento a carico di Francesco Novello e dei suoi figli. 3 RAULICH, La caduta cit., pp. 104, 123-124. 4 Ibid., pp. 120-136.


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mento non fu però giudicato tale da far pensare all’esistenza di una vera e propria congiura e per questo se la cavarono con pene relativamente miti5; tanto bastò invece per mandare a morte il Carrarese. Su ordine del Consiglio dei Dieci Francesco Novello fu strangolato in carcere e uguale sorte toccò di lì a poco ai figli, Francesco III e Giacomo, ai quali venne negato anche l’onore di un funerale dignitoso6. «Fu tenuta crudeltà», scrisse a questo proposito nei suoi Ricordi Giovanni di Pagolo Morelli, mercante e uomo politico fiorentino, buon testimone dell’opinione corrente nella sua città e delle simpatie di cui godevano a Firenze gli alleati carraresi7. Ma il dolore e il generale rincrescimento per la cattura e la fine di Francesco Novello non si erano tradotti in soccorso concreto. «Il Signore di Padova rimase solo» – commentava in pagine, ricche di pietas per la sua triste vicenda l’autore dei Ricordi – «a tutti ne’ncrescea, ma niuno diliberò mai atarlo»8. Anche Firenze si guardò bene dall’intervenire in suo sostegno, suscitando il facile sarcasmo del contemporaneo novelliere e cronista lucchese Giovanni Sercambi: «I Fiorentini offerendoli sempre di trallo di pericolo, tale acordio non seguìo; e per questo modo lui fu disfacto dell’avere e delle persone, e il bellistà li fu apparechiato»9. La soppressione di prigionieri anche illustri, ritenuti particolarmente pericolosi, non era rara a quel tempo; certo l’esecuzione spietata di personaggi famosi come i principi carraresi non poteva non destare scalpore e colpire i cronisti contemporanei, ma se l’evento si fissò con particolare evidenza e rimase anche successivamente assai presente nella memoria storica è anche perché la fine dei da Carrara segnò una svolta nella politica veneziana, avviata da allora alla conquista della Terraferma, e aprì nuove prospettive alla storia d’Italia. 5 Carlo Zeno fu punito con un anno di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e diritti; Pietro Pisani con cinque anni di prigione e la medesima interdizione perpetua; Giacomo Gradenigo fu escluso per tre anni da ogni ufficio (ibid., pp. 107, 133-136). 6 GATARI, Cronaca cit., pp. 580-581. Sul luogo di sepoltura dei figli di Francesco Novello esistono versioni discordi. La maniera spiccia e segreta con la quale furono mandati a morte accese la fantasia e favorì anche la comparsa di lì a qualche anno di un personaggio che si spacciò per Giacomo figlio del signore di Padova, fortunatamente sfuggito all’esecuzione nella prigione veneziana, al quale si diede lungamente credito sia a Firenze che a Buda presso l’imperatore Sigismondo (R. CESSI, Ancora del falso Jacopo da Carrara, in CESSI, Padova medioevale cit., pp. 239-245 e cfr. infra Cap. VII, paragrafo 7). 7 G. MORELLI, Ricordi, in Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra medioevo e rinascimento, ed. V. BRANCA, Milano 1986, pp. 101-339: 292 e per la figura e l’opera di Morelli vedi l’Introduzione del Branca a questo volume, pp. XXXIV-LI. 8 MORELLI, Ricordi cit., p. 282. 9 G. SERCAMBI, Le Croniche, ed. S. BONGI, III, Roma 1892 (Fonti per la storia d’Italia, 21), p. 119.


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Da sempre una delle preoccupazioni maggiori di Venezia era stata quella di impedire l’accerchiamento, mantenendo libere le vie di comunicazione terrestri e fluviali verso l’entroterra per assicurare libertà di traffici e rifornimenti alla città. A questo scopo, seguendo una linea di equilibrio tra forze antitetiche, si era tradizionalmente affidata alle arti della diplomazia e ad un’accorta politica di interventi militari mirati che avevano a lungo assicurato la tutela degli interessi veneziani nei confronti di comuni e signori limitrofi, divisi tra loro e non in grado di competere con la potenza veneziana, forte del suo dominio sui mari10. Ma nella seconda metà del Trecento erano squillati ripetuti campanelli d’allarme. Con la cosiddetta guerra di Chioggia (1378-1381) i tradizionali nemici genovesi, alleati col re d’Ungheria, con il duca d’Austria, con Francesco il Vecchio signore di Padova, erano giunti sin nelle lagune, rendendo reale per i Veneziani il pericolo di un tracollo totale11. Le mire espansionistiche dei Visconti, signori di Milano, si erano concretizzate alla fine degli anni Ottanta di quel secolo con l’occupazione di Verona, Vicenza e Padova, mentre si facevano sempre più chiare e ricorrenti le aspirazioni carraresi, eredi in questo dei disegni scaligeri, alla creazione di un grande dominio nella Marca Trevigiana, spingendosi anche verso il Friuli e abbozzando una politica adriatica di alleanze attraverso l’imparentamento con signori dell’una e dell’altra sponda12. Ce n’era abbastanza per imporre a Venezia un ripensamento generale: non più solo concentrazione sul dominio marittimo e vigile disimpegno rispetto alle vicende italiane e della Terraferma, ma intervento diretto e conquista. L’importanza del cambiamento di indirizzo politico fu di tale portata da catalizzare per sempre l’attenzione degli storici e costituire un capitolo fondamentale della storia di Venezia e dell’Italia. Quanto alle interpreta10

La bibliografia è al riguardo molto ampia, oltre al classico lavoro di R. CESSI, Storia della Repubblica di Venezia, I-II, Milano-Messina 1944-1946, poi riveduto e aggiornato (da ultimo presso l’editore Giunti Martello, Firenze 1981), basti qui il rinvio ai più recenti volumi di carattere generale di F.C. LANE, Storia di Venezia, Torino 1978 e di G. COZZI - M. KNAPTON, Storia della Repubblica di Venezia dalla guerra di Chioggia alla riconquista della terraferma, Torino 1986: si veda inoltre il saggio più specifico di M.E. MALLET, La conquista della Terraferma, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, IV. Il Rinascimento: politica e cultura, cur. A. TENENTI - U. TUCCI, Roma 1996, pp. 181-244. 11 GATARI, Cronaca cit., pp. 151-204; DANIELE CHINAZZO, Chronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi, ed. V. LAZZARINI, Venezia 1958 (Monumenti storici pubblicati dalla Deputazione di storia patria per le Venezie, N. Ser. II); e cfr. LANE, Storia di Venezia cit., pp. 225-234; B.G. KOHL, Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore-London 1998, pp. 205-222. 12 Per la politica carrarese di alleanze tramite matrimoni vedi ibid., pp. 224, 317, 327.


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zioni storiografiche, abbandonate le astratte questioni sulla liceità dell’azione veneziana, oggi si è inclini a sottolineare la mancanza di reazioni e il tacito assenso da parte degli altri stati italiani, impegnati a loro volta in processi di costruzione e rafforzamento territoriale13. E si è propensi a mettere in evidenza l’antico interesse veneziano per la terraferma e le lontane premesse della conquista14. La quale peraltro non fu un evento iscritto nel destino di uno Stato votato di per sé ad una missione unificatrice dell’entroterra veneto, né un fenomeno ineluttabile «maturato dallo sviluppo della vita», come con accenti da evoluzionismo storicistico sosteneva Roberto Cessi15, ma l’esito non scontato di un serrato confronto politico tra forze di diverso orientamento all’interno del patriziato veneziano, il frutto di precise scelte politiche di una parte di esso, guidate da figure emergenti che nel corso degli anni avrebbero trovato in Francesco Foscari e nei suoi programmi di aggressivo espansionismo il loro punto di riferimento16. L’eliminazione fisica dei Carraresi, la cancellazione di ogni traccia del loro passato dominio, la damnatio memoriae nei loro confronti erano funzionali ad ogni progetto di stabilizzazione delle conquiste e di edificazione di uno stato territoriale, in quanto la sopravvivenza del Signore di Padova e dei suoi discendenti avrebbe costituito una costante minaccia alla realizzazione di quei disegni. Si spiega così la vera e propria caccia ai Carraresi, scatenatasi dopo la morte di Francesco Novello, Francesco III e Giacomo, in particolare a quei membri della famiglia che nel corso della guerra Francesco Novello aveva posto in salvo a Firenze17. Dopo un primo vano

13 Vedi, a questo proposito le considerazioni di Gaetano Cozzi in COZZI - KNAPTON, Storia della repubblica di Venezia cit., pp. 16-17, che fa riferimento a N. RUBINSTEIN, Italian reactions to Terraferma Expansion in the fifteenth century, in Renaissance Venice, cur. J. R. HALE, London 1973, pp. 197-217. 14 Cfr. MALLET, La conquista della Terraferma cit., pp. 181-188, 201. 15 Così CESSI, Storia della Repubblica di Venezia cit., p. 348: «L’unificazione territoriale del retroterra era fenomeno ineluttabile maturato dallo sviluppo della vita» (cfr. anche p. 349 dove i diversi i presupposti della «crescente partecipazione veneziana alla politica continentale» sono fatti rientrare «nel vasto panorama dell’evoluzione della vita»). 16 MALLET, La conquista della Terraferma cit., pp. 181-244 e si veda, da ultimo, G. GULLINO, La saga dei Foscari. Storia di un enigma, Verona 2005, pp. 17-20, 30-34. 17 Secondo i GATARI, Cronaca cit., pp. 553-554 a fine aprile del 1405 il signore di Padova mandò a Firenze con «riche zoglie […] e ducati hotantamilia d’oro» i suoi figli legittimi Ubertino e Marsilio e i figli naturali Stefano e Milone più Obizzo e Ardizzone, figli di Conte da Carrara, Marsilio Papafava del fu Ubertino del fu Marsilietto Papafava, Bonifacio, Paolo, Nicolò, figli di Giacomo «bastardo da Carrara», Pierconte Papafava da Carrara, Servio, Stilio, Gionata figli di Francesco III «e altri garzoni pizoli dela stirpe cararexe per numero tuti XXIIII». Per i provvedimenti subito presi dal governo veneto per sbarazzarsi definitivamente dei da Carrara vedi RAULICH, La caduta cit., pp. 100-101, 109-110.


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tentativo di far tornare, con la mediazione del Signore di Camerino loro parente, gli altri due figli legittimi del Carrarese, Ubertino e Marsilio, minorenni che in futuro avrebbero potuto «promuovere molti danni», ci si affrettò a porre una taglia consistente su di loro a favore di chiunque li avesse catturati o uccisi18. Ubertino in realtà morì presto di malattia, ma Marsilio negli anni seguenti tentò con ogni mezzo di recuperare la signoria, cercando alleati esterni e sostenendo ogni sorta di congiura interna19. Gli andò male: catturato nel marzo 1435, dopo l’ennesimo tentativo fallito di riprendere il potere in Padova, fu decapitato a Venezia, tra le due colonne di piazzetta San Marco, là dove molti altri, prima e dopo di lui, videro per l’ultima volta il mare20. «E così in costui fu estinto il colonnello de’ nobili Carraresi, cioè di quelli che dominarono … e la sua vita hebbe nel sopradetto modo così infelice fine», scrisse un cronista appartenente ad una famiglia di mercanti scrittori, specializzatasi nella narrazione delle gesta dei da Carrara21. Ma la storia dei Carraresi non si esaurisce in quella del ramo familiare (il “colonnello”) che detenne il dominio in Padova (“quelli che dominarono”) o che ad esso legittimamente aspirarono. C’è anche un’altra storia mai compiutamente narrata: quella dei membri del clan familiare che, non avendo titoli per la successione nella signoria, prima o dopo la sua caduta cercarono fortuna altrove e, a servizio della Chiesa o nel mestiere delle armi, trovarono il loro campo di affermazione lontano da Padova e dal Veneto. Già al tempo della conquista viscontea di Padova nel 1389, il governo veneziano aveva indicato al signore di Milano i luoghi che Venezia avrebbe preferito per l’esilio dei Carraresi: «a Perugia, o nelle Romagne o nelle Marche, ad Urbino, ad Assisi o nella Val di Spoleto»22. Grosso modo in quell’area e nei territori settentrionali del Regno di Napoli, durante i primi decenni del Quattrocento si radicarono Conte, figlio illegittimo di Francesco il Vecchio, capitano di ventura, viceré degli Abruzzi, vicario

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Ibid., pp. 109-110: 109 nota 1 e 110 nota 1. GATARI, Cronaca cit., pp. 582-583; E. PIVA, Venezia, Scaligeri e Carraresi. Storia di una persecuzione politica del XV secolo, Rovigo 1899; CESSI, Congiure e congiurati cit., pp. 247-267. 20 GATARI, Cronaca cit., p. 583. 21 È Andrea Gatari continuatore della cronaca carrarese del padre Galeazzo e del fratello Bartolomeo: ibid., pp. 582-583 (citazione a p. 583, continuazione della nota segnata con asterisco della pagina precedente), e per notizie su di loro cfr. pp. VII-XXXVIII; vedi inoltre le voci Gatari Andrea e Gatari Galeazzo, curate da I. LAZZARINI per il Dizionario biografico degli Italiani, 52, Roma 1999, rispettivamente alle pp. 538-539 e 539-542. 22 Cfr. CESSI, Congiure e congiurati cit., p. 248.


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pontificio e signore di Ascoli Piceno, i suoi figli Ardizzone e Obizzo, che ne ereditarono la signoria su Ascoli, e Stefano, figlio illegittimo di Francesco Novello, canonico della cattedrale e vescovo di Padova, trasferito, dopo la caduta della città in mano veneziana, alla diocesi di Nicosia e poi a quella di Teramo23. Con il suo appoggio, nel secondo e terzo decennio del XV secolo, Conte diede vita e trasmise ai figli una signoria fondata principalmente sulla forza militare, ma non solo, che almeno come tipologia anticipò il successivo e più robusto tentativo di Francesco Sforza, artefice tra il 1433 e il 1447 «del più formidabile esperimento di costruzione di uno Stato regionale condotto in Italia da un condottiero»24. Questi sono i protagonisti dell’“altra storia” e questo è l’argomento del libro. La costruzione di un nuovo dominio carrarese, con centro nella città di Ascoli Piceno e radicato tra Marche e Abruzzo grazie al possesso e al controllo di una rete di fortezze e castelli dislocati per lo più lungo il mobile confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Sicilia (o di Napoli, come era di fatto)25, è tuttavia solo la tappa finale di un lungo percorso, iniziato nella brillante corte carrarese di Padova, dove le nascite illegittime, frutto degli amori extraconiugali dei membri della famiglia signorile, erano considerate una risorsa, le cariche ecclesiastiche un serbatoio di ricchezze economiche e finanziarie con le quali ricompensare parenti, amici e clienti, la cultura un mezzo per innalzare il prestigio e la fama della famiglia dominante. Seguendo le vicende dei protagonisti, si delinea in realtà uno spaccato di storia italiana, in un momento di svolta e in alcuni suoi tratti distintivi: il faticoso passaggio dall’estrema frantumazione politica ad un sistema articolato di grandi stati regionali, lo strapotere dei condottieri, soprattut23 Mancano, su questi personaggi, studi di ampio respiro. Notizie sparse si trovano in opere dedicate ai Carraresi o in saggi storici di altro argomento che, all’occorrenza, verranno citati. Di Conte e di Ardizzone ha tracciato profili sintetici M. FRANCESCHINI, Carrara, Conte da, in Dizionario biografico degli Italiani, 20, Roma 1977, pp. 646-649; FRANCESCHINI, Carrara, Ardizzone da, ibid., pp. 642-643. 24 F. PIRANI, Nelle Marche meridionali fra Tre e Quattrocento: città, regimi, committenza artistica, in Civiltà urbana e committenze artistiche al tempo del maestro di Offida (secoli XIV-XV), Atti del convegno (Ascoli Piceno, Palazzo dei Capitani, 1-3 dicembre 2011), cur. S. MADDALO e I. LORI SANFILIPPO, Roma 2013, pp. 39-68: 48-50 (la citazione è a p. 48). 25 Per i problemi relativi all’ «intitolazione dei due regni, quello isolano e quello del Mezzogiorno, in cui si scisse l’originaria unità normanna», vedi le sintetiche considerazioni di F.P. TOCCO, Il regno di Sicilia tra Angioini e Aragonesi, Bologna 2008, pp. 7-8 (ma, al di là dell’aspetto specifico dell’intitolazione, il problema politico e il contesto socio-istituzionale dei due regni sono il filo rosso del libro). Colgo l’occasione per chiarire che, per rispetto alla realtà politico-territoriale alla quale faccio riferimento e per evitare fraintendimenti, manterrò in questo volume il titolo e la denominazioni di re e di Regno di Napoli, anche se nei documenti pubblici dell’epoca, ricorrono più spesso quelli di re e di Regno di Sicilia.


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