Lettere a una carmelitana scalza - Anteprima

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Giacomo Biffi

Lettere a una carmelitana scalza 1960-2013 Introduzione e note a cura di Emanuela Ghini Prefazione di Carlo Caffarra Postfazione di Matteo Maria Zuppi


Avvertenza Nella riproduzione del testo delle lettere del cardinale Biffi si è scelto di rispettare la grafia originale dell’autore, conservando i criteri redazionali propri, anche se diversi da quelli generali del volume, e lasciando le disomogeneità presenti tra lettera e lettera.

Giacomo Biffi Lettere a una carmelitana scalza (1960-2013) www.itacaedizioni.it/lettere-a-carmelitana-scalza Prima edizione: maggio 2017 © 2017 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0519-2 Itaca srl via dell’Industria, 249 48014 Castel Bolognese (RA) - Italy tel. +39 0546 656188 fax +39 0546 652098 e-mail: itaca@itacalibri.it in libreria: www.itacaedizioni.it/librerie on line: www.itacalibri.it Cura editoriale: Cristina Zoli Grafica di copertina: Andrea Cimatti Stampato nel mese di maggio 2017 da Ge.graf, Bertinoro (FC)


Presentazione

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Presentazione

La pubblicazione di queste lettere di Giacomo Biffi ha dovuto superare perplessità ed esitazioni. Sarebbe stato preferibile avvenisse dopo la morte della destinataria. Ma la vita monastica abitua, per grazia, a un distacco progressivo da ogni realtà, anche privata; un distacco che non è perdita, ma un ritorno a quanto si è lasciato per donarlo e condividerlo. Le espressioni anche più personali di autentici cristiani – in questo caso di un cristiano della statura spirituale di Giacomo Biffi – non appartengono soltanto a coloro a cui sono dirette; sono della comunità cristiana, della Chiesa, in senso ampio dell’umanità. La prima impressione che emerge dalle lettere è la loro oggettività. Sono rivolte a una persona, ma muovono da realtà assolute, ne riverberano la forza e la bellezza. All’interno di un discorso umano e realistico, che conosce ogni risvolto di sensibilità e finezza di sentimento, che è pervaso di forza e di passione, di capacità di consolazione e uso garbato dell’umorismo, emerge la realtà fondante di Gesù Cristo, dello Spirito, della sempre rinnovata esperienza della tenerezza di Dio. È il pastore che conosce le tonalità dell’animo umano, le ferite, le inquietudini, le rivolte, il peccato. E con forte pacatezza affronta resistenze, soccorre fragilità, dissipa dubbi. Accoglie ed educa: una educazione spesso indiretta, pervasa di umori-


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smo, forte e calma, arresa alla croce, accolta con pazienza nella luce splendente del Risorto. La luce, il segno più espressivo della fede che ha penetrato tutta la vita di Giacomo Biffi e ne ha reso felice ogni tappa, ne ha addolcito le incomprensioni, la solitudine, i distacchi. Come quello dalla sua Milano, simboleggiata dal suo duomo «fantasioso, impossibile, quasi folle», alla cui visione egli si incantava e per il quale condivideva l’amore dei semplici. In una contemplazione che diveniva canto: «È uno spettacolo inimmaginabile e sempre nuovo, coi colori che cambiano ad ogni ora del giorno. A nessuno edificio al mondo sono così affezionato. È un’opera che lascia perplessi i critici d’arte, ma entusiasma immediatamente i cuori semplici, e anche per questo mi è caro». La stessa luce che avvolse Giacomo Biffi sul letto di morte e lo accompagnò, nella letizia irradiante di una consegna attesa e festosa, nell’approdo alla festa cosmica. Emanuela Ghini

Ringrazio dal profondo del cuore il professor Adriano Guarnieri, che con grandissimo spirito fraterno, umiltà e generosa disponibilità mi ha seguito lungo tutto il lavoro con fine penetrazione, preziosi suggerimenti e instancabile pazienza. Ringrazio il professor Giorgio Marchini, direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Verona, che con straordinaria professionalità e umanità mi ha reso possibile questa pubblicazione.


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4. Ringraziamento per un incontro. Il segno della vita monastica. Insegnamenti di vita spirituale: distacco e partecipazione (senso dell’umorismo), ascesi-inveramento della natura umana, hic et nunc luogo della grazia ma non ancora Gerusalemme celeste. Studio della Chiesa. Critica ai cristiani “impegnati”. Richiesta di preghiere per ottenere fedeltà a Dio e misericordia verso gli uomini.

Milano, 29 ottobre 1970 Carissima Suor Emanuela, volevo aspettare a rispondere per avere il tempo di leggere le Sue schede13, ma avrei tirato troppo per le lunghe. Lo faccio perciò subito, anche perché ho fretta di ringraziare delle belle ore passate insieme e dell’incontro che mi ha spiritualmente nutrito e rinnovato. Non so se voi claustrali vi rendiate conto del bene che fate soltanto con la vostra esistenza. I vostri difetti noi non li vediamo, ma il vostro tipo di vita resta un segno, evidente, chiaro, che ci arricchisce e alimenta la nostra speranza. Forse le mura e le grate non servono tanto a tenere lontano il “mondo” da voi, quanto a nascondere i vostri limiti al mondo, in modo che il “segno” appaia limpido, senza offuscamenti. Cosa ne direbbero le Sue consorelle di questa mia riflessione, che a dire il vero mi sembra molto originale e molto importante? E adesso le do alcuni importanti insegnamenti di vita spirituale. Così impara a darmi del tronco d’albero (neppure un albero intero: solo un tronco, senza foglie, senza frutti!)14.

13  Alcune voci delle Schede bibliche pastorali, EDB, Bologna 1966-1976. Le voci da me svolte furono: Lode, Malattia-guarigione, Mediatore, Morte, Obbedienza, Presenza, Purità, Rimanere, Rispetto umano, Scandalo, Seminare, Semplice, Sigillo, Tristezza. L’opera ebbe una seconda edizione, a cura di G. Barbaglio, EDB, Bologna, 1982-1987, 8 voll. 14  Avevo detto a don Biffi che il vigore e la forza della sua fede me lo facevano considerare un forte tronco d’albero, al quale appoggiarsi.


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1.  Il fondamento della vita religiosa non è il solo distacco, ma il distacco unito alla partecipazione. Più cresce il distacco, più deve crescere anche la comunione con le persone e con le cose. Bisogna raggiungere la libertà del cuore, ma per poter amare di più le persone e le cose. Così ci si assimila a Dio, «lontanissimo e presentissimo», come dice Agostino. Anche il senso dell’umorismo è fatto di distacco dalle situazioni unito alla simpatia e all’amore. Perciò, il senso dell’umorismo è il fondamento della vita religiosa. Forse S. Giovanni della Croce avrebbe qualche riserva su questa dottrina, ma mi pare sia anche quella di Sr. Emanuela. 2.  Il progresso nella vita spirituale non può consistere nella distruzione della natura umana, ma piuttosto nel suo inveramento, dal momento che l’unico concetto teologicamente ammissibile di “natura” è quello di «immagine di Cristo», come sta scritto in qualche parte della celebre opera teologica Alla destra del Padre. Se una vita ascetica finisse per distruggere in noi il senso di umanità, vuol dire che ha dentro di sé qualcosa di sbagliato. E anche su questo Sr. Emanuela è d’accordo. 3.  Ciò che è veramente santificante è l’hic et nunc. La tentazione dell’“altrove” è un’insidia e un ostacolo a cogliere tutta la grazia che è immessa nella situazione concreta, nella quale l’azione provvidente di Dio ci ha collocato. L’hic et nunc va spremuto completamente perché dia tutto il dono di Dio: non si può spremerlo completamente se in qualche modo si cerca di sfuggirvi. Mi sbaglierò, ma su questo punto Sr. Emanuela fa fatica ad essere d’accordo e preferisce continuare a brontolare, con grave scandalo delle sue consorelle15. 4. L’hic et nunc non è ancora il Regno di Dio definitivo, tant’è vero che passa. Nessun luogo della terra è la Ge-

Probabile allusione a miei atteggiamenti riformistici, propri dei novizi e che la pazienza degli anziani sa destinati ad attenuarsi. 15


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rusalemme celeste, perché noi dappertutto siamo «stranieri e pellegrini»16. Quel che mi sembra certo è che Lei ha bisogno di una comunità. Da sola rischierebbe di dimenticarsi di mangiare o di vestirsi e sarebbero guai. La lezione è finita. Vorrei impiegare i pochi momenti concessimi nello studio della Chiesa. Non conosco troppo l’argomento e vorrei approfondirlo. Potrebbe chiedere ai suoi amici di Bologna17 una piccola bibliografia in materia? Si tratterebbe in sostanza di domandare quali sono gli studi (non troppi, 4 o 5 al massimo) che davvero mette conto di leggere, in modo da non perdere troppo tempo nell’esame di ciò che mi insegnerebbe molto. Il secondo favore che Le chiedo è di pregare davvero per me. Mi sento sempre al di sotto dei miei compiti e so di essere un po’ una delusione per Dio. Mentre mi trovo benissimo nei rapporti con la gente comune, mi sento sempre più a disagio tra i cristiani “impegnati”, che sono immersi nelle parole, nei malumori, nelle rivendicazioni. Vorrei riuscire a tenermi lontano dallo “zelo amaro” e dalle dispute, e soprattutto a velare tutto con misericordia. Ecco: la fedeltà a Dio e la misericordia verso gli uomini sono le grazie che dovrebbe chiedere per me. Adesso chiudo, perché avendo cominciato la lettera il 29 ottobre, sono arrivato al giorno dei morti. Se continuo di questo passo le posso fare anche gli auguri di Natale. Porga i miei rispetti alla Sua Priora, mi creda vicino e, se può, non mi dimentichi. don Giacomo Biffi

Cf. Eb 11,13. Allusione ai monaci della comunità fondata a Monteveglio (Bologna) da don Giuseppe Dossetti il 6 gennaio 1956 (cf. L. 22, n. 84). 16  17


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12. Dietro la diversa grafia di Chiesa con l’iniziale maiuscola o minuscola sta una diversa fede.

25 maggio 1972 Carissima Sr. Emanuela per le maiuscole38, decidi tu come ti pare meglio. Come problema ortografico, mi lascia indifferente. Io stesso sono stato a lungo oscillante. Solo correggendo le bozze di Alla destra del Padre 39, ho deciso di uniformare all’insegna della maiu­scola l’uso di “Chiesa”. Tuttavia il comportamento delle Dehoniane mi ha indotto spesso a riflettere. Nei fascicoli de «Il Regno» “chiesa” è sempre scritto con la minuscola: non c’è mai una svista, anche nei testi riportati, che nell’originale usano diversa grafia. E fin qui non ho niente da dire. Ma poi trovo scritto spesso: Comunità metodista, Comunità di base, Camera del lavoro, Consiglio pastorale, Nazioni unite, e qualche volta addirittura Stato, tutti con la maiuscola. E qui proprio non capisco. Oppure capisco troppo bene. Non credo neppure che si tratti di teologia diversa: qui è una diversa fede. Perché questo accanimento implacabile solo contro la Chiesa? Perché questo rigore stilistico che solo nei confronti della Chiesa non si distrae mai? Credo che stia per venire un tempo nel quale la più profonda divisione tra gli uomini sarà tra quelli che scrivono “Chiesa” e quelli che scrivono “chiesa”. Proprio come lo jota che nel secolo IV divideva i niceni dagli ariani (omoousios – omoiousios). Ti ho fatto spedire il libro40. Si sono dimenticati di raccomandarlo, ma spero arrivi presto lo stesso. Ricordami sempre, d. Giacomo 38  39  40

Riferimento a qualche mio scritto, sottoposto al giudizio di Giacomo Biffi. Cf. L. 3. G. Biffi, Meditazioni sulla vita ecclesiale, cit. Cf. LL. 8, 9, 10, 11.


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42. Misericordia verso il prossimo. Cambio di auto. Apprezzamento di Cullmann. Sul cardinale Ballestrero. Retrogradi e progressisti. Chiesa, luce dei semplici.

Milano, 7 luglio 1978

Carissima Emanuela, ma come ti permetti di chiamarmi «uomo santissimo»? La cosa mi giunge così nuova, che a stento posso trattenermi dal risponderti subito: «uomo santissimo sarai tu!». I tuoi giudizi sulle persone sono sempre un incanto, tanto sono immediati e senza perifrasi. Adesso è la volta di un innocente biblista181, che io conosco pochissimo, ma che le tue parole mi invogliano ad avvicinare di più. Nella misericordia verso il prossimo pare che debbano immancabilmente aver posto due sentimenti: la capacità di accogliere gli altri come sono e il desiderio che siano migliori. In te c’è soprattutto il secondo; ma forse questo fa parte della vocazione pedagogica che è presente in ogni donna e conduce noi uomini, quando siamo stanchi di essere migliorati, a giocare a bocce o a carte tra noi qualche volta, sotto la pergola di un’osteria di campagna, lontano dalle nostre salvatrici. Non ricordo di aver mai ricevuto le lettere di Dupré182. Sono adesso in partenza per il mare, che quest’anno sarà quello di Forte dei Marmi. Mi è più facile venire a Savona da Milano, e non è escluso che lo faccia nel prossimo agosto, adesso che ho un’automobile nuova e posso rischiare di fare qualche viaggio senza l’incubo di rimanere per la strada. La mia vecchia macchina183 – che mi ricordava i bei tempi di Legnano – l’ultima volta che mi ha tradito (qualche settiIl riferimento è a don Giuseppe Ghiberti (cf. L. 41, n. 176), in seguito monsignore, al quale, in nome della grande amicizia, rimproveravo a volte una certa lentezza, causa del mio lamento con Giacomo Biffi. 182  Cf. L. 35, n. 150. 183  Cf. L. 21. 181


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mana fa), ha consentito un’esperienza interessante: un lungo colloquio di più di un’ora, mentre aspettavo il carro attrezzi, tra un vescovo in alta uniforme e i due figli del venditore ambulante di fiori, uno di quattro e uno di sette anni, sull’arduo tema del celibato ecclesiastico. Abbiamo concluso tutti e tre che non ci sposeremo mai, io per ragioni apostoliche e loro perché trovano antipatiche le bambine. Ma penso che col tempo alcuni di noi cambieranno idea. Quando verrò ti porterò qualche volume del Cullmann con grande piacere. Lo apprezzo molto come uno dei pochi esegeti di buon senso che siano in circolazione e non abbiano complessi bultmaniani. Mi piace che il nuovo arcivescovo di Torino184 ti appaia come «una vecchia volpe». Quando avevo occasione di frequentarlo, a me sembrava (tanto per non uscire dalla zoologia) piuttosto un vecchio gattone saggio e furbo, che sa stare alla larga dalle risse. Che uno, diventando vescovo, appaia «quasi progressista», è in lui segno di notevoli capacità di governo ed è riprova di quanto sia intollerante e fazioso questo nostro tempo. Oggi il vero coraggio morale starebbe nell’accettare di “apparire” retrogrado e di “apparire” fascista; il che significa sfidare un’oppressione culturale che è di gran lunga più capillare, più intransigente, più liberticida di quella che ci ha afflitto nello squallido e sciagurato “ventennio”. Ma è un coraggio che è forse bene che i vescovi non abbiano, se vogliono salvare la sopravvivenza della Chiesa che, quando scende la notte, è l’unica luce degli uomini semplici. Ricordami come io ti ricordo, affettuosamente. d. Giacomo

Anastasio Alberto Ballestrero (cf. L. 34, n. 141), arcivescovo di Torino dal 25 settembre 1972. 184


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