Jacques Le Goff e l'Italia

Page 1



ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

JACQUES LE GOFF E L’ITALIA

a cura di DANIELA ROMAGNOLI AMEDEO FENIELLO SALVATORE SANSONE

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI

2015


Ringraziamo Barbara e Thomas Le Goff che hanno permesso la realizzazione di questa testimonianza per Jacques Le Goff. Lo stesso ringraziamento ai quotidiani La Repubblica, La Stampa e Il Corriere della Sera che hanno concesso la loro autorizzazione per la pubblicazione degli articoli. Ringraziamo StĂŠphane Gioanni per la collaborazione.

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone

ISBN 978-88-98079-34-6

Stabilimento Tipografico Pliniana, V.le F. Nardi, 12 – 06016 Selci-Lama (Perugia)


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 5

DANIELA ROMAGNOLI INTRODUZIONE

Nell’ottobre 2000 Jacques Le Goff compì quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio fuori di Francia. Aveva seri problemi di mobilità già da qualche tempo, ma volle ugualmente affrontare un exploit non facile, date le sue condizioni di salute. Non è casuale, e va sottolineato, il fatto che la meta sia stata l’Italia. Non solo perché l’occasione, o piuttosto le occasioni, gli furono offerte nel nostro paese, ma anche, o forse soprattutto, perché al nostro paese egli era legato da vincoli culturali e affettivi profondi. Le Goff stesso ha parlato a più riprese dell’Italia come di una seconda patria (associandola ovviamente alla Francia, e alla Polonia, alla quale era legato da vincoli familiari oltre che culturali) per i legami nati durante i soggiorni di studio, già al tempo dei suoi primi lavori, a Padova, Firenze, Siena, e in modo particolare all’École Française de Rome, e un po’ anche per la remota ascendenza ligure, segnalata dal cognome della madre (Ansaldi), il cui nonno era emigrato in Francia dalla natia Porto Maurizio ben prima che in epoca fascista venisse unita a Oneglia sotto l’unico nome di Imperia. Durante uno dei suoi soggiorni italiani, nel 1992 per l’anno Colombiano, da Genova volle andare a vedere quei luoghi in una specie di pellegrinaggio, gradito anche perché su quel Mediterraneo, a Tolone, aveva visto la sua nascita e la prima giovinezza. Le ragioni di un legame davvero eccezionale sono però anche, e forse soprattutto, di tipo storico e culturale, in particolare se si tenga presente il posto privilegiato che la città


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 6

6

DANIELA ROMAGNOLI

ha sempre occupato nell’arco della sua opera1. È un aspetto che aveva sottolineato con forza André Vauchez2, facendo riferimento all’importanza e alla continuità della vita cittadina italiana e alla funzione della città come osservatorio privilegiato del mondo mediterraneo – e sarebbe molto limitante pensare solo alle repubbliche marinare. Le Goff si appassiona ai contatti tra le civiltà, agli scambi non solo commerciali, a un mondo nel quale la vita contadina viene presto confinata a un ruolo subalterno e dove i signori feudali sono meno importanti dei mercanti e dei giuristi. Non a caso nel 1986, in una delle città italiane più amate, Parma, aveva voluto tenere la lezione introduttiva a una serie di seminari dedicati a temi di storia urbana, seguiti a breve distanza da un convegno sul tema della città murata3. Il mondo cittadino è il mondo di un Medioevo dinamico e innovatore, per il quale, nell’intervista che si pubblica qui, Le Goff conia una definizione originale e al tempo stesso problematica, capace di suscitare discussioni e approfondimenti: «un’epoca di progresso che non osa pronunciare il suo nome». Un’epoca che coincide con il «lungo Medioevo», che è il cuore delle sue riflessioni sulla periodizzazione storica, ma che non ha avuto un successo incontrastato, anche se non sono pochi i medievalisti che ormai non accettano più i confini della scansione tradizionale. Se si considera che l’intervista fu conclusa il 25 marzo 2014, una settimana prima della scomparsa di Le Goff, è difficile non essere turbati da una sorta di invocazione: «alla mia età, questo è quasi un ultimo messaggio: chiedo che si tenga in considerazione la nozione di lungo Medioevo». Quell’ultimo viaggio fuori di Francia, al quale ho accennato all’inizio, fu causato dal conferimento di tre lauree ad honorem (a coronamento di un memorabile palmarès), alle università di Roma La Sapienza, Parma e Pavia. I temi trattati nelle tre lectiones magistrales pronunciate durante le corrispondenti cerimonie accademiche, riunite in questo


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 7

INTRODUZIONE

7

libro per la prima volta, non si presentarono certo come elementi di novità nell’ampia – sia in senso quantitativo sia in senso cronologico – riflessione di Le Goff sull’altrettanto ampio periodo indicato da lui come lungo Medioevo. In ciascuna delle tre circostanze volle piuttosto fare il punto sul cammino percorso (strumenti e sviluppi della scienza storica, il valore innovativo della storia dell’immaginario, il rapporto tra storia e memoria), ma vale la pena di sottolineare come anche in quelle circostanze riemergesse il suo amore per “la” città, giacché ebbe cura di dedicare a ciascun ateneo qualche pagina pensata espressamente per la specificità culturale delle tre sedi. È ancora Vauchez a notare che dalla metà degli anni 1970 Le Goff passa da essere uno stimato autore straniero ad assumere una figura pubblica nella vita culturale italiana. E giunge a parlare, a buon diritto, di una vera e propria naturalizzazione culturale. Carla Casagrande e Silvana Vecchio, in una testimonianza presentata durante la giornata in omaggio a Le Goff tenutasi a Parigi il 27 gennaio 2015 (i cui atti sono in corso di stampa), sottolineavano come Le Goff abbia messo a disposizione degli Italiani – ancora una volta: non solo degli specialisti – nuovi modi di riflettere sugli aspetti fondamentali della loro identità culturale. Gli esempi indicati sono molteplici, ma vengono in particolare segnalati e commentati Gli intellettuali nel Medioevo e La nascita del Purgatorio. Il primo, tradotto nel 1959 e ristampato continuamente negli anni successivi, fa conoscere lo storico innovatore che abbatte le barriere tra le diverse discipline, l’intellettuale che partecipa ai dibattiti culturali, lo scrittore che aiuta i suoi lettori a comprendere il presente attraverso la storia. Il secondo – come altre ricerche su temi religiosi intrinseci alla storia italiana: pensiamo ad esempio al suo san Francesco – presentava ai lettori di un paese a forte dominante cattolica l’indagine su una dottrina radicata in un patrimonio culturale comune, a prescindere dalle


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 8

8

DANIELA ROMAGNOLI

scelte di fede individuali. Non si può che sottoscrivere una notazione delle due Autrici, che sarebbe facile ma errato prendere come una semplice nota di colore: Le Goff conosceva a fondo tutto dell’Italia: storia, letteratura, arte, politica…ma anche le squadre di calcio e la gastronomia. Ciò che in realtà equivale a dire: una civiltà nel suo complesso. E si sono susseguite almeno dagli anni 1980 e fino a pochi giorni dalla sua morte, interviste e articoli concessi ai principali quotidiani (Il Messaggero, La Stampa, Il Corriere della Sera, La Repubblica), alcuni dei quali sono pubblicati qui, a dimostrazione della varietà dei temi trattati: dalla politica (generale, italiana, francese, ma sempre in una visione europeista) ai problemi storiografici, dalla scuola alle vicende personali, queste ultime però solo in quanto si riflettessero nell’opera dello storico, come nel caso del libro (Con Hanka) dedicato alla memoria della moglie. Oltre all’attività di condirettore del mensile divulgativo Storia e Dossier. La presenza di Le Goff in Italia aveva però fatto seguito alla tardiva scoperta della storiografia francese della prima metà del Novecento, bloccata a lungo dal provincialismo culturale dell’epoca fascista e dal peso della riforma della scuola, dovuta a Giovanni Gentile (nome dichiaratamente inviso a Le Goff, per motivi culturali e politici), che associava nell’insegnamento medio superiore la storia alla filosofia, con risultati didattici per lo più disastrosi, per l’una come per l’altra delle due discipline. Del resto basta pensare che le opere di Marc Bloch vengono tradotte in italiano a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, e pazienza per la Società feudale, che appare nel 1949, dieci anni dopo l’uscita in Francia (1939), ma un libro dalla forza innovativa come i Re taumaturghi dovrà aspettare dal 1924 al 1977. Per Le Goff, invece, il problema di ritardi nelle traduzioni ormai non si pose più; ci sono anzi state sia co-edizioni Francia-Italia, sia opere uscite in Italia prima che in Francia, o addirittura pubblicazioni


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 9

INTRODUZIONE

9

soltanto italiane, come la scelta di saggi intitolata Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale (1983), o L’Italia nello specchio del Medioevo, che raccoglie i contributi apparsi nella Storia d’Italia Einaudi, o, ancora, il volume Il medioevo europeo di Jacques Le Goff, che sarebbe troppo riduttivo etichettare come catalogo dell’omonima mostra, realizzata a Parma (28 settembre 2003 - 6 gennaio 2004), per la quale Le Goff scelse personalmente gli oggetti da esporre e gli Autori dei ventitré saggi inerenti i temi trattati in mostra4. Senza dimenticare i suoi numerosi contributi all’Enciclopedia Einaudi, poi riuniti nelle cinquecento pagine di Storia e memoria (1982) e divenuti dei classici del suo pensiero, tradotti in più lingue. Le Goff ha avuto anche una parte importante nell’approfondimento e consolidamento dei rapporti tra storici francesi e italiani, anche attraverso i legami di amicizia e stima con molti colleghi, dai coetanei agli juniores: cito quasi a caso, e solo a mo’ di esempio, Giuseppe Galasso, Girolamo Arnaldi, Ovidio Capitani, Cesare De Seta, Umberto Eco, Chiara Frugoni, Giuseppe Sergi, Carla Casagrande, Silvana Vecchio… Questo non ha però significato acquisizione automatica del suo pensiero storiografico; gli sono stati anzi dedicati seminari e discussioni, a volte anche molto critiche, come nel caso del problema del denaro e della funzione degli Ordini mendicanti nelle innovazioni dell’economia medievale, tema sul quale in Italia si sono viste posizioni differenti, rappresentate a vari livelli per esempio dai lavori di Renato Bordone e del Centro studi sui Lombardi (Asti), o di Giacomo Todeschini sul circolo della ricchezza fra cristiani ed ebrei e di Maria Giuseppina Muzzarelli sui Monti di Pietà. Del resto non tutte le prospettive aperte da Le Goff hanno suscitato adesione convinta presso gli storici italiani. L’esempio più evidente è quello della biografia: rispetto alla radicale innovazione metodologica costituita dal


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 10

10

DANIELA ROMAGNOLI

San Luigi – i medievalisti italiani sembrano aver recepito pochissimo, continuando a scrivere biografie tradizionali5. Molti echi hanno avuto i suoi interventi italiani sui problemi della scuola e dell’insegnamento. Un carattere distintivo del lavoro di Jacques Le Goff risiede infatti nella «convinzione che non si devono separare queste tre attività: la ricerca, l’insegnamento e la diffusione dei risultati della ricerca»6. In altri termini, il lavoro dello storico non è compiuto se non attinge diversi livelli di pubblico: da quelli che chiamiamo gli “addetti ai lavori”, ossia gli studiosi, con i quali bisogna confrontarsi e interagire, agli allievi diretti (universitari, specializzandi, dottorandi), agli studenti di tutti i gradi scolastici (e i loro insegnanti), ai cittadini in genere, giacché il fare storia può e deve essere inteso come un servizio reso alla società oltre che come il tentativo di rispondere a semplice curiosità, pur assolutamente legittima. La sua straordinaria capacità di comunicare gli è valsa nel 2008 il premio Portico d’oro, del quale è diventato eponimo (Premio Portico d’oro – Jacques Le Goff), per la diffusione della storia al di là della cerchia degli accademici. Il premio viene assegnato ogni anno a Bologna, appunto a partire dal 2008, durante la Festa internazionale della Storia: una manifestazione, giunta all’XI edizione, che vede numerose iniziative rivolte anche al grande pubblico ma soprattutto ai giovani e giovanissimi. I giovani e il futuro: un altro dei temi cari a Le Goff. Il futuro che lo storico non può predire, ma che può aiutare a costruire sulla base della conoscenza del passato e della lettura attenta e partecipe del presente. Le Goff, l’ottimista, il sempre concreto Le Goff, si serve del pensiero di Gramsci per dire che si parla troppo spesso di crisi guardando nostalgicamente a un passato in via di sparizione, mentre basta volgersi in direzione del futuro per intravvedere una mutazione generatrice di novità e di speranza. È la risposta alla “fine della storia”, di


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 11

INTRODUZIONE

11

cui si discusse un paio di decenni orsono dopo l’omonima, provocatoria opera di Francis Fukuyama (1992): non morte, ma cambiamenti e innovazioni che permettono di andare avanti. È l’esortazione che chiude la lectio magistralis tenuta a Roma: la scienza storica è ancora nell’infanzia, dunque: au travail, al lavoro!

Note 1 Basta pensare al titolo di una sua lunga riflessione a due: Pour l’amour des villes. Entretiens avec Jean Lebrun, Paris 1997. 2 A. Vauchez, Jacques Le Goff and Italy, in The Work of Jacques Le Goff and the Challenges of medieval History, cur. M. Rubin, Woodbridge 1997. 3 J. Le Goff, Lezione introduttiva, in Storia e storie della città, cur. D. Romagnoli, Parma 1988, pp. 17-34; La città e le mura, cur. C. De Seta - J. Le Goff, Roma-Bari 1989. 4 Il Medioevo europeo di Jacques Le Goff, cur. D. Romagnoli, Milano 2003. 5 Ne parlò Luigi Provero (Le Goff e la biografia) a un seminario della Scuola di dottorato in Studi storici dell’Università di Torino: Punti di vista su Jacques Le Goff, 30 gennaio 2009. 6 J. Le Goff, Dalla ricerca all’insegnamento: il caso del Medioevo, in Ricerca e insegnamento della storia, cur. A. Santoni Rugiu, Firenze 1991, p. 17. Come sottolinea Santoni Rugiu, qualche accenno a questo aspetto Le Goff lo aveva già fatto nella sua Intervista sulla storia, cur. F. Maiello, Roma-Bari 1982. Si può vedere anche D. Romagnoli, Intervista a Jacques Le Goff sullo studio e l’insegnamento della storia medievale (ma non solo), «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 108 (2006), ripubblicata in questo volume; o ancora il quaderno didattico (con Romagnoli), Parliamo di Medioevo. Riflessioni sui secoli delle cattedrali, Milano 2007.


01Introduzione_impaginato.qxd 04/05/15 14:51 Pagina 12


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 13

IntervIste


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 14


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 15

DanIela romagnolI IntervIsta a Jacques le goff sullo stuDIo e l’Insegnamento Della storIa meDIevale (ma non solo)*

«sapete, cari amici, che varie condizioni, alcune delle quali dolorose, mi impediscono di essere tra voi, ma auguro ai vostri lavori, importanti, il miglior successo possibile, e dico la mia amicizia a tutti e a ciascuno di voi».

con questo saluto, rivolto ai partecipanti alla tavola rotonda e agli organizzatori della festa della storia, il prof. le goff esprime il sincero rammarico per non poter essere presente a Bologna. ragioni di salute gli impediscono da tempo di affrontare le fatiche di un viaggio, anche se breve. a questo tipo di problemi si è aggiunto l’immenso dolore per la perdita della moglie, nel dicembre dello scorso anno. solo la sua viva attenzione per lo studio e l’insegnamento della storia, cui ha dedicato l’intera vita, lo ha spinto ad accettare di dare il suo autorevole contributo a questo dibattito, contributo dedicato a tutti coloro che credono nell’importanza della memoria, nella necessità di conoscerla e trasmetterla per potersi sentire ed essere cittadini – non sudditi – di un’europa delle nazioni, ma non dei nazionalismi. D.r.: Jacques le goff, è possibile studiare la storia recente senza avere una conoscenza, più completa possibile, approfondita, del passato medievale e anche, probabilmente, dell’antichità?


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 16

16

IntervIste

J.l.g.: se la storia ha conosciuto alcuni grandi sconvolgimenti, come ad esempio la caduta dell’Impero romano, che del resto è stata un lungo processo, o la rivoluzione francese, che è stata un’eruzione più violenta, essa è però segnata essenzialmente dalla continuità. la storia è memoria. una memoria che gli storici si sforzano, attraverso lo studio dei documenti, di rendere oggettiva, la più veritiera possibile: ma è pur sempre memoria. non proporre ai giovani una conoscenza della storia che risalga ai periodi essenziali e lontani del passato, significa fare di questi giovani degli orfani del passato e privarli dei mezzi per pensare correttamente il nostro mondo e per potervi agire bene. Io sono del resto – come discepolo di fernand Braudel, ma anche in modo per così dire indipendente – partigiano deciso della storia come lunga durata. I più importanti avvenimenti della storia sono quelli che durano, che maturano, quelli che formano l’humus della nostra esistenza collettiva, come l’humus permette di coltivare e far fruttificare un terreno. Di conseguenza, bisogna sapere che essa – la storia – ci appartiene e penso che questo sia probabilmente vero, grosso modo nella stessa maniera, per tutti gli europei. qual è il passato del quale dobbiamo trasmettere la memoria? mi sembra indubbio che esso sia innanzitutto il passato greco-romano, cioè lo strato più profondo della civiltà europea. sappiamo del resto che una delle funzioni, per così dire, dell’impero romano, della cultura romana, è stata quella di continuare, migliorare, diffondere la cultura greca. anche quelli che non lo sanno, i nostri uomini politici meno interessati alla cultura, più intellettualmente mediocri, agiscono tuttavia avendo in fondo in fondo idee che vengono da Platone, aristotele o cicerone. e quando si parla di democrazia, tema di gran moda, di grande attualità, si sa bene che la parola e la forma di governo sono state inventate nella grecia antica e in particolare ad atene, nonostante che la democrazia greca antica fosse molto imperfetta, giac-


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 17

IntervIste

17

ché non comprendeva le donne, gli stranieri, gli schiavi, che costituivano la maggior parte della popolazione. Il secondo momento di civiltà, che i giovani devono studiare per sapere cosa è stato e cosa ha lasciato, è il medioevo. qui credo si tratti di un passaggio molto significativo, perché mentre il mondo grecoromano si incentrava sul bacino mediterraneo, in un ambito quindi molto diverso da quello della futura europa, il medioevo ha fatto nascere l’europa press’a poco entro i limiti geografici che oggi le corrispondono, dall’Islanda alla sicilia; con un grande problema, che le genti dell’antichità e del medioevo non hanno saputo risolvere e che non sappiamo risolvere neanche noi: quello delle frontiere dell’est. questa fase storica europea è stata, evidentemente, segnata molto fortemente dal cristianesimo, e se la cultura europea contiene, per così dire, l’eco e l’eredità della filosofia greca e latina, a maggior ragione contiene l’eredità del cristianesimo. Però con il problema secondario che ci sono almeno due cristianesimi: quello romano-latino e quello greco-ortodosso, ciò che non semplifica le cose. credo di poter dire che il cristianesimo romano-latino sia quello che ha maggiormente segnato l’europa, ma penso che l’europa, che vogliamo costruire, debba tener conto anche dell’altra forma di cristianesimo. vorrei sottolineare che il medioevo, secondo me, è stato un periodo più lungo di quanto si dica nelle scuole, nelle università e nei libri, perché, a mio parere, si è esteso dal tardo antico (lunga trasformazione dell’Impero romano in altra cosa, tra il III e il vII secolo, in nuove istituzioni e in una nuova cultura) fino a due avvenimenti che meritano il nome di rivoluzione alla fine del XvIII secolo: uno nel campo economico, la rivoluzione industriale; l’altro nel campo politico, la rivoluzione francese. ma devo dire che già prima di questi grandi avvenimenti politici ed economici, l’europa aveva attraversato una terza fase fondante: quella dell’europa dei lumi nel XvIII secolo.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 18

18

IntervIste

Prima di continuare, vorrei ulteriormente sottolineare come la conoscenza di queste diverse fasi sia essenziale per la conoscenza di un paese come l’Italia. Innanzitutto perché nell’antichità, dopo la grecia, è roma che ne ha raccolto, arricchito, diffuso l’eredità, e a sua volta ha trasmesso una lingua che si è imposta in direzione di tutte le lingue romanze, tra le quali l’italiano è chiaramente la principale. l’importanza del medioevo è evidente per l’Italia: il centro della nuova europa medievale è roma. naturalmente ci sono problemi, perché la presenza della chiesa, del papa, le pretese imperiali, le divisioni italiane, fanno sì che l’Italia abbia tardivamente e difficilmente trovato la propria unità; ma l’Italia c’è, e direi quasi che, se non si vuole parlare d’Italia, bisogna almeno parlare degli italiani, che certo ci sono. ed è proprio degli italiani che vogliamo insegnare ai più giovani chi sono e da dove vengono. sottolineo che la periodizzazione proposta da me, al contrario di quel che si può pensare, non rifiuta un periodo considerato essenziale per l’Italia: il rinascimento. tuttavia penso che il rinascimento non costituisca un periodo a sé stante per tutta l’europa. Penso che faccia parte di quel lungo medioevo che ha conosciuto numerosi rinascimenti: il rinascimento carolingio, il rinascimento del XII secolo (rinascimento nel quale il ruolo dell’Italia non è stato trascurabile) e quello che possiamo chiamare – e che io chiamo volentieri – il grande rinascimento, del Xv e XvI secolo, quando di fatto il ruolo dell’Italia è stato fondamentale. Possiamo aggiungere che ciò che sta per cominciare nell’ambito intellettuale in europa. cioè il passaggio dal medioevo a un altro periodo, legato all’ambito scientifico, che troverà il suo momento più alto in Inghilterra, è però cominciato in Italia: basti pensare a galileo galilei. una conoscenza della storia che lasciasse da parte cesare, cicerone, carlo magno, Dante, giotto, per arrivare appunto fino a galileo galilei, equivarrebbe a gettare gli italiani


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 19

IntervIste

19

nell’ignoranza di chi essi siano e di cosa sia la loro vita. Infine, beninteso, ci sono – e non li voglio escludere dall’insegnamento della storia nelle scuole – i periodi più recenti: il XIX secolo, che è in particolare quello della formazione dell’unità italiana, e il XX secolo, più vicino a noi. rimane, evidentemente, un grande problema, cioè che tutto questo è davvero molto. tocca dunque agli insegnanti di storia mettersid’accordo, attraverso commissioni di studio e di riflessione, sul modo di proporre ad allievi e studenti un insegnamento non troppo pesante. Bisogna cioè saper scegliere ciò che è più importante dire sulle epoche passate. Personalmente penso che la conoscenza di qualche data permetta di situare, di registrare meglio le cose, ma soprattutto penso che si debba presentare ai giovani una visione, anche se rapida, dell’essenziale delle eredità, soprattutto culturali e politiche. Penso anche che, aspettando che taluni si specializzino, magari nelle università, nello studio della storia, nelle scuole primarie e secondarie questo insegnamento della lunga durata storica debba avvenire in due cicli. Infatti lo sviluppo della comprensione nei giovani subisce una mutazione importante – non saprei dire quando con esattezza, i pedagogisti lo sanno meglio di me, ma suppongo verso i dodicitredici anni – e quindi ci vogliono i due cicli. ma, ancora una volta, se l’insegnamento in Italia non partisse dall’antichità, temo che gli italiani avrebbero domani maggiori difficoltà per sapere cosa fare nella storia e per rendere il loro paese più ricco e fecondo di quanto sia stato finora. D.r.: un grande problema oggi è quello della costruzione dell’europa. quali sono i valori ereditati dal passato che non possiamo trascurare? quale il legato del medioevo cristiano? J.l.g.: come si sa, ci sono state discussioni abbastanza aspre per decidere se nel progetto di costituzione europea


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 20

20

IntervIste

si dovesse menzionare il cristianesimo oppure no. Direi che, se si tratta di ricordare le grandi tappe – ciò che ho chiamato le diverse fasi storico-culturali dell’europa – la seconda, quella medievale, che considero importantissima, è stata fortemente segnata dal cristianesimo. ma, in generale, ritengo che la costituzione politica di cui l’europa ha bisogno debba essere una costituzione laica e se essa (la costituzione) vuole fare appello ad un principio, questo deve essere quello di laicità. vorrei però precisare perché la laicità mi appare come il valore sul quale, certamente insieme alla democrazia, deve poggiare la nuova europa. Infatti questo termine (laicità) ha certo un’origine molto antica, e si è sviluppato proprio in europa. È un concetto che distingue l’europa non solo dalle civiltà dell’estremo oriente e dalle civiltà islamiche, ma anche dalla civiltà americana statunitense. laicità che non è, o almeno non deve essere, una laicità antireligiosa. Deve essere un’attitudine di neutralità rispetto alle religioni, considerate come credenze private, la pratica delle quali, a parte i segni esteriori provocatori, deve essere garantita dalle istituzioni. ciò che di solito non si dice è che questa pratica della laicità si è instaurata nel cuore stesso del medioevo, di questo periodo che viene presentato solo come un periodo di fede e di religione. Infatti è durante il medioevo che, in primo luogo, gli europei hanno cominciato a mettere in pratica il precetto evangelico «date a cesare quel ch’è di cesare». Di conseguenza, la separazione tra il pubblico, laico, e il privato, religioso, ha il proprio fondamento nel vangelo stesso. In secondo luogo, la storia dell’evoluzione sociale e intellettuale del medioevo è in certo modo la storia degli sforzi dei laici cristiani per affrancarsi dalla dominazione ideologica della chiesa. gli europei del medioevo hanno voluto affrancarsi, dal punto di vista sociale, dalla dominazione dal feudalesimo, e dal punto di vista intellettuale e spirituale dalla dominazione della chiesa, ma non hanno voluto essere antireligiosi.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 21

IntervIste

21

erano laici nella misura in cui il cristianesimo stesso divideva la società tra chierici e laici, ma reclamavano l’indipendenza e i diritti che nel cuore stesso dell’ortodossia cristiana bisognava riconoscere ai laici. Dunque, anche se nei malaugurati conflitti posteriori la laicità ha potuto assumere aspetti aggressivi, essa deve essere riconosciuta come un valore essenziale, e questo esclude che ci sia nella costituzione dell’europa e dei paesi che la compongono un riferimento esplicito alla religione. D.r.: c’è ancora un problema, particolarmente serio, particolarmente grave nella tradizione scolastica italiana, che, come sappiamo, per decenni e decenni ha mantenuto un legame stretto tra l’insegnamento della storia e quello della filosofia, ma non un legame sufficiente tra l’insegnamento della storia e quello della geografia. oggi, in particolare, questo problema è veramente all’ordine del giorno. cosa ne pensa Jacques le goff? J.l.g.: sono stato da tempo colpito dal fatto che in Italia l’insegnamento della storia sia soprattutto legato a quello della filosofia; devo dire che si tratta di un orientamento che non condivido, perché secondo me la storia è una scienza positiva e non normativa, e se beninteso la filosofia, o almeno la storia della filosofia, fa parte dei temi di cui la storia deve occuparsi, i concetti che reggono l’esercizio e l’insegnamento della filosofia mi sembrano molto diversi da quelli che devono reggere l’insegnamento della storia, e a volte addirittura un po’ pericolosi. la tradizione francese è molto diversa. non voglio affatto che si pensi che sono animato da nazionalismo – c’è purtroppo molto da ridire sulle tradizioni francesi – ma a questo proposito, uno dei punti forti, a mio avviso, dell’insegnamento della storia in francia è che questo insegnamento è stato fortemente legato a quello della geografia. a tal punto che gli studenti preparano un’unica disciplina. Preparano (con quella che si chiamava, prima dell’instaurazione dei nuovi sistemi euro-


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 22

22

IntervIste

pei, la “licence”) la “agrégation” di storia e geografia. questa specificità si spiega con le particolari condizioni intellettuali e scolastiche della francia della fine del XIX secolo. sotto la terza repubblica si è instaurato il programma di insegnamento che in fondo non ha successivamente subito modifiche fondamentali. I geografi di quell’epoca, il principale dei quali è stato vidal de la Blache, si sono interessati molto alla storia, perché erano persuasi che, se la geografia studia fenomeni apparentemente naturali, questi stessi fenomeni hanno però subito una forte influenza culturale. allo stesso modo, gli storici hanno pensato che la storia si fa sempre in un luogo, la storia si fa in uno spazio e che la natura di questi luogo e spazio è essenziale per la comprensione dei fenomeni storici che vi si svolgono. Del resto l’evoluzione di tale spazio è una componente essenziale della storia. come comprendere la storia antica, la storia greca antica, senza studiare la colonizzazione greca attraverso il mediterraneo? come comprendere roma senza comprendere la costituzione dell’Impero romano dall’asia minore fino alla spagna e all’Inghilterra settentrionale? In particolare, entro lo studio della storia si inserisce lo studio di quel fenomeno essenziale e purtroppo fonte di conflitti: il fenomeno delle frontiere, che è strettamente legato alla geografia. I francesi dell’ epoca dei lumi e degli inizi della rivoluzione hanno tentato di elaborare una teoria che unisse storia e geografia attraverso la definizione di frontiera naturale. questo concetto non regge. ci si accorge dunque che bisogna studiare in modo assai più critico e assai più approfondito i rapporti tra la storia e la geografia. un altro tentativo, questo di origine tedesca, ha voluto introdurre legami stretti tra storia e geografia: l’idea che ogni popolo sia stato dotato di un suo spazio specifico per costruirvi la propria storia – Lebensraum, spazio vitale – e in particolare questa nozione è stata data come giustificazione delle conquiste naziste in quanto sforzo di realizzazione di quel che


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 23

IntervIste

23

sarebbe stato, dall’eternità, il Lebensraum tedesco, il Lebensraum germanico. È chiaro che questa concezione è ancora più ideologica dell’altra e si fonda su basi che non hanno assolutamente niente di scientifico. tuttavia, una storia “oggettiva”, una storia che cerchi di illuminare l’evoluzione storica in quello che ha di essenziale, deve studiare l’evoluzione dei popoli e delle società nello spazio, e quindi deve ricorrere alla geografia. questo può spiegare al tempo stesso gli avvenimenti che noi consideriamo oggi sia come fenomeni positivi, sia come fenomeni negativi, dalla colonizzazione antica, alla quale ho già fatto allusione, fino a quelle che sono state chiamate le grandi scoperte e ai movimenti colonialisti che sono, dobbiamo dirlo, una delle grandi macchie dell’europa: uno dei doveri del mondo attuale è di completarne l’eliminazione. ma – e lo vediamo bene, specialmente nelle discussioni per l’elaborazione della nuova europa – quale è la geografia di questa nuova europa? quali ne sono i limiti? a questo proposito, vediamo bene come il problema si presenti ancora oggi a proposito dell’ingresso della turchia nella comunità europea. che rapporto c’è tra lo spazio e la storia? In cosa lo spazio e la storia, nell’evoluzione del loro rapporto, hanno potuto influire sugli europei? come comprendere la storia degli stati uniti e dell’imperialismo americano dopo la dottrina di monroe, senza guardare alla geografia? e del resto come comprendere la cosiddetta spartizione dell’africa, o la spartizione dell’america da parte delle potenze colonizzatrici, senza fare intervenire la geografia? Possiamo spingerci più lontano. unire la storia e la geografia equivale a unire i due elementi essenziali e strettamente legati della costituzione e dell’evoluzione delle società: spazio e tempo. Direi addirittura che separare la storia dalla geografia significa spezzare l’unione tra spazio e tempo che è la struttura essenziale delle nostre società e delle loro vicende.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 24

24

IntervIste

* l’intervista

è stata letta in occasione della tavola rotonda sul tema Medioevo al tramonto?, tenutasi a Bologna il 18 ottobre 2005, nell’ambito della Festa della storia (Bologna 16-23 ottobre 2005) e pubblicata nel «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 108 (2006), pp. 1-8.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 25

DanIela romagnolI quatre-vIngt DIX ans entretIen avec Jacques le goff* 25 mars 2014

D.r.: Jacques le goff, vous venez d’avoir 90 ans. malgré quelques problèmes de mobilité physique vous êtes toujours pleinement actif. Il suffit de penser aux deux livres publiés respectivement en 2011 et en 2014, sans compter vos activités ininterrompues depuis pas mal d’années, comme l’émission Les Lundis de l’histoire sur france culture qui a débuté en 1968, ou votre présence dans la cuisine – si j’ose dire – des Annales. vous êtes donc en mesure de voir d’en haut, l’évolution (si d’évolution il s’agit) de l’historiographie d’un coté, de la société de l’autre, toujours étant que les deux choses ne sont pas totalement indépendantes l’une de l’autre. c’est sur ces deux pôles que je voudrais vous poser quelques questions, en essayant de ne pas reprendre des aspects, comme ceux, en particulier, de type biographique, sur lesquels vous avez déjà répondu à marc Heurgon dans le bel entretien Une vie pour l’histoire1. sans oublier, loin de là, l’exemplaire exploit de méthode que vous avez donné en joignant l’expérience de la vie aux raisons profondes de la recherche (pas seulement historique, peut-être) dans votre essai «l’appétit de l’histoire»2. sans oublier non plus, l’émouvant hommage à la mémoire de votre épouse, hommage qui est en même temps œuvre d’historien, car comme vous l’avez souligné, il s’agit aussi de l’histoire d’un couple franco-polonais à travers des années politiquement difficiles3.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 26

26

IntervIste

Je voudrais pourtant vous demander en commençant si vous souhaitez ajouter quelques réflexions sur la dernière décennie de votre vie, avant qu’on rentre dans le cœur de cet entretien. J.l.g.: la dernière décennie de ma vie a d’abord été marquée, d’abord, je dois le dire, par l’ineffaçable tristesse et par la solitude de la disparition de mon épouse Hanka en 2004, mais aussi par la chance que j’ai eue de pouvoir continuer à travailler et à avoir sous une forme pleine mon activité de directeur d’une émission mensuelle sur france culture et aussi, avec plus de distance mais malgré tout une certaine présence, à la direction des Annales. J’estime donc que cette dernière décennie a été pour moi un temps de grande tristesse, non pas corrigé, mais qui n’a heureusement pas empêché la poursuite d’une activité assez sérieuse dans mon domaine d’historien. D.r.: après que les historiens ont ouvert leurs fenêtres sur ce qu’on appelle les «sciences humaines», notamment l’anthropologie et la sociologie, et après l’époque effervescente de Faire de l’histoire et de La Nouvelle histoire4, que s’est-il passé? Il y a eu bien sûr un retour à l’histoire politique (ce qui ne veut pas dire histoire événementielle : rappelons votre article «Is Politics still the Backbone of History»?5), et le retour, ou plutôt le renouvellement, de la biographie, et on pense évidemment à votre Saint Louis. voyez-vous des développements significatifs de l’historiographie dans les années récentes? J.l.g.: sans aucun doute l’histoire évolue, change, et l’historiographie est soumise à ce que je n’appellerais pas une loi mais une réalité. Il y a eu, dans le demi-siècle précédent, une vogue de la notion de mentalité dont j’avais souligné l’ambigüité. Il me semble que depuis quelques temps la notion émergente est plutôt celle d’une histoire des sentiments, d’une histoire des passions, et je tiens à dire qu’à mes yeux, elle présente elle-aussi une ambigüité qui me


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 27

IntervIste

27

trouve non pas hostile ou méfiant, mais prudent et critique, quels que soient les apports que cette nouvelle direction peut proposer. D.r.: Pensez-vous que votre travail a pu suggérer des parcours, ouvrir des perspectives communes à d’autres secteurs de la recherche, au-delà du moyen Âge6? J.l.g.: très franchement je n’en sais rien. Je pense que mes travaux, qui sont évidemment, comme vous venez de le souligner, essentiellement consacrés au moyen Âge, ont par delà le moyen Âge, si j’ose dire, une ambition plus large car le thème essentiel en est le temps. Par conséquent mes réflexions, mes recherches, peuvent peut-être suggérer des pistes – je ne dirai pas davantage – sur l’histoire et l’historiographie pour d’autres périodes antérieures ou postérieures au moyen Âge. et je viens d’ailleurs de tenter de situer le moyen Âge dans un travail plus vaste de l’historiographie: celui de la périodisation générale de l’histoire. Par conséquent, si j’ose dire, j’ai ouvert les chemins médiévaux soit vers le passé, soit vers le présent. D.r.: votre long moyen Âge semble ne pas avoir rencontré un succès suffisamment large, malgré ce que JeanPhilippe genet a soutenu, en médiéviste : «nous sommes de plus en plus nombreux à adhérer, avec plus ou moins de nuances, au long moyen Âge de Jacques le goff»7. a moins que l’abolition du concept de moyen Âge, très peu pratiquée d’ailleurs, n’aille en définitive dans la même direction. Il y a eu, dans la seconde partie du XXe siècle, des historiens de formations et de pensées différentes, prêts à nier qu’il y ait jamais eu un moyen Âge : ainsi lopez, Barraclough, guenée, cardini…8. un médiéviste italien que vous connaissez bien et que vous estimez, je crois, massimo montanari, a d’ailleurs abandonné le concept et jusqu’au mot même de moyen Âge : dans ses ouvrages, il n’en est plus question, car il ne s’agit pas d’une réalité historique mais d’un concept, d’abord négatif, puis positif,


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 28

28

IntervIste

puis les deux ensemble, mais toujours rien qu’un concept9. c’est peut être un choix qui irait dans le sens de votre long moyen Âge : qu’en pensez-vous? J.l.g.: c’est évidemment un problème complexe. Je crois qu’il y a une période originale qui se situe entre les périodes relativement lointaines que nous appelons antiquité – mais qu’il faudrait, je crois, creuser aussi – et la période dite des temps modernes. ce que je mets en cause dans la périodisation actuelle la plus communément acceptée, et non seulement en occident et en europe, particulièrement, mais, me semble-t-il, dans tout l’univers scolaire et intellectuel du monde, c’est cette notion de moyen Âge. Personnellement la notion ne me gêne pas : l’essentiel c’est de respecter sa réalité et, me semble-t-il, s’en débarrasser n’est pas de bonne méthode. Je regrette, je ne le cache pas, qu’un historien, pour lequel j’ai autant d’estime que massimo montanari, se soit débarrassé du moyen Âge. la période a laquelle correspond le moyen Âge est là. Pourquoi ne pas continuer à l’appeler moyen Âge? cette expression est, d’une part, installée par l’habitude, et d’autre part elle indique malgré tout qu’il y a un certain rôle de passage attaché à cette période. curieusement pour moi l’expression moyen Âge signifie le contraire de ce que l’on a voulu lui faire dire. on a voulu la considérer comme une période sinon sombre – ce que les anglais ont appelé les dark ages –, mais comme une période à laquelle on ne saurait donner d’autre caractère principal que celui d’être située entre deux périodes qui, elles, auraient des significations plus riches. or, je crois que moyen Âge a le sens de passage, a le sens d’une transition, et que, par conséquent, il exprime très bien ce qu’a été en fait pour moi le moyen Âge : une période de progrès qui n’ose pas dire son nom. le moyen Âge a curieusement occulté ses progrès sous la notion de «renaissance». quand il progressait, il pensait qu’il fallait surtout l’attribuer à la survie ou à la nouvelle vie du passé


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 29

IntervIste

29

qui était, lui, indubitablement riche en valeurs ; et donc c’est avec une sorte de peur du futur que le moyen Âge a, pour exprimer sa conscience de ce qu’il faut bien appeler un progrès, pris le parti de le dissimuler sous le terme de renaissance. c’est pourquoi moyen Âge me convient très bien et si le «long moyen Âge» n’a, c’est vrai, pas réussi à gagner sa place dans la périodisation habituelle, je continuerai à débattre pour sa reconnaissance. la renaissance, vous le savez, a deux moments de victoire et deux créateurs, si l’on peut dire. le premier c’est, au XIve siècle, Pétrarque, qui d’ailleurs invente non pas la notion de renaissance mais celle de moyen Âge, qui laisse la place à la notion de renaissance. Il me semble que l’on ne donne pas tout son sens au fait que, en réalité, la renaissance est née au XIXe siècle et que son créateur c’est michelet. face à la gloire méritée de michelet, grand écrivain, grand poète plus sans doute que grand historien, qui a fait facilement triompher la renaissance sur un long moyen Âge peu poétique, peu enthousiasmant – mais je m’y tiens – c’est, à mon âge, je dirais presque un ultime message : je demande que l’on retienne la notion du long moyen Âge. Je viens de publier un petit livre sur la périodisation de l’histoire, où j’indique comment les aspects importants qui définissent une nouvelle période historique ne sont réunis que vers le milieu du XvIIIe siècle en occident. Je souhaite que cette démonstration soit bien étudiée et qu’elle soit adoptée. les périodes ont bien entendu des sous-périodes, et puisque on a pris l’habitude d’utiliser le mot renaissance pour désigner des sous-périodes du moyen Âge – puisque l’on a parlé de renaissance carolingienne, de renaissance du XIIe siècle – pourquoi ne pas parler d’une «grande renaissance» à l’intérieur d’un long moyen Âge? Je ne nie pas qu’il y ait eu des mutations aux Xve-XvIe siècles ; je ne les crois pas assez profondes pour apporter un changement de période, mais elles apportent une sous-période dont je


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 30

30

IntervIste

ne nieraisl’éclat. Je pense que, profitant du fait que l’expression moyen Âge appelait à la découverte, plus ou moins tôt, de temps «modernes», michelet a pu imposer, avec son brio, cette notion de renaissance qui, me semble-t-il, fait partie des nombreuses déraisons brillantes et attractives qu’il a proposées dans son œuvre. D.r.: tout ceci me suggère des questions supplémentaires, auxquelles je n’avais pas pensé au début. Il se peut qu’il y ait, disons, une espèce de problème sémantique : moyen Âge peut être entendu comme quelque chose qui se situe entre deux : entre ce qui est advenu avant et ce qui a suivi après ; mais il n’y a pas d’époque qui ne soit moyenne entre le passé et le futur, sauf, pour les croyants, le premier jour de la création et celui du jugement dernier. Bien sûr, j’ai pensé, moi aussi, à Pétrarque et au fait qu’il a prononcé, il a écrit, un mot qui a marqué le jugement négatif porté sur ce que nous appelons le moyen Âge, pour mépriser des valeurs artistiques et littéraires coupables de s’être trop éloigné des splendeur de l’antiquité : tenebrae, les ténèbres. mais il y a là aussi le besoin de rehausser la culture «nouvelle», pour des fins qui étaient peut être moins nobles – ou plus politiques – à savoir, souligner la sortie des ténèbres, grâce aux et à la faveur des mécènes. ce qui a déclenché les conséquences dont vous parliez tout-à-l’heure. une périodisation est une sorte de classification, qui en soi n’est jamais un but, mais un moyen, et qui, en tant que tel peut, et doit être modifiée en l’occurrence. en ce qui concerne le moyen Âge, comment parler de «transition», d’une transition qui durerait des siècles ? J.l.g.: cette question est en fait une question complexe, car j’y vois au moins trois questions particulières qui s’y trouvent combinées. Premièrement, la notion de passage. Je me permets sur ce point d’être tout à fait opposé à l’opinion que vous avez émise, sur le fait que toute période serait un passage, une transition entre une période et une


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 31

IntervIste

31

autre. ce point de vue, qui est celui d’une arithmétisation banale du temps, n’a guère, me semble-t-il, de signification dans l’effort de compréhension de l’évolution du monde et de l’humanité dans le temps. moyen Âge signifie à la fois, je viens de le dire, à mes yeux, progrès, mais progrès qui ne veut pas s’avouer, et qui par conséquent revendique en quelque sorte son caractère comme étant celui d’un passage enrichissant, qui comporte des novations, mais des novations qui ne veulent pas s’imposer. Il faut attendre le milieu du XvIIIe siècle, cette période qui encore une fois est pour moi la fin de la période du long moyen Âge, pour le début d’une nouvelle période – que l’on peut appeler les temps modernes – où arrive la notion de progrès, qui n’avait pas réussi à émerger lors du moyen Âge. le deuxième problème, c’est ce à quoi est particulièrement liée cette forme de périodisation qui propose par exemple le moyen Âge comme on propose l’antiquité ou les temps modernes : à un événement essentiel de l’histoire intellectuelle et, je dirais presque de l’histoire des sociétés : la transformation de l’histoire, de simple récit en objet de savoir. J’insiste dans mon dernier petit livre sur l’extrême importance de la transformation de l’histoire en matière d’enseignement dans les universités et dans les écoles dont on peut penser – cela a été avancé en particulier par le philosophe français marcel gauchet – qu’elle est pratiquement sinon achevée, au moins imposée vers 1820. et, par conséquent, le moyen Âge trouve beaucoup plus facilement et significativement sa place dans l’enseignement que dans d’autres secteurs de l’histoire. enfin, si la périodisation en siècles, qui ne date comme on le sait que du XvIe siècle, fonctionne très bien depuis à peu près le XvIIe siècle, il s’agit d’un autre type de périodisation, qui ne remplace pas la périodisation par périodes telles que le moyen Âge mais qui vient s’y ajouter pour fournir un outil supplémentaire de maîtrise de l’histoire. Par consé-


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 32

32

IntervIste

quent, le nombre de siècles que peut avoir une période n’est pas fixé à l’avance. comme j’ai essayé de le démontrer dans mon dernier petit livre, je pense que la période doit se définir par un changement profond dans le domaine économique, dans le domaine intellectuel et dans le domaine social et politique ; puisque je reconnaissais la fin de la période médiévale avec la fin des famines dans l’économie rurale, la naissance de l’économie industrielle et l’émergence de la libre pensée face à la religion dans la grande encyclopédie et le bouleversement social et politique avec la révolution française, alors le moyen Âge pouvait bien être un long moyen Âge pour des raisons intrinsèques. D.r.: quand vous parlez les questions foisonnent et il est difficile de s’en tenir au plan qu’on avait imaginé! J’aimerais revenir un moment au thème de la renaissance, celle au grand r, inventée au XIXème siècle par michelet. quelle est donc la place de Burckhardt et de son livre Die Kultur der Renaissance in Italien? J.l.g.: la place donnée à Burckhardt et à son grand livre, dont je souligne l’intérêt, la richesse, la qualité, a été me, semble-t-il, une erreur d’une historiographie mal vulgarisée. la renaissance ne s’est pas imposée avec Burckhardt, elle s’est imposée avec michelet, et la renaissance de Burckhardt n’est d’ailleurs pas une renaissance qui s’oppose au moyen Âge comme celle de michelet, mais une renaissance diverse, riche, tout à-fait intéressante et qui enrichit la réflexion historique sans apporter rien de décisif sur les frontières entre moyen Âge et renaissance. une dernière remarque : pour Burckhardt, la renaissance n’est pas avec un grand r, elle est avec un petit r, c’est la renaissance des arts en Italie, mais pas une grande période (la renaissance) qui arrive. D.r.: encore une question, toujours liée au sens de l’histoire. l’histoire est changement. l’historien peut – ou même, le cas échéant, il doit – modifier ses points de vue et ses conclusions : est-ce le cas de votre pensée à propos de


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:34 Pagina 33

IntervIste

33

michelet, dont vous avez parlé et écrit à plusieurs reprises de façon positive, sinon admirative? J.l.g.: Je n’ai pas honte de dire que ma pensée sur michelet a évolué et qu’en particulier cette pensée a évolué depuis la publication relativement récente (1995) de ses cours au collège de france. J’y ai vu deux aspects qui ont abîmé l’admiration que j’avais pour michelet : sa défense, à mes yeux non pertinente, de la renaissance et son antisémitisme, terrible. et je suis maintenant persuadé qu’il a ainsi contribué à la diffusion de l’antisémitisme en france au XIXe siècle. Je continue à penser que michelet est un écrivain de tout premier ordre, passionné, original, brillant ; mais je dois dire que du point de vue des valeurs, je ne lui fais plus confiance, ni pour le métier d’historien, ni pour la considération des sociétés, constituées par ceux – nous tous – que lucien febvre a appelé des «sang-mêlés»10. D.r.: vos derniers trois livres – qui montrent, soit dit en passant, que vos 90 ans n’ont pas connu la paresse – portent sur le temps sacré, l’argent, la périodisation11 : est-ce qu’il s’agit d’un seul parcours ou de réflexions tout à fait indépendantes l’une de l’autre? J.l.g.: Je pense qu’un vrai travailleur intellectuel n’a pas une pensée et une recherche séparées. Par conséquent on retrouve dans ces livres un peu les mêmes thèmes, j’ai presque envie d’avouer : les mêmes obsessions, qui marquent mes travaux depuis longtemps. Il y a là dedans une réflexion sur le temps qui a été excitée, si je peux dire, justement par le moyen Âge, et par son caractère original, je le répète, de période de l’histoire : il n’y a qu’un moyen Âge. ensuite, dans l’espace déjà large auquel j’ai restreint mes investigations, qui est l’europe, l’occident, un événement très important auquel je m’étais intéressé dès le début de mes recherches, puisque j’ai publié un petit livre sur les marchands et les banquiers du moyen Âge12 : c’est l’apparition, la diffusion et le développement de l’argent, qui posait


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 34

34

IntervIste

des problèmes essentiels, tant sur le plan économique que sur le plan moral et religieux. Je m’étais déjà intéressé à ce problème, qui m’a suivi au cours de ma vie intellectuelle : La Bourse et la vie13. la périodisation (Faut-il découper l’histoire en tranches?) se situe elle aussi dans cette perspective, parce que d’un point de vue plus particulier, il est né en moi le problème des rapports entre moyen Âge et renaissance, et en même temps je me suis aperçu que j’écrivais un essai pour désigner ce qu’il y a d’important dans l’histoire. quels sont les domaines où se produisent les changements essentiels, ceux qui permettent de parler du passage d’une période a une autre? J’ai retrouvé d’ailleurs, bien que je n’aie pas cherché à traiter cet aspect essentiellement historiographique, l’importance qu’avait eu pour moi la pensée de Karl marx, parce que j’y voyais à la fois le rôle fondamental de l’économie – mais aussi les limites de ce rôle, qui obligent, me semble-t-il, tout historien digne de ce nom à dépasser le domaine de l’économie. D.r.: cela me fait penser au fait que le marxisme vulgaire, comme vous l’avez appelé il y a longtemps, appartient à ceux qui n’ont jamais lu le Capital de marx, ouvrage où il se déploie une sensibilité historique évidente, où il n’y a aucune schématisation rigide – par exemple de la succession des modes de production – où l’on ne rencontre aucune forme de théorie cristallisée. la pensée se dirige aussi vers ce grand historien marxiste qu’a été Witold Kula, et à ses études sur l’économie du système féodal, là où il introduisait dans l’analyse des revenus des seigneuries féodales polonaises un coefficient selon lui essentiel : le coefficient de la patience humaine14. J.l.g.: oui. J’ai d’ailleurs eu la chance de connaître deux grands marxistes très intelligents : Witold Kula, auquel j’ai été lié de profonde amitié, et Pierre vilar. D.r.: venons-en maintenant au deuxième volet de ce dialogue. «[…] un mouvement de progrès et d’espoir, avec ce qu’il faut d’imaginaire pour que vraiment un phénomène


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 35

IntervIste

35

historique soit réussi. s’il n’y a pas du cœur, de la passion, du rêve, ce n’est que la petite monnaie de l’histoire…». ainsi évoquiez-vous vos souvenirs de la formation du front Populaire en 1936, quand vous n’aviez que douze ans15. on trouve ici l’un des principes fondamentaux de votre vie d’historien : la passion civile, la participation à la vie de son temps, le refus d’une improbable tour d’ivoire où l’historien s’isolerait pour atteindre à une objectivité aussi mythique que mensongère, et opposée à l’exercice de compréhension et de transmission de la mémoire collective qui est, au fond, le propre du travail de l’historien. vous avez donc vécu, non pas en simple spectateur, des décennies d’événements et de changements aussi radicaux que rapides. vous vous êtes d’ailleurs parfois exprimé dans des articles ou interviews dans la presse, et pas seulement française, sur des problèmes spécifiques mais toujours ayant trait à des questions plus générales. Je pense que l’on pourrait reprendre ces réflexions à partir de l’europe, en un moment où les pires fantasmes reprennent corps (pensons aux organisations nazies un peu partout) et où il y a qui pense que la solution de la crise générale se trouve dans le refus de l’euro et la sortie de l’union européenne. qu’en pensez-vous? J.l.g.: Je pense que ce serait une catastrophe, parce que dans un monde dont on dit qu’il est en train de se globaliser – ce qu’il ne faut pas, à mon sens, exagérer, parce que s’il est vrai qu’il y a des communications de plus en plus nombreuses et étroites entre les diverses régions du monde et les diverses civilisations, la diversité demeure encore la réalité la plus importante –, il est certain qu’il se forme des sortes de blocs qui ont sur l’ensemble de l’europe et du monde un poids plus ou moins grand. c’est toujours vrai des etats-unis, c’est vrai de l’extrême orient avec spécialement la chine, l’afrique est en train d’essayer de se constituer en une sorte d’unité et les pays émergents comme le


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 36

36

IntervIste

Brésil ou l’Inde sont également en train d’acquérir une puissance internationale. Dans ces conditions, si les européens restent divisés en nations, ils seront de plus en plus dominés et les nations européennes perdront une grande partie de leur force et de leur influence. Pour moi l’europe unie est presque une bouée de sauvetage, d’autant plus qu’elle est fondée sur des éléments communs dans le domaine de l’économie, dans le domaine intellectuel, dans le domaine de l’enseignement, dans le domaine de la politique. Je pense donc qu’il faut au contraire accélérer et renforcer l’union européenne, et comme la situation actuelle exige sans doute le maintien des nations, il faut malgré tout que cette europe des nations ait des institutions politiques communes plus solides et plus efficientes. D.r.: vous avez parlé de l’économie : la crise, ne croyezvous pas qu’elle soit, je ne dis pas voulue, mais au moins profitable aux pouvoir financiers de toutes sortes? ou alors, peut-on penser aux soubresauts d’un type de capitalisme qui n’a plus, en tant que tel, d’avenir et qui devra changer ou périr? J.l.g.: nous sommes d’abord à l’évidence dans une phase particulière du capitalisme, qui est marquée par la domination de l’aspect financier et je pense que cette financiarisation, qui se traduit par la domination des banques, est à l’origine de la crise. nous n’en sommes pas encore sortis, non seulement en europe mais dans le monde. Je pense que il faut qu’il y ait une réévaluation du capitalisme et, en particulier, une mise sous surveillance des banques. D.r.: a la fin de votre essai d’ego-histoire, auquel j’ai déjà fait référence, vous avez écrit que «l’historien ne maîtrisera jamais le futur, même s’il doit s’y préparer et y préparer les autres». a la lumière de tout ce que vous venez de dire, en êtes-vous toujours convaincu? et comment le préparer, donc, ce futur? J.l.g.: Je suis maintenant plus que jamais persuadé que


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 37

IntervIste

37

personne ne peut connaître l’avenir, y compris les historiens qui, bien qu’on puisse les appeler des spécialistes du temps, ne peuvent pas le prédire. la futurologie a été, brièvement, une espèce de fausse science humaine, mais elle n’apporte rien à l’humanité. Je ne crois pas non plus qu’il y ait un sens de l’histoire ; mais il y a des pistes, car l’histoire est faite de créations, de nouveautés, mais qui s’appuient sur des héritages. Il faut donc que nous nous apprêtions à remettre aux hommes et aux femmes du futur des héritages, qui soient des héritages riches, qui soient des héritages honnêtes, qui soient des héritages aussi égalitaires que possible. et, en particulier je crois que l’une de ces activités destinées à préparer meilleur futur, c’est la lutte contre la pauvreté. Je vois avec satisfaction que les dernières statistiques qui ont été données par la presse internationale marquent un progrès dans cette lutte. D.r.: Il y a peut être aussi une réflexion à faire sur la recherche de bases morales et culturelles plus solides pour nos sociétés : par quels moyens et dans quelles directions convient-il de réorganiser ou d’améliorer l’organisation scolaire, la formation des jeunes citoyens? car je crois que vous continuez à penser qu’il s’agit là de quelque chose de fondamental. J.l.g.: Il n’y a aucun doute. l’école est quelque chose de fondamental et on voit bien d’ailleurs que dans les pays disons entre guillemets relativement arriérés, la création d’écoles, la mise en fonctionnement d’écoles est la base assurée d’un avenir meilleur, comme on le voit par exemple en afrique. Il faut donc que la scolarisation fasse des progrès dans le monde entier car c’est la principale base, avec une certaine croissance économique et les progrès de la démocratie, d’un avenir meilleur. Je le redis : les trois bases d’un meilleur avenir me semblent être le progrès de la démocratie, la diffusion de la scolarisation et la croissance économique.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 38

38

IntervIste

D.r.: la croissance économique pose toutefois, quelques problèmes de principes généraux. est-ce qu’on peut penser à une société fondée sur une croissance illimitée et que l’on puisse continuer à surproduire et à surconsommer? J.l.g.: D’abord, je ne pense pas que nos soyons dans une société où l’on surproduit et où l’on surconsomme, sauf peut-être dans certaines régions limitées. l’essentiel me parait être d’égaliser la croissance économique et que celle qui existe dans les pays les plus développés économiquement soit rejointe par celle des pays qui sont en retard. c’est en partie, d’ailleurs, sur cette croissance économique que reposent l’expression «émergent, pays émergents», et la réalité de la croissance de ces pays, mais pour cela l’essentiel est une diminution des inégalités. autant que dans le domaine politique ou scolaire, l’égalité dans le domaine de la croissance économique est une nécessité pour le progrès général de l’humanité. D.r.: on pourrait clore notre entretien là-dessus. Je me permets de souligner que, du haut de vos quatre-vingt dix ans, et après avoir traversé et activement vécu une longue époque très mouvementée et certainement pas facile, vous êtes malgré tout prêt à conclure sur une note d’espoir. J.l.g.: Je suis un optimiste, et par conséquent je pense que cela, dirais-je presque, fait partie de la nature, du destin de l’humanité que d’avoir de l’espoir. Je vois d’ailleurs qu’il y a quelques progrès. l’un d’eux me frappe particulièrement. Il s’agit des progrès de l’europe. certes, ils sont inférieurs à ce qu’on pourrait souhaiter, mais quand le prix nobel de la paix est venu récompenser la quasi-certitude de l’éradication des guerres internes en europe, je crois que la commission nobel a perçu un progrès réel et capital. Je pense donc que l’espoir est non seulement nécessaire, mais qu’il est fondé sur des réalités. toutefois, il ne faut pas nous cacher ce qu’il reste encore à faire et qui est considérable. Je le rappelle : les problèmes de pauvreté qu’il faut encore


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 39

IntervIste

39

réduire ; l’existence parfois presque endémique de la guerre. quand je regarde soit une situation proprement belliqueuse comme en syrie, soit une situation que j’appellerai d’affrontement froid, mais inquiétant et injuste, comme par exemple la division entre la corée du sud et la corée du nord, je pense qu’il y a encore beaucoup à faire. les hommes et les femmes d’aujourd’hui, et de demain, s’ils doivent cultiver, favoriser, améliorer le progrès, doivent être aussi non seulement très attentifs, mais prêts, à combattre les injustices, les troubles, les violences, qui sont encore trop nombreuses et trop graves dans une large partie du monde.

Note *

la conversazione che pubblichiamo qui fu iniziata nel mese di gennaio 2014, poi ripresa e terminata il 25 marzo seguente. Il primo aprile Jacques le goff ci lasciava. queste sono dunque le sue ultime riflessioni («c’est presqu’un testament spirituel!», fu il suo commento), presentate così come sono nate, mantenendo cioè l’evidente carattere di parlato, forse con qualche difetto di stile, ma con un’immediatezza che ci trasmette ancora una volta la sua voce. © Jacques le goff e Daniela romagnoli. 1 Une vie pour l’histoire. Entretiens avec Marc Heurgon, Paris 1996. 2 Essais d’égo-histoire, cur. P. nora, Paris 1987. 3 Avec Hanka, Paris 2008. 4 J. le goff, Faire de l’histoire, cur. P. nora, Paris 1974 ; La Nouvelle histoire, cur. le goff, Paris 1978. 5 Paru dans «Daedalus» (1971), pp. 1-19. 6 au colloque de cambridge en 1994 (cité dans l’Introduction à cet interview) de nombreux médiévistes de différents pays ont accompli un ample tour d’horizon. voir aussi J. rollo-Koster, Jacques Le Goff , in French Historians 1900-2000 : New Historical Writings in Twentieth Century France, cur. P. Daileader - P. Whalen, oxford 2010, pp. 371-393. 7 J.-P. genet, Être médiéviste au XXI siècle, in Être historien du Moyen Âge au XXIème siècle, Paris 2008, p. 9.


02Interviste_impaginato.qxd 04/05/15 15:35 Pagina 40

40

IntervIste

8

«vien da chiedersi se il termine medio evo abbia ancora senso» : r.s. lopez, 1951 ; «there never was a middle ages» : g. Barraclough, 1955 ; «tout médiéviste sait aujourd’hui que le moyen-age n’a jamais existé, et encore moins l’esprit médiéval» : B. guenée, 1980 ; «Il medioevo è sempre altrove» : f. cardini, 1988 ; Le Moyen Âge. Une imposture : J. Heers, 1992 ; «there is no such thing as the middle ages» : a. murray, 1996 ; tous cités dans : D. romagnoli, Il Medioevo: la lunga strada di un concetto storiografico, in Le vie del medievo. atti del convegno Internazionale, Parma (Parma, 28 settembre - 1 ottobre 1998), cur. a.c. quintavalle, milano 2000, pp. 434-439. 9 m. montanari, L’invenzione del Medioevo, in Storia Medievale, roma-Bari 2002, pp. 268-279. 10 l. febvre - f. crouzet, Nous sommes des sangs-mêlés, Paris 2012. 11 Le Moyen Age et l’argent, Paris 2010; A la recherche du temps sacré. Jacques de Voragine et la Légende dorée, Paris 2011; Faut-il découper l’histoire en tranches?, Paris 2014. 12 J. le goff, Marchands et banquiers du Moyen Âge, Paris 1956. 13 J. le goff, La bourse et la vie. Economie et religion au Moyen Age, Paris 1986. 14 W. Kula, Teoria ekonomiczna ustroju feudalnego. Próba modelu, Warszawa 1962. 15 J. le goff, Une vie pour l’histoire. Entretiens avec Marc Heurgon, Paris 2010 (ediz. or. 1996), p. 25.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 41

Lezioni HONORIS CAUSA


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 42


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 43

Tre Lezioni

Tra l’11 e il 25 ottobre 2000 Jacques Le Goff tenne tre lezioni, sui suoi temi più cari. Cominciò a roma, con un tema che è già di per sé tutto un programma: L’histoire aujourd’hui. obiettivo: tracciare il percorso della storia, a partire da erodoto e attraverso la cultura dell’occidente fino alla contemporaneità delle Annales. Un lungo, variegato e, a volte, accidentato itinerario, che conduce a riconoscere alla storia una sua originale validità scientifica. La quale vive funzioni e fasi diverse: si stacca dalla vicenda provvidenziale per seguire la nuova ideologia del progresso, attraversa le acque pericolose delle ideologie nazionaliste, si dota di volta in volta di nuovi strumenti, fino all’erudizione positivistica che la inaridisce se viene elevata da strumento a scopo. Si arriva così alla scienza degli uomini nella società e nel tempo, definizione che passa da Fustel de Coulanges al nume tutelare della storia del ’900, Marc Bloch. Da qui alla «nuova storia», disciplina in stretto contatto con ambiti conoscitivi più ampi (e relativamente nuovi anch’essi), il passo è breve. È naturale che Le Goff segua da vicino quanto accada nel secondo cinquantennio del XX secolo, anche negli aspetti di crisi che toccano proprio le Annales: i rapporti tra la Storia e le scienze umane (dall’antropologia alle scienze economiche, dalla sociologia all’etnologia e così via); l’ambiguità di una loro definizione; la nozione di storia culturale; l’accettazione dei tempi braudeliani della storia; l’insufficiente sviluppo del metodo comparativo invocato da Marc Bloch.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 44

44

aMeDeo FenieLLo

La lezione si conclude con una felice constatazione: che la scienza storica, lungi dall’essere vecchia e moribonda – e varrebbe la pena riprendere la profonda, acuta critica che Le Goff rivolse alla fine della storia di Fukuyama –, essa è, invece, ancora nell’infanzia. Da qui l’esortazione a mettersi sotto e continuare a proseguire il lavoro. Che in nessun luogo potrebbe riuscire meglio se non nella città che ha sperimentato nei secoli rinnovamenti, rifondazioni, rinascimenti. roma. a Parma, il 19 ottobre, il tema verte sull’immaginario, lo spazio nel quale credo Le Goff abbia impresso la sua maggiore impronta, con le sue opere e il suo magistero. La lezione scorre per tabulas e riprende il tema con cui aveva chiuso il suo intervento romano: la storia non è morta, anzi. e se si parla troppo facilmente di crisi è perché non si comprende a fondo ciò che sta accadendo, ossia non si avverte che una mutazione è in corso, una mutazione che guarda verso il nuovo e generatrice di novità e di speranza. Così la storia si trasforma, soprattutto col manifestare un interesse verso nuovi mondi e nuove fonti di conoscenza che amplificano lo sguardo dello storico. La storia dell’immaginario è uno di questi nuovi universi da percorrere. affrontare questo nuovo universo significa aumentare le ambizioni di un mestiere sempre in bilico tra le testimonianze del passato e le spinte del presente, di una storia sempre contemporanea. e per superare le ambiguità e le aporie, Le Goff cerca di sgombrare il campo, facendo, per così dire, pulizia: c’è dunque differenza tra immaginario e rappresentazione, tra immaginario e simbolico, tra immaginario e ideologico, tra immaginario e immaginazione, in quanto «l’immaginario non è l’immaginazione pura ma la realtà plasmata dall’immaginazione». espressione dello spirito umano, la storia dell’immaginario va affrontata su due piani: il primo, della cosiddetta realtà; e l’altro, dell’immaginario, che rappresenta un’altra realtà. Dove compito dello storico è di esplicare le relazioni tra que-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 45

Tre Lezioni

45

ste due realtà che, insieme, costituiscono la trama della storia. Ma per farlo, lo storico deve dotarsi di altri strumenti. non bastano gli strumenti ordinari dello storico puro, una definizione che, già, di per sé, atterrisce Le Goff. L’immaginario ha sue modalità specifiche, con contenuti e forme che cambiano a seconda dei tempi e delle società; e che si presenta agli occhi dello storico sotto forma di documenti diversi, che oggi toccano il mondo virtuale e audio visuale. Pertanto occorre allargare l’ambito di ricerca col superare assurde divisioni attraverso la collaborazione di storici tout-court, della letteratura e dell’arte, come anche di tutti quei settori delle scienze sociali che ormai da tempo hanno fatto appello alle immagini come strumento privilegiato di ricerca: la sociologia, l’antropologia, la psicanalisi dove «Freud ha intronizzato, ridefinendolo, il termine imago». L’ultima lezione, tenuta a Pavia il 25 ottobre, discute su un binomio che, come Le Goff stesso nota, è quello «sul quale riposano le riflessioni storiche e la pratica del mestiere di storico»: Histoire et memoire. Tuttavia, egli sceglie un’angolatura originale e discute questo connubio osservandolo dal suo terreno privilegiato, dal Medioevo, epoca in cui la storia non raggiunge mai il rango di scienza, mentre la memoria si afferma come uno dei grandi temi della Scolastica. L’itinerario che segue scorre lungo i grandi protagonisti della cultura occidentale medievale, a partire da aristotele, con la sua distinzione tra mnéme, la memoria, la pura facoltà di conservazione del passato; e l’anámnesis, la reminiscenza, la recordatio, da cui scaturirà la commemoratio, che secondo Le Goff oggi trionfa. il Cristianesimo è la religione della memoria par excellence che condiziona e spinge tutto il mondo medievale verso la recordatio, con due diverse via di sviluppo. La prima è quella dell’elaborazione della memoria, di cui la matrice sono i martirologi, le vite dei santi e poi le genealogie e la formazione della memoria feudale. La seconda, riguarda la formazione di una scienza


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 46

46

aMeDeo FenieLLo

della recordatio, incarnata dalle Artes memoriae, dalle mnemotecniche. il Medioevo è, per Le Goff, un’epoca di memoria e non di storia. e, per avvalorare questa affermazione, riprende l’osservazione di Benedetto Croce sulla lenta elaborazione della storia non come res gestae ma come historia rerum gestarum. in ogni caso, il Medioevo «ignora la storia come costruzione razionale del sapere» e la memoria finisce «per occultare la storia». Una incapacità che, secondo lui, coinvolge anche il genere più emblematico della letteratura medievale, la cronaca, che racconta, descrive, memorializza ma non spiega mai. e resta alle porte della storia. Qualcuno riuscì a sfondare queste porte? Per Le Goff no. nessuno. Bisognerà attendere un’altra epoca, altri spiriti ed altri tempi perché nasca una storia sociale dotata di razionalità. avverrà nel XViii secolo, con un grande anticipatore, Giovanbattista Vico. Da allora fu il trionfo della storia e l’ottocento il suo secolo. L’analisi di Le Goff non si ferma qui, va avanti e coinvolge temi modernissimi, legati alla memoria artificiale o alla memoria in espansione, secondo la bella definizione dell’antropologo Leroi-Ghouran. Tuttavia per Le Goff un punto è essenziale: la funzione identitaria e civile della storia. e scrive: «i popoli e gli individui che rifiutano la storia (del passato facciamo tabula rasa, si diceva nel ’68) divengono degli amnesici le cui turbe sono tanto invalidanti quanto le turbe psicologiche della memoria». integralismi, nazionalismi, fanatismi, ideologismi sono le grandi malattie che hanno infettato il XX secolo e che si riverberano oggi, ancora, in tutta la loro gravità. attenzione, dice Jacques Le Goff. e ci invita ancora una volta ad essere combattants pour l’histoire.

aMeDeo FenieLLo


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 47

JaCQUeS Le GoFF L’hiSToire aUJoUrD’hUi*

Pour vous parler de la science historique aujourd’hui, je partirai d’un texte de Marc Bloch dans son Apologie pour l’Histoire ou Métier d’Historien. L’histoire n’est pas seulement une science en marche. C’est aussi une science dans l’enfance : comme toutes celles qui pour objet ont l’esprit humain, ce tard-venu dans le champ de la connaissance rationnelle. ou, pour mieux dire, vieille sous la forme embryonnaire du récit, longtemps encombrée de fictions, plus longtemps encore attachée aux événements les plus immédiatement saisissables, elle reste, comme entreprise raisonnée d’analyse, toute jeune.

De quand peut-on dater son apparition comme entreprise raisonnée? Je me range à l’avis de l’historien allemand reinhart Koselleck qui dans son ouvrage publié en 1979 Vergangene Zukunft (Il futuro passato) soutient que l’histoire est une notion et une discipline nées dans la seconde moitié du XViiie siècle. elle est un produit des Lumières au même titre que les notions de politique, de religion et d’économie inconnus auparavant. La science historique a connu une longue préhistoire depuis l’apparition du terme dans la Grèce antique avec le sens de recherche, enquête puis de résultat d’une enquête, récit depuis la composition au Ve siècle avant l’ère chrétienne des Histoires par hérodote, le “père de l’histoire”.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 48

48

Lezioni

Bernard Guenée a pu écrire en 1980 une excellente Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval, mais il n’y a pas d’histoire raisonnée au Moyen Âge. Le XVie siècle humaniste a suscité une double poussée de réflexion historique. D’une part un recours de la morale, de l’éthique à l’histoire considérée comme magistra vitae – maîtresse de vie. Dans cette ligne se situe Montaigne toujours en quête de l’“humaine condition” : «les historiens sont ma droite balle […] l’homme en général de qui je cherche la connaissance, y paraît plus vif et plus entier qu’en nul autre lieu». D’autre part certains auteurs de la fin du XVie siècle réclament une histoire qui ne néglige aucune connaissance importante, d’où le concept d’histoire parfaite qui, dans un contexte et avec un contenu tout différents, évoque ce que sera l’ambition d’histoire totale ou globale de la revue “annales” et l’exigence d’expliquer. Les Lumières et le XiXe siècle ont institué une coupure épistémologique qui a constitué l’histoire comme science, mais cela s’est fait à la fois dans une perspective proprement scientifique, rationnelle et dans une perspective idéologique. Celle-ci a été celle du progrès relayé par l’évolutionnisme. L’histoire avait un sens, le progrès remplaçait la providence et conservait certains des inconvénients majeurs de la téléologie et pire encore, pour une majorité d’occidentaux du XiXe siècle et pour une majorité d’historiens, le progrès s’identifiait à la nation, dans la perspective d’une eschatologie nationaliste dangereuse et étouffante. Je crois pouvoir distinguer trois acquis principaux de la science historique au XiXe siècle. Le premier est l’élaboration de méthodes d’érudition – la constitution d’archives, d’institutions savantes telles que l’École nationale des Chartes en France et les Monumenta Germania Historica en allemagne à Munich, auxquels s’ajoutera l’istituto storico italiano per il Medio evo à rome brillamment dirigé aujourd’hui par Girolamo arnaldi, la


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 49

Lezioni

49

définition de documents comme sources de l’histoire, la mise sur pied de techniques dites sciences auxiliaires de l’histoire parmi lesquelles la chronologie dont on ne dira jamais assez qu’il n’y a pas d’histoire sans chronologie. il faut dire aussi avec force que cette érudition, ces méthodes critiques restent et resteront une base essentielle de la science historique et du travail de l’historien. Cette formation distingue aussi l’historien professionnel de l’historien amateur. Mais dès le XiXe siècle la pratique devenue traditionnelle de l’érudition a abouti à un dessèchement de la critique historique. Celle-ci s’est focalisée sur la recherche du faux et a eu tendance à s’y réduire alors que la critique du document doit répondre à un questionnement beaucoup plus large et plus riche. Le second acquis a été l’élaboration d’une définition qui a permis à l’histoire de prendre pleinement sa place dans l’ensemble des sciences humaines et sociales au XXe siècle. La définition est de Fustel de Coulanges (1830-1889) et elle a été confortée et complétée par Marc Bloch dans la première moitié du XXe siècle, «l’histoire est la science des hommes en société dans le temps». Les trois termes sont également importants et leur force vient de leur mise en rapport. L’objet de l’histoire ce sont les hommes et les femmes vivant et agissant de tout leur être (corps, sensibilité, mentalité compris) dans tous les domaines (vie quotidienne, vie matérielle, techniques, économie, société, croyance, idées, politiques etc.) selon leurs caractères individuels mais aussi et surtout collectifs d’où l’importance de l’étude des structures sociales et de leur fonctionnement. J’insiste enfin “dans le temps”. L’importance fondamentale pour l’historien de la dynamique des sociétés et sur l’histoire comme science du mouvement et du changement. il n’y a pas d’histoire immobile. L’histoire se trouve ainsi définie comme une science de la vie (on peut considérer Michelet comme le père de cette


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 50

50

Lezioni

conception), des hommes vivants et donc changeant. Je ne peux me retenir de citer une phrase célèbre de Marc Bloch Ce sont les hommes que l’histoire vent saisir. Qui n’y parvient pas ne sera jamais, au mieux qu’un manoeuvre de l’érudition. Le bon historien, lui, ressemble à l’ogre de la légende. Là où il flaire la chair humaine, il sait que là est son gibier.

a quelle autre définition s’oppose cette définition humaine, sociale de l’histoire? a celle-ci : «L’histoire est la science du passé». Le commentaire de Marc Bloch est sans appel : «l’idée même que le passé, en tant que tel, puisse être l’objet de science est absurde. Des phénomènes qui n’ont d’autre caractère commun que de ne pas avoir été contemporains, comment sans décantage préalable en ferait-on la matière d’une connaissance rationnelle?». insistons, l’histoire ce n’est pas la science des hommes du passé ou dans le passé, c’est la science des hommes dans le temps, dans le changement. Le troisième acquis de la science historique au XiXe siècle est plutôt un blocage qu’une acquisition vivante. il résulte d’une abdication de l’historien devant le document, d’un optimisme naïf dans le pouvoir du document, une fois que son authenticité a été établie, de sécréter la connaissance historique. Dans cette évolution de la science historique, l’influence de Marx fut très limitée, d’abord parce que son bagage historique était assez mince et surtout parce que l’histoire dans la postérité marxiste fut submergée et complètement pervertie par le marxisme-léninisme. Gramsci rappela vainement que dans l’expression matérialisme historique le mot important était historique qui était scientifique et non matérialisme qui était métaphysique. au début du XXe siècle les limites, les dérives de cette histoire érudite et historiciste qu’on allait appeler “positivi-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 51

Lezioni

51

ste”, “événementielle”, “historisante” suscitèrent de plus en plus de critiques et de désirs de renouvellement. Le mouvement fut européen avec un écho aux etats-Unis. Y participèrent notamment l’historien belge henri Pirenne (1862-1935), le philosophe-historien italien Benedetto Croce (1896-1952) auteur de la célèbre phrase : «Toute histoire est contemporaine» qui critiqua l’historicisme dans une perspective à la fois idéaliste et marxiste et fonda l’istituto per gli Studi Storici dont il confia la direction à Federico Chabod, le néerlandais Johan huizinga (1872-1945), le roumain nicolae iorga (1871-1932), la revue allemande “zeitschrift für Sozial und Wirtschaftsgeschichte”, l’institute for historical researches de Londres (1921) et l’institut pour l’étude comparative des religions d’oslo (1925). Son point culminant fut la création à Paris par Marc Bloch et Lucien Febvre de la revue “annales d’histoire economique et Sociale” (1929). avant d’esquisser un bilan de l’héritage des “annales” pour l’histoire aujourd’hui, je souligne que la révolte contre l’histoire positiviste du XiXe siècle, geste capital, a eu pour cible essentielle les conceptions de document, d’événement, de fait historique – c’est tout un. Contrairement à la croyance naïve des historiens positivistes on s’est rendu compte que, selon le mot de Paul Veyne, l’histoire doit être «une lutte contre l’optique imposée par les sources» et Michel Foucault dans «la mise en question du document» a défini l’histoire comme «ce qui transforme les documents en monuments», c’est-à-dire qu’au lieu de déchiffrer des traces laissées par les hommes l’histoire «déploie une masse d’éléments qu’il s’agit d’isoler, de grouper, de rendre pertinents, de mettre en relations, de constituer en ensembles» (L’archéologie du savoir, 1969, pp. 13-5). Plus fondamentalement l’événement, le fait historique ne sont pas donnés par les sources à l’historien. ils sont sa construction. L’histoire devient ainsi définitivement une science car, comme toutes les sciences, elle doit créer son objet.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 52

52

Lezioni

J’en viens enfin à la situation actuelle de la science historique. Que reste-t-il de l’héritage des “annales”? – D’abord le domaine défini par le titre. L’histoire économique et sociale. Mais l’histoire économique a été déconsidérée par l’effondrement du marxisme et par l’impuissance de l’économie à se glisser dans une problématique historique, c’est regrettable. – L’instauration d’un dialogue entre l’histoire et les sciences sociales mais il a été limité par l’indifférence des sciences sociales (sociologie, ethnologie/anthropologie) au temps et à l’évolution historique. – L’horizon d’une histoire totale ou globale qui n’a rien à voir avec l’affirmation que tout est dans tout et réciproquement et qui ne s’est pas confondue avec une histoire universelle à la place de laquelle Michel Foucault a suggéré d’élaborer une histoire générale, tandis que Pierre Toubert et moimême proposions le choix d’objets globalisants (le Purgatoire, Saint Louis). Les “annales” ont aussi mis à la base de la démarche l’histoire-problème posant au départ d’une recherche et d’une réflexion historique un problème et non un fait ou un thème. Les “annales” ont insisté sur l’étude des structures mais selon une perspective dynamique qui refuse un structuralisme indifférent au temps et qui n’oppose pas le collectif à l’individuel. enfin Marc Bloch en particulier a assigné à l’histoire l’étude des relations réciproques entre passé et présent – celui-ci étant plus volontiers défini comme l’actuel. eclairer le présent par le passé mais aussi le passé par le présent est devenu l’objectif de l’histoire. Dans son oeuvre et dans sa vie, Marc Bloch a montré l’étroite relation unissant l’historien, l’amateur d’histoire et le citoyen. entre 1950 et 1980 divers compléments importants ont été apportés à la science historique, dans la lignée des “annales”. Fernand Braudel a attiré l’attention sur la nécessité de situer la réflexion historique dans la longue durée. Je crois que l’agencement des temps de l’histoire est


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 53

Lezioni

53

plus complexe et met en cause une pluralité plus grande de temps historiques. il faut retourner à Marc Bloch : Le temps humain […] demeurera toujours rebelle à l’implacable uniformité comme au sectionnement rigide du temps de l’horloge. il lui faut des mesures accordées à la variabilité de son rythme et qui, pour limites, acceptent souvent, parce que la réalité le veut ainsi, de ne connaître que des zones marginales. C’est seulement aux prix de cette plasticité que l’histoire peut espérer adapter, selon le mot de Bergson, ses classifications aux «lignes mêmes du réel», ce qui est, proprement, la fin dernière de toute science.

et, j’ajoute, une histoire qui confrontera sans cesse le temps mesuré au temps vécu. en approfondissant le dialogue avec l’ethnologie, les historiens issus des “annales”, ont élaboré une anthropologie historique définie comme une démarche de totalisation ou plutôt de mise en relation des différents niveaux de la réalité préfigurée dans l’histoire des moeurs de Tocqueville. De même ces historiens ont bâti une histoire des mentalités, une histoire des représentations, une histoire de l’imaginaire. Désormais la réalité historique est l’ensemble de deux volets : la réalité des faits et la réalité de leurs échos dans la conscience, réalités factuelles et réalités imaginaires. et l’histoire des mentalités se double d’une histoire des valeurs, des idées-forces réfractées dans les consciences et les comportements, une histoire intellectuelle et des mentalités remplaçant la vieille histoire des idées, la Geistesgeschichte allemande. Mais il ne faut pas non plus exagérer la portée de la nouvelle histoire des mentalités, elle ne pèse pas sur l’évolution historique comme une causalité première. Beaucoup d’historiens désarçonnés par l’effrondrement de l’économie comme causalité primaire générale se sont rabattus sur les mentalités pour tenir ce rôle. C’est une autre erreur. De


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 54

54

Lezioni

même un nouveau domaine a pris en histoire une grande ampleur : l’histoire culturelle et on l’a aussi utilisée comme causalité historique générale. L’explication de l’histoire et de l’évolution historique par la culture est une erreur comparable à l’ancienne causalité économique même si la notion d’histoire culturelle fournit un pont avec l’anthropologie et a permis d’intégrer plus facilement des réalités humaines que l’idée de civilisation intégrait moins bien. Malgré ces enrichissements l’histoire définie par la mouvance des “annales” a donné à partir de 1980 environ de plus en plus de signes d’essoufflement, voire d’épuisement et elle a été l’objet d’une convergence de critiques lui reprochant d’écraser les hommes sous les structures, de tendre à une histoire immobile et de sacrifier la spécificité de l’histoire aux abstractions de sciences sociales en dehors du temps. Cette crise de l’histoire des “annales” s’inscrit dans une plus large “crise de l’histoire” en général. en discuter déborderait largement le peu de temps qui me reste. Je me contenterai de trois remarques. Si l’on entend par crise la déconstruction d’un système et la phase de troubles et de turbulences qui, selon la conception gramscienne, prépare la construction d’un nouveau système et qui est plus riche de promesses et d’invitation à l’effort intellectuel que de contemplation découragée de ruines, alors oui, l’histoire est en crise mais je préfère parler de mutation parce que c’est regarder l’avenir, tandis que crise est trop tourné vers un passé dont il faut reconnaître les héritages vivants mais auquel il faut savoir s’arracher pour bâtir mieux sans nostalgie, avec lucidité, critique constructive et volonté. Si je dis que cette crise est liée à celle des sciences sociales dans leur ensemble et celle-ci à celle de notre société et de notre savoir globalement ce n’est pas vouloir noyer le poisson mais c’est définir l’ampleur du problème et de la tâche, et souligner qu’il ne peut s’agir de retouches ou de


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 55

Lezioni

55

retours mais que c’est tout un bloc historique et scientifique qu’il s’agit de prendre à bras le corps. Le problème n’a pas échappé au comité de direction des “annales” qui dans le numéro de mars-avril 1988 a publié un texte intitulé Histoire et sciences sociales : un tournant critique? Le moment est venu, y écrivions-nous, «de rebattre les cartes» et nous y esquissions de nouvelles méthodes, citant deux d’entre elles : «les échelles d’analyse et l’écriture de l’histoire» et de «nouvelles alliances», en d’autres termes repenser et redéfinir une pratique de l’interdisciplinarité. et nous concluions : «le moment ne nous paraît pas venu d’une crise de l’histoire dont certains acceptent, trop commodément, l’hypothèse. nous avons en revanche la conviction de participer à une nouvelle donne, encore confuse, et qu’il s’agit de définir pour exercer demain le métier d’historien». J’ai le sentiment que nous ne sommes pas encore sortis de cette phase mais je crois que nous prenons mieux conscience du caractère général d’une mutation qui dépasse l’histoire. Comment s’en étonner quand on professe une conception de l’histoire qui la pratique dans toute l’épaisseur et la profondeur des réalités humaines? J’ai traité ailleurs des retours qui semblent occulter l’héritage des “annales”, retour de l’histoire politique, de l’événement, de l’histoirerécit, de la biographie et du sujet1. Pour terminer permettez-moi d’énumérer sans développer, je n’en ai plus le temps – les principales tâches de la recherche historique – nombreuses et majeures en ce temps de mutation des sciences sociales, de la société et du savoir. nouer de nouvelles relations avec les sciences sociales. Je souhaite quant à moi la constitution d’une anthropologie historique regroupant histoire, sociologie et anthropologie animée par la recherche et l’explication du changement des sociétés dans le temps sur tous les plans. Cette science devrait rester en étroit contact avec la géographie car une des lignes du renouvellement de l’histoire doit se poursui-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 56

56

Lezioni

vre par des recherches sur les temps et les espaces et leurs dynamiques. L’histoire doit retrouver un objet synthétique et briser la catastrophique fragmentation en histoire politique, sociale, économique, culturelle, histoire de l’art, histoire du droit etc. La sémantique historique clarifiant les termes et les concepts, au-delà d’une philologie inerte, dans une perspective de transformations et decréations, doit permettre une relecture décapante des documents. L’étude des sources doit continuer à s’élargir au-delà des textes – en transformant en documents d’histoire les images, les résultats de l’archéologie, les gestes, les paysages etc. il faudra un jour songer à cerner les trous, les lacunes de la documentation, à construire une histoire des silences. Cette tâche implique une régénération complète des sciences auxiliaires et une exploration de la production historique de la mémoire. La science historique doit s’approprier en se les adaptant les nouveaux instruments informatiques opérateurs de découvertes et de conquêtes. L’histoire doit prendre désormais en couple les séries de faits et les séries de représentations. L’histoire est faite autant d’imaginaire que de réalités positives. L’histoire comparée appelée de ses voeux par Marc Bloch doit se développer dans une perspective d’histoire générale. Pour cela elle doit se désoccidentaliser et créer des structures d’attente pour des histoires latentes ou autres. L’histoire doit plus que jamais prendre pour objets les hommes et la vie – intégralement mais selon des démarches rationnelles et critiques. L’histoire récente a lancé la mémoire à l’assaut de l’histoire. L’histoire devra continuer à se nourrir de la mémoire, pourvoyeuse de vie mais séparer la bonne mémoire, passionnée de vérité de la mauvaise, corrompue par les pas-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 57

Lezioni

57

sions agressives et perverties – nationalistes notamment. il faut que l’histoire cesse d’être ce que hegel appelait un «fardello» pour réaliser la fonction de «mezzo di liberazione del passato» que lui assigne G. arnaldi. elle devra essayer de mordre rationnellement sur l’avenir, tâche que lui impose l’échec de la futurologie et le déchaînement des élucubrations divinatoires anciennes et nouvelles pour prolonger prudemment sa maîtrise du temps au-delà du passé et du présent et pour essayer de répondre plus pleinement à la question : «a quoi ça sert l’histoire?». a répondre rationnellement à l’interrogation : «Qui sommes-nous? D’où venons-nous? où allons-nous?». Tâche immense, exaltante. Je reviens à mon commencement. La science historique est dans l’enfance. De grands espoirs lui sont permis. au travail! et comment mieux y travailler que dans cette ville qui a l’expérience des grands renouvellements, des grandes refondations de l’antiquité au christianisme et aux diverses renaissances?

Notes 1 J. Le Goff, L’Histoire, in Y. Michaud (éd.), Université de tous les savoirs. Qu’est-ce que la société?, vol. 3, odile Jacob, Paris 2000, pp. 65-77. * Già pubblicata in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2000), pp. 215-222.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 58


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 59

JaCQUeS Le GoFF L’iMaGinaire MeDieVaL*

Si j’ai choisi ce thème de discours en ce lieu c’est pour trois motifs. Le premier c’est parce que l’histoire qu’on dit aujourd’hui trop facilement en crise, en réalité subit une mutation conforme aux théories de Gramsci, qui a montré qu’on parle trop de crise en regardant vers un passé que l’on voit avec nostalgie disparaître alors qu’il s’agit, si on regarde vers l’avenir, de mutation génératrice de nouveauté et d’espoir. au cœur de cette mutation, d’où elle commence à sortir plus novatrice, plus exploratrice, l’histoire manifeste un élargissement à de nouvelles sources, à de nouveaux domaines. L’histoire de l’imaginaire est un de ces domaines nouveaux. en parler c’est parler des nouvelles ambitions du métier d’historien et de ses nouvelles responsabilités pour expliquer le monde et la société dans son évolution, dans le temps. et comme toujours la vision renouvelée du passé qui en résulte est éclairée par des phénomènes actuels. Dire de notre époque qu’avec la télévision, la bande dessinée entre autres, elle est une époque d’images, est devenu une banalité. Montrer que dans un autre contexte, avec d’autres objectifs et d’autres conséquences, il en a été de même dans le passé c’est aussi montrer que dans la longue durée l’image a une dimension esthétique et sociale essentielle. Le second motif de mon choix, c’est que, médiéviste, je constate que la culture médiévale, à travers les évolutions et les changements survenus au cours de cette longue période,


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 60

60

Lezioni

est non seulement une culture en images, mais une culture d’images. ainsi l’image est devenue à part entière un document historique spécifique, plus riche, plus fondamental, sans perdre sa valeur esthétique. L’image investit toute notre vision du passé médiéval, et d’abord l’histoire de l’art elle-même qu’elle transforme. Si l’imaginaire ne se réduit pas aux images, la métamorphose récente de l’image dans ses fonctions culturelles et sociales est un des phénomènes qui ont engendré l’histoire de l’imaginaire. Mon troisième et dernier motif pour vous parler de cette histoire nouvelle est que nous sommes à Parme. Même si la vie et l’éclat de Parme ne se sont pas arrêtés à la fin du Moyen Âge, même si Parme est aujourd’hui sur tous les plans – et notamment le plan universitaire – une cité vivante et créatrice, la Parme médiévale par ses monuments a nourri depuis des siècles l’imaginaire des Parmesans, des touristes, de ses nombreux admirateurs passionnés en europe et dans le monde. Les deux monuments qui en sont les principaux foyers, il Duomo e il Battistero, sont des lieux d’images, des théâtres d’images où se jouent le drame de l’homme face à Dieu, sur terre et dans le ciel et le destin de Parme, image de la Cité terrestre cherchant à se transformer en image de la Cité céleste. et dans cette motivation entre aussi mon désir de rendre hommage au Centre d’histoire de l’art de l’Université de Parma et à son directeur le Professeur arturo Carlo Quintavalle, magister imaginum. Pour définir l’imaginaire il faut le distinguer des concepts voisins. D’abord de la représentation, vocable très général qui englobe toute traduction mentale d’une réalité extérieure perçue. La représentation reste sur le plan intellectuel. La représentation d’une cathédrale, c’est l’idée de cathédrale, ses liens avec l’évêque, avec la cité, sa place dans l’histoire de l’art. L’imaginaire d’une cathédrale c’est l’ensemble des images offertes par la vision de la cathédrale et ses images et en particulier ses images poétiques telles qu’el-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 61

Lezioni

61

les se présentent à travers la littérature de l’art : la NotreDame de Paris de Victor hugo, les quarante tableaux de la cathédrale de rouen de Claude Monet, la Cathédrale engloutie des Préludes de Claude Debussy, entre autres. L’imaginaire déborde la représentation. La fantaisie, au sens fort du mot, l’entraîne au-delà de l’intellectuelle représentation. L’imaginaire ne se réduit pas non plus au symbolique. Le symbolique renvoie à un système de valeurs sous-jacent, historique et idéal. L’imaginaire exploite poétiquement le symbolique, le fait fleurir en images. Quand Victor hugo dit de notre-Dame, vue par Quasimodo : «La cathédrale ne lui était pas seulement la société, mais encore l’univers, mais encore toute la nature », il dégage la symbolique de la cathédrale, miroir des trois mondes pour Quasimodo, mais il esquisse une cathédrale imaginaire quand il ajoute : «toute l’église prenait quelque chose de fantastique, de surnaturel, d’horrible, des yeux et des bouches s’ouvraient ça et là…» L’imaginaire n’est pas l’imagination pure c’est la réalité travaillée par l’imagination. Cette imbrication de la réalité et de l’imagination fonde l’intérêt de l’imaginaire mais constitue aussi une des principales difficultés à le saisir. il faut enfin distinguer l’imaginaire de l’idéologique. Certes les grandes constructions de l’imaginaire sont aussi presque toujours de grandes mises en scène idéologiques : l’image des deux glaives, celle de l’âge d’or, des lieux de l’au-delà, proviennent souvent de la volonté des puissants, des clercs notamment, de mieux manipuler et imposer des thèses idéologiques et politiques. La plus haute création littéraire de l’imaginaire médiéval, la Divina Commedia, n’estelle pas le moyen pour Dante de servir des combats politiques? Cette imbrication de l’imaginaire et de l’idéologique ne fait que rendre plus féconde, plus nécessaire une réflexion sur la nature et les fonctions de l’imaginaire. Si l’imaginaire est ainsi lié à quelques-unes au moins des facultés par lesquelles les homme cherchent à comprendre


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 62

62

Lezioni

le monde dans lequel ils vivent et à le maîtriser pour réaliser leurs aspirations, il en découle que l’imaginaire a une histoire. Le contenu et les formes (à supposer que cette distinction soit pertinente) de l’imaginaire changent avec le temps et suivent la vie des sociétés à travers les vicissitudes, les crises, les renouvellements, les créations qui marquent tous les secteurs de l’historie, vécue par les hommes et les femmes en société et par les historiens qui s’efforcent de les expliquer. L’imaginaire de l’église au Moyen Âge n’est pas le même que celui du temple dans l’antiquité, et dans la longue durée au Moyen Âge même l’imaginaire qui semble le plus stable, le plus soustrait aux avatars du temps historique, évolue. L’imaginaire des sacrements : baptême, eucharistie notamment, évolue, et même celui de Dieu : le Christ en particulier se transforme d’une image de majesté en une image de souffrant, de crucifié ; l’imaginaire marial suit les évolutions du culte marial. J’ai essayé de montrer comment l’image de l’au-delà s’était profondément transformée aux Xiie-Xiiie siècles et comment était né l’imaginaire d’un nouveau lieu de l’au-delà, le Purgatoire. objet d’histoire donc, l’imaginaire s’offre comme toujours à l’historien à travers des documents. a peu près n’importe quel document historique peut être traité sous l’aspect de l’imaginaire. Une charte, un contrat peuvent fournir des images de la culture, de l’administration, du pouvoir. Le Moyen Âge connaît un double imaginaire de la parole et de l’écrit qui ne sont pas les mêmes. Pour l’historien de l’imaginaire si les écrits restent, les paroles, tout en volant, sécrètent de l’imaginaire et peuvent donc être saisies par lui. Mais l’histoire de l’imaginaire s’appuie sur des documents privilégiés : les œuvres littéraires et les œuvres artistiques. Mais s’il leur impose un traitement nouveau comme sources historiques, l’historien doit tenir compte de leurs spécificités et en particulier des visées esthétiques qu’elles incluent et qui les animent. ainsi un des bénéfices qu’apporte à l’histoire


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 63

Lezioni

63

générale l’histoire de l’imaginaire est d’obliger les historiens dits «purs» (quelle horreur) à dialoguer, à travailler avec les historiens de la littérature et de l’art – en transgressant l’absurde et catastrophique division du savoir et de l’enseignement entre des domaines artificiels encore reflétés malheureusement aujourd’hui par la division des facultés universitaires. Si des dialogues communs, favorisés par l’histoire de l’imaginaire, ne se développaient pas, que serait par exemple le Moyen Âge sans les œuvres littéraires, les œuvres d’art, le droit? il faut multiplier les institutions dont le domaine de recherche et de réflexion soit le Moyen Âge entier et non morcelé, défiguré, exsangue. L’importance des œuvres d’art comme document de l’histoire de l’imaginaire nous ramène aux images et laissant provisoirement de côté les images mentales, je me permets, sans oublier que je ne suis pas historien de l’art – mais je regarde les œuvres et je lis les historiens de l’art – d’évoquer la révolution de la notion d’image qui a été un aiguillon à l’émergence d’une histoire de l’imaginaire. L’étude des images s’est constituée en champ scientifique spécifique à la fin du XiXe siècle, sous le titre d’iconographie qui, en français, est apparu dans son sens moderne en 1873. Le grand nom, pour le Moyen Âge, reste celui d’emile Mâle. L’italien avait apporté plus tôt, venu du grec, iconologia qui concurrença iconographia au XXe siècle avec de grands noms comme aby Warburg, erwin Panofsky et Meyer Shapiro. L’étude des images suivait le mouvement de généralisation et de théorisation qu’avait connu l’ethnographie devenue ethnologie. C’était une promotion : il ne s’agissait plus seulement d’un domaine d’œuvres, mais d’un savoir. nous sommes en train de vivre une troisième métamorphose par une nouvelle extension et promotion de la notion d’image. Je ne ferai qu’un nom, celui de hans Belting qui, étudiant les relations entre image et culte, propose «une histoire de l’art avant l’époque de l’art».


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 64

64

Lezioni

Cette révolution est particulièrement éclairante pour le Moyen Âge car elle rejoint (elle en provient d’ailleurs en grande partie) la notion médiévale : imago. Cette notion, qui renvoie aussi bien aux objets figurés qu’aux «images» du langage et aux « images mentales » de la méditation et de la mémoire est, comme l’a dit Jean-Claude Schmitt, «au centre de la conception médiévale de l’homme et du monde». L’image/imago obtient ainsi un statut comparable à celui du Verbe et de l’ecriture (Sainte). elle concerne «l’anthropologie chrétienne tout entière» puisqu’elle définit l’homme tout au début de la Bible, dans la Genèse. adam a été créé ad imaginem Dei. regardez l’homme au travail dans les statues des mois du Battistero di Parma. Dans la double lecture parfaitement définie par arturo Carlo Quintavalle et retrouvée par Chiara Frugoni dans les images de la genèse du Duomo di Modena si, à un premier niveau l’homme y est ce paysan laborator figuré dans les travaux réalistes de l’activité rurale, il s’impose à un niveau supérieur grâce au génie de l’artiste comme imago Dei, collaborateur de la création continuée de l’homme et de l’univers par le travail. avant d’être reconnu comme Dieu lui-même, Jésus est présenté par le nouveau Testament comme imago Dei, et quand l’idéologie royale s’imposera aux Xiie et Xiiie siècles le roi sera exalté comme imago Dei. ou encore comme le dit alphonse X el Sabio de Castille «l’image du roi c’est le roi». on le voit sur les sceaux, les armoiries, les monnaies. Ce statut de l’imago distingue fondamentalement le christianisme du judaïsme et de l’islam qui sont aniconiques, qui ont refusé les images de Dieu et de l’homme, et même du byzantinisme qui a été traversé par des flambées d’iconoclasme et qui en sacralisant les icônes (alors que l’image chrétienne tire de Dieu sa valeur et son efficacité) a paralysé l’évolution de l’image dans le temps, dans l’histoire. L’histoire de l’imaginaire permet aussi de comprendre une grande évolution de la piété médiévale : l’intériorisa-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 65

Lezioni

65

tion. Les images extérieures sont aussi devenues des images intérieures. L’histoire de l’imaginaire permet aussi de voir que, à travers l’image, s’est opéré le lien intime entre le visible et l’invisible qui caractérise la vision médiévale de l’univers. Jean-Claude Schmitt a justement dit que l’image «présentifie» l’invisible. L’histoire de l’imaginaire met en valeur la primauté parmi les sens de l’homme médiéval de la vue, de l’œil. L’histoire de l’imaginaire éclaire trois phénomènes privilégiés dans les obsessions des hommes et des femmes du Moyen Âge. D’abord l’obsession de l’espace et du temps. Le lieu par excellence de la société humaine – quel que soit l’importance fondamentale de la terre et de l’économie rurale – c’est la ville. et la ville est elle-même une imago et un théâtre d’images où des monuments tiennent une place essentielle : la muraille, la tour, l’église. Parma est une imago fascinante où s’imposent comme lieux d’images le Duomo et le Battistero. et l’imaginaire de la ville se réfère à trois images urbaines modèles : Jérusalem, rome, Constantinople. autre lieu privilégié d’images : l’au-delà. Le Paradis, l’enfer, le Purgatoire, les Limbes sont des images imposant le désir du salut, la peur de la damnation, l’espoir en un surplus de purification post-mortem. et encore ces phénomènes fondamentaux pour la compréhension de l’anthropologie médiévale sont fondés sur des images : le rêve, l’apparition, et à travers un mot significatif, la vision. et il faut souligner que l’imaginaire a souvent fait agir (il en est de même encore aujourd’hui) les hommes et les femmes du Moyen Âge. on a montré que le plus puissant moteur des croisades a été l’image de Jérusalem. enfin l’évolution de l’imaginaire médiéval se manifeste par le lent processus qui, des images liées au culte et au


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:37 Pagina 66

66

Lezioni

sacré, fait se détacher deux catégories nouvelles d’images : les images de dévotion et les images profanes. J’ai déjà trop abusé de votre patience pour m’étendre sur l’enrichissement de la science historique par le développement de l’histoire de l’imaginaire. Je me contenterai d’évoquer deux de ces enrichissements. L’histoire de l’imaginaire permet d’améliorer le dialogue fécond de l’histoire avec les sciences sociales qui ont depuis longtemps fait appel aux images, la sociologie, l’anthropologie et la psychanalyse, dans laquelle Freud a intronisé, en la redéfinissant, l’imago. L’histoire de l’imaginaire a aussi obligé l’historien à étudier l’histoire dans le passé et le présent et bientôt, je l’espère, dans l’avenir, comme phénomène se développant sur deux plans : celui des «réalités» et celui de l’imaginaire, qui est une autre réalité. La tâche de l’historien désormais est d’expliquer les rapports entre ces deux réalités dont l’ensemble constitue la trame de l’histoire. Cher collègues, mesdames, messieurs, comme je voudrais, en conclusion, vous redire ma profonde reconnaissance pour l’honneur que vous me faites, je vous dirai que je conserverai comme une image profondément touchante le rituel que constitue cette cérémonie. née du culte, l’image médiévale s’est particulièrement exprimée dans la liturgie. J’en sens mieux la signification et la force à travers cette liturgie universitaire par laquelle vous m’avez accueilli parmi vous selon un rituel où je ressens, grâce à votre générosité et votre amitié, le double charme de la réalité et de l’imaginaire. * Lezione tenuta il 19 ottobre 2000, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in lettere presso l’Università degli Studi di Parma.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 67

JaCQUeS Le GoFF hiSToire eT MeMoire*

J’ai choisi de vous présenter quelques réflexions sur le thème des rapports entre histoire et mémoire pour plusieurs raisons. La première est que vous avez bien voulu distinguer un historien et le binôme sur lequel reposent la réflexion historienne et la pratique du métier d’historien est bien celui de histoire/mémoire. De plus, j’y reviendrai, ces rapports connaissent au Moyen Âge un moment d’une particulière importance. L’histoire ne parvient pas alors à se constituer comme science ni à forcer les portes de l’enseignement universitaire, tandis que la mémoire s’affirme comme un des grands objets de la scolastique. Le médiéviste que je suis, dans cette université qui a donné et donne encore à l’étude du Moyen Âge tant de remarquables esprits, ne peut qu’être tenté de réfléchir à nouveau devant vous et avec vous d’un problème qui l’a retenu depuis longtemps, dans des études réunies en livre et publiées d’abord en italien par einaudi il y a vingt-trois ans. J’ai aussi, quoique non philosophe et assez méfiant à l’égard des philosophies de l’histoire, voulu évoquer un problème qui, depuis l’antiquité, depuis aristote (et, du côté historique, depuis hérodote déjà) concerne autant le philosophe que l’historien. C’est la Faculté de philosophie qui a bien voulu m’honorer à Pavie. Sans m’aventurer dans un domaine où mon incompétence serait criante et en demeurant sur le


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 68

68

Lezioni

territoire de l’historien, je veux aussi offrir brièvement ces longues réflexions d’un historien aux philosophes de Pavie. Le couple storia/memoria revient toujours aussi parce qu’il oblige l’historien à travailler, à réfléchir dans la longue durée d’un temps qui n’est ni immobile ni éternel, mais qui laisse mieux voir et comprendre les continuités et les ruptures, les régularités et les hasards qui forment la trame de l’histoire. Mais il ya mieux. notre époque, et plus généralement le second XXe siècle, a connu un formidable assaut de la mémoire sur nos sociétés et notre savoir. L’histoire face à cette offensive de la mémoire est sur la défensive. Les rapports storia/memoria seront un des grands enjeux de notre entrée dans le XXie siècle. or, sans même rappeler la phrase célèbre de Benedetto Croce, «toute histoire est contemporaine», l’historiographie, et en particulier Marc Bloch, m’ont appris que le présent et le passé entretiennent des rapports essentiels dans les deux sens et la considération du présent éclaire le passé autant que l’inverse. C’est sans doute Sain augustin qui légitime le mieux cette pression du présent sur la mémoire et sur l’histoire, en affirmant que nous vivons seulement dans le présent mais que ce présent a trois dimensions : «présent du passé, présent du présent, présent du futur» (Confessiones Xi, 20, 26). Le présent a apporté deux prolongements révolutionnaires à deux aspects essentiels de la réflexion sur la mémoire depuis l’antiquité et le Moyen Âge. Le premier est la distinction entre mémoire naturelle, memoria naturalis et mémoire artificielle, memoria artificiosa. Boncompagno da Signa en 1235 dans sa Rhetorica novissima rappelle avec force cette distinction. aristote dans son traité De la mémoire et de la réminiscence (De memoria et reminiscentia) avait proposé une autre distinction, que reprendront les grands scolastiques, albert le Grand et Thomas d’aquin, qui ont commenté ce traité. Cette distinc-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 69

Lezioni

69

tion porte sur la différence entre la mnéme, la mémoire, pure faculté de conserver le passé, et l’anámnesis, la réminiscence, la recordatio, d’où sortira la commemoratio, triomphante aujourd’hui. et commentant cette distinction JeanPierre Vernant remarque judicieusement que dans ce rappel volontaire du passé, la mémoire est désacralisée, laïcisée. La mémoire en effet, et cela est encore vrai de nos jours et empoisonne l’action de la mémoire dans nos sociétés, est pénétrée de sacré. Les Grecs de l’époque archaïque ont fait de Mémoire une déesse : Mnémosyne, mère des neuf Muses, et la poésie s’est identifiée à la mémoire. aussi la mémoire a-t-elle joué un rôle de premier plan dans les doctrines orphiques et pythagoriciennes. Le mort, dans l’hadès, doit se garder de boire à la source du Léthé, l’oubli, mais doit au contraire s’abreuver à la fontaine de mémoire, source d’immortalité, nous dirions aujourd’hui : d’identité. Mais c’est d’abord dans le domaine de la mémoire artificielle qu’une révolution s’accomplit de nos jours. Dénoncée par le vocabulaire, où les métaphores ne sont jamais innocentes, la mémoire artificielle s’incarne dans les outils informatiques, dans les ordinateurs, qui, comme la langue d’esope, peuvent être la meilleure ou la pire des choses. Comme instrument d’archivage et de constitution d’innombrables réseaux de sources, l’ordinateur dilate la mémoire à l’infini et révolutionne le métier d’historien dépendant des sources. C’est le dernier épisode de ce que le préhistorien et anthropologue Leroi-Gourhan appelle «la mémoire en expansion». La seconde révolution contemporaine affecte la mémoire naturelle et individuelle alors que la mémoire artificielle est surtout mémoire collective. Dans l’antiquité et au Moyen Âge la mémoire était une de facultés de l’âme. Les progrès de la psychologie et de la biologie depuis le XViiie siècle conduisent à définir d’une part la mémoire comme un ensemble de fonctions psychiques, et la biologie moléculaire et la génétique, en plus de la tête et du cerveau, ont bour-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 70

70

Lezioni

ré de mémoire le corps tout entier jusqu’à la découverte de l’aDn. est-ce plus qu’une métaphore et un dialogue entre les sciences de 1’homme et de la société et les sciences de la vie? Peut-il se développer autour de la mémoire? Changerat-il les données des rapports entre histoire et mémoire? Je suis loin de le penser. Dans l’antiquité et au Moyen Âge, sous l’impulsion du christianisme, religion de la mémoire, l’accent est mis sur l’anamnèse. Le savoir, la culture semblent se résumer en un énorme effort de recordatio. Cet effort suit deux voies parallèles de développement. La première est l’élaboration de memoriae dont la matrice a été le tombeau des martyrs et des saints, morts mémorables, et dont les productions les plus importantes ont été l’élaboration de généalogies, mémoire féodale, et de libri memoriales qui fondent la religion selon le sens étymologique de lien, que lui donnent les Pères de l’eglise, entre les membres des différents corps de la société, des différents ordres et confréries, entre les hommes et Dieu comme instrument de salut individuel et collectif selon un dispositif dans lequel prend place à partir de la fin du Xiie siècle le Purgatoire. La seconde voie, dans le domaine du savoir, est celle d’une science de la recordatio incarnée dans les Artes memoriae, dont Frances Yates a montré, dans un grand livre classique, qu’ils sont au coeur du savoir médiéval et s’effacent à partir du XViie siècle, avec le Moyen Âge lui-même dans son ensemble. Le Moyen Âge est une époque de mémoire, non d’histoire. D’excellents historiens qui ont parfois anticipé sur la constitution de la science historique, ont montré la longue et lente élaboration de l’histoire non comme res gestae mais comme historia rerum gestarum (selon l’excellente distinction de Croce) au cours du Moyen Âge et de la renaissance. Mais le Moyen Âge n’a pas connu l’histoire comme construction de savoir raisonné.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 71

Lezioni

71

ecoutons Thomas d’aquin. Dans son commentaire sur le traité d’aristote, il a dégagé quatre règles mnémoniques. La seconde est ainsi formulée : «oportet ut homo ea quae memoriter vult tenere sua consideratione ordinate disponat, ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur» ; il faut donc ranger en un ordre calculé les choses desquelles on veut se rappeler, en sorte que d’un point rappelé soit facile de passer au point suivant. La mémoire ainsi définie est raison. Mais Thomas d’aquin n’a pas su, n’a pas pu accomplir le pas décisif vers l’histoire. La mémoire occulte l’histoire, occupe sa place, en entrave l’émergence. Dans le domaine des oeuvres, la toute-puissante chronique – genre emblématique de la littérature médiévale – raconte, décrit, mémorialise, n’explique pas. elle reste à la porte de l’histoire. Les hommes du Moyen Âge ne savent pas franchir cette porte même si certains s’y heurtent. Le mémorialiste laïc Joinville, au début du XiVème siècle, ne veut pas faire de ses mémoires sur Saint Louis une Vita hagiographique pure, et, si les plus anciens manuscrits appellent son récit Histoire de Saint Louis, le caractère historique de son oeuvre est si mal affirmé que ses éditeurs modernes – à tort selon moi – ne l’intitulent pas Histoire mais Vie de Saint Louis. L’humanisme du XVie siècle cherche encore à progresser. il retrouve, d’une part, la conception antique de la mémoire comme sagesse, et fait de l’histoire une magistra vitae ; il invente, de l’autre, sous le vocable d’histoire parfaite une histoire qui cherche – déjà! – à être globale et explicative, mais il ne la fait pas échapper à l’emprise de la rhétorique et de la littérature. Je crois, comme l’a récemment soutenu l’historien allemand reinhard Koselleck dans son beau livre Vergangene Zukunft (Il futuro passato), que l’histoire raisonnée, science humaine et sociale, est née dans la seconde moitié du


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 72

72

Lezioni

XViiième siècle, dans le cadre des Lumières. et déjà la nouvelle histoire avait trouvé un philosophe pionnier en Giambattista Vico. Son fulgurant triomphe a fait du XiXème siècle «le siècle de l’histoire» et non de la mémoire qui semblait avoir sombré avec la révolution Française. Mais, tandis que s’organisaient les institutions et les méthodes qui élaboraient les bases et l’outillage d’une histoire rationnelle, sinon scientifique, l’histoire triomphante était rongée par des passions délétères. La nouvelle histoire s’abandonnait à une idéologie dangereuse, celle du progrès et ce progrès s’identifiait à une idole passionnelle, la nation. Le grand Michelet incarnait les conquêtes et les dérives de la nouvelle histoire. au milieu du XXème siècle l’histoire était ballottée entre les acquis ambigus de l’histoire positive, l’héritage romantique et nationaliste de l’histoire du XiXème siècle et les renouvellements contestés d’une nouvelle histoire incarnée par la revue «annales», fondée en 1929. La mémoire semblait à l’écart de ces débats. elle allait prendre une éclatante revanche. La crise du progrès bien détectée dès les années 1930 par Georges Friedmann, l’accélération de l’histoire comme res gestae et surtout les terribles épreuves de l’histoire en gestation dans le déchaînement de violence de la guerre de 1914-1918 et dans les errements du Traité de Versailles et des traités satellites poussèrent sur le devant de la scène la mémoire. Face à ce retour en force de la mémoire et à son déchaînement dans les esprits et les coeurs, dans la politique et dans la quotidienneté de medias conquérants, l’histoire fut ébranlée et mise sur la défensive. Face aux insoutenables images de la mémoire nourrie par les horreurs de la guerre, les crimes des fascismes, du nazisme, du stalinisme, l’apocalypse des goulags, et surtout l’abomination unique du génocide juif, de la shoah, l’histoire paraissait incapable de maîtriser cette mémoire.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 73

Lezioni

73

Sur un plan moins dramatique, la mémoire envahissait l’iconographie. Pierre nora (suivi en italie par Mario isnenghi) introduisait avec un très grand succès le concept de lieu de mémoire. au niveau local, régional, national, un raz de marée de commémorations engloutissait presque le présent et l’avenir sous les flots du passé. La lecture de deux grands livres m’a surtout poussé à évoquer devant vous ce problème, surgi dans la longue durée de l’histoire mais devenu brûlant aujourd’hui, des rapports entre histoire et mémoire. Le premier est celui de l’historien israëlien Yerushalmi, dont le livre Zakhor : Histoire juive et mémoire juive a posé dans la très longue durée ces rapports à la lumière d’une révision profonde des origines de l’historiographie, s’appuyant sur cette idée : «hérodote pouvait être le père de l’histoire : le sens dans l’histoire fut l’invention des Juifs». Le second livre, paru il y a quelques semaines, est l’oeuvre du philosophe Paul ricoeur : La mémoire, l’histoire, l’oubli. nous devons reconnaître que la mémoire et l’histoire font un long chemin ensemble et que la mémoire orale ou écrite, involontaire ou volontaire, est une des principales sources de l’histoire qui ne s’est dégagée que lentement et tardivement au cours du déroulement historique, car 1’historia rerum gestarum, comme le rappelait Marc Bloch, est encore dans l’enfance. D’autre part l’histoire ne s’est pas constituée en seul savoir scientifique. elle a toujours une fonction existentielle, identitaire et civique. Les peuples et les individus qui refusent l’histoire («du passé faisons table rase» a-t-on dit en 1968) deviennent des amnésiques dont les troubles sont aussi perturbants et handicapants que les troubles physiologiques de mémoire. De même si l’on sait que la mémoire est sujette à toutes sortes de manipulations que la passion nationaliste, la volonté de puissance, la construction d’identités embellies, idéalisées, accomplissent plus ou moins


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 74

74

Lezioni

consciemment, plus ou moins cyniquement, ce serait une illusion de croire que l’histoire, même élaborée selon les bonnes méthodes de la critique historique, est objective, impartiale, pure et vraie, ne pouvant être fausse que si elle n’avait su reconnaître que son information, sa documentation était fausse. il suffit de lire les études consacrées aux manuels scolaires d’histoire pour reconnaître que les manipulations de l’histoire sont au moins aussi nombreuses et perverses que celle de la mémoire. Plus encore, si nous éprouvons parfois le besoin de nous délivrer du poids, de la hantise de la mémoire, nous ne devons pas oublier que hegel a déjà parlé du «fardeau» de l’histoire, et nous voyons combien, guère mieux que la mémoire collective, l’historiographie, aujourd’hui, des peuples et des nations dominées pendant le siècle dont nous sortons par les totalitarismes et sur qui pèse le cauchemar de leur responsabilité dans les crimes et les abdications de leurs pères, porte la marque profonde d’une mauvaise conscience historique. alors faut-il recourir à une troisième attitude : l’oubli? Je ne le crois pas. La mémoire et l’histoire nourrie de mémoire sont bien un devoir et si, pour nous soulager du fardeau de la mémoire qui nous accable, Paul ricoeur nous propose un travail de mémoire qui nous permette de parvenir à ce qu’il appelle une mémoire heureuse, ni la mémoire ni l’histoire ne sont faites pour le bonheur. elles sont faites pour la vérité et nous devons, dans la mesure où elles sont plus ou moins construites par nous, les orienter vers la vérité. La vérité de la mémoire et celle de l’histoire ne coïncident pas. La mémoire est un vécu continué aussi loin que possible. on doit, qu’elle soit heureuse ou malheureuse, vivre avec, mais sans oubli. il ne doit pas y avoir d’amnistie ni dans la mémoire ni dans l’histoire. La vérité de l’histoire est une vérité de savoir et le métier d’historien consiste à servir cette vérité, tout en sachant qu’il participe des fai-


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 75

Lezioni

75

blesses de la condition humaine, qu’affaiblit trop souvent le manque de courage et de volonté que requiert son métier. entre la vérité de la mémoire et la vérité de l’histoire, il y a et il y aura sans doute toujours des liens. il appartient à l’histoire non seulement de résister à ses propres faiblesses et à ses propres dérives, mais de s’efforcer d’introduire dans la mémoire plus de cohérence, et d’en éliminer la charge agressive de passion. Une des fonctions de l’histoire est de réguler et d’épurer autant que possible la mémoire sans lui ôter sa charge passionnelle positive et sa vérité propre. Dans notre présent troublé par les oppositions entre une mémoire souvent trop agressive et une histoire qui a perdu de son assurance, dans la grande mutation de la société et du savoir que nous vivons, il nous faut établir une cohabitation pacifique et féconde entre mémoire et histoire, faire en sorte que toutes deux se ressaisissent et atteignent une maîtrise chacun dans son domaine. Je viens de parler de mutation car je préfère, pour caractériser les troubles de notre temps, le concept de mutation à celui de crise, car, comme le pensait Gramsci, une référence à la notion de crise implique que l’on regarde vers le passé, en arrière, avec un sentiment plus ou moins grand de nostalgie pour ce qui ne disparaît pas mais qui change, tandis que mutation implique un regard vers l’avenir et doit susciter un engagement pour que cette transformation se fasse dans les meilleures conditions possibles et débouche sur un avenir meilleur. après le terrible XXe siècle, l’espoir est permis dans le XXie siècle et je crois qu’il en va de même pour ce qu’on appelle d’une façon qui me paraît peu satisfaisante la «crise de l’histoire». Pour que la mémoire et l’histoire atteignent dans le siècle nouveau la maîtrise et la vérité que je leur souhaite, il faut en effet faire appel à un troisième terme qui fera, sans oubli, de la mémoire et de l’histoire les instruments d’une libération d’un passé assumé, selon la belle définition de


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 76

76

Lezioni

Girolamo arnaldi, de l’histoire comme «libération du passé». Ce troisième terme ce n’est pas l’oubli c’est le pardon. Le médiéviste que je suis s’est rappelé, en cette année du giubileo, que le premier giubileo de 1300 avait été précédé par un ardent désir des chrétiens de perdonanza, ce qu’était le jubilé juif. nous avons assisté ces dernières années à un phénomène encourageant pour ceux qui croient que la mémoire et l’histoire, que le passé, ne sont pas définitivement morts, mais qu’ils continuent à vivre et peuvent être corrigés. Pour qu’intervienne le pardon libérateur non amnésique il faut qu’intervienne l’appel à la perdonanza. L’eglise catholique à propos des Croisades, de l’inquisition, de la réforme, de la persécution des juifs ; les américains à l’égard des indiens (les australiens auraient pu faire mieux avec les aborigènes), ont accompli un acte de regret qui, conforté, approfondi, continué par des changements profonds d’attitude, peut aider la mémoire et l’histoire à mieux entrer dans le XXie siècle. il me semble évident que l’éclaircissement lucide et respectueux des rapports entre l’histoire et la mémoire est une exigence pour redéfinir un nouvel humanisme à proposer aux hommes et aux femmes du XXie siècle, et dans cette tâche prioritaire la responsabilité des philosophes et des historiens est double : en tant qu’hommes et femmes, et en tant qu’intellectuels et universitaires. Sachons être à la hauteur de cette tâche. Laissez moi terminer sur deux plus modestes et plus immédiates constatations. Cette cérémonie à laquelle vous avez bien voulu me convier n’a et n’aura rien d’historique mais pour moi elle sera mémorable. et une des raisons de cette émotion est qu’elle a pour théâtre une cité et une université qui sont et demeureront éminents dans l’histoire et dans la mémoire.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 77

Lezioni

* Lezione

77

tenuta il 25 ottobre 2000, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in lettere e filosofia presso l’Università degli Studi di Pavia.


03Lezioni_impaginato.qxd 04/05/15 15:38 Pagina 78


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 79

dai quotidiani


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 80


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 81

Pagine quotidiane

Ci sono pochi storici, come Jacques Le goff, presenti negli ultimi trenta anni nella società italiana, attraverso le pagine dei giornali, le trasmissioni televisive, la pubblicazione dei suoi volumi. una presenza che, tramite interviste, estratti di relazioni, recensioni, lo ha proposto come opinion maker e che, per la sua familiarità continua con l’italia, gli ha consentito di intervenire su argomenti ben lontani da quelli della specifica competenza storica o, meglio, di esprimere al massimo la sua convinzione del continuum della storia e della storia come presente proiettato sul futuro. La forma giornalistica – il tratto breve della pagina di giornale o dell’intervista televisiva – è stata a lui particolarmente congeniale e gli ha permesso un ragionare disteso, dai tratti semplici e particolarmente efficaci, lontani dalla tradizione accademica; a volte gli ha concesso di seguire l’onda leggera dei ricordi, come per la memoria di alberto tenenti; in un caso di trasformarsi in intervistatore di umberto eco; in un altro di proporsi come recensore di se stesso nella presentazione del libro dedicato alla biografia della moglie Hanka; in un altro ancora di tracciare veloci note autobiografiche: «Ho iniziato ad amare il Medioevo a dodici anni... Per due ragioni molto precise. La prima, perché in quel periodo lessi Ivanhoe di Walter Scott… e poi perché a scuola c’era un professore bravissimo… e quell’anno il programma di Storia era incentrato appunto sul Medioevo», «Ho vissuto in una famiglia di insegnanti», «sento ancora il venditore ambulante di ghiaccio urlare per


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 82

82

MaSSiMo MigLio

strada: la glace! La glace!», «La nostra storia d’amore è stata per me vitale», «Ho avuto tre patrie», «approdai a Roma. Meraviglia delle meraviglie. in quanto membro dell’École ho abitato prima a Palazzo Farnese e dopo a piazza navona: come essere in paradiso», «a me piace la storia che ti vedi passare davanti agli occhi», «debbo confessare che c’è un fenomeno italiano che mi allarma». gli articoli che pubblichiamo sono anche una sua autobiografia. in queste pagine sono però affrontati temi storiografici assolutamente importanti, da uno storico convinto che «la Storia è appena bambina»: il concetto di spazio e di tempo; l’attualità e l’eredità di Braudel e delle Annales, un tema ricorrente, che lo porta a definire i nuovi compiti della ricerca storica e ad affermare che la scienza storica «deve impadronirsi, adattandoseli, dei nuovi strumenti informatici» (che può sembrare una provocazione in chi continuava ad usare ostinatamente la stilografica). Ma che sostiene anche l’opportunità dell’inserimento della storia in un contesto ampio, «addirittura biologico»; la necessità di costruire la storia «fuori di una filosofia della storia»; che definisce il ruolo dell’orale e dello scritto nell’insegnamento delle prime università (con l’affermazione marginale, ma decisamente controcorrente, che la televisione non nuoce alla lettura); che propone le ragioni dell’atteggiamento misogino, antico e recente, della Chiesa, che è per lui un fenomeno storico. uno storico che non esita a dare giudizi fortemente negativi su tematiche storiografiche, come il cosiddetto girl power medievale, e a esprimere il proprio parere sul comportamento sessuale nel Medioevo, sulla lussuria e l’adulterio, sulla prostituzione e sull’amor cortese; sul mito di Carlo Magno; e naturalmente sulle università medievali; e che non esita a ritenere che si debba dire anche ai bambini che le Crociate hanno indebolito l’occidente e hanno fatto


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 83

Pagine quotidiane

83

insorgere contro di noi, nella lunga durata, gli islamici e tutta la gente della Jihad, perchè «non hanno dimenticato le Crociate». un Le goff che immagina se stesso nello studio della storia come un subacqueo o un archeologo, ma non come un astronauta, perché nel cosmo non c’è l’uomo e quindi non può esserci storia, ma solo la «fredda storia della materia», mentre «la storia è una scienza legata all’uomo». La raccolta che per la prima volta pubblichiamo presenta anche estratti di suoi interventi a Convegni. Pur nella frammentazione del contributo rimane integra la complessità del ragionamento, anche su argomenti molto articolati. È così per la relazione tenuta nel 2001 al Forum de l’Académie universelle des cultures dove Le goff affrontava il problema della mondializzazione, che egli ripercorre per quella latina, caratterizzata dalla pax romana che, se ha favorito la nascita del sentimento di una cittadinanza universale, di uno spazio giuridico unico e di una unificazione linguistica, fu però incapace di integrare i barbari. in questo contesto sono molto significative osservazioni, frequentemente ricorrenti in altri interventi, come quella che «la mondializzazione induce a ribellarsi, più o meno a lungo termine, coloro che da essa non traggono più beneficio», che la mondializzazione religiosa ha diffuso «un’idea che facilmente – la storia l’ha dimostrato – slitta verso l’intolleranza e la persecuzione» e che «le mondializzazioni non hanno violentato solo le culture ma la storia»: perché la distruzione delle culture dei popoli vinti ha colpito popolazioni che avevano una loro storia, e «distruggere la memoria, la storia del passato, è qualcosa di terribile per una società». temi questi che riprenderà in parte, dialogando su quanto era accaduto l’11 settembre e riconoscendo che, se non si era in grado di prevedere, era possibile almeno «seguire l’evoluzione delle società che si sentono oppresse dalla dominazione occidentale e specialmente da quella


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 84

84

MaSSiMo MigLio

americana: era possibile intuire che le manovre di Washington per rafforzare la propria egemonia avrebbero causato delle rivolte, tra le quali il fenomeno terroristico. tutto ciò gli storici potevano ipotizzarlo e analizzarlo». Ma nella serie degli articoli troviamo pure espresse convinzioni profonde sulla società contemporanea, in Francia, in italia, in europa. il referendum in Francia del 1992, con la vittoria degli europeisti, ha ad esempio evitato che il progetto dell’unione europea andasse a «raggiungere nei rifiuti della storia tutti i bei progetti falliti»; Le goff indicava con precisione le difficoltà politiche dei sostenitori del sì, riportabili ad alcuni caratteri originari della Francia e dei francesi, mentre individuava la paura come la motivazione prima dei sostenitori del no. altre importanti affermazioni svolgeva sul preambolo della Costituzione europea che si definiva nel 2003 e sul valore della laicità, ma anche sull’opportunità che fosse ricordato il significato dell’eredità del giudeo-cristianesimo; sulla contrarietà all’ingresso della turchia nell’unione europea; sulla violenza nelle banlieues parigine del 2005; sul destino nella Chiesa contemporanea di inferno, paradiso, purgatorio e limbo; su personaggi politici contemporanei; sulla speranza di una reale realizzazione di una identità transnazionale europea (un tema questo dell’europa che gli è molto caro); sulle prospettive del nuovo pontificato di papa Francesco. Così come denuncia con forza che: «sono gli uomini politici, i governi e i Parlamenti a strangolare la storia nei programmi»; rivendica la funzione dello storico nella società contemporanea per la comprensione delle trasformazioni della mentalità e dei meccanismi del cambiamento; teorizza la necessità dell’informazione «perché la memoria storica è indispensabile sul piano individuale e collettivo», e la necessità della biografia «apice del mestiere dello storico» come «oggetto globalizzante», che permette «di illuminare la società contemporanea».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 85

Pagine quotidiane

85

uno dei giornalisti che hanno intervistato Le goff commentava: «continua a raccontare il Medioevo in modo tale che sembra di viverci». accadeva anche per la convinzione che «la storia ai miei occhi è un essere vivente. C’è sangue, c’è tessuto nervoso, c’è linfa». L’incontro che si tiene a Roma il 4-5 giugno Jacques Le Goff et l’Italie / Jacques Le Goff e l’Italia sarà dedicato tutto al suo impegno come storico. La raccolta di questi articoli, apparsi sui principali quotidiani italiani, definisce e articola la sua figura, con le riflessioni (alcune più recenti, altre risalenti nel tempo) su quanto è di fatto ancora attualità, sulle difficoltà dell’unione europea, sulla situazione della grecia, sulla distruzione della memoria storica dei popoli vinti, che si concretizza oggi con l’abbattimento di monumenti, siti archeologici, statue; sulla lunga durata di scelte politiche e religiose del passato. una storia insomma che sa di continuità.

MaSSiMo MigLio


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 86


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 87

La Repubblica, 29 novembre 1985 Quello che ci ha lasciato intervista di aldo Schiavone PaRigi – Per una di quelle combinazioni assolutamente casuali ma che poi, a ripensarci, non cessano di lasciarci inquieti, sono arrivato a casa di Jacques Le goff, pochi minuti dopo che aveva saputo della morte di Fernand Braudel. La prima cosa che mi ha detto – ero ancora sulla soglia – è stata: «ti accolgo con una cattiva notizia». Le goff conosceva Braudel da sempre. ne era stato allievo e poi erede all’École. nell’incrociarsi dei loro libri e delle loro ricerche, si è venuto sviluppando un tratto fra i più significativi della storiografia europea del nostro secolo: le Annales, certo; ma non solo quelle. È stato impossibile non parlarne insieme, rubando molto di quel poco tempo che avevamo a disposizione e che avremmo dovuto dedicare, nei nostri progetti, a tutt’altro. «Cos’è oggi per te», gli ho chiesto, «l’eredità di Braudel?» «direi che le eredità sono tre. il rapporto con la tradizione, innanzi tutto. a differenza di quanto potrebbe apparire, Braudel era molto attaccato ai risultati ottenuti dai grandi storici del passato. Ma nello stesso tempo egli ha saputo insegnarci ad uscire dalla visione accademica che avevamo ricevuto. e quello che ci ha dato è stato un grande spazio di libertà nella ricerca e nella pratica dell’insegnamento». «Ripensandoci in questo momento, quali ti sembrano le grandi categorie del suo pensiero?»


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 88

88

dai quotidiani

«il contributo più importante, mi pare, è un modo nuovo di concettualizzare lo spazio ed il tempo. Lo spazio come il sedimento profondo della storia e della geografia, se così si può dire». «un altro modo, quindi, di guardare al rapporto fra storia e natura, fra natura e cultura, fra storia e biologia?» «Sì. un grande insegnamento che si trae dalle sue ricerche è una nuova relazione tra gli elementi che tu dici, un modo di pensare la storia in un contesto ampio, un contesto che definirei addirittura biologico». «e il tempo?» «Braudel ha inventato per lo storico un tempo a tre velocità, svincolandolo dalla soggettività dello studioso: il tempo dell’evento, il tempo della struttura, il tempo della lunga durata». «Cosa pensi del suo rapporto con Marx? Se questa espressione ha ancora un senso, lo definiresti uno storico marxista?» «no. Ma tra gli storici non marxisti è stato il più toccato da Marx. il suo Marx lo ha paradossalmente aiutato a pensare la storia fuori di una filosofia della storia».

La Repubblica, 15 novembre 1987 Gli studenti dell’anno Mille di elena guicciardi PaRigi – Jacques Le goff autorevole medievalista e autore, in particolare, di Les intellectuels au Moyen Age (in italia Gli intellettuali nel Medioevo è uscito negli oscar Mondadori), che tratta delle origini delle università era stato invitato a Bologna per partecipare a un convegno, che si aprirà domani, in occasione del iX centenario dell’università. «Ho dovuto declinare l’invito, perché sono sopraf-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 89

dai quotidiani

89

fatto dal lavoro», mi dice Le goff, ricevendomi nel suo studio; e con un largo gesto indica la montagna di libri e di carte accatastate sul suo scrittoio. «Me ne dispiace molto, perché mi avevano proposto di trattare un tema difficile ma appassionante: quello del ruolo dell’orale e dello scritto nell’insegnamento delle prime università. ora, sia i testi, sia le parole degli insegnanti, hanno trasmesso la cultura in misura ugualmente determinante. in genere si ha una visione troppo semplicistica delle realtà culturali. oggi per esempio si pretende che la televisione nuoccia alla lettura; e invece analisi approfondite dimostrano il contrario. Così pure nel Medioevo l’orale e lo scritto si rafforzavano a vicenda. nella misura in cui l’università di Bologna è stata un modello, sarebbe interessante studiare come, nel Xii secolo, vi furono inventate delle tecniche d’insegnamento che in seguito avrebbero costituito il fondamento della scolastica. una di queste tecniche era la quaestio, una forma di dibattito organizzato intorno a un determinato tema, che da un lato supponeva nei partecipanti la conoscenza dei testi, dall’altro esigeva lo scambio di parole. ancora oggi l’insegnamento universitario passa attraverso il libro come attraverso la parola». «L’università di Bologna è stata la prima creata in italia: è stata anche la prima in europa?» «Molto probabilmente sì. Ma devo dire che le ricerche per stabilire date precise mi sembrano un po’ inutili. difatti le prime università europee, in quanto corporazioni, sono nate e si sono costruite molto lentamente. Peccando per eccesso di giuridicità, certi studiosi ritengono che una università nasce nel momento in cui ha uno statuto; ma la realtà è più complessa (a prescindere dal fatto che spesso è molto difficile conoscere i primi statuti). detto questo, l’università di Bologna fu probabilmente la prima in europa. e si distingue per la sua struttura istituzionale. Le università medievali si dividono infatti in due categorie:


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 90

90

dai quotidiani

quelle in cui la corporazione è dominata dai docenti, è il caso di Parigi, e quelle dominate invece dagli studenti, è il caso di Bologna. L’università di Bologna acquistò assai presto un carattere internazionale e i suoi studenti, fra cui appunto molti stranieri, si organizzarono per assicurarsi garanzie e privilegi. in questo senso, l’università di Bologna rappresenta un primo modello, quale che sia la data precisa della sua nascita». «Lei afferma che i professori, a un certo momento, diventarono una casta ereditaria». «Bisogna precisare. inizialmente i professori sono dei chierici, che appartengono alla Chiesa. alcuni di loro hanno ricevuto gli ordini maggiori, quindi sono dei veri sacerdoti e non possono sposarsi. La maggioranza dei chierici, invece, hanno ricevuto soltanto gli ordini minori e sono autorizzati a sposarsi, ma così facendo perdono i privilegi dello statuto clericale. Perciò si sposeranno soltanto coloro che hanno modo di guadagnare abbastanza fuori dall’ambito della Chiesa: e sarà il caso dei medici e dei giuristi. Per loro, si delinea effettivamente la tendenza a costituire delle caste ereditarie: ma si tratta di un fenomeno minore». «invece verso la fine del Medioevo il fenomeno del nepotismo si diffonde nelle università, in tutti gli ambienti clericali. quali sono i privilegi dei professori?» «essenzialmente due. il primo è di non dipendere dai tribunali civili ma da quelli ecclesiastici, meno severi (per le colpe minori dipendono dai tribunali universitari). il secondo privilegio, grandissimo, è di essere esonerati dal pagamento delle imposte. in un primo tempo la sopravvivenza dei professori era assicurata essenzialmente dai proventi della collecta, cioè da quello che pagavano gli studenti. un piccolo numero di docenti approfittavano della loro situazione per affittare camere agli studenti o prestar loro dei libri a tassi da usurai. Poi c’erano i regali. L’usanza del regalo era una pratica corrente nel Medioevo: nel caso dell’uni-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 91

dai quotidiani

91

versità era regolamentata dagli statuti. dopo gli esami, gli studenti erano tenuti a offrire un dono al loro insegnante: si trattava per lo più di oggetti di vestiario. Le cronache menzionano spesso il dono di guanti; essendo il guanto un segno di distinzione sociale, il regalo in questo caso aveva un valore simbolico. gli studenti offrivano anche dei divertimenti, spesso assai costosi (talvolta in Spagna un neolaureato doveva pagare una corrida), o magari dei banchetti». «Fino a quando l’insegnamento sarà gratuito e come si trasformerà l’università assumendo un carattere elitario?» «gli studenti avevano tre problemi: trovare un alloggio (e i prezzi degli alloggi salgono man mano che aumenta la popolazione urbana); procurarsi il vitto; procurarsi i libri, che in particolare nel Xii e Xiii secolo sono carissimi. Perciò soltanto i figli dei ricchi potevano accedere agli studi superiori. tuttavia nel settore dell’insegnamento, come del resto in altri, la Chiesa introdusse dei provvedimenti che oggi chiameremmo sociali: fondò dei collegi riservati ad un certo numero di borsisti, che vi erano alloggiati, nutriti e vestiti gratuitamente. il reclutamento dei giovani non si effettuava però in base a criteri sociali, ma soprattutto in funzione delle loro capacità intellettuali. Spesso più ambiziosi degli altri studenti, i borsisti beneficiavano di buone condizioni di lavoro; e così questi collegi diventeranno, specie durante il secolo XiV, le roccaforti delle università». «Mentre altre università europee entravano in conflitto col potere ecclesiastico per conquistare la propria autonomia, l’università di Bologna si alleerà col Papa per lottare contro il Comune. di quali armi si servivano le corporazioni universitarie per condurre questa lotta?» «L’arma principale è rappresentata dallo sciopero. Sono stati i professori universitari a inventare lo sciopero. nella maggioranza dei casi se ne andavano semplicemente dall’università per trasferirsi in un’altra città: trattandosi per la maggior parte di scapoli, che non disponevano di locali pro-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 92

92

dai quotidiani

pri, ma dispensavano generalmente il loro insegnamento in locali ecclesiastici o messi a disposizione dal Comune, l’esodo non poneva loro eccessivi problemi. Ma poiché un’università costituiva un motivo di prestigio per una città, questa forma di boicottaggio era molto efficace. Venendo al caso particolare di Bologna, va ricordato che la città dipendeva dal potere imperiale. nel Xii secolo Federico Barbarossa aveva protetto l’università bolognese, ma nel Xiii il potere imperiale era diventato praticamente inesistente. Così l’università, dovendo lottare per la propria autonomia, entra in conflitto col Comune e si mette sotto la protezione del Papa. oserei dire che gli insegnanti bolognesi si vendettero al Papa». «quale è stato il periodo più glorioso dell’università di Bologna e a che cosa si deve la sua reputazione internazionale?» «il periodo più glorioso corrisponde ai secoli Xii e Xiii. nelle grandi università europee c’erano allora quattro facoltà: la facoltà delle arti dove si insegnavano le sette arti liberali, che coprono il campo che oggi chiamiamo delle lettere e delle scienze; la facoltà di Medicina; e le due facoltà di diritto: quella di diritto romano e quella di diritto canonico. La reputazione di Bologna è legata per l’appunto alle sue due facoltà di diritto, che esercitano un’influenza non solo intellettuale, ma anche sociale, di primo piano. non dimentichiamo infatti che sono i giuristi a preparare, nel corso del Medioevo, l’avvento del mondo moderno. La grande specialità di Parigi è la teologia, che conferisce alla sua università un prestigio eccezionale, in quanto la teologia viene considerata la scienza suprema. Si può dire invece che Bologna ha creato il diritto canonico, ed è stata inoltre il grande centro della rinascita del diritto romano, da cui deriverà il diritto civile moderno. il ruolo della sua università fu essenziale, perché formò non soltanto dei giuristi che assumeranno il ruolo di alti e ultrapotenti funzionari governativi (un ruolo analogo in qualche modo a quello svolto


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 93

dai quotidiani

93

oggi in Francia dall’ena, la famosa École nationale d’administration), ma anche un’infinità di piccoli giuristi, notai, scrivani, che svolgeranno una funzione molto attiva nella società a partire dal Xii secolo: prima in italia, poi nell’insieme dei paesi cristiani. Certi studiosi tendono oggi a sottovalutare l’importanza della storia giuridica, ma secondo me lo sviluppo del diritto è stato invece fondamentale; e al riguardo il ruolo di Bologna è stato decisivo».

La Repubblica, 24 febbraio 1990 Sono un romanziere della filosofia intervista di Jacques Le goff a umberto eco (a cura di g. anquetil) Le goFF: dopo Il nome della rosa, ecco Il pendolo di Foucault. a lei, universitario per formazione, che cosa offre la forma del romanzo? eCo: Come lei sa, ho cominciato molto tardi a scrivere romanzi. dopo Il nome della rosa, mi sono chiesto se si era trattato di un caso isolato o se davvero avessi scoperto un filone. quando, per la prima volta, uno è riuscito a scalare la cima di una montagna, subito dopo vuole sapere se sarà capace di fare una seconda ascensione. ogni individuo è tentato dall’affabulazione. essendo i miei figliuoli diventati grandi, non potevo più raccontargli delle storie; così ho deciso di raccontarne agli altri. L: Perché la forma romanzata? e: dopo Proust, Joyce, Mann e Kafka, i grandi miti, le grandi idee passano attraverso il romanzo. nel XX secolo, il romanzo è divenuto una via maestra dell’attività filosofica. Concedendosi la licenza di una certa irresponsabilità teorica, esso può dare il coraggio di affrontare i grandi problemi metafisici.


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 94

94

dai quotidiani

L: il romanzo era forse per lei tanto più necessario in quanto la disciplina da lei scelta, la semiologia, non era propriamente filosofica. e: quando sostenni la mia tesi di laurea sull’estetica di san tommaso d’aquino, il mio relatore commentò: strano. L: generalmente gli scienziati raccontano nella tesi i risultati delle loro ricerche; lei invece ha elaborato il romanzo della sua ricerca. e: quel professore aveva ragione: per essere autentica, una ricerca filosofica deve essere il romanzo di se stessa. Se rileggo i miei libri scientifici e accademici, vi ritrovo, implicita, quella forma romanzata che è poi il racconto di una ricerca. L: qual è lo spunto dei suoi romanzi? L’idea di un intrigo? il bisogno di ricreare un’atmosfera? oppure, lo si percepisce nel Pendolo di Foucault come nel Nome della rosa, l’ossessione dei luoghi? e: durante il primo anno di lavoro su un romanzo, praticamente non faccio altro che dei disegni: sono disegni di luoghi. dunque evidentemente, l’idea del luogo è per me primordiale. quando ho iniziato Il pendolo di Foucault avevo per la testa due immagini: quella del pendolo del Conservatoire des arts et des métiers e un’altra, di un giovinetto che suona la tromba in un cimitero. Sono due figurazioni magiche che hanno avuto un ruolo importante nella mia vita; ma non sapevo quale legame esistesse veramente fra esse. ecco il punto di partenza del Pendolo di Foucault. L: nei suoi due romanzi, la storia è onnipresente. ne Il nome della rosa è il Medioevo, almeno un certo Medioevo. ne Il pendolo di Foucault si tratta di un Medioevo che, attraverso infinite traversie, si perpetua fino ai nostri giorni. e: Posso accettare per Il nome della rosa la definizione di romanzo storico; ma la rifiuto per il pendolo di Foucault che è, ai miei occhi, un romanzo contemporaneo sulla paranoia dell’interpretazione. Racconta che cosa succede quando l’interpretazione interviene sul corso della storia. Ho già


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 95

dai quotidiani

95

detto che avrei potuto scrivere questa storia paranoica ambientandola sia in un laboratorio di fisica, dove si cerca di scoprire la fusione fredda, sia in un istituto di filologia bizantina. Beninteso, l’occultismo, per ragioni personali di interessi ed eredità culturali, mi è sembrato una vena più romanzesca. L: un aspetto per me seducente del suo libro è l’analisi molto documentata degli ambienti intellettuali dell’italia contemporanea. e: Certamente. non potevo dimenticare, scrivendo il libro, che per decenni, in italia, sono state messe bombe nelle stazioni, che hanno tramato società segrete, che c’è stato chi ha ucciso perché un segreto, per quanto vacuo, non venisse rivelato. L: nei suoi romanzi, lei riesce ad abbinare molto abilmente la sua passione per il passato con l’interesse verso il mondo contemporaneo. e: Lei, come storico, sa bene quanto sia necessaria una costante riflessione sul passato per comprendere il presente, riflessione che talvolta può assumere forma di nevrosi. L’interpretazione paranoica della storia è, credo, una malattia molto contemporanea. L: in lei il medievalista e il romanziere si fondono; ma come riescono a coabitare il romanziere, il semiologo e il medievalista? e: Scrivendo Il nome della rosa avevo l’impressione di essere in vacanza e di dimenticare i miei lavori scientifici. i critici hanno scoperto tante correlazioni tra le due zone del mio cervello, quella scientifica e quella letteraria: per fortuna, altrimenti per me sarebbe stata una strana esperienza schizofrenica. ovviamente come scrittore non potevo sottrarmi alle mie preoccupazioni di ricercatore. Ripensandoci, ho chiarito che al centro delle mie ricerche era il problema dell’interpretazione, o meglio, dei limiti e delle possibilità dell’interpretazione. Sta per uscire negli Stati uniti un


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 96

96

dai quotidiani

mio libro, I limiti dell’interpretazione, che è una raccolta di articoli scritti negli ultimi cinque anni. il titolo è piuttosto provocatorio da parte di uno che ha scritto, più di vent’anni fa, Opera aperta. in effetti, credo di essere rimasto fedele a una dialettica già presente in Opera aperta: una dialettica, cioè, tra libertà e fedeltà al testo. Più si rimane fedeli al testo più si è liberi di interpretare. L: Voglio ora vestire i panni del giornalista. i due avvenimenti letterari di quest’inverno in Francia sono la pubblicazione dell’Immortalità di Milan Kundera e quella del suo libro. Come lei sa, Kundera è molto scettico sull’avvenire del romanzo; si interroga se il romanzo non stia scomparendo. Lei che ne pensa? e: intanto, bisogna sapere se si parla di romanzo o di narrativa. il romanzo come genere può scomparire; ma non la narrativa, che svolge una funzione biologica. nel corso di questo secolo l’esigenza narrativa è stata presa in carico dal cinema e dalla televisione. Purtroppo, la narrativa si è involgarita in serie televisive di pessima qualità. Si è impantanata nella stessa palude in cui, nel diciannovesimo secolo, si era affossato il romanzo col trionfo del feuilleton. oggi, dopo che il romanzo contemporaneo ha contribuito alla propria distruzione, si fa strada un nuovo gusto per una narrativa diversa. L: C’è chi la ritiene troppo intelligente ed erudito per essere un vero creatore. e: È la sola domanda alla quale non posso rispondere. essa si traduce infatti in un’altra domanda: Scusi lei è un vero artista? L: esistono dei creatori contemporanei verso i quali lei sente una vicinanza, una complicità? e: Certamente. C’è Luciano Berio. Lo conosco da quando avevo vent’ anni. in comune, abbiamo un gusto particolare per i problemi teorici di costruzione lui per quella musicale, io per quella letteraria e intellettuale e una attrazione per la banalità letteraria. La nostra sensualità flirta


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 97

dai quotidiani

97

sempre con l’intelligenza. Per esempio, il mio gusto per la banalità dei feuilleton, per la narrativa violenta, lo si ritrova anche in Luciano Berio. L: ed io qui aggiungo una banalità giornalistica: ci sono altri nomi? e: Mi si chiede spesso quali sono i dieci libri che vorrei portare con me in un’isola deserta. Rispondo invariabilmente: l’elenco telefonico. Contiene migliaia di personaggi potenziali, grazie ai quali posso costruire delle storie. L: Lei rientra fra quegli scrittori che non insinuano stupidamente dei messaggi nei loro libri. eppure, si può scoprire, nel Pendolo di Foucault, un messaggio ideologico, per non dire politico, molto intenso: la denuncia del fascismo. Ma non soltanto del fascismo come lo ha conosciuto l’italia del XX secolo, ma quello che si potrebbe chiamare l’eterno fascismo. Mi sbaglio? e: Sono lieto della sua interpretazione. Credo di aver sempre e costantemente provato sdegno per quello che lei chiama l’eterno fascismo, cioè il bisogno di trovare dei superuomini che non condividono il destino dei comuni mortali e che si suppone posseggano segreti iniziatici. Ciò era già presente nel Nome della rosa. C’era l’orgoglio di coloro che credevano di possedere la verità, il segreto, il vuoto segreto. L’interesse che nutro per il segreto è stato alimentato sia dai miei lavori di semiologo che dall’attualità italiana dell’ultimo ventennio. La vita del mio paese è stata segnata dal gioco ossessivo dei segreti: i segreti dei terroristi, delle logge illegali, i segreti di Stato. Ma, come per caso, la maggior parte di quei segreti sono vuoti. questo mi ha appassionato. L’interesse per il segreto procede di pari passo col fascino del complotto. Cito spesso un testo che ha molto influito sul mio romanzo. È un saggio di Karl Popper sulla nevrosi del complotto, il complotto cosmico. L: un’ultima domanda personale. Il nome della rosa è stato tradotto in venticinque idiomi e le ha dato una notorie-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 98

98

dai quotidiani

tà mondiale. Prima, lei era conosciuto soltanto negli ambienti universitari. in che cosa questa tardiva gloria l’ha cambiato? e: So di certo che essa non ha mutato il mio gusto per la ricerca e l’attività universitaria. Con i miei studenti e con i miei collaboratori dell’università di Bologna, c’è una specie di gentlemen’s agreement. È il solo luogo dove, per tacito accordo, non vengo considerato romanziere. Svolgo normalmente il mio lavoro. in cambio, il moltiplicarsi delle varie sollecitazioni, l’impossibilità di fare cose che prima facevo, andare a una prima teatrale o all’inaugurazione di una mostra, tutto ciò ha limitato la mia libertà, per lo meno la libertà di spostamento. Mi trovo obbligato a condurre un’esistenza più riservata, a contatto con un minor numero di amici. Stranamente, il successo, mentre ti proietta sulla ribalta, ti costringe a privatizzare la tua vita.

Corriere della Sera, 22 settembre 1992 Trattato di Maastricht. Ratifica nei Paesi CEE. Risultati referendum in Francia I demoni sconfitti. Come i francesi sono arrivati a respingere nel voto le tentazioni scioviniste e isolazioniste

di Jacques Le goff (trad. di daniela Maggioni) domenica 20 settembre 1992 in Francia ha vinto l’europa. Se la Francia avesse detto no, l’unione europea sarebbe crollata o, nel migliore dei casi, avrebbe perso il suo potere d’attrazione. Sarebbe andata a raggiungere nei rifiuti della storia tutti i bei progetti falliti. del resto, questa giusta convinzione dei sostenitori del sì, durante la campagna referendaria, è risultata essere per loro piuttosto un handicap. Se evocavano a voce troppo alta la catastrofe e il caos, peraltro evidenti, sembrava che volessero fare un ricatto che poteva ritorcersi contro la loro opzione. È raro che gli


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 99

dai quotidiani

99

elettori di un referendum rispondano direttamente alla domanda che gli è posta. inoltre, quella del 20 settembre era formulata in termini precisi, neutri, ma poco chiarificatori. ora, l’enorme maggioranza dei francesi ha capito che la vera questione era l’europa: volete o non volete l’europa? È vero che alcuni sostenitori del no spiegavano che essi non rifiutavano l’europa, ma una certa europa, e che ne volevano un’altra. Sinceri o ipocriti, qualunque sia l’importanza che abbiano accordato a questa o quella motivazione. Votare contro Mitterrand, per un’europa più sociale, impedire alla germania di dominare l’europa, non essere schiavi della moneta, tutte le loro affermazioni nascondevano, consciamente o inconsciamente, il rifiuto tout court dell’europa. nel respingere questa tentazione, il 51 per cento dei francesi, consentitemi di dirlo, ha avuto un certo merito. Come le altre nazioni europee, la Francia conosce una crisi economica, sociale, agricola e, soprattutto, soffre di una disoccupazione inarrestabile. L’europa era un facile capro espiatorio al quale attribuire, se non la causa, perlomeno il peggioramento di questa situazione. Fin dal Medioevo i francesi hanno creduto d’essere, se non migliori (e molti l’hanno pensato e lo pensano ancora), almeno diversi dagli altri. nel Medioevo quando tutti i principi erano cristiani, il re di Francia si diceva christianissimus, molto cristiano, il più cristiano; e la Rivoluzione francese si arrogava la missione di imporre parole come Libertà, uguaglianza, Fratellanza a un’europa non sempre convinta, soprattutto per quanto riguardava il modo e i metodi d’applicazione. questa volta, ciò che si proponeva ai francesi era un’europa dove la Francia aveva un ruolo probabilmente importante, ma non egemone. un ruolo che, senza abolire la sua sovranità (conquistata con tante difficoltà con i Capeti, con la Rivoluzione, con la iii Repubblica, con de gaulle) la faceva entrare in un modello diverso da quello dello Stato-nazione radicato da secoli nell’anima e nelle abi-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 100

100

dai quotidiani

tudini dei francesi. ebbene, c’è voluto il 51 per cento dei francesi per sconfiggere questi vecchi demoni e per dire sì a un’europa della solidarietà dove solo conta lo sforzo di ogni nazione e di ogni cittadino, e per darle una legittimità democratica. Penso che occorra ringraziare questo 51 per cento di francesi perché hanno reso veramente un gran servizio all’europa resistendo alla campagna dei sostenitori del no che è stata più appassionata anche se ha mescolato il commovente allo scandaloso e, talvolta, non s’è fatta scrupolo di menzogne e bassezze. il referendum era a rischio. evitato il rischio, bisogna approfittare dei suoi vantaggi. La paura. Ma il 49 per cento dei francesi ha detto no. Credo che, per la loro maggioranza, si tratti di no dettati dalla paura. Ma se la paura è un cattivo consigliere, essa mette a nudo situazioni e sentimenti di cui è bene tener conto. Se si cerca di fare un’analisi, come già gli specialisti e i giornalisti hanno cominciato a fare, dietro le motivazioni si scorgono vecchie e nuove divisioni. dal Medioevo esiste una Francia delle città e una Francia delle campagne, una Francia del nord e una Francia del Sud, una Francia dell’ovest e una Francia dell’est tradizionalmente più dinamica e più europea. Ma lo scrutinio ha dimostrato che la storia cambia. La Bretagna, che appartiene al nord e all’ovest e che probabilmente cinquant’anni fa avrebbe votato per il no, oggi ha votato per il sì perché dall’epoca della seconda guerra mondiale è entrata in una fase di dinamismo economico, sociale, politico e intellettuale. a questa divisione geografica se ne aggiunge una sociale. il sì è stato quello delle classi medie e superiori che non temono l’europa, che in essa vedono nuovi mezzi per affermarsi, e che sono consapevoli della responsabilità della Francia nei confronti degli europei. il no, invece, è stato quello degli operai e dei contadini. Ma questa divisione è anche una divisione dell’educazione e della formazione.


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 101

dai quotidiani

101

Classe inferiore. La disgrazia d’appartenere a una classe inferiore continua, nonostante i progressi della scuola e dell’informazione, ad accompagnarsi alle diseguaglianze culturali che rendono quelle categorie socio-professionali più sensibili a scelte passionali che ragionate. non solo in Francia.

La Repubblica, 4 luglio 1993 Forse tutta la colpa è della costola d’Adamo intervista di elena guicciardi PaRigi – abbiamo interrogato lo storico Jacques Le goff, eminente specialista del Medioevo, circa le origini remote dell’atteggiamento misogino della Chiesa e le sue manifestazioni recenti. ecco le sue risposte. «La misoginia delle autorità ecclesiastiche si manifesta fin dai primi secoli del Cristianesimo. quali ne sono le cause profonde?» «Le cause profonde vanno ricercate nelle origini del Cristianesimo e nel suo impianto in società in cui la donna era considerata come un essere inferiore e non sussistevano più da lunghissimo tempo delle divinità di carattere femminile. in teoria tali società venerano un solo dio negando che abbia un sesso; di fatto lo considerano come un dio maschile. nel corso del Medioevo si assisterà a una promozione dell’immagine della Vergine Maria, e di riflesso della donna: tuttavia la Vergine Maria non si situa allo stesso livello di dio. d’altra parte nel mito della genesi si stabilisce una gerarchia fra adamo, creato direttamente da dio, ed eva, creata indirettamente a partire da una costola d’adamo. Ragion per cui la funzione del prete, intermediario fra dio e l’uomo, sarà riservata al maschio, ancorché nel nuovo testamento nulla si opponga al sacerdozio femmi-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 102

102

dai quotidiani

nile. a mio parere la misoginia del Cristianesimo riflette più un fenomeno storico che non un dogma». «Come si evolve attraverso i secoli l’atteggiamento della Chiesa per quanto concerne il ruolo della donna nella comunità religiosa?» «L’essenziale si è prodotto nel Medioevo: successivamente la posizione della Chiesa su questo problema è rimasta in pratica inalterata. nel Medioevo la donna è del tutto esclusa dal clero secolare. il suo ruolo religioso si limita all’ambito monastico. Ci sono delle suore di clausura, alcune badesse svolgono una funzione spirituale e perfino politica importante, ma sempre sotto il controllo di confessori maschili. il solo ordine in cui si è espressa la supremazia femminile, l’ordine di Fontevrault nel Xi secolo, non tarderà ad essere riformato dalle autorità ecclesiastiche. La Chiesa tollera pure le beghine, che hanno uno statuto intermediario fra quello religioso e quello laico, ma sempre sotto il suo stretto controllo. Si dimostra anche più puntigliosa per quanto riguarda la santificazione di una donna che non quella di un uomo, è molto vigilante nei confronti di donne che esercitano un’attività profetica, come santa Caterina da Siena o santa Brigitta di Svezia. aggiungerò che la leggenda della papessa giovanna illustra il grande timore della Chiesa, cioè quello che una donna possa accedere al supremo potere ecclesiastico». «tuttavia nell’alto Medioevo, in certi paesi come l’irlanda o la Sassonia, le badesse esercitavano funzioni sacerdotali: potevano confessare, concelebrare l’eucarestia; in alcune regioni le donne hanno dunque beneficiato di privilegi maschili?» «È esatto, ma ciò è avvenuto in contrade periferiche, in un’epoca in cui i dogmi e le pratiche religiose non erano ancora ben definiti. Comunque tali privilegi sono stati rapidamente aboliti». «quali saranno le incidenze sui rapporti fra il Vaticano


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 103

dai quotidiani

103

e le chiese protestanti della decisione della Chiesa anglicana di autorizzare il sacerdozio femminile?» «Mi esprimo in qualità di storico e non come teologo o credente. il risultato lo si è già visto: il Vaticano ha avuto una reazione molto ostile, che ostacolerà i progressi dell’ecumenismo. Bisogna riconoscere che la Chiesa romana – pur avendo favorito fin dal Medioevo una certa promozione della donna in diversi campi, come in quello del matrimonio in cui essa è equiparata all’uomo – nel rifiutarle perentoriamente l’accesso al sacerdozio manifesta in modo simbolico e molto forte la propria concezione della donna, considerata come inferiore all’uomo. Su questo terreno la Chiesa romana ha ignorato gli insegnamenti dell’evoluzione storica, riducendo il problema a una questione di verità eterna, mentre evidentemente esso è il prodotto di una storia culturale e sociale.

Corriere della Sera, 21 novembre 1995 Il grande studioso accusa i governi europei di soffocare la sua materia nelle scuole. «In Germania è addirittura facoltativa». Le Goff: “I politici strangolano la Storia”

intervista di ulderico Munzi PaRigi – «il mondo politico non deve strangolare la storia nelle scuole», dice il grande medievalista Jacques Le goff, che oggi presenterà a Roma (sala degli arazzi della Rai, viale Mazzini 14, ore 17.30) il suo libro L’Europa raccontata ai ragazzi (Laterza) in un dibattito su divulgazione e storia con Sabino acquaviva, Franco Cardini, andrea giardina, gianfranco noferi e antonio Spinosa. Prima della partenza per l’italia gli abbiamo chiesto se oggi, in europa, s’insegna bene la storia nelle scuole.


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 104

104

dai quotidiani

«in Francia e altrove si sono fatti dei progressi. questo mio libro ne è un segnale. Ma il pericolo non è d’insegnare male la storia. Sono gli uomini politici, i governi e i Parlamenti a strangolare la storia nei programmi. in germania, Paese fondamentale per costruire l’europa, la storia è spesso una materia opzionale. Jacques delors, di cui sono un amico, si poneva il problema. Sapeva che l’evoluzione delle mentalità è essenziale. Siamo solo noi storici a poter mostrare il cammino e la trasformazione delle mentalità. Solo noi capiamo i meccanismi del cambiamento. dobbiamo avere più spazio nelle scuole. nel mio libro ci sono disegni che rappresentano momenti significativi: in alcuni c’è una vena scherzosa perchè sono convinto che è opportuno introdurre, specie per i giovanissimi, l’humour nella storia, anche quando l’humour è po’ nero come in quel disegno sul colonialismo ottocentesco dove ogni grande nazione si sgranocchia una fetta d’africa». «e come se l’è cavata nel raccontare l’europa ai ragazzi, in questo libro che esce in italia prima che in Francia?» «non ho mai sofferto in modo così esaltante. Spiegare in cinquanta pagine a bambini e ragazzi dai dieci ai quattordici anni qual è il senso dell’europa, dalla grecia classica alla Bosnia insanguinata, sarebbe stato uno scherzo se avessi avuto mille pagine. Spero d’aver spiegato bene l’eredità del passato, positiva e negativa, e gli elementi di cui si deve tener conto per l’avvenire. L’eredità positiva è la nostra civiltà. gli europei hanno in comune la scienza, i valori religiosi del cristianesimo e i valori dei diritti dell’uomo». «Lei spinge i ragazzi a credere nell’europa?» «il nostro primo dovere è d’informare perchè la memoria storica è indispensabile sul piano individuale e collettivo. e poi lo storico deve dire la verità finchè gli è possibile. non bisogna nascondere il male che si annida in ogni epoca. uno storico deve anche proporre un messaggio per l’avvenire. Malgrado i crimini compiuti dagli europei, non


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 105

dai quotidiani

105

nascondo nulla a bambini e ragazzi: dalle persecuzioni degli eretici alle Crociate, ai genocidi, al colonialismo, alla Shoah e alla barbarie nell’ex Jugoslavia. nonostante tanto orrore, l’europa dev’essere fatta. Fin dall’antichità, l’idea di europa ha avuto un senso: sta a voi, dico ai miei giovanissimi lettori, dargli nuova forma». «Lei dice che è difficile insegnare ai giovanissimi. Ha ancora un senso lo studio tradizionale della storia visto che oggi sembra impazzita?» «Ha ancora un senso? Ma che cosa dice? Si può realizzare qualcosa soltanto nella lunga durata, secondo la lezione di Braudel. anzi, direi che bisogna proiettare la lunga durata verso l’avvenire. il momento è molto favorevole perché oggi ragioniamo come se già fossimo nel XXi Secolo. Cioè, per realizzare qualcosa bisogna basarsi su movimenti che hanno un passato. Per riunire, ad esempio, l’europa dell’ovest a quella dell’est si deve tener presente, onde evitare gravissimi errori, che la frattura non risale al comunismo o allo scisma coi bizantini, ma all’antica divisione tra la zona europea d’influenza latina e quella d’influenza greca: il sorgere di due cristianesimi differenti, i quali, del resto, riproducono, in sostanza, la frontiera tra l’occidente democratico e l’oriente comunista. una frontiera bimillenaria che passa anche nell’ex Jugoslavia: da un lato la Serbia ortodossa, dall’altro la Croazia cattolica». «Cose difficili da far capire ai bambini, professore. e poi: hanno la voglia e la sensibilità per leggere e comprendere?» «il mio non è il fanatismo dello storico. Però, con quel libro, è come se avessi fatto una scommessa. Mi sono detto che se le giovani generazioni non avranno conoscenze storiche sufficienti e uno spirito storico, avremo perso il treno del futuro. dobbiamo soprattutto denunciare gli errori. Bisogna dire anche ai bambini che le Crociate hanno indebolito l’occidente e hanno fatto insorgere contro di noi,


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 106

106

dai quotidiani

nella lunga durata, gli islamici e tutta la gente della Jihad. non hanno dimenticato le Crociate». «quale linguaggio si deve usare per i bambini?» «Stile semplice, parole semplici. Bisogna saper raccontare anche in modo immaginifico. non so quante volte ho dovuto riscrivere delle frasi. Per fortuna, noi storici non siamo come i sociologi e i filosofi».

Corriere della Sera, 29 gennaio 1999 Il grande studioso del Medioevo compie 75 anni e Parigi lo festeggia. Ma lui pensa al futuro: siamo solo all’inizio dell’avventura umana. Le Goff: Ora comincia un’altra Storia. “Per me la ricerca è pura gioia. In un’altra epoca avrei sfidato a duello Fukuyama che ha osato suonare le campane a morto”. Le opere più importanti in raccolta da Gallimard

intervista di ulderico Munzi PaRigi – Jacques Le goff ha cantato la Storia come se fosse la sua amante. L’ha sempre difesa da insidie, stupri e insulti: «in un’altra epoca – tuona – avrei sfidato a duello Francis Fukuyama che ha osato dire che era morta». in questi giorni l’intellighentsia parigina dell’École des hautes études celebra il grande storico: il lungo insegnamento e, soprattutto, la dedizione al Medioevo che è una fucina intima di passione e furore. andiamo a salutare il Maestro e siamo subito accolti dal suo bell’accento meridionale. un po’ come dovevano averlo i «troubadours» dei tempi lontani da lui sempre sognati. La foresta di libri in cui è nascosto il medievalista più famoso d’europa e forse del mondo all’improvviso si dischiude e compare la sua fisionomia di umanista dai tratti battaglieri. ogni amante fa soffrire, gli diciamo. e lui risponde: «La Storia non mi ha mai fatto sof-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 107

dai quotidiani

107

frire, mi ha dato solo amplessi lampeggianti di gioia». dev’essere vero perché i testi di Jacques Le goff sono limpidi come i cieli della sua Provenza. anche quando la stilografica dello storico (il computer è considerato uno strumento senz’anima) va alla ricerca delle oscure origini del Purgatorio, oppure si lancia nei tormenti dell’immaginario medievale o segue le tracce di un sant’uomo come Luigi iX, re di Francia. La passione risale all’infanzia, a un insegnante che lo contagiò parlando di tornei e crociate. un virus che in seguito doveva essere rafforzato dalla lunga «avventura» delle «annales» e dall’amicizia con Fernand Braudel. Le goff fu il suo successore, dal 1972 al 1977, all’École des hautes études. dice: «Sappia che io detesto soffrire. Come avrei potuto legare la mia vita a qualcosa che mi dava dolore? La Storia, ai miei occhi, è un “essere vivente”. C’è sangue, c’è tessuto nervoso, c’è linfa. e sappia ancora che mi turbava nel cristianesimo antico e medievale questa “deviazione” della sofferenza. il Cristo della passione è un’eresia. non avrei potuto esercitare un mestiere con una corona di spine intorno alla testa». Le goff e il suo benessere di fare Storia. un «ogre dans le bonheur». un orco di 75 anni che trova golosamente la preda nel vissuto di grandi e piccoli uomini scomparsi. nella ricerca c’è chi soffre, certo. C’è la scuola degli storici «flagellanti» e quelle degli «schiavi» e dei «burocrati». una triste minoranza, metodica nella grigia sterilità. i ricercatori senza vasti orizzonti. Fernand Braudel era tutto un susseguirsi d’esplosioni di gaiezza, come se la storia, nel suo immaginario, nel suo virtuale, fosse una splendida ballerina. Jacques Le goff pensa di aver ricevuto una sorta di grazia, specie quando ha scritto libri come La civiltà dell’Occidente medievale. dice: «Mi sembrava di essere un subacqueo che abbia scoperto un tesoro nelle profondità marine o un alpinista che abbia scalato una vetta da cui il mondo


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 108

108

dai quotidiani

gli appare nella sua totalità. una sensazione diversa per la Nascita del purgatorio, dove mi pareva d’essere un archeologo che ha trovato la tomba del faraone fino allora introvabile». archeologo, un capitan nemo degli abissi, musicista, matematico. Le goff «si paragona» senza mai esaltarsi, tranne quando ricorda d’aver scritto le parti essenziali del Purgatorio nella città di Roma, nella sua stanza che dominava piazza navona. Ci voleva un Puccini per mettere in musica quei momenti. L’idea che esista un Fukuyama deve infastidirlo come un insetto disgustoso. Come un’ingiuria che ricorre nei suoi pensieri: «La fine della storia. quale connerie, scusi la parola. La storia si rinnova, la storia cambia. C’erano già degli imbecilli di questo tipo nel Medioevo. nel Xii Secolo ottone di Frisinga pensava che la Chiesa governasse completamente la società e che la storia, quindi, fosse finita. non ci si potevano aspettare né cambiamenti, né evoluzioni. La Storia proseguirà la sua marcia. Ci sono stati milioni di anni preistorici. Milioni, capisce? e noi siamo soltanto a qualche millennio. Siamo appena all’inizio, la Storia è appena bambina». nel passato la storia era semplice. Le società attuali, invece, appaiono come reticoli complessi e nebbiosi. L’«amante» diventa sempre più misteriosa. «Forse ci porterà nel Cosmo?» «Le confesso – dice Le goff – che l’ipotesi non mi attira. nel Cosmo non c’è storia. La Storia è una scienza legata all’uomo. Per dirla alla Levi-Strauss, nel Cosmo c’è fredda storia della materia». «non vede un Le goff in un pianeta lontano?» «i grandi specialisti dell’universo danno una risposta negativa. Resta un sogno. e poi l’umanità, in questa fase, non ha bisogno di cercare altrove nuove società. Mi scandalizza l’idea del denaro bruciato per un viaggio verso Marte. Mi creda: l’unica storia del Cosmo è quella dell’uomo, quella raffigurata nella Cappella Sistina».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 109

dai quotidiani

109

Corriere della Sera, 10 ottobre 1999 Dopo la biografia dedicata a Luigi IX, il medievalista racconta la vita del patrono d’Italia. E sfata dei luoghi comuni. Le Goff: “Il mio Francesco, un santo fatto di carne”. Lo storico ribalta l’immagine idilliaca per meglio capirne la grandezza. “La famosa predica agli uccelli non rappresentò certamente un momento felice. In realtà egli si rivolgeva ai volatili dell’ apocalisse perché attaccassero la curia con i loro becchi”.

intervista di Stephane Bouquet dopo il saggio su san Luigi, Jacques Le goff pubblica un’altra vita di un santo, quella di Francesco d’assisi (11821226), che, si dice, predicava graziosamente agli uccelli, ma è falso. il nuovo libro è più breve di quello su san Luigi. esso adotta una forma frammentaria che Le goff rivendica come un altro modo di scrivere la vita di un uomo. il suo san Francesco non è chiaramente un’agiografia, poiché si assoggetta a tutte le regole della verifica scientifico-storica delle fonti, della lettura critica dei testi e delle immagini a disposizione, dello studio minuzioso, per esempio, del vocabolario di Francesco e dei suoi discepoli. Rimane il fatto che si è colpiti dalla clemenza di Le goff riguardo al suo eroe. Lo storico ha nei riguardi del santo una fascinazione e un’empatia profonda. Ciascuno ha le sue ragioni, sembra dire Le goff, e Francesco aveva le sue, nei suoi momenti di debolezza, quando abbandona la lotta contro la curia romana e le consente di mettere le mani sulla sua confraternita e, più o meno, di modificare la dottrina. Le goff crede di conoscere le motivazioni del santo che ama tanto. gli abbiamo chiesto quali. «Perché, quando ha deciso di dedicarsi al genere biografico, ha scelto prima san Luigi e non san Francesco che sembra accompagnarla da lungo tempo?» «Scrivere una biografia per un medioevalista non è faci-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 110

110

dai quotidiani

le, perché deve avvicinarsi molto vicino al soggetto e, in generale, non dispone di sufficiente documentazione. La scelta era quindi limitata. non volevo cavarmela con l’artificio di occultare il personaggio con ciò che lo circonda. Bisognava utilizzare la biografia come quello che io ho chiamato, con Pierre toubert, un “oggetto globalizzante”, che permette, a partire dal soggetto studiato, di illuminare la società che lo circonda. d’altro canto, i periodi sui quali sono meno ignorante sono il Xii e il Xiii secolo, con una certa predilezione per il Xiii, che cerca di canalizzare e istituzionalizzare la grande fioritura economica, teologica, intellettuale e artistica del Xii secolo. avevo a disposizione, tutto sommato, tre personaggi: san Francesco d’assisi, Federico ii, san Luigi. Credo in linea di massima che ci debba essere un certo legame affettivo fra lo storico e il suo soggetto. da lontano, Francesco mi attirava di più, ma esistevano eccellenti opere in italiano. Forse ero anche più intimidito, avevo timore di tradirlo, e non si trattava soltanto di un timore da storico». «esiste per san Francesco lo stesso problema delle fonti che per san Luigi?» «La biografia – e insisto sulla grande importanza della biografia che è l’apice del mestiere dello storico – ha bisogno di fonti che permettano di raggiungere quella che si spera essere la verità del personaggio. Per san Luigi, il problema delle fonti è stato angosciante, perché queste obbedivano tutte a stereotipi, a luoghi comuni, a modelli teorici della concezione medioevale del re, al punto che mi sono chiesto se lo storico era in grado di giungere a un san Luigi vero. Per san Francesco il problema è stato un altro. Ha lasciato dei testi, abbiamo una grande quantità di documenti scritti su di lui, così come iconografia, e anche se il personaggio sembra difficile da comprendere, già i suoi compagni si domandavano chi era Francesco. a differenza di san Luigi, era proprio lui, l’eroe, a essere enigmatico».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 111

dai quotidiani

111

«in cosa consiste questo enigma?» «aveva sentimenti e atteggiamenti che potevano apparire contraddittori. Manifesta ostilità nei confronti della Chiesa, scrive di tutti i colori sui prelati e la curia pontificia, ma, d’altro canto, insiste sul carattere necessario, cristico, del clero. Credo di averne compreso la ragione: Francesco aveva un bisogno profondo di sacramenti e di sacralità. questo spiega l’episodio delle stimmate. quando dice che un serafino gli è apparso e che dei raggi emessi dalle sue mani hanno lasciato delle stimmate sui suoi piedi, le sue mani, i suoi fianchi – Francesco è il primo stigmatizzato, cosa che gli conferisce, in quanto santo, un carattere eccezionale – egli concilia cose contraddittorie. il serafino fa parte del mondo sacro, ma il dono delle piaghe di Cristo nella sua carne è il culmine del carattere evangelico (preghiera, ascetismo, eremitismo) ed è molto lontano dalla sacralità». «qual è l’atteggiamento dello storico nei confronti dei miracoli?» «L’uomo di fede accetta i miracoli senza spiegazione scientifica. Lo storico, quando i miracoli sono percepiti come tali dalla società, ha il dovere di considerarli come eventi storici. questo è il caso delle stimmate di Francesco, che non sono apparse in un momento qualsiasi. quando, verosimilmente, il conflitto all’interno della curia romana e in seno alla sua confraternita diventa troppo forte, Francesco sceglie la fuga. abbandona la guida dell’ordine nel 1220. e nel 1224 ha questa idea geniale delle stimmate. Certamente Francesco non se le è inventate, ma per lui si trattava di un messaggio dall’alto. Le stimmate sono una ricompensa, un’approvazione divina del suo essere e della sua posizione, e, al tempo stesso, una penitenza che concilia tutte le sue aspirazioni». «Lei dipinge Francesco quasi come un rivoluzionario». «Cosa molto più vicina al vero Francesco di quanto non


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 112

112

dai quotidiani

lo sia la sua predica agli uccelli, a proposito della quale ho cercato di dimostrare che non rappresentava proprio il momento idilliaco che si dice. nauseato dalla curia, si rivolge agli uccelli dell’apocalisse e dice loro di attaccarla con i loro becchi. Siamo molto lontani dalla visione edulcorata, presentata in particolare da giotto che ha dipinto un Francesco pronto a soddisfare la borghesia fiorentina, quindi tutto tranne che un rivoluzionario. ora, Francesco detesta tutti coloro che detengono il potere temporale, in particolare i prelati, tanto più che in praelatum c’è il prefisso prae, “al di sopra di, davanti a”, prefisso di dominio. Ho sempre pensato che una delle fonti fondamentali dello storico fosse lo studio delle parole e del vocabolario. Per esempio, ho trovato il purgatorio sottolineando che verso il 1160 purgatorius, che era un aggettivo, diventa un sostantivo, purgatorium. Che cosa significa questo? Senza dubbio che ormai era un luogo. Francesco, dunque, per tornare a lui, è strenuamente a favore dell’uguaglianza anche se pensa che bisogna evitare disordini, in ogni caso un certo disordine che possa facilitare l’ascesa al potere dei malvagi. da questo punto di vista, san Francesco è molto più attuale di san Luigi. È uno di coloro cui ci rivolgiamo per cambiare la società». «Lei fa diventare Francesco anche un femminista». «La questione è controversa. Jacques dalarun sostiene che egli era piuttosto antifemminista, perché nei suoi scritti non parla quasi mai delle donne e in particolare di santa Chiara che ha fondato le clarisse, versione femminile dei francescani, e che fu la prima monaca di clausura a dare al suo ordine una regola scritta. non condivido questo punto di vista. non posso dire se Francesco “amasse le donne”. Rilevo che un insieme di circostanze può indurre a non escluderlo. oltre al Vangelo, la sua grande fonte d’ispirazione era la poesia cortese, che ha inventato l’amore moderno e da cui Francesco ha tratto la figura di Monna Povertà.


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 113

dai quotidiani

113

d’altra parte, Francesco si preoccupava della globalità del mondo, come dimostra il Cantico delle creature. non poteva trascurare la metà della società, per parlare in termine attuali».

Corriere della Sera, 23 ottobre 2000 Il maggior interprete delle Annales riflette sulla crisi della sua scuola e invita i ricercatori a impadronisrsi degli strumenti informatici “Cari storici, ora costruiamo l’avvenire”.

di Jacques Le goff (traduzione di daniela Maggioni) Cosa resta della eredità delle Annales? in primo luogo, la storia economica e sociale. Ma la storia economica è stata screditata dal crollo del marxismo e dall’impotenza dell’economia a introdursi in una problematica storica. in secondo luogo, l’instaurazione di un dialogo fra storia e scienze sociali, che però è stato limitato dall’indifferenza delle scienze sociali (sociologia, etnologia/antropologia) al tempo e all’evoluzione storica. infine, l’orizzonte di una storia totale o globale che non ha nulla a che vedere con l’affermazione che tutto è nel tutto e reciprocamente, e che non si è mescolata ad una storia universale al posto della quale Michel Foucault suggeriva di elaborare una storia generale, mentre Pierre toubert ed io proponevamo la scelta di oggetti globalizzanti (il Purgatorio, San Luigi). Le Annales hanno anche messo alla base del procedimento la storia-problema, che all’inizio di una ricerca e di una riflessione storica pone non un fatto o un tema, ma un problema. approfondendo il dialogo con l’etnologia, gli storici formatisi alla scuola delle Annales hanno elaborato un’antropologia storica definita come un processo di totalizzazione o piuttosto come un processo che mette in rela-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 114

114

dai quotidiani

zione diversi livelli della realtà, prefigurata nella Histoire des moeurs di tocqueville. e hanno costruito una storia delle mentalità, una storia delle rappresentazioni, una storia dell’immaginario. ormai, la realtà storica è l’insieme di due elementi: la realtà dei fatti e quella dei loro echi nella coscienza, realtà fattuali e realtà immaginarie. e la storia delle mentalità si accompagna ad una storia dei valori, delle ideeforza che si rifrangono nelle coscienze e nei comportamenti, una storia intellettuale e delle mentalità che sostituisce la vecchia storia delle idee, la Geistesgeschichte tedesca. Ma non bisogna nemmeno esagerare la portata della nuova storia delle mentalità, che non pesa sull’evoluzione storica come una causalità primaria. Molti storici, disorientati dal crollo dell’economia come causalità primaria generale, hanno ripiegato sulle mentalità per tenere questo ruolo. ed è un errore. Parallelamente, la storia culturale ha assunto un’importanza notevole ed è stata utilizzata anche come causalità storica generale. La spiegazione dell’evoluzione storica attraverso la cultura è un errore paragonabile alla vecchia causalità economica, sebbene la nozione di storia culturale offra un ponte all’antropologia ed abbia permesso d’integrare più facilmente realtà umane che l’idea di civilizzazione integrava meno bene. nonostante questi arricchimenti, la storia definita dalla scuola delle Annales, a partire dal 1980 circa, ha dato sempre più segni di stanchezza ed è stata oggetto di critiche che le rimproveravano di schiacciare gli uomini sotto le strutture, di tendere ad una storia immobile e di sacrificare la specificità della storia alle astrazioni di scienze sociali al di fuori del tempo. tale crisi rientra in una più grave «crisi della storia» in generale. a questo proposito, mi limiterò a tre osservazioni. Se per crisi s’intende una decostruzione di un sistema e la fase di confusione e turbolenze che, secondo la concezione gramsciana, prepara la costruzione di un nuovo sistema e invita allo sforzo intellettuale più che alla contem-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 115

dai quotidiani

115

plazione scoraggiata di rovine, allora sì, la storia è in crisi. Ma preferisco parlare di mutazione, che significa guardare all’avvenire, mentre crisi significa guardare a un passato di cui bisogna riconoscere le eredità vive, dal quale però occorre staccarsi per edificare meglio, senza nostalgia, con lucidità, critica costruttiva e volontà. Se dico che tale crisi è legata a quella delle scienze sociali nel loro insieme e quest’ultima alla crisi della nostra società e del nostro sapere, è per definire l’ampiezza del problema e del compito, e per sottolineare che non si tratta di ritocchi o di ritorni, ma di affrontare un intero blocco storico e scientifico. il problema non è sfuggito al comitato direttivo delle Annales che nel 1988 pubblicò un testo intitolato Storia e scienze sociali: una svolta critica? È giunto il momento, scrivevamo, di «rimescolare le carte» e abbozzavamo nuovi metodi, citandone due: «le scale d’analisi e la scrittura della storia»; e di «nuove alleanze»: in altri termini, ripensare e ridefinire una pratica dell’interdisciplinarietà. e concludevamo: «non ci sembra che sia giunto il momento di una crisi della storia di cui alcuni accettano, troppo comodamente, l’ipotesi. abbiamo invece la convinzione di partecipare a una nuova distribuzione delle carte, ancora confusa, e che occorre definire per esercitare domani il mestiere di storico». Ho l’impressione che non siamo ancora usciti da questa fase, ma che ci rendiamo conto meglio del carattere generale di una mutazione che oltrepassa la storia. Per concludere, desidero almeno enumerare i principali compiti della ricerca storica, numerosi e importanti in questi tempi di mutazione delle scienze sociali, della società e del sapere. allacciare nuovi rapporti con le scienze sociali. Mi auguro che venga costituita un’antropologia storica – che raggruppi storia, sociologia e antropologia –, animata dalla ricerca e dalla spiegazione del cambiamento delle società nel tempo su tutti i piani. questa scienza dovrebbe rimanere in stretto contatto con la geografia, poi-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 116

116

dai quotidiani

ché una delle linee del rinnovamento della storia deve proseguire attraverso ricerche su tempi e spazi e sulle loro dinamiche. La storia deve ritrovare un oggetto sintetico e infrangere la catastrofica frammentazione in storia politica, sociale, economica, culturale, storia dell’arte, del diritto. La semantica storica che chiarifica i termini e i concetti, al di là di una filologia inerte, in una prospettiva di trasformazioni e di creazioni, deve permettere una rilettura che «ripulisca» i documenti. Lo studio delle fonti deve continuare ad allargarsi al di là dei testi, trasformando in documenti di storia le immagini, i risultati dell’archeologia, i gesti, i paesaggi. un giorno bisognerà pensare a circoscrivere le lacune, i vuoti della documentazione, e a costruire una storia dei silenzi. questo compito implica una rigenerazione completa delle scienze ausiliarie e un’esplorazione della produzione storica della memoria. La scienza storica deve impadronirsi, adattandoseli, dei nuovi strumenti informatici, operatori di scoperte e conquiste. ormai, la storia deve prendere insieme le serie di fatti e quelle di rappresentazioni. La storia è costituita d’immaginario come di realtà positive. La storia comparata che Marc Bloch auspicava deve svilupparsi in una prospettiva di storia generale. Perciò, deve «disoccidentalizzarsi» e creare strutture di attesa per le storie latenti. La storia deve più che mai avere per oggetto gli uomini e la vita, integralmente, ma secondo procedimenti razionali e critici. La storia recente ha lanciato la memoria all’assalto della storia. e dovrà continuare a nutrirsi della memoria, dispensatrice di vita, separando però la buona memoria, appassionata di verità, dalla cattiva, corrotta dalle passioni aggressive e pervertite, ad esempio quelle nazionaliste. Bisogna che la storia smetta d’essere ciò che Hegel chiamava un «fardello», per realizzare la funzione di «mezzo di liberazione del passato» che le assegna arnaldi. La storia dovrà cercare di aver presa razionalmente sull’avvenire, compito che le impone il fallimento della futurologia e


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 117

dai quotidiani

117

lo scatenarsi di elucubrazioni divinatorie vecchie e nuove, per prolungare con prudenza la sua padronanza del tempo al di là del passato e del presente e per tentare di rispondere più esaurientemente alla domanda: «a cosa serve la storia?» a rispondere razionalmente all’interrogativo: «Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?» e questa è una missione immensa ed esaltante.

Corriere della Sera, 17 novembre 2001 Mondializzazioni del passato L’impero globale creato dai Romani L’economia non può essere l’unica chiave interpretativa

di Jacques Le goff (traduzione di daniela Maggioni) Pubblichiamo alcuni estratti dell’intervento che Jacques Le goff ha pronunciato il 13 novembre a Parigi in occasione del «Forum de l’académie universelle des cultures» (www.academie–universelle.org). La conoscenza delle forme anteriori di mondializzazione è necessaria per capire quelle che viviamo e per prendere posizione di fronte a questo fenomeno. due libri scritti negli anni Settanta trattano di una nozione che io credo capitale per il problema della mondializzazione, in particolare di quella attuale: la nozione dell’economia-mondo. uno è del sociologo americano immanuel Wallerstein, The Modern World System (1974) e l’altro dello storico francese Fernand Braudel, Il Tempo del mondo (1979)[...]. oggi, nella mondializzazione, l’economia ha il primato [...]. Ma Braudel asserisce con forza che pensare unicamente all’economia non solo sarebbe un errore, ma un pericolo. Braudel sottolinea che in ogni mondializzazione ci sono quattro aspetti essenziali che costituiscono addirittura degli ordini: l’aspetto economico, sociale, culturale e politico. Le


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 118

118

dai quotidiani

mondializzazioni storiche segnalate da Braudel sono: la Fenicia antica, Cartagine, Roma, l’europa cristiana, l’islam, la Moscovia, la Cina e l’india. queste assumono anche la forma di imperi e si sono presentate dapprima come costruzioni soprattutto politiche: è il caso di Roma, della Cina e della ghirlanda di Paesi dipendenti di cui si è circondata, e dell’india. quello di Roma mi sembra un caso interessante perché i romani progettavano di estendere il proprio dominio sull’insieme del mondo abitato. La loro era quindi una vera e propria intenzione mondializzatrice. essi avevano ripreso il termine greco per designare il mondo abitato – l’ecumene –, e l’impero romano si presentava come il governo dell’ecumene [...]. nella mondializzazione c’è un’idea di riuscita; ma se è vero che ci sono progressi, nello stesso tempo e correlativamente ci sono inconvenienti legati alle mondializzazioni storiche, che mettono in risalto i pericoli di quella attuale. Cosa ha apportato Roma a quella ecumene che essa ha dominato per secoli? La pace, quindi la pax romana, è un elemento legato alla mondializzazione. di conseguenza, lo spazio della mondializzazione può e deve essere considerato come spazio pacifico. evidentemente, occorre sapere cosa significa questa pacificazione, come è stata ottenuta – purtroppo è stata spesso ottenuta con la guerra – e quel che rappresenta la dominazione, pur pacifica che sia, che essa ha prodotto. La mondializzazione romana ha fatto nascere negli abitanti, o comunque nelle classi superiori degli abitanti, il sentimento di una cittadinanza universale. L’esempio più noto è quello di san Paolo, che quando stava per convertirsi al cristianesimo affermava con forza: «Civis romanus sum» (Sono cittadino romano). e la mondializzazione romana ha portato alla formazione di uno spazio giuridico. infine (secondariamente?), esiste un problema che ancora oggi viviamo: quello dell’unificazione linguistica. Cosa addebitare a questa mondializzazione? al termine di un periodo abbastanza


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 119

dai quotidiani

119

lungo – parecchi secoli –, la mondializzazione romana s’è rivelata incapace d’integrare o d’assimilare nuovi cittadini, quelli che aveva chiamato «barbari» e che, non potendo essere integrati nello spazio e nel sistema romani, si ribellarono. in generale, la mondializzazione induce a ribellarsi, più o meno a lungo termine, coloro che da essa non traggono più beneficio, ma anzi vengono sfruttati e addirittura espulsi. La colonizzazione legata all’espansione dell’europa, e che finirà sotto le forme del capitalismo, comincia nel XVXVi secolo e colpisce soprattutto africa e america. Fra quelli che possiamo chiamare progressi, bisogna riconoscere che essa pone un termine – mi meraviglia che se ne parli tanto raramente – alla crudeltà delle dominazioni e culture precolombiane in america. gli Stati aztechi, incas ed anche maya, erano di grande ferocia al loro interno: il caso più eclatante sono i sacrifici umani. un problema importantissimo che riguarda la mondializzazione è quanto accaduto dal punto di vista della salute, dello stato biologico delle popolazioni. anche in questo, la bilancia oscilla in maniera disuguale. in america, il risultato è stato globalmente catastrofico. i colonizzatori hanno portato involontariamente – salvo forse in maniera indiretta con la diffusione dell’alcol – le loro malattie, i loro microbi, i loro bacilli ed hanno sconvolto, se non distrutto, l’equilibrio biologico dei popoli mondializzati. Ma hanno portato anche progressi nell’igiene e nella medicina. il che è vero, in un periodo più recente, soprattutto per l’africa. non penso di cedere al mito dei colonizzatori francesi, in particolare del XiX secolo e della iii Repubblica, affermando che la mondializzazione deve favorire e favorisce spesso la diffusione della scuola, del sapere, dell’uso della scrittura e della lettura. Certo, sull’altro piatto della bilancia, vedo subito un grande misfatto: la violazione delle culture anteriori dei popoli attraverso una vera e propria


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 120

120

dai quotidiani

distruzione. a questo punto, occorre far entrare in gioco quella componente della mondializzazione che è la religione [...]. e affrontare, anche a rischio di sbalordire, i pericoli del monoteismo. La mondializzazione ha assunto un carattere universale con le religioni – mettendo da parte il giudaismo che si rivolge solo a una società particolare. e il cristianesimo o l’islam, con il monoteismo, hanno diffuso un’idea che facilmente – la storia l’ha dimostrato – slitta verso l’intolleranza e la persecuzione. Soprattutto quando l’aspetto economico diventa fondamentale, ci accorgiamo che la mondializzazione sviluppa, crea o comunque esaspera le opposizioni fra poveri e ricchi o dominanti. L’impoverimento è un male delle mondializzazioni che finora è quasi inevitabile. Le mondializzazioni non hanno violentato solo le culture ma la storia. «Popoli senza storia»: quest’espressione, inventata spesso dai colonizzatori, ha colpito popolazioni che, in realtà, avevano una storia particolare, sovente orale, che è stata distrutta. distruggere la memoria, la storia del passato, è qualcosa di terribile per una società.

Corriere della Sera, 14 novembre 2002 È morto a 78 anni lo storico italiano che fu chiamato da Braudel a Parigi alla scuole delle Annales. Un suo grande amico lo ricorda Le Goff: “Addio a Tenenti, ci insegnò lo stile toscano” intervista di ulderico Munzi PaRigi – Lo storico alberto tenenti, uno dei più grandi studiosi dell’età moderna, erede della grande tradizione storiografica delle Annales, è morto lunedì notte, a Parigi, per un malore improvviso. era nato 78 anni fa a Viareggio. La morte l’ha colto nella sua casa parigina tra-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 121

dai quotidiani

121

boccante di libri. un giorno la visitammo e fummo sorpresi perché mancava, per la coppia tenenti, entrambi storici di professione, un normale spazio vitale. Pareva che i libri condividessero con loro una specie di lessico familiare e che ne fossero testimoni. al di là delle mura scientifiche, pochi sanno che alberto tenenti era stato ammirato da Lucien Febvre e Fernand Braudel, i maestri delle Annales, una rivista o, meglio, una scuola che aveva lo sguardo puntato sui processi strutturali di lunga durata. Febvre e Braudel, già famosi e riveriti, andarono a cercarlo in italia e lo fecero venire in Francia, a Parigi, a metà degli anni Cinquanta assieme a Ruggiero Romano, la cui specialità era l’aspetto economico della storia. Forse tenenti si sentiva dimenticato e voleva restare dimenticato. C’era in lui il pudore di non voler apparire, soprattutto nei tempi recenti della malattia e, chissà, nel presagio della morte. un giorno del 1995, quando lo incontrammo per chiedere cosa pensasse delle rivolte di studenti e operai che dilagavano per le strade, fu sorpreso che ci fossimo rammentati di lui. «È proprio sicuro che cercava me?», chiese con la sua voce dolce e timida. e poi: «i giovani sono belli ma fanno paura». non amava riempirsi la bocca di parole superflue. all’accademia dei Lincei, dove era stato accolto, lo avevano guardato con un certo timore quelle poche volte che si era presentato con quella figura che sembrava scolpita da giacometti. Ha insegnato storia delle culture europee all’École des Hautes Études, dove aleggiava ancora la presenza di Braudel. era un italiano naturalizzato francese, profondamente radicato a Parigi, ma il suo sguardo intimo e talora segretamente rabbioso era rivolto sempre all’italia. tra i suoi ultimi libri amava L’età moderna, pubblicato dal Mulino nel 1990, perché, precisò, si sentiva coinvolto da un sentimento di paternità intellettuale. Le sue opere erano nelle vetrine delle librerie e sui tavoli universitari, erano sfo-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 122

122

dai quotidiani

gliate, annotate, commentate e conosciute, al contrario (idealmente) del loro autore, rintanato nella propria riluttanza parigina. Ci sono testi di tenenti che non si possono ignorare. Ricordiamo: L’Italia del Quattrocento pubblicato da Laterza, Dalle rivolte alle rivoluzioni edito da il Mulino, Firenze dal Comune a Lorenzo il Magnifico, editore Mursia. un Lorenzo il Magnifico che tenenti sembra conoscere come se fosse un personaggio visto di persona e frequentato. e ancora fra le opere: La vita e la morte attraverso l’arte del XV secolo, stampato dalle edizioni Scientifiche italiane, Venezia e il senso del mare e Venezia e i pirati di guerini e associati. eccoci ora con Jacques Le goff a commemorare la figura di tenenti, suo grande amico. «Si erano dimenticati di lui – dice il più eminente storico di Francia –, ma era colpa sua. era una persona che non cercava di farsi conoscere, non voleva imporsi, e più che modesto, perché tenenti aveva coscienza del suo valore, ma era un un uomo discreto. Rivendicava la sua “toscanità”, austera, magra, essenziale, senza gesticolazioni. ecco perché non amava Roma. Faceva storia alla toscana». «in cosa consiste questo suo modo di fare storia?» «un modo di fare storia che definisco rigoroso. Lui avrebbe detto, appunto “toscano”. io aggiungo: secco come la sua persona, senza un grammo di grasso, senza nulla di superfluo». «gli italiani avrebbero dovuto manifestare maggiormente la loro riconoscenza per uno studioso così insigne. Ma gli italiani, professore, sono gente distratta da altro...». «ebbene, in compenso, spero che i miei connazionali gli renderanno omaggio perché debbono molto ad alberto tenenti. era diventato francese, ma viveva intensamente i problemi del suo Paese. era uno storico direi “doppio”, italiano e francese, costituiva un legame culturale fra l’italia e la Francia. immagini una corda tesa fra le due nazioni e lui,


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 123

dai quotidiani

123

tenenti, che la percorre, va su e giù senza esitare, sicuro di sé e, badi bene, perché non era un funambolo, aveva il senso innato dell’equilibrio». «È stato il primo storico che lei abbia veramente frequentato», diciamo a Le goff. «Parlavate per ore, seduti nei caffé. Vi siete conosciuti nel 1953 a Roma, città che tenenti detestava e che lei, professore, adorava». e Le goff ricorda: «alberto aveva appena scritto un piccolo libro sulla vita e la morte nell’arte del quattrocento, il senso della morte e l’amore della vita. È stato lui a lanciare un problema storico diventato, in questi ultimi trent’anni, estremamente importante. L’atteggiamento nei confronti della morte. e poi, intrecciato, il modo con il quale le persone gioiscono della vita, utilizzano la vita. agli occhi di tenenti la vita e la morte formano una coppia, coi loro rapporti intimi. aveva uno stile di lavoro diverso rispetto agli altri storici. Sprofondava nelle fonti letterarie e artistiche. Le Annales hanno un debito enorme con tenenti. Ha offerto agli storici francesi, come Ruggiero Romano, la ricchezza della storia italiana. non dimentichiamo che la “nutrice” di tenenti fu la Scuola normale Superiore di Pisa. Ma il suo segreto era la padronanza della ricerca di archivio. a Venezia, un giorno, mi fece pensare a un subacqueo che porta alla luce inestimabili tesori, che poi vedevo riflessi nel suo sguardo».

La Repubblica, 7 giugno 2003 In un’Europa religiosa e laica è giusto non nominare Dio intervista di giampiero Martinotti PaRigi – un preambolo equilibrato, che potrebbe essere migliorato con un richiamo della laicità e un esplicito riconoscimento dell’importanza storica per l’europa del


04Articoli_impaginato.qxd 11/05/15 09:39 Pagina 124

124

DAI QUOTIDIANI

giudeo-cristianesimo. Così la pensa Jacques Le Goff, grande storico del Medioevo e attento osservatore dell’attualità. «Professor Le Goff, in un’intervista a Repubblica, un anno fa, lei si era detto contrario a dichiarazioni di ordine religioso nella costituzione europea: il preambolo redatto dalla Convenzione guidata da Valéry Giscard d’Estaing la soddisfa?» «Prima di risponderle vorrei dire che l’insieme del lavoro della Convenzione, per quel che ne so, è positivo e spero si concluda con successo. Ciò detto, in linea generale il preambolo mi soddisfa, ma ho un certo numero di osservazioni e di critiche da fare». «Andiamo con ordine: cosa le piace di più?» «La prima soddisfazione è che non venga nominato Dio. Ma non mi fraintenda: non sono ateo e la mia non è una reazione di ateismo. Tuttavia, mi sembra che menzionare Dio in questo affare, che è un affare umano, non sia la cosa migliore. In secondo luogo, penso a quel che vediamo nel mondo: le nazioni e i popoli che invocano con solennità Dio sono fra quelli maggiormente responsabili di colpe gravi. Purtroppo, questa invocazione a Dio è una manifestazione dell’effetto pernicioso della religione mal utilizzata a fini propriamente umani». «Questa è la cosa che la convince di più. Cosa la lascia più insoddisfatto?» «Uno dei miei rimpianti è l’assenza di una menzione precisa, specifica della laicità. Mi sembra che nel primo paragrafo, in cui si parla dei valori che fondano l’umanesimo, dopo l’eguaglianza degli esseri umani, la libertà, il rispetto si sarebbe potuto aggiungere la laicità. Una laicità rispettosa della libertà di culto delle religioni. Per essere vera, infatti, deve separare la religione dalla vita sociale e politica, ma nel rispetto delle legittime pratiche religiose, individuali e collettive». «E cosa pensa dell’assenza nel preambolo della parola cristianesimo?»


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 125

dai quotidiani

125

«qui sta forse la critica maggiore che vorrei fare, data la mia natura di storico del Medioevo. Prima di tutto, devo esprimere una vera soddisfazione: questo preambolo ricolloca nella storia la civiltà europea e i valori dell’europa. È detto fin dall’inizio: “i suoi abitanti, giunti a ondate successive fin dagli albori dell’umanità”. Poi, nel secondo paragrafo, c’è l’enumerazione delle principali correnti della civiltà europea: si parte dalle civiltà ellenica e romana e si arriva alla filosofia dei Lumi, l’ultima grande corrente di tutta l’europa dal punto di vista dei valori. Mi pare un’ottima cosa. Ma in mezzo a quegli estremi temporali sta precisamente il mio Medioevo e gli autori del testo cosa dicono? Che i retaggi culturali, religiosi e umanistici sono “segnati dallo slancio spirituale che ha attraversato l’europa, e continua ad essere presente nel suo patrimonio”. una curiosa redazione». «Perché la trova curiosa, professor Le goff?» «È stato chiesto a giscard cosa volesse dire e lui ha risposto che ovviamente, quando si parla di slancio spirituale, si tratta del cristianesimo. Ma allora perché non dirlo? Su questo punto reclamo, se così posso dire, più religione, perché in una prospettiva storica l’importanza della religione nella storia europea mi pare imporsi. e mi auguro che si parli di giudeo-cristianesimo, perché bisogna anche sottolineare l’importanza dell’ebraismo nella civiltà europea. aggiungo di essere d’accordo con la scelta di dar soddisfazione ai sostenitori della religione quando si sottolinea la sua presenza nel nostro patrimonio: è un modo per riconoscere l’importanza della religione in europa nel lungo periodo del Medioevo, fra l’antichità e l’illuminismo». «non ha altre osservazioni?» «no, il resto mi sembra ben fatto. nella sua forma attuale mi sembra accettabile, ma sarei felice se ci fossero le aggiunte e le correzioni che le ho detto: da un lato, la menzione esplicita della laicità e della libertà di culto; dall’altro, nell’evocazione storica, il riconoscimento del giudeo-crista-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 126

126

dai quotidiani

nesimo al posto della formula veramente ridicola sullo slancio spirituale. È probabilmente un compromesso, non so fra chi, ma non è una formulazione corretta, a differenza di quelle sulle civilità ellenica e romana e sull’illuminismo. È la mia critica maggiore. anche Jacques delors, che considero il miglior europeista, ha fatto questa critica». «il preambolo è veramente necessario? nelle costituzioni nazionali non ci sono riferimenti spirituali o culturali, perché devono esserci in quella europea?» «C’è una vera ragione. Per quel che riguarda gli Stati, i valori e gli obiettivi da affermare all’inizio di una costituzione possono fare un certo riferimento alla storia, ma per quel che riguarda l’europa è chiaro che la civiltà, la cultura sono il fermento e la manifestazione essenziale della sua unità. di conseguenza, credo che i suoi valori e la formazione dei suoi valori nel tempo storico debbano essere affermati all’inizio, tanto più che se si rilegge il paragrafo successivo del preambolo, questa traiettoria di civiltà, di progresso e di prosperità fa chiaramente allusione anche al progresso sociale». «e in questo quadro si deve dunque citare la religione come elemento culturale, di civiltà?» «Sì, perché la religione ha avuto valore religioso solo per i credenti, ma per tutti è o deve essere un valore culturale. ed è dunque in quanto cultura che la religione appare nel preambolo, ma non in quanto religione. Penso che per accontentare i militanti, a cominciare dal papa, aver messo nel preambolo che si tratta di un movimento sempre presente nel nostro patrimonio è una formulazione del tutto accettabile».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 127

dai quotidiani

127

Corriere della Sera, 2 novembre 2003 La nostra ricerca non è finita, può spiegare l’11 settembre intervista di ulderico Munzi PaRigi – «il metodo della scuola delle Annales non è un caro estinto», dice Jacques Le goff, grande storico, maestro di immagini e allievo di Bloch e Braudel. «dunque, professore si può ancora utilizzare?» «Voglio essere sincero. L’eredità delle Annales in parte è superata. Ma contiene acquisizioni che ritengo più che mai valide e propositi che si dovrebbero ancora portare a termine. Mi riferisco, ad esempio, alla storia della sensibilità e delle mentalità. un ideale suggerito dalle Annales è quello di realizzare una storia globale o totale. Sappiamo oggi che il solo e arduo modo per arrivarci comporta l’esplorazione simultanea di diverse vie di avvicinamento: la storia sociale, la storia politica, quest’ultima un po’ trascurata dalle Annales; poi, ispirandoci a Marc Bloch, la storia del potere e infine la storia dell’immaginario e la storia dei valori. Bisogna sempre studiare le società globali, mai limitandoci alle élite, e ci sono forme valide e progressiste di mondializzazione della storia che s’impongono sempre di più. Le Annales di oggi vogliono essere all’avanguardia di questa mondializzazione della storiografia». «Se si fossero adottate quelle che lei chiama le “diverse vie di avvicinamento”, si sarebbero potuti individuare i segnali, direi, storici che annunciavano l’11 settembre?» «Certamente. L’analisi dell’11 settembre mi pare un buon esempio di avvenimento globale in quanto cristallizza tutta una sorta di aspetti della storia e di mezzi per esaminarli. Sono estremamente riluttante nel pensare che uno storico possa imbastire previsioni. era un problema già posto da Bloch: la capacità dello storico davanti all’avvenire! Mi domando, anzi, se uno storico non debba abbando-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 128

128

dai quotidiani

nare la sfera delle previsioni ad altri esperti. Credo che lo storico, per il momento, sia quasi disarmato. Però ritengo anche che era possibile, se non di prevedere l’11 settembre, almeno di seguire l’evoluzione delle società che si sentono oppresse dalla dominazione occidentale e specialmente da quella americana. era possibile cioè intuire che le manovre di Washington per rafforzare la propria egemonia avrebbero causato delle rivolte, tra le quali il fenomeno terroristico. tutto ciò gli storici potevano ipotizzarlo e analizzarlo. Per comprendere il presente e il passato, lo storico deve agire con altri specialisti. Per il passato, resta il monarca assoluto. Per il presente e per l’avvenire deve lavorare con economisti, sociologi e politologi». «gli storici italiani sono accusati di essere una compagine di eruditi incomprensibili». «io vedo un’evoluzione degli storici italiani (come altri in occidente) che hanno indossato, direi, le vesti di “attori sociali”, grazie a una parallela evoluzione di editori che in italia sono più combattivi, come Laterza, il Mulino, einaudi, Mondadori. questi editori hanno preso coscienza che non debbono pubblicare soltanto testi ermetici. e così favoriscono opere per un pubblico più vasto. Certo, la divulgazione sottintende un ricco mercato. È nata la figura del consigliere storico dell’editoria. Ma il fenomeno non va contro la ricerca erudita, sempre necessaria, si rivolge alla quotidianità individuale. È il momento della storia per la società».

La Repubblica, 2 ottobre 2004 Così la nostra Europa perderebbe l’anima intervista di giampiero Martinotti PaRigi – «Jacques Le goff, lei è uno degli storici più ascoltati del nostro tempo ed è sempre stato un convinto


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 129

dai quotidiani

129

europeista. al tempo stesso, non nasconde la sua radicale contrarietà all’ingresso della turchia nell’ue: come mai?» «Prima di tutto, penso che l’europa si definisca attraverso tre criteri: un territorio, delle istituzioni e una pratica. Le istituzioni e la pratica, su questo siamo tutti d’accordo, devono essere democratiche. e io aggiungerei che l’europa deve essere laica, anche se sarei stato favorevole a una menzione più precisa, nella costituzione europea, dell’importanza storica del cristianesimo». «Fermiamoci un attimo su questo punto: il regime turco non è democratico?» «non del tutto, in particolare per il suo atteggiamento nei confronti delle minoranze. una democrazia deve rispettarle e offrire loro la libertà, nei limiti della comunità nazionale, ma in turchia ci sono due problemi. il primo è storico: da poco tempo, gli Stati e le istituzioni riconoscono un certo numero di colpe del passato e mi sembra indispensabile che la turchia riconosca il genocidio armeno. e poi c’è il problema curdo: la situazione attuale non è accettabile, i curdi dovrebbero avere una larga autonomia. Sono solo due aspetti che indicano come le condizioni di un regime pienamente democratico non siano ancora riunite». «Veniamo al primo criterio che lei ha definito, quello legato al territorio. È forse la domanda più difficile: cos’è l’europa, quali sono i suoi confini?» «L’europa non è un guazzabuglio, ha una sua coerenza e per disegnarne i contorni abbiamo a disposizione la geografia e la storia. È un problema molto difficile. dal punto di vista geografico, l’europa è l’estremità del continente eurasiatico. Vediamo facilmente le sue frontiere a nord, a sud e a ovest, perché sono fissate dal mare. il problema è a est. i geografi greci, che hanno dato il nome all’europa, ripresi poi dai chierici del Medioevo, hanno fissato la frontiera orientale al tanais, cioè il don. quest’europa ingloba la maggior parte dell’ucraina e della Bielorussia e solo una


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 130

130

dai quotidiani

piccola parte della Russia occidentale. oggi questa frontiera non significa granché». «Molto più vicino a noi, il generale de gaulle ha parlato di un’europa che va dall’atlantico agli urali: è una frontiera plausibile?» «gli urali non sono un confine certo: si superano e la Russia si è storicamente sviluppata sui due versanti». «e allora come fissiamo questa sfuggente frontiera orientale?» «una cosa è certa: territori oggi considerati come asiatici non possono entrare ufficialmente e concretamente nell’europa. Per un certo periodo, l’europa dovrà rispettare una geografia il cui limite è da qualche parte tra la frontiera occidentale e quella asiatica della Russia. tuttavia, la geografia è chiara in un punto: a sud di questo limite orientale c’è una frontiera, rappresentata dal Bosforo e dal mar di Marmara. un pezzetto di turchia è europeo, con la più grande città del paese, istanbul, ma il grosso del territorio geografico turco è asiatico, il suo nome corrente è asia minore. dal punto di vista geografico, un’europa che andasse fino all’iraq non avrebbe senso, sarebbe incoerente. C’è già chi esprime timori sull’allargamento a 25: a maggior ragione, l’ingresso della turchia farebbe capottare l’europa. È un rischio che non possiamo correre». «in questo ragionamento non c’è anche una ragione religiosa, la difficoltà ad accogliere un paese musulmano?». «non è la mia posizione. Ci sono europei ostili all’adesione turca per ragioni religiose, perché pensano che un paese musulmano, anche se piuttosto laico, non possa entrare in un insieme così fortemente marcato dal cristianesimo. Per me, l’europa è laica e questo aspetto non ha peso. Ci sono già degli europei musulmani» «Ma la turchia appartiene anche alla storia europea, l’impero ottomano ha controllato a lungo territori del nostro continente: questo non conta?»


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 131

dai quotidiani

131

«a cementare l’unità europea è la cultura, che si manifesta attraverso la sua diversità, ma la turchia non ha niente in comune con l’europa. i turchi sono stati non solo dei conquistatori, dei dominatori (questo tipo di relazioni possono cambiare), ma semplicemente degli stranieri. Fra i membri dell’impero ottomano, di cui alcuni sono in europa, bisogna distinguere precisamente fra quelli che da molto tempo vivono nello spazio europeo e quelli che sono rimasti all’esterno, geograficamente e culturalmente. non voglio usare parole troppo ridondanti, ma temo che l’ingresso della turchia tolga all’europa la sua anima». «Ma la sua adesione non sarebbe anche un messaggio lanciato agli altri paesi musulmani, la dimostrazione che uno Stato laico, anche se appartenente all’islam, può essere accolto nella comunità occidentale?» «no, non credo a questo argomento. non spetta all’europa ripagare la laicità della turchia e del resto c’è un paese musulmano ancora più laico, la tunisia. Le nozioni di territorio e di frontiera cambiano con il tempo e non rifiuto l’idea che un giorno la turchia abbia le carte in regola per aderire. nell’immediato, bisogna firmare accordi con ankara, farne un partner privilegiato, stabilire cosa vogliamo veder cambiare in turchia. È questa la strada giusta da percorrere. La storia profonda, essenziale si fa lentamente: volere tutto e subito è un non senso storico».

La Repubblica, 7 novembre 2005 Sulla violenza nelle banlieues intervista di Pietro del Re PaRigi – «Più che ai moti studenteschi del Sessantotto, la violenza dei ragazzi di banlieue mi fa pensare alla rivolta dei Ciompi che vide opporsi nella Firenze del trecento i


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 132

132

dai quotidiani

lavoratori tessili alla borghesia cittadina», dice Jacques Le goff, grande medievalista, raffinato scrittore ed esperto conoscitore della storia d’italia. «Mi vengono in mente anche le sommosse dei chartists, durante i primi movimenti operai nell’ inghilterra appena industrializzata». La conversazione di Le goff spazia da jacqueries a sanguinosissime repressioni, da insurrezioni a teste mozzate. Poi però il celebre studioso comincia a sparare a zero sullo stato francese e sulle colpe del suo massimo rappresentante, il presidente Jacques Chirac, che definisce una «nullità politica». «non è il governo di centrodestra che ha creato la situazione attuale, ma è lui che l’ha aggravata». «Professor Le goff, come si è giunti a questa crisi?» «È una situazione latente, che cova sotto le ceneri da diversi anni. Perché è esplosa proprio adesso? Per via delle drammatiche condizioni economiche, sociali e culturali in cui si trovano questi giovani che non sono minimamente integrati e che non hanno avvenire». «Ma che cosa ha scatenato il caos?» «Vede, non è esatto sostenere che la polizia francese sia interamente razzista, però è innegabile che tra le sue forze ci sia un certo numero di uomini razzisti e violenti. qualche giorno fa due giovani banlieusards sono morti durante gli scontri: ebbene, il ruolo della polizia in quell’incidente è rimasto oscuro. Poi ci sono state le dichiarazioni del ministro degli interni, nicolas Sarkozy, che ha trattato questi giovani di racaille (feccia, ndr). quest’ultimo fatto ha modificato lo stato d’animo dei rivoltosi, i quali adesso si sentono abbandonati e insieme disprezzati». «quali soluzioni suggerisce per riportare la calma?» «Bisognerebbe anzitutto trovare un lavoro ai disoccupati per integrarli in quella società che vorrebbero distruggere. Ma questo mi sembra un obbiettivo difficilmente raggiungibile perché le politiche sociali del governo francese sono disastrose».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 133

dai quotidiani

133

«Crede che le scuse del ministro Sarkozy, richieste sia da parte dei rivoltosi sia dall’opposizione, servirebbero a placare gli animi?» «Credo che i problemi di rispetto e di disprezzo siano fondamentali. del resto, la ricerca del perdono è diventata una consuetudine politica. Va di moda. giovanni Paolo ii ha chiesto scusa agli ebrei per le persecuzioni subite durante l’inquisizione. Chirac, e questo è un punto sul quale si è comportato correttamente, ha chiesto scusa per gli eccessi della colonizzazione francese, soprattutto in algeria. Molti europei esigono dai turchi che questi chiedano scusa per il genocidio degli armeni. detto ciò, non credo che basterebbe un “mi dispiace” pronunciato da Sarkozy per risolvere la crisi». «e allora come rispondere a tanta violenza?» «L’ostilità dei giovani è rivolta anzitutto contro la polizia, poi contro il governo, infine contro l’insieme della società. È per questo che, sia pure in modo inconsapevole, scatenano il loro odio contro uno dei simboli del successo nella nostra società: l’automobile. L’atto simbolico della rivolta è incendiare le macchine». «quindi?» «Le colpe prima del governo Raffarin e poi di quello Villepin sono enormi, poiché hanno fatto scomparire quelle strutture che servivano a smussare le tensioni. Mi riferisco, per esempio, alla polizia di quartiere che aveva anche il compito di discutere con i giovani. oggi, nelle banlieues esiste soltanto una “polizia di repressione”. Sono stati anche cancellati molti ruoli di mediazione. Penso a quegli operatori sociali incaricati di far regnare una certa pace sociale creando forme di dialogo tra le comunità». «Sono ‘organizzati’ questi giovani, come sostengono le autorità?» «non credo. Si tratta piuttosto di fenomeni di contagio, di imitazione, che fanno sì che le violenze si propaghino all’interno della regione parigina».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 134

134

dai quotidiani

«Come andrà a finire?» «Sono ottimista e anche pessimista: ottimista perché non credo che si arriverà a una violenza generalizzata; pessimista perché le cause profonde del disagio di questi giovani dureranno ancora a lungo, almeno fino al 2007, ovvero fino a quando al potere ci sarà Chirac. Fino a quella data, lo stato sarà incapace di trovare soluzioni adeguate». «da Rio a nairobi e da Parigi a Roma? Crede che un giorno non troppo lontano si parlerà di mondializzazione della violenza nelle periferie?» «Può darsi. Ma al momento quello che accade nelle favelas brasiliane è molto diverso da quanto accade nelle banlieues parigine. Ma non possiamo escludere che queste differenze vadano assottigliandosi». «non pensa che nell’era della televisione uno dei motivi che spingono alla devastazione e al saccheggio sia quello di apparire in video?» «Sicuramente. Credo tuttavia che nelle periferie parigine la violenza non sia un fine ma un mezzo: è lo strumento di rivendicazione per portare i problemi di una generazione sulla pubblica piazza».

Corriere della Sera, 19 dicembre 2005 Lo storico francese intervenie sulla proposta di «riformare l’aldilà» Le Goff: cancellato il limbo adesso tocca al purgatorio. “L’immagine dell’eternità non è mai definitiva. Incerto anche il futuro di inferno e paradiso”

intervista di armando torno «dopo il limbo, verrà cancellato il purgatorio?» «Per rispondere ricordiamo innanzitutto che il limbo non è durato nemmeno mille anni, giacché il termine appar-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 135

dai quotidiani

135

ve in teologia soltanto dopo Pietro Lombardo (morto nel 1160). e per il purgatorio – luogo che non è menzionato esplicitamente nella Bibbia, ma taluni passi ne suggeriscono l’idea – può anche essere cominciato il conto alla rovescia. dopo di che è logico credere che si dovranno “sistemare”, o quanto meno pensare diversamente, anche paradiso e inferno». Porgendo la questione a Jacques Le goff, lo storico francese noto per i suoi studi sull’aldilà (einaudi ha tra l’altro tradotto La nascita del Purgatorio), in questi giorni che precedono il natale e nei quali ancora si discute sulla decisione della Chiesa di fare chiarezza nelle dimensioni ultraterrene, abbiamo avuto l’impressione di essere finiti in un dibattito medievale. Magari tenutosi nel capitolo di una cattedrale o in quella sala del monastero di Camaldoli, accanto al camino, dove Lorenzo de’ Medici, Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, il beato Mariotto e altri personaggi del genere cominciarono un giorno del tardo quattrocento a discutere sulla vita futura dell’anima, sulla sua immortalità e su questioni di cui i più stanno perdendo memoria. invece chi scrive era a Parigi. e il professore gli confidava a proposito del limbo: «Prendo atto che, dopo averlo immaginato, la Chiesa lo ha fatto sparire. Certe credenze hanno una durata storica limitata ma questa non riguarda, in modo rigoroso, che la fede ufficiale. quella popolare e l’immaginazione poetica sono libere di conservare quanto è stato rigettato dalla Chiesa». Certo, dopo una risposta del genere, è inevitabile chiedere a uno studioso quale Le goff come è nato il limbo. «nel Xii secolo – prosegue il nostro interlocutore – si è costituita questa idea e fu subito ripresa dalla Scolastica, la corrente filosofica più rilevante del medioevo. L’aldilà cristiano – sottolinea Le goff – che in un primo tempo non comprendeva che il paradiso e l’inferno, nei quali le anime dei morti erano destinate per l’eternità, arrivò a definire di


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 136

136

dai quotidiani

fatto l’esistenza di altri luoghi. accanto ai due, per così dire fissi, ne nacquero ancora tre, più o meno provvisori». il professore viaggia con sicurezza in queste dimensioni, le conosce come pochi: «La Chiesa considerava che ci fossero due limbi. il primo di essi era quello dei patriarchi, dove si trovavano i giusti dell’antico testamento che non hanno potuto essere riscattati poiché avevano vissuto prima della redenzione, ma poi furono ricondotti in paradiso da gesù durante la sua vita terrestre. il limbo dei patriarchi si è dunque svuotato per l’eternità. di contro ce n’era un altro, quello dei bambini morti prima del battesimo. La loro situazione era ambigua: non battezzati, non potevano andare in paradiso; non caricati di peccati personali, non erano colpevoli, e dunque condannati all’inferno. Per me i teologi contemporanei cercano una soluzione ortodossa a questo difficile caso». una questione che, tra l’altro, si perde nei secoli. Chi scrive ricorda di essersi occupato in altri tempi del dibattito che nacque intorno alla santificazione degli innocenti (la festa si celebra il 28 dicembre), uccisi per ordine di erode. La questione che si poneva era legata al loro martirio, causato anche se non direttamente dalla nascita del Cristo. La soluzione che si trovò fu semplice ed efficace: quei bimbi erano stati battezzati con il loro stesso sangue, quindi potevano entrare in paradiso e i fedeli venerarli come santi. Ma torniamo a Le goff. e la domanda d’obbligo riguarda il destino del purgatorio. La sua risposta è serena: «Penso verrà abolito anch’esso. È legato a una certa durata storica, nata come dicevo nel Xii secolo e che oggi sta per cancellarsi. del resto, non penso che l’idea di un aldilà temporaneo, come quella del purgatorio, sia ritenuta definitiva». «già, e l’inferno?» «È contrario – ribatte il professore – all’idea crescente della compassione divina. d’altronde sono state cercate nel ventesimo secolo, dentro o fuori dal cristianesimo, delle


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 137

dai quotidiani

137

definizioni metaforiche dell’inferno che rimpiazzerebbero le realtà del terrorismo infernale tradizionale». il discorso non fa una grinza, ma ci chiediamo a questo punto cosa succederà al paradiso, anche se tutte queste domande riguardano il nostro tempo provvisorio. Le goff nota: «il paradiso ha senza dubbio una definizione dogmatico-teologica, ma come tutte codeste credenze e realtà immaginarie, che hanno ossessionato le prospettive di donne e uomini nel corso della storia, è anche una costruzione culturale. Sulla condizione attuale del paradiso consiglio di leggere il bel libro di Jean delumeau, Que reste-t-il du paradis? pubblicato da Fayard». noi italiani abbiamo dante. di riforma in riforma, a scuola si legge sempre meno. Le goff lo conosce benissimo e ne parla: «un’opera geniale come la Divina Commedia ha contribuito molto non soltanto a costruire l’immaginario dell’aldilà, ma ha influenzato anche la sua definizione teologica. Segnalo il particolare che dante ha fatto del purgatorio, fino allora sotterraneo e vicino all’inferno, una montagna che si eleva sulla terra sino al paradiso; e il fatto che egli abbia ben distinto il paradiso terrestre e il paradiso celeste, contribuisce a rendere un passato immaginario immacolato: l’età dell’oro e un avvenire meraviglioso». gli chiediamo cosa potrebbe succedere all’aldilà dell’occidente. «Paradiso, inferno e purgatorio – nota Le goff – hanno a mio avviso un duplice futuro possibile: l’uno, che è assicurato, è il fatto di aver rappresentato credenze forti per i seguaci di Cristo: la storia e l’evoluzione a cui saranno soggetti dipenderà dalla religione cristiana e dall’immaginario che prevarrà; il secondo sarà conseguenza delle nuove credenze nell’aldilà. Ma lo storico non è un profeta e le ignora». osservazione indiscutibile, alla quale aggiungiamo una domanda: come vede il «suo» purgatorio? Risponde: «non sono un credente, ma uno storico che ha


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 138

138

dai quotidiani

ricercato e studiato gli aspetti con i quali gli uomini hanno ideato il purgatorio. io, francamente, non lo immagino». e aggiunge: «Credo che l’aldilà sia pura immaginazione o una realtà scientifica che ignoriamo o anche una credenza soggetta all’evoluzione storica». insomma, il limbo non c’è più. il purgatorio sembra quasi in amministrazione controllata. L’inferno, siamo troppo buoni per riempirlo di anime e aumentano ogni giorno coloro che sono disposti a crederlo vuoto. Resta il paradiso. Conviene aprirlo a tutti. un’idea che potrebbe rappresentare la miglior soluzione anche per la democrazia. in tal caso riusciremo a esportarla nell’aldilà».

La Repubblica, 7 dicembre 2006 Così san Nicola cambiò la storia d’Europa intervista di Fiorella Sassanelli La traslazione delle ossa di san nicola da Myra a Bari ha innescato un culto che dal Medioevo prosegue incessante oggi, unendo oriente e occidente nell’adorazione del santo tra i più venerati al mondo. S’intitola infatti San Nicola. Splendori d’arte d’Oriente e Occidente la grande mostra di icone che dopo il vernissage di ieri apre oggi al pubblico al castello Svevo di Bari. Sull’ecumenismo di san nicola interviene da Parigi anche uno dei massimi storici del Medioevo, il francese Jacques Le goff. «Professor Le goff, com’era percepita la figura di san nicola nel Medioevo?» «San nicola è ancora oggi considerato un santo piuttosto oscuro. Visse tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo in anatolia, quindi in oriente, era vescovo e a differenza di molti santi, non fu un martire. il culto si sviluppò a partire dalla fine dell’undicesimo secolo, quando le sue reliquie furono trafugate e portate a Bari. nel Medioevo il cristianesi-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 139

dai quotidiani

139

mo distingueva i latini romani dai greci ortodossi e, caso raro nella storia dei santi, san nicola era venerato presso entrambi. Ciò porta a riflettere sul ruolo della Puglia che, già nel Medioevo, creava un legame importante tra l’occidente e l’oriente: perché era terra di passaggio di tanti pellegrinaggi, ma perché era essa stessa, come anche la Sicilia, luogo d’incontro tra romani e greci». «Com’è evoluto il culto di san nicola?» «Molto hanno contato le storie e le leggende che ne hanno aumentato la popolarità. nel tredicesimo secolo la Legenda aurea di Jacopo da Varazze e ha fatto emergere le prime storie su san nicola. La prima raccontava di come avesse salvato tre ragazze dalla prostituzione, la seconda di come avesse resuscitato tre bambini uccisi da un macellaio che li aveva poi messi sotto sale. Soprattutto quest’ultima storia ha fatto di san nicola il patrono dei bambini, che a ben vedere, non avevano goduto di considerazione finché, nel tredicesimo secolo, non si è cominciato ad adorare la figura di gesù bambino. La popolarità del culto di san nicola ha favorito in massima parte la nascita del culto dei bambini e al contempo ha fatto sì che molti di loro ricevessero il nome nicola». «a questo rapporto tra san nicola e i bambini va rincondotta l’analogia che esiste tra san nicola e Babbo natale?» «Senz’altro. e infatti in alcune regioni dell’est della Francia e in germania i bambini ricevono i doni la sera del 6 dicembre». «San nicola è anche il patrono dei marinai». «Credo che non sia un caso che il centro di diffusione del culto sia Bari. La città è innanzi tutto un porto, ecco perché presumibilmente san nicola è stato assunto dai marinai quale loro santo protettore. tanto più che gli uomini del Medioevo temevano fortemente il mare e i naufragi». «San nicola è oggi anche un’icona della conciliazione. La condivisione del culto presso romani e ortodossi può far pensare a una forma di ecumenismo già nel Medioevo?»


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 140

140

dai quotidiani

«no, e perché nel Medioevo non esisteva ancora l’idea di religione che s’afferma invece nel diciassettesimo secolo. nel Medioevo i cristiani si limitano a considerare pagani tutti gli altri, ad eccezione dei cristiani greco-ortodossi, che si erano ‘illegittimamente’ separati con uno scisma nel 1054, e gli ebrei». «La condivisione del culto presso questi “cristiani illegittimi” non rischiava di fare di san nicola a sua volta un santo “illegittimo”?» «il culto di san nicola apparteneva a una sfera popolare che non era oggetto di teologia. gli uomini e le donne del Medioevo erano capaci di sentimenti di indipendenza, apertura e amicizia sui quali la Chiesa, per fortuna, non interveniva». «San nicola era già nel Medioevo un santo delle masse?» «il concetto di massa è difficile da definire. La figura di san nicola era comunque molto diffusa e popolare, estesa ben oltre le classi nobiliari». «San nicola mantiene alto un senso di umanità corporea in vita e in morte. da vivo è stato infatti più che un vescovo, stando sempre dalla parte dei cittadini. Ma la sua corporeità trascende anche la morte, attraverso un corpo che dà testimonianza di sé con le ossa e la manna che da essa trasuda. quest’idea di corporeità non è forse in contraddizione con un Medioevo proiettato solo verso la spiritualità e la trascendenza?» «questa è la visione distorta che del Medioevo hanno offerto l’umanesimo e l’illuminismo. non è affatto vero che nel Medioevo si disprezzava il corpo. anzi, il corpo gioca un ruolo ampiamente positivo se si tratta di un corpo benedetto dal dogma. e infatti basta considerare l’attenzione che la Chiesa ha posto per secoli al corpo attraverso l’iconografia dei santi: un fenomeno che culmina in san Francesco, e che la mostra barese documenta molto bene».


04Articoli_impaginato.qxd 11/05/15 09:39 Pagina 141

DAI QUOTIDIANI

141

La Repubblica, 12 settembre 2007 Ma Le Goff non ci crede: solo cavalleria, anche 700 anni fa comandavano i maschi. Intervista di Pietro Del Re PARIGI – «Professor Le Goff, le risulta che tra il XII e il XV secolo ci sia stato un girl power in Europa?» «Chi lo dice?» «Lo sostiene la storica britannica Sue Niebrzydowski, dell’Università di Bangor». «Mi sembra l’affermazione di una persona molto presuntuosa e soprattutto molto ignorante. Mi dispiace essere così poco rispettoso nei confronti di questa signora, ma credo che confonda il cosiddetto girl power con la cortesia medievale». «Eppure alcuni storici hanno scritto che soltanto nell’Occidente medievale la donna riuscì a guadagnare un po’ d’indipendenza e di prestigio». «Certo, e io sono tra quelli. Ma la dominazione maschile è sempre stata schiacciante». «A sostegno della sua teoria, la professoressa Niebrzydowski parla di numerose donne che dirigevano abbazie, che finanziavano opere d’arte, che visitavano da sole la Terra santa e via dicendo. È vero?» «Ci sono state delle badesse, alcune delle quali hanno avuto un ruolo politico di una certa importanza, ma non dobbiamo dimenticare che i conventi femminili erano sempre sottoposti a quelli maschili». «Sempre secondo la storica inglese, durante quei secoli bui le donne erano molto più indipendenti dal potere maschile, anche dal punto di vista finanziario, di quanto non si creda. È d’accordo?» «L’unica cosa che mi viene in mente è che nel Quattrocento è apparsa la prima letterata donna della storia. Era


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 142

142

dai quotidiani

un’italiana ma che visse in Francia e scrisse in francese: Christine de Pisan o, se preferisce, Cristina di Pisano. nata a Venezia nel 1364 e morta a Poissy nel 1430, poetessa e filosofa, fu molto critica con la misoginia dei suoi tempi. oggi qualcuno la considera l’inventrice del femminismo». «Ma ci sono state anche regine, imperatrici, sacerdotesse». «diciamo che ci sono state donne che hanno avuto un certo potere quando la storia di un paese ha permesso loro di diventare importanti. Penso, per esempio, a eleonora d’aquitania, che fu prima regina di Francia e poi d’inghilterra, e che ebbe una grande influenza sui propri figli. Ma dal punto di vista sociale e politico la donna viveva sempre nell’ombra dell’uomo». «anche quando una moglie diventava vedova ancora giovane, ereditando la fortuna del marito?» «non cambiava granché. C’era sempre uno zio, un fratello o un amante cui doveva sottomettersi. C’è stata però una maggiore attenzione alla donna quando la Chiesa cominciò a promuovere il culto della Vergine Maria».

La Repubblica, 12 settembre 2007 Mille anni di passioni segrete intervista di Pietro del Re eva è il demonio. È all’origine dei mali del mondo, perché tentatrice, istigatrice del peccato e colpevole della cacciata dell’umanità dal paradiso. Con lei, nel Medioevo la donna diventa l’icona del vizio. «eppure, non si può dire che la società dell’epoca sia stata antifemminista», spiega lo storico francese Jacques Le goff. «anche perché i rapporti tra i sessi avevano un carattere ambiguo: l’uomo medievale era spesso una creatura androgina».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 143

dai quotidiani

143

a ottantacinque anni, Le goff è uno dei più illustri eredi della École des annales. L’ultima sua fatica è quasi un instant book: sta scrivendo un libro sui soldi nel Medioevo, «per dimostrare che le banche hanno sempre fallito». «Professore, che cosa sappiamo del comportamento sessuale di quei secoli bui?» «quasi nulla, perché salvo le espressioni letterarie o artistiche, abbiamo pochi documenti che ci permettono di capire che cosa realmente accadesse nel segreto dell’alcova». «dopo il matrimonio medioevale, assieme all’uomo e alla donna nel letto nuziale c’è anche dio. era legittimo il coito coniugale o era soltanto una concessione alla procreazione?» «il matrimonio diventa sacramento solo dopo il quarto Concilio lateranense, nel 1215. Fino ad allora non era riuscito a distinguersi da quello che era nell’antichità romana: un contratto. tuttavia, anche se ci si sposava al di fuori della Chiesa, per essere valido agli occhi del clero, e quindi a quelli di dio, il matrimonio doveva essere consumato». «Ma godere è sempre peccato?» «generalmente sì. nel duecento, proprio quando la Chiesa inventa il purgatorio per strappare l’uomo alla tradizionale opposizione inferno-paradiso, san tommaso d’aquino nega che possa esserci una parte legittima di piacere nel compimento dell’atto sessuale, anche nell’ambito del matrimonio». «all’epoca, il peccato originale era assimilato a quello carnale e l’immagine dell’inferno spesso rappresentata come il sesso femminile: si può dire che nel Medioevo il Male fosse donna?» «Sì, ma fino a un certo punto. Contrariamente a quando accadeva a Bisanzio, fino all’undicesimo secolo il culto della Vergine Maria non era celebrato dalla Chiesa. a partire da quel momento si sviluppò invece con forza straordinaria. È anche grazie al culto mariano che la donna è stata rivalutata nelle società medievali».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 144

144

dai quotidiani

«Contro l’infamia della lussuria e dell’adulterio erano previste punizioni corporali durissime. queste rendevano l’uomo medievale più “puro” dell’uomo moderno?» «il castigo ha senza dubbio contribuito a tenere nascosta la lussuria, benché i teologi e i predicatori dicessero che dio vedesse tutto, compreso quello che si faceva nell’ombra. tuttavia sul margine dei manoscritti dell’epoca sono spesso raffigurate scene di lussuria, che non esiterei a definire pornografiche: un vescovo sodomita, una donna che coglie falli da un albero o scene di sesso tra uomini e animali. il Medioevo ammetteva il male, purché si manifestasse al margine della società, lontano dal suo centro sacro. Piuttosto che volerlo sradicare del tutto, il cristianesimo ha sempre cercato di limitare il male attraverso la confessione e il pentimento». «Le prostitute erano tollerate dalla Chiesa?» «Sì, la prostituzione era permessa. quando il re moralista Luigi iX, detto san Luigi, volle vietarla, il vescovo di Parigi gli disse che era “un male necessario”». «L’amor cortese che sublima la donna è sempre un amore platonico?» «Su questo problema i medievisti sono divisi. io credo che l’amor cortese sia puramente immaginario. esiste soltanto nella letteratura. Ciò non significa che l’amore reale sia sempre stato brutale, che ci sia sempre stata una violenta dominazione dell’uomo sulla donna. Ma l’amore in cui la donna diventa il signore e il cavaliere il suo servo, non c’è mai stato. neanche nelle classi superiori della società. detto ciò, il Medioevo è durato dal quinto al quindicesimo secolo, e in mille anni molte cose sono cambiate. La svolta essenziale si produce nel duecento, quando i valori del cielo scendono sulla terra. da quel momento la felicità non è riservata solo all’aldilà. C’è l’inizio di una possibile soddisfazione del piacere anche per noi mortali. appaiono, per esempio, i primi trattati di gastronomia. il lavoro, che era considerato una punizione del peccato originale, diventa


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 145

dai quotidiani

145

invece un valore. È del resto in quell’epoca che si comincia a dire che l’uomo è stato creato a immagine di dio». «Che cosa cambia con il Rinascimento?» «C’è l’esaltazione della bellezza e, in particolare, della nudità. La Chiesa medievale rifiutava la nudità, e con essa la maggior parte dell’arte antica che, soprattutto nella scultura, rappresentava corpi nudi. Con il Rinascimento in europa, soprattutto nel Cinquecento, avviene la riscoperta dei nudi. gli stessi che prima erano rappresentati negli affreschi delle basiliche soltanto nelle scene della resurrezione dei corpi».

La Repubblica, 17 febbraio 2010 Se l’amore diventa storia. Le Goff: racconto la vita di mia moglie di Jacques Le goff (trad. di Valentina Parlato) questo libro è dedicato a una donna, a mia moglie. È morta due settimane fa, sabato 11 dicembre 2004, a Parigi, all’ospedale Saint-Louis dove era stata portata otto giorni prima, il 4 dicembre. Meno di tre mesi prima, nel settembre, si era scoperto che soffriva di una grave forma di leucemia che, secondo gli specialisti, non le lasciava molto da vivere. Ma è morta per una complicazione improvvisa, un’infezione che l’ha portata via in appena una settimana. aveva compiuto da poco settant’anni. era polacca e ci siamo sposati a Varsavia nel settembre del 1962, quarantadue anni fa. abbiamo vissuto tutta la nostra vita a Parigi, a parte i periodi di vacanza e durante i nostri viaggi più lunghi. È un libro d’amore e un atto di memoria. Ma è soprattutto il tentativo di far rivivere, nell’individualità della persona e della sua esistenza, una donna. una donna che tutti quelli che l’hanno conosciuta sono concordi nel definire eccezionale e affascinante. e strettamente legato a questo


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 146

146

dai quotidiani

tentativo è lo sforzo di prolungare la mia vita con una donna che ho profondamente amato e amerò sempre ardentemente fino alla mia morte. Ho ottant’anni. Ma questo libro non è solo un gesto d’amore e la perpetuazione di una donna degna di essere ricordata. Storico di professione, voglio cercare di scrivere una sorta di biografia che racconti una donna nella sua singolarità, nella sua individualità, ma reinserendola nel suo ambiente e nella sua epoca, anche se non ha fatto nulla di significativo dal punto di vista della «grande storia». Sarà quindi anche la storia di una coppia. di essa, l’eroina sarà la sposa, una polacca, medico, che lascia il suo paese e la sua professione per unirsi a uno storico, cattedratico francese, senza rinunciare alla sua cultura d’origine, né alla sua personalità, forte e discreta insieme, né alla sua indipendenza rispetto a un marito amato e a due figli adorati. abbiamo avuto una figlia, nata nel 1967, e un figlio, nato nel 1970. entrambi condividono con me, aiutandomi a sopravvivere con il loro affetto e la loro dedizione, il mio amore per la madre e l’immagine che di lei io vorrei qui tratteggiare. non potrei scrivere questo libro con tutta l’oggettività dello storico. uno studio storico, soprattutto quando riguarda una persona, combina insieme la volontà di attenersi alla documentazione oggettiva e alla imparzialità, che è una delle condizioni essenziali del mestiere dello storico, con un certo atteggiamento affettivo, di simpatia o antipatia, inevitabile nei confronti del soggetto di cui si occupa. qui c’è di più. anche se il mio obiettivo è di raccontare e presentare Hanka come una persona unica in uno specifico contesto storico (i rapporti franco-polacchi dal 1959 al 2004), non posso evitare che l’elaborazione e la scrittura di questo libro siano segnati da quarantadue anni di vita in comune con una moglie teneramente amata, e della quale non posso parlare senza essere preso dall’emozione. ecco dunque la prima immagine che di lei posso dare: una donna riservata,


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 147

dai quotidiani

147

avara di confidenze anche nelle lettere o nelle nostre conversazioni intime, che viveva per prima cosa con se stessa e che tuttavia non direi introversa perché era aperta al mondo, alla società, alla famiglia, agli amici. in Polonia ne aveva conservato un piccolo numero, mentre non ne aveva acquisiti di molto stretti in Francia. La sola eccezione è stata, negli ultimi anni della sua vita, una persona sua coetanea che abita nel nostro quartiere e che incontrava regolarmente a casa di lei o da noi: anka Havel. anche lei, come Hanka, era di origine polacca, proveniva dallo stesso ambiente, aveva sposato un francese, da cui però si era separata, e ora viveva sola. il piccolo mondo delle coppie franco-polacche di questo periodo ha dunque conosciuto esiti positivi ma anche esiti fallimentari. anka mi ha confessato dopo la morte di Hanka che, nonostante l’intensità della loro amicizia sbocciata in età matura, mia moglie non le aveva mai parlato di sé. questo atteggiamento ha colpito molte delle persone che l’hanno conosciuta: Hanka era allo stesso tempo solare e riservata, integrata nella vita e nella cultura francese, rimanendo però profondamente polacca. era uno degli aspetti principali del suo fascino. tutte queste limitazioni alla possibilità di dire appieno chi ella sia stata mi hanno indotto (dietro insistenza di Pierre nora) a cambiare il titolo che inizialmente volevo dare a questo libro, Hanka, con un nuovo titolo che ne esprime meglio la natura, Con Hanka, sottolineando così che sono io che parlo e la nostra coppia è fortemente presente nel libro – testimone di un’unione franco-polacca, di cui Hanka resta in ogni caso la figura principale. questo libro sarà dunque anche la storia di una famiglia francese di universitari negli ultimi decenni del XX secolo, di una coppia franco-polacca profondamente legata ai due paesi durante la guerra fredda e poi durante la ritrovata indipendenza della Polonia dopo la caduta del regime sovietico. Vorrei mostrare come i sentimenti e la vita quotidiana di una famiglia si articolano con


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 148

148

dai quotidiani

l’ambiente e la storia che hanno vissuto – vita privata e vita collettiva – in un momento in cui si profila un’europa più unita. i gusti di Hanka in sintonia con i miei, le occasioni di fare numerosi viaggi in giro per l’europa e per il mondo, sono lo spunto per descrivere anche l’atteggiamento e i sentimenti di una coppia franco-polacca di fronte a società, culture e paesi molto diversi.

Corriere della Sera, 29 maggio 2010 Il celebre storico del Medioevo parla della sua formazione. E del rapporto con i valori di oggi Le Goff: questa mia Europa laica. “L’amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane” intervista di nuccio ordine «Ho iniziato ad amare il Medioevo a dodici anni grazie alla lettura di un romanzo affascinante: Ivanhoe di Walter Scott. Poi l’incontro con il mio professore di liceo, Henri Michel, è stato decisivo. ascoltando le sue splendide lezioni ho capito che lo studio della storia avrebbe segnato la mia vita». Jacques Le goff, nonostante i suoi 86 anni e una malattia che gli impedisce di camminare bene, ci accoglie con affabilità ed entusiasmo nel luminoso appartamento di rue de thionville, a Parigi, XiX arrondissement. Storico di fama internazionale, successore di Fernand Braudel a l’«École des Hautes Études en Sciences Sociales», colonna della scuola delle Annales, membro di diverse accademie e istituti di ricerca, onorato con premi e lauree honoris causa, Le goff ha conquistato un posto di grande prestigio nell’ambito degli studi medievali. Sulla sua scrivania campeggiano le prime copie del nuovo libro uscito dall’editore Perrin (Il Medioevo e i soldi) e la traduzione italiana di Con Hanka,


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 149

dai quotidiani

149

appena pubblicato da Laterza in cui lo storico ripercorre oltre quarant’anni di matrimonio tracciando una tenera biografia della moglie, improvvisamente scomparsa nel 2004. «La perdita di Hanka – dice con voce sommessa – ha radicalmente cambiato la mia esistenza. La nostra storia d’amore è stata per me vitale. Ma noi eravamo una coppia molto particolare: abbiamo conciliato un’intensa fusione con un profondo rispetto dell’altro. La discrezione ci ha spinti a non farci mai confidenze, eppure abbiamo avuto sempre coscienza della nostra profonda intimità, del nostro essere uno». Le goff si commuove e il suo silenzio spinge a cambiare argomento. Lentamente la conversazione ritorna agli anni della formazione. «Ho vissuto in una famiglia di insegnanti – aggiunge – e questo ha certamente influito sulle mie scelte. Mio padre era professore di inglese in un liceo e mia madre maestra di piano. Ma dopo le entusiasmanti lezioni di storia medievale di Henri Michel, l’impatto con i professori della Sorbona fu deludente. e la mia vocazione di storico, minacciata in maniera preoccupante, fu rianimata più tardi dall’incontro con Maurice Lombard, che all’epoca preparava gli studenti al concorso di agrégation». Furono anni decisivi per Le goff, soprattutto per l’acquisizione di un metodo. «Lombard – continua sul filo del ricordo – era uno specialista dell’islam. e nonostante io mi occupassi del Medioevo europeo e della cristianità, per me fu un maestro incomparabile. Mi fece capire che la storia non può essere disgiunta dalla geografia, perché gli avvenimenti sono sempre legati a luoghi. Le distanze, gli ambienti, il tempo, la natura di ciò che sta intorno, la società svolgono un ruolo importantissimo nella ricostruzione della storia». Per Le goff, insomma, un libro di storia non può ignorare la geografia. «Se ricevo un saggio di storia – sottolinea sorridendo – la prima cosa che guardo sono le carte. un libro di storia senza carte non può essere un buon libro. e lo stesso vale


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 150

150

dai quotidiani

per le immagini. Le immagini non hanno una funzione illustrativa, decorativa. L’immagine è in se stessa un oggetto, una creazione, una testimonianza. uno dei miei allievi, JeanClaude Schmitt, si è consacrato allo studio delle immagini. e in italia ha scritto libri importanti Chiara Frugoni, di cui ho ricevuto La voce delle immagini, appena uscito da einaudi». Lo storico francese ci tiene a sottolineare che nella sua carriera scientifica hanno svolto un ruolo importante tre diverse nazioni: l’inghilterra, la Cecoslovacchia e l’italia. «Mi recai a oxford con una borsa del governo francese. devo ammettere che non ho mai potuto sopportare il modo di vivere britannico, soprattutto quello oxoniense. Però ebbi la fortuna di frequentare la Bodleian Library, biblioteca ricca di manoscritti straordinari. Poi andai, sempre da borsista, a Praga. qui studiavo la storia delle università, una delle più grandi creazioni medievali. nel circuito europeo dei primi atenei (Bologna, Parigi, oxford, Salamanca) è possibile ritrovare già una configurazione dell’europa...». e così Le goff diventa testimone del «colpo di Praga» nel 1948. «Ricordo come fosse oggi – continua lo storico – l’annuncio che la Cecoslovacchia sarebbe diventata un satellite dell’urss. quell’esperienza non riuscì a scalfire le mie convinzioni di sinistra. Ma capii immediatamente che il comunismo dell’est era una dittatura spaventosa, che in nessun modo poteva essere considerata di sinistra. Fui criticato per le mie posizioni da qualche compagno dell’École normale Supérieure: alcuni di loro, però, mi diedero ragione all’indomani dei fatti d’ungheria del 1956». dopo oxford e Praga arrivano i soggiorni in italia. «Ho avuto – sottolinea compiaciuto Le goff – tre patrie: la Francia, la Polonia (dove ho conosciuto mia moglie) e l’italia, che ha occupato sempre un posto particolare nel mio cuore. approdai a Roma, meraviglia delle meraviglie. in quanto membro dell’École française ho abitato prima a


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 151

dai quotidiani

151

Palazzo Farnese e dopo a piazza navona: come essere in paradiso. Successivamente ho avuto modo di conoscere napoli, dove ho tenuto lezioni nell’istituto italiano per gli studi filosofici, del cui comitato scientifico faccio parte. un mare e un cielo sempre splendidi e soprattutto un fascino culturale: qui ho respirato lo spirito dei Lumi che avevano reso celebre questa città in europa». il ruolo della cristianità nella cultura europea è stato uno dei nuclei centrali della riflessione di Le goff. «il Cristianesimo – osserva con voce animata – ha avuto una grande importanza nella formazione dell’europa. Ma l’europa, non bisogna dimenticarlo, è anteriore al Cristianesimo: per questo è necessario negare nettamente che le radici dell’europa siano cristiane. L’europa attuale non può non essere un’europa laica». Le autorità ecclesiastiche, per lo storico francese, non possono imporre il loro punto di vista. «Personalmente, rifiuto l’insegnamento della Chiesa in molti ambiti. Credo che i Papi – siano reazionari (come Benedetto XVi) o un po’ più aperti (come giovanni Paolo ii) – debbano soprattutto occuparsi della Chiesa e hanno già tanto da fare con i problemi interni in irlanda e altrove. il Cristianesimo autentico ha sempre riconosciuto l’indipendenza dei laici e l’autonomia di Cesare». anche la cultura islamica ha dato il suo notevole contributo alla costruzione di un sapere europeo. negare questo apporto – come ha recentemente fatto Sylvain gouguenheim in Aristotele contro Averroè (Rizzoli) – significa ignorare la storia. «Credo che gouguenheim – sottolinea Le goff – abbia scritto buoni saggi e non condivido i toni esagerati con cui talvolta è stato attaccato. Ma devo riconoscere che quest’opera tanto discussa è veramente un cattivo libro. da una parte non dimostra sufficientemente l’esistenza della scuola che giacomo da Venezia avrebbe creato a Mont SaintMichel, e dall’altra, nel quinto capitolo, avanza tesi sulla Francia islamica che non sono per niente sostenibili».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 152

152

dai quotidiani

Le accuse di islamofobia, lanciate da alcuni storici francesi nei confronti di gouguenheim, fanno scivolare il discorso verso la realtà italiana. Le goff segue con attenzione gli avvenimenti politici che si svolgono al di là delle alpi. e non molto tempo fa ha firmato – con Stefano Rodotà, gustavo Zagrebelsky e tanti altri intellettuali – un appello per la libertà di stampa in italia. «devo confessare però – osserva preoccupato prima dei saluti – che c’è un fenomeno italiano che mi allarma. Ho paura della Lega e delle sue perniciose forme di razzismo e di localismo che potrebbero infiammare anche altri Paesi europei. L’italia e gli italiani, che io amo profondamente, non dovrebbero sottovalutare questo pericolo».

La Stampa, tuttolibri, 28 gennaio 2012 Scoprii la Storia nel frigorifero Dalle imprese di Dracula alla leggenda aurea di Jacopo da Varazze, le nuove curiosità del grande studioso

intervista di alberto Mattioli un’intervista con Jacques Le goff dà un nuovo significato all’espressione «parlare come un libro stampato». Sulla scrivania sommersa da un quadruplo strato di libri e di carte, il computer non c’è. La macchina per scrivere, nemmeno. «Mai usati. Ho sempre scritto a mano. adesso, però, non ci riesco più». «e allora come fa?» «detto. Viene qualche studente, oppure l’editore mi manda qualcuno». Forse è il segreto del suo francese netto, scandito, cartesiano, con le frasi che si susseguono senza mai un’incertezza o una ripetizione. il medievista ha 88 anni, è vedovo, solo, non esce più di casa e dentro si muove appoggiato a


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 153

dai quotidiani

153

un girello. Le gambe lo tradiscono. il cervello, no. dal ’56, da Mercanti e banchieri nel Medioevo, passando per saggi diventati classici come La nascita del Purgatorio o la monumentale biografia di San Luigi, Le goff continua a raccontare il Medioevo in modo tale che sembra di viverci. e, in ogni caso, verrebbe voglia di farlo. L’ultimo libro è appena stato pubblicato da Perrin: A la recherche du temps sacré, «alla ricerca del tempo sacro», sottotitolo Jacques de Voragine et la Légende dorée, «Jacopo da Varazze e la Leggenda aurea», cioè la più celebre raccolta di vite di santi dell’epoca e non solo di quella. «La Leggenda aurea è uno dei libri più importanti del Medioevo. Me ne sono interessato da molto tempo e non ho mai smesso di pensarci. Ma disponevo solo di traduzioni francesi del diciannovesimo secolo o dell’inizio del ventesimo. nel 2004 è stato finalmente pubblicato il testo originario in latino. Jacopo da Varazze era un domenicano, prima a capo della provincia della Lombardia e poi vescovo e cronachista di genova». il suo libro fu il bestseller del Medioevo. «Soltanto per la Bibbia esiste un numero maggiore di manoscritti. e, cosa interessante e rara per l’epoca, la Leggenda ebbe molte traduzioni nelle lingue volgari. Jacopo era al centro di tutto quel che c’era di più interessante nel suo tempo. intanto stava a genova, che nella seconda metà del Xiii secolo era il centro economico più importante d’europa. Poi era un domenicano, quindi un esponente del movimento religioso, ma anche intellettuale, più nuovo e dinamico. inoltre, ha beneficiato di alcune novità importanti della cultura medievale: per esempio, la lettura silenziosa. Fino al Xiii secolo, la lettura si faceva a voce alta, e non solo nei conventi. La lettura silenziosa si diffonde insieme alla cultura laica e chiaramente significa anche una lettura più facile e più frequente. infine, Jacopo aveva certamente anche un talento letterario: le sue vite sono piene di racconti e di aneddoti».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 154

154

dai quotidiani

«Ma se fosse finalmente inventata la macchina del tempo e gli potesse parlare, cosa gli chiederebbe?» «Credo che per prima cosa gli esprimerei, molto umilmente, la mia ammirazione». L’appartamento, nel diciannovesimo arrondissement di Parigi, è moderno e abbastanza anonimo. La stanza dove Le goff passa le sue giornate insieme alle sue pipe e ai libri, i suoi e quelli degli altri, è piccola, silenziosa, un po’ buia: un invito alla concentrazione. Su uno scaffale, uno stemma di Solidarnosc: Bronislaw geremek era un suo grande amico. «Professor Le goff, perché ha scelto la storia?» «Mi ha sedotto da sempre. Però l’importante è capire quale storia. a me piace la storia che ti vedi passare davanti agli occhi. negli anni trenta vivevo a tolone con i miei genitori. Mi accorsi che per le strade si vedevano sempre più automobili e nelle case sempre più telefoni e frigoriferi. noi eravamo una famiglia della piccola borghesia, mio padre era professore d’inglese, e non avevamo né automobile né telefono né frigorifero. C’era la ghiacciaia, e sento ancora il venditore ambulante di ghiaccio urlare per strada: «La glace! La glace!». e allora mi facevano scendere per comprarlo. Ma questo non è importante. L’importante, per me, è stato capire molto presto che l’avvento del frigorifero e la scomparsa della ghiacciaia era un avvenimento storico, perché cambiava la vita quotidiana, la vita delle persone, molto più delle guerre e dei Re. Per me, la storia è sempre stata storia sociale». «d’accordo: ma perché il Medioevo?» «oh, anche questo l’ho deciso molto presto, avrò avuto dodici anni, e per due ragioni molto precise. La prima, perché in quel periodo lessi Ivanhoe di Walter Scott, che mi entusiasmò. e poi perché a scuola c’era un professore bravissimo, il migliore che abbia mai avuto, e quell’anno il programma di Storia era incentrato appunto sul Medioevo». «insomma, la vocazione di uno dei maggiori storici del


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 155

dai quotidiani

155

novecento la dobbiamo a un frigorifero e a Ivanhoe. L’ha più riletto?» «Certo! Walter Scott l’ho letto tutto e Ivanhoe, l’ultima volta, qualche anno fa. È un bellissimo libro, che parla di storia sociale, del rapporto fra cristiani ed ebrei e in più è scritto benissimo, perché Scott aveva un grandissimo talento. anche se l’ho capito davvero solo quando l’ho letto in inglese». «Poi, certo, di libri ne sono seguiti molti». «testi che mi hanno formato? Certamente I re taumaturghi di Marc Bloch, per il quale ho anche scritto una prefazione cui tengo molto, nell’edizione ripubblicata da gallimard. ed ero molto vicino ai grandi medievisti italiani, per esempio arsenio Frugoni, autore della bellissima biografia di arnaldo da Brescia». «di andare in pensione, ovviamente, non si parla». «Per la verità, ho pensato, come autore, di ritirarmi. Però continuano a chiedermi libri, sarebbe un peccato non scriverli». «Scriverli, al plurale?» «in cantiere ne ho due. il primo è in realtà una raccolta di articoli, soprattutto di prefazioni. È un genere che ho sempre coltivato perché trovo che sia importante per gli storici giovani. una prefazione generica, modello “comprate questo libro, è buono” non serve a niente. Credo che una prefazione analitica e magari anche critica, invece, aiuti il libro e anche chi l’ha scritto». «e l’altro?» «L’altro è in realtà un’opera collettiva che sto dirigendo, un centinaio di brevi biografie di personaggi importanti del Medioevo. Compresa una quindicina di personaggi immaginari, perché per la storia l’immaginazione è importantissima. dunque, o figure leggendarie, come Merlino o la fata Melusina, oppure figure realmente esistite ma poi mitizzate e diventate altro. Come artù o dracula».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 156

156

dai quotidiani

«Le goff si interessa al conte dracula?» «Sì, proprio quel dracula. in realtà era un principe della Valacchia, nell’attuale Romania, si chiamava Vlad iii e nel suo XiV secolo era famoso come l’impalatore, perché aveva una predilezione per questo supplizio. Poi con il tempo il personaggio leggendario ha preso il sopravvento su quello storico, ha cambiato, diciamo così, metodo criminale ed è diventato un vampiro. Fino a diventare una star del cinema, a partire da quello muto. generando tutto un filone letterario e anche cinematografico che comprende personaggi come Frankenstein». «a questo punto è inutile chiederle se abbia rimpianti». «no. anzi sì: forse non sono contento proprio di tutto quello che ho scritto. Però se ci sono dei soggetti che non ho trattato è perché ho avuto delle buone ragioni. Per esempio, il riso nel Medioevo. Ho scritto degli articoli, ma il tema era decisamente troppo ampio. Ma sono rimasto colpito dalla quantità di risate che si incontra nella Leggenda aurea. e un mio allievo che è diventato il massimo esperto della Scolastica mi segnala che sul riso esistono dei testi quasi sconosciuti di tommaso d’aquino e di alberto Magno. quindi magari il terzo libro sarà quel saggio sul riso nel Medioevo che finora non ho mai potuto scrivere». «Lei è sempre stato un intellettuale europeo». «in europa ho anche studiato, grazie a delle borse di studio. Prima a Praga, una città meravigliosa ma triste. Poi a oxford: la Biblioteca Bodleiana è straordinaria, però il modo di comportarsi degli inglesi non mi è mai piaciuto. dell’inghilterra amo solo Londra. e poi naturalmente ho lavorato anche in italia. Ci passai un anno prima di sposarmi e fu forse uno dei più belli della mia vita. La Scuola francese mi metteva a disposizione una camera su piazza navona: che splendore. e che rumore: la sera la gente conversava in strada fino a tardi, poi all’alba arrivavano i netturbini, quindi le notti erano brevissime. Ma che incanto, quella piazza».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 157

dai quotidiani

157

«ultima domanda: di recente nicolas Sarkozy ha usato ancora una volta l’aggettivo “medievale” nel senso di retrivo e oscurantista. Professor Le goff, ha forse insegnato invano?» «Per me monsieur Sarkozy è di un’intollerabile volgarità sia come uomo che come politico. Basti pensare alla sua politica disgustosa verso i giovani che vengono a studiare in Francia. non mi stupisco che usi gli aggettivi in maniera sbagliata: a parte tutto, non ha nemmeno una buona conoscenza della lingua francese».

Corriere della Sera, 23 maggio 2012 Lo storico francese delle Annales espone la sua visione fiduciosa del cammino comune del continente “L’Europa prenda lezione dall’ Unità d’ Italia”. Le Goff: “Oltre gli steccati nazionali mantenendo la varietà culturale”. Ipnotizzata dalla crisi economica, l’Unione ha trascurato il suo punto di forza: la ricchezza culturale

intervista di dino Messina L’europa raccontata da Jacques Le goff, erede della scuola delle Annales, il maggiore storico francese vivente, non è un incubo, come le cronache degli spread di questi mesi ci fanno pensare, né un’«orchestra senza musica» come ha icasticamente sintetizzato gian arturo Ferrari nel suo editoriale sul Corriere del 17 maggio. L’europa per Jacques Le goff, sicuramente vicino alla visione «culturale» di Ferrari, è piuttosto una «speranza». e la parola «espoir» contrapposta a «cauchemar» ha il suono dell’ottimismo nel discorso di questo decano della storiografia, classe 1924, che ha dedicato la vita soprattutto agli studi sul Medioevo (esemplari i suoi saggi sul Purgatorio, sul rapporto tra denaro e religione, sul ruolo degli intellettuali) e che ha diretto


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 158

158

dai quotidiani

per Laterza, suo principale editore italiano, la collana «Fare l’europa». dunque, l’europa, per Le goff, appare a molti come un incubo, perché è stata troppo «ipnotizzata dalla crisi economica, di cui non è la sola responsabile, in quanto problema mondiale, e ha trascurato il suo punto di forza, la sua ricchezza maggiore, che risiede nella cultura. Se consideriamo il vecchio continente in rapporto alle altre aree del mondo, vediamo che in nessuna è così forte il legame culturale tra le nazioni. Solo in europa le diversità nazionali si sono affermate, anche a costo di guerre durate sino alla metà del XX secolo, in un processo di unità culturale. La forza culturale europea viene da una serie successiva di civilizzazioni che si sono progressivamente sovrapposte e integrate». La familiarità di Le goff con il «lungo periodo» gli consente di saltare in pochi giri di frase dall’era neolitica, dove è già possibile individuare una caratteristica originale, ancora poco studiata, all’antichità greca e latina che ha dato un imprinting al vecchio continente non meno dei cosiddetti popoli barbari. «È durante il Medioevo – continua lo storico francese – che avviene l’integrazione profonda tra la cultura greco-romana e le cosiddette civilizzazioni barbare che si uniscono per dar vita alle nazioni europee. Fondamentale per dare coerenza a questo processo è stato il cristianesimo. Su scala continentale anche gli altri grandi momenti della civilizzazione europea: il Rinascimento, partito dall’italia e giunto sino alla Scandinavia; l’illuminismo, che dalla Francia ha irradiato a ovest la penisola iberica e a est è arrivato sino alla Russia; per non parlare infine del Romanticismo, altro grande movimento culturale su scala europea». L’europa continente unita dalla cultura, dunque. e dalla laicità. È questo il secondo punto importante del ragionamento appassionato di Le goff. «quale che sia stata e sia l’importanza del cristianesimo, e oggi l’influenza delle religioni praticate dai nuovi immigrati – sostiene con forza lo storico –


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 159

dai quotidiani

159

l’europa è diventata un continente laico. La laicità è il comun denominatore della sua cultura». un’altra peculiarità europea che ad alcuni può sembrare un limite, è la pluralità linguistica. «Scartando le soluzioni dell’inglese e delle lingue inventate, tipo l’esperanto, la Commissione europea deve studiare un sistema per potenziare la pratica di diverse lingue in tutti i Paesi europei. Le letterature vernacolari rappresentano una ricchezza cui in alcun modo bisogna rinunciare». Così al modello multiculturale canadese e al melting pot nordamericano, Jacques Le goff contrappone una civilizzazione multilinguistica basata sulla comune cultura europea. Le goff è convinto della bontà del progetto federale di europa unita, la più ampia possibile, che arrivi sino ai confini dell’ucraina e della Russia, ma il titolo di «europeo» ciascun Paese se lo deve meritare. Così lo storico francese, pur restio a dare giudizi politici, ricorda una risposta ricevuta da Jacques delors, il primo commissario europeo, sull’europa allargata: «durante una conferenza, credo a Salamanca, ricordo che delors mi espresse dubbi sulla grecia. quelle parole mi sono tornate alla mente in questi giorni». L’identità europea, secondo lo studioso delle Annales, si accompagnerà sempre a un certo «patriottismo nazionale», che non significa «sciovinismo» né «nazionalismo». Sono questi rigurgiti del passato, dice Le goff, i veri nemici del processo di integrazione europeo, non la mondializzazione: «La globalizzazione non è nemica dell’europa, è un fattore neutro che può essere plasmato dalla nostra capacità politica». i funzionari di Bruxelles e i rappresentanti di Strasburgo secondo Le goff hanno in questo momento due compiti principali: da un lato rilanciare l’identità europea anche attraverso un «inventario della cultura», dall’altro quello di «avvicinare le istituzioni comunitarie alla gente. Per rendere possibile un processo simile a quello che ha portato gli italiani a passare dalle identità regionali a quella nazionale».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 160

160

dai quotidiani

La Repubblica, 18 giugno 2012 Li dobbiamo aiutare in nome della civiltà e della solidarietà di Jacques Le goff (testo raccolto da Pietro del Re) Se la grecia uscisse dal sistema euro sarebbe una catastrofe. e lo sarebbe per motivi simbolici e storici. Ma anche per ragioni monetarie: l’uscita di atene costerebbe agli altri Paesi europei un prezzo cinque o sei volte maggiore che se decidesse di rimanere nella moneta unica. La colpa ricadrebbe ad ogni modo sulla germania, e in particolare sulla Cancelliera angela Merkel, la quale ha imposto a tutti membri dell’unione misure decisamente troppo severe e per alcuni troppo violente. ora, anche se è ovvio che i politicanti e gli amministratori greci hanno gestito le finanze in modo deplorevole, e che l’hanno fatto in barba alle regole stabilite assieme agli altri Paesi e da essi condivisi, punirli con tale crudeltà mi sembra eccessivo e controproducente. La grecia e soprattutto i greci sono degni della solidarietà degli altri Paesi europei. Se la meritano, e sono certo che una volta usciti dalla crisi che li attanaglia saprebbero ricambiare con generosità e gratitudine quello che potremo fare per impedire che cadano in fondo al pozzo della recessione più nera. Per questo motivo credo che sia necessario, in europa, opporsi all’atteggiamento dominante di Berlino, perché sembrerebbe che i tedeschi si preoccupino unicamente dei loro interessi. e che quando questi contrastano con gli interessi di qualcun altro, anziché cercare una soluzione che salvaguardi entrambi, loro scelgono sempre quella che avvantaggi soltanto i propri. Con il paradosso che, penalizzando un altro Paese al quale sono strettamente legati, essi penalizzano spesso anche loro stessi. anche se l’europa politica è ancora un’entità in cantiere, noi siamo già un’europa economica, oltre che geografica. in quanto francese sono molto felice della recente ele-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 161

dai quotidiani

161

zione di François Hollande, un presidente che – mi perdonerete l’espressione – non lecca gli stivali di nessuno, quanto meno quelli della Merkel. Vorrei che, con l’arrivo di Hollande, altri capi di Stato a Bruxelles trovassero il coraggio necessario per opporsi al rigore tedesco e per aiutare maggiormente il popolo greco. dovremmo farlo soltanto per il debito «storico» che la nostra civiltà, ossia la civiltà europea, deve ad atene. quanto all’italia, che considero la mia seconda patria, sono convinto che ce la farà da sola, perché dispone delle energie e delle risorse necessarie per risalire la china senza l’aiuto di altri. e poi siete in ottime mani: Mario Monti mi sembra la sola persona in grado di farvi uscire dal pantano economico nel quale vi trovate. Recentemente ho vissuto due grandi momenti di felicità: il primo, quando Berlusconi ha lasciato il potere in italia ed è stato sostituito da Monti alla presidenza del Consiglio italiana; il secondo, quando nicolas Sarkozy è stato battuto e all’eliseo è arrivato Hollande. il rigore è un elemento fondamentale nella gestione dell’economia globale. Ma i nostri politici non possono e non devono fare finta che in gioco ci siano solo numeri astratti, e che non esistano gli uomini e le donne che sono stati chiamati a governare.

Corriere della Sera, 15 marzo 2013 La modernità di san Francesco nemico dei ricchi e della Curia Francesco è una figura sui generis già nel Medioevo. Un uomo di fede, ma perennemente sull’orlo dell’eresia. Lo storico Le Goff: “Ha scelto un nome rivoluzionario”

intervista di Stefano Montefiori PaRigi – «non sono credente, ma il nuovo Papa mi ha emozionato. La scelta del nome in omaggio a san France-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 162

162

dai quotidiani

sco, il personaggio storico che mi ha appassionato di più, lascia presagire cambiamenti straordinari per la Chiesa». Jacques Le goff, 89 anni, uno dei più grandi storici del Medioevo al mondo, nel 1999 ha scritto San Francesco d’Assisi (Laterza), un ritratto non convenzionale del «ribelle senza nichilismo che ha scosso la religione, la civiltà e la società». il suo san Francesco è l’uomo ispirato capace di parlare agli uccelli, ma soprattutto un lottatore determinato e nemico dei potenti. «Per questo è rimasto a lungo ai margini della Chiesa. Francesco è un santo eccezionale, una figura sui generis già nel Medioevo. un uomo di fede, ma perennemente sull’orlo dell’eresia. Se non vi è caduto, se Francesco non ha mai rotto davvero con la Chiesa, è perché provava un grande rispetto per la condizione di prete. il sacerdote, attraverso l’eucarestia, poteva mettere in contatto i fedeli con gesù. questo, san Francesco, non lo ha mai dimenticato». «Che significa, quindi, la scelta di questo nome?» «da un punto di vista simbolico, è una mossa rivoluzionaria. di solito i Papi preferiscono situarsi in una continuità, Bergoglio invece ha preferito la rottura prendendo un nome mai usato prima. e che nome! San Francesco era il perfetto frutto della sua epoca, cioè il passaggio tra il Xii e Xiii secolo in cui il Medioevo raggiunge il suo apogeo in termini di ricchezza e creatività artistica, per esempio nel gotico. Figlio di mercanti, Francesco è disgustato dalla conseguenza indesiderata di quel dinamismo, ovvero dalla crescente distanza tra i poveri e i ricchi, o meglio tra i sottomessi e la classe dominante, tra il popolo e i potenti. e a che cosa assistiamo, oggi, se non a una frattura comparabile tra strati della società che non riescono a parlarsi? immagino che il cardinale argentino, nello scegliere il nome di Francesco, ne sia ben cosciente». «nel suo libro lei racconta di un san Francesco in perenne lotta con la Curia romana».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 163

dai quotidiani

163

«non poteva essere altrimenti, quasi tutto lo separava dagli intrighi e dal potere di Roma. noi storici non siamo riusciti a stabilire con certezza se, a Roma, il futuro santo venne ricevuto dal Papa. Ma è al ritorno da quel viaggio nella capitale che, lasciato il Lazio, Francesco parlò agli uccelli, incontrò di nuovo le sue amate creature, tornò pienamente se stesso. Lontano, appunto, dalla Curia». «il nuovo Papa è Francesco, ma anche gesuita». «qui sta l’altro aspetto senza precedenti. Come riuscirà Bergoglio a conciliare queste due caratteristiche apparentemente contraddittorie? i gesuiti sono intellettuali, e san Francesco detestava ogni sapere che non fosse religioso. non per oscurantismo, ma perché riteneva che anche il sapere fosse uno strumento nelle mani dei ricchi e potenti per sottomettere i poveri. accolse con dispiacere la notizia che antonio da Padova entrava all’università. nella visione dei gesuiti, comunque, l’intellettualismo è piuttosto calato nella società, serve a capire i problemi e il prossimo, a cercare soluzioni. È un’altra cosa rispetto all’intellettualismo classico della Chiesa che si risolve essenzialmente nella teologia, come nel caso di Benedetto XVi. non mi pare impossibile che il papa Francesco riesca a trovare una sintesi tra atteggiamento francescano e intelligenza gesuita». «Come giudica le prime azioni di papa Francesco?» «Mi ha impressionato molto favorevolmente. di san Francesco ha forse la semplicità e l’umiltà, non mi pare il carisma. San Francesco era forte, pieno di energia, carattere e prestigio. del nuovo Papa bisogna ricordare l’età, 76 anni, solo due in meno di Ratzinger quando fu eletto. Riuscirà a portare a termine i grandi cambiamenti ai quali la Chiesa sembra destinata sotto la sua guida? questa è l’altra parte della sfida. in ogni caso, ha avuto parole di grande vicinanza con chi lo scrutava con curiosità, ha chiesto ai fedeli di pregare per lui, e nelle prime ore non si è rinchiuso nella fortezza vaticana. Mosse che sembrano ispirarsi alla personalità del santo».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 164

164

dai quotidiani

«Crede che un cambiamento nella Chiesa avrebbe una portata universale?» «ne sono convinto. anche per questo sono affascinato dagli avvenimenti delle ultime ore. i cardinali hanno eletto un uomo del nuovo mondo, proveniente da quell’america Latina così importante per il cattolicesimo, ma di evidenti origini italiane, capace quindi di rappresentare facilmente anche gli europei. È stata una decisione abile, positiva. La società si sta secolarizzando, questo è vero, ma la Chiesa continuerà a influenzare la società ancora per molto tempo. quel che succede a Roma riguarda tutti, anche noi che non siamo credenti».

La Repubblica, 5 ottobre 2013 Jacques Le Goff: «Il Papa vuole cambiare la Chiesa proprio come fece san Francesco». Lo storico francese, che a san Francesco d’Assisi ha dedicato un saggio, racconta la povertà e la risata, simboli del santo

intervista di Fabio gambaro PaRigi – «Prima di essere l’autore del Cantico delle Creature, san Francesco è l’uomo che dice no al denaro». Per Jacques Le goff, l’appello alla povertà è il tratto fondamentale del santo d’assisi. il celebre storico francese, che al poverello ha dedicato un importante saggio intitolato San Francesco d’Assisi (Laterza), lo ricorda commentando le ultime dichiarazioni di papa Bergoglio: «al di là della complessità del personaggio, san Francesco rappresenta la condanna vivente del denaro. Figlio di un mercante che aveva viaggiato molto tra l’italia e la Francia, da dove peraltro importò il nome Francesco, nulla sembrava predisporlo alla scelta di povertà. il rifiuto della ricchezza fu innanzitutto l’espressione di una rivolta nei confronti del padre, ma poi vi diede


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 165

dai quotidiani

165

anche un valore sociale e collettivo, quando si spogliò dei vestiti e dei beni materiali davanti al Vescovo di assisi». «evocando una chiesa della povertà, il Pontefice si muove nel solco della più autentica tradizione francescana?» «direi di sì. in un periodo di crisi economica, dove la povertà aumenta mentre una minoranza non cessa di arricchirsi, la figura di san Francesco acquista una forza tutta particolare. anche il santo d’assisi immaginava una Chiesa della povertà contrapposta alla Chiesa dei potenti. Fu però un sogno che non riuscì a realizzare. dato che era un cristiano molto pio, accettò di fare delle concessioni al papato. insomma, alla fine non è riuscito a riformare la chiesa». «Papa Francesco può riuscirvi?» «il Vaticano è ancora un simbolo di ricchezza. tentare di combattere il denaro sul piano simbolico come su quello concreto è un’impresa molto difficile. il pontefice però ha cominciato a muoversi in questa direzione. ad esempio, rendendo pubblici i conti della banca vaticana, un fatto molto importante in nome di quel rinnovamento che vuole rendere la Chiesa più trasparente e più vicina agli uomini. Proprio come voleva san Francesco. naturalmente, per riuscirvi dovrà scontrarsi con il carattere intrinsecamente monarchico della Chiesa». «nel suo libro, lei sottolinea la dimensione della gioia e del riso in san Francesco. È un aspetto decisivo?» «Certamente. La dimensione gioiosa del poverello è un vero elemento di novità e di rottura, perché fino ad allora tutto il cattolicesimo si era costruito in contrapposizione al riso. La regola benedettina intimava di non ridere. il riso era considerato nemico di dio. Francesco invece ride liberamente, esprimendo così un modo diverso e più gioioso di rapportarsi al mondo. questo tratto è evidente anche in papa Bergoglio. a differenza di Benedetto XVi, Francesco è un papa che parla, proprio come il santo che parlava a tutti, perfino agli uccelli».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 166

166

dai quotidiani

«Perché san Francesco continua ad affascinarci?» «Perché veicola atteggiamenti e valori considerati essenziali dalla maggior parte del mondo cristiano. La critica del denaro e dei banchieri, la povertà e la solidarietà rendono san Francesco molto vicino alle nostre preoccupazioni, specie in tempo di crisi. ispirandosi a lui, il Pontefice diventa l’uomo della semplicità e dell’apertura che molti cercano nella Chiesa da sempre, senza trovarlo».

La Repubblica, 27 gennaio 2014 L’ultimo imperatore. Le Goff: non è vero che Carlo Magno fu padre dell’Europa intervista di Fabio gambaro PaRigi – Milleduecento anni fa, il 28 gennaio 814, moriva ad aquisgrana Carlo Magno, il re dei Franchi che la notte di natale dell’anno 800, a Roma, nella Basilica di San Pietro, fu incoronato da papa Leone iii imperatore del Sacro romano impero. Colui che sconfisse i Sassoni e gli avari, e che nel 774 divenne re anche dei Longobardi, fu uno dei massimi protagonisti dell’alto Medioevo, nella cui azione si è spesso voluto vedere uno dei padri dell’europa. Come scrisse lo storico Lucien Febvre «l’impero di Carlo Magno ha dato forma per la prima volta a ciò che noi chiamiamo europa». un giudizio con cui però non concorda Jacques Le goff, per il quale il re dei Franchi, «se è vero che unificò sul piano militare e amministrativo una vasta parte del nostro continente», in realtà «non aveva alcuna coscienza dell’europa». Lo studioso francese ce ne parla nella sua casa parigina ingombra di libri, cercando di distinguere la leggenda che circonda il personaggio dalla concreta realtà dei fatti storici. «nel iX secolo, l’idea d’europa non esisteva. avrebbe preso corpo solo molto più tardi», spiega Le goff che, per


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 167

dai quotidiani

167

festeggiare i novant’anni appena compiuti, manda in libreria un nuovo saggio, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? (Seuil, pagg. 208, euro 18). «Facendosi incoronare dal Papa, Carlo Magno non guardava all’avvenire, ma al passato. il suo modello era l’impero romano. Più che creare una civiltà futura, voleva far rinascere l’antica civiltà romana, rianimandola grazie al cristianesimo. naturalmente, resta un grandissimo personaggio storico. ebbe grandi progetti che in parte riuscì a realizzare, contribuendo a fondere i latini e i germani, la tradizione romana con quella barbara. da questo punto di vista, fu indubbiamente uno dei fondatori della civiltà medievale, sebbene fosse un guerriero violento e sanguinario come prova lo sterminio dei Sassoni. Fu dunque un protagonista dell’alto Medioevo, ma non un padre dell’europa». «eppure la nascita del Sacro romano impero viene vista come un primo abbozzo dell’europa attuale». «Lo ripeto. Carlo Magno non perseguiva alcuna idea d’europa. Pensava all’impero romano. L’ideale europeo nascerà molto più tardi. ad esempio nel XV secolo, quando papa Pio ii scrive in latino il trattato De Europa, nelle cui pagine l’europa s’impone come un’idea presente e un avvenire auspicabile». «Per lei, quali sono gli aspetti significativi dell’azione di Carlo Magno?» «Personalmente, considero capitale una questione che di solito è lasciata in secondo piano dagli storici. Prima di diventare imperatore, in occasione del ii Concilio di nicea, egli difese e praticamente impose al cristianesimo l’uso delle immagini, contrapponendosi agli iconoclasti che in quel periodo dominavano l’impero bizantino. Spingendo il cristianesimo ad autorizzare la creazione e la diffusione delle immagini, compresa quelle di dio, Carlo Magno ha dato alla cristianità, vale a dire all’ epoca all’europa, un mezzo d’espressione di grandissimo valore. La storia dell’arte europea gli deve molto».


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 168

168

dai quotidiani

«Sul piano della cultura, si parla di rinascimento carolingio. È corretto?» «tutto il Medioevo europeo è scandito da una serie di rinascimenti, che nascono sempre nella memoria dell’impero romano. tra questi vi è anche il rinascimento carolingio, che ha fatto appello a tutte le forze culturali presenti nel Sacro romano impero. Carlo Magno ha riunito attorno a sé molti grandi intellettuali dell’epoca dalle più diverse provenienze: irlandesi, franchi, germani, spagnoli, ecc. in questo ambito, pur senza averne la coscienza né la volontà, si è mosso in una prospettiva europea. Proprio la volontà di dare impulso alla cultura fa di lui una delle figure centrali dell’epoca medievale. attorno a questo dato storico indiscutibile sono però poi nate molte leggende». «ad esempio?» «gli si è attribuito un ruolo importante nella promozione delle scuole e lo si è quasi trasformato in una specie di Jules Ferry del iX secolo. in realtà, la sua azione ha interessato solo un gruppo sociale minoritario, dato che si è limitata a favorire la creazione di scuole per i figli dei nobili. Voleva dare impulso a un’aristocrazia competente destinata all’amministrazione dell’impero. Proprio questo impegno sul piano amministrativo è un aspetto molto importante della sua opera. a questo proposito, si parla spesso degli inviati nelle diverse zone dell’impero, i missi dominici, che però sono solo un dettaglio all’interno di un’azione amministrativa molto più vasta, che si è manifestata tra l’altro con la promulgazione di testi importantissimi come i capitolari». «Si sottolinea spesso l’impegno di Carlo Magno per la diffusione dell’insegnamento delle arti liberali del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica). anche questa è una leggenda?» «direi di sì, perché il sistema delle arti liberali, che poi favorirà la nascita delle università alla fine del Xii secolo, in


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 169

dai quotidiani

169

realtà esisteva molto prima del suo regno. il trivio e il quadrivio erano presenti nelle scuole monastiche fin dai tempi di san Benedetto, nel Vi secolo. Certo, Carlo Magno ha contribuito alla diffusione di tali insegnamenti, ma nulla di più. non ne è certo l’iniziatore. È invece importante segnalare l’eredità lasciata nell’ambito della scrittura, grazie alla minuscola carolina utilizzata dagli eruditi in tutti gli stati del Sacro romano impero. anche in questo caso, l’invenzione non si deve a lui, ma l’adozione e la diffusione di tale scrittura di cancelleria è un elemento significativo della sua politica intellettuale e della volontà di unificazione». «La sua azione è stata importante per il consolidamento della cristianità?» «ancora una volta siamo sul terreno del mito, perché la forza e l’influenza del cristianesimo erano già assicurate prima del suo regno. Se il cristianesimo ha continuato a esistere dopo di lui, non dipende certo dalla sua azione. Forse si può interpretare la vittoria sui Longobardi come un contributo alla difesa della cristianità, a me però sembra piuttosto una ripresa della politica di conquista dell’antichità romana. È vero che all’epoca delle crociate Carlo Magno viene considerato un eroe della cristianità. in realtà, però, non è mai stato un crociato, anche se così viene presentato nella Chanson de Roland. Mentre per quanto riguarda le relazioni con il mondo orientale, ha semplicemente cercato di affermare la propria autorità attraverso alcuni scambi simbolici con i grandi di quella parte del mondo, vale a dire l’imperatrice irene a Costantinopoli e il califfo Hår„n alRashœd». «intorno a Carlo Magno circolano dunque molte tenaci leggende, forse anche di più rispetto ad altri protagonisti della storia medievale. Come si spiega questo destino postumo?» «il personaggio, che non era certo banale, è stato quasi subito trasformato in un personaggio eccezionale, soprat-


04Articoli_impaginato.qxd 06/05/15 10:09 Pagina 170

170

dai quotidiani

tutto grazie ai poemi epici che molto hanno contribuito alla nascita del suo mito. Più di recente, l’elaborazione della leggenda di Carlo Magno ha conosciuto un altro momento importante dopo la Seconda guerra mondiale, quando, con il trattato di Roma del 1957, ha iniziato a formarsi la comunità europea. i dirigenti di questa europa che desiderava l’unificazione – Schuman, adenauer e de gasperi – erano democristiani e quindi hanno scelto come patrono della nascente europa proprio Carlo Magno, che per loro era il simbolo della difesa di un continente cristiano. e in questo modo hanno contribuito a rafforzare il mito».


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 171

INDICE DEI NOMI


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 172

La voce Jacques Le Goff non è stata indicizzata.


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 173

Acquaviva, S., 10 Adenauer, K., 170 Alberto Magno, 68, 156 Alexis de Tocqueville, 53, 114 Alfonso X di Castiglia, 64 Anquetil, G., 93 Ansaldi, fam., 5 Aristotele, 16, 45, 67, 68 Arnaldi, G., 9, 48, 57, 76, 116 Arnaldo da Brescia, 155 Barraclough, G., 27, 40n Belting, H., 63 Benedetto XVI, papa, 151, 163, 165 Bergson, H., 53 Berio, L. 96-97 Berlusconi, S., 161 Bloch, M., 8, 43, 47, 49, 50, 51, 52, 53, 56, 68, 73, 116, 127, 155 Boncompagno da Signa, 68 Bordone, R., 9 Bouquet, S., 109 Braudel, F., 16, 52, 82, 87-88, 105, 107, 117-118, 120, 127, 148 Burckhardt, J., 32 Capitani, O., 9 Cardini, F., 27, 40n, 103 Carlo Magno, 18, 82, 166-170 Casagrande, C., 7, 9 Chabod, F., 51 Chirac, J., 132-134 Christine de Pizan, 142 Cicerone, 16, 18


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 174

174

INDICE DEI NOMI

Cristoforo Landino, 135 Croce, B., 46, 51, 68, 70 Dalarun, J., 112 Dante Alighieri, 18, 61, 137 de Gaulle, C., 99, 130 De Gasperi, A., 170 De Seta, C., 9 de Villepin, D., 133 Debussy, C., 61 Del Re, P., 131, 141-142, 160 Delors, J., 104, 126, 159 Delumeau, J., 137 Dunin Wasowicz Le Goff, A. (Hanka), 26, 71, 146-149 Eco, U., 9, 81, 93 Eleonora d’Aquitania, 142 Erode Antipa, 136 Erodoto, 47, 67 Febvre, L., 33, 51, 121, 166 Federico Barbarossa, 92 Federico II di Svevia, 110 Ferrari, G. A., 157 Ferry, J., 168 Foucault, M. 51, 52, 113 Francesco Petrarca, 29 Francesco, papa, 84, 163-165 Freud, S., 45, 66 Friedmann, G., 72 Frugoni, A., 155 Frugoni, C., 9, 64, 150 Fukuyama, F., 11, 44, 106, 108 Fustel de Coulanges, N.D., 43, 49 Galasso, G., 9 Galielo Galilei, 18 Gambaro, F., 164, 166


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 175

INDICE DEI NOMI

Gauchet, M., 31 Genet, J.P., 27 Gentile, G., 8 Geremek, B., 154 Giacometti, A., 121 Giacomo da Venezia, 151 Giardina, A., 103 Giotto, 18, 112 Giovanna, papessa, 102 Giovanni Paolo II, papa, 133, 151 Giscard d’Estaing, V., 124-125 Giulio Cesare, 18 Gouguenheim, S., 151-152 Gramsci, A., 10, 50, 59, 75 Guenée, B., 27, 40n, 48 Guicciardi, E., 88, 101 Hår„n al-Rashœd, 169 Havel, A., 147 Heers, J., 40n Hegel, G. W. F., 57, 74, 116 Heurgon, M., 25 Hollande, F., 161 Hugo, V., 61 Huizinga, J., 51 Iorga, N., 51 Irene, imperatrice, 169 Isnenghi, M., 73 Jacopo da Varazze, 139, 152-153 Jean de Joinville, 71 Joyce, J., 93 Kafka, F., 93 Koselleck, R., 47, 71 Kula, W., 34 Kundera, M., 96

175


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 176

176

INDICE DEI NOMI

Leone III, papa, 166 Leroi-Ghouran, A., 46, 69 Levi-Strauss, C., 108 Lombard, M., 149 Lopez, R.S., 27, 40n Lorenzo de’ Medici, 122, 135 Luigi IX il Santo, 71, 107, 109, 110, 112, 113, 144 Maggioni, D., 98, 113, 117 Mâle, E., 63 Mann, T., 93 Mariotto Allegri, 135 Marsilio Ficino, 135 Martinotti, G., 123, 128 Marx, K., 34, 50, 88 Mattioli, A., 152 Merkel, A., 160-161 Messina, D., 157 Michel de Montaigne, 48 Michel, H., 148-149 Michelet, J., 29-30, 32, 33, 49, 72 Mitterand, F., 99 Monet, C., 61 Monroe, J., 23 Montanari, M. 28 Montefiori, S., 161 Monti, M., 161 Munzi, U., 103, 106, 120, 127 Murray, A., 40n Muzzarelli, M.G., 9 Niebrzydowski, S., 141 Noferi, G., 103 Nora, P., 73, 147 Ordine, N., 148 Ottone di Frisinga, 108


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 177

INDICE DEI NOMI

Panofsky, E., 63 Parlato, V., 145 Pietro Lombardo, 135 Pio II, papa, 167 Pirenne, H., 51 Platone, 16 Popper, K., 97 Proust, M., 93 Provero, L., 11n Puccini, G., 108 Quintavalle, A. C., 60, 64 Raffarin, J. P. 133 Ricoeur, P., 73, 74 Rodotà, S., 152 Romano, R., 121, 123 San Benedetto, 169 San Francesco d’Assisi, 7, 109-113, 161-165 San Nicola, 138-140 Sant’Agostino, 68 Sant’Antonio da Padova, 163 Santa Brigitta di Svezia, 102 Santa Caterina da Siena, 102 Santa Chiara, 112 Santoni Rugiu, A., 11n Sarkozy, N., 132-133, 157, 161 Sassanelli, F., 138 Schiavone, A., 87 Schmitt, J. C., 64, 65, 150 Schuman, R., 170 Scott, W., 71, 148, 154-155 Sergi, G., 9 Shapiro, M., 63 Spinosa, A., 103

177


07Indicedeinomi_impaginato.qxd 04/05/15 16:50 Pagina 178

178

INDICE DEI NOMI

Torno, A., 134 Tenenti, A., 81, 120-123 Todeschini, G., 9 Tommaso d’ Aquino, 68, 71, 94, 143, 156 Toubert, P., 52, 110, 113 Vauchez, A., 6, 7 Vecchio, S., 7, 9 Vernant, J. P. 69 Veyne, P., 51 Vico, G. B., 46, 72 Vidal de la Blache, P., 22 Vilar, P. 34 Vlad III l’Impalatore (Dracula), 156 Wallerstein, I., 117 Warburg, A., 63 Yates, F., 70 Yerushalmi, Y. H., 73 Zagrebelsky, G., 152


06sommario_impaginato.qxd 04/05/15 17:03 Pagina 179

SOMMARIO Daniela Romagnoli, Introduzione . . . . . . . . . . . . Pag.

5

Interviste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

13

Lezioni honoris causa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Amedeo Feniello, Tre lezioni . . . . . . . . . . . . .

» »

41 43

Dai quotidiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo Miglio, Pagine quotidiane . . . . . . . .

» »

79 80

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

171


06sommario_impaginato.qxd 04/05/15 17:03 Pagina 180


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.