Occhi aperti SUSSIDIARIO DEI LINGUAGG I PER LA QUARTA CLASSE a cura di Renata Rava 4ALLA SCOPERTA DEL MONDO SCUOLA
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Coordinamento di redazione: Cristina Zoli Cura editoriale e ricerca iconografica: Isabel Tozzi Illustrazioni: Luciano Mereghetti Stampato in Italia da D’Auria Printing, S. Egidio alla Vibrata (TE) Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione.
® I LIONS IT ALIANI PER LA DISLESSIA VEGETABLE INK
La loro personale e collegiale ricerca è espressione della consapevole scelta di una proposta di testualità significativa nel percorso elementare.
ProgettoISBNTutti©QuartaNuovawww.itacaedizioni.it/scoperta-mondo-4edizione:marzo2018ristampa:agosto20222018Itacasrl,CastelBologneseidirittiriservati978-88-526-0547-5graficoeimpaginazione:Andrea Cimatti
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2 OCCHI APERTI
Referenze fotografiche Archivio Itaca
L’edizione di questo sussidiario dei linguaggi dà compiutezza e visibilità al lavoro di un gruppo di insegnanti che in questi anni hanno individuato, selezionato e raccolto validi testi ed esercitazioni.
· The Metropolitan Museum of Art, New York: The Berggruen Klee Collection, 1987, 26; Fletcher Fund, 1956, 159; Rogers Fund, 1907, 167; Purchase, The Annenberg Foundation Gift, 1993, 174-175; Bequest of Julia B. Engel, 1984, 179 · Pexels · PxHere · Shutterstock.com: Smiley.Dog 21, Elena Nichizhenova 38-39, Ondrej Prosicky 63, Zmrzlinar 64, Brian A Smith 66-67, Val Shevchenko 70, PixelDarkroom 98-99, SpeedKingz 105, Tyler Olson 156, Natalia Svistunova 178, Mostovyi Sergii Igorevich 181, Lee Yiu Tung 198, Andrew Mayovskyy 204-205, lemaret pierrick 210-211, ESB Professional 212 · Wikimedia Commons: Joseph Berger/© Bugwood.org/CC-BY-3.0-US 56, Rodw 194, LHOON 199 La foto del Presepe della Marineria di Cesenatico alle pp. 102-103 è di Giancarlo Rossi, Foto Studio 3 Grazie alla collaborazione con Seleggo, la versione digitale ottimizzata di questo libro per studenti dislessici può essere ottenuta in download gratuito registrandosi al sito www.seleggo.org
Raffaela Paggi è stata consulente per la parte relativa alla riflessione grammaticale, Francesco Grava per quella relativa alla musica, Denise Marchiori per quella relativa all’arte.
Alla scoperta del mondo 4. Sussidiario dei linguaggi. Classe 4
Hanno collaborato alla stesura definitiva del percorso di lettura: Mirella Amadori, Manuela Callaioli, Maria Teresa Carabelli, Barbara Righetti, Francesca Simonazzi, Giulia Zonca e Carlotta Piatti per il percorso di grammatica.
3 Occhi aperti SUSSIDIARIO DEI LINGUAGG I PER LA QUARTA CLASSE a cura di Renata Rava 4ALLA SCOPERTA DEL MONDO SCUOLA
4 OCCHI APERTI SOMMARIO Occhi aperti Alla ricerca del tesoro M. Twain 7 Il gusto dell’attesa L.M. Montgomery 8 Un invito per il tè L.M. Montgomery 10 Un ospite inatteso G. Durrell 11 Il mio nemico, il mare T. Vasile 13 La storia infinita M. Ende 15 Leggere con papà E. Canetti 16 Cara Joan… C.S. Lewis 17 Grazie! M. Corradi 19 Per vedere in profondo… F. Frederick 20 __________ M. Bellavista 20 Disegniamo Mettiamoci all’opera 21 Il mondo intorno a me Un luogo dove giocare F. Molnár 23 L’aquilone G. Stuparich 24 Giochi di luce E. H. Porter 25 Quando Emil infilò la testa nella zuppiera A. Lindgren 27 Lucy entra nell’armadio C.S. Lewis 29 Sapere innato B. Moeyaert 31 L’amicizia cresce L. Ballerini 34 Il Mavalà cantiamo insieme 35 Imparai per amore della mamma A. Banti 36 Trovare un amico F. Uhlman 37 Nel parco con Carmen F. Lalana 39 Il piacere di ammalarsi G. Gramigna 41 Colpi di testa J. Zanetti 43 Il piccolo Michel V. Ongini 45 Non cedere! G. Lamperti 46 Ronald ha rotto la cassetta K7! M.A. Cardoso de Souza, P. Amelio 47 Aquarela Do Brasil Ascoltiamo insieme 48 Filastrocca della gioia di rivedere gli amici B. Tognolini 48 Una scuola grande come il mondo G. Rodari 48 L’amicizia D. Rondoni 49 Lo skateboard D. Rondoni 49 Il mondo degli animali Un vero capolavoro 51 I segreti del volo 53 Il linguaggio delle api 54 Il formicaleone M. Lodi 55 Monna Teofila e il pappagallo T. Guautier 57 Atterraggio in Australia G. Durrell 59 La trota del maso E. Franceschini 60 Il vento nei salici K. Grahame 63 La carovana alata S. Bulajic 65 Proverbi e modi di dire 68 Gli animali Mettiamoci all’opera 69 Storie di uomini: Eureka! Eureka! L. Novelli 71 Che cosa stai facendo qui? R.M. Savage 72 Sinfonia n. 5, primo movimento Ascoltiamo insieme L. van Beethoven 75 Il libro della natura J.M. Tarragona Clarasó 76 L’arciere infallibile 78 L’uomo volerà! D. Mereskovskij 81 La grande idea L. Novelli 84 La società dell’allegria T. Bosco 86 Agatha Christie, una storia di straordinaria dislessia R. Grenci, D. Zanoni 88 Yusra F. Cavallo, E. Favilli 91 Tempo, stagioni e ricorrenze Sole d’ottobre F. Prati 93 Mattino d’autunno A. Manzoni 93 Nebbia in città B. Munari 94 Autunno E. Corti 94 Giornata nuvolosa A. Campanile 95 Dialogo tra due foglie F. Salten 96 Il presepe di Greccio T. da Celano 98 La notte santa S. Lagerlöf 99 Il nome di Gesù R. Pezzani 102 Campane di Betlemme Cantiamo insieme 105 La “magia” del’inverno M. Lodi 106 La città sepolta nella neve I. Calvino 107 Canzone d’inverno W. Shakespeare 108 Ascoltami inverno G. Quarenghi 108 La brina A. Stoppani 109 La fuga dell’ammalato A.Crepaldi 111 Primavera A. Negri 112 Vento sottile Cantiamo insieme 112 Promessa a fine marzo M. Corradi 113 Sono nate le viole A. Negri 114 Il Donacibo, per me Sara, classe IV 115 La leggenda dell’ulivo R. Pezzani 116 La torta di Pasqua C. Ferri 117 La voce dell’estate A. Lindgren 119 Lampi e tuoni M. Lodi 120 Il lampo G. Pascoli 121 Il tuono G. Pascoli 121 Il risveglio del vento R.M. Rilke 121 Piccola nuvola di primavera U. Betti 121 Racconti e fiabe Chichibio e la gru P. Holeinone 123 Pippi Calzelunghe A. Lindgren 124 Noè e le tartarughe G. Pizzol 125 Il gigante egoista O. Wilde 129 La gola della balena R. Kipling 133 La lampada di Aladino Fiaba Araba 136 I cigni selvatici H.C. Andersen 141 Il rospo H.C. Andersen 145 La storia dei gobboni Cantiamo insieme 153
5 Racconti storici Storia di un cavallo di legno L. Orvieto 155 Pitagora A.J. Geis 156 Il più veloce A.J. Geis 158 Atena e Aracne S. Benna Rolandi 162 L’ingresso dei persiani V.M. Manfredi 163 Bucefalo V.M. Manfredi 164 Modi di dire tratti dai miti greci 166 Il graffito Mettiamoci all’opera 167 Scrittori antichi 168 Il buon amico Teognide 169 Il vento tra i rami dei meli Saffo 169 Il leone invecchiato e la volpe Esopo 169 Elogio di Atene Tucidide 170 Un esempio della scienza greca: il principio di Archimede Archimede 171 Descrizioni Paesaggi naturali Dalla finestra di notte A. Soffici 173 Dipingere con gli occhi di un pittore V. van Gogh 174 Guardando l’acqua 176 Alba sul mare A. Moravia 178 La riviera adriatica E. Corti 179 La spiaggia di Cesenatico E. Corti 179 La mer Ascoltiamo insieme C. Debussy 179 L’Adriatico G. Lauretano 180 Le Dolomiti M. Corradi 181 La montagna è viva W. Bonatti 182 La Visaille Cantiamo insieme 182 Montagne guerriere H. Hesse 183 Sera sul lago V. Cardarelli 184 La valle più bella del mondo E. Franceschini 184 Liguria V. Cardarelli 185 Ambienti particolari La casa più strana del mondo F. Hodgson Burnett 186 Il giardino M. Georg 187 La soffitta M. Ende 188 La nascita di Narnia C.S. Lewis 189 Stanza Sandokan E. Salgari 190 Le casette di belvedere dei tigli P. Carpi 191 La casa del fauno C.S. Lewis 193 La stanza della cioccolata R. Dahl 194 I nostri oggetti parlano di noi 195 La nave C.S. Lewis 197 La strana meraviglia dei treni M. Corradi 198 Il tram M. Corradi 199 La bicicletta R. Piumini 200 Autobus D. Rondoni 200 Tra le bancarelle M. Corradi 200 Il mercato Mettiamoci all’opera 201 La grande guglia L. Doninelli 202 InSeracittàin città G. Di Rosa 204 In città al mattino D. Buzzati 205 Mettiti comodo: vieni in piazza! A. Beltrami 206 Città presente G. Lauretano 208 La città Mettiamoci all’opera 209 Roma W. d’Ormesson 210 A Firenze E. De Amicis 211 La mia Città D. Rondoni 211 Venezia D. Valeri 211 Testi di narrativa per la lettura integrale in classe Il mago di Oz F. Baum 213 I ragazzi della via Pal F. Molnár 213 Le avventure di Tom Sawyer M. Twain 214 Un viaggio fantastico G. Durrell 214 La storia di Ulisse e Argo M. Milani 215 Anna dai capelli rossi L.M. Montgomery 215 Grammatica Ortografia 217 I segni di punteggiatura 219 Esercizi 220 Parti del discorso 228 L’articolo 229 Il nome 230 L’aggettivo 234 Il pronome 236 Il verbo 240 Le preposizioni 243 Le congiunzioni 244 Gli avverbi 245 Le esclamazioni 245 Esercizi 246 La combinazione logica 271 Il predicato 271 Il soggetto 271 Predicato verbale e nominale 272 I complementi 273 Esercizi 274 Tabelle dei verbi 282 Il verbo essere 282 Il verbo avere 283 Il verbo amare 284 Il verbo temere 285 Il verbo partire 286
OCCHI APERTI
Cercarono ancora una volta dappertutto, poi sedettero scoraggiati. Huck non seppe suggerire niente. Poco dopo, Tom disse: «Guarda lì, Huck. Ci sono impronte di passi e macchie di sego di candela sull’argilla ad un lato della roccia, ma non su quella al lato opposto. Come mai? Scommetto che il tesoro si trova davvero sotto la roccia. Scaverò nell’argilla!».
Rimasero ben presto scoperte alcune assicelle e vennero tolte. Avevano nascosto un cunicolo naturale che conduceva sotto la roccia.
Pesava circa venti chili, Tom riuscì a sollevarlo a fatica, ma non sarebbe stato in grado di trasportarlo fino all’uscita. Ben presto le monete vennero a trovarsi tutte nei sacchetti e i ragazzi li portarono su fino alla roccia sotto la croce.
Di lì a poco, al di là di una stretta curva, esclamò: «Santo cielo, Huck, guarda«Eccoqui!».ilcofanetto del tesoro, lo abbiamo trovato finalmente!» esclamò Huck, affondando le mani tra le monete offuscate. «Mamma mia, siamo ricchi, Tom!».
Il temperino ad una lama saltò subito fuori ed egli non aveva scavato per più di dieci centimetri, quando urtò il legno. «Ehi, Huck! Hai sentito?». Huck cominciò a questo punto a scavare e a raspare con le unghie.
Mentre il sole cominciava a scendere verso l’orizzonte, sciolsero la cima e partirono. Arrivarono poco dopo che aveva cominciato a fare buio.
«E adesso Huck» disse Tom «nasconderemo il denaro nel solaio della legnaia, poi io verrò domattina, lo conteremo e ce lo divideremo e, in seguito, cercheremo un posto nei boschi dove possa essere al sicuro».
«Huck, ho sempre saputo che ci saremmo riusciti. Sembra troppo bello per crederci, ma abbiamo il tesoro, sicuro! Senti, non perdiamo altro tempo, filiamocela. Fammi vedere se riesco a sollevare il cofanetto».
Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Mondadori sego: grasso utilizzato per produrre sapone e candele. cunicolo: galleria, passaggio sotterraneo. cima: corda, cavo vegetale.
Tom si infilò nel cunicolo e spinse la candela il più possibile sotto la roccia, ma disse che non riusciva a vedere il fondo.
OCCHI APERTI 7 ALLA RICERCA DEL TESORO
La domenica mattina, tornata dalla chiesa, Anna confidò a Marilla di aver provato un gran tuffo al cuore, quando il pastore aveva annunciato la merenda dal pulpito.
«Oh, Marilla!» esclamò ansando, «la scuola domenicale organizza una merenda sull’erba, la settimana prossima. Sarà nel prato del signor Harmon Andrews, vicino al Lago delle acque lucenti.La signora Rachel, la signora Andrews e la signora Bell prepareranno dei gelati. Gelati, capisci? Mi permetti di parteciparvi, vero? Non è meravigliosa, una merenda sull’erba? Sarebbe la prima volta, per me. L’ho sognata tante volte, non ci sono mai stata».
«Puoi andarci. Sei un’allieva della scuola domenicale e se le tue compagne vi partecipano, lo farai anche tu».
IL GUSTO DELL’ATTESA
«Ti concentri troppo sulle cose, tu» disse Marilla, sospirando. «E, prima o poi, avrai grosse delusioni».
«Aspettare una cosa è bello quasi quanto averla a portata di mano! Puoi non ottenerla, ma nessuno può toglierti la gioia di immaginare che l’avrai. Io credo che sia peggio non sperare in niente, che avere qualche delusione ogni tanto».
«La mamma di Diana sta cucendo un vestito con le maniche al gomito. Lo indosserà per la merenda. Spero proprio che mercoledì prossimo il tempo sia bello, morirei se non potessi partecipare alla merenda. O forse non morirei, ma porterei in cuore il dispiacere per tutta la vita anche se nel futuro ci saranno tante altre merende. Andremo in barca sul Lago delle acque lucenti e mangeremo gelati. Io non ho mai assaggiato un gelato. Diana ha cercato di spiegarmi com’è il suo sapore, ma io penso che il sapore del gelato vada oltre qualsiasi immaginazione».
«Ho sentito un brivido in tutte le ossa, forse perché, fino a quel momento, non avevo creduto che la merenda ci sarebbe stata davvero. Non potevo fare a meno di pensare che fosse solo un sogno… ma quando il pastore fa un annunzio dal pulpito, allora bisogna crederci per forza».
8 OCCHI APERTI
Lucy Maud Montgomery, Anna dai capelli rossi, Bur
«Anna, hai parlato ininterrottamente per dieci minuti», disse Marilla. «Ora vediamo se riesci a stare con la bocca chiusa per un tempo altrettanto lungo».
Anna non parlò più, ma per tutta la settimana, quella merenda dominò i suoi pensieri, i suoi discorsi, i suoi sogni. Il giorno di sabato piovve e Anna entrò in agitazione, temendo che la pioggia sarebbe caduta per tutta la settimana e anche oltre, fino al fatidico mercoledì. Per cercare di distrarla, Marilla le impose di cucire di più del solito.
OCCHI APERTI 9 fatidico: atteso, aspettato. pulpito: podio, palco.
L’eccitazione di Anna traspariva dallo sguardo, dal sorriso, dai movimenti. Era tornata a casa danzando lungo il viale, leggera, come portata dal vento, nello splendente tramonto di quel giorno di agosto.
«Sono stata invitata al presbiterio, per il tè, domani. La signora Allan ha lasciato un invito per me, e guarda l’indirizzo: Signorina Anna Shirley di Green Gables. Nessuno, fino a oggi, mi aveva mai chiamato signorina. Non è emozionante? Conserverò questo invito, tra le mie cose più care, per sempre».
«Perché hai l’aria così stralunata?», chiese Marilla a Anna, rientrando dopo essere stata all’ufficio postale.
Quella sera Anna andò a letto più presto del solito, triste e abbattuta perché Matthew le aveva detto che il vento di nord ovest, che aveva soffiato forte per tutto il giorno, avrebbe portato pioggia l’indomani. Il fruscio delle fronde dei pioppi tutto intorno alla casa la deprimeva perché ricordava da vicino quello della pioggia e il rombo lontano del mare in tempesta. Di solito, quel rumore era musica per i suoi orecchi, le sembrava che avesse qualcosa di magico, di misterioso. Ma non quella notte, perché era il preannuncio di burrasca e lei desiderava tanto una bella giornata. E le ore, come scorrevano lentamente, come erano lunghe, interminabili! Ma tutto finisce, anche le notti che precedono il giorno in cui si è invitati a prendere un tè al presbiterio. E il nuovo giorno, a dispetto delle previsioni di Matthew, sorse caldo e limpido. Il morale di Anna salì alle stelle. Non stava più nella pelle, per la gioia. «C’è qualcosa in me, oggi», disse a Marilla, mentre lavava i piatti, «che mi fa amare tutto ciò che vedo. È una sensazione favolosa, vorrei che durasse per sempre. Credo che diventerei una ragazzina modello, se ogni giorno fossi invitata a un tè. Però alla mia felicità, si mescola un po’ d’apprensione. E se non mi comportassi nel modo giusto? Non sono sicura di conoscere tutte le regole dell’etichetta. Ho paura di fare qualcosa di sbagliato o di dimenticare le cose giuste».
10 OCCHI APERTI
Lucy Maud Montgomery, Anna dai capelli rossi, Bur stralunata: imbambolata e stranita. apprensione: agitazione, ansia. Dopo aver letto il brano «Il gusto dell’attesa» e «Un invito per il tè» ripensa alla tua esperienza. Ti è mai capitato di attendere un evento con grande desiderio ed emozione? Racconta.
UN INVITO PER IL TÈ
– Voi laggiù! – continuò la voce: era simile ad un aspro ruggito, come se il proprietario
OCCHI APERTI 11
– Ehilà! Voi laggiù, bambini! –gridava la voce. Emma e i gemelli alzarono gli occhi, a bocca aperta, e apparve loro una scena davvero fantastica e sorprendente. Alta su di loro planava una gigantesca mongolfiera, iridescente come una bolla di sapone. Al pallone era appesa una straordinaria struttura fatta di bambù: pareva un colossale cestone da bucato, ma aveva tanto di finestre, tapparelle e una porta d’ingresso. Il tutto culminava in una sorta di veranda, da cui spuntavano tre grandi telescopi; e lungo uno dei lati facevano capolino una folta barba e due baffoni da tricheco.
UN OSPITE INATTESO
La vicenda ebbe un inizio improvviso, come spuntato dal nulla. I fratelli Dollybutt erano usciti a cercare funghi nei boschi e nei prati intorno a casa loro. Emma, che con i suoi quindici anni era la maggiore, aveva capelli biondi e occhi azzurri; i gemelli Conrad e Ivan avevano dodici anni e si assomigliavano come gocce d’acqua, con capelli color delle castagne e piccoli nasi a patatina così cosparsi di efelidi che sembravano uova di Avevanotordo.raccolto un bel paniere di funghi color panna e stavano tornando a casa quando, improvvisamente, parve che il sole si fosse nascosto dietro una nuvola. Un’ombra enorme calò sul giardino. E con grande meraviglia i ragazzi udirono una voce tonante che li chiamava dall’alto.
avesse passato la vita a fare i gargarismi con la ghiaia. – Siete i bambini Dollybutt?
– Chi è Perceval? – intervenne Conrad.
– Mio fratello, l’altro vostro prozio – spiegò Lancelot. – Sono due anni che è partito, e comincio davvero a preoccuparmi. Intendo andare a cercarlo, e ho bisogno di orecchie e occhi acuti che mi aiutino. Dio sa dove può essere finito. Magari ci toccherà fare il giro del mondo prima di trovarlo!
Durrell, Un viaggio fantastico, Mondadori
– Sì, siamo noi. – rispose Emma. – E lei chi è?
– Sally, ragazza mia, è bello rivederti!– esclamò scrutandola con affetto.
– Sono il vostro prozio Lancelot, naturalmente! Non vi ha mai parlato di me I ragazzi scossero la testa. I baffoni ebbero un fremito d’impazienza. I ragazzi gli fecero strada verso casa: quando entrarono in cucina la povera signora Dollybutt fu talmente scossa dal rombante saluto di Lancelot che lasciò cadere sul pavimento il vassoio di biscotti che teneva tra le mani. Lancelot se la strinse fra le braccia e le stampò due sonori bacioni sulle grosse guance.
– Andiamo alla ricerca di Perceval – spiegò Lancelot. – È partito per studiare i gorilla, in Africa, e non s’è più visto.
– Ma in mongolfiera?! – gemette la signora – Naturalmente! – ruggì Lancelot –I ragazzi non corrono il minimo rischio. Questa sarà la grande avventura della loro vita e non ammetto una risposta negativa.Gerald
12 OCCHI APERTI
Noi raggiungemmo San Gregorio a piedi, ma in un modo che fece la nuova destinazione non meno impervia. La spiaggia di San Gregorio mi apparve bellissima alla fine di quel tormentoso tunnel. Ricordo la sabbia e gli scogli come un approdo di salvezza anche se li lambiva, azzurro, il mio nemico mare.
Poi lo sguardo fu attratto dalla prua arrugginita di una nave affondata che suggeriva l’orrore di un mistero sottomarino. Non tremavo più; ero un fascio di piccoli muscoli contratti attorno alle ossa che mi dolevano e il cuore pareva che dovesse scoppiarmi da un momento all’altro. Mio padre abbandonò i remi all’abbrivo e mi si avvicinò lentamente scavalcando la paratia che ci divideva. Si chinò a raccattare le ali di sughero abbandonate sul pagliolato e me le applicò agli omeri con cordicelle già preparate. Mi prese sotto le ascelle e mi sollevò – io ero attanagliato dal terrore per reagire in alcun modo, – mi sporse fuori dalla fiancata della barca e mi gettò in acqua.
L’indomani aspettavo in silenzio che mio padre mi portasse in acqua; ma lo vidi intento a costruire due ali di sughero delle quali non capii la funzione, né osai domandargliela perché lui lavorava con una ostinazione senza spiragli. Quando ebbe finito si mise le cortecce a tracolla e mi prese per mano. Io già tremavo e facevo resistenza; ma con mia meraviglia mio padre mi fece salire su una barca che aveva la prua sulla sabbia, e la spinse in acqua. Era una barca variopinta come un carretto, con la polena a forma di tritone; ma io ero attratto da mio padre che si era messo ai remi e vogava senza rivolgermi parola. La riva si allontanava; e a me prese un tremito che mi faceva battere i denti. Non osavo chinare gli occhi al mare perché indovinavo il suo abisso che al solo pensiero mi dava la vertigine. E mio padre non parlava, come se mi stesse portando in un posto dove mi avrebbe abbandonato per sempre – il padre di Pollicino mi venne in mente e più tardi negli anni, ripensandoci, la coppia di Abramo e Isacco diretti al luogo del sacrificio.
Da bambino avevo terrore del mare, benché fossi nato sulla riva dello Stretto, in quella sottile lingua di terra che si incurva a proteggere il porto di Messina. Avevo paura dei bagni di mare ai quali mio padre d’estate mi obbligava con ostinazione che a me pareva spietata. Mentre mi trascinava in acqua urlavo e piangevo, implorando che almeno l’indomani non fossi riportato al supplizio.
Avevo sei anni quando, venuta l’estate, mio padre decise di passare il suo mese di licenza presso la spiaggia di San Gregorio che sulle carte figura accanto a Capo d’Orlando e che tuttavia a me parve, allora, quasi inaccessibile. Affittammo una piccola casa di pescatori; e mio padre fece caricare in un gozzo le masserizie destinate a integrare l’arredo del transitorio alloggio.
OCCHI APERTI 13
IL MIO NEMICO, IL MARE
• Hai paura o piacere del mare? Racconta la tua esperienza.
14 OCCHI APERTI
Affondai e bevvi l’acqua amarissima; e subito, come se una mano invisibile mi spingesse dal fondo dei recessi marini, riemersi, dibattendomi simile a un ossesso che si è sciolto da una rigidità mortale. Annaspavo, sputavo, gridavo – ma non andavo a fondo. L’allegria e il pianto scoppiarono insieme; prendevo possesso del mio nuovo stato, mi rovesciavo in acqua, capriolavo nel morbido letto del mare che mi circondava e mi sorreggeva con insospettato affetto. «Papà! Papà!», gridai a mostrargli il miracolo. Mio padre si era rimesso ai remi e mi girava attorno con studiata lentezza. Io guardavo le isole Eolie, Capo Calavà, Punta Milazzo e la prua emergente della nave naufragata, con occhi che erano finalmente nuovi.
• Cerca il significato di queste parole: ostinazione, gozzo, masserizie, transitorio, impervia, lambiva, polena, abbrivo, paratia.
Turi Vasile, Paura del vento e altri racconti, Sellerio editore Palermo abbrivo: spinta, lancio.
• L’autore racconta come da bambino sia passato dalla paura al piacere del mare. È capitato anche a te un fatto in cui hai scoperto qualcosa di nuovo e inaspettato che ti ha fatto cambiare? Racconta.
Bastiano le andò a prendere. Si tolse il cappotto e lo appese al portabiti, accanto allo scheletro, che dondolò un momento su e giù; ma Bastiano di lui non aveva paura, forse perché a casa sua era abituato a vedere cose del genere.
Si tolse anche le scarpe, molli d’acqua, e in calzini di lana si lasciò cadere alla turca sulla pila delle stuoie, avvolgendosi le coperte grigie intorno alle spalle. Accanto a sé aveva la sua cartella, e il libro color rame.
Pensò che, di sotto, i suoi compagni avevano adesso giusto la lezione d’italiano. Forse dovevano fare un tema su qualche argomento noioso daBastianomorire.
Nella soffitta era sparsa un po’ dappertutto ogni sorta di ciarpame, c’erano scaffali pieni di raccoglitori e di cartelle, pacchi di incartamenti che non servivano più a nessuno, banchi di scuola accatastati gli uni sugli altri con i ripiani macchiati di inchiostro, uno scheletro umano appeso a un attaccapanni e molte casse e scatole piene di vecchi quaderni e testi scolastici. Bastiano alla fine decise di eleggere a sua dimora le stuoie da ginnastica.
OCCHI APERTI 15 LA STORIA INFINITA
E d’improvviso si sentì avvolgere da un’atmosfera quasi solenne.
Si sistemò comodamente, afferrò il libro, aprì la prima pagina e cominciò a leggere.
guardò il libro. «Mi piacerebbe sapere», mormorò fra sé, «che diavolo c’è in un libro fintanto che è chiuso. Naturalmente ci sono dentro soltanto le lettere stampate sulla carta, però qualche cosa ci deve pur essere dentro, perché nel momento in cui si comincia a sfogliarlo, subito c’è lì di colpo una storia tutta intera. Ci sono personaggi che io non conosco ancora e ci sono tutte le possibili avventure e gesta e battaglie, e qualche volta ci sono delle tempeste di mare oppure si arriva in paesi e città lontani. Tutte queste cose in qualche modo sono già nel libro. Per viverle bisogna leggerlo, questo è chiaro. Ma dentro ci sono fin da prima. Vorrei proprio sapere come».
Michael Ende, La storia infinita, Longanesi ciarpame: roba vecchia e inutile. incartamenti: documenti e fascicoli di carta. ammonticchiate: messe una sopra l’altra.
Se ci si stendeva sopra all’intera pila, pareva di essere su un sofà. Le trascinò sotto il finestrino del tetto, nel punto in cui arrivava più luce. Lì vicino c’erano, ammonticchiate, alcune vecchie coperte militari grigie, molto polverose e malconce, ma che facevano ottimamente al caso suo.
16 OCCHI APERTI
LEGGERE CON PAPÀ
in tono molto serio e incoraggiante e mi disse quanto sarebbe stato bello leggere quel libro. Lui stesso mi lesse ad alta voce una storia: altrettanto belle sarebbero state tutte le altre. Dovevo cercare di leggerle da solo e poi la sera raccontargliele. Quando avessi finito quel libro, me ne avrebbe portato un altro. Non me lo feci ripetere due volte e sebbene a scuola avessi appena finito di imparare a leggere, mi gettai subito su quel libro meraviglioso e ogni sera avevo qualcosa da raccontargli.
I discorsi più belli a quel tempo li facevo con il mio papà. La mattina, prima di andare in ufficio, veniva brevemente da noi nella stanza dei bambini e a ciascuno diceva qualche frase speciale, sempre azzeccata. Era vivace e allegro e ogni giorno inventava nuovi giochi e scherzi. Andavo già a scuola da qualche mese, quando accade una cosa solenne ed eccitante che determinò tutta la mia successiva esistenza. Mio padre mi portò un libro. Mi accompagnò da solo nella stanza dove dormivamo noi bambini e me lo spiegò. Era Le mille e una notte in un’edizione adatta alla mia età. Sulla copertina c’era un’illustrazione a colori, se non sbaglio di Aladino con la lampada meravigliosa.Ilpapàmiparlò
Lui mantenne la promessa: ogni volta c’era un libro nuovo, così che non ho mai dovuto interrompere, neppure per un solo giorno, le mie letture. Elias Canetti, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Adelphi azzeccata: indovinata, adatta. solenne: importante. Ti piace leggere? Chi ti ha fatto scoprire la lettura? Qual è il tuo libro preferito?
Se diventerai una scrittrice, cercherai di descrivere la cosa per tutta la vita: e sarai fortunata se, in dozzine di libri, una o due frasi, solo per un istante, saranno vicine a farcela davvero.
Lettera a Joan, bambina americana lettrice di «Le cronache di Narnia» che aveva inviato a Lewis un proprio racconto. 2 giugno 1956 CaragrazieJoan,per la tua lettera del 3 giugno. Descrivi la tua Notte meravigliosa davvero bene. È proprio questo il punto, descrivi il posto e le persone e la notte e la sensazione di tutto questo assieme, molto bene, ma non la cosa in sé: la montatura, ma non la pietra preziosa.
CARA JOAN…
4. Nella scrittura non usare quegli aggettivi che possono solo dirci come tu voglia che noi sentiamo le cose che descrivi. Voglio dire, anziché dirci che una cosa era «terribile», descrivila in maniera da terrorizzarci. Non dire che era «deliziosa»; fai sì che noi arriviamo a dire «deliziosa» quando abbiamo letto la tua descrizione. Capisci, tutte le parole di quel tipo (orribile, meraviglioso, odioso, squisito) sono come dire ai tuoi lettori: «Per favore, vedete di fare il mio lavoro al mio posto».
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1. Cerca sempre di usare il linguaggio in maniera tale da rendere abbastanza chiaro cosa vuoi significare e sicuro che la tua espressione non vuole intendere niente di diverso.
Quello che ha davvero importanza è:
2. Preferisci sempre la parola chiara e diretta a quella più vaga e ampia. Non rendere effettive le promesse, ma mantienile.
3. Non usare termini astratti quando quelli concreti funzionano. Se vuoi dire: «Più persone sono morte» non dire: «La mortalità è aumentata».
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vaga: confusa, non chiara. Rileggi il punto 4. Prova a descrivere una cosa o una situazione “terribile” o “deliziosa” senza usare questi aggettivi.
5. Non usare parole troppo grandi per il soggetto. Non dire «infinitamente» quando intendi «molto»; altrimenti non avrai più parole per quando vorrai parlare di una cosa veramente infinita. Grazie per le foto. Sia Aslan che tu state davvero bene. Spero che ti piaccia la tua nuova casa.
Con tanto affetto, tuo C.S. Lewis C.S. Lewis, Prima che faccia notte. Racconti e scritti inediti, Bur
Corradi, «Tempi», 29 dicembre 2011 si schiera: si mostra. attitudine: capacità, abilità. enclave: luogo protetto. «Noi non ci accorgiamo, di solito, di ciò che abbiamo, di tutto ciò che ci si ripresenta fedele, che ci si schiera davanti agli occhi ogni Raccontamattina…».qualisono
le cose, i luoghi e le persone che ti circondano ogni giorno e ringrazia per ciò a cui tieni particolarmente. Utilizza la costruzione proposta nel testo: 1. Io non mi accorgo… 2. Da un po’ di tempo vedo attorno a me… 3. Grazie dunque per… 4. Grazie di…
OCCHI APERTI 19 GRAZIE!
Noi non ci accorgiamo, di solito, di ciò che abbiamo, di tutto ciò che ci si ripresenta fedele, che ci si schiera davanti agli occhi ogni mattina. Ma da un po’ di tempo “vedo”, attorno a me, questa casa, e una famiglia, e degli amici, e un lavoro… io mi ricordo, in certi vecchi che ho frequentato da bambina, questa attitudine a saper essere contenti di una mattina di sole, o di un piatto fumante, a tavola, e del suo profumo. Come se ogni mattina gli occhi si aprissero per la prima volta; e ci si meravigliasse delle facce care, delle cose di casa che funzionano, docili, del fido ronzio della lavabiancheria e perfino di un banale frigorifero pieno… Grazie, dunque, per questa stanza in cui dormo; grazie per quella lama di luce chiara e di freddo tagliente che entrerà aprendo la finestra, insieme al fugace rosa del ciclamino sul balcone, così rosa e vivo, anche dopo la notte d’inverno…Graziediquesta
casa grande, ombrosa, caotica, come in fondo a me piace… quanto amo questa nostra cucina larga, affollata di oggetti che non sappiamo più dove infilare, col grande crocefisso di legno che ci allarga sopra le sue braccia, generoso. Grazie dei vicini e dei negozianti che saluto ogni mattina, nell’enclave cara e consueta che è una via di Milano come tante… grazie anche del mio cane, mezzo sciacallo e mezzo volpe… grazie dei nostri gatti, belli, fieri come enigmatiche sfingi e pasticcioni come bambini…Marina
È per vedere più chiaramente, per vedere ancora più in profondo, ancor più intensamente, ed essere quindi pienamente consapevole e vivo, che disegno le “diecimila cose” che ci circondano. Il disegno è la disciplina per mezzo della quale riscopro costantemente il mondo.Hoimparato che le cose che non ho disegnato non le ho mai viste veramente, e che, quando mi metto a disegnare una cosa qualsiasi, essa mi si rivela straordinaria, un puro miracolo. Libera traduzione da Frederick Franck , The Zen of Seeing. Seeing/Drawing as Meditation, Vintage A., uno dei bambini che seguo, il mio preferito, è stupendo: fa morir dal ridere, sembra fatto apposta per me…; è appassionato di James Bond 007 e usa sempre righelli e astuccio come mitragliatrici; ride sempre e quando gli chiedo perché, mi dice: «Prof, top secret!!» e poi mi strizza l’occhio. Ogni tanto mi fa domande che mi spiazzano, è molto sensibile. “A.”, come si firma lui nelle verifiche, sente molto il peso degli errori che fa. L’altro giorno durante una verifica mi ha detto che ha paura di sbagliare e piangeva. Io l’ho guardato e gli ho detto: «Per me A. puoi sbagliare tutto, se abbiamo bisogno di più tempo degli altri per imparare lo usiamo tutto, questa è una sfida, ci stai? Quest’anno cerchiamo di imparare a non aver paura dell’errore». Lui ha cambiato faccia, ha smesso di piangere e continuava a tenere gli occhi sgranati e mi guardava un po’ stranito da quello che gli dicevo, poi mi ha detto «ok» e mi ha dato un cinque. Io gli ho solo detto che gli voglio bene e che lo stimo tanto e lui è ripartito…
Marta Bellavista, Voglio tutto, a cura di E. Polverelli, Itaca Prova a dare il titolo a questo brano.
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PER VEDERE IN PROFONDO…
Se vuoi puoi decidere di rappresentarti di spalle mentre guardi affacciato alla finestra, accennando anche alla cornice della finestra. In questo caso dovrai colorare te e la cornice di nero, totalmente in ombra e in un forte contrasto con i colori accesi del panorama che hai appena rappresentato.
Disegniamo… Prova ad affacciarti ad una delle finestre di casa, quella che ti offre la vista più bella e interessante di ciò che sta fuori.
Ricordati che ciò che è più vicino risulterà più grande e ricco di dettagli mentre ciò che è più lontano sarà più piccolo e indefinito, quindi fai molta attenzione alle proporzioni.
Su un foglio da disegno traccia con la matita grafite, senza fare troppa pressione con la mano, le linee principali di ciò che vedi in modo da definirne l’ingombro nello spazio che hai a disposizione.
Prosegui disegnando ciò che vedi nel dettaglio e lasciandoti incuriosire da ciò che più ti colpisce. Cerca di non lasciare spazi vuoti e aguzza lo sguardo come farebbe un investigatore sulle tracce importanti per la risoluzione del suo caso, anche ciò che è apparentemente insignificante potrebbe rivelarsi utile e significativo!Coloraconle matite colorate.
Mettiamoci all’opera
OCCHI APERTI 21
IL INTORNOMONDOA ME
IL MONDO INTORNO A ME 23
UN LUOGO DOVE GIOCARE
Nel fondo, il deposito di legname rappresentava tutto il rimanente: borghi, foreste, Montagne Rocciose; insomma, quanto veniva fatto di desiderare. Ferenc Molnár, I ragazzi di via Pál, Bur esigua: piccola. sgomentevole: paurosa. Quali sono i giochi che preferisci fare? Spiegali brevemente, raccontando con chi li fai e in quale luogo.
Non potete capire che cosa sia, che valore abbia, per un ragazzo di Budapest, un’area di “terreno fabbricabile”. Eppure non si tratta che di un’esigua superficie di terreno, limitata da uno steccato di tavole ormai semimarcite e, dove non c’è lo steccato, dai muri di fianco delle case che s’innalzano fino al cielo. Lì c’era un’altra vasta area, affittata ad una importante segheria a vapore che l’aveva riempita di cataste di legname, simili a enormi cubi regolari separati da tante stradette. Un vero labirinto, da non raccapezzarsi. Ma chi alla fine sapeva uscirne, ecco che sbucava in una sorta di spiazzo dove si trovava il rustico edificio che era sede della segheria a vapore: una costruzione strana, piena di misteri, quasi sgomentevole. D’estate la vite del Canadà la ricopriva totalmente e tra il verde dei tralci si drizzava un sottile fumaiolo nero. Certo, non ci poteva essere campo più splendido per giocarvi a qualsiasi gioco. Per i ragazzi di città, nessuno avrebbe immaginato o avrebbe chiesto un posto più adatto di quello alle imprese degli indiani. L’area fabbricabile di via Pal era tutta piana e sostituiva alla perfezione le praterie americane.
lo vedemmo davanti alla casa, affaccendato con grandi fogli di carta da pacco, con lunghe stecche ricavate da canne, con barattoli di colla di farina, con gomitoli di spago.
Una di quelle estati fu per noi splendida: l’estate in cui nostro padre decise di prendersi anche lui una vacanza completa.
24 OCCHI APERTI
Trepidanti seguimmo il mostro che barcollò, ondeggiò, s’impennò un momento poi, trasportato dal vento, cominciò a salire, salire e ad allontanarsi nel cielo.
L’AQUILONE
Fra lo stupore commosso di noi tutti, si levò più su delLocampanile.vedevamo piccolo come un falchetto, superbo nel volo, e il filo vibrava e noi facevamo fatica a trattenerlo. Il nostro aquilone fu per parecchi giorni la meraviglia del paese e tutti venivano a Gianivederlo.Stuparich, L’isola e altri racconti, Giulio Enaudi vibrata: pronta per essere lanciata. Sottolinea i paragoni che l’autore utilizza per descrivere l’aquilone e le sue caratteristiche.
Ciò significava che egli metteva a nostra disposizione tutte le risorse della sua allegria, della sua inventiva, della sua esperienza. Diventava un nostro compagno maggiore, la nostra guida.
Un giorno papà veniva a casa con un mazzo di canne palustri e da queste, con arte, egli ricavava per noi fischietti, piccoli zufoli e schizzetti.
Fu una giornata indimenticabile; il lavoro durò ininterrottamente per ore ed ore. Il risultato fu un aquilone spettacolare, robusto come un aeroplano, con una coda lunghissima e, per reggerlo, un gomitolo di spago che non ci stava nelle mani. Trasportammo il “drago” sul prato, come un trofeo. I nostri cuori battevano, quando papà ci dette tutte le istruzioni per il via.
Un altro giorno vedevamo papà manipolare misteriosamente ogni sorta di stracci: ne venne fuori, con nostra gioia e sorpresa, una bella palla vibrata, cucita solidamente, con un forte manico di Unastoffa.mattina
Il signor Pendleton sorrise un po’ controvoglia; quel giorno non era dell’umore migliore. «Beh, penso che sia originato dal bordo sfaccettato del termometro che sta appeso alla finestra» disse con voce stanca. «In questa stagione è sfiorato dal sole al mattino».
IL MONDO INTORNO A ME 25 GIOCHI DI LUCE
«Va bene, signore» disse la donna osservandolo stupita. Qualche attimo dopo era di ritorno, accompagnata da un leggero tintinnio e, con aria più che mai perplessa, si avvicinò al letto. Erano i pendagli di cristallo che adornavano il candelabro a tintinnare in quel modo. «Grazie. Lo posi su quel tavolino» disse il signor Pendleton. «Adesso leghi uno spago in modo che vada da un lato all’altro della finestra. È tutto, grazie, può andare» disse, dopo che la donna ebbe eseguito le istruzioni. Quindi guardò Pollyanna sorridendo. «Portami quel candelabro, per favore».
Pollyanna l’afferrò con tutte e due le mani e glielo portò. Subito dopo John Pendleton cominciò a sfilare uno per uno i pendagli del candelabro finché non furono tutti distesi uno accanto all’altro, una dozzina circa, sul«Elenzuolo.ora,mia cara, se veramente desideri vivere in un arcobaleno, non vedo altra alternativa che creare un grande arcobaleno in cui vivere! Non ti resta
«Non me ne importerebbe nulla» disse Pollyanna sempre più affascinata dalla banda colorata che attraversava il cuscino. «Se potessimo vivere sempre in un arcobaleno, pensa che ci importerebbe molto della temperatura?». John Pendleton rise di cuore. Osservava con curiosità le varie espressioni sul volto della bambina. Colto da un’idea improvvisa suonò il campanello che aveva accanto a lui. «Nora», disse quando l’anziana cameriera apparve sulla porta «mi porti, per favore, uno dei candelabri che si trovano sulla mensola del camino del salotto a sud».
Un giorno d’agosto Pollyanna era passata di buon mattino a dare un saluto al signor Pendleton, e rimase assolutamente stupefatta notando una banda di luce colorata, blu, verde, rosso e violetto attraversare il guanciale del malato.
«Ma è bellissimo! Ed è il sole a creare quei colori? Se il termometro fosse mio, lo terrei al sole tutto il giorno».
«Quel termometro non ti servirebbe più a nulla, allora» disse ridendo il signor Pendleton. «Come potrebbe indicare la temperatura esatta se fosse esposto al sole?».
Stette un po’ ad osservare, quindi esclamò radiosa: «Ecco, signor Pendleton, un arcobaleno in miniatura che è entrato a trovarla! Oh! Com’è bello! Ma come avrà fatto ad entrare?» si chiese incuriosita.
Pollyanna non aveva appeso che tre di quei pendagli davanti alla finestra illuminata dai raggi del sole, che iniziò a capire quello che stava accadendo. Era così eccitata che riuscì a stento ad appendere il resto delle gocce di cristallo. Ma ben presto ebbe terminato e si ritrasse, lanciando un grido di Quellameraviglia.stanza sontuosa ma cupa era diventata una sorta di mondo fantastico. Dappertutto danzavano raggi di luce blu, arancione, verde e violetto. La parete, il pavimento, qualche mobile e perfino il letto erano coperti da tante tremolanti strisce colorate.
altro da fare che agganciare uno per uno questi pendagli di cristallo allo spago che Nora ha fissato attraverso la finestra».
Eleanor H. Porter, Pollyanna, De Agostini perplessa: incerta, dubbiosa.
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«Oh, che meraviglia» disse Pollyanna al colmo dell’entusiasmo; e poi, improvvisamente, scoppiò a ridere.
Paul Klee, I giardini del tempio , part., The Metropolitan Museum of Art, New York
Quel giorno a Katthult avevano per pranzo la minestra in brodo. Erano tutti seduti intorno al tavolo della cucina intenti a mangiare, Emil in Quellatesta.minestra gli piaceva molto. Tutti mangiarono a sazietà, finché la zuppiera fu vuota. In fondo era rimasto un goccino di brodo. Emil lo voleva, e l’unico sistema era quello di infilare la testa nella zuppiera e succhiar su. Fu ciò che fece. Quando poi cercò di tirar fuori la testa non ci riuscì! Era incastrato! Emil si spaventò, si alzò di scatto dal tavolo e afferrò il recipiente strillando. La mamma stava in pena per lui. «Come tiriamo fuori il piccolo? Prendiamo il ferro del camino e spacchiamo la zuppiera». «Sei ammattita?» disse il padre di Emil. «È costata ben quattro corone».«Ciprovo io» disse Alfred, che era un garzone forte e in gamba. Afferrò la zuppiera per i manici e la sollevò energicamente. Emil, sollevato insieme alla zuppiera, scalciava per essere ripoggiato per terra. Di nuovo la mamma pensò di spaccare la zuppiera col ferro del camino, ma il padre disse: «Mai e poi mai! Preferisco andar dal medico a Mariannelund: lui riuscirà senz’altro a levarla; prende solo tre corone e in questo modo ne guadagniamo una».
«Perché altrimenti ho freddo alle orecchie» rispose Emil. Sapeva esser spiritoso, per essere un bambino. Alla fine entrò nello studio del dottore e questi si limitò a dire: «Buongiorno! Cosa ci fai là dentro?». Anche se Emil non vedeva il dottore, doveva pur salutarlo,
Alfred portò cavallo e calesse davanti alla casa ed Emil uscì, pronto ad arrampicarsi sul sedile posteriore. Stava così bene con la sua bella zuppiera in testa! Non restava che mettersi in strada perLaMariannelund.salad’attesadel medico era piena di gente. Tutti manifestarono rincrescimento per l’accaduto; soltanto un vecchietto maligno rideva a crepapelle.«Ah,ah,ah! Hai freddo alle orecchie, ragazzo?». «No!» disse Emil. «Allora, perché hai quell’arnese rovesciato addosso?».
IL MONDO INTORNO A ME 27 QUANDO EMIL INFILÒ LA TESTA NELLA ZUPPIERA
di Emil si rallegrò e fu grato al figlio che aveva rotto quel recipiente e risparmiato una corona.
Astrid Lindgren, Emil, Nord-Sud Edizioni rincrescimento: dispiacere. crepapelle: tanto da sentirsi scoppiare. corona: nome di un’antica moneta.
perciò fece un inchino e sbattè tanto energicamente la testa contro la scrivania che la zuppiera andò in pezzi.
28 OCCHI APERTI
«Vanno in fumo quattro corone!» disse il papà. «E una ne risparmiate!» disse il medico, «Perché io prendo cinque corone per tirar fuori i bambini dalle zuppiere, e lui se l’è cavata daIlsolo».padre
LUCY ENTRA NELL’ARMADIO
– Qui non c’è niente – decise Peter, proseguendo nella marcia. Gli altri lo seguirono a eccezione della piccola Lucy, che si era fermata davanti all’armadione chiedendosi cosa contenesse. Certo era chiuso a chiave, ma un tentativo si poteva anche fare; Lucy toccò la maniglia e con sua grande sorpresa la porta si aprì subito. Ne vennero fuori due palline di naftalina. Guardando all’interno, Lucy vide che il guardaroba conteneva cappotti e pellicce. A Lucy le pellicce piacevano tanto: entrò nel vano e si divertì ad accarezzarle con la mano, ci strofinò il viso e trovò che avessero un buonissimo odore. Naturalmente aveva lasciato un’anta aperta, perché sapeva benissimo che entrare in un armadio e chiudersi la porta alle spalle è la cosa più stupida che si possa fare.
Dietro la prima fila di pellicce ce n’era un’altra. Lucy fece qualche passo, tenendo le braccia tese in avanti: non voleva sbattere improvvisamente contro la parete dell’armadio. Un passo, due,
IL MONDO INTORNO A ME 29
– Naturalmente, doveva piovere – borbottò Edmund.
– Smettila di brontolare, Edmund – disse Susan. – Scommetto quello che vuoi che tra un’ora finirà di piovere. Intanto qui non si sta male: c’è la radio e ci sono dei libri.
C’erano una volta quattro bambini che si chiamavano Peter, Susan, Edmund e Lucy. Vivevano a Londra ma, durante la seconda guerra mondiale, furono costretti ad abbandonare la città per via dei bombardamenti aerei. Furono mandati in casa di un vecchio professore che abitava nel cuore della campagna, a poco meno di venti chilometri dalla più vicina stazione ferroviaria e a tre chilometri e mezzo dall’ufficio postale. Il professore non aveva moglie: alla casa badava la signora Macready, la governante, aiutata da treLacameriere.mattinadopo il loro arrivo pioveva. La pioggia cadeva così fitta che guardando dalla finestra non si vedevano né montagne né boschi, e neppure il ruscello che attraversava il giardino.
– Macché, macché – la interruppe Peter. – Io me ne vado a fare un giretto per la casa. Esplorazione! Trovarono che fosse una bellissima idea e fu così che cominciò la loro strana avventura. Poco dopo arrivarono in una stanza quasi vuota: c’era solo un grande armadio appoggiato al muro, del tipo che ha uno specchio nell’anta; a parte il mobile, sul davanzale della finestra si vedeva una piantina di fiordalisi secca.
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– Se qualcosa non va, tornerò indietro –si disse Lucy, e puntò decisa verso il lumicino che brillava in lontananza. Sotto le scarpe la neve faceva cric C.S.croc.Lewis, Il leone, la strega e l’armadio. Le cronache di Narnia, vol. 2, Mondadori
– Sembrerebbero rami d’albero – bisbigliò, sempre più sbigottita. E allora vide una piccola luce che brillava lontano, dritto davanti a lei. Lucy si rese conto che dove avrebbe dovuto esserci la parete di fondo dell’armadio c’erano invece alberi. Quello era un bosco, e nel bosco c’era un sentiero. Nevicava; era già buio e nevicava.
un altro. All’interno era buio, Lucy non vedeva niente, e per quanto annaspasse con le mani non incontrava che il vuoto.
– Questo armadione è semplicemente enorme – disse tra sé, continuando ad avanzare e scostando le pellicce per fare spazio. Poi cominciò a sentire qualcosa che scricchiolava sotto le scarpe.
– Ancora naftalina? – si domandò, chinandosi per sentire con le mani. I polpastrelli rivelarono qualcosa di morbido, sottile come sabbia e freddissimo.–Moltostrano, sembra neve – mormorò Lucy. Un attimo dopo sentì contro il corpo e il viso qualcosa di duro e ruvido, perfino pungente.
Naturalmente, fu un po’ spaventata dalla scoperta, ma nello stesso tempo si sentì piena di curiosità e di una strana eccitazione che la spingeva a proseguire lungo il sentiero, verso la luce. Voltò la testa un attimo, e tra i neri tronchi degli alberi riuscì a vedere la porta spalancata dell’armadio. Vide anche un pezzetto della stanza vuota dalla quale era venuta: lì splendeva ancora la luce del giorno.
Ero a letto con mio fratello e cercavamo di trovare la posizione giusta.
«E perché io non lo so?» dissi. Scostai la coperta e cercai con i piedi le pantofole sul linoleum freddo, ma niente, non le trovavo, e così corsi scalzo nell’altra stanza, dove dormivano gli altri. Anche loro erano svegli. Quando sentirono avvicinarsi il rumore appiccicaticcio dei miei piedi nudi si misero seduti sul letto e accesero la luce sul comodino. Mi chiesero che cosa c’era che non andava; avevano la faccia di chi spera che ci siano un sacco, un sacco di cose che non vanno.
«Non è questione di essere sicuri o no» disse lui. «È più una di quelle cose che si sanno da sempre, una specie di sapere innato. Una cosa vecchia che ti è stata trasmessa: quando ti cigola l’orecchio vuol dire che qualcuno sta ballando sulla tomba in cui un giorno sarai seppellito».
IL MONDO INTORNO A ME 31
«Ma sei proprio sicuro di questa cosa della tomba?» dissi. Spalancai gli occhi per cercare mio fratello nel buio, ma proprio non riuscivo a vederlo.
Chiesi se anche a loro a volte le orecchie cigolavano, e se sapevano che cosa voleva dire quando capitava. Trattenni il fiato, perché i miei fratelli probabilmente avevano bisogno di tempo per riflettere. E invece mi risposero all’istante che a loro le orecchie cigolavano regolarmente, e che voleva dire che qualcuno stava ballando sulla tomba dove un giorno sarebbero stati seppelliti. Dopo di che mi guardarono con gli occhi un po’ lucidi, come facevano
Dato che ero sdraiato sulla pancia, e avevo un orecchio sprofondato nel cuscino, sentivo solo la metà di quello che mio fratello diceva. Ci volle un po’ prima che mettessi insieme per bene le sue frasi, ma dopo aver rimuginato meglio sulla faccenda della tomba, mi alzai a sedere di scatto sul letto.
«Non l’ho mai sentito cigolare, io, il tuo orecchio. O almeno, non che miMioricordi».fratello ribatté che la cosa non lo sorprendeva. «Dal di fuori non si sente cigolare. Io però mi spavento ogni volta. Vorrei vedere te, se qualcuno ballasse sulla tomba in cui un giorno sarai seppellito».
Quella sera non riuscivamo proprio a prendere sonno, perché avevamo la testa pienissima. Era stata una giornata faticosa, in cui avevamo fatto di tutto, tranne che pensare, e volevamo rifarci prima di dormire. Immersi nel buio, continuavamo a girarci sulla schiena, sul fianco, sulla pancia, sull’altro fianco, come se stessimo cuocendo a fuoco lento nei nostri pensieri. Sembrava che dovesse andare avanti così per sempre, finché a un tratto mio fratello, lì al buio, mi chiese se sapevo perché a volte capitava che gli cigolasse l’orecchio. «Io non lo sapevo che a volte capitava che ti cigolasse l’orecchio» dissi.
SAPERE INNATO
32 OCCHI APERTI
Uno di loro alzò la mano. Disse: «Ehi, aspetta un attimo. Non vorrai dirmi che a te, eh… la mano sinistra non prude mai…». «O la destra» aggiunse un altro dei miei fratelli. Io scossi la testa e mi strinsi nelle spalle.
«Vuoi dire che a te le orecchie non hanno mai cigolato?» chiese mio fratello. «Mai» risposi. «O comunque io non me ne sono accorto». I miei fratelli si scambiavano occhiatine, mi guardavano le orecchie, e muovevano le sopracciglia su e giù.
«Se ti prude la mano sinistra vuol dire che stai per guadagnare soldi» disse uno dei miei fratelli.
abbastanza spesso. Era una cosa che ogni volta mi ricordava che ero piccolo, molto piccolo: il più piccolo, in effetti.
«Proprio come tutti, ancora prima di nascere, sanno che quando ti fischiano le orecchie vuol dire che qualcuno sta parlando di te» disse un fratello.
«O quando diventano rosse» dissero gli altri miei fratelli. «Possono anche diventare rosse. O muoversi. In tutti questi casi vuol dire che qualcuno sta parlando di te». Non riuscivo più a stare fermo. Così tante notizie tutte insieme non le avevo mai sentite. Quello che avevo sempre saputo, ancora prima di nascere, a un tratto mi capitava tutto in una volta. Mi fischiavano le orecchie, mi prudeva la mano sinistra, e anche la destra, e le mie orecchie si agitavano e prendevano fuoco.
Avevo un groppo in gola. Mi guardai le mani, non ricordavo di averle mai sentite prudere, e poteva essere giusto, perché non ero ancora diventato molto ricco, ma non avevo nemmeno subito grandi perdite.
cigolare: mandare suono stridente. occhiatine: guardare per cercare approvazione. groppo in gola: provare dispiacere. Racconta una conversazione simpatica avvenuta nella tua famiglia.
«Si dice così: sinistra stravinci, destra maldestra».
Guardai i miei fratelli, il più grande, il più tranquillo, il più sincero, il più timido, il più simpatico e il più sveglio. Si stavano tutti grattando il naso. «Eh, no» dissi io. «Sicuramente anche quando prude il naso vuol dire qualcosa, vero?». «Certo» dissero i miei fratelli. «Vuol dire che qualcuno ti sta pensando». E infatti. In quel momento entrò nella stanza mio padre. Aveva pensato a noi e ci diede tanti di quegli schiaffi che le orecchie continuarono a fischiarci e rimasero rosse ancora per un sacco di tempo. Bart Moeyaert, Fratelli, Rizzoli
«E se ti prude la destra vuol dire che li stai perdendo» aggiunse l’altro.
«E così voi lo sapevate…» dissi. «Ma perché nessuno mi ha mai detto niente?».
IL MONDO INTORNO A ME 33
«Non è una cosa da dire» risposero i miei fratelli in coro. «È nei geni di tutti, una specie di sapere innato».
Bastò poco per diventare inseparabili. Andrea e Nico restavano in casa lo strettissimo necessario, praticamente solo per fare un po’ di compiti e quando i genitori li chiamavano a tavola.
Per la prova di resistenza, come la chiamavano loro, avevano fissato una sola regola: partire dal centro esatto dell’aia, col piede destro appoggiato ai sassi dell’aiuola, e correre a più non posso in direzione delle colline, senza fermarsi mai. La gara finiva quando uno dei due sentiva una fitta forte al fianco sinistro, segno che proprio non ne poteva più. A quel punto raggiungevano il grande faggio dove potevano riposarsi in pace. Quell’albero, così lontano da casa (che vista da là pareva un puntino bianco in mezzo alla vallata verde) aveva delle fronde tanto folte da offrire riparo dalla pioggia d’inverno e dal sole d’estate.
Per il resto del tempo, erano sempre fuori a giocare e chiacchierare nella campagna.Chebello correre a perdifiato nei prati, ogni volta diventava una sfida.
34 OCCHI APERTI
Un posto dove sentirsi grandi.
Cantiamo insieme Il Mavalà È un canto di Paolo Amelio sull’amicizia: per essere amici ciascuno deve fare la sua parte. Mavalà, se rimaniamo insieme mavalà, non può che andarci bene, mavalà, ti è stato preparato il pasto preferito quello che sognavi tu e molto più Non era come tutti gli altri: alla base del tronco spuntavano dal terreno delle grosse radici che sembravano uscire alla ricerca di una boccata d’aria o di un pezzettino d’azzurro.
Luigi Ballerini, L’estate di Nico, Giunti Junior perdifiato: senza avere più fiato. aia: spiazzo delle cascine.
IL MONDO INTORNO A ME 35
Andrea e Nico vi si sdraiavano in mezzo, con la schiena per terra; mentre tenevano le gambe appoggiate a quegli strani rami striscianti sull’erba si sentivano bene. Era un posto tutto loro, una specie di luogo protetto, magico, dove potevano parlare di tutto e dove tutto diventava importante.
36 OCCHI APERTI
Me ne stavo dietro alla porta, con gli occhi spalancati e sgomenti. Ma non piangevo, no, dominata da un grande spavento.
«Chi te l’ha detto?». «Lo dico «Resteraiio».una ignorante». «Resterò una ignorante». E me ne andavo, ostinata, orgogliosa, a lacerarmi i vestiti, scivolando sopra la rampa della scala…
Poi la malata si riebbe; la convalescenza, la lunga lenta convalescenza, venne e finalmente io potei entrare in camera.
IMPARAI PER AMORE DELLA MAMMA
Ero una bimba grassa, grossa, con i capelli castani, duri e folti, che m’invadevano metà della fronte, una bocca rotonda sempre aperta alle risate, alle canzoni, agli strilli di gioia. Come tutte le bambine robuste, io non giocavo con la bambola, ma giocavo con la trottola; non sapevo passeggiare, ma sapevo correre, conoscevo tutti i galoppi e tutti i salti, dietro un cerchio, dietro una palla; le corse sfrenate nei viali dei giardini pubblici, per le stanze, tirandomi dietro quattro sedie; le capriole sopra i letti e sopra i tappeti: non avevo né grazia, né dolcezza; sembravo un maschietto. Ma quello che più affliggeva mia madre, disposta a tutto perdonarmi, salvo questo, era il mio orrore per qualunque studio, per qualunque occupazione.«Perchénon vuoi?» mi chiedeva la mamma. «Perché lo studio non serve a nulla».
Anna Banti, Matilde Serao, Utet affliggere: dare dispiacere. lacerare: strappare. desolazione: abbandono. Sottolinea gli aggettivi qualificativi.
Non imparai a leggere che a nove anni: mia madre era stata ammalata gravemente, in pericolo di vita; per molti giorni la casa era stata immersa nella desolazione.
Durante quella lunga convalescenza, docilmente, senza mormorare, pur di poter restare in quella camera chiusa, nella penombra, presso la mamma, la mia testa indocile si piegò sull’alfabeto; sulla sponda di quel letto di dolore imparai a leggere. Nei pomeriggi estivi che non finivano mai, da quella camera, usciva la mia voce che sillabava, ostinatamente, fino a sera, mentre, ogni tanto, dai suoi guanciali, la mamma scrollava il capo, senza parlare, approvando. Quando mia madre fu guarita, io leggevo velocemente, benissimo.
I miei compagni mi sembravano tutti, chi più chi meno, piuttosto goffi, privi di immaginazione. Erano ragazzi simpatici e io andavo abbastanza d’accordo con tutti. Ma così come non ero animato da particolari simpatie nei confronti di nessuno, nemmeno loro sembravano attratti da me.
TROVARE UN AMICO
Il problema era come attirare l’attenzione di Konradin; avvertivo infatti istintivamente che avrei dovuto trovare il modo di farmi notare.
Nella mia classe non c’era nessuno che potesse rispondere all’idea che avevo dell’amicizia, nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà.
L’occasione capitò durante le poche ore destinate all’educazione fisica.
Il professore di ginnastica era un ometto energico e chiassoso. Si chiamava Max Loher, meglio conosciuto come Max Muscolo, e perseguiva con ardore l’obiettivo di svilupparci il torace, le braccia e le gambe nel poco tempo a sua disposizione.
Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato. Fino al giorno del suo arrivo io non avevo avuto amici.
Dopo una prima fase di riscaldamento, Max Muscolo andava al suo strumento preferito, la sbarra fissa e si esibiva in alcuni esercizi che,
IL MONDO INTORNO A ME 37
Fred Uhlman, L’amico ritrovato goffi: impacciati. protendersi: tendersi in avanti. crochi: specie di fiore viola, giallo. Racconta un’amicizia inaspettata.
Tre giorni dopo, il quindici marzo, stavo tornando a casa da scuola. Era una sera primaverile, dolce e fresca. I mandorli erano in fiore, i crochi avevano già fatto la loro comparsa, nel cielo si mescolavano il blu pastello e il verde mare. Davanti a me vidi Konradin; pareva esitare come se fosse in attesa di qualcuno. Rallentai – avevo paura di oltrepassarlo – ma dovetti comunque proseguire perché sarebbe stato ridicolo non farlo e lui avrebbe potuto fraintendere la mia indecisione. L’avevo quasi raggiunto, quando si voltò e mi sorrise. Poi con un gesto stranamente goffo ed impreciso, mi strinse la mano tremante. «Ciao, Hans» mi disse e io all’improvviso mi resi conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che era timido come me e, come me, bisognoso di amicizia. Non ricordo più ciò che mi disse quel giorno, né quello che gli dissi io. Tutto quello che so è che sentivo che quello era solo l’inizio e che da allora in poi la mia vita non sarebbe più stata vuota e triste, ma ricca e piena di speranza per entrambi.
38 OCCHI APERTI
Quella volta, appena Max terminò la sua esibizione, mi feci avanti e lo fissai dritto negli occhi. Esitò qualche istante, poi disse: «Schwarz». Mi avvicinai lentamente alla sbarra, mi misi sull’attenti e balzai in alto. Mi appoggiai, come lui, all’asta e mi guardai attorno. Sotto di me vidi Max, pronto a intervenire in caso di necessit à. I miei compagni mi osservavano in silenzio. Mi protesi prima verso sinistra, poi verso destra, poi mi lasciai penzolare tenendomi con le gambe piegate e presi ad oscillare finché, con un ultimo slancio, tornai ad appoggiarmi alla sbarra. La paura era sparita, sostituita da un unico pensiero: dovevo farlo per lui. Tutt’a un tratto mi sollevai in verticale, mi lanciai oltre la sbarra, e… bum! Almeno ero tornato con i piedi per terra. Si udirono delle risatine represse, ma poi qualcuno batté le mani. Dopotutto, non erano cattivi i miei compagni… Rimasi immobile e voltai gli occhi verso di lui. Inutile dire che Konradin non aveva riso. Per la verità non aveva nemmeno applaudito. Ma mi guardava.
eseguiti da lui sembravano facili come saltare la corda, mentre alla prova dei fatti si rivelavano estremamente difficili.
Era piegata in due dal ridere. Io continuavo a non capire un bel niente, ma mi dava fastidio che mi stesse ridendo proprio sulla faccia. «Non sai che ormai da quasi un anno il treno non passa più di qui?».
IL MONDO INTORNO A ME 39 NEL PARCO CON CARMEN
Uscito di casa, andai verso la ferrovia, dove il nonno mi portava quando ero piccolo. Volevo veder passare un treno, uno qualsiasi. Cominciai a correre finché arrivai al terrapieno dove passava la ferrovia. Iniziai a salire. Ero così contento che quando riuscii ad arrivare in cima sollevai le braccia e gridai come se avessi appena conquistato una medaglia alle Olimpiadi. Allora me ne accorsi: la ferrovia non c’era. Chiusi gli occhi, me li stropicciai con forza e guardai di nuovo… ma la ferrovia continuava a non comparire. E mentre me ne stavo lì con la faccia da tonto a guardare per terra chi comparve? La Carmen! Carmen è una bambina della mia classe, ma non è una bambina qualsiasi. Carmen è… Come spiegarlo?
Per esempio, se la maestra, all’improvviso, ha bisogno di un dizionario, Carmen ne ha uno sul banco; se ci interroga a sorpresa su un argomento di cui nessuno si ricorda nulla, Carmen se lo è ripassato la sera prima. Se giochiamo a pallacanestro maschi contro femmine, Carmen fa un sacco di canestri. In più è quella che disegna meglio di tutta la classe. Insomma a noi ragazzi Carmen fa venire un nervoso… «Ehi, che ci fai tu qui?» disse Carmen. «Speravi di veder passare qualche treno? Ah, ah, ah!».
Carmen era così. Sapeva tutto. Non solo non avrei visto passare nessun treno; in più avevo fatto una figura davvero ridicola. Mi venne voglia di mettermi a correre, ma feci soltanto un mezzo giro su me stesso e mi allontanai da lei, con calma, senza dirle nemmeno ciao.
Fernando Lalana, Il segreto del parco incantato, Piemme terrapieno: zona piana. macchinisti: conducenti del treno. Che cosa l’autore ci vuole comunicare attraverso questa lettura?
lì? Che fortuna! Avrai visto passare moltissimi treni» le dissi, con un po’ di invidia. «Certo, li vedevo tutti. Tutti i macchinisti mi conoscevano e mi salutavano quando passavano». Non avevo mai parlato così a lungo con Carmen. E mi resi conto che se anche mi faceva venire il nervoso, mi piaceva molto parlare con lei. Stavo per dirle che mio nonno era stato macchinista, ma non lo feci, perché di sicuro lei se ne sarebbe uscita dicendo che il suo era stato capostazione. «Immagino che abitando così vicino potrai scendere a giocare nel parco tutte le volte che vuoi». «Certo» rispose Carmen. «Sono sicuro che sai anche quanti alberi ci sono». «Certo, sono duemilacentosedici» sorrise. «No, non li ho contati io. Lo hanno fatto dei vecchietti che vengono qui per passare il tempo. Non ho dovuto fare altro che chiederglielo». Accidenti alla Carmen! Non potete negare che sia davvero sorprendente.
«Ehi, che ti prende? Dai, non arrabbiarti… Che cosa ci fai da queste parti?».
«Oh, beh… stavo passeggiando. E tu?».
40 OCCHI APERTI
dal terrapieno e cominciammo a camminare nel«Seiparco.venuto da solo?». «Ma certo» risposi, dandomi un po’ d’importanza «sono già grande». «Anch’io sono venuta da sola». Lo vedete? Carmen è fatta così. Qualunque cosa tu faccia, anche lei la fa almeno bene quanto te… «Ma sicuramente io abito più lontano» aggiunsi.
«Ah, è poco ma sicuro. Io abito lì, vedi?». E mi indicò una casa molto vicina, proprio di fianco al posto dove prima c’era la «Davveroferrovia.abiti
«Oh, beh… Scendemmoanch’io…».entrambi
IL PIACERE DI AMMALARSI
Non prendevamo soltanto raffreddori, o tossi. Ci venivano normali varicelle, morbilli, rosolie e pertosse regolarmente beccate a scuola, come del resto se le beccavano anche le nostre compagne. Subito veniva ingaggiata un’infermiera che entrava in carica notte e giorno. Da noi, ormai, era diventata una specie
IL MONDO INTORNO A ME 41
Per noi veniva preparato un cibo speciale, e la mamma chiedeva persino se avevamo delle preferenze per questo, o quest’altro!
Ammalarsi a noi piaceva moltissimo. Essere ammalati voleva dire diventare di colpo il centro dell’attenzione della casa, soprattutto dell’attenzione della mamma. Voleva dire superare in importanza, sia pure per poco, tutti gli altri fratelli, e troneggiare da soli nella camera da letto. E voleva dire usare da soli il nostro bagno, che veniva contemporaneamente trasformato in una specie di appendice della camera, tutto odorante di lisoformio e adibito a infermeria.
42 OCCHI APERTI di istituzione ed era sempre la stessa. L’infermiera si chiamava Dina. Arrivava tutta allegra, magra e piccolina e prendeva possesso di quella parte di appartamento che, allo scopo, rimaneva “isolato”.
Durante le nostre malattie, ogni giorno, ma proprio ogni giorno, la mamma, quando rientrava dalle commissioni, ci portava un piccolo regalo.
La poltrona di midollino.
Era una pietanzina di cartapesta per le bambole, o un album per colorare le figure, o una bambola di carta con relativi vestitini da ritagliare, ma soprattutto erano libri o giornalini (i famosi Album d’oro di Topolino!) che ci venivano letti dalla mamma o dalla Dina e che noi bevevamo avidamente.
Soprattutto quando era la mamma che, con la vestaglia bianca da infermiera, si sedeva accanto al nostro letto e leggeva per noi pian piano con la sua bella voce morbida e dolce, la felicità era al Giulianamassimo!Gramigna,
Una volta, Valeria, presa da un terribile sconforto, fu sorpresa dalla mamma sdraiata bocconi per terra a leccare il pavimento, sperando che ci fosse qualche microbo infilato negli interstizi del parquet e che ingoiandolo avrebbe potuto finalmente ammalarsi anche lei. E così stare insieme a me.
La Dina, per la quale avevamo molta simpatia, costituiva però il vero elemento di separazione fra noi sorelline. Noi avremmo voluto restare sempre tutte e due insieme. Naturalmente questo non era possibile. Solo qualche volta, lasciando aperta la porta della camera e quella in fondo al corridoio, noi potevamo vederci, ma solo così, di lontano, per un minuto, poi, via! Di noi due, quella esclusa dal privilegio della malattia si sentiva dimenticata e sola.
La mia Milano e altri luoghi, Santi Quaranta appendice: parte in più. lisoformio: sostanza disinfettante. sconforto: depressione. Imitando il testo dell’autore, racconta di una volta in cui hai ricevuto attenzioni particolari da qualcuno.
Un vecchio amico che riconosce di essere una schiappa a calcio perfino sulla spiaggia d’estate – e che per questo non vuole essere citato, ogni italiano tiene alla sua reputazione di futbolista – mi ha chiesto: «Pupi, dimmi la verità: da 1 a 10, se io sono 1 come scartina e Messi 10 come star, tu che voto dai a te stesso?». I voti, dannazione di tutti i calciatori, voti dalle televisioni, voti dai giornali, voti sul web. Ci sono compagni che impazziscono per un’insufficienza o che tempestano di telefonate o di colloqui fitti fitti a bordo campo l’incolpevole cronista, per un 6 quando speravano in un 7. Oggi nel Milan gioca il giovane Ganz, ma io ricordo suo papà Maurizio all’Inter, un dannato dei voti. Li confrontava, ci si addolorava. Io gli dicevo: «Lascia perdere Maurizio, lascia perdere…». Se gioco bene e un giornale mi dà un cattivo voto, che importa? So di avere giocato bene. E se ho invece fatto pena, se ero in giornata no e fuori vena, che importa se il giornalista, per amicizia, distrazione o «di stima», come faceva a volte il decano Gianni Brera, mi affibbia un 7? Non vi avvilite quando prendete un cattivo voto, non vi esaltate quando invece è buono: il vostro voto è il lavoro, è quello che conta. Ma la sfida del mio amico è lanciata e io non voglio sottrarmi, non sarei il Capitano. «Allora, se tu prendi 1 e Lionel 10, io prendo 7,5». Adesso che mi sono votato, i «pagellisti» accendano pure le polemiche. Chi mi accuserà di vanteria: «Zanetti? Al massimo 6,5», chi di eccessiva modestia: «Con tutti i suoi record? Almeno un bell’8». Io mi tengo il mio 7,5 e vi spiego come nasce. Ho giocato in difesa e a centrocampo. Non sono nato «taglia 7,5», all’inizio valevo meno. Ho lavorato, il mio voto è cresciuto. Di questo provo a convincere i miei compagni più giovani in squadra, e domani i miei figli, o i ragazzi delle scuole quando mi capita di parlare con loro. Il Signore ha dato a ciascuno di noi dei talenti, ma occorre poi che noi ci lavoriamo sopra, che non restiamo a dormire. Il mio 7,5 non è vanteria né modestia, è un «bollino blu» di garanzia della fatica fatta, in allenamento come in partita.
Non sapevo come mai nel calcio si definisce così chi in campo tiene molto la palla, ma ho sentito tante leggende. Alla fine quella che mi piace di più
IL MONDO INTORNO A ME 43 COLPI DI TESTA
Gli esperti di calcio – ce ne sono di veri e di presunti – dicono: «Il punto di forza del gioco di Zanetti è la corsa con la palla». I tifosi si esaltano quando provo a fare il coast to coast da porta a porta. Qualche allenatore – Marco Tardelli, per esempio – mi rimproverava per questa caratteristica, ma io ho sempre obiettato con fermezza: «So giocare così, e alla fine poi o crosso o tiro, no? Mica perdo palla, e magari ho scartato due o tre avversari, dov’è il problema?». Per questo motivo i compagni mi chiamavano «veneziano».
ricorda i bambini che provano a giocare a pallone nelle calli e nelle piazzette di Venezia, tra canali e acqua dappertutto: passare la palla è un’arte difficile, basta che sbagli di mezzo metro, oppure che il tuo amico non riesca a stoppare al volo, e addio pallone, trascinato dal prossimo vaporetto al largo verso le cupole di San Marco. Il «veneziano», dunque, tiene la palla! «Veneziano» sì, egoista no. Mi hanno preso all’Inter e convocato nella Nazionale argentina perché gioco in quel modo, è inutile cambiare natura. Ciò che è importante è migliorare. Il talento non si aumenta di una sola oncia: allenandoti non ottieni la velocità di Ronaldo, il tocco di Maradona, il dribbling di Messi. Ma puoi diminuire il numero dei tuoi errori, affinare la precisione dei passaggi, incrementare la resistenza fisica e mentale. Spesso siamo tentati di paragonarci agli altri: chi è più bravo? Chi ha più amici? Chi ha successo? Inutile, l’invidia ci logora, ma la sfida è con noi stessi: come migliorarci?
44 OCCHI APERTI
Javier Zanetti, Giocare da uomo. La mia vita raccontata a Gianni Riotta, Mondadori avvilire: dispiacere. coast to coast: da lato a lato. oncia: misura di peso da poco.
Il nonno di Platini si chiamava Francesco. Era nato in Piemonte, ma da ragazzo era migrato in Francia in cerca di lavoro. Così era diventato un muratore, finché con i soldi risparmiati si era comprato un bar. E siccome era appassionato di sport l’aveva chiamato Café des Sportifs. Naturalmente al bar di Francesco si poteva parlare di tutto. Ma, soprattutto, si poteva parlare di calcio. Dopo un po’ di tempo Francesco prese moglie e così nacque Aldo, suo figlio, che imparò subito a giocare a pallone. Giocava così bene che il padre già sognava di vederlo diventare un giocatore professionista. Ma lui non voleva saperne, gli piaceva giocare, ma il mestiere di calciatore non voleva farlo. Così diventò professore di matematica, si sposò con una ragazza di Venezia e andò ad abitare dietro il Café des Sportifs. Lì nacquero prima una figlia e poi il figlio, che venne chiamato Michel. Michel Platini. Com’era Platini da piccolo? Era piccolo, per l’appunto. Troppo piccolo per la sua età, tanto che in casa lo chiamavano “Michelinò” oppure “nano”. Era allegro, furbo, un po’ buffone, poco ubbidiente, molto irrequieto, agile e con le orecchie a sventola. Aveva molti amici e da due non si separava mai: un cane bassotto tedesco di nome Isos e il pallone. Con il pallone sapeva fare di tutto, lo usava persino per predire il futuro o per avere delle risposte che nessun altro gli dava. Prima di andare a scuola, per esempio, lo piazzava a una certa distanza da un paletto o da un albero, come se dovesse tirare un calcio di rigore, e poi diceva: «Se colpisco il paletto vuol dire che andrò bene nell’interrogazione… Se colpisco l’albero vuol dire che Marie del terzo banco mi vuole bene…». Giocava anche da solo, nei corridori di casa e persino al gabinetto, faceva tunnel sotto le sedie e bombardava il garage di Sabadini, il suo vicino di casa. Michelinò era matto per quel pallone, tanto che i suoi professori lo rimproveravano sempre. Suo padre, invece, mai. Anzi lo incoraggiava. Era lui il suo allenatore. Un giorno lo accompagnò a fare un provino a Parigi. Era la finale di un concorso per il più giovane calciatore di Francia e Michel Platini aveva quattordici anni. L’emozione era così forte che Michel si sentì male: le gambe di legno, gli occhi si riempirono di nebbia. E così fu bocciato! Incredibile: Platini bocciato! Come premio di consolazione gli regalarono due biglietti: uno per fare un giro in battello sulla Senna, l’altro per visitare la torre Eiffel. Ma quel giorno il grande Michel Platini, campione di Francia, d’Italia e della Juventus, aveva solo voglia di piangere.
Vinicio Ongini, Fiabe di sport, Mondadori
IL MONDO INTORNO A ME 45 IL PICCOLO MICHEL
Caro amico, anch’io alla tua età volevo smettere di nuotare. Ho sempre amato lo sport, eppure a un certo punto sentivo come te il peso degli allenamenti e delle gare. Ho superato quei momenti e dopo alcuni anni sono diventato campione del mondo, anche grazie all’entusiasmo dei miei genitori e degli amici. Devi sapere che uno dei valori più importanti dello sport è proprio l’amicizia. Se sceglierai di smettere, un giorno potresti rimpiangere le amicizie sincere che, nello sport, lo sono più che altrove, e la possibilità di conoscere tanti ragazzi della tua età, nuovi ambienti e nuove città. Oggi ti potrai sentire stanco, ma domani potrai essere soddisfatto di aver fatto tanti sacrifici in piscina. Se avrai fortuna, come me, di arrivare a grandi risultati, di conquistare una medaglia, sarai ripagato con emozioni forti e uniche. Altrimenti sarai comunque contento di aver imparato a lottare contro le difficoltà e ti sentirai cresciuto.
Giorgio Lamperti, «Popotus» 63 (1977)
NON CEDERE!
Secondo te lo scopo che si propone l’autore è raccontare la propria esperienza, convincere sulla validità dello sport, spiegare i vantaggi della pratica sportiva? Rintraccia le frasi da cui lo capisci.
• Anche tu Racconta.un’attivitàpratichisportiva?
•
Prova ancora una volta, non cedere. Se i tuoi genitori insistono, come hanno fatto i miei genitori e per questo li ringrazio, lo fanno perché sanno cosa vuol dire lo sport e quanto è importante per la salute. Se avrai bisogno di altro aiuto, cercami. Sono a tua disposizione. Non mollare, faccio il tifo per te.
46 OCCHI APERTI
IL MONDO INTORNO A ME 47
RONALD HA ROTTO LA CASSETTA K7
per un momento a pensare al da farsi.
Dico che tutti potremmo aiutare Ronald a comprare una nuova cassetta: ciascuno porterebbe una monetina e riuniremmo i risparmi. Per incentivarli prendo alcune monete dalla mia borsa e le consegno a Ronald.
Questo fatto diventa l’avvenimento del giorno e tutti vogliono darmene notizia. Solo Ronald, triste, non si muove. «Sì, realmente, è molto spiacevole» dico.Rimango
Sostituire semplicemente la cassetta con una nuova non mi sembra la forma migliore per far loro capire che le cose hanno valore. Chiedere a Ronald di pagare la cassetta non è giusto dal momento che tutti in classe sono creatori di caos.
Subito i bambini cominciano a dire che i genitori non hanno soldi e che loro non possono contribuire. Esco dall’aula triste, pensando a come talvolta i bambini siano crudeli! Penso che sperassero che io castigassi Ronald.
Tuttavia, due settimane dopo il fatto di cui mi ero quasi dimenticato, appena entro nell’aula mi accorgo di un clima veramente euforico: nel mezzo del tumulto vedo Ronald che ha le mani piene di monete ricevute dai compagni per comprare la cassetta. Il suo volto si è trasformato e tutta la classe è contenta e orgogliosa.
Anch’io sono felice!
Marco Aurélio Cardoso de Souza, Paolo Amelio, Come può il cielo avere tante stelle? Non è solo mezz’ora di canto, Itaca È capitato anche a te di aiutare un compagno in difficoltà? Racconta.
Dare una sgridata neppure, non è nel mio stile, anche perché certamente la maestra ha già reagito arrabbiandosi… Così mi passa per la testa qualcosa che mi sembra ragionevole.
Appena entro nell’aula serpeggia la notizia: Ronald ha rotto la cassetta K7 della lezione di musica (questa cassetta è molto importante perché lì sono registrate tutte le canzoni imparate durante l’anno).
Ascoltiamo insieme Aquarela do Brasil È un samba, un ritmo brasiliano, vivace e popolare.
Bruno Tognolini Rima rimani, Nord-Sud
FILASTROCCA DELLA GIOIA DI RIVEDERE GLI AMICI Forte il mio cuore leva il suo canto, perché io non ti vedevo da tanto. Notte più bella, giorno più bravo perché era tanto che non ti abbracciavo.
Corvi di nuvole volano via perché finisce la mia nostalgia.
48 OCCHI APERTI
Gianni Rodari
UNA SCUOLA GRANDE COME IL MONDO C’è una scuola grande come il mondo. Ci insegnano maestri e professori, avvocati, ilcartellitelevisori,muratori,giornali,stradali,sole,itemporali,le stelle. Ci sono lezioni facili e lezioni difficili, brutte, belle e così così… Si impara a parlare, a giocare, a dormire, a risvegliarsi, a voler bene e perfino ad arrabbiarsi. Ci sono esami tutti i momenti, ma non ci sono ripetenti: nessuno può fermarsi a dieci anni, a quindici, a venti, e riposare un pochino. Di imparare non si finisce mai, e quel che non si sa è sempre più importante di quel che si sa già. Questa scuola è il mondo intero quanto è grosso: apri gli occhi e anche tu sarai promosso!
Il libro degli errori, Einaudi Ragazzi
È una tavola, si va come sull’onda nel mare che circonda, si va veloci, l’aria tra i capelli uno dei mille giochi più belli. Sullo skate si traballa, si sguilla si piroetta e si sbirilla. La strada diviene pista, si supera anche il ciclista. Ci si può pure sbucciare e così più forti diventare. Davide Rondoni Le parole accese. Poesie per bambini e non, Rizzoli
L’AMICIZIA Non sai nemmeno come dirla, non si riesce a dipingere o a Inutileritrarla.cheti metti a spingere, non vengon le parole e nemmeno la punteggiatura. È quella forza bella, sicura che viene come nella nebbia il sole. Non sopporta avverbi ed aggettivi, l’amicizia ha solo nomi propri e soprannomi e occhi vivi. Davide Rondoni Le parole accese. Poesie per bambini e non, Rizzoli
IL MONDO INTORNO A ME 49
LO SKATEBOARD
IL MONDO DEGLI ANIMALI
Nelle profondità segrete delle gallerie, la temperatura si mantiene intorno ai tre gradi e c’è un naturale sistema di condizionamento d’aria così perfetto che, dopo sei mesi di letargo, il fieno è freschissimo e profuma di montagna come fosse appena raccolto. «Epoca» si snodano: seguono un percorso sinuoso, tutto a curve.
UN VERO CAPOLAVORO
In autunno, molti animali si ritirano nelle tane. Tra di essi vi è anche la marmotta che sa prepararsi una tana che è un vero capolavoro. La tana della marmotta, infatti, non è un semplice buco nel terreno, ma un insieme di stanze unite fra loro da numerosi corridoi, grandi e piccoli, che si snodano sotto la superficie erbosa a una profondità di circa un metro e mezzo.All’interno non manca niente: ci sono stanze con la “tappezzeria” di fieno, “servizi” indipendenti, uscite di sicurezza, perfino un ingegnoso sistema per il condizionamento dell’aria. Ma procediamo con ordine, e proviamo anche noi a seguire il roditore dentro “casa”. Il corridoio che s’incontra in principio è un po’ stretto. Poi, a poco a poco, si allarga così da permettere a due marmotte di avanzare insieme. Dopo circa dieci metri si arriva ad una camera ovale. È il cuore dell’abitazione, il salotto e la stanza da letto degli adulti, e i roditori, per renderla più confortevole, la foderano interamente d’erba. Fra questa stanza e l’entrata della galleria, vi sono quattro “tappi” dello spessore di 30-40 centimetri, alcuni impastati di fieno e di terra, altri fatti di solo fieno o di sola terra. La loro funzione è in parte ancora misteriosa. Si sa però che prima di cominciare il letargo, la marmotta li chiude tutti dietro di sé.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 51
Non tutti i problemi sono risolti: occorrono locali per i bambini e per gli anziani. Ed ecco la camera da letto dei piccoli e, per ogni vecchio, una celletta singola. Ogni locale, naturalmente, è dotato di “servizi” indipendenti ed è munito di una “porta” di terra che l’animale apre e chiude quando si serve di essi.
D’inverno, in alta montagna la temperatura può scendere a trenta gradi sotto zero. Per certi animali è il pericolo di morte per congelamento.
La marmotta, invece, non ha nulla da temere dal freddo: lo strato di terra gelata e la coltre nevosa che ricoprono il terreno isolano la sua tana.
2. Qual è il cuore dell’abitazione della marmotta? Di cosa si tratta?
52 OCCHI APERTI
4. Perché la tana della marmotta è definita «un vero capolavoro»? 5. Dizionario. Cerca il significato della parola capolavoro.
3. Quando d’inverno, in alta montagna, la temperatura scende a trenta gradi sotto zero, la marmotta è in pericolo di morte? Metti una crocetta e spiega il perché della tua risposta. sì perché no perché
Rispondi per iscritto sul quaderno, dopo aver letto con attenzione il 1.brano.Metti la crocetta giusta nella tabella. La tana della marmotta… VERO FALSO è un semplice buco nel terreno. è un vero capolavoro. è un insieme di stanze unite tra loro da numerosi corridoi. è dotata di un corridoio che si allarga a poco a poco verso l’interno. è dotata di un corridoio che si stringe a poco a poco verso l’interno. è provvista di un sistema ingegnoso per il condizionamento dell’aria.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 53 I SEGRETI DEL VOLO
• Le “vele” della navicella volante a quale parte del corpo dell’uccellino corrispondono? E i “timoni”? E il “motore”?
Qual è la similitudine che viene usata per indicare il cervello dell’uccellino, al quale arrivano e da cui partono di continuo e con rapidità tante comunicazioni?
Hai mai pensato a quanto avviene nel corpo di un uccellino quando spicca il volo?
•
Il cervello è, dunque, per quanto si riferisce al movimento dell’animale, una centrale perfetta, automatizzata, dalla quale partono e arrivano, in continuazione, comunicazioni con straordinaria rapidità.
L’uccello ha un ostacolo da vincere: l’aria. La deve tagliare e mandare indietro. Apre le ali e il suo corpo immediatamente cambia forma: era un batuffolo di piume sul ramo, ora ha le ali distese che si muovono su e giù scalando l’aria. Il suo corpo è contratto e pare rimpicciolito. Ossa, muscoli, nervi, piume e penne sono in azione. Sì, anche tutto il piumaggio. È come una navicella volante con un gran numero di vele sensibilissime al movimento dell’uccello. Le vele sono le penne e, in parte, anche le piume. Poi ci sono i timoni: le penne della coda. Piume e penne lavorano in pieno accordo obbedendo al comando che viene dall’interno. Ma non basta avere penne e ali per volare, ci vuole anche il motore che dia la spinta. Nell’interno del corpo dell’uccello che vola sono in azione ossa, muscoli e nervi. Come nel corpo umano, in cui le ossa sono le leve e i muscoli le mettono in moto. La funzione motrice viene, dunque, dai muscoli.
Dizionario: cerca il significato di “contratto” e di “automatizzata”.
Qual è l’ostacolo che deve vincere un uccellino quando spicca il volo?
Metti la crocetta giusta: La fatica La paura L’aria
• Cosa significano le ultime due righe: «Quanto preziosa è la vita, se anche quella di un uccello è così sapientemente congegnata per le sue necessità e per la sua difesa»?
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•
Però, come in qualsiasi motore meccanico non può mancare ciò che produce il moto e regola la velocità, così, negli animali, impulso e controllo del moto sono regolati dal cervello.
• Qual è la similitudine usata nel brano per descrivere l’uccellino in volo?
Quanto preziosa è la vita, se anche quella di un uccello è così sapientemente congegnata per le sue necessità e per la sua difesa. «Epoca» Rispondi dopo aver letto con attenzione il brano.
Un singolare linguaggio degli animali è quello delle api, scoperto dallo scienziato naturalista Frisch.
«Epoca» Che cos’è la “miniera”? Perché viene chiamata così?
Se invece del nettare l’ape operaia trova del polline, allora traccia due semicerchi, poi zampetta e si agita: anche questa volta molte compagne la circondano e, guidate dal profumo del polline, si orientano verso la “miniera”.
Proprio così: quando un’ape ha scoperto una buona distesa di fiori, ritorna all’alveare e fa un giro completo su se stessa, ripetendo questa danza per qualche minuto. Le altre api allora le si avvicinano e assaggiano un po’ del nettare portato da questa come campione della propria scoperta. Subito dopo si dirigono tutte verso la zona trovata.
Sapete come si esprimono le api? Ballando!
Ma se vi capitasse di vedere un’ape che va a zig-zag, lasciatela in pace; vuol dire che è incollerita, dispostissima perciò ad affondare il suo pungiglione aguzzo nelle vostre carni!
Il mattino dopo, prima che la mamma liberasse le galline dal pollaio e mentre il cane era ancora chiuso, andai a vedere: i cerchi erano stati rifatti e i cacciatori erano in fondo all’imbuto, pronti all’attacco.
Vedere la caccia alle formiche e ai ragnetti che capitavano sull’orlo dell’imbuto era uno spettacolo: non appena la preda era a tiro, partiva la raffica, l’animaletto precipitava e il cacciatore di scatto balzava fuori dal nascondiglio e lo stringeva fra le robuste tenaglie. E se lo mangiava, o meglio lo succhiava, perché poi buttava fuori i resti. E ricominciava.
Tutte le volte che mi alzavo presto il mattino, andavo là a vedere le scene di caccia. Ma venne un tempo che i cerchi a imbuto nella sabbia non li trovai più. Eppure le formiche e i ragnetti e altri animaletti giravano ancora nella zona.
Allora capii che cosa erano quei cerchi a imbuto nella sabbia: erano trappole costruite da insetti cacciatori che si procuravano così la colazione.
Volevo osservare altre scene di caccia ma arrivò il cane, che cominciò a trafficare lì intorno, e poi le galline presero a razzolare, e in poco tempo tutti i cerchi perfetti furono distrutti. «E adesso – mi chiedevo – che faranno quegli insetti cacciatori? Moriranno di fame?».
Non passò molto tempo che scoprii anche questo: infatti passava di lì una formica rossa che, arrivata sul bordo dell’imbuto, si fermò a osservare.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 55 IL FORMICALEONE
In un angolo del cortile i muratori avevano lasciato un po’ di sabbia che poi la pioggia aveva sparso. In quella zona sabbiosa un mattino trovai alcuni cerchi perfetti scavati nella sabbia, a forma di imbuto. Erano vicini e sembravano tanti crateri di vulcani spenti. Chi li aveva fatti?
In quel momento dal fondo partì una raffica di granellini di sabbia che fecero franare la parete dell’imbuto e cadere dentro la formica. Fu un attimo: l’insetto la afferrò con le tenaglie e sparì. Dopo un po’ la sabbia si mosse e l’insetto buttò fuori i resti della formica morta.
Curioso mi avvicinai e scoprii che sul fondo dell’imbuto di sabbia c’era qualcosa: con uno steccolino spostai la sabbia e vidi che sotto, nascosto, c’era uno strano animaletto armato di tenaglie a punta, frastagliate come piccoli denti, sulla pancia, sul torace e sulla testa. Che ci faceva lì?
Una volta riuscii a vedere il costruttore di imbuti-trappole all’opera. Era un insetto lungo qualche centimetro, che camminava all’indietro e lavorava col sedere. Per scavare l’imbuto muoveva il sedere da una parte all’altra con movimenti semicircolari. Poi, scavata la buca, si metteva sul fondo, si nascondeva e lasciava fuori solo le punte delle tenaglie, nascoste tra la sabbia, e gli occhi. La sua tecnica di caccia era velocissima e perfetta: non sbagliava quasi mai un colpo.
56 OCCHI APERTI
Vedevo invece volare, lì intorno, certi insetti eleganti, dalle lunghe ali macchiate e col corpo cilindrico, che assomigliavano alle libellule blu. Qualche volta questo insetto simile all’elicottero si posava sui rametti e io mi avvicinavo di nascosto per catturarlo stringendo le ali fra le dita. Non riuscii mai a catturarne uno. E non sapevo che quell’insetto bellissimo con le ali era il formicaleone, il cacciatore dai cerchi a imbuto che da larva vorace si era trasformato in un insetto volante.
Mario Lodi, Il cielo che si muove. 15 storie di natura, Editoriale Scienza razzolare: scavare. vorace: affamato. Hai mai assistito ad uno spettacolo di vita animale? Racconta.
Noi seguivamo la scena con interesse, pronti a intervenire se ve ne fosse stato bisogno. Monna Teofila si era insensibilmente avvicinata: gli occhi erano semichiusi, gli artigli apparivano e sparivano. Di colpo il suo dorso s’arrotondò come un arco teso ed un balzo vigoroso ed elastico la fece cadere proprio in cima al trespolo. Vedendo il pericolo, il pappagallo, con una voce grave e profonda, gridò improvvisamente: «Hai mangiato, Giacomino?».
«Ho bevuto tanto che tutto gira intorno a me!» cantò l’uccello con degli scoppi di voce assordanti, giacché aveva compreso che lo spavento causato dalle sue parole era la migliore arma di difesa.
«E con che? Con l’arrosto del re?» continuò il pappagallo.
La gatta gettò un colpo d’occhio pieno d’interrogazioni: ma non avendo ottenuto da noi risposta, andò a rifugiarsi sotto il letto.
MONNA TEOFILA E IL PAPPAGALLO
IL MONDO DEGLI ANIMALI 57
Monna Teofila, la gatta, non aveva mai visto un pappagallo e codesto animale, nuovo per lei, le causava una sorpresa evidente. Immobile come un gatto imbalsamato d’Egitto guardava l’uccello con un’aria di meditazione profonda, cercando di richiamare alla memoria tutte le nozioni di storia naturale che aveva potuto apprendere sui tetti, nella corte e in giardino. «Decisamente è un pollo verde».
Una volta uno dei nostri amici, che partiva per qualche giorno, ci affidò il suo pappagallo perché lo custodissimo durante il periodo dell’assenza.L’uccello,trovandosi certo un po’ spaesato, era salito, con l’aiuto del suo gran becco, fin sulla cima del trespolo; e volgeva attorno con aria piuttosto sbalordita due occhi simili a borchie di poltrona.
Il pappagallo seguiva i movimenti della gatta con inquietudine: arruffava le penne, alzava una delle zampe agitando le dita e passava e ripassava il becco sull’orlo della mangiatoia. Gli occhi della gatta, fissi sull’uccello, dicevano in un linguaggio muto ma chiarissimo, e che anche il pappagallo doveva intendere a perfezione: «Sebbene verde, quel pollo dev’esser buono da mangiare».
La fisionomia della gatta espresse chiaramente: «Non è un uccello. È un uomo! Egli parla!».
Questa frase spaventò oltremodo la gatta che diede un balzo indietro. Tutte le sue idee ornitologiche erano scombussolate.
Persuasa di ciò, la gatta saltò giù dalla tavola sulla quale aveva stabilito il suo osservatorio e andò a porsi in un angolo della camera: ventre a terra, testa bassa, schiena tesa come una molla.
E di là non fu possibile farla uscire per tutta la giornata. Il giorno dopo Monna Teofila abbozzò un nuovo tentativo, ugualmente respinto. Dopodiché se lo tenne per detto e considerò il pappagallo un uomo anziché un uccello.
58 OCCHI APERTI
Théophile Gautier Individua le sequenze e riassumi, componendo una breve frase per ogni sequenza.
Emma e Ivan lo accarezzarono con delicatezza.Gerald
Durrell, Un viaggio fantastico, Mondadori sbigottiti: allibiti, stupiti. soggezione: timore. fulva: dorata, tendente al rosso.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 59
Avevano percorso poco più di un chilometro, quando all’improvviso avvistarono un gruppo di canguri rossi che pascolavano tra gli alberi. Al loro avvicinarsi, il capobranco si rizzò sulle zampe posteriori. I ragazzi furono sbigottiti nel constatare quant’era alto: anche più di Lancelot. Canguro li squadrò con aria di superiorità. «Ebbene, cosa potrei fare per voi?» chiese in tono professorale. «Perbacco!» bisbigliò Emma, con una certa soggezione. Quindi aggiunse: «Potrebbe raccontarci qualcosa sul conto di voi canguri?». «Naturalmente» disse lui. «Dunque, ci sono cinquantuno specie di canguri: i canguri giganti rossi, i wallabi e i canguri delle rocce (questi sono molto più piccoli di noi, naturalmente), poi i canguri-lepre, i ratto-canguri (che sono ancora più piccoli), i canguri arboricoli che, com’è ovvio, vivono sugli alberi…». «Accipicchia!» lo interruppe frettolosamente Emma. «Non avrei mai immaginato che ci fossero tante specie diverse!».
ATTERRAGGIO IN AUSTRALIA
«Possiamo dare un’occhiata a qualcuno dei vostri piccoli?» intervenne Ivan, prima che Canguro riprendesse la tiritera. «Certamente» disse lui. Grugnì un ordine e tre femmine saltellarono gentilmente verso di loro. Dentro il marsupio foderato di pelliccia della prima femmina giaceva un neonato tutto rosa, non più grande di un fagiolo. «Mamma mia com’è piccolo!» esclamò Emma, meravigliata.
«A quest’età è ancora cieco e può usare solo le zampe anteriori» spiegò Lancelot. «Eppure, non appena è nato, riesce ad arrampicarsi sul corpo della madre e a trovare il marsupio». Il cucciolo della seconda femmina, sebbene ancora roseo e privo di pelo, era un po’ più grande e aveva un aspetto più da canguro. Poi saltellò avanti la terza femmina: aveva il marsupio rigonfio e dall’orlo spuntava la testa del piccolo, orecchie ritte e occhi scintillanti. Si divincolò dal marsupio: era una versione in miniatura dei genitori, con la sua pelliccia fulva e la lunga coda.
60 OCCHI APERTI LA TROTA DEL MASO
Io mi arrangiavo tagliando, sulle rive del torrente, una canna lunga e sottile a cui legavo la bava di crine che aveva in fondo l’amo: e sull’amo, infilzavo vivo, un verme che lo nascondeva dimenandosi, agli occhi dell’incauto e stupido pesce. C’era poi, a quaranta centimetri dall’amo, un piombo arrotolato che faceva da peso e lo faceva andare a fondo: così che, tirandolo contro corrente, il verme pareva proprio che si divincolasse, ghiotta preda per il pesce che lo inghiottiva con l’amo nascosto. E così veniva preso. Povere cose dunque: una canna, che poi si buttava via, un crine sottile e resistentissimo, un piombo, un amo, un verme. Poi una scatola dove tenere i vermi vivi – con forellini perché potessero respirare – e un ampio sacco da montagna (allora non si usavano i panieri) dove porre, fra foglie di felci, i pesci presi. Tutto qui. Così si pescava.
Ma pesca oggi, pesca domani, io cominciavo ad annoiarmi. È vero che catturare un pesce, specialmente se grosso, era sempre una cosa nuova e piacevole, ma… Mi ricordo che fu nel 1922, nel mese di agosto. Un giovedì (il venerdì era giorno di magro, che allora si faceva in maniera molto rigorosa) decisi di andare a pescare, ma non nel solito posto. Il Maso, prima di gettarsi nel Brenta, scorre in pianura da Carzano alla foce; ma fra Carzano e Pontarso – dove ora c’è l’osteria del Crùcolo – percorre una valle stretta e selvaggia, con un dislivello di quasi mille metri: quindi cascate, forre quasi invalicabili, per massi enormi caduti dai
Non avevo canna, allora. Le stupende canne di bambù, scomponibili in quattro o cinque pezzi, con gli anellini di acciaio per il passaggio del filo, che fanno bella mostra oggi nei negozi di pesca, allora non esistevano o potevano essere acquistate solo da uomini ricchissimi, nelle città.
Credo di essere stato pescatore da sempre. Cacciatore, no; troppo mi facevano pena lepri, caprioli, camosci, e specialmente gli uccelli dai vivaci colori e dal canto melodioso. Ma i pesci? Non hanno mani, non hanno piedi, non ridono, non piangono, non hanno voce; presi all’amo non sanno fare altro che dimenare stupidamente la coda; caduti nella rete, si dimenano un poco e dopo muoiono. Altro non sanno fare. E poi, sono ottimi da mangiare: sia lessi, sia alla griglia, sia allo spiedo. Da giovane, fra i sedici e i vent’anni, fui un pescatore famoso; nessuna astuzia nell’arte della pesca mi era ignota. E poiché vivevo nella Valsugana, che voi già conoscete, alle quattro del mattino ero già in piedi (si pesca bene solo all’alba e al tramonto) sulle rive del torrente Maso, allora ricco di pesci, e alle sette – quando si alzavano dal letto – ero di ritorno con una decina di trote che, ben allineate sulla tavola di cucina, deliziavano mia madre.
monti, vegetazione ricchissima e per così dire inestricabile, acqua velocissima che solo qualche grosso macigno frenava. Ecco, là sarei andato a pescare, dove nessun uomo aveva mai posto piede. Mi spingeva la bramosia del nuovo, del difficile: avevo sedici anni.
Il primo strappo – segno che un pesce aveva abboccato – fu lieve: difatti la trota che venne fuori dall’acqua era piccola. Misi allora sull’amo un verme grosso e vivace: gettai ancora. Per un poco non sentii nulla: ma c’era nell’aria, e si sentiva, come il presagio di un avvenimento strano.
Risalii il Maso per due o tre ore facendo ricca preda: ma erano tutte trote di due o tre etti, cose normali. Avevo le ginocchia sbucciate, le mani graffiate dai rovi, ma continuavo a salire. D’un tratto giunsi ad un luogo incantevole nella sua orrida bellezza: il torrente, cadendo da un salto di rocce a picco, scavava un profondo lago di poche decine di metri, che sembrava inaccessibile tra le due cascate. Che posto stupendo per pescare, pensai. Ma come arrivarci? Mi venne in mente la corda da montagna che avevo nel sacchetto. E concepii un disegno che ora mi parrebbe pazzesco, ma allora no.
A quel pensiero di gioia, un’emozione indicibile mi prese. Ero sporco, bagnato, in una posizione impossibile: ma nessuno, nessuno, prima di me, aveva pescato mai in quel laghetto. I capelli mi si erano appiccicati alla fronte, fra gocce d’acqua e di sudore quasi non ci vedevo: eppure trassi l’amo, lo montai col verme e lo gettai nei gorghi, badando che la corda mi tenesse fissamente legato.
Dissi a mia madre che sarei stato via tutto il giorno; misi nel sacco, di nascosto, una corda da montagna (non si sa mai…) e partii: con una grossissima pagnotta riempita di mortadella. Il cielo era scuro. Ma ero contento. Con acqua lievemente torbida si pesca meglio: e anche di giorno, quando, di solito, i pesci non abboccano.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 61
Raggiunsi l’orlo superiore della voragine e legai la corda al grosso abete incombente: e poi discesi cercando, sotto, dove posare i piedi avendo una certa libertà di movimento. Trovai una piccola roccia, umida e scivolosa, che formava un ripiano di circa mezzo metro quadrato. Ed eccomi lì, con otto metri a picco alle spalle e la corda che mi tratteneva su una specie di balcone, a due metri circa dal pelo dell’acqua. Intorno, il rumore assordante di cascatelle che cadevano; davanti, il laghetto oscuro per acque profonde; nelle quali, certamente, nessuno aveva pescato mai.
D’un tratto, uno strappo fortissimo che mi strappò dal ripiano dove mi trovavo: sarei caduto in acqua senza l’aiuto provvidenziale della corda a cui ero legato. C’è – dissi – c’è. Sapevo che se avessi dato un colpo secco la canna
Finalmente i movimenti del pesce divennero più lenti, ed io, senza strappi, lo traevo a me. Veniva, veniva…
62 OCCHI APERTI
Lo racconto ora a voi ragazzi, perché – se diventate pescatori – sappiate con che cosa si prendono i pesci: con una pagnotta piena di mortadella e soprattutto con pazienza, molta pazienza.
Ma come avrei fatto a tirarlo fuori dall’acqua? Il crine, era, benché resistentissimo, sottile, e il pesce enorme… Mi venne un’idea. Mi misi a sedere sul picco del ripiano dove mi trovavo: poi, tirando lentamente il crine con la destra, calai giù il sacco da montagna aperto, tenendolo strettamente con la sinistra per le larghe e resistenti cinghie proprio come fosse una reticella. Intanto tiravo, sempre lentamente, il crine. Il pesce stanco, veniva verso il sacco da montagna aperto… quando vi fu sopra, con un colpo rapido lo cacciai dentro e lasciai che si dibattesse: era preso ormai! Pesava cinque chili.
D’un tratto lo vidi: fece un balzo per liberarsi dall’amo e, prima di scomparire di nuovo, mostrò tutto il suo corpo. Era una bestia enorme, tale che non ne avevo vistoNonmai.mi deve sfuggire, mi dissi, devo avere pazienza, molta pazienza, lo devo stancare prima. Impiegai due ore. Lo lasciai correre. Poi cominciò a stancarsi. Le forze gli venivano meno. Ed io paziente, vigile, pronto, intirizzito dal freddo, inzuppato d’acqua, con le mani rosse e gonfie che stringevano spasmodicamente la canna. Ma senza tirare, senza tirare…
A mangiarlo, l’indomani, vennero anche il parroco, il sagrestano, il sindaco e i notabili del paese: ce n’era per tutti. Ma io non volli mai dire dove e come l’avevoRimasepreso.unmistero.
E non soltanto i pesci…
si sarebbe spezzata. Perciò, appena ripreso l’equilibrio, diedi corda al pesce che non vedevo, ma sentivo: e come, lo sentivo! Sembrava impazzito, correva qua e là, come una torpedine, nelle acque ribollenti del lago – sempre sott’acqua – poi tornava indietro, girava a guisa di siluro ad angolo retto…
Ezio Franceschini, La valle più bella del mondo, Vita e Pensiero dimenare: agitare, scuotere. incauto: distratto, non attento. divincolasse: contorcesse. Qual è l’episodio fondamentale del racconto? Prova a dare un altro titolo che ritieni adatto al brano.
Il muso di Talpa sbucò alla luce del sole, e lui si ritrovò a rotolare nell’erba tiepida di un’ampia radura. Saltellando sulle sue quattro zampe, felice di vivere e godere quella primavera senza le pulizie, percorse la radura sino al suo margine.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 63 IL VENTO NEI SALICI
Vagò eccitato attraverso il sottobosco e rasente le siepi e, scoprendo ovunque uccelli che costruivano il loro nido, germogli e fiori in boccio.
Così, vagabondando senza una meta, si ritrovò dinanzi alla riva di un fiume in piena. Era la prima volta, in vita sua, che ne vedeva uno. Era tutto un fremito, un brivido, bagliori e scintille, e un mormorio gorgogliante che lasciarono Talpa come imprigionato in un incantesimo. Trotterellò lungo la sponda, rapito dallo spettacolo, fino a quando, stanco, si mise a sedere. Mentre si riposava osservando la riva opposta, la buia imboccatura di una tana attrasse la sua attenzione, ed egli si ritrovò a pensare che quella sarebbe stata un’incantevole residenza per un animale di poche pretese, amante di quel paesaggio fluviale. Qualcosa di piccolo e vivace, simile a una stellina, cominciò a brillare in quella oscurità. Era però impossibile che si trattasse di una stella.
Kenneth Grahame, Il vento nei salici, Enaudi Ragazzi ammiccò: strizzò l’occhio. retrocedere: tornare indietro.
Talpa abbandonò il sentiero e si tuffò nel fitto del bosco. Fu a quel punto che cominciò il sibilo. Appena lo udì era fioco e sottile, e lo indusse a forzare il passo. Poi risuonò dinanzi a lui, in lontananza, facendogli venir voglia di retrocedere. Appena Talpa si fu fermato, si levò da ambo i lati e sembrava attraversare l’intero bosco.
Lo scalpiccìo aumentò di intensità, fino a sembrare grandine sul tappeto di foglie secche che lo circondava. Il bosco intero pareva correre, correre veloce, a caccia di qualcosa o di qualcuno?
Deviando dalla corrente principale, Talpa e Topo passarono in quello che appariva come un laghetto circondato da lingue di terra. Sponde erbose digradavano sui suoi due lati, mentre dinanzi a loro, da una diga, una cascata argentata riempiva l’aria con un mormorio carezzevole, andando a braccetto con la ruota di un grigio mulino dal tetto spiovente. Tutto era di una tale bellezza che Talpa non poté che levare in alto le zampe e singhiozzare: «Oh! Oh! Oh!».
Poi cominciò lo scalpiccio. Dapprima egli pensò che si trattasse solo di foglie cadenti, tanto il suono era lieve. Poi il suono crebbe e prese un ritmo che Talpa riconobbe per quello di zampette in corsa. Mentre restava ansiosamente in ascolto, piegandosi ora in un’altra direzione, il rumore si fece via via più vicino.
64 OCCHI APERTI
Precipitato nel panico, anche lui cominciò a correre. Si scontrò con qualcosa. Inciampò in qualcosa e cadde in qualcosa. Si infilò sotto qualcosa e scivolò accanto a qualcosa di rotondo. Alla fine trovò rifugio nel cavo oscuro di un vecchio faggio.
In testa alla piccola famiglia non c’era più nessuno. Qui-quak adesso era solo: non c’era più davanti a lui il grosso corpo grigio della madre, dal quale si era sentito fino allora protetto. Adesso era solo: per la prima volta nella sua vita da solo doveva decidersi ad agire.
Le penne per volare gli erano cresciute durante l’estate in sostituzione dell’arruffata camiciolina di lanugine, ma il papero continuava a seguire le abitudini dell’infanzia: sebbene potesse attraversare a volo con pochi colpi di ala i canneti, si ostinava a nuotare, immergendo il becco a destra e a sinistra per ingozzarsi d’erbe marce, con la speranza di trovare qualche boccone più saporoso, un pesciolino o un girino.
La notte aveva già attutito il suono della palude con la sua coltre opaca e Qui-quak aspettava sempre e chissà fin quando sarebbe rimasto là, se non lo avesse riscosso il disperato grido d’uno dei suoi fratelli. Preso da un nuovo terrore Qui-quak si precipitò nel canneto.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 65
LA CAROVANA ALATA
Qui-quak Quando mezzo disco di sole fu sparito sotto la liscia superficie del mare, un giovane papero della tribù delle oche selvatiche uscì cautamente dall’intrico delleEracanne.natoin primavera, e aveva ancora sotto le ali gli spunzoni irti di nido.
Da quel giorno non aveva più abbandonato il suo rifugio perché, inesperto e pauroso, non avrebbe mai osato mettersi a battagliare con gli abitanti della palude.
Si girò su se stesso parecchie volte guardandosi intorno come se aspettasse qualcuno; non si decideva a muoversi.
Sette paperini seguivano mamma oca; Qui-quak era il quinto della fila e muoveva svelto svelto le zampette ancora deboli, cercando di tener dietro ai fratelli. Ogni tanto allungava il collo e scorgeva la grossa sagoma della madre che, in confronto alla prole, pareva un barcone seguito da sette barchettine gialle. Avevano ormai attraversato una larga cintura d’acqua fonda e si erano avvicinate ai bassifondi vicino a riva, quando a un tratto un’ombra tagliò l’aria sopra di loro e due ali scure si pararono davanti a Qui-quak: erano le ali spiegate di un astore. Sotto quelle ali, in un groviglio di artigli, mamma oca…
Era stato sempre solo, non sapeva nemmeno che cosa fosse uno stormo. Mamma oca era morta in una splendida giornata d’estate, in un pomeriggio tranquillo.Inqueste ore le varie mamme oche conducono fuori dai nascondigli i paperini, e si avvicinano senza far rumore alle rive brulicanti di girini e di larve, lì a disposizione di tutti i becchi affamati.
L’autunno era ormai alle porte. Vita nello stormo Di molte cose si dovette stupire Qui-quak in quei primi giorni, mentre cercava di abituarsi alla nuova vita. Si era aggregato allo stormo dopo un lungo periodo di solitudine. La tribù delle oche selvatiche aveva una sua disciplina, seguiva delle leggi, vecchie come il mondo, che l’aiutavano a sopravvivere. Per imparare questo le oche non avevano dovuto nemmeno andare a scuola: lo facevano per istinto. Era stata la vita stessa ad insegnare loro che era più prudente vivere insieme.
Così cresceva poco. Non aveva il coraggio di volare in cerca degli altri e continuava a errare solitario.
66 OCCHI APERTI
Invece Qui-quak, benché fosse stato l’istinto a ricondurlo nello stormo, una volta dentro non ci si sapeva ritrovare. L’infastidiva soprattutto il fatto di dover obbedire a bacchetta, mentre prima faceva tutto a modo suo. lanugine: peluria. coltre: strato, manto. disciplinata: ordinata. Come Qui-quak, anche tu vivi in un gruppo. Quali sono le sue leggi? Pensi che quelli del tuo gruppo ti difendano? Che ti aiutino a crescere? Racconta.
IL MONDO DEGLI ANIMALI 67
gli adulti e poi i giovanissimi, a due a due le oche dai lunghi colli cominciarono a staccarsi dall’acqua e a sollevarsi battendo le grandi ali. Quek volava in testa a tutti. Dietro a lui si allargava, formando un angolo acuto, la lunga colonna delle oche. Qui-quak era tra gli ultimi e sentiva alle sue spalle il quieto e uniforme mormorio del gorgo aereo che si spegneva dietro di loro. Fiù… fiù… e si meravigliava di non provare quella fatica tremenda che aveva sentito tutte le volte che aveva volato da solo sulla palude. Adesso muoveva agilmente le ali senza nessuna stanchezza e desiderava che Quek salisse ancora più in alto, dove il cielo era rosso e cristallino. Non immaginava neppure che quella facilità del volo dipendeva dalla disciplinata geometria dello stormo: i robusti nocchieri che volavano in testa, vincendo la resistenza dell’aria, facilitavano il volo dei più deboli disposti alla retroguardia e per primi si scontravano coi rapaci che tentavano di sbarrare il passo. Qui-quak non sapeva ancora nulla di tutto questo.StevanBulajic, Carovana alata, Giunti
68 OCCHI APERTI
Hai una febbre da cavallo! Sputa il rospo! Sono rimasto con un pugno di mosche. Sei la pecora nera del gruppo. Queste espressioni non sono proverbi ma modi di dire, cioè parole il cui senso è legato a una situazione caratteristica presa dal modo animale. Conosci altri modi di dire legati agli animali? Aggiungili all’elenco. Sostituisci il modo di dire con altre parole, mantenendo lo stesso significato. Scegli una di queste espressioni e racconta una storiella o scrivi un breve dialogo in cui possa essere usata.
PROVERBI E MODI DI DIRE
PROVERBI Chi dorme non piglia pesci! Can che abbaia non morde. Non dire: «Gatto!» se non l’hai nel sacco. Sai che cosa è un proverbio? Spiega il significato di questi proverbi legati al mondo animale. Scrivi un proverbio che senti usare spesso in casa o a scuola.
MODI DI DIRE
IL MONDO DEGLI ANIMALI 69 Mettiamoci all’opera Gli animali Approfondisci la conoscenza degli animali, vertebrati e invertebrati, attraverso l’osservazione di alcune belle immagini o fotografie e la successiva rappresentazione con grafite, tempere, acquerelli o pastelli su cartoncino bianco.
Puoi migliorare la tua capacità di riprodurre l’immagine se osserverai le linee, i piani, gli spazi che definiscono i tratti di quell’animale e se disegnerai con precisione i particolari, ponendo attenzione anche alla posizione.
Scegli la tecnica da usare tenendo conto delle caratteristiche dell’animale che vuoi rappresentare, ad esempio l’acquerello per l’impalpabilità e la trasparenza della medusa, i colori densi e le linee in grafite per la durezza e la precisione geometrica del guscio della tartaruga, la matita sanguigna e il carboncino per gli schizzi di mammiferi e di piumaggi di uccelli, i pastelli pastosi per il corpo degli insetti e le ali delle farfalle, e così via.
DISTORIEUOMINI
Re Gerone è proprio soddisfatto di sé. È così soddisfatto di sé che s’è voluto regalare una corona nuova di zecca. Vuol consacrarla agli dei, dice. In realtà vuol dare lustro al suo testone. Ha consegnato all’orafo diversi pezzi d’oro. E si è visto consegnare una corona dello stesso peso… L’ha guardata, rigirata e gli è venuto un atroce sospetto: parte dell’oro è stato sostituito con argento. L’orafo non confessa, dice che ha usato tutto l’oro che gli è stato consegnato, ma tutti sono sicuri che se ne sia intascato un po’, cercando di far fesso il re Gerone. Gerone conta su di me. Mi ha posto il problema: smascherare la truffa senza rifondere la corona, che non è affatto male.
Luca Novelli, Archimede e le sue macchine da guerra, Editoriale Scienza Archimede di Siracusa (matematico, fisico e inventore dell’antica Grecia, 287 a.C circa - 212 a.C.) si diverte con la geometria e la fisica, ma sa dare anche risposte concrete a molte domande pratiche del suo tempo… come e perché le navi galleggiano, per esempio, o perché galleggiano più facilmente nelle acque salate e così via. Per i popoli navigatori le scoperte di Archimede saranno un vero tesoro.
Penso qui, penso là. Penso in spiaggia… Poi, il mattino dopo, mentre sto facendo il bagno nella mia vasca, sono illuminato da un particolare molto banale, più m’immergo più acqua sale verso i bordi… naturale. Ecco trovata la soluzione. E sono così felice d’averla trovata che esco dalla vasca e tutto nudo e bagnato corro a cercare re Gerone, urlando una parola che diventerà famosa: Eureka! Eureka! (Ho trovato! Ho trovato!). Ho chiesto a re Testone… pardon Gerone, di procurarmi una massa d’oro e una d’argento di ugual peso della corona. Una dopo l’altra le immergo in una bacinella d’acqua e raccolgo quella che ne fuoriesce: di più per la massa d’argento, meno per la corona, meno ancora per la massa d’oro. Ecco dimostrato che la corona non è tutta d’oro (esce più acqua della massa d’oro). E posso anche calcolare quanto argento è stato mescolato all’oro.Tutti a questo punto mi chiedono che fine ha fatto l’artigiano. Non so. Non l’ho più visto, ma so che alle cave attorno alla città c’è sempre bisogno di schiavi freschi.
STORIE DI UOMINI 71 EUREKA! EUREKA!
Ecco: la guardia adesso volgeva le spalle. Il ragazzo si aggrappò ai tralci e cominciò a salire.
Se la guardia lo avesse sentito? Ma dall’altra parte del muro non proveniva alcun rumore.
La musica dell’organo aumentava man mano che il ragazzo si avvicinava alla Cappella: adesso era veramente tuonante, sembrava traboccare fuori dalla porta semiaperta. Il ragazzo scivolò dentro. La Cappella era illuminata da una torcia che gettava grandi ombre tremolanti contro le pareti di pietra.
CHE COSA STAI FACENDO QUI?
La guardia era proprio sotto di lui ma, dopo essersi guardata intorno, non vedendo nessuno, ritornò al suo posto davanti al cancello.
Guardò verso la loggia del coro e vide un vecchio seduto all’enorme organo. L’uomo sembrava perduto nella bellezza della musica. Intorno non vi era nessun altro.
Sull’altro lato del muro non c’erano tralci di vite. Il ragazzo capì che avrebbe dovuto saltare: si penzolò dal muro aggrappandosi con le mani e allungandosi più che poteva; quindi, con un balzo si staccò e cadde al suolo.
Il suono dell’organo tuonava nella notte. Un ragazzetto si fermò nella strada buia e bagnata ad ascoltare. La musica sembrava provenire dalla Cappella di Palazzo, coperta di foglie di vite. Egli si avvicinò al muro esterno, attratto dalla melodia. Si sentiva molto triste. Amava la musica più di qualunque altra cosa al mondo. Suo padre, cantore, gli aveva insegnato tutto ciò che conosceva di musica; poi un amico di suo padre, cantante all’Opera, gli aveva a sua volta impartito lezioni: da allora più nessuno aveva potuto insegnargli altro. Il ragazzo aveva fatto una passeggiata sotto la pioggia pensando all’avvenire; e proprio allora aveva sentito il suono dell’organo. Forse, se avesse potuto entrare nella Cappella, ascoltando la musica di quell’organo si sarebbe sentito meglio. Ma una guardia vigilava camminando in su e in giù davanti al cancello di ferro. Come avrebbe potuto passare senza farsi vedere? La guardia si girò. Il ragazzo si appiattì contro il muro: sentiva le foglie ed i tralci della vite vellicargli il dorso. La musica dell’organo continuava. Doveva assolutamente entrare nella Cappella per ascoltarla da vicino!
Decise che la prossima volta in cui la guardia si sarebbe girata, avrebbe cercato di arrampicarsi sul muro di cinta. Valeva la pena di tentare.
72 OCCHI APERTI
Quando raggiunse la sommità del muro, la guardia urlò: «Alt! chi va là?!». Il ragazzo stette immobile sulla cima del muretto trattenendo il respiro.
Un ramoscello scricchiolò sotto i suoi piedi. Si fermò, senza fiato.
Quando giunse a metà la musica cessò. Il ragazzo esitò. Forse l’organista lo aveva sentito? Lo avrebbe consegnato alla guardia perché aveva osato introdursi nella Cappella di Palazzo? Ma in quel momento la musica ricominciò e il ragazzo respirò di sollievo. Giunto in cima alle scale, scivolò silenziosamente nella galleria del coro.
STORIE DI UOMINI 73
Salì, un gradino per volta, la lunga scala buia.
Lentamente, il ragazzo cominciò a strisciare verso la parte posteriore della Cappella. La porta che immetteva nella galleria del coro era aperta.
La musica lo circondava, gli riempiva le orecchie. Quant’era diverso l’organo dal violino e dal cembalo che aveva suonato fino a quel giorno! Com’era grande e potente! Come estasiava e trascinava! Chiuse gli occhi ed ascoltò con tutto il cuore e con tutta la mente. Si perdette nella musica meravigliosa con tale trasporto che non si accorse di venir fuori dall’ombra e di avvicinarsi all’organo sotto la tenue luce delle candele.
Improvvisamente la musica tacque. «Ehi, tu,» disse l’organista «che cosa fai qui?». Il ragazzo non riuscì neppure a parlare. Si volse, urtando contro le panche e cercò di raggiungere la porta. L’organista lo inseguì. «Fermati» gridò. «Fermati, ho detto!». Il ragazzo non voleva essere preso.
Non avrebbe mai dovuto scavalcare il muro di cinta! Scendendo le scale buie inciampò e cadde. Due forti mani lo raggiunsero e lo agguantarono. L’organista lo prese per il braccio e lo trascinò nella galleria, mentre il ragazzo scalciava e si dibatteva. Ma l’uomo lo tenne stretto e lo afferrò per un orecchio. «Adesso, giovanotto, se vuoi essere così gentile da dirmi che cosa stai facendo qui…». Il ragazzo era troppo spaventato per parlare. Guardava fisso in faccia l’organista.«Nonsai di essere in una proprietà privata? Sei entrato scavalcando il muro di cinta con l’intenzione di rubare qualcosa, vero?» continuò l’altro severamente.«Oh,no,signore!» disse ansimando il ragazzo. «Ho udito l’organo passando nella strada. Io volevo soltanto ascoltare la musica più da vicino! Per questo mi sono arrampicato sul muro di cinta mentre la guardia non vedeva». La faccia dell’organista s’illuminò di un sorriso.
L’organista circondò col braccio le spalle del ragazzo e lo condusse verso il sedile dell’organo. «Non aver paura» disse gentilmente. «Siediti». Il ragazzo sedette. Le sue gambe corte penzolavano dal sedile dell’organo. «Come ti chiami?» chiese l’organista. Il ragazzo disse all’uomo il suo nome e cognome. Questi sorrise.
«E perché volevi ascoltare la musica più da vicino?».
«Avrei dovuto riconoscerti! Ero amico di tuo nonno, molti anni fa».
74 OCCHI APERTI
«Mio padre mi ha insegnato un poco a suonare il violino e il cembalo» disse il ragazzo. «Oggi, dopo essere vissuto per un anno in casa nostra, il mio maestro ha detto a mio padre che anch’egli mi ha già insegnato tutto quello che sa. Che cosa farò adesso? C’è tanto da imparare e non ho nessuno che mi insegni».
L’organista disse con calore: «Farò di più. Ti insegnerò a suonare l’organo. E poi, chissà? Un giorno, se sarai abbastanza bravo, potresti divenire l’organista di corte!».
Il ragazzo si eccitò tanto da cadere quasi dal sedile. «Oh, come potrò mai ringraziarvi?».
Questo episodio ebbe luogo a Bonn, in Germania, nel 1781, quasi due secoli or sono. Ludwig imparò a suonare l’organo e dopo quattro anni di studio divenne organista di Corte. In seguito andò a Vienna, dove dette concerti di pianoforte riscuotendo molto successo. Poi s’accorse che stava perdendo l’udito. Non dette più concerti e dedicò tutto il suo tempo a comporre musica. A cinquant’anni era ormai completamente sordo, ma nella sua mente poteva ancor sentire la bellezza della musica. Ed è proprio nel periodo di sordità totale che compose alcuni dei più grandi capolavori musicali del mondo. Se non avesse perduto l’udito, Ludwig van Beethoven sarebbe probabilmente rimasto soltanto un ottimo concertista: ma poiché riuscì ad ergersi al di sopra della sua menomazione, la sua splendida musica sarà ricordata per sempre.
Ascoltiamo insieme Sinfonia n. 5, primo movimento di Beethoven In questa sinfonia si alternano un primo tema improvviso e forte e un secondo molto delicato e dolce. vellicargli: sfiorarlo provocando solletico.
Gli occhi neri del ragazzo si illuminarono. «Davvero?» chiese. «Allora mi perdonate per avervi interrotto?».
STORIE DI UOMINI 75
«Lavorando sodo come un bravo allievo» replicò l’organista. «Dovrai studiare molto e per lungo tempo. Ma se ami la musica come tu dici, ne varrà la Robertpena!».M.Savage
Il ragazzetto di cui si parla in questo racconto era Ludwig van Beethoven, uno dei più grandi compositori del mondo.
Lui sopporta con un sorriso le lacrime di dolore che il reumatismo gli provoca nelleMoltoarticolazioni.prestoarrivano
È il quinto fratello. I primi due, Maria e Francesco, morirono da piccoli. I due successivi, Rosa e il secondo Francesco, crescono sani e robusti. Invece ad Antonì il reumatismo impedisce di camminare e gli causa dolori molto forti,
IL LIBRO DELLA NATURA
«Piano! Stai attento!» esclama Antonia mentre arrivano al torrente di Riudoms. Non vuole che suo figlio cada dal mulo. Francesco scende dal suo ronzino, tira giù il fratello più piccolo e lo prende in braccio per attraversare a piedi il corso d’acqua. Antonia accarezza la testa del suo figlio malato.
al Mas de la Calderera, la fattoria di famiglia.
Hanno deciso di trasferirsi nella casetta di campagna per passarvi un’altra stagione, fino a che Antonì non migliorerà, poi Francesco ritorna a Reus, al suo lavoro di fabbro. Antonia rimane sola con il suo figlio più piccolo.
76 OCCHI APERTI
I suoi amici, Francesc Berenguer e Eduard Toda, lo avevano salutato con affetto e gli avevano promesso di venirlo a trovare domenica.
Antonia è preoccupata perché Antonì non potrà proseguire gli studi come tutti gli altri. «Cosa ne sarà della vita di un bambino malato?» pensa. Il piccolo Antonì prende una chiocciola e la tiene per un po’ tra le mani. «Mamma, guarda. Cosa è?». «Una chiocciola, Antonì».
Sua madre si accorge che il figlio non sta giocando con la chiocciola. La sta studiando. E lo stesso gli accade davanti alla gallina, quando scorrazza nel cortile; alla rondine che attraversa il cielo; ai mandarini che aveva piantato il nonno davanti alla porta della piccola casa; alle pietre del terreno; o alle montagne dei Pareis, che chiudono l’orizzonte a nord.
STORIE DI UOMINI 77
«Questi saranno i suoi libri» riflette Antonia «invece di quelli di scuola. E Dio poi ci Liberapenserà».traduzione da Josep Maria Tarragona Clarasó, Antoni Gaudí. Un arquitecto genial, Editorial Casals Che cosa vuole dire la mamma di Antonì quando dice «questi saranno i suoi libri»?
Antoni Gaudí (1852-1926) è conosciuto in tutto il mondo come il geniale architetto della Sagrada Família, il tempio cristiano diventato l’edificio simbolo di Barcellona, in Spagna. Questo capolavoro è stato definito un poema in pietra per la ricchezza e varietà delle sue forme e delle sue immagini. tanto forti che deve smettere di frequentare la scuola di Berguer, di via Monterols.
Se n’andava un giorno per la piazza del mercato ad Altdorf, nella Svizzera, un uomo alto e forte, tarchiato e diritto, dal volto abbronzato dal sole, dal capo eretto, dalla folta barba e dagli occhi ridenti. Gli amici lo salutavano con simpatia e la gente diceva: «Ecco Guglielmo Tell, l’infallibile arciere».
78 OCCHI APERTI
Un gran silenzio s’era fatto intorno. La gente accorreva a vedere che cosa fosse accaduto, abbandonando i propri affari. Oh, sì! C’era in gioco qualcosa di ben più importante degli affari: la vita di un uomo, la libertà di una nazione. Sul viso di Guglielmo Tell passò una vampa. «Non ho fatto nulla di contrario alle leggi» disse egli lentamente. «Avete insultato la maestà del Duca» rispose il soldato. «Come?» replicò Tell, guardandolo con occhio fermo. «Ci dobbiamo inchinare a un berretto? Tanto varrebbe allora inchinarsi davanti a un mantello vuoto o a un paio di brache!».
In quel momento comparve dietro ai soldati la figura del governatore del distretto, il tiranno Gessler, colui che, posto alla testa della Svizzera dall’Austria, che l’aveva conquistata, ne calpestava la libertà: imprigionava e giustiziava quanti tentavano di opporglisi. L’ultima sua stoltezza era di aver dichiarato che ognuno dovesse, sotto pena di morte, rendere omaggio al simbolo dell’Austria, collocato su di un palo nella piazza del mercato. E questo sciocco simbolo era il berretto del Duca. Guglielmo Tell guardò in faccia il governatore. Egli non aveva paura di nessuno, nessuno poteva piegare il suo spirito fiero. Egli aveva riflettuto, fra le sue montagne, sulla vergogna di essere servi sotto un tiranno, e aveva già deciso con i suoi amici di tentare la resistenza. Mai, mai egli avrebbe reso omaggio all’odiata insegna della tirannia.
Quel giorno, Guglielmo Tell aveva venduto delle pelli di camoscio sul mercato di Altdorf e voleva comprare dei vestiti da inverno per i suoi bambini. Aveva denaro in abbondanza e si sentiva felice. Un’ora dopo sarebbe ritornato a casa sua cantando una lieta canzone montanina. Ad un tratto si sentì afferrare per un braccio. Si volse e vide un soldato austriaco che lo teneva strettamente e che, additandogli un palo sulla cui cima era posato un berretto ducale, gli diceva: «È condannato a morte chi non s’inchina a quel berretto, voi lo sapete».
L’ARCIERE INFALLIBILE
Quell’uomo che aveva fama di tirar l’arco meglio di ogni altro uomo, di saper, come nessun altro, governare una barca nel tempestoso lago di Uri, viveva tranquillamente in una capanna sui monti con la sua donna e i suoi bambini.
Egli cacciava i camosci sulle montagne e andava a pescare nel lago. La sua famiglia non mancava di nulla: era felice e in pace.
STORIE DI UOMINI 79
«E potete credere che io voglia salvar la mia vita arrischiando quella del mio bambino?».«Basta!»rispose il tiranno «È un favore che ti faccio: con un colpo fortunato puoi salvare te e tuo figlio».
La folla fece largo e il figlioletto di Guglielmo Tell, venuto anche lui alla fiera, s’avanzò correndo per gettarsi al collo del babbo. Ma il governatore lo fermò e chiese: «È questo il figlio del traditore?».
«Se mai, sarai tu a fargliene. Orsù legate il ragazzo al tronco di quel tiglio e ponetegli una mela sul capo».
«Ma come può un padre che ama tanto il suo figliolo mirare con mano ferma
«Che significa ciò?» domandò Tell. «Mi dicono che tu sei ritenuto un arciere infallibile e mi piacerebbe avere un saggio della tua abilità. Tu ti sei meritato la condanna a morte. Ma oggi io ho l’anima disposta all’indulgenza. Ascoltami: se a questa distanza saprai tirare così bene da spaccare la mela che sta sul capo del tuo figliolo, ti lascerò libero. Ma se non colpisci la mela o uccidi tuo figlio… sarai giustiziato all’istante.
«Oh, non sarò io a fargli del male» rispose Gessler con un sorriso ironico.
«Non gli fate male» disse Tell. «È il mio primogenito».
«Dunque» gli chiese il governatore «tu ti fai beffe del simbolo della maestà?». Ma in quel momento un grido si levò dalla folla. Era un grido infantile: «Babbo! Babbo!».
Si portò l’arco alla spalla, mirò e… tan! La freccia scoccò e volò dritta al segno: la mela cadde dalla testa del bambino, spezzata in due. Scoppiò un fragoroso grido di gioia, mentre Gessler diceva, volgendosi a Tell: «Un buon colpo! Ma perché hai preso due frecce?». «Perché» rispose Tell toccando la freccia che aveva alla cintola «se la prima avesse fallito il colpo e ferito mio figlio, questa sarebbe stata per voi!».
Un terribile proposito accese allora la nobile anima del montanaro. Disse: «Datemi l’arco, e rivolgete dall’altra parte il volto di mio figlio: che io non veda i suoi occhi fissi su di me!».
80 OCCHI APERTI
Dopo questo episodio, il popolo svizzero insorse e si strinse intorno a Guglielmo Tell che lo guidò alla riconquista dellaTrattolibertà.dall’Enciclopedia dei ragazzi, Mondadori
appena al di sopra del suo capo? Oh, guardate questo fanciullo, questo bel viso, questi occhi innocenti! E dovrei arrischiare la sua vita?».
«O tiri, o muori». Gessler rise brutalmente. «Va bene, morirò» rispose Guglielmo Tell. «Bene… ma prima farò strozzare tuo figlio sotto i tuoi occhi».
Una fitta moltitudine stava all’intorno. Il ragazzo, col viso rivolto contro l’albero, legato strettamente al tronco, sentiva pesare come piombo la mela sul capo. Un silenzio angoscioso si fece sulla piazza. Guglielmo Tell scelse due frecce. Ne pose una nella cintura, collocò l’altra nella corda dell’arco. Poi stette un momento immobile a capo chino: pregava. Si sarebbe potuto sentire una foglia cadere. Quando Tell rialzò il capo, il suo sguardo era risoluto, la mano ferma: il volto pareva di bronzo.
Provò ad immaginarsi re dell’aria, vincitore dello spazio e della gravità, figlio dell’uomo, in tutta la sua gloria e la sua potenza, il Grande Cigno dalle immense, candide ali scintillanti come neve nell’azzurro del cielo.
Leonardo si curvò in avanti scrutando l’abisso e di colpo, forte come non mai, il sentimento della necessità assoluta del volo umano, quel sentimento che fin dall’infanzia l’assillava, gli pervase l’animo.
E nel suo cuore avvampò una gioia strettamente confinante con il terrore…
Mentre Leonardo scendeva dal monte, il sole era ormai al tramonto. Si fermò, trasse di tasca il taccuino e scrisse: «Se la pesante aquila può
Quando al limite della verdeggiante pianura lombarda vide per la prima volta apparire la chiostra nevosa delle Alpi, Leonardo sentì che per lui iniziava una nuova vita. Così, ascendendo l’erta faticosa del monte Albano, riviveva il ricordo dei cinquant’anni della sua esistenza. Leonardo saliva sempre più in alto e uno strano senso di gioia gli riempiva l’animo: gli pareva di essere il conquistatore di quelle tetre arcigne vette flagellate dai venti e ad ogni passo lo sguardo gli si faceva più penetrante, fisso sull’orizzonte che sempre più vasto si apriva innanzi a lui. Gli pareva di sfiorare appena i ciottoli dello scosceso sentiero, di sentirsi più lieve man mano che saliva, di staccarsi dal suolo come sorretto da ali gigantesche. Leonardo ricordò come da piccolo seguiva il volo delle cicogne versando lacrime di invidia all’udir le loro grida lontane che parevano invitarlo a seguirle; ricordò il racconto del monaco suo maestro di scuola su Icaro figlio di Dedalo, il quale aveva voluto tentare il volo con ali tenute insieme da cera e si era ucciso piombando nel mare e quando in seguito il maestro gli aveva domandato chi fosse il più grande eroe dell’antichità ed egli aveva risposto senza esitare: «Icaro, il figlio di Dedalo». «Le ali» pensò. «Possibile che anche questo debba perire come tutto ciò che faccio?». Alzò la testa, strinse ancora di più le labbra, aggrottò le sopracciglia e riprese la scalata vincitore del vento e della montagna.
Il sentiero era ormai scomparso. Adesso Leonardo si inerpicava a caso tra le nude rocce dove forse mai nessuno prima di lui aveva posto piede. Ancora uno sforzo, ancora un passo e si fermò sull’orlo del precipizio.
«Le ali verranno» mormorò. «Verranno! Se non per merito mio, per merito di un altro, ma l’uomo volerà! Lo spirito non ha mentito: chi saprà, chi volerà sarà simile a Dio!».
STORIE DI UOMINI 81 L’UOMO VOLERÀ!
Non si poteva andare più avanti: ci sarebbero volute le ali! La roccia finiva in un altissimo strapiombo che si immergeva in uno strato di fluttuanti vapori dai toni violetti e pareva che laggiù non vi fosse terra ma lo stesso vuoto, la stessa infinità celeste, laggiù sotto i piedi come lassù sopra la testa.
sostenersi volando nell’aria rarefatta, se le grosse navi possono, con l’aiuto delle vele muoversi sul mare, perché non potrebbe l’uomo, solcando l’aria con ali, signoreggiare i venti e levarsi in alto da vincitore?».
Osservare la natura affascina moltissimo Leonardo; ha l’abitudine di prendere appunti per fissare idee e curiosità su ciò che vede o immagina, prima che nuovi ed eccitanti pensieri spazzino via quelli di prima. Quei grandi fogli pieni di schizzi, scritte e rebus – Leonardo era appassionato di giochi di parole – sono arrivati fino a noi e ci mostrano gli interessi di Leonardo per tutte le materie: botanica, anatomia, zoologia, ingegneria, idraulica e architettura.
82 OCCHI APERTI
Dimitri Mereskovskij, Leonardo da Vinci. La vita del più grande genio di tutti i tempi, Giunti Leonardo da Vinci (pittore, architetto, scienziato, 1452-1519) è noto non solamente per le sue capacità pittoriche, ma anche come sperimentatore dotato di curiosità vivace e interesse su ogni aspetto della realtà.
A fianco era disegnata la macchina: un timone al quale erano fissate due ali, mediante aste di ferro, azionate da un sistema di corde.
STORIE DI UOMINI 83
• Quali
Quale affermazione fa Leonardo quando si ferma sull’orlo del precipizio, là dove la roccia finiva in un altissimo strapiombo? Cosa scrisse Leonardo sul suo taccuino, mentre scendeva dal monte Albano e il sole era ormai al tramonto? Cosa disegnò a fianco di ciò che aveva scritto?
•
Quale racconto ricorda Leonardo del monaco e suo maestro di scuola?
•
Rispondi alle seguenti domande di comprensione.
•
Quale ricordo affiora nella mente di Leonardo «ascendendo l’erta faticosa del monte Albano»? animali osservava Leonardo quando era piccolo e che cosa invidiava di loro?
•
Ora sono sicuro di poter costruire una lampadina che duri centinaia di ore. Cambierà il modo di vivere e… di dormire. Ho investito migliaia di dollari per i miei esperimenti sull’illuminazione elettrica e migliaia di ore di lavoro. Ho provato di tutto, persino, come filamento carbonizzato, i peli della barba rossa del mio collaboratore Mackenzie! Ma ora, alla fine, so di aver creato non solo un nuovo tipo di lampada, ma un sistema che funziona.
Ora a Menlo Park c’è il primo impianto di illuminazione della storia: venticinque lampade illuminano il laboratorio, otto gli uffici, e altre venti illuminano le strade adiacenti. Ho deciso di inaugurarlo ufficialmente il giorno di San Silvestro. Sarà il Capodanno più straordinario della mia vita. La notte di San Silvestro 1879 ho aperto le porte di Menlo Park ai visitatori. Ne sono arrivati tremila. Una vera folla: uomini, donne, ragazzi, operai, agricoltori, banchieri, operatori di borsa… Sono arrivati con tutti i mezzi: a cavallo, a piedi, su carri e carrozze. Da New York sono stati organizzati persino dei treni speciali per venire a vedere quella che un giornalista ha definito l’ottava meraviglia del mondo: la Fabbrica delle Invenzioni illuminata a giorno da decine di lampadine elettriche. Quello che fa impressione è il fatto che premendo un interruttore non si illuminano a giorno solo il laboratorio e il mio ufficio, ma anche la mia casa e tutti gli edifici e le strade entro un quinto di miglio dalla centraleLucaelettrica.Novelli,Edison, come inventare di tutto e di più…, Editoriale Scienza
Non ho dormito per due notti di seguito. E neppure i miei collaboratori. Siamo rimasti svegli a guardare la nostra lampadina ardere senza bruciare per 45 ore! Avevo estratto l’aria da un bulbo di vetro e saldato all’interno un filo carbonizzato di cotone da cucire. Poi l’avevo collegato alla corrente.
Infatti ho dovuto inventare tutto quello che serve per far funzionare la lampadina: una dinamo che produce corrente elettrica a basso costo, reostati, contatori, interruttori, valvole, portalampada, conduttori sotterranei e aerei, derivazioni, e tutti gli accessori, compreso… il nastro isolante. Prima c’era solo il filo di rame, che ho dovuto ricoprire di isolante.
La lampadina ha continuato a illuminare il laboratorio per quasi due giorni, prima di consumare il filamento. Funziona! Si può fare!
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LA GRANDE IDEA
STORIE DI UOMINI 85
Thomas Alva Edison (inventore statunitense, 1847-1931) è stato definito «l’uomo che inventò il futuro». Fu lui che cominciò a distribuire l’energia elettrica nelle case e nelle fabbriche, fu lui a inventare la lampadina a incandescenza e a scoprire il modo di riprodurre la voce e la musica. Grazie a lui, oggetti come il telefono e la radio raggiunsero un gran numero di persone, cambiando il nostro modo di vivere.
LA
86 OCCHI APERTI
«Nelle prime quattro classi – scrive don Bosco – ho dovuto imparare a mie spese a trattare con i compagni». Nonostante la severa vita cristiana imposta dalla scuola (ognuno doveva addirittura consegnare la “ricevuta” della confessione mensile) ce n’erano dei«Unocattivi.fucosì sfacciato che mi consigliò di rubare un oggetto di valore alla mia Giovanni,padrona».all’inizio, si sganciò deciso da quei poveri ragazzi, per non finire come il topo tra le zampe del gatto. Ma presto i suoi successi scolastici lo misero in grado di avere con loro un rapporto diverso, di prestigio. Perché non approfittarne per far loro del bene?
SOCIETÀ DELL’ALLEGRIA
L’allegria sarà un chiodo fisso di don Bosco. Domenico Savio, il suo allievo prediletto, arriverà a dire: «Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri. Cerchiamo di evitare il peccato che ci ruba la gioia del cuore».
STORIE DI UOMINI 87
Le diede un regolamento semplicissimo:
Per don Bosco l’allegria è la profonda soddisfazione che nasce dal sapersi nelle mani di Dio, e quindi in buone mani. È la parola povera con cui si indica un valore grande: la speranza cristiana. «Nel 1832 tra i miei compagni ero diventato come il capitano di un piccolo esercito». Giocavano con le piastrelle, le stampelle, i salti, le corse. Partite accese e allegrissime. Quand’erano stanchi, sopra un tavolino piazzato sull’erba, Giovanni faceva i giochi di prestigio. «Facevo uscire da un piccolo bussolotto cento palle colorate, da un barattolo vuoto decine di uova. Raccoglievo pallottole sulla punta del naso degli spettatori, indovinavo i denari nelle tasche altrui, con un semplice tocco delle dita riducevo in polvere monete di qualsiasi metallo».
persino, passando sotto il banco traduzioni complete. (All’esame finale del 1833 sarà beccato durante una di queste manovre, e potrà cavarsela solo grazie all’amicizia di un professore che gli farà ripetere la traduzione di latino).
• Cosa significano queste parole? Sfacciato ☐ pallido ☐ senza vergogna ☐ antipatico Bussolotto ☐ recipiente ☐ piccola bussola ☐ cucciolo
«I compagni che volevano tirarmi ai disordini, erano i più trascurati nello studio e così cominciarono a far ricorso a me perché dessi loro una mano nei
Insieme si stava bene. Formarono una specie di banda, e Giovanni la battezzò «Società dell’allegria».
• Spiega le espressioni presenti nel testo: «imparare a mie spese», «finire come il topo tra le zampe del gatto», «far arrossire un cristiano», «sarà un chiodo fisso».
«Con questo mezzo mi procurai la benevolenza e l’affetto dei compagni. Cominciarono a venire a cercarmi durante le ricreazioni per il compito, poi per ascoltare i miei racconti, e poi anche senza nessun motivo».
2. Fare i propri doveri scolastici e religiosi.
Tutta quell’allegria finiva in preghiera. Teresio Bosco, Don Bosco. Una biografia nuova, Elledici
1. Nessuna azione, nessun discorso che possa far arrossire un cristiano.
3. Essere allegri.
Licompiti».aiutò.Esagerò
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AGATHA CHRISTIE, UNA STORIA DI STRAORDINARIA DISLESSIA Non si conosce molto riguardo a donne del passato che sono state dislessiche, perché in passato le donne non andavano a scuola. Però vi vogliamo raccontare di una grande scrittrice di gialli, che poi sono diventati anche dei film: AgathaAgathaChristie.nacque alla fine del 1800 in Inghilterra. Fu educata in casa dalla madre e dalle governanti. Clara, la mamma, le insegnò a leggere e scrivere. A casa dei signori Christie c’erano sempre ospiti illustri, fra cui alcuni scrittori. Mamma e figlie si dilettavano, così, nella scrittura di racconti. Agatha quindi provò a scrivere, anche lei, il suo primo racconto. Eppure lei stessa racconta che in famiglia era considerata «tardiva». La scrittura e l’ortografia erano terribilmente difficili per lei e rimasero
sempre i suoi punti deboli. Ciononostante la sua dislessia non le ha impedito di diventare la più grande scrittrice di gialli del mondo! Da piccola visse a Parigi e cominciò a studiare canto e pianoforte; aveva sviluppato una forte passione per la musica e voleva diventare una cantante lirica. Purtroppo (o per fortuna, dal punto di vista della storia della letteratura), non ottenne molti riscontri positivi come cantante e la paura del palcoscenico la terrorizzava. Così sua madre la portò in viaggio in Egitto per consolarla e, poi, tornarono in Inghilterra. L’idea per il suo primo romanzo giallo sul commissario Poirot le nacque lavorando in un ospedale, come infermiera volontaria, durante la Prima guerra mondiale. A contatto con farmaci e veleni le venne in mente quel magnifico personaggio, misto di furbizia e raffinatezza, un po’ fuori dagli schemi, e con uno spirito di osservazione incredibile.
STORIE DI UOMINI 89
Rossella Grenci, Daniele Zanoni, Storie di straordinaria dislessia. 15 dislessici famosi raccontati ai ragazzi, Erickson dislessia: difficoltà nel leggere. si dilettavano: si divertivano. tardiva: lenta e in ritardo.
Nella sua vita viaggiò moltissimo, in diverse parti del mondo. Un intero genere letterario come il giallo non sarebbe lo stesso senza gli eroi di Agatha.
Quando cominciò a scrivere fu stimolata anche da una sorta di scommessa che aveva fatto con sua sorella, la quale riteneva che non sarebbe riuscita a diventare una scrittrice di gialli. Sembra che i dislessici, quando vengono “colpiti” nel loro amor proprio, facciano emergere tutto il meglio di sé per dimostrare quello che sono capaci di fare! E fu così che a soli venticinque anni firmò il suo primo romanzo.
nascondeva un po’ di lei in tutti i suoi personaggi, andando a scegliere le caratteristiche a seconda della storia che voleva raccontare.
90 OCCHI APERTI
La sua fantasia poteva mettere insieme storie incredibilmente intrecciate e sempre diverse, omicidi intricati e moventi altrettanto difficili da scovare, ma era anche in grado di lasciar trovare sempre la soluzione ai suoi eroi perché scoprissero tutto in modo a dir poco geniale e fuori dagli schemi. Il metodo che usava per scrivere i gialli era quello di far prendere forma alla storia dapprima nella sua testa, partendo dal crimine. Spesso lavorava contemporaneamente a due libri, così da non rimanere mai senza idee! Agatha Christie in vita guadagnò circa 20 milioni di sterline, cioè poco più di 23 milioni di euro. Ancora oggi è la scrittrice inglese più tradotta, anche più di Shakespeare. Nella lingua originale i suoi libri sono stati venduti in un miliardo di copie e nello stesso numero in almeno 45 lingue differenti.
Un’altra figura caratteristica dei suoi gialli è quella dell’anziana Miss Marple, che pare sia stata ispirata alla stessa nonna della Christie. Di fantasia ne aveva daProbabilmentevendere!
Un viaggio in treno per Baghdad, invece, le ispirò Assassinio sull’Orient Express, uno dei suoi romanzi più famosi.
Insieme alla sorella, si unì a un gruppo di rifugiati e partì per un mese di viaggio attraverso diversi Paesi e poi a bordo di un gommone diretto all’isola di IlLesbo.gommone era adatto a ospitare solo sei o sette persone, ma salirono in venti. All’improvviso, il motore si fermò. «Non possiamo morire in mare» pensò Yusra, «siamo nuotatrici!». Così saltò in acqua con sua sorella e un altro ragazzo.Scalciarono
Ogni giorno, lei e sua sorella si allenavano con il padre nella piscina locale. La Siria però era in guerra, e un giorno una bomba cadde nella piscina. Per fortuna, Yusra e sua sorella si trovavano altrove. Poco dopo, una bomba distrusse la loro casa. Di nuovo, scamparono alla morte per un pelo. All’improvviso, Yusra e la sua famiglia non avevano più nulla e non sapevano dove vivere, così decisero di lasciare il Paese. Yusra aveva sentito dire che la Germania era un bel posto per i nuotatori. Il viaggio era lungo e non sarebbe stato facile, ma lei non si scoraggiò.
YUSRA MARDINI, NUOTATRICE
C’era una volta a Damasco, in Siria, una nuotatrice di nome Yusra.
Francesca Cavallo, Elena Favilli, Storie della buonanotte per bambine ribelli, Mondadori
Quando arrivarono in Germania, la prima cosa che Yusra chiese fu: «Dove posso trovare una società di nuoto?». Non solo ne trovò una, ma nel 2016 fece parte della prima squadra di rifugiati della Storia a gareggiare alle Olimpiadi.
STORIE DI UOMINI 91
e nuotarono e tirarono e spinsero quel gommone per più di tre ore, fino a che finalmente raggiunsero la costa.
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE
In questi giorni di ottobre sembra di essere tornati in primavera: la natura mostra gli ultimi fiori e le forme incredibili dei funghi.
E in questi ultimi giorni di sole prima delle nebbie invernali, ricci e ghiri, tassi e serpenti, tartarughe e rospi girano tra l’erba e il sottobosco in cerca di cibo.
Gli animali sono tutti in movimento: partono gli uccelli migratori estivi e giungono quelli autunnali; i grandi mammiferi cambiano il pelo e assumono una folta pelliccia invernale, mentre gli animali che vanno in letargo si danno da fare ad accumulare riserve di grasso.
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 93
Se andrete in campagna potrete avere sorprese bellissime: raccogliere le noci e le castagne che nessuno ha scoperto; scoprire che ora fioriscono la mentuccia profumata e i ciclamini autunnali.F.Prati,L’orsa, Primavera
Le foglie degli alberi, intirizzite dai primi venti freddi, assumono colori meravigliosi: rosso, arancione, giallo, rame, bruno, che spiccano nel cielo lavato dalle piogge.
A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra, lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta nei campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza del mattino.
Un venticello d’autunno, staccando dai rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere qualche passo distante dall’albero.
MATTINO D’AUTUNNO Il cielo era tutto sereno; di mano in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalla sommità dei monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle.
SOLE D’OTTOBRE
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
Prima di cadere le foglie assumevano – in una sorta di festa d’addio alla loro esistenza così breve – le tinte più belle: l’oro o il rosso, o il giallo delicato, o il ruggine o il bruno, ciascuna secondo la propria specie. Per più giorni da nord-est, cioè dalla stessa direzione del vento, giunsero anche e si susseguirono – alte nel cielo – schiere di anitre migranti: volavano in formazione a V o in semplici righe oblique, con strida
NEBBIA IN CITTÀ
94 OCCHI APERTI
Camminare dentro la nebbia è come curiosare nel sogno della natura: gli uccelli fanno voli corti per non perdere l’orientamento, scompaiono i segnali nelle strade di città, i veicoli vanno piano e si fa appena in tempo a riconoscerli che spariscono. Le luci verdi, rosse e gialle dei semafori colorano nella notte vaste masse di nebbia, e tutto diventa irreale.
Bruno Munari, Nella nebbia di Milano, Emme Edizioni AUTUNNO
Terminatoinsistenti.ilpasso delle anitre egli assistette a un altro passo, davvero impensato: quello dei ragni. Sulle sporgenze dei fortini, sui lunghi fili del telefono da campo, su ogni stelo secco e in cima alle erbe più alte, comparvero dei fili di ragnatela che raffittirono sempre più. Dapprima nessuno ci badava, poi di notte una vedetta s’accorse, alzando gli occhi alla luna, che nell’aria navigavano innumerevoli fili. Chiamò a mezza voce un paio di compagni, che venissero a vedere. Udendo le esclamazioni di meraviglia di costoro altri bersaglieri uscirono dai ricoveri, uscì anche Stefano e vide: nell’aria sopra la trincea miriadi di fili – lunghi da un palmo a qualche braccio – procedevano orizzontalmente, paralleli fra loro, trasportati dalla brezza, e su ogni filo viaggiava un minuscolo ragno. Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Ares
È bella una giornata di sole, ma io preferisco queste giornate nuvolose, che hanno l’aria di raccoglimento. Nulla può fare abbastanza degnamente spendere una giornata di sole; per quanto si faccia, si finisce per sprecarla, se non addirittura per farne un cattivo uso; mentre ci vuole così poco per impiegare bene una giornata nuvolosa. Basta leggere un libro, basta scrivere una lettera, basta starsene tappati in casa, col naso contro i vetri a guardare le strade grigie; anche un buon impiego d’una giornata nuvolosa è restarsene in letto, magari per alzarsi soltanto verso sera, quando la luce artificiale non vi parla più né di tempo bello, né di tempo brutto; starsene a letto a riordinare i propri scartafacci, ecco quello che ci vuole per spendere bene una giornata grigia.
GIORNATA NUVOLOSA
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 95
Achille Campanile, Cantilena all’angolo della strada, Bur Ci vuole così poco per impiegare bene una giornata nuvolosa! Racconta come sei solito impiegare le grigie giornate autunnali, soffermandoti in modo particolare su una di esse, che è stata per te particolarmente bella.
«Chi può dirlo? Nessuna di quelle che sono cadute è mai tornata per darcene notizia».
96 OCCHI APERTI
«E reca anche tristezza» soggiunse la prima. Tacquero un poco. Poi la prima disse piano, fra sé: «Perché dobbiamo andarcene?».
«Non parliamo più di queste cose». «Sì… non parliamo più…» rispose la seconda foglia.
«Ora il sole splende così di rado» sospirò la seconda foglia «e anche quando splende, non dà forza. Bisognerebbe avere nuove forze».
«Chissà se è vero che al nostro posto quando noi ce ne siamo andate ne vengono altre, e poi altre, e poi altre ancora…».
«Certo che è vero» mormorò la seconda foglia «soltanto la mente vi si smarrisce… è più di quanto possiamo capire…».
«Non si sa mai a chi tocca. Quando il sole era ancora caldo, più d’una volta una bufera o un acquazzone portò via tante delle nostre sorelle, benché fossero ancora giovani». Non si sa mai a chi tocca.
Dalla grande quercia sul margine della prateria cadevano le foglie. Cadevano da tutti gli alberi. Un ramo della quercia, più alto degli altri, si protendeva di parecchio sulla prateria. Alla sua estremità portava due foglie vicine. «Non è come prima» diceva l’una all’altra. «No» rispondeva questa, «anche stanotte se ne sono andate così tante delle nostre sorelle… ormai noi due siamo le uniche del ramo».
«Non so. Chi dice una cosa, chi dice un’altra… ma nessuno lo sa».
DIALOGO TRA DUE FOGLIE
«Ma di che cosa dobbiamo parlare allora?». Tacque e dopo un poco riprese: «Chi di noi due dovrà andarsene per prima?».
La seconda chiese: «Che cosa succede di noi, quando ci stacchiamo dal ramo?». «Cadiamo giù…».
«Non affliggerti tanto, tremi tutta». «Non badarci, tremo così per poco, ora! Non ci si sente più tanto salde al proprio posto».
«Prima di questo c’è ancora tempo» rincuorò la prima, «ricordiamo piuttosto le belle ore lontane! Quando il sole
«Credi che si senta ancora qualcosa, che si sappia ancora qualcosa di noi stesse, una volta che si è laggiù?».
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 97
molto cambiata?» s’informò la seconda foglia, con voce timida ma«Neanchesupplichevole.persogno» assicurò l’altra «pare a te, perché io sono diventata così gialla e brutta. Sicuro, per me le cose sono un po’ diverse…». «Via, via!» si schermì la seconda. «No, è la verità» ripeté l’altra con calore «puoi credermi! Tu sei bella come nei primi giorni. Soltanto qua e là hai forse qualche piccola striscia gialla, appena percettibile, che ti rende ancora più bella. Credimi!». «Grazie» mormorò commossa la seconda foglia. «Non ti credo… almeno del tutto… ma ti ringrazio, perché sei così buona… sei sempre stata buona con me… soltanto ora capisco appieno quanto sei buona…». «Taci taci» disse la prima e ammutolì essa stessa, perché non poteva più parlare per lo struggimento. Tacquero entrambe, le ore passarono. Un vento nemico, umido e freddo passò sulla cima dell’albero. «Ah,… ora» disse la seconda foglia «… io…». Le mancò la voce. S’era staccata dolcemente dal ramo e cadeva ondeggiando. Era giunto l’inverno.
Felix Salten, Bambi, Garzanti
«Ora le notti fanno paura» gemette la seconda foglia, «non finiscono mai». «Non abbiamo il diritto di lamentarci» rimproverò con dolcezza la prima «abbiamo vissuto più a lungo che tante e tante altre delle nostre sorelle».«Sono
ci rovesciava addosso tanto calore che ci pareva di gonfiarci dalla salute. Ricordi? E poi la rugiada del mattino… e le notti soavi, deliziose…».
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi.
La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.
IL PRESEPE DI GRECCIO
I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Tommaso da Celano, Vita prima
contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali!
Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».
È degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale delC’eraSignore.inquella
Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
98 OCCHI APERTI
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LA NOTTE SANTA Era il Natale. Tutti erano andati in chiesa meno la nonna ed io; credo che noi due fossimo le sole persone rimaste a casa. Non eravamo andate con gli altri, l’una perché troppo giovane, l’altra perché troppo vecchia.
E s’era tutte e due tristi di non poter ascoltare il coro mattutino e veder i lumi di Natale. Ma mentre stavamo sedute in quella solitudine, la nonna cominciò a raccontare: «C’era una volta un uomo, che uscì fuori nella notte per cercare del fuoco. Andò di casa in casa picchiando: “Oh, buona gente, apritemi! La mia donna ha dato alla luce un bambinello ed io devo aver del fuoco per scaldare lei e il piccino”.
Ma era notte profonda, tutti dormivano, nessuno ascoltava. L’uomo camminò a lungo, a lungo; quando, lontano, vide un chiarore. Rivolse i passi verso quella parte e vide un gran fuoco bruciare all’aperto; e intorno al fuoco un gran numero di pecore bianche addormentate e un vecchio pastore a guardia del gregge. Quando l’uomo si avvicinò alle pecore vide tre grossi cani ai piedi del pastore: si destarono, spalancarono le fauci per abbaiare, ma non si udì alcun latrato; poi arricciarono il pelo, mostrarono
A questo punto la mia curiosità non poté più frenarsi e interruppi la nonna: «Perché, nonna, le pecore non si muovevano?». Ma essa «Aspettarispose:unpoco e lo saprai» e continuò: «Quando l’uomo giunse vicino al fuoco il pastore alzò gli occhi. Era costui un vecchio burbero e arcigno, duro verso tutti. Vedendo lo straniero afferrò il lungo bastone acuminato e glielo lanciò contro; ma il bastone sibilò per l’aria e quando stava per colpirlo, deviò andando a cadere lontano sul campo».
le zanne scintillanti al fuoco e si gettarono su l’uomo. Egli sentì che tentavano di addentarlo alla gola, alle mani, alle gambe, ma le zanne non obbedivano al morso e l’uomo non ebbe alcun impedimento. Volle allora avvicinarsi al fuoco; ma le pecore giacevano così fitte dorso a dorso, che egli non poteva passare. Ma poi passò sui corpi delle pecore addormentate e nessuna si destò e neppure si mosse».
Qui interruppi la nonna per la terza volta: «Perché, nonna, i carboni non volevano bruciare quell’uomo?».
“Prendine quanto ne vuoi” disse. Ma non c’era né un ceppo acceso, né un ramo, solo un grande braciere; e lo straniero non aveva né pala né orciuolo per prendere e portar via la brace.
«Lo saprai» rispose la nonna, e continuò: «Quando il vecchio pastore, burbero e arcigno, vide questo strano caso, cominciò a stupirsi: “Che notte può essere questa che i cani non mordono, le pecore non si spaventano e il fuoco non brucia?”.
Qui dovetti interrompere di nuovo la nonna: «Perché, nonna, il bastone non voleva colpire quell’uomo?» ma la nonna non pensò nemmeno di darmi retta e continuò: «Ora l’uomo si fece vicino al pastore e gli disse: “Amico, aiutami e dammi un po’ di fuoco. La mia donna ha dato alla luce un bambinello e devo scaldar lei e il piccino”. Il pastore avrebbe voluto dirgli di no: ma pensando che i cani non lo avevano morso, che le pecore non si erano mosse, che il bastone non l’aveva colpito, fu preso da timore e non osò negarglielo.
“Prendine quanto ne vuoi”. E pensava: “Non potrà prendere nulla”.
Ma l’uomo si chinò e con le mani prese i carboni più accesi e li mise nel mantello. I carboni non gli bruciarono né le mani né il mantello ed egli li portò via come fossero noci e mele».
100 OCCHI APERTI
E richiamò indietro lo straniero: “Che notte è questa? E come avviene che tutte le cose hanno pietà di te?”.
Quando il pastore se ne accorse ripeté con gioia cattiva:
Ma il pastore pensò di non perderlo d’occhio per sapere il perché di quei casi così strani, e si levò per seguirlo sino alla sua dimora.
“Non te lo posso dire se non lo vedi da te” e riprese la via del ritorno per portare il fuoco alla donna e al bambinello.
Vide che l’uomo non aveva nemmeno una capanna, e la donna e il bambinello giacevano in una grotta ove non erano che nude pareti di pietra.
Allora il pastore pensò che l’innocente poteva morire di freddo in quella grotta e, sebbene duro di cuore, si commosse e volle difendere il neonato dal freddo. Sciolse il sacco, tolse una morbida e candida pelle di pecora e la diede allo straniero per fare un giaciglio al bambinello.
Nel momento in cui anch’egli sentiva la pietà, vide ciò che non aveva potuto veder prima e udì ciò che non aveva potuto udir prima. Intorno a lui era una fitta schiera di piccoli angeli, con le ali d’argento. Tutti avevano un liuto e cantavano ad alta voce che nella notte era nato il Salvatore. Colui che doveva salvare il mondo dai peccati.
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 101
Qui la nonna sospirò: «Ciò che il pastore vide, potremmo vederlo anche noi, perché ogni notte di Natale gli angeli volano sotto la volta del cielo, e se sapessimo vedere, li vedremmo anche noi».
E la nonna mi posò ancora la mano sul capo e disse: «E questo lo devi sempre rammentare, perché è vero come io vedo te e tu vedi me. Non dipende né da lumi o da lampade, né dalla luna o dal sole, ma soltanto dai nostri occhi, poter vedere lo splendore di Dio».
Allora comprese perché tutte le cose non volevano far male ed erano così soavi. E non solo intorno al pastore vedeva gli angeli, ma li vedeva ovunque: nella grotta, sul monte e a volo sotto la volta celeste. Venivano a frotte e passando sostavano e gettavano uno sguardo al bambinello. Era grande giubilo, grande letizia e canti e suoni nella notte oscura, dove egli prima non aveva potuto veder alcuna cosa.
In questo racconto si alternano la storia e il dialogo tra chi racconta e chi ascolta la storia. Con una matita colorata circonda il testo della storia del pastore.
Ed era così felice che i suoi occhi ora fossero aperti e potessero vedere, che cadde in ginocchio e ringraziò Iddio».
Selma Lagerlöf, La leggenda della rosa di Natale, Iperborea
Ogni sera, quando l’ombra della palma viene a sedersi sulla soglia come un operaio stanco, Maria si prende cura della lucerna: la stacca dalla trave, versa nella navicella un filo d’olio senza spanderne una goccia, monda del carbone il lucignolo e riappende la lampada aspettando che la sera entri nella casa con le sue consolazioni e le sue malinconie. Gesù chiude l’arcano libro che lo tenne avvinto lunghe ore del giorno e la prima stella non ha sguardo che per lui. Si sente la pialla di Giuseppe stridere nella bottega con quella voce così simile al lungo ed accorato canto del grillo che presto dilagherà per la campagna.Mariaha versato il latte nella scodella e chiama il Figlio suo a consumare
102 OCCHI APERTI IL NOME DI GESÙ
INSERIRE PRESEPE MARINERIA
Non gli dice che l’otre dell’olio è asciutto; che nella madia non è rimasto che un pugnello di farina buono per il pane di un giorno; che l’ultima moneta, la sola ricchezza, è stata data all’uomo che passa ogni mese a riscuotere il balzello dovuto all’esarca. E mentre aiuta Gesù a coricarsi e gli rimbocca MARINERIA CESENATICO (vedi a sinistra
Presepe della Marineria di Cesenatico
«Ara,tristezza:lafiglioletta dei vicini,» gli dice «dal giorno che ti sei fermato a guardarla così pallida nel suo lettuccio, è rinata. Il pozzo al crocicchio della locanda, da quando sei andato tu a cavarne acqua, da asciutto che era, dà senza stanchezza l’acqua più fresca e leggera della contrada. L’ossesso dell’Oliveto, dal giorno che l’hai chiamato per nome ed egli s’è voltato, è tornato a pascolare la greggia ed è più mite di un’agnella».
la povera cena. Intanto gli ragiona di cento cose della loro umile vita, tenendo per sé chiuse nel cuore quelle che nascondono l’ombra di una
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 103
Allora si copre di un velo e corre da Ara la vicina.
«La giumenta è vecchia,» dice il carrettiere volgendosi a Maria «mi serve fedele da vent’anni; e il carro è più vecchio della giumenta, tenuto su a chiodi e a toppe di legno. Dobbiamo fare ancora tanta strada nella notte. Avessi almeno un po’ d’olio per ungere le ruote».
«Non ho che il poco di questa navicella» dice Maria che s’è affacciata con la lampada in mano. «Lo volete?».
Ora, aspettando che Giuseppe lasci il suo ferro, Maria resta sola coi suoi pensieri. Deve tenere lungo tempo l’otre alzato sulla navicella della lampada, perché ne coli l’ultima goccia.
le coperte e chiude la finestra in faccia a un cielo scolorito, canticchia la canzonetta dell’angelo della notte ed esce in punta di piedi.
104 OCCHI APERTI
L’uomo unge di quell’olio le ruote e se ne va lasciando davanti alla casa del falegname Giuseppe la sua benedizione, e nelle mani di Maria la lampada asciutta.«Come faccio, ora, senza lume?» pensa Maria. «È già la sera e Giuseppe dovrà cenare al buio».
E mentre pensa che l’olio è poco e la notte lunga, sente venire dalla strada il lamentoso rumore d’un carro tirato con pena. È così carico di fatica e di dolore quel grido di vecchie cose in cammino, che si fa sull’uscio a guardare. Il carro si è fermato. La giumenta non può più continuare e il carrettiere l’aizza senza coraggio e senza collera.
«Prestatemi un fiato d’olio che mi basti a far lume sulla poca cena di Giuseppe».«Volentieri, Maria, ve lo darei, ma di prestare non mi piace, sapete. Cosa prestata, cosa perduta. Il mio uomo non vuole; misura tutto… Chiudete la porta che il vento non mi spenga il fuoco». Maria è in affanno. Va da Rosa che ha la casa piena d’ogni ben di Dio: «Datemi due gocce d’olio per la lucerna. Le riavrete domani». «Oh, Maria! L’otre è così pieno e così pesante che noi due non sapremmo alzarlo senza versarne sul pavimento. Il pane si mastica anche al buio. Devo badare alla pentola. Buona notte». Maria torna alla sua casa già invasa dall’ombra, col cuore pieno di tristezza e la lampada asciutta. Nel buio ora apparecchia per la cena: una scodella, un cucchiaio, un pane… e nel muoversi sospira. La pialla di Giuseppe non si sente più. Tra poco il mite uomo entrerà con la sua stanchezza, la polvere del legno sulla tunica, le oneste mani abbandonate: e le dirà di accendere la lucerna per far lume a quell’ora di pace, la più dolce, la più attesa di tutto un giorno di fatica. Cosa risponderà? «Gesù, figlio mio,» ella dice come se già qualcuno l’ascoltasse «potevo
È un canto di Natale spagnolo di origine popolare. Senti suonar la campana, campana a festa che chiama, dice correte a Betlemme, c’è un Bimbo dentro la culla. ricusare l’olio a quel viandante che aveva tanta voce di dolore nelle ruote del carro, tanta pena caricata sulla groppa della vecchia giumenta, tanto buio davanti al suo cammino? Gesù, Gesù mio, potevo essere avara?» e mentre ripete il nome di Gesù, entra Giuseppe, saluta e si siede a tavola. «E Gesù?» egli chiede guardandosi attorno.
Quel nome le trabocca dal cuore ogni momento. Giuseppe mastica il suo pane, beve il suo latte e non chiede di accendere la lampada, non avverte il peso dell’ombra che lo circonda. Nel nome del Figlio tutto prende luce.
Cantiamo insieme
«Gesù è già addormentato. Gesù ha letto lungamente, oggi. Gesù… Gesù… Gesù… Gesù».
Solo se Maria tace quel nome, ritorna la notte, si fa innanzi la tenebra. Ma i due sposi non sanno parlare che del Figlio che dorme dietro quella porta socchiusa; e al nome di Gesù gli occhi non chiedono altra lampada, il cuore si sente per sempre in compagnia della luce. Così sia. Renzo Pezzani, Gesù, Giuseppe, Maria. Leggende cristiane, Il Verdone
Campane di Betlemme Traduzione ritmica italiana di Campanas de Belén.
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 105
• Cosa sono i “fiori” bianchi di cui parla l’autore del brano?
LA “MAGIA” DELL’INVERNO
•
Mario Lodi, Il cielo che si muove. 15 storie di natura, Editoriale Scienza Leggi il brano «La “magia” dell’inverno», rispondi e completa.
«Osservo a lungo…». Cosa ami osservare durante il tragitto che fai per venire a scuola?
Osservavo a lungo, sotto il paiolo della polenta, mentre la mamma rimestava la farina, le lunghe fiamme che salivano da ogni parte e parevano vive, con quei colori mai uguali: rosso, violetto, giallo e persino verde e azzurro…
• Pensa all’inverno di quest’anno, completa le frasi imitando l’autore e racconta la tua esperienza.
«Nei giorni d’inverno, quando mi sveglio…». Cosa vedi dalla finestra? Cosa fai?
106 OCCHI APERTI
«Nelle sere d’inverno…». Cosa ami fare nelle sere invernali?
E da lì io vedevo la “magia”. Sul piano del focolare posava un po’ di carta, sopra la carta metteva dei ramoscelli secchi ben ordinati, e su questi qualche pezzo di legno piùPoigrosso.prendeva da una scatolina uno steccolino di legno e zac! Lo strofinava e nasceva all’improvviso una fiammella. Avvicinava la fiammella alla carta e subito si sprigionava il fuoco. Il fuoco, con le sue fiamme dai colori diversi, era per me un mistero.
Nelle sere d’inverno, la mamma metteva sul focolare un grosso pezzo di legno che bruciava lento. Io mi avvicinavo, lo toccavo con la paletta e lui mandava fuori scintille simili a stelline che salivano dentro il camino.
Nei giorni d’inverno, quando mi svegliavo, c’erano “fiori” bianchi di gelo, ai vetri delle finestre. Allora la mamma mi avvolgeva in una coperta di lana e mi portava giù, in cucina.
Qual è la “magia” di cui parla l’autore?
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 107
LA CITTÀ SEPOLTA NELLA NEVE
ogni differenza tra marciapiedi e carreggiata era scomparsa, veicoli non ne potevano passare e Marcovaldo, anche se affondava fino a mezza gamba a ogni passo e si sentiva infiltrare la neve nelle calze, era diventato padrone di camminare in mezzo alla strada, di calpestare le aiuole, d’attraversare fuori dalle linee prescritte, di avanzare a zig-zag.
Italo Calvino, Marcovaldo, Mondadori
Quel mattino lo svegliò il silenzio. Marcovaldo si tirò su dal letto col senso di qualcosa di strano nell’aria. Non capiva che ora era, la luce tra le stecche delle persiane era diversa da quella di tutte le ore del giorno e della notte. Aprì la finestra: la città non c’era più, era stata sostituita da un foglio bianco. Aguzzando lo sguardo, distinse, in mezzo al bianco, alcune linee quasi cancellate che corrispondevano a quelle che vedeva abitualmente: le finestre, i tetti e i lampioni lì intorno, ma perdute sotto tutta la neve che c’era calata sopra nella notte. «La neve!» gridò Marcovaldo alla moglie, ossia fece per gridare, ma la voce gli uscì attutita. Come sulle linee e sui colori e sulle prospettive, la neve era caduta sui rumori, anzi sulla possibilità stessa di far rumore; i suoni, in uno spazio imbottito, non risuonavano, non avevano né rimbombo né eco. Andò al lavoro a piedi, i tram erano fermi per la neve.
Per la strada, aprendosi lui stesso la sua pista, si sentì libero come non s’era maiNellesentito.viecittadine
108 OCCHI APERTI
CANZONE D’INVERNO
Quando i ghiaccioli pendono dall’orlo dei muri, e il pastore Dick si soffia sulle dita, e Tom ammucchia i ceppi nell’atrio, e il latte gela nel secchio, quando il sangue si intorpidisce e le strade diventano fangose, allora, di notte,
INVERNOASCOLTAMI noninvernoAscoltamisognarti di entrare. Mi piaci sui rami sdraiato nel cielo disteso sul mare seduto nel prato ma Nella poesia «Canzone d’inverno» il poeta racconta da che cosa capisce che è arrivato l’inverno. Prosegui la poesia raccontando, nella stessa modalità dell’autore, da che cosa tu capisci che è inverno.
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 109
LA BRINA
Tutto tace nella campagna. I ruscelli scorrono senza mormorio sotto il ghiaccio, quasi sotto una volta di cristallo smerigliato; i torrenti sono gelati od asciutti; le mandrie fumano sdraiate nelle tiepide stalle; i cani giacciono accovacciati in uno stato di dormiveglia; i gatti fan le fusa accosciati in un angolo del focolare; gli uccelli randagi, nunci a noi sempre della primavera che nasce e dell’autunno che muore, simboli de’ falsi amici, intonano sotto altri cieli le loro canzoni.
110 OCCHI APERTI
Che sono mai quelle file di cristallini che descrivono una curva così vaga tra i rami, quasi monili pendenti dal collo di ninfe invisibili, e sono tese come brandelli di merletto dall’uno all’altro ramoscello, o pendono oscillanti come orecchini di bianche margheritine? Ecco: i ragni avevano trovato il modo di rendere così fini i loro fili, che il sole non li scoprisse; ma la brina ne rivela il misterioso ordito, al cui segreto si affida la vita insidiosa di quegli industri animaletti.Volgiamoci
Tutto tace… ma no, di chi è questo sibilo breve, acuto, penetrante come uno spillo, che mi ferisce l’orecchio? Sono il fiorrancino e la cincia che rompono il silenzio della campagna col loro ingenuo zi-zi…
La brina ha ingemmato tutte le cose, stendendo su di esse il suo luccicante velo di cristallo e ne ha mutato il solito aspetto in altro degno di un paesaggio fiabesco.
Siamo nel cuore dell’inverno e la campagna si è abbandonata al dolce riposo stagionale. Il ghiaccio che ha coperti i corsi d’acqua ne vela il fluire, facendoli sembrare fermi; tutta la vita animale appare come avvolta in un incantesimo, lentamente sceso a sospendere ogni movimento.
Solo si vedono di lontano i corvi disegnare una larga macchia nera sulla bianca distesa de’ campi; e di tratto in tratto, a voli brevi e furtivi, i passeri si slanciano dai comignoli al piano o lo scricciolo dal cespuglio alla macchia.
Tutto tace di nuovo e il silenzio si accorda con l’uniformità dell’immenso bagliore che copre come un magico velo il monte, il piano, la valle, i villaggi, le Tuttocittà.
Anche i fili telegrafici s’ingrossano in funi di cristallo.
alla città. Come in un giorno di sagra si suol rivestire di musco gli archi trionfali, secondandone tutte le linee architettoniche, così la brina ha, con ogni più scrupolosa diligenza, ricoperti di candidissima vellutatura gli spigoli dei tetti, delle facciate dei monumenti. Cornici, barre, cancelli, tutto è disegnato in rilievo da essa.
Qualche breve volo d’uccelli qua e là, ed il loro verso acuto che rompe improvvisamente il silenzio e poi subito tace, non sono in contrasto con la muta immobilità dell’insieme, ma aumentano l’effetto malioso di una natura che rimane a far da sfondo e non prende parte a tali manifestazioni di Vita.
Antonio Stoppani, Il bel paese, Studio Tesi
investe, tutto penetra la brina, a quella guisa che il musco riveste i tronchi dal lato che guardano a settentrione, o la muffa i corpi fracidi, nascondendovi, sotto il manto della vita, il terribile lavoro della corruzione.
Le piante hanno rimesso, quasi per incanto, la chioma; ma quella chioma è canuta. I fiori e le foglie son di cristallo; ogni fronda è un vezzo di diamanti; ogni erbetta un serto di gemme.
«Ma come volete che si pensi a mangiare in un momento come questo» esclamarono indignati i De Servi. «Non vedete che il nonno è gravissimo? Presto…».«Calma, calma» replicò Balanzone. «Ora mi accingerò a… visitare l’ammalato. Volete che gli tocchi il polso sinistro od il destro? La gamba od il torace? Gli faccio una puntura, cento punture? Volete che gli tolga il fegato?».
Si avvicinò con aria solenne al letto del nonno e incominciò: «Questo est il paziente, l’ammalato, l’uomo dalla salute cagionevole?».
A questo punto il nonno, stanco di tutti quegli spropositi, si alzò e così in camicia come era andò all’osteria a scolarsi una bottiglia di Lambrusco, lasciando il dottor Balanzone… in eredità ai parenti! Angeli Crepaldi, Le maschere, Piccoli
«Sì, «VoleteEccellenza…».chegliparli in italiano, in dialetto bolognese o in latino latinorum?». «Ma… veramente.., per noi… ».
Una sera i signori De Servi chiamarono con urgenza il medico, perché il nonno stava male. Dopo un’ora, grasso, tronfio, tutto vestito di nero, con un grosso naso ed un gran cappello arrivò il dottor Balanzone di Bologna.
«IL «OppureFEGATO!!!???».desiderate che gli tolga la milza, il cuore, i polmoni, l’orecchio destro, il ginocchio sinistro?».
«Desiderate che io scriva, parli, danzi, faccia smorfie, balbettii? Posso scegliere il linguaggio che più vi aggrada poiché io sono dottissimo: ho studiato all’Accademia degli Asinelli, all’Università dei Merli, alla Grande Scuola dei Pomodori Ripieni. Io sono Laureato in Larghezza, Altezza, Lunghezza. Io sono un GRANDE DOTTORE, un MAGNO DOLOREM. Toh… a proposito… magno anche subito se volete!».
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 111 LA FUGA DELL’AMMALATO
112 OCCHI APERTI
Ada Negri, Di giorno in giorno, Mondadori Cantiamo insieme Vento sottile È un canone di origine francese che descrive la danza del vento tra gli alberi. Vento sottile, vento del mattino, vento che scuoti la cima del mio pino, vento che canti, che danzi, la gioia tu ci porti vento sottile.
Ancora dunque, la certezza di una primavera: giornate che si allungano, aria che si riscalda, prati che rinverdiscono, primule senza gambo che, se le vuoi cogliere, le strappi con la terra e tutto: così fresca la terra nelle mani.
• Sottolinea nel testo la similitudine che utilizza la scrittrice per descrivere gli alberi fioriti. Riscrivila sul tuo quaderno, spiegala con le tue parole e rappresentala con il disegno.
PRIMAVERA Mattina limpida, di domenica. Le campane della chiesa dei frati suonavano l’ora di Messa: dai vetri dei balconi il sole invadeva il mio studio: di là dai vetri scorgevo la neve scintillare sui tetti delle case di faccia, quasi rosea al filo dell’azzurro, con spolverate di brillanti, e trine e rabeschi di ghiaccio all’altezza delle grondaie. Nel tepore della piccola stanza indovinavo il salubre e frizzante vibrare dell’aria esterna…
E ancora, ancora, per noi, forza da riprendere, lavoro da compiere, promesse da mantenere, anime da conoscere, sangue da rinnovare: vita, insomma, da vivere.
• Qual è stato il primo segno dell’annuncio della primavera che hai osservato con attenzione quest’anno (un ramo, un fiore, una siepe, il tuo giardino che ha mutato aspetto…)? Descrivilo, utilizzando aggettivi e similitudini.
E ancora gli alberi da frutto che si fanno bianchi e rosa come le nuvole.
• Quali elementi del paesaggio prende in considerazione la scrittrice per descrivere la primavera? Cerchiali nel testo.
Si moltiplicheranno sull’ultima neve le tracce di passi timidi, di marmotte, di lepri indaffarate a cercare cibo; fruscii, squittii, richiami. Questa notte così fredda e nera e ostile, così trionfante, avrà perso una volta ancora la sua guerra.
Splendidi, i boschi silenziosi e bianchi, dove i nostri passi suonano secchi sul terreno duro; ma sembra, ecco, che tutto, attorno, sia stato rappreso per sempre in un rigore di morte. Ma non bisogna crederci. L’acqua del ruscello qui sotto ricomincerà a lambire la neve, con quel gorgoglio insistente e gentile che dice: andiamo, è ora di tornare a correre. Dai rami neri spunteranno gonfie, gravide le gemme.
PROMESSA A FINE MARZO
Ciò che sembrava secco germoglia. Quello che era sepolto rinasce. Promessa mantenuta, giuramento perenne e fedele. Bisognerebbe guardare attentamente questi prati grigi, cogliere l’istante in cui la terra vive di nuovo.
Basta aprire gli occhi, alla fine di marzo, per vedere. Marina Corradi Qual è la promessa di fine marzo di cui parla la scrittrice?
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 113
• Come sono le mammole? Descrivile, usando le parole di Ada Negri.
114 OCCHI APERTI
E dove mai se ne stavano nascoste tutte queste mammole?
SONO NATE LE VIOLE
su di loro, le distinguo una per una, e nessuna è uguale all’altra: quale più oscura e quale più smorta, quale socchiusa e quale troppo aperta; ma tutte col gambo debole e corto, la testina che si piega, una grazia occulta più espressiva della parola. Sto bene accanto a loro seduta sull’erba. Ada Negri, Di giorno in giorno, Mondadori Leggi il brano e rispondi sul quaderno.
Proprio come le stelle che fino a una certa ora della sera non ci si pensa: poi, a un tratto, se levi lo sguardo, il cielo ti trafigge gli occhi con miriadi di Dappertuttospilli.
• Dove sono le mammole che scopre la scrittrice?
• Ti è mai accaduto di sederti sull’erba accanto a un fiore? Racconta brevemente e fai il disegno del fiore che hai osservato.
• Quale similitudine utilizza la scrittrice per descrivere le Riscrivilamammole?sul tuo quaderno e spiegala; poi rappresentala col disegno.
mammole: nella prateria dietro la casa, lungo i cigli dei viali, sulle prode del laghetto, all’ombra dei pini e dei pioppi. Non v’è tronco che non abbia, alla radice, tra i fili dell’erba, e i ciuffi dell’edera, la sua corona di mammole. Brune di un bruno intenso, voluttuoso, di ciglia abbassate: timide e pur d’un rilievo schietto tra le fogliuzze a cuore; e d’una fragranza sì penetrante nella sua tenuità, che le narici la sentono prima che l’occhio le Sescopra.micurvo
Io lì per lì mi sono un po’ spaventata. Dovete sapere che purtroppo, da quando è morta la mia cara nonna, lui è molto triste e, non credendo tanto in Gesù, certe volte si sente che borbotta «Ma perché, cos’ho fatto? …».
Io sono molto timida e non riesco ad avere il coraggio neanche di andargli a parlare, a mala pena rispondo alle sue domande! Allora, un po’ spaventata mi sono avvicinata e gli ho spiegato che cosa fosse il Donacibo. Lui è stato zitto due secondi e poi, subito, di colpo, mi ha detto: «Ma certo, vieni giù, a casa mia, che ti do un bel sacchetto di pasta e due o tre scatolette di legumi».
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 115
avevo pensato di chiedere il cibo ai miei compagni del catechismo, ma non essendoci andata ero abbastanza triste, perché mi sarebbe piaciuto fare la proposta a qualcuno e non sapevo a chi chiederlo.
Io ero contentissima che il nonno mi aiutasse per la raccolta del Donacibo e poi ero contenta perché, sempre grazie a questa iniziativa, ero riuscita a parlare un po’ di più con il nonno.
Mi piace e mi è sempre piaciuto aiutare chi ha bisogno! Sara, classe IV Racconta quando hai avuto l’occasione di partecipare a un gesto di solidarietà e che cosa hai imparato.
IL DONACIBO, PER ME
La maestra ha proposto a tutti i bambini della mia classe di partecipare alla raccolta del cibo per le persone bisognose, un’iniziativa denominata “Donacibo”.Inizialmente
La mamma mi ha detto: «Perché non lo chiedi al nonno?».
Un tempo l’ulivo era dritto e liscio come il pioppo.
Gli sgherri uscirono dalla città armati di scure e si diressero verso il bosco. Il bosco, come preso da un uragano, cominciò ad agitarsi.
Cedri e palme trassero un gran sospiro di sollievo.
116 OCCHI APERTI
Gli ulivi invece si sentirono perduti. Tentarono di sradicarsi dal terreno, si torsero, ingobbirono, si spaccarono. Alla fine rimasero fermi, impotenti a fuggire, ma inutili per sempre ad essere legno di croce.
Quando Caifa, il sommo sacerdote di Gerusalemme, poté ottenere la condanna di Gesù, mandò in giro per la campagna alcuni sgherri a cercare un albero per farne la croce.
Gli alberi invocavano la morte, chiamavano su di sé il fulmine, chiedevano di diventare cenere.
LA LEGGENDA DELL’ULIVO
Da allora l’albero dalle foglie d’argento vive felice d’essere brutto. Renzo Pezzani sgherri: uomini armati prepotenti.
Invano gli sgherri cercarono per tutto il giorno un ulivo diritto.
Non si sentiva uccello cantare, né fruscio di fronda.
Ogni albero in sé pregava il cielo che gli fosse risparmiato un così terribile destino.Infine uno degli sgherri disse: «Né palma né cedro fanno al caso nostro. L’ulivo ci vuole!».
Quando i quattro sgherri giunsero al bosco, un gran silenzio pesava intorno.
Ecco come viene raccontata.
Costei pareva intimidita e non osava avanzare, nonostante le sollecitazioni delle compagne.
Per questo motivo, in una splendida mattina di Pasqua, mentre le campane suonavano e da ogni villaggio i contadini salivano a porgere i loro auguri ai signori, affluiva a quel castello una folla che portava doni alla buona signora.
La signora si accorse di questa piccola scena e interrogò le donne con un sorriso. Allora finalmente quella che portava l’involto fece qualche passo avanti e, porgendo la teglia con gesto goffo, mormorò: «Ecco, prendete!».
«È per me?» interrogò la castellana.
Ora che il ghiaccio era rotto, pareva che ogni donna volesse dire la sua e parlavano tutte insieme, senza più mostrare timidezza.
LA TORTA DI PASQUA
Il castellano, ritto nella grande corte con a fianco la sua sposa, accoglieva tutti con bontà, stringeva a ciascuno la mano dura e callosa e ringraziava con un sorriso per i doni: un cestello di uova, un poco di burro, una ricottina, ricambiando ogni offerta con monete e capi di vestiario.
«È per voi, sì, per quello che avete fatto per il mio uomo…».
La castellana intanto si tratteneva con le donne, chiedeva della casa, dei bambini, e accarezzava i piccini che le si stringevano intorno.Inunangolo, un gruppo di giovani donne bisbigliava: ridevano sommesse, si spingevano, si davano di gomito e trascinavano una di loro, che reggeva una larga teglia coperta da un panno.
In alcune zone d’Italia si usa ancor oggi mangiare nel giorno di Pasqua una torta fredda, fatta con farina, spinaci, uova e formaggio. È una tradizione molto antica, che risale al Medioevo.
«E per mio figlio, quando era malato…».
Riportiamoci ora con la fantasia ai tempi in cui i castelli feudali proteggevano e sorvegliavano le valli.
In ogni castello c’era un signore, da cui dipendevano i poveri villaggi sottostanti. E tra gli altri signori ce n’era uno che era più coraggioso e più buono di tutti. Egli aveva una sposa dolce e gentile, che si preoccupava di aiutare e soccorrere i contadini dei paesi vicini, ed era perciò molto amata.
«E per il denaro che mi avete dato…».
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 117
E l’abitudine rimase: anche oggi si mangia quel piatto tradizionale, benché non ci siano più i feudatari cui regalare la torta fredda di Pasqua.
«Che cos’è?» le interruppe la signora, un po’ imbarazzata da tutte quelle lodi.
«È una «L’abbiamotorta…».fatta noi…». «È roba da poveretti… ma l’abbiamo fatta con il cuore…». «Forse vi piacerà…».
Conosci un piatto pasquale tipico della tradizione di un paese? Presentalo.
118 OCCHI APERTI
E infatti quella torta fredda, fatta con farina, spinaci, uova e formaggio («roba da poveretti», avevano detto le donne) piacque molto ai castellani, e da allora ogni anno le contadine ne offrirono loro una simile, nella mattina di Pasqua.
C. Ferri, La veglia, Bietti
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 119
Andò dietro i cespugli e si sfilò rapidamente i vestiti. L’acqua scorreva calda e morbida intorno al suo corpo; era bello muoversi in quel liquido campo e sentire andarsene tutta la stanchezza. Le ninfee ondeggiavano, quando giungeva loro accanto; erano belle e così bianche da sembrare luminose. Era forse quello il giardino privato del re degli Elfi, dov’egli coglieva le rose nelle notti d’estate? Si girò sul dorso e galleggiò così, per qualche istante guardandosi filosoficamente gli alluci che spuntavano dall’acqua. Era silenzio, a riva. Lontano, dall’altra parte del lago, un cuculo cantava e il suo canto risuonava così dolce e malinconico che bisognava, per forza, sentirsi buoni. Nel pascolo accanto, delle mucche camminavano e la mucca con la campana (in Svezia, solo la mucca più docile porta la campana e guida le altre) avanzò vasta e massiccia nell’acqua e bevve facendo risuonare dolcemente il suo campanaccio. Ecco la voce dell’estate, pensò Rasmus. Mentre era disteso nell’acqua e diguazzava, non udiva nient’altro che il tintinnio della campana, il lontano canto del cuculo dall’altra parte del lago e il rumore dell’acqua mossa, e tutto ciò, per lui, simboleggiava la voce dell’estate.Astrid Lindgren, Rasmus e il vagabondo, Salani
LA VOCE DELL’ESTATE
All’imbrunire, Rasmus e Oscar fecero sosta vicino ad un piccolo lago. Era stata una giornata calda e avevano vagato a lungo; Rasmus era stanco e tutto quel che desiderava era mettersi lungo disteso su una roccia piatta e riposarsi, ma la lusinga di un bagno prese il sopravvento.
Come l’apri, il vento gliela chiuse di botto. In quell’attimo il cielo si riempì di tanta luce e tutta la cantina fu illuminata. La candela si spense. Ci mettemmo a correre verso casa, ma il vento, a tratti, ci fermava di colpo. Volavano dappertutto le foglie strappate dagli alberi, il cielo si accendeva e si spegneva, mentre la voce cupa dei tuoni rimbombava tra le nuvole nere ed enormi che lo riempivano tutto. Io ero incantato da quello spettacolo: non avevo mai visto un temporale di notte così grande, così misterioso.
Una calda sera d’agosto, con afa e zanzare, mio padre era fuori e mia madre rimestava in un pentolone, sulla stufa, i pomodori raccolti nell’orto per fare la conserva. Mise nella stufa un altro pezzo di legna e mi disse: «Andiamo in cantina a prendere le bottiglie da lavare». La cantina era fuori, bisognava attraversare un pezzo di cortile, entrare sotto un portichetto, aprire la portoncina e scendere. La mamma mi affidò un candeliere, accese la candela e uscimmo. Che buio nel cortile! Il cielo era nero, senza nemmeno una stella.
fino a noi il rombo di un tuono. «Il temporale» disse la mamma «affrettiamoci». Raccolse il cesto, mi consegnò il candeliere, salì fino alla porticina.
Mario Lodi, Il cielo che si muove. 15 storie di natura, Editoriale Scienza
All’improvviso una raffica di vento ci investì e spense la candela. «Facciamo presto» disse la mamma, e accelerò il passo. Aprì la porticina, scendemmo i gradini adagio, nel buio. Poi la mamma accese la candela, posò il candeliere su una botte e cominciò a scegliere le bottiglie e a posarle con ordine in un Improvvisamentecesto.arrivò
LAMPI E TUONI
Era bello e metteva paura. Ma forse non era paura. Era che mi sentivo piccolo piccolo e debole di fronte alla forza della natura. Ma da dove veniva quella forza? Chi mandava il vento come un lupo di corsa a far fischiare i fili della luce? Era un mistero.
Una lingua di fuoco si accese nel punto più alto, attraversò il cielo come una biscia e si buttò sulla terra con uno scoppio che fece tremare i vetri delle finestre. La mamma entrò in casa con il cesto tintinnante, poi mise fuori una mano, mi afferrò e mi portò dentro. Ma io volevo vedere ancora il cielo pieno di lampi di tuoni. Mi affacciai alla finestra: vidi il grande spettacolo del cielo che cambiava ogni momento, mentre il vento sulla terra faceva tremare lamiere, sbattere porte, piegava gli oleandri fin quasi a terra. Lampi, tuoni, saette, raffiche di vento, schianti e poi acqua.
120 OCCHI APERTI
Rainer Maria Rilke
PICCOLA NUVOLA DI PRIMAVERA
Per fortuna c’era il vento che con tutta galanteria la piglia e se la porta via. La porta a spasso lieve lieve sul torrente, sulla pieve; tutto il mondo le fa vedere, tetti rossi, maggesi nere…
TEMPO, STAGIONI E RICORRENZE 121
Ma il campanaro senza discrezione le risponde col campanone! Che sobbalzo, che sgomento!
Giovanni Pascoli IL TUONO E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d’arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimaneggiò rinfranto, e poi svanì. Soave allora un canto s’udì di madre, e il moto di una culla.
Or con la gonna di velo sottile, la più pigra s’impiglia al campanile. «Lasciami con codesta banderuola, mi strappi tutta! Son rimasta sola!».
Dopo l’acquata le nuvole, pronte, pigliano il volo, scavalcano il monte.
Giovanni Pascoli IL DELRISVEGLIOVENTO Nel colmo della notte, a volte, accade che si risvegli, come un bimbo, il vento. Solo, pian piano, vien per il sentiero, penetra nel villaggio addormentato. Striscia, guardingo, sino alla fontana; poi si sofferma, tacito, in ascolto. Pallide stan tutte le case, intorno; tutte le querce mute.
O primavera, uccelletto fuggitivo, tu canti, io scrivo.
Ugo Betti
IL LAMPO E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera.
Quanti bambini lungo il rio! Quante vecchie sulle soglie! Che festa, che chiacchierio! Bimbi e rondini a strillare, e bucati a salutare, e ragazze alla finestra… e il poeta a stillarsi la testa!
E che brillìo di vetri e foglie!
ERACCONTIFIABE
RACCONTI E FIABE 123
C’era una volta, a Firenze, Messer Corrado, un nobile famoso per la passione della caccia e per le feste che dava nel suo palazzo. Un giorno, avendo catturato col falcone una bella gru, la dette a Chichibio, il suo cuoco, con l’ordine di arrostirla con ogni cura. Il cuoco aveva quasi portato a termine la cottura, quando passò a trovarlo in cucina una bella ragazzotta della contrada, di cui era innamorato. Nel sentire il profumo invitante dell’arrosto, la ragazza tanto fece, finché Chichibio gliene diede una coscia.
Nel sentire la divertente risposta, l’ira di Messer Corrado si tramutò in allegria: «Hai ragione, Chichibio, dovevo proprio fare così!», gli disse battendogli la mano sulla spalla. E pace fu fatta. Peter Holeinone, Il grande libro delle fiabe d'oro, Dami Editore
CHICHIBIO E LA GRU
La gru fu quindi portata alla mensa di Messer Corrado e subito Chichibio fu chiamato per sapere cosa fosse avvenuto della coscia mancante. Il brav’uomo imbarazzato rispose: «Signore, le gru hanno una gamba sola!». «Come, una sola gamba?» domandò Messer Corrado, «Credi che sia la prima gru che vedo?». Chichibio si sentì obbligato ad insistere: «Eh proprio così! Se avessi degli uccelli vivi, ve lo potrei dimostrare!». Messer Corrado, per rispetto verso gli invitati, non volle continuare la discussione e concluse: «Va bene, domattina andremo a vedere, ma se non sarà come dici tu, te ne pentirai amaramente!». Il mattino dopo al levar del sole, Messer Corrado, a cui durante la notte, la rabbia invece di diminuire era aumentata, si alzò pieno di stizza ordinando di sellare i cavalli. «Adesso vedremo chi di noi due ha mentito!» disse minaccioso. Chichibio, impaurito se la sarebbe data volentieri a gambe e non sapeva cosa fare. Arrivati però vicino al fiume, riuscì a vedere prima degli altri un gruppo di gru che, ancora addormentate, se ne stavano su una gamba sola, come fanno di solito quando riposano. «Messere! Messere! Guardate» urlò subito. «Guardate! Avevo ragione io! Vedete che hanno una gamba sola!». «Ah, sì! Adesso ti farò vedere!» e Messer Corrado battendo le mani urlò: «Oh! Oh!». A quel grido le gru posarono a terra l’altra zampa e scapparono. «Che te ne pare, furfante! Hai visto che hanno due gambe?». Chichibio pronto rispose: «Mio signore, ieri sera a tavola dovevate gridare “Oh! Oh!” e anche quella avrebbe tirato giù la zampa!».
«Se sono stata in Egitto! Ma certo, puoi giurarci. Dappertutto sono stata, nel globo terrestre, e ne ho viste di assai più buffe che gente che cammina all’indietro! Mi domando che cosa avresti detto, allora, se mi fossi messa a camminare sulle mani, come si usa nell’India Orientale!».
«Mentire è bruttissimo» aggiunse Annika, che solo ora osava aprir bocca.
Giunta davanti al cancello di Tommy e Annika, Pippi si fermò. Un lungo sguardo corse tra i bambini, in silenzio. Infine Tommy mi disse: «Perché cammini all’indietro?».
«Ma capisci, io ogni tanto me lo dimentico. Come si può pretendere che una povera bambina piccina con un angelo per mamma e un re di una tribù di neri per papà, e che non ha fatto altro per tutta la vita che navigare i mari, possa dire sempre la verità? Del resto» e mentre diceva questo il visino punteggiato di lentiggini le si illuminò tutto, «voglio che sappiate che nel Congo Belga non esiste una sola persona che dica la verità. Tutto il giorno non si fa altro che dire bugie. Si comincia alle sette di mattina e si smette al tramonto. Così, se qualche volta mi capita di mentire, cercate di scusarmi, dipende unicamente dal fatto di aver soggiornato un po’ troppo a lungo nel Congo Belga. Ma saremo amici lo stesso, vero?».
«Hai ragione. Ho proprio detto una bugia» ammise avvilita.
«Sì, mentire è proprio orribile» convenne Pippi sempre più avvilita.
124 OCCHI APERTI
PIPPI CALZELUNGHE
«Perché cammino all’indietro?» esclamò Pippi, «Forse non viviamo in un paese libero? Ognuno non può camminare come più gli piace? A ogni modo sappi che in Egitto tutti camminano così, e nessuno ci trova nulla di buffo».
«E tu come lo sai?» chiese Tommy. «Tanto non sei mai stata in Egitto!».
«Naturale!» esclamò Tommy. E all’improvviso si rese conto che quella non sarebbe stata davvero una giornata disgraziata e Astridnoiosa.Lindgren, Pippi Calzelunghe, Salani avvilita: triste, sconfortata, scoraggiata.
«Questa è una bugia bella e buona» osservò Tommy. Pippi ci pensò un secondo.
RACCONTI E FIABE 125 NOÈ E LE TARTARUGHE
Quando gli ultimi animali se ne furono andati scese nelle stanze vuote e disse tra sé: «Peccato! Ora non si lasceranno più avvicinare, diventeranno di nuovo selvaggi, affamati, paurosi, nemici fra loro e la morte regnerà sulla terra».
Allora, la voce di Dio entrò come il vento ed echeggiò nelle navate dell’Arca: «Un giorno, quando la storia del mondo sarà alla fine, io pianterò un nuovo giardino a Oriente, un luogo tanto grande da ospitare ogni specie di uomini e animali. Tutti torneranno a vivere in pace come fu all’alba dei tempi: il leone giocherà con l’agnello e i viventi vivranno per sempre senza conoscere la morte».
«Sì, Signore» rispose Noè «io so che tu farai quello che hai detto, però mi piacerebbe che anche gli animali lo sapessero».
Allora si levò di nuovo la voce di Dio come una brezza leggera: «Ti concedo la facoltà di parlare agli animali. Porta tu stesso la notizia. Dì loro che quando saranno morti la loro anima vivrà e un giorno entreranno tutti nel mio giardino perché nulla andrà perduto di quanto sulla terra ha respirato. Noè ringraziò e si precipitò fuori con quella bella notizia, ma ormai sull’Arca non c’era più nessuno.
Il vecchio sferrò un calcio a un sasso ed esclamò: «Troppo tardi!». «Leopardi?» disse il sasso. «Ci sono dei cardi?» chiese un altro sasso. Noè sgranò gli occhi: adesso non solo parlava la lingua degli animali, ma addirittura capiva i minerali! Si avvicinò a quei due sassi e li vide muoversi. Guardò meglio e… altro che sassi, erano tartarughe! Mentre tutti gli animali erano usciti in fretta, le tartarughe se l’erano presa comoda e come al solito erano in«Trovarvi«Dov’èritardo…illeopardo?».èunavera fortuna!» disse Noè. «No, grazie, niente laguna!» rispose una delle due tartarughe.
Il vecchio Noè se ne stava affacciato alla finestra dell’Arca a godersi quel coloratissimo spettacolo. Era una specie di vivente arcobaleno di groppe e pellicce, ali, squame e piume. Sorrideva e salutava col braccio zebre, gazzelle, cammelli che tornavano a correre e a mordere i morbidi prati del mondo.
126 OCCHI APERTI
«Ne abbiamo avuto abbastanza di acqua» concluse l’altra. Noè si avvicinò per farsi sentire meglio: «Sono contento che siate ancora qua!». «Sarà lei un gran baccalà!». «Non avete capito…». «A chi «Signorascimunito?!».tartaruga, sono Noè». «Chi «Noè»è?».ripeté il vecchio. «Cosa non è?». «Non ho detto non è, ma Noè!».
«Ma«Il«Chi?».«Dov’è?».caffè».checaffè! Ci sono solo io!». «C’è anche suo zio?». «Non c’è nessuno zio!». «Non crede in nessun Dio?». «Ma «L’hasì!!».fatta qui?». «Sul«Ma«La«Cosa?».pipì».no!».comò? Maleducato!». «Sul comò cosa c’è?». «No. Io sono Noè!!!». «Ha parlato con te». «C’è o non c’è questo caffè?». «Ma che tè e caffè, siete sorde!?». «Ha detto che morde?». «No. Chiude le porte». «Non porte, sorde!!!». «Anche lui parte?». «Non parto, dico che voi siete sorde!». «No, grazie a Dio non siamo morte!». «Noi tartarughe campiamo cent’anni». «Sì, anch’io ho certi malanni!». «Lo so. Chi va piano, va sano e va lontano». «Lo sappiamo che c’è un gran pantano!».
«Ecco perché il vecchio strilla!». «C’è un vecchio gorilla?». «Anche il gorilla vuol la liquirizia?». «Notizia, non liquirizia! Siete sorde come campane!».«Noinon siamo due vecchie befane!». «Piuttosto lei chi è?». «Sono Noè!!!». «Il re di ché?».
«E il
«Non ai maiali, a tutti gli esseri viventi!». «Ha mal di denti!».
RACCONTI E FIABE 127
«No,«Si«Nessuno».«Chi«Nemmeno».gabbiano?».tirailfreno?».chiamaBruno?».dinomefaccio Noè!!!». «A chi faccia da scimpanzé?». «Io divento matto!». «Gli è morto il gatto?». Noè«Poveretto!».stavaper perdere la pazienza in quel bislacco dialogo con quelle due tartarughe. Provò a strillare con tutto il fiato che aveva: «Potreste portare una notizia agli animali?».«Perchéla liquirizia ai maiali?».
«Un gabbiano che becca un banano?». «Non c’è nessun banano».
«Di «Si«Meglio«Vieneniente!».gente?».andarvia!».vadatuazia?Viene anche lei Bruno?». «Non sono Bruno, andate pure!». «Ha le crostate di more?». «Non ho le crostate!!!!». «Le ha mangiate?». «Ci dà le martellate?». «No, sta tranquilla». «Non mi va la camomilla».
128 OCCHI APERTI Noè rinunciò alle tartarughe e con un sospiro disse:«Va beh, cercherò qualcun altro». «Ancora un leopardo?». «Non c’è nessun leopardo. Andiamo. Siamo in ritardo». Così le due tartarughe se ne andarono lentamente e Noè rimase a pensare fra sé. Giampiero Pizzol, Ali di farfalle, Fatatrac pantano: fango, melma.
Gli uccellini si posavano sugli alberi e cantavano così dolcemente che i bambini lasciavano i loro giochi per poterli ascoltare.
E subito costruì un alto muro di cinta e attaccò un cartello con questa scritta: VIETATO L’INGRESSO: I DISOBBEDIENTI SARANNO PUNITI. Egli era infatti un gigante molto egoista. I poveri bambini non sapevano più dove giocare; cercarono di andare in strada, ma c’erano tanta polvere e tante pietre aguzze e non riuscirono a divertirsi. Terminate le lezioni, presero l’abitudine di gironzolare intorno all’alto muro, parlando del bel giardino ormai chiuso.
Un giorno un bel fiore mise il capo fuori dall’erba, ma quando vide il cartello, fu così triste per quei poveri bambini che scivolò di nuovo nella terra e si mise a dormire.Sololaneve e il ghiaccio erano soddisfatti.
Finalmente giunse la primavera e in tutta la campagna c’erano boccioli e uccellini: solo nel giardino del gigante egoista c’era ancora l’inverno.
«La primavera ha dimenticato questo giardino» esclamarono «perciò noi abiteremo qui tutto l’anno».
Ed essi scapparono via. «Questo giardino è solo mio!» disse il gigante «Voglio che tutti lo sappiano e non permetterò più a nessuno di venire a giocare qui».
La neve copriva l’erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d’argento tutti gli alberi.
«Come siamo felici!» gridavano allegramente. Ma un bel giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita all’orco suo amico e si era fermato da lui sette anni.
Qua e là sul prato spuntavano bellissimi fiori simili a stelle e c’erano anche dodici alberi di pesche che, in primavera, si coprivano di una dolce fioritura color di rosa e di perla e, in autunno, donavano frutti succosi.
Ogni pomeriggio, al ritorno della scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante. Era un grande delizioso giardino, pieno di soffice erbetta verde.
RACCONTI E FIABE 129 IL GIGANTE EGOISTA
Trascorsi che furono, egli, di natura poco chiacchierone, non trovò più niente da dire e decise di far ritorno al suo castello. Quando giunse, vide tutti i bambini che giocavano nel suo giardino. «Che cosa fate qui?» gridò con il suo vocione.
«Com’eravamo felici là dentro!» dicevano fra loro.
Gli uccellini, non vedendo i bambini, non cantavano e gli alberi si erano dimenticati di fiorire.
Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l’erba verde e ridevano. Era una bella scena. Solo in un angolo regnava ancora l’inverno. Era l’angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riusciva a raggiungere il ramo dell’albero e vi girava intorno piangendo disperato. Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del Nord fischiava.
«Come sono stato egoista!» disse. «Ora so perché la primavera non voleva venire. Metterò quel bambino in cima all’albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini». Era veramente addolorato per quanto aveva fatto.
130 OCCHI APERTI
Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la grandine, il gelo e la neve danzavano tra gli alberi. Una mattina il gigante udì dal suo letto una dolce musica: risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero dei musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino, che gli parve la musica più bella del mondo.
«Credo che finalmente la primavera sia venuta» disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra. Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli erano entrati attraverso un’apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi. Su ogni albero che il gigante poteva vedere c’era un bambino. Gli alberi, felici di riavere i fanciulli, s’erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline.
«È un posto delizioso» disse «dobbiamo invitare anche la grandine».
La grandine cessò di danzare sulla sua testa, il vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
«Arrampicati piccolo» disse l’albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino. A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
Poi invitarono il vento del Nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino.Eravestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l’estate. L’autunno diede frutti d’oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante.
«Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire» disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco, «mi auguro che il tempo cambi».
«Dov’è il vostro piccolo amico? Il bambino che io ho messo sull’albero?» chiese. Il gigante l’amava più di tutti perché l’aveva baciato.
Scese adagio le scale e aprì la porta d’ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l’inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante. E il gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull’albero. E l’albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò. Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera.
RACCONTI E FIABE 131
«Ora questo è il vostro giardino, bambini» disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro. A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
132 OCCHI APERTI
Quando gli fu vicino, si fece rosso di collera e disse: «Chi ha osato ferirti?» perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi. «Chi ha osato ferirti?» esclamò il gigante «Dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l’ammazzerò». «No» rispose il bambino «queste sono soltanto le ferite dell’amore». «Chi sei?» chiese il gigante, e uno strano stupore s’impadronì di lui e s’inginocchiò dinanzi al bambino. Il bambino gli sorrise e disse: «Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso».
Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più. Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
Una mattina d’inverno, mentre si vestiva, guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l’inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano. Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente. Era una cosa veramente meravigliosa. Nell’angolo più remoto del giardino v’era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d’oro pendevano frutti d’argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch’egli aveva amato. Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull’erba e s’avvicinò al bambino.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell’albero tutto coperto di fiori candidi. Oscar Wilde Perché il gigante cambia il suo atteggiamento?
«Non lo sappiamo,» risposero i bambini «se n’è andato».
«Ho molti bei fiori» diceva «ma i bambini sono i fiori più belli».
«Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire» disse il gigante. Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l’avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste.
«Quanto mi piacerebbe vederlo» diceva sovente. Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare; sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
RACCONTI E FIABE 133
Allora la balena si levò ritta sulla coda e disse: «Ho fame».
E il Pesciolino-pieno-d’astuzia disse con una vocina parimenti piena d’astuzia:«Nobile e generoso cetaceo, hai mai mangiato l’uomo?». «No» disse la balena. «Com’è?».
Una volta c’era nel mare una balena che mangiava i pesci. Mangiava il carpione e lo storione, il nasello e il pesce martello, il branzino e il delfino, i calamaretti e i gamberetti, la triglia e la conchiglia, e la flessuosa anguilla con sua figlia e tutta la sua famiglia con la coda a ronciglio. Tutti i pesci che poteva trovare in tutto il mare, essa li mangiava con la bocca… così! Tanto che non era rimasto in tutto il mare che un solo pesciolino, un Pesciolino-pieno-d’astuzia che nuotava dietro l’orecchio destro della balena, per tenersi prudentemente fuor di tiro.
LA GOLA DELLA BALENA
e la spalancò che quasi si toccava la coda, e inghiottì il marinaio naufragato, con tutta la zattera su cui sedeva, col suo paio di calzoni di tela azzurra, le bretelle (che non dovete dimenticare) e il coltello da tasca. Essa inghiottì ogni cosa nella credenza calda e buia dello stomaco, e poi si leccò le labbra… così, e girò tre volte sulla coda. Ma il marinaio, che era un uomo di infinite-risorse-e-sagacità, non appena si trovò nel capace e buio stomaco della balena, inciampò e saltò, urtò e calciò, schiamazzò e ballò, urlò e folleggiò, picchiò e morsicò, strisciò e grattò, scivolò e passeggiò, s’inginocchiò e s’alzò, strepitò e sospirò, s’insinuò e gironzò, e danzò balli alla marinara dove non doveva, e la balena si sentì veramente molto infelice. (Avete dimenticato le bretelle?).
«Se tu nuoti fino al cinquantesimo grado di latitudine nord e quaranta di longitudine ovest, (questo è magia) troverai, seduto su una zattera, in mezzo al mare, con nulla addosso eccetto un paio di calzoni di tela azzurra, un paio di bretelle (non dovete dimenticare le bretelle, cari miei) e un coltello da tasca, un marinaio naufragato, che – è bene tu ne sii avvertito – è un uomo d’infiniterisorse-e-sagacità».Cosìlabalenanuotò
Così disse al «Quest’uomoPesciolino-pieno-d’astuzia:èmoltoindigesto,emifavenire il singulto. Che cosa debbo fare?».«Digli di uscire» disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia.
134 OCCHI APERTI
Così la balena gridò dal fondo della gola al marinaio naufragato: «Esci fuori e comportati onestamente. M’hai messo il singulto». «No! No!» disse il marinaio. «Non così; in maniera molto diversa. Portami alla sponda natìa, ai bianchi scogli di Albione, e ci penserò». E continuò a ballare più che mai. «Faresti meglio a portarlo a casa» disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia alla balena. «Io ti ho avvertito che è un uomo di infinite-risorse-e-sagacità».
e nuotò fino al grado cinquantesimo di latitudine nord e quarantesimo di longitudine ovest, più rapidamente che poté, e su una zattera, in mezzo al mare, con nulla indosso eccetto un paio di calzoni di tela azzurra, un paio di bretelle (dovete ricordare specialmente le bretelle, cari miei) e un coltello da tasca, essa vide un unico e solitario marinaio naufragato, coi piedi penzoloni nell’acqua. (Egli aveva avuto da sua madre il permesso di guazzare nell’acqua; altrimenti non l’avrebbe fatto, perché era un uomo d’infinite-risorse-e-sagacità).Alloralabalenaaprìlabocca
«Squisito!» disse il pesciolino-pieno-d’astuzia, «Squisito ma nodoso». «Allora portamene un paio» disse la balena, e con la coda fece spumeggiare il mare.«Uno per volta basta» disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia.
RACCONTI E FIABE 135
E mentre diceva «Fitch» il marinaio sbucava dalla bocca. Ma mentre la balena era stata occupata a nuotare, il marinaio, che era davvero una persona piena-di-infinite-risorse-e-sagacità, aveva preso un coltello da tasca e tagliata dalla zattera una cancellata a sbarre incrociate, l’aveva saldamente legata con le bretelle (ora sapete perché non si dovevano dimenticare le bretelle) e poi l’aveva incastrata nella gola della balena, recitando il seguente distico, che, siccome non lo conoscete, qui vi trascrivo: Con le sbarre della grata nel mangiar t’ho moderata. E saltò sulla ghiaia, e si diresse a casa della mamma, che gli aveva dato il permesso di guazzare nell’acqua; e s’ammogliò e d’allora in poi visse felicemente. Com’anche la balena. Ma da quel giorno ad oggi, la grata in gola che essa non può né espellere, né inghiottire, le impedì di mangiar tutto quello che voleva, eccetto i minuti pesciolini, ed è questa la ragione perché le balene non mangiano più uomini, bambine e bambini. Il Pesciolino-pieno-d’astuzia se la svignò e si nascose sotto la soglia dell’Equatore. Temeva che la balena fosse grandemente adirata con lui. Il marinaio portò a casa il coltello da tasca. Aveva indosso soltanto il paio di calzoni di tela azzurra quando s’era messo a camminare sulla ghiaia. Le bretelle l’aveva lasciate strette alla cancellata; e questa è la fine di questo racconto.
Rudyard Kipling, Il libro delle bestie, Prìncipi & Princípi parimenti: nello stesso modo, ugualmente. sagacità: acume, astuzia, abilità. natatoie: pinne nei cetacei.
• Racconta brevemente che cosa è successo alla balena, il motivo per cui non può più mangiare tutto quello che vuole.
• Che cosa può mangiare oggi la balena, secondo il racconto? E all’inizio di questa storia?
Così la balena si mise a nuotare, a nuotare con le due natatoie e la coda, come meglio le permetteva il singulto; e finalmente vide la sponda nativa del marinaio e i bianchi scogli di Albione, si precipitò sulla spiaggia, spalancò tutta quanta la bocca e disse: «Per Winchester, Ashuelot, Nasua, Keene e le stazioni della ferrovia di Fitchburg si cambia».
Nemmeno la donna aveva mai saputo dell’esistenza di quello zio, che tuttavia le piacque perché assicurava di volersi prendere cura di Aladino, che lo avrebbe indotto a lavorare, e l’avrebbe fatto diventare ricco.
Aladino era un ragazzo che abitava in una città della lontana Arabia, e che non aveva una gran voglia di lavorare. Anzi, non ne aveva nessunissima voglia. Inutilmente suo padre, che faceva il sarto, lo rimproverava, lo incitava a cercarsi un’occupazione: «Diventerai uomo e ti dispiacerà d’aver perduto tanto tempo. Agli oziosi vengono brutte idee per la testa».
136 OCCHI APERTI
«Voi dunque sareste mio zio?» si stupì Aladino. «Non assomigliate a mio padre nemmeno un po’. Comunque venite, vi porto da mia madre».
E un giorno, mentre stava giocando, come al solito, con alcuni amici, gli si avvicinò un forestiero. «Sei tu il figlio del sarto?» gli domandò costui. «Sì» rispose Aladino «ma mio padre è morto da qualche anno». Il forestiero si mise a piangere: «Povero fratello mio. Ero venuto qui dall’Africa, dove vivo, per riabbracciarlo. Oh, che disgrazia!».
«Verrai con me. Ti porterò in un posto che sarà la tua fortuna» disse. E, preso per mano Aladino, che in realtà avrebbe preferito restarsene a casa, lo costrinse a seguirlo. Camminarono per alcune settimane finché, giunti in una radura, il forestiero rivelò ad Aladino chi egli fosse in realtà.
«Non sono tuo zio, ma un mago. Ho deciso di renderti ricco, anzi ricchissimo. Lo vedi questo macigno? È pesante, ma tu dovrai spostarlo. Lì sotto c’è una caverna piena di diamanti. Ci entrerai e quell’immenso tesoro sarà tuo».
LA LAMPADA DI ALADINO
Attraverso terrificanti sortilegi aveva scoperto dov’era nascosto il più fantasmagorico tesoro del mondo, che contava, tra le tante meraviglie, una piccola lampada dagli straordinari poteri. Ma aveva anche scoperto che c’era una pietra a chiudere l’antro in cui quel tesoro era custodito, e che a sollevarla poteva essere una sola persona: quel fanciullo di nome Aladino.Così,intendeva servirsi di lui. Per vincere la diffidenza di Aladino, perciò, il mago non esitò a consegnargli un«Mettiloanello. al dito, non togliertelo mai. È un anello magico: ti sarà d’aiuto
Aladino era molto diffidente. E aveva ragione. Lui non lo sapeva, ma quello era un mago cattivissimo.
«Sarà quel che sarà» rispondeva Aladino. Morto il padre, il ragazzo continuò a bighellonare da mattina a sera.
«Dammi la lampada, presto» gli ordinò il mago. Era sua intenzione, non appena ottenuto ciò che gli stava a cuore, far ricadere il ragazzo nel baratro per lasciarvelo morire. «No, prima voglio uscire» s’insospettì Aladino. «Prima la lampada!». «No. Prima mi tiri fuori!».
A questo punto il mago, arrabbiatissimo, disse una formula magica e l’imboccatura del sotterraneo si richiuse sul povero Aladino che, disperato, piangeva a dirotto. E mentre piangeva, passava inavvertitamente le dita sull’anello, strofinandolo.
Incuriosito, Aladino a quel punto decise di spostare il macigno. Sotto c’era una scala che scendeva, profondissima, e il ragazzo la discese. Si trovò così in una grandissima caverna, con degli alberi meravigliosi dai cui rami pendevano, invece dei frutti, grappoli di brillanti, e ce n’erano da riempire cento sacchi, a raccoglierli. Aladino non sapeva che cosa fossero i brillanti, però il loro luccichio gli piacque. Così ne colse alcune manate e se ne riempì le tasche.
RACCONTI E FIABE 137
Vide anche la lampada. La prese, e cominciò a risalire verso l’imboccatura della caverna, dove il mago lo attendeva sempre più impaziente.
in tante occasioni. In cambio, tu per me dovrai fare una cosa: portarmi la piccola lampada che troverai in fondo alla caverna».
In men che non si dica, il ragazzo si ritrovò dalla madre, le mostrò le pietre preziose e la lampada che aveva con sé.
La donna trasalì, comprendendo la straordinarietà di quanto vedeva. Nervosamente si mise a pulire la lampada che, essendo magica, era la casa di un genio ancor più potente di quello dell’anello. Richiamato da quel gesto, il nuovo genio subito le comparve davanti. «Sono al tuo servizio» s’inchinò. «Ordina e io ti esaudirò».
Fino ad allora, nella povera casa di Aladino si era sofferta la fame, perciò ella chiese una tavola imbandita con gustose vivande e buon vino. Immediatamente la tavola fu apparecchiata: una tavola principesca, che ritornò tutti i giorni, due volte al giorno. Sostenuto dalla buona sorte, Aladino smise di oziare, lavorò, si dette buon nome. La gente giunse persino a lodarlo, a riverirlo.
138 OCCHI APERTI
Sappiamo già che l’anello era magico. Sollecitato a quel modo, esso rivelò subito i suoi poteri. Infatti, in una luce abbagliante, davanti ad Aladino apparve un «Comandagenio.cosa vuoi» disse il genio ad Aladino inchinandosi «e io ti «Riportamiaccontenterò».subitoa casa» fu la richiesta.
Per celebrare degnamente le nozze, Aladino strofinò la lampada e chiese al genio di costruirgli un palazzo più bello di quello del re. E subito, ecco sorgere dal nulla la nuova, meravigliosa dimora di Aladino e della sua sposa.
Tremando di paura per l’ardire, la madre di Aladino si recò dal re, e fece ciò che le aveva detto il figlio.
Tutto, dunque, sembrava procedere per il meglio. E non ci sarebbero state complicazioni di sorta nella vita dei due, se non fosse accaduto che il mago che aveva cercato d’ingannare Aladino, rimpiangendo continuamente la lampada perduta, non avesse insistito nei suoi esperimenti per sapere che cosa ne fosse stato del ragazzo, se egli fosse morto davvero nel profondo dellaSeppecaverna.cosìche
Avuta fra le mani, finalmente, la lampada magica, il mago ordinò al genio di trasportare il palazzo di Aladino, con tutti i suoi abitanti, in Africa. E il genio non poté far altro che ubbidire.
Visto l’inestimabile tesoro recatogli in dono, il re si rallegrò. Se regalava simili ricchezze al suo re, quel giovane ben poteva essere lo sposo della principessa.
«Oh, povero figlio mio. Sei impazzito?» trepidò la donna. «Mai stato più in senno, madre. Ecco qui una ciotola di brillanti. Vai in udienza dal re, che ti riceverà. E tu, offrendogli un dono così strabiliante, gli dirai che glielo mando io, e che voglio sposarne la figlia».
Non appena tornato dal viaggio, non vedendo più né il palazzo né la principessa, Aladino comprese ciò che era accaduto.
RACCONTI E FIABE 139
Un giorno Aladino intravide, non visto, la bellissima figlia del re che usciva a passeggio. Non visto, in quanto se ne stava nascosto perché, quando la principessa usciva in pubblico, tutti dovevano rinchiudersi in casa e non ardire di alzare gli occhi su di lei, pena la morte. Ma la curiosità aveva indotto il giovane a dare una sbirciatina. E subito se ne innamorò.
«Madre, voglio sposare la principessa».
Le fece credere cioè che la lampada custodita dal suo sposo era vecchia e non valeva nulla: gliela avrebbe cambiata con una bella lampada nuova.
non solo Aladino era vivo, ma possedeva, oltre all’anello, anche la lampada magica. Perciò, pieno di stizza, ripartì alla volta dell’Arabia. Quando vide lo splendido palazzo di Aladino, una rabbiosa invidia prese a tormentarlo. Non volendosi arrendere alla fortuna dell’altro, si travestì da mercante, attese che Aladino accompagnasse il re in un viaggio nei reami vicini, si fece ricevere dalla principessa e, un po’ con parole sdolcinate, un po’ per magia, la trasse in inganno.
La principessa, ignara di tutto, accettò.
Ma non si perse d’animo. Strofinò l’anello che aveva ricevuto tanto tempo prima dal mago e che sempre portava al dito.
140 OCCHI APERTI
In men che non si dica, era già in Africa, nel suo palazzo, al fianco della sua sposa, disperata, in lacrime, perché temeva di dover dire addio per sempre ad Aladino, al padre, al suo Paese.
Rapido apparve il primo genio, quello che lo aveva salvato dalla caverna dove il mago lo aveva rinchiuso. «Riportami subito qui mia moglie e il mio palazzo, ovunque essi siano» gli ordinò Aladino.
Così avvenne. E lì, Aladino e la principessa vissero felici, a lungo. Potrebbe darsi che, a cercarli proprio bene, magari con l’aiuto di qualche genio, si riesca ancora oggi a trovarli là. Fiaba araba diffidente: sospettoso. trepidò: da “trepidare”, preoccuparsi, temere, stare in ansia. stizza: collera, rabbia. «Sono un personaggio delle fiabe e vivo la mia avventura nel bel mezzo di una fiaba che conosco». Racconta.
«Sì, mia diletta. E lo farai bere tanto. Anzi, per essere più sicuri, metterai del sonnifero nella sua coppa di vino». «Ho capito» sorrise la principessa. Tutto avvenne secondo il previsto. Non appena il mago si addormentò, Aladino, che fino ad allora s’era tenuto nascosto, venne fuori, tolse la lampada dalle mani del mago e la strofinò. Ed ecco apparire il genio. «Tu, genio» comandò Aladino «porta questo mago dove nessuno lo possa mai più trovare. E riporta questo palazzo, con tutto ciò che contiene, in Arabia».
Gli rispose il genio: «Ogni tuo desiderio per me è un ordine, padrone. Ma questo non posso esaudirlo. Perché l’incantesimo è stato compiuto dal genio della lampada, che è molto più potente di me». «E allora portami dalla principessa» disse Aladino.
La felicità dei due, quando si riabbracciarono, è facile da immaginare. «E adesso» disse Aladino alla principessa, dopo averle confidato la sua lunga avventura con il mago «ci riprendiamo la lampada». «Ma come?» rispose lei, dubbiosa. «È facile. Inviti a cena il mago, che essendo un grande vanitoso, si lascerà conquistare dai tuoi complimenti. E tu gliene farai tanti…». «Io, Aladino, fargli dei complimenti?».
In seguito cominciò a denigrare gli undici fratellini: ci mise tanto rancore e accanimento che, rapidamente, il re fece allontanare i suoi figli. «E ora volate con le vostre ali» aggiunse la perfida donna «volate, volate fino in capo al mondo!».
A questa notizia, Lisa e i suoi undici fratelli ebbero lo stesso presentimento: la loro esistenza viziata di principi felici stava per terminare.
Quando la principessa arrivò, per approfittare di un po’ di calma e di freschezza, i tre rospi vollero attuare il sinistro incarico.
Ma il contatto di una ragazza così pura e innocente ruppe il sortilegio.
Le immonde bestiole si trasformarono in tre splendide rose,
A queste parole, i principi si trasformarono in undici magnifici cigni immacolati e presero subito il volo. A quindici anni la principessa ritornò al palazzo, con gran dispiacere della matrigna che credeva di essersene sbarazzata per sempre. Quando vide quella bella adolescente, dolce, intelligente, sentì raddoppiare il suo odio. Invidiosa di tutte le qualità riunite in una sola ragazza, architettò un piano machiavellico per eliminarla definitivamente e attese pazientemente il momento opportuno perLaeseguirlo.ragazzaapprezzava in modo particolare un lussuoso salone di marmo.
La megera vide in quell’acqua lo strumento della sua vendetta. Mise nella vasca tre enormi rospi pieni di pustole e ordinò loro: «Saltale sulla testa, attaccati ai capelli e trasmettile la tua incredibile stupidità» disse al primo. «Saltale in faccia» disse al secondo «e falla diventare brutta e foruncolosa come te!».
Quando videro la nuova regina, con l’aria dura e lo sguardo glaciale che rivelava egoismo e cattiveria, i loro timori furono confermati. Lisa fu la sua prima vittima. Il giorno immediatamente successivo alle nozze, la matrigna mandò Lisa presso una famiglia di contadini che la fecero vivere come la gente rude di campagna. Questa cattiva matrigna aveva persuaso il re che il soggiorno sarebbe stato benefico, anche se in realtà la bambina era trattata come una sguattera.
«In quanto a te, che sei il terzo, rendila crudele, fai in modo che il suo cuore sia duro come la roccia, che la sua vita sia solo sofferenza!».
Al centro c’era una vasca d’acqua dove le piaceva specchiarsi, seduta su morbidi cuscini di seta e di broccato, sfiorando l’acqua con le dita esili.
RACCONTI E FIABE 141 I CIGNI SELVATICI
«Miei cari ragazzi» annunciò il re, «entro pochi giorni mi risposerò…».
142 OCCHI APERTI
soavemente profumate. Allora la regina, colma di rabbia, si gettò sulla poveretta, sporcò il suo visino con la fuliggine e ridusse i suoi capelli come una zazzera ruvida come la canapa. In un momento diventò irriconoscibile persino al padre che, credendola una mendicante, la fece scacciare dal castello.
La ragazza non esitò. Al mattino, Lisa si mise in una solida tela di lino tenuta fermamente dai becchi di tre suoi fratelli e intraprese un lungo viaggio sopra i mari. Gli altri ragazzi, anche loro trasformati in cigni, le fecero daAlscorta.tramonto, arrivati a destinazione, deposero il loro prezioso carico all’entrata di una grotta che era il loro rifugio.
Il freddo della sera, la stanchezza e le emozioni del viaggio spossarono Lisa che si addormentò facilmente. Ma una grande preoccupazione tormentava i suoi sogni: come avrebbe potuto aiutare i fratelli a riprendere definitivamente le sembianze umane? In un sogno, apparve una fata. Malgrado la sua giovinezza e la sua bellezza, la principessa riconobbe la vecchia donna che l’aveva guidata nella foresta, quando stava cercando i fratelli.
Trionfante, la spaventosa strega gioì in segreto per non destare sospetti nel sovrano. Nel frattempo, l’infelice ragazza aveva incominciato il suo triste errare. Lisa camminò tutto il giorno.
Quando giunse la sera, in mezzo ad una profonda foresta, si dissetò alla sorgente di un ruscello, si lavò il viso e i capelli prima di addormentarsi, sfinita. Ahimè! Brutti incubi rovinarono il suo sonno: che cosa era accaduto ai suoi fratelli? Al risveglio, incontrò una vecchia che le parlò di undici cigni in un lago vicino. La ragazza vi arrivò troppo tardi, ma coraggiosamente, continuò le ricerche. Arrivata sulle rive dell’oceano, il rumore di ali possenti che fendevano l’aria le resero un po’ di speranza. Undici uccelli apparvero all’orizzonte: le dita palmate dei volatili sfioravano la All’improvviso,sabbia. ripresero l’aspetto umano. L’incontro fu commovente, pieno di gioia e di tristezza. Parlarono lungamente: la principessa raccontò le sue avventure, il più grande dei fratelli fece lo stesso: «Condannati all’esilio eterno in un magnifico paese che non sostituirà mai la nostra amata patria, dobbiamo, ogni sera, ritornare sulla terra per ridiventare uomini. All’alba, il nostro regno diventa ancora il cielo!».
«Perché siete qui, allora?» domandò Lisa. «Qualche giorno all’anno siamo autorizzati a volare sul palazzo di nostro padre a rivedere il luogo della nostra felice giovinezza. Domani torneremo in esilio. Vieni anche tu con noi?».
«Dovrai raccogliere molte ortiche, filarle come la lana, tesserle e cucire il tessuto ottenuto per confezionare undici abiti. Quando saranno terminati, li getterai sui cigni e il cattivo sortilegio scomparirà immediatamente. Durante questo lavoro resterai sempre zitta. Un solo suono uscito dalla tua bocca renderà inutile il tuo sacrificio e abbrevierà la vita dei tuoi cari che vuoi salvare. La liberazione dei tuoi fratelli ha questo prezzo…».
Al suo risveglio, Lisa si mise attivamente all’opera, colse le piante irritanti che inflissero alle sue mani bruciori lancinanti. Con la bocca chiusa, soffocò singhiozzi di dolore. Come ogni sera, i cigni ritornarono a terra e ripresero il loro aspetto principesco. Interrogarono la sorella sulla causa delle sua mani gonfie e degli occhi pieni di lacrime, ma Lisa non disse nemmeno una parola. E continuò con ostinazione il suo lavoro doloroso.
RACCONTI E FIABE 143
«Conosco il tuo desiderio» le disse «e posso esaudirlo, ma ti occorrerà molta volontà e tenacia. Sei pronta a sopportare silenziosamente alcune prove terribili?».«Sì,sono pronta! Niente mi fermerà!».
Un giorno in cui Lisa stava facendo provviste di ortiche, alcuni cacciatori si fermarono per chiederle la strada. Erano condotti dal sovrano del paese, giovane e seducente, che fu immediatamente conquistato dal suo fascino e dalla sua grazia. Il continuo silenzio della ragazza lo imbarazzò ma,
Il matrimonio inaspettato, suscitò rancori e gelosie: da dove arrivava questa sconosciuta? Aveva soggiogato il re, era una strega!
144 OCCHI APERTI
preso dall’improvvisa passione, la mise in groppa al suo cavallo e la portò nel suo palazzo. Vestita di broccato e di seta, adorna di suntuosi gioielli, Lisa fu presentata a corte. Lacrime di sofferenza bagnarono i suoi occhi e tutti crederono fossero lacrime di felicità!
Hans Christian Andersen rancore: odio, astio, risentimento. machiavellico: astuto, ingegnoso. seducente: affascinante, attraente.
Ahimè, un cortigiano invidioso del suo felice destino la seguì, scoprì il segreto e corse a rivelarlo al giovane marito. Il poveretto, malgrado il suo amore, dovette cedere alle insistenze della sua corte che accusava la sfortunata. Lisa, con il suo silenzio, non poté difendersi dall’accusa di stregoneria e fu gettata in prigione. Per miracolo, vi trovò il suo lavoro e poté terminarlo, all’insaputa delle guardie.
Condannata ad essere bruciata viva, la poveretta camminò stoicamente verso il rogo, stringendo disperatamente fra le braccia i preziosi vestiti.
Qual è il piano maligno che escogita la matrigna per allontanare Lisa e i suoi fratelli? Quali prove dovrà affrontare Lisa per salvare i suoi fratelli?
Liberata dal giuramento, la principessa poté infine raccontare la sua storia e quella dei suoi fratelli. Di buon cuore, Lisa perdonò il suo sposo e, felice, ritornò con lui a palazzo.
Per farle ritornare il sorriso e la voce, il giovane re ebbe la delicatezza di riportarla alla grotta dalla quale l’aveva portata via così bruscamente. C’era tutto; i vestiti già cuciti, il necessario per cucire gli altri. Lisa riprese il lavoro con entusiasmo… ma un giorno le ortiche finirono. Allora andò a coglierne al vicino cimitero, ricco di quelle pianticelle.
Incuriositi dal rumore della folla, gli undici cigni si posarono nel luogo del supplizio e con grande emozione della folla ripresero l’aspetto umano appena Lisa ebbe lanciato i vestiti magici.
«È meglio che resti dove sei!» disse la vecchia. «Questo posto lo conosci ormai, sai com’è! Stai attento al secchio: quello ti schiaccia. E se anche riesci a entrarci, puoi caderne fuori male, non tutti cadono bene come me, che ho conservato le membra intatte e anche tutte le uova».
«È grassa, brutta e tozza!» dicevano le giovani rane verdi. «I suoi piccoli diventeranno altrettanto grassi!».
IL ROSPO
Al pozzo abitava una famiglia di rospi, emigrati, in realtà giunti lì a capofitto con una vecchia madre rospo che ancora viveva; le verdi rane che vi abitavano da moltissimo tempo e nuotavano nell’acqua li riconobbero come cugini, ma li considerarono soltanto ospiti venuti a passare le acque, mentre loro avevano tutta l’intenzione di rimanere lì: vivevano molto meglio all’asciutto, come chiamavano quelle pietre bagnate.
Le verdi rane ascoltarono e spalancarono gli occhi, ma dato che a loro la cosa non piaceva, fecero le smorfie e tornarono sul fondo. I giovani rospi invece tesero la zampette di dietro con grande fierezza. Ciascuno di loro credeva di avere la gemma preziosa; e così tennero per un po’ la testa immobile, ma alla fine chiesero di che cosa dovevano essere fieri e che cosa fosse in realtà una tale gemma.
«È qualcosa di splendido e di prezioso!» disse mamma rospo. «Ma io non posso descrivervelo, è qualcosa che dà piacere a chi la possiede e fa rabbia agli altri, ma non chiedete, io non rispondo».
RACCONTI E FIABE 145
«È probabile!» rispondeva mamma rospo «Ma uno di loro ha una gemma preziosa nella testa, o forse ce l’ho io».
«Io non ho la gemma preziosa» esclamò il rospo più piccolo, che era tanto brutto. «Perché dovrei avere io una tale bellezza? Se poi questa fa arrabbiare gli altri, come farei a esserne felice? No, io desidero solo poter arrivare una volta in cima al pozzo a guardare fuori; deve essere bello!».
Il pozzo era profondo, quindi la corda era lunga e la carrucola girava a fatica quando bisognava sollevare il secchio pieno d’acqua fino oltre il bordo del pozzo. Il sole non riusciva mai a specchiarsi nell’acqua, sebbene questa fosse trasparente, ma fin dove riusciva a brillare cresceva il verde tra le pietre.
Non sapeva raccontare molto del mondo che c’era fuori, ma sia lei che tutti gli altri sapevano che il pozzo non era tutto il mondo. Mamma rospo avrebbe potuto raccontare molto di più, ma non rispondeva mai quando le veniva chiesto qualcosa, e così non le si chiedeva mai nulla.
Mamma rana una volta aveva viaggiato, si era trovata nel secchio che veniva tirato su, ma c’era troppa luce per lei e le aveva causato una lesione agli occhi; fortunatamente riuscì a saltar fuori dal secchio, cadde in acqua con un tonfo terribile e rimase a letto per tre giorni con il mal di schiena.
«Cra!» disse il piccolo, e questo corrisponde al nostro «Ahimè!». Il piccolo rospo aveva una gran voglia di uscire sull’orlo del pozzo, di guardare fuori, sentiva una specie di nostalgia per il verde che c’era lassù: così quando il mattino dopo per caso il secchio pieno d’acqua si fermò un attimo davanti alla pietra dove si trovava lui, si emozionò tanto che saltò dentro nel secchio pieno e cadde in fondo all’acqua che, una volta tirata su, venne«Uh,versata.cheorrore!»
gridò il garzone che lo vide. «È la cosa più schifosa che abbia mai visto» e gli diede un calcio con lo zoccolo e il rospo rischiò di rimanere storpio, ma riuscì a scamparla rifugiandosi tra le alte ortiche. Vide gli steli, uno vicino all’altro, e guardò anche in su: il sole brillava tra le foglie trasparenti, e lui provò la stessa sensazione che proviamo noi uomini quando improvvisamente ci troviamo in un grande bosco dove il sole brilla tra i rami e le foglie.
Arrivò al fosso dove crescevano i non-ti-scordar-di-me e le spiree, c’erano siepi di sambuco e di biancospino, cresceva il convolvolo arrampicandosi sulle piante; c’erano tanti colori, volava anche una farfalla, ma il rospo credette che quello fosse un fiore alzatosi dallo stelo per vedere meglio il mondo, e sarebbe stato così naturale!
«Se solo potessi essere veloce come lei!» pensò il rospo. «Cra! Cra! cheRimasebellezza!».otto giorni e otto notti vicino al fosso e non gli mancava certo il cibo. Il nono giorno pensò: «Avanti!» ma che cosa si poteva trovare di più bello? Forse una rospetta o qualche rana verde! L’ultima notte gli era parso di sentire, col vento, come un suono di parenti nelle vicinanze. «Che bello vivere! Uscire dal pozzo, stare tra le ortiche strisciare lungo la strada impolverata e riposarsi vicino al fosso! Ma avanti! Cerchiamo di trovare una rana o una rospetta, non si può farne a meno, la natura da sola non è abbastanza!». E così ricominciò a viaggiare.
Arrivò in un campo vicino a un grande stagno circondato di salici e cercò lì dentro.«Forsequi è troppo umido per lei?» chiesero le rane «Ma lei è benvenuto. Lei è un signor rospo o una signora? Comunque non importa, è benvenuto ugualmente».
146 OCCHI APERTI
«Qui sì che ci si trova all’asciutto!» commentò il rospo «Si sta fin troppo bene, ho un solletico!».
«Che cosa ci sarà là fuori? Se sono arrivato fin qui, devo guardare oltre» così strisciò più in fretta che poté e uscì sulla strada, dove il sole brillava e dove la polvere lo ricoprì, mentre attraversava la via.
«Qui è molto più bello che giù nel pozzo! Qui si può avere voglia di rimanere per tutta la vita!» esclamò il piccolo rospo. Rimase lì un’ora, forse due.
Vide le stelle che brillavano, grandi e luminose, vide la luce della luna nuova, vide il sole sorgere sempre più alto.
Così venne invitato al concerto della sera, un concerto di famiglia: grande entusiasmo e vocine flebili! Noi conosciamo bene queste cose. Non c’era niente da mangiare, solo bibite a volontà, tutto lo stagno, se si «Proseguiamovoleva. nel viaggio!» si disse il piccolo rospo, sentiva sempre il bisogno di qualcosa di meglio.
«Io mi trovo ancora in un pozzo, in un pozzo più grande; devo andare ancora più su! Sono così inquieto e ho una tale nostalgia!» E quando la luna divenne piena, il povero animale pensò: «È forse quello il secchio che viene calato e nel quale io devo saltare per arrivare più in alto? O è forse il sole il grande secchio? Com’è grande, com’è pieno di raggi, come ci contiene tutti! Non devo perdere l’occasione! Come brilla sulla mia testa! Non credo che la gemma preziosa possa brillare di più! Ma io non ce l’ho e non piango certo per questo; no, devo andare più su nel bagliore e nella gioia! Ho una certezza, e pure una paura, è difficile fare un passo simile, ma bisogna! Avanti, avanti per la strada maestra!». E si rimise a camminare come può fare un animale strisciante e giunse sulla strada dove abitavano gli uomini; c’erano giardini pieni di fiori e orti di cavoli, lui si riposò vicino a un orto di cavoli.
RACCONTI E FIABE 147
e gli espresse la sua simpatia. Era felice che la sua bruttezza avesse spaventato le galline. «Che cosa dice?» chiese il bruco. «Io mi sono salvato da solo. Lei è molto brutto! E ora posso ritornare a casa mia? Sento odore di cavolo, ora so dov’è la mia foglia. Non c’è niente di più bello che la propria casa. Ma io devo andare più su!». «Sì, più in su!» ripeté il piccolo rospo. «Più in su! Sente proprio come me! Ma non è di buon umore oggi; forse sarà per lo spavento. Tutti vogliamo andare più in su!» e guardò in alto più che poté. La cicogna si trovava nel nido sul tetto della casa del contadino, gloterava e anche mamma cicogna gloterava. «Come abitano in alto!» pensò il rospo. «Felice chi può arrivare così in alto!» Nella casa del contadino abitavano due studenti, uno era poeta, l’altro scienziato, uno cantava e scriveva pieno di gioia di tutte le cose che Dio ha creato e che si rispecchiavano nel suo cuore, cantava in modo breve e chiaro e in versi armoniosi; l’altro invece si impossessava della cosa in sé, l’apriva quando era necessario. Considerava l’opera del Signore come un grande calcolo, sottraeva, moltiplicava, voleva conoscere tutto di dentro e di fuori e parlarne con intelligenza; in realtà era pura intelligenza, parlava con gioia e conosceva tutto. Entrambi erano due bravi giovani. «Guarda, c’è un ottimo esemplare di rospo!» disse lo scienziato «Dovrei metterlo sotto spirito».
«Glo, glo!» si sentì: arrivavano le galline, saltellando. La prima che sopraggiunse era presbite, vide il bruco su quella foglia arricciata e lo beccò, così quello cadde a terra, cominciando a contorcersi per la rabbia. La gallina allora prima guardò con un occhio, poi con l’altro perché non capiva che cosa fosse tutto quel contorcersi.
«Ah, ha le truppe ausiliarie!» si disse quella «Guarda che tipo!» e se ne andò. «Non mi interessa proprio questo bocconcino verde che mi fa solo solletico nel collo». Le altre galline erano della stessa opinione, così se ne andarono. «Mi sono salvato con le mie contorsioni!» disse il bruco. «È un bene avere presenza di spirito, ma la cosa più diffìcile ora è ritornare sulla mia foglia di cavolo.ArrivòDov’è?».ilrospetto
148 OCCHI APERTI
«Oh, quante strane creature che non ho mai visto! E come è grande e benedetto il mondo! Ma uno naturalmente deve guardarsi intorno, non può rimanere seduto sempre in un posto» e così saltò dentro l’orto di cavoli. «Com’è verde! Com’è bello!». «Lo so!» disse un bruco che stava su una foglia. «La mia foglia è la più grande qui. Nasconde mezzo mondo, ma ne posso fare a meno».
«Non lo fa certo per compiacere!» pensò la gallina e sollevò la testa per beccarlo. Il rospo si spaventò moltissimo e le si mise proprio davanti.
«È proprio un bellissimo discorso!» pensò il rospetto. «Deve essere un grand’uomo, e come siede in alto, dove io non ho mai visto sedere ancora nessuno, e come sa nuotare!» esclamò quando la cicogna s’innalzò nell’aria spiegando le ali.
«Hanno anche parlato della gemma preziosa!» disse il rospo. «Per fortuna non ce l’ho, altrimenti avrei avuto dei problemi!».
«Ma è così deliziosamente brutto!» disse l’altro.
RACCONTI E FIABE 149
«Già, se potessimo trovargli la gemma preziosa nella testa» disse il poeta «allora vorrei essere presente quando lo squarcerai!».
«La gemma preziosa!» rispose l’altro. «Conosci bene, tu, la storia naturale!».
Intanto si gloterava sul tetto della casa dei contadini, papà cicogna teneva un discorso alla famiglia e guardava storto i due giovani nell’orto dei cavoli.
Mamma cicogna continuò a parlare nel nido, raccontò della terra d’Egitto, dell’acqua del Nilo e di tutte quelle meravigliose paludi che si trovavano nel paese straniero. Le sue parole suonarono nuove e interessanti al piccolo rospo.
«Devo andare in Egitto!» disse. «Se solo la cicogna volesse portarmi con sé, o uno dei suoi piccoli. Io li ricambierò servendoli il giorno del loro matrimonio. Ah, se arrivassi in Egitto sarei proprio felice! Ho tanti desideri e una tale voglia, e certo valgono più di una gemma preziosa in testa!».
E invece aveva proprio quella gemma preziosa: quell’eterna nostalgia e quella voglia di andare in alto, sempre più in alto! Gli brillava dentro, si esprimeva nella gioia, si irraggiava nel suo desiderio.
«Ne hai già due!» disse il poeta. «Lascia che si diverta in pace!».
«Non c’è forse qualcosa di meraviglioso in questa tradizione popolare, nell’idea che il rospo, l’animale più brutto in assoluto, spesso nasconda nella testa una preziosissima gemma? Non succede lo stesso anche con gli uomini? E che pietra preziosa aveva Esopo, e poi Socrate!». Il rospo non sentì altro, ma non capì neppure la metà di quel discorso. I due amici se ne andarono e lui riuscì a non finire sotto spirito.
«L’uomo è la creatura più presuntuosa!» esclamava. «Senti come muovono il becco! E in realtà non sanno nemmeno fare un verso giusto. Si vantano della loro capacità di parlare, della loro lingua! È proprio una bella lingua: se noi viaggiamo un solo giorno la sentiamo parlare in modo incomprensibile: uno non capisce l’altro. La nostra lingua invece la parliamo su tutta la terra, sia in Danimarca che in Egitto. E poi gli uomini non sanno neppure volare. Prendono velocità con un’invenzione che chiamano “ferrovia” ma spesso si rompono anche il collo. Mi vengono i brividi nel becco quando ci penso; il mondo potrebbe benissimo sopravvivere senza uomini. Potremmo fare a meno di loro: basta che ci siano le rane e i vermi».
In quel momento sopraggiunse la cicogna; aveva visto il rospo tra l’erba, si precipitò in basso e prese quel piccolo animaletto senza troppo garbo. Il becco stringeva, il vento soffiava, non era certo piacevole; ma intanto lui andava in alto, in alto verso l’Egitto, lo sapeva bene; e per questo gli brillavano gli occhi, e sembrò che ne uscisse una scintilla. «Cra! Cra! Ahimè!».
Il corpo era morto, il rospo ucciso. Ma la scintilla che proveniva dai suoi occhi, di quella che accadde? Il raggio del sole la prese, il raggio del sole portò via la gemma preziosa dalla testa del rospo. Ma dove la portò?
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Non devi chiederlo allo scienziato, chiedilo piuttosto al poeta; lui te lo racconterà come una favola, e ci sarà il bruco, e la famiglia delle cicogne. Pensa! Il bruco si è trasformato ed è diventato una bella farfalla; la famiglia delle cicogne vola oltre le montagne e il mare fino alla lontana Africa e ciò nonostante trova la strada più breve per tornare di nuovo nella terra danese, nello stesso posto, sullo stesso tetto! Sì, è proprio tutto come una
favola, eppure è vero! Puoi chiederlo allo scienziato, lui lo dovrà ammettere; e tu stesso lo sai, perché l’hai visto. Ma la gemma preziosa nella testa del rospo? Cercala nel sole! Guardalo, se sei capace! Il bagliore è troppo forte. Noi non abbiamo ancora gli occhi in grado di guardare in tutta quella gloria creata da Dio, ma li avremo, e allora diventerà la favola più bella, perché anche noi ci saremo.
Hans Christian Andersen, Il rospo, Mondadori presbite: qualcuno che vede male da vicino. ausiliario: sussidiario, accessorio, d’appoggio. gloterava: da “gloterare”, verso della cicogna.
RACCONTI E FIABE 151
7. Quando il rospo incontra la cicogna, cosa desidera fare?
2. Che cosa ha in testa uno dei piccoli di mamma rospa? a. Una gemma preziosa. b. Una preziosa corona. c. Una profonda ferita, provocata dalla caduta nel pozzo.
5. Qual è il “grande pozzo” di cui parla il rospo quando afferma: «Io mi trovo ancora in un pozzo»? a. La nostra Terra. b. È un pozzo molto grande, profondo e pieno d’acqua. c. È il pozzo in cui abitava il rospo con la sua famiglia. 6. Cosa significa “gloterare”? a. Costruire il proprio nido. b. Tremare di paura. c. Fare il verso della cicogna.
a. Vorrebbe volare e andare con lei in Egitto. b. Vorrebbe servire la cicogna nel giorno del suo matrimonio. c. Vorrebbe vivere con lei e con i suoi piccoli.
Leggi con attenzione il brano e scegli la risposta corretta, mettendo una crocetta sulla lettera giusta.
152 OCCHI APERTI
4. Giunto in un fosso, il rospo ammirò i fiori meravigliosi e vide una farfalla. Che cosa pensò della farfalla?
1. Chi viveva nel profondo di un pozzo? a. Una famiglia di rospi. b. Delle rane verdi. c. Una famiglia di rane e una famiglia di rospi emigrati.
a. Il rospo si arrampicò alla lunga catena e raggiunse l’orlo del pozzo, quindi si tuffò sull’erba vicino al piede di un garzone. b. Il rospo si fece accompagnare dalla mamma rospa, che conosceva una via segreta, fino all’orlo del pozzo.
c. Il rospo saltò dentro al secchio pieno d’acqua che, una volta tirata su, venne versata insieme al piccolo rospo sull’erba.
3. Come fece il rospo più piccolo ad uscire dal pozzo?
a. Il rospo pensò che la farfalla fosse un fiore alzatosi sullo stelo per osservare meglio il mondo. b. Il rospo pensò che quella farfalla fosse l’insetto più bello che lui avesse mai visto. c. Il rospo pensò che quella farfalla fosse un insetto da rispettare per la sua bellezza.
La cicogna, afferrando il rospo senza troppo garbo, lo uccise.
In questa filastrocca veneta si racconta la storia di una famiglia con una caratteristica particolare. Gobbo so pare, gobba so mare, gobba la figlia e la sorella, era gobba pure quella, era era gobba pure quella la famiglia dei gobbon!
RACCONTI E FIABE 153
Il piccolo rospo ha la gemma preziosa. Il piccolo rospo non sa di avere la gemma preziosa.
La gemma preziosa è la gioia di vivere nel profondo di un pozzo e pensare che il mondo sia tutto lì. Il piccolo rospo è felice di vivere nel pozzo con la sua bella famiglia, anche se sa che il mondo non è tutto lì.
La gemma preziosa è la voglia di andare in alto, sempre più in alto! La gemma preziosa è la capacità di accontentarsi di poco.
Un raggio di sole portò via la gemma preziosa dalla testa del rospo e la gemma arrivò fino al sole.
Un soffio di vento strappò dalla testa del rospo la gemma preziosa, la portò lontano ed essa si disperse nel nulla.
9. Quale affermazione è falsa e quale è vera? Metti una crocetta. VERO FALSO
La cicogna trattò il piccolo rospo con garbo e lo portò a giocare coi suoi piccoli.
Quando saremo in Paradiso, i nostri occhi saranno capaci di vedere la gemma preziosa, nonostante il bagliore del sole. Cantiamo insieme La storia dei gobboni
8. Quale affermazione è vera e quale è falsa? Metti una crocetta. VERO FALSO
RACCONTI STORICI
RACCONTI STORICI 155
«Generali, il nostro guerriero più forte, Achille figlio di Peleo, è morto.
È morto Achille il migliore di tutti noi! E noi non possiamo più sperare di vincere i Troiani in guerra aperta, ma forse con un’astuzia potremo riuscire. Se non troviamo il modo di ingannare i nostri nemici e sorprenderli quando meno se l’aspettano, io ho paura, o generali, che dovremo tornarcene a casa con gran vergogna, e la gente dirà: “Dieci anni sono stati lontani quei forti guerrieri, dieci anni hanno combattuto per riavere Elena, ma Elena è rimasta a Troia ed essi son tornati a mani vuote!”. Ora io vi dico, o generali, che a qualunque costo dobbiamo vincere, e qualunque strada è buona purché si vinca!».
«Dici bene» rispose Agamennone «ma è appunto la strada che non sappiamo trovare!».
Achille era morto e i generali si riunirono a consiglio per decidere su quello che si dovesse fare. Ulisse astuto e saggio, re di Itaca, prese la parola.
Laura Orvieto, Storie della storia del mondo, Giunti Junior
«Certamente! Ecco una buona strada!» rispose Agamennone.
STORIA DI UN CAVALLO DI LEGNO
«Ci ho pensato molto e mi pare di averla trovata. Ascoltate. Fabbricheremo un cavallo di legno, ben lavorato, tutto dipinto e grande abbastanza da contenere nel suo interno otto o dieci persone. Lo faremo portare a Troia, e nel mezzo della notte i guerrieri nascosti dentro il cavallo usciranno, apriranno le porte e Troia sarà invasa dai nostri. Non vi pare che così si potrebbe riuscire?».
156 OCCHI APERTI
PITAGORA Dopo Eraclito, fece la sua comparsa nella storia Pitagora, il quale sarebbe divenuto non solo un grande filosofo, ma anche un grande maestro. Un maestro che, a differenza dei primi filosofi (Talete, Anassimandro, Anassimene ed Eraclito) non visse in Grecia, ma nella Magna Grecia, che altro non era che una colonia fondata dai Greci nell’Italia meridionale. Pitagora, proprio in Magna Grecia, inaugurò una sua scuola.
Questa scuola non somigliava per nulla a quella a cielo aperto di Talete, Anassimandro e Anassimene: era una scuola a tutti gli effetti, con banchi, aule, professori preparati e seri, e tanti alunni.
Le materie che venivano insegnate erano tantissime, ma noi sappiamo davvero poco di quel che gli studenti della scuola di Pitagora studiavano. Tutti gli alunni di Pitagora, infatti, erano tenuti a mantenere il segreto su ciò che veniva loro insegnato. Ma si sa che è difficile mantenere un segreto; e qualcuno, per nostra fortuna, raccontò qualcosa di quel che aveva imparato. Così possiamo anche noi avere qualche notizia di ciò che studiavano i pitagorici, ossia gli studenti di quella scuola. Sappiamo, per esempio, che i pitagorici avevano una grande passione per la matematica e la geometria. E che Pitagora era convinto che con i numeri si potesse spiegare ogniUncosa.giorno, entrando in classe, Pitagora disse: «Cari ragazzi, dovete sapere che il quattro non è solo il numero 4, ma è il numero delle stagioni, delle ruote di un carro, degli arti di un uomo, dei lati di un quadrato, delle gambe di una sedia… Il dodici, è il numero della dozzina, dei mesi di un anno… Il due è il numero degli occhi di un uomo (a meno che sia un ciclope, cioè un mostro
Così gli alunni della scuola di Pitagora dovevano imparare a far di conto, ma anche sapere che l’unico modo per crescere è rispettare il cosmo.
A.J. Geis, La grande corsa di Maratona, in I quindici, Field Educational Italia filosofo: pensatore, colui che ricerca il sapere. arto: membro, braccia, gamba. venerazione: rispetto, ossequio, reverenza.
E che cos’altro insegnava Pitagora ai suoi scolari? Ricordava loro che chi non impara queste cose non solo non diventa uomo, ma diventa come un animale o, peggio, una cosa.
Pitagora e i suoi alunni avevano una vera e propria venerazione per l’ordine.
Di questi esempi il maestro ne faceva tantissimi; la realtà per lui era come un gioco fatto di numeri. Anzi, secondo Pitagora, tutta la realtà è fatta di numeri, e i numeri sono una cosa reale come le montagne, il sole che sorge e la luna che spunta quando se ne va il sole. E a volte sembrava che Pitagora, a forza di parlarne, desse davvero i numeri!
La natura e le cose che ci circondano sono sempre disposte secondo un ordine preciso, ed è l’uomo che introduce il disordine. Questo è quello che Pitagora continuava a sostenere nei suoi discorsi. Proviamo, per intenderci, a immaginare un bel prato pieno di fili d’erba, tutti disposti come soldatini che camminano l’uno dietro l’altro: ecco, per Pitagora il mondo è come quel prato. Ma poi arriva l’uomo e, calpestandolo, crea il caos (che è un’altra parola greca che significa “disordine”).
Gli studenti erano affascinati da questo maestro: Pitagora trovava per ogni cosa un numero e tutto per lui era ordinato. Il mondo, per i pitagorici, era così pieno di numeri e ordinato che alla fine gli diedero il nome di “cosmo”, che in greco significa appunto “ordine”.
RACCONTI STORICI 157 con un occhio solo), e delle facce della stessa medaglia…». Un altro giorno portò uno strano strumento musicale a scuola e incominciò a suonarlo (lo strumento era la lira, che ai tempi di Pitagora non era la vecchia moneta italiana, oggi peraltro sostituita dall’euro, ma una specie di arpa). Nel vivo dell’esecuzione, quando tutti a bocca aperta seguivano meravigliati una melodia incantevole, Pitagora s’interruppe bruscamente; egli mostrò come il suono di ogni corda è differente perché una misura 10 centimetri, l’altra 12, un’altra ancora 14.
Per il maestro rispettare l’ordine e studiare la matematica erano l’unico modo per essere veri. Per i pitagorici chi è ignorante e non rispetta l’ordine che c’è nella natura non è davvero uomo.
La scuola di Pitagora – lo si capisce bene – era anche una scuola di vita.
«Lo so, lo so» rispose Milziade, «ma i Persiani, nel loro cammino verso Atene, possono attaccare la città prima del nostro arrivo. Gli Ateniesi non sono al corrente della vittoria, e può anche darsi che si arrendano al nemico. Bisogna assolutamente dare loro la notizia che abbiamo vinto a Maratona; così essi resisteranno fino al nostro arrivo».
Il generale si accarezzò il mento con aria pensosa. «Tu sei il mio messaggero
158 OCCHI APERTI
Improvvisamente
«È un vero peccato che tu non abbia potuto assistere alla battaglia» disse Marcello. «Sulle prime anche noi non sapevamo come sarebbe andata a finire. Avresti dovuto vedere come si agitava Milziade e come incitava a combattere con tutte le nostre forze per la gloria della Grecia». Marcello rise al ricordo del generale Milziade durante il combattimento.
Se ne andò e Filippide si alzò in piedi. «Ci risiamo» sospirò. Batté amichevolmente sulla spalla dell’amico e disse: «Sarà opportuno rimandare le celebrazioni e… il mio sonnellino!». Poi uscì. Milziade stava camminando avanti e indietro per la sua tenda quando Filippide«Finalmenteentrò.sei arrivato!» gridò il generale alzando le braccia. «Entra, entra. Filippide, ho una missione molto importante da affidarti. Devi andare immediatamente ad Atene».
«Ma sono appena rientrato da Sparta!» protestò il giovane.
IL PIÙ
«È stata davvero una grande vittoria» disse Filippide. «Ho sentito dire che i Persiani hanno gettato archi e frecce e si sono rifugiati presso le loro navi». «Questo è stato dopo che avevano perso circa seimila uomini. Non credo che daranno più fastidio ai Greci» rispose Marcello.
VELOCE
la tenda si sollevò ed entrò un soldato. «Cosa succede adesso?» domandò Filippide mettendosi a sedere sul letto. «Il generale Milziade vuole vederti, pare che si tratti di un caso di emergenza!» disse il milite. «Io pensavo che casi di emergenza si fossero esauriti con la disfatta dei Persiani!» disse Marcello. «Non so di cosa si tratti, ma è meglio che ti sbrighi» replicò il soldato.
Il giovane greco si era appena buttato nel suo lettuccio di paglia, quando un lembo della sua tenda si sollevò: era il suo amico Marcello. «Filippide, ti ho cercato dappertutto!» esclamò. «Su, vieni con noi a celebrare la «Novittoria».grazie» rispose Filippide. «Io ho già iniziato le celebrazioni con un bel sonnellino. Sono appena tornato da Sparta. Ho dovuto portare un messaggio ai nostri alleati».
Filippide annuì. Era terribilmente stanco. Ma si rendeva anche conto dell’estrema importanza di quella missione. «Capisco» disse. Milziade sorrise e disse: «Bravo, sapevo che non mi avresti deluso. Parti subito e buona fortuna». Il giovane salutò e scomparve. Il sole bruciava: Filippide cercò la borraccia per l’acqua. Poi si ricordò che l’aveva lasciata nella sua tenda. Tornò indietro, la prese, la riempì nuovamente dopo aver bevuto a lungo e la legò saldamente alla cintura. Atene distava una quarantina di chilometri. «Bene! Almeno non è lontana come Sparta!» pensò, mentre attraversava il campo, in mezzo ai soldati raggianti per la vittoria. Inciampò nel piolo di sostegno di una tenda e poco mancò che non finisse a terra. Era proprio stanco. «Aspetta, Filippide!». Si voltò e vide Marcello correre verso di lui. «Dove stai andando?» gli domandò l’amico. «Ad Atene!» rispose «Vuoi che porti qualche messaggio alla tua famiglia». «No!» disse l’altro, «Ma, se fossi in te, andrei adagio. Hai l’aria stanca». Filippide scrollò le spalle. «Tutto in un sol giorno!» sospirò. Abbracciò l’amico e riprese il cammino. «A presto!» gridò. L’esercito era accampato ai piedi di una collina. Decise di scalare la collina invece di prendere la strada più lunga che le girava intorno. Si arrampicò tra rocce, alberi e cespugli. Quando fu in cima al colle si fermò Anfora in terracotta panatenaica, part., The Metropolitan Museum of Art, New York
RACCONTI STORICI 159
più veloce. Tu devi portare la notizia ad Atene. Tu solo sei in grado di raggiungere la città in tempo».
L’ombra si posava piacevolmente sul corpo stanco: Filippide cominciava a sentirsi meglio. Prese la borraccia dalla cintura, si sciacquò la bocca, poi bevve alcuni sorsi di acqua fresca. Ricordò la missione che doveva compiere.
Pensò a Milziade. Il generale lo aveva chiamato il più veloce dei suoi messaggeri. E questa era una missione molto importante: il destino di Atene era nelle sue mani.
160 OCCHI APERTI per prendere fiato. Poi prese la strada che conduceva ad Atene. Qui rallentò il passo: avrebbe seguito il consiglio di Marcello e sarebbe andato adagio, in modo da conservare le forze fino all’ultimo; poi avrebbe fatto appello a tutte le sue energie per correre velocemente verso la città. Dopo un’ora il sudore colava dalla sua fronte, ma Filippide non avvertiva la stanchezza. Camminava a passi lunghi e regolari. Cominciò a correre per la strada polverosa sollevando con i piedi nugoli di polvere. Gli piaceva correre: si sentiva libero e leggero.
«Bisogna che arrivi prima dei Persiani», pensò. «Bisogna che corra più inIfretta».chilometri volavano sotto i suoi piedi. Quindici, venti, venticinque.
Ce l’avrebbe fatta? Adesso era molto stanco. Improvvisamente Filippide tossì. La polvere lo ricopriva: riusciva a respirare a stento. Cercò di non fermarsi, ma fu impossibile: la tosse non accennava a smettere. Si portò sul ciglio della strada sotto un ulivo. Cercò la borraccia, ma si rese conto che era meglio non bere: sarebbe stato peggio. Prima bisognava riposare. Poi sarebbe stato più facile respirare.
Si rendeva conto che non poteva riposare ancora. Forse anche le navi persiane si stavano avvicinando al porto di Atene. Si asciugò il sudore dal viso e dal collo. Fece il conto della distanza che aveva già percorso e decise che gli rimanevano ancora pochi chilometri.
RACCONTI STORICI 161
Ad ogni passo gli sembrava di andare più adagio. Si impegnò con tutte le sue energie. Doveva raggiungere Atene prima dei Persiani. Cominciò a scorgere le prime fattorie alla periferia di Atene. Non appena le raggiunse molti sollevarono il capo per guardarlo. Ma non si fermò. Il cuore gli batteva forte nel petto. Alberi e campi gli passavano confusamente davanti agli occhi. Correva con la bocca spalancata, per “succhiare” l’aria.
Attraversò la grande porta di ingresso in Atene. Finalmente, sbucò nel centro della piazza del mercato. Sentiva il mormorio della gente intorno a lui; qualcuno gli toccò il braccio. Molto confusamente, riuscì a riconoscere uno dei capi della città. «Filippide, che cosa è successo?» gridò l’uomo, precipitandosi verso di lui. Il giovani sentì che le sue gambe non avevano più forza. Si piegò sulle ginocchia, respirava a fatica. Quasi in un soffio, mormorò: «Rallegratevi! Abbiamo vinto!». Poi cadde al suolo. Il governatore si chinò e ascoltò il cuore del ragazzo. Era fermo. Allora guardò la gente che si era affollata lì vicino. «È morto» disse. «Egli ci ha portato le notizie di Maratona, ma ha perso la vita. I nostri soldati hanno sbaragliato i Persiani a Maratona. Grazie al coraggio di questo giovane, noi siamo a conoscenza della vittoria e non ci arrenderemo al nemico».A.J.Geis, La grande corsa di Maratona, in I quindici, Field Educational Italia nugolo: frotta, nuvola, gran quantità.
L’intero esercito si trovava a Maratona con Milziade. Pochi uomini erano rimasti a difendere Atene: si sarebbero arresi ai Persiani?
Si alzò e stirò i muscoli delle gambe. Lentamente si rimise in cammino. Nonostante il riposo, le gambe erano stanche, ma un po’ per volta riuscì a riprendere velocità. Era quasi arrivato. Era il momento per lo scatto finale. Fece forza sulle lunghe gambe, spinse il corpo in avanti. Le braccia, un poco sollevate, rispondevano ritmicamente al movimento degli arti inferiori.
Pensava che presto si sarebbe sentito pieno di energia: gli capitava sempre così, dopo aver camminato a lungo. E invece, questa volta pareva che le forze volessero abbandonare il suo corpo.
Viveva in Grecia la più abile allieva di Atena, Aracne, la ricamatrice.
La dea pianse sul corpo senza vita dell’allieva, e pian piano quel corpo rimpicciolì e riprese a muoversi: era diventato un ragno, che subito cominciò a tessere la sua tela.
Silvia Benna Rolandi, Dei ed eroi dell’Olimpo, Dami Editore arazzo: panno tessuto a figure.
ATENA E ARACNE
«Nemmeno Atena potrebbe fare di meglio» dicevano. Questi commenti arrivarono all’orecchio della dea, che andò subito a vedere il lavoro Vedendoladell’allieva.arrivare,
Aracne s’inginocchiò davanti a lei tremando: troppo si era vantata di ciò che sapeva fare. Atena le sorrise, benevola, ma appena posò gli occhi sullo stupendo arazzo, aggrottò la fronte, irritata: la sua allieva l’aveva davvero superata! Afferrò la tela ricamata e la stracciò con rabbia.
Aracne lanciò un urlo e scappò via. In un attimo era stato distrutto il suo lavoro più bello. Fuggì nella foresta e Atena, che l’aveva seguita, forse pentendosi del suo gesto crudele, la ritrovò morta.
162 OCCHI APERTI
Fiera della sua arte, decise di ricamare su un arazzo la storia degli dèi, poi espose il suo capolavoro. Molti accorrevano ad ammirarlo e si complimentavano con l’artista.
L’INGRESSO DEI PERSIANI
Il cerimoniere ordinò di dare fiato alle trombe e i dignitari persiani fecero il loro ingresso solenne nella sala del trono. Il capo della delegazione era Arsames, il satrapo della Frigia, accompagnato dal suo governatore militare e da altri maggiorenti che seguivano a qualche passo dietro di lui. Erano fiancheggiati da un scorta di dodici Immortali, i soldati della guardia imperiale. Alti quasi sei piedi di colorito olivastro, avevano barbe nerissime e crespe e capelli sontuosamente acconciati e arricciati. Portavano a tracolla i micidiali archi a doppia curvatura e le faretre di cedro intarsiate d’avorio e di lamine Incedevanod’argento.apasso cadenzato appoggiando in terra le aste delle lance coi pomoli d’oro. Dal loro fianco pendeva l’abbagliante akinake, la daga d’oro massiccio. Il fodero, anch’esso d’oro, era sospeso a un nottolino agganciato al cinturone, cosicché l’arma oscillava liberamente a ogni passo dei maestosi guerrieri. Valerio Massimo Manfredi, Aléxandros. Il figlio del sogno, Mondadori daga: spada. nottolino: anello a forma di becco di civetta. dignitario: nobile, capo. faretre: turcasso, astuccio di legno leggiero, talvolta di avorio o di metallo, in cui gli arcieri tenevano le frecce.
RACCONTI STORICI 163
E improvvisamente, quando sembrava che il giovane crollasse a terra per lo sforzo, il destriero rallentò la sua corsa, trotterellò per un poco e poi si mise al passo scuotendo la testa e sbuffando.
Ma gli uomini fecero un cenno come per dire “ascolta”. Sentivano che gli parlava nell’ansimare della corsa, gli gridava qualcosa, parole che il vento si portava via assieme ai nitriti dell’animale che quasi pareva rispondergli.
164 OCCHI APERTI
Era più nero di un’ala di corvo e aveva una stella bianca in mezzo alla fronte a forma di cranio di bue. A ogni movimento del collo o delle terga scaraventava a terra gli stallieri e li trascinava sull’erba come pupazzi inerti. Poi ricadeva sugli zoccoli anteriori, scalciava all’indietro furibondo, flagellava l’aria con la coda, scrollava la lunga criniera luccicante. Alessandro, come l’avesse colpito una frustata, si riscosse improvvisamente e gridò: «Lasciatelo! Lasciate libero quel cavallo, per Zeus!».
Raggiunsero la sommità del colle e Alessandro si arrestò stupefatto: in basso, davanti ai suoi occhi, uno stallone nero s’impennava con un guizzo delle reni sulle zampe posteriori, lucido di sudore come una statua di bronzo sotto la pioggia, tenuto da cinque uomini attaccati a lacci e briglie, che cercavano di controllarne la formidabile possanza.
Uno dopo l’altro sciolsero i lacci e gli lasciarono solo le briglie sul collo. E subito l’animale si allontanò correndo nella pianura. Alessandro si lanciò all’inseguimento di corsa e gli si affiancò sotto l’occhio stupito del re e dei suoi stallieri. Il sovrano scosse la testa mormorando: «Oh, dei, gli scoppierà il cuore a quel ragazzo, gli scoppierà il cuore».
Filippo gli appoggiò una mano sulla spalla. «Aspetta ancora un poco, ragazzo, aspetta che l’abbiano domato. Solo un po’ di pazienza e sarà tuo». «No!» esclamò Alessandro. «No! Soltanto io lo posso domare. Lasciatelo! Vi dico di lasciarlo». «Ma fuggirà!» gli fece notare Filippo. «Ragazzo mio, l’ho pagato una«Quanto?»fortuna!».chiese Alessandro. «Quanto l’hai pagato, papà?». «Tredici talenti».
Filippo lo guardò e lo vide quasi fuori di sé per l’emozione, le vene del collo turgide come quelle dello stallone infuriato. Si volse agli uomini e ordinò: «Liberatelo!».Obbedirono.
BUCEFALO
«Ne scommetto altrettanti che riesco a domarlo! Ma di’ a quegli sciagurati di lasciarlo! Ti prego!».
Filippo si girò verso il figlio e gli disse: «Ti ho portato un regalo».
Alessandro allora gli si avvicinò piano, mettendosi dalla parte del sole. Poteva vederlo ora, illuminato in pieno, poteva vedere la sua fronte ampia e nera e la macchia bianca a forma di cranio di bue. «Bucefalo» sussurrò. «Bucefalo… Ecco, è questo il tuo nome… È questo. Ti piace, bello? Ti piace?». E gli si accostò fin quasi a toccarlo. L’animale scrollò la testa, ma non si mosse e il ragazzo stese la mano e lo accarezzò sul collo, con delicatezza, e poi sulla guancia e sul muso, morbido come muschio. «Vuoi correre con me?» gli domandò. «Vuoi correre?». Il cavallo nitrì alzando la testa fierissima e Alessandro capì che assentiva. Lo guardò fisso negli occhi ardenti e poi con un balzo gli fu in groppa e gridò:«Vai!Bucefalo!».
Valerio Massimo Manfredi, Aléxandros. Il figlio del sogno, Mondadori possanza: forza, potere, potenza. terga: schiena. turgide: gonfie, tumefatte, grosse.
RACCONTI STORICI 165
Trascrivi sul quaderno i modi di dire contenuti nella lettura e prova a spiegare il significato.
Così anche l’Odissea, titolo dell’opera che descrive le avventure di Ulisse (Odisseo), è diventato un modo di dire molto utilizzato: «Il mio viaggio è stata una vera e propria Odissea!».
Ora che hai superato la fatica di leggere la storia di questi modi di dire, che è stata forse pari ad una delle “dodici fatiche di Ercole”, puoi finalmente riposarti, abbandonandoti “tra le braccia di Morfeo”.
MODI TRATTI DAI MITI GRECI
DI DIRE
Se pensi al fatto che il tuo punto debole sia anche chiamato il tuo “tallone d’Achille”, ad esempio, puoi pensare come il mito della guerra di Troia incida anche su come descrivi te stesso o gli altri.
E davanti a quanti impedimenti puoi esclamare: «La speranza è l’ultima a morire»? Forse non lo sai, ma stai parlando del mito di Pandora, che fece fuggire dal suo vaso, dono di Zeus, tutti i mali del mondo e riuscì a trattenervi solamente proprio la speranza.
Più stupefacente ancora può essere per te scoprire che quando dici “essere piantato in asso”, nel senso di essere lasciato solo all’improvviso, in realtà vorresti dire “essere piantato in Nasso”, modo di dire che deriva dalla mitica storia di amore tra Teseo ed Arianna, che finisce proprio così.
Ma non dormire sonni troppo tranquilli! I mezzi informatici che credi così sicuri potrebbero subire l’attacco di un “cavallo di Troia”, che oggi è un famoso tipo di virus del computer.
166 OCCHI APERTI
I miti si sono tramandati attraverso molte generazioni, e sono stati spesso usati per insegnare come vivere in situazioni diverse, anche molto normali e quotidiane. Da molti miti, così, sono nati brevi modi di dire che descrivono semplici situazioni in cui è facile trovarsi tutti i giorni.
La moglie Penelope, attendendolo, prendeva tempo cucendo una tela, la nota “tela di Penelope”, appunto, cioè l’iniziare un lavoro per prendere tempo, come alibi, non con l’intenzione di portarlo a compimento.
Così quando non hai studiato e la maestra sta per chiamare per l’interrogazione, puoi forse pensare alla famosa “spada di Damocle”, ma Damocle si è trovato realmente con una spada appesa sulla sua testa con un crine di cavallo dal tiranno di Siracusa Dionigi che voleva fargli comprendere la pericolosità della condizione in cui si trova chi ha in mano il potere.
Una volta asciutto potrai procedere alla decorazione scegliendo il motivo mitologico che più ti piace graffiandolo con uno stuzzicadenti al centro del cartoncino. Alcune parti potrai colorarle graffiando. Realizza sopra e sotto delle “grechine” decorative.
Il graffito La tecnica a figure nere degli abili artigiani greci consisteva nel graffiare la superficie del vaso per disegnare decorazioni e particolari delle scene precedentemente dipinte di nero.
Prova anche tu ad utilizzare questa tecnica per rappresentare un mito e una decorazione alla maniera greca.
Mettiamoci all’opera
RACCONTI STORICI 167
Cratere di terracotta (ciotola per mescolare vino e acqua) , part., The Metropolitan Museum of Art, New York
Prendi un cartoncino grande circa la metà di un foglio A4, coloralo ricoprendolo completamente con un pastello a cera o a olio arancione. Successivamente passa uno strato di tempera nera mescolata a una piccola quantità di sapone liquido.
SCRITTORI ANTICHI
168 OCCHI APERTI
Ci hanno lasciato i modelli e le regole dei poemi epici, del teatro, della poesia e della narrativa, del racconto storico e della riflessione filosofica, ma soprattutto la loro ricca e profonda riflessione sulla vita dell’uomo e il mondo che lo circonda: le gioie, i dolori, le amicizie e anche gli odi.
Gli antichi Greci hanno un ruolo particolare nella storia della nostra civiltà europea: hanno creato la struttura della città nella sua forma democratica, hanno formulato teorie fisiche e matematiche, hanno progettato macchine e congegni che hanno anticipato invenzioni moderne, ma soprattutto hanno creato una ricca serie di racconti e personaggi mitici per rappresentare i fenomeni della natura e le speranze e le angosce di tutta l’umanità.
RACCONTI STORICI 169
IL LEONE INVECCHIATO E LA VOLPE
In questo modo tutti gli animali che venivano a fargli visita li afferrava e se li mangiava. E già ne aveva uccisi parecchi, quando arrivò la volpe, che aveva capito lo stratagemma e, tenendosi lontana dalla grotta, gli chiese come stava. «Male», rispose il leone, e le domandò come mai non entrava. E lei: «Sarei entrata, se non avessi visto molte orme che entrano e nessuna che esce». Così gli uomini ragionevoli in base agli indizi riescono a prevedere i pericoli e a sfuggirli. Esopo (VI secolo a.C., schiavo a Samo), Favole, Bur
IL VENTO TRA I RAMI DEI MELI C’è un bosco di meli grazioso e ci sono altari che fumano incenso; si sente il rumore dell’acqua fresca tra i rami dei meli, e tutto il luogo è ombreggiato di rose, e lo stormire delle foglie invita al sonno. C’è un pascolo rigoglioso di fiori … e soffiano brezze soavi.Saffo (fine VII - prima metà VI secolo a.C, isola di Lesbo), frammento 2
IL BUON AMICO Se qualcuno ti loda tutto il tempo che ti ha sotto gli occhi, e appena è lontano sputa parole maligne, no, un uomo così non ti è buon amico, chi dice buone parole e pensa diversamente. Voglio un amico che conosca il carattere dell’amico e lo sopporta anche quando è difficile, come un fratello. Pensa, dunque, mio caro, a queste cose e ti ricorderai di me nel futuro.
Teognide (fine VI - inizi V secolo a.C., Attica), Elegie, 87-100, Bur
Un leone invecchiato, che non era più in grado di procurarsi il cibo con la forza, capì che doveva procurarselo con l’intelligenza. Si ritirò quindi in una caverna, e giaceva, fingendo di essere malato.
Lo stratega Pericle, dopo il primo anno della guerra contro Sparta, tiene un discorso per ricordare i primi soldati greci caduti in battaglia. Celebrandone il coraggio, esalta i valori della città di Atene in cui i giovani sono cresciuti e si sono formati, dandoci un ritratto della città greca e dei principi su cui era basata: la democrazia, la responsabilità dei cittadini per il bene pubblico, l’amore per la libertà, la bellezza e la ragione. [Noi Ateniesi] amiamo il bello con misura e cerchiamo il sapere senza debolezza. Usiamo la ricchezza più come occasione per agire che per vantarcene a parole; e non è vergogna ammettere la propria povertà, quanto piuttosto non evitarla con l’azione. Da noi le stesse persone si interessano delle questioni private e di quelle pubbliche, e pur dedicandosi a varie attività abbiamo sufficiente conoscenza dei problemi politici. Noi soli infatti consideriamo chi non si occupa di queste cose non un uomo tranquillo, ma un uomo inutile. Decidiamo e discutiamo tra di noi le questioni, ritenendo che danneggi l’azione non il discorso, ma piuttosto il non essere informati attraverso il discorso prima che si arrivi all’azione. Infatti siamo diversi dagli altri anche perché siamo capaci della massima audacia e contemporaneamente siamo capaci di prevedere ciò che dovremo affrontare, mentre per gli altri il coraggio viene dall’ignoranza, l’esitazione viene dal calcolo. Ma è giusto considerare superiore nell’anima chi, conoscendo con la massima chiarezza il bene e il male, non si tira indietro dai pericoli per questo. Anche per ciò che riguarda la virtù, noi Ateniesi ci comportiamo in modo diverso dalla maggior parte degli uomini: ci facciamo degli amici non ricevendo del bene, ma facendolo. Chi ha fatto del bene è un amico più sicuro perché con la sua benevolenza deve mantenere la gratitudine in colui a cui ha fatto del bene; chi lo ricambia è più fiacco, perché restituendo il bene ricevuto non compie un atto di virtù, ma paga un debito. E siamo i soli a fare del bene senza paura, non per il calcolo del profitto che può venirne, ma con la fiducia che viene dallaTucididelibertà.(Vsecolo a.C., Atene), Storie. Libro II, in Il racconto della letteratura greca, a cura di G. Paduano, Zanichelli
ELOGIO DI ATENE
170 OCCHI APERTI
RACCONTI STORICI 171
UN ESEMPIO DELLA SCIENZA GRECA: IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE Qualunque grandezza solida abbandonata in un liquido, se è più leggera del liquido vi si immerge fino a un punto tale che un volume di liquido pari a quello della parte immersa ha lo stesso peso del solido intero. Archimede (III secolo a.C., Siracusa), Sui galleggianti, in Antologia della letteratura greca, a cura di G. Paduano, Zanichelli
DESCRIZIONI
Il grano è biancastro tra filari, ma il suo biondo s’indovina.
DESCRIZIONI 173
Un grosso lume brilla sul lago di tenebre, unico, verso Firenze, come un faro inutile. I cani urlano e abbaiano alla lontana.
PAESAGGI NATURALI DALLA FINESTRA DI NOTTE
Il cielo si inarca con infinita pace e tranquillità fino allo zenit gremito di stelle verdi e mute. La luna pende sulla mia casa, impassibile.
Lo stridore assiduo d’infiniti grilli, e l’accendersi e lo spegnersi di un’unica lucciola vagante sopra le spighe come spersa.
Dalla stessa finestra, di notte.
Uno dei campi di grano è per un gran tratto immerso nell’ombra della mia casa: gli olivi bagnati dal lume di luna serbano il loro colore glauco, un po’ più grigio forse e come annebbiato.
Le piante dei fichi, scure, emergono dalla pallidezza dei campi indecise nei contorni, e il piano s’allarga, dietro, simile a un gran lago nero, sinistro, inquietante, dove le case bianche e di forma imprecisa paiono gli isolotti di un arcipelago sepolcrale.
Improvvisamente un uomo nero sbuca con mistero dalla siepe, scalzo e s’allontana tra le ombre acciaccando l’erba e i fiori del Ardengocampo.Soffici,Giornale di bordo, Nabu Press
Una scialba caligine annebbia le falde di Montemorello che monta bluastro verso il cielo dove la sua groppa si perde.
«Il mare prima della tempesta era quasi ancor più impressionante che durante la tempesta stessa. Le onde si susseguivano così rapidamente che l’una si abbatteva sull’altra creando una sorta di schiuma, mentre la sabbia trasportata dal vento avvolgeva il mare in primo piano in una specie di velo.
«Finalmente il cielo stellato dipinto la sera sotto un lume a gas. Il cielo è azzurro verde, l’acqua è blu reale, la città è blu e viola, la lampada a gas è gialla e i riflessi sono di un oro rosso e arrivano fino al bronzo verde».
174 OCCHI APERTI
«Ho passeggiato una notte lungo il mare sulla spiaggia deserta, non era ridente, ma neppure triste, era… bello. Il cielo di un azzurro profondo era punteggiato di nuvole d’un azzurro più profondo del blu base, di un cobalto intenso, e di altre nuvole d’un azzurro più chiaro, della lattiginosa bianchezza delle vie lattee. Sul fondo azzurro scintillavano delle stelle chiare, verdi, gialle, bianche, rosa chiare, più luminose delle pietre preziose di quelle che vediamo anche a Parigi, perciò era il caso di dire: opali, smeraldi, lapislazzuli, rubini, zaffiri.
Vincent van Gogh al fratello Theo Vincent a Theo. Van Gogh in parole e colori, a cura di A. Rovetta, Edizioni di Pagina
DIPINGERE CON GLI OCCHI DI UN PITTORE
«… un cielo notturno con una luna senza splendore, una falce sottile che emerge dall’ombra opaca, una stella con uno splendore esagerato, se vuole, uno splendore dolce di rosa e verde in un cielo oltremare sul quale corrono le nuvole. In basso una strada bordata di alte canne gialle e un altissimo cipresso dritto e cupo».
Il mare era di un blu oltremare molto profondo, la spiaggia di un tono violaceo e mi pareva anche rossastra, con dei cespugli sulla duna (la duna è alta cinque metri), dei cespugli color blu di Prussia».
Proprio lì c’era una barca da pesca, l’ultima della fila, e alcune piccole figure scure…».
«I cipressi sono belli come linee e come proporzioni e assomigliano a un obelisco egiziano. Il verde è un colore così distinto. Rappresenta la macchia nera in un paesaggio sotto il sole. Ora bisogna vederli qui contro il blu, nel blu per meglio dire… gli alberi sono molto grandi e massicci. Dietro delle colline viola, un cielo verde e rosa con una falce di luna».
DESCRIZIONI 175 Vincent van Gogh, Campo di grano con cipressi , part., The Metropolitan Museum of Art, New York
176 OCCHI APERTI
Il Torrente Lo Zai è il torrente più bello del mondo: con il suo riso, le sue cascate, la sua acqua limpidissima dalla sorgente; burrascoso, irruento, spavaldo, dalle onde color cenere piombo.
Thomas Mann, La montagna incantata La Pioggia Già la pioggia è con noi, scuote l’aria silenziosa. Le rondini sfiorano le acque spente presso i laghetti lombardi, volano come i gabbiani sui piccoli pesci, il fieno odora oltre i recinti degli orti.
Salvatore Quasimodo
Ezio Franceschini, La valle più bella del mondo, Vita e Pensiero La Cascata Una svolta della strada rese visibile il burrone boscoso e roccioso ove l’acqua andava a cascare. Nell’atto in cui quella vista si presentò ai loro occhi, essi udirono anche il rumore in tutta la sua forza. Le masse d’acqua cadevano in linea. Precipitavano con fragore mescolando ogni sorta di rumori e di suoni: echi di tuoni, ruggiti, urla, strombettii, schianti, rimbombi. Era una cosa che sbalordiva. Sfiorati da un’aria umida, spruzzati, avvolti nel polverio d’acqua, con le orecchie ovattate di rumore, contemplavano lo spettacolo di quella continua catastrofe fatta di spuma e di fragore il cui rombare li assordava.
GUARDANDO L’ACQUA
La Pioggia Poi il profumo della terra bagnata si fece più intenso. L’odore del legno umido cominciò a impregnare l’aria. Ogni foglia, ogni erba emanava una fragranza meravigliosa, forte e fortificante.
DESCRIZIONI 177
Felix Salten, Bambi, Garzanti Il Mare
La luce saliva nell’aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido, tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo. I miei occhi si riempirono di lacrime tenere.
Massimo Bontempelli, La donna dei miei sogni, Arnoldo Mondadori Il Mare Fin dove giungeva l’occhio, più in là verso l’infinito, si stendeva ondeggiando l’acqua azzurra, ma con infinite gradazioni di turchino, di verde, di viola, con sfumature di rosa e di arancio leggere leggere. E su quello sconfinato piano, che si congiungeva in un immenso cerchio con il cielo, correvano palpitando le onde, si avvicinavano, con rapido galoppo si gonfiavano, si sollevavano, si lanciavano con impeto fragoroso sugli scogli, si frangevano impetuosamente in flutti di spume, in turbini di spruzzi candidi che si scagliavano contro il cielo e ricadevano in pioggia di gocce iridescenti. Virgilio Brocchi
Il mare mi apparve che era infinito, tranquillo. Era azzurro infinito e, lontano, grandi strisce d’argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti.
•
• Quali
178 OCCHI APERTI ALBA SUL MARE
Mi piace remare la mattina presto, sul mare. Il mare ha un odore fresco di alghe verdi e ci volano sopra le farfalle bianche, a due a due, come sui prati in campagna. Il mare è liscio, di un blu di vetro; io remo piano, raggiungo la costa e prendo a remare vicino alleOgnirocce.tanto mi fermo e guardo nell’acqua; vedo che è trasparente e posso scorgere dei pesciolini che nuotano nello scintillio del sole, scodinzolanti, argentei, con una riga nera dentro il corpo di vetro e la pallina nera dell’occhio nella testa.
• Cosa
•
Quali aggettivi si riferiscono agli elementi presi in esame dallo scrittore? Come sono IL MARE, L’ACQUA, I PESCI? verbi/azioni sono riferite al protagonista del racconto? ama fare al mare?
Alberto Moravia, L’automa, Bompiani
LA SPIAGGIA DI CESENATICO
DESCRIZIONI 179
Più ancora del cielo determinava l’ambiente la distesa immensa del mare, diviso quel giorno in due colori: verde sabbia presso la costa, trasmutava via via, al largo, in un turchino sempre più intenso; era calmo, minima quindi la sua voce, e ritmica: un fruscio e un silenzio, un fruscio e un silenzio, ancora, instancabilmente, un fruscio e un silenzio: quasi un gioco, ma – non fosse che per quella straordinaria costanza – il gioco di un gigante.Eugenio
Corti, Il cavallo rosso, Ares
La striscia di sabbia lambita dall’Adriatico si stendeva davanti a loro verso sud, vergine, a perdita d’occhio; solo molto lontano sembrava terminare in una confusa, a malapena visibile macchia biancastra: Rimini di certo.
Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Ares
Claude Monet, Cabina della dogana , The Metropolitan Museum of Art, New York
Ascoltiamo insieme
Verso sinistra, cioè verso il centro della cittadina, il vecchio porto-canale protendeva i suoi due moli nel mare: da questa parte gli ombrelloni colorati e le sedie a sdraio erano alquanto più fitti, e così le cabine di legno, che per qualche tratto formavano addirittura una fila continua. Non che, con questo, non ci fosse abbondanza di spazio anche qui.
La Mer di Debussy Il brano esprime tre aspetti che caratterizzano il mare: la tranquillità dell’alba, il gioco delle onde e il movimento del vento sull’acqua.
LA RIVIERA ADRIATICA
La spiaggia di Cesenatico – molto larga, e in quell’anno non affollata –si stendeva verso destra a perdita d’occhio: da quella parte oltre un certo limite non era più utilizzata dai bagnanti, e una magra vegetazione e festoni di rimasugli depositati dalle onde la macchiavano qua e là.
Gianfranco Lauretano, Cesena nello sguardo, nella mente, nel cuore, Il Vicolo
• «Ero in vacanza al mare». Racconta una tua esperienza, descrivendo il paesaggio marino in cui ti trovavi e soffermandoti su ciò che amavi fare durante la tua vacanza al mare.
L’Adriatico, dunque. Esso è per noi il mare dell’Oriente: è da lì che il sole sorge. Un mare del mattino, dell’inizio, della giovinezza. C’è anche un Adriatico della caduta, della sera e del tramonto, ma per vederlo bisogna andare dall’altra parte, in Croazia, la dirimpettaia di Cesenatico. Cosa non impossibile da fare, anche in giornata, soprattutto se si hanno due soldini da spendere per un happy-hour serale in buona compagnia (qualcuno lo fa). Ma per noi comuni mortali il sole che sorge è quello delle passeggiate mattutine, della pace delle spiagge spaziose che guardano stupefatte l’aurora colorare di rosa arancione e infine d’azzurro il cielo sul mare. È così bello che spesso, a quell’ora, qui si organizzano ritrovi di gente che ama, magari, ascoltare un concerto davanti allo spettacolo dell’alba. Oggi l’Adriatico è un mare pulito e, se capita a volte di vederlo torbido, ciò dipende solo dal fatto che è sabbioso e che basta una mezza onda o un refolo di vento per sollevare la sabbia dei fondali bassissimi ed estesi, colorando l’acqua. Si tratta di un mare dai colori variegati, che dal giallo, passando per il verde, giungono all’azzurro o viceversa, senza che questo ne infici la salute batteriologica delle acque. I profumati fondali bassi sono forse il segreto del successo turistico del Mare Adriatico, così come lo si trova a Cesenatico: spiagge estese e di sabbia finissima e una linea della battigia stabile e tranquilla. L’acqua che rimane poco profonda per centinaia di metri a partire dal bagnasciuga e che consente ai bambini, anziani, famiglie, giovani di passeggiare placidamente con l’acqua ai ginocchi per chilometri. È un mare che raramente prende i suoi ospiti a ondate in faccia e, nei giorni in cui succede, il divertimento si raddoppia, come se ci si trovasse in una grossa piscina in cui i cavalloni sono orchestrati da un bagnino nascosto in una sala comandi, anziché dal vento: si vedono allora eserciti di bambini che corrono incontro alle onde con canotti e materassini, sicuri di non correre nessun rischio a sfidare qualche balzetto del mare.
Dopo aver letto i brani sul mare delle pagine precedenti, svolgi uno dei seguenti testi.
•
180 OCCHI APERTI
«Com’è bello il mare e che divertimento!». Racconta un giorno trascorso al mare, in cui ti sei particolarmente divertito e in cui hai potuto osservare la bellezza del paesaggio marino in cui ti trovavi.
L’ADRIATICO
Quando ero piccola mia madre mi ha detto che le dolomiti sono rocce lasciate da un oceano che si è, in tempi antichissimi, ritratto; e che sono fatte di conchiglie e creature del mare, accumulatesi negli abissi nel corso di centinaia di migliaia di anni. E che negli strati di roccia si trovano dunque resti di molluschi e impronte di crostacei, e volute di remote conchiglie. Questa storia dell’oceano scomparso mi sbalordisce profondamente.
LE DOLOMITI
Corradi, Da bambina, Marietti
DESCRIZIONI 181
Guardo la valle verde di boschi e prati davanti a me e cerco di immaginarmela sommersa dalle acque. Quanto tempoMarinafa?
LA MONTAGNA È VIVA
Walter Bonatti, Le mie montagne, Zanichelli Cantiamo insieme La Visaille È un canto valdostano che descrive l’ambiente di La Visaille. Possiamo così immaginare lo spettacolo naturale di quei luoghi. Ma nel mister del bosco ner canta un ruscel un ritornel. Ma nel candor di nevi al sol si leva un cantico d’amor.
Dal fondo valle non abbiamo più visto né udito essere umano, e pure non ci sentiamo affatto soli. La grande montagna sulla quale stiamo faticosamente arrancando è più viva che mai; ce lo fa sentire la voce allegra e a volte fragorosa dei suoi torrenti, delle sue cascate d’acqua, il cinguettio degli uccelli, il fischio lontano della marmotta e il ronzio dei mille insetti attirati fin quassù dagli odorosi fiori. Ed è una continua scoperta di aromi, suoni e colori durante tutta l’ascesa alla vetta, finché scende la sera e tutto si posa. Giù nelle valli la notte è già scesa profonda. Dove fino a poco tempo fa si scorgevano lontani paesi e villaggi, ora si sono accesi gruppetti di lumicini che brillano tremolanti rompendo qua e là la nera distesa ondulata delle montagne circostanti.
182 OCCHI APERTI
Dicevano sempre le stesse cose, quelle rupi: ed era facile comprenderle, se si guardavano le loro ripide pareti, piegate strato su strato, incurvate, crepate, ognuna piena di ampie ferite.
Da quei tempi continuarono a penzolare qua è là in alto tra le gole cime spezzate, rupe schiacciate e spaccate: a ogni disgelo una cascata d’acqua portava giù con sé massi grandi come case, li frantumava come vetro o li sfondava nella corsa gettandoli con colpi potenti nel fondo di morbidi prati alpini.
«Abbiamo sopportato cose raccapriccianti», dicevano, «e le sopportiamo ancora».
Non sapevo ancora come si chiamassero il lago e le montagne e i ruscelli della mia patria, ma già vedevo la verdeazzurra distesa del lago, intessuta di piccole luci, stendersi al sole, e, in compatta cerchia attorno a esso, vedevo le montagne scoscese, e nelle loro più alte spaccature lucenti macchie di neve e piccole, minuscole cascate; ai loro piedi, i luminosi prati alpini in declivio, coperti da frutteti, capanne e grigie vacche alpine.
Rupi si alzarono violentemente ruggendo e rimbombando, fino a che, giunte al limite, piegarono le ginocchia; monti gemelli lottarono nella disperata necessità di spazio, fino a che l’uno prevalse e salì in alto respingendo il fratello e facendolo a pezzi.
Hermann Hesse, Peter Camenzind, in Romanzi e racconti, Newton Compton
Gli agghiaccianti dirupi e le pareti rocciose parlavano, testardi e rispettosi, dei tempi di cui sono figli. Parlavano dei tempi in cui la terra si staccò e si curvò e, dal suo corpo martoriato, uscirono, tra gli stenti tormentosi del parto, vette e creste di monti.
DESCRIZIONI 183 MONTAGNE GUERRIERE
Ma lo dicevano con orgoglio, con asprezza e con accanimento, come vecchi indistruttibili guerrieri. Proprio così, guerrieri. Li vedevo lottare con l’acqua e la bufera, nelle spaventose notti annunzianti la primavera, quando l’accanito scirocco mugghiava attorno alle loro creste.
L’animale fece cenno che lo seguissi; e lo vidi, subito dopo, scomparire. Stupito, cercai e trovai, assolutamente nascosto e invisibile ai piedi della parete, l’imbocco di una caverna, ma così stretta che ci passavo appena.M’introdussi… e dopo pochi metri fu notte fonda. Continuai come un cieco, appoggiandomi con le mani alle pareti umide e scivolose; andavo a tentoni nel buio. Quanto durò quell’andare a tentoni? Non lo so. So solo che a un certo momento quel tunnel nero finì. Mi stropicciai gli occhi. Li riaprii… e mi trovai davanti alla più bella valle del mondo. Non grande.
Ginepri con bacche mature, mirtilli neri e rossi. Ma ciò che mi colpì, più di ogni altra cosa, furono i galli cedroni di ogni età: ma erano stranamente fermi, davanti a me… stranamente«Dev’esserefermi.ilparadiso» dissi fra me, «il paradiso dei cedroni».
Come sanno d’acqua le parole che dicono i barcaioli che a quell’ora stanno a chiacchierare sulla scaletta! Come rimbalzano chiocce nell’aria! I rintocchi delle squille lontane arrivano all’orecchio, scivolano dall’alto del cielo. Vincenzo Cardarelli, Il sole a picco, in Opere, Mondadori
Una cascata precipitava garrula in basso, formando un limpidissimo lago, cinto da prati verdi e difeso da quattro enormi abeti secolari; scoiattoli e uccelli di ogni genere, dappertutto.
LA VALLE PIÙ BELLA DEL MONDO
Chi ha vissuto una sera d’estate in riva al lago sa che cosa sia la Unbeatitudine.calorefermo, avvolgente, sale in quell’ora dalle acque che sembrano lasciate lì, immobili e qua e là increspate dall’ultimo fiato di vento. Si prova allora, più che in qualunque altro istante della giornata, quella dolce infinita sensazione di riposo auditivo che danno le lagune, dove i rumori non giungono che ovattati.
Ezio Franceschini, La valle più bella del mondo, Vita e Pensiero
184 OCCHI APERTI
SERA SUL LAGO
LIGURIA
È la Liguria terra leggiadra. Il sasso ardente, l’argilla pulita, s’avvivano di pampini al sole. È gigante l’ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombra e sole s’alternano per quelle fondi valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra campi di rose, pozzi e terre costeggiandospaccate,poderie vigne chiuse. In quell’arida terra il sole striscia sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni è un giardino fiorito. Reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate! O aperti ai venti e all’onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile ad un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore. Vincenzo Cardarelli
DESCRIZIONI 185
«Non mi sembrano morti questi rosai», disse tra sé. «I rami sono verdi! Oh, come vorrei che le piante vivessero ancora!».
AMBIENTI PARTICOLARI LA CASA PIÙ STRANA DEL MONDO
Che meraviglia! Era un posto d’incanto, un luogo di quelli che si vedono solo in sogno o si creano nella fantasia quando si leggono i racconti che descrivono le dimore delle Fate.
Era il regno delle rose; i muri che racchiudevano il giardino ne erano ricoperti e i rami rampicanti si intrecciavano talmente fitti che l’intonaco non era più visibile, sotto quella coltre verde; le piante a cespuglio si erano moltiplicate, dalle aiuole avevano invaso i viali e i vialetti e spuntavano ovunque dal terreno coperto di foglie secche: Mary sapeva che erano rosai benché non fossero in fiore, perché anche in India ci sono piante di rose e lei ne aveva viste molte. Dagli alberi alti, scendeva una vera cascata di rami di rosai rampicanti che talvolta, dalla cima o dai rami, si erano spinti a ricongiungersi da pianta a pianta, formando boschetti, pergolati, festoni. Ma ciò che rendeva quel giardino singolare, diverso da qualsiasi altro, era la rete che formavano sul terreno i rami che, senza sostegno, si erano allungati e intrecciati: erano prive di fiori e di gemme, ma non avevano l’aria di essere piante morte.
Oh, certo Mary non aveva mai visto nulla di simile, e certo nessun altro aveva visto un giardino come quello! «Che silenzio!» sussurrò la bambina. «Che silenzio!». Si arrestò un istante e tese l’orecchio; ma tutto taceva all’intorno, perfino il pettirosso, che si era posato come al solito in cima all’abete più alto del giardino e aveva smesso di gorgheggiare la sua canzone. Non agitava le alucce, non si puliva le zampette: stava immobile, e guardava giù verso la bambina come per osservare i suoi movimenti.
«Certo che è silenzioso» mormorò Mary, parlando a se stessa. «Da dieci anni nessuna voce è più risuonata qua dentro! Io sono la prima persona che dopo tanto tempo cammina per questi viali!».
Se Ben Weatherstaff fosse stato lì, avrebbe potuto stabilire, osservando i tronchi, se i rosai erano vivi, ma Mary aveva qualche dubbio,
Avanzava lentamente, in punta di piedi, badando a non far rumore, come se temesse di svegliare – che so? – la Bella Addormentata nel Bosco, ed era contenta che i suoi passi non frusciassero nell’erba di quel luogo. Si fermò sotto una specie di basso pergolato ed osservò attentamente l’intrico dei rami sopra il suo capo.
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Il sole splendeva gettando il mantello d’oro dei suoi raggi sui viali di quel luogo incantato, e l’azzurro indaco del cielo sembrava più vivo sui giardini, sugli orti di Misselthwaite che sulla brughiera poco distante. Il pettirosso era sceso dall’albero e saltellava qua e là, come per fare gli onori di casa e mostrare all’ospite tutte le meraviglie del suo regno. Chissà, pensava Mary, se quelle rose sarebbero fiorite a primavera! Ce ne sarebbero state a migliaia, da ogni parte, sui muri, sugli alberi, nei cespugli, nelle aiuole, nei viali!
IL GIARDINO La casa aveva un’aria alquanto trasandata.
Avrebbe avuto bisogno di una bella tinteggiatura, qualche intervento alle finestre e alle persiane e, soprattutto, di un giardino volenteroso. In effetti, quello che circondava la casa non era affatto un giardino. Sembrava piuttosto una giungla. Mancava soltanto qualche tigre, oppure una scimmia su uno degli alberi vicini all’ingresso, e sarebbe stato perfetto per girare il film di Tarzan. I cespugli di rose erano cresciuti fino al tetto della veranda, e le siepi erano diventate larghe e alte come alberi. Intorno e sopra ogni pianta si era arrampicata una quantità incredibile di rami di more e di edera. Quest’ultima, poi, aveva anche coperto non solo la facciata della casa, ma persino il tetto fino al Georgcamino.Maag, Il misterioso viaggio nel Medioevo, Piccoli
perché non vedeva né gemme né foglie. Ma forse era ancora presto, dato che i rosai fioriscono in maggio. Intanto, aveva fatto un primo passo: era entrata nel giardino e lì avrebbe potuto ritornare a piacer suo, senza altra compagnia che quella dell’uccellino che le aveva mostrato la strada: era come se avesse trovato un mondo fatto per lei!
Si avrebbe avuta l’impressione di trovarsi in mezzo a un immenso canestro di fiori!
Frances Hodgson Burnett, Il giardino segreto, Einaudi trasandata: trascurata, senza ordine e cura.
LA SOFFITTA La soffitta era grande e buia. Odorava di polvere e di naftalina. All’infuori del tambureggiare leggero della pioggia sulle lastre di rame del gran tetto, non si sentiva volare una mosca. Travi possenti, nere di vecchiaia, si levavano a intervalli regolari dal pavimento, e si incontravano più in alto con altre travi del tetto, per perdersi poi da qualche parte nel buio. Qua e là pendevano dal soffitto ragnatele grandi come amache, che si muovevano avanti e indietro nella corrente d’aria, lievi e silenziose comeDall’altospiriti.di un finestrino che si apriva sul soffitto scendeva un lattiginoso raggio di luce. Nella soffitta era sparsa un po’ dappertutto ogni sorta di ciarpame; alle pareti c’erano scaffali pieni di raccoglitori e di cartelle, pacchi di incartamenti che non servivano più a nessuno.
Nel mezzo erano accatastati banchi di scuola, gli uni sugli altri, con i ripiani macchiati d’inchiostro; un cavalletto da cui pendevano vecchie carte geografiche e parecchie lavagne e alcuni animali impagliati mangiati dalle tarme.
In un angolo del pavimento erano stese vecchie e macchiate stuoie da ginnastica e alcune coperte militari grigie, molto polverose e malconce.
Michael Ende, La storia infinita, Tea lattiginoso: di colore bianco simile a quello del latte. ciarpame: cianfrusaglie, insieme di oggetti inutili.
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Il leone andava avanti e indietro per la terra deserta, cantando la nuova canzone. Era un canto più dolce e melodioso di quello con cui aveva richiamato le stelle e il sole; era una musica gentile e carezzevole. E mentre il leone camminava e cantava, l’erba tingeva la valle di verde. Crescendo intorno al leone come una polla d’acqua che si allargava a vista d’occhio, risaliva i pendii delle collinette simile a un’onda; in pochi minuti raggiunse le pendici delle montagne più lontane, rendendo via via più dolce il giovane mondo.
Digory non si rese ben conto di cosa si trattasse fino a quando la vegetazione non cominciò a spuntare vicino a lui. Era una cosina appuntita che cresceva di alcuni centimetri al secondo, emettendo dozzine di propaggini che si coprirono mano a mano di verde.
C.S. Lewis, Il nipote del mago. Le cronache di Narnia, vol. 1, Mondadori polla: fonte, sorgente. propaggini: rami, prolungamenti. crinale: zona più elevata di una montagna o collina, cresta.
NASCITA
Adesso si sentiva persino il vento che carezzava l’erba. A poco a poco spuntarono altre cose. Le pendici più alte si coprirono d’erica e nella valle comparvero macchie irregolari di un verde meno uniforme.
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L’albero che Digory aveva notato poco prima aveva assunto la forma e le dimensioni di un grosso faggio, con i rami dolcemente mossi sulla testa del ragazzo. Adesso tutta la compagnia si trovava su una fresca distesa d’erba, dove qua e là spuntavano margherite e botton d’oro. Poco più distante, lungo la riva del fiume, stavano crescendo dei salici. Sulla riva opposta si potevano ammirare grovigli di uva spina in fiore, lillà e rose canine vicino a dei magnifici rododendri. Fragolino si riempiva golosamente la bocca di erbetta deliziosa… Da parte sua, Polly trovava che la canzone del leone fosse sempre più interessante, perché le pareva che ci fosse un legame fra la musica e le cose che accadevano. Fu del tutto convinta di questo quando, a un centinaio di metri, una fila di abeti comparve su un crinale, accompagnata da note acute e prolungate. Quando il leone eseguì una rapida serie di note più lievi, Polly non si stupì affatto nel vedere le primule spuntare dappertutto. Così, per un’inspiegabile sensazione, Polly fu certa che tutto ciò che nasceva nel giovane mondo uscisse «dalla testa del leone» – come disse in seguito –«perché quando ascoltavi la sua canzone, sentivi quello che creava: poi ti guardavi intorno e ammiravi con i tuoi occhi».
LA DI NARNIA
Una stanza di quell’abitazione è illuminata, le pareti sono coperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran pregio, ma qua e là sgualciati, strappati e macchiati, e il pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia, sfolgoranti d’oro ma, anche questi lacerati e imbrattati. Nel mezzo sta un tavolo d’ebano, intarsiato di madreperla e adorno di fregi d’argento, carico di bottiglie e di bicchieri del più puro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d’oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri, contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylon, di smeraldi, di rubini e di diamanti che scintillavano come astri, sotto i riflessi di una lampada dorata appesa al soffitto. In un canto sta un divano turco con le frange qua e là strappate; in un altro un armonium di ebano con la tastiera sfregiata, e all’ingiro, in una confusione indescrivibile, stanno sparsi tappeti arrotolati, splendide vesti, quadri, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane arabescate, tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali, pistole.
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LA STANZA DI SANDOKAN
Emilio Salgari, Le tigri di Mompracem, Giunti Junior
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Per esempio, c’era una casetta che aveva i muri blu come il mare; difatti c’erano dipinti anche molti pesci. Ma in quella casa non ci stava mica il pescivendolo.
In un grande bosco di castagni tra le montagne c’era una grande quercia che aveva intorno dei tigli profumati. Ma intorno agli alberi di tiglio non c’erano soltanto i castagni, c’erano anche molte casette con il tetto dipinto di un bel colore verde. La quercia e i tigli, insomma, crescevano proprio nella piazza di un villaggio di boscaioli che, come puoi ben capire, si chiamava Belvedere dei Tigli.
I muri delle casette, però, non erano mica verdi. Anzi, erano di tanti colori, perché i boscaioli li avevano dipinti come preferivano.
Vicini a Ciccio e Ciccia abitava solo soletto il sarto Camillo e sulla sua casa c’era dipinto il Polo Nord: ghiaccio e neve con gli orsi bianchi, le foche e i trichechi. Sai perché? Perché Camillo era un gran freddoloso e non voleva mai uscire di casa. Se qualcuno lo chiamava, lui sporgeva la testa dalla porta, guardava il Polo Nord dipinto sulla sua casa e diceva: «Brrr… che freddo! Fa così freddo che sembra di essere al Polo Nord! Non posso uscire, non posso uscire, se no chissà che raffreddore mi prendo!».
LE CASETTE DI BELVEDERE DEI TIGLI
Ci stavano il boscaiolo Serafino, sua moglie Sibilla, i loro cinque bambini e quattro mucche. Però Serafino aveva uno zio pescatore che viveva lontano, sul mare; tutti gli anni decideva di andarlo a trovare, ma nasceva ogni volta un nuovo bambino e non poteva più.
Lì vicino c’era una casetta su cui erano dipinti tanti formaggi: pecorini, provoloni, caciotte, mozzarelle, fontine, ricotte, e tanti omini, donnine, bambini e gatti che se li mangiavano. In quella casa vivevano il boscaiolo Silvestro, sua moglie Belinda, i loro quattro bambini e due gatti, e erano tutti molto golosi dei formaggi. E ogni volta che mangiavano un formaggio nuovo lo dipingevano sulla casa insieme a loro che se lo mangiavano.
Nei giorni di festa, continuando a piangere, si mettevano fuori della casa a dipingere sui muri tante ballerine che ballavano: perché l’anno prima l’unica figlia che avevano, la bella Fiorina, se n’era andata tutta sola chissà dove a fare la ballerina. Per questo piangevano.
Pensa poi che in ogni stanza aveva tre stufe e due camini sempre accesi; per questo sul suo tetto c’erano moltissimi comignoli che fumavano continuamente. Camillo faceva il sarto così poteva farsi tanti vestiti per poter stare sempre più caldo.
Poi c’era la casetta dove viveva un vecchio boscaiolo e la sua vecchia moglie. Lui si chiamava Ciccio, lei Ciccia e piangevano sempre. Lui piangeva mentre spaccava la legna nel bosco e lei mentre rimestava la polenta, poi piangevano insieme mentre mangiavano, e anche a letto prima di addormentarsi.
Ma la casa più bella di tutte era quella di Marianna e Nemorino. Marianna era una donnina piccina bianca e rosa, mentre Nemorino era un boscaiolo alto come un albero e coraggioso come un leone.
Il padrone del palazzo, che si chiamava Bertoldo Panciolini, si metteva tutti i momenti affacciato a quel balcone a guardare quello che faceva la gente, insomma a spiarla.
In un’altra casetta vivevano due boscaioli fratelli che si chiamavano Giacomino e Giacomone. Siccome un loro cugino era emigrato in America, sulla casa avevano dipinto tanti ippopotami e giraffe, perché credevano che gli ippopotami e le giraffe vivessero in America.
L’omaccione si tolse il mantello nero: sotto aveva una divisa da domatore tutta rossa, con le cordicelle e i bottoni d’oro sul petto. Intorno alla quercia venne su la casa più strana che si fosse mai vista. Aveva una quantità di finestre, quadrate, rotonde, triangolari, dritte e storte, grandi e piccole, in alto e in basso. E c’erano almeno dieci porte, larghe, strette, alte, basse. Il tetto era alto. Sul tetto c’erano abbaini, comignoli, terrazzini, finestrine e molte scalette. E dentro la casa c’era una quantità di stanze piccole e grandi, quadrate e rotonde, larghe e bislunghe, piccole e storte. C’erano armadietti dappertutto, anche in mezzo alle stanze. C’erano corridoi che salivano, scendevano, giravano. E c’erano lanternine in ogni angolo.
A un certo punto Celestino disse: «Adesso la casetta è finita. È bellissima».
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Pinin Carpi, Il paese dei maghi, Piemme rimestava: rimescolava.
La notte era profonda e non c’era vento. Nel bosco di Belvedere c’era un gran silenzio. A un tratto, fra gli alberi del bosco, apparve un omaccione che aveva addosso un lungo mantello nero e in testa un cappuccio nero. La sua faccia era bianca e cattiva, i suoi occhiacci parevano dei chiodi neri e i suoi lunghi baffi, rivolti all’insù, sembravano due uncini neri. In una mano aveva una lunga frusta…
La casa di Marianna e Nemorino era bella perché era piena di fiori di bosco, nelle stanze, sulle finestre, sulla terrazza, in cima al tetto, e poi era tutta dipinta di fiori di ogni colore sicché non si sapeva più quali fiori fossero dentro e quali fossero fuori. Ma quella casa era bella soprattutto perché Marianna e Nemorino avevano due figlie gemelle, che si chiamavano Bella e Linda, belline e intelligenti che non ti dico, insomma come tutti i bambini.
Proprio accanto alla casetta di Marianna e Nemorino, c’era un palazzo nero e buio dove non c’era dipinto niente. Le sue finestre erano sempre chiuse tappate, fuorché una in cima che aveva davanti un balcone di legno: quel balcone aveva la forma di un’aquila arrabbiata con le ali aperte.
LA CASA DEL FAUNO
Un’altra parete era coperta di scaffali pieni di libri, e mentre il fauno si dava da fare con il tè, Lucy diede un’occhiata ai titoli: Vita e lettere del fauno Sileno, Le ninfe e le loro abitudini, Gli uomini: eremiti e guardacaccia e ancora, Studio sulle leggende popolari e L’uomo è un mito? Roba così, insomma! «Il tè è pronto!» disse infine il signor Tumnus. Il tè era servito in modo davvero magnifico. C’erano due uova, una per ciascuno, leggermente bollite nel loro guscio scuro; c’era il pane abbrustolito con le sardine, il burro e il miele nonché la focaccia con la crosta di zucchero vanigliato. Quando Lucy fu stanca di mangiare, il fauno cominciò a far conversazione. Aveva mille splendide cose da raccontare a proposito della vita nella foresta. C.S.Lewis, Il leone, la strega e l’armadio. Le cronache di Narnia, vol. 2, Mondadori abbrustolito: arrostito, bruciacchiato, rosolato.
Lucy pensò che non aveva mai visto un posto così carino.
DESCRIZIONI 193
L’ingresso della caverna era di roccia rossa, sul pavimento si allargava un bel tappeto sul quale appoggiavano due poltroncine («Una per me e una per l’ospite» aveva detto il fauno); c’era anche una tavola, naturalmente, e una credenza poggiata alla parete di fondo. Il camino aveva la sua brava mensola e sopra si vedeva un quadro che rappresentava un vecchio fauno con la barba grigia. In un angolo si vedeva una porticina che, secondo Lucy, doveva portare nella camera da letto del signor Tumnus.
LA STANZA DELLA CIOCCOLATA
Il signor Wonka finì di aprire la porta. I cinque ragazzi e i nove adulti varcarono la soglia… e ohhh! Che vista stupefacente si aprì al loro sguardo!
Ai loro piedi si estendeva una bellissima valle. Su entrambi i lati c’erano prati verdeggianti, mentre a fondovalle scorreva un ampio fiume marrone.
«Questa è una stanza molto importante!» esclamò il signor Wonka; così dicendo estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e ne inserì una nella serratura. «È il centro nevralgico di tutta la fabbrica, il cuore dell’intero sistema!
Ed è così bella! Io esigo che i locali della fabbrica siano belli! Non sopporto la bruttezza negli stabilimenti industriali! Signori, entrate prego!».
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Inoltre, verso la metà del corso del fiume c’era una formidabile cascata: una roccia scoscesa sul cui bordo l’acqua sembrava arricciarsi e trasformarsi in una lastra compatta che poi si frantumava in un ribollio vorticoso di spuma e schizzi.Sottola cascata, cosa ancor più stupefacente, c’era una grande matassa di enormi tubi di vetro che pendevano dall’alto sin quasi a sfiorare la superfici dell’acqua. Ce n’erano almeno una dozzina e risucchiavano l’acqua densa e marrone per portarla poi chissà dove.
Lungo le sponde del fiume crescevano bellissimi alberi e arbusti, salici piangenti e ontani circondati da alti cespugli di rododendri pieni di fiori rosa, rossi e lillà. Nei prati occhieggiavano migliaia di ranuncoli.RoaldDahl, La fabbrica di cioccolato, Salani nevralgico: importante, fondamentale, essenziale. occhieggiavano: spuntavano, facevano capolino.
Buongiorno, sono il violino di Giulia, ci siamo conosciuti il 16 maggio del 2015. Prima appartenevo alla sua maestra che si chiama Silvia. Insieme, Giulia ed io, abbiamo fatto molta strada e abbiamo capito che siamo fatti l’uno per l’altra.
Per suonarmi, Giulia usa il mio fratellino archetto: siamo proprio un bel trio!
Mi tratta abbastanza bene, mi conserva nella mia custodia dove mi sento al calduccio. Con me Giulia è buona: quando mi scordo, lei subito mi aiuta. Io e lei andiamo d’accordo e, quando sbaglia la nota, la perdono perché non lo fa apposta. A me piace il suono che produciamo e insieme siamo un’ottima squadra!
Giulia, classe IV
La mia padrona mi adora perché insieme facciamo una musica stupenda e dolce e quando mi suona si toglie via tutti i pesi che ha in testa!
I OGGETTI PARLANO DI NOI
DESCRIZIONI 195
NOSTRI
Sono l’armonica di Michele e sono con lui dall’anno scorso, quando mi ha trovato nel cassetto della camera di suo padre, a cui appartenevo quando era piccolo. Sono di metallo e plastica, ho un amico rosso: è il mio astuccio che mi trasporta durante i viaggi e mi tiene al sicuro. Ho dieci minuti buchini, in cui Michele soffia con delicatezza e io emetto suoni dolci e duri, compongo canzoni liete e allegre. Michele, classe IV Pensa a un oggetto a te caro, prova a immedesimarti in esso e a farlo parlare di te.
La prima volta che mi ha usata, non riusciva bene a colpire la pallina, ma poi ci siamo allenate e adesso sconfiggiamo tutti. Insieme abbiamo vinto alcuni tornei di tennis. Sono contenta del mio lavoro!
Chiara e io abbiamo delle cose in comune: siamo giocherelloni, semplici e simpatici!
Chiara, classe IV Ciao! Mi presento, sono la chitarra di Jacopo, sono una tipa rock, soprattutto quando Jacopo mi inserisce il cavo. Il mio proprietario non mi usa molto spesso, ma quando lo fa, mi pizzica le corde, mi fa molto solletico. Sono di legno, di color rosso, bianco, marrone e argento, ho una forma irregolare.
Sono nastro e sono l’oggetto preferito di Chiara. Sono viola, molto morbido, di una stoffa scintillante e profumata; ho attaccato un bastoncino che serve alla mia amica per darmi la mano. Non sono mai da solo: quando Chiara non mi usa, mi mette in un sacchetto con i miei migliori amici, cioè Palla, Fune, Cerchio, Clavette, che servono a Chiara per fare ginnastica ritmica.
Siamo una squadra vincente! Ho degli esercizi preferiti che, quando la piccola ginnasta me li fa fare, mi divertono un mondo, per esempio quando mi solleva in aria e mi fa girare così forte che finisco per abbracciarla.
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Una volta Jacopo e io siamo saliti su un palco, mi sentivo molto agitata, ma alla fine, anche se lui ha fatto alcuni errori, è andata benissimo. Jacopo, classe IV
Elisa, classe IV
Sono la racchetta da tennis di Elisa, mi piace giocare a tennis con lei, anche se, quando la pallina mi viene incontro, mi faccio un po’ male. Elisa e io ci siamo conosciute in un negozio consigliato dal suo papà perché, fortunatamente per me, doveva cambiare racchetta. Non ero preoccupata perché la scelta era tra me e un’altra racchetta gialla e nera poco bella e quindi sapevo che mi avrebbe preferita!
DESCRIZIONI 197
La nave filava via veloce, spinta dal vento, inclinata a babordo.
I raggi del sole illuminavano il lato di babordo, colorando l’acqua di verde e di rosso porpora. Dalla parte opposta, tribordo, l’acqua all’ombra della nave era blu scuro.
La prua della nave discese la cresta dell’onda e un mucchio di spruzzi si levarono in aria. Poi l’onda scivolò via sotto la chiglia della nave, facendola sollevare di poppa dando modo di scorgere il timone e il ponte del veliero.
LA NAVE Il quadro raffigurava una nave a vele spiegate che filava dritta dritta incontro a chi guardava il dipinto. La prua, color oro, aveva la forma di una testa di drago con la bocca spalancata. La nave aveva solo un albero ed un’unica grande vela quadrata color porpora. A guardarla di fronte, esattamente come stavano facendo i due ragazzi, si vedevano le ali dorate del drago aprirsi sulle fiancate verdi della nave. Era in bilico sopra un’immensa onda blu che, fra gorgoglii e striature d’acqua, sembrava fosse sul punto di rovesciarsi sopra di loro.
C.S. Lewis, Il viaggio del veliero. Le cronache di Narnia, vol. 5, Mondadori babordo: lato sinistro della nave rispetto alla prua. tribordo: lato destro della nave rispetto alla prua. chiglia: trave più importante dello scafo che unisce la poppa con la prua.
LA STRANA MERAVIGLIA DEI TRENI
Il treno per Milano è in partenza dal nono binario. Il muso affusolato ed elegante dell’Eurostar è immobile, il parabrezza rigato di Corronopioggia.
i viaggiatori in ritardo mentre la voce anonima dell’altoparlante annuncia che è l’ora. Il capotreno si sporge dal predellino del primo vagone, getta un’occhiata al marciapiede dove non c’è più nessuno, con un ampio gesto del braccio sventola il berretto, il fischio taglia l’aria. È il segnale, con un soffio meccanico le portiere si chiudono, il locomotore si muove con lenta dolcezza, e trascinandosi dietro la lunga colonna di vagoni entra nella notte. È strano. Un treno che parte è qualcosa che resti a guardare. Forse è per via del sapiente orientarsi del locomotore nella ragnatela di scambi? Quei secchi scatti, e il serpente sferragliante che trova la strada come un animale che riconosce il suo sentiero.
Oppure ciò che segretamente ci riguarda è la via già tracciata da quei binari lucenti: il treno non decide la sua strada, ma segue quella che gli è stata data. Allora dopo la lunga corsa scoccano, nel labirinto nero e scintillante sotto ai fari, gli scambi giusti, e adagio le carrozze approdano sulla banchina.
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O forse è per lo stringersi nelle carrozze, sotto a una luce fredda, di tante facce di uomini, così vicini e così stranieri? Poi quando il treno corre, le case e i paesi lungo i binari fuggono via in un baleno.
Il 33, lo spio, affiancata al semaforo, è vuoto. Due extracomunitari e una giovane donna, soltanto, a bordo…
Il 33 sparisce verso Lambrate. Quel rumore che fanno i tram di Milano, quel fischio basso e lamentoso con cui se ne vanno, sembra nella notte un sospiro. Fiato metallico, a noi indecifrabile; ma tanto forti e dolenti sono le storie degli uomini, che forse anche un vecchio tram ne resta impregnato. Marina Corradi, «Tempi», 19 novembre 2009
DESCRIZIONI 199
Il tram naviga sui familiari binari, anelando la pace del deposito dove dorme con i suoi compagni: uno accanto all’altro…
Prendete, per esempio, questo tram dietro cui mi trovo in auto, stasera, in via Porpora, alla periferia di Milano. Un vecchio 33 giallo che se ne va al capolinea. Nel buio della notte, dai finestrini la luce giallognola inquadra le sagome dei rari viaggiatori. Sferraglia pigro. Indolente.
Al verde parte con un momento di ritardo, come un carro tirato da muli stanchi; e, alle fermate, spalanca le portiere con uno sbuffo forte di stantuffi meccanici che pare lo sfinimento di un operaio a fine turno.
TRA LE BANCARELLE
Roberto Piumini Io mi ricordo quieto patato…, Nuove Edizioni Romane AUTOBUS L’autobus è come il mondo. Non sai mai chi sale o chi scende chi ti trovi accanto, se ti saluta contento o tutto Ascocciato…volteèfaticoso trovare un posto adeguato, è bello cederlo a chi dal bisogno è segnato. Se non hai nel cuore il senso d’avventura ogni viaggio è una noia o può far paura. Ma se hai gli amici giusti vicino in autobus arriveresti fino a Pechino. Davide Rondoni Le parole accese. Poesie per bambini e non, Rizzoli
Che abbondanza splendente; ti incanti a guardarla, così offerta per pochi euro al primo che allunghi la mano. Sorridiamo di quelle zucchine col fiore giallo, allineate come gioielli, e dell’oro caldo delle ultime arance. E poi anche dei piccoli sandali incolonnati su un banco, come vogliosi di essere calzati da bambini, e di poter correre. Sorridiamo e compriamo anche cose quasi inutili: sacchetti di lavanda per la biancheria, ombrelli cinesi che dureranno il tempo di un acquazzone.MarinaCorradi monili: gioielli. lambisce: tocca, sfiora.
perpienirotondidueleggeredueBiciclettaruotepensieridilucecapirela strada e quantoeperpienerotondedueleggeredueBiciclettaelaeperpienerotondeduesottilidueBiciclettadovesapereconduce.ruoteideediventopensarediscesesaperegioialospavento.ruoteparoledifestaparlarecolmondosapereneresta.
È un esercito ordinato quello che si è geometricamente disposto: carciofi, zucchine, lattughe dal cuore pallido, fragole turgide, mele d’oro; e questi peperoni ardenti, queste collane d’aglio appese come monili, e il profumo del primo basilico che ti lambisce mentre passi?
200 OCCHI APERTI BICICLETTALA
Ti è capitato di osservare la vivacità dei colori delle bancarelle dei mercati? Cerca le immagini del mercato della tua città o dei mercati visitati in altre città e soffermati sui particolari delle forme e dei colori, ad esempio della frutta o della Scegliverdura.unaimmagine e prova a ricopiarla, attento a rendere i vivaci colori della merce con i pastelli o con le tempere.
DESCRIZIONI 201 Mettiamoci all’opera Il mercato
202 LA GRANDE GUGLIA
Quando parlo della Grande Guglia, non parlo di una guglia tra le altre, ma della guglia più guglia di tutte, la guglia per eccellenza, la prima che tutti guardiamo, sempre, quella che caratterizza maggiormente l’edificio che a sua volta caratterizza, cento volte più di qualunque altro, la nostra città.
Perché Milano è fatta così, Milano è fatta affinché i nostri occhi salgano verso quel punto. La sua struttura a raggi è fatta perché chi procede verso il centro di Milano guardi quel punto. Tutto lo spazio della città, nonostante i molti rimaneggiamenti, rimodernamenti, bombardamenti, dismissioni eccetera, mantiene questa struttura originaria.
Quando io penso al centro di Milano, penso al Duomo, e quando penso al Duomo penso alla Madonnina, che poggia sulla Grande Guglia. Non esiste nulla a Milano che catalizzi gli sguardi di tutti, ma soprattutto di chi ci vive, come questa guglia. Se potessimo contare gli sguardi che si posano su ciascun edificio, parte di edificio, monumento, opera o semplice oggetto della nostra città, su qualsiasi elemento del patrimonio cittadino, io credo che la Grande Guglia del Duomo supererebbe di parecchie lunghezze qualunque altra cosa.
I passi, seguendo lo sguardo, si avvicinano a quella meraviglia. La Madonnina è lassù, leggera e scintillante. Poi, una volta giunti, ecco il Duomo tutto intero, la sua potenza ora ci si mostra tutta dopo la leggerezza che ce l’aveva annunciato. Il poeta Clemente Rebora ha ben sintetizzato, in una sua celebre quartina, il sentimento di noi tutti di fronte al Duomo:
Il portentoso Duomo di Milano non svetta verso il cielo ma ferma questo in terra in armonia nel gotico bel di Lombardia.
Un esempio è Siena; un altro, il più clamoroso, è Milano. Il centro di Milano è un punto, non ha quasi spazio, e al tempo stesso è tutta la città, e il suo tetto si stende come un immenso telo appoggiato sul filo, sugli infiniti fili dei nostri sguardi che salgono fin lassù.
Il Duomo volle essere fin dal primo istante la Casa dei milanesi.
Tutta Milano è come dentro il Duomo, e io credo che non esista nessun’altra città al mondo capace di incarnare un’idea di spazio simile a questa. Luca Doninelli, Milano è una cozza. Storie di trasformazioni, Guerini e associati catalizzi: attiri, catturi.
Le altre città hanno perlopiù centri molto grandi. Pensiamo a Roma, a Parigi, a Londra. Esistono però città in cui il centro coincide con una cosa sola.
203
La caratteristica del Duomo non è di svettare, ma di tirare giù il cielo, di tirarlo in terra. Visto in mezzo alle case, sembra che voglia correre lassù, perché quella che vediamo è solo la guglia che regge la Madonnina. Ma quando ci si va vicino la prospettiva si modifica.
Le insegne pubblicitarie scintillano, rosse, azzurre, verdi… Si accendono e si spengono, tremolano, si muovono, sembrano correre da un lato all’altro dei palazzi… Sono luci e luci: lampade, tubi fluorescenti, scritte al neon…
Scende la sera.
204 OCCHI APERTI IN
SERACITTÀINCITTÀ
Ad un tratto una finestra si illumina di scatto; un’altra; un’altra ancora. Poi, è la volta delle lampade nelle strade; s’accendono contemporaneamente e sembra che all’apparire del loro giallo chiarore, il cielo divenga più nero.
In poco tempo la città è un fulgore di luci; le vetrine dei negozi ne riversano a fasci, bianca, dorata, sul selciato del marciapiede.
Gino Di Rosa bagliori: lampi, chiarori, luci improvvise. fulgore: splendore, lucentezza.
In meno di un’ora la città ha cambiato aspetto.
Il cielo, poco fa rosso per gli ultimi bagliori del sole, diventa turchino. I colori si confondono in un’ombra sempre più cupa, i muri delle case prima gialli, rosati, bianchi, si ingrigiscono ora tristemente.
DESCRIZIONI 205 IN CITTÀ AL MATTINO
L’automobile bisogna pur lasciarla in qualche posto e alle otto del mattino trovare un posto libero lungo il marciapiede è quasi impossibile… Il mio prossimo, donne e uomini, formicola già per le strade del centro; e le vie lunghissime e diritte hanno purtroppo da una parte e dall’altra una ininterrotta fila di macchine ferme e vuote, a perdita d’occhio.
Dove troverò un posto per la mia? Ansiosamente esploro una via dopo l’altra, in cerca di un rifugio. Meno male: là c’è una signora che sembra stia per risalire in macchina. Rallento, aspettando che lei parta per occupare il suo Ma,posto.mentre io cerco di dominare in tutti i modi l’impazienza che mi spingerebbe a sollecitare con un colpetto di clacson la partenza dell’automobile di quella signora, un coro frenetico di strombettii si scatena alle mie spalle. Intravedo, voltandomi, la faccia congestionata di un camionista che si sporge in fuori, mi urla ingiuriose parole e con il pugno pesta sullo sportello, per dar rumore alla sua collera. Sono costretto a proseguire. E quando, fatto l’intero giro dell’isolato, torno sul posto, la signora se ne è andata, è vero, ma già nello spazio libero qualcun altro sta infilando la sua auto.
Dino Buzzati, Sessanta racconti, Mondadori congestionata: bloccata, ferma.
206 OCCHI APERTI
METTITI COMODO: VIENI IN PIAZZA!
Le città italiane hanno un cuore che quelle delle altre nazioni europee ci invidiano: la piazza. Non che in Francia o in Germania non esistano piazze, anzi ce ne sono di molto belle, ma non sono così diffuse né hanno la stessa funzione delle nostre. Le piazze sono la migliore “fotografia” del modo di vivere in Italia. In piazza ci si dà appuntamento e si passa il tempo a parlare e discutere, ci si raduna per festeggiare, si concludono affari. Per questo motivo in Italia le piazze sono spazi grandi ma soprattutto molto accoglienti e familiari, tanto che spesso sono paragonate a “Salotti” (o a balconi, quando come a Gubbio si affacciano su meravigliosi panorami).
Sono fatte per essere usate, non per essere solo viste o ammirate. La piazza italiana è un meccanismo efficace perché semplice e geniale, capace di far girare perfettamente la vita – e le passioni – delle persone. E poi ha una dimensione teatrale: tutto si svolge come su una scena. La piazza ci fa allo stesso tempo protagonisti e spettatori. Si tratta di una caratteristica che ha origine nel Medioevo, quando le città, anche le più piccole, si organizzarono intorno a tre piazze che simboleggiavano i “momenti” in cui si componeva la quotidianità degli abitanti: la piazza della cattedrale, ovvero il momento della
DESCRIZIONI 207 fede; la piazze del municipio, cioè il momento della politica, della giustizia e della gestione della convivenza; la piazza del mercato, il momento del lavoro e del commercio. Le tre piazze costituivano, di solito ma non sempre, un sistema comunicante, per cui da una si passava all’altra con facilità.
Da allora, anche se l’aspetto esteriore può essere cambiato, in molti casi la situazione è rimasta invariata: il comune ha oggi la stessa sede di ottocento anni fa, il mercato si svolge nella stessa piazza di allora mentre la cattedrale, beh quella è dura da traslocare! Spesso le piazze più grandi erano quelle “politiche”: pensiamo ad esempio a Piazza della Signoria a Firenze o Piazza del Campo a Siena, città in cui le cattedrali invece sono precedute da spazi relativamente stretti. Non così invece a Venezia, dove la Basilica di San Marco si affaccia su uno spazio davvero sterminato: qui però il Palazzo Ducale come piazza ha, in un certo senso, l’intera laguna. È un caso più unico che raro anche la “piazza dei miracoli” (il nome se lo inventò il poeta Gabriele D’Annunzio) a Pisa.
Alessandro Beltrami, «Popotus», 30 dicembre 2014
Un grande prato ospita la cattedrale, il battistero e il campanile (la celebre torre pendente). Gli edifici, bianchissimi, sorgono come isole in un mare verde.
L’effetto lascia davvero a bocca aperta. Però ci si sta comodi. Come a casa.
Sia che si tratti di persone, di oggetti o di luoghi, ciò che amiamo non ci stanca mai e ci chiama ad una continua rivelazione di sé. La stessa cosa vale per la città che abitiamo o anche quella che visitiamo, se il nostro viverla è animato da curiosità e desiderio di scoperta. Così non ci si stancherebbe mai di moltiplicare i nostri passi per le strade di Cesena, anche uscendo dagli itinerari più conosciuti e inoltrandoci in zone meno note, apparentemente di minor interesse, addirittura di recente costruzione, senza quell’alone di bellezza che la storia concede anche agli angoli meno monumentali. È piacevolissimo, ad esempio, percorrere le stradine più strette del centro storico, magari sotto i portici, e ubriacarsi della varietà delle casette di certi vicoli che la pazienza del tempo ha costruito una abbracciata all’altra e che la sapienza dei cittadini tutta moderna, riscoprendone il valore, sta ristrutturando nel rispetto dell’origine.
Gianfranco Lauretano, Cesena nello sguardo, nella mente, nel cuore, Il Vicolo itinerari: percorsi, strade, tragitti. androni: entrate, ingressi.
208 OCCHI APERTI CITTÀ PRESENTE
Anche Cesena, che pure non è mai stato un centro di grande flusso turistico, è rappresentata dai suoi monumenti più considerevoli; eppure anche essa ha un volto meno conosciuto che un visitatore, ma anche un cittadino, deve voler scoprire. Nulla di misterioso né di peculiare, lo stesso discorso lo si può fare per ogni comune d’Italia. Ovunque infatti c’è una serie di stradine secondarie, di cortili, di androni, di angoli che vale la pena scovare, in cui si può trovare uno scorcio di bellezza, un reperto che ha attraversato indenne i secoli, un luogo appartato che aveva in passato funzioni particolari.
DESCRIZIONI 209
Mettiamoci all’opera La città
Se osserviamo la nostra città con sguardo curioso e creativo, possiamo riconoscere alcuni suoi elementi tipici: palazzi, case, tram, auto, giardini, monumenti.Cercasulle riviste alcune immagini di questi elementi e ritaglia o riproduci alcuni di essi poi mettiti all’opera incollando le immagini e “legandole” insieme con strade, ponti, semafori in un unico quadro. Scegli un colore per il cielo e completa.
ROMA
Wladimir d’Ormesson
Il Tevere non le separa, anzi le unisce se dall’alto del Campidoglio si contempla, in fondo alla valletta, il Foro simile ad una culla, si può veramente dire che si tratta di una culla; quella del diritto, delle leggi reggenti i rapporti fra individui e società. E quando, sull’altra riva del fiume, ci si trova sotto la cupola di San Pietro, si domina la tomba del primo Apostolo al quale Cristo disse: «Tu sei Pietro e su questa pietra io fonderò la mia chiesa». Il Foro romano ci ha insegnato la nozione dell’ordine; il messaggio cristiano ci ha insegnato che l’ordine non esiste senza la carità evangelica. Tutta la nostra civiltà è racchiusa in questa armonia.
Roma: non sarebbe meglio metterlo al plurale questo nome? In Roma esistono infatti tante città. Vi è la Roma repubblicana e quella dei Cesari, la Roma dei primi cristiani, dei martiri e delle catacombe; la gloriosa Roma papale e quella di Michelangelo e del Bernini; la grandiosa città dei sette colli, delle basiliche maggiori, del Colosseo e del Palatino; la deliziosa piccola Roma delle straducole scure…; vi è la Roma dei giardini e dei palazzi, con i suoi pini, le fontane, gli archi; e infine, c’è la Roma capitale dell’Italia. Eppure, tutte queste città non sono che una Roma sola: sovrapposte, mescolate le une alle altre, esse formano, tutte assieme, questo luogo unico al mondo dove, in un paesaggio armonioso, si fondono venti secoli di civiltà…
210 OCCHI APERTI
DESCRIZIONI 211
VENEZIA C’è una città di questo mondo, ma così bella, ma così strana, che pare un gioco di fata morgana o una visione del cuor profondo. Avviluppata in un roseo velo, sta con sue chiese palazzi giardini tutta sospesa tra due turchini, quello del mare, quello del cielo.
A FIRENZE Arno gentil, fiorenti prati de le Cascine, leggiadre palazzine, superbi monumenti, bianche ville ridenti sparse per le colline, vezzose fiorentine dai musicali accenti, bella città dei fiori piena di glorie sante, cinta d’eterni allori; culla immortal di Dante che l’universo onori, t’amo come un amante. Edmondo De Amicis
Diego Valeri
LA MIA CITTÀ La mia città è come una persona, un po’ la conosco e un po’ la ignoro, ha lati misteriosi la sua storia, fatta di fatica e oro. Le sue vie larghe o strette, i monumenti, le chiese, i palazzi o le casette sono come l’espressione del viso delle persone. Com’è bello girarla scoprirla nei suoi angoli, impararla nei suoi vicoli. Chissà che cosa sogna la mia città… Nel petto un cuore ha, e sotto il cielo la sua vita come un grande fiume va… Davide Rondoni Le parole accese. Poesie per bambini e non, Rizzoli
TESTI DI NARRATIVA PER LA INTEGRALELETTURAINCLASSE
TESTI DI NARRATIVA PER LA LETTURA INTEGRALE IN CLASSE 213
Il libro narra la storia di una bambina, Dorothy, che a causa di un ciclone si trova a vivere un’avventura nel Regno magico di Oz. Per raggiungere il suo obiettivo, ossia quello di tornare dai suoi zii nel Kansas, deve chiedere aiuto al famoso mago di Oz. Nel suo cammino incontra alcuni compagni di viaggio che a loro volta hanno un dono da richiedere al mago. Strada facendo si scoprirà che questi personaggi già possiedono ciò che vorrebbero chiedere e che il mago è in realtà un simpatico ciarlatano che si mostra però disponibile ad aiutarli.
Anche Dorothy fin dall’inizio del libro possiede il dono che le permetterebbe di tornare a casa. Solo dopo tutto il cammino svolto, scoprirà come utilizzare questo dono a suo favore.
IL MAGO DI OZ di Frank Baum
Il susseguirsi di avvenimenti che arricchiscono e determinano la vita della banda dei “Ragazzi di Via Pal” si integra a belle descrizioni dei personaggi e dei luoghi in cui si svolgono i fatti.
La prosa rende bene i sentimenti provati dai personaggi e favorisce l’immedesimazione dei ragazzi.
I RAGAZZI DELLA VIA PAL di Ferenc Molnár Questo libro racconta una bella storia di amicizia, con le avventure tipiche della vita dei ragazzi. Due bande di quartiere si incontrano affrontando situazioni diverse: il gioco, la battaglia, il tradimento, il perdono e la morte di una compagno. Sono narrate le esperienze familiari e sociali comuni ai bambini: scuola, amicizia, sfide, giochi, litigi.
214 OCCHI APERTI
Il prozio Lancelot coinvolge i suoi tre giovani nipoti in uno straordinario viaggio alla ricerca del fratello Parceval, famoso scienziato scomparso. In ogni tappa zio e nipoti si troveranno immersi nella ricca diversità della vita animale e degli ambienti naturali del nostro pianeta. I ragazzi dovranno avere «il naso preparato agli odori e la lingua ai sapori, le dita pronte a toccare e le orecchie e gli occhi ben aperti, per esplorare e godere tutto».
UN VIAGGIO FANTASTICO di Gerald Durrell
LE AVVENTURE DI TOM SAWYER di Mark Twain
Tom è un personaggio in cui tutti si possono immedesimare; anche se ambientato in un epoca non molto vicina alla nostra quello che prova e sente come bambino che sta crescendo è affine a tutti i bambini di ogni epoca. Inoltre viene dato ampio spazio all’elemento avventuroso (la caccia ad un tesoro, la fuga sull’isola, l’avventura nella grotta) che molto affascina.
Tom è il protagonista ed è un ragazzino vivace, discolo, un vero monello. Sa essere simpatico e furbo, ha la dote di riuscire a cavarsela sempre e di trasformare le punizioni in affari come nel celebre episodio in cui dovendo verniciare uno steccato, convince i compagni che si tratta di una cosa difficilissima tale che che essi lo pagheranno per fare il suo lavoro. Tom è leale, e crede nell’amicizia, sente il desiderio di crescere ma se fugge ha nostalgia di casa.
Il testo può essere utilizzato come inizio del percorso di storia in merito alla civiltà greca. Permette la conoscenza di alcune usanze, delle caratteristiche del territorio e della religione di questo popolo.
LA STORIA DI ULISSE E ARGO di Mino Milani
ANNA DAI CAPELLI ROSSI di Lucy Maud Montgomery Anna è un’orfana ormai adolescente, che viene adottata da una coppia di anziani fratelli, che desiderano un aiuto per mandare avanti la loro fattoria. Immaginiamo la sorpresa, quando invece che un ragazzo, come avevano richiesto all’ufficio delle adozioni, ricevono una ragazzina… e che ragazzina!
Anna si dimostra subito determinata, con un carattere risoluto e deciso, ma anche fantasiosa e sincera, generosa e ben decisa a non farsi rispedire al mittente. La storia ambientata in un piccolo paese canadese, narra dell’amore che nascerà tra Anna e i suoi familiari, dell’amicizia con la sua vicina di casa e di tutti gli aspetti che caratterizzano la vita adolescenziale di una ragazzina, che ne combina di tutti i colori.
TESTI DI NARRATIVA PER LA LETTURA INTEGRALE IN CLASSE 215
In questo libro si narra la vita di Ulisse, da ragazzino pauroso a eroe greco e vincitore della guerra di Troia.
Sono apprezzabilissime le descrizioni dei fenomeni stagionali, delle fioriture primaverili, degli stati d’animo dei vari personaggi, che completano il libro e ne fanno un ottimo sussidio al lavoro didattico.
La sua vita è costellata di sfide e rapporti che lo aiutano a crescere e a forgiare il suo carattere, solo grazie a tale percorso riesce a non arrendersi di fronte ai fatti imprevisti che caratterizzano la sua esistenza e a ritornare in patria dopo ben vent’anni.
VERBI NOMI PRONOMICONGIUNZIONIAVVERBI ARTICOLI AGGETTIVIPREPOSIZIONIESCLAMAZIONI GRAMMATICA
ORTOGRAFIA 217 ORTOGRAFIA A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z CIA ciambella CE cerotto CIO cioccolato CI cinema CIU ciuffo CA casa CHE chela CHI chicco CO colomba CU cupola GIA giallo GE gelato GI giraffa GIO gioco GIU giullare GA gallo GHE gheriglio GHI ghiro GO gorilla GU guscio QUA quaderno QUE quelloquesto, QUI quindi QUO quattro CU + CONSONANTE culla, cura, custode, cuscino, cucina GLI maglione, conchiglia biglia, aglio, foglia LI ciliegia, oliera petrolio, candeliere GNA castagna GNE montagne GNI cigni GNO signore GNU giugno SCE ascensore, ruscello, discesa, mascella, scettro MB bambola, tamburo MP pompiere, lampada QuiQUI al sole si sta proprio bene! CUI Il ragazzo a cui ho prestato il libro non me lo ha più restituito. CQU acqua e parole derivate acquistare, acquisto, nacque, piacque, giacque QQ soqquadro ZIA spaziale ZIE pazienza ZIO stazione MAIUSCOLA Si usa per nomi propri, sacri e di cariche, nomi geografici e di popoli, a inizio della frase e nel discorso diretto. Attenzione! Perfareiplurali: seprimadiCoG c’èunaconsonante: CEpancia › pance GEfrangia › frangeseprimadiCoG c’èunavocale: CIEciliegia › ciliegie GIEvaligia › valigie Attenzione! Alcune parolesono originali:cuore, cuoio, scuola,cuoco, Attenzione!circuitoriscuotere,percuotere,cuocere,scuotere,taccuino, vergogniamoconsegniamo,guadagniamo,impegniamo,accompagniamo,disegniamo,compagnia, Attenzione! scienza e coscienzae le parole che derivanoda esse
Attenzione!futrereme ne so va sta fa sto mai accenterò! Sul qui e sul qua l’accento non va!
DIVISIONE IN SILLABE
Le consonanti l, m, n, r si separano dalla consonante che le segue: el-mo, len-to
Le consonanti doppie (anche cq) si dividono sempre in due sillabe: sas-so, ac-qua I gruppi gn, sc, ch, gh, gl non si dividono mai: gno-mo, bar-che Le vocali che si pronunciano separatamente formano una sillaba e si separano: ma-e-stra, o-ce-a-no La s non si separa mai dalla consonante che la segue: de-sti-no
MONOSILLABI ACCENTATI dà verbo ↔ da preposione semplice dì nome = giorno ↔ di preposione semplice è verbo ↔ e congiunzione là avverbio ↔ la articolo lì avverbio ↔ li pronome né avverbio = e non ↔ ne pronome sé pronome ↔ se congiunzione sì avverbio ↔ si pronome tè nome ↔ te pronome
ACCENTO Nella lingua italiana l’accento si scrive solo quando cade sulla vocale finale: città, bontà, caffè
TRONCAMENTO un po’
218 OCCHI APERTI
H a preposizione Claudio va a casa sua. ha verbo Matteo ha gli occhi celesti. ah esclamazione Ah, che bella giornata! ai preposizione articolata Stefano va ai giardini. hai verbo Tu hai un cuore generoso. ahi esclamazione Ahi, mi hai fatto male! anno nome L’anno scorso sono stato in Francia. hanno verbo I bambini hanno cantato bene! o congiunzione Partirò stasera o domani. ho verbo Oggi ho poco appetito. oh esclamazione Oh, finalmente sei tornato! Attenzione! l’ho gliel’ho l’hai gliel’hai l’ha gliel’ha l’hanno gliel’hanno
APOSTROFO un albero, un’aquila (una), c’è, c’era qualAttenzione!è si scrive senza apostrofo!
I SEGNI DI PUNTEGGIATURA 219 . PUNTO Sempre alla fine della frase , VIRGOLA •Quandofaiun elenco di parole • fai un elenco di frasi • devi separare i diversi sintagmi di tempo, luogo o modo • prima della congiunzione ma • per inserire un inciso ; PUNTO E VIRGOLA Quando, nella frase, un pensiero è concluso, ma la frase continua con lo stesso argomento : DUE PUNTI Quando spieghi ? PUNTO INTERROGATIVO Quando devi porre una domanda ! PUNTO ESCLAMATIVO Quando la frase è un’esclamazione “ ” VIRGOLETTE Aprono e chiudono il discorso diretto si usano anche le lineette – –o le caporali « » ( ) PARENTESI Quando devi inserire qualche parola o frase che spieghi meglio Attenzione!Mai la virgola trasoggetto e verbo I SEGNI DI PUNTEGGIATURA
1. Metti in ordine alfabetico le seguenti parole.
4. Completa le parole con GN o NI . so o, cer era, gera o, monta a, pru e, ma ere, se ale, spu a, inse ante, macedo a
5. Completa le parole con SCE o SCIE . ndere, a nsore, ntifico, stri , cono re, nze, na re, ru llo, nziato, co nza
220 OCCHI APERTI
2. duca, divino, daino, dritto, destra, dottore, destino, destrosio, desto, destare.
A-Z. L’enciclopedia dei ragazzi, EdiBimbi
6. Trova le parole che derivano da scienza e coscienza e scrivile sul tuo quaderno.
ESERCIZI DI ORTOGRAFIA E PUNTEGGIATURA
2. Metti la lettera maiuscola dove occorre. l’italia si protende nel mediterraneo come una penisola a forma di stivale e comprende anche le isole di sicilia e sardegna. il territorio è per lo più occupato da colline e montagne. le vette innevate delle alpi attraversano l’italia settentrionale, mentre gli appennini si snodano come una spina dorsale lungo il centro della penisola. a nord si estende la pianura padana, attraversata dal po, il fiume più lungo del paese. le principali coltivazioni sono viti, limoni, peri, ulivi, aranci e grano.
1. cassetta, tuono, grandinata, motorino, renna, ancora, servizio, barile, doccia, cesto, fune, uccello, elefante, ferita, dado, poltrona, gita.
3. scrittura, scalcagnato, screditare, scrostare, scrigno, sgargiante, rincalzare, rinchiudere, rimproverare, rimpiangere.
3. Scrivi una frase per ogni parola “originale”: cuore, cuoio, scuola.
ESERCIZI DI ORTOGRAFIA E PUNTEGGIATURA 221
10. Completa le parole in modo corretto. T o TT bara olo, aspe are, au ista, reci azione, con a o, a enzione, scri o, pi ura B o BB a assare, a ete, ra ia, a astanza, a ito, rom o, arra iarsi, a ellire P o PP ca otto, ca ire, do io, te ore, tro o, tra ola, co erta, ri orto R o RR bi a, acca ezzare, co azza, fe o te ito io, ba iera, mu aglia, ma inaio Z o ZZ acqua one, atten ione, pin a, pi a ta a, a erare, cola ione, cora a G o GG spia ia, gre e, inda ine, vora ine, man iare, oma io, fa iolo, assa iare
7. Trova almeno tre parole che inizino con IMP, IMB, COMB, COMP.
8. Completa le parole con GLI o LI . bi etto, evito, venta o, petro era, sici a, sbadi o, Ita a, sve a, sco o, mi one 9. Completa le parole con CU, QU o CQU. indici, stode, ffia, adrato, aderno, rare, Pas ale, a ila, a azzone, s………adra, a istare, a ilone, a aragia, a leo, intale, gino, alità, scino, e ilibrio, in batrice, riscia are, s adra, esto, ello
VE oppure V’È Purtroppo non speranza! Non vi preoccupate, lo rispiegherò domani. NÉ oppure N’È Oggi non dobbiamo leggere studiare. Come mai Arianna se andata? al femminile le seguenti espressioni. atleta eccezionale spericolato
2. Un autista
12. Riscrivi le frasi sul quaderno inserendo l’apostrofo dove occorre. Quello elefante si abbevera nella acqua dello enorme fiume. Nella aiuola la edera è ricoperta di parassiti. Lo scienziato versava la acqua distillata nella ampolla. 13. Osserva e completa. ME oppure M’È Perché non vuoi venire con ? Il numero del pagliaccio piaciuto molto.
1. Un
TE oppure T’È Sei distratto e sfuggito quell’errore! Non ti ricordi? ne ho parlato ieri. SÉ oppure S’È Il papà dimenticato il giornale in macchina. Chi fa da fa per tre! CE oppure C’È Noi ne andremo dopo la partita. Mamma! l’anatra nello stagno del parco?
3. Un insegnante paziente 4. Un amico simpatico 5. Un allievo volenteroso 6. Un astronauta famoso
11. Riscrivi le parole sul tuo quaderno dividendole in sillabe. Manica, località, frizzante, attaccare, goccia, spiaggia, freccia, compagno, agnello, radio, dieci, storia, sbadiglio, maglione, chiaro, rischiare, opera, acquerelli, maschera, castoro, ombrello, cambio, cantare, fantasia, edera, sciarpa.
222 OCCHI APERTI
14. Volgi
ESERCIZI DI ORTOGRAFIA E PUNTEGGIATURA 223 15. Metti al posto dei puntini AI oppure HAI: 1. scritto la lettera nonni? 2. Torneremo in città primi di settembre. 3. Mi già raccontato questa storia. 4. mai giocato quattro cantoni? 5. promesso tuoi genitori di studiare di più; ma vedo che non intenzione di stare patti. 6. fatto bene a partire. 7. aggiunto un po’ di sale carciofi? 16. Metti al posto dei puntini A oppure HA: 1. La mamma preparato la torta. 2. Mio fratello mi accompagnerà scuola. 3. Michele una bicicletta nuova. 4. Francesco comprato il suo pallone Milano. 5. Sara dormito casa della nonna. 6. Ambrogio imparato camminare da poco. 7. Elisa un bel vestito fiori. 8. Il mio gatto Sansone la coda strisce. 17. Metti al posto dei puntini O oppure HO: 1. intenzione di partire domani dopodomani. 2. disegnato un cerchio rotondo come quello di Giotto. 3. Hai capito no? 4. Mandami l’uno l’altro; non preferenze. 5. Vi pregati di far silenzio. 6. Dammi subito un panino qualsiasi altra cosa: una fame da lupo.
224 OCCHI APERTI 18. Metti al posto dei puntini A oppure HA, ANNO oppure HANNO: 1. Quest’ la neve tardato venire. 2. Mia sorella non pazienza. 3. Verremo trovarvi Natale. 4. È già passato un da quella sera. 5. Lo zio lasciato in eredità suo nipote una casa in collina. 6. Il treno fischiato. 7. mezzogiorno i muratori interrotto il lavoro, e sono tornati casa. 19. Completa con A/HA , O /HO, AI/HAI, ANNO/HANNO. 1. Ieri Luca è venuto casa mia giocare e portato la merenda. 2. Lorenzo e Giorgio incontrato Cecilia giardini pubblici e sono rimasti giocare con lei fino a tardi. 3. Io non ancora finito di leggere il quinto libro della biblioteca. 4. Non fare tardi, perderai il treno! 5. Quest’ frequento la quarta. 6. Lucia perso i suoi occhiali, chi li visti?
7. Purtroppo io non comprato il biglietto per il cinema!
7. La volpe ha zampetta ferita: chiusa nella trappola!
4.
6.
9. Elisa tre fratelli minori di lei.
3. Nicodemo ha portato in gita sua macchina fotografica e rotta.
2. Il cane ha rincorso palla, presa e riportata a casa.
1. verifica era difficile.
ESERCIZI DI ORTOGRAFIA E PUNTEGGIATURA 225 20. Scegli e completa HA A AH HO O OH HAI AI AHI 1. , che male! Mi hai pestato il piede!
5. Federico ha chiamato zia quando vista al supermercato.
3.
8. che noia, non so cosa fare!
10. maestra è malata, sostituirà il maestro Gabriele.
9. Filippo ha indossato tuta nuova, poi in palestra strappata.
6. «Se non smetti, chiamo maestra!».
5. Torna subito casa! , che splendido tramonto!
21. Completa le frasi con L’HA (possedere, agire, sentire) o con LA (articolo o pronome personale).
8. Alice ha finito raccolta delle figurine e me fatta vedere.
4. Il nonno ha coltivato lattuga e raccolta quando è cresciuta.
2. Tu sbagliato di nuovo la divisione. Non abbiamo chiesto nonni se vogliono venire a pranzo da noi. Vuoi il latte il tè per colazione?
8. A Celeste piaceva così tanto il mio astuccio che gliel’ho regalato.
4. Quando direte, Davide sarà felice per la lieta notizia.
8. Michele, giocando, ha bucato il pallone di Francesco e ricomprato.
6. Ho trovato un portafoglio, ho cercato il proprietario e glielo restituito.
5. Quando restituirai il libro al tuo compagno? Glielo darò domani!
9. È di Luca quella bella bici? No, prestata sua sorella.
23. Cerca e correggi gli errori. Attento: non tutte le frasi ne contengono.
2. Lucia parla proprio bene! Gliela insegnato la sua maestra.
1. Gliela chiese in prestito molto tempo fa e finalmente gliel’ha restituita.
22. In ogni frase inserisci GLIELO o GLIEL’HO, GLIELA o GLIEL’HA .
3. Ma chi gliel’ha fatto fare di trasferirsi in quella fredda città a settentrione!
7. Glielo detto tante volte come utilizzare la parola “glielo”.
1. Non dire tu, ci penserò io ad informarlo.
6. Ho finito di leggere il libro della biblioteca, domani riporterò.
4. Questa focaccia è dura, andiamo dal panettiere e gliel’ha restituiamo.
9. Ho scritto una cartolina alla nonna, ma non glielo ancora spedita.
3. Questo è il casco di mio papà, se prendo si arrabbia molto.
7. Sai se Alessandro ha restituito la palla a Riccardo? Sì, restituita.
226 OCCHI APERTI
2. Io detto più volte, ma lui non vuole ascoltarmi.
5. Vuole parlare con mio papà? Un attimo che chiamo subito.
LÌLI ho aspettati a lungo, ma non sono arrivati. Guarda , sta per cadere un masso.
DÀDA Per andare casa mia alla tua occorrono pochi minuti. Mi fastidio il rumore del vento.
ESERCIZI DI ORTOGRAFIA E PUNTEGGIATURA 227
24. Completa le frasi con il monosillabo corretto.
3. Maria e Giulia corrono, a gambe levate Martina le guarda.
1. Clara disse alla mamma Comprami un quaderno a quadretti e una penna.
SÌSI I bambini rincorrono nel cortile. , ho capito! SÉSE non mi ascolti, non potrai capire! Ha portato con anche sua sorella.
2. Nell’aula gli scolari leggono la maestra, li ascolta.
TÈTE Siediti, ho preparato una buona tazza di . Quest’estate verrò con al lago.
3. Posso guardare la televisione? Chiese Federica.
5. Nel cortile della scuola c’è molta confusione: alcuni scolari parlano altri si spingono altri ancora si rincorrono.
8. Mentre Elvira chiacchierava con Luisa Angelo le scarabocchiava il quaderno.
26. Metti i due punti e le virgolette quando occorrono.
6. Verrei con te ma la mamma mi aspetta a casa.
2. L’insegnante chiese Chi di voi non ha risolto il problema?
25. Metti la virgola al posto giusto.
4. Mentre Paolo gioca la nonna, lavora a maglia.
LÀLA Ci vediamo come al solito. sera il Sole tramonta molto tardi.
1. La pasta sta cuocendo nella pentola Mara, sistema i bicchieri sulla tavola.
4. La bambina chiese alla mamma Posso giocare in cortile?
7. Ieri mentre andavo a scuola sono scivolato.
228 OCCHI APERTI PARTI DEL DISCORSO PARTI VARIABILI ARTICOLO determinativo il, la, lo, l’, i, gli, le numeroGenere, indeterminativo un, un’, uno, una dei, degli, delle NOME primitivo casa derivato cartolaio alterato stradina collettivo gregge composto capotreno AGGETTIVO qualificativo buono, immenso possessivo mio indefinito alcuni dimostrativo questi numerale tre interrogativo che? quale? quanto? esclamativo che! quale! quanto! PRONOME personale io, tu, noi, mi, ti, ci possessivo mio indefinito alcuni dimostrativo questi numerale tre interrogativo chi? che cosa? quale? quanto? esclamativo chi! che cosa! quale! quanto! VERBO coniugazione propria essere, avere personatempo,Modo,1a , 2a , coniugazione3a andare, vedere, sentire PARTI INVARIABILI PREPOSIZIONI semplici di, a, da, in, con… Non varia CONGIUNZIONI e, o, ma, perciò, infatti, quindi… AVVERBI volentieri, sempre, vicino, troppo, certamente, forse… ESCLAMAZIONI ah, eh, oh, uffa, boh…
PARTI DEL DISCORSO 229 L’ARTICOLO I corvi passano sotto il cielo azzurro e terso. All’improvviso quello che sta alla testa rallenta e traccia un grande cerchio. Gli altri girano dietro a lui. Sembra che danzino in tondo per ingannare la noia della strada, e che facciano moine con le ali tese come le pieghe di una gonna. J. Renard Le parole sottolineate sono articoli. Gli articoli sono le piccole parole (articolo = piccolo arto) che precedono il nome. Singolari Plurali Determinativi IL · LA · LO I · GLI · LE Indeterminativi UN · UNA · UN Attenzione!DEI, DEGLI e DELLEpossono essere usaticome articoli indeterminativi plurali:un aquilone › degli aquiloni
Le parole sottolineate sono nomi. Il nome identifica e distingue ogni cosa.
NOMI COMUNI E NOMI PROPRI
• i nomi geografici (Milano, Po, Tevere, Italia…)
IL NOME Aprendo la finestra, Giovanni vide che era piovuto un poco durante la notte: il terrazzino aveva le mattonelle bagnate e le foglie dei platani e l’erba del giardino erano umide. Ora non pioveva più, ma il tempo radioso dei tempi precedenti si era mutato in un tempo lattiginoso, col cielo semicoperto se non proprio nuvoloso, attraverso cui la luce del sole riusciva a filtrare debolmente.
I nomi si suddividono in comuni e propri; i nomi propri si scrivono con la lettera iniziale maiuscola. Sono nomi propri anche:
• i nomi di popoli (Romani, Fenici, Sumeri, Italiani…) Attenzione! Quando questi ultimi sono aggettivi si scrivono con la minuscola! Gli Egizi (nome proprio) adoravano molti dei. Gli dei egizi (aggettivo) erano numerosi.
230 OCCHI APERTI
Molti nomi hanno una sola forma sia per il genere maschile sia per il femminile (è necessario guardare l’articolo): il cantante - la cantante, il barista - la barista
•
Alcuni nomi hanno il plurale uguale al singolare (è necessario guardare l’articolo): la città - le città; l’auto - le auto.
•
• Alcuni nomi maschili al plurale diventano femminili: uovo - uova; paio – paia.
Il genere dei nomi può essere maschile o femminile.
Alcuni nomi hanno il femminile del tutto diverso dal maschile: fratello - sorella, bue - mucca
PARTI DEL DISCORSO 231 IL GENERE DEI NOMI
Alcuni nomi mancano del singolare o del plurale: occhiali, pantaloni, forbici mancano del singolare fame, sete, latte mancano del plurale.
•
Alcuni nomi al plurale hanno due significati diversi: ciglio: i cigli = margini, le ciglia = quelle degli occhi.
•
Molti nomi cambiando il genere, cambiano il significato: il collo - la colla, il mostro - la mostra IL NUMERO DEI NOMI
Solitamente si cambia il genere del nome cambiando la sua ultima lettera (= desinenza): nonno - nonna A volte il femminile si ottiene mettendo il finale -essa o –trice: dottore - dottoressa, pittore - pit trice
•
•
Il numero dei nomi può essere singolare o plurale.
•
•
Per molti nomi è facile fare il plurale, basta cambiare l’ultima lettera: finestra – finestre; nuvola – nuvole.
•
Solo i nomi di persona o di animale hanno il maschile o il femminile: nonno - nonna, gatto - gatta
•
La piazzetta del paese era quasi deserta, solo un gruppo di ragazzini giocava sotto i portici, vicino ai tavolini del bar. I negozianti sistemavano le ultime cose in attesa dei rintocchi che indicavano il vespero. Al suono della campana il giornalaio chiuse la sua botteguccia, salutò il barista e si diresse verso casa.
Sono nomi derivati quei nomi che si sono formati dalla radice di altri nomi o da verbi, e hanno un significato che richiama quello di partenza, ma è diverso.
•
Un gruppo di bambini lo osserva curiosamente, mentre, su tutto il branco vigila il cane del pastore. La famiglia del pastore porta con sé un po’ di ricotta al paese vicino, per raggranellare il piccolo gruzzolo necessario alle spese giornaliere. I nomi gregge, gruppo, branco, famiglia, gruzzolo… si chiamano nomi collettivi, perché, pur essendo al singolare, indicano un insieme di persone, di animali, di cose.
›
È arrivato il gregge. Un mese fa era in pianura, ora è diretto ai monti.
232 OCCHI APERTI
I NOMI DERIVATI E ALTERATI
›
I NOMI COLLETTIVI
Piazzetta, ragazzini, tavolini, botteguccia sono nomi alterati. Sono nomi alterati quei nomi che indicano la stessa cosa del nome primitivo, ma sottintendono degli aggettivi (grande, piccolo, bello, brutto).
Ci sono quattro forme di alterazione: accrescitivo nome + aggettivo grande › casona diminutivo nome + aggettivo piccolo › casina vezzeggiativo nome + aggettivo bello › casuccia nome + aggettivo brutto › casaccia
›
Osserva i nomi paese, gruppo, bar, cose, vespero, suono, campana, casa: sono nomi primitivi . Sono nomi primitivi i nomi formati dalla radice e dalla desinenza.
• dispregiativo ›
Portici, negozianti, attesa, rintocchi, giornalaio, barista sono nomi derivati da altri nomi o verbi: portici (porta), negoziante (negozio), attesa (attendere), rintocchi (tocco), giornalaio (giornale), barista (bar).
•
•
PARTI DEL DISCORSO 233 NOMI COMPOSTI Alla stazione, nell’andirivieni dei sottopassaggi e dei marciapiedi, le macchine gialle dei portabagagli si agitano senza posa. Il capostazione, col suo fischietto, dirige i convogli sulla ferrovia. I nomi sottolineati sono formati da due parole unite, si dicono nomi composti. Sottopassaggio = sotto (avverbio) + passaggio (nome) Marciapiedi = marcia (verbo) + piedi (nome)
IL GRADO COMPARATIVO
Comparativo di minoranza › meno di… Comparativo di maggioranza › più di… Comparativo di uguaglianza › come…
Si dice aggettivo qualificativo la parola aggiunta a un nome per determinarne la qualità (forma, colore, natura, condizione…).
L’AGGETTIVO
Le parole sottolineate sono aggettivi. L’aggettivo arricchisce il nome: è una parola che si aggiunge al nome per attribuirgli una caratteristica. L’aggettivo concorda sempre col nome a cui è riferito: ha cioè lo stesso genere e Articolo,numero.nome e aggettivo concordano e si possono analizzare insieme.
Il nonno è un vecchietto magro e arzillo. Il viso, scarno e allungato, è ricoperto da bianca e morbida barba. Gli occhi sono infossati e rossi per l’età. Non ha capelli, cioè è calvo, e la sua fronte è solcata da rughe profonde. Con la sua verde giacca da casa, se ne sta seduto in poltrona con le mani incrociate e fuma beatamente la pipa. Su quella grande e comoda poltrona il nonno schiaccia spesso un pisolino.
234 OCCHI APERTI
L’AGGETTIVO QUALIFICATIVO
• Giovanni è alto.
• Giovanni è più alto di Giacomino.
Le qualità degli aggettivi qualificativi hanno diversi gradi e si possono confrontare.
• Giovanni è meno alto di Stefano.
• Giovanni è alto come Angelo. Nella prima frase “alto” è usato normalmente, senza fare confronti, cioè al grado positivo. Nelle altre frasi, invece, l’aggettivo qualificativo “alto” è messo a confronto fra persone (si possono confrontare anche animali e cose). Si formano così i gradi comparativi (comparare = confrontare).
Il superlativo assoluto si può formare anche con i prefissi ultra -, arci -, stra -…; con le parole molto e assai; oppure ripetendo due volte l’aggettivo. Attenzione! Alcuni aggettivi, insieme a quelle regolari, possiedono forme irregolari di comparativi di maggioranza e superlativi assoluti. Si tratta di forme derivate dal latino. buono più buono migliore buonissimo ottimo cattivo più cattivo peggiore cattivissimo pessimo grande più grande maggiore grandissimo massimo piccolo più piccolo minore piccolissimo minimo
• «Il libro “Cion Cion Blu” è il più bello tra i libri che ho letto» dice Giovanna. Bellissimo è detto superlativo assoluto perché esprime la qualità del libro al grado massimo, senza confronto con altri libri; Il più bello è detto superlativo relativo perché il libro Cion Cion Blu è messo in relazione (confrontato) con gli altri libri letti da Giovanna.
IL GRADO SUPERLATIVO RELATIVO E ASSOLUTO
«Il libro “L’incredibile storia di Lavinia” è bellissimo» dice Jacopo.
PARTI DEL DISCORSO 235
•
IL PRONOME Un astronomo aveva l’abitudine di uscire tutte le sere in aperta campagna per studiare gli astri. Una notte, mentre passeggiava con gli occhi rivolti alle stelle e le guardava assorto, cadde inavvertitamente in una buca.
Attenzione!Lui e lei come soggetto sono usati con valore rafforzativo (es. È stato lui!), lo stesso vale per loro (es. Hanno vinto loro!). Lo – la – gli – le sono pronomi quando sostituiscono un nome; sono articoli determinativi quando precedono un nome. Gli = a lui; le = a lei; loro = ad essi. VadoRicorda!daRoberto e gli parlo (parlo a lui). Vado da Stefania e le parlo (parlo a lei). Vado da Roberta e Stefania e parlo loro (parlo a loro).
Mentre egli si lamentava e gridava, un passante lo udì e gli si avvicinò. Quando lo vide, gli chiese che cosa fosse successo, poi, scuotendo la testa, gli disse: “Caro mio, forse tu sai scrutare gli astri e le costellazioni che stanno nel Cielo, però non sai guardare neppure dove posi i piedi qui sulla Terra!”. Le parole sottolineate sono pronomi. Il pronome si usa al posto del nome e serve a sostituirlo. I pronomi personali servono per sostituire un nome indicante una persona, ma anche un animale o un oggetto, al fine di evitare le ripetizioni. In una frase possono avere la funzione di soggetto o di complemento. Soggetto Complemento io me mi (a me) tu te ti (a te) egli - esso ella - essa lui - lo gli (a lui) lei - la le (a lei) noi noi ci (a noi) voi voi vi (a voi) esseessi loro - li loro le
236 OCCHI APERTI
AGGETTIVI E PRONOMI POSSESSIVI
• Il mio cappello è blu, il TUO è rosso.
Le parole sottolineate sono aggettivi possessivi. I possessivi, proprio come dice il loro nome, indicano un possesso, cioè dicono a chi appartiene una certa cosa, persona o animale. mio mia miei mie tuo tua tuoi tue suo sua suoi sue nostro nostra nostri nostre vostro vostra vostri vostre loro propriaproprio propriepropri altrui Osserva le seguenti frasi:
Le parole sottolineate indicano sempre un possesso, ma quelle in minuscolo sono aggettivi (c’è il nome di fianco) mentre quelle in maiuscolo sono PRONOMI POSSESSIVI. Essi si dicono pronomi perché stanno al posto del Dunque,nome. distinguere l’aggettivo dal pronome non è difficile: l’aggettivo è sempre riferito ad un nome, il pronome, invece, lo sostituisce (pronome = al posto del nome).
Il mio cappello è blu, il tuo è rosso › mio = aggettivo, tuo = pronome
• La vostra insegnante è più giovane della NOSTRA .
Il ragazzo s’incamminò con il suo passo deciso lungo il sentiero che saliva in collina. Il bosco era umido e ombroso. Gli alberi piegavano leggermente i loro lunghi rami al soffio leggero del vento, mentre le loro foglie gialle si staccavano una dopo l’altra, dolcemente, e si depositavano a terra formando un tappeto giallo e rossiccio. L’autunno avanzava giorno dopo giorno, con il suo cielo carico di umidità, le sue piogge frequenti e i suoi nuovi colori.
PARTI DEL DISCORSO 237
• Il suo quaderno è ordinato, il VOSTRO no.
I più usati, nei vari generi e numeri, sono questo e quello. Alcuni dimostrativi sono soltanto pronomi: costui, costei, costoro, colui, colei, coloro, ciò; questi e quegli (maschile singolare). AGGETTIVI E PRONOMI INDEFINITI
Gli indefiniti esprimono la quantità di persone, animali o cose senza numerarla.
Gli indefiniti più usati, nei vari generi e numeri, sono: alcuno, molto, poco, parecchio, tutto, tanto, nessuno, altro, ogni, ognuno, ciascuno… AGGETTIVI E PRONOMI NUMERALI
Le parole primo, secondo, terzo… si dicono aggettivi (o pronomi) numerali ordinali in quanto indicano il posto d’ordine occupato in una serie.
Il dimostrativo è la parola che, nella frase, ha la funzione di mostrare, indicare, ciò di cui si parla.
AGGETTIVI E PRONOMI DIMOSTRATIVI
•
Le parole uno, due, tre… si dicono aggettivi (o pronomi) numerali cardinali poiché indicano una quantità numerica precisa e costituiscono i “cardini” (= le basi) della nostra numerazione.
Attenzione! Decina, paio, cinquina…indicanounaquantità,masono nomi.Migliaio si scrive con “GL” ; milione e miliardo si scrivono con la sola “L”.Tre si scrive senza accento, ma i numeri che finiscono in -tre lo vogliono (trentatré).
•
•
238 OCCHI APERTI
PARTI DEL DISCORSO 239 AGGETTIVI E PRONOMI INTERROGATIVI ED ESCLAMATIVI Con quale aereo parte Luigi? Che classe frequenta tua sorella? Quali aggettivi conosci? Quale sorpresa mi hai fatto! Quanti bei fiori hai comprato! Che compiti difficili! Che, quanto, quale si definiscono aggettivi interrogativi o esclamativi quando precedono un nome nelle forme interrogative o esclamative. Naturalmente, interrogativi ed esclamativi assumono la funzione di pronome se, invece di accompagnarsi ad un nome, lo sostituiscono. Che cosa hai visto? Dei libri della biblioteca, quali hai letto?
•
LE CONIUGAZIONI
d’autunno, staccando dai rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere qualche passo distante dall’albero. Manzoni
Se togliamo al lessema del verbo all’infinito la desinenza (il morfo), otteniamo la radice: il verbo è così pronto a ricevere tutte quelle “terminazioni” (uguali per i verbi della stessa coniugazione) che ci danno tante informazioni: la persona, il tempo e il modo. Parlano = III persona plurale, tempo presente, modo indicativo. Attenzione! I verbi fare, dire e produrre appartengono alla seconda coniugazioneperchémantengonolaforma del verbo latino (facere, dicere e producere). Attenzione! Tutti i verbi della prima e della seconda coniugazione, che hanno “gn” prima di -are e -ere, nella prima persona plurale del tempo presente mantengono la “i” della desinenza (-iamo): sogniamo, accompagniamo, spegniamo…
240 OCCHI APERTI
Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità dei monti opposti, Unscendere.venticello
Alessandro
•
IL VERBO
Le parole sottolineate sono verbi. Il verbo è la parte fondamentale della frase. È la parte più variabile. I verbi essere e avere hanno una coniugazione propria. Sono verbi ausiliari perché sono di aiuto alla formazione dei tempi composti di altri verbi (vedi tabelle in fondo al libro).
•
I verbi si raggruppano in tre coniugazioni: prima coniugazione - are seconda coniugazione - ere terza coniugazione - ire. RADICE E DESINENZA
•
I modi indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo sono detti MODI FINITI e indicano sempre la persona, il numero e il tempo.
•
•
PARTI DEL DISCORSO 241 I MODI DEL VERBO
•
La situazione è sempre la stessa, ma con notevoli diversità: nel primo caso viene descritta un’azione certa, reale (modo INDICATIVO); nel secondo caso viene espresso il desiderio che sia compiuta tale azione (modo CONGIUNTIVO); nel terzo caso viene espressa la possibilità che l’azione venga compiuta (modo CONDIZIONALE ); nell’ultimo si ordina che l’azione venga compiuta (modo IMPERATIVO).
•
Sappiamo già che un verbo esprime la persona e il tempo in cui avviene l’azione. Andrea legge un libro. Legge = terza persona singolare, tempo presente. Ma il verbo esprime anche altre importanti distinzioni. Andrea legge un libro. Ah, se Andrea leggesse un libro… Andrea leggerebbe un libro se lo avesse! Andrea, leggi un libro! – dice la maestra.
•
•
•
L’allenatore fece allenare molto la squadra affinché vincesse il campionato. Certe volte, però, si usa anche da solo. Magari oggi piovesse! IL MODO CONDIZIONALE
Il congiuntivo è, di solito, usato nelle frasi congiunte, legate ad altre frasi.
La mamma desidera che Sofia faccia il suo letto alla mattina.
242 OCCHI APERTI
Giovanni sa che sua mamma è a casa. è = modo indicativo, indica che è un fatto reale che Giovanni conosce.
Abbiamo visto che l’indicativo serve generalmente per parlare di fatti e situazioni certe, reali.
•
•
Il modo CONDIZIONALE è quello che esprime un desiderio: Vorrei un gioco della PlayStation. oppure una condizione: Se avessi la merenda la mangerei!
Come abbiamo visto, se le condizioni sono espresse si usa il congiuntivo Il(avessi).modo condizionale è anche il modo della cortesia: Potresti chiudere la finestra, per piacere?
Giovanni pensa che sua mamma sia a casa. sia = modo congiuntivo, è una fantasia, un’opinione di Giovanni.
Il modo CONGIUNTIVO, invece, sta di solito ad indicare che non parliamo di fatti e situazioni reali; è il modo della possibilità, del dubbio, del desiderio.
Il modo indicativo esprime (indica) l’azione o lo stato in modo reale, certo. Comprende otto tempi: quattro semplici e quattro composti. IL MODO CONGIUNTIVO
IL MODO INDICATIVO
Rosamunde Pilcher
SU
PARTI DEL DISCORSO 243
IN
Tra
LE PREPOSIZIONI Quel giorno mi ritrovai in mezzo alla campagna, in una zona di campi verdeggianti dove brucavano mucche dal muso dolce e mite. le siepi erbose crescevano viole e primule selvatiche e, quando uscì il sole, il colore dell’erba rigogliosa si trasformò e divenne verde smeraldo.
Le parole sottolineate sono preposizioni. Sono brevi parole che si premettono ad altre per metterle in relazione. A, di, da, in, con, su, per, tra, fra sono preposizioni semplici.
Le preposizioni semplici si uniscono agli articoli e formano le preposizioni articolate. IL LO L’ LA I GLI LE A al allo all’ alla ai agli alle DI del dello dell’ della dei degli delle dal dallo dall’ dalla dai dagli dalle nel nello nell’ nella nei negli nelle sul sullo sull’ sulla sui sugli sulle
DA
Le principali congiunzioni sono: e, ma, pure, né, neppure, o, oppure, però, anche, tuttavia, anzi, cioè, infatti, dunque, quindi, perciò, perché, allora, mentre…
244 OCCHI APERTI
Le parole sottolineate sono congiunzioni. Le congiunzioni uniscono (congiungono) parole o frasi. Come gli articoli e le preposizioni, sono parole che da sole non riescono a significare nulla, ma hanno nella frase il compito di legare in modo significativo altre parole.
La nonna e la zia verranno da noi questo pomeriggio, ma non potranno fermarsi molto né restare a cena, nonostante l’avessero promesso, perché il nonno non si sente bene.
LE CONGIUNZIONI
Ecco i principali avverbi: di modo (come?): bene, male, lentamente, velocemente… di tempo (quando?): ieri, oggi, domani, adesso, ora, prima, poi, mai… di luogo (dove?): lì, là, qui, qua, lassù, vicino, lontano, sopra, sotto, fuori, dentro… di quantità (quanto?): poco, tanto, molto, più, meno, niente… di negazione: no, non, neppure… di affermazione: sì, certo, certamente… di dubbio: forse, probabilmente, magari…
•
•
Luca è terribilmente infuriato. Spesso perde la pazienza e gira dappertutto lamentandosi. Poi, improvvisamente, cambia umore e torna subito a giocare.
Eccone alcune: Ahi, oh, uffa! Sono spesso seguite dal punto esclamativo.
Le parole sottolineate sono avverbi. Gli avverbi precisano e modificano il significato di un verbo, ma possono riferirsi anche ad un aggettivo o ad un altro avverbio.
Le parole sottolineate sono esclamazioni. Le esclamazioni sono parole invariabili che servono ad esprimere emozioni e sensazioni (gioia, esultanza, dolore, paura…).
•
•
PARTI DEL DISCORSO 245 GLI AVVERBI
Ehi, amico, vieni con me in piscina? Evviva! È proprio quello che volevo fare. Oh! Finalmente qualcuno che mi capisce.
•
•
•
LE ESCLAMAZIONI
1. La mamma ci ha versato della cioccolata calda.
7. Ho scoperto che delle muffe non sono nocive per l’uomo.
Nel cortile della scuola
1. Marta ha raccolto delle margherite nel cortile della scuola.
3. Sottolinea gli articoli in blu e i nomi in rosso.
1. Sottolinea in rosso gli articoli determinativi e indeterminativi, e in verde le preposizioni articolate.
10. Le maestre prepareranno dei compiti in preparazione alla verifica.
4. Il boscaiolo raccolse dei porcini squisiti.
Il custode Annibale spazza il cortile, raccatta cartacce e foglie e le butta in un grande sacco nero, scuote la testa e brontola: «Ah, questi bambini! Quando impareranno a buttare le carte nei cestini?».
7. Le piramidi erano dei monumenti funebri dedicati ai faraoni.
6. Io vorrei una tazza di tè con del limone, grazie!
246 OCCHI APERTI
8. Spesso nei castelli ci sono dei passaggi segreti.
3. Tra le alte cime alpine volano delle aquile reali dalle grandi ali.
2. Distingui sottolineando con diversi colori le preposizioni semplici, quelle articolate e gli articoli.
2. La maestra ci ha annunciato che avremo un nuovo compagno di classe!
5. Matilde ha delle nuove scarpette rosse.
3. Dei miei compagni sono a casa con la febbre.
Un merlo scende a terra dall’albero, becca svelto svelto il terreno, alza la testa, vede i bambini, vola via oltre il muretto. Un gatto bianco e nero cammina sul muretto, si ferma, fiuta in giro e riprende la sua passeggiata.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO
8. La maestra ha sostituito dei libri della biblioteca.
9. La maniglia della porta è di ottone.
4. Una gita bellissima della scuola elementare è quella sui Camuni in Valcamonica.
5. La maestra ha lasciato sulla cattedra dei nuovi libri della biblioteca.
6. Ho inserito dei fogli nuovi nel raccoglitore delle materie di studio.
2. Delle tegole del tetto sono volate via a causa del forte vento.
3. Il famoso cantante si esibisce in palcoscenico.
4. Sottolinea e analizza i nomi. Tavolo, cucinare, popolo, giardino, ditale, pronto, simpatico, topolino, anatroccolo, lavandini, latte, mungere, tessere, telaio, bosco, tagliare, sbadatamente, diario, unghie, orologio, zoccolo, gnocco, cacciare, ridi.
4. «I figli maschi con i capelli biondi vengano alla cattedra».
5. Stefano si è fatto male al collo facendo una capriola sul divano.
7. Copia le frasi volgendo nell’altro genere i nomi di persona sottolineati. Poi trova almeno dieci nomi con le caratteristiche di quelli sottolineati.
1. Il nipote di Francesco ha quattro anni.
2. Il professore richiama lo studente distratto.
2. La violinista studia al conservatorio.
1. Il nonno legge una fiaba ai suoi nipotini mentre il gatto fa le fusa.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 247
3. Federico è mio parente. 4. Il cantante ebbe molti applausi. 8. Trova almeno otto coppie di nomi che cambiando il genere cambiano il significato (esempio: il foglio-la foglia). Scrivile sul quaderno, poi scegli quattro coppie e scrivi una frase con ogni parola.
6. Sottolinea i nomi, trascrivili e scrivi il genere e il numero. Nell’aria tersa e sottile delle grandi altezze Musco guardò per un istante il sole e gli parve luminoso e splendente come non mai. Il profumo di rugiada mattutina arrivava fino ai rifugi. Sui pendii la neve era quasi scomparsa del tutto, resisteva nelle cime più a nord e sui canaloni battuti dal vento della notte. Per la bellezza del mattino, per la terra che luccicava in quel grande silenzio, per quelle montagne nitide e azzurre che chiudevano l’orizzonte, per quelle foreste verdeggianti che salivano piano, Musco si sentì veramente felice come non gli accadeva da tanto tempo. Dimenticò la sua abituale diffidenza e corse per il pendio dove Petunia stava assaporando i primi teneri germogli. Il colle delle lance
5. Volgi al femminile i nomi delle seguenti frasi.
248 OCCHI APERTI 9. Completa. un bosco antico › tanti un mago simpatico › quattro un manico lungo › due lo stecco secco › alcuni l’arco artistico › gli il › i medici scolastici lo › gli sporchi trucchi il › i cuochi stanchi un › i funghi bianchi un › tanti lunghi portici una giacca larga › alcune una lunga barca › tre una strega antipatica › due un’amica ricca › diverse un’orca bianca › tante una › due lunghe stringhe una › delle vasche etrusche la › le pesche fresche l’ › le epoche storiche una › due panche rustiche una › alcune vecchie vasche
Ora scegli sette nomi collettivi dall’esercizio e con ognuno di essi componi una bella frase.
12. Ecco una serie di nomi derivati, copiali sul quaderno scrivendo il nome primitivo: giornalista, fornaio, panettiere, libreria, canile, vetraio, scolaro, pastificio, salumificio, muratore.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 249 10. Scrivi sul quaderno le frasi, trasformando le parole sottolineate nel femminile o nel corrispondente femminile. 1. Ho incontrato un uomo. 2. Mio zio è ancora celibe. 3. Luigi è uno studente. 4. Aiuta tuo padre. 5. Lavoro con mio fratello. 6. Mio padre è il genero di mio nonno. 7. Nel convento c’è un frate. 8. Litigava con il marito. 9. Mi hanno presentato l’autore. 10. In Inghilterra c’è il re. 11. Spiega il significato dei seguenti nomi collettivi: Esempio: biancheria = insieme di panni biancheria, clientela, mobilia, esercito, squadra, scolaresca, flotta, sciame, stormo, fogliame, fauna, flora, gregge, gente.
13. Tra i seguenti nomi, distingui i derivati (di ognuno scrivi anche il nome primitivo) e gli alterati (di ognuno aggiungi l’aggettivo sottinteso): pesciolino, muratore, cavalluccio, orologiaio, panino, barcaiolo, barcaccia, barchetta, libretto, libreria, legnaia, legnetto, ortolano, scarpetta, casina, casaccia, marinaio, occhiacci, tempaccio, viuzza.
250 OCCHI APERTI 14. Classifica i seguenti nomi secondo la specie, il genere, il numero. PROPRIO COMUNE MASCHILE FEMMINILE SINGOLARE PLURALE COLLETTIVO PRIMITIVO DERIVATO ALTERATO COMPOSTO
schiaccianocifuggifuggimaggiolinoorticulturacollinettaomacciscolarescheortolanoortocagnolinoorsoballettocacciatorespremiagrumisciamelibronelibrerialibriAntoniostormofornaiosinceritàruscelletticapostazione
C’erano tre lettucci, un catino e una brocca, un cassettone zoppo in faccia ai letti. Le mosche volavano a sciami, nel caldo soffocante. Le finestre erano chiuse perché non entrassero zanzare; ma ero appena con la testa sul cuscino e già sentivo da tutti i lati, il loro sibilo.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 251
Primo Levi
15. Da quale nome derivano i seguenti nomi? muraglia fumata pescatore calciatore ghiacciolo scarpiera braccialetto collare guanciale cartolina maniglia fruttiera lattiera salumeria lanificio frutteto
16. Colora i “falsi alterati”. bambino bambinetto ragazzina nonnina padrone lettone patatina setaccio mattone burrone pedone scarpetta cugino mattino macchinina mulino macchiolina tapparella tacchino girino Ora con i “veri” nomi alterati componi una frase per ognuno di essi (specifica il tipo di alterazione).
17. Segui l’esempio dell’autore di questo brano e descrivi brevemente la tua stanza, o un’altra della tua casa usando opportunamente gli aggettivi e i nomi (alterati, derivati, collettivi…). Una stanza Era una stanza buia, lunga e stretta, con una finestrucola in fondo, le pareti erano dipinte a calce, grigie, sporche, scrostate.
ARTICOLO NOME AGGETTIVO l’ libro calde un’ sceriffo morbidi i lampada dolce gli frigorifero inaspettato una chiave lucente
252 OCCHI APERTI 18. Sottolinea i nomi e cerchia gli aggettivi. 1. Fabio gioca con un pallone nuovo. 2. L’astuccio è pieno di diverse matite colorate. 3. La bambina bionda si pettina i lunghi capelli biondi. 4. Il cavallo bianco e nero corre veloce nel prato. 5. Le mele verdi che ha acquistato la mamma al mercato sono aspre, ma buone. 19. Completa la tabella rispettando le concordanze tra articolo, nome e aggettivo. Fai attenzione a non ripetere gli stessi nomi e gli stessi aggettivi.
Il negozio più bello della mia città si trova in via Cavour. Già a guardare la vetrina, ultrascintillante di luci e colori, rimani senza fiato. È un negozio di giocattoli, i giocattoli più straordinari che ci siano! Il reparto più affascinante è quello dei giocattoli antichi: ci sono le bambole di porcellana che hanno abiti ricchissimi e i capelli morbidi morbidi. Poi ci sono le macchinine di latta e i cavalli a dondolo di legno lucidissimo.
20. Individua gli aggettivi qualificativi, collegali al nome cui si riferiscono e analizzali sul tuo quaderno.
4. Il libro Cion Cion Blu è il più bello tra i libri che abbiamo letto.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 253
8. Questa crostata è più friabile di quella. 9. Giulia è la più vivace di tutta la classe.
7. Polifemo è un ciclope molto empio.
10. Sei golosa come tuo fratello.
1. Achille fu l’eroe più valoroso fra tutti i Greci.
1. Questo tratto è il più faticoso di tutto il percorso.
5. Linda è la più diligente di tutti voi.
6. Il sapore di un panino è più buono di quello delle merendine.
6. Ulisse è un re astutissimo.
2. La trasmissione su canale tre è stata divertentissima.
7. Il più caro di tutti i miei amici sei tu, Marco.
5. Le cronache di Narnia è un libro bellissimo.
8. Il ragno palombaro è piccolo piccolo.
9. La giornata di ieri in montagna a sciare è stata stradivertente!
3. Le perle sono meno preziose dei diamanti.
21. Analizza gli aggettivi qualificativi evidenziati.
2. La Sicilia è la regione più estesa d’Italia.
22. Sottolinea l’aggettivo qualificativo usato nei suoi vari gradi.
4. La gazzella è veloce come il vento.
3. Francesco è il più veloce della classe.
2. Ognuno assuma le proprie responsabilità.
5. Desidero avere tue notizie e sapere come va il tuo lavoro.
1. Voi giocate nel vostro campo e noi nel nostro.
23. Sottolinea in rosso gli aggettivi possessivi e in blu i pronomi possessivi. Collega sempre gli aggettivi al nome cui si riferiscono.
5. La loro casa è più ampia della nostra.
254 OCCHI APERTI
3. Ti consideriamo uno dei nostri!
6. La mia sorellina è più vivace della loro.
7. Trascorreremo le vacanze dai nostri amici al mare.
26. Sottolinea gli aggettivi dimostrativi Adesso mettiamo in ordine quest’aula. Io sistemo questi disegni, tu sposta quei quaderni. Quelle matite lasciale nel medesimo posto, questa biro puoi buttarla in quel mucchio.
3. Vuoi i miei pattini? Oppure usi i tuoi?
27. Inserisci l’aggettivo QUESTO o QUELLO in modo opportuno sera ceneremo al ristorante. Sono passati tanti anni, ma non dimenticherò mai viaggio in Conaereo. aria gelida ci prenderemo un malanno. Ho trovato facile esercizio sgridata mi fece capire che avevo sbagliato. volta, hai ragione!
1. Le nostre biciclette sono molto simili: spesso confondo la mia con la tua.
4. I loro interessi contrastano con i miei.
4. Il tuo giaccone è identico al mio.
Bene, mi sembra utile questo lavoro!
2. Prima di criticare i difetti altrui, bisogna considerare i propri.
25. Sottolinea in rosso gli aggettivi possessivi e in blu i pronomi possessivi.
24. Costruisci cinque frasi con gli aggettivi possessivi pensando alla tua classe.
29. Sottolinea in verde gli aggettivi indefiniti e in marrone i pronomi indefiniti. Collega sempre gli aggettivi al nome cui si riferiscono.
2. Ogni volta che vado al mare, incontro qualche vecchio amico.
5. Ciascuno metta a posto i propri giocattoli!
3. Alcuni ragazzi sono arrivati tardi a scuola.
7. di voi dovrebbe spiegarmi che cosa è successo.
28. Leggi con attenzione le seguenti frasi, poi sottolinea in rosso gli aggettivi indefiniti e in blu i pronomi indefiniti.
4. Tutti i bambini della 4a A parteciperanno alla festa di fine anno.
1. Qualcuno deve darmi delle spiegazioni esaurienti.
6. Il papà ha comperato le pere, ma solo alcune erano mature.
1. fiori sono stati rovinati dalla furia del vento, solo rose si sono salvate.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 255
2. Tutti sanno che i verbi devono essere imparati a memoria.
2. Oggi si prevede pioggia sul Piemonte e bel tempo sulle regioni.
4. Gli agrumi non sono tutti uguali: alcuni sono più aspri di altri.
8. Abbiamo imparato tanti canti nuovi.
30. Completa con aggettivi o pronomi indefiniti adatti. Indica se si tratta di aggettivi o pronomi.
3. Oggi sono assenti alunni: è malato, sono in gita.
5. Parecchi di loro canteranno nel coro.
3. Qualcuno ha bussato?
6. Stanotte è caduta neve e le scuole sono rimaste chiuse.
7. Non mi ha detto nulla della sua giornata a scuola.
4. paura! Ci sono io a farvi compagnia e a darvi coraggio.
6. Nessuno mancherà.
7. In teatro c’è poco spazio, ma ognuno avrà una sedia.
5. Durante la ricreazione ragazzi giocano a calcio, a nascondino.
8. Chiunque da piccolo ha avuto paura del buio.
1. In cortile alcuni ragazzi giocano a calcio, altri a pallacanestro.
3. Il primo libro che leggeremo sarà di Lewis.
9. Qual è il tuo diario?
31. Sottolinea nel brano gli aggettivi numerali in rosso e i pronomi numerali in blu.
Le piramidi
Le piramidi sono enormi edifici a pianta quadrata con i lati triangolari che si incontrano in corrispondenza del vertice. Gli Egizi costruivano piramidi come tombe per i loro sovrani. La prima piramide, eretta attorno all’anno 2650 a.C. a Sakkara, è alta 62 metri. Le tre piramidi più famose si trovano nei pressi di Giza. La Grande Piramide, fatta costruire attorno al 2600 a.C. dal faraone Cheope, è alta 137 m. Chefren, che succedette a Cheope, fece costruire la seconda, alta 136 m, mentre la terza, realizzata da Micerino, successore di Chefren, è alta 73 m. In Egitto si trovano ancora ottanta piramidi circa. Anche le popolazioni native dell’America centrale e meridionale costruirono templi a forma di Piramide nei primi sei secoli dopo Cristo: un esempio famoso è l’enorme piramide di Choula, nei pressi di Città del Messico, alta circa 54 m. A-Z. L’enciclopedia per ragazzi, EdiBimbi
33. Trova gli aggettivi, poi scrivili sul quaderno e indicane il tipo.
8. Tra qualche mese partirò con i miei amici per una famosa isola greca.
7. Ognuno di noi ha scelto l’argomento da studiare per la propria interrogazione finale.
6. Alcuni bambini hanno avuto la febbre alta.
2. Quante fragole hai raccolto questo pomeriggio?
7. Francesco è stato il secondo bambino ad arrivare in classe. Quelle piante sono cresciute in fretta.
4. Queste scarpe che indosso sono comodissime.
2. Giacomo, Paolo e Simone sono tre bambini della nostra classe.
256 OCCHI APERTI
1. Le foglie gialle coprivano il vialetto che conduceva alla solitaria cascina.
5. Questa penna blu è di Matilde.
32. Sottolinea gli aggettivi e collegali con una freccia al nome che accompagnano.
4. Quale film preferisci?
8.
1. Luca e Pietro mangiano il vostro buonissimo gelato alla crema.
5. Questa torta alla crema non mi piace, assaggerò quella al cioccolato.
3. Maria è nata il primo marzo.
6. Ho scordato a casa il mio grembiule.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 257 34. Sottolinea gli aggettivi poi indica con una freccia il nome che accompagnano. 1. Mia mamma ha comprato due quaderni blu. 2. Questo triangolo è scaleno e ha tre lati diversi. 3. La nostra classe è la sesta aula del corridoio. 4. Gaia è stata la prima bambina a tagliare il traguardo. 5. Caterina ha due sorelle che frequentano la seconda media. 6. Durante l’intervallo mattutino ho segnato un goal spettacolare! 7. Con i miei amici parteciperò al nuovo laboratorio espressivo. 8. Alle verdi pareti della classe abbiamo appeso i nostri colorati e utili cartelloni. Ora inserisci ogni aggettivo nella riga giusta.
35. Prova a scrivere sul quaderno una frase usando almeno tre tipi di aggettivi diversi. Puoi scegliere tra: qualificativi, possessivi, ordinali, cardinali, dimostrativi, indefiniti. Indica di ciascuno il tipo di aggettivo scelto.
NUMERALINUMERALIDIMOSTRATIVIPOSSESSIVIQUALIFICATIVICARDINALIORDINALI
4. Non sei (tu-te) quello che deve decidere.
37.
3.
4. Diego non scrive, gli fa male una mano.
8. Lucia non trova le matite, ma io ne ho presa solo una.
7.
2.
2. Non mentire: guardami negli occhi. Li ho portati al parco anche se non lo meritavano.
1. (Tu-Te) sei un bambino simpatico.
5. Ci piace molto andare a cavallo.
2. Ho visto Sara e (gli-le) ho chiesto di giocare con me.
38. Qual è il pronome personale corretto tra quelli indicati tra parentesi?
3. Ho parlato con Stefano e (gli-le) ho detto di studiare di più.
5.
3.
6.
4.
10.
1.
258 OCCHI APERTI
36. Sottolinea in blu gli aggettivi ed in giallo i pronomi. Questa borsa è più grande della mia. I miei genitori hanno conosciuto i tuoi. Ciascuno prenda il proprio quaderno. Chi hai incontrato al parco? Quel ragazzo di ieri? Prendi quella biro; questa è scarica. La loro casa è molto accogliente, ma io preferisco la nostra. Abbiamo suonato a quella porta, ma nessuno è venuto ad aprire. Tutti sanno che è importante nutrirsi correttamente. Quante foglie hai raccolto in giardino? Io diverse. Quello stormo è più numeroso di quello laggiù. Ora analizza sul tuo quaderno i pronomi. Sottolinea i pronomi personali e scrivi a cosa corrispondono. Esempio: Mi hai fatto male! a me Le portai un ricordo da Londra.
8.
9.
6. Scrivigli una lettera e spediscila!
7. La maestra vi ha mandato dalla direttrice.
5. Ho incontrato Francesco e ho fatto una bella passeggiata con (gli-lui).
1.
1. Ho incontrato la tua mamma e ho parlato alla tua mamma di te.
40. Completa le frasi usando i pronomi personali 1. piace il gelato alla frutta.
5. Prima il telefono ha squillato, ora il telefono non squilla più.
6. Riccardo ha portato a scuola un DVD sugli animali; Riccardo ci ha detto che è molto interessante.
3. Ho incontrato gli amici del nonno e ho detto che è stato ricoverato.
9. Domani Davide e Ginevra giocheranno al mercato. Davide e Ginevra peseranno lo zucchero. Ora analizza i pronomi sul tuo quaderno.
4. Ho comprato una pista e ho montato la pista.
2. La farfalla vola sul fiore; la farfalla è arancione.
4. Anche a piace andare a lezione di pianoforte?
5. Anche dovete venire con noi al corso di inglese.
39. Le frasi seguenti sono piene di ripetizioni. Riscrivile sul tuo quaderno sostituendo ai nomi ripetuti i pronomi personali giusti. Esempio:Ilmaestro Gabriele è un violinista. Gabriele oggi ha tenuto un concerto. Il maestro Gabriele è un violinista. Egli oggi ha tenuto un concerto.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 259
3. Io lavo la bambola e pettino la bambola.
2. Ho telefonato alla zia e ho detto di venirci a trovare al mare.
8. Mi piacciono molto le fragole; io mangio spesso le fragole con la panna.
7. La mamma è tornata a casa e io ho raccontato alla mamma le cose belle imparate a scuola.
4. È arrivato il treno da Roma.
6. Anna mi ha chiesto una penna viola, ma le ho risposto che non la ho.
3. Il maglione di Giacomo è rosso, lo è anche il cappello.
7. Gli ho cucinato un bel pranzetto.
4. Mi piace andare al cinema.
41. Sottolinea con diversi colori nomi, articoli, verbi e pronomi personali. Poi di ciascun pronome scrivi ciò che sostituisce.
5. Ho realizzato un disegno e l’ho appeso in salotto.
9. Vorrei raccontarti la storia di Ulisse.
2. La mia camera ha le pareti verdi, me le ha dipinte così il papà.
Esempio: La nonna ha preparato le lasagne e l’ ho (nonna) ringraziata perché le (lasagne) ho proprio gustate!
1. Il mio regalo le è piaciuto.
2. Tu sei un caro ragazzo. 3. C’è uno strano tipo che ti cerca.
8. Ieri era il compleanno di Maddalena e le ho telefonato per farle gli auguri.
1. È partito ieri col treno.
5. Carlo e Mario sono a Milano.
7. Il mare Adriatico è poco profondo.
260 OCCHI APERTI
8. Voi siete arrivati in ritardo. 9. Noi siamo scesi alla stazione centrale. 10. Voi siete generosi nei miei confronti.
42. Sottolinea in rosso gli enunciati in cui il verbo essere è usato in senso proprio e in blu quando è usato come ausiliare.
11. Sei andato alla partita?
6. Tuo fratello è un tipo sportivo
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 261 43. Sottolinea i seguenti enunciati in rosso quando il verbo avere è usato in senso proprio e in blu quando è usato come ausiliare. 1. In biblioteca ho tanti libri di scienze. 2. Tu hai uno zaino molto pesante. 3. Avevo saputo tutto da tuo zio. 4. Tutti hanno il biglietto per la mostra. 5. Maria ha vinto una bella somma. 6. Non hai avuto fortuna! 7. Che cosa hai trovato nella valigia? 8. Noi abbiamo comprato una casa. 9. Giovanni non ti ha ascoltato. 10. Abbiamo festeggiato il tuo arrivo. 11. Forse ha telefonato il mio amico. 12. Non ho incontrato nessuno oggi. 44. Analizza i verbi mettendo una crocetta in corrispondenza del tempo corretto. TEMPO SEMPLICE COMPOSTO PRESENTE IMPERFETTO PASSATO REMOTO FUTURO SEMPLICE PASSATO PROSSIMO TRAPASSATO PROSSIMO TRAPASSATO REMOTO FUTURO ANTERIORE erifui abbiamoavemmosareteebbesarannosonoerahannoavevatestatoavutostatostatiavuto
46. Analizza i seguenti verbi indicando solo modo e tempo. 1. partii modo tempo 2. avessimo rotto modo tempo 3. ebbero modo tempo 4. siate modo tempo 5. abbia cucito modo tempo
48. Leggi il brano e trascrivilo trasformando le azioni al tempo passato prossimo, al tempo futuro semplice e al tempo passato remoto. Un corvo ruba un pezzo di carne e va a posarsi sul ramo di un albero. Lo vede la volpe e comincia a tessere grandi lodi del suo corpo perfetto e della bellezza della sua voce. Il corvo si mette a gracchiare e lascia cadere la carne. La volpe afferra la carne e se ne va di corsa.
45. Trascrivi il brano volgendo i verbi dall’imperfetto al presente e dal trapassato prossimo al passato prossimo. Era l’alba Il cielo aveva un meraviglioso colore dorato; i campi e le strade avevano catturato i primi raggi e avevano assunto una sfumatura incerta tra il verde, l’azzurro e il grigio. La rugiada, che aveva bagnato l’erba durante la notte, aveva un riflesso luminoso e brillante, come un piccolo specchio che riflettesse i colori del cielo.
47. Analizza i seguenti verbi indicando il tempo e la persona. Ebbero, hai avuto, ha, avevo avuto, avranno, avevi, ebbe avuto, avesti, abbiamo, avrò avuto, avesti avuto, avevano, hanno, avemmo avuto.
262 OCCHI APERTI
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 263 49. Ricopia sul quaderno le seguenti frasi concordando i verbi con le persone che compiono l’azione. Usa i vari tempi del modo indicativo. 1. Io e te (leggere) con passione i fumetti. 2. Al mare con te (restare) i nonni. 3. Io e Carlo (passeggiare) ogni sera fino a tardi. 4. La zia e i suoi figli (arrivare) domani. 5. L’anno prossimo io (venire) con te a Parigi. 6. L’anno scorso noi (andare) in montagna. 7. Io e voi l’anno prossimo (trasferirsi). 8. Ieri io e la mamma ti (telefonare). 9. I miei compagni di classe, Luigi e Francesca (restare assenti) per una settimana a causa dell’influenza. 50. Indica se le seguenti voci del modo indicativo sono al tempo futuro semplice o al tempo passato remoto. andrò sognò attraversò tornò proseguì verrò giocherà scappò partirò suonerà attraverserà finirò
52. Analizza i seguenti verbi: avevo avuto, ebbi accolto, disegniamo, avranno mangiato, avevate dormito, fu, avrà, cantai, sei stato, ha cantato, eravamo, ebbi, aveste avuto, mangerà, sogniamo, avemmo scritto.
53. Analizza le forme verbali sul quaderno: andasse, avessi tolto, ebbi scritto, tossisce, scoprirete.
264 OCCHI APERTI 51. Completa la tabella. VOCE DEL VERBO CONIUGAZIONE TEMPO PERSONA eravate leggemmofuihannocrederannohannohaeraavrairicevemmoavestebevonohocolorastecredevanoavemmostatiavutosorrisoscrittostatodormitofattodettoandato
1. Voce del verbo partire, III coniugazione, modo indicativo, tempo passato remoto, II persona singolare Voce del verbo scrivere, II coniugazione, modo congiuntivo, tempo trapassato, II persona plurale 3. Voce del verbo mangiare, I coniugazione, modo indicativo, tempo imperfetto, III persona plurale Voce del verbo dipingere, II coniugazione, modo indicativo, tempo passato remoto, I persona plurale
2.
4.
5. Voce del verbo rosolare, I coniugazione, modo congiuntivo, tempo presente, I persona singolare
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 265
1. Voce del verbo avere, coniugazione propria, modo congiuntivo, tempo imperfetto, III persona singolare 2. Voce del verbo giocare, I coniugazione, modo congiuntivo, tempo presente, II persona plurale 3. Voce del verbo tossire, III coniugazione, modo congiuntivo, tempo passato, I persona singolare 4. Voce del verbo cedere, II coniugazione, modo congiuntivo, tempo trapassato, III persona plurale 5. Voce del verbo capire, III coniugazione, modo congiuntivo, tempo imperfetto, II persona singolare
55. Individua le forme verbali.
54. Individua le forme verbali.
266 OCCHI APERTI 56. Inserisci il verbo tra parentesi al modo congiuntivo. 1. Se Luca la televisione, non studierebbe storia. ( guardare) 2. Se Veronica una collana, sarebbe più elegante. (indossare) 3. Credevo che tu il treno per Torino. ( perdere) 4. Maria e Sofia pensavano che Matteo le alla sua festa. (invitare) 5. Se tu alta come me, sembreresti anche tu un gigante! (essere) 6. Se voi la maestra, sarebbe stato più facile studiare. (ascoltare) 7. Penso che i cagnolini di Vanessa e Valentina buffi. (essere) 8. Se voi , vi sareste divertite molto. (venire) 9. Credo che tu una bugia alla mamma. (raccontare) 10. Se io una principessa, viaggerei ogni giorno in carrozza. (essere)
57. Individua le congiunzioni e il congiuntivo che introducono.
7. Carlos parla bene la nostra lingua, nonostante sia peruviano.
4. Benché ci sia il sole, fa freddo.
9. Nonostante ripetessi al mio gatto di star tranquillo, lui continuava a temere l’acqua.
10. Comunque vada la gara, io mi divertirò.
11. Ti presterò la mia gomma, purché tu me la rest ituisca.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 267
1. Ho giocato con Lucia, nonostante lei abbia quattro anni meno di me.
6. Malgrado avessi messo un promemoria sulla porta, ho scordato a casa la merenda.
5. Puoi andare in cortile, purché tu abbia finito i compiti.
3.
2. Mi sono meravigliata del talento di Rachele, sebbene la conoscessi da tempo. La maestra ripeteva ogni giorno le tabelline, affinché noi le imparassimo.
8. La mia squadra non parteciperà ai campionati, malgrado si sia impegnata tantissimo.
268 OCCHI APERTI 58. Completa la tabella al modo indicativo. VOCE DEL VERBO TEMPO PERSONA vincere passato remoto III singolare sarà partito dare passato remoto III plurale eravamo andati leggere imperfetto I singolare hai colorato sentire prossimotrapassato II plurale chiuderanno barare presente III singolare ho avuto
3.
3. Nonostante avessimo tempo per prendere il nostro treno, temevo di perderlo.
1. Dei bambini dispettosissimi ci rovinarono alcune aiuole fiorite.
1. Annalisa ha piantato, sul suo balcone, dei bellissimi gerani bianchi simili ai tuoi.
2. Queste rossissime fragole sono più mature di quelle sul tavolo della cucina.
2. Ci tuffammo con allegria nel vasto Oceano Pacifico, poiché per tutti era la prima volta che lo vedevamo. Chiunque abbia assistito a questo spregevole furto, dovrà avvisare con tempestività i severi uomini della polizia.
5. I pescatori lavorano tutta notte in mare e alle prime ore dell’alba scaricano, dalle loro imbarcazioni, reti colme di prelibati pesci per venderli al mercato.
61. Svolgi l’analisi grammaticale di tutte le frasi con le matite colorate. Poi svolgi l’analisi grammaticale scritta solo della frase 2.
4. Caterina è più generosa di suo fratello Anselmo, sebbene siano due ragazzi molto viziati.
ESERCIZI DI PARTI DEL DISCORSO 269 59. Sottolinea con il colore rosso gli avverbi. 1. Il mio fratellino sta meglio. 2. La farfalla si posò leggermente sul fiore. 3. Andate piano. 4. Nella gara Riccardo correva forte. 5. Verrò volentieri a casa tua. 6. Esponi brevemente il tuo pensiero. 7. Paolo è arrivato improvvisamente da Parigi. 8. Luigi cammina lentamente. 60. Scegli dei colori per ogni parte del discorso. Poi individua nelle frasi ogni parte e sottolineala con il colore scelto. ⬜ articoli ☐ nomi ☐ aggettivi ☐ pronomi ☐ verbi ☐ preposizioni ☐ congiunzioni ☐ avverbi ☐ esclamazioni
63. Svolgi l’analisi grammaticale scritta delle seguenti frasi.
3. Un vecchietto rincasava nell’incerta luce della sera e la sua figura così curva faceva pensare a un punto interrogativo.
62. Leggi bene le frasi, individua ogni parte con i colori. Poi fai l’analisi scritta delle parole sottolineate (scrivi tutto ciò che sai).
1. La signora Luisa ci ha aiutato molte volte negli spogliatoi della piscina.
Ti ho versato la Coca-Cola, l ’hai bevuta?
2. Questa mattina sarei arrivato puntuale a scuola se avessi preso il mio solito autobus.
3. Al supermercato del mio paese vendono materiale scolastico e sportivo.
64. Svolgi l’analisi grammaticale scritta delle seguenti frasi, evidenziando le concordanze.
Il fratellino di Beatrice quest’anno ha frequentato la classe prima, lei la quarta. Tutti hanno svolto i compiti di matematica e quelli di italiano. La sua festa è stata più divertente della mia.
2. Il tuo testo è completo: le parole sono tutte corrette.
270 OCCHI APERTI
1. È arrivata Cecilia dall’Argentina, è una direttrice simpatica e attenta.
La domanda a cui risponde e che ti serve per individuarlo è: di chi si parla?
Come sai il verbo è la parola più significativa.
IL PREDICATO
Le composizioni delle parole che costruiscono una frase di senso compiuto si chiamano SINTAGMI.
Il cane / della zia Michela / abbaia / tutto il giorno / alle persone / del vicinato. Nella frase ogni sintagma svolge una funzione particolare e contribuisce a costruire il significato complessivo.
Attenzione! Il verbo ha una funzione così forte che in alcuni casi forma da solo una frase: Piove. Attenzione! Qualsiasi parte del discorso puòsvolgere la funzione di soggetto.Leggere è utile.Il soggetto è un verbo all’infinito.
Le parole che abbiamo conosciuto (articoli, nomi, aggettivi, verbi…) si accordano e si combinano per formare le frasi, espressioni che hanno un senso.
La domanda a cui risponde è: che cosa si dice? IL SOGGETTO L’altro sintagma significativo e indispensabile è quello del nome che indica e nomina il soggetto di cui si parla. È il sintagma del SOGGETTO.
Il sintagma che dice, che predica qualcosa del soggetto, è il sintagma verbale.
Il soggetto è il sintagma che determina il numero e la persona del predicato. Il sintagma con funzione di soggetto può anche non essere espresso quando il predicato lo rivela chiaramente, in questo caso si ha il soggetto sottointeso (o implicito).
LA COMBINAZIONE LOGICA 271 LA COMBINAZIONE LOGICA
Per questo occorre partire dal verbo: la parola che dice; è il PREDICATO.
Gioco volentieri a calcio › il soggetto implicito è io. Soggetto e predicato (di chi parla e che cosa si dice) sono gli elementi essenziali di ogni frase. In ogni frase sono riconoscibili ed è possibile distinguerli dal resto. Soggetto e predicato concordano e costituiscono la frase minima.
Per capire ed eseguire correttamente l’analisi logica devi:
Ogni giorno / molte persone / MUOIONO / di fame. Durante le vacanze natalizie / Riccardo / È ANDATO / in montagna. Tutte le ballerine / AVEVANO RACCOLTO / i capelli. Lucia / è bella. La sorella / di Marta / è una bambina simpatica. Il papà / del mio amico Franco / è un vigile urbano.
• PREDICATO NOMINALE che è formato dal verbo essere più nome e/o aggettivo (come quelli scritti in corsivo e sottolineati ).
• PREDICATO VERBALE che è formato solo da una voce verbale (come quelli scritti in stampato e sottolineati );
PREDICATO VERBALE E NOMINALE
Esistono due tipi di predicato:
• dividere la frase in sintagmi, le combinazioni di parole che sono unite perché svolgono una funzione nella frase.
• riconoscere il soggetto, cioè il sintagma di cui parla il predicato e con cui concorda. Ricorda! Quando il verbo essere ha il significato di stare, trovarsi, appartenere, esistere èunpredicatoverbale.
272 OCCHI APERTI
• individuare il predicato, cioè il sintagma del verbo che ti permette di capire che cosa si dice.
Si chiama diretto quel complemento che è direttamente legato al verbo, in quanto l’azione espressa dal predicato “cade” direttamente sull’oggetto nominato in questo complemento. Di solito questo complemento è formato da un nome preceduto dall’articolo.
Quando i sintagmi che completano la frase sono introdotti da una preposizione sono complementi indiretti. Ogni complemento indiretto esprime diversi significati. Ad esempio può esprimere un’indicazione di tempo (Luca è arrivato in ritardo), di luogo (Piero è entrato in classe), di modo ( Anna parla in modo incomprensibile).
COMPLEMENTI
I
LA COMBINAZIONE LOGICA 273
Le frasi sono solitamente formate da altri sintagmi che hanno la funzione di completare la frase minima. Questi sintagmi si chiamano COMPLEMENTI.
Fra i vari complementi si distingue il sintagma che spesso completa la frase minima: è il complemento diretto (o complemento oggetto).
274 OCCHI APERTI ESERCIZI DI COMBINAZIONE LOGICA 1. Dividi in sintagmi e poi sostituisci ogni sintagma formando una frase nuova. Esempio: Questa sera / Marco e Alice / mangeranno / da noi. Domani / i miei amici / dormiranno / dai nonni. 1. La mamma di Anna prepara un maglione di cotone. 2. Questa sera guarderemo alla televisione la partita dell’Italia. 3. Il treno per Rimini partirà alle 16:00 dal secondo binario. 4. Marta era felice per il regalo. 5. Francesco è a casa di Anna. 6. Silvia è una bambina simpatica. 7. Domani la maestra farà domande di geografia a tutti. 8. È un cane simpaticissimo Argo. 9. I viaggi di Ulisse furono avventurosi. 10. Quest’anno in matematica le classi quarte hanno affrontato le frazioni.
ESERCIZI DI COMBINAZIONE LOGICA 275 2. Dividi in sintagmi, poi sottolinea il predicato e il soggetto. 1. Un cane randagio abbaia alle automobili. 2. A pranzo Stefano ha mangiato un grosso panino. 3. Le tue calze sono nel secondo cassetto del tuo comodino. 4. Al sabato pomeriggio disputiamo una partita di basket. 5. Questa mattina Martina è andata a scuola con i nonni. 6. Il giocattolo preferito di Luca è rotto. 7. Nella sua culla dorme Mattia. 8. Il papà di Paola è un ingegnere aeronautico. 9. La prossima estate andremo in Spagna con i nostri cugini. 10. Ogni sera Lucia legge alcune pagine di un libro di avventure. 11. Chiara ha mangiato una porzione di pizza. 12. Lo zio di Stefania ha comprato un pacco di ciambelle. 13. Pranzi con me? 14. Le bugie hanno le gambe corte. 15. La fata Turchina aiutò Pinocchio. 16. Marco ha superato con facilità la prova di atletica. 17. Ho messo i quaderni nuovi nel primo cassetto della mia stanza. 18. Il mio compagno di banco per il suo onomastico ha ricevuto in regalo da sua zia un trenino di legno. 19. Il papà mangia a Sulmona dei buonissimi confetti. 20. Una mela al giorno toglie il medico di torno. 21. Il Piemonte confina con la Liguria. 22. Questa mattina avevo molta fame. 23. Lunedì rimarremo a casa per il ponte di Sant’Ambrogio. 24. La lezione di geometria riguarderà la misurazione degli angoli. 25. Con la maestra Irene abbiamo preparato il presepe della scuola. 26. Il succo della liquirizia aiuta la digestione. 27. Narciso era un giovane bellissimo e amava specchiarsi nell’acqua dei torrenti. 28. Certi fiori hanno pochi petali. 29. Alcune lunghe radici uniscono tra loro le violette selvatiche. 30. Ogni settimana il maestro insegna loro una nuova canzone.
11. Hai eseguito con molta cura i compiti di geometria.
3. Leggi le frasi, dividi in sintagmi, scrivi le domande e sottolinea soggetto e predicato. Dove serve scrivi il soggetto sottinteso.
2. Allo zoo i ragazzi si fermarono per molto tempo davanti alla giraffa.
3. Martedì il compito di geometria era molto impegnativo.
5. Sul pesco del mio giardino a Marzo spunteranno i primi fiorellini rosa.
10. Domenica pomeriggio Laura ha visitato una bellissima mostra di pittura.
9. La libreria nello studio del papà è stracolma di libri.
1. Le stringhe delle scarpe di Matteo sono slacciate.
276 OCCHI APERTI
13. Stanotte nel cielo stellato splendeva una meravigliosa luna piena.
12. Quel bellissimo fiore nel vaso sul tavolo della cucina è una camelia.
6. All’orizzonte la luce del sole inonda ogni cosa.
14. La vecchia carrozzina di Elisa è in cantina.
7. Domenica sera allo stadio i tifosi interisti applaudivano la propria squadra.
8. Nell’acquario del salotto guizzano tanti pesci tropicali.
4. Paolo ha fatto un lungo viaggio con l’automobile nuova di suo zio.
ESERCIZI DI COMBINAZIONE LOGICA 277 15. Sabato scorso la maestra Paola è andata a Bologna. 16. La parte femminile del fiore accoglie il polline maschile. 17. Per la mia festa di compleanno il cuoco Matteo cucinerà una succulenta pasta al forno. 18. Ogni settimana il maestro Sergio e la maestra Giovanna preparano una impegnativa lezione di nuoto per noi. 19. Giocammo tutti i pomeriggi a calcio. 20. Dormi? 4. Dividi in sintagmi, poi sottolinea il predicato e il soggetto. 1. L’albero fiorito nel giardino del mio condominio è una magnolia. 2. Mi hai detto una bugia. 3. Ieri i miei genitori mi hanno sgridato. 4. Per cena la mamma ti ha preparato la pizza. 5. Ne parlate sempre. 6. Me la presti? 7. A Natale ti regalerò una bicicletta. 8. Vi inviterò alla mia festa di compleanno. 9. Le ho nascosto il suo astuccio. 10. Domenica gli ho telefonato.
7. Domenica in oratorio inizieranno le gare sportive.
9. A tavola mancano solamente i cuginetti di Lara.
3. Nel cielo ceruleo volavano con agilità le piccole rondini.
4. Chiara, Giovanna e Irene hanno mangiato con me in mensa.
5. Le cugine delle gemelle Margherita e Clara sono andate in Spagna con le loro famiglie.
5. Sottolinea la frase minima e riscrivila.
3.
8. Ogni inizio dell’anno tutte le classi partecipano al tiro alla fune.
278 OCCHI APERTI
1. Sabato la mamma di Gaia, con molta pazienza, ha preparato gli gnocchi alla zucca.
6. Sottolinea la frase minima
5.
6.
2. Io e Giacomo questa settimana andremo al cinema.
4.
2. Sul balcone della mia vicina sbocciarono i primi fiori. Giochiamo a nascondino? Ho finito! Ieri in gita io e la mia classe abbiamo osservato le bellezze di Milano. Ascolto con piacere le canzoni di Jovanotti.
1. Dai rami dell’albero sono cadute alcune foglie.
1.
3.
7.
9.
10.
8. Sottolinea il predicato e nelle parentesi scrivi di quale si tratta (verbale o nominale).
1. Ieri sera dopo la scuola sono andato in pizzeria con i miei genitori. ( ) 2. L’ultimo film di Harry Potter è bellissimo. ( ) Il cagnolino ha rubato le scarpe di Sofia. ( ) Sabato a casa del nonno Gino abbiamo fatto una festa a sorpresa alla mamma. ( ) 5. Il pavimento della sala è lucido. ( )
2.
4.
6.
5.
ESERCIZI DI COMBINAZIONE LOGICA 279
7. Sottolinea in viola il predicato verbale e in arancione il predicato nominale. Le affascinanti piramidi sono in Egitto. L’estate scorsa sono stato in America con la famiglia. Chiara è una bambina silenziosa. 4. Ieri il cielo era limpido. Saremo in oratorio tutto il giorno. La mia scuola è molto accogliente. Il fiume Po nasce dal Monviso e sfocia nel Mar Adriatico. La gita di settimana prossima sarà interessante. La Coca-Cola è la mia bevanda preferita. Fummo contenti per la sorpresa della zia.
8.
3.
280 OCCHI APERTI 9. Sottolinea il soggetto o scrivilo nelle parentesi quando è sottointeso. 1. Le mie due vicine di banco si chiamano Irene e Camilla. ( ) 2. Al mare ho incontrato la famiglia di Giorgio. ( ) 3. Quella felpa è meravigliosa! ( ) 4. Ti ho visto, masticavi qualcosa. ( ) 5. La partita di calcio di questa sera finirà in parità. ( ) 6. Questa settimana festeggiamo il Carnevale. ( ) 7. Giovedì andrò a sciare con mia sorella e una sua cara amica della montagna. ( ) 8. La prima settimana di marzo ti dipingerò un bellissimo quadro con degli acquerelli. ( ) 9. Andremo a ciaspolare sulla candida neve con l’aiuto del maestro Sergio. ( ) 10. Temevo avessi avuto l’influenza. ( ) 11. Tra poco assisteremo allo spettacolo in teatro. ( ) 12. Hai visto Claudia? Portale con urgenza questo documento di lavoro. ( ) 13. Sono contente per la tua vittoria nelle gare informatiche. ( )
ESERCIZI DI COMBINAZIONE LOGICA 281 10. Svolgi l’analisi logica. Dividi in sintagmi. Sottolinea in verde il predicato e scrivi se è PN o PV. Sottolinea in rosso il soggetto o scrivi a fine frase se è sottinteso. 1. Il film al cinema era incredibile! 2. Ieri, nel giardino del nonno, Tommaso ha trovato la tana di un riccio. 3. Il Gran Sasso è un monte dell’Abruzzo. 4. L’anno scorso, su una spiaggia della Toscana, ho costruito con Lucrezia un bellissimo castello di sabbia con delle conchiglie bianche. 5. Gli spaghetti sono squisiti! 6. Carlotta è nella casa in collina della zia Guglielmina. 7. Caterina è la sorella maggiore di Pietro. 8. Mi aspetti in oratorio? 9. Emanuele e Matteo sono compagni di scuola. 10. Hanno innaffiato l’insalata nell’orto? 11. Tutte le mattine Carlo prepara la sua cartella arancione. 12. Biancaneve addentò la mela rossa. 13. Adoro la torta al cioccolato di Nonna Lina! 14. Alla fine dell’anno scolastico io e i miei genitori andremo sulla Grignetta. 15. Settimana prossima lavoreremo in piccoli gruppi. 16. Il nonno abitava in un piccolo paesino siciliano in riva al mare. 17. Un pesce spada abboccò alla lenza. 18. I cipressi ondeggiavano nella brezza primaverile. 19. I sentieri di ciottoli bianchi serpeggiano tra le aiuole. 20. Nei primi giorni di maggio il paesaggio montuoso meridionale conosce i suoi giorni più belli. 21. Lara e Carla chiacchierano sul muretto davanti casa. 22. Quella penna colorata è di mio cugino Michele. 23. L’anno scorso a scuola portai un pesciolino per la lezione di scienze. 24. Sono felice. 25. Bull è il cagnolino della mia vicina di casa. 26. Il buon sapore di molte caramelle proviene dalle foglie di menta. 27. I papaveri punteggiano di rosso i campi gialli di grano. 28. In Olanda i bulbi dei tulipani avevano un grande valore. 29. In America vedrò gli alberi più grandi del mondo. 30. Pinocchio è il mio libro preferito.
Presente Passato prossimo Presente Passato io sono io sono stato che io sia che io sia stato tu sei tu sei stato che tu sia che tu sia stato egli è egli è stato che egli sia che egli sia stato noi siamo noi siamo stati che noi siamo che noi siamo stati voi siete voi siete stati che voi siate che voi siate stati essi sono essi sono stati che essi siano che essi siano stati Imperfetto Trapassato prossimo Imperfetto Trapassato io ero io ero stato che io fossi che io fossi stato tu eri tu eri stato che tu fossi che tu fossi stato egli era egli era stato che egli fosse che egli fosse stato noi eravamo noi eravamo stati che noi fossimo che noi fossimo stati voi eravate voi eravate stati che voi foste che voi foste stati essi erano essi erano stati che essi fossero che essi fossero stati Passato remoto Trapassato remoto io fui io fui stato tu fosti tu fosti stato egli fu egli fu stato noi fummo noi fummo stati voi foste voi foste stati essi furono essi furono stati MODO CONDIZIONALE Futuro semplice Futuro anteriore Presente Passato io sarò io sarò stato io sarei io sarei stato tu sarai tu sarai stato tu saresti tu saresti stato egli sarà egli sarà stato egli sarebbe egli sarebbe stato noi saremo noi saremo stati noi saremmo noi saremmo stati voi sarete voi sarete stati voi sareste voi sareste stati essi saranno essi saranno stati essi sarebbero essi sarebbero stati
282 OCCHI APERTI TABELLE DEI VERBI
IL VERBO ESSERE MODO INDICATIVO MODO CONGIUNTIVO
Presente Passato prossimo Presente Passato io ho io ho avuto che io abbia che io abbia avuto tu hai tu hai avuto che tu abbia che tu abbia avuto egli ha egli ha avuto che egli abbia che egli abbia avuto noi abbiamo noi abbiamo avuto che noi abbiamo che noi abbiamo avuto voi avete voi avete avuto che voi abbiate che voi abbiate avuto essi hanno essi hanno avuto che essi abbiano che essi abbiano avuto Imperfetto Trapassato prossimo Imperfetto Trapassato io avevo io avevo avuto che io avessi che io avessi avuto tu avevi tu avevi avuto che tu avessi che tu avessi avuto egli aveva egli aveva avuto che egli avesse che egli avesse avuto noi avevamo noi avevamo avuto che noi avessimo che noi avessimo avuto voi avevate voi avevate avuto che voi aveste che voi aveste avuto essi avevano essi avevano avuto che essi avessero che essi avessero avuto Passato remoto Trapassato remoto io ebbi io ebbi avuto tu avesti tu avesti avuto egli ebbe egli ebbe avuto noi avemmo noi avemmo avuto voi aveste voi aveste avuto essi ebbero essi ebbero avuto
Futuro semplice Futuro anteriore Presente Passato io avrò io avrò avuto io avrei io avrei avuto tu avrai tu avrai avuto tu avresti tu avresti avuto egli avrà egli avrà avuto egli avrebbe egli avrebbe avuto noi avremo noi avremo avuto noi avremmo noi avremmo avuto voi avrete voi avrete avuto voi avreste voi avreste avuto essi avranno essi avranno avuto essi avrebbero essi avrebbero avuto
TABELLE DEI VERBI 283 IL VERBO AVERE MODO INDICATIVO MODO CONGIUNTIVO
MODO CONDIZIONALE
284 OCCHI APERTI IL VERBO AMARE MODO INDICATIVO MODO CONGIUNTIVO
Futuro semplice Futuro anteriore Presente Passato io amerò io avrò amato io amerei io avrei amato tu amerai tu avrai amato tu ameresti tu avresti amato egli amerà egli avrà amato egli amerebbe egli avrebbe amato noi ameremo noi avremo amato noi ameremmo noi avremmo amato voi amerete voi avrete amato voi amereste voi avreste amato essi ameranno essi avranno amato essi amerebbero essi avrebbero amato
Presente Passato prossimo Presente Passato io amo io ho amato che io ami che io abbia amato tu ami tu hai amato che tu ami che tu abbia amato egli ama egli ha amato che egli ami che egli abbia amato noi amiamo noi abbiamo amato che noi amiamo che noi abbiamo amato voi amate voi avete amato che voi amiate che voi abbiate amato essi amano essi hanno amato che essi amino che essi abbiano amato Imperfetto Trapassato prossimo Imperfetto Trapassato io amavo io avevo amato che io amassi che io avessi amato tu amavi tu avevi amato che tu amassi che tu avessi amato egli amava egli aveva amato che egli amasse che egli avesse amato noi amavamo noi avevamo amato che noi amassimo che noi avessimo amato voi amavate voi avevate amato che voi amaste che voi aveste amato essi amavano essi avevano amato che essi amassero che essi avessero amato Passato remoto Trapassato remoto io amai io ebbi amato tu amasti tu avesti amato egli amò egli ebbe amato noi amammo noi avemmo amato voi amaste voi aveste amato essi amarono essi ebbero amato
MODO CONDIZIONALE
TABELLE DEI VERBI 285
IL VERBO TEMERE MODO INDICATIVO MODO CONGIUNTIVO
MODO CONDIZIONALE
Futuro semplice Futuro anteriore Presente Passato io temerò io avrò temuto io temerei io avrei temuto tu temerai tu avrai temuto tu temeresti tu avresti temuto egli temerà egli avrà temuto egli temerebbe egli avrebbe temuto noi temeremo noi avremo temuto noi temeremmo noi avremmo temuto voi temerete voi avrete temuto voi temereste voi avreste temuto essi temeranno essi avranno temuto essi temerebbero essi avrebbero temuto
Presente Passato prossimo Presente Passato io temo io ho temuto che io tema che io abbia temuto tu temi tu hai temuto che tu tema che tu abbia temuto egli teme egli ha temuto che egli tema che egli abbia temuto noi temiamo noi abbiamo temuto che noi temiamo che noi abbiamo temuto voi temete voi avete temuto che voi temiate che voi abbiate temuto essi temono essi hanno temuto che essi temano che essi abbiano temuto Imperfetto Trapassato prossimo Imperfetto Trapassato io temevo io avevo temuto che io temessi che io avessi temuto tu temevi tu avevi temuto che tu temessi che tu avessi temuto egli temeva egli aveva temuto che egli temesse che egli avesse temuto noi temevamo noi avevamo temuto che noi temessimo che noi avessimo temuto voi temevate voi avevate temuto che voi temeste che voi aveste temuto essi temevano essi avevano temuto che essi temessero che essi avessero temuto Passato remoto Trapassato remoto io temetti/ei io ebbi temuto tu temesti tu avesti temuto egli temé (temette) egli ebbe temuto noi tememmo noi avemmo temuto voi temeste voi aveste temuto essi temerono essi ebbero temuto
Futuro semplice Futuro anteriore Presente Passato io partirò io sarò partito io partirei io sarei partito tu partirai tu sarai partito tu partiresti tu saresti partito egli partirà egli sarà partito egli partirebbe egli sarebbe partito noi partiremo noi saremo partiti noi partiremmo noi saremmo partiti voi partirete voi sarete partiti voi partireste voi sareste partiti essi partiranno essi saranno partiti essi partirebbero essi sarebbero partiti
Presente Passato prossimo Presente Passato io parto io sono partito che io parta che io sia partito tu parti tu sei partito che tu parta che tu sia partito egli parte egli è partito che egli parta che egli sia partito noi partiamo noi siamo partiti che noi partiamo che noi siamo partiti voi partite voi siete partiti che voi partiate che voi siate partiti essi partono essi sono partiti che essi partano che essi siano partiti Imperfetto Trapassato prossimo Imperfetto Trapassato io partivo io ero partito che io partissi che io fossi partito tu partivi tu eri partito che tu partissi che tu fossi partito egli partiva egli era partito che egli partisse che egli fosse partito noi partivamo noi eravamo partiti che noi partissimo che noi fossimo partiti voi partivate voi eravate partiti che voi partiste che voi foste partiti essi partivano essi erano partiti che essi partissero che essi fossero partiti Passato remoto Trapassato remoto io partii io fui partito tu partisti tu fosti partito egli partì egli fu partito noi partimmo noi fummo partiti voi partiste voi foste partiti essi partirono essi furono partiti
IL VERBO PARTIRE MODO INDICATIVO MODO CONGIUNTIVO
MODO CONDIZIONALE
286 OCCHI APERTI
Il segreto verrà fuori da solo. Tenete gli occhi aperti. C.S. LewiS 1 Fieri di saper leggere 2 Il ritmo delle stagioni 3 Leggere è incontrare 4 Occhi Sussidiarioapertidei linguaggi 4 Sussidiario delle discipline 5 La lettura, che avventura! Sussidiario dei linguaggi 5 Sussidiario delle discipline Prezzo ministeriale Risorse digitali su itacascuola.it INTEGRATIVICONTENUTILETTUREON-LINEAUDIO itacalibri.it PERCORSO PER LA SCUOLA PRIMARIA ALLA SCOPERTA DEL MONDO