Maria del Villaggio delle formiche (Paul Glynn)

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Maria

del

villaggio delle formiche Prefazione di padre Luciano Mazzocchi



la C ol n a

Tel e m ac o



Paul Glynn

Maria del Villaggio delle formiche Prefazione di

Luciano Mazzocchi Postfazione di

Paola Marenco


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il villaggio delle formiche

Nelle edizioni Itaca Takashi Paolo Nagai. Annuncio da Nagasaki a cura di P. Marenco, M.G. Sabbadini, A. Bordin, F. Rinarelli, G. Di Comite Paola Marenco Volti di santi Maïti Girtanner con Guillaume Tabard Maïti. Resistenza e perdono

Paul Glynn Maria del Villaggio delle formiche www.itacaedizioni.it/maria-del-villaggio-delle-formiche Prima edizione: maggio 2022 Titolo originale: The Smile of a Ragpicker. The Life of Satoko Kitahara Convert and Servant of the Slums of Tokyo Marist Fathers Books, Hunters Hill, N.S.W., Australia, 1992 © 1992 Paul Glynn Traduzione dall’inglese: Sandro Chierici Il testo è stato tradotto dall’edizione pubblicata in America nel 2014 da Ignatius Press, San Francisco. © 2022 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0691-5 Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)

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Prefazione

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Prefazione Honne: la vera voce del cuore giapponese

La testimonianza narrata in questo libro suscita nel lettore una profonda commozione. Così fu anche per il sottoscritto quando, ancora novizio della via missionaria, conobbi la suddetta testimonianza da un libro che portava lo stesso titolo, tradotto dal giapponese da un mio confratello1. Oggi, dopo decine di anni di vita missionaria di cui un terzo proprio in Giappone, alla rilettura della testimonianza di Elisabetta Kitahara Satoko, conosciuta come Maria del Villaggio delle formiche, mi sento pervadere da un forte bisogno di silenzioso ascolto e anche di una comprensione della mia vocazione missionaria più madida di rispetto e di fiducia verso il popolo che mi accoglie. Honne è un’espressione familiare nel linguaggio giapponese. Indica la vera voce che è custodita silenziosa e nascosta nell’intimo delle cose. Invece, tutto ciò che è struttura, modalità, tecnica in cui le cose accadono e si manifestano è detto tatemae, letteralmente impalcatura. Un richiamo alla contrapposizione di grazia e di legge nelle lettere di Paolo? Dalla testimonianza di Kitahara Satoko sento riverberare la voce vera del cuore del popolo giapponese, voce che rimane ignota a chi del Paese del Sol Levante vede e ammira 1

Matsui Tōru, Maria del villaggio delle formiche, emi, Bologna 1978.


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l’avanzata tecnologia e la precisione delle strutture di comunicazione, ma non sosta ad ascoltare l’eco della vera voce del cuore. L’anima del popolo che ha conseguito una delle più avanzate tecnologie del mondo è mistica. Il suo vistoso progresso è tatemae, impalcatura. Il cammino cristiano come osservanza morale al fine di conseguire il premio del paradiso assomiglia al bere l’acqua di sorgente commercializzata in bottigliette, ossia nei comandamenti e precetti. Il cammino cristiano che matura in esperienza mistica è come bere l’acqua di sorgente alla sorgente stessa. Per quanto l’assetato beva, dalla sorgente continua a sgorgare nuova acqua e si effonde oltre ogni misura. La conversione e la testimonianza di Kitahara Satoko sono flussi di acqua sorgiva che scorre chiara e delicata tra i meandri del tatemae della iper-strutturata società giapponese. Sono il richiamo che l’anima del popolo giapponese è mistica. Kitahara Satoko, terza figlia di un professore di università, come vuole la tradizione giapponese rese onore al rango della sua famiglia frequentando le scuole più stimate di Tokyo, tra cui il prestigioso Liceo Femminile Ōin, riservato alla nobiltà. Conseguì riconoscimenti insigni nell’arte della scrittura (shodō) e del pianoforte, e ottenne il diploma in scienza farmaceutica e quello di mobilitazione aeronautica civile e militare. Un giorno Satoko comprese che tutti questi successi erano ancora tatemae. La voce vera del suo cuore era altro. Nel quartiere residenziale di Suginami, Tokyo, dimora della famiglia Kitahara, sorgeva e tuttora sorge il convento delle Suore Mercedarie, congregazione spagnola nata nel Medioevo. La suora mercedaria fa voto di offrire sé stessa per ottenere la liberazione di chi è stato fatto prigioniero. Satoko vedeva queste suore attraversare il quartiere ed


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era colpita dalla loro semplicità e, in parte, anche da quel pizzico di innocente goffaggine che ogni straniero immancabilmente suscita agli occhi dei giapponesi. Il pizzico di goffaggine nella postura delle suore spagnole aumentava l’ammirazione di Satoko verso quella loro genuina semplicità che rimaneva intatta pure nell’imperfezione dei contorni. Satoko cominciò a frequentare il convento delle suore e a vent’anni fu battezzata. Suor Elvira, che aveva accompagnato Satoko nel cammino catecumenale, negli anni 19791982 dalla provvidenza fu assegnata alla missione cattolica di Kanoya (provincia di Kagoshima) in cui io prestavo servizio come parroco. Ancora in quegli anni, trent’anni dopo il battesimo di Satoko, il giapponese della suora spagnola era rimasto rugoso, “scorreva a tentoni” si direbbe. Tuttavia suor Elvira conservava sempre un volto sereno e un sorriso materno. Aveva accompagnato Satoko alla fede cristiana non attraverso il proprio limitato giapponese, ma con il fascino della propria semplicità. Satoko aveva sorseggiato l’acqua limpida, dolce e fresca della fede cristiana alla sua sorgente. Quell’acqua irrorò la sua vita di vigore e di tenerezza. Era appena neofita cristiana quando incontrò fratel Zeno, un francescano polacco venuto in Giappone con padre Massimiliano Kolbe. Fratel Zeno invitò Satoko a seguirlo al villaggio dei cenciaioli, i diseredati che vivevano raccogliendo cenci. Da quel giorno in poi, fino alla morte a ventinove anni, Satoko diverrà Maria del Villaggio delle formiche. In questo libro il racconto commovente delle avventure di squisita umanità irrorata di vigore e di grazia che ne seguirono. Elisabetta Kitahara Satoko, divenuta Maria del Villaggio delle formiche, e il fratello francescano padre Zeno, l’una giapponese e l’altro polacco, agli occhi dell’in-


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dustriosissimo popolo giapponese e al mondo intero hanno testimoniato il grado mistico, quello più profondo e più alto, dell’esperienza umana: l’unione con Dio amando la creazione di Dio. Amore incondizionato, mistico, vigoroso, allegro, cominciando dai suoi figli più abbandonati. La notizia di un villaggio di cenciaioli che in tutti i modi volevano riscattare la loro dignità umana e sociale andava diffondendosi in Giappone. Un giorno un giornalista si presentò al villaggio per raccogliere spunti per un articolo che avrebbe dovuto far colpo sui lettori. Ma fu anzitutto il villaggio dei cenciaioli a fare colpo su di lui, che si aggregò a Satoko e a fratel Zeno nella conduzione dell’opera di riabilitazione dei diseredati. Matsui Tōru, questo il nome del giornalista, accolse la fede cristiana e, trasferitosi nel villaggio, sopravvisse a Satoko e a fratel Zeno continuandone l’attività. Nel 1969, avendo tradotto in italiano una sua opera dedicata a fratel Zeno2, gli feci visita. La struttura del villaggio era ormai ridotta, dato che vari cenciaioli avevano trovato impiego nella società. Rimasi profondamente impressionato dalla sua mistica povertà, quella che apre le otto beatitudini del Vangelo. Mi regalò un libro di preghiere di Satoko su cui lei aveva annotato alcune riflessioni. Ci salutammo e io ritornai a districarmi nei meandri di vicoli che si incrociano al lato sud del fiume Sumida, periferia di Tokyo. Le persone si muovevano quasi di corsa, indaffarate. Sui loro volti, tutti troppo uniformemente composti, quasi incerottati, un alcunché di pallore. Cosa manca a noi esseri umani per sorridere pur nella fatica della vita?

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Matsui Tōru, Zeno non ha tempo di morire, isme, Parma 1969.


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Mi affiorò alla mente e al cuore la foto che avevo appena contemplato nell’ufficio del giornalista Matsui Tōru: Kitahara Satoko che tira il carretto per la raccolta dei cenci, circondata da uno stuolo di bambini, i figli dei cenciaioli. Quei loro volti sorridenti! Padre Luciano Mazzocchi Missionario saveriano


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Nota dell’Editore La prima edizione del libro è stata pubblicata nel maggio 1992. Così scriveva l’Autore: «È giusto che questo libro sia uscito originariamente in maggio. Questo è il mese che Satoko amava particolarmente perché nella comunione cattolica romana è il mese dedicato a Maria. Questo fu anche il mese in cui decise che avrebbe potuto seguire meglio Cristo diventando una straccivendola. Che le sue preghiere dal cielo ci aiutino a vivere sempre più pienamente l’amore di Cristo e la concreta preoccupazione per i poveri». Esattamente a distanza di trent’anni, nel maggio 2022, esce questa prima edizione italiana.


Introduzione

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Introduzione La tribù del sole calante

Era una bella mattina di primavera del 10 marzo 1947. Satoko Kitahara oltrepassò un cancello della stazione ferroviaria di Shibuya e quasi inciampò in un uomo senza gambe, che “sedeva” su un pezzo di stuoia di paglia, appoggiato a un muro, e con una voce debole, quasi persa nel frastuono della città, la supplicava: «Non dimenticatevi di noi che abbiamo perso tutto; questa notte saranno esattamente due anni». Gli occhi non avevano alcuna lucentezza; il viso era incolto e tirato. Una mano sottile e sporca faceva tintinnare una tazza di smalto scheggiata che conteneva alcune monete. Satoko si fermò, vi pose dieci yen, fece un inchino e si allontanò in fretta. Camminava molto velocemente, come se cercasse di allontanare i terribili ricordi di quella notte, ma questi la raggiunsero. Quei ricordi iniziavano con lo sguardo di suo padre in quella stessa notte di due anni prima. Un vento tagliente aveva gelato Tokyo quella mattina, si era fatto burrascoso nel pomeriggio e al tramonto ululava come un ciclone primaverile. Suo padre, preoccupato, mormorò: «Sarà una brutta notte se arrivano i bombardieri!». Mentre lo diceva, i B-29 del generale LeMay erano già decollati dai campi delle Marianne e delle Caroline: 333 enormi bombardieri, carichi di bombe incendiarie! I Pathfinders volarono per primi e disegnarono una gran-


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de X con proiettili incendiari al napalm per marcare il centro del quartiere degli affari di Tokyo. Poco prima di mezzanotte, i B-29 arrivarono a ondate successive e bombardarono a tappeto intorno a quella X. Quella notte tante famiglie furono completamente spazzate via senza lasciare traccia, e con loro anche i registri della città; nessuno sa con certezza quanti morirono. I funzionari della città all’epoca stimarono il numero in 130.000, quasi lo stesso bilancio di vittime del raid su Dresda, il 13 febbraio, non più di un mese prima. Suo padre, incaricato con altri della vigilanza antiaerea del distretto, aveva ricevuto l’ordine di andare a ispezionare la zona bombardata. Quando era tornato a casa, con voce roca aveva descritto quell’orrore a sua moglie, probabilmente non rendendosi conto che la giovane Satoko poteva sentire. Isolato dopo isolato, degli interi sobborghi di legno erano spariti, lasciando solo casseforti d’acciaio sbiancate dal calore che emergevano bizzarramente dalla cenere. Mucchi di corpi carbonizzati giacevano ovunque come cataste di carbone. Il grande complesso del tempio buddista dedicato a Kannon, dea della Misericordia, che era stato un rifugio negli incendi seguiti al terremoto del 1923, era semplicemente scomparso. Il suo perimetro era disseminato di migliaia di corpi inceneriti. I tortuosi labirinti del quartiere a luci rosse di Asakusa erano un enorme ossario. Una folla impressionante aveva cercato rifugio nel teatro Meijiza ed era finita arsa viva. Dappertutto le vasche d’acqua, scavate all’aperto davanti agli edifici pubblici a uso dei vigili del fuoco, traboccavano di corpi. Il fiume Sumida era intasato da cadaveri gonfi. Due anni dopo quel giorno, l’uomo senza gambe, che con gli occhi fissi sulla folla, senza vederla, mormorava


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«Non dimenticate…», aveva fatto ripartire il film dell’orrore bloccato nella memoria di Satoko. In anticipo per il suo appuntamento con un compagno di università, si infilò in un ristorante frequentato da studenti e ordinò tè e torta castella, un dolce giapponese simile al pan di Spagna. Gli studenti al tavolo accanto stavano discutendo vivacemente sullo scrittore d’avanguardia Osamu Dazai. Satoko, interessata sia alla letteratura sia a diversi temi di Dazai, li ascoltava. Dazai era un giovane quasiaristocratico che credeva che il Giappone fosse condannato. Aveva coniato un’espressione maliziosa per descrivere i giapponesi del dopoguerra: la «tribù del sole che tramonta». Alcuni mesi prima aveva riassunto questo stato d’animo, questa disperazione, in un brillante racconto breve, Tokatonton (Un suono di martelli). Il fatto che così tanti studenti l’avessero letto – e quelli al tavolo accanto a Satoko ne stavano discutendo appassionatamente – dimostrava come molti di loro fossero in sintonia con il pessimismo di Dazai. La novella di Dazai racconta la deriva di un uomo che nel 1945 lavora in una fabbrica di munizioni ma, arruolato nell’esercito negli ultimi mesi della guerra, sta furiosamente scavando fortificazioni sulla costa di Chiba, vicino a Tokyo, quando arriva l’inimmaginabile resa. Dazai descrive con una prosa agile ed evocativa la disillusione del giovane e il sentimento di assurdo che sperimenta. Una studentessa al tavolo accanto a quello di Satoko stava leggendo brani dal libro di Dazai con voce dolente. «Tutto sembrava assurdo… Andai nella mia stanza, mi infilai sotto una trapunta e mi addormentai. Quando qualcuno mi chiamò, mi rifiutai di alzarmi. Non mi sentivo bene, gli dissi solo. Mi sentivo fiacco e depresso… come in trance, come un pesciolino inerte sul fondo di una boccia per pesci rossi. Davanti a me un enorme vuoto… Andai ad Aomori


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e vidi una manifestazione di lavoratori; mi sentii come disperato: i leader (come tutti i nostri leader ora) cercavano il potere per sé stessi…, agitandosi e ruggendo su come il disastro arriverà se non saranno ascoltati… Ma poi, come è successo così spesso, le loro prostitute preferite volgeranno loro le spalle e loro grideranno disperatamente per l’abolizione dei bordelli.» Fa la sua comparsa una delle antieroine di Dazai, una giovane donna senza valori morali. L’uomo si innamora di lei ma altrettanto bruscamente perde interesse. Si rende conto di essere diventato una non-persona, con solo «una passione per il nulla». Il suicidio è l’unica via d’uscita razionale? Si reca da uno zio a bere saké. Trovando coraggio nell’alcol chiede all’uomo più anziano se ci sia un senso alla vita. «Non conosco la vita,» risponde lo zio «ma il mondo non è altro che sesso e avidità.» L’idealista Satoko rabbrividì come se qualcuno avesse camminato sulla sua tomba. Metà per rabbia, metà per disperazione, si alzò, pagò il conto e uscì ad aspettare il suo amico di Yokohama. Il loro punto d’incontro era uno dei luoghi preferiti dai giovani di Tokyo, il bronzo a grandezza naturale del cane Hachiko fuori dalla stazione di Shibuya. Il suo amico era in ritardo e, mentre guardava con aria assente la folla che si muoveva, Satoko si ritrovò a pensare al famoso cane eroe che è stato così spesso fotografato e descritto nei libri di storia per bambini giapponesi e nei testi per le scuole medie. Hachiko era un robusto maschio di Akita, una razza di cane allevata per la prima volta nella prefettura di Akita, sulla costa orientale dell’isola di Honshu. Nel 1923 Hachiko, che aveva appena un anno, andava ogni sera presto alla stazione di Shibuya per incontrare il suo padrone, il professor Uno,


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che tornava sempre dall’università con lo stesso treno. Un giorno il professore ebbe un infarto sul posto di lavoro e morì, ma il cane continuò ad andare alla stazione nel tardo pomeriggio per cercare il suo padrone. La vedova, angosciata da questo rituale quotidiano, portò il cane dolente da alcuni conoscenti nel lontano sobborgo di Asakusa, sulle rive del fiume Sumida. Era sicura che il cane sarebbe stato abbastanza disorientato dal lungo viaggio attraverso il labirinto di strade tortuose che attraversavano Tokyo. Per essere doppiamente sicuri, legarono Hachiko, ma il cane spezzò la corda con i denti e fuggì. Qualche giorno dopo si presentò alla stazione di Shibuya, con le zampe doloranti e malandate, ma con gli occhi attenti a cercare il suo padrone tra la folla che usciva dalla stazione. Per i dieci anni successivi apparve ogni giorno nello stesso punto dove ora si trova la statua. Quando l’artrite alle zampe rese la camminata di Hachiko lenta e dolorosa, il capostazione costruì una cuccia nel deposito merci e si prese cura di lui. Il cane malato si trascinava ancora fuori ogni sera puntualmente per aspettare il treno. Una sera un addetto della stazione notò la sua assenza, andò alla cuccia di Hachiko e lo trovò morto. La storia lasciò una traccia profonda nel cuore dei giapponesi. Sebbene la guerra del Pacifico avesse iniziato a intaccare le poche e preziose scorte di metallo del Paese, e le antiche campane dei templi venissero raccolte e fuse per farne armi, le autorità fecero una statua di bronzo a grandezza naturale di Hachiko, «il cane che servì fedelmente il suo padrone fino alla morte». La statua fu inaugurata nel 1943 davanti alla stazione di Shibuya. Quando Satoko sentì la storia da piccola, pianse e pregò che Hachiko trovasse la sua strada verso il Jodo, la Terra Pura, e custodì la sua memoria in un posto speciale nel suo cuore.


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Era ormai quasi buio e fissò attraverso la penombra i volti indistinti, cercando quello del suo amico. Lei e il suo amico ritardatario erano come Hachiko?, pensò tristemente. Erano soliti passare ore insieme a discutere di «filosofia», cercando un senso alla vita. Aveva ragione Dazai, era tutto inutile? Erano condannati, come Hachiko, ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato? Questa giovane donna, Satoko, che si sentiva così insoddisfatta della vita, era una studentessa ventenne dell’Università Medica Femminile Showa e apparteneva alla classe agiata. Suo padre era il professor Kinji Kitahara, un accademico riconosciuto che possedeva lauree prestigiose di tre università. I Kitahara facevano risalire il loro albero genealogico a mille anni fa, addirittura a un aristocratico di Kyoto, Michizane Sugawara, un sacerdote scintoista al servizio di un ministro di stato imperiale alla fine del IX secolo. Questa linea ancestrale di sacerdoti scintoisti rimase ininterrotta fino all’ultimo quarto del 1800, quando il nonno di Satoko, Yoshimatsu Kitahara, lasciò la presidenza del culto scintoista. Egli era divenuto molto ricco in seguito all’acquisto di terre in Hokkaido, agli estremi confini del Giappone. Satoko si laureerà alla Showa University, non avrà mai un lavoro regolare, non si sposerà e non avrà nemmeno un fidanzato, e morirà senza soldi in una baraccopoli di Tokyo all’età di ventotto anni. Una delle antieroine di Dazai? No! I principali giornali giapponesi avrebbero pubblicato articoli entusiastici e persino editoriali su di lei alla sua morte, e nel giro di un anno dalla sua morte la principale compagnia cinematografica giapponese avrebbe realizzato un film sulla sua breve vita, con la famosa star Kakuko Chino nel ruolo di Satoko. Sarebbero stati scritti libri sulla sua incredibile vita, che sarebbero diventati produzioni radiofoniche e


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teatrali. La compagnia teatrale Takarazuka Revue, popolare a livello nazionale, famosa soprattutto per le coriste e i costumi sfarzosi, avrebbe raccontato la sua vita in una produzione di punta intitolata The Town Where Stars Fall (La città dove cadono le stelle) che avrebbe commosso il pubblico. Nel febbraio 1990 uno dei più prestigiosi mensili giapponesi, «Bungei Shunju», avrebbe pubblicato un articolo sulle cinquanta donne giapponesi che «hanno maggiormente commosso la nazione» durante i sessantadue anni di regno dell’imperatore Hirohito. Satoko faceva parte di quel gruppo selezionato. Il presidente della Corte Suprema Kotaro Tanaka, il secondo giudice giapponese a sedere nella Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, osservò che da un giorno all’altro questa giovane donna divenne sia un’eroina per il popolino che leggeva i rotocalchi, sia l’argomento di profonde discussioni tra gli intellettuali giapponesi. Tanaka scrisse un breve pezzo su di lei affermando che aveva raggiunto una fama così ampia semplicemente perché possedeva un segreto importantissimo. Quel segreto risponde alla domanda ancora oggi attuale: cosa c’è di sbagliato nella nostra epoca illuminista, che offre a quasi tutti un’educazione scientifica ma lascia così tante persone scontente? Per scoprire il suo segreto sarà necessario lasciarla in attesa del suo giovane compagno di università per un po’ e studiare le circostanze uniche che molto contribuirono a formare il suo carattere e il suo temperamento.


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Indice

Prefazione Honne: la vera voce del cuore giapponese Padre Luciano Mazzocchi 5 Introduzione La tribù del sole calante

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parte prima Le acque del caos: la guerra del Pacifico 1. Il colonnello Doolittle contro Tokyo Rose 2. La battaglia di Saipan 3. I fiori di Edo e i fiori di Washington 4. La notte in cui Tokyo bruciò 5. Niente per il vostro piacere 6. L’esplosione dei ciliegi in fiore 7. 1945, 15 agosto: sopportare l’insopportabile 8. Ninomiya, l’accademico contadino 9. Processi di guerra e campi riarsi

20 25 34 41 49 52 62 69 78

parte seconda Il soffio dello Spirito 1. Una statua di gesso sulla scogliera di Yokohama 2. Scintoismo, il femminile e lo Spirito Santo 3. Provvidenza amorevole o destino crudele? 4. Il Sumida, Tamigi d’Oriente

88 92 98 106


Indice

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5. Zeno, il frate polacco 6. Il capo degli straccivendoli e un uomo di legge 7. Una vigilia di Natale diversa 8. Un suicidio familiare programmato 9. Avviso di tempesta sul Sumida 10. Il duello di un ladro di stracci 11. Una notte più bella dell’alba?

110 124 135 148 156 165 171

parte terza I primi frutti 1. I verdi, verdi salici di maggio 2. La straccivendola riluttante 3. Stelle che brillano in piscine fangose 4. Quando la diga cedette e il povero Zen rise 5. Ari no Machi no Maria –    Maria del Villaggio delle formiche 6. Manila, braccio della morte 7. Uno strano ritorno a casa per la signorina Urashima 8. Yakuza e il vino di Cristo

182 191 195 204 208 214 221 230

parte quarta La Nuova Gerusalemme 1. Il verdetto del presidente Tanaka 2. Una storia d’amore fra Satoko e Matsui? 3. L’abate straccivendolo di Nishinomiya 4. La preghiera del sorriso 5. Un fragile chicco di grano 6. Finché non si seccano come i bulbi dei tulipani 7. Resistente come il pino e il bambù 8. Lascia andare il mio popolo 9. Wabi, Mu e i Vangeli

236 243 248 257 261 269 272 279 288

Postfazione Paola Marenco 299


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Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 2 Corinzi 8,9

Nella foto: La chiesa del Villaggio delle formiche. Sul carrello della raccolta dei cenci la scritta (Associazione (villaggio) delle formiche).



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Era attratta dalla bellezza – la natura, la musica, i film, i kimono colorati –, ma cos’era tutto questo se non aveva la pace nel cuore? La trovò nell’incontro con Cristo che la portò a condividere la vita degli straccivendoli del Villaggio delle formiche. Satoko aveva sorseggiato l'acqua limpida, dolce e fresca della fede cristiana alla sua sorgente. In questo libro il racconto commovente delle avventure di squisita umanità irrorata di vigore e di grazia che ne seguirono.

Padre Luciano Mazzocchi Dio non lascia mai mancare i suoi Santi come compagni di cammino, specialmente nei momenti bui della storia; uomini e donne a cui guardare e che sanno ridonare la speranza e il coraggio di vivere a popoli interi.

Paola Marenco

Paul Glynn, padre marista australiano, ha vissuto a lungo in Giappone. Tra i suoi libri Pace su Nagasaki.

€ 19,00


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