MARCO GALLO ANCHE I SASSI SI SAREBBERO MESSI A SALTELLARE
a cura di Paola Cevasco Antonio, Francesca e Veronica Gallo
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Nelle edizioni Itaca Maïti Girtanner con Guillaume Tabard Maïti. Resistenza e perdono Marta Bellavista Voglio tutto Paola Marenco Volti di santi
Marco Gallo. Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare a cura di Paola Cevasco, Antonio, Francesca e Veronica Gallo www.itacaedizioni.it/marco-gallo Prima edizione: ottobre 2016 Terza ristampa: marzo 2022 © 2016 Itaca srl, Castel Bolognese © 2016 Fraternità di Comunione e Liberazione per i testi di J. Carrón Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0508-6 Stampato in Italia da Mediagraf, Noventa Padovana (PD)
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Prefazione Ho accettato l’invito di Antonio e Paola, genitori di Marco Gallo, e carissimi amici, con un po’ di trepidazione, perché è sempre difficile scrivere la prefazione di un libro, soprattutto di un libro che racchiude l’avventura di una vita: ogni vita, ogni persona ha qualcosa di unico e d’irripetibile, e dovremmo avvicinarci al mistero nascosto e presente nella storia di ogni uomo, con un senso di venerazione, a piedi scalzi, come Mosé davanti al roveto ardente, senza la pretesa di incasellare o di decifrare il cammino di una persona. Più che una prefazione, queste mie notazioni vogliono essere un invito alla lettura: perché vale la pena incontrare la vita di Marco. È un amico che sento presente e vivo, e che ho avuto la grazia di conoscere, anche se non l’ho incontrato tante volte: un giovane dei nostri anni, che fin da bambino manifesta un desiderio potente di vita, un’intensità nel guardare la realtà e nell’incontrare tutto. Crescendo, questa sete di vita diventa in lui struggente domanda di significato, una sorta di fastidio e d’insofferenza davanti a ciò che sembra banale e vuoto, la ricerca di rapporti e di amicizie grandi, che potessero accompagnarlo e sostenerlo nella scoperta del Destino e del Mistero che vibra in ogni cosa. Percorrendo le pagine di questo racconto, ritmato da ricordi, da riflessioni di Marco, dalla testimonianza dei suoi familiari (i genitori Antonio e Paola, le due sorelle a lui legatissime, Francesca e Veronica) e dei suoi più cari amici, traspare il volto di un giovane normale, nella sua umanità fragile e a volte contraddittoria, con dentro una possente “febbre di vita”: chi lo accosta, chi entra in rapporto con lui, resta comunque colpito, incuriosito, ed è come costretto a non dare nulla per ovvio e scontato. Ricordo i pochi, ma intensi dialoghi con lui, che, magari intorno a un tavolo, dopo cena, mi “tempestava” di domande, davanti alle quali ero messo totalmente in gioco, e non potevo cavarmela con delle definizioni. Marco è un gio-
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vane pieno d’interrogativi, che si lascia stupire e ferire dalla realtà, dalla natura, dalla bellezza, dal dolore, dalla morte, fin da bambino, e fa esperienza della vera solitudine, che non è data dal non avere amici, ma dal rendersi conto che c’è un livello del vivere, ci sono esigenze e domande, davanti alle quali siamo radicalmente soli, e nessuno può pretendere di colmare l’abisso del nostro cuore, perché vive in noi una “sproporzione strutturale” tra i passi che riusciamo a fare e l’ampiezza infinita del desiderio che ci costituisce. A tredici anni scrive: «Prepotente è il bisogno di significato per ogni uomo. Ciascuno desidera trovare il senso alle cose, alla gioia, al dolore, alla paura, al bene e al male e al desiderio di felicità. Io, nella mia persona, sento ogni giorno il bisogno incontenibile di dare un significato, anche a una sola giornata». Non sopporta il senso di vuoto che si avverte in giornate in cui uno si lascia vivere e ha l’impressione netta di un tempo buttato via. Questa apertura leale e drammatica a ogni aspetto della realtà non accade però in una sorta di solitaria meditazione, ma in un’esistenza che è innanzitutto una trama viva di rapporti. Sono questi rapporti che rendono possibile l’incontro positivo e intelligente con la vita: i rapporti con i suoi familiari, a partire dai suoi genitori, che lo introducono, con naturalezza, dentro un’esperienza di fede, e dentro la storia di un’amicizia cristiana, che per la loro famiglia ha il volto del movimento di Comunione e Liberazione; e poi i rapporti con alcuni adulti, che sanno parlare al cuore di Marco, i rapporti con amici, nelle città dove vive, a Lecco e poi a Monza, nella cittadina ligure di Casarza e a Chiavari, al Liceo “Don Gnocchi” dove studia a Carate. Amici di scuola, amici che vivono il cammino di GS (Gioventù Studentesca), amici che incontra nell’ambiente sportivo. Ed è proprio in questa intensa normalità, che si fa strada in Marco la progressiva scoperta di una Presenza, capace di prendere totalmente sul serio la sua umanità, una Presenza che si fa più familiare e imprime alle giornate un’urgenza e un desiderio di essenzialità sempre più grandi. Così inizia a
Prefazione
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fiorire un’affezione a Cristo, che non ha nulla di sdolcinato, e che prende corpo nell’umanità di Marco: egli, restando quello che è, con il suo carattere talvolta impulsivo e la sua esuberanza che trascina, è “diverso” e i familiari e gli amici se ne accorgono. Un’espressione bellissima di questo cuore, che inizia a vivere in Marco, è quello che scrive dopo avere ascoltato la canzone di Claudio Chieffo Io non sono degno: c’è tutto il sentimento della propria nullità, della fragilità che avverte e riconosce in sé, e insieme la certezza di un “Tu” che c’è ed è fedele: «Noi non ti meritiamo, non meritiamo una goccia di sangue di Te. E invece Tu ci sei e mi ridesti ogni attimo, senza che io me ne accorga, Tu mi dai la bellezza, le persone, le risposte, Tu mi abbracci e Ti dico grazie». Percorrendo ricordi e scritti dell’ultimo anno di vita, è come se crescesse in Marco una nettezza di giudizio, rispetto a ciò che vale: «Esclusa una falsa o distratta via di mezzo, o Cristo si rifiuta o diventa il punto fermo» – così scrive il 19 marzo 2011. E alla fine di quell’estate, afferma: «Il mio ideale è Cristo: la sua veridicità mi si continua a mostrare». La verità di Cristo e della sua presenza si mostrano in volti di uomini, che sanno ridestare il cuore di Marco: sono adulti, come l’amico Chris degli Stati Uniti, sono amici, con i quali si va a fondo nelle cose e nel reale, sono Santi come Giovanni Paolo II, che Marco scopre partecipando alla Beatificazione del grande Papa all’inizio del maggio 2011, e san Francesco. Si ha come l’impressione che il tempo si sia fatto breve, Marco arriva all’inizio del suo ultimo anno di scuola, «come se l’acuirsi del suo desiderio si palesasse in una fioritura del suo modo di essere (…) un entusiasmo per la vita sorprendente. Era diventato incondizionatamente libero in quello che faceva» (la sorella Francesca). Rimane profondamente colpito dall’incidente di un ragazzo all’uscita di scuola, rimasto alcuni attimi privo di coscienza, e davanti ad altri fatti drammatici, sente la insorgere la domanda: «Cosa sta succedendo? Cosa ci vuol dire il Signore?». È
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come se la Presenza incontrata nella sua giovinezza, stia invadendo la vita di Marco, facendola fiorire di una nuova intensità: così la sua morte improvvisa appare essere non l’epilogo di una vita, ma il compimento di un cammino, davvero il dies natalis. Così per Antonio e Paola, per Francesca e Veronica, per i tanti amici che hanno camminato con Marco, ciò che domina non è il ricordo di una persona cara che non c’è più, ma, dentro l’inevitabile e umanissima ferita del distacco, vince il riconoscimento di Cristo che si è fatto presente, attraverso Marco: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». Mi auguro e spero che leggere questo libro, ripercorrere i passi di questo giovane amico possa ridestare tutto il desiderio di vita, che segna il cuore di ogni uomo, e far accadere la sorpresa di una Presenza che ci permette di attraversare anche la morte, come passo ultimo al nostro Destino. + Corrado Sanguineti Vescovo di Pavia
Introduzione Marco è nato in fretta, di notte. In serata avevo perso del liquido amniotico e così mi ero fermata in ospedale. «Suo marito può andare a casa. C’è tempo: aspetti» mi dicevano. La signora di fianco a me gridava molto e tutti la consolavano. Io non riuscivo a gridare così e allora nessuno mi guardava. Pensavo: «Se questo è l’inizio, cosa sarà poi?». Poiché Marco era il secondogenito, sapevo che il dolore sarebbe aumentato. Due ore dopo insisto: «Non ce la faccio più. Chiamate qualcuno! Chiamate subito mio marito». Quando Antonio è arrivato, neppure dieci minuti dopo la telefonata, Marco stava nascendo nel letto della sala travaglio. Non c’era stato tempo di spostarsi in sala parto. Era il 7 marzo 1994. A Chiavari, in provincia di Genova. Tre giorni dopo, al momento della dimissione, mi chiama una dottoressa e inizia a parlare: «Ci sono dei problemi». Ero sola, ancora in vestaglia. «Lei ha avuto un’infezione asintomatica durante la gravidanza; non glielo hanno detto? Suo figlio potrebbe avere dei ritardi nello sviluppo». «Ritardi? Di che tipo?». «Ritardi, ritardi. Ma è inutile parlarne adesso». «Come inutile?!? Mi dica di cosa si tratta!». «Ritardi neurologici: potrebbe non vedere, non sentire, non parlare, avere disturbi motori. Uno sviluppo neurologico compromesso insomma». Inaspettatamente non svengo, non urlo. Respiro. «Cosa vuol dire potrebbe?». La dottoressa, in imbarazzo, tergiversa. Io penso: «Tu avrai le tue percentuali, le tue conoscenze probabili, sarà anche così, ma non sai che forza c’è in campo. Ci sono Dio e la tenerezza della Madonna. Tu non sai quel che agisce tra il tuo probabile e quello che succederà a me, a te, a noi. A questo bambino». Intanto Marco mangia voracemente, stringe forte con la sua manina le mie dita, piange vigoroso e poi si calma quando sazio. Di sicuro è un neonato vitale. Arrivati a casa, viene subito a trovarci lo zio Bernardo, sa-
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cerdote. Non sa niente dell’ospedale. Vuole vedere il bambino, che porta il nome di suo fratello, il nonno Marco da poco in cielo. Gli interessa una sola cosa: tracciare il segno della croce sulla piccola fronte del nipotino, toccare i suoi occhi e le sue orecchie. Pronuncia queste parole: «Effatà. Il Signore che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda presto di ascoltare…». Io e Antonio ci guardiamo stupefatti, in silenzio. Il 29 settembre 1994, assieme ai cuginetti Nicole e Bernardo, Marco riceve il Battesimo nella parrocchia di San Michele Arcangelo di Casarza Ligure, in provincia di Genova. Nella primavera del 2011 Marco traccia l’itinerario della sua vita; lo chiama «Eh!», e lo inserisce in una cartella di appunti dal titolo «Si può vivere così». È il nucleo di questo libro; attorno ad esso sono stati raccolti gli scritti, i lavori, i ricordi, ordinati dalla famiglia con il prezioso aiuto del professore Mauro Grimoldi, e offerti in queste pagine a tutti coloro che vorranno leggere. Paola Cevasco
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Ringraziamenti Un grazie particolare a Mauro Grimoldi per la cura con cui ha letto e scelto i testi di Marco, per l’amicizia tenace con cui ci ha accompagnato. Grazie di cuore a Paolo Vites, Federico Pichetto, Anna Formaggio, Gloria Crovi, Simone Puglia, Flavio Stagnaro, a tutti gli amici che ci hanno aiutato a raccontare di Marco. Grazie all’avvocato Richard Martini per la professionalità e l’affetto dimostratici. Siamo debitori a tanti per l’amicizia che ci hanno regalato: grazie a ciascuno.
I ricavi derivanti dalle vendite di questo libro saranno devoluti a un’opera di aiuto ai giovani.
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Avvertenza per il lettore Ove non diversamente indicato, i raccordi narrativi sono della madre di Marco, Paola Cevasco. I testi a inizio capitolo, eccetto il capitolo 5 della prima parte, sono del professor Mauro Grimoldi, preside del Liceo classico “Don Gnocchi” di Carate Brianza.
Parte prima
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PARTE PRIMA
Eh! Si può vivere così
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Eh! Si può vivere così
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CAPITOLO 1
«Scrivo prima Dio perché è il creatore» 1994-2004
Come il piccolo aratore che depone il seme tra i solchi del campo, il bimbo traccia segni, dapprima incerti poi progressivamente più sicuri, sul foglio bianco. Sono piccole linee, ma danno testimonianza della grandezza del mondo mentre si comincia a percorrerlo, nella meraviglia della scoperta, portati per mano dal papà e dalla mamma, a loro volta condotti dalla grande comunione dei figli di Dio1.
1. Testo pubblicato in Mauro Grimoldi, Preghiere e verdure, Aracne, Ariccia 2016, p. 70.
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Eccomi qua. Non so come mai sto scrivendo, ma sento la necessità di raccontare. Sono nato il 7 marzo 1994 a Chiavari (GE). Il primo ricordo della mia vita risale a circa quattro anni. Mi ricordo chiaramente: stavo preparando la pizza con la mamma, nella casa a Casarza, e avevo pensato: gli avvenimenti si ricordano se vengono pensati ogni tanto, e più spesso li ripensi più te li ricordi e allora, voglio partire da questo momento. Voglio che la mia coscienza meriti di vivere da questo avvenimento Ho frequentato l’asilo a Bargone, e ricordo il migliore amico, che ci si divertiva, Roberto, la suora che mi aveva dato un calcio sul sedere perché avevo detto cacca ad alta voce e la volta che le avevo fatto un dispetto per vendicarmi. Marco 7 marzo 20112 Sono in classe e sto sfogliando il libricino della vita: vedo una mia foto in cui guido un’auto ferma: come ero cicciotello! Avevo i capelli foltissimi e lunghi, il contrario di quando ero neonato: pelato, sembravo una femmina. In confronto ad oggi ero un tappetto. Ero un bambino semplice, che non si faceva problemi, che ascoltava i genitori; non avevo pensieri in particolare, non sapevo precisamente come era la vita; invece adesso ho più testa per pensare e mi trovo davanti problemi più grossi, più difficili da risolvere. Avevo il sorriso sempre incollato sulla bocca, con gli occhi in cerca di nuove avventure, divertenti e spensierate. Mi ricordo che la parolaccia peggiore che dicevo a mia mamma era brutta – non ne sapevo altre – e lei mi rispondeva: «Dimmi bella o brutta, ma io ti voglio sempre bene». 2. Eh! Si può vivere così.
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E poi ci abbracciavamo commoventemente. Avevo sempre delle scarpine normali, anche se paia diverse. Beh, a pensarci, non mi ricordo come mi vestivano; so solo una cosa: mia mamma mi prendeva il vestito e mi aiutava a metterlo; a un anno non avevo preferenze, non sapevo neanche che vestiti e scarpe avevo. Però mangiando mi sporcavo spesso; in questo sono cambiato poco, se non niente. Proprio per questo, dato che mi cambiavo quasi ogni giorno, cominciai a scegliere qualche cosa anche io. Adesso sono diverso in questa cosa: a volte me lo prende la mamma il vestito, ma io lo cambio e metto su la tuta e maglietta dai colori vivaci3. Al momento della preghiera prima che i bambini si addormentassero, ciascuno diceva qualcosa. Quella sera – era il maggio 1998 – era stato particolarmente bello e allora mi ero scritta con cura quanto accaduto, anche per poi poterlo raccontare bene a mio marito che in quel periodo lavorava fuori casa durante la settimana. Marco: Grazie Signore perché hai inventato le cose. Gli alberi, che prima sono piccoli piccoli e poi crescono grandi grandi. Dal seme cresce l’albero. Ma il seme da dove è venuto, se prima non c’era l’albero? Chi ce lo ha dato? Mamma: È Dio che lo ha seminato. Marco: Sì: ce lo ha messo in mano e noi lo abbiamo seminato e poi è cresciuto grande grande. Da quella sera ho iniziato a sentirmi madre. Cominciai a dire un Memorare per ciascun figlio, ogni sera, sempre.
3. Da un tema delle elementari, 24 maggio 2004.
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Marco aveva convinto suo papà e il nonno a costruire nel prato una vera e propria casetta, sopra un bel pino; e poi, negli anni, un sistema di carrucole, per un percorso volante tra gli alberi. Costruiva, costruiva, con i lego, con i geomag, con ritagli di fogli, con le briciole di pane che diventavano eserciti contrapposti. Con i cerios aveva costruito una collana, così quando aveva fame poteva sgranocchiarla direttamente senza dover smettere di giocare. Cresceva la sua passione per la natura: sembrava che Marco ne prendesse vigore, quasi respirandola. Di sé diceva: «Farò il geometrico, da grande!». Un giorno, sul finire dell’asilo, Marco stava ricopiando tutto intento un elenco delle prime parole conosciute, non ricordo bene perché. D’improvviso si gira verso di me, e mi dice: «Scrivo prima Dio, perché è il Creatore».
«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»
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Indice
Prefazione Corrado Sanguineti
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Introduzione Paola Cevasco
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Ringraziamenti Avvertenza per il lettore
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PARTE PRIMA Eh! Si può vivere così capitolo 1 «Scrivo prima Dio perché è il creatore» 1994-2004
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capitolo 2 «Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare» 2004-2007
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capitolo 3 «Tra faccenducole chino m’impiego» 2007-2009
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capitolo 4 «Le belle vie dell’imprevisto» 2009-2011
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capitolo 5 «Si dovranno pur chiedere da dove venga questa gioia»
» 107
PARTE SECONDA «Nulla ti è mai bastato»
» 131
PARTE TERZA Deus mihi dixit
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«Ecco io faccio nuove tutte le cose»
» 159
PARTE QUARTA «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»
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Scritto da Marco l’ultimo giorno di vita sul muro accanto al suo letto, vicino al crocifisso.
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Marco Gallo è un giovane dei nostri anni, che fin da bambino manifesta un desiderio potente di vita, un’apertura leale e drammatica a ogni aspetto della realtà. Ed è proprio in questa intensa normalità che si fa strada in lui la progressiva scoperta di una Presenza capace di prendere totalmente sul serio la sua umanità, una Presenza che imprime alle giornate un’urgenza e un desiderio di essenzialità sempre più grandi. Così inizia a fiorire un’affezione a Cristo che prende corpo nella sua umanità: egli, restando quello che è, con il suo carattere talvolta impulsivo e la sua esuberanza che trascina, è “diverso” e i familiari e gli amici se ne accorgono. Percorrendo ricordi e scritti dell’ultimo anno di vita, è come se crescesse in Marco una nettezza di giudizio, rispetto a ciò che vale. Così la sua morte improvvisa appare essere non l’epilogo di una vita, ma il compimento di un cammino, davvero il dies natalis. Dalla prefazione di Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia
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