Martiri della fraternità. I quaranta seminaristi di Buta via di evangelizzazione (Marc Bigirindavyi)

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MARC BIGIRINDAVYI

M A R TI R I della FRA TE R NI T À i quaranta seminaristi di buta

via di evangelizzazione Presentazione di Giovanni Mosciatti



la C ol n a

Tel e m ac o



Marc Bigirindavyi

MARTIRI DELLA FRATERNITÀ I quaranta seminaristi di Buta via di evangelizzazione A cura di

Eugenio Dal Pane Presentazione di

Giovanni Mosciatti


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martiri della fraternità

Nelle edizioni Itaca Maïti Girtanner con Guillaume Tabard Maïti. Resistenza e perdono Giovanna Parravicini, Paola Ida Orlandi Il cielo nel lager. Nijolė Sadūnaitė con dvd Matteo Fanelli 13 aprile 1945 La lotta partigiana e il martirio di Rolando Rivi

Marc Bigirindavyi Martiri della fraternità I quaranta seminaristi di Buta via di evangelizzazione www.itacaedizioni.it/martiri-fraternita-40-seminaristi-buta Prima edizione: aprile 2022 © 2022 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0720-2 In copertina Affresco del santuario dei Martiri della fraternità a Buta, particolare. Stampato in Italia da Mediagraf, Noventa Padovana (PD)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC‰ per una gestione responsabile delle foreste. Stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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Presentazione

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Presentazione

Questo libro nasce da un avvenimento e dalle parole di un testimone oculare, di uno che ha visto. Il nostro carissimo don Marc Bigirindavyi è stato testimone oculare ed è stato immediatamente toccato dal sangue fecondo di questi giovani seminaristi, dei suoi amici. In quel sangue versato per Amore, il Vangelo è realmente vissuto e incarnato e in quel momento è il Signore che chiama Marc a seguirlo e ad amarlo consacrando la sua vita a Lui. Anche gli assalitori hanno visto con i loro occhi, ma il loro sguardo era diverso. È impressionante constatare che quanto accade sotto i nostri occhi è affidato al nostro sguardo, cioè alla nostra libertà. È dallo sguardo che abbiamo su noi stessi, sugli altri e sul mondo che deriva ogni azione. Se lo sguardo è di potere, di sopraffazione, gli altri sono ostacoli oppure possono diventare nostri complici. Da una parte ci siamo noi, la nostra etnia, il nostro gruppo e dall’altra parte gli altri, che diventano il nemico, l’ostacolo. E così la nostra terra diventa il luogo del conflitto, dello scontro, dell’egoismo. Ma se cambia lo sguardo, se si riconosce qualcosa che viene prima, Colui che è all’origine, Colui che ci fa e che ci dona la vita, il mondo può cambiare: ci si riconosce, come di fatto siamo, fratelli. L’altro diventa “prossimo” e accadono cose che sembrano quasi impossibili. Anche la politica diviene carità e non sopraffazione, tutta tesa al bene di tutti e non fatta per affermare il proprio gruppo. Ma come ci ricorda don Marc in questo libro, occorre che alla fraternità ci si educhi. Così si avrà cura dell’altro, perché se ne riconosce la sua inalienabile dignità. E la fraternità fa nascere una carità che cambia il mondo.


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Il racconto del martirio dei seminaristi di Buta ha dei tratti sorprendenti: anzitutto quella frase detta come risposta all’ordine di dividersi tra hutu e tutsi: «Siamo fratelli». Questa frase accompagna tutto il libro. È la fratellanza evangelica, frutto di un Amore incondizionato, incarnazione della Parola di Dio: «Non c’è amore più grande di chi dà la vita». Si è fratelli perché si riconosce chi ci è Padre. Lo sguardo può cambiare perché riconosciamo Colui che è tra noi, il mandato dal Padre, il Verbo fatto uomo. Così ci ricorda papa Francesco al n. 272 della Fratelli tutti: «Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi. Perché la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. […] Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. […] Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli». I seminaristi di Buta vengono uccisi in due riprese. La prima volta vengono uccisi da una bomba lanciata nel gruppo, mentre si tengono per mano. Sicuramente per farsi coraggio vicendevolmente, ma soprattutto segno di una fratellanza che in un gesto esprime tutta la sua forza. Il secondo momento del martirio avviene al ritorno dei ribelli che sparano ai seminaristi sopravvissuti intenti a raccogliere i loro fratelli morti


Presentazione

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nel primo attacco. Uccisi mentre sono chinati sui loro fratelli, nell’esercizio più vero e profondo della carità. Il contenuto della testimonianza è la carità. La testimonianza dell’amore sino alla fine, l’amore che non ha confini. La morte non può mai essere desiderata dai cristiani. Essi però, piuttosto che rinnegare il loro “essere di Cristo”, sono pronti a subire i più atroci flagelli e infine anche a morire. La Chiesa, fedele a Cristo, continua a rappresentare una pietra di scandalo per il mondo. C’è in essa qualcosa di non assimilabile alla mentalità mondana, qualcosa che costituisce una minaccia perenne per il potere. Proprio per questa disponibilità a Dio la forma della testimonianza è sempre l’umiltà e mai la pretesa. C’è nel testimone di Cristo una umile sicurezza. Ciò che di più prezioso possiede non gli può essere tolto. Il martirio stabilisce la più potente analogia con la vita di Cristo: anche Gesù ha detto che nessuno gli può strappare la vita, ma egli può donarla liberamente. La testimonianza è allora la trasparenza di Gesù nella nostra vita, è un uomo la cui esistenza vive della luce di un altro, vive per lasciare trasparire la luce di un altro, di colui che è tutta la ragione, la consistenza e la gioia della sua vita. Qui si capisce che la comunione non è un accessorio della vita cristiana, ma l’essenza che ci rende Uno. E il nostro umile contributo è che tutti abbiano l’opportunità di vedere queste parole incarnate nei nostri rapporti, nel nostro modo di vivere. Essere un luogo di promessa di bene per tutti, costruendo ponti, facilitando il dialogo, disponibili a costruire il bene. Ci ricorda ancora papa Francesco al n. 87 della Fratelli tutti: «Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza se non attraverso un dono sincero di sé. E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri. Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro. Questo spiega perché nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana,


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perché la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte». Il pensiero attorno al quale si svolge il lavoro di don Marc è proprio affermare che il martirio, in tutta la vita della Chiesa, era, è e sarà una via unica e privilegiata di evangelizzazione. E il frutto reale e visibile di questo è tutto ciò che è generato nella Chiesa burundese. Ce ne siamo resi conto anche noi, nella nostra Diocesi di Imola quando sono arrivati don Marc e don François. Siamo rimasti così colpiti dalla loro testimonianza che abbiamo desiderato che altri sacerdoti dalla Diocesi di Bururi potessero iniziare un rapporto di collaborazione e di fraternità. E la visita di monsignor Salvator Niciteretse, Vescovo di Bururi, alla nostra Diocesi è stata la bella e grande sorpresa che la comunione non ha confini e che realmente la testimonianza di ciò che si è visto spalanca il cuore e permette di riconoscere ciò che il Martirio ha generato, per il bene di tutti. È veramente un avvenimento che ti fa cambiare lo sguardo. E lo vedi dagli occhi. ✠ Giovanni Mosciatti Vescovo di Imola


Introduzione

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Introduzione

Sono stato testimone dell’uccisione di quaranta seminaristi a Buta, in Burundi, il 30 aprile 1997, e sento la responsabilità di testimoniare ciò che ho visto, vissuto e toccato con mano. Il mio profondo desiderio è di essere apostolo di ciò che ho contemplato nella loro testimonianza di amore e di fraternità fino al martirio. Essa è una lampada che non può essere messa «sotto il moggio, ma sopra il lucerniere» (Mt 5,14-15) perché la sua luce rischiari non solamente i burundesi, ma il mondo intero che, nelle sue diverse latitudini, soffre del male dei conflitti e della guerra. Attraverso il loro esempio, essi ci hanno mostrato e in un certo senso preparato la strada del futuro: la fraternità. Non ci resta che camminare sulle loro tracce, con la grazia di Cristo, primo martire. La via della testimonianza non ha età: i seminaristi di Buta avevano tra i 16 e i 24 anni. La loro fedeltà a Dio a prezzo della vita ha segnato una svolta nella mia esistenza: tre mesi dopo quel fatto, presentai la richiesta di ammissione al Seminario Maggiore per continuare il cammino da loro intrapreso verso il sacerdozio. Posso testimoniare che il loro martirio ha contribuito alla maturazione della mia vocazione, analogamente a quanto scrive san Giovanni Paolo II nel suo libro Dono e mistero quando afferma che la maturazione definitiva della sua vocazione sacerdotale avvenne nel periodo della seconda guerra mondiale, durante l’occupazione nazista. Di fronte al diffondersi del


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male e alle atrocità della guerra, gli divenne più chiaro il senso del sacerdozio e della sua missione nel mondo1. All’origine di questo libro vi è una domanda che mi sono posto: come è possibile che in un paese come il Burundi, che ha sofferto di ricorrenti massacri politico-etnici dal giorno della sua indipendenza, il 1 luglio 1962, fino ai nostri giorni, vi siano spazi di fraternità come quello del seminario di Buta? Come spiegare che i quaranta seminaristi, pur essendo di due etnie diverse, hutu e tutsi, andando contro la mentalità per la quale un hutu non può sacrificare la propria vita per un tutsi e viceversa, siano morti insieme affermando di essere fratelli, figli di un medesimo Padre? La mia convinzione è che il lavoro educativo abbia inculcato nei seminaristi di Buta una spiritualità dell’amore fraterno, del «che siano una cosa sola» (Gv 17,21), la quale ha prodotto frutti di fraternità fino al martirio. Questo fatto è esso stesso all’origine di una nuova fase di evangelizzazione che sta germogliando. A più riprese papa Francesco ha manifestato il suo sogno di vedere una Chiesa in uscita missionaria per raggiungere tutte le periferie, geografiche ed esistenziali, che hanno bisogno della luce del Vangelo2. In verità essere battezzati non consiste solamente in una adesione intellettuale a un dogma, ma è un impegno esistenziale a vivere la fede cristiana nel mondo nel quale Dio ci chiama. La necessità di comunicare agli altri l’annuncio del Vangelo è peraltro iscritta nel compito di ogni discepolo di Gesù Cristo e in modo particolare degli Apostoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad 1 Giovanni Paolo II, Dono e mistero. Nel 50° del mio sacerdozio, lev, Città del Vaticano 1996, p. 43. 2 Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 20.


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osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). La testimonianza di una vita autenticamente cristiana, cioè radicata nella fede, nell’amore e nella speranza in Gesù Cristo, è la via indispensabile per annunciare il Vangelo. San Pietro lo esprimeva bene quando evocava lo spettacolo di una vita pura e irreprensibile cosicché «anche quanti si rifiutano di credere alla parola, vengano conquistati […], senza bisogno di parole» (1Pt 3,1). L’annuncio del Vangelo non si realizza solo con le parole ma anche e soprattutto attraverso la testimonianza della vita; per questo ho ritenuto opportuno approfondire, nella seconda parte del libro, la riflessione sul tema del martirio cristiano che è la testimonianza suprema. Al di là della meditazione, dell’esortazione e della testimonianza ispirata in me da questo argomento, sono stato motivato anche da una ricerca di analisi, spiegazione e comprensione intellettuale, idonea a illuminare i sacerdoti burundesi, i giovani in formazione nei seminari, i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà. Marc Bigirindavyi



Bibliografia

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Indice

Presentazione Giovanni Mosciatti 5 Introduzione 9

parte prima Il martirio, frutto della evangelizzazione 30 aprile 1997 15 Un Paese a maggioranza cattolico 15 Il Piccolo Seminario San Paolo di Buta 17 Il seminario di Buta, segno di contraddizione 17 L’eccidio 19 Il funerale 23 I frutti del martirio 25 Il processo di beatificazione «Qui è fiorita la vita»

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L’attività educativa nel Seminario di Buta 33 La formazione integrale della gioventù La formazione spirituale nel seminario di Buta Il ruolo dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità nella formazione dei seminaristi Una formazione cristiana inculturata

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La Pasqua e il ritiro del 1997 41


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parte seconda Martirio e nuova evangelizzazione Che cos’è l’evangelizzazione 47 Il concetto di evangelizzazione Il kérygma, cuore dell’evangelizzazione La prospettiva degli evangelisti e dell’apostolo Paolo L’evangelizzazione nella Chiesa post-apostolica (II-III secolo) L’evangelizzazione nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II La misericordia, essenza dell’evangelizzazione

47 49 51 56 61 69

Martirio ed evangelizzazione: dal particolare all’universale 77 Il martirio cristiano Caratteri del martirio cristiano La concezione classica del martirio cristiano: il martirio del sangue L’aspetto canonico del martirio cristiano L’aspetto ecumenico del martirio cristiano L’allargamento del concetto di martirio cristiano Fondamenti biblici e teologici del martirio cristiano Cristo, modello e forza dei martiri Martirio e forza evangelizzatrice in un mondo secolarizzato

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Il martirio è ancora il seme dei cristiani? 109 Da una conversione permanente a una vita di testimonianza 111 L’incontro con Cristo: un’esperienza personale 112 Il martirio dell’arcivescovo Joachim Ruhuna 113 La figura cristiana del testimone 119 I “quattro principi” di papa Francesco: fonte di ispirazione per il consolidamento della pace tra i burundesi Una vita da testimone non ha età Il kerygma della fraternità

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Bibliografia

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APPENDICE Omelia di monsignor Joachim Ruhuna nel campo degli sfollati del Bugendana, martedì 23 luglio 1996 131 Messaggio del Presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Bernard Bududira, inviato a tutti i fedeli, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e a tutti i burundesi Gitega, 12 settembre 1996 134 Bibliografia 139


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Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti. Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte



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Tel em ac o

Il 30 aprile 1997, quaranta seminaristi del seminario minore di Buta, in Burundi, furono barbaramente uccisi da miliziani hutu avendo rifiutato di dividersi tra hutu e tutsi. «Siamo fratelli,» dissero stringendosi gli uni agli altri, «non possiamo separarci». Avevano tra i 16 e i 24 anni. Così hanno proclamato la comune paternità in Dio e il primato del legame fraterno in Cristo. La Chiesa burundese ha aperto la causa di canonizzazione proponendoli come «martiri della fraternità». «È dallo sguardo che abbiamo su noi stessi, sugli altri e sul mondo che deriva ogni azione. Se lo sguardo è di potere, di sopraffazione, gli altri sono ostacoli oppure possono diventare nostri complici. Ma se cambia lo sguardo, se si riconosce Colui che ci fa e che ci dona la vita, il mondo può cambiare: ci si riconosce, come di fatto siamo, fratelli.»

Giovanni Mosciatti

Marc Bigirindavyi nasce in Burundi nel 1969. Dopo gli studi classici si laurea in Geografia e inizia l’insegnamento nel seminario di Buta, nella diocesi di Bururi. La testimonianza dei quaranta seminaristi martiri contribuisce alla maturazione della sua vocazione. Ordinato sacerdote nel 2004, dal 2017 è vicario della parrocchia di San Petronio a Castel Bolognese. Nel 2020 ha conseguito la Licenza in Teologia dell’Evangelizzazione presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.

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