"L'innominato": una proposta culturale per la comunità

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Alessandro Manzoni

L’innominato La notte

l’alba l’abbraccio Postfazione di Adele Mirabelli

UNA PROPOSTA CULTURALE PER LA COMUNITÀ


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Abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo. Papa Francesco

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E lì Sam sbirciando fra i lembi di nuvole che sovrastavano un’alta vetta, vide una stella bianca scintillare all’improvviso. Lo splendore gli penetrò nell’anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza.

J.R.R. Tolkien Fin dall’antichità la vita degli uomini e dei popoli è stata accompagnata da racconti attraverso i quali una generazione consegnava all’altra la consapevolezza maturata rispetto alle grandi domande che sono costitutive del cuore dell’uomo e alle esperienze che ne caratterizzano l’esistenza. Lungo i secoli si è venuto formando un patrimonio di opere nelle quali emerge la statura dell’uomo in tutta la sua complessità, grandezza e nobiltà. Tale consapevolezza è all’origine della collana Icaro Le perle che intende mettere in luce perle della letteratura, capaci di dirci chi siamo, di lasciare un segno indelebile, di fissarsi nella memoria come gli incontri significativi della vita, che ci accompagnano e ci sostengono. Proporne la lettura è gesto di amicizia, che vuole contribuire alla crescita dell’umano e, insieme, alla edificazione di un tessuto sociale consapevole della propria tradizione culturale. La postfazione offre suggerimenti per una rilettura, una ripresa del libro, da soli o nel dialogo con altri nei diversi ambiti della vita sociale. Come si fa con i buoni amici: non ci si accontenta di averli incontrati, ma si cerca sempre il conforto della loro presenza e delle loro parole. 3


L’INTERVISTA L’innominato. La notte, l’alba, l’abbraccio Una proposta di lettura per scoprire la verità di quel che siamo

La casa editrice Itaca si è fatta promotrice di una iniziativa denominata “Il libro dell’anno”. Il primo titolo proposto è L’innominato. La notte, l’alba, l’abbraccio. «L’idea – spiega Eugenio Dal Pane, direttore editoriale di Itaca – è stata ispirata dal Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2020. L’espressione per non smarrirci abbiamo bisogno di una narrazione umana, storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo ci ha portati a ideare libri fruibili da tutti, piccoli di formato ma che custodiscono perle preziose.» Una narrazione umana per non smarrirci: può spiegare meglio? Innanzitutto bisogna sgombrare il campo dall’idea della lettura come forma di evasione o di distrazione. So benissimo che molti libri vengono scritti proprio con tale finalità, ma il leggere è uno strumento fondamentale per conoscere sé stessi e la realtà, per nutrire il cuore e la mente. Per questo mi ha così colpito la frase del Papa. Il messaggio è stato scritto prima della pandemia, ma ora è ancora più attuale. In che senso? Vorrei tornare a un passaggio di papa Francesco in Piazza San Pietro il 27 marzo 2020, all’inizio della pandemia, un passaggio purtroppo poco richiamato: avendo dimenticato «ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli» ci siamo trovati privi «dell’immunità necessaria per far fronte alle avversità». Se la nostra coscienza è fragile, facilmente soccombiamo sotto i colpi della vita. Nei libri è contenuta la coscienza del vivere che intere generazioni di uomini, lungo i secoli, hanno maturato, a cui i grandi autori hanno saputo dare voce. Dimenticarli è una grave perdita per la propria umanità. Non a caso la grande letteratura dell’antichità – come mi ha fatto notare un’amica monaca – è stata salvata nei monasteri. E se si perde l’umano anche il divino esce dall’orizzonte dell’uomo, come una realtà priva di interesse. 4


Perché, secondo lei, i libri sono importanti per la vita della persona e della società? Perché non si può vivere da soli: nel cammino della vita abbiamo bisogno di una compagnia che ci sostenga e ci conforti. Mi ha colpito che nel documento preparatorio al Sinodo il primo dei nuclei tematici abbia come titolo: «I compagni di viaggio». Libri compagni di viaggio è lo slogan che da anni accompagna il logo della nostra casa editrice. Per noi i libri sono «compagni di viaggio» in un duplice senso, sia come compagni che ci aiutano a ritrovare noi stessi e la fraternità con gli altri, sia come modalità per farci compagni di chi leggerà quel libro, per ascoltarne e accoglierne in qualche modo dubbi, paure, smarrimenti, attese, speranze, che la lettura di un libro può destare o fare riconoscere. Perché avete scelto L’innominato? Perché è una delle figure più potenti della letteratura. Le pagine che il Manzoni gli dedica ci fanno penetrare nel suo animo inquieto, roso dal male, disperato per una vita spesa male, eppure ancora desideroso che possa esserci anche per lui una speranza. Come è strutturato il libro? Ho ripreso i capitoli dei Promessi Sposi che lo vedono protagonista. Tutto si svolge nell’arco di una giornata, poco più, dalla richiesta di don Rodrigo di rapire Lucia, al suo dialogo disarmante con l’innominato che dopo una notte insonne segnata da una crescente disperazione, colpito dalla gioia della gente che va a incontrare il cardinale Federigo, decide di andare a incontrarlo anche lui. L’accoglienza e l’abbraccio del cardinale sono l’inizio di una rinascita – per prima cosa libera Lucia – il cui segno è che la notte dorme, finalmente riconciliato con Dio e con gli uomini. Ma non l’hanno già letto tutti a scuola? Non sono così sicuro che tutti l’abbiano letto a scuola. In ogni caso credo che questa figura possa essere molto più compresa da adulti e comunque le grandi pagine della letteratura non sono mai comprese una volta per tutte. In questi due anni siamo stati in qualche modo costretti a riguardare la nostra vita e forse il bilancio è risultato in rosso. Quanta solitudine, quanto smarrimento e talora quanta disperazione si incontrano parlando con le persone! 5


Per questo è così importante comunicare che non c’è solo la notte, ma anche l’alba e l’abbraccio. È davvero un libro per tutti? Assolutamente sì. Per anni ho fatto l’insegnante e mi è rimasta questa attitudine a far sì che tutti, proprio tutti possano capire, essere attratti da ciò che leggono. Per facilitarne la lettura ho suddiviso il testo in ventitré capitoli, introdotti da un invito alla lettura e da una postfazione che può essere usata sia personalmente sia a gruppi. A cosa sta pensando? Il nostro sogno è che il libro possa diventare occasione di incontro e di dialogo in tutti gli ambiti della vita sociale: associazioni e centri culturali, aziende, biblioteche, librerie, oratori e parrocchie, scuole, gruppi di amici. Leggere lo stesso libro, parlarne insieme è una modalità semplice e bella di “riscaldare” la vita sociale. Che spettacolo sarebbe se il Vescovo e il sindaco di una città ne dialogassero, magari assieme a un imprenditore o a un responsabile di una comunità per ragazzi difficili o a un cappellano delle carceri… Un libro, dunque, per ridestare speranza È così. La storia dell’innominato, che il Manzoni colloca al centro dei Promessi Sposi, descrive in modo mirabile il cammino possibile dal buio della notte all’alba di una speranza che si accende fino all’abbraccio che riapre alla vita. Offre elementi di riflessione che vanno dalla coscienza personale fino a considerazioni sulla storia e su ciò che la rigenera. La pandemia sta generando solitudine e smarrimento; occorrono luoghi e momenti in cui chi ha responsabilità si ritrovi a dialogare sui temi fondanti di una società, per rinnovare in tutti la speranza e rianimare la vita sociale.

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IL «PRODIGIO DELLA MISERICORDIA»

La storia è nota: Lucia Mondella è promessa sposa di Renzo Tramaglino, ma don Rodrigo, il signorotto locale, invaghitosi di lei e per scommessa col cugino Attilio, prima intima a don Abbondio di non celebrare le nozze, «né oggi, né mai», poi ne organizza il rapimento. Lucia, avvertita in tempo, riesce ad abbandonare il paese e a trovare “rifugio e protezione” presso la monaca di Monza, luogo inaccessibile per don Rodrigo che perciò decide di «cercare il soccorso d’un terribile uomo» la cui casa «era come un’officina di mandati sanguinosi». L’epilogo della storia appare scontato: ancora una volta l’ingiustizia, la violenza e il potere sembrano avere la meglio. Ma accade un imprevisto: la presenza umile e disarmata di Lucia nel castello dell’innominato. Una sua frase: «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia» desta nell’animo inquieto di quell’uomo sanguinario il presagio che la vita possa rinascere. Già ancora prima di vederla, egli si chiede chi sia questa donna che ha fatto «compassione al Nibbio!», il più fidato dei suo sgherri, che ne aveva organizzato il rapimento. L’incontro e il dialogo con lei fanno crescere un «nuovo lui» che lo rende consapevole di tutto il male commesso: quelle scelleratezze «eran tutte sue, eran lui». Identificatosi col suo male, al culmine della disperazione, è tentato «di finire una vita divenuta insopportabile». «Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!». Esse avevano «un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza». Nel cuore di quella notte dell’anima sorge l’alba di un nuovo giorno che attendeva e «sospirava, come se dovesse portare la luce anche nei suoi pensieri». È l’inizio di un cammino dello sguardo. «Nella strada in fondo alla valle» vede tanta gente uscire dalle case «col vestito della festa», «Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo!» dice tra sé l’innominato. Si desta in lui «una più che curiosità di sapere cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tante gente diversa»: «Cos’ha quest’uomo, per rendere tanta gente allegra?». Curiosità e attrattiva lo fanno “scendere” dall’alto del suo castello per incontrare quell’uomo, nella speranza che abbia anche «per me 7


le parole che possono consolare!». La sua disperazione di uomo che vede la propria vita fallita e divenuta inutile – cosa può farsene Dio di uno come lui! – è accolta dal cardinal Federigo che lo stringe a sé. Quell’abbraccio – il «prodigio della misericordia» – diventa grembo nel quale quell’”uomo vecchio” rinasce a vita nuova, liberato dalle catene che lo legavano al proprio male. Ha ribrezzo di sé, le iniquità commesse gli stanno ancora davanti, ma esse non sono lui, non lo identificano più: «provo un refrigerio, una gioia, sì, una gioia, quale non ho mai provata in tutta questa mia orribile vita!». Quella gioia lo mette immediatamente all’opera non solo per liberare Lucia, ma per smantellare «l’ordine, la specie di governo stabilito là dentro da lui in tanti anni». Chiama a raccolta quanti erano al suo servizio e avevano eseguito i suoi «ordini scellerati». Ad essi per primi comunica che Dio «ha usato con me tanta misericordia» e propone loro di «mutar vita»: «Chi vuol restare a questi patti, sarà per me come un figliolo». L’«officina di mandati sanguinosi» diventa casa. Certo, «S’era messa la confusione e l’incertezza in casa; eppure aveva sonno», segno inequivocabile della pace che ora regna nel suo cuore. «Andò a letto e s’addormentò immediatamente», pieno di «riconoscenza» e di «fiducia in quella misericordia» che è il vero centro della storia, sorgente inesauribile del cambiamento del cuore della persona e del mondo.

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IL FILO ROSSO

Sono molti i temi che emergono dalla lettura di queste pagine. Se ne evidenziano alcuni. 1. Il cuore inquieto dell’innominato: «Io sono però»

pp. 16, 17

Una vita tutta vissuta nel male non ha potuto soffocare definitivamente il cuore dell’innominato, come se in lui ci fosse qualcosa di irriducibile, pronto a venire a galla, come accade appena terminato il dialogo con don Rodrigo. «Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze. […] Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però. pp. 28, 38

2. La forza disarmata di Lucia

Lucia giunge nel castello, vittima della violenza alla quale non ha altro da opporre che sé stessa, la sua fiducia in Dio. La sua presenza disarmata apre una crepa nel cuore dell’innominato. Era aspettata dall’innominato, con un’inquietudine, con una sospension d’animo insolita. […]. «Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! […] Oh ecco! vedo che si move a compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!»

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pp. 49, 50

3. Una notte disperata

L’incontro e il dialogo con lei fanno crescere un «nuovo lui» che lo rende consapevole di tutto il male commesso. Identificatosi col suo male, al culmine della disperazione, è tentato «di finire una vita divenuta insopportabile». Ma le parole di Lucia gettano uno spiraglio di luce nel buio della notte. Eran tutte sue, eran lui: l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quell’immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e… […]. Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: – Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! – E non gli tornavan già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. pp. 53, 54

4. L’alba

È l’alba. Uno scampanare a festa gli suscita una domanda: «Che allegria c’è? cos’hanno di bello tutti costoro?». La gente vestita a festa, «come amici a un viaggio convenuto» gli desta una speranza. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa. […]. – Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! […]. Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? […]. Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! p. 62

5. L’abbraccio

Curiosità e attrattiva fanno “scendere” l’innominato dall’alto del suo castello per incontrare quell’uomo cui consegna la propria disperazione di uomo che vede la propria vita fallita e divenuta inutile: Cosa può farsene Dio di uno come me? 10


Ma il cardinale sa vedere in lui ciò che l’innominato non sapeva più vedere di sé: il suo cuore fatto per il bene. «Una buona nuova, io? Ho l’inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio.» «Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo,» rispose pacatamente il cardinale.

6. «Ora mi conosco»: l’inizio di una vita buona

p. 66

L’abbraccio di Federigo genera nell’innominato una conoscenza nuova di sé e quindi una vita morale, buona. Immediatamente si mette all’opera. L’innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: «Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!» […]. «Me sventurato!» esclamò il signore, «quante, quante… cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d’intraprese, d’appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.» pp. 120, 123, 124

7. E quella notte dormì

L’«officina di delitti» diventa casa per i bravi disposti a cambiar vita. Certo, «S’era messa la confusione e l’incertezza in casa; eppure aveva sonno», segno inequivocabile della pace che ora regna nel suo cuore. Chi vuol restare a questi patti, sarà per me come un figliuolo: e mi troverei contento alla fine di quel giorno, in cui non avessi mangiato per satollar l’ultimo di voi, con l’ultimo pane che mi rimanesse in casa. […]. Provava in questo un misto di sentimenti indefinibile; […] una fiducia in quella misericordia che lo poteva condurre a quello stato, e che gli aveva già dati tanti segni di volerlo. Rizzatosi poi, andò a letto, e s’addormentò immediatamente. 11


SUGGERIMENTI OPERATIVI

Leggere è per molte persone un desiderio, ma spesso manca una proposta di un libro che sia un “buon nutrimento” per la coscienza personale e comunitaria. In tal senso chi ha responsabilità (sacerdoti, responsabili di scuole, di associazioni…) ha anche la responsabilità di suggerire libri da leggere. Il referente La figura operativa fondamentale è il referente che ha il compito di predisporre un banco libri davanti alla chiesa al termine della messa, all’uscita di una scuola, in un oratorio, in occasione di un incontro… in modo da facilitare la reperibilità e l’acquisto del libro. L’esempio di una parrocchia Il parroco periodicamente propone, specie in avvento, quaresima e in prossimità dell’estate, uno o due libri: testimonianze, narrativa, testi formativi. Talora li richiama nelle omelie, organizza l’incontro con l’autore… È un’occasione per avvicinare i propri parrocchiani a letture e testimonianze, che portano grande beneficio nei cuori e nelle menti. L’organizzatore può creare un banchetto libri all’interno della chiesa o presso le sale adiacenti, rifornendosi presso la Libreria di fiducia Itaca – o direttamente da Itaca. Per una maggiore efficacia, la presenza del banco libri può essere segnalata negli avvisi parrocchiali. Il banco libri rappresenta anche una fonte di raccolta fondi per le attività della chiesa. Scuole e oratori Questa iniziativa può essere promossa anche in ambiti quali scuole e oratori. In modo diverso essi sono presidi culturali ed educativi che, pur rivolgendosi principalmente ai bambini e ai ragazzi, coinvolgono altresì genitori, educatori e insegnanti che sono i principali destinatari di questa proposta. Nelle scuole e negli oratori spesso operano gruppi associativi che potrebbero farsi promotori e gestori dell’iniziativa. 12


La mostra Il cammino di “conversione” dell’innominato è stato ripercorso in una mostra di 12 pannelli. È possibile richiedere gratuitamente a Itaca • i pdf per la stampa dei pannelli, in alta risoluzione e già ottimizzati, formato poster 70x100 • i pdf per il web dei pannelli per ogni altro utilizzo, tra cui la condivisione con i propri contatti. È possibile altresì richiedere l’invio dei pannelli stampati su carta, formato 70x100: 12 pannelli, 50 euro + iva 22% e spese di spedizione. Contatto: itaca@itacalibri.it Ulteriori informazioni Possono essere richieste alle Librerie di Fiducia Itaca (consulta l’elenco su itacalibri.it cliccando su: ). La promozione Il libro può essere oggetto di presentazione o di un momento di dialogo tra quanti lo hanno letto. Diversi i format possibili. A titolo di esempio: • una presentazione classica. Può essere prevista la lettura di alcune pagine • una conversazione tra il Vescovo, il sindaco, un imprenditore o un responsabile di una comunità per ragazzi difficili o a un cappellano delle carceri… • un dialogo tra personalità del territorio • “A tavola con la famiglia del sarto”. Un dialogo tra amici dopo aver letto il libro… La comunicazione Per diffondere l’iniziativa è importante coinvolgere i settimanali e i mass media locali. Tutti i testi qui contenuti potranno essere liberamente utilizzati.

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«Sono a Parigi, vorrei incontrarla.» Dopo quarant’anni Léo, un medico tedesco della Gestapo, si ripresenta a Maïti, la ragazza che aveva ridotto in fin di vita dopo l’arresto a causa della sua attività nella Resistenza. Per lui Maïti aveva pregato ogni giorno.

Maïti Girtanner è nata ad Aarau, in Svizzera, il 15 marzo 1922. Educata alla fede cattolica, dopo la guerra aderì al Terzo Ordine Domenicano. È morta il 28 marzo 2014.

www.itacaedizioni.it/maiti-resistenza-e-perdono 14


La testimonianza raccontata nel libro Maïti. Resistenza e perdono documenta che «il prodigio della misericordia» non è solo nella letteratura, ma può toccare il cuore dell’uomo, qualsiasi crimine abbia commesso, e iniziare una nuova vita. Léo come l’innominato.

La voce di colui che era stato il suo carnefice per quattro mesi risveglia in Maïti il ricordo di un doloroso passato. Si rivede giovane ragazza di diciotto anni, spinta dalle circostanze a entrare nella Resistenza, prima per aiutare la gente del proprio villaggio, poi per fare attraversare la linea di demarcazione a persone in fuga, instradare corrieri, falsificare documenti, fornire cartine agli inglesi, individuare movimenti di sottomarini, proteggere professori di musica ebrei… Arrestata a Parigi nell’autunno 1943 e liberata nel febbraio 1944 sulla soglia della morte, deve ben presto rendersi conto che non potrà realizzare i due grandi sogni della sua vita: diventare pianista e formare una famiglia. Una nuova sfida le si impone: non rimpiangere «ciò che ero stata o che sarei potuta diventare», ma «amare ciò che ero. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo». Restavano l’angoscia per il pensiero che quell’uomo potesse morire deformato dal male compiuto e il desiderio di perdonarlo: agli occhi di Dio anche lui aveva «un valore infinito». Finché un giorno Léo si presentò a casa sua, mettendo alla prova il suo desiderio di perdono.

È questo il cuore della mia storia: il perdono offerto a colui che fu il mio carnefice.

Maïti Girtanner


«Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro?» Il signore rimase appoggiato alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.

Alessandro Manzoni

www.itacalibri.it


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