Il potere dei senza potere (Václav Havel) - quarta ristampa

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Václav Havel

IL POTERE DEI SENZA POTERE prefazione di Marta Cartabia

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Il potere dei senza potere A cura di

Angelo Bonaguro Prefazione di

Marta Cartabia

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Un ringraziamento particolare alla signora Dagmar Havlová-Veškrnová

Václav Havel Il potere dei senza potere La Casa di Matriona, Milano Itaca, Castel Bolognese www.itacaedizioni.it/il-potere-dei-senza-potere Titolo originale: Moc bezmocných Prima edizione italiana: aprile 2013 Quarta ristampa: marzo 2022 © Václav Havel - heir c/o DILIA © 2013 R.C. Edizioni La Casa di Matriona, www.russiacristiana.org Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0332-7 In copertina Havel operaio al birrificio di Trutnov, samizdat, 1974. Stampato in Italia da Mediagraf, Noventa Padovana (PD)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC‰ per una gestione responsabile delle foreste. Stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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Prefazione

di Marta Cartabia 1

Perché rileggere oggi Il potere dei senza potere di Václav Havel? Il muro di Berlino è stato abbattuto da quasi venticinque anni e con esso si è definitivamente sgretolata l’ideologia che sosteneva il blocco sovietico. I totalitarismi di destra e di sinistra che hanno martoriato il continente europeo nel XX secolo hanno lasciato il posto a sistemi che s’ispirano al modello della democrazia liberale. L’Unione Europea si è allargata ad Est, abbracciando molti paesi dell’Europa centro-orientale d’oltre cortina. Ovunque l’economia segue le dottrine neoliberiste del mercato, anche laddove vi è più resistenza allo stile di vita occidentale. Lo scenario internazionale della guerra fredda sembra appartenere a un lontano passato, sopravanzato nei fatti da un mondo ormai globalizzato e radicalmente trasformato dalle potenzialità della tecnologia. Dov’è, dunque, l’attualità di questo scritto del 1978, che tanta parte ha giocato nella cultura dei dissidenti del regime sovietico? Cosa può dire ad un europeo, oggi, un testo così connotato dall’opposizione a un regime totalitario ormai defunto?

Professore ordinario di diritto costituzionale e giudice della Corte costituzionale italiana. 1


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Una prima risposta ci viene offerta dallo stesso Havel, quando avverte che «l’errore peggiore che l’Europa occidentale possa commettere [è] la mancata comprensione di ciò che sono realmente i sistemi totalitari, ossia uno specchio convesso di tutta la moderna civiltà e un pressante invito – forse l’ultimo – a una revisione generale del modo in cui questa civiltà concepisce se stessa»2. Ripensare oggi al totalitarismo, o meglio al post-totalitarismo, come lo definisce Havel, è interessante non appena per rinverdire il ricordo di una triste pagina della storia d’Europa, che volentieri ci lasciamo alle spalle; è uno stimolo a riflettere sulla modernità occidentale, e in particolare sullo Stato moderno e sul potere politico moderno, che egli non esita a definire «un incrocio spersonalizzato di rapporti funzionali e di potere». C’è un elemento che accomuna i totalitarismi e lo Stato moderno, dice l’Autore, nonostante la distanza siderale che a prima vista separa tali realtà, e questo elemento è l’elusione dell’uomo: «come lo scienziato moderno ha messo fra parentesi l’uomo concreto come soggetto dell’esperienza del mondo, con sempre maggiore evidenza lo mettono fra parentesi anche lo Stato moderno e la moderna politica». Il post-totalitarismo inteso in questa prospettiva, come amplificazione estrema della modernità, è una sollecitazione per tornare a interrogarsi sul rapporto tra l’uomo e la politica, o meglio tra l’uomo e il potere. Una delle tematiche più affascinanti che attraversano i testi raccolti in questo volume è quella del rapporto tra l’«io» e il potere. Leggendo la descrizione dell’ambiente sociale di quegli anni, contenuta nei primi capitoli dello scritto principale di questo volume, si ha l’impressione che in un tale contesto 2

La politica e la coscienza, vedi qui p. 137.


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l’«io» sia condannato all’annientamento e all’irrilevanza, dominato com’è dal pervasivo blocco di potere, che manipola, direttamente o indirettamente, la società in tutti i suoi aspetti. Sorprendentemente, invece, Havel attribuisce all’«io» una grande importanza, anche sul piano politico. Ne fa il perno e il protagonista della vita pubblica, in un duplice significato: da un lato, sottolinea la corresponsabilità di ciascuno al funzionamento del sistema post-totalitario e, dall’altro, convoca la coscienza individuale come fattore decisivo per il cambiamento. Sul primo versante, non mancano alcune severe affermazioni circa il fatto che tutti siamo complici della situazione politica, permettendo, con la nostra de-moralizzazione, il consolidamento del sistema: «Tutti ci siamo adattati al sistema totalitario e lo abbiamo assunto come fatto immutabile, contribuendo a mantenerlo in vita. In altri termini: tutti siamo responsabili (anche se naturalmente ognuno in misura diversa) del funzionamento del meccanismo totalitario, nessuno è solo vittima: tutti contemporaneamente vi prendiamo parte»3. Il post-totalitarismo non è appena una dittatura, perché si caratterizza, prima e più che per la brutalità del potere, per la sua «ideologia menzognera e ipocrita», che esercita un’ipnosi sul singolo, inducendolo ad abdicare alla propria ragione, alla propria coscienza e alla propria responsabilità. Un tale tipo di regime non potrebbe reggere a lungo senza la collaborazione attiva o passiva di ciascun individuo; non potrebbe reggere a lungo senza trasformarsi in una forma di «auto-totalitarismo sociale», alimentato dalle sue stesse vittime. Tratto distintivo del post-totalitarismo è, dunque, la sua capacità di omologazione – per usare una espressione cara a Pier Paolo Pasolini –, cioè a dire un fenomeno che permea anche la modernità occidentale, in misura crescente. In questo senso si comprende perché Havel ritenga che il post-totalitarismo 3

Discorso di Capodanno, vedi qui p. 165.


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dell’est Europa non sia una forma politica estranea al mondo occidentale, ma, piuttosto, sia una sorta di «specchio convesso» – come quelli che talvolta si trovano agli incroci delle strade – che esaspera i tratti del nostro contesto sociale attuale e, deformandoli, permette di meglio cogliere le insidie in esso racchiuse. A questo proposito, non si può fare a meno di ricordare l’accusa che il dissidente Solženicyn lanciò all’Occidente, da una delle sue cittadelle culturali: approdato negli Stati Uniti, dopo anni di «esilio interno» nel GULag, ad Harvard nel 1975 egli osservava con amarezza che la civiltà occidentale – pur non privata della libertà – non sapeva resistere al conformismo, tanto da non saper esprimere che «degli orientamenti uniformi, nella stessa direzione (quella del vento del secolo), dei giudizi entro determinati limiti accettati da tutti, e forse anche degli interessi corporativi comuni, e tutto ciò ha per risultato non la concorrenza ma una certa uniformazione»4. Ecco, dunque, un fattore di riflessione per l’oggi, che prende spunto dalla rassegnazione del singolo di fronte al potere e alla sua capacità omologante, anche quando non repressiva, qualunque sia il suo volto: occidentale o comunista, politico, economico, giudiziario o mediatico, di destra o di sinistra, civile o ecclesiastico, nazionale, locale o sovranazionale. D’altra parte, Havel riconosce a questo «io», complice e connivente del sistema post-totalitario, una riserva di risorse esistenziali, che nessun potere potrà mai estirpare definitivamente, tanto che di fronte al repentino crollo di un regime che sembrava inespugnabile egli affermerà: «Noi stessi ne siamo meravigliati, e ci chiediamo allora da dove questi giovani, che non hanno conosciuto nessun altro sistema politico, abbiano attinto il loro desiderio di verità, la loro libertà di pensiero, la loro fantasia politica, il loro coraggio e la loro ponderatezza. 4

A. Solženicyn, L’errore dell’Occidente, Milano 1980, p. 92.


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E come hanno potuto imitarli i loro genitori, proprio quella generazione ritenuta ormai perduta? Come è stato possibile che la gente, improvvisamente, abbia capito come agire, senza aver bisogno di consigli e istruzioni? […] l’uomo non è solo un prodotto del mondo esterno»5. Queste risorse esistenziali e morali dell’«io», se ridestate, liberano un potenziale di cambiamento, i cui esiti sono imprevedibili sul piano sociale: «nessuno sa quando una qualsiasi palla di neve può provocare una valanga»6, perché «tutti coloro che vivono nella menzogna ad ogni momento possono essere folgorati dalla forza della verità»7. In una parola, egli riconosce all’autocoscienza dell’«io» una valenza anche politica, nel bene e nel male. Dall’«io» scaturiscono luoghi, comunità, gruppi, che formano un tessuto «pre-politico», i cui effetti sulle strutture istituzionali sono imprevedibili. «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo»8. L’individuo, che a prima vista è l’essere più impotente di fronte alle proporzioni dei meccanismi che governano la vita politica, ne è invece il protagonista necessario. La ricchezza narrativa che accompagna la profonda riflessione politica del drammaturgo boemo ci offre, in proposito, alcune immagini indimenticabili che intessono la trama di questi testi: il risveglio della coscienza e della solidarietà sociale innescata dalla repressione di uno sconosciuto gruppo rock; la «primavera» civile originatasi da una delle tante manifestazioni studentesche; gli effetti dello sciopero degli operai. E poi – indimenticabile – l’immagine dell’ortolano, che de5 Discorso di Capodanno, vedi qui p. 165; cfr. analoghe riflessioni sulla speranza e sulla sua origine sorgiva all’interno dell’io nel Discorso a Hiroshima del 1995. 6 Un rapporto umile con il mondo, discorso a Parigi, vedi qui p. 185. 7 Il potere dei senza potere, vedi qui p. 57. 8 L. Giussani, Varese, 8 novembre 1983, Archivio di Comunione e Liberazione.


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cide di rompere il velo di menzogna, con il semplice gesto di rimuovere dalla vetrina del suo negozio lo slogan «proletari di tutto il mondo unitevi!». Da questo tipo di gesti, alla portata di chiunque, può prendere origine la resistenza al potere e la rinascita sociale. In che cosa consiste, dunque, la valenza politica dell’«io»? Di che natura è il «potere» dei senza potere? Evidentemente non si tratta di una forza che si misura secondo gli indicatori del successo del potere costituito. È piuttosto un potenziale che si sprigiona di fronte a un gesto di verità, che – per quanto a prima vista irrilevante – infrange il mondo della menzogna e dell’apparenza. Il dinamismo sociale nasce, nella lettura che qui ci è proposta, dalla dialettica veritàmenzogna. Il gesto dell’ortolano, che potrebbe sfuggire ai più, tanto è esiguo, non passerà inosservato al potere costituito e la resa dei conti non tarderà ad arrivare, con le sue vessazioni, angherie, umiliazioni, perché con quel gesto l’ortolano ha infranto il gioco e ha abbattuto il mondo dell’apparenza: «Ha dimostrato che la vita nella menzogna è proprio vita nella menzogna […], ha detto che il re è nudo. È giacché il re è davvero nudo, è accaduto qualcosa di enormemente pericoloso: con il suo gesto l’ortolano ha interpellato il mondo, ha dato ad ognuno la possibilità di guardare dietro il sipario, ha dimostrato ad ognuno che è possibile vivere nella verità. […] Finché l’apparenza non viene messa a confronto con la realtà, non sembra un’apparenza; finché la vita nella menzogna non viene messa a confronto con la vita nella verità manca un punto di riferimento che ne riveli la falsità. […] L’ortolano non ha messo in pericolo la struttura del potere a causa della sua importanza “fisica”, o del suo potere oggettivo, ma in quanto il suo gesto ha trasceso la sua persona, ha fatto luce intorno a sé»9. 9

Il potere dei senza potere, vedi qui p. 55.


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Tutta la civiltà occidentale ci offre esempi e immagini di uomini che hanno saputo ascoltare la verità che preme al fondo della coscienza individuale, divenendo fattori di trasformazione sociale e politica. Basti ricordare l’eroica Antigone – nell’omonima tragedia di Sofocle – che non si rassegna ad obbedire alle ingiuste leggi di Creonte, fino a pagare con il sacrificio della vita la sua tenace difesa della giustizia, che imperiosamente urgeva alla sua coscienza. Ma accanto a tanti eroi storici o letterari, Havel ci propone un testimone della verità, semplice e accessibile: il suo ortolano potrebbe essere ciascuno di noi, quando la nostra coscienza – il nostro cuore – è ridestata in tutte le sue attese di verità, bellezza, giustizia. Di qui, dice Havel, da un ortolano o da «un semplice elettricista, che però ha il cuore al posto giusto», si origina una «politica antipolitica»10 – un termine che egli predilige rispetto all’idea di opposizione o di dissidenza –: un’azione per la ricostruzione della polis – e perciò politica –, ma privata di quel tratto, tipico della modernità, che tende ad eludere il soggetto (come ricordavamo in apertura con le sue stesse parole) e dunque una politica dell’uomo e per l’uomo. La stessa vita di Havel è testimonianza vissuta di questa concezione della politica: egli, drammaturgo vissuto nell’oppressione di un regime totalitario, maturando un atteggiamento di dissenso verso il sistema politico, è uno dei principali attori di Charta 77, è arrestato, patisce il carcere e poi, rimanendo fedele a se stesso, diviene protagonista della «rivoluzione di velluto», per trovarsi infine, inaspettatamente, a rivestire il ruolo di presidente della Repubblica. La vita stessa di Havel mostra che un «io» non de-moralizzato, cioè non rassegnato alla menzogna, può diventare attore della trasformazione della storia di un paese e dell’intera Europa. «Un cambiamento in meglio delle strutture che sia reale, 10

La politica e la coscienza, vedi qui p. 161.


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profondo e stabile oggi non può partire […] dall’affermarsi dell’una o dell’altra concezione politica […], ma dovrà partire […] dall’uomo, dall’esistenza dell’uomo, dalla sostanziale ricostituzione della sua posizione nel mondo, del suo rapporto con se stesso, con gli altri, con l’universo. Oggi più che mai, la nascita di un modello economico e politico migliore deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società: non è qualcosa che basta concepire e lanciare come il modello di una nuova automobile […]. Non è detto che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario: solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore»11: ciascuno può apprezzare l’attualità di queste parole, nel contesto di crisi che da anni affligge l’Italia e l’Europa.

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Il potere dei senza potere, vedi qui p. 72.


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Indice

Introduzione Angelo Bonaguro

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Prefazione Marta Cartabia

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il potere dei senza potere 1. Lo «spettro» del dissenso 2. Il sistema post-totalitario 3. L’ortolano e l’ideologia 4. La vita nella menzogna 5. Il mondo dell’apparenza 6. La crisi dell’identità umana 7. Il tentativo di vivere nella verità 8. La sfera segreta della vita 9. La crisi morale della società 10. La libertà è indivisibile 11. Ripartire dall’uomo 12. Il concetto di opposizione 13. Il «dissidente» 14. Il «lavoro minuto» 15. La vita indipendente della società 16. Difendere l’uomo concreto 17. Il principio della legalità contro l’arbitrio del potere


18. La polis parallela 19. Riforma e differenziazione del sistema 20. La crisi della civiltà tecnologica 21. Il rinnovato rapporto con l’essere 22. Il «futuro luminoso» comincia dall’io

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altri scritti La politica e la coscienza

Discorso per la cerimonia di consegna della laurea ad honorem Università di Tolosa-Le Mirail, 14 maggio 1984

Politica, arte dell’ideale Discorso di Capodanno 1990

» 137 » 165

La morte e la speranza

Discorso per i cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, Hiroshima dicembre 1995

» 176

Un rapporto umile con il mondo

Discorso per l’assegnazione della laurea ad honorem Università «Sciences Po», Parigi 22 ottobre 2009

» 184

Dall’ultima intervista

«Interrogatorio reciproco» tra il cardinal Duka e Havel Televisione ceca, 11 novembre 2011

» 191


Invece mi importa, convinto che la mia esistenza abbia increspato la superficie dell’Essere che, dopo la mia piccola onda, così limitata, insignificante e fugace, sarà diverso da prima e per principio rimarrà diverso per sempre. Václav Havel Diario, 5 dicembre 2005



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Perché rileggere oggi Il potere dei senza potere, un testo scritto nel 1978 quando il blocco sovietico era ben saldo e Havel un «dissidente» tenuto sotto stretto controllo dalla polizia? Nel contesto di crisi e di crisi di identità che da anni affligge l’Italia e l’Europa, quest’opera sollecita a interrogarsi sul rapporto tra l’uomo e la politica, tra l’«io» e il potere. Descrivendo un sistema post-totalitario, in cui l’«io» sembrerebbe condannato all’irrilevanza, sor­ pren­dentemente Havel ne fa invece il perno e il protagonista della vita pubblica, perché «tutti coloro che vivono nella menzogna ad ogni momento possono essere folgorati dalla forza della verità» con esiti imprevedibili sul piano sociale: «nessuno sa quando una qualsiasi palla di neve può provocare una valanga». La vita stessa di Havel mostra che un «io» non de-moralizzato, cioè non rassegnato alla menzogna, può diventare attore della trasformazione della storia di un Paese e dell’intera Europa: «Solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore».

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