Le ferite che non volevo (Manuel Mussoni)

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MANUEL MUSSONI




Manuel Mussoni Le ferite che non volevo www.itacaedizioni.it/le-ferite-che-non-volevo Scrivi all’autore: manuel.mussoni@gmail.com Prima edizione: marzo 2022 © 2022 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0718-9 Stampato in Italia da Mediagraf, Noventa Padovana (PD)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC‰ per una gestione responsabile delle foreste. Stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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Manuel Mussoni

Le ferite che non volevo


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A mia moglie, Maria Pina Amarti è come issare le vele e inseguire una stella. Il dramma non è la distanza col cielo, ma scegliere di navigare di notte. E la notte è metafora delle ferite. Le ferite che non volevi.

A mio figlio, Diego E con la pazienza di navigare tutta la notte ad un tratto arrivò l’alba… Il tuo sorriso è la nostra luce.

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Bologna, 5 febbraio 2051

La mattinata, fino a quel momento, era stata tranquilla in questura. A un tratto squillò il telefono. «113. Chi parla?» «Aiutooooo, correte! Un anziano ha preso una ragazzina per un braccio e si è barricato in un ufficio.» «Signora, mi dia l’indirizzo. Mando subito due pattuglie.» «Via Aria 18, Bologna. Davanti al parcheggio grande delle macchine.» Pochi minuti dopo le auto della polizia si fermarono davanti al palazzo. Da una di esse scese un poliziotto col megafono in mano: «Sono il comandante Romagna della Polizia di Stato. Stia calmo. Tra poco sentirà suonare il telefono dell’ufficio in cui si trova.» Il comandante aveva intuito subito la gravità della situazione. Occorrevano un buon negoziatore e le forze speciali per organizzare un eventuale assalto. «Pronto sono il comandante Romagna. Voglio un negoziatore. Ne voglio uno preciso: Matteo di Rimini. Chiamatelo e fatelo venire subito, ovunque si trovi!»

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Quel negoziatore aveva una sensibilità particolare per le vittime preadolescenti e sapeva che non si sarebbe dato pace finché non avesse trovato una soluzione; inoltre gli era sempre rimasta impressa la frase con cui si era presentato la prima volta a un intervento speciale. Gli aveva chiesto: «Dimmi una cosa che mi permetta di capire come lavori». Prontissimo l’agente gli aveva risposto: «Quando mio figlio era un neonato non mi chiedevo a che età avrebbe iniziato a parlare, ma da quale momento sarebbe stato in grado di ascoltare». Il capitano era rimasto stupito: «Hai dei gran numeri, ne sono sicuro». Matteo era in salotto a giocare col suo bambino di cinque anni con una piccola palla di gommapiuma. Dovevano fare canestro in una scatola; lui sbagliava apposta e il figlioletto ogni volta rideva a crepapelle. Nella stanza a fianco la moglie stava scegliendo il servizio di piatti da usare per quella bella domenica in famiglia; ogni tanto girava lo sguardo verso il marito osservandolo piena di orgoglio e stima. Lo riteneva il miglior padre del mondo. Suonò il cellulare di Matteo: «Centrale operativa. Si rechi immediatamente in via Aria 18 a Bologna. Un criminale si è chiuso in un ufficio con una ragazzina in ostaggio. Il comandante Romagna vuole proprio lei come negoziatore.» In pochissimi minuti fu pronto per partire; prima di uscire compì il solito gesto rituale: un bacio alla moglie e uno al figlio. Non stava andando in guer-

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ra, ma quel ruolo così delicato non lo faceva mai uscire di casa con delle certezze. Appena salito in macchina chiamò il comandante: «Ho bisogno di informazioni. Ditemi tutto quello che potete sul rapitore e sull’ostaggio. Non mi interessano aspetto fisico ed età. Voglio approfondimenti sulle famiglie, le passioni, aneddoti, situazione economica, stato di salute. Grazie!» Il comandante temeva il poco tempo a disposizione sapendo che spesso, purtroppo, non perdona: «Ottimo. Vuole anche sapere il futuro?» L’ironia doveva smorzare la tensione, ma la situazione risultava davvero difficile. Si sapeva solo che la ragazzina aveva undici anni, si chiamava Lucia e abitava a Rimini. Si trovava a Bologna con la mamma per una tranquilla gita domenicale. Il padre, Alex, vigile del fuoco, quel giorno era di turno. Volando sulla A14, dopo nemmeno un’ora Matteo giunse sul luogo del rapimento e immediatamente entrò nel magazzino adiacente all’ufficio. Lì il comandante gli diede ulteriori informazioni sull’ostaggio. Chiamò il rapitore al telefono. Sentì bloccarsi il sangue nelle vene e venirgli meno il respiro. Diede un pugno sul tavolo con tutta la sua forza, poi afferrò il cellulare e scrisse un messaggio alla moglie: «Amore, se succede qualcosa ricordati di guardare nelle tasche dei miei pantaloni. So che non vorresti mai ricevere questi messaggi, ma eravamo consapevoli entrambi dei rischi di questo lavoro. Ti amo!»

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Dagli indizi Matteo aveva capito che la ragazzina era la figlia di un suo carissimo amico di infanzia. Fuori dal palazzo la mamma di Lucia piangeva disperatamente e stava raccontando a un poliziotto che aveva perso di vista la ragazzina mentre era intenta a guardare una vetrina di borse. Era stato un attimo. Al telefono il marito, padre molto premuroso e presente, l’aveva inondata di domande mentre correva in auto verso Bologna, ignaro del fatto che le sorti della figlia erano in mano all’amico di una vita.

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Anno 2018

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Giovedì 8 marzo Su WhatsApp Manuela «Lella, sei da sempre la mia migliore amica, ti devo rivolgere una domanda che mi assilla…» Lella «Dimmi pure, forse so già di cosa si tratta.» Manuela «Quando l’amore ti ha deluso profonda­ mente e ti penti per le tue scelte di vita, come devi reagire?» Lella «La tua libertà, Manu, viene prima di tutto. L’amore non deve deludere, deve scaldare il cuore, deve far percepire attenzione, premura, sicurezza, bene. Se non ti senti una principessa allora che senso ha? Non è amore.» Manuela «Lella, cos’è l’amore?» Lella «L’amore, Manu, non è solo un sentimento o un’emozione particolarmente intensa. L’amore è una storia. Devi percepire sempre che l’uomo che hai scelto cerca solo il tuo bene, così come tu metti al centro il suo. L’amore in una coppia è una storia che si scrive in due e dev’essere la storia più bella possibile.» Manuela «Non so che fare.»

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Lella «Manu, sei libera, cerca una via d’uscita!» Manuela «Alex si sta preparando per l’allenamento, devo scappare. Lella grazie per i tuoi consigli. Sappi due cose: che ti voglio bene e che la mia storia fa schifo. Non mi sento amata, ma non ho la forza di mettere in discussione tutto.» Lella «Te lo ripeto: sei libera, cerca una via d’uscita.» Manuela «Ormai non posso più tornare indietro, lui mi fa paura.» Lella «Cooooooosa? Questo è gravissimo! Perché parli così? È successo qualcosa?» Manuela «Ciao. A presto.» Lella «Manu, sei una cretina. Mi fai preoccupare così. Scrivimi, fammi sapere come stai.» Con gli occhi gonfi di lacrime, Manuela lasciò la cucina per raggiungere al piano di sopra la stanza del figlio, cercando di trattenere il dolore, soffocato dentro, che stava tentando di confidare all’amica. Aperta la porta della cameretta trovò, tra i poster della Juventus e i camioncini giocattolo dei Vigili del Fuoco, Alex che guardava soddisfatto la borsa del calcio pronta e già chiusa. «Alex, stasera tuo babbo rientra prima e alle sette in punto vuole cenare perché poi deve andare a una riunione. Ti prego di farti trovare pronto. Appena finisci l’allenamento corri a casa.» Poi, volgendosi teneramente verso di lui, gli diede un bacio. Alex non rifiutava i baci della mamma, non per lui che si sentiva già un duro, ma per lei. Aveva solo undici anni, ma la sua sensibilità gli faceva

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percepire una certa compassione per quella donna così bella e allo stesso tempo così fragile, evidentemente insoddisfatta della sua vita di coppia. Presa la borsa, Alex si fiondò in garage a recuperare la bicicletta rossa e blu che gli aveva regalato la nonna Tina, a cui voleva tanto bene, e salutando la mamma si apprestò ad ascoltare il solito consiglio: «Fai attenzione al ponte di legno che è pieno di sassi.» La corsa in bici di Alex si fermò alla recinzione del campo sportivo dei Giacomini. Sul lato destro c’era un grande cancello dove il dirigente Bebo sorvegliava sempre l’andirivieni di bambini e adolescenti. Brizio, l’allenatore, era un simpatico giovane appassionato di tutti gli sport, laureato in fisioterapia e con un debole per le donne. I ragazzini lo temevano perché a volte era un po’ brusco nei modi, ma quel pomeriggio era apparso come il più buono degli allenatori: «Oggi, ragazzi, giochiamo tutto il tempo. Devo provare un po’ di tattiche per domenica. Sapete quanto sia importante vincere contro la Dinamo. Iniziate a scaldarvi.» Per Alex i momenti vissuti sul campo da calcio erano l’unica vera distrazione da una vita sicuramente troppo dura per i suoi undici anni. Quel pomeriggio, però, nemmeno la partitella poteva distrarlo; giocava e intanto pensava che sarebbe dovuto rientrare prima delle 19.

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Ringraziamenti

A tutti i miei studenti. Ho scritto per voi. Davvero. A tutto l’Istituto Einaudi-Molari di Santarcangelo di Romagna, teatro di scene che hanno ispirato questo libro. A Maria Sole, Leonardo ed Emma, che hanno letto in anticipo il romanzo e hanno tentato di convincermi che sarebbe sicuramente piaciuto. All’amico Rosauro, che ogni volta che terminavo un capitolo mi ricordava che avrebbe organizzato una serata di presentazione del libro. E ora lo farà davvero, forse più volte. Al mio caro vescovo Francesco Lambiasi, che mi ha costantemente incoraggiato a scrivere facendomi percepire una fiducia illimitata. Per me sarà sempre un esempio, un punto di riferimento. Grazie! Alla mia nonna Tina, che ha atteso questo libro con trepidazione. A un certo punto ho accelerato solo per lei. E l’ho inserita nel libro anche se non voleva. A Eugenio e don Roberto. Quella sera, a Lugo, eravamo a cena insieme. Io ero in riverente silenzio. Eugenio raccontava che voleva un romanzo sugli adolescenti. Don Roberto replicò che un suo

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amico aveva appena scritto un romanzo sulla rabbia negli adolescenti. A un tratto ho intuito che parlavano di me. L’imprevisto non si ignora e non si allontana, si accoglie… A tutta la splendida realtà di Itaca. Ho imparato tanto. Ho visto nella vita reale che perseguire la felicità è meglio del cercare solamente il profitto. Un grazie particolare a Isabel, decisiva per i suoi suggerimenti sul testo. Ai miei amici che mi hanno prestato i nomi per i personaggi della storia. Non lo devo più fare, mi veniva sempre da ridere. Alla mia famiglia. La mia prima responsabilità. I miei primi sostenitori: Maria Pina e Diego.

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Il primo giorno d’insegnamento ho fatto la grande scoperta che davanti a me c’erano persone, storie, vissuti, aneddoti e spesso, molto spesso, ferite. Qualcosa mi diceva che avevi bisogno di uno sguardo di fiducia, di essere capito e che le ferite che intravedevo in te non erano da condannare, ma da comprendere. Prof Torra

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Alex e Matteo si incontrarono mezz'ora prima alla solita tribuna. Quella tribuna era ormai diventata luogo di sfoghi e grida di aiuto verso adulti abituati a procurare ferite più che a curarle.

«Io, Matte, sono pieno di rabbia. Avrei voglia di spaccare tutto. Che fine fa la mia rabbia?» «Io non lo so, ma da oggi non sarai solo.»

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anuel ussoni è laureato in Scienze della Formazione. Ha lavorato con la Fondazione Enaip in supporto a giovani cresciuti fuori famiglia. Da molti anni insegna religione cattolica nella scuola statale superiore. Ne Il capitolo più bello del libro (2016) ha raccontato le tante esperienze vissute con gli studenti, dalle lezioni in mezzo al mare in barca a vela alle convivenze di classe.

€ 13,00 itacaedizioni.it


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