Di stelle, d’oro fino e di smeraldi (Roberto Filippetti)

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Di stelle, d’oro fino e di smeraldi

Alla scoperta dei mosaici di Ravenna

Di stelle, d’oro fino e di smeraldi

Alla scoperta dei mosaici di Ravenna

Cari ragazzi, mi presento. Sono un moderno musivarius.

La mia passione è l’arte musiva: fare oggi mosaici belli e pieni di significato come quelli di un tempo. E siccome siete ragazzi curiosi, sono qui con voi per accompagnarvi alla scoperta di alcuni degli antichi mosaici di Ravenna. Cos’è Ravenna, coi suoi mosaici? Un grande convertito, André Frossard, ha scritto che i mosaici di Ravenna rappresentano «una visione profetica di ciò che sarà il mondo quando Cristo avrà finito di salvarlo, un mondo riconciliato, trasfigurato dalla luce, che è il colore della carità divina».

Ravenna significa “palude fangosa”, un nome poco entusiasmante, ma fu questa la sua fortuna. Circa 2.500 anni fa diventò il porto commerciale più importante del mare Adriatico proprio perché la laguna e le tante paludi che la separavano dalla terraferma le offrivano una naturale protezione (lo stesso accadrà a Venezia).

Poco più di 2.000 anni fa Ravenna crebbe d’importanza quando l’imperatore Augusto decise di costruire, a pochi chilometri dalla città, il grandissimo porto militare di Classe per l'armata navale del Levante (e Classis significa proprio “flotta”). Qui giunse ben presto anche il cristianesimo grazie ad Apollinare.

Poi venne il tempo tremendo delle invasioni barbariche: Visigoti, Vandali, Unni… Ma anche questa si rivelò una circostanza favorevole per Ravenna.

Nel 402 l’imperatore Onorio, per sfuggire ai Visigoti di Alarico, trasferì la residenza dell’Impero Romano d’Occidente da Milano a Ravenna, una città che offriva migliori possibilità di difesa dai barbari e permetteva più facili comunicazioni con Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente.

L’Impero Romano d’Occidente volgeva alla fine. Dopo gli Unni di Attila, nel 455 giunsero in Italia i Vandali che saccheggiarono Roma. Nel 476 Odoacre, re degli Eruli e dei Goti, depose l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo.

Nel 494, il goto Teodorico entrò in Ravenna e costrinse Odoacre alla resa. Teodorico, che era ariano – una eresia che non riconosceva la divinità di Cristo – abbellì la città facendo edificare, accanto al suo palazzo, la basilica di Sant’Apollinare Nuovo oltre al Battistero degli Ariani.

Nel 523 l'imperatore Giustino emise un decreto di condanna dell'arianesimo e Teodorico reagì incarcerando il Papa, che morì in prigione. Poco dopo anche Teodorico morì, nel 526.

Nel 535 l’imperatore d’Oriente, Giustiniano, mosse guerra agli Ostrogoti per riprendere il possesso delle province italiane. Ravenna fu riconquistata dai bizantini nel 540, ma quella guerra si concluse solo diciotto anni dopo.

Fissiamo tre date ravvicinate: nel 547 morì san Benedetto; nel 548 fu consacrata la basilica di San Vitale e nel 549 quella di Sant’Apollinare in Classe. Ecco: mentre accadevano distruzioni e guerre, qualcuno gettava il seme della ricostruzione. San Benedetto gettò le basi dell’Europa; con la loro preghiera e il loro lavoro i suoi monaci bonificarono e trasformarono terre desolate che ricominciarono a fiorire e a dare frutto. Quei fiori e quei frutti che luccicano smaglianti nei mosaici di Ravenna, in una festa di luce e di colori che continua a riempirci gli occhi e il cuore ancora oggi. Perché per riedificare occorre tenere la coda dell’occhio sulla Bellezza.

Ecco la mappa che ci occorrerà per andare alla scoperta dei mosaici di Ravenna.

Basilica di San Vitale

Mausoleo di Galla Placidia

Battistero degli Ariani Mausoleo di Teodorico

Domus dei

Tappeti di Pietra

Battistero Neoniano

Museo e Cappella Arcivescovile

Palazzo di Teodorico

Basilica di S. Apollinare Nuovo

Il Mausoleo di Galla Placidia

Partiamo da Galla Placidia, una chiesetta tutta blu, color del cielo nelle notti stellate come il 10 agosto, festa di san Lorenzo.

Giusto al centro di questa chiesetta voluta da Galla Placidia – che mille e seicento anni fa era imperatrice romana – c’è un emisfero tutto stellato con al centro una croce tutta d’oro con attorno ben 574 stelle: irradia luce come un sole.

Guardatela bene questa volta stellata: attorno alla croce le stelle dapprima sono a cerchi concentrici, poi cominciano a formare come dei petali di rosa. Dante Alighieri, che visse a lungo a Ravenna, forse proprio qui immaginò il paradiso come gigantesca “candida rosa”, ove ogni beato è luminoso come queste stelle.

Nei quattro cantoni su cui poggia questa volta vi sono quattro misteriose figure bibliche alate, in volo tra nubi iridescenti: un angelo, un leone, un toro e un’aquila. Proprio in quei lontani anni san Girolamo aveva abbinato ai quattro evangelisti le quattro figure che tutte insieme hanno un nome stranissimo: tetramorfo. “Tetra-morfo” significa che ha “quattro-forme”. È un unico vangelo, un’unica “buona notizia” raccontata da quattro testimoni di questo Fatto che divide in due la storia: prima di Cristo e dopo Cristo.

Il cerchio (la volta stellata) è il simbolo del cielo e il quadrato è il simbolo della terra coi quattro punti cardinali.

La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo

econda tappa del nostro viaggio alla scoperta dei mosaici di Ravenna: Sant’Apollinare Nuovo.

Questa chiesa fu fatta edificare dal re Teodorico circa mille e cinquecento anni fa accanto al suo palazzo; per questo si dice che è una cappella “palatina”. Essa prende il nome dal primo vescovo di Ravenna, Apollinare: era stato lui a portare la fede cristiana nella vicina Classe e a Ravenna. Appena entriamo troviamo a destra un grande mosaico che sembra una fotografia della “città di Ravenna”, come è scritto in latino sopra l’arco d’accesso: Civitas Ravennae.

Nella parte alta di questa porta c’è una lunetta con una piccola scena su cui quasi nessuno si sofferma: Gesù sta in mezzo a due apostoli e schiaccia il serpente, che in questo caso non riesce

Poi c’è un grande palazzo sul quale è proprio scritto Palatium: è quello di Teodorico, re degli Ostrogoti, il quale in origine era raffigurato sotto i grandi archi assieme ad alcuni personaggi della sua corte. Questo re era “eretico”: credeva, sì, in alcune parti della fede cristiana, però non credeva nella Trinità e non credeva che Gesù è vero Dio. Mica cose da poco!

Quando Teodorico morì e Ravenna fu riconquistata dai cattolici, essi cancellarono questi personaggi che si affacciavano dal palazzo e li sostituirono con le eleganti tende che vediamo ancor oggi, ma – altro dettaglio davvero curioso – non vennero rifatte le bianche colonne, sulle quali notiamo qua e là alcune mani e braccia delle persone che erano rappresentate sotto gli archi. In secondo piano, oltre il palazzo, spuntano i tetti di case, basiliche e altri grandi edifici, entro le mura della città.

La Basilica di San Vitale

Questa imponente basilica è dedicata a Vitale, un ufficiale romano che morì martire, come poi la moglie Valeria e i due figli Protasio e Gervasio, carissimi a sant’Ambrogio che ne ritrovò i corpi. È ben piantata per terra, ma già all’esterno sembra una scala verso il cielo.

Guardate che splendore! In Galla Placidia era dominante il blu del desiderio, in Sant’Apollinare Nuovo c’era tanto oro – simbolo dell’Infinito e dell’Eterno – a far da sfondo a tutta la storia e alla geografia.

Qui in San Vitale sull’oro dello sfondo si staglia tanto verde, il colore della speranza. Ai lati dell'altare della basilica siamo attirati da due grandi mosaici a forma di mezzaluna, sormontati ciascuno da una croce sorretta da due angeli e tempestata di pietre preziose, alla quale stanno appese due ancore, simbolo della speranza.

Guardando l'altare, nel mosaico di sinistra, Abele e Melchisedech protendono verso l’alto la loro offerta – un agnellino e una pagnotta – e la mano di Dio spunta fuori tra le variopinte nuvole del cielo a benedire questi doni. Il gesto che fa con la mano significa: “Siate felici!” (in greco “Kairète”).

Abele è vestito da uomo preistorico, coperto di pelli; ma ha un manto rosso come il sangue che sta per versare quando Caino lo colpirà a morte. Mentre lui è appena uscito da un’umile capanna e ha ai piedi i sandali infradito, Melchisedech ha alle spalle un tempio e calza stivaletti a righe bianche e rosse, essendo un sommo sacerdote. Sul prato verde fioriscono bianchi gigli a tre petali e roselline semplici gialle e rosse. Guardate quante “gammàdie” decorano l’altare e la candida tovaglia coi suoi dodici pendagli; e guardate cosa è posato sulla mensa: la coppa del vino e due pagnotte a treccia. Sembra tutto pronto per la messa.

Nell’altro mosaico sono raccontati due momenti della storia di Abramo, il patriarca del popolo d’Israele.

Mentre riposava all’ombra di una quercia – nel mosaico si vedono bene anche le ghiande – perché c’era un caldo tremendo, all’improvviso arrivarono tre sconosciuti. Il libro della Genesi dice che quei tre uomini erano il Signore, cioè il nostro Dio uno e trino; infatti hanno tre volti identici, tre immagini di una stessa faccia. Abramo li ha fatti sedere e ha già portato a tavola tre pani su cui è disegnata una crocettina; e sta per servire loro su un vassoio un vitello tenero e buono, che a dire il vero sembra un bue accovacciato… Il Signore profetizza che sua moglie Sara entro un anno avrebbe partorito un bambino.

L’anziana moglie sta in piedi sulla porta della capannuccia, in tutto simile a quella di Abele nella parete di fronte. Il mosaicista è riuscito a stampare nel volto di lei, che si porta il dito indice verso le labbra, il riso amaro e disilluso di una donna vecchia e avvizzita che a quell’età sa di non poter più avere figli. Ma nulla è impossibile a Dio, e davvero i due anziani coniugi ebbero un bambino di nome Isacco.

Dio mette alla prova la fede di Abramo chiedendogli di sacrificare su un altare la vita dell’amatissimo Isacco e questo vecchio padre obbedisce. Il mosaico fissa l’attimo in cui scende una mano dal cielo a fermare il braccio di Abramo che brandisce l’arma pronta a colpire il ragazzino, il quale ci guarda negli occhi. Questi ha le mani legate dietro la schiena e le gambe “incrociate”, preannunciando così il Figlio di Dio che morirà in croce. Sul mantello di Abramo si legge chiaramente la lettera “Z”, iniziale di “Zoè”, che significa “Vita”.

Indice

9 Il Mausoleo di Galla Placidia

17 La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo

27 La “vita pubblica” di Gesù

41 I fatti del triduo pasquale

57 La Basilica di San Vitale

Roberto Filippetti

Di stelle, d’oro fino e di smeraldi. Alla scoperta dei mosaici di Ravenna www.itacaedizioni.it/di-stelle-oro-fino-e-smeraldi

Prima edizione: luglio 2024

© 2024 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-526-0782-0

Referenze fotografiche

Le immagini del volume provengono dalla campagna fotografica effettuata da Alfredo Dagli Orti, su concessione dell’Opera di Religione della Diocesi di Ravenna, con l’eccezione delle seguenti:

Shutterstock.com: Vivida Photo PC 2-3, 15b, 16-17, 78-79; Daboost 6-7, 64-65, 74; s74 10; JIPEN 11, 13, 64a; Simone Crespiatico 12; Renata Sedmakova 24-26, 61; trabantos 55; Paolo Gallo 72.

DeAgostini Picture Library/Scala, Firenze: 73.

Progettazione grafica e impaginazione: Daniela Dal Pane, Isabel Tozzi

Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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