Alessandro Manzoni
L’innominato La notte
l’alba l’abbraccio
pe
rle
LA VERITÀ DI QUEL CHE SIAMO Le
Abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo. Papa Francesco
Lucia Mondella è promessa sposa di Renzo Tramaglino, ma don Rodrigo, il signorotto locale, invaghitosi di lei e per scommessa col cugino Attilio, prima intima a don Abbondio di non celebrare le nozze, «né oggi, né mai», poi ne organizza il rapimento. Lucia, avvertita in tempo, riesce ad abbandonare il paese e a trovare “rifugio e protezione” presso la monaca di Monza, luogo inaccessibile per don Rodrigo che perciò decide di «cercare il soccorso d’un terribile uomo» la cui casa «era come un’officina di mandati sanguinosi». L’epilogo della storia appare scontato: ancora una volta l’ingiustizia, la violenza e il potere sembrano avere la meglio. E invece…
1
IL CUORE INQUIETO DELL’INNOMINATO: «IO SONO PERÒ» Una vita tutta vissuta nel male non ha potuto soffocare definitivamente il cuore dell’innominato, come se in lui ci fosse qualcosa di irriducibile, pronto a venire a galla. Imprevedibilmente, appena terminato il colloquio con Don Rodrigo, è assalito da una strana inquietudine.
G
ià da qualche tempo
cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze. Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé:
Io sono però.
2
LA FORZA DISARMATA DI LUCIA Lucia giunge nel castello, vittima della violenza alla quale non ha altro da opporre che sé stessa, la sua fiducia in Dio. La sua presenza disarmata apre una crepa nel cuore dell’innominato. Già ancora prima di vederla, egli si chiede chi sia questa donna che ha fatto «compassione al Nibbio!», il più fidato dei suoi sgherri, che ne aveva organizzato il rapimento.
E
ra aspettata dall’innominato,
con un’inquietudine, con una sospension d’animo insolita. «Sono
una povera creatura: cosa le ho fatto?
In nome di Dio…» «Dio, Dio,» interruppe l’innominato: «Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi…?» e lasciò la frase a mezzo. «Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! Oh ecco! vedo che si move a compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!»
3
UNA NOTTE DISPERATA L’incontro e il dialogo con lei fanno crescere un «nuovo lui» che lo rende consapevole di tutto il male commesso. Identificatosi col suo male, al culmine della disperazione, è tentato «di finire una vita divenuta insopportabile».
I
ndietro, indietro, d’anno
in anno,
d’impegno in
impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo.
Eran tutte sue, eran lui:
l’orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di quell’immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e…
4
«DIO PERDONA TANTE COSE...» Ma le parole di Lucia gettano uno spiraglio di luce nel buio della notte.
T
utt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che
aveva sentite e risentite, poche ore prima: – Dio
perdona tante cose, per un’opera di misericordia! – E non gli tornavan già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza.
5
L’ALBA Nel cuore di quella notte dell’anima sorge l’alba di un nuovo giorno che attendeva e «sospirava, come se dovesse portare la luce anche nei suoi pensieri». È l’inizio di un cammino dello sguardo. Uno scampanare a festa gli suscita una domanda: «Che allegria c’è? cos’hanno di bello tutti costoro?». La gente vestita a festa, «come amici a un viaggio convenuto», gli desta una speranza.
G
uardava, guardava; e gli cresceva in cuore una
cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.
più che curiosità di saper
– Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? Oh se le avesse per me le parole che possono consolare!
6
COSA PUÒ FARSENE DIO DI UNO COME ME? Curiosità e attrattiva fanno “scendere” l’innominato dall’alto del suo castello per incontrare quell’uomo cui consegna la sua disperazione di uomo che vede la propria vita fallita e divenuta inutile.
U
na buona nuova, io? Ho l’inferno nel cuore;
«
e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio.» «Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo,» rispose pacatamente il cardinale. «Dio!
Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira.» «Oh, certo! ho qui qualche cosa che m’opprime, che mi rode! Ma Dio! Se
c’è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?»
Queste parole furon dette
disperato.
7
con un accento
L’ABBRACCIO Il cardinale sa vedere in lui ciò che l’innominato non sapeva più vedere di sé: il suo cuore fatto per il bene.
C
«
osa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno
della sua potenza e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Così dicendo, [il cardinale] stese le braccia al collo dell’innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da
quell’impeto di carità, abbracciò anche lui il
cardinale, e abbandonò sull’omero di lui il suo volto tremante e mutato.
8
«ORA MI CONOSCO…» L’INIZIO DI UNA VITA BUONA L’abbraccio di Federigo genera nell’innominato una conoscenza nuova di sé e quindi una vita morale, buona. Immediatamente si mette all’opera per liberare Lucia.
L’
innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si
coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: «Dio veramente grande!
io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno Dio veramente buono!
davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!» «Me sventurato!» esclamò il signore, «quante, quante… cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d’intraprese, d’appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.»
9
UN LUOGO DOVE TORNARE Quell’abbraccio – il «prodigio della misericordia» – diventa luogo dove tornare. Non più solo, lontano e maledetto da tutti, ma atteso.
N
«
on crediate,» gli disse [il cardinale], «ch’io mi
contenti di questa visita per oggi. Voi tornerete, n’è vero?» «S’io tornerò?» rispose l’innominato: «quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero. Ho bisogno di parlarvi! ho bisogno di sentirvi, di vedervi! ho
bisogno di voi!»
10
E QUELLA NOTTE DORMÌ L’«officina di delitti» diventa casa per i bravi disposti a cambiar vita. Certo, «S’era messa la confusione e l’incertezza in casa; eppure aveva sonno», segno inequivocabile della pace che ora regna nel suo cuore.
A
ndò dunque in camera,
s’accostò a quel letto in cui la notte avanti aveva trovate tante spine; e vi s’inginocchiò accanto,
con
l’intenzione
di pregare. Trovò in fatti in un cantuccio riposto e profondo della mente, le preghiere ch’era stato ammaestrato a recitar da bambino; cominciò a recitarle. Provava in questo un misto di sentimenti indefinibile; una certa dolcezza in quel ritorno materiale all’abitudini dell’innocenza; una riconoscenza,
una
fiducia in quella misericordia che lo poteva condurre a quello stato, e che gli aveva già dati tanti segni di volerlo. Rizzatosi poi, andò a letto, e s’addormentò immediatamente.
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