LI AMÒ fino alla FINE
L E ULTIME PAROLE DI GESÙ DALLA CROCE
Prefazione di G AETA n O P ICCOLO
Coll ana De-Sidera
Giorgio SgubbiLi amò fino alla fine
Le ultime parole di Gesù dalla croce
Prefazione di Gaetano Piccolo
Nelle edizioni Itaca
Benedetto XVI / Joseph Ratzinger
Fatti per l’Infinito
Angelo Scola
Annunciare Cristo nel cambiamento d’epoca
Giorgio Sgubbi
Il grande affare. La fede, la perla, il tesoro
Giacomo Biffi
Se Cristo è risorto ed è vivo cambia tutto
Dante Carolla
Lettere ai catechisti 1. La gioia di essere cristiani
Lettere ai catechisti 2. La bellezza di essere cristiani
Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar
Conversazioni sulla Chiesa. Interviste di Angelo Scola
Traduzione e postfazione di Giorgio Sgubbi
Giorgio Sgubbi
Li amò fino alla fine. Le ultime parole di Gesù dalla croce www. itacaedizioni. it/li-amo-fino-alla-fine
Prima edizione: febbraio 2024
© 2024 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0776-9
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
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Prefazione
Ogni giorno come l’ultimo
Ci sono strade che non si possono percorrere da soli. Abbiamo bisogno di qualcuno con cui condividere il cammino. Siamo popolo, siamo Chiesa. Nel mio percorso verso la Pasqua mi lascio condurre da questo libro di monsignor Sgubbi, che con delicatezza e sapienza si è offerto di accompagnarci lungo questo itinerario che riassume in sé i molteplici aspetti della vita. È il cammino che porta verso la croce, là dove tanti si sono dileguati, nascosti, dispersi. Questo testo ci riporta sul Golgota e ci invita a fermarci lì per provare ad ascoltare di nuovo le parole che contano, quelle pronunciate da Gesù.
Le parole che diciamo alla fine, che sia alla fine della vita o alla fine di una relazione o al termine di una missione, sono, come ricorda l’Autore, le parole più importanti, quelle essenziali. Sono le parole dell’ultima chance, quelle che non possiamo più trattenere, quelle che vogliamo lasciare. L’Autore ci aiuta ad ascoltare di nuovo le sette parole di Gesù sulla croce per gustarle e per lasciare che scavino dentro di noi. Le parole scavano e creano lo spazio nel quale è riversato l’amore.
Queste ultime parole di Gesù, che i Vangeli ricordano da prospettive diverse, sono rivolte innanzitutto al Padre, ma anche al discepolo e alla madre, sono rivolte al peccatore e sono rivolte all’umanità. È forse un modo per dire che ci siamo anche noi tra gli uditori di questa parola. Forse anche noi un tempo siamo fuggiti, oggi possiamo trovare il coraggio per rimanere.
Le ultime parole di Gesù sono prima di tutto parole di perdono, perché la logica del male, per quanto feroce e subdola,
non può vincere. Solo perdonando possiamo svilire gli effetti del male. Gesù esprime la sua esperienza interiore di abbandono, perché sebbene il Padre non possa essere mai separato dal Figlio, il Figlio entra veramente nella morte, nell’assenza. Solo così infatti la sua fiducia nel Padre si rivela autentica, senza sconti. Il buio interiore, a fronte della luce del meriggio, è totale. In quella tenebra c’è anche la mia, c’è la mia solitudine e la mia disperazione. È in quell’oscurità che incontro la solidarietà del Figlio.
Quando Gesù parla al ladrone pentito ha già portato a compimento la sua missione: il peccatore è stato perdonato. La sua vita si compie quando l’uomo può vivere l’esperienza della misericordia. Nel cuore di Cristo c’è infatti la sete per la salvezza dell’umanità, così come un giorno aveva confessato la sua sete per la salvezza di una donna samaritana.
Dal quel momento in poi tutto diventa consegna. E le ultime tre parole commentate possono essere raccolte sotto questa immagine. Gesù consegna la sua vita al Padre, perché tutto torna alla fonte. La vita è restituzione. Non possediamo nulla e alla fine della vita questo sarà ancora più evidente. La vita si compie se siamo capaci alla fine di restituire.
Sulla croce, Gesù consegna al discepolo amato ciò che ha di più prezioso: la madre. Maria diventa madre mia e tua, perché ciascuno di noi è il discepolo che Gesù ama. Gesù consegna il suo cuore trafitto, perché solo attraverso quella ferita è possibile vedere fino in fondo l’amore. La croce si trasforma in albero da cui fiorisce la vita. Non siamo sul Golgota per soffrire, ma siamo lì per accorgerci della sovrabbondanza dell’amore che ci è donato.
E così tutto si compie, perché Gesù è venuto affinché possiamo avere la vita in abbondanza. La croce è generativa di una vita senza fine, cioè sovrabbondante. La croce toglie ogni paura, perché la morte è vinta. Gesù non subisce la croce, ma la sceglie e la accoglie. E così indica anche a noi una via per vivere il dolore: accoglierlo vuol dire vincerlo!
La meditazione del testo di monsignor Sgubbi ha fatto nascere in me la speranza di vivere anch’io un giorno la mia morte come compimento e non come triste interruzione. Per questo cercherò di essere preparato, vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Anch’io desidero dire alla sera di ogni giorno: tutto è compiuto!
Gaetano Piccolo sj
A padre Silouane Ponga, adoratore della Verità evangelizzatore della Gioia testimone del Mistero
Avvertenze
Le traduzioni delle citazioni dalle fonti in lingua straniera sono dell’Autore. Per i testi dei documenti pontifici si rimanda al sito www.vatican.va.
Introduzione
Gli ultimi momenti della vita cambiano molte cose, anche le parole: se ne fa una cernita assai accurata per consegnarle poi a interlocutori scelti ai quali spetterà il compito di custodirne la memoria, ed eventualmente tramandarne il contenuto. La loro frequenza, sensibilmente ridotta, come pure la diminuzione della loro quantità si coniugano però con una nuova e originale ricchezza, alla quale si vorrebbe affidare il bilancio e la sintesi di un’intera esistenza.
Anche Dio consegna le sue parole. Nella sua Parola Dio dice Sé stesso: a differenza dell’uomo, in cui la parola non coincide con la natura (l’uomo può infatti mentire), in Dio Parola e natura sono una cosa sola1. E se nella sua Parola Dio si dice, l’ascolto della sua Parola è innanzitutto ascolto del Suo cuore, cioè delle sue decisioni, intenzioni, progetti e libertà: l’ascolto di Dio è trasformazione in Lui2. Non bisogna pertanto aggre-
1 «Verbum divinum est eiusdem naturae cum Deo» (Tommaso d’Aquino, Super Evangelium Johannis, I, 26).
2 «Sì, esiste una unificazione dell’uomo con Dio […]; è unità che crea amore, in cui entrambi, Dio e l’uomo, restano sé stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola: “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito”, dice san Paolo (1 Cor 6,17)» (Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, n. 10). Per questo Benedetto XVI, nel solco della grande tradizione orientale, amava parlare di «divinizzazione» come centro della storia: «Nell’attraversamento dal mondo a Dio, tutto ciò che precede e tutto ciò che segue riceve il suo senso in quanto inserimento
dire la Parola di Dio con intenzioni (fossero pure le migliori) che non siano l’ascolto della Sua intenzione, cui corrisponde lo stupore per la bellezza del suo disegno. La Parola di Dio non ha bisogno di luce, è Essa stessa la Luce. Infatti «nella tua luce, vediamo la luce» (Sal 35,10) e «la tua Parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza al semplice» (Sal 118,130). Ascoltare le parole di Cristo sulla croce è dunque ascoltare il cuore stesso di Dio, un cuore che parla, supplica e invita alla gioia.
I Vangeli ci trasmettono sette parole di Gesù sulla croce.
A ben guardare, si tratta in realtà di brevi frasi che ciascun evangelista riprende e rielabora secondo una prospettiva sua propria, cosicché non ci è dato di conoscere l’ordine esatto in cui Gesù le ha pronunciate.
Questo però non ha troppa importanza3: decisivo è piuttosto il fatto che ciascuna di esse sprigiona la propria luce solo in relazione con le altre, proprio come un grande affresco conferisce splendore a ogni sua singola unità riconducendone i particolari alla bellezza dell’intero. Così accade anche alle ultime parole di Gesù, alle quali si può applicare quanto Möhler dice a proposito della Chiesa: «Nessuno può essere tutto. Nessuno deve essere tutto. Solo tutti possono essere tutto»4.
del grande movimento cosmico nella divinizzazione, cioè nel ritorno a ciò da cui è iniziato» (Joseph Ratzinger, Vom Sinn des Christseins, Kösel, München 2005, p. 70).
3 Lo schema tradizionale che si è affermato è quello che appare in Ludolfo di Sassonia. Cfr. Ludolphus De Saxonia, Vita Iesu Christi, Palmé-Lebrocquy, ParisBruxelles 1878. Questo ordine è stato seguito anche nella tradizione musicale da F.J. Haydn, H. Schütz e C. Franck, come pure in una riflessione teologica di K. Rahner. Cfr. Karl Rahner, Passionsandacht, in Id., Sämtliche Werke, Herder, Freiburg i.B. 2013, Band 7, pp. 200-207. Cfr. Gianfranco Ravasi, Le sette parole di Gesù in croce, Queriniana, Brescia 2019.
4 Johann Adam Möhler, Die Einheit in der Kirche oder das Prinzip des Katholizismus, dargestellt im Geiste der Kirchenväter der drei ersten Jahrhunderte, Grünewald, Mainz 1957, p. 237.
Benedetto XVI ha affermato che «quanto più un uomo si avvicina a Cristo, tanto più viene coinvolto nel mistero della sua Passione»5. Ora, non sono molti coloro che hanno avuto il coraggio di “avvicinarsi” alla passione del Signore, al suo passaggio da questo mondo al Padre: Maria sua Madre, colui che è indicato come il discepolo amato, e alcune donne, più qualcun altro che si è trovato sul luogo o per caso (come il cireneo) o per dovere (come il centurione). Sono loro che con ogni probabilità hanno custodito nel cuore le parole udite da Gesù, affidandole poi a chi le avrebbe annunciate anche a noi.
Ma non sempre «le fragranti parole del Signore», come le chiama san Francesco, risultano immediatamente chiare e comprensibili: parlando ad esempio del «nostro carissimo fratello Paolo», lo stesso Pietro riconosceva che nelle sue lettere «vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2Pt 3,15). L’espressione piuttosto cruda non deve però intimorirci: la «rovina» di cui parla Pietro deriva dall’orgogliosa solitudine di chi pretende di possedere il senso vero della Parola a prescindere dalla comunione ecclesiale. Volendo evitare questa deriva, il testo che viene qui presentato nasce dal vivo ascolto della Parola e di quella tradizione che ne garantisce un ascolto conforme all’amore stesso con cui la Parola è stata pronunciata; una tradizione «giovane e matura», tipica di una Chiesa che «non perde mai ciò che ha posseduto una volta» e che «estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche»6.
5 Joseph Ratzinger/Benedikt XVI, Jesus von Nazareth III. Prolog. Die Kindheitsgeschichten, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2012, p. 131; trad. it. L’infanzia di Gesù, Rizzoli - Libreria Editrice Vaticana, Milano - Città del Vaticano 2012.
6 John Henry Newman, La mission de saint Benoît, Bloud, Paris 1909, p. 10. Raccomanda padre David Maria Turoldo: «Più sei fedele alla tradizione più sei forte e libero, più ti senti sicuro e sereno. E se volete un consiglio: state sempre nella tradizione, perché allora sarete creativi» (Il fuoco di Elia profeta, Piemme, Casale Monferrato 1993, p. 260).
La tradizione, come ricordava Giovanni Paolo II, «non è mai pura nostalgia di cose o forme passate, o rimpianto di privilegi perduti, ma la memoria viva della Sposa conservata eternamente giovane dall’Amore che la inabita»7: proprio per questo si è scelto di non rinunciare all’indicazione di fonti e riferimenti, ma non per appesantire il testo o soffocarlo con un’esibizionistica pedanteria, quanto piuttosto per testimoniare onestamente il debito che sta all’origine della sua genesi. E senza mai dimenticare che ogni verità che l’uomo può attingere su Dio, compreso i dogmi più sublimi, altro non è che «la povera condivisione che la mente ha delle cose divine»8.
Un’ultima osservazione. La dinamica biofisica del corpo umano ci rivela che la parola acquista timbro, colore e suono grazie al soffio che l’avvolge e ne accompagna la comunicazione. Anche la Parola di Dio ha il suo soffio, il suo Pneuma nel quale è formulata e dal quale è poi sospinta in ciascuno di noi: solo lo Spirito ricevuto dal Crocifisso Risorto sottrae la Parola alle secche del concettualismo facendo comprendere che «non è un mero strumento di comunicazione, ma è soffio che sparge semi che vogliono mettere radici e fruttificare, è spirito che genera vita e relazioni»9.
Ci sono però alcune parole dette da Gesù che sembrano complicare e infittire lo scandalo del male e del dolore innocente. Ora, però, Gesù non le ha pronunciate per rendere il «Mysterium iniquitatis» ancora più oscuro, quanto piuttosto per dichiararlo sconfitto nella sua pretesa di definitività e intrascendibilità; anche se, così almeno in questa vita, non capi-
7 Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Orientale lumen, n. 8.
8 Abraham Joshua Heschel, Men ist not alone. A Philosophy of Religion, Farrar, Straus & Giroux, New York 1976, p. 169.
9 Rosalba Manes, La melodia del silenzio. La figura sorprendente di Giuseppe di Nazareth, Àncora, Milano 2021, p. 8.
remo mai l’oscura presenza del male e del suo iniquo dominio, le ultime parole pronunciate dal Signore ci assicurano che il Figlio di Dio lo ha realmente vinto e che si è riaperta la porta verso il disegno originario di un mondo che sia «pace e gioia nello Spirito» (Rm 14,17).
Le sette parole, almeno così ci sono apparse nel corso della riflessione, ci consegnano un vero e proprio preconio pasquale, un Exultet che con la forza e il ristoro dell’Agape redentrice vuole attirarci a un Dio «che non teme né si preoccupa della propria debolezza, che ci invita a non vergognarci neanche delle nostre mancanze», ad ascoltare un Dio che «si consegna a noi e ci insegna così a consegnarci a lui»10. Proprio perché là, proprio là «dove l’umano e il divino cadono e risorgono insieme»11, il disegno divisivo del Male è definitivamente sconfitto.
Una confidenza è infine doverosa. All’origine di questo testo c’è una comunione di fede e di preghiera: accolta la richiesta di pubblicazione, chi scrive si è immediatamente rivolto a sorelle e fratelli la cui preghiera è proseguita incessante fino alla sua compiuta stesura: grande è la mia gratitudine per l’intensa esperienza di fraternità che così intensamente ci ha legato. Ma non soltanto essi hanno sostenuto e accompagnato questo scritto. Ci sono anche Coloro che sono già entrati nella Casa del Padre, accolti da una parola tra le ultime di Gesù: «Oggi, con me, sei in Paradiso».
È alla parola di uno di essi, amico assai caro e cultore illuminato della Verità, che ora affido non la conclusione di una introduzione ma quell’invito che, solo, può giustificare la lettura di queste pagine: «La via del ritorno è aperta per noi:
11
p. 59.
16 li amò fino alla fine
“Venite!”. Già l’etere d’oro dei mondi beati ci accoglie su scale di gioia. “Venite!” Là fuori non resta che un morir senza fine. È l’ultimo appello: il grande ritorno, cui nulla più segue. È l’ultimo inizio»12.
Giorgio Sgubbi
Imola, 28 gennaio 2024
Memoria di San Tommaso d’Aquino
12 Maurizio Malaguti, L’ultimo inizio, in AA.VV., Luce e colore, Maggioli, Rimini 2002, p. 52.
Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore...
In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce.
Antonio di Padova
Sermones Dominicales et Festivi, III
Coll ana
De-Sidera
Nel cuore di Cristo c’è la sete per la salvezza dell’umanità, così come un giorno aveva confessato. la sua sete per la salvezza di una donna samaritana. La croce si trasforma in albero da cui fiorisce la vita. La croce è generativa di una vita senza fine, cioè sovrabbondante.
Gaetano Piccolo sj
Chi ascolta le “sette parole” sarà liberato dalla peggiore di tutte le dipendenze: la dipendenza dal giudizio di sé, che spesso deriva dal giudizio degli altri. Non dovrà più vedere sé stesso con i propri occhi, ma potrà ascoltarsi dalla Parola di Dio e guardarsi con lo sguardo di Dio.
Giorgio Sgubbi
Giorgio Sgubbi, sacerdote della diocesi di Imola, è professore di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e di Teologia dogmatica all’Istituto Superiore di Scienze Religiose «Italo Mancini» dell’Università di Urbino e alla Pontificia Università Gregoriana in Roma.
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