Narrare la storia. Il Medioevo (A. Grittini, L. Franceschini, R. Ronza)

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narrare la storia

SCUOLA il medioevo

Ogni capitolo è aperto da un’immagine a tutta pagina e da un’introduzione, destinata soprattutto ai docenti, nella quale si mettono a fuoco i temi principali contenuti nel testo che segue.

Al termine del testo narrativo vi è un ampio apparato di schede di approfondimento di diversa difficoltà. I gradi di difficoltà sono indicati con dei simboli (da uno a tre) nell’indice generale in fondo al libro.

Il testo narrativo si suddivide in paragrafi brevi e ben titolati, accompagnati da glossari sui termini rari o difficili presenti e da immagini di grandi dimensioni che supportano la narrazione.

Le carte geografiche, arricchite nella nuova edizione, si presentano chiare e di facile lettura.

Al termine di ogni capitolo si trovano due pagine di esercizi di verifica dell’apprendimento. Esercizi che facilitano la comprensione si trovano anche a fianco del testo.

Al termine di ogni capitolo vi è un riassunto dei punti salienti del racconto, scritti con carattere TestMe per facilitare la lettura ad alunni con DSA.

LEGENDA DELLE ICONE

• per non perdere il filo

• audiolettura su itacascuola.it

• raccontiamo in breve

• attività e verifiche

• materiali su itacascuola.it

• grado di difficoltà delle schede di approfondimento indicato nell’indice finale:

1 simbolo = basso

2 simboli = medio

3 simboli = alto

Schede di approfondimento:

• mettiamo a fuoco

• visitiamo i luoghi della storia

• il percorso delle parole

• il cammino della tecnica e della scienza

• non tutti sanno che

• partiamo dalle fonti

• protagonisti

• leggiamo l’arte

• spunti per l’educazione civica

NOTA PER IL DOCENTE

SCUOLA

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CAPITOLO 1 1

Alessandro Grittini · Luca Franceschini · Robi Ronza

Narrare la storia

Il Medioevo

L’età moderna

L’età contemporanea

I tre manuali sono corredati dai fascicoli

Percorsi personalizzati per una didattica inclusiva a cura di Alessandro Grittini

realizzati con il carattere TestMe per facilitare la lettura ad alunni con DSA

Alessandro Grittini ha scritto per intero il primo volume e i capitoli 1, 2, 4, 5, 9, 12, 13 del secondo volume, nonché varie schede di approfondimento di tutti e tre i volumi. Luca Franceschini ha scritto i capitoli 3, 6, 7, 8, 10, 11, 14, 15, 16 del secondo volume e per intero il terzo volume, nonché alcune schede di approfondimento del secondo e del terzo volume.

Robi Ronza ha coordinato e supervisionato l’intero progetto, contribuendo con note, aggiunte e schede integrative, soprattutto quelle relative al progresso tecnologico e scientifico. Ha anche scritto le conclusioni.

I riassunti al termine di ogni capitolo sono scritti con il carattere TestMe per facilitare la lettura ad alunni con DSA.

Grazie alla collaborazione con Seleggo, la versione digitale ottimizzata di questo libro per studenti dislessici può essere ottenuta in download gratuito registrandosi al sito www.seleggo.org

Alessandro Grittini, Luca Franceschini, Robi Ronza

Narrare la storia

Volume 1: Il Medioevo

www.itacaedizioni.it/narrare-la-storia-1

Prima edizione: marzo 2014

Nuova edizione: giugno 2023

© 2023 Itaca srl, Castel Bolognese

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-526-0747-9

Progetto grafico: Andrea Cimatti

Ricerca iconografica e cartine: Stefano Bombelli

Illustrazioni e cartine pp. 19, 103, 209, 213, 269, 273, 341, 369: Daniela Blandino

Cura editoriale: Cristina Zoli

Stampato in Italia da D’Auria Printing, S. Egidio alla Vibrata (TE)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Questo prodotto è composto da materiale che proviene da foreste ben gestite certificate FSC®, da materiali riciclati e da altre fonti controllate. Utilizziamo materiale plastic free, inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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I LIONS IT ALIANI PER LA DISLESSIA

Alessandro Grittini · Luca Franceschini · Robi Ronza

narrare la storia

il medioevo

consulenza didattica

CAPITOLO 1
SCUOLA

Perché studiare la storia?

Immaginiamo un uomo senza memoria, che non ha alcun ricordo del suo passato. La prima cosa che ignora è chi è lui, qual è il suo nome, da dove proviene, dove si trova, perché si trova lì, cosa ci fa al mondo. In che condizioni vivrebbe un simile uomo? Se non sa da dove viene, non sa dov’è, e nemmeno dove può andare. Per questo bisogna studiare la storia: per sapere chi si è e dove si può andare.

Ciascuno di noi percorre una tappa brevissima di una vicenda, quella dell’uomo sulla terra, che dura da decine di migliaia di anni. E l’uomo, sulla terra, costruisce, edifica, lascia segni e impronte dietro di sé, lascia un’eredità a chi viene dopo di lui. E chi viene dopo eredita, anche senza rendersene conto, qualcosa che chi lo ha preceduto gli ha lasciato.

L’uomo vive nel presente, ma per non vivere come una foglia sbattuta dal vento ha bisogno di conoscere ciò che lo precede, l’eredità che gli giunge dal passato suo e dell’intera umanità.

La storia è intorno a noi

La storia si capisce sempre meglio studiandola. Però si comincia a comprenderla, e a capire perché è così importante, parlando con i genitori, con i nonni, facendosi raccontare come si viveva quando erano piccoli loro, facendosi spiegare come si lavorava, a che cosa serviva uno strumento che c’è ancora in casa, ma che magari non si usa più. La conoscenza della storia comincia da lì. Poi si allarga, quando si esce di casa, al luogo in cui si vive, ai palazzi, alle vie, alle piazze e alle chiese dei nostri borghi e delle nostre città, alle usanze, ai proverbi, al modo di parlare e di esprimersi della gente, all’arte, alla cucina, ai campi coltivati e alle fabbriche.

Ovunque giriamo lo sguardo, e questo è singolarmente vero per noi che viviamo in Italia, tutto ci parla del passato. Possiamo poi approfondire la conoscenza di questo passato a scuola e, magari, all’università, ma se non comincia dalla nostra casa e da ciò che ci circonda questa co-

noscenza non attecchisce, rimane senza radici. La storia riguarda non solo i grandi avvenimenti, ma anche la vita di ogni giorno. Il perfezionamento del mulino o lo sviluppo di tecniche per la salatura della carne e del pesce contarono di più per la civiltà dell’uomo della gloria di molti re e imperatori. Se ci vestiamo e mangiamo in un certo modo, se parliamo una lingua così bella e ricca come la nostra, ciò dipende dalla storia, tanto è vero che altri popoli con storie diverse si vestono, mangiano e parlano diversamente da noi.

La storia, palestra di libertà Siccome è vero che le bugie hanno le gambe corte, la memoria – della quale la storia costituisce una parte rilevante – è un grande strumento di libertà. È anche per questo che la storia va studiata, per offrire ragioni alla nostra libertà. Chiunque può, infatti, fare scelte migliori se riesce a distinguere il buono dal cattivo, confrontando con l’esperienza degli uomini del passato ciò che adesso sta in prima fila sul palcoscenico del presente. Non c’è bisogno per questo di essere dei grandi esperti. Basta essersi fatti delle idee chiare su ciò che è male e ciò che è bene, su ciò che è opportuno e ciò che è inopportuno. È più importante questo che avere su ogni cosa una grande competenza specifica, impresa umanamente impossibile.

Una storia di uomini

La storia, inoltre, è fatta dagli uomini, i grandi come i piccoli, che hanno compiuto scelte nella loro vita, che hanno deciso di agire in un modo piuttosto che in un altro, scontrandosi anche con le scelte di altri e dando vita a esiti magari non previsti. La storia è il campo della libertà dell’uomo. Non delle strutture. Le forme di governo e i sistemi politici, le leggi, le regole dell’economia, i sistemi sociali non sono piovuti dal cielo, sono il frutto di scelte umane, facili, difficili, sofferte, coraggiose, egoistiche, solidali, fragili, contraddittorie, ma sempre umane. E se la storia è il campo della libertà, è anche il campo della responsabi-

Caro amico…

lità: l’uomo non vive da solo, ma insieme con gli altri e con gli altri fa continuamente i conti, agli altri rende conto di ciò che sceglie e decide. La storia, dunque, ci aiuta ad essere liberi e ci insegna ad essere responsabili.

Una grande risorsa per il nostro popolo

La storia è una grande risorsa, una risorsa comune dell’uomo. Più la si studia e la si comprende, meglio è. Anche se non siamo i soli a possedere questa risorsa, come europei ne abbiamo in misura grandissima, ancor più come italiani, cioè come europei mediterranei. La nostra storia è un patrimonio sterminato da non disperdere. Punto d’incontro tra Europa, Asia e Africa, il Mediterraneo, infatti, è stato un crocevia della storia dell’uomo. Solo per periodi storici relativamente brevi è passato in secondo piano, e oggi il suo ruolo cruciale sta riemergendo. Questo, se ce ne rendiamo conto, è per noi una grande occasione storica.

Conoscere la storia per andare incontro a tutti

Quando nel Cinquecento iniziò la navigazione transoceanica a vela, per girare attorno al mondo occorrevano circa tre anni di grandi rischi e fatiche. Nel secolo XIX fare il medesimo giro in ottanta giorni era un’impresa possibile, ma ardua. Oggi qualsiasi aereo passeggeri a lungo raggio può compiere comodamente lo stesso percorso in una sola giornata. Si dice perciò che il mondo è divenuto molto piccolo.

Questo però non diminuisce il bisogno che abbiamo di conoscere la storia, la geografia, la lingua del nostro come degli altri popoli. Anzi, questo bisogno aumenta sempre di più. Con la vicinanza diventano più facili, e quindi maggiori, i contatti e più ampie le possibilità di arricchimento che da questi contatti possiamo ricavare; ma più gravi diventano anche le conseguenze che potranno avere sul nostro futuro le eventuali incomprensioni riguardo alla vita, alla storia e alla cultura degli altri popoli, incomprensioni indubbiamente favorite dalla mancanza di adeguate conoscenze storiche.

La storia: una grande occasione per crescere insieme

Lo studio della storia, per tutte le ragioni che ti abbiamo esposto, diventa una grande occasione per crescere, e quindi una grande avventura che ti proponiamo di percorrere assieme a questo libro e al sito collegato, che sono ancora più ricchi, ma soprattutto assieme ai tuoi insegnanti, che ti guideranno con saggezza, competenza e pazienza in questo straordinario cammino. Buon lavoro quindi… e buone scoperte.

CAPITOLO 1
Gli autori L’editore

Battaglia tra Romani e barbari

Sarcofago Ludovisi (III secolo), Museo

Nazionale Romano, Palazzo Altemps, Roma

Finisce il mondo antico: si prepara un mondo nuovo

La fine del mondo

«Ecco la fine del mondo»: con queste parole il vescovo di Milano, Ambrogio, commentava la notizia della sconfitta dell’esercito romano nella battaglia di Adrianopoli ad opera dei Visigoti.

E così fu percepita da molti cittadini dell’Impero l’avanzata inarrestabile dei nuovi popoli “barbari”: la fine di un mondo durato mille anni, una fine che sembrava travolgere tutto. «Se Roma perisce, chi mai si salverà?» scrisse un altro grande personaggio del tempo, san Girolamo.

In realtà, la fine del mondo tanto temuta non ci fu. Sulle ceneri del mondo antico che stava crollando si preparava qualcosa di nuovo, un nuovo mondo nato dall’incontro dei popoli germanici, che irrompevano nella storia, con le grandi tradizioni romane e con i nuovi valori portati dal Cristianesimo.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Che cosa sono i vangeli?

• Perché il Cristianesimo ebbe successo?

• Le catacombe e i simboli cristiani

• L’“editto” che non ci fu… ma che fu estremamente importante

• I barbari sono scomparsi, di vandali invece ce ne sono ancora

Raccontiamo in breve Attività e verifiche

CAPITOLO 1 7
Capitolo 1
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per non perdere il filo

Perché si parla di cause esterne e di cause interne a proposito della caduta dell’Impero Romano?

1 · Perché cadde l’Impero Romano

Il crollo di un impero che sembrava invincibile Nel corso della loro lunga storia i Romani avevano conquistato molte terre, estendendo sempre di più i loro domini, fino a costituire un grande impero che andava dall’Europa centro occidentale alle coste dell’Africa, dall’Asia Minore al Vicino Oriente. I loro eserciti avevano vinto innumerevoli battaglie e sottomesso molti popoli; mai erano sembrati in difficoltà di fronte ai loro nemici. Si poteva pensare che fossero quasi invincibili e che il loro impero dovesse durare per sempre. Invece così non avvenne. Dal IV secolo essi dovettero subire attacchi e incursioni sempre più minacciose che portarono, nel secolo successivo, al crollo della loro potenza. Come poté accadere questo?

Perché questo impero crollò? Cause “interne” e cause “esterne”

Qualche storico, per rispondere a questo interrogativo, ha utilizzato l’esempio del corpo umano. Un uomo può morire o per malattie che si sviluppano all’interno del suo corpo o per colpi micidiali sferrati da qualcuno contro di lui. Si può cioè morire per cause “interne” e per cause “esterne”. Nel caso dell’Impero Romano si può dire che si verificarono entrambe queste situazioni. Esso cadde perché da tempo qualcosa al suo interno non funzionava più, vi erano delle gravi crisi che lo avevano indebolito, per cui non fu in grado di fronteggiare gli attacchi sempre più forti che provenivano da popolazioni, i “barbari”, stanziate al di fuori dei suoi confini. In passato i Romani avevano sempre contrastato vittoriosamente queste minacce; ora, non furono più in grado di difendersi e quindi il loro grande impero crollò.

2 · I fattori “interni”: una crisi che durava da tanto tempo

La crisi politica

Da tempo l’Impero Romano si trovava in una situazione di crisi per svariati motivi. Fin dagli inizi dell’età imperiale, e quindi già nel I secolo, era emerso il grave problema della successione al trono: alla morte di un imperatore, infatti, non di rado si aprivano feroci conflitti per designare il suo successore e spesso venivano scelti o si imponevano personaggi che poi si dimostravano deboli e incapaci di governare a lungo e con autorità. Questa situazione si aggravò in particolare a partire dal III secolo e finì per mettere in pericolo la stabilità e la guida sicura dell’Impero.

8 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO

L’Impero Romano dopo la divisione in quattro parti e l’istituzione della tetrarchia

Cesare occidentale Augusto occidentale Cesare orientale Augusto orientale

Città importanti

Diocleziano istituisce la tetrarchia

Anche per fronteggiare questo problema, oltre che per garantire un governo più efficace in un territorio sempre più vasto, l’imperatore Diocleziano tra il 286 e il 293 aveva attuato l’importante riforma della tetrarchia, cioè aveva diviso l’Impero in quattro parti con quattro diverse capitali (Treviri e Milano in occidente, Sirmio e Nicomedia in oriente). Due di queste erano affidate a due augusti, le altre a due cesari, scelti dai primi. Alla morte degli augusti i rispettivi cesari avrebbero preso il loro posto designando a loro volta dei nuovi successori. Poteva sembrare una soluzione piuttosto complessa ma, agli occhi di Diocleziano, avrebbe potuto favorire una successione indolore, senza lotte e contrasti. In realtà, questa soluzione fallì e non riuscì a eliminare del tutto nuove lotte e scontri. Non sempre, infatti, la successione di un cesare alla carica di augusto era accettata dagli altri pretendenti al trono.

Con Costantino il cuore dell’Impero si sposta a oriente Agli inizi del IV secolo si affermò un nuovo grande personaggio, Costantino, figlio dell’augusto Costanzo Cloro. Egli, forte dell’appoggio del suo esercito, riuscì a sbaragliare tutti i rivali, l’ultimo dei quali l’augusto d’oriente Licinio, e a riunificare nelle sue mani tutto il potere imperiale, ponendo così fine alla tetrarchia. Decise poi, a

Perché fu istituita la tetrarchia?

CAPITOLO 1 9
Mar Mediterraneo Mar Nero
Danubio Reno Nilo Atene
Roma Cartagine Bisanzio Nicomedia Eburacum (York) Milano Treviri Sirmio Antiochia Alessandria Siracusa Aquileia Tarraco (Tarragona) Lione Narbona

Testa colossale di Costantino

Prima metà del IV secolo, Palazzo dei Conservatori, Roma

Originariamente

faceva parte di una statua colossale che raggiungeva i 10-12 metri di altezza.

La testa è alta 2,60 m.

partire dal 326, di risiedere stabilmente a Costantinopoli (l’antica Bisanzio, sulle sponde del Bosforo) che egli fece abbellire e trasformare nella sua nuova capitale, e che da lui prese il nome. Alla sua morte, però, scoppiò di nuovo il disordine, con lunghi ed estenuanti conflitti fra i tre figli, pretendenti alla successione.

La definitiva divisione in due parti Riunificato per un breve periodo nelle mani di Teodosio, che governò a partire dal 379, alla morte di questi (395) l’Impero venne definitivamente diviso tra i suoi due figli: ad Arcadio toccò l’Impero Romano d’Oriente (che successivamente verrà anche chiamato bizantino), a Onorio quello d’Occidente. Il primo conobbe una certa stabilità e poté consolidarsi e garantirsi, come vedremo, una lunga

esistenza; il secondo finì di nuovo in preda a lotte e anarchia e si ridusse ad essere governato da imperatori spesso deboli e incapaci. La stessa capitale dell’Impero venne spostata prima a Milano e poi a Ravenna, lasciando Roma al suo lento ma inarrestabile declino.

Il declino economico

Anche in campo economico da tempo si manifestavano segnali di declino. Calava la produzione agricola, i commerci languivano, i prezzi dei prodotti aumentavano come pure le imposizioni fiscali. Inutilmente Diocleziano aveva tentato di intervenire per sanare la situazione, ad esempio bloccando i prezzi dei prodotti, ma senza ottenere risultati duraturi. Con i suoi successori, poi, la situazione non era migliorata di molto. La vita, soprattutto dei contadini, era sempre più misera e ovunque, ma soprattutto nelle città, si manifestava un nuovo drammatico problema: il calo demografico .

I Romani non sono più quelli di una volta: la crisi dei valori morali e dell’esercito

A questi fattori di crisi molti studiosi aggiungono il venir meno degli antichi valori che avevano fatto grande Roma. I Romani del IV e del V secolo erano molto diversi da quelli di un tempo: sembravano non amare più la loro patria come in passato, erano meno disposti a sacrificarsi per essa, preferivano, quando era possibile, vivere nello sfarzo e nel lusso anziché dedicarsi al bene pubblico. La stessa religione, che nell’antichità aveva insegnato ai Romani ad amare e a servire la patria, si era col tempo ridotta a culti esteriori, talvolta bizzarri, di imperatori spesso fanatici e autoritari. Conseguenza di tutto questo fu anche la crisi dell’esercito. I Romani, infatti, si mostravano sempre meno disposti ad arruolarsi e a mettere a rischio la loro vita combattendo per difendere la patria, proprio nel momento in cui la minaccia esterna dei barbari si faceva più consistente. Per questo, gli imperatori furono costretti ad arruolare forze mercenarie scelte tra i barbari. Interi reparti dell’esercito romano erano nel IV secolo costituiti da truppe provenienti da popolazioni non romane, che in qualche caso avevano anche dato prova di valore nel combattimento, ma che sicuramente non offrivano più molte garanzie di affidabilità. Anche i comandanti erano spesso di origine barbarica.

Anarchia

Parola di origine greca che significa assenza di un governo stabile, di un’autorità riconosciuta.

Demografia Scienza che studia l’andamento della popolazione (dal greco demos, “popolo”, e graphè, “scritto”, “descrizione”). Si parla di calo demografico quando la popolazione in un determinato territorio diminuisce e di incremento quando, al contrario, aumenta.

Perché si parla di declino economico dell’Impero?

Soldati mercenari

Soldati che combattevano al servizio di chi li pagava e quindi per denaro e non più per difendere la propria patria o i propri ideali.

Perché si parla di imbarbarimento dell’esercito romano?

CAPITOLO 1 11

3 · I fattori “esterni”: le invasioni barbariche

Chi erano i “barbari” e da dove provenivano

Con la parola “barbari” si suole indicare un insieme di popolazioni, in prevalenza germaniche, che i Romani avevano già incontrato e affrontato fin dai tempi di Giulio Cesare e che fino al IV secolo erano state tenute sotto controllo, oltre i confini nord-orientali dell’Impero costituiti dai fiumi Reno e Danubio. Inizialmente nomadi e dedite alla caccia e all’allevamento, oltre che alla guerra, queste popolazioni si erano progressivamente stanziate lungo i confini, ma ben presto fecero sentire la loro minacciosa presenza anche all’interno dei territori romani.

Un primo segnale: la sconfitta di Adrianopoli

Nella seconda metà del IV secolo, infatti, spinta dagli Unni, un popolo di origine mongolica proveniente dall’Asia centrale, una di queste popolazioni, i Visigoti, irruppe all’interno del territorio imperiale varcando il Danubio e innescando una catena di reazioni che ebbero conseguenze devastanti. Un primo campanello d’allarme di quello che sarebbe successo in seguito si ebbe già nel 378 nella battaglia di Adrianopoli (città della Tracia, nella parte occidentale dell’attuale Turchia). In questo scontro anche l’imperatore Valente, che tentava di fermare l’avanzata degli invasori, venne clamorosamente sconfitto e ucciso con diecimila dei suoi uomini.

Dalle incursioni alle invasioni

Ben presto l’onda delle invasioni divenne inarrestabile. Nell’inverno tra il 406 e il 407 Vandali, Alani e Svevi attraversarono il Reno ghiacciato e si insediarono prima in Gallia e poi in Spagna. I Burgundi, a loro volta, occuparono la valle del Reno, i Franchi Salii si insediarono nel territorio dell’attuale Belgio, mentre gli Angli e i Sassoni si stabilirono in Britannia. Queste invasioni, per la verità, non incontrarono molti ostacoli. L’esercito romano, che era sempre più indebolito, non fu in grado di opporre un’efficace resistenza.

Il sacco di Roma del 410:

«Se cade Roma, tutto il mondo cade»

Con i Visigoti, fallito il tentativo di sconfiggerli militarmente, i Romani erano nel frattempo arrivati a un accordo. Si accettò il loro stanziamento nelle province orientali della Mesia (un territorio corrispondente grossomodo alle attuali Serbia e Bulgaria) e della Tracia come socii, cioè alleati, per cui potevano conservare le proprie leggi e usanze ma dovevano impegnarsi a difendere il confine loro assegnato da altre invasioni. I Visigoti non rimasero però a lungo in questa posizione: l’imperatore d’Oriente, infatti, che voleva sbarazzarsi della loro ingombrante presenza, li spinse ad attaccare

12 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO

Migrazioni e invasioni barbariche (IV-VI secolo)

Impero Romano d’Oriente

Impero Romano d’Occidente Città importanti Battaglia

direttamente l’Italia. Qui per ben due volte, guidati dal loro re Alarico, vennero sconfitti dall’esercito romano comandato da un valoroso generale di origine vandala, Stilicone, che aveva anche provveduto a spostare la capitale dell’Impero da Milano a Ravenna, ritenuta più sicura. Quando, però, dei cortigiani invidiosi riuscirono a far uccidere Stilicone, Alarico poté di nuovo tornare alla carica, giungendo fino ad assediare Roma e a saccheggiarla nel 410. Il sacco di Roma fu un evento che destò enorme impressione in tutto il mondo civile di allora. Per la prima volta, dopo 800 anni, l’Urbe che aveva dominato il mondo veniva sconfitta e saccheggiata da un popolo straniero. Molti ebbero l’impressione che qualcosa fosse definitivamente finito, quasi il preannuncio di una tragica fine del mondo.

Si allontanano i Visigoti, arrivano gli Unni

In realtà, i Visigoti non rimasero a lungo a Roma: preferirono lasciare l’Italia per insediarsi in Gallia. Subito, però, si andò profilando la minaccia degli Unni. Sotto la guida del re Attila, essi si presentarono a ridosso dei confini dell’Impero, seminando il terrore tra le popolazioni locali. Duramente sconfitti nel 451 ai Campi Catalaunici (vicino all’attuale Troyes, nel nord-est della Francia) da un esercito composto da Romani, Franchi e Visigoti, guidati dall’ultimo grande generale romano, Ezio, ripiegarono allora verso l’Italia nord-orien-

Perché i Visigoti attaccarono l’Italia?

Perché il sacco di Roma fu un evento sconvolgente per gli uomini di quel tempo?

CAPITOLO 1 13
Mar Mediterraneo Mar Nero Danubio Reno Nilo Campi Catalaunici (451) Unni Visigoti Vandali Angli Sassoni Vandali, Svevi e Alani Svevi Alani Ostrogoti Atene Roma Cartagine Adrianopoli (378) Costantinopoli

Perché si dice che l’Impero Romano ebbe fine nel 476?

tale, invadendo il Friuli dove portarono devastazione e morte. Attila fu però convinto ad arrestare la sua marcia sul fiume Mincio da una delegazione inviata da Roma, di cui faceva parte anche il papa Leone I. Il motivo di questa decisione non è del tutto chiaro agli storici. Secondo la leggenda, il re unno si sarebbe fatto convincere dalla figura autorevole del papa. In realtà è più probabile che temesse un attacco alle spalle da parte delle truppe dell’imperatore bizantino.

476: con la deposizione dell’ultimo imperatore finisce l’Impero Romano

Ezio, il vincitore di Attila, fece però la stessa fine di Stilicone. L’imperatore Valentiniano III, preoccupato dei suoi successi lo assassinò e l’anno dopo, nel 455, Roma, sempre più indifesa, subì una nuova devastante incursione da parte dei Vandali giunti via mare dalle coste africane.

Definitivamente indebolito, l’Impero Romano, ormai ridotto alla sola penisola italiana e sotto la minaccia continua di nuove invasioni, aveva un destino segnato. Nel 476 Odoacre, re degli Eruli, insediatisi nella Pianura Padana, e capo degli eserciti imperiali di stanza in Italia, depose l’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo (il diminutivo stava a indicare la sua giovanissima età, poco più che un bambino) e inviò all’imperatore d’Oriente Zenone le insegne imperiali, gesto con il quale intendeva significare che l’Impero in occidente era ormai finito e che da questo momento in poi Roma non avrebbe più avuto un imperatore: la lunga storia di dominatrice del mondo era ormai conclusa. Per ironia della sorte, l’ultimo imperatore si chiamava Romolo, proprio come il leggendario fondatore della città.

4 · Una nuova religione arriva da oriente: il Cristianesimo

Il Messia e la “buona novella”

Il Cristianesimo ha origine dalla vita e dalla predicazione di Gesù di Nazareth, vissuto in Palestina, una regione periferica dell’Impero Romano, al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio. Nonostante la sua origine umile, questa religione è divenuta nel tempo la più diffusa e la sua importanza nella storia della civiltà è testimoniata dal fatto che ancora oggi in tutto il mondo, anche nei paesi dove i cristiani sono pochi, si contano gli anni a partire dalla nascita del suo fondatore.

Stando al racconto contenuto nei vangeli Gesù, dopo aver vissuto per parecchi anni nella modesta famiglia di un falegname, iniziò attorno ai trent’anni la sua attività pubblica, predicando e compiendo

14 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO

prodigiosi miracoli. Proclamava la “buona novella”, il compiersi in lui della promessa contenuta nella Bibbia: egli era il Messia inviato a liberare l’uomo dal peccato per riconciliarlo con Dio e aprirgli così le porte della vita eterna. Va detto che l’attesa di un messia era molto viva nel popolo di Israele, ma i più ritenevano che dovesse trattarsi di un capo politico o militare che avrebbe liberato gli Ebrei dalla schiavitù dei Romani. Gesù, invece, si poneva come il messia di un Regno di Dio aperto a tutti gli uomini, e non solo agli israeliti, e destinato ai miti, agli umili, ai caritatevoli verso il prossimo, a coloro che facevano la volontà di Dio.

Una cosa mai accaduta: che un uomo dicesse di essere Dio

L’aspetto che, tra tutti, sembrava, però, il più straordinario era che con le sue parole e i suoi gesti Gesù si presentava non come un profeta o un maestro di vita illuminato da Dio ma come Figlio di Dio, e anzi Dio egli stesso. Né prima né dopo di lui alcun altro fondatore di una religione si dichiarò tale. Da subito egli fece intendere di essere Figlio di Dio, poi lo affermò apertamente. Proprio questa affermazione gli costerà la morte sulla croce. Non si può quindi accostare la persona di Gesù senza tener conto di ciò che ha detto di sé. Vi è

Il luogo della nascita di Gesù

Basilica della Natività, Betlemme, Terra Santa Sotto l’altare della Natività vi è la stella d’argento a 14 punte, secondo il numero degli antenati di Cristo, con la scritta in latino: Hic de Virgine Maria Iesus Christus natus est (Qui dalla Vergine Maria è nato Gesù Cristo).

Messia

Parola ebraica che significa “l’Unto”, “il consacrato”, quindi il prescelto da Dio. Questo termine è tradotto in greco con la parola Cristo.

Apostoli

Parola greca che significa “inviati”.

Farisei

Con questo nome si indicava nel I secolo a.C. una setta di devoti, che si dedicavano con zelo particolare ed esclusivo alla pratica delle leggi e dei divieti contenuti nella religione ebraica.

un altro aspetto importante da sottolineare: il fatto che Dio si sia fatto uomo e che la salvezza sia offerta a tutti gli uomini, dà a ogni persona umana, a qualunque popolo appartenga, una nuova e straordinaria dignità.

La morte e l’annuncio della resurrezione

Gesù raccolse attorno a sé un gruppo crescente di discepoli, detti poi apostoli, ma si procurò anche molti nemici e ostilità. I capi israeliti, i sommi sacerdoti della religione ebraica, i farisei, lo accusarono di sacrilegio proprio per la sua pretesa di definirsi Dio, affermazione per loro inaccettabile. Essi riuscirono a farlo arrestare, senza che egli facesse nulla per fuggire o per reagire. Ottennero che fosse messo a morte con la complicità del governatore romano Ponzio Pilato che preferì non assumersi la responsabilità di decidere della sua sorte, lasciando la decisione nelle mani delle autorità ebraiche del tempo.

La morte a cui Gesù fu sottoposto era infamante: la crocifissione sul monte Golgota assieme a due delinquenti comuni. Poteva essere la fine di tutto, e così pensarono in un primo momento i suoi discepoli sconfortati. Invece due giorni dopo, stando al racconto dei vangeli, avvenne un fatto sorprendente: il sepolcro in cui era stato sepolto fu trovato vuoto. In seguito numerosi suoi discepoli riferirono che Gesù era risorto e apparso a loro, e cominciarono ad annunciarlo pubblicamente. Da allora la fede nella resurrezione di Cristo costituisce il cardine della religione cristiana.

Il Cristianesimo si diffonde

I seguaci di Gesù, detti ben presto cristiani, cominciarono a predicare la nuova religione prima a Gerusalemme e in tutta la Palestina, poi negli altri territori dell’Impero Romano. Tra le figure che maggiormente si distinsero in quest’opera di predicazione vi fu Paolo di Tarso, che si convertì alla nuova fede dopo che, da giovane, l’aveva lungamente e ferocemente combattuta.

Chiesa

Con questo termine (dal greco ekklesia che significa “assemblea”) si indicò l’insieme di tutte le comunità cristiane sorte in varie località dell’Impero, guidate dai vescovi e fedeli al papa.

Il punto di riferimento per tutti i cristiani divenne però Pietro, colui che lo stesso Gesù aveva posto a capo degli apostoli. Egli, trasferitosi a Roma, ne divenne vescovo. Con questo nome, che significa in greco “ispettore”, si indicavano gli apostoli e i loro successori.

Per la sua autorevolezza e per l’incarico che Gesù stesso gli aveva affidato, Pietro fu considerato il capo di tutti i cristiani e chiamato anche papa (termine derivante dal latino e che significa “padre dei padri”). Attorno a lui si organizzò la Chiesa.

Persecuzioni ed eresie

Nella sua rapida diffusione all’interno dell’Impero Romano il Cristianesimo incontrò parecchi ostacoli. I seguaci di Cristo, che rifiutavano il culto pagano in onore dell’imperatore, subirono per que-

16 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO

sto atroci persecuzioni. Le più terribili furono quelle sotto gli imperatori Nerone, Decio e Diocleziano, che causarono la morte di migliaia di persone. Durante queste persecuzioni si distinse la testimonianza dei martiri, cioè di coloro che andavano incontro alla morte piuttosto che rinnegare la loro fede.

Oltre alle persecuzioni, i cristiani dovettero fronteggiare accuse rivolte loro dai seguaci dell’antica religione pagana. Nei loro confronti era frequente, ad esempio, l’accusa di cannibalismo in quanto nella celebrazione dell’eucaristia dicevano di cibarsi del corpo di Cristo. Un’altra accusa ancora più grave fu quella di essere tra le cause della decadenza dell’Impero, soprattutto perché avrebbero attirato con la loro nuova religione la punizione degli dei romani su di esso. Si trattava di accuse chiaramente false e infondate ma che ebbero un certo seguito al punto che dotti studiosi cristiani, chiamati poi Padri della Chiesa, dovettero impegnarsi con i loro scritti a respingerle. In quest’opera di difesa essi contribuirono anche a precisare sempre meglio i princìpi della nuova fede. Importante da ricordare a tale proposito è l’opera del vescovo africano Agostino d’Ippona, riconosciuto da tutti gli studiosi come uno dei padri della nostra civiltà.

Agostino discute con gli eretici e confuta le loro dottrine Arca di Sant’Agostino (XIV secolo), San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia

Si noti che gli eretici sono raffigurati con piedi di gallina.

Martire

Dal greco martyr, che significa “testimone”, indica colui che dà testimonianza a Cristo offrendo la propria vita per lui.

Eucaristia

Dal greco eucharistía, che significa “rendimento di grazie”, indica il rito della “frazione del pane”, gesto col quale i cristiani rivivono l’ultima cena del Signore.

Eresia

Dal greco aíresis, che significa “scelta”, indicava l’adesione a dottrine contrastanti con quella insegnata del papa e dai vescovi.

Cattolicesimo

Dal greco catholikós, “universale”, indica la religione cristiana praticata secondo l’insegnamento del papa e dei vescovi, in contrapposizione alle pratiche e alle credenze introdotte dalle varie eresie.

Un’ulteriore difficoltà nacque all’interno della Chiesa dove sorsero le eresie , cioè delle interpretazioni del messaggio cristiano diverse da quelle dei primi apostoli, del papa e dei vescovi. Queste eresie crearono spesso sgomento e confusione nei fedeli e, per fronteggiarle, si fece ricorso ai concili, cioè a delle grandi assemblee nelle quali il papa e i vescovi stabilivano in modo preciso e inequivocabile i princìpi della fede, i dogmi, che tutti i cristiani avrebbero dovuto accettare. Nel corso degli anni coloro che seguiranno l’insegnamento del papa e dei vescovi e accetteranno questi dogmi verranno chiamati cattolici .

5 · Da religione perseguitata a religione ufficiale dell’Impero

La svolta di Costantino: con il suo Editto la libertà di coscienza entra nella storia

La situazione dei cristiani nell’Impero Romano cambiò radicalmente a partire dal IV secolo, grazie in particolare all’opera dell’imperatore Costantino, che già abbiamo incontrato. Questi, nel 313, mediante un atto passato alla storia come Editto di Milano, affermò il principio della libertà di coscienza in materia religiosa, e cioè che ogni uomo deve essere libero di seguire la religione che ritiene giusta secondo la propria coscienza. Questo principio avrà conseguenze importantissime in tutto lo sviluppo successivo della nostra civiltà. In base ad esso pose fine alle persecuzioni, concedendo ai seguaci di Gesù la libertà di culto all’interno dell’Impero. A spingere l’imperatore a questo gesto, oltre alla sua personale conversione (si farà battezzare però solo poco prima di morire), vi furono probabilmente anche motivazioni di carattere politico. I valori portati dal Cristianesimo potevano contribuire a rianimare una società sempre più povera di ideali come quella romana di allora e, grazie a questo, dare anche nuovo slancio all’Impero.

Il sostegno di Costantino alla Chiesa Cattolica

Concilio ecumenico

Riunione del papa e di tutti i vescovi del mondo (ecumenico significa “universale”) per discutere e decidere circa questioni importanti della vita e della dottrina della Chiesa.

Oltre a permettere ai cristiani la libertà di culto, Costantino destinò massicci finanziamenti per la costruzione di grandi chiese dette basiliche e per la realizzazione di opere di carità, consentì alla Chiesa di affrancare, cioè di liberare, gli schiavi e altro ancora. Soprattutto, però, si impegnò per consolidare l’unità dei cristiani, combattendo contro la diffusione delle eresie. In particolare nel 325 radunò a Nicea il primo concilio ecumenico , che condannò l’eresia ariana, di cui parleremo nel prossimo capitolo, e fissò i princìpi cristiani contenuti nel credo (chiamato per questo anche Simbolo niceno).

18 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO

Il passo indietro di Teodosio: il Cristianesimo diventa religione ufficiale dell’Impero

Nel 380 un altro imperatore, Teodosio, andò oltre quanto stabilito da Costantino, proclamando il Cristianesimo unica religione dell’Impero e vietando tutti gli altri culti fino ad allora permessi. Questa decisione, che rese il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, rappresentò certamente un passo indietro rispetto al principio della libertà di coscienza sancito da Costantino. Teodosio attuò questo provvedimento perché, oltre che attratto dalla dottrina di Cristo, era sempre più convinto del ruolo decisivo che la nuova religione avrebbe potuto rivestire nel ricostruire su nuove basi l’Impero.

La diffusione del Cristianesimo nei primi secoli alla fine del II secolo alla metà del IV secolo Aree di diffusione dell'Arianesimo nel V secolo

Perché l’Editto di Teodosio rappresentò un passo indietro rispetto a quello di Costantino?

CAPITOLO 1 19
Mar Mediterraneo
Reno
Mar Nero
Danubio
Roma Milano Antiochia Gerusalemme Alessandria Nicea Costantinopoli

METTIAMO A FUOCO

Che cosa sono i vangeli?

Le notizie riguardanti la vita e l’insegnamento di Gesù ci provengono in gran parte dai quattro vangeli. Inizialmente il termine vangelo indicava la “buona novella”; in un secondo tempo passò a indicare i libri che di questa buona notizia parlavano. Tre di essi, quelli scritti da Matteo, Marco e Luca, sono molto simili e perciò sono detti sinottici (parola che in greco indica che si possono scorrere “con un unico sguardo”); il quarto invece, quello dell’apostolo Giovanni, presenta alcune differenze che lo rendono originale.

Quando e come sono stati scritti?

Gli studiosi ancora oggi discutono su quando e come i vangeli sono stati scritti. Alcuni dati però sembrano ormai sicuri. Probabilmente, durante la predicazione degli apostoli, alcune delle loro testimonianze venivano messe per iscritto e poi lette nelle assemblee delle varie comunità. In un secondo momento qualcuno provvide a raccoglierle e a collegarle fra loro. Il primo fu probabilmente Marco, che era stato amico e discepolo di Pietro, e quindi aveva una conoscenza abbastanza ravvicinata della vita del Messia. Per quanto riguarda le date, sembra ormai assodato che i sinottici siano stati scritti prima del 70 d.C. e quindi quando molti testimoni dei fatti narrati erano ancora vivi. Il più tardo, quello di Giovanni, fu scritto forse a Efeso in Asia Minore, verso la fine del I secolo.

I vangeli non sono la cronaca dettagliata e completa della vita di Gesù…

Non dobbiamo pensare che i vangeli siano una cronaca dettagliata di tutti i fatti riguardanti la vita di Gesù. Essi ci raccontano solo ciò che gli apostoli, i testimoni diretti e i primi cristiani ricordavano o trattenevano nel loro cuore, quello che ritenevano fosse importante conoscere del Messia per poterlo amare e seguire. Non tutto ciò, quindi, che riguardava la vita del Cristo si può trovare in questi testi. Questo però non significa che essi siano inattendibili e non riescano a farci conoscere Gesù, la cui vita, in tal caso, rimarrebbe per noi un mistero.

…ma ci fanno conoscere molto di lui

Al contrario, chi vuole conoscere Gesù, la sua vita e il suo messaggio può ricavare da essi sufficienti informazioni. Se si studiano con attenzione e correttezza metodologica, come sempre più spesso stanno facendo molti storici, questi libri possono fornirci molte notizie sicure e sufficientemente certe sulla vita del Messia.

Proprio uno degli evangelisti, Luca, quasi a volerci mettere in guardia dai dubbi, inizia il suo vangelo ricordandoci di aver fatto un lavoro accurato per vagliare le sue informazioni; scrive infatti all’amico

Teofilo: «Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto» (Lc 1,1-4).

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Vangelo di san Luca Rosenwald Collection, The Library of Congress, Washington, DC

METTIAMO A FUOCO

Perché il Cristianesimo ebbe successo?

Costantino… ma non solo Sicuramente le scelte politico-religiose di Costantino ebbero un ruolo importantissimo nel favorire la diffusione e l’affermazione del Cristianesimo, che divenne ben presto la religione più praticata nell’Impero. D’altra parte, però, l’intervento dell'imperatore e i suoi aiuti non sarebbero certo bastati, se non ci fosse stata già una diffusione abbastanza capillare di comunità cristiane organizzate intorno ai loro vescovi, e attive in campo sociale, culturale e caritativo. Al Cristianesimo, già da prima di Costantino, si erano infatti convertiti schiavi ma anche nobili patrizi, contadini e militari, uomini e matrone, mercanti e cortigiani. Il successo di questa nuova religione dipese quindi anche da altri fattori oltre che dagli interventi di Costantino (e poi di Teodosio). Come si spiega dunque questo successo? Che cosa affascinava i cittadini romani del tempo fino a spingerli ad abbracciare questa nuova fede?

Rispondeva alle grandi domande dell’uomo

La risposta è plurima. Innanzitutto, molti erano colpiti dal fatto che questa nuova religione spiegava in modo più convincente di altre il senso della vita e rispondeva alle grandi domande esistenziali presenti in ogni uomo: chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa c’è dopo la morte? Che cosa sono il bene e il male? Grandi pensatori (si pensi fra tutti a sant’Agostino) si convertirono proprio per questo, dopo uno studio lungo e approfondito.

Una nuova libertà dal peccato e dalla paura della morte

In secondo luogo, il Cristianesimo colpiva per il modo in cui proponeva all’uomo la libertà. Offriva a tutti una libertà profonda, interiore, la libertà dalla schiavitù del male, dal vizio e dalla paura della morte. Questa libertà poi si traduceva anche nella vita quotidiana: nelle assemblee e nei luoghi dove si pregava insieme, gli schiavi sedevano accanto agli uomini liberi e a volte anche accanto ai loro padroni. Costoro, pur mantenendoli come schiavi nella vita di ogni giorno, erano portati a trattarli con più umanità, perché li riconoscevano come fratelli in Cristo.

Riguardo alla morte, in particolare, il messaggio cristiano non si limitava a dire che Dio era in grado di sconfiggerla offrendo all’uomo la possibilità della vita eterna, ma riteneva anche di poterne offrire la prova con la morte e la resurrezione di Gesù.

La santità della vita e l’amore per il prossimo Rispetto alla religione ebraica, poi, ricca di comandamenti, obblighi e doveri, il messaggio cristiano predicava un’unica legge importante, quella dell’amore. E i cristiani davano sicuramente testimonianza di santità di vita, con atteggiamenti di bontà e amore verso tutti. Come scrive Atenagora (un filosofo cristiano del II secolo): «Tra di noi voi potrete trovare ignoranti, operai manuali, piccoli cervelli: a parole incapaci di esporre l’utilità della loro dottrina, con le azioni dimostrano l’utilità dei loro princìpi; essi non sanno parlare ma espongono opere buone; colpiti, non rendono il colpo; depredati, non perseguono col giudizio; danno a quelli che chiedono loro e amano il prossimo come sé stessi».

CAPITOLO 1 21
Gesù Buon Pastore Mausoleo di Galla Placidia (V secolo), Ravenna

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Le catacombe e i simboli cristiani

Cimiteri scavati nel tufo Avrai sicuramente sentito parlare delle catacombe. Si tratta di una rete di gallerie sotterranee, lunghe decine di chilometri e disposte su più livelli (arrivavano fino a 25 metri di profondità), che si trovano in alcune località intorno a Roma (famose quelle di San Callisto, Santa Domitilla, Santa Priscilla) ma anche altrove, in Italia e in altri paesi. Riguardo alla loro funzione, molti pensano ancora oggi che fossero luoghi di rifugio o di riunione clandestina per i primi cristiani vittime delle persecuzioni. Ciò non è vero. Le catacombe erano cimiteri scavati nel tufo, vere e proprie necropoli. E infatti ancora oggi si può vedere che lungo le gallerie si aprono camere sepolcrali che ospitano nicchie e loculi che contenevano le salme dei defunti. Spesso queste tombe erano ricoperte da lapidi che portavano inciso il nome della persona sepolta (le tombe dei bambini mostrano dei giocattoli o altri oggetti infantili incastonati nella calce). Nel corso del III secolo, proprio per la presenza delle tombe dei martiri, le catacombe divennero anche luoghi di preghiera e di convegno, quasi mai però, come detto, luoghi di rifugio.

Interessanti raffigurazioni

Nelle catacombe si trovano spesso immagini e decorazioni molto interessanti che ci fanno capire come i primi cristiani interpretavano la loro religione e in particolare la figura di Cristo che veniva espressa attraverso raffigurazioni simboliche. Troviamo, infatti, la colomba col ramo d’ulivo nel becco che stava a indicare la pace che Gesù portava, la nave che rappresentava la Chiesa che dirige gli uomini verso il porto della salvezza, l’ancora che rappresentava la salvezza, il pesce che simboleggiava Cristo (perché la parola pesce in greco contiene le iniziali della frase «Gesù Cristo, figlio di Dio salvatore»), il pavone che rappresentava la vita eterna, il pane che rappresentava il corpo di Gesù offerto sulla croce. In un secondo momento ai simboli cominciarono ad affiancarsi le rappresentazioni di figure umane: si hanno scene bibliche tratte dal Nuovo e dal Vecchio Testamento (Giona nella balena, Daniele tra i leoni, l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù), ma anche raffigurazioni dirette di Gesù come buon pastore, con la pecorella smarrita sulle spalle, oppure scene di uomini in preghiera.

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Catacombe. Villa Codini Colombari, Roma Simboli cristiani rinvenuti nelle catacombe

METTIAMO A FUOCO

Editto di Milano… o di Sardica?

“Editto di Milano” è un’espressione piuttosto impropria per designare l’atto con cui Costantino pose fine alle persecuzioni contro i cristiani. In realtà a Milano nel 313 non fu emanato nessun decreto imperiale redatto in modo solenne e ufficiale. Si trattò piuttosto di un’intesa pacificatrice tra Costantino e il suo rivale di allora, l’altro augusto Licinio, culminata con la decisione di confermare un precedente decreto emesso dal loro predecessore Galerio nel 311, riguardante la tolleranza religiosa. Galerio aveva preso questa decisione poco prima di morire, a Sardica (l’attuale Sofia, capitale della Bulgaria), dopo aver constatato il fallimento della sua politica persecutoria nei confronti dei cristiani. A loro concedeva perciò la libertà di culto e chiedeva di pregare il loro Dio per l’imperatore. Con l’accordo di Milano l’editto di Sardica (questo è il nome con cui andrebbe quindi in realtà chiamato) venne confermato e di esso venne data successiva comunicazione al governatore della Bitinia, una regione dell’Asia minore. È di questa comunicazione che noi abbiamo il resoconto da parte di due scrittori cristiani del tempo, Lattanzio ed Eusebio di Cesarea, mentre non possediamo il testo originale del documento.

In campo religioso si deve seguire la propria coscienza Nel resoconto di Lattanzio si riporta la seguente frase attribuita ai due augusti: «Abbiamo ritenuto con ragionamento salutare e giustissimo che a nessun uomo sia negata la facoltà di aderire ai riti dei cristiani, o di qualsiasi altra religione a cui lo diriga la sua mente, cosicché la Divinità suprema, alla cui devozione ci dedichiamo liberamente, possa accordarci la solita benevolenza e il solito favore». È interessante notare come, in questo decreto, venga concessa la libertà di praticare la propria religione non solo ai cristiani, ma anche agli appartenenti alle altre fedi. Si fa, per questo, riferimento alla coscienza personale (la propria “mente”) come all’unico criterio da seguire nello scegliere la religione a cui aderire.

Ciò significa che a nessuno deve essere imposto di praticare una religione contro la sua volontà, né da parte dell’imperatore né da parte dello stato, cosa che invece avveniva comunemente presso la quasi totalità dei popoli antichi e anche all’interno dell’Impero Romano. Questa è una vera e propria rivoluzione: per la prima volta si riconosce in un atto ufficiale la libertà religiosa come un diritto fondamentale dell’uomo. E si riconosce anche che lo stato non impone nessuna religione propria ma le guarda tutte con rispetto e benevolenza (con un’espressione usata ai giorni nostri si direbbe che lo stato deve essere “laico”).

L’editto di Teodosio… un passo indietro?

Rispetto a tutto questo, l’editto di Teodosio del 380 rappresenta un passo indietro. Con esso, infatti, si stabilisce che il Cristianesimo debba essere l’unica religione ammessa dallo stato e tutte le altre vengono proibite, e quindi poi perseguitate. In tal modo viene a perdersi quella libertà di coscienza che l’atto di Costantino invece affermava. Questo può, a prima vista, sembrare un vantaggio per il Cristianesimo, che viene privilegiato rispetto a tutte le altre religioni, ma in realtà non lo è. Chi diventava cristiano perché costretto dalla legge dello stato, finiva per esserlo solo esteriormente e non per una profonda convinzione interiore, e una fede, ogni fede, senza convinzione interiore e quindi senza libertà, non è vera fede. In secondo luogo, perché con l’editto di Teodosio la religione cristiana finiva per essere sottomessa allo stato e alla volontà dell’imperatore. Vedremo, studiando la storia dei secoli successivi, come questo creerà enormi problemi alla Chiesa che dovrà lottare anche aspramente per difendere la sua libertà dalla volontà di dominio su di essa da parte degli imperatori.

CAPITOLO 1 23
L’“editto” che non ci fu… ma che fu estremamente importante

IL PERCORSO DELLE PAROLE

I barbari sono scomparsi, di vandali invece ce ne sono ancora

La parola barbaro è di origine greca e significa “balbuziente”, cioè colui che parla in modo inarticolato e incomprensibile. Con tale termine i Greci antichi chiamavano, con evidente disprezzo, gli stranieri, coloro che non parlavano la loro lingua e che per questo erano ritenuti inferiori sia sul piano culturale che su quello civile e politico. Essere barbari voleva dire, in sintesi, essere incivili, rozzi, e soprattutto non conoscere democrazia e libertà. Questo termine rimase in uso anche a Roma e fu applicato, sempre con valore dispregiativo, alle minacciose popolazioni germaniche. Successivamente scomparve, a partire dal Medioevo (vedremo che si parla delle ultime invasioni barbariche in riferimento alle incursioni di Normanni, Ungari e Avari avvenute attorno al X secolo). Oggi nessuno più chiama “barbari” i popoli stranieri che si

affacciano sulla scena della storia.

C’è però un’altra parola legata ai popoli germanici che è rimasta in uso nel nostro linguaggio: vandalo. Con questa parola, indichiamo ancor oggi persone che compiono atti o tengono comportamenti distruttivi nei confronti di edifici, luoghi e ambienti, pubblici e non solo, e in particolare quelli di pregio artistico. Si parla per questo di atti vandalici. Il motivo di tale uso è evidente: del popolo bellicoso dei Vandali si ricordano soprattutto la devastazioni a cui sottoposero Roma e altre località italiane nel 455. Ricordiamo un’ultima curiosità: da questo termine (in particolare dall’arabo Al-Andalus, che era una storpiatura del nome Vandalusia) deriva il nome Andalusia che indica una regione meridionale della Spagna occupata in un primo tempo proprio dai Vandali.

24 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO
Monumento sfregiato da graffiti vandalici

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Le cause della caduta dell’Impero Romano sono complesse: a fattori “esterni”, costituiti dalle invasioni barbariche, si aggiunsero cause “interne” legate alla crisi politica, a quella economica e alla perdita dei valori tradizionali che avevano retto la civiltà romana per secoli.

2. Dal punto di vista politico l’Impero era stato diviso da Diocleziano mediante l’istituzione della tetrarchia. Successivamente, con Costantino, il cuore dell’Impero si spostò in oriente, a Costantinopoli, mentre la parte occidentale rimase priva di guide sicure e in preda a una crescente crisi economica e demografica. Anche l’esercito si andava sempre più imbarbarendo, con l’immissione al suo interno di truppe germaniche che non sempre garantivano la piena affidabilità.

3. I “barbari” invasero a più riprese l’Impero, soprattutto sotto la spinta degli Unni che provenivano dall’Asia. La prima grande invasione fu quella dei Visigoti, che giunsero nel 410 a saccheggiare Roma. Nel 476 fu deposto l’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo, e da questa data cessò di esistere l’Impero d’Occidente.

4. Sotto Augusto e Tiberio, visse in Palestina Gesù, che predicò una nuova religione: annunciò l’avvento di un mondo di amore e di giustizia proclamandosi il Messia, figlio di Dio. Gesù fu osteggiato e ucciso, ma il suo messaggio si diffuse, grazie anche alla fede nella sua resurrezione che i discepoli andarono testimoniando in tutto il territorio dell’Impero.

5. Nonostante le persecuzioni ad opera di alcuni imperatori romani, la religione cristiana si diffuse in tutto l’Impero. Con la diffusione del Cristianesimo si andò organizzando la Chiesa, con i vescovi, successori degli apostoli, e il papa, il vescovo di Roma, successore di Pietro, che Gesù aveva scelto come capo degli apostoli. All’interno della Chiesa si svilupparono varie eresie, che vennero però sconfitte attraverso i concili e l’opera dei Padri della Chiesa, che contribuirono a fissare i principali dogmi della fede.

6. Le persecuzioni ebbero termine con Costantino che lasciò libertà di culto ai cristiani. Teodosio, nel 380, riconobbe il Cristianesimo come unica religione dell’Impero.

CAPITOLO 1 25

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Chi istituì la tetrarchia? Per quale scopo?

2. Che cosa fecero i Visigoti, una volta giunti in Italia?

3. Che cosa convinse Attila a desistere dalla sua campagna di conquista della penisola?

4. Come morì Stilicone?

5. Quali furono le decisioni più importanti prese da Costantino durante il suo governo?

6. Come era cambiata la mentalità dei cittadini romani?

7. Che caratteristiche aveva il Regno di Dio annunciato da Gesù?

8. Perché fu importante l’opera di Paolo di Tarso?

9. Chi furono i Padri della Chiesa?

10. Che cosa stabiliva l’editto di Teodosio del 380?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Battaglia di Adrianopoli

2. Sacco di Roma da parte dei Visigoti

3. Editto di Costantino

4. Deposizione dell’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo

5. Costantino si trasferisce definitivamente a Costantinopoli

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

All’inizio del V secolo l’Impero Romano si trovava in condizioni floride. V F

I Visigoti si stanziarono inizialmente nelle province orientali dell’Impero come socii. V F

Nel 455 Roma subì una devastante incursione da parte dei Vandali. V F

Odoacre non tenne per sé le insegne imperiali. V F

Costantino proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero. V F

Nel concilio di Nicea venne condannata l’eresia ariana. V F

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Gesù

a. visse a Roma al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio.

b. visse al tempo delle invasioni barbariche.

c. visse in Palestina al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio.

26 FINISCE IL MONDO ANTICO: SI PREPARA UN MONDO NUOVO
313 326 378 410 476

Svevi

I cristiani subirono le persecuzioni degli imperatori romani perché

a. si ribellavano contro l’autorità imperiale.

b. si rifiutavano di rendere culto all’imperatore.

c. si rifiutavano di combattere al servizio dell’imperatore.

Le eresie furono

a. l’insieme dei princìpi che tutti i cristiani dovevano accettare.

b. le interpretazioni del Cristianesimo diverse da quelle del papa e dei vescovi.

c. le dottrine insegnate dai Padri della Chiesa.

L’Editto di Costantino

a. favorì la diffusione del Cristianesimo tra i suoi soldati.

b. fece diventare il Cristianesimo l’unica religione dell’Impero.

c. concesse la libertà di culto ai cristiani e agli aderenti alle altre religioni.

Esercizio 5 · Colora, nella cartina riportata, i territori dell’Impero Romano d’Occidente e dell’Impero Romano d’Oriente, usando colori diversi. Indica poi su di essa dove si trovano le principali città e le capitali. Realizza anche la legenda.

Legenda

Vandali

Roma

Ostrogoti

Visigoti

Adrianopoli (378)

Costantinopoli

Cartagine

Atene

CAPITOLO 1 27
Mar Mediterraneo
Mar Nero
Nilo
Danubio Reno
Campi Catalunici (451) Unni Angli Sassoni Vandali, Svevi e Alani Alani

San Remigio battezza Clodoveo

Maestro di Saint-Gilles (circa 1510), National Gallery, Washington

Il nuovo volto dell’Europa. Nasce il Medioevo

Un battesimo decisivo

«Abbassa il capo, condottiero; adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti!»: questa è la frase che, secondo la tradizione, avrebbe pronunciato, la notte di Natale del 496, Remigio, vescovo di Reims, al momento di battezzare il re dei Franchi Clodoveo.

Per il sovrano franco si trattò di una decisione molto sofferta e a lungo meditata, nella quale un ruolo importantissimo ebbe la moglie, la regina Clotilde. Ma fu anche una decisione che avrebbe avuto rilevanti e durature conseguenze nella storia europea.

A lui si unirono, infatti, tremila tra soldati e ufficiali, con l’intera popolazione.

Per la prima volta un popolo barbarico aderiva così in massa al Cristianesimo nella forma cattolica, e si ponevano le basi per una proficua fusione di questo popolo con i Romani. Si stava ormai aprendo la via per una nuova epoca: il Medioevo.

Schede di approfondimento

• Il Medioevo: un’epoca misteriosa e spesso fraintesa

• Come muore un filosofo: Severino Boezio

• I barbari: rozzi animali o “buoni selvaggi”?

• Le grandi regine dei merovingi

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

CAPITOLO 1 CAPITOLO 2
Capitolo 2
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1 · I Regni Romano-Barbarici

La dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente

Perché fu importante la deposizione di Romolo Augustolo?

Amministrativo

Che si occupa di amministrare, ossia di far funzionare tutte le attività di uno stato (ad esempio riscuotere le tasse, occuparsi dei lavori pubblici, ecc.). L’espressione pubblica amministrazione indica quindi l’insieme delle attività che garantiscono il miglior funzionamento possibile dello stato.

Burocratico

Che riguarda la burocrazia, termine moderno che nasce dall’unione di un vocabolo francese (bureau cioè “ufficio”) e uno greco (crazia cioè “potere”). Significa quindi “potere dell’ufficio” e indica l’insieme degli uffici nei quali si divide la pubblica amministrazione. In genere questa espressione viene usata in senso negativo, per indicare il fatto che a occuparsi dell’amministrazione statale sono troppe persone e mal coordinate fra loro, col risultato che si rallentano i tempi e si creano disagi ai cittadini.

Perché si parla di Regni “RomanoBarbarici”?

La deposizione di Romolo Augustolo non cambiò di molto la situazione dell’Impero. Già da tempo infatti gli imperatori d’Occidente non governavano più con forza e decisione ed era come se non ci fossero e, ora che non c’era più nessun imperatore, le cose non sembravano essere cambiate. Tuttavia qualcosa di nuovo era accaduto: ormai nessuno poteva più dubitare che l’Impero d’Occidente fosse finito.

Quali erano le intenzioni dei Visigoti?

Per la verità va detto che i Visigoti, i primi invasori di Roma, inizialmente non avevano intenzione di distruggere l’Impero. Essi semmai volevano prenderne il comando e renderlo più forte. Il loro re Ataulfo, successore di Alarico, disse infatti: «Non potendo essere il distruttore dell’Impero, pensai con la pace di esserne il restauratore». Per questo motivo, nel 414, aveva sposato Galla Placidia, sorellastra dell’imperatore d’Occidente Onorio, dando un chiaro segnale di voler unire e fondere i due popoli, i Romani e i Goti, e di voler continuare la tradizione imperiale romana. Purtroppo, Ataulfo venne assassinato e questo progetto fallì. Nel frattempo i Visigoti dall’Italia si erano trasferiti in Spagna, dove crearono un loro regno. In rapida successione ci furono poi nuove invasioni di altri popoli barbarici e questo causò la definitiva dissoluzione dell’Impero, anche sul piano territoriale.

Nascono i Regni Romano-Barbarici:

Romani e barbari vivono fianco a fianco senza unirsi

Man mano che occupavano territori queste nuove popolazioni si mescolavano agli abitanti del posto. Con essi avviavano rapporti di lavoro e scambi commerciali, e in alcune regioni non erano infrequenti anche i matrimoni misti. Inoltre, introducevano le loro leggi e le loro usanze, che si affiancavano a quelle romane. I loro re finivano per governare quindi su territori dove le istituzioni romane e le usanze barbariche convivevano. Per questo gli storici hanno coniato l’espressione Regni Romano-Barbarici per definire queste nuove realtà politiche. In questi regni i barbari detenevano il controllo politico e militare, mentre ai cittadini di origine romana venivano spesso lasciati i compiti amministrativi e burocratici

Va detto che non sempre le diverse tradizioni si integrarono e questo fatto costituì uno dei motivi di debolezza di molti regni. Solo chi seppe fondere meglio popoli e tradizioni differenti poté sopravvivere a lungo. È questo il caso, come vedremo, dei Franchi di Clodoveo.

30 IL N u OVO VOLTO deLL’ eurOPA . NASCe IL MedIO e VO

2 · Chi erano i “barbari”

Non avevano un’organizzazione statale È giunto a questo punto il momento di conoscere più a fondo queste popolazioni e le loro caratteristiche, anche per comprendere meglio le ragioni che resero difficile la loro convivenza con i Romani. Abbiamo già visto che erano popoli originariamente nomadi e dediti in modo particolare alla guerra. Qui aggiungiamo che vivevano divisi in tribù a loro volta suddivise in clan parentali, guidati da un patriarca. Non costituivano quindi uno stato come noi oggi lo intendiamo, cioè non abitavano territori dai confini ben definiti, non avevano persone che li governavano né leggi scritte: l’unica forma di governo che possedevano era un’assemblea di uomini liberi, quelli che portavano armi ed erano in grado di combattere, che si riunivano periodicamente (anche una sola volta all’anno, in primavera), per decidere questioni di comune interesse. Solo in caso di guerra provvedevano a eleggere un re dotato di pieni poteri. Nel tempo, quando questi popoli divennero stanziali, la figura del re divenne però sempre più importante.

Clan

Gruppo di famiglie appartenenti alla medesima discendenza, cioè tutte discendenti da uno stesso antenato.

Patriarca

dal greco patriárches che significa “capo della stirpe” indica colui che comandava una tribù, una famiglia o un insieme di famiglie, in quanto figura maschile più anziana o più autorevole. diverso, come vedremo nel prossimo capitolo, il significato di questa parola in campo religioso.

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Mar Mediterraneo Mar Nero Danubio Reno Nilo Atene Roma Bisanzio Nicomedia Eburacum (York) Milano Treviri Sirmio Antiochia Alessandria Siracusa Aquileia Tarraco (Tarragona) Lione Narbona Austrasia Neustria Regno dei Franchi Unni Regno dei Vandali Regno degli Anglo Sassoni Turingi Alemanni Longobardi Regno degli Svevi Regno dei Visigoti Cartagine Nicea Regno degli Ostrogoti Slavi Regno dei Burgundi Marsiglia Celti Frisoni Aquisgrana Ippona ingeR B r e toni I Regni Romano-Barbarici

Cavaliere detto di Stabio

Placca in bronzo dorato di oreficeria longobarda (VII secolo), Historisches Museum, Berna

origine a una catena di violenze e vendette che mettevano a rischio la sopravvivenza stessa della società. Col tempo questa usanza venne sostituita dal pagamento, come risarcimento alla vittima, di una somma in denaro detta guidrigildo. Senza le leggi, i rapporti tra gli uomini liberi si basavano sul principio della fedeltà personale: gli individui, per vivere insieme tra loro all’interno della società, prendevano solenni impegni di fedeltà e collaborazione reciproca, impegni che poi erano tenuti a rispettare in quanto, in caso contrario, avrebbero subito il disprezzo da parte di tutti gli altri uomini liberi e avrebbero compromesso il loro onore. Vedremo come questo modo di regolare i rapporti personali diventerà importante nel mondo medievale, soprattutto in quello cavalleresco e feudale.

Indoeuropeo

Il termine si riferisce a un gruppo di lingue dell’Asia e dell’europa che presentano molte somiglianze tra loro e che quindi fanno pensare a un’origine comune. Secondo gli studiosi questa origine potrebbe trovarsi in un’area geografica non ben individuata dell’Asia centro-meridionale.

Non praticavano la scrittura ed erano politeisti

Le lingue da loro usate erano di origine indoeuropea ma era pochissimo utilizzata la scrittura. Dal punto di vista religioso inizialmente praticavano il politeismo. Adoravano cioè una serie di dei legati alla natura. I popoli del nord, in particolare, riconoscevano come capo supremo dei loro dei Odino, dio della guerra. Molto diffusa era la pratica della magia e in alcuni casi sembra si praticassero anche sacrifici umani.

Si convertirono poi all’Arianesimo

Una volta insediatisi in modo stabile nel territorio romano molti di questi popoli si convertirono al Cristianesimo ariano. L’Arianesimo, una delle prime grandi eresie, nacque agli inizi del IV secolo ad opera di un sacerdote alessandrino, Ario, uomo dal grande fascino e dalla predicazione fluente. Egli insegnava che Gesù Cristo non era vero Dio, in quanto non possedeva la natura divina e perciò non poteva essere considerato eterno né onnipotente. Era quindi solo una creatura, seppure la più grande tra tutte, che Dio aveva scelto come suo rappresentante in terra. Riducendolo a un semplice uomo, questa dottrina finiva per snaturare la predicazione di Gesù, distruggendo alla radice l’originalità stessa del Cristianesimo. Queste idee, che in oriente avevano convinto molte persone, furono dichiarate eretiche e condannate, come detto, nel concilio tenutosi a Nicea nel 325. In questa occasione, si affermò che Gesù era pienamente Dio, della stessa “sostanza” del Padre. Scomparso gradualmente in Asia e in Africa, l’Arianesimo finì per diffondersi a partire dalla metà del IV secolo presso le popolazioni germaniche grazie alla predicazione del vescovo missionario ariano Ulfila.

Mangiavano e vestivano in modo diverso dai Romani

Anche nell’abbigliamento, nella cura del corpo e nel mangiare i barbari avevano caratteristiche che li rendevano molto diversi dai Romani. A differenza di questi, infatti, che si rasavano accuratamente e tenevano i capelli corti, essi portavano lunghi baffi e barbe, con capelli fluenti sulle spalle. Indossavano, inoltre, calzoni larghi e piuttosto corti e camicie comode per cavalcare, anziché tuniche lunghe. Per l’alimentazione si cibavano in abbondanza di carne, grassi animali come lardo o strutto, burro, pane di segale, accompagnati da birra e latte, mentre i Romani preferivano un’alimentazione con poca carne, a base di frumento, orzo, legumi e ortaggi, e bevevano vino.

Una difficile convivenza

Potevano questi popoli convivere con i Romani? Da quanto detto verrebbe da pensare che una convivenza fosse piuttosto difficile. L’ostacolo maggiore era rappresentato proprio dalla mancanza presso di loro di un sistema di leggi che regolasse in modo stabile i rapporti tra le persone. Essi non sentivano l’esigenza di un’organizzazione che si occupasse di dare stabilità e ordine alla vita della società, ossia di ciò che in epoca moderna verrà chiamato “stato”. A questo invece i Romani erano abituati da tempo. Tutto ciò spiega come i sovrani barbarici più accorti cercheranno di affidare proprio ai più esperti cittadini romani gli incarichi di tipo amministrativo tenendo per i loro sudditi quelli militari. Altro motivo di difficoltà nei rapporti rimase quello religioso, in quanto ormai i cittadini romani aderivano in gran parte al Cattolicesimo allora in lotta con

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Croce detta di Desiderio (fine VIII secolo), Museo di Santa Giulia, Brescia

Perché fu difficile la convivenza tra barbari e latini?

l’Arianesimo. Solo quando queste popolazioni cominceranno ad adottare leggi scritte e a convertirsi al credo cattolico lasciando l’Arianesimo si potranno avvertire i primi segnali di una convivenza più fruttuosa e serena.

Quali furono i Regni Romano-Barbarici

Non rimane, a questo punto, che fare una rapida rassegna di questi Regni Romano-Barbarici che, almeno all’inizio, furono estremamente fluidi. Alcuni di essi, infatti, ebbero una vita piuttosto breve e scomparvero quasi subito sotto l’azione di altre popolazioni. In Gallia settentrionale si insediarono i Franchi, che seppero realizzare, come vedremo, un regno potente e duraturo. Nella Gallia centrale, invece, si costituì il Regno dei Burgundi, sottomessi però ben presto proprio dai Franchi. Nella Gallia meridionale, infine, si

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insediarono i Visigoti, che nel 507, sconfitti anch’essi dai Franchi, si spostarono nella Spagna. Qui sottomisero gli Svevi, che si erano stanziati nella parte nord-occidentale, e costituirono un regno che durò fino al 711, quando avvenne la conquista degli Arabi. I Vandali, dopo essersi insediati per un certo periodo in Spagna, si diressero verso le coste nord-occidentali dell’Africa, da dove con le loro scorrerie navali costituirono una minaccia costante per Roma e per le coste italiane. Il loro regno ebbe però breve durata, in quanto vennero sconfitti e sottomessi dai Bizantini già nel 533. Ricordiamo da ultimo l’insediamento nella Britannia degli Angli e dei Sassoni provenienti dalla Scandinavia.

3 · Con i Regni Romano-Barbarici nasce il Medioevo

Finisce il mondo antico e inizia il Medioevo

Con la costituzione di questi regni, ha termine il mondo antico e ha inizio quello che, molti secoli dopo, verrà chiamato Medioevo. Oramai, infatti, sul piano politico, religioso, culturale, le principali caratteristiche dell’antichità sembrano scomparse e sostituite da nuovi elementi. Non c’è più l’Impero Romano che governa gran parte dell’Europa e al suo posto vi sono vari regni; il paganesimo è in gran parte sostituito dal Cristianesimo; le tradizioni romane si perdono a poco a poco al contatto con i nuovi popoli germanici; le leggi, gli usi e i costumi cominciano a modificarsi. Anche la lingua latina, come vedremo, andrà a poco a poco trasformandosi al contatto con le lingue dei nuovi popoli.

Non si può però parlare di una netta contrapposizione tra queste due epoche

Occorre fare attenzione, però, quando si distinguono le epoche storiche. Nella storia non ci sono mai distinzioni nette. Le caratteristiche di un’epoca non vengono mai completamente annullate e sostituite nell’epoca successiva da caratteristiche totalmente nuove e diverse. Per usare un’espressione degli studiosi, nella storia c’è continuità piuttosto che discontinuità tra le varie epoche. Questo significa che molti aspetti del mondo romano continueranno a vivere nel Medioevo e che le innovazioni introdotte dai “barbari” si innesteranno sulla tradizione romana, che non scomparirà mai del tutto.

È il Cristianesimo il “collante” di questa nuova epoca

Ci fu un fattore che, come vedremo, fece per così dire da “collante” cioè contribuì ad avvicinare sempre di più i barbari e i Romani. Si tratta del Cristianesimo. Quando i popoli germanici si converti-

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Perché si dice che il Cristianesimo fu il “collante” del Medioevo?

rono a questa nuova religione impararono ad apprezzare i valori dell’uomo in cui avevano creduto gli antichi Romani e che furono tramandati, come vedremo, attraverso l’opera paziente dei monaci amanuensi, e cominciarono, seppur lentamente, a ridurre i loro comportamenti bellicosi e a mitigare la loro indole guerresca e violenta. Come sostengono gli studiosi e come avremo modo di capire sempre meglio procedendo nel nostro lavoro, il Medioevo può considerarsi il frutto dell’unione di tre elementi: i grandi valori della tradizione latina, l’energia e la vitalità dei nuovi popoli germanici, il nuovo modo di concepire la vita introdotto dal Cristianesimo.

4 · Seguiamo da vicino le vicende italiane

Da Odoacre a Teodorico

Dopo aver deposto Romolo Augustolo, Odoacre cercò di mantenere buoni rapporti con l’imperatore d’Oriente Zenone, promettendo di mettersi al suo servizio. Questi, però, non si fidò delle pro-

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di Teodorico
(520 circa)
Mausoleo
ravenna

messe del capo degli Eruli e prese un’altra decisione: convinse gli Ostrogoti, popolazione germanica alleata di Bisanzio e stanziata in Pannonia, una regione corrispondente grosso modo all’attuale Ungheria, a muoversi verso l’Italia per sostituirsi agli Eruli. A capo degli Ostrogoti vi era Teodorico, nobile che aveva vissuto alla corte di Costantinopoli e che era stato addirittura adottato come figlio dall’imperatore. Di lui Zenone si fidava al punto di nominarlo patricius (cioè “signore” dei Romani) al posto di Odoacre.

Gli Ostrogoti in Italia

Giunti in Italia, gli Ostrogoti, nel 493, dopo un lungo assedio presero Ravenna. Qui si era rifugiato Odoacre, che venne catturato e ucciso a tradimento. Oramai Teodorico era il nuovo signore dell’Italia, re dei barbari e rappresentante dell’Impero d’Oriente. Non aveva però un compito semplice: si trattava di far convivere gli eredi della grande tradizione romana con il suo popolo ancora rozzo e per certi versi arretrato, tenendo anche conto che l’imperatore bizantino continuava a manifestare la volontà di controllare a sua volta la penisola.

La prima fase del regno di Teodorico: coabitazione, ma non fusione

Il governo di Teodorico conobbe due fasi molto diverse. Inizialmente egli, ammiratore della grandezza di Roma, cercò di far coesistere pacificamente il suo popolo con i Romani. Concesse ai suoi un terzo delle terre conquistate e il comando delle forze armate, ma lasciò ai Romani l’amministrazione e la possibilità di regolarsi secondo le proprie leggi. Inoltre, pur non convertendosi al Cattolicesimo e rimanendo saldamente ariano, non perseguitò i cattolici e ne rispettò i vescovi. Ebbe rispetto anche per gli ebrei, a cui concesse molte libertà. Per realizzare questa politica si servì della collaborazione di consiglieri di eccezione quali i senatori Cassiodoro e Simmaco e il grande filosofo Severino Boezio, esponenti dell’aristocrazia latina. Amante dell’arte, abbellì le sue città predilette, Verona, Pavia e soprattutto Ravenna, dove fece costruire il suo palazzo, la splendida chiesa di Sant’Apollinare Nuovo e il suo mausoleo

La crisi e il declino

Quando però nel 518 divenne imperatore d’Oriente Giustino, la situazione cambiò. Giustino iniziò a perseguitare gli ariani rimasti nel suo territorio e, per reazione, Teodorico agì nello stesso modo nei confronti dei cattolici del suo regno. Costrinse persino il papa Giovanni I a recarsi a Costantinopoli per convincere l’imperatore a porre fine alle sue persecuzioni ma non ottenne risultati. Sempre più preoccupato, Teodorico cominciò anche a sospettare che i suoi collaboratori romani complottassero contro di lui in favore dei Bi-

Mausoleo Tomba monumentale di grandi dimensioni, a volte con statue e decorazioni.

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Perché la politica di Teodorico non riuscì a favorire l’integrazione tra Ostrogoti e latini?

zantini. Li fece quindi arrestare e mettere a morte. Furono giustiziati anche Simmaco e Boezio. La morte colse Teodorico due anni dopo, nel 526. Oramai il suo tentativo di far vivere insieme fianco a fianco Romani e Ostrogoti era da considerarsi fallito e il suo regno stava avviandosi a un rapido declino.

5 · L’ascesa dei Franchi

L’espansione dei Franchi in Gallia

I Franchi, penetrati in Gallia attorno al 406, si erano insediati, divisi in varie tribù, nel nord, nella valle del Reno e della Mosella. Erano, tra i barbari, quelli più fieramente attaccati alle tradizioni germaniche e al paganesimo e non si erano mai convertiti all’Arianesimo. Ottenuto il riconoscimento ufficiale da parte della corte bizantina, iniziarono la loro espansione in particolare sotto il re Clodoveo. A partire dal 486 egli prima unificò il Regno Franco fino ad allora diviso, poi sconfisse gli Alemanni e, a sud, i Visigoti. Solo Teodorico, che occupò la Provenza, riuscì a fermarlo nella sua avanzata.

Il battesimo di Clodoveo

Perché fu importante il battesimo di Clodoveo?

Perché costituiva un fattore di debolezza la convinzione, diffusa presso i Franchi, che il regno fosse una proprietà privata del sovrano?

Merovingi

Nome attribuito ai re franchi fino a Carlo Magno in quanto discendenti di un sovrano quasi leggendario di nome Meroveo, vissuto nella prima metà del V secolo.

Fu nel corso di queste campagne militari che avvenne l’episodio decisivo che avrebbe cambiato il corso della storia dei Franchi e dell’intera Europa. Nel 496, anche grazie all’influenza della moglie Clotilde, fervente cattolica, Clodoveo ricevette il battesimo ad opera dal vescovo Remigio di Reims. Fu seguito in questo dai suoi soldati, dall’aristocrazia e da tutto il popolo. La conversione di Clodoveo finì per favorire la pacifica convivenza tra Franchi e Romani all’interno del regno, anche grazie ai matrimoni misti. Egli lasciò ai cittadini romani la gestione della giustizia e dell’amministrazione pubblica mentre erano franchi i capi militari e i grandi signori terrieri. I vescovi della Chiesa cattolica erano in gran parte romani ma cominciavano ad esserci anche i primi vescovi di origine franca.

In queste importanti realizzazioni c’era però un elemento di debolezza: la tendenza a considerare il regno come una proprietà privata del sovrano. Perciò, quando il re moriva, il territorio veniva diviso tra i figli e ciò ne provocava l’indebolimento e causava tensioni e lotte tra i vari fratelli.

I “re fannulloni”

Col passare del tempo, inoltre, i re merovingi finirono per disinteressarsi dell’esercizio del potere preferendo dedicarsi ai tornei, ai banchetti e alle cacce (per questo vennero chiamati “re fannulloni”).

Lasciarono così il comando nelle mani dei loro maestri di palazzo o maggiordomi (termine che allora aveva evidentemente un signifi-

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cato diverso da quello odierno e che equivale più o meno a quello di “primo ministro”). La carica di maggiordomo divenne successivamente ereditaria, passò cioè di padre in figlio, e di fatto finì per crearsi nel governo del regno una dinastia parallela a quella dei re.

Pipino il Breve diventa re dei Franchi Nel 534 i Franchi si allargarono a sud, conquistando il territorio dei Burgundi. Successivamente, nel corso del VI secolo e per gran parte del VII secolo, il Regno Franco si trovò diviso al suo interno in due parti, l’Austrasia (corrispondente all’attuale Francia nordorientale con il Belgio) e la Neustria (la Francia nord-occidentale). Nel 687 il maggiordomo Pipino di Herstal riuscì però ad unificare i due territori divenendone in pratica l’unico vero signore. Gli successe il figlio Carlo, denominato poi Martello, che nel 732 guidò l’esercito franco nella vittoriosa battaglia di Poitiers contro gli Arabi invasori.

Il figlio di questi, Pipino detto il Breve, nel 751 spodesterà l’ultimo re “fannullone”, e prenderà il suo posto, facendosi incoronare nuovo re dei Franchi .

Incoronazione di Pipino il Breve (sullo sfondo scene della guerra tra Pipino e il fratellastro Grifone) Miniatura di Jean Fouquet dalle Grandes chroniques de France (XV secolo), Bibliothèque Nationale, Parigi

Dinastia Sovrani di una stessa famiglia che si succedono per discendenza diretta, cioè di padre in figlio, al governo di un regno.

Perché si parla di re fannulloni?

METTIAMO A FUOCO

Il Medioevo: un’epoca misteriosa e spesso fraintesa

Non fu un’epoca buia

Con la caduta dell’Impero romano, l’arrivo dei nuovi popoli barbarici e la loro graduale conversione al Cristianesimo nasce, come abbiamo visto, quello che molti secoli dopo verrà chiamato Medioevo. In passato questa parola è stata usata spesso a sproposito e associata a immagini negative. In genere l’età medievale è stata vista o come un periodo misterioso, leggendario, fatto di dame, cavalieri, magie e incantesimi, oppure come un’epoca negativa (si parlava con disprezzo di “secoli bui”, di “oscuro Medioevo”) in cui la civiltà sarebbe decaduta irrimediabilmente e gli uomini sarebbero vissuti nell’ignoranza e nella superstizione. Oggi la ricerca storica ha in gran parte corretto questo giudizio.

Andare oltre i luoghi comuni

Gli storici di professione hanno pienamente rivalutato il Medioevo e lo considerano l’epoca nella quale hanno avuto origine le nazioni, le lingue e la cultura europee e per questo meritevole di studio attento e di estremo interesse. Purtroppo, invece, al di fuori dell’ambito degli esperti, nel parlare comune, nei film e nei romanzi di successo, nei programmi televisivi ricompare ancora spesso una certa visione negativa non corrispondente alla verità. Come studiosi di storia, però, non dobbiamo farci ingannare; dobbiamo attenerci ai fatti storici, andando oltre i luoghi comuni e i pregiudizi, anche quelli più consolidati.

Il Medioevo ci ha lasciato una grande eredità

Il Medioevo fu un’epoca complessa e lunghissima (circa dieci secoli; secondo alcuni storici anche di più) nella quale, come sempre, gli uomini hanno saputo dare vita a straordinarie imprese come pure a ignobili bassezze, un’epoca fatta di ombre ma anche di luci. durante l’anno avrai modo di studiare e approfondire tali diversi aspetti che ti aiuteranno a mettere nella giusta luce quest’epoca. Conoscerai i monasteri, luoghi di pace e di conforto dello spirito, ma anche di lavoro ed elaborazione culturale (pensa solo all’opera paziente di bonifica di migliaia di ettari di palude e alla trascrizione dei codici antichi compiuta dai monaci).

Ammirerai bellissime chiese romaniche e imponenti cattedrali gotiche, ti accosterai ai capolavori universali di Giotto e di dante Alighieri, ma imparerai a conoscere anche i valori della cavalleria e l’eleganza della vita delle corti francesi, il fervore di nuove attività dei Comuni italiani, patria delle prime forme di governo partecipativo e delle prime università. Sono tutti aspetti della civiltà medievale che ti faranno capire come un’epoca per lungo tempo ritenuta “buia” possa essere anche molto “luminosa”.

“Alto” e “basso” Medioevo

Proprio per la lunghezza e la complessità del periodo medievale, gli storici evitano di dare giudizi sommari e facili definizioni. Piuttosto propongono differenziazioni e periodizzazioni interne, utili a facilitare lo studio della mole immensa di materiali a disposizione. La più importante di queste periodizzazioni è quella che distingue “Alto” e “Basso” Medioevo. Il primo, grosso modo, arriverebbe fino all’anno Mille e coinciderebbe con quella che definiremo “età feudale”, mentre il secondo giungerebbe fino al XIV secolo, coincidendo con l’affermazione dei Comuni in Italia e degli stati nazionali nel resto dell’europa occidentale.

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PROTAGONISTI

Come muore un filosofo: Severino Boezio

Un uomo che ha lasciato una grande eredità Severino Boezio è un personaggio che ha lasciato un segno profondo nella cultura dei secoli successivi e di tutto il Medioevo. Fu, infatti, colui che insegnò ai medievali ad amare la filosofia, quella grande materia di studio scoperta dai greci e diventata poi patrimonio dell’intera umanità. Fu anche colui che insegnò agli uomini del suo tempo e a quelli dei secoli successivi a saper fare tesoro dell’eredità della cultura classica, in un’epoca in cui invece, con la violenza e la brutalità, si tendeva a distruggere tutto quanto era stato realizzato in precedenza.

Un maestro di filosofia uomo dai molteplici interessi (si occupò infatti di matematica, geometria, musica, logica, studi biblici), fu però soprattutto un grande filosofo. Chi erano e che cosa facevano i filosofi? I filosofi erano degli studiosi che cercavano risposte alle domande più profonde dell’uomo: perché esiste il mondo? Che cosa c’è dopo la morte? Qual è la strada per diventare felici e realizzare pienamente la propria umanità? Che cosa sono il bene e il male? A queste domande essi davano risposte riflettendo con la loro ragione e non semplicemente affidandosi a quello che dicevano le antiche leggende o i miti tramandati dal passato. Per questo erano considerati dei sapienti (filosofia significa infatti in greco “amore della sapienza”). Boezio fu l’ultimo grande filosofo dell’età antica e il primo del Medioevo.

Dopo il successo, una tragica morte dapprima apprezzato per la sua cultura e per la sua capacità di amministrare lo stato (divenne senatore e poi console nel 510, infine maestro di palazzo), cadde poi in disgrazia. Fu, infatti, accusato da re Teodorico di tramare contro di lui e di aver preso parte a una cospirazione per riportare l’Italia sotto il dominio bizantino. Per questo fu destituito da ogni carica e imprigionato nelle carceri di Pavia dove venne poi giustiziato.

Dove sta la vera felicità

In carcere Boezio ebbe modo di scrivere il suo capolavoro La consolazione della filosofia, un testo in prosa e in versi nel quale egli immagina che una donna, vecchia ma sempre bellissima, appaia nella sua cella a consolarlo delle sue sofferenze. Questa donna rappresenta la filosofia, e con lei Boezio intesse una lunga conversazione. Soprattutto si chiede in cosa consista la vera felicità dell’uomo e la donna gli risponde che la felicità non sta nel raggiungere beni su questa terra, ricchezze, onori, potere. Il destino dell’uomo è nell’aldilà, e la gioia vera sta solo in dio, il Sommo Bene. Occorre quindi, per essere felici, volgere il proprio sguardo a dio e offrire a lui la vita. Coloro invece che, compiendo il male, pensano di essere felici su questa terra si sbagliano; in realtà non lo sono veramente, in quanto, seguendo il male, si abbruttiscono e degradano la loro natura.

Come affrontare serenamente la morte Forte di questa scoperta dovuta alla filosofia, Severino Boezio poté affrontare fiducioso la dura prigionia e successivamente la morte che avvenne, con tutta probabilità, nell’ottobre del 524. La sua opera non morì con lui. Il suo testo ottenne un grande successo e divenne uno dei libri più conosciuti e amati del Medioevo e di tutta la storia della filosofia.

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Severino Boezio in carcere consolato dalle Muse e dalla Filosofia. Miniatura (XIV secolo), Bibliothèque Municipale, Rouen (Francia)

PARTIAMO DALLE FONTI

I barbari: rozzi animali o “buoni selvaggi”?

I barbari furono giudicati dai contemporanei in modi molto differenti. I testi che seguono ce ne

so e sono stranamente brutti e curvi. Per quanto abbiano la figura umana, sebbene deforme, sono

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protetti da alcun edificio, ma li evitano come tombe separate dalla vita di ogni giorno. Neppure un tugurio con il tetto di paglia si può trovare presso di loro, ma vagano attraverso montagne e selve, abituati sin dalla nascita a sopportare geli, fame e sete. Adoperano vesti di lino oppure fatte di pelli di

innanzitutto dell’affetto e della carità, virtù fondamentale secondo l’insegnamento del Signore. Quasi tutti i barbari, almeno quelli che appartengono alla stessa stirpe e hanno uno stesso re, si amano reciprocamente: quasi tutti i romani si perseguitano a vicenda. Qual è il cittadino che non ha invidia per il suo concittadino? Qual è colui che dimostra da vicino una carità senza riserve? Pur vivendo fianco a fianco, siamo disuniti per il cuore. Nel frattempo i poveri sono spogliati, le vedove piangono, gli orfani sono calpestati, tanto che molti di loro, anche di cospicui natali e di ottima educazione, si rifugiano presso i nemici per non morire sotto i colpi della pubblica persessi vanno a cercare senza dubbio tra i omani, perché non posomani l’inumanità dei ssi si differenziano da coloro presso i quali si rifugiano, per la religione come per la lingua e, se posso dirlo, per il fetore che si sprigiona dai corpi e dagli abiti dei barbari; preferiscono, ciò nonostante, sopportare presso questi popoli quella difformità di costumi che non presso i ro-

De gubernatione Dei, V, adatt.

Quali sono i comportamenti che fanno preferire i barbari ai Romani? Perché lo scrittore vede nei barbari dei comportamenti che più li avvicinano all’insegnamento di Cristo?

Come si comportano i poveri, le vedove, Che cosa si dice dei corpi e degli abiti

A questo punto tira tu le conclusioni: sintetizza in non più di dieci righe del tuo quaderno le differenze tra l’interpretazione di Ammiano Marcellino

Copia romana di un originale bronzeo (230-220 a.C. circa),

CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 43

NON TUTTI SANNO CHE

Le grandi regine dei merovingi

Una storia non sempre “al maschile”

Spesso siamo portati a pensare alla storia, soprattutto alle vicende politiche, “al maschile”, come se le donne non avessero mai avuto alcun ruolo importante nel guidare il corso degli eventi, i popoli e le nazioni. In realtà, invece, in molti casi emergono, dallo studio attento del passato, eccezionali figure femminili che hanno saputo imprimere un corso decisivo ad avvenimenti e vicende. È il caso, tra queste, delle regine merovinge, di cui ci vengono tramandate, a volte con coloriture leggendarie, spesso però con fondate basi storiche, straordinarie gesta. Si trattava di regine spesso aggressive, risolute, decise, dalla forte personalità, che sapevano essere alla pari dei loro consorti. Non sempre, inoltre, erano di sangue reale; alcune erano di rango inferiore o addirittura schiave, ma seppero diventare regine attraverso la loro abilità e il loro fascino.

Regine sante…

Già abbiamo accennato nel testo alla regina Clotilde, moglie di Clodoveo, che ebbe un ruolo importante nella conversione del marito al Cattolicesimo. un’altra regina, proclamata poi santa, fu radegonda, che da schiava, conquistò il cuore del suo padrone, il re Clotario I, che la prese in moglie. La violenza del marito però (si narra che in un eccesso d’ira le uccise il fratello) la costrinse a fuggire presso vari monasteri. Fattasi a sua volta monaca, si dedicò ad opere di carità e di assistenza ai poveri nonché alla fondazione di un importante monastero a Poitiers.

assassine…

Il cronista del tempo Gregorio di Tours ci narra anche nella sua Storia dei Franchi di due acerrime rivali, Fredegonda, regina di Neustria e Brunilde, regina di Austrasia, che dominarono la scena politica nella seconda metà del VI secolo e che non esitarono a ricorrere anche ai più efferati delitti fino a scatenare una guerra fratricida fra i loro due mariti pur di soddisfare la loro gelosia e la brama di predominio.

… e abili governanti

Altra figura di straordinario rilievo sul piano politico e religioso fu la regina Bathilde, vissuta nel VII secolo. di origini anglosassoni, fu rapita da pirati danesi e finì poi schiava presso la corte franca. Qui seppe, con la sua bellezza e il suo buon carattere, conquistare le grazie del re Clodoveo II, che la prese in sposa. rimasta vedova pochi anni dopo, si trovò ad assumere il governo del regno al posto dei figli ancora piccoli. Seppe, in questo incarico, segnalarsi per molte importanti decisioni. Finanziò e fece realizzare molte opere religiose, ospedali, abbazie, monasteri; lottò contro la simonia, cioè la pratica di comprare e vendere cariche ecclesiastiche, allora diffusa presso il clero franco; abolì tasse gravose che spingevano a volte le famiglie povere a vendere i loro figli. A lei è stato attribuito anche un provvedimento singolare: il divieto di comprare e vendere schiavi cristiani nel regno Franco. Trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita nell’abbazia femminile di Chelles, da lei stessa fondata, dove morì nel 680 in fama di santità.

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RACCONTIAMO IN BREVE

1. Nel territorio dell’Impero Romano d’Occidente occupato dai barbari sorsero alcuni regni che furono chiamati RomanoBarbarici. In tali regni la convivenza e la fusione tra Germani e Romani fu piuttosto difficile per varie ragioni: i Germani possedevano leggi primitive, non scritte, ed erano privi di un’idea di stato. Erano inoltre ariani mentre la maggioranza della popolazione romana era cattolica.

2. I Regni Romano-Barbarici ebbero diversa durata e consistenza. I più solidi furono quelli dei Franchi in Gallia e dei Visigoti in Spagna. Più fragili furono quelli dei Burgundi in Gallia centrale, degli Svevi in Spagna, dei Vandali sulle coste africane e degli Ostrogoti in Italia.

3. In questi regni i conquistatori barbari tennero per sé il potere politico e militare, insieme a un terzo delle terre, mentre ai latini fu concessa l’amministrazione dello stato e della giustizia.

4. Contro il capo degli Eruli Odoacre, che voleva governare l’Italia in nome dell’Impero d’Oriente, l’imperatore Zenone inviò Teodorico, re degli Ostrogoti e suo figlio adottivo. Teodorico uccise Odoacre, e prese possesso del territorio italiano, governandolo come re dei Goti e rappresentante dell’imperatore d’Oriente

5. Inizialmente Teodorico rispettò i romani, affidandosi per il suo governo a consiglieri latini, come Cassiodoro, Boezio e Simmaco. In seguito, però, per motivi religiosi entrò in contrasto con l’imperatore d’Oriente Giustino. Gli Ostrogoti, infatti, si erano convertiti all’Arianesimo, eresia perseguitata dall’imperatore. Questo spinse Teodorico ad agire a sua volta contro i Romani del suo regno, ormai cattolici. Molti importanti esponenti romani, tra cui il filosofo Severino Boezio, furono uccisi.

6. Il Re dei Franchi Clodoveo dopo aver conquistato gran parte della Gallia, nel 496 si convertì al Cattolicesimo, insieme con tutto il suo popolo.

7. Alla sua morte i suoi successori, della dinastia merovingia, trascurarono l’amministrazione dello stato, delegando sempre più compiti ai loro maggiordomi, che finirono per governare il regno al loro posto. Inoltre il Regno franco si divise in due parti, la Neustria e l’Austrasia, che furono riunificate nel 687 dal maggiordomo Pipino di Herstal, divenuto l’unico signore dei Franchi.

8. Nel 751 l’ultimo dei maggiordomi, Pipino il Breve, prenderà il potere facendosi incoronare re dei Franchi.

CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 45

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Come erano divise le società barbariche?

2. Quali erano le principali differenze tra la popolazioni barbariche e i romani?

3. Che cosa sosteneva l’eresia ariana? Chi diffuse l’Arianesimo presso i barbari?

4. Chi governava le tribù barbariche?

5. Come si comportò inizialmente Teodorico con i cittadini romani?

6. Chi erano Boezio, Simmaco e Cassiodoro?

7. Chi erano i maggiordomi?

8. Qual era l’elemento di debolezza del regno dei Franchi?

9. In quali parti era diviso il regno dei Franchi e chi lo unificò?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Gli Ostrogoti prendono ravenna

2. Pipino il breve si fa incoronare re dei Franchi

3. destituzione di romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente

4. Battesimo di Clodoveo

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

I Visigoti volevano la distruzione dell’Impero romano. V F

Fra barbari e romani non ci furono mai matrimoni misti. V F

Teodorico inizialmente cercò di far convivere pacificamente Ostrogoti e latini. V F

Nella seconda parte del suo regno Teodorico fece mettere a morte i principali esponenti dell’aristocrazia romana.

Il battesimo di Clodoveo ebbe delle conseguenze importantissime nella storia europea.

Pipino il Breve fu l’ultimo re fannullone.

F

F

F

46 IL N u OVO VOLTO deLL’ eurOPA . NASCe IL MedIO e VO
V
V
476 493 496 751
V

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

I barbari

a. si impadronirono di tutte le terre e imposero le loro leggi ai latini perseguitandoli.

b. occuparono un terzo delle terre e fusero lentamente le loro leggi con quelle romane.

c. occuparono soltanto un terzo delle terre dei latini.

Il battesimo di Clodoveo

a. rafforzò il potere del re dei Franchi.

b. stabilì un legame privilegiato tra la Chiesa e il regno dei Franchi.

c. contribuì a sconfiggere l’eresia ariana.

Teodorico iniziò a perseguitare i suoi collaboratori romani

a. perché lui era ariano e i romani cattolici.

b. perché era entrato in contrasto col papa.

c. perché temeva che i romani congiurassero contro di lui in favore dell’imperatore d’Oriente.

I re merovingi furono detti “fannulloni” perché

a. si disinteressavano dell’amministrazione dello stato lasciando ai loro maggiordomi gli incarichi di governo.

b. erano sempre in lotta con i maggiordomi per il governo del regno.

c. continuavano a controllare l’amministrazione del regno e furono chiamati “fannulloni” perché non seppero ben governare.

Esercizio 5 · Dopo aver riletto attentamente tutte le parti del capitolo in cui si parla dei barbari scrivi un testo di non più di 30 righe del tuo quaderno nel quale illustri le principali differenze tra barbari e Romani. È opportuno che tu disponga queste differenze in ordine di importanza.

CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 47

Trionfo di un imperatore (probabilmente Giustiniano)

Avorio detto Barberini (prima metà del VI secolo), Museo del Louvre, Parigi

La breve restaurazione imperiale

Un grande, fragile ideale

… d’entro le leggi trassi il troppo e il vano Dante, Par. VI, 12

A celebrare la grandezza dell’Impero Romano e il valore e la funzione che esso ha assunto nei secoli, il grande poeta Dante Alighieri nella sua Divina Commedia chiama l’imperatore d’Oriente Giustiniano. A lui attribuisce il merito di avere, con l’aiuto divino, riportato l’impero ai fasti antichi e, in particolare, di aver sistemato l’insieme delle leggi romane in quella grandiosa opera che fu il Corpus Juris Civilis, opera che avrà conseguenze enormi nello sviluppo della successiva civiltà europea. Il giudizio del sommo poeta fiorentino ha una sua fondatezza anche se va detto che, in realtà, il tentativo di Giustiniano fu di breve durata e i suoi frutti piuttosto fragili. Venne infatti stroncato, solo pochi anni dopo, dall’irruzione sulla scena della storia di un altro popolo nordico, quello dei Longobardi. Gli uomini dell’occidente dovranno aspettare un nuovo grande personaggio, stavolta germanico, il re dei Franchi Carlo Magno, per vedere di nuovo innalzarsi il vessillo imperiale.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• La Guerra greco-gotica: il racconto di un corrispondente di guerra del tempo

• La splendida fioritura di Ravenna

• I mosaici di Ravenna

• Le tracce dell’influenza longobarda in Italia

• Dalla faida al guidrigildo

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 3
49
per non perdere il filo

Perché l’Impero d’Oriente ebbe una durata lunghissima?

Patriarca

All’interno della Chiesa questo termine (usato soprattutto nelle Chiese orientali) indica i vescovi delle sedi di particolare importanza.

Cesaropapismo

sistema in cui chi esercita il potere politico (Cesare, ossia l’imperatore) si appropria anche del potere religioso del papa, mettendosi a capo della Chiesa. Questo va contro l’insegnamento di Gesù che invece aveva detto: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21) proprio per indicare che i due poteri andavano separati e attribuiti ad autorità diverse.

1 · L’Impero Romano d’Oriente: una vita più lunga

Le ragioni di una durata più lunga

A differenza dell’Impero Romano d’Occidente, quello d’Oriente ebbe vita molto più lunga. Durerà infatti fino al 1453, quando la sua capitale, Costantinopoli, verrà conquistata dal sultano turco Maometto II. Questa lunga durata si spiega con svariate ragioni. Innanzitutto il suo territorio era più facilmente difendibile, almeno nella sua parte centrale, rispetto a quello dell’Impero d’Occidente. In secondo luogo fu governato da imperatori che, nei momenti decisivi, seppero mostrarsi sempre all’altezza del loro compito; dotati di ampi poteri pressoché assoluti, essi, infatti, agirono sempre con forza e determinazione, rivelandosi anche abili nell’allacciare alleanze e nel servirsi di validi collaboratori. In terzo luogo, godette di una costante floridezza economica dovuta soprattutto agli intensi commerci che per secoli si svilupparono attorno alla capitale.

Il cesaropapismo

Un altro elemento determinante per questa lunga durata fu il fatto che, a differenza che in Occidente, gli imperatori si imposero anche come veri e propri capi delle chiese orientali, affermando la loro volontà sui vescovi e, in particolare, sul patriarca di Costantinopoli. In questo modo godettero sempre dell’appoggio delle autorità ecclesiastiche a loro sottomesse e vennero venerati, rispettati e ammirati dai sudditi come se fossero persone sacre. Si realizzò così il cesaropapismo, che contribuì a consolidare nel tempo il potere degli imperatori ma anche a ridurre e minacciare la libertà della Chiesa. Nel 1054 poi le chiese cristiane in territorio bizantino si staccheranno da Roma, non riconoscendo più l’autorità del papa, e daranno vita a quella che verrà chiamata Chiesa Ortodossa e questo rafforzerà ulteriormente il potere degli imperatori d’Oriente che non avranno più un contraltare nemmeno nella figura del papa mentre, al contrario, metteranno a rischio la libertà della Chiesa orientale ormai definitivamente sottomessa ai voleri imperiali.

Un impero dai tratti sempre più orientali

Dispotismo

Governo di una o più persone che impongono con la forza e la violenza la loro volontà sui sudditi.

Perché la pratica del cesaropapismo favorì il consolidamento dell’Impero?

Col passare del tempo, l’Impero d’Oriente finì per perdere le sue caratteristiche di origine romana e per assumere tratti sempre più greci e orientali. Era infatti presso gli antichi popoli orientali che gli imperatori avevano nelle loro mani tutti i poteri e, spesso, li esercitavano in maniera autoritaria e dispotica . Anche gli usi e i costumi erano orientali e col tempo il greco finì per sostituire il latino come lingua ufficiale, al punto che lo stesso imperatore finì per essere chiamato col nome greco basileus. Proprio per sottolineare questo progressivo distacco dalla tradizione occidentale l’Impero Romano

50 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

d’Oriente venne ben presto ribattezzato Impero Bizantino, proprio in riferimento all’antico nome pre­romano di Costantinopoli, cioè Bisanzio.

2 · La straordinaria opera di Giustiniano

Un grande imperatore…

L’Impero Bizantino raggiunse il suo massimo prestigio e splendore con l’imperatore Giustiniano. Questi, nipote dell’imperatore Giustino, regnò dal 527 al 565, lasciando una traccia profonda non

Perché si dice che l’Impero Bizantino assunse caratteristiche sempre più orientali?

CAPITOLO 3
51
L’imperatrice Teodora Mosaico del VI secolo (part.), Basilica di san Vitale, Ravenna

Giurista studioso, esperto delle leggi.

solo in oriente ma anche nell’Europa occidentale. Abile, capace di prendere sempre le decisioni giuste al momento giusto, infaticabile lavoratore (era soprannominato “l’imperatore insonne”) ebbe sempre al suo fianco persone valide che lo seppero ben consigliare, a partire dallo zio Giustino, per arrivare ai generali Belisario e Narsete, e a eminenti giuristi come Triboniano.

… con una moglie forte e intelligente Soprattutto, ricevette sempre un valido aiuto dalla moglie Teodora, donna di umili origini (le cronache del tempo riferiscono che era stata anche ballerina e attrice, e questo allora non era un bel biglietto di presentazione) ma intelligente, dal carattere forte e dal grande coraggio. Queste qualità emersero, in particolare, in un’occasione importante, quando convinse il marito a resistere, senza fuggire, a un tentativo di ribellione dei suoi sudditi, salvando così il suo trono.

La politica interna

Giustiniano si propose due obiettivi durante il suo governo: conservare e valorizzare la grande tradizione romana e lottare per la diffusione della fede cristiana. Pensava cioè a un impero di nuovo grande, che si fondasse sulla tradizione giuridica e sulle leggi romane, ma i cui sudditi fossero animati dalla fede e dai valori cristiani. In campo economico egli diede grande impulso ai commerci, trasformando Costantinopoli nel più grande mercato del mondo. Qui, infatti, affluivano prodotti che provenivano dall’Asia e dall’Africa e che venivano poi venduti in Europa. Introdusse a tale proposito anche una moneta, detta bisante, che ebbe poi corso per secoli in tutto il bacino del Mediterraneo.

Monofisismo

Dal greco mónos “uno” e physis “natura”, il termine indica un’eresia diffusa in oriente a partire dal V secolo, che sosteneva che Gesù Cristo avesse una sola natura: quella divina. egli era dunque soltanto Dio, mentre la sua natura umana era apparente, non reale.

Importante fu anche l’attività in campo edilizio e artistico. Giustiniano abbellì Costantinopoli con splendidi edifici, tra cui spicca la straordinaria basilica di Santa Sofia, costruita accanto ai giardini del palazzo imperiale. Rilevante fu pure la sua opera di diffusione della fede cristiana, anche se in questo campo egli favorì in modo particolare un’eresia che allora si andava diffondendo, il monofisismo. A quest’opera si affiancò la lotta contro il paganesimo di cui cancellò uno degli ultimi simboli, chiudendo, nel 529, l’Accademia Platonica di Atene.

Il Corpus Juris Civilis

Giureconsulto esperto di leggi e delle loro modalità di applicazione.

La più importante opera di Giustiniano fu però, in campo giuridico, la realizzazione del Corpus Juris Civilis. Incaricò per questo una commissione di esperti giuristi, guidati da Triboniano, a cui affidò il compito di raccogliere tutte le antiche leggi romane, emanate a partire dal II secolo d.C., ordinandole e risistemandole. A questa raccolta furono aggiunti altri testi quali il Digesto, cioè l’insieme dei pareri e delle interpretazioni delle varie leggi che i giureconsulti

52 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

L’espansione dell’Impero Bizantino sotto Giustiniano Territori dell’Impero fino al 527

Le conquiste di Giustiniano

Città importanti

romani degli ultimi tre secoli avevano dato, e le Istituzioni, una sorta di manuale destinato alla preparazione degli studenti che si avviavano a intraprendere la carriera giuridica. Il Corpus Juris Civilis fu di straordinaria importanza in quanto contribuì a salvare nel tempo il grande patrimonio delle leggi romane (il diritto romano), che altrimenti sarebbe andato perso per sempre. Il diritto romano costituisce ancora oggi uno dei contributi più importanti che Roma ha lasciato all’umanità ed è stato nei secoli la base su cui si sono costituiti gli ordinamenti giuridici di molti stati, non solo europei.

Le imprese militari

Valendosi dell’opera di abili generali, Giustiniano seppe condurre con successo una serie di campagne militari che lo portarono a riconquistare in parte i domini imperiali anche in occidente. In tal modo, ripercorse le orme dei grandi imperatori romani suoi predecessori, innanzitutto Costantino.

A oriente dopo aver intrapreso una guerra contro i Persiani, giunse a stabilire un trattato col re Cosroe I, mediante il quale si garantiva una “pace perpetua”. Verso occidente puntò a riconquistare territori finiti in mano ai barbari. Nel 533 sconfisse i Vandali stanziati in Africa settentrionale, annettendo il loro territorio al suo Impero. Due anni dopo avviò una campagna per la riconquista dell’Italia.

Perché il Corpus Juris Civilis ebbe una straordinaria importanza nella storia successiva, non solo europea?

CAPITOLO 3 53
Roma Costantinopoli

Basilica di Santa Sofia

Istanbul

eretta da Giustiniano nel VI secolo, dopo l’arrivo dei Turchi e l’inizio della dominazione musulmana è stata trasformata in moschea.

La Guerra greco-gotica in Italia (535-553)

Nel 535 un corpo di spedizione bizantino, sotto il comando del generale Belisario, attaccò i domini ostrogoti in Italia. Fu l’inizio di quella che venne chiamata Guerra greco­gotica, e che si concluse nel 553, dopo aver causato decine di migliaia di morti, distruzioni e devastazioni in tutto il territorio della penisola. Alla fine la vittoria arrise ai Bizantini guidati da un altro grande generale, Narsete, e l’Italia tornò di nuovo nelle mani dell’Impero Romano. Stavolta però si trattava dell’Impero d’Oriente, e l’Italia che usciva dalla guerra era un paese stremato e distrutto, oltre che dal lungo conflitto, anche da pestilenze e carestie che la guerra aveva portato con sé.

54 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

I difficili rapporti dei Bizantini con la popolazione italica

Con un provvedimento chiamato Prammatica Sanzione, emanato nel 554, Giustiniano organizzò il governo del territorio italiano appena riconquistato. A governarlo, come rappresentante dell’imperatore, sarebbe stato un esarca (parola che in greco significa “comandante”), che risiedeva a Ravenna e che deteneva i poteri militari e civili. Anche ai vescovi venivano affidati incarichi nel governo delle città.

Il governo bizantino dell’Italia non fu però ben visto dalla popolazione: le tasse eccessive imposte per rifarsi dei costi del conflitto resero i latini ostili ai nuovi governanti. Contrasti di carattere religioso col papa contribuirono ad aumentare questa ostilità.

Alla morte di Giustiniano, avvenuta nel 565, i domini bizantini in Italia non davano certo la garanzia di poter durare a lungo, anche perché nuovi popoli invasori si stavano avvicinando.

3 · Arrivano i Longobardi: l’Italia si spezza in due

Un’invasione inarrestabile

Pochi anni dopo la morte di Giustiniano, una nuova tragedia si abbatté infatti sull’Italia. Nel 568 i Longobardi, una bellicosa popolazione germanica proveniente dalla Pannonia, invasero la penisola. Si trattava di un intero popolo di circa 250.000 persone che, scese dal Friuli, occuparono Cividale, Aquileia e successivamente Pavia. Quest’ultima, conquistata nel 571, divenne la loro capitale. I Longobardi si spinsero poi più a sud, verso l’Italia centrale, dove costituirono i Ducati di Spoleto e di Benevento. Sotto la dominazione bizantina rimasero i territori intorno a Ravenna, le attuali Marche, il territorio di Roma e di Napoli, la Puglia, la Calabria e le isole. L’Italia pertanto risultò spaccata in due.

Chi erano i Longobardi?

I Longobardi erano originari della parte settentrionale dell’Europa. Il loro nome deriva probabilmente dall’alabarda, o bar, una lunga asta che costituiva la loro arma più usata, oppure dalle lunghe barbe che portavano. I loro costumi non erano diversi da quelli delle altre popolazioni germaniche. Non avevano leggi scritte né il senso dello stato; concepivano solo la fedeltà personale ai loro capi e praticavano la faida, non solo contro l’autore di un’offesa, ma anche nei confronti dei suoi familiari. Sul piano religioso seguivano l’eresia ariana.

Perché il governo bizantino dell’Italia non fu positivo?

CAPITOLO 3 55

Perché fu difficile il rapporto tra popolazione latina e dominatori longobardi?

Un comportamento spesso brutale

All’inizio le popolazioni italiche non opposero particolare resistenza all’avanzata longobarda: forte era infatti il risentimento contro il duro governo dei Bizantini. Nonostante ciò, i Longobardi imposero agli abitanti dei territori sottomessi condizioni ancora più dure: confiscavano gran parte delle terre, commettevano efferate violenze, violavano chiese e monasteri trattando con durezza i latini. La condizione, per gli abitanti della penisola, non fu quindi migliore rispetto a prima.

I Longobardi diventano cattolici

Le cose cominciarono a cambiare in seguito al matrimonio del re Autari con Teodolinda, principessa bavarese di religione cattolica. Questa, rimasta vedova del primo marito, ne sposò il successore, Agilulfo e, come già Clotilde con i Franchi, ebbe un ruolo importante nella conversione del nuovo re al Cattolicesimo. Con Agilulfo, anche gran parte del popolo longobardo aderì alla nuova religione.

Perché l’Editto di Rotari costituisce un progresso rispetto alla tradizione barbarica?

L’Editto di Rotari, primo codice di leggi non romane

Lamina detta di Agilulfo

Arte orafa longobarda (VII secolo circa), Museo del Bargello, Firenze

Altra figura eminente nella storia longobarda fu il re Rotari, che nel 643 emanò un celebre editto con il quale si ebbe la prima codificazione di leggi scritte non romane in Italia. Si trattava di un codice redatto in un latino un po’ rozzo, che conteneva princìpi legislativi che si rifacevano alla tradizione germanica ma in parte anche al diritto romano e a quello ecclesiastico. La conversione alla fede cattolica e l’Editto di Rotari, unitamente alla convivenza ravvicinata, crearono le condizioni per un graduale miglioramento dei rapporti dei dominatori longobardi con la popolazione romana.

56 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

Mar Mediterraneo

Territori bizantini e longobardi in Italia

Territori

bizantini

Territori longobardi

Città importanti

La società longobarda: una società tripartita

L’Editto di Rotari è importante anche perché ci fa conoscere la società longobarda di quel tempo. Si trattava di una società tripartita che vedeva al vertice gli uomini liberi (detti arimanni), gli unici che potevano portare le armi e possedere terreni e che perciò godevano dei pieni diritti. All’opposto vi erano i non liberi, i servi, considerati come schiavi sottomessi all’autorità del padrone. A metà strada vi erano poi gli aldii, che godevano della libertà personale ma non potevano possedere terra né portare le armi. Essi, per il loro sostentamento, ricevevano dal padrone un appezzamento di terreno da coltivare che però non potevano abbandonare.

Un altro elemento interessante dell’editto, che documenta i progressi dei Longobardi in materia di diritto, è la sostituzione della faida con il guidrigildo, una somma in denaro con cui il colpevole risarciva i parenti della vittima.

CAPITOLO 3 57
Po Tevere Roma Pavia Ravenna Benevento Rimini Spoleto Milano

PARTIAMO DALLE FONTI

La Guerra greco-gotica: il racconto di un corrispondente di guerra del tempo

procopio di Cesarea, storico della corte bizantina, accompagnò belisario nella sua campagna militare in italia contro i Goti. il frutto di questa sua esperienza di “corrispondente di guerra” fu La guerra gotica, una cronaca in otto libri in gran parte dedicati alla narrazione del conflitto e delle terribili condizioni in cui l’italia venne a trovarsi in quella circostanza. ecco alcuni passi impressionanti di questo drammatico racconto: «L’estate si stava avvicinando e il grano cresceva spontaneamente, ma in quantità molto inferiore al solito, perché non era stato deposto con l’aratro nei solchi, ma era rimasto in superficie, per cui la terra non l’aveva potuto fecondare. e, non essendoci nessuno che lo mietesse, cadeva una volta maturo, e non nasceva più nient’altro. Così avveniva in umbria, in emilia e anche in toscana. Chi abitava in montagna faceva il pane con le ghiande macinate. La maggioranza della popolazione però era colpita da ogni sorta di malattie ed erano in pochi a salvarsi. nel piceno morirono di fame più di cinquantamila contadini, molti di più morirono nella regione bagnata dallo ionio. tutti diventavano magri e pallidi, sino a ridursi a pelle e ossa e la bile aumentava nel corpo da farlo diventare di un colorito giallo. molti morirono di fame; alcuni, quando dopo un lungo digiuno riuscivano ad avere un po’ di cibo, lo mangiavano tanto avidamente da morire d’indigestione, in quanto il loro corpo indebolito non era in grado di digerire quello che avevano ingoiato. molti, spinti dalla fame, se vedevano un po’ d’erba sui campi, vi si buttavano sopra e, in ginocchio, cercavano di strapparla, ma erano tanto deboli da non riuscire neanche a questo, e stramazzavano a terra morti. e non c’era nessuno che pensasse a seppellirli e neppure gli uccelli rapaci si gettavano sui loro cadaveri, perché non c’era più un filo di carne da portar via». Da La guerra gotica, libro ii, adatt.

1. Perché il grano cresceva in quantità inferiore al solito? E perché cadeva subito, una volta maturo?

2. Con che cosa facevano il pane gli abitanti delle montagne? Ti sembra un pane più sostanzioso di quello fatto con la farina?

3. In che condizioni si trovavano coloro che erano colpiti dalla carestia?

4. Quali territori dell’Italia furono particolarmente interessati da questa tragica situazione?

5. Che cosa si dice a proposito dei cadaveri? Guerrieri barbari

58 La breve restaurazione imperiaLe

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

La splendida fioritura di Ravenna

Un luogo protetto e sicuro

Ravenna disponeva, fin dai tempi di Augusto, del grande porto di Classe che, secondo quanto riferisce lo storico antico Cassio Dione, era in grado di ospitare ben 250 imbarcazioni. La presenza di questo porto, che garantiva un collegamento diretto con Costantinopoli e quindi una facile via di fuga, nonché la protezione assicurata dalle paludi che la circondavano quasi per intero, spinsero nel 402 l’imperatore Onorio a trasferire la sua corte da Milano a Ravenna. Da quel momento in poi iniziò per la città un periodo breve ma intensissimo di straordinaria fioritura che passò attraverso tre fasi: la fase tardo-imperiale, legata a Onorio e alla sorella Galla Placidia, quella teodoriciana e infine quella bizantina, che fece seguito alla Guerra greco-gotica.

La fase tardo-imperiale

Alla prima di queste tre fasi, che vide la città arricchirsi di molti edifici sacri oltre che del palazzo imperiale, risale il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, piccola cappella, estremamente spoglia all’esterno ma decorata internamente con straordinari mosaici, tra cui quello celebre del Buon pastore si trattava in realtà di un oratorio (cioè un luogo di culto riservato a persone particolari) dedicato a san Lorenzo e non è sicuro che contenesse la tomba della sorella dell’imperatore, sebbene vi sia conservato un sarcofago a lei intitolato.

L’avvento di Teodorico: sorgono edifici dedicati al culto ariano

Con il re goto Teodorico, a Ravenna fece il suo ingresso l’Arianesimo. Per tale culto vennero infatti eretti la basilica di sant’Apollinare nuovo (poi riconsacrata al culto cattolico nel 561) e il Battistero cosiddetto “degli Ariani”. A Ravenna è anche conservato il mausoleo di Teodorico.

L’arrivo dei Bizantini

A seguito della Guerra greco-gotica, la città divenne la capitale dei territori bizantini in Italia e si abbellì di ulteriori importanti edifici. Ricordiamo in particolare la chiesa di san Vitale e quella di sant’Apollinare in Classe, vicina all’omonimo por-

to. Quest’ultima è la più grande basilica paleocristiana e costituisce un vero e proprio capolavoro dell’architettura con la doppia fila di eleganti colonne che la dividono in tre navate e si concludono in un’abside dominata dal mosaico dagli straordinari colori, raffigurante il santo vescovo Apollinare.

Dopo questo periodo Ravenna perse la sua rilevanza storico-politica, ma non la sua importanza artistico-culturale. Tra l’altro, ricordiamo che ospitò Dante Alighieri negli ultimi anni della sua vita e ne conserva tuttora la tomba.

Gli straordinari mosaici

La presenza di mosaici dalla ricchissima fattura e dai colori vivi e straordinariamente luminosi è, come già accennato, una delle caratteristiche che contraddistinguono gli edifici sacri di questa città. I mosaici, come forse saprai, sono raffigurazioni ottenute mediante l’accostamento su una parete di piccole tessere colorate che, viste nell’insieme, formano figure unitarie. Tra i più celebri ricordiamo quelli di san Vitale, raffiguranti Giustiniano e Teodora con la corte imperiale; in essi viene glorificato il grande imperatore d’Oriente, rappresentato quasi come una divinità.

Basilica Sant’Apollinare in Classe (Ravenna)

L’interno a tre navate, separate da 24 colonne di marmo

CAPITOLO 3 59
60 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

LEGGIAMO L’ARTE I mosaici di Ravenna

Tra i capolavori di cui Ravenna è ricca si segnalano gli splendidi mosaici, opera di artisti bizantini. Tra questi è interessante esaminare attentamente quello che raffigura il corteo imperiale di Giustiniano, realizzato nella chiesa di san Vitale. Giustiniano occupa il centro della scena, con il mantello scuro, e ha in mano un vassoio contenente una preziosa offerta che sta donando alla chiesa. Dopo aver attentamente osservato il mosaico puoi rispondere alle seguenti domande, anche con l’aiuto dell’insegnante di educazione artistica:

1. Di che colore è il fondo del mosaico? Perché, secondo te, si utilizzava questo colore?

2. La posizione centrale occupata da Giustiniano è importante? Perché?

3. Che cosa tiene in mano il vescovo di Ravenna raffigurato alla sua sinistra? Riesci a leggere il suo nome che è scritto in alto sopra la sua testa?

4. Alla destra di Giustiniano si riconoscono dei soldati con uno scudo sul quale sono scritte le prime due lettere del nome greco di Cristo. Riesci a capire quali sono? Perché, secondo te, i soldati portano queste lettere sullo scudo?

5. Alla sinistra del vescovo sono rappresentati due chierici. Da cosa si riconoscono? Osserva in particolare l’acconciatura dei capelli: che cosa noti?

6. La scena si presenta statica o movimentata? È una scena importante e solenne o piuttosto una scena semplice, di vita quotidiana?

7. Cosa si nota intorno alla testa di Giustiniano? Ha qualche significato?

8. A conclusione di questa analisi puoi anche sintetizzare in poche righe sul tuo quaderno di lavoro il significato di questa rappresentazione e quale immagine dell’imperatore essa vuole trasmettere.

CAPITOLO 3
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L’imperatore Giustiniano con il suo seguito Basilica di San Vitale, Ravenna

METTIAMO A FUOCO

Le tracce dell’influenza longobarda in Italia

L’importanza dei nomi

La toponomastica, cioè lo studio dell’origine e del significato dei nomi delle località, è un utilissimo strumento per ricostruire l’influenza longobarda in Italia. si può partire, per avere un’idea di questo, dal nome stesso della regione Lombardia, che rimanda proprio a tale popolo. L’antico nome della regione, Langobardia, che in origine indicava però l’intera Pianura Padana, significa infatti “terra dei Longobardi”. si possono poi rintracciare altri nomi interessanti di località che ne rivelano l’origine longobarda. ne ricordiamo alcuni significativi. In Piemonte ci sono Bra (Cuneo), che prende il nome da braida, ossia “campo coltivato a prato”, Racconigi (Cuneo) dal nome longobardo Rachis, Fara

novarese (novara), ma anche Fara sabina (Rieti) e Fara d’Adda (Bergamo), che prendono il nome dalla fara, l’insieme di un certo numero di famiglie imparentate fra loro che costituiva il gruppo base della società di questo popolo. In Lombardia troviamo Gardone (Brescia), che deriva da warda, ossia “guardia militare”, e sondrio, che deriva da sundrium, il terreno lavorato dal padrone. scendendo verso sud, in emilia-Romagna e in Toscana troviamo Guastalla (Reggio emilia), che deriva da wardestalla, il posto di guardia, e Radicondoli (siena), che proviene dal nome Radegunda

Anche molti vocaboli della nostra lingua hanno un’origine longobarda. Ad esempio panca, bara, palla, schiena, schermo, stormo, tuffo, ricco.

62 L A BR e Ve R esTAu RA zIO ne IMPeRIALe

I lasciti in campo artistico

In campo artistico, pur non raggiungendo il livello dei Romani né quello dei contemporanei Bizantini, i Longobardi ci hanno lasciato opere di rara bellezza. Innanzitutto abbiamo i capolavori dell’oreficeria: croci d’oro o ricoperte di gemme, fibule, coperture di evangeliarii (libri conservati nelle chiese, che contengono i vangeli), borchie lavorate. Tra i più preziosi oggetti di provenienza longobarda (ma la datazione è tuttora discussa tra gli studiosi) vi è la Corona Ferrea, conservata attualmente nel duomo di Monza, con la quale furono incoronati nei secoli successivi molti re d’Italia. Purtroppo la quasi totalità degli edifici e delle chiese eretti dai Longobardi tra il VII e l’VIII secolo sono andati distrutti o hanno subìto nel tempo profondi rimaneggiamenti e con essi anche i cicli pittorici che ne affrescavano le pareti (si ricordano in particolare quelli ancora parzialmen-

te visibili nella chiesa di santa Maria foris portas a Castelseprio, in provincia di Varese, e in quella di san Vincenzo al Volturno a Castel san Vincenzo in provincia di Isernia). Anche Pavia, la loro capitale, conserva pochi resti risalenti a quel periodo. L’edificio longobardo più famoso e meglio conservato si trova a Cividale del Friuli, località che fu sede di un importante ducato; si tratta dell’Oratorio di santa Maria in Valle, un tempietto piuttosto semplice nella forma, ma dotato di straordinarie decorazioni in rilievo che ci consentono di apprezzare meglio la raffinatezza che questo popolo andò gradualmente assumendo a contatto con il mondo latino e il Cattolicesimo.

L’influenza longobarda

al di fuori della Pianura Padana non si deve pensare che l’influenza longobarda in Italia sia limitata alla sola Pianura Padana. Come visto, essi costituirono due importanti ducati nell’Italia centro-meridionale, quello di spoleto e quello di Benevento. Tali ducati ebbero in gran parte vita autonoma e sopravvissero alla caduta del regno nel 774. Quello di Benevento in particolare finì dopo la conquista dei normanni avvenuta nel corso dell’XI secolo. Anche in queste aree i Longobardi lasciarono chiese ed edifici, in gran parte però andati perduti.

I Longobardi nella letteratura italiana

Le vicende dei Longobardi hanno ispirato anche opere di due importanti scrittori dell’età romantica, come Vittorio Alfieri e Alessandro Manzoni. Quest’ultimo nella sua tragedia Adelchi narra le vicende romanzate dell’ultimo re longobardo Desiderio, nel momento della caduta del suo regno ad opera dei Franchi, e in particolare quelle dei due sfortunati figli del re: Adelchi, sconfitto e ucciso a tradimento, ed ermengarda, finita prima in sposa a Carlo Magno e poi da lui ripudiata. si tratta di invenzioni letterarie del grande scrittore milanese: Adelchi infatti non venne assassinato ma, dopo la caduta del regno, trovò rifugio a Costantinopoli, mentre di ermengarda, personaggio realmente esistito e che andò effettivamente in sposa a Carlo Magno, non si conosce neppure il nome esatto.

CAPITOLO 3 63
Cristo in gloria Ara del Duca Ratchis (740 d.C. circa) Museo Cristiano, Cividale del Friuli

PARTIAMO DALLE FONTI

Dalla faida al guidrigildo

Oltre ad essere la prima raccolta di leggi longobarde, l’editto di Rotari costituisce uno dei pochi casi di legislazione scritta di tutta l’europa barbarica. Come sappiamo, fin dall’antichità il passaggio da consuetudini tramandate oralmente a leggi scritte, e perciò fissate una volta per tutte e immodificabili, ha sempre rappresentato per la società e per il diritto un sicuro progresso, e così è stato anche in questo caso.

Ti proponiamo di leggere con attenzione questo breve brano e poi di rispondere alle domande riportate sotto:

Biblioteca dell’Abbazia di San Gallo, Svizzera

«Riguardo alle ferite, che avvenissero tra uomini liberi, ci si comporterà secondo questi criteri, ponendo fine alla faida, ovvero all’inimicizia. se qualcuno avrà ferito un altro, in maniera da rompere la sola cute coperta dai capelli, darà un risarcimento di sei soldi. se avrà causato due ferite, darà dodici soldi. se le ferite saranno fino a tre, darà una composizione di diciotto soldi. se invece saranno di più, non si calcoleranno e si pagherà la composizione solo per le prime tre».

Dai Monumenta Germaniae Historica, adatt.

1. Come viene definita la faida? Di che cosa si trattava?

2. Con che cosa viene sostituita?

3. Perché all’inizio si parla di uomini liberi? A che cosa fa pensare questo riferimento?

4. L’introduzione del guidrigildo ti sembra un progresso nell’esercizio del diritto? Perché?

Editto di Rotari
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RACCONTIAMO IN BREVE

1. A differenza dell’Impero Romano d’Occidente, quello d’Oriente ebbe una vita più lunga e durò fino al 1453, conoscendo periodi di straordinaria fioritura economica ma staccandosi progressivamente dalla tradizione romana. L’imperatore conservò sempre un potere pressoché assoluto, affermando anche il proprio controllo sulla vita religiosa, il cosiddetto cesaropapismo.

2. Il più importante imperatore d’Oriente fu Giustiniano, che difese la fede cristiana e cercò si restaurare il potere imperiale. Con l’aiuto della moglie Teodora, dei suoi generali e del giurista Triboniano, realizzò grandi imprese sia in campo civile che militare.

3. In campo economico Giustiniano fece di Costantinopoli il più grande mercato mondiale del tempo; in ambito religioso, Giustiniano non si oppose all’eresia monofisita; in campo giuridico, promosse una raccolta ragionata e completa delle leggi romane, chiamata “Corpus Juris Civilis”.

4. Giustiniano promosse una serie di spedizioni militari con lo scopo di riportare l’Impero Romano agli antichi confini. Sconfisse i Vandali, riconquistando il controllo dell’Africa del Nord. Poi avviò la riconquista dell’Italia con una guerra che fu detta greco-gotica. Dopo diciott’anni di duro conflitto i Bizantini ebbero la meglio e riuscirono a ricacciare gli Ostrogoti oltre le Alpi.

5. Con una legge, chiamata Prammatica Sanzione, Giustiniano pose l’Italia sotto il dominio di un governatore detto esarca; ma fu costretto a imporre pesanti tasse alla popolazione. Questo, aggiunto ai conflitti con il papa, rese il dominio bizantino molto impopolare.

6. Nel 568 una feroce popolazione barbarica di origine germanica, i Longobardi, irruppe in Italia, strappando ai Bizantini gran parte dei loro territori e dividendo in due la penisola. Ai Bizantini rimasero Ravenna, le Marche, la Liguria, Roma, Napoli, la Puglia, la Calabria, le isole, mentre il resto del territorio passò sotto il dominio longobardo. Pavia divenne la capitale longobarda.

7. La conversione dei Longobardi al Cattolicesimo favorì la civilizzazione di questa popolazione. Uno dei segnali di questo fu l’emanazione da parte del re Rotari di un editto, il primo codice di leggi scritte di una popolazione germanica, che contribuì anche a migliorare i rapporti con i latini.

CAPITOLO 3 65

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Che cosa si intende per cesaropapismo?

2. Chi fu la moglie di Giustiniano?

3. Che obiettivi si propose Giustiniano nel governo dell’Impero?

4. Che cos’è il bisante?

5. Come si chiamava la suprema autorità bizantina in Italia?

6. Come erano visti i bizantini dalla popolazione italica?

7. Quando i Longobardi si convertirono al Cattolicesimo?

8. Che cos’è l’editto di Rotari?

9. Che cos’è il guidrigildo?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Discesa di Longobardi in Italia

2. Fine della Guerra greco-gotica

3. Fine dell’Impero Romano d’Oriente

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

L’Impero Bizantino ebbe un grande sviluppo sul piano economico e commerciale. V F

Gli imperatori bizantini trovarono sempre grande opposizione nella Chiesa. V F

I Bizantini sconfissero i Vandali e conquistarono i loro territori.

La Guerra greco-gotica si concluse con la vittoria dei Goti.

V F

V F

Pavia fu la capitale dei Longobardi. V F

I domini longobardi in Italia furono limitati all’attuale Lombardia. V F

I Longobardi si integrarono facilmente con la popolazione latina. V F

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Il Corpus Juris Civilis era costituito da

a. una raccolta di tutte le leggi romane a partire dal II secolo d.C.

b. una raccolta di tutte le principali leggi dell’Impero Romano e dei pareri dei maggiori giuristi romani dell’antichità.

c. una raccolta di leggi dell’antichità.

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553 568 1453

La dominazione bizantina non fu vista con favore dagli italici

a. perché i Bizantini imposero pesanti tasse per sostenere le loro spese militari in Italia.

b. perché Giustiniano non seppe impedire lo stanziamento ai confini dell’Impero di nuovi popoli barbarici, che costituivano una grave minaccia.

c. perché i Bizantini erano di religione ariana.

I Longobardi, dopo aver conquistato l’Italia,

a. resero schiava la popolazione e imposero l’Arianesimo.

b. lasciarono agli italici gran parte delle terre, come avevano fatto gli altri invasori barbarici.

c. si impadronirono di gran parte dei beni degli italici.

Il miglioramento dei rapporti tra Longobardi e latini fu favorito

a. dalle migliorate condizioni economiche del paese.

b. dal fatto che i Longobardi impararono la lingua latina.

c. dall’editto di Rotari e dalla conversione dei Longobardi al Cattolicesimo.

Esercizio 5 · Dopo aver riletto attentamente tutte le parti del capitolo in cui si parla dei Longobardi completa la seguente tabella di sintesi. L’ultima riga è lasciata in bianco per consentire a te di aggiungere qualche elemento che ritieni importante indicare.

Origine del nome

Provenienza

Territori occupati in Italia

Concezione dello stato

Pratica delle leggi

struttura della società

Religione

Contributi in campo artistico-culturale

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San Gregorio Magno al suo scrittoio con tre scribi Avorio di provenienza franca (seconda metà del X secolo), Kunsthistorisches Museum, Vienna

L’Europa diventa cristiana

Le basi di una nuova civiltà

In un’epoca ancora pervasa da violenze, scorrerie, distruzioni, si cominciavano a intravedere segnali di novità. Tra questi, innanzitutto, i monasteri, che sorsero quasi ovunque in Europa: luoghi di pace e di ricostruzione del bene comune nei quali uomini, animati dalla fede e dagli ideali cristiani, si dedicavano alla preghiera, al lavoro nei campi e sui libri, all’accoglienza e all’assistenza dei poveri. All’origine di tutto questo vi fu l’opera di Benedetto da Norcia, che pose le basi di questa straordinaria esperienza, redigendo la prima “Regola” che divenne modello per tutte le esperienze simili che si sarebbero sviluppate anche nei secoli successivi. A lui si affiancarono altri uomini di fede come Agostino, Patrizio, Colombano, Bonifacio, Cirillo, Metodio che diedero vita alla grande epopea dell’evangelizzazione dei popoli europei.

Grazie all’opera del vescovo di Roma, Gregorio Magno, anche il papato assunse prestigio e iniziò a rivestire un ruolo importante sul piano politico oltre che su quello religioso.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Perché i re venivano “unti”?

• La vita in un monastero benedettino

• Ermanno di Reichenau:

il disabile diventato genio

• Perché il lavoro

è importante per l’uomo

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 4
per non perdere il filo

Monaco

dal greco monachós che significa “unico”, “solitario”, indica chi si consacra a dio con i voti di castità, povertà e obbedienza, vivendo da eremita o in comunità in un monastero.

Anacoreta

Termine di origine greca (anachoreta) che significa “colui che si ritira”.

Eremita

Termine di origine greca (eremita) che significa “solitario, colui che vive da solo”.

1 · La grande stagione del monachesimo

Chi erano i monaci

Fin dagli inizi del Cristianesimo, molte persone, volendo dedicare tutta la loro vita alla preghiera e alla contemplazione di Dio, avevano preso l’impegnativa decisione di “abbandonare il mondo”, cioè di lasciare beni materiali, ricchezze, affetti per andare a vivere in luoghi remoti e disabitati dove nulla li potesse distrarre dal colloquio con Dio. Così facendo imitavano Gesù, che aveva trascorso lunghi periodi di preghiera nel deserto. Si trattava dei monaci anacoreti o eremiti che vissero inizialmente soprattutto in Egitto, nel vicino oriente, in Palestina. Alcuni di loro, in Oriente, scelsero addirittura di trascorrere la vita su piattaforme poste sopra colonne, e vennero perciò chiamati stiliti (dal greco stylos “colonna”).

Eremiti e cenobiti

Perché gli eremiti abbandonavano il mondo per vivere in luoghi solitari e inospitali?

Non era però facile trascorrere tutta la vita in totale solitudine. Per questo, accanto a questa forma eremitica, sorse un’altra esperienza. Gruppi di monaci, per sostenersi nella vita di preghiera e di meditazione, decisero di vivere in comunità, dedicandosi perciò anche alle attività necessarie a procurarsi i mezzi di sostentamento. Per poter vivere insieme, questi monaci si davano delle regole che tutti i membri della comunità erano tenuti a rispettare. Vennero chiamati cenobiti, con una parola di origine greca che significa appunto “coloro che fanno vita in comune”. Una figura molto importante del monachesimo cenobitico fu san Basilio, un monaco originario della Cappadocia (nell’attuale Turchia) che redasse una “Regola” seguita ancora oggi, soprattutto nelle chiese orientali.

San Benedetto

La figura più importante del monachesimo occidentale fu, però, Benedetto da Norcia, la cui influenza nella storia della civiltà europea fu decisiva. Nato da un’agiata famiglia attorno al 480, Benedetto, come tutti i ragazzi della sua condizione, fu mandato a Roma a studiare. Qui, però, rimase deluso e disgustato dalla vita frivola e superficiale che molti conducevano. Decise, quindi, di dedicarsi all’eremitaggio seguendo l’esempio dei monaci orientali. Ritiratosi a vivere in solitudine in una caverna, sulle montagne vicino a Subiaco, a est di Roma, cercò con la preghiera continua, la meditazione, il digiuno, di avvicinarsi sempre più a Dio.

Quando però si sparse in giro la voce della sua santità, arrivarono molti giovani desiderosi di unirsi a lui e seguire il suo esempio. A questo punto Benedetto decise di modificare la sua scelta e abbandonò la vita eremitica per costituire numerose comunità monastiche, tra cui anche una comunità femminile, organizzata dalla sorella Scolastica.

70 L’Eu ROPA dIVEnTA CRIsTIAnA

Nasce l’abbazia di Montecassino

Trasferitosi poi nella località di Cassino, ai confini tra il Lazio e la Campania, sui resti di antichi templi pagani costruì il suo primo monastero. Si tratta della celeberrima abbazia di Montecassino, che divenne la culla e la sede di irraggiamento di tutto il monachesimo occidentale. Questa abbazia, nonostante parecchie tragiche vicissitudini che l’hanno colpita nella storia (saccheggi, distruzioni, ultima quella dovuta ai bombardamenti angloamericani durante la Seconda guerra mondiale), è ancora oggi un centro straordinario di vita religiosa, di studio e di cultura.

Il gran numero di giovani che si decidevano a seguire questa esperienza spinse Benedetto a dare ai suoi monaci delle norme di vita precise formulate in una Regola che costituì una base per tutte le esperienze monastiche nate poi in Europa anche nei secoli successivi.

L’abate Desiderio di Montecassino offre codici e possedimenti a san Benedetto Miniatura da un manoscritto cassinese del VI secolo, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano

Monastero

Insieme di edifici che costituiscono la residenza di una comunità monastica.

Abbazia

sinonimo di monastero, deriva dall’antica parola ebraica abba che significa “padre”. Col tempo è passato a indicare più propriamente la chiesa all’interno del monastero.

Perché vennero create nei monasteri le “regole”? A che cosa servivano?

Perché il valore dato da san Benedetto al lavoro fu un fatto rivoluzionario?

Non solo preghiera, ma anche lavoro

Fulcro principale della Regola era il motto ora et labora (prega e lavora): la vita dei monaci era dedicata alla preghiera frequente durante tutta la giornata ma anche al lavoro, considerato non solo un mezzo di sostentamento per il monastero ma anche, accanto alla preghiera, un altro modo di rendere lode a Dio. I lavori dei monaci erano di due tipi: c'era chi si dedicava all’attività manuale nei campi, coltivando i terreni circostanti il monastero, e chi si dedicava al lavoro intellettuale, ossia lo studio e la ricopiatura a mano dei testi antichi (i monaci che vi si dedicavano erano detti amanuensi). Il grande valore che Benedetto diede al lavoro fu un fatto veramente rivoluzionario. Infatti nell’antichità romana solo i poveri e gli schiavi lavoravano e il lavoro, soprattutto quello manuale, era visto con disprezzo dagli uomini liberi.

L’importanza degli amanuensi

Perché fu importante l’opera degli amanuensi?

Riguardo poi al lavoro degli amanuensi, va detto che esso fu ispirato al progetto di salvare il meglio della cultura classica e che fu condotto con grande impegno e dedizione nonostante la scarsità dei mezzi allora a disposizione. L’esito fu preziosissimo: senza la paziente opera di ricopiatura dei monaci, non sarebbero giunti fino a noi in misura così ampia i testi più importanti del sapere antico e il nostro patrimonio culturale sarebbe ancora adesso certamente impoverito.

Lo sviluppo del monachesimo in Europa

L’esperienza avviata da Benedetto ebbe una diffusione rapida e straordinaria. Moltissimi monaci vennero da lui inviati in tutta l’Europa a costituire monasteri e a portare il messaggio evangelico, non solo con la predicazione ma anche con la vita. Questi luoghi divennero punti di riferimento per le popolazioni anche in località sperdute e impervie. Il suono delle campane che chiamava i monaci alla preghiera scandiva il tempo dei villaggi circostanti. I deboli, i vecchi, i poveri trovavano presso il monastero carità e accoglienza (una delle regole fondamentali fissata da san Benedetto era proprio l’ospitalità, per cui l’abate, cioè colui che guidava la comunità, era tenuto persino a lavare i piedi ai poveri e ai viandanti che si presentavano al monastero). Fino all’XI secolo i monasteri furono l’unico luogo dove si faceva scuola per tutti. I monaci, inoltre, scoprirono nuove tecniche di coltivazione, bonificarono e resero coltivabili le paludi, contribuendo così a far rinascere l’agricoltura dopo le devastazioni operate dalle invasioni barbariche. Soprattutto, però, i monasteri benedettini contribuirono alla diffusione in molte regioni d’Europa del messaggio cristiano con l’affermazione del valore e della dignità di ogni uomo. Si può a questo punto ben comprendere come il monachesimo possa essere considerato uno dei fattori che hanno originato la civiltà europea: in un mondo ancora rozzo e violento, basato

72 L’Eu ROPA dIVEnTA CRIsTIAnA

Montecassino

Mar Nero

I principali monasteri benedettini in Europa

Mar Mediterraneo

sul saccheggio e sulla rapina e dove la vita umana era poco considerata, l’insegnamento dei monaci andava in tutt’altra direzione.

L’Irlanda, “isola dei santi”

Altro grande centro di sviluppo del monachesimo europeo fu l’Irlanda. Qui il Cristianesimo venne introdotto da un missionario di origine britannica ed ex schiavo, Patrizio (385 circa-461). Egli convertì le rozze tribù indigene, si batté contro la violenza e la schiavitù, eliminò usanze pagane quali i sacrifici umani. A seguito di questa opera di cristianizzazione, nacquero numerosi monasteri fondati da monaci poi venerati dal popolo come santi (da qui la definizione dell’Irlanda come “isola dei santi”). In questi monasteri si coltivava la cultura, con la lettura e la trascrizione dei testi antichi, e grande sviluppo ebbe anche l’arte della miniatura, cioè l’uso di impreziosire i codici con pitture raffinatissime di piccole dimensioni. L’antica lingua gaelica inoltre, usata da questi monaci, fu una delle prime lingue non latine ad avere un uso scritto in Europa.

Dall’Irlanda partirono alcuni grandi missionari che si diressero in molte parti d’Europa. Tra questi ricordiamo in particolare san Colombano che fondò vari monasteri in Francia e, in Italia, l’abbazia di Bobbio, che diverrà una delle più importanti del Medioevo. Qui egli visse fino alla morte e vi si conservano tuttora le sue reliquie.

Reliquia nella tradizione cristiana è una parte del corpo di un santo, o un oggetto a lui appartenuto, venerati in modo particolare dai fedeli (deriva dal latino relinquere che significa “lasciare indietro”, quindi “ciò che il santo ci ha lasciato”).

Perché l’Irlanda è chiamata l’“isola dei santi”?

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Danubio Reno Nilo
S. Vincenzo Subiaco
Farfa Norcia Firenze Nonantola Bobbio
S. Salvatore Sesto San Gallo Luxeuil Reichenau Lorsch Pomposa

Monaci al lavoro Affresco di Perinetto da Benevento (metà del XV secolo), Chiesa di san Giovanni a Carbonara, napoli

Paganesimo

Il termine deriva dal latino pagus, che significa “villaggio”, e indica l'insieme delle religioni politeiste precristiane. I cristiani infatti definivano pagani, in modo dispregiativo, coloro che erano rimasti legati ai culti politeisti, perché abitavano soprattutto nei villaggi e nelle campagne dove era più forte l’attaccamento alle antiche credenze.

Altri popoli si convertono al Cristianesimo

Altri missionari contribuirono, a partire dal VI secolo, a diffondere il Cristianesimo presso i vari popoli europei. Nel 597, a seguito del battesimo di un loro re ad opera del monaco Agostino, iniziò la conversione degli Angli in Britannia. Nel VII secolo la grande azione missionaria del vescovo inglese Bonifacio diffuse il Vangelo nelle terre tedesche e nel IX secolo vennero evangelizzati i paesi scandinavi. Nell’Europa orientale si sviluppò l’azione missionaria dei fratelli Cirillo e Metodio i quali, per rendere più efficace la loro predicazione, tradussero la Bibbia in lingua slava, dopo che Cirillo aveva dato alle popolazioni di queste terre un nuovo alfabeto (detto perciò cirillico). Attorno al X secolo l’intera Europa, a est come a ovest, a nord come a sud, poteva dirsi cristiana, anche se non sempre chi aderiva al Cristianesimo lo faceva in modo così profondo da cambiare in poco tempo i suoi usi e costumi ancora influenzati dal paganesimo

2 · L’ascesa del vescovo di Roma: l’opera di Gregorio Magno

Chi era Gregorio Magno

Nel VI secolo emerse anche la figura di un grande papa, Gregorio I, detto poi Magno. Anche alla sua opera si deve l’affermazione della Chiesa in Europa, in particolare per quanto riguarda il ruolo sempre più importante che il vescovo di Roma, il papa appunto, venne a rivestire nella cristianità.

Di nobile famiglia romana, nel 573 egli assunse un’importante carica politica che lo poneva a capo della città. Ben presto però fu attratto dalla vita monastica e dall’insegnamento di san Benedetto. Fondò perciò un monastero benedettino sul Celio e vi si ritirò a vivere finché il papa Pelagio II, riconoscendo le sue grandi qualità, gli affidò la missione di ambasciatore a Costantinopoli.

Svolto brillantemente questo incarico, e morto il papa precedente, fu scelto dal popolo come suo successore. A quei tempi infatti, a differenza di oggi, il papa era scelto dal popolo e dal clero romano mediante acclamazione. Egli non avrebbe voluto accettare, preferendo tornare alla sua vita ritirata, ma non poté fare a meno di rispondere alla chiamata popolare.

L’impegno al servizio della città

Subito si adoperò per il bene di Roma. Adottò provvedimenti per contrastare una spaventosa pestilenza che stava decimando la popolazione. Organizzò la difesa della città per fronteggiare la minaccia dei Longobardi di Agilulfo (riuscì perfino a convincerlo, pagando un grosso tributo in denaro, a ritirarsi senza compiere saccheggi e violenze). Si prese cura personalmente dei malati e dei poveri distribuendo a questi ultimi i proventi della coltivazione dei terreni di proprietà della Chiesa. Si adoperò, infine, per proteggere gli Ebrei che, a Roma come in altre città, erano malvisti dalla popolazione che li accusava, a torto, di essere responsabili dell’uccisione di Gesù.

L’opera missionaria

Soprattutto, però, si adoperò per la diffusione del Cristianesimo. Incoraggiò e sostenne la regina longobarda Teodolinda nel suo tentativo di convertire al Cattolicesimo il marito e il suo popolo. In secondo luogo, avviò l’attività missionaria al di fuori dell’Italia, inviando un monaco romano, Agostino (da non confondere con l’omonimo Padre della Chiesa vissuto tra il IV e il V secolo), a evangelizzare l’Inghilterra. Tenne testa, inoltre, all’imperatore bizantino che si era proclamato capo della Chiesa universale, e scrisse importanti trattati in difesa della fede e della dottrina cattolica.

Il popolo romano amò molto questo papa, che venne addirittu-

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San Gregorio Magno

dipinto a olio su tavola di pioppo, riportato su tela, di Antonello da Messina (1472-1473), Galleria nazionale di Palazzo Abatellis, Palermo

ra definito Defensor Civitatis (“difensore della città”) e Consul Dei (“console di Dio”).

3 · Il papa sceglie i Franchi

Dio non si può rappresentare: l’iconoclastia Nell’VIII secolo un grave problema divise il papa e i cristiani d’Occidente dai Bizantini. Alcuni vescovi orientali affermarono infatti che, siccome Dio è puro spirito, non è lecito rappresentarlo attraverso l’arte. Per questo contestarono aspramente l’uso delle immagini sacre nella pratica religiosa e l’imperatore d’Oriente

76 L’Eu ROPA dIVEnTA CRI

Leone III Isaurico li appoggiò, con un decreto del 727 col quale ne proibì la diffusione. Questa dottrina, che prese il nome di iconoclastia (cioè in greco “distruzione delle immagini”), venne però condannata come eretica dal papa e dai vescovi d’Occidente. Se è vero infatti, essi risposero, che Dio è puro spirito, è anche vero che, in Gesù, egli si è fatto uomo e quindi ha assunto sembianze umane che si possono rappresentare nella pittura e nell’arte.

Perché il papa si oppose all'iconoclastia

La questione dell'iconoclastia assunse un'importanza enorme anche perché, allora come per molti secoli successivi, la scrittura e la lettura erano praticate da poche persone e le immagini erano l'unico strumento per trasmettere messaggi a tutti. Non vedendo più immagini raffiguranti Gesù c'era il rischio che i fedeli dimenticassero il concetto dell'incarnazione. Per questo il papa si oppose fermamente: se non si rappresentava con le immagini il Figlio di Dio, si finiva per togliere importanza al fatto che, in Gesù, Dio si era fatto uomo. E questa non era una questione di poco conto.

La lotta contro tale dottrina, condotta dal papa, fu quindi anche di fondamentale importanza per la continuazione del Cristianesimo e lo sviluppo della civiltà. La vittoria dei sostenitori delle immagini sacre cui si giunse nell’843, quando la dottrina degli iconoclasti venne definitivamente abbandonata, lasciò conseguenze che perdurano ancora oggi.

I Longobardi minacciano Roma

Nell’VIII secolo questo problema scatenò, sul territorio della penisola, nuovi drammatici scontri. Nei territori bizantini scoppiarono, infatti, aspre rivolte di cattolici contrari all’iconoclastia. In questi scontri persino l’esarca di Ravenna trovò la morte. Approfittando di questa situazione e con la scusa di difendere Roma e il papa dalle minacce dell’imperatore d’Oriente, il re dei Longobardi Liutprando attaccò i possedimenti bizantini in Italia, arrivando anche a invadere i territori vicini a Roma. La sua intenzione era, in realtà, quella di unificare tutta l’Italia, Roma compresa, sotto il suo dominio. Il papa si rese conto di questa minaccia e, protestando fermamente, convinse Liutprando a rinunciare al suo progetto. Si giunse, così, a un accordo col quale Liutprando, in segno di riconciliazione, donò al papa alcuni territori del Lazio, tra cui Sutri (742).

Nasce il “Patrimonio di San Pietro”

Di questi territori avuti in dono il papa divenne proprietario per la Chiesa e amministratore. Essendo lui il successore di san Pietro, essi, nel loro insieme, vennero chiamati “Patrimonio (cioè proprietà) di San Pietro”. Col passare del tempo a questi primi territori se ne aggiunsero altri donati dai re franchi ma anche da privati citta-

Perché il papa e i vescovi d’Occidente sostennero che era lecito l’uso delle immagini sacre?

CAPITOLO 4 77

Perché si parla di “Patrimonio di San Pietro”?

Perché con Leone I e Gregorio Magno i papi accrebbero anche il loro ruolo politico?

dini, ricchi proprietari terrieri che, come penitenza dei loro peccati o per dare aiuto ai poveri e ai bisognosi, li offrivano alla Chiesa perché ne facesse buon uso. Per queste ragioni il Patrimonio di San Pietro si ingrandì sempre di più attorno a Roma e nei territori circostanti la regione e il papa finì per assumersi anche il compito di governarlo, ad esempio occupandosi della difesa e della sicurezza dei villaggi che vi si trovavano e della salute dei loro abitanti in caso di epidemie.

Erano compiti che già, come abbiamo visto, si era assunto papa Gregorio Magno e che ora si estendevano su un territorio sempre più ampio.

L’unificazione del Regno Franco

Come abbiamo visto, il maggiordomo Pipino di Herstal era riuscito a unificare sotto il suo dominio le varie parti del Regno Franco e a rafforzarne i confini, sconfiggendo le popolazioni barbariche dei Frisoni e degli Alemanni. Alla sua morte gli successe il figlio Carlo Martello, grande guerriero, che dovette fronteggiare la penetrazione minacciosa degli Arabi a nord dei Pirenei. Decisiva fu, a questo proposito, la sua vittoria nella battaglia di Poitiers (732). Con Carlo Martello era ormai chiaro che i veri governanti del regno non erano più i re merovingi ma i loro maggiordomi. E infatti il figlio di Carlo, Pipino III il Breve, decise di trarne tutte le conseguenze. Nel 751 spodestò l’ultimo re “fannullone”, Childerico III, lo fece rinchiudere in un monastero e si proclamò re dei Franchi al suo posto. A quella merovingia si sostituiva quindi una nuova dinastia, che successivamente sarebbe stata chiamata carolingia dal nome latino (Carolus) di Carlo Magno, figlio di Pipino.

Il papa si allea con Pipino

Usurpazione

Appropriazione, con la violenza o con l’inganno, di un titolo o di una carica (ad esempio quella di re) che appartiene a un’altra persona.

Appropriandosi del trono che apparteneva a un altro sovrano, Pipino compiva un atto di usurpazione, che andava contro le leggi e le antiche usanze franche secondo le quali solo il figlio di un re poteva succedere al padre sul trono. Perciò aveva bisogno di legittimarlo, cioè dargli valore, rendendolo conforme alla legge e accettato da tutti.

Pensò per questo, di chiedere al papa di riconoscere il suo potere, autorizzando, in quanto rappresentante di Dio in terra, la sua incoronazione. Il papa Zaccaria, che si sentiva minacciato dai Longobardi e confidava perciò nella protezione di un nuovo re potente quale sembrava essere Pipino, acconsentì.

Nel 754 il suo successore, Stefano II, recatosi personalmente in Francia, procedette alla sacra unzione del nuovo re, in segno di solenne confermazione. In cambio ottenne l’impegno di Pipino a difendere la Chiesa dalle minacce che provenivano dai Longobardi ma anche dai Bizantini. In tal modo si stabilì una nuova alleanza,

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quella tra i Franchi, “figli primogeniti della Chiesa” in quanto primo popolo barbarico convertitosi al Cattolicesimo, e il papato.

Questa alleanza avrà nei secoli successivi conseguenze importantissime: da una parte spingerà il papa a staccarsi sempre di più dall'imperatore bizantino col quale c'erano continui motivi di scontro, dall'altra favorirà la nascita in occidente di un nuovo grande impero cristiano.

Perché Pipino il Breve chiese al papa di legittimare la sua carica?

Perché il papa si alleò con i Franchi?

Tomba di Carlo Martello Chiesa di saint denis (nei pressi di Parigi), Francia

METTIAMO A FUOCO

Perché i re venivano “unti”?

Come avveniva l’unzione

Il rito dell’unzione sacra, utilizzato per la prima volta dai re visigoti in spagna, divenne pratica comune, a partire da Pipino, per i re franchi, quelli anglosassoni e i successivi imperatori. Tale rito era compiuto direttamente dal papa o da un vescovo suo rappresentante, che, in una solenne cerimonia, cospargeva il sovrano in varie parti del corpo (la testa, il petto, le spalle, le mani, le giunture delle braccia) con il sacro Crisma, un unguento particolarmente venerato, composto da olio d’oliva e balsamo benedetti.

Un’antica origine: l’unzione di Davide

L’origine di questo rito veniva fatta risalire all’Antico Testamento, dove si narra che davide, il grande re d’Israele, venne consacrato con l’unzione dal profeta samuele, inviato da dio. davide fu per tutto il Medioevo il modello perfetto di sovrano, a cui tutti i re cercavano di assomigliare, in quanto sapeva unire grandi capacità di governo a una profonda fede in dio. L’unzione serviva dunque a collegare i re medievali al grande modello dell’antichità.

I re diventavano sacri…

Oltre a questo, però, l’unzione serviva soprattutto a rendere sacro il potere del re. un sovrano “unto” era sotto la speciale protezione di dio, diventava inviolabile e quindi degno di assoluto rispetto e obbedienza da parte di tutti i sudditi. Essendo poi lo stesso olio usato per alcuni sacramenti, divenne normale considerare l’investitura regia una specie di ottavo sacramento, che conferiva al re anche speciali poteri.

… e guarivano alcune malattie

A questo proposito, si diffuse a partire dal X secolo, sia in Francia che in Inghilterra, la credenza che i re potessero, con l’imposizione delle loro mani e grazie alla particolare assistenza divina, guarire o prevenire alcune malattie, tra le quali un'infiammazione ghiandolare chiamata scrofolosi. si trattava naturalmente di una leggenda, ma allora aveva molto seguito: si narra infatti di molte persone che si recavano presso il sovrano per chiedere questa imposizione. Tutto ciò fa capire

come nei secoli si venne sviluppando, soprattutto in Francia, una particolare venerazione per la figura del re, venerazione che rimarrà intatta almeno fino alla Rivoluzione francese (1789).

Il re di Francia Enrico II impone le mani a un malato di scrofolosi

Miniatura del XVI secolo, Bibliothèque Nationale, Parigi

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METTIAMO A FUOCO

La vita in un monastero benedettino

I monaci (o anche le monache) che seguivano la Regola di san Benedetto vivevano stabilmente all’interno di un monastero, un insieme di edifici circondato da mura. Qui obbedivano a un superiore scelto da loro e che chiamavano abate (termine che, nell’antica lingua parlata in Palestina, l’aramaico, significa “padre”) o, rispettivamente, badessa. da abate deriva il termine abbazia, che può designare sia l'intero monastero sia la chiesa che ne è il cuore. All’interno del monastero molti erano gli edifici, oltre naturalmente alla chiesa. C'era innanzitutto il chiostro: una sorta di cortile interno di forma quadrata o rettangolare, delimitato ai lati da un porticato e con un giardino e una fontana al suo interno. sotto il porticato il monaco passeggiava e meditava in silenzio. Vi erano poi il dormitorio, il refettorio con annessa la cucina, la sala capitolare dove si riuniva tutta la comunità sia per ascoltare la lettura di capitoli della Regola, sia per prendere le decisioni comuni e ascoltare le disposizioni dell’abate, la foresteria per accogliere gli ospiti, il parlatorio dove i monaci si incontravano con le persone che venivano a visitarli. Vi erano anche la scuola per i novizi (coloro che si preparano a diventare così monaci), l’infermeria, la sacrestia, la portineria, la biblioteca. Annessa alla biblioteca vi era una sala molto importante, lo scriptorium:

qui i monaci amanuensi su appositi leggii copiavano i libri. Tutti questi locali, a parte la cucina e l’infermeria, a quei tempi non erano riscaldati; in particolare lo scriptorium, che doveva avere grandi finestre aperte per garantire la luminosità, essendo pericoloso usare le candele che potevano provocare incendi. Vi erano poi altri edifici e luoghi di lavoro: il mulino, il forno, la fucina, il granaio, le stalle per gli animali, la cantina per il vino o per la birra (che i monaci stessi producevano), gli orti. Il monastero doveva essere infatti autosufficiente, cioè aveva al suo interno tutto ciò che era indispensabile alla vita della comunità. nelle due pagine seguenti puoi vedere un disegno che illustra il modello dell'abbazia.

In Italia sono molti i monasteri benedettini e la gran parte di questi, ancora attivi e funzionanti, possono essere visitati. Oltre a Montecassino e a subiaco, Farfa nel Lazio, novalesa in Piemonte, nonantola e Pomposa in Emilia Romagna, san Vincenzo al Volturno nel Molise.

nelle pagine seguenti

Abbazia benedettina

Il disegno rappresenta una ricostruzione dell’abbazia di Cluny sorta nel X secolo e che raggiunse un grande splendore nei secoli immediatamente successivi.

CAPITOLO 4 81
Abbazia benedettina di Novalesa (Torino)
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CAPITOLO 4 83

La giornata del monaco o della monaca benedettini

Qual è la giornata tipo di un monaco o di una monaca benedettini? La Regola di san Benedetto, praticata ancora oggi, la dettaglia fin nei minimi particolari.

Innanzitutto i monaci o le monache pregano. Per questo si recano in chiesa non meno di sei volte al giorno lasciando il loro lavoro nei campi, nelle stalle, nella biblioteca e nello scriptorium.

Alle undici tutti i monaci o le monache si ritrovano insieme nel refettorio per un pasto frugale, fatto di vegetali (due piatti cotti fra cui poter scegliere), pane, qualche frutto. Come bevanda è concesso un po’ di vino. Mentre si mangia, a turno, una persona legge brani della Bibbia o di altri testi religiosi e le altre ascoltano in silenzio. dopo il pranzo vi è un momento dedicato al riposo o alla lettura e alla preghiera individuale. Verso le

14 si riprende di nuovo con la preghiera comune per poi tornare al lavoro che per san Benedetto è, comunque, una forma di preghiera e di lode a dio. Al tramonto una frugalissima cena, se si è d’estate quando i pasti sono due (nelle altre stagioni si mangia invece una sola volta), e poi la preghiera di compieta che conclude la giornata. Tutto questo può dar l’idea di una vita molto dura ma si tratta di una durezza attenuata dalla moderazione e dalla dolcezza (in latino si diceva discretio) che l’abate deve mostrare nel guidare il monastero. Egli infatti, secondo le indicazioni della Regola, non deve imporre ai suoi monaci sacrifici o doveri che questi non sono in grado di compiere. deve quindi saper governare il monastero con equilibrio e realismo, proprio come un buon padre che conosce ad uno ad uno le caratteristiche dei suoi figli e sa che cosa essi sono in grado di fare e che cosa no.

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Veduta aerea dell’attuale monastero benedettino di Cluny, Francia

NON TUTTI SANNO CHE

Ermanno di Reichenau: il disabile diventato genio

Una grave disabilità

Tra le figure di grandi monaci del primo Medioevo troviamo quella, tutta particolare, di Ermanno di Reichenau, conosciuto anche come Ermanno il Rattrappito o lo storpio. Come dice il nome, si trattava di quello che oggi chiameremmo un disabile dalla nascita, contorto, rattrappito, incapace di stare ritto in piedi e di camminare, in difficoltà perfino a star seduto sulla sedia che era stata preparata apposta per lui. Le sue dita erano troppo deboli per scrivere e le labbra e il palato tanto deformati da rendergli difficile anche il parlare. un uomo in tali condizioni nel mondo antico sarebbe stato eliminato alla nascita. nel Medioevo, invece, questo non accadeva perché vi era un luogo, il monastero appunto, che era sempre disposto ad accogliere disabili come lui.

Nel monastero di Reichenau

E fu proprio nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, che il padre, un conte svevo, mandò il piccolo Ermanno, sembra all’età di sette anni. Qui, circondato dall’affetto degli amici monaci, crebbe imparando la matematica, il greco, il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. si appassionò tanto all’astronomia da scrivere un trattato sull’astrolabio (uno strumento utilizzato per determinare l’altezza del sole e degli astri sull’orizzonte e che si sarebbe dimostrato fondamentale nei viaggi per mare) e probabilmente riuscì anche a costruirlo, pur con le sue mani così malridotte. scrisse, inoltre, dei testi sulla musica e compose le musiche di alcuni celebri inni sacri (in particolare gli è attribuita la Salve Regina). scrisse infine un Chronicon cioè un manuale di storia universale dalla nascita di Cristo al suo secolo, considerato ancora oggi opera di grande interesse.

Una morte serena

Apprezzato dall’imperatore Enrico III e dal papa Leone IX, Ermanno lo storpio si spense serenamente, il 24 settembre 1054 a quarantun’anni, circondato dall’affetto di monaci e amici e consolato dalla lettura dei testi antichi. Fu poi sepolto

nei suoi possedimenti di Altshausen ai quali aveva da tempo rinunciato. La sua vita, difficile ma ricca di soddisfazioni, getta ulteriore luce sulla grandezza dell’esperienza monastica. nei monasteri benedettini, infatti, c’era spazio per tutti; anche persone con gravi disabilità, che ogni società antica avrebbe rifiutato, qui venivano valorizzate e aiutate nella loro realizzazione.

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Ermanno lo Storpio con un astrolabio in mano Immagine tratta da una raffigurazione medievale

SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

Perché il lavoro è importante per l’uomo

Il lavoro: una maledizione antica nel mondo greco e romano, ma anche nella tradizione biblica dell'Antico Testamento, il lavoro, soprattutto quello fisico e manuale, era visto come una specie di condanna. nel libro della Genesi, in particolare, Adamo, dopo il peccato originale, avrebbe dovuto guadagnarsi il pane «col sudore della fronte», quasi fosse una maledizione. Al contrario, nella sua Regola san Benedetto attribuisce al lavoro un valore estremamente positivo. Ai suoi occhi di uomo di fede esso diventa un modo per dare lode a dio, vincere l’ozio e rendere più bello e migliore il mondo, collaborando così con l’opera creatrice di dio e rendendo la vita umana più ricca di soddisfazioni.

L’attualità dell’insegnamento di san Benedetto

Ci si può chiedere se questo insegnamento non possa essere utile anche per l’uomo di oggi, così spesso preso dalla frenesia, dalla fretta di compiere molteplici azioni, di accumulare denaro e di inseguire il successo (così almeno pare essere l’immagine spesso trasmessa dai media, nei film o nelle pubblicità). Oggi, soprattutto nelle società economicamente avanzate, sembra che per molti il lavoro sia visto solo come un modo per arricchirsi, per realizzare un profitto, per garantirsi un benessere. Tutto ciò, entro certi limiti, non è sbagliato, ma può non essere l’unico aspetto importante. Lavorando, infatti, l’uomo può trovare anche un modo di realizzare se stesso, mettere a frutto le sua capacità, la sua creatività e, inoltre, essere di aiuto agli altri, alla società. Questo si può verificare quotidianamente: anche tu lo puoi verificare, partendo dall’esperienza che fai ogni giorno, proprio nell’attività scolastica. Inoltre, se rifletti con attenzione, ti accorgerai che anche da lavori umili e semplici, se fatti in un certo modo, si possono ricavare soddisfazioni, si rendono felici altre persone e si rende più bella la terra su cui viviamo e la società di cui facciamo parte.

Una civiltà fondata sul lavoro

C’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato. Grazie anche alla dignità che, a partire dall’insegnamento di san Benedetto, è stata data al lavoro, la civiltà occidentale si è sviluppata, i paesi europei ed extraeuropei legati alla cultura occidentale sono cresciuti nel tempo fino a diventare le maggiori potenze economiche del globo. In questi paesi il lavoro è considerato un diritto fondamentale alla base stessa dello stato (nella Costituzione italiana, ad esempio, all’articolo 1 si dice che l’Italia è una Repubblica «fondata sul lavoro» e all’articolo 4 si stabilisce che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro» e favorisce le condizioni che permettano a tutti di esercitare questo diritto). E la storia insegna che le società dove il lavoro non è tenuto in considerazione e non è considerato un valore importante sono destinate a una irrimediabile povertà

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RACCONTIAMO IN BREVE

1. Nei primi secoli del Cristianesimo, soprattutto in oriente, alcuni cristiani, per seguire l’insegnamento di Gesù, scelsero di isolarsi dal mondo e andare a vivere, da soli, come monaci eremiti. In occidente invece si sviluppò una forma di esperienza religiosa basata sulla vita in comune dei monaci (monachesimo cenobitico).

2. L’iniziatore del monachesimo occidentale può essere considerato san Benedetto da Norcia, che fondò l’ordine benedettino, cui diede una Regola molto importante che divenne modello per tutte le successive esperienze monastiche comunitarie in occidente. Nella Regola si invitavano i monaci non solo alla preghiera e allo studio, ma anche al lavoro manuale, in base al precetto «ora et labora» (prega e lavora).

3. I benedettini, che si diffusero in tutta Europa, lavoravano i campi, aiutavano i poveri dando loro assistenza, contribuirono alla sopravvivenza della cultura latina copiando i manoscritti degli autori antichi. Molti di loro si dedicarono a diffondere il Cristianesimo nei territori abitati da popolazioni ancora barbariche. In quest’opera un contributo importante fu dato anche dai monaci irlandesi.

4. Gregorio Magno, originariamente monaco benedettino, fu uno dei papi più importanti della storia. Salvò Roma dall’assedio dei Longobardi, si adoperò per fronteggiare una grave pestilenza che aveva colpito la città e incoraggiò la regina longobarda Teodolinda alla conversione, divenendo un punto di riferimento non solo religioso, ma anche politico per la popolazione dell’Italia centrale.

5. In seguito all'aumentata importanza della Chiesa in campo politico, e alle molte donazioni fatte dal re longobardo Liutprando e dai fedeli, si costituì un territorio chiamato il “Patrimonio di San Pietro”, governato dal papa che quindi assunse compiti sempre più importanti anche sul piano politico. Questo fu dovuto anche alla mancanza di autorevolezza e di efficacia del governo bizantino nei territori italiani.

6. Nel 751 papa Zaccaria, per proteggersi dalle continue minacce dei Longobardi e dei Bizantini, chiese aiuto ai Franchi. Accettò di incoronare nuovo re il maggiordomo Pipino il Breve, che aveva strappato la corona all’ultimo sovrano merovingio, in cambio della promessa di protezione. Venne così stabilita l’alleanza tra la Chiesa e il Regno Franco, alleanza che diventerà sempre più importante nei secoli successivi.

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ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Qual è la differenza tra monaci eremiti e cenobiti?

2. Quale fu la prima abbazia fondata da san Benedetto?

3. Quali furono i popoli e le aree europee che vennero evangelizzati dai monaci?

4. Quali opere compì Gregorio Magno a favore dei poveri?

5. Che cosa fece Leone III Isaurico a proposito delle immagini sacre?

6. Che obiettivi si propose Liutprando in occasione dello scontro tra il papa e l’imperatore bizantino?

7. Che cos’è il Patrimonio di san Pietro?

8. A quale grande impresa è legato il nome di Carlo Martello?

9. Che cosa fece Pipino il Breve?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Inizio dell’iconoclastia

2. Consacrazione di Pipino il Breve

3. nascita di san Benedetto

4. Battaglia di Poitiers

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Monachesimo eremitico significa

a. che i monaci vivono da soli, dedicandosi alla preghiera in luoghi isolati.

b. che i monaci vivono insieme in comunità.

c. che i monaci viaggiano per il mondo a predicare il Vangelo.

Gli amanuensi col loro lavoro

a. contribuirono alla diffusione della lingua latina.

b. contribuirono a conservare e trasmettere la cultura degli antichi.

c. fondarono scuole e scrissero libri importanti.

L’opera di Gregorio Magno fu molto importante perché

a. contribuì a conferire prestigio e autorità al papato.

b. governò con saggezza e autorevolezza i territori bizantini in Italia.

c. contribuì a dare sviluppo alla città di Roma.

Per Patrimonio di San Pietro si intende

a. l’insieme di territori italiani governato dall’esarca bizantino.

b. l’ insieme dei territori donati al papa e che questi amministrava.

c. I territori che i Longobardi strapparono ai Bizantini.

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480 circa 727 732 754

Pipino il Breve chiese al papa di essere incoronato re dei Franchi perché

a. avvertiva la necessità di legittimare la sua conquista del trono.

b. era profondamente religioso.

c. voleva rafforzare il suo potere.

Esercizio 4 · Questo brano contiene parecchie inesattezze e imprecisioni. Riscrivilo sul tuo quaderno di lavoro, correggendole.

Con Gregorio Magno e i papi successivi la Chiesa e il vescovo di Roma in particolare assunsero un ruolo sempre più determinante anche sul piano politico. Ciò avvenne perché i papi imposero la loro volontà agli esarchi che rappresentavano l’imperatore bizantino in Italia e si impossessarono di molti territori. nacque così lo stato della Chiesa che, in un secondo momento, verrà chiamato anche Patrimonio di san Pietro. Quando poi i papi dovettero fronteggiare la minaccia longobarda, si rivolsero, per ottenere sicurezza e protezione, ai Franchi. A tale proposito papa Zaccaria, nel 754, si recò in Francia per ungere e consacrare come re Carlo Martello, un maggiordomo che aveva spodestato l’ultimo re merovingio e che aveva bisogno, per consolidare e legittimare il suo potere, dell’appoggio papale. se creò così un’alleanza tra papato e Regno Franco, alleanza che però fu di breve durata e che ebbe scarsa rilevanza nel tempo.

Esercizio 5 · Collega con una freccia la parola nella colonna di sinistra al suo significato nella colonna di destra.

Abate Insieme di precetti e doveri che il monaco doveva seguire.

Stilita Lingua parlata nell’Irlanda antica.

Reliquia Monaco eremita che vive solitario sopra una colonna nel deserto.

Unzione sacra distruzione delle immagini sacre.

Chiostro superiore di un monastero.

Lingua gaelica Rito col quale i re venivano unti e consacrati di fronte a dio.

Regola

Giurisdizione

Parte del corpo o oggetto appartenuto a un santo, particolarmente venerato dai fedeli.

Cortile interno al monastero, a pianta rettangolare o quadrata, circondato da un porticato.

Iconoclastia Territorio e persone su cui una determinata autorità esercita il suo potere.

CAPITOLO 4 89

La rivelazione dell’Arcangelo Gabriele a Maometto Miniatura (fine XVI secolo), Museo del Louvre, Parigi

Secondo la tradizione musulmana Maometto, in quanto figura sacra, è rappresentato velato e avvolto da una fiamma.

La nascita e la diffusione dell’Islam

L’ultima grande religione monoteista

Maometto fu il fondatore dell’ultima grande religione monoteista, l’Islam, la religione dei sottomessi ad Allah. Con la sua predicazione, ma anche con le sue azioni militari, egli seppe riunire le molteplici tribù nomadi politeiste e animiste, presenti nella Penisola Arabica, creando un unico grande popolo, compatto e forte, animato dagli stessi solidi ideali religiosi. Rese questo popolo protagonista della storia dell’Oriente e non solo. I suoi successori, i califfi, estesero la dominazione musulmana su tre continenti, soppiantando grandi civiltà, tra le quali, ad esempio, quella persiana, sommergendo molta parte della cristianità orientale e giungendo alle soglie di quella occidentale. Da quel momento in poi i popoli dell’Europa e lo stesso Cristianesimo dovranno confrontarsi con l’impeto di questa nuova religione in una convivenza a volte estremamente difficile e conflittuale, altre volte più pacifica e feconda. Ancor oggi la predicazione di Maometto infiamma i cuori di milioni di persone in tutto il mondo e costituisce per tutti un grande termine di confronto.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Il Corano può essere paragonato alla Bibbia?

• Quante parole per indicare i musulmani

• I contributi della cultura araba

• Come è fatta una moschea

• La donna nella religione islamica

• Cristianesimo e Islam: dialogare è possibile

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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CAPITOLO 5 91
Capitolo 5
per non perdere il filo

Lingue semitiche

Il termine deriva da Sem, figlio di noè, che nel racconto biblico sarebbe stato il progenitore delle popolazioni del Medio Oriente e dell'Africa nord-orientale.

Indica quindi un gruppo di lingue originarie di quella zona (differenti dalle lingue indoeuropee), che comprende il babilonese, l’assiro, l’ebraico, l’aramaico, l’arabo e l’etiopico.

Razzia

Aggressione armata a scopo di saccheggio.

1 · La Penisola Arabica prima di Maometto

Una regione abitata da nomadi

Fin dall’antichità la regione in gran parte desertica che chiamiamo Penisola Arabica era abitata da popolazioni di lingua semitica, in maggioranza beduini nomadi dediti ai commerci, alla pastorizia e alle razzie. L‘agricoltura, piuttosto scarsa, era sviluppata solo nelle oasi ai margini del deserto.

Queste popolazioni praticavano una religione di tipo animistico, adoravano cioè molte divinità che ritenevano presenti nella natura, anche sotto forma di demoni. Indicavano con il nome Allah il dio supremo del cielo e il loro luogo di culto per eccellenza era La Mecca, città posta nella zona centro-occidentale della penisola, non distante dalle coste del Mar Rosso.

Qui, tra l’altro, si venerava la pietra nera, probabilmente un meteorite di circa 30 centimetri di diametro, custodito in un edificio detto Ka’ba, meta di continui pellegrinaggi.

Queste popolazioni non erano organizzate in forma di stato vero e proprio ma erano divise in clan familiari, a loro volta raggruppati in tribù sotto il governo di capi tribali.

Gli altri territori del Vicino Oriente

I territori nord-occidentali della regione, costituiti dalla Siria, dalla Palestina e dalla Mesopotamia (quello che oggi chiamiamo Vicino o Medio Oriente) erano sotto il dominio bizantino e persiano ed erano venuti in contatto prima con la civiltà greco-ellenistica e poi con quella romana. Avevano, quindi, conosciuto un’influenza della cultura occidentale come pure del Cristianesimo. Rilevante era inoltre la presenza in queste aree di antiche comunità ebraiche.

La situazione dell’Africa settentrionale

L’Africa settentrionale, fortemente latinizzata dai tempi dei Romani, aveva visto un’ampia diffusione del Cristianesimo (uno dei più grandi Padri della Chiesa, sant’Agostino, era appunto africano) e, dal punto di vista economico, si presentava piuttosto fiorente. Nonostante il retroterra desertico, infatti, vi era stato un grande sviluppo dell’agricoltura in special modo lungo le coste, con la diffusione di estesi vigneti. In questa situazione i contatti commerciali fra le tribù arabe e il resto dei territori dell’Oriente e dell’Africa erano frequenti come pure anche gli scambi di tipo culturale e religioso.

92 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

2 · Maometto

La sua formazione

Maometto (Muhammad), il fondatore della religione islamica, nacque attorno al 570 d.C. in una tribù che allora dominava La Mecca. Per vivere, da giovane dovette fare il cammelliere, seguendo lo zio mercante nei suoi viaggi carovanieri. Ebbe in tal modo la possibilità di entrare in contatto sia con la religione cristiana che con l’Ebraismo. A 25 anni sposò Khadīja, anziana vedova di un ricco mercante. Questo matrimonio gli consentì di vivere in condizioni agiate e quindi di dedicarsi senza preoccupazioni economiche allo studio e alla riflessione religiosa, che occupò uno spazio sempre maggiore nella sua vita.

Attorno ai 40 anni, dopo un periodo di meditazione e ritiro spirituale trascorso in una caverna, iniziò a predicare una nuova religione, l’Islam appunto, che, come disse, gli era stata rivelata dall’arcangelo Gabriele in un’apparizione.

L’inizio della predicazione

Questa predicazione, basata sul rifiuto del politeismo e sull’affermazione di un intransigente monoteismo, ebbe un iniziale successo tra i ceti più umili della società della Mecca, anche perché insegna-

Deserto della Penisola Arabica

Maggiorenti

Persone ricche e potenti, che occupano posizioni di rilievo nella società.

Perché

i maggiorenti della Mecca si opposero alla predicazione di Maometto?

va il distacco dalle ricchezze e la giustizia verso i poveri. A seguirlo furono per primi la moglie, il cugino Alì e altri parenti. Trovò, invece, una decisa opposizione da parte dei maggiorenti della città e dei ceti più ricchi (soprattutto i mercanti) legati alla religione tradizionale. Questi ultimi, in particolare, temevano che la predicazione di Maometto contro il politeismo minacciasse i fiorenti guadagni che provenivano loro dai pellegrini che affluivano nella città sacra.

L’egira, le campagne militari e il successivo trionfo Maometto dovette così lasciare La Mecca per dirigersi a Yathrib (che da allora cambiò il nome in Medina, ossia “città del profeta”), situata a circa 350 km a nord. Questa fuga, avvenuta nel 622 e chiamata egira (dall'arabo hijra cioè “emigrazione, distacco”) costituisce per i musulmani l’inizio ufficiale della nuova religione (e per questo nel loro calendario gli anni sono numerati a partire proprio da questa data). A Medina Maometto continuò la sua opera: raccolse attorno a sé molti seguaci e organizzò un esercito col quale compì varie spedizioni e razzie contro tribù nomadi e carovane della Mecca, fino a quando, nel 630, poté di nuovo rientrare, questa volta da vincitore e con le armi in pugno, nella città sacra. Fu nel corso di questa campagna militare che Maometto iniziò a usare l’espressione “infedeli” per definire tutti coloro che non accettavano la sua nuova religione. Sempre nel periodo della sua presenza a Medina cominciò ad attaccare gli Ebrei insediatisi in città, che furono espulsi o uccisi. Conquistata La Mecca, Maometto instaurò ufficialmente la sua nuova religione, eliminò tutti gli idoli precedentemente venerati e impose alle tribù nomadi ancora indipendenti la sottomissione. In breve l’Islam si diffuse in tutta la Penisola Arabica. Solo due anni dopo, nel 632, Maometto morì tra le braccia di Aisha, la preferita tra le molte mogli che aveva avuto dopo Khadīja.

3 · Che cosa predicava la nuova religione

Il perfetto musulmano è il “sottomesso” a Dio

Al centro della predicazione di Maometto sta l’affermazione rigorosa dell’esistenza di un solo Dio, Allah, di cui egli si pone come ultimo e definitivo profeta, colui che completa l’intera rivelazione. Va detto, a tale proposito, che Maometto riconosce la figura di Gesù Cristo, ma lo considera un suo precursore, un semplice profeta che lo ha preceduto, non certo il Figlio di Dio. Se Gesù, infatti, fosse il Figlio di Dio, e Dio egli stesso, come afferma il Cristianesimo, il monoteismo non ci sarebbe più. Per Maometto Dio è quindi l’unico padrone del mondo, e ha deciso tutto fin dall’eternità; il fedele si deve

94 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

sottomettere totalmente alla sua volontà. Per questo la nuova religione si chiama Islam, che significa "sottomissione" (e muslim, da cui deriva musulmano, significa “sottomesso”).

I precetti fondamentali dell’Islam

Per essere pienamente sottomesso ad Allah, il perfetto musulmano deve mettere in pratica cinque precetti fondamentali. Oltre a credere fermamente nell’esistenza di un solo Dio e che Maometto è il suo profeta, il fedele deve praticare la preghiera cinque volte al giorno prostrandosi in direzione della Mecca, fare l’elemosina ai bisognosi musulmani, digiunare di giorno durante il mese sacro del Ramadan (ma è possibile mangiare dopo il calar del sole) e compiere un pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita, per venerare la Ka’ba. Si tratta di gesti semplici, alla portata di tutti, che non necessitano di una profonda riflessione spirituale né di studio approfondito dei testi sacri. Inoltre sono gesti praticati in pubblico, insieme con gli altri fedeli, e quindi contribuiscono a rafforzare i legami e il senso di appartenenza tra le persone che li compiono.

Il Corano

Il Corano è il testo sacro che contiene i princìpi della religione islamica. Maometto sosteneva di averlo ricevuto direttamente da Allah tramite l’Arcangelo Gabriele. È quindi, per i musulmani, un

Perché Maometto non può ammettere che Gesù è Dio?

CAPITOLO 5 95
Pagina del Corano Paul Getty Museum, Los Angeles

testo “disceso” dal cielo, non composto dall’uomo. In questo libro non sono definiti solo i contenuti della fede, ma anche le regole della vita quotidiana, sia degli individui che della società, come le regole per la purificazione, quelle per l’assunzione dei cibi (ad esempio si prescrive l’astinenza totale dagli alcolici e dalla carne di maiale), oppure le indicazioni su come trattare i popoli stranieri e nemici. Gli insegnamenti del Corano, insieme con le parole attribuite a Maometto e raccolte dalla tradizione (sunnah) costituiscono l’insieme dei precetti della legge islamica, detta Shari'a.

Il Jihad è la “guerra santa”?

Un altro importante impegno proposto ai fedeli musulmani è quello del jihad, cioè la lotta al servizio di Dio (letteralmente significa infatti “impegno, sforzo”, “lotta sul cammino di Dio”). Questa lotta però può essere intesa in due modi. Si può infatti lottare dentro di sé contro i propri vizi e i propri peccati per purificarsi e avvi-

Pellegrinaggio alla Ka’ba La Mecca, Arabia Saudita

cinarsi di più a Dio, oppure si può lottare contro gli “infedeli” che non credono nell'Islam per convincerli con la forza a diventare musulmani. Sono due interpretazioni molto differenti: la prima è, per così dire, pacifica; la seconda porta all'uso della violenza verso gli altri. Quale delle due interpretazioni è quella più corretta? La risposta a questa domanda non è semplice, anche perché in alcune parti del Corano si parla di jihad come lotta armata, guerra allo scopo di convertire gli infedeli all’Islam (“guerra santa”), ma in altre si dice che la fede in Allah non può essere imposta con la violenza. È difficile, quindi, mettere d'accordo queste due affermazioni, dando un’interpretazione univoca del termine jihad. Va detto, comunque, che nella storia è spesso prevalsa l’interpretazione più bellicosa e che molte delle conquiste militari effettuate nei secoli successivi dai musulmani sono state sostenute da forti motivazioni religiose. Solo in pochi casi (ad esempio nell’arcipelago indonesiano) questa religione si è diffusa in modo pacifico. Tra l’altro il fedele musulma-

Perché il martirio nella concezione musulmana

è molto diverso da quello cristiano?

no che muore combattendo in nome di Allah è considerato martire (in un significato che, come abbiamo visto, è ben diverso da quello che a tale parola dà il Cristianesimo) ed è destinato a un paradiso inteso come un giardino di delizie e di godimenti.

4 · La diffusione dell’Islam

L’Islam dopo Maometto: i primi califfi

Califfo dall’arabo khalīfa che significa “successore”, “vicario”. Con questo termine si indicavano i primi successori di Maometto ai quali era affidato non solo il potere di governo sui popoli che si erano convertiti all’Islam, ma anche l’applicazione della legge coranica.

Alla morte di Maometto gli successero i califfi che continuarono la “guerra santa” contro gli “infedeli”, espandendo il dominio dell’Islam con una rapidità per molti aspetti impressionante. Il primo fu il suocero di Maometto, Abu Bakr (632-634), che rafforzò la dominazione islamica su tutta la penisola, stroncando le ribellioni di alcune tribù beduine. Omar, il suo successore, attaccò i territori bizantini e persiani conquistando la Siria, la Palestina (nel 638 fu presa Gerusalemme), il Sinai e l’Egitto fino alla Cirenaica. Othman, genero di Maometto, che governò dal 644 al 656 quando venne assassinato in una congiura, consolidò la dominazione araba dall’Africa nord-occidentale fino alla Persia orientale. L’ultimo dei califfi eletti dalla comunità fu Alì, figlio adottivo e genero prediletto di Maometto, anch’egli ucciso nel 661.

L’Islam giunge in Europa

Gibilterra

Il termine è di origine araba; deriva infatti dal capo musulmano Tarik ibn Zeyad, che nel 711 varcò lo stretto e s’impadronì della rocca, fortificandola e trasformandola in una testa di ponte per la penetrazione araba in Spagna. In suo onore la rocca fu chiamata appunto Gebel el Tarik (Monte di Tarik).

A questo punto, ai califfi eletti succedettero quelli ereditari che diedero vita alle grandi dinastie. La prima fu quella degli Omayyadi che, spostata la capitale a Damasco, governarono fino al 750. Con questa dinastia gli Arabi ampliarono ulteriormente il loro impero soprattutto in Occidente dove, oltrepassato lo stretto di Gibilterra, conquistarono gran parte della Spagna abbattendo il regno dei Visigoti (711). Tentarono anche di varcare i Pirenei attaccando i Franchi ma furono sconfitti nella battaglia di Poitiers nel 732.

Alla dinastia Omayyade succedette, nel 750, quella Abbaside, il cui nome derivava da al-Abbas, zio paterno di Maometto, da cui discendeva. Gli Abbasidi spostarono la capitale dell’impero a Baghdad, l’antica Babilonia, e portarono la civiltà islamica al suo massimo splendore. Con loro però si ebbero anche i primi segnali di crisi. Si arrestò la tendenza espansionistica e molti governatori locali acquistarono sempre più autonomia trasformando i loro territori in califfati indipendenti dal potere centrale.

Le condizioni dei popoli sottomessi

Il comportamento dei conquistatori musulmani nei confronti delle popolazioni sottomesse non fu sempre lo stesso. In generale la loro dominazione risultò più tollerante rispetto a quelle prece-

98 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

La progressiva espansione dell’Islam

espansione dell'Islam fino al 661

espansione dell'Islam sotto i califfi Omayyadi 661-670

Città importanti

denti dei Bizantini o dei Persiani, anche perché era loro interesse non suscitare ribellioni che non avevano le forze militari necessarie per contrastare. Certamente, furono duri nei confronti delle popolazioni politeiste e degli atei, per i quali, se non si convertivano all’Islam, era prevista la morte. In genere, invece, si mostravano più concilianti nei confronti di ebrei e cristiani, con cui condividevano il monoteismo. A questi non era imposta la conversione, ma dovevano vivere in una condizione di inferiorità sia economica che sociale ed erano costretti, per poter continuare a praticare liberamente la loro religione, a pagare una tassa ai dominatori. Assolutamente vietata poi, pena la morte, era per i musulmani l’apostasia, cioè l’abbandono della propria fede per abbracciarne un’altra. Proprio per sfuggire a queste condizioni di subalternità, più che per vere e proprie azioni violente, molti cristiani ed ebrei residenti in territori dominati dai musulmani, finirono per convertirsi all’Islam.

L’affermazione della teocrazia

Col passare del tempio, quindi, nei territori sotto la dominazione musulmana gran parte della popolazione finì per convertirsi all'Islam e i precetti e le leggi stabilite nel Corano divennero leggi seguite da tutti e princìpi che regolavano la vita dell'intera società. Chi non si convertiva e non seguiva questi precetti era escluso e

CAPITOLO 5 99
Cirenaica Spagna Maghreb Roma Cartagine Costantinopoli Bassora Poitiers Damasco Gerusalemme Mar Mediterraneo
Danubio
Mar Nero
Reno
Nilo Cordoba Arles Toledo León Fes Kairouan Tripoli Mecca Medina Isfahan Bukhara Samarcanda Egitto Nubia Yemen Arabia Siria Persia Cipro Baghdad

Perché si parla di teocrazia a proposito di molti paesi islamici?

messo ai margini. Si realizzò così quella che in seguito verrà chiamata teocrazia, cioè sistema sociale nel quale i princìpi religiosi coincidono con i princìpi della vita pubblica, le leggi civili sono modellate su quelle religiose e l’autorità religiosa vigila e governa sull’intera società prendendo il posto di quella politica. Ancor oggi, va detto, in alcuni paesi islamici, persiste questa situazione: la politica non è disgiunta dalla religione e vigono forme di governo di tipo teocratico.

La minaccia islamica all’Italia e all’Europa Anche dopo la sconfitta di Poitiers, i musulmani costituirono una minaccia per le zone mediterranee dell’Europa occidentale e soprattutto dell’Italia. Con continue e improvvise scorrerie dal mare, depredavano e razziavano, uccidevano gli uomini e rapivano le donne e i bambini, che venivano venduti come schiavi nei mercati dell’Oriente. Per avvistare in anticipo le loro navi e mettersi al sicuro venivano costruite torri di avvistamento ancor oggi visibili sulle coste tirreniche. I Saraceni, come venivano anche chiamati, oltre a conquistare nell’anno 827 la Sicilia e successivamente la Sardegna, invasero anche il Lazio: loro stanziamenti furono presenti per decenni a Gaeta e nella Sabina; da lì attaccavano Roma. Nell’846 fu saccheg-

100 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

giata perfino la basilica di San Pietro, tanto che il papa Leone IV fece edificare una cerchia di mura per proteggere il cuore della città da nuove incursioni. Altre scorrerie avvennero in Corsica, nella Francia meridionale fino a Lione, e perfino in Veneto e nell’odierna Svizzera.

I casi della Sicilia e della Spagna

Rispetto agli abitanti di altre regioni, continuamente sottoposte all’incubo delle scorrerie saracene, gli abitanti della Sicilia, divenuta colonia araba a tutti gli effetti, beneficiarono di un certo ordine politico e sociale, oltre che degli apporti culturali di questa civiltà. Anche i territori arabi di Spagna (che presero il nome di al-Andalus, da cui deriva l’attuale nome di Andalusia) conobbero una situazione migliore, almeno in alcuni periodi, soprattutto perché, rispetto al precedente regno dei Visigoti, infatti, gli Arabi vi introdussero un certo benessere e la popolazione cristiana non fu sempre sottoposta a persecuzioni. Questo favorì, se non proprio un dialogo, almeno alcuni scambi tra le due culture. Da essi, soprattutto nel campo della filosofia, dell’astronomia e della medicina la civiltà europea trarrà indubbi vantaggi nei secoli immediatamente successivi. A testimonianza della dominazione araba, inoltre, rimangono ancor oggi, soprattutto in Spagna, edifici di grande bellezza e pregio artistico.

CAPITOLO 5 101
Palazzo dell’Alhambra Granada, Spagna

METTIAMO A FUOCO

Il Corano può essere paragonato alla Bibbia?

Come è composto

Il Corano è il testo sacro della religione islamica che Maometto affermò di avere ricevuto direttamente da Allah, tramite l’Arcangelo Gabriele. Si tratta di un testo che il califfo Othman, terzo successore del profeta, fece redigere in maniera completa e definitiva, fra il 644 e il 655, raccogliendo testi parziali che circolavano e che venivano tramandati oralmente o erano stati scritti in forma frammentaria. esso risulta diviso in 114 capitoli, detti sure, a loro volta suddivisi in versetti. All’inizio troviamo le sure più lunghe e successivamente quelle più brevi, senza che la disposizione segua l’ordine cronologico in cui sono state scritte. Il nome Corano è di origine araba: deriva da qur’an e significa “recitazione”, “proclamazione”.

Il Corano è la parola di Dio

In quanto testo dettato direttamente da dio a Maometto e non solamente ispirato, come è la Bibbia per i cristiani, tutto ciò che in esso è scritto è ritenuto essere opera diretta ed esclusiva di dio. L’uomo non ha aggiunto o inserito nulla di suo, né la sensibilità, né la cultura, né il linguaggio. Per questo il Corano non può essere sottoposto a interpretazione, a discussione o a critica, perché sarebbe come sottoporre a interpretazione o critica le parole stesse di dio e ciò costituirebbe un grave peccato. nessun musulmano fedele può, quindi, permettersi di dare una sua personale interpretazione del testo. esso, al contrario, va ac-

colto così com’è, “alla lettera”, e messo in pratica. Anche la lingua in cui è scritto, l’arabo, è la lingua di dio e quindi il perfetto musulmano, di qualunque etnia, anche non araba, deve leggere il testo in arabo e deve pregare Allah con questa lingua. Le traduzioni in altre lingue sono consentite ma non per la preghiera.

Un insieme di insegnamenti, precetti e comandi un altro aspetto che differenzia il Corano dalla Bibbia è la scarsa presenza in esso di narrazioni storiche. Il testo biblico contiene molti libri che narrano fatti storici, nell’Antico Testamento le vicende del popolo di Israele, nel nuovo quelle di Gesù. Questo vuol dire che la religione ebraica e quella cristiana fanno riferimento a precisi fatti avvenuti nella storia e dentro i quali il credente vede l’azione di dio che va incontro all’uomo e si fa conoscere. nel Corano, invece, prevalgono gli insegnamenti, i precetti, gli ammonimenti, i comandi di dio. Questo perché per i musulmani dio si è rivelato compiutamente a Maometto a cui ha trasmesso, appunto attraverso il Corano, la conoscenza di tutto quanto è necessario all’uomo per raggiungere la salvezza.

Antico Corano

102 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

IL PERCORSO DELLE PAROLE

Quante parole per indicare i musulmani

Arabo non è sinonimo di musulmano non bisogna confondere le parole “arabo” e “musulmano”, che hanno un significato differente. La parola “arabo”, infatti, ha una valenza etnica; identifica dei popoli accomunati dell’uso della lingua araba presenti nel Vicino Oriente (nella Penisola Arabica, in Giordania, Siria, Palestina, Libano) e nelle aree settentrionali dell’Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, egitto). Col termine “musulmano”, invece, si indicano gli appartenenti alla religione islamica che non sono necessariamente Arabi. Ci sono infatti Arabi non musulmani ma cristiani (come in Libano, in egitto e in Palestina) e musulmani non di origine araba (ad esempio gli indonesiani, i turchi gli iracheni e gli iraniani).

nella storia, soprattutto nel Medioevo, per indicare questi popoli si sono usati anche termini come Mori e Saraceni. Mori deriva dal nome Mauri cioè

gli abitanti dell’allora Mauritania, mentre Saraceni, usato per indicare i pirati che infestavano il Mediterraneo, sembra derivare da una tribù araba che abitava nella penisola del Sinai e che era dedita al nomadismo e alle razzie fin dal tempo dei Romani.

Oggi si parla di Sunniti e Sciiti

Oggi i musulmani nel mondo si dividono in due principali correnti: gli Sciiti che sostengono che i soli legittimi successori di Maometto nella guida della comunità sono i discendenti di Alì, il genero di Maometto assassinato nel 661, e i Sunniti, che costituiscono la maggioranza, che sono rimasti fedeli alla tradizione (sunnah). Tra queste due correnti non corre buon sangue e anzi sono spesso in lotta tra loro.

Sunniti e Sciiti nel mondo

Stati e territori a maggioranza sunnita

Stati e territori a maggioranza sciita

CAPITOLO 5 103
Algeria
Marocco Libia Egitto Arabia Saudita
Pakistan Iran Iraq
Turchia

METTIAMO A FUOCO

I contributi della cultura araba

Una civiltà di “intermediazione”

In origine popolo di semplici beduini, gli Arabi, una volta diventati potenti e realizzato un grande impero, seppero assimilare contributi culturali da altri popoli antichi e svilupparli. In tal modo edificarono una civiltà di valore che ha poi lasciato tracce profonde anche in quelle regioni o nazioni europee, come la Sicilia e la Spagna, dove si insediarono, contribuendo al progresso scientifico e tecnologico. Più che produrre scoperte e invenzioni nuove e originali essi ebbero una funzione di sviluppo di quanto avevano incontrato e di collegamento e, per così dire, “intermediazione” fra civiltà diverse. Introdussero, infatti, in europa molte importanti scoperte e invenzioni che provenivano dall’Oriente e fusero gli elementi più vitali della

civiltà persiana, greca ed ebraica, ma anche quelli provenienti dalla Cina e dall’India.

Il pensiero matematico e scientifico

A loro dobbiamo l’introduzione dei numeri detti “arabi”, che in realtà i matematici musulmani avevano appreso dagli astronomi indiani, prima di diffonderli in Occidente. I numeri arabi, che comprendevano anche lo zero, fino ad allora sconosciuto in europa, rivoluzionarono la matematica e aprirono la strada ai progressi dell’algebra (vocabolo derivante anch’esso dall’arabo). Molto importante fu anche il contributo arabo nello sviluppo della chimica. Gli alchimisti arabi (alchimisti è il nome con cui allora venivano chiamati i chimici) riuscirono, tra l’altro, a ottenere l’acido

104 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM
Statua del filosofo Averroè, Cordoba, Spagna

solforico. Al grande scienziato di origine persiana ma di cultura araba Avicenna, vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo, dobbiamo un grande trattato di medicina in cinque volumi, notissimo in Occidente e adottato come testo base di insegnamento nelle facoltà di medicina europee fino al XVI secolo. Importanti furono anche gli studi nel campo dell’ottica e dell’astronomia, utili per perfezionare le tecniche di navigazione.

La trasmissione della sapienza antica

un altro grande contributo fu la diffusione della tecnica di fabbricazione della carta, giunta nel mondo arabo dalla Cina attorno all’VIII secolo, quando l’Occidente ancora si serviva delle costosissime pergamene. Grazie a questa tecnica, la cultura araba poté realizzare una vasta opera di raccolta, conservazione e studio delle grandi opere scientifiche e filosofiche del mondo antico. nella prima metà del IX secolo la dinastia abbaside fondò a Baghdad la Casa della Sapienza, in cui furono tradotti in arabo, ad opera però in gran parte di traduttori cristiani, i testi scientifici latini, greci e persiani. e, prima ancora che venisse riscoperto in Occidente da san Tommaso, il pensiero di Aristotele fu divulgato nel mondo arabo attraverso i commenti di Avicenna e, soprattutto, di Averroè.

La ricchezza dell’architettura e la povertà della pittura

L’architettura musulmana raggiunse livelli eccellenti, sia con le opere idrauliche che con la realizzazione di grandi edifici, moschee e palazzi, dai

caratteristici elementi ornamentali, ancor oggi ammirati sia in Oriente che Sicilia e in Spagna. Tra tutti ricordiamo la famosa Cupola della Roccia a Gerusalemme, la grande Moschea di damasco, splendidamente decorata e, in Spagna, la moschea di Cordova e l’Alhambra di Granada. non altrettanto importanti furono la pittura e la scultura, soprattutto a causa del divieto, affermato nella religione islamica, di raffigurare dio sotto alcuna forma. A differenza del mondo cristiano, pertanto, non si trova nel mondo arabo quella grande messe di capolavori artistici che rappresentano le figure sacre o le vicende della storia sacra. All’interno degli edifici si trovano decorazioni non figurative ma puramente ornamentali e astratte, i caratteristici “arabeschi”, dei quali va però detto che raggiungono vertici di straordinaria bellezza.

Quanti vocaboli arabi nella nostra lingua! Ricordiamo da ultimo i molti vocaboli della lingua italiana derivati dall’arabo, segno anche questo di una certa vicinanza e di un interscambio proficuo. Ad esempio, sono di origine araba vocaboli di uso comune quali alcol, albicocca, cotone, carciofo, limone, zucchero, melanzana, arsenale, magazzino, ammiraglio, cifra, tariffa, oltre ai già ricordati zero, chimica e algebra.

Decorazioni arabe sopra una delle porte della facciata occidentale dell'antica moschea, oggi cattedrale, di Cordova, Spagna

CAPITOLO 5 105

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Come è fatta una moschea

La moschea non è solo luogo di preghiera

La moschea (dal vocabolo arabo masgid, che significa “luogo di prostrazione” o di culto) è il principale luogo di preghiera per i musulmani. Soprattutto il venerdì essi vi si recano per lodare e ringraziare Allah e per ricordare l’egira di Maometto. non fanno però solo questo; in essa discutono di problemi politici e sociali, fanno scuola e ricevono insegnamenti riguardanti la vita della comunità, ricoverano e assistono i poveri.

fontana per le abluzioni rituali

Che forma ha?

Secondo la tradizione, la moschea ricalca nella sua forma il luogo di preghiera e dimora che Maometto edificò a Medina dopo l’egira. È costituita da una sala coperta per la preghiera, coronata da una nicchia (mihrab), rivolta in direzione della Mecca verso cui si prostrano i fedeli in preghiera. A fianco della nicchia c’è il minbar, una specie di cattedra leggermente rialzata dalla quale viene letta la parola del profeta.

106 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

All’esterno si trova un ampio cortile con un porticato e, al centro, la fontana per le abluzioni rituali cioè i lavaggi purificatori. Il fedele che prega infatti deve aver purificato dalle molte impurità il proprio corpo con questi lavaggi (per i musulmani i casi di impurità sono moltissimi: si diventa impuri a contatto con animali come maiali e cani, bevendo bevande alcoliche, entrando in contatto con sangue e animali morti non macellati; le donne restano impure per 40 giorni dopo aver partorito).

Vi è infine il minareto, cioè l’alta torre dalla quale il muezzin, cinque volte al giorno, chiama tutti alla preghiera.

Facciamo un confronto con le chiese cristiane Confrontando la forma di una moschea con quella di una chiesa cristiana, possiamo notare alcune interessanti differenze. Innanzitutto, è diverso il punto verso cui sono indirizzati gli sguardi dei fedeli in preghiera. In una chiesa cristiana si tratta di un punto interno, non esterno: è l’altare con vicino il tabernacolo che, nelle chiese cattoliche, è il luogo in cui si conservano le ostie consacrate, cioè il corpo di Cristo. Questo significa che dio, a cui è diretta la preghiera, è riconosciuto presente all’interno della chiesa. La moschea invece è vuota della presenza di Allah, che è lontano. Per poterlo adorare bisogna pertanto che lo sguardo si rivolga verso La Mecca, unico luogo in cui si è rivelato.

In secondo luogo, la moschea si presenta spoglia al suo interno; in essa mancano oggetti di culto, paramenti sacri, altari. Inoltre sono assenti quadri, immagini sacre, decorazioni antropomorfe o zoomorfe (cioè di forma umana o animale); questo perché nella religione islamica è assolutamente proibita ogni rappresentazione della divinità, cosa che non accade nel Cristianesimo. nelle moschee si possono trovare solo decorazioni con motivi floreali o geometrici (dette arabeschi). un’ultima differenza è di carattere più generale. nel corso dei secoli sono state realizzate dai costruttori cristiani chiese in stili molto differenti. Basti pensare, per quanto riguarda il Medioevo, a quanto erano diversi gli stili romanico e gotico, oppure si pensi al Barocco del 1600 o alle chiese avveniristiche di oggi. Questo è potuto accadere perché i costruttori nelle varie epoche, sollecitati dalla loro fede e da quella del loro popolo, sono stati spinti a esprimere, in questo lavoro, tutta la loro creatività. Al contrario le moschee, pur con alcune differenze ed evoluzioni nel corso dei secoli, hanno mantenuto una forma pressoché inalterata e ripetitiva, e non hanno conosciuto la grande varietà di stili presenti nell’arte cristiana.

Moschea

Il disegno è ispirato alla Moschea degli Omayyadi di Damasco, edificata all'inizio dell'VIII secolo inglobando una precedente cattedrale cristiana. In essa è tuttora devotamente custodita un'importante reliquia di san Giovanni Battista.

CAPITOLO 5 107
mirhab minbar

METTIAMO A FUOCO

La donna nella religione islamica

Che cosa si dice della donna nel Corano

Come è vista la donna all’interno della religione islamica? Sappiamo che Maometto trattò le donne con grande rispetto. Tuttavia, nel Corano vi sono passi che affermano chiaramente la superiorità dell’uomo. Si dice infatti che «gli uomini sono un gradino più in alto delle donne» (II, 228) oppure che «hanno autorità sulle donne a causa della preferenza che dio concede agli uni rispetto alle altre» (IV, 34). Si arriva persino a dire che la donna può essere battuta se disobbedisce («Quelle di cui temete atti di disobbedienza ammonitele, lasciatele sole nei loro letti, battetele» IV, 34). Come vanno interpretate queste affermazioni? esprimono veramente il giudizio di dio? Per noi verrebbe facile rispondere di no. Si tratterebbe piuttosto di giudizi che riflettono la mentalità e la cultura delle antiche popolazioni arabe del deserto, le tribù beduine presenti fin da prima di Maometto, e che non sono quindi da prendere alla lettera ma vanno, come direbbero gli studiosi, “storicizzate”, cioè calate nel contesto storico da cui provengono. essendo, quindi, giudizi risalenti alla cultura di un tempo antico, oggi non andrebbero applicati ma modificati, adattandoli alla nostra mentalità moderna. Ma questo è proprio il punto più problematico. Per i musulmani tale adattamento non è possibile perché, come abbiamo già detto, essi credono che tutto quanto è espresso nel Corano sia parola di dio dettata all’uomo. dunque, se nulla di ciò che vi compare è frutto di giudizi umani e nulla è influenzato da fattori umani come la cultura o la mentalità che nel tempo possono cambiare, tutto va preso alla lettera e applicato, così come è espresso, anche ai giorni nostri.

Dal Corano alla Shari'a

nel corso del tempo la Shari'a ha trasformato i giudizi del Corano in vere e proprie leggi. Secondo la legge islamica, all’uomo sono perciò concessi molti diritti che alla donna sono negati. L’uomo può, infatti, avere fino a quattro mogli, sposare donne di altre religioni, ripudiare (cioè scacciare) la moglie a suo piacimento (basta pronunciare tre volte la frase “sei ripudiata” in presenza di due testimoni e il ripudio ha valore) mentre alla

donna non è permesso fare altrettanto. Inoltre, i figli appartengono al padre, che ne decide anche l’educazione, mentre alla madre è negata ogni potestà; le donne possono godere dell’eredità solo in misura dimezzata rispetto all’uomo e la loro testimonianza in un tribunale vale la metà di quella di un uomo. Va detto che nella maggior parte degli stati a maggioranza islamica attualmente la Shari'a non è applicata in modo rigido e soprattutto non è legge dello stato. In questi paesi le donne hanno perciò goduto di significativi progressi e non sono sempre discriminate. non dappertutto, però, è così. esistono ancora oggi paesi, primi fra tutti l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e l’Iran, dove l’ordinamento dello stato impone alle donne, proprio a causa della legge islamica, una condizione di rigida inferiorità e anche nei paesi più aperti ultimamente si stanno affermando frange di islamisti fanatici che premono per un’imposizione rigida della Shari'a.

Come si devono vestire le donne musulmane? un discorso a parte merita la tanto discussa questione del velo. In un versetto del Corano si invitano le donne a mantenere atteggiamenti pudichi («abbassare lo sguardo», «non mostrare le loro parti belle» se non ai parenti più stretti, XXIV, 31) e in un altro a «coprirsi col mantello» allo scopo di proteggerle dalle offese (XXXIII, 59). In origine questi precetti avevano probabilmente anche il senso di difendere la donna da atteggiamenti aggressivi degli uomini in società come quelle antiche, sicuramente primitive e violente e nel tempo si sono poi tradotti nella prescrizione di indumenti quali il velo o il chador (un abito nero che lascia scoperto solo il viso). un discorso a parte va fatto per il burqa, imposto alle donne dai fanatici talebani in Afghanistan. Quest’ultimo indumento, un mantello che copre tutto il corpo compreso il volto, lasciando la possibilità di vedere attraverso una fitta retina, non è citato nel Corano e nemmeno nella Sunnah.

108 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM
Donne e bambine musulmane

SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

Cristianesimo e Islam: dialogare è possibile

Non esiste uno scontro di civiltà Ci si chiede con sempre maggiore frequenza quali devono essere i rapporti tra i cristiani, e più in generale il mondo occidentale, e i musulmani. È possibile dialogare? Si possono trovare punti in comune che consentano a queste due civiltà di vivere a fianco a fianco, senza ostilità o incomprensioni? È un problema che si pone ormai anche nella vita di tutti i giorni in quanto l’immigrazione da paesi lontani e la diffusione mondiale dei commerci portano sempre più spesso persone appartenenti a queste due diverse culture a incontrarsi e a convivere fianco a fianco. Anche in molte aule scolastiche ormai, magari anche nella tua, si sta verificando una situazione di questo tipo. Purtroppo, episodi gravissimi di terrorismo avvenuti negli ultimi anni e che hanno visto per protagonisti esponenti di gruppi fanatici che si rifanno all’Islam creano paura e fanno dire a molti che un dialogo non è possibile. Ci sono degli intellettuali, da una parte e dall’altra, che parlano di un inevitabile “scontro di civiltà”. Ci pare che questa opinione non sia da condividere e che non sia giusto farci dominare dalla paura. Se è vero, infatti, che ci si deve difendere dal terrorismo, da qualsiasi parte provenga, è altrettanto vero che esistono nel mondo milioni di persone pacifiche, che non vogliono la guerra e che cercano il dialogo.

Su quali basi costruire un dialogo?

Ma perché dialogare e su quale base? dialogare serve a mettere a confronto le risposte che le due fedi danno ai desideri profondi, alle grandi domande dell’uomo e da questo confronto può nascere un comune arricchimento. naturalmente, il dialogo dev'essere sincero e partire dalla stima e dal rispetto reciproco e dalla reale volontà di conoscersi. e non è detto che al termine di questo dialogo si arrivi a pensarla allo stesso modo. È sbagliato pensare che il dialogo debba annullare le differenze: queste possono, e debbono, rimanere. Cristiani e musulmani possono confrontarsi e dialogare senza diventare uguali, mantenendo le proprie convinzioni; anzi possono rafforzarle proprio a partire da questo confronto.

Ci sono obiettivi comuni da realizzare Tuttavia, pur nella diversità, si possono riconoscere degli obiettivi comuni da raggiungere insieme nella società e nel mondo. Si tratta di obiettivi legati alla convivenza pacifica, alla necessità di lottare tutti insieme contro la povertà, l’ingiustizia, la mancanza di libertà nel mondo, la difesa della vita fin dal suo sorgere perché, per entrambe le religioni, essa è dono di dio. Sono molti gli insegnamenti che queste due grandi religioni ci trasmettono riguardo a tali problematiche e potresti, anche con l’aiuto dell’insegnante di religione, fare una breve ricerca per conoscerli meglio. un ultimo spunto ci sembra importante: chi dialoga e si confronta non deve aver paura della verità, anche quando gli viene chiesto di riconoscere i propri errori. Sulle bugie e sull'inganno non si costruisce certo un’amicizia e una collaborazione, né nei rapporti interpersonali né in quelli tra gli stati e le civiltà.

Papa Francesco riceve una personalità del mondo musulmano

110 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM

1. Nell’antichità la Penisola Arabica era abitata da popolazioni semitiche, politeiste, in prevalenza nomadi e dedite alla pastorizia e al commercio.

2. Dopo un periodo di meditazione nel quale affermò di aver ricevuto una rivelazione dall’arcangelo Gabriele, Maometto cominciò a predicare la sua nuova religione, detta musulmana. Costretto a fuggire da La Mecca a Medina, riuscì a ritornare, a impossessarsi con la forza della città e a diffondere la sua nuova fede.

3. L’Islam è una religione rigorosamente monoteista, basata sulla fede in Allah, l’unico Dio, di cui Maometto è l’ultimo profeta. Il suo libro sacro è il Corano, mentre i precetti da rispettare per ogni buon musulmano sono cinque. Viene inoltre predicato il “Jihad” spesso inteso nella storia come l’incitamento alla guerra santa per l’espansione della fede.

4. Dopo la morte di Maometto, i suoi successori, detti califfi, conquistarono molti territori diffondendo in tal modo la nuova religione. A est conquistarono l’Impero Persiano e attaccarono l’Impero Bizantino, ma furono fermati; ad ovest conquistarono la Siria, la Palestina e le coste settentrionali dell’Africa; poi invasero la Spagna e attaccarono la Francia, dove furono fermati a Poitiers dai Franchi di Carlo Martello.

5. Successivamente, terminata la spinta espansionistica, i musulmani continuarono a minacciare l’Occidente, e soprattutto le coste italiane, con una serie di attacchi nel Mediterraneo con i quali colpirono la stessa Roma. Sicilia, Sardegna e Corsica furono infine da loro conquistate. Quasi ovunque imposero la loro religione e realizzarono un tipo di governo nel quale i comandamenti dell’Islam finivano per diventare come delle leggi che tutti gli abitanti del territorio dovevano necessariamente seguire.

6. Non furono però sempre conflittuali i rapporti tra l’Europa cristiana e l’Islam. In alcune regioni quali la Sicilia e l’al-Andalus (la Spagna musulmana) le popolazioni locali trassero vantaggi dalla dominazione araba e si poterono verificare significativi scambi culturali che diedero proficui frutti nei secoli successivi.

CAPITOLO 5 111
RACCONTIAMO IN BREVE

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. da quali popolazioni era abitata la Penisola Arabica prima di Maometto?

2. Presso quali ceti sociali ebbe il suo primo successo la predicazione di Maometto?

3. Che cos’è l’egira?

4. Che cosa significa Islam?

5. Quali sono i pilastri fondamentali dell’ Islam?

6. Che cos’è la Shari'a?

7. Che cosa si intende per jihad?

8. Che cos’è l’apostasia e come erano trattati dai musulmani gli apostati?

9. Chi erano i califfi?

10. Quali dinastie si succedettero dopo i primi califfi?

11. Quali furono i territori progressivamente conquistati dagli Arabi?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Conquista araba di Gerusalemme

2. Battaglia di Poitiers

3. egira

4. Maometto ritorna a La Mecca

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

L’egira è posta dai musulmani all’inizio del conteggio degli anni perché

a. è la data in cui Maometto ebbe l’apparizione dell’arcangelo Gabriele.

b. è la data che segna l’inizio delle conquiste arabe.

c. è la data in cui Maometto fuggì da La Mecca a Medina.

Secondo l’insegnamento di Maometto Gesù è

a. un grande profeta.

b. il figlio di dio.

c. un angelo.

Il Corano è diverso dalla Bibbia perché

a. non contiene precetti e insegnamenti morali.

b. non parla di Gesù.

c. è dettato da dio stesso e non solamente ispirato da lui.

112 L A nASCITA e LA dIFF uSIO ne deLL’ISLAM
622 630 638 732

Nei territori conquistati dai musulmani

a. i cristiani, pur non subendo dure persecuzioni, erano comunque in posizione subalterna ed emarginati.

b. i cristiani subirono durissime persecuzioni.

c. i cristiani vennero sterminati.

Per teocrazia si intende che

a. non c’è distinzione tra la sfera politica e quella religiosa e i comandamenti religiosi sono imposti come leggi dello stato.

b. dio, tramite i suoi rappresentanti, governa lo stato.

c. I governanti combattono la religione.

esercizio 4 · Raccogli nella seguente tabella le differenze fra Cristianesimo e Islam seguendo gli esempi già inseriti.

Islam Cristianesimo

Concezione di dio Monoteismo che non si concilia con la dottrina della Trinità dio è uno in tre persone

Figura di Gesù Gesù è solo un profeta

Principali comandamenti

Testo sacro Il Corano, testo dettato direttamente da dio a Maometto

edifici di culto

Concezione del martirio

Concezione del paradiso

Esercizio 5 · Inserisci nella seguente tabella i principali apporti giunti in Occidente dalla civiltà araba. Aggiungi, dove è possibile, se si tratta di apporti originali o provenienti altre civiltà antiche seguendo l’esempio indicato.

carta proveniente dalla Cina

CAPITOLO 5 113
Carlo Magno vittorioso sui barbari Particolare di dittico in avorio, Museo del Bargello, Firenze

Carlo

Magno “re e padre dell’Europa”

Il “saggio sovrano di tutti i cristiani”

Carlo Magno è colui che in pochissimi anni, con un’azione rapida e spregiudicata, riuscì a dare un volto nuovo a un’Europa che, alla fine dell’VIII secolo, si presentava ancora divisa, fortemente frammentata, culturalmente arretrata.

Il suo merito non fu solo quello di unificare politicamente i vari territori sorti dallo sgretolamento dell’Impero Romano e di ricreare l’impero tre secoli dopo la deposizione di Romolo Augustolo. Egli contribuì anche a dare un’anima a questa Europa, a trasmetterle valori civili e religiosi condivisi, a diffondere una comune cultura. Alla sua morte, come vedremo, mentre la sua costruzione politica si frantumerà, l’apporto da lui dato sul piano della cultura e della civilizzazione, l’anima carolingia dell’Europa, rimarrà solido nel tempo come un alveo in cui la nostra storia potrà scorrere, crescere e fruttificare.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Alcuino di York: un modello di intellettuale medievale

• Che cosa rendeva forte l’esercito franco?

• Duchi, conti, marchesi: con Carlo Magno nasce la nuova nobiltà europea

• Aquisgrana, la “nuova Roma”

• Carlo Magno nella descrizione di Eginardo

• È giusto imporre una religione con la forza?

Raccontiamo in breve

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Capitolo 6
per non perdere il filo

Regno

Stato sul cui territorio il re esercita in modo diretto la sua autorità e la tramanda ai suoi discendenti.

Impero

Stato comprendente più territori, anche distanti nello spazio, abitati da svariati popoli che possono essere piuttosto diversi tra loro per lingua, cultura, tradizioni. Su questi popoli l’autorità dell’imperatore si esercita anche in modo indiretto mediante re o altre autorità che governano i singoli territori sotto il suo comando.

1 · Carlo diventa re dei Franchi

Unto re in giovanissima età Nato probabilmente nel 748 in qualche località ignota tra la Loira e il Reno e unto re in giovanissima età nell’abbazia di St. Denis, vicino a Parigi, alla morte del padre Pipino (768), Carlo si trovò a governare il Regno Franco insieme al fratello Carlomanno, col quale dovette dividere il territorio, non senza una certa rivalità. Non era ancora diffusa, infatti, presso i Franchi l’usanza, affermatasi in seguito, di conferire l’intera eredità e il pieno potere solo al figlio primogenito. Quando però, nel 771, il fratello morì improvvisamente, egli entrò in possesso di tutto il regno e iniziò a governarlo da unico e vero re. Il suo progetto fu chiaro fin dall’inizio: ampliare e rafforzare i suoi confini dando ad esso una chiara impronta cristiana. La realizzazione di tale progetto andrà però ben oltre l’idea iniziale: grazie al contributo decisivo del papa, da re dei Franchi Carlo si troverà ad essere imperatore di un nuovo e più vasto impero, e per questo verrà chiamato Carlo Magno.

2 · Dal Regno Franco all’impero cristiano: un lungo processo

Un re sempre in guerra

Perché si dice che Carlo fu un re sempre in guerra?

Divenuto re, egli diede avvio alle sue numerose campagne militari. Non passò praticamente anno senza che, con l’arrivo della primavera, egli non organizzasse, oltre i confini, qualche spedizione che spesso guidava direttamente oppure affidava a suoi fedelissimi “compagni di palazzo”. Solo nei mesi invernali si concedeva pause per ritemprarsi soprattutto presso l’amata Aquisgrana, città situata non lontano dal fiume Reno nella attuale Germania centrooccidentale.

Verso est: la dura lotta contro i Sassoni

Tra i più acerrimi nemici di Carlo ci furono i Sassoni, che erano stanziati a est del Reno. Si trattava di una bellicosa popolazione, ancora pagana, che si era mostrata ostile e refrattaria a ogni penetrazione dei missionari cristiani. Carlo dovette organizzare contro di loro varie spedizioni, alcune delle quali divennero celebri, come quella del 772 in cui distrusse il loro principale santuario, l’Irminsul, un albero sacro ritenuto il sostegno della volta celeste.

Si trattò in generale di campagne di conquista costellate di atrocità e violenze. Da una parte i Sassoni non esitavano a sacrificare ai loro dei i prigionieri di guerra, dall’altra i Franchi non erano da meno: mettevano a morte coloro che si ribellavano o rifiutavano di

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convertirsi al Cristianesimo e di accettare il battesimo. Nel 782, ad esempio, dopo che in un’imboscata era stato distrutto uno dei suoi eserciti, Carlo si vendicò duramente facendo decapitare numerosi nemici catturati in battaglia (una cronaca del tempo parla di 4.500 sassoni uccisi). Solo dopo alcuni anni e con la conversione al Cristianesimo del più valoroso dei capi militari sassoni, Witichindo (o Viduchindo), la lotta per la conquista e la cristianizzazione di questi territori poté dirsi conclusa. Carlo impose un nuovo sistema di leggi, fissato nel Capitolare Sassone, che stabiliva le dure condizioni a cui i vinti dovevano sottostare, ma anche i loro diritti nei confronti del nuovo regno.

Altre vittorie conseguite da Carlo furono: quella sui Bavari che occupavano l’attuale Baviera, nel sud della Germania, quella sui Frisoni, che popolavano i territori corrispondenti all’attuale Olanda e quella sugli Avari, una popolazione seminomade stanziatasi nelle pianure attorno al Danubio.

Verso sud: le missioni spagnole

Altra leggendaria impresa militare fu la campagna contro gli Arabi di Spagna, i Mori. Carlo varcò i Pirenei nell’aprile del 778 per portare aiuto ad alcuni capi locali che si erano ribellati all’emiro di Cordova. Per la verità, però, questo tentativo non ebbe un successo immediato: giunto sotto le mura di Saragozza, egli non trovò gli ap-

Emiro

Termine che in arabo significa “comandante”; designò col tempo i governanti dei vari territori in cui si frammentò l’impero musulmano.

Statua di Carlo Magno Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

Retroguardia

Quella parte delle truppe che durante la marcia, soprattutto nelle ritirate, rimane in coda a protezione del proprio esercito.

poggi sperati e decise di far ritorno in Francia. Fu durante la ritirata che avvenne il celebre episodio di Roncisvalle: la retroguardia franca, tra cui vi era un certo nobile Rolando, venne assalita e sterminata da briganti baschi che abitavano sulle montagne pirenaiche. Si trattò di un episodio di guerra dall’importanza limitata, ma su di esso fiorì poi la leggenda popolare. Si narrò che la sconfitta fosse opera degli Arabi che avevano assalito a tradimento l’esercito franco, e Rolando, personaggio pressoché sconosciuto, venne trasformato in un eroico guerriero morto per difendere la Francia e la cristianità dall’assalto degli infedeli. Su queste leggende si costruì un ciclo di poemi cavallereschi, il cosiddetto ciclo carolingio, l'opera più importante del quale fu la Chanson de Roland, che avrebbe influenzato poi tutta la letteratura medievale europea. Comunque, la conquista delle regioni nord-orientali della Spagna venne portata a termine dai Franchi solo alcuni anni dopo, con la presa della città di Barcellona (801) e la successiva creazione di un territorio franco, la Marca Spagnola, che andava dai Pirenei al fiume Ebro.

Il papa chiede aiuto: la discesa in Italia e lo scontro con i Longobardi

Perché Carlo entrò in conflitto con i Longobardi?

Chiamato in soccorso da papa Adriano I, che si sentiva minacciato dall’invadenza longobarda, Carlo, nell’estate del 773, varcò le Alpi e scese per la prima volta in Italia. Mise sotto assedio la capitale longobarda Pavia che, ridotta allo stremo, venne conquistata nell’estate successiva. A questo punto egli si fregiò del titolo di “re dei Franchi e dei Longobardi”. Sempre durante questa spedizione si recò a Roma dove fu accolto con tutti gli onori. Fu, questa, la prima di una serie di discese nella penisola. Dovette infatti tornarvi altre volte per fronteggiare ribellioni o per sedare disordini. La sua discesa più importante fu, come vedremo, quella dell’inverno dell’anno 800.

Verso un nuovo impero cristiano

In queste lunghe e vittoriose campagne militari Carlo si andava affermando come il più potente dei sovrani cristiani. Sia nella sua corte che negli ambienti ecclesiastici vicini al papa molti cominciavano a guardare a lui come a un possibile nuovo imperatore cristiano che potesse difendere la Chiesa e diffondere sempre più la nuova religione. Vescovi e scrittori ecclesiastici, talvolta lo stesso papa, lo paragonavano infatti o al re Davide (il grande re d’Israele di cui parla l’Antico Testamento) o all’imperatore romano del IV secolo Costantino. Per indicare il suo regno, inoltre, faceva talvolta la comparsa negli scritti ufficiali l’espressione “impero cristiano”. I tempi quindi sembravano maturi perché Carlo diventasse qualcosa di più di un semplice re.

118 C ARLO M AgnO “ RE E PADRE DELL’Eu ROPA”

Rodano

Rimaneva però un ostacolo, l’Impero Bizantino, il cui sovrano era l’unico che potesse vantare il diritto a fregiarsi del titolo di imperatore romano. Con lui Carlo non avrebbe voluto attriti, anche perché i Bizantini possedevano in Italia territori confinanti con i suoi.

3 · Natale dell’anno 800: nasce il Sacro Romano Impero

Il Papa incorona Carlo a Roma

Il passo decisivo verso la costituzione del nuovo Impero carolingio avvenne comunque sul finire dell’anno 800. Il nuovo papa, Leone III, sgradito agli esponenti filobizantini dell’aristocrazia romana, fu vittima di una congiura che mirava a rovesciarlo. Chiese quindi aiuto a Carlo, che raccolse la richiesta: il 23 novembre dell’800 il re franco si presentò alle porte di Roma. Quasi fosse un nuovo Costantino, si pose come arbitro della controversia tra il papa e i suoi oppositori: diede ragione al primo, rimettendolo a capo della Chiesa. Successivamente, durante la messa natalizia, il papa pose sul capo di Carlo una corona, lo unse e si prostrò davanti a lui mentre l’assemblea del clero e dell’aristocrazia romana lo acclamava

Il Regno dei Franchi da Carlo Martello a Carlo Magno

Regno Franco alla morte di Carlo Martello (741)

Conquiste di Pipino il Breve (768)

Conquiste di Carlo Magno (fino all’814)

Territori bizantini

Campagne di Carlo Magno Città importanti

Perché l’Impero Bizantino poteva costituire un ostacolo all’affermazione imperiale di Carlo?

CAPITOLO 6 119
787 787 774 799 791-803 805 789 812 808 772-804 788-799 Moravi Aquitania Milano Pavia Roma Spoleto Ravenna Sassonia Frisoni Turingia Narbona Danubio Reno Avari Croati Slavi Baviera Carinzia Austrasia Borgogna Provenza Arabi Bretagna Regni Anglosassoni
Parigi Canterbury Londra Poitiers Roncisvalle Pamplona Saragozza Tortosa Barcellona Corsica Benevento Torino Utrecht Quierzy Neustria Settimania Strasburgo Treviri Reims Aquisgrana Colonia

Perché Carlo scese in Italia sul finire dell’800?

con le parole: «A Carlo Augusto, incoronato da Dio grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria». Non si trattava solo di un rituale onorifico: nella tradizione imperiale romana questo gesto significava l’elezione di un nuovo imperatore.

Imperatore controvoglia?

Perché, secondo Eginardo, Carlo Magno si sarebbe rammaricato per la sua incoronazione imperiale?

Quanto questo fosse voluto da Carlo o quanto invece fosse soprattutto iniziativa del papa non ci è dato sapere con precisione. I documenti di cui disponiamo non ci offrono elementi decisivi per comprendere pienamente quanto accadde e le intenzioni dei protagonisti. Il maggior biografo di Carlo e suo collaboratore, Eginardo, scrisse addirittura che se il re avesse saputo quello che il papa stava preparando, non si sarebbe neppure recato in chiesa, sebbene fosse il giorno di Natale. Può darsi che questa affermazione avesse un fondamento di verità e non fosse solo un modo per evidenziare l'umiltà di Carlo, e in effetti Carlo aveva buone ragioni per essere irritato. Prendendo l'iniziativa dell'incoronazione, il papa rendeva infatti evidente a tutti la sua superiorità nei confronti dell’imperatore, e ovviamente questo non poteva fargli piacere.

I difficili rapporti con Bisanzio

Perché la reazione dell’imperatore bizantino all’elezione di Carlo fu negativa?

Un’altra difficoltà per Carlo poteva essere costituita dal timore della reazione di Bisanzio, dove la sua elezione fu considerata come un’usurpazione del titolo. Questa reazione non tardò a farsi sentire: scontri armati scoppiarono tra Franchi e Bizantini lungo l’Adriatico, tra l’Istria e il Friuli finché finalmente, nell’812, il conflitto si risolse con un accordo. L’imperatore bizantino Michele I accettò l’avvenuta elezione imperiale di Carlo in cambio della restituzione da parte dei Franchi delle terre adriatiche in precedenza conquistate.

Incoronazione di Carlo Magno Paul getty Museum, Los Angeles

Un impero più cristiano che romano

A 325 anni dalla caduta dell’Impero Romano, nasceva dunque in Europa una nuova entità politica. Si trattava di un impero che aveva il suo cuore nel nord del continente, nelle grandi pianure attorno alla Loira e al Reno (mentre il Mediterraneo, che aveva costituito il fulcro dell’Impero Romano, era diviso tra Arabi e Bizantini). Inoltre, tale impero si presentava con una marcata caratterizzazione cristiana. L’imperatore, unto col sacro crisma, assumeva la funzione di protettore della Chiesa, si impegnava nell’opera di diffusione della fede, realizzava, nel suo governo, i precetti cristiani. In un documento del 794, i vescovi franchi riuniti a Francoforte chiedono infatti che il re «soccorra gli oppressi, sia la consolazione delle vedove e il refrigerio degli infelici, sia padrone e padre, sia re e sacerdote, sia il saggio sovrano di tutti i cristiani». E questi obiettivi furono certamente perseguiti da Carlo, vero imperatore cristiano. Per queste ragioni l’espressione Sacro Romano Impero, che verrà usata a partire dal X secolo, è solo in parte appropriata. Più che come romano, infatti, il nuovo Impero carolingio si caratterizza come impero sacro e cristiano.

La struttura amministrativa dell’Impero: contee, marche e ducati

Carlo avrebbe potuto incontrare difficoltà a governare un territorio così vasto e abitato da popolazioni con tradizioni e usanze differenti. Tanto più che allora le comunicazioni erano lente e ostacolate dalla mancanza di strade facilmente percorribili. Cercò di far fronte a tali difficoltà estendendo anche ai nuovi territori conquistati il sistema amministrativo già in uso presso i Franchi. Divise il territorio in parti più piccole e le affidò, per il governo, a uomini di sua fiducia, suoi “compagni di palazzo”, i conti (dal latino comites che significa appunto compagni). Nacquero così le contee, affiancate, nelle zone di confine, da unità amministrative più ampie, le marche, affidate a marchesi (o margravi) in grado di coordinare al meglio le azioni militari e fronteggiare così eventuali attacchi dall’esterno. Accanto a contee e marche, persistevano nel sistema amministrativo carolingio i ducati, guidati da duchi, che corrispondevano alle antiche ripartizioni territoriali del Regno Franco, quali il Ducato di Aquitania o quello di Borgogna, o a territori nuovi abituati da secoli a una larga autonomia, come il Ducato di Baviera.

Perché Carlo divise l’Impero in contee e marche?

CAPITOLO 6 121
4 · Grande combattente… ma anche abile organizzatore e saggio legislatore

Vassallo

Da vassus, termine latino di origine celtica che significa “servo”, indica un uomo libero che giurava fedeltà al sovrano o a un signore e in cambio riceveva l'affidamento di un territorio chiamato feudo.

Ha origine così il sistema feudale Conti, marchesi e duchi riscuotevano le tasse nei territori loro assegnati, mantenevano l’ordine pubblico, amministravano la giustizia, davano esecuzione alle leggi dell’imperatore, quando Carlo lo richiedeva radunavano gli uomini in grado di portare le armi e li arruolavano nell’esercito imperiale. Questi signori giuravano fedeltà all’imperatore e ricevevano in cambio dei loro servigi un beneficium, cioè la possibilità di trattenere parte di quanto riscuotevano, nonché di sfruttare nel proprio interesse i territori appartenenti all’Impero e loro affidati. Il giuramento era un atto di grande importanza. Con esso il signore si legava all’obbedienza verso l’imperatore e diventava suo vassallo, si impegnava ad essergli fedele e riceveva in cambio la garanzia che anche l’imperatore avrebbe mantenuto i patti nei suoi confronti. Questa pratica, basata sul legame costituito dalla solenne promessa di fedeltà personale tra vassallo e imperatore, darà vita nel tempo a quello che verrà chiamato il sistema feudale e che avremo modo di approfondire nel prossimo capitolo.

Perché tra i missi vi erano spesso degli ecclesiastici?

Le grandi assemblee e i missi dominici Carlo radunava poi annualmente tutti i suoi signori in grandi assemblee generali che si tenevano in tarda primavera, e per questo erano chiamate “campi di maggio”. In tali assemblee, egli comunicava le sue ordinanze (capitolari) e le sue istruzioni, che poi i vassalli dovevano mettere in pratica nei loro territori. Affidava poi a suoi speciali inviati (i missi dominici) il compito di vigilare sull’applicazione di queste ordinanze e in generale sul corretto funzionamento dei governi locali. Questi missi viaggiavano nei vari territori quasi sempre in coppia e uno dei due era scelto tra le gerarchie ecclesiastiche. Era, infatti, o un vescovo o un abate che godeva della fiducia di Carlo e che aveva un grado di istruzione più elevato; dava quindi maggiori garanzie per l’assolvimento di questo incarico piuttosto delicato.

Capo della Chiesa franca

Nel complesso Carlo manifestò grande interesse e cura per la Chiesa franca, di cui si pose praticamente a capo: nominava i vescovi, controllava l’operato di abati e monasteri, che aiutava sovente con generose donazioni, vigilava affinché le celebrazioni religiose si svolgessero in modo corretto. Spesso convocava concili locali in cui si prendevano decisioni importanti riguardo all’interpretazione della dottrina o allo svolgimento delle pratiche religiose. Tutto questo lo portò a volte anche ad attriti col papa, attriti che egli superò sempre, facendo ricorso alla sua grande autorità.

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Si apre al mondo musulmano

Un aspetto poco noto della politica di Carlo Magno fu la sua alleanza con il potente califfo di Baghdad Harûn al-Rashid, alleanza sancita nell’801 da un significativo scambio di doni (tra quelli inviati dal califfo persiano si ricorda anche un prezioso elefante, che divenne un’attrazione per tutta la corte carolingia). Carlo poté così contare su un potente alleato pronto a premere sui confini orientali dell’Impero Bizantino, sua spina nel fianco, dal quale ottenne anche un impegno a proteggere i pellegrini cristiani che si recavano in Terra Santa.

Governa con saggezza l’economia

Sul piano del governo dell’economia Carlo si mostrò saggio amministratore delle ricchezze dell’Impero, favorì lo sviluppo dell’agricoltura, liberò i contadini poveri dagli obblighi militari, impose su tutto il territorio imperiale un’unica moneta legale, il denaro d’argento, il cui conio era riservato solo al sovrano. In molti capitolari stabiliva che i suoi vassalli aiutassero in modo particolare i contadini e i poveri quando si verificavano carestie in seguito a scarsi raccolti.

Promuove un grande sviluppo culturale

Pur non avendo avuto una formazione scolastica completa (sapeva infatti leggere, ma non scrivere), Carlo fu sempre interessato e curioso nei confronti del sapere e della cultura. A lui si deve un grande programma di sviluppo culturale che venne poi chiamato “rinascita carolingia”. Innanzitutto scelse e ospitò presso la sua corte molti intellettuali e studiosi di valore, tra cui lo storico longobardo Paolo Diacono, il monaco inglese Alcuino di York e il cronista franco Eginardo, che divennero suoi consiglieri. A questi stu-

Perché Carlo Magno strinse rapporti di alleanza con il califfo di Baghdad?

Conio

Il termine indica lo stampo usato per fabbricare le monete; passò poi a indicare l’intera operazione con cui le monete venivano prodotte.

Scrittura Carolina Paul getty Museum, Los Angeles

Notabili Esponenti di rilievo della corte e collaboratori del sovrano.

Liturgia Insieme delle celebrazioni di una determinata religione.

diosi venne affidato anche il compito di istruire e formare i figli dei notabili imperiali attraverso una sorta di scuola chiamata Schola palatina. Si adoperò poi per migliorare il livello culturale del clero e per diffondere un uso corretto della lingua latina, soprattutto durante la celebrazione della messa e nella liturgia ; si preoccupò di accrescere il patrimonio librario dei monasteri e incentivò l’opera degli amanuensi, vigilando anche sull’accuratezza delle trascrizioni dei manoscritti. Promosse infine un nuovo tipo di scrittura, la cosiddetta carolina, più semplice e lineare rispetto a quella precedentemente in uso. Fece molto anche per elevare il livello di istruzione del popolo, dando ordine ai sacerdoti di creare scuole per istruire i ragazzi, anche di condizione povera e servile, e insegnare loro «le note, il canto, il computo e la grammatica».

Perché “padre” dell’Europa?

Perché possiamo considerare

Carlo Magno uno dei “padri” dell’Europa?

Sarcofago di Carlo Magno Cattedrale di Aquisgrana

Particolare di Carlo Magno in trono con Papa Leone III e un vescovo.

A questo punto possiamo comprendere perché questo straordinario sovrano può essere considerato uno tra i “padri” dell’Europa moderna, forse il più importante. Egli infatti riuscì in pochi anni, dopo la frammentazione e la caduta dell’Impero Romano, a ricostituire un impero di grandi dimensioni. Seppe anche unificare sotto il suo dominio territori in cui vivevano popoli diversi per usi e tradizioni. A questi popoli seppe dare un unico governo, leggi e istituzioni comuni, valori religiosi e civili condivisi, una comune cultura. Infine diede un contributo decisivo all’azione missionaria della Chiesa e quindi all’affermazione definitiva del Cristianesimo in Europa. Per tutto questo “padre dell’Europa cristiana” è l’appellativo che meglio esprime il valore profondo della sua opera.

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PROTAGONISTI

Alcuino di York: un modello di intellettuale medievale

Spesso la grandezza dei sovrani si vede anche dall’abilità e dalla saggezza con cui scelgono i loro consiglieri e collaboratori. Questo vale in modo particolare per Carlo Magno che seppe, tra gli altri, avvalersi del contributo del monaco inglese Alcuino di York, un saggio intellettuale che lasciò, seppur in modo discreto, un segno profondo in tutta la successiva cultura medievale.

Nato in Inghilterra, ma uomo di vocazione europea

nato a York, in Inghilterra, attorno al 735, Alcuino studiò e insegnò nella scuola locale finché, conosciuto Carlo durante un viaggio in Italia, venne da lui invitato alla sua corte. Qui, a partire dal 781, si occupò della riforma degli studi e della costituzione della Schola palatina e diede un grande contributo all’insegnamento di quelle che verranno chiamate le arti liberali del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica). Su queste discipline scrisse importanti trattati, facendole diventare materie di studio fondamentali all’interno delle scuole che fioriranno poi nel Medioevo.

Uomo dai molteplici interessi

I suoi interessi non si fermarono qui: si occupò anche di filosofia e teologia, dello studio e dell’interpretazione della Sacra Scrittura (in particolare provvide a una revisione del testo della Vulgata, la Bibbia in latino allora in uso), di agiografia (lo studio delle vite dei santi) e di poesia. Si dedicò anche alla raccolta e alla trascrizione dei testi antichi che curava con particolare amore e contribuì a diffondere nel Medioevo l’interesse e la passione per i libri e la cultura latina. Dimostrò sempre, in questa sua attività, grande chiarezza espositiva, linearità di pensiero e vasta erudizione, costituendo un modello di intellettuale che avrà poi ampio seguito in tutto il Medioevo.

Un consigliere fedele, ma critico nella sua attività di consigliere fidato di Carlo non fu mai totalmente prono alla volontà del suo sovrano e, all’occorrenza, si mostrò anche capa-

ce di criticarlo e correggerlo. Questo avvenne in particolare riguardo al problema della conversione forzata dei Sassoni. Alcuino non condivideva l’uso della forza per imporre loro il battesimo e scrisse a Carlo le seguenti parole: «La fede nasce dalla volontà, non dalla costrizione. Si può persuadere un uomo a credere, non si può obbligarlo», aggiungendo che «la Sassonia ha bisogno di predicatori, non di predatori».

Divenuto abate di varie abbazie in Francia, finì a Tours dove rimase fino alla morte, che avvenne nell’804.

Alcuino di York, rappresentato con l’aureola in una raffigurazione medievale perché proclamato beato della Chiesa Cattolica

CAPITOLO 6 125

METTIAMO A FUOCO

Che cosa rendeva forte l’esercito franco?

Una cavalleria “corazzata”

Il fulcro dell’esercito franco era costituito dalla cavalleria. Carlo Magno disponeva di qualche migliaio di cavalieri armati di tutto punto; usavano infatti lancia, scudo, spada lunga e spada corta, arco e frecce (mentre non risulta che si facesse un uso generalizzato della staffa). Inoltre, questi combattenti a cavallo erano ricoperti dalla brunia, una sorta di casacca di cuoio, rivestita di scaglie metalliche che proteggevano il loro busto come una corazza.

Il peso maggiore della guerra ricadeva sui nobili

Erano i nobili che costituivano tali reparti “corazzati” in quanto erano gli unici che potevano permettersi di acquistare queste armi, in genere molto costose, e di mantenere dei cavalli. Viceversa i soldati a piedi erano equipaggiati solo con lancia, scudo e arco (che comunque, se ben usato, costituiva uno strumento di offesa efficacissimo). Se quindi, in linea di principio, spettava a tutti gli uomini liberi dell’Impero combattere per il proprio sovrano, di fatto poi il peso maggiore delle campagne militari ricadeva sul ceto nobiliare.

Un esercito poco numeroso un altro dato interessante è che l’esercito carolingio non era probabilmente molto numeroso. non accadeva infatti di frequente che si procedesse a un arruolamento generale di tutti gli abitanti dell’Impero in grado di portare armi. Molto più spesso si arruolavano combattenti solo tra i residenti nelle aree vicine ai luoghi di guerra. Si ritiene che Carlo organizzasse spedizioni di non più di 10.000-12.000 uomini per volta, anche se naturalmente il gran numero di abitanti dell’Impero gli consentiva di allestire parecchie spedizioni a breve distanza l’una dall’altra o addirittura contemporaneamente su più fronti. Questo si spiega con le difficoltà logistiche che un esercito numeroso poteva incontrare. L’esercito carolingio infatti, quando si addentrava in terre straniere, portava con sé una gran quantità di approvvigionamenti che dovevano coprire il fabbisogno delle truppe per svariati mesi. È stato calcolato che, per una

spedizione di circa 10.000 uomini di cui qualche migliaio a cavallo, occorreva una scorta di viveri e vettovaglie di più di 6.000 carri trainati da 12.000 buoi. A loro volta i buoi, come pure i cavalli, necessitavano di aree di pascolo che non sempre era facile trovare quando i nemici, in ritirata, facevano terra bruciata o quando si combatteva in zone boscose o paludose. Da qui la scelta di corpi di spedizione abbastanza ridotti, ma naturalmente molto preparati e valorosi.

Guerre fatte di lunghi assedi

Riguardo alla strategia seguita, va detto che Carlo non prediligeva le battaglie in campo aperto. nelle sue numerose campagne militari furono poche infatti le battaglie campali da lui combattute. Preferiva invece condurre l’assalto ai nemici dopo averli costretti a battere in ritirata e a rinchiudersi nelle loro fortezze difensive. non si ha peraltro notizia che l’esercito franco disponesse di grandi armamenti da assedio (dai documenti si può pensare solo a catapulte e ad arieti). D’altra parte, però, le fortezze difensive del tempo erano in legno e terra per cui si potevano facilmente abbattere. Quando Carlo si trovò a fronteggiare fortificazioni murarie (come nell’assedio di Pavia o in quello di Saragozza) incontrò molte difficoltà e per avere la meglio fece ricorso alla fame: le città caddero solo dopo moltissimo tempo, quando ormai non disponevano più di viveri e vettovaglie.

126 C ARLO M AgnO “ RE E PADRE DELL’Eu ROPA”
Antica catapulta medievale

IL PERCORSO DELLE PAROLE

Duchi, conti, marchesi: con Carlo Magno nasce la nuova nobiltà europea

La divisione amministrativa dell’Impero fatta da Carlo Magno, con la creazione dei conti e dei marchesi che si affiancavano ai duchi (dal latino dux, condottiero), segna la nascita della nuova nobiltà europea. Questi signori, infatti, che, secondo la tradizione dei popoli barbarici, erano in origine guerrieri valorosi e fidati che combattevano a fianco del re, si trasformano ora in funzionari che collaborano col sovrano nel far “funzionare” il governo dell’Impero, svolgendo compiti amministrativi per suo conto. Per questo vengono investiti di un titolo e di beni che finiscono poi per trasmettere come eredità ai figli. uniscono quindi nella loro persona, e poi nella loro dinastia, valore

militare, nobiltà di origini dovute al rapporto privilegiato con l’imperatore, possesso di ricchezze e terreni, detenzione di poteri. Dispongono quindi, nella società medievale, di una condizione di privilegio, condizione che andrà crescendo sempre più, dopo la morte di Carlo, con il venir meno di un forte potere centrale e il pieno affermarsi del sistema feudale. Si tratta del nucleo più antico di quella nobiltà che avrà un ruolo determinante nella società europea almeno fino a tutto il XVIII secolo, e di cui Carlo Magno può essere a pieno titolo considerato il padre.

CAPITOLO 6 127
Trono di Carlo Magno Cattedrale di Aquisgrana

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Aquisgrana, la “nuova Roma”

Una città accogliente

Situata nella germania nord-occidentale, vicino all’attuale confine tedesco con Belgio e Paesi Bassi, Aquisgrana (oggi chiamata in tedesco Aachen e in francese Aix-la-Chapelle) fu sede prediletta e privilegiata di Carlo Magno. Si trattava di una città di origini romane, fondata attorno al 150 d.C. col nome di Acquae Grani e divenuta subito celebre per le sue acque termali e per il suo clima particolarmente mite e accogliente. Fu per tali ragioni che Carlo la elesse come sua residenza preferita, considerandola la “nuova Roma”, e vi trascorse i lunghi inverni tra una campagna militare e l’altra. Il legame della città con le istituzioni imperiali, iniziato con Carlo, rimase stretto anche con i successivi imperatori carolingi. Per questo motivo essa rivestì sempre un importante valore simbolico. Fu sede di diete e concili, di trattative diplomatiche e

di stipule di importanti trattati. Fino al 1531 ebbe il privilegio di essere la sede dell’incoronazione e della consacrazione degli imperatori. Il periodo più tragico per la città fu durante la Seconda guerra mondiale quando fu distrutta per il 50%, anche se fortunatamente gli edifici di maggiore rilevanza storica scamparono al disastro. Tra questi, l’edificio più importante è la cattedrale, dichiarata nel 1978 dall’unesco patrimonio dell’umanità.

La Cappella Palatina

La cattedrale ingloba al suo interno la celebre Cappella Palatina, fatta erigere da Carlo tra il 796 e l’805, a imitazione della chiesa ravennate di San Vitale e con non pochi rimandi al palazzo impe-

Cappella Palatina con l’altare maggiore Cattedrale di Aquisgrana

128 C ARLO M AgnO “ RE E PADRE DELL’Eu ROPA”

riale di Costantinopoli. Questi riferimenti fanno capire tutta l’importanza che la cappella doveva avere nelle sue intenzioni: non era solo un luogo di devozione, ma rappresentava un modo per emulare la grandezza dell’Impero Bizantino anche in campo artistico e architettonico.

La cappella è costituita da un grande vano ottagonale attorniato da un corridoio deambulatorio, sormontato a sua volta da una galleria. Il piano inferiore presenta arcate con pilastri e volte a botte mentre la galleria soprastante sostiene con le sue strutture una cupola che raggiunge l’altezza di 32 metri circa, mentre il diametro della base ottagonale raggiunge i 16 metri.

nei secoli successivi, alla Cappella Palatina si sono aggiunte integrazioni; in particolare un coro realizzato tra il XIV e il XV secolo, e una serie di cappelle laterali risalenti al XII secolo.

Gli splendidi tesori

Ancor oggi la cappella conserva tesori dell’arte carolingia e del periodo successivo. Tra questi ricordiamo il trono imperiale in marmo usato per l’incoronazione degli imperatori, il sarcofago marmoreo detto di Proserpina (che probabilmente contenne le spoglie di Carlo fino al loro spostamento, nel XII secolo, in un reliquiario d’oro dove attualmente si trovano), la magnifica croce detta di Lotario, risalente agli inizi dell’XI secolo, la pala d’oro che decora l’altare, gli splendidi portali bronzei, un ambone in rame placcato d’oro intarsiato. Dalla cupola pende infine uno straordinario lampadario in rame, dono di Federico Barbarossa.

CAPITOLO 6 129
Croce di Lotario, cammeo centrale con ritratto di Augusto che regge lo scettro del comando Tesoro della Cattedrale di Aquisgrana

PARTIAMO DALLE FONTI

Carlo Magno

nella descrizione di Eginardo

nel 1861 si aprì ad Aquisgrana il sarcofago che ne conteneva le spoglie e se ne esaminarono i resti. Quello che ne risultò era un uomo decisamente alto (si calcolò un’altezza di circa 192 cm) e alquanto vigoroso.

Ecco alcuni passi significativi della descrizione di Eginardo. Leggi con attenzione e, poi, rispondi alle domande proposte:

Un uomo piuttosto bonario…

La più antica descrizione di Carlo Magno è quella contenuta nella Vita Karoli, opera del cronista franco di origine tedesca Eginardo, vissuto alla corte di Aquisgrana fino all’840. Questo biografo ci presenta un ritratto del grande sovrano prendendo a modello le vite degli imperatori romani scritte da Svetonio. In esso vengono ingigantite le qualità morali come la generosità, la pazienza, la moderazione di Carlo, ma non mancano cenni ai suoi difetti e, nella descrizione dell’aspetto fisico, alcune sottolineature di particolari poco “regali”, che evidenziano una certa sua goffaggine. Il tutto ci fa pensare che Carlo era un sovrano diverso rispetto a quelli antichi e a quelli bizantini. non aveva nei confronti della corte e dei sudditi un atteggiamento freddo, distaccato e superiore, tale da incutere paura. Al contrario, si presentava come un uomo alla mano, bonario, cordiale, disposto allo scherzo.

… dal fisico imponente

Riguardo alla sua costituzione fisica piuttosto robusta testimoniata, oltre che dallo storico franco, anche dalle rappresentazioni iconografiche risalenti al IX secolo o immediatamente successive, va detto che essa ha trovato conferma quando

«Carlo era di taglia grossa e robusta, di statura elevata, ma non eccezionale; aveva la testa rotonda, gli occhi grandi e vivaci, il naso appena più grosso del normale, bei capelli bianchissimi, l’espressione del viso allegra e gioiosa; il collo corto e grasso e il ventre un po’ sporgente; la voce chiara, ma un po’ troppo sottile per la sua stazza. godeva di salute ottima, tranne che negli ultimi quattro anni prima della morte, quando fu affetto da continue febbri; anzi negli ultimi tempi zoppicava da un piede. Anche allora comunque faceva più di testa propria che secondo i consigli dei medici; anzi li detestava perché pretendevano che si nutrisse di carne lessa e smettesse di mangiare gli arrosti a cui era abituato.

Vestiva secondo la foggia nazionale dei Franchi: indossava una camicia e mutande di lino, poi la tunica che lo copriva e i gambali; fasciava le braccia e portava dei sandali. D’inverno proteggeva le spalle e il petto con una corazza fatta di pelle di lontra. nelle solennità vestiva un abito ricamato in oro e calzari ornati di gemme, e portava il saio allacciato con una fibbia d’oro, mentre una corona d’oro e di gemme gli ornava la testa. negli altri giorni invece il suo abito si distingueva poco da quello usuale della gente comune. nel parlare era loquace, anzi esuberante, e poteva esprimere con molta chiarezza tutto quello che voleva. né si contentava solo della sua lingua, ma volle imparare anche quelle straniere: imparò a parlare il latino come se fosse stata la sua lingua; il greco invece lo poteva capire meglio di quanto non potesse parlarlo. Coltivò con gran cura gli studi liberali e rispettò molto i dotti, ai quali destinò grandissimi onori.

130 C ARLO M AgnO “ RE E PADRE DELL’Eu ROPA”
Carlo Magno dirige la costruzione di Aquisgrana Miniatura di Jean Fouquet (XV secolo) Bibliothèque Nationale, Parigi

Con tutta la buona volontà, si sforzò di imparare a scrivere e a questo scopo teneva sempre sul letto, sotto i cuscini, le tavolette cerate per poter esercitare la mano a scrivere lettere quando disponeva di tempo libero. Ma questa sua fatica, iniziata troppo tardi, non ebbe una buona riuscita».

1. Com’è l’espressione del viso? Rivela qualche particolare del suo carattere?

2. Quali aspetti fisici paiono poco consoni al ritratto di un imperatore?

3. Quali malattie e difficoltà fisiche lo afflissero negli ultimi anni della sua

Anche un particolare del suo modo di vestire rivela un aspetto del suo carattere che lo rende diverso dagli altri sovrani.

Quale particolare rivela la sua

Com’era il suo modo di parlare?

CAPITOLO 6 131
Disegno ricavato da una statuetta in bronzo risalente al IX secolo e conservata al Museo del Louvre a Parigi

SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

È giusto imporre una religione con la forza?

La libertà di coscienza, diritto fondamentale dell’uomo Si rimane perplessi e sconcertati nel vedere come Carlo Magno ottenne la conversione dei Sassoni al Cristianesimo: usò infatti la forza e la violenza per imporre a tutti il battesimo. È un comportamento che noi uomini di oggi non riusciamo ad accettare né possiamo giustificare. per noi nessuno può essere obbligato con la forza o le minacce ad abbracciare idee, convinzioni, credenze religiose. l’adesione a queste deve essere il frutto di una scelta libera, intima e consapevole. possiamo dire che il mondo occidentale ha ormai abbracciato con convinzione questa posizione, considerando la libertà di coscienza (che comprende anche la libertà di religione) come uno dei principali diritti dell’uomo. Va detto anche, a onor del vero, che non si può dire altrettanto per culture o mondi religiosi lontani dal nostro (si pensi a taluni paesi del mondo musulmano dove la religione è tuttora imposta a tutti i cittadini per legge e non vi è per loro la possibilità di cambiarla, pena la morte). per tornare a Carlo Magno, come possiamo spiegare il suo comportamento?

Una mentalità lontana dalla nostra Innanzitutto emerge in questo caso un problema che sempre si pone nella ricerca storica: la mentalità degli uomini del passato non corrisponde alla nostra e quindi è molto difficile per noi spie-

gare gesti e comportamenti lontani nel tempo. È necessario perciò uno sforzo per evitare giudizi approssimativi e per comprendere le azioni degli uomini del passato nel loro contesto, che era diverso dal nostro. allora non era così chiaro per tutti il valore della libertà di coscienza. Il mondo barbarico esaltava continuamente l’uso della forza contro i popoli stranieri e gli esempi di sovrani antichi aggressivi e violenti (esempi presenti anche nel Vecchio Testamento) lo confermano. Certamente il mondo cristiano stava elaborando le idee del rispetto dell’uomo e del valore assoluto della persona contenute nel Vangelo (e l’atteggiamento del monaco alcuino, che criticò aspramente Carlo per l’uso della violenza contro i Sassoni ne è una prova), ma queste idee facevano ancora fatica a penetrare nella mentalità di sovrani di origine e cultura barbarica, cresciuti nell’esaltazione della guerra e della forza. Bisogna quindi tener conto, nel valutare il comportamento di Carlo, del contesto culturale che lo influenzava, cui si aggiungevano il suo particolare temperamento e la necessità politica di stroncare la resistenza di un popolo, come quello dei Sassoni, tra i più ribelli e pericolosi per il suo regno. nonostante le critiche di alcuino e l’insegnamento del Vangelo, perciò, quando si trattò di decidere come comportarsi nei loro confronti, Carlo scelse quello che la sua cultura di origine gli dettava.

132 Carlo
“re e
dell’ europa”
Magno
padre

1. Carlo Magno costituì un grande impero europeo, ispirato all’Impero Romano, ma con caratteristiche profondamente cristiane. Per questo si parlerà di Sacro Romano Impero. Grazie a tale opera può giustamente essere considerato un padre dell’Europa.

2. Dopo aver ereditato il Regno dei Franchi, egli con una lunga serie di campagne militari sconfisse i Sassoni e li convertì, anche con la forza, al Cattolicesimo. Affrontò gli Arabi di Spagna, fondando la Marca Spagnola. Allargò poi i confini dell’Impero fino alla pianura del Danubio.

3. Chiamato in aiuto dal Papa Leone III, vittima di una congiura, Carlo Magno scese in Italia, restaurò l’autorità del papa e fu da lui incoronato imperatore la notte di Natale dell’800.

4. Carlo Magno non realizzò un impero accentrato; al contrario divise i territori in ducati, affidati a un duca, contee, affidati a un conte, e contee di confine, dette marche, affidate a un marchese. Questi “signori” rispondevano direttamente all’imperatore e si impegnavano con un giuramento di fedeltà ad amministrare i territori per suo conto e secondo la sua volontà. Ne diventavano quindi “vassalli”. Alcuni suoi inviati personali, detti “missi dominici”, giravano in coppia l’Impero in qualità di ispettori per prevenirne abusi e vigilare sul loro comportamento.

5. Carlo promosse senza sosta la diffusione del Cristianesimo ed ebbe un atteggiamento di riguardo nei confronti della Chiesa, in particolare di quella franca. Su di essa esercitò un controllo, nominando vescovi, aiutando e sostenendo abbazie e monasteri. Talvolta, per questo, entrò in conflitto col papato.

6. Durante il regno di Carlo Magno l’Europa conobbe un periodo di crescita culturale che fu chiamato “rinascita carolingia”. Alla sua corte di Aquisgrana l’imperatore raccolse attorno a sé grandi uomini di cultura, come Paolo Diacono e Alcuino, e promosse la diffusione, in ogni parte dell’Impero, di scuole in grado di formare e istruire tutto il popolo.

CAPITOLO 6 133
RACCONTIAMO IN BREVE

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Quali furono le più importanti conquiste militari di Carlo Magno?

2. Chi era Witichindo?

3. Che cosa stabiliva il Capitolare Sassone?

4. Che cosa avvenne realmente a Roncisvalle?

5. Che cosa avvenne la notte di natale dell’800?

6. Che cosa significavano le parole pronunciate dal popolo e del clero nei confronti di Carlo dopo l’incoronazione nella notte di natale dell’800?

7. Qual era il fulcro del nuovo Impero carolingio?

8. Che cosa differenziava le marche dalle contee?

9. Che cos’erano i capitolari?

10. Che ruolo svolgevano i missi dominici?

11. Che cos’era la Schola Palatina? Quale tipo di scrittura si sviluppò presso di essa?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Carlo Magno viene incoronato imperatore

2. nascita di Carlo Magno

3. Carlo Magno diventa re dei Franchi

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

Carlo Magno fu figlio di Pipino il Breve.

Carlo Magno diffuse il Cristianesimo presso i Sassoni con metodi pacifici.

Il Sacro Romano Impero di Carlo Magno fu molto simile all’Impero Romano.

Le marche erano territori di confine amministrati dai marchesi.

Conti e marchesi ricevevano in proprietà i territori imperiali.

Carlo Magno non si occupò della Chiesa.

Carlo Magno favorì la rinascita culturale dell’Europa.

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Esercizio 4 · Spiega in un breve testo le differenze tra l’Impero carolingio e l’Impero Romano. Cerca di contenere la risposta in un massimo di 10 righe del tuo quaderno di lavoro.

Esercizio 5 · Completa il seguente brano nelle parti mancanti.

Per meglio governare il suo vasto Carlo Magno lo suddivise in contee e . Le prime vennero affidate ai mentre le seconde ai . Queste ultime si trovavano e quindi necessitavano di A questa divisione amministrativa si aggiungevano i ducati che

. Coloro che amministravano questi territori erano scelti tra e ad essi l’imperatore affidava molteplici compiti quali

. Essi in cambio della loro fedeltà e dei servigi che svolgevano per l’imperatore ricevevano un cioè la possibilità di

Con la promessa solenne di fedeltà i signori diventavano dell’imperatore. Carlo radunava annualmente i suoi nei campi di , comunicava loro le proprie deliberazioni dette e controllava poi l’operato dei inviando dei suoi ispettori detti .

Per questo compito di ispettori si serviva anche di ecclesiastici perché

. Questa modalità di amministrare l’Impero può essere considerata all’origine del sistema che si svilupperà in Europa soprattutto dopo la morte di Carlo.

CAPITOLO 6 135

Cerimonia di investitura feudale Miniatura dal Codice Sercambi, Archivio di Stato, Lucca

Il declino dell’Impero carolingio e l’affermarsi del feudalesimo

Signori e vassalli: un modello sociale duraturo nel tempo

Un uomo è in ginocchio di fronte al suo signore con le mani congiunte e strette dalle sue. In presenza dei testimoni e davanti ai simboli sacri, pronuncia un solenne giuramento di fedeltà, e allora il signore lo alza e lo abbraccia: la promessa è reciproca. A tale giuramento farà seguito la concessione di un territorio, un “feudo”. Era questo l’atto solenne che sanciva la nascita di un rapporto feudale.

Il feudalesimo, questa particolare organizzazione sociale caratteristica dell’alto Medioevo e che potremmo definire una lunga “catena di doveri”, traeva le sue origini molto indietro nel tempo, nella mentalità e nella organizzazione della società barbarica.

Poté però svilupparsi a partire dalla decadenza del sistema carolingio e dall’arrivo minaccioso dei nuovi invasori dell’Europa, ricevendo un consistente apporto dal Cristianesimo. La sua durata fu lunga e differente da regione a regione e la sua influenza profonda e duratura.

Ancora nel XIX secolo troveremo infatti luoghi dell’Europa dove i rapporti sociali saranno modellati su questo “sistema”. Possiamo dire che l’Europa moderna nascerà solo quando saprà svincolarsi da questo modello. E non sarà un parto facile.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• La formazione delle lingue europee

• I Vichinghi, dominatori del mare

• I castelli medievali

• Bodo, un contadino francese del IX secolo

• Quando a tutelare i diritti dei cittadini è lo stato

• Le “paci” e le “tregue di Dio”

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 7
per non perdere il filo

Ritratto di Ludovico il Pio Miniatura da un codice dell’XI secolo, Museo Atger, Montpellier, Francia

Perché si dice che Ludovico non possedeva le qualità del padre?

1 · L’Impero carolingio muore col suo fondatore

A Carlo succede il figlio Ludovico il Pio Carlo Magno aveva deciso, conformemente alla tradizione franca, che alla sua morte l’Impero sarebbe stato diviso in parti uguali fra i suoi tre figli maschi. Due di questi però morirono prima del padre e nell’814, quando Carlo si spense, fu Ludovico, l’unico sopravvissuto, a ereditarlo. Egli però non possedeva le qualità del padre: non era un abile comandante militare né un saggio organizzatore politico. Non godeva nemmeno dell’autorevolezza sui vassalli che Carlo si era conquistato sul campo e questo fu un fattore decisivo che portò al declino dell’Impero.

Di carattere mite e remissivo, si occupò invece, come e più del padre, di diffondere e rafforzare la pratica religiosa dei suoi sudditi. Per questo si meritò l’appellativo di Pio con cui è passato alla storia.

Ludovico divide l’Impero

La successione a Ludovico fu complessa e travagliata. Egli aveva diviso l’Impero tra i suoi figli ma contrasti e rivalità li avevano portato a confitti e sconvolgimenti che si conclusero solo nell’843 con il cosiddetto Trattato di Verdun. Con esso si sanciva la spartizione dell’Impero. Al figlio primogenito, Lotario, andò il titolo di imperatore nonché i territori della Lotaringia (una striscia di terra comprendente le attuali Olanda, Belgio, Alsazia e Lorena) e dell’Italia centro-settentrionale (allora chiamata Regnum Italiae); a Ludovico il territorio dell’attuale Germania (per questo fu detto poi “il Germanico”); a Carlo il Calvo il territorio del futuro Regno di Francia.

Con la divisione dell’Impero nascono

le prime nazioni europee

Tale spartizione fu all'origine di quella che possiamo considerare la nascita delle prime due grandi nazioni d'Europa, la Germania e la Francia. Questi due territori infatti, da allora in poi, saranno governati da dinastie differenti e acquisiranno sempre più la fisionomia di stati diversi, anche nelle lingue usate che andranno differenziandosi sempre di più nel corso dei secoli. Nei territori germanici si parlerà la lingua tedesca (teudisca) mentre in quelli francesi si affermerà sempre più la lingua d’oil (forma primitiva dell’attuale lingua francese).

Il Giuramento di Strasburgo

Una conferma di quanto appena detto si ritrova nel cosiddetto Giuramento di Strasburgo, avvenuto nell'842. Con esso, Carlo il Calvo e Ludovico si giurarono alleanza nella guerra che stavano intraprendendo contro il fratello Lotario. Il fatto singolare è che il primo giurò usando la lingua tedesca per farsi capire da Ludovico e dai suoi soldati mentre quest'ultimo prestò giuramento in lingua d'oil, quella usata da Carlo e dai suoi uomini. Tale giuramento, di cui ci è giunta anche la formulazione scritta, costituisce il primo esempio dell'uso ufficiale di queste lingue.

Il caso dell’Italia

Anche l’Italia assunse caratteristiche sempre più particolari. I territori a suo tempo strappati da Carlo Magno ai Longobardi continuavano a trovarsi all’interno dell’Impero ed erano sottoposti all’autorità imperiale ma si andava consolidando l’uso di parlarne come di un regno (il Regnum Italiae appunto) di cui esistevano un re e una corona. È vero che spesso tale corona era detenuta, come nel caso di Carlo, dall’imperatore stesso, ma è anche vero che essa cominciò ad essere vista come una entità politica, e quindi appunto un vero e proprio regno, con una sua identità, al punto da diventare,

Perché è importante il Trattato di Verdun?

CAPITOLO 7 139

Feudo

Termine che risale probabilmente al francese antico (fehu-od) e che significa “possesso di bestiame”. Indicava inizialmente i beni che un comandante donava ai suoi soldati in cambio di servigi. Passò poi, col tempo, a indicare il terreno conferito dai sovrani ai loro vassalli, terreno su cui evidentemente si poteva condurre il bestiame al pascolo.

nei periodi di assenza dell’imperatore, oggetto di lotta e di contesa tra i vari signori locali.

Inoltre anche nella penisola, seppur molto lentamente, si andava affermando una lingua, il cosiddetto “volgare” (cioè "popolare" dal latino vulgus che significa popolo), che si stava sempre più differenziando dal latino e assumeva caratteristiche proprie.

Viene concessa l’ereditarietà ai grandi vassalli: si va verso il feudalesimo

Altre importanti modifiche si introdussero gradualmente nell'Impero negli anni successivi alla morte di Carlo Magno, modifiche che avrebbero portato al suo progressivo indebolimento e alla sua fine. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, Carlo aveva governato il suo vasto territorio concedendo ai suoi compagni di palazzo (divenuti suoi vassalli) parti di esso in beneficio, in cambio di fedeltà e obbedienza. Il beneficio non era ereditario ma solo temporaneo. Ciò significava che, alla morte del vassallo, il territorio doveva ritornare all’imperatore che ne poteva disporre secondo la sua volontà. Già al tempo di Carlo però tale pratica cominciò ad allentarsi e di frequente l’imperatore permetteva che il figlio di un vassallo ricevesse in eredità il territorio del padre. Anche le funzioni esercitate dal vassallo, come riscuotere le tasse e arruolare l’esercito, venivano trasmesse al figlio. Alla morte di Carlo questa pratica andò consolidandosi, fino a che nell’877 Carlo il Calvo, col Capitolare di Quierzy, concesse per legge l’ereditarietà dei feudi maggiori, ossia quelli concessi ai grandi vassalli di Francia. In tal modo il feudo (questo è il nome che veniva dato al territorio ricevuto) diventava una sorta di proprietà del vassallo, che su di esso esercitava poteri autonomi.

Dai vassalli ai valvassori

Perché con l’ereditarietà dei feudi

i poteri dei sovrani si indebolirono?

A sua volta poi il vassallo, ormai padrone del proprio feudo, poteva concedere parte di esso a persone di sua fiducia in un vincolo simile, creando così dei vassalli minori o valvassori e frammentando ulteriormente il territorio e i poteri. Tutto questo mostra con evidenza quanto ormai il potere e l’autorità del sovrano si stessero indebolendo. I vassalli, infatti, sui loro territori erano diventati dei signori, praticamente indipendenti, senza più nessun obbligo nei confronti del re.

Viene deposto l’ultimo imperatore: è la fine dell’Impero

La crisi dell’Impero precipitò nei decenni successivi quando sui territori europei si abbatterono violente invasioni di nuove bellicose popolazioni. Nell’887 l’ultimo imperatore, Carlo il Grosso, che per una serie di fortuite circostanze si era trovato a riunificare nelle sue mani per un breve periodo tutti i territori carolingi, venne de-

140 IL DeCLInO DeLL’IMPerO CArOLIngIO e L’AFFer MAr SI DeL Feu DALe SIMO

posto dai grandi vassalli dell’Impero, ormai, come visto, sicuri e potenti padroni dei loro domini e nel loro insieme più forti dello stesso imperatore. Con questa destituzione, motivata dall’incapacità di Carlo a provvedere alla difesa del territorio francese dall’attacco dei Normanni, l’Impero carolingio cessava di esistere. Re di Francia diventava il nobile Oddone di Parigi, re di Germania Arnolfo di Carinzia e re d’Italia Berengario del Friuli mentre la Lotaringia veniva assorbita nei territori di Francia e Germania.

2 · La grande paura: le invasioni di nuovi popoli

Gli “uomini del nord”

Mentre tutto questo avveniva, si andava profilando all’orizzonte una nuova e grave minaccia per l’Europa. Già dal VII secolo i mari del nord erano dominati dai Vichinghi, un popolo di abilissimi e coraggiosi navigatori che si erano insediati in Scandinavia. Da lì, favoriti da un clima più mite che aveva reso facilmente navigabili i mari settentrionali, si erano spinti verso altre terre conquistandole: l’Irlanda, l’Islanda, la Danimarca, la Russia (il nome rus che si-

La triplice spartizione dell’Impero dopo la morte di Ludovico il Pio regno di Lotario regno d’Italia regno di Ludovico regno di Carlo il Calvo Patrimonio di San Pietro Territori bizantini Territori musulmani Città importanti

Perché fu deposto l’ultimo imperatore Carlo il Grosso?

CAPITOLO 7 141
Milano Pavia
Roma Ravenna
Regno di Danimarca Narbona Danubio
Reno
Rodano Parigi
Costanza Lione Digione
Arles
Regno degli Anglosassoni
Praga Augusta
Bordeaux Tours
Aquisgrana Colonia Magonza Brema Loira Napoli
Siviglia Cordoba Regno di Asturia e Leon Emirato di Cordoba Ducato di Benevento

gnifica forse “rematori” era l’appellativo dato loro dai popoli slavi) e la Groenlandia; da qui probabilmente avevano raggiunto anche le coste del Nord America. Con le loro agili navi assalivano le zone costiere, risalivano i fiumi, depredavano le città, avviavano fruttuosi commerci.

La minaccia giunge nel cuore della Francia Verso la fine del IX secolo questi audaci guerrieri cominciarono anche ad assalire la Francia, dove vennero chiamati Normanni (cioè “uomini del nord”). Qui occuparono una regione settentrionale, detta poi Normandia, e giunsero persino ad assediare Parigi, da cui furono però respinti. Dalla Normandia, come vedremo, partirono anche alla conquista dell’Inghilterra sconfiggendo le popolazioni germaniche degli Angli e dei Sassoni, che vi si erano stanziate dopo l’abbandono dell’isola da parte dei Romani. Un nucleo di Normanni si spinse anche verso l’Italia meridionale. Gradualmente, grazie anche alla progressiva conversione al Cristianesimo, questo popolo finì per integrarsi all’interno della civiltà europea e non costituì più una minaccia. Nel 911 i Normanni ottennero anche il riconoscimento ufficiale delle loro conquiste: il loro condottiero Rollone fu riconosciuto come vassallo dal re dei Franchi Carlo il Semplice.

Da est arrivano gli Ungari

Un’altra minaccia per le popolazioni europee giunse da est. Si trattava degli Ungari (o Magiari), che si stanziarono appunto nei territori dell’attuale Ungheria, l’antica Pannonia, spingendosi poi nelle loro scorrerie in Italia (dove arrivarono a minacciare la stessa Roma) e nella Francia del sud. Anch’essi però cessarono di essere una minaccia quando si convertirono al Cristianesimo grazie al loro re Stefano, verso la fine del X secolo.

Le incursioni dei Saraceni

Ma il pericolo più grande per l’Europa veniva da sud, dal bacino del Mediterraneo, dove i guerrieri saraceni avevano occupato la Sicilia, le Sardegna e la Corsica, e minacciavano ripetutamente le coste della penisola (avevano più volte assalito la stessa Roma). Questi corsari arabi, di religione musulmana, non si convertivano al Cristianesimo e costituivano una minaccia continua almeno fino a quando non subirono una dura sconfitta nella battaglia del Garigliano (915) ad opera delle truppe guidate dal papa Giovanni X e dai suoi alleati italiani.

142 IL DeCLInO DeLL’IMPerO CArOLIngIO e L’AFFer MAr SI DeL Feu DALe SIMO

I signori costruiscono i castelli e i contadini chiedono protezione

Queste continue invasioni e scorribande resero sempre più precaria la vita delle popolazioni soprattutto nelle campagne. I signori provvidero a proteggere le loro residenze costruendovi attorno barriere difensive, torri di avvistamento e fortificazioni, dapprima in legno e poi in muratura. I contadini, indifesi e inermi, in caso di pericolo cercavano e trovavano rifugio all’interno di queste cinte fortificate, protetti dai signori ai quali promettevano in cambio fedeltà e servigi. Nacquero così i castelli che, a partire dal X secolo, ricoprirono il territorio europeo in numero altissimo. Si pensi che in Toscana fra il X e il XIII secolo ne sorsero quasi mille mentre c’è una regione spagnola, la Castiglia, che prese il nome proprio dall’altissimo numero di fortificazioni che vi furono costruite. Ove era possibile, inoltre, anche abbazie, monasteri, fattorie cercavano di dotarsi di spesse mura protettive.

Il fenomeno dell’incastellamento ebbe un’incidenza notevole sulla vita sociale ed economica del tempo. Soprattutto contribuì a rafforzare i legami di dipendenza tra i contadini e i signori e influì in maniera massiccia sulle modalità di sviluppo dell’economia agricola.

Scorrerie e migrazioni di Ungari e Scandinavi Insediamento degli ungari

Influssi politici scandinavi Influssi commerciali scandinavi

Direzioni principali delle scorrerie degli ungari

Prima fase di espansione scandinava

Seconda fase di espansione scandinava

nelle pagine successive L’economia curtense attorno al castello

Perché vennero costruiti i castelli?

CAPITOLO 7 143
Mar Mediterraneo
Novgorod
Mar Nero
Danubio Reno Nilo
Kiev Antiochia Bisanzio Otranto Capua Palermo Roma
Bordeaux Verdun Rouen Marsiglia Padova Hastings Rusaddir (Melilla) Lechfeld

terreni massarici

144 IL DeCLInO DeLL’IMPerO CArOLIngIO e L’AFFer MAr SI DeL Feu DALe SIMO
CAPITOLO 7 145

Perché l’economia che si sviluppò nei feudi venne chiamata “curtense”?

Perché si parla di economia di sussistenza?

Attorno ai castelli si sviluppa l’economia curtense

Il castello, attorno a cui i contadini vivevano, finiva per diventare il centro d’attrazione di tutta l’attività produttiva. Nel lavoro dei campi si produceva poco, anche a causa dell’arretratezza degli strumenti di lavoro, e quel poco veniva scambiato tra i vari contadini all’interno del grande cortile del castello (detto curtis, da cui deriva l’espressione economia curtense). Non esisteva circolazione di denaro, sostituito da scambi di prodotti in natura (baratto), e non esisteva nemmeno la possibilità di commerciare, in quanto ciò che era prodotto era appena sufficiente a garantire la sopravvivenza dei contadini e delle loro famiglie (per questo gli economisti parlano di “economia di sussistenza”). Inoltre era spesso difficile e pericoloso circolare e trasportare merci in luoghi lontani. Per la verità i commerci a lunga distanza non erano del tutto scomparsi, ma si praticavano in misura ridotta e riguardavano non beni di prima necessità ma prodotti che oggi chiameremmo “di lusso”: le spezie, l’ambra, i codici.

Perché l’economia curtense era un’economia chiusa?

Si trattava di un’economia chiusa e autosufficiente L’economia curtense era quindi un’economia che, per i beni primari, era in gran parte “chiusa”, perché non indirizzata a commerciare prodotti al di fuori del feudo. Era anche autosufficiente, perché si tendeva a produrre tutto ciò che era indispensabile a garantire la sopravvivenza degli abitanti del feudo senza far ricorso a merci prodotte all’esterno di esso. Il signore, ormai padrone delle sue terre, tendeva a dividerle in due parti: una, detta pars dominica, gestita direttamente da lui tramite servi e contadini alle sue dipendenze, l’altra, detta pars colonica o massaricia, concessa ai contadini che ne pagavano l’affitto con parte del raccolto e altri obblighi e servigi.

3 · Si afferma la società feudale

Che cos’è il feudalesimo? Facciamo il punto

A questo punto abbiamo tutti gli elementi per comprendere pienamente che cosa sia il feudalesimo, cui abbiamo fatto qualche cenno in precedenza. Con questo termine si indica una particolare organizzazione della società e del potere che si sviluppò a partire dall’epoca carolingia e che caratterizzò molta parte della società europea per alcuni secoli (in qualche caso, come ad esempio in Francia, fino al XVIII secolo dove ebbe termine con la rivoluzione francese). In tale società un superiore concedeva a un inferiore, che gli giurava fedeltà e diventava suo vassallo, un territorio, il feudo (detto anche beneficium), e dei poteri di governo (detti anche im-

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munità) da esercitare su di esso: amministrare la giustizia, riscuotere le tasse e non pagarle a sua volta, arruolare l’esercito. Il conferimento del feudo avveniva attraverso un solenne giuramento, l’atto di omaggio (dal latino homo, cioè uomo) con cui si diventava “uomo” del signore. L'aspetto più interessante è che il giuramento stabiliva degli obblighi reciproci: l’inferiore si impegnava ad essere fedele al superiore, promettendo di aiutarlo in caso di necessità e di pericolo; il superiore, a sua volta, assumeva l’onere di proteggere l’inferiore e di garantirgli la possibilità di godere delle immunità.

Una società gerarchica…

Tenendo conto poi che, come abbiamo visto, i vassalli potevano creare a loro volta dei valvassori, quella che ne derivava era una società fortemente gerarchica, nella quale ogni uomo aveva un superiore e questi ne aveva un altro, fino al vertice costituito dall’imperatore o dal re. Ogni membro di questa specie di scala aveva dei doveri nei confronti di chi gli stava al di sopra ma anche di chi gli stava al di sotto. Era una sorta di grande “catena dei doveri” in cui ognuno era responsabile verso qualcun altro, anche se in un quadro

Perché si dice che il feudalesimo era una società gerarchica?

Perché si parla di “catena dei doveri” a proposito del feudalesimo?

Un sovrano feudale e la sua corte Paul getty Museum, Los Angeles

di forti differenze sociali: chi occupava i gradi inferiori di questa scala viveva, infatti, in condizioni ben peggiori di chi stava in alto.

… fondata su princìpi religiosi

I valori della lealtà, della fedeltà alla parola data e dell’onore, su cui si basavano i rapporti feudali, erano certamente presenti negli animi dei valorosi guerrieri di origine barbarica. Ricevevano però la loro forza soprattutto dal Cristianesimo. Il vassallo e il suo signore giuravano infatti con la mano stesa sul Vangelo o sulle reliquie dei santi, assumendosi l’impegno della fedeltà davanti a Dio e ai suoi rappresentanti in terra, gli uomini di Chiesa, e questo impegno rivestiva un’importanza straordinaria in un’epoca in cui la fede religiosa era particolarmente sentita.

Alla base della scala: i contadini

Alla base della scala sociale stavano i contadini, a volte liberi in quanto proprietari del piccolo terreno che lavoravano, più spesso servi della gleba. Questi ultimi ricevevano dal signore la terra su cui lavoravano (un piccolo appezzamento detto “manso” nella pars massaricia del feudo) ed erano legati a lui da una serie di vincoli e obblighi. Generalmente gli dovevano come “affitto” una parte del raccolto (a volte molto consistente). Dovevano inoltre lavorare gratuitamente per lui per un certo numero di giornate all’anno, poche o tante a seconda dei casi (si trattava delle corvées). Inoltre dovevano offrirgli prodotti, primizie, qualche animale e pagare pedaggi per l’utilizzo di ponti, mulini e altre strutture che si trovavano nel feudo. Il vincolo più importante che i servi della gleba avevano era, però, un altro: non potevano lasciare la terra che coltivavano ed erano quindi legati per sempre ad essa (gleba infatti significa terra, letteralmente quindi erano “servi della terra”). Questo obbligo si estendeva poi anche ai figli: anche a loro era fatto divieto di abbandonare il lavoro paterno. Per parte sua però il signore non poteva licenziare i servi della gleba, allontanarli dai suoi possedimenti, né dare ad altri la loro casa e il loro posto di lavoro. Doveva inoltre proteggerli in caso di assalti e incursioni nemiche. Ciò, pur nei limiti di una condizione certamente misera, era per quei tempi una garanzia non indifferente.

I servi della gleba non erano schiavi

Questa condizione particolarmente dura garantiva però la stabilità del sistema economico: se un contadino infatti avesse abbandonato il suo lavoro, non solo i guadagni del signore sarebbero diminuiti ma ne avrebbe risentito anche tutta l’economia del feudo che era molto precaria. Comunque va tenuto presente che i servi della gleba non sono paragonabili agli schiavi antichi. Questi erano praticamente oggetti, non persone; erano sotto la potestà assoluta del

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Perché il sistema feudale si fondava su princìpi religiosi?

padrone che su di loro aveva diritto di vita e di morte, non potevano svolgere un’attività personale, non avevano famiglia né beni. Il servo della gleba, al contrario, era una persona e non un oggetto, poteva possedere beni, un’abitazione e una famiglia. Inoltre la sua condizione gli garantiva la protezione da parte del signore che era tenuto a difenderlo da chiunque volesse cacciarlo dalla casa e dalla terra che coltivava. Infine, in caso di guerra, era esentato dagli obblighi militari.

Il mondo feudale: brutalità e rozzezza, ma anche gentilezza e cortesia

Il mondo feudale si caratterizzava nel complesso per una certa rozzezza in quanto legato a un’idea guerresca della vita. I signori dovevano essere innanzitutto abili guerrieri, pronti sempre a combattere e a difendere il proprio feudo. Passavano il loro tempo nell’addestramento militare e nella caccia. Inoltre non erano esenti da brutalità e durezza nel trattare i contadini e i servi alle loro dipendenze. Spesso erano in lotta tra loro e complotti, rivalità, violenze caratterizzavano la loro esistenza. Tuttavia, va anche ricordato che in questo mondo, soprattutto nelle corti di Francia, si sviluppò una raffinata cultura. Poeti, cantori girovaghi (chiamati trovatori o menestrelli) vi diffusero le loro poesie e canzoni che esaltavano i

Trovatori Illustrazione da un codice del XIII secolo, Monastero de el escorial, Spagna

Perché i servi della gleba non sono paragonabili agli schiavi antichi?

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Perché si dice che il feudalesimo è nato sia “dall’alto” che “dal basso”?

comportamenti eleganti e onesti, detti perciò cortesi (è da qui che nasce il termine “cortesia” che ancor oggi conserva un valore positivo). Soprattutto nella cultura di corte fiorì un grande rispetto per la donna, la dama, che divenne oggetto di culto e di venerazione.

La formazione del sistema feudale: un processo “dall’alto” e “dal basso”

Come si formò questa organizzazione sociale chiamata “feudalesimo” ? A questo punto siamo in grado di rispondere a questa domanda con una certa precisione. Esso non fu un progetto pensato e realizzato da qualche re o imperatore ma fu il risultato di un duplice processo che si sviluppò “dall’alto” e “dal basso”. Come abbiamo visto, infatti, vi furono da una parte Carlo Magno e i suoi successori che, per esigenze di governo, conferirono feudi ai propri vassalli in cambio di servigi e della promessa di fedeltà, dall’altra i contadini che, di fronte alla minaccia delle nuove invasioni, chiesero protezione ai signori mettendosi al loro servizio. Il verificarsi quasi contemporaneamente di questi due fenomeni diede alla società medievale, soprattutto quando l’autorità imperiale venne meno, questo particolare assetto.

Ad opera della Chiesa nasce la cavalleria

Al feudalesimo si saldò anche la nascita della cavalleria. I cavalieri erano giovani che si dedicavano all’uso delle armi, oggi diremmo dei soldati di professione, e che si mettevano al servizio di qualche signore feudale. Anche se l'accesso alla cavalleria era aperto a tutti, spesso vi partecipavano giovani cadetti, cioè figli non primogeniti

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dei nobili che, per questa ragione, non potevano godere dell’eredità paterna. All’inizio la loro attività si caratterizzava per l’aggressività e la violenza che seminavano nelle campagne e nei villaggi, dove compivano incursioni, depredavano e vessavano gli inermi abitanti. Per porre fine a queste violenze, o almeno per limitarle, si mobilitò in modo particolare la Chiesa. Abati e vescovi, con la loro autorità, riuscirono a imporre a questi giovani precise regole da rispettare. Si chiedeva loro l’impegno a battersi con lealtà e generosità per proteggere i poveri, gli orfani e le vedove e per difendere la fede contro i pagani. Con le cosiddette “tregue di Dio” si impose loro di astenersi dal combattere presso luoghi sacri, chiese e abbazie, e in occasione di festività religiose o di periodi importanti dell’anno come la Quaresima. È in tal modo che rozzi e bellicosi guerrieri divennero “cavalieri”, dediti a una missione che per molti aspetti aveva un carattere religioso. Anche la cerimonia con cui questi giovani entravano nella cavalleria, cerimonia detta “investitura”, assunse perciò un carattere sacro: avveniva in chiesa, accompagnata da preghiere e penitenze. Quando poi, alla fine dell'XI secolo, furono indette le crociate, i cavalieri si dedicarono espressamente al compito di liberare i luoghi santi e nacquero dei singolari ordini religioso-cavallereschi di cui parleremo più avanti.

L'importanza storica della cavalleria

Secondo alcuni storici la cavalleria rappresenta, dal punto di vista ideale, l'esempio più chiaro ed evidente dell'incontro fruttuoso tra la mentalità barbarica e i valori cristiani, avvenuto nell'alto Medioevo. Essa ha avuto conseguenze enormi sulla cultura, la mentalità, la spiritualità, le regole di comportamento e lo stesso modo di concepire il rispetto per la donna e il senso profondo dell'onore. L’onore e il rispetto per la parola data, infatti, divennero così importanti nella mentalità cavalleresca che l’accusa più infamante che un cavaliere poteva ricevere era quella di fellonia, cioè di codardia e di tradimento. L’influsso della cavalleria è testimoniato anche da molte opere letterarie, soprattutto dai poemi epici cavallereschi scritti in quei secoli, quali ad esempio la Chanson de Roland e le opere del ciclo bretone-arturiano imperniate intorno alle figure dei cavalieri della Tavola Rotonda.

Perché erano soprattutto i cadetti a entrare in cavalleria?

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METTIAMO A FUOCO

La formazione delle lingue europee

La spartizione dell’Impero carolingio, come abbiamo detto, pose le basi per l’affermazione delle diverse nazioni. La conferma di questo fu l’emergere e l’imporsi delle principali lingue europee, che incominciarono a svilupparsi proprio a partire dal IX secolo e che non sono sostanzialmente differenti da quelle ancor oggi in uso.

Lingue neolatine e lingue anglosassoni

Alcune di queste lingue, come l’italiano, il francese, lo spagnolo, chiamate lingue neolatine o romanze, nacquero dalla graduale evoluzione del latino al contatto con vocaboli e costruzioni proprie delle parlate barbariche. Altre invece, come il tedesco e l’inglese, derivano più direttamente dall’evoluzione di queste antiche lingue, anche perché si svilupparono in regioni come la germania, che non aveva mai conosciuto la dominazione romana, o l’Inghilterra, che l’aveva conosciuta ma non in maniera profonda. Per questo si chiamano tuttora lingue anglo-sassoni.

Che cosa avvenne nel Giuramento di Strasburgo

Come fa capire il giuramento di Strasburgo dell’842, fra le prime lingue nazionali ad affermarsi vi furono il tedesco e il francese. In quella circostanza Carlo il Calvo e Ludovico il germanico, giurandosi reciproca fedeltà nella lotta contro il fratello Lotario, utilizzarono le differenti lingue delle loro due nazioni, ognuno giurando nella lingua dell’altro e alla presenza dei rispettivi eserciti.

La lingua d’oc e la lingua d’oil

La lingua francese poi si sviluppò in due forme: l’oc e l’oil. La prima era parlata soprattutto nel sud della Francia ed era chiamata così perché oc era l’espressione usata per dire “sì” (dal latino hoc est: “è questo”, “è così”). La seconda era invece parlata nella Francia centro-settentrionale, dove per dire “sì” veniva usato il termine oil (da una contrazione del latino illud est: “è quello”, “è così”). In queste due lingue furono scritte importantissime opere letterarie che ebbero grande influenza su tutta la letteratura europea sia per gli argomenti trattati che per lo stile di scrittura. nella lingua

d’oil furono redatti i grandi poemi cavallereschi mentre nella lingua d’oc si espressero i trovatori, poeti e menestrelli girovaghi che rallegravano con le loro composizioni le corti della Francia meridionale. La conoscenza di questi ultimi fu alla base della nascente letteratura italiana agli inizi del XIII secolo.

In Italia il latino durò più

a lungo

In Italia il processo di formazione di una lingua nazionale fu molto più lungo rispetto alla Francia e alla germania. nel nostro paese, infatti, culla dell’Impero romano, il latino rimase a lungo la lingua ufficiale, usata in tutti i documenti scritti e dalla stessa Chiesa. nelle diverse regioni si svilupparono, però, nuove lingue, chiamate volgari in quanto parlate dal popolo, o volgo. Fra queste, usate per molto tempo esclusivamente per la comunicazione orale, solo piuttosto tardi si affermerà come lingua nazionale il volgare italiano, e in particolare quello parlato in Toscana. Ciò avverrà, da un lato, grazie alle opere di grandi autori toscani del XIII e del XIV secolo, come Dante, Petrarca e Boccaccio che sapranno nobilitare la loro lingua scrivendo con essa i capolavori che tutti conosciamo, dall’altro per l’impulso dei mercanti e dei principi che avranno necessità di usare una lingua più semplice e scorrevole rispetto al latino e per questo faranno ricorso al toscano in uso a quel tempo.

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METTIAMO A FUOCO

I Vichinghi, dominatori del mare

I Vichinghi erano popolazioni di origine germanica, insediatisi fin dal VI-VII secolo nelle aree settentrionali dell’Europa. Dediti inizialmente alla pesca e ai commerci si erano ben presto trasformati in guerrieri e razziatori (sembra che nella loro lingua il termine vichingo volesse dire proprio “guerriero”). In particolare quelli provenienti dalle attuali Norvegia e Danimarca, cominciarono ad assalire le coste europee con rapide incursioni a scopo di razzia e le prime mete dei loro assalti furono le coste inglesi e irlandesi (dove fondarono l’attuale città di Dublino). Con le loro rapide navi, oltre a minacciare le zone costiere, riuscivano a penetrare all’interno dei territori risalendo i fiumi, dove incontravano scarse resistenze e costituivano dei campi-base che divenivano punti di partenza di ulteriori scorribande verso l’interno.

Com’erano le navi vichinghe

Molti ritrovamenti ci fanno conoscere com’erano le imbarcazioni dei Vichinghi e qual era la loro tecnica marinara. Con una testa di drago che ornava la prua e che serviva probabilmente a incutere timore nei nemici e a tenere lontani gli spiriti maligni, il drakkar fu la loro tipica nave da guerra. Era un naviglio di piccole dimensioni (25-30 metri di lunghezza) dalla forma semplice e dallo scafo poco profondo, per consentire la navigazione lungo i bassi fondali e la risalita del corso dei fiumi. Possedeva una vela quadrata o triangolare, di lana grezza o di lino, che aveva la caratteristica di essere orientabile in modo da sfruttare la spinta del vento anche quando soffiava trasversalmente. In caso di assenza di vento poteva essere spinta da remi (circa quaranta divisi in coppie da venti). Anche durante le battaglie, quando servivano movimenti più rapidi, si faceva uso dei remi. Per i commerci e per traversate più lunghe in acque aperte i Vichinghi utilizzavano imbarcazioni di più grandi dimensioni dette knorr.

La “terra del vino” era l’America?

È probabile che, con questo tipo di imbarcazioni e senza disporre di moderni strumenti di navigazione (la bussola farà la sua comparsa in Europa qualche secolo dopo) i Vichinghi percorressero

rotte oceaniche spingendosi fino al continente americano. Sembra infatti che, attorno al Mille, abbiano raggiunto luoghi come l’isola di Terranova o la penisola del Labrador, che nelle loro saghe chiamarono Vinland (cioè terra del vino, il che è un'ulteriore prova del generale miglioramento del clima che si ebbe in quei secoli al punto che si poteva coltivare la vite in terre prima in gran parte ghiacciate). Qui probabilmente tentarono di costituire un insediamento coloniale, di cui si sarebbero rinvenute tracce, anche se questa impresa sembra non aver prodotto frutti duraturi.

Una religione molto particolare

La religione dei Vichinghi prima della loro conversione al Cristianesimo era simile a quella degli antichi Germani, ma si caratterizzava per i singolari riti funebri: quando infatti moriva un capotribù o sua moglie, il suo corpo veniva deposto su una nave, insieme a tutto ciò che gli era appartenuto, oggetti di valore, armi, animali, schiavi e schiave uccisi per la circostanza. La nave con tutto il suo carico veniva poi coperta sotto mucchi di pietre e di argilla, che formavano una grande piramide, affidata alla protezione degli dei.

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VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

I castelli medievali

Com’erano i castelli più antichi?

È difficile oggi poter incontrare un castello medievale conservato nel suo stato originario. nel tempo, infatti, molti di essi sono stati distrutti oppure hanno subito profonde modifiche rispetto allo scopo per cui erano stati inizialmente eretti. essi nacquero, infatti, per finalità puramente difensive. Addirittura i primi erano semplici torri di guardia circondate da palizzate, anche di forma circolare, eretti su luoghi elevati o su alture create artificialmente e dette motte. Poi si passò a costruzioni in muratura che circondavano e proteggevano la residenza del signore. In questo caso potevano esserci due file di mura. Tra la prima e la seconda vi era lo spazio dove potevano trovare ricovero i contadini con i loro beni o dove addirittura si trovavano le loro abitazioni. All’esterno ci poteva essere un fossato, a volte riempito d’acqua. Per accedere al castello si usava in questo caso un ponte levatoio che veniva calato all’occorrenza sul fossato. La cinta di mura, alta anche 15 metri, era interrotta agli angoli da torri quadrate ed era percorsa in alto da camminamenti lungo i quali le sentinelle effettuavano la ronda. Delle aperture (caditoie) e dei merli potevano consentire ai soldati di guardia di lanciare frecce, proiettili o pece bollente sugli assalitori, senza correre il rischio di essere colpiti. All’interno delle mura vi erano magazzini, scuderie, cucine, pozzi, botteghe.

Il mastio: cuore del castello

Soprattutto però vi era il mastio, un edificio molto alto, quasi una torre, dove si trovavano i locali di prestigio del signore: la sua residenza, il tesoro, l’armeria, la cappella. Il mastio fungeva anche da estremo baluardo di difesa oltre che da torre di avvistamento. Col tempo, accanto al mastio venne eretto il palatium, che divenne la vera residenza del castellano e della sua corte.

Nei castelli si viveva male

La vita nel castello non era certamente semplice e molti erano i disagi, soprattutto in inverno. Freddo, buio e umidità la facevano da padroni. Contro di essi i grandi camini sempre accesi non erano sufficienti. Le finestre, poche, strette e senza vetri

(per chiuderle d’inverno si applicavano delle pelli o delle pergamene) non lasciavano filtrare la luce mentre al contrario lasciavano passare il freddo. Le pareti, non intonacate, e i pavimenti erano talvolta ricoperti con pelli di animali per diffondere un po’ di calore. gli ambienti poi erano piccoli, collegati da scale ripide e strette, spesso di legno. Mancava l’acqua corrente. L’arredamento era molto sobrio: panche, cassepanche, qualche armadio e tavoli facilmente smontabili, come pure gli utensili, in gran parte in legno.

Dove si trovano oggi i castelli più interessanti

In genere, i castelli che si sono conservati nel loro stato originario sono quelli situati nelle aree in cui il potere dell’aristocrazia feudale è durato più a lungo. In Italia, ad esempio, in Trentino-Alto Adige e in Val d’Aosta si trovano gli esemplari più suggestivi e meglio fortificati. In regioni come la Toscana dove, come vedremo nei prossimi capitoli, i Comuni entrarono in conflitto con i signori feudali, distruggendo i loro castelli, se ne sono conservati alcuni solo nella aree della Lunigiana o del Casentino.

Come è cambiata nel tempo la funzione dei castelli

Dopo il Mille i castelli persero la loro funzione originaria e non vennero più costruiti per scopi difensivi ma per altre ragioni, soprattutto di carattere politico. Dovevano servire al signore per esibire la sua ricchezza, il prestigio e quindi il potere che ne derivavano (oggi li chiameremmo status-symbol). Per questo nella loro costruzione si prestò molta più attenzione ai valori estetici e architettonici: da rozzi edifici destinati alla guerra si trasformarono in splendidi ed eleganti palazzi residenziali. L’arredamento si fece più ricco, le stanze più accoglienti.

Il disegno è ispirato al castello di Sabbionara di Avio (Trento) risalente nella sua parte più antica all’XI secolo

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Castello medievale
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rocca o fortezza cassero o mastio ingresso

PARTIAMO DALLE FONTI Bodo, un contadino franco del IX secolo

Un importante libro catastale

Basandosi su un libro catastale dell’abbazia francese di Saint germain des Pres, redatto tra l’811 e l’826, la storica eileen Power ha ricostruito la vita quotidiana di un contadino di quel tempo. Il libro catastale è un documento nel quale sono inventariate (cioè elencate) tutte le proprietà, in particolare le terre, possedute da qualcuno. In questo caso si tratta delle terre di proprietà dell’abbazia e tale fatto non deve sembrare strano: spesso nobili e signori, all’avvicinarsi della morte, donavano terre ai monaci come gesto di penitenza e di richiesta di perdono a Dio per i propri peccati. Oppure si trattava di donazioni fatte direttamente da Carlo Magno e dagli altri sovrani carolingi. Le abbazie poi, spesso sempre più ricche, amministravano queste terre secondo l’uso feudale del tempo, tenendone per sé una parte e affidando l’altra ai servi della gleba, sotto la supervisione di un amministratore.

La famiglia e le attività di Bodo

Da questo testo veniamo a sapere che il contadino in questione, di nome Bodo, con una moglie, ermentrude, e tre figli piccoli, Wido, gerberto e Hildegard, gestiva un manso dell’abbazia, composto da terra arabile, prato e qualche filare di vite. Per pagarne l’affitto aveva una serie di obblighi da rispettare, che andavano dalle corvées alla fornitura di beni in natura quali uova, pollame, e una parte del raccolto. Le corvées consistevano in tre giorni alla settimana di lavori agricoli da svolgersi sui terreni dell’abbazia (aratura, semina, mietitura) ma anche in prestazioni di pubblica utilità, quali riparare strade e ponti, tagliare alberi, produrre la birra, costruire recinti per gli animali. Infine il contadino era obbligato a pagare una serie di piccoli o grandi tributi per altre ragioni, ad esempio per ottenere il permesso di far pascolare i propri maiali nei boschi dell’abbazia.

Contadino che vanga

Altorilievo di Benedetto Antelami (fine XII secolo circa), Battistero, Parma

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Seguiamo a questo punto il racconto della Power: «Bodo si alza presto la mattina, perché è il giorno in cui deve lavorare sulla terra dei monaci, e non osa far tardi per paura dell’amministratore. È giorno di aratura, e quindi prende con sé il grosso bue, e il piccolo Wido perché gli corra a fianco con un pungolo per spronarlo, e raggiunge i suoi amici che vengono da altre fattorie del vicinato e che vanno anch’essi a lavorare alla casa grande. Si riuniscono, alcuni con cavalli e buoi, altri con zappe, marre, vanghe, scuri e falci, e si dividono in squadre per lavorare nei campi, nei prati e nei boschi del dominio, secondo gli ordini ricevuti dall’amministratore. Il manso attiguo a quello di Bodo appartiene a un gruppo di famiglie: Frambert, ermoin e ragenold con le loro mogli e i bambini. Bodo augura il buon giorno passando. Frambert sta andando a costruire uno steccato intorno al bosco per impedire ai conigli di uscirne e di mangiare i germogli; ermoin ha ricevuto l’ordine di trasportare col carro un grosso carico di legna da ardere fino alla casa grande; e ragenold sta riparando un buco su un tetto di un granaio. Bodo se ne va fischiettando nell’aria fredda, arerà tutto il giorno, e mangerà la sua colazione sotto una pianta con gli altri aratori. Torniamo indietro e vediamo che cosa sta facendo la moglie di Bodo, ermentrude. Anche lei ha il suo da fare; è il giorno in cui bisogna versare il tributo in pollame – una grassa gallinella e cinque uova in tutto. Cerca l’amministratore, gli fa l’inchino, e consegna il pollo e le uova, e poi corre al quartiere delle donne per pettegolare con le serve. Dopo aver fatto i suoi pettegolezzi, ritorna alla sua fattoria, e si mette al lavoro nella piccola vigna; poi dopo un’ora o due, rientra per far da mangiare ai bambini, e per impiegare il resto della giornata a cucire caldi indumenti di lana per loro. Tutte le sue amiche sono al lavoro dei campi, o alle fattorie dei loro mariti, o a badare al pollaio, o all’orto, o in casa a cucire; poiché il lavoro delle donne, in una fattoria di campagna, è pesante come quello degli uomini. Poi finalmente Bodo ritorna per la cena, e appena il sole è tramontato vanno a letto; perché la loro candela fatta a mano dà solo un barlume di luce, ed entrambi devono essere presto in piedi al mattino».

Da eileen Power, Vita nel Medioevo, einaudi, adatt.

1. Che lavoro deve svolgere Bodo nella terra dei monaci?

2. Quali sono invece le corvées di Frambert, Ermoin e Ragenold?

3. Che cosa deve versare all’amministratore Ermentrude?

4. Che lavoro svolgono le donne?

5. Quando la famiglia di Bodo va a letto?

Il racconto prosegue poi con la descrizione dei passatempi di Bodo e della sua famiglia, le feste da ballo, le fiere e i mercati, le preghiere. È un quadro completo e molto interessante che ti suggeriamo di leggere personalmente sul libro della Power, magari con la guida del tuo insegnante.

CAPITOLO 7 157

SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

Quando a tutelare i diritti dei cittadini è lo stato

Protezione, sicurezza, possibilità di un lavoro sono alcuni tra quelli che oggi chiameremmo “diritti”. Insieme con i “doveri” (ad esempio, rispettare le leggi, pagare le tasse) sono stabiliti e garantiti, per noi, dalle leggi, innanzitutto dalle Costituzioni degli stati, e sono sanciti, in gran parte, anche dalle varie Dichiarazioni universali redatte da organismi sopranazionali quali ad esempio le nazioni unite. Questo significa che oggi è compito dello stato, attraverso le sue istituzioni, fare in modo che tutti i cittadini possano godere dei diritti e rispettino i doveri. È lo stato che deve proteggere i cittadini, offrire loro la possibilità di lavorare, riscuotere le tasse.

Nel Medioevo feudale non esisteva lo stato Come avrai invece notato, nella società feudale le cose andavano diversamente. era la dipendenza da un superiore che garantiva ai contadini protezione, sicurezza e lavoro, ed era a questo superiore che andavano pagate le “tasse”. In effetti, nel Medioevo, non esisteva uno stato come lo intendiamo noi oggi, che imponeva a tutti le leggi, che tutti erano tenuti a rispettare (oggi si chiamerebbe “stato di diritto”). Allora la vita delle persone era regolata da obblighi e doveri che venivano stabiliti da superiori da cui si dipendeva, da parenti a cui si era legati o da altri legami contratti personalmente (promesse, giuramenti ecc.). La società medievale si fondava cioè, per usare termini un po’ più “tecnici”, su una concezione personale del diritto, non territoriale. L’imperatore, grazie all’azione dei vassalli, esercitava il suo governo direttamente sugli uomini, non sul territorio. L’idea di uno stato di diritto, ovvero l’organizzazione politica di una data nazione basata sul rispetto, da parte di coloro che abitano in quel determinato territorio, di un corpo unitario di leggi, e che era stata una grande conquista degli antichi romani, nella prima fase del Medioevo, quella che potremmo definire “barbarica”, era andata persa.

La successiva evoluzione

Avrai modo di capire, proseguendo negli studi, come la situazione si sia poi modificata e come sia maturata nel tempo l’idea moderna dello sta-

to. Avrai anche modo di comprendere come questi cambiamenti abbiano costituito un indubbio progresso per la vita degli uomini e delle società, al punto che oggi sono divenuti un’acquisizione definitiva di ogni paese democratico e civile. Se non altro perché in tal modo si garantisce a tutti i cittadini, almeno in linea teorica, un’uguaglianza nei diritti e nei doveri e la fine dei privilegi. A questo punto del percorso, ci limitiamo a segnalarti questa differenza, ma vogliamo anche proporti uno spunto di riflessione riguardo a questi temi nella società di oggi.

Che cosa ci può insegnare la società feudale? non tutto, infatti, della società feudale è da rigettare; anche da essa, per quanto lontana dal nostro modo di vedere le cose, si possono trarre utili insegnamenti. In particolare rimane per noi suggestivo il fatto che alla base dei rapporti politici ci fossero allora dei legami sociali fondati sul senso dell’onore, sul valore della lealtà e della fedeltà alla parola data, sul senso del dovere insito negli ideali della cavalleria. Questi ideali ancora oggi possono rivestire per noi un grande interesse.

Bastano delle buone leggi per far funzionare una società?

A volte siamo portati a pensare che perché una società funzioni bene e garantisca il benessere dei suoi membri basta che ci siano buone leggi, rispettate da tutti. e pensiamo anche che perché ciò accada occorre che siano previste pene per coloro che trasgrediscano tali leggi. Ma questo in realtà è sufficiente? Prova tu stesso a pensare a quella piccola società che è la tua classe. Basterebbero in questo caso delle buone regole e delle dure punizioni perché sia bello e piacevole stare in classe e più sereno il lavoro? Probabilmente no. Occorrono anche l’impegno di ognuno, il rispetto reciproco, la voglia di collaborare e di costruire insieme dei rapporti positivi, basati sulla consapevolezza che, per il solo fatto di esistere, tutti hanno la stessa dignità. e tutte queste cose non dipendono dalle regole ma, potremmo dire, dal cuore e dalla buona volontà di ogni membro della classe. Possiamo dire che la stessa cosa vale

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per la società tutta intera. Se non c’è una disposizione interiore dei cittadini, le leggi da sole non basterebbero. E cosa sono questi “valori” positivi se non qualcosa di molto simile ai valori cavallereschi dell’onore, del rispetto, della lealtà su cui si basavano i rapporti all’interno della società

feudale? Anche oggi, quindi, ci permettiamo di concludere con una battuta, un po’ di spirito cavalleresco non farebbe male. Il problema è come recuperare questo “spirito”: a te lasciamo il compito di provare a rispondere a questa domanda.

CAPITOLO 7 159

METTIAMO A FUOCO Le “paci” e le “tregue di Dio”

A partire dall’XI secolo, nel sud della Francia numerosi vescovi preoccupati per la diffusione della violenza ad opera dei giovani nobili che combattevano al servizio dei feudatari, promossero le cosiddette “paci di Dio”. Convocarono grandi assemblee con monaci, signori, cavalieri e popolo e in queste assemblee chiesero ai nobili cavalieri di impegnarsi con un solenne giuramento davanti ai simboli religiosi o alle reliquie dei santi a cambiare i loro comportamenti. Dovevano, da quel momento, assumere comportamenti pacifici, controllare e ridurre la loro aggressività, rispettare le chiese e i monasteri ma anche i poveri, i contadini, le donne e i fanciulli, prima oggetto frequente delle loro aggressioni. Dovevano inoltre combattere in modo leale, rispettando un preciso codice di comportamento. Veniva chiesto loro di astener-

si dal combattimento in occasione delle festività religiose o durante la Quaresima, o in determinati giorni della settimana (in questo caso si parlava anche di “tregue di Dio”). Si trattò del tentativo, messo in atto dalla Chiesa, di limitare la violenza diffusa in quei tempi e di contribuire a costruire una società più ordinata e più rispettosa del valore delle persone. In seguito a queste “paci di Dio” prese origine la cavalleria vera e propria. Infatti a questi giovani guerrieri verrà poi chiesto, soprattutto in occasione delle crociate, di farsi “cavalieri di san Pietro”, e quindi di impegnarsi a usare le armi per difendere la cristianità dalle minacce degli infedeli e per proteggere i pellegrini in viaggio verso i “luoghi santi”.

160 IL DeCLInO DeLL’IMPerO CArOLIngIO e L’AFFer MAr SI DeL Feu DALe SIMO

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Dopo la morte di Ludovico il Pio, figlio ed erede di Carlo Magno sul trono imperiale, i figli superstiti si accordarono per la spartizione dell’Impero col Trattato di Verdun. Lotario ottenne, con il titolo imperiale, la Lotaringia e l’Italia, Ludovico la Germania, Carlo il Calvo la Francia.

2. Nonostante questo accordo l’Impero rimaneva debole, anche a causa del crescente potere dei nobili dovuto alla concessione dell’ereditarietà dei loro feudi. Per questo fu incapace di difendere l’Europa dalle nuove invasioni barbariche che seminarono il terrore sul suo territorio. I Vichinghi, o Normanni, si spinsero fino all’Inghilterra e assalirono la Francia con le loro scorrerie; gli Ungari si stabilirono in Pannonia, l’odierna Ungheria, mentre i pirati musulmani attaccavano le coste italiane fino a quando vennero sconfitti da un esercito allestito dal papa e dai suoi alleati.

3. I grandi vassalli francesi nell’887 destituirono l’ultimo debolissimo imperatore carolingio, Carlo il Grosso. Il Sacro Romano Impero si divise definitivamente e cessò di esistere.

4. La società europea dal IX al XIV secolo e oltre fu caratterizzata dal sistema feudale. Le sue origini dipendono dall’indebolimento dell’autorità imperiale e dalle nuove invasioni barbariche, che spinsero molti contadini a porsi sotto la protezione di un signore che a sua volta si dotava di un castello fortificato per difendersi dagli attacchi e dalle incursioni. Si svilupparono così la signoria feudale e l’economia curtense.

5. Il feudalesimo si affermò pienamente quando i feudi maggiori diventarono ereditari e si basò su tre elementi fondamentali: il beneficio, con cui un signore concedeva territori in utilizzo ai vassalli; l’omaggio, atto col quale il vassallo giurava fedeltà al suo signore; l’immunità, con cui egli otteneva il diritto di esercitare la giustizia e riscuotere tasse nel suo feudo.

6. In questo sistema i contadini vivevano in condizioni di servi della gleba, cioè ricevevano protezione e terreni da coltivare dal signore ma in cambio dovevano fornirgli una parte abbondante del raccolto e numerosi servizi. Soprattutto però erano legati per tutta la vita alla terra da coltivare e non potevano staccarsene nemmeno i loro figli.

7. Nel corso del Medioevo si sviluppò la cavalleria. Si trattava di giovani nobili, combattenti a cavallo, che si mettevano al servizio di un signore per spirito di avventura e desiderio di guadagno. Il loro comportamento, inizialmente violento e brutale, venne mitigato e regolamentato dalla Chiesa che riuscì a trasformarli in cavalieri al suo servizio impegnati nella difesa dei deboli e nella diffusione della fede.

CAPITOLO 7 161

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Come fu diviso il Sacro romano Impero in seguito al Trattato di Verdun?

2. Che cosa stabiliva il Capitolare di Quierzy?

3. Quali furono i nuovi popoli che invasero l’europa?

4. In quali terre si insediarono i Vichinghi?

5. Che cosa si intende per pars dominica e pars massaricia?

6. Quali obblighi avevano i servi della gleba nei confronti dei loro signori?

7. Quali erano i doveri di un cavaliere?

8. Che cos’erano le “tregue di Dio”?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Battaglia del garigliano

2. Capitolare di Quierzy

3. Destituzione di Carlo il grosso

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Il giuramento di Strasburgo

a. è la prima testimonianza dell’uso scritto della lingua francese e di quella tedesca.

b. stabilisce la divisione del Sacro romano Impero in due parti.

c. sancisce la ribellione dei feudatari all’imperatore Carlo il grosso.

I signori fortificarono le loro residenze trasformandole in castelli

a. per difendersi dagli attacchi di nuovi popoli invasori.

b. per affermare la loro importanza e il loro prestigio.

c. per controllare i commerci.

La minaccia dei Normanni e degli Ungari finì

a. quando questi popoli vennero sconfitti dall’imperatore.

b. quando questi popoli si insediarono nei territori dell’Impero.

c. quando questi popoli si convertirono al Cristianesimo.

L’economia curtense può essere considerata una forma di economia “chiusa” perché

a. non circolava denaro e gli scambi avvenivano in natura.

b. non si commerciava al di fuori dei confini del feudo.

c. si commerciavano pochi prodotti.

Il feudalesimo si fondava su princìpi religiosi in quanto

a. i feudatari erano uomini di chiesa.

b. i feudatari giuravano davanti a Dio e al suo Vangelo.

c. i feudatari erano benedetti dal papa.

162 IL DeCLInO DeLL’IMPerO CArOLIngIO e L’AFFer MAr SI DeL Feu DALe SIMO
877 887 915

Esercizio 4 · Sono di seguito elencati alcuni aspetti legati al periodo che abbiamo preso in esame. Quali di questi possono essere annoverati fra le cause che determinarono la nascita del feudalesimo? Oltre a individuarli sapresti metterli in ordine secondo l’importanza, distinguendo tra cause primarie e cause secondarie? Indica poi anche le conseguenze di questo nuovo assetto sociale.

nascita della cavalleria Invasioni di nuove popolazioni “barbariche” ereditarietà dei grandi feudi economia chiusa Indebolimento dell’Impero nascita delle lingue nazionali Costruzione di castelli nasce una società gerarchica.

cause primarie

cause secondarie

conseguenze

Esercizio 5 · Collega con una freccia la parola nella colonna di sinistra al suo significato nella colonna di destra.

corvée piccolo feudatario al servizio di un vassallo più grande

beneficio bene concesso al vassallo in cambio di servizi

economia curtense economia che ruotava attorno al castello feudale

servo della gleba prestazione che il servo della gleba doveva al suo signore

pars massaricia contadino legato alla terra

valvassore

sistema economico in cui si riesce a produrre solo lo stretto indispensabile per sopravvivere

economia di sussistenza parte del territorio del feudo affidata ai contadini

immunità

poteri di governo di un feudo

CAPITOLO 7 163

Ottone III in trono Miniatura da un Evangeliario (X secolo), Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera

Ottone III fu il più grande imperatore della casata di Sassonia.

Verso l’anno Mille

Il Sacro Romano Impero: un ideale che persiste

Fu un periodo drammatico quello che l’Europa cristiana si trovò a dover affrontare a cavallo tra il X e l’XI secolo. Alle incursioni dei nuovi “barbari” si aggiungevano infatti il caos e il disorientamento seguiti allo sfaldarsi dell’Impero carolingio.

La Chiesa stessa, guidata da uomini spesso corrotti e legati al potere, conobbe una delle sue crisi più gravi. Ma il sogno di ricostruire un impero che sapesse riportare la cristianità sulla via della pace e della giustizia era duro a morire. Rinacque in terra tedesca con la dinastia degli Ottoni.

Fu quindi un nuovo impero, dai tratti particolari, quello che tra luci e ombre diede inizio a un lento e complesso processo di rinascita, una rinascita che si incontrerà, e si scontrerà, con quella avviata nel frattempo dentro la Chiesa.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Frassineto: un avamposto musulmano nel cuore dell’Europa cristiana

• E intanto a Bisanzio…

• Come nascono

i vescovi-conti

• L’imperatore è il rappresentante di Dio in terra: lo si vede anche dalla sua corona

• La paura della fine del mondo… c’è anche oggi?

Raccontiamo in breve

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Capitolo 8
per non perdere il filo

Perché la situazione dell’Italia andò in direzione opposta rispetto a quella della Francia?

1 · Francia e Italia: due destini diversi

I Capetingi: una nuova dinastia che farà grande il Regno di Francia Dopo la dissoluzione dell’Impero carolingio, si ebbe nel Regno di Francia una successione di sovrani piuttosto deboli che faticarono a imporre la loro volontà ai grandi feudatari, i quali continuavano a governare autonomamente i loro territori. Nel 987 divenne però re Ugo Capeto, conte di Parigi (sembra che il nome gli derivasse da una cappa, in francese chapet, che era solito indossare). Anch’egli dovette lottare strenuamente per affermare la sua autorità sui signori feudali e per imporre l’ereditarietà e quindi l’avvenire della sua discendenza, ma la sua azione ebbe successo. Con lui, infatti, inizierà la dinastia dei sovrani Capetingi che governeranno la Francia fino al 1792, e poi ancora, dopo Napoleone, fino al 1848, unificandola e segnandone la storia per circa nove secoli.

L’Italia sempre più debole e frammentata Rispetto alla Francia, l’Italia prenderà una direzione diversa. Rimarrà infatti sempre frammentata in vari territori che soltanto molto tardi, nel 1861, verranno fusi in solo stato.

Come già sappiamo, nel secolo X la parte meridionale della penisola si divideva tra il Ducato di Benevento, unico dominio longobardo sopravvissuto, e i territori bizantini, mentre la Sicilia e la Sardegna erano possedimenti arabi. Nell’Italia centrale si estendevano i territori pontifici del Patrimonio di San Pietro. A nord invece, nel cosiddetto Regno d’Italia, si erano affermate grandi casate feudali (prime fra tutte quelle di Ivrea, del Friuli, della Toscana) che si contendevano il predominio e il titolo di re. Era quindi molto difficile, in questa situazione, che si arrivasse a una qualche unificazione politica e territoriale.

Nell’888 era riuscito a diventare re Berengario I marchese del Friuli, che dovette però lottare strenuamente contro i rivali e venne assassinato nel 924. Il suo assassinio aprì un nuovo periodo di duri scontri che portarono all’alternarsi, in breve tempo, di vari sovrani piuttosto deboli. Questa situazione avrà fine, come vedremo, solo con l’azione del nuovo re di Germania Ottone I.

Roma in balia delle famiglie aristocratiche

Ancor più drammatica era la situazione di Roma. Qui, venuta meno l’autorità dell’imperatore, il potere finì inevitabilmente nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche, prima fra tutte quella dei Teofilatti. Queste controllavano non solo la città ma anche l’elezione dei papi. Scelti, come vedremo, all’interno dell’aristocrazia, costoro erano spesso persone indegne di rivestire questa importante carica, disposti solo a fare gli interessi delle loro famiglie di origine.

166 VEr SO L’AnnO MILLE

Nel 932 si impose a Roma Alberico II, duca di Spoleto, che si diede il titolo di “principe e senatore dei Romani” e che riuscì a far eleggere papa il figlio diciassettenne Ottaviano che, primo papa nella storia, cambiò il proprio nome, una volta eletto, diventando Giovanni XII. Di lui torneremo a parlare più avanti.

2 · Il sogno di restaurare l’Impero carolingio

Ottone I di Sassonia, un grande sovrano

Nel Regno di Germania il potere monarchico fu consolidato inizialmente da Enrico I di Sassonia, detto l’Uccellatore forse per via della sua passione per la caccia. Questi seppe imporre la sua autorità sui grandi duchi tedeschi e tenere a bada le popolazioni degli Ungari e degli Slavi che minacciavano da oriente il suo territorio.

A lui successe il figlio Ottone I, divenuto re di Germania nel 936 all’età di soli ventiquattro anni. Ottone, fin dagli inizi del suo regno, non mancò di sottolineare la sua volontà di restaurare l’Impero carolingio (ad esempio facendosi incoronare nella cattedrale di Aquisgrana con un cerimoniale che ricalcava quello dei Franchi). Dovette però all’inizio rimandare il suo progetto, per far fronte da un lato

Ugo Capeto Miniatura da un manoscritto del XIII o XIV secolo, Bibliothèque nationale, Parigi

Perché all'inizio Ottone I dovette rimandare la realizzazione del suo progetto di ricostituzione dell’Impero?

alle ribellioni di vari duchi tedeschi, dall’altro alla minacciosa avanzata degli Ungari. Risolti questi problemi con importanti vittorie (decisiva quella nel 955 contro gli Ungari a Lechfeld nella Germania meridionale, che gli diede fama di difensore della cristianità), e ampliati i suoi territori con la definitiva annessione della Lotaringia e della regione a est del fiume Elba, egli poté concentrarsi sul suo progetto di restaurazione imperiale.

Prima re d’Italia…

Già nel 951 era sceso in Italia, dove era stato chiamato in aiuto dalla vedova del re Lotario II, Adelaide, che era stata imprigionata dal nuovo pretendente al regno Berengario II. Egli ridusse all’obbedienza Berengario, si insediò a Pavia, sposò la bellissima Adelaide e si fece incoronare re d’Italia, confermando così la sua volontà di seguire le orme di Carlo Magno.

Perché il Sacro Romano Impero rifondato da Ottone I si chiama “della Nazione Germanica”?

… poi imperatore di un impero cristiano e germanico Ritornò poi in Germania, ma undici anni dopo dovette scendere di nuovo, questa volta a Roma. Fu infatti chiamato in soccorso del papa Giovanni XII minacciato proprio da Berengario II, il quale aveva rialzato la testa dopo la precedente sconfitta e aveva ricominciato a manifestare ambizioni di conquista e di dominio sull’Italia centro-settentrionale. Ottone sconfisse il ribelle Berengario e il 2 febbraio del 962 si fece incoronare e consacrare dal papa imperatore del “Sacro Romano Impero della Nazione Germanica”. Il sogno di restaurare l’Impero era quindi realizzato. Si trattava però di qualcosa di molto diverso rispetto al precedente Impero carolingio, e il titolo stesso lo fa rimarcare: era sì un impero cristiano, ma anche e soprattutto germanico. Dal suo territorio era esclusa per sempre la parte francese e il suo fulcro era ormai stabilmente tedesco. Lo stesso Regno d’Italia che ne faceva parte aveva poca importanza rispetto all’autorità imperiale che si collocava in Germania.

Ottone afferma il suo potere di controllo sulla Chiesa

Perché il potere di Ottone I sulla Chiesa era superiore persino a quello di Carlo Magno?

Una volta divenuto imperatore, Ottone confermò al papa, con qualche ampliamento, le donazioni territoriali già fatte dai sovrani carolingi. Stabilì anche che da allora in poi i romani non avrebbero potuto eleggere nessun papa senza l’approvazione imperiale e che il papa avrebbe dovuto giurare obbedienza all’imperatore (Privilegio Ottoniano). Mai, neanche con Carlo Magno, era stato concesso agli imperatori un simile potere al di sopra del papa. E Ottone non tardò a esercitarlo. Nel 964 fece deporre Giovanni XII che, nel frattempo, sentendosi minacciato dall’imperatore nella sua libertà d’azione, si era alleato col suo rivale Berengario, e lo sostituì con un altro papa di suo gradimento. Oramai anche in Occidente la Chiesa si trovava sottomessa all’imperatore, come da tempo avveniva in Oriente.

168 VEr SO L’AnnO MILLE

Normandia

In Germania nascono i “vescovi-conti”

In Germania Ottone I dovette contrastare l’azione dei grandi feudatari, che tendevano a esercitare un potere autonomo sui loro feudi anche perché sicuri di garantire la trasmissione ereditaria di questi territori ai figli. In sostanza si erano creati tanti piccoli domini indipendenti dall’autorità del re. Per ovviare a tale problema egli decise quindi di far ricorso agli ecclesiastici, in particolare ai vescovi. Assegnò loro il governo delle città e dei territori circostanti, concedendo benefici e immunità e chiedendo in cambio obbedienza e fedeltà. In sostanza i vescovi, persone tra l’altro colte e istruite e quindi capaci di esercitare al meglio questi poteri, diventavano fedeli vassalli dell’imperatore (vescovi-conti) di cui amministravano i beni e difendevano i diritti. Oltretutto, essendo votati al celibato e non potendo avere figli (o comunque figli legittimi), vi era la certezza che, alla loro morte, il sovrano sarebbe rientrato in possesso dei loro domini e ne avrebbe potuto disporre secondo la sua volontà. Si risolveva così anche il problema della ereditarietà dei feudi. Tutto questo poi avveniva, secondo lo spirito feudale, con il classico cerimoniale dell’omaggio e dell’investitura: i vescovi giuravano solenne fedeltà e ottenevano dall’imperatore i simboli del potere: l’anello e il pastorale .

Il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica alla morte di Ottone I

Sacro romano Impero Germanico regno di Francia regno di Borgogna regno d’Italia

Territori bizantini

Patrimonio di San Pietro

Ducato di Benevento

Territori

autonomi

Territori arabi

Città importanti

Celibato

Condizione di chi è celibe, cioè non sposato. È, questa, la condizione dei vescovi di tutte le chiese originarie, dette “apostoliche”, e dei sacerdoti cattolici della Chiesa latina, che si impegnano a vivere in castità come segno di totale affidamento a Dio, di distacco dalle cose del mondo e di disponibilità verso gli altri.

Pastorale

Bastone ricurvo nella parte in alto, conferito al vescovo all’atto della consacrazione, che simboleggia la sua autorità sul territorio a lui affidato (diocesi).

Perché nacquero i vescovi-conti?

CAPITOLO 8 169
Milano Pavia Roma Ravenna Narbona Danubio
Elba Reno
Regno degli Anglosassoni
Costanza Lione Digione Bordeaux Tours Arles Aquisgrana Colonia Magonza Brema Loira
Rodano Parigi Praga Augusta
Napoli
Siviglia Cordoba Regno di Asturia e Leon Emirato di Cordoba

Perché inizialmente può considerarsi positiva l’azione di Ottone I nei confronti della Chiesa?

La politica di Ottone nell’Italia meridionale

Ottone però non si fermò qui: le sue mire si estesero anche all’Italia meridionale dove tentò, con azioni militari, di strappare territori ai Bizantini per unificare sotto il suo dominio tutta la penisola. Queste guerre però non ebbero successo per cui egli preferì, in un secondo momento, ripiegare sulla politica matrimoniale: fece infatti sposare il proprio figlio ed erede al trono, Ottone II, a Teofano (o Teofania) nipote dell’imperatore bizantino.

Un bilancio positivo…

ma con qualche ombra minacciosa sul futuro

Alla sua morte, sopraggiunta nel 973, Ottone aveva ormai coronato il suo sogno: aveva ricostituito l’Impero, unificando la Germania e gran parte dell’Italia. Aveva inoltre saputo rafforzare il potere del sovrano, indebolendo i feudatari e sottomettendo la Chiesa. In tal modo aveva posto le basi anche per il successivo sviluppo del suo Impero e della sua potente dinastia.

Le sue decisioni in campo religioso all’inizio furono fruttuose anche per la Chiesa: finalmente i papi non erano più scelti dalle potenti famiglie romane e quindi erano sottratti al loro potere, mentre i vescovi acquistavano autorità e prestigio. Nel tempo però, come avremo modo di vedere, tutto questo si trasformerà in un grave pericolo e, per sfuggirvi, la Chiesa dovrà lottare strenuamente.

3 · Il “secolo oscuro” della Chiesa

33 papi in 130 anni… e 10 assassinati

Antipapa

Antagonista del papa legittimo, eletto o nominato irregolarmente, senza seguire le procedure previste per l’elezione. non è riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa né inserito nella lista dei papi.

Perché riguardo al X secolo si parla di “secolo oscuro” per la Chiesa?

La Chiesa aveva conosciuto, prima dell'avvento di Ottone I, una gravissima crisi, al punto che un grande storico del ’500, Cesare Baronio, parlò, a ragione, di “secolo oscuro”. Per un lungo periodo, come già abbiamo ricordato, i papi, scelti dall’aristocrazia romana, furono spesso persone indegne, dal comportamento immorale, che servivano ai giochi di potere delle grandi famiglie da cui provenivano. È significativo che durassero in carica pochissimo tempo: in 130 anni ce ne furono ben 33, a cui si aggiungono 4 antipapi , e ben 10 morirono assassinati. Si tratta di un fatto sicuramente scandaloso. Ciononostante, malgrado le loro gravi mancanze sul piano morale, nessuno di essi prese decisioni contrarie alla dottrina e alla tradizione cristiana o mise a repentaglio il patrimonio della fede. In sintesi, nessuno fu eretico e la Chiesa riuscì a sopravvivere anche in presenza di figure come queste.

170 VEr SO L’AnnO MILLE

Un clero rozzo e impreparato, spesso succube dell’aristocrazia

Purtroppo il buon esempio non veniva neanche dal clero: vescovi, abati e preti erano scelti spesso dai signori feudali, che non si preoccupavano certo della loro religiosità né della loro moralità. Molti signori si dotavano di chiese private nei loro feudi e sceglievano fra i loro servi quelli da nominare preti. È facile capire come molto spesso questi fossero uomini rozzi, ignoranti e del tutto impreparati. Diffuse erano anche pratiche quali la simonia e il concubinato.

Si intravedono però segnali di ripresa

In questa situazione l’intervento dell’imperatore che si assunse il controllo della nomina del papa e che si occupò della scelta dei vescovi fu un fattore inizialmente positivo che contribuì a migliorare la condizione della Chiesa. A questo va aggiunto che, all’interno del monachesimo, si manifestavano significativi segnali di risveglio: nel 910, in Borgogna, venne fondato il grande monastero di Cluny, da cui nel giro di qualche decennio partirà l’opera di riforma e di purificazione della Chiesa tutta.

Simonia È la compravendita di cose sacre. Si riferisce soprattutto alle cariche ecclesiastiche concesse in cambio di denaro. Prende il nome dalla figura di Simon Mago, personaggio che, come si narra negli Atti degli Apostoli, pretese di comprare da san Pietro il potere di fare miracoli.

Concubinato

Convivenza fra un uomo e una donna non sposati; nel caso degli ecclesiastici il concubinato va contro la promessa, espressa al momento dell’ordinazione sacerdotale, di mantenersi casti, cioè di non avere rapporti sessuali.

Perché la simonia e il concubinato erano una grave colpa per gli ecclesiastici?

Un vescovo nell’atto di celebrare la messa Paul Getty Museum, Los Angeles

CAPITOLO 8 171

Perché è infondata

la leggenda della paura dell’anno Mille?

Millenarismo

Dottrina basata su alcuni passi dell’Apocalisse letti senza cercarne il significato profondo ma interpretandoli “alla lettera”; in questa dottrina si prevede la fine del mondo in date ben precise e imminenti. In particolare si afferma che dopo mille anni dalla venuta di Cristo Satana avrebbe distrutto il mondo.

4 · Si avvicina l’anno Mille

La paura dell’anno Mille: una falsa leggenda

Secondo una leggenda particolarmente diffusa soprattutto a partire dal XIX secolo, gli uomini, in coincidenza con l’arrivo dell’anno Mille, sarebbero vissuti nel terrore per una imminente fine del mondo. E per questo si sarebbero dedicati a preghiere e penitenze in forme anche esasperate. Ad alimentare questa leggenda sarebbero alcune cronache del tempo, in cui si narra di terribili eventi e prodigi (ad esempio un forte terremoto e la comparsa in cielo di una cometa che avrebbe disegnato, col suo movimento, la sagoma di un serpente). Questi eventi venivano collegati a un testo dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, nel quale si dice che Satana, dopo mille anni dalla venuta di Cristo, sarebbe stato sciolto dalla sua prigionia e lasciato libero di distruggere il mondo. In realtà questa presunta “paura collettiva” non è mai esistita, è appunto una leggenda, che ha contribuito a far credere che il Medioevo fosse un’epoca dominata da strane credenze e superstizioni.

Quando, in realtà, iniziava l’anno Mille?

Nessun documento ufficiale del tempo menziona una tale paura e in realtà poi non era molto chiaro nemmeno quando iniziasse l’anno Mille. In Europa, infatti, a quel tempo i modi di conteggiare gli anni erano molto diversi. Non dappertutto si numeravano a partire dalla nascita di Cristo e spesso si conteggiavano partendo dalla salita al trono del proprio re. Variava anche il modo di indicare il capodanno: in alcune parti d’Europa l’anno iniziava il 25 marzo, nove mesi prima del Natale, con la festa dell’Annunciazione, in altre il giorno di Pasqua, in altre ancora a Natale. Come diremmo oggi, i tappi di spumante allora non saltavano tutti nello stesso momento per salutare l’anno nuovo. Bisogna infine tener conto del fatto che il contenuto dell’Apocalisse era noto solo a una ristretta cerchia di teologi ed ecclesiastici, non certo al popolo. Tutto questo rende difficile immaginare una generale paura collettiva coincidente con l’inizio del nuovo anno.

Le paure furono altre

Come abbiamo visto, in realtà, se gli europei del X secolo ebbero delle paure, queste non dipendevano dalla credenza nell’imminente fine del mondo (millenarismo) quanto da fattori ben più concreti: le scorribande degli Ungari, dei Saraceni e dei Vichinghi, le carestie, la mancanza di governi stabili che garantissero pace e sicurezza. E se una rinascita ci fu, dopo il Mille, essa non fu dovuta alla ripresa di entusiasmo per la constatazione che il mondo non era finito, ma ad altre cause, come vedremo nel prossimo capitolo.

172 VEr SO L’AnnO MILLE

NON TUTTI SANNO CHE

Frassineto: un avamposto musulmano nel cuore dell’Europa cristiana

I Saraceni sulle Alpi

Frassineto, che gli storici identificano con la località di La Garde-Freinet, in Provenza, a una ventina di chilometri a nord-ovest dell’odierna località marina di Saint Tropez, sulla Costa Azzurra, fu nel corso del X secolo una spina nel fianco dell’Europa cristiana. Qui infatti, a partire dall’889, si erano insediati i Saraceni che, dopo aver massacrato gli abitanti della zona, vi costituirono una loro base. Da questa poi avevano progressivamente esteso il loro controllo, occupando i valichi alpini che conducevano alla Liguria e alla Pianura Padana. Varcare questi passi era praticamente impossibile senza una consistente scorta armata, e spesso neanche questa era sufficiente. Pellegrini e viandanti di ogni tipo erano catturati: quelli poveri venivano subito uccisi o venduti come schiavi; per quelli ricchi si chiedevano ingenti riscatti.

Incursioni fin dentro l’Europa

Dalle loro basi i Saraceni piombavano sui centri abitati anche molto distanti, distruggendo, profanando chiese, massacrando e rapinando. nel 935 anche Genova, come tutte le coste liguri e provenzali, conobbe la ferocia di questi predoni, che si spinsero fino a Susa, Asti, Alba, Tortona. Sembra incredibile ma con le loro incursioni essi giunsero fin nel territorio tedesco, risalirono la valle del reno e raggiunsero Coira (città nella parte sud-orientale dell’attuale Svizzera). Le chiese e le abbazie erano

i loro bersagli preferiti: le cronache del tempo raccontano di incursioni a Farfa, Sutri, Montecassino, nell’Italia centrale come pure a novalesa in Piemonte e a San Gallo in Svizzera. nemmeno l’imperatore Ottone I, che pure si era proposto di distruggerli, riuscì in questo intento e dovette rinunciarvi.

Complicità e connivenze

Per la verità, parecchie responsabilità per queste azioni sono da attribuirsi ai nobili locali, che a volte si accordavano con gli occupanti saraceni in cambio di consistenti vantaggi. In un’occasione lo stesso re d’Italia Ugo di Provenza agì in questo modo. In un primo tempo, infatti, con l’aiuto della flotta

bizantina dal mare, era quasi riuscito a distruggerli, ma poi scese a patti con loro, ottenendo che pattugliassero i passi alpini per impedire il ritorno in Italia dell’altro pretendente al trono Berengario II.

La riscossa

La sconfitta dei Saraceni e la distruzione dei loro insediamenti avvenne a partire dal 972, in seguito al rapimento di Majolo, il prestigioso abate di Cluny che essi avevano catturato mentre stava tornando in Francia. Si trattava di una preda ambita, che però costò molto cara ai rapitori. La gravità di questa azione infatti risvegliò l’orgoglio dei signori locali, primo fra tutti Guglielmo I di Provenza, i quali organizzarono una spedizione militare che in breve tempo spazzò via l’insediamento saraceno

Marionetta dei pupi siciliani

I pupi sono delle marionette tipiche della tradizione siciliana, con le quali si rappresentano vicende legate alle guerre dei paladini cristiani contro i Saraceni. La loro diffusione nella tradizione popolare mostra quanto nella storia del nostro paese, e di alcune regioni in particolare, quella dei Saraceni fosse avvertita per secoli come una reale e persistente minaccia.

CAPITOLO 8 173

METTIAMO A FUOCO E intanto a Bisanzio…

Un impero ancora florido e potente negli ultimi secoli del I millennio Costantinopoli continuava a rimanere una città splendida e fiorente, anche se aveva perso una parte consistente dei suoi territori sia in Italia, ad opera dei Longobardi, sia sulle coste dell’Africa e del Vicino Oriente, ad opera degli Arabi. Era però ancora considerata il baluardo della cristianità a oriente e il suo imperatore, il basileus, era ritenuto la massima autorità del mondo cristiano, il più autentico rappresentante di Dio in terra. nel 717 la fama dell’Impero si era accresciuta quando era stato respinto un pesante attacco degli Arabi che ne avevano assediato lungamente e senza successo la capitale. Tra le armi più efficaci che i Bizantini avevano usato contro gli attaccanti vi era stato il cosiddetto “fuoco greco”, un liquido infiammabile, composto da una miscela di zolfo, resina, petrolio e calce viva, che bruciava anche sull’acqua e che veniva scagliato contro navi e fortificazioni nemiche, con effetti devastanti perché di difficile spegnimento. Il grande trionfatore sugli Arabi, l’imperatore Leone III, si acquistò, con questa vittoria, un’enorme fama.

La lotta contro l’iconoclastìa: un episodio cruciale nella storia della civiltà europea

A Leone III si deve però anche una decisione destinata ad avere gravi conseguenze. Sostenendo che Dio non si poteva rappresentare in forma umana, l’imperatore ordinò la distruzione delle immagini sacre o icone (iconoclastìa). Sembra che all’origine di questa sua decisione ci fosse anche un motivo politico: la volontà di contrastare la crescente forza dei monasteri, che avevano nella produzione e nella vendita delle icone una delle maggiori fonti di guadagno. La posta in gioco era però di un’importanza che andava ben oltre questi problemi immediati. La pretesa che Dio non si potesse rappresentare in forma umana equivaleva a escludere la possibilità di rappresentare l’incarnazione di Gesù Cristo, cuore del Cristianesimo. E questo avrebbe avuto conseguenze gravissime sul modo di concepire l’uomo e la sua dignità. Venendo meno il riferimento alla natura umana di Cristo, infatti, anche la stessa persona umana avrebbe rischiato di perdere importanza e di essere considerata priva di valore. La lotta contro l’iconoclastìa, in cui il papato e la Chiesa

Moneta raffigurante Leone III Isaurico (a sinistra), imperatore bizantino, insieme al figlio Costantino V (a destra) Zecca di Costantinopoli, 725-732

174 VEr SO L’AnnO MILLE

occidentale si impegnarono a fondo, fu perciò un episodio molto importante nella storia della civiltà europea. Durata per più di cento anni, tale lotta si concluse solo nell’843, quando l’imperatrice Teodora riconobbe la piena legittimità del culto delle immagini. nonostante questa conclusione conciliante, però, si andava profilando un distacco sempre maggiore tra la Chiesa d’Occidente e quella orientale, distacco alimentato anche da gelosie, rivalità e incomprensioni teologiche.

Si afferma il cesaropapismo

Un altro elemento che andava sempre più emergendo nell’Impero Bizantino era lo strapotere degli imperatori (a Bisanzio ce ne furono alcuni molto autorevoli e potenti fra i quali Basilio II, vincitore dei Bulgari) che non si limitarono a esercitare un potere assoluto sullo stato ma assunsero il ruolo

di veri e propri capi della Chiesa (cesaropapismo) proprio mentre in Occidente il papa cercava, con alterni risultati, di sganciare la Chiesa dalla supremazia imperiale. Con il cesaropapismo era negata l’idea tipicamente cristiana della distinzione tra potere politico e autorità religiosa. Tale distinzione, elemento-chiave dell’idea di laicità, aveva cominciato ad affermarsi nella storia grazie al monito di Gesù Cristo che aveva detto: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». La situazione, come si può ben capire, non prometteva niente di buono per il futuro: si stava preparando un distacco tra la Chiesa d’Oriente e roma, distacco che sarebbe avvenuto di lì a poco.

L’Impero Bizantino Impero d’Oriente prima delle riconquiste Massima espansione dell’Impero Bizantino dopo le riconquiste (XI sec.) Città importanti

CAPITOLO 8 175
Mar Mediterraneo
Danubio Reno Nilo Tigri Eufrate
Mar Nero Roma Costantinopoli Ravenna Alessandria Gerusalemme Tessalonica
La
Cordoba
Mecca
Isfahan Bari

PARTIAMO DALLE FONTI Come nascono i vescovi-conti

I documenti che riportiamo sono atti ufficiali con i quali l’imperatore Ottone I attribuisce a due vescovi incarichi e prerogative di governo e di amministrazione (le immunità) nelle loro rispettive città, trasformandoli così in vescovi-conti. Il primo, risalente al 969, è rivolto al vescovo di Spira (Speyer), città della Germania centro-occidentale. Il secondo, del 962, è rivolto al vescovo di Parma e gli attribuisce l’intero potere di governo. Leggili attentamente e poi rispondi alle domande proposte. Data la loro difficoltà è indispensabile ricorrere all’aiuto del tuo insegnante e di un buon dizionario.

«Il venerabile Otkaro, vescovo della città di Spira, ha invocato la nostra clemenza, chiedendo che concedessimo alla sua chiesa la protezione dell’immunità. noi consentiamo alla sua richiesta. Ordiniamo che nessun duca o conte, o nessun pubblico funzionario, con potere giudiziario, o qualsiasi altra persona, se non il solo vescovo nella città di Spira e al di fuori delle mura della stessa città, cioè nella villa, osi tenervi un pubblico placito [cioè un’assemblea giudiziaria]; nessun uomo tra i fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio osi giammai penetrare nelle chiese, luoghi, campi o altre proprietà che essa a giusto titolo possiede per istruire cause, riscuotere ammende, esigere alloggio e forniture, reclamare canoni. [Così che] coloro che servono Dio possano vivere quietamente e pregare con più fervore la misericordia di Dio per noi, nostra moglie, la nostra prole e la salvezza di tutto il regno che ci è stato affidato da Dio».

«Uberto, vescovo della chiesa di Parma, ha chiesto che noi lo arricchissimo di quelle prerogative che spettano al potere regio e alla pubblica funzione e cioè che trasferissimo i beni e le famiglie dalla giurisdizione regia alla giurisdizione della stessa chiesa, così che essa avesse la potestà di deliberare e giudicare e costringere tanto sui beni e le famiglie del clero quanto sugli uomini che abitano nella stessa città di Parma e sui beni e le famiglie loro. noi, considerando e valutando l’utilità per la dignità dell’impero e per tutti i mali che spesso accadono e perché sia eliminata interamente

ogni passata lite, concediamo e permettiamo e dal nostro diritto e dominio trasferiamo nel suo [del vescovo] diritto e dominio completamente e gli affidiamo il potere sulle mura della città e ogni pubblica funzione, tanto dentro la città quanto fuori, per un raggio di tre miglia e inoltre le strade regie e il corso delle acque e tutto il territorio coltivato o incolto, che là si trova, nonché tutto ciò che appartiene allo stato».

1. In entrambi i documenti da chi risulta essere partita la richiesta di concessioni?

2. In cosa consistono le immunità concesse a Otkaro? E quelle concesse a Uberto?

3. I poteri concessi ai vescovi sono limitati alle due città o si estendono anche fuori di esse?

4. Per quale scopo Ottone concede a Otkaro le immunità? Per quale scopo invece vengono concesse a Uberto?

5. A chi appartenevano prima le prerogative (cioè i poteri) che vengono concessi ai vescovi?

176 VEr SO L’AnnO MILLE

METTIAMO A FUOCO

L’imperatore è il rappresentante di Dio in terra: lo si vede anche dalla sua corona

Da sempre la corona, accanto allo scettro e al trono, è uno dei simboli del potere regale. Essa rappresenta l’autorità e la sovranità, cioè il potere di governare e comandare sui sudditi. nel caso della corona imperiale di Ottone I, uno splendido oggetto risalente agli anni immediatamente successivi al 962 e che si può ancor oggi ammirare nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, essa assume un significato ulteriore perché rappresenta il valore sacro, l’origine divina del potere. Chi indossava questa corona, infatti, era scelto da Dio, era il rappresentante di Dio in terra ed era chiamato a compiere in tutti i modi la sua volontà. Tutto ciò era rappresentato sulla corona stessa. Essa è costituita, infatti, da otto piastre riccamente decorate. Quattro sono ornate di perle e pietre preziose e si alternano ad altre quattro che

invece sono coperte d’oro e di smalti. Su queste quattro facce smaltate sono rappresentate scene con personaggi dell’Antico Testamento. In una il re Davide con la scritta: «L’onore del re predilige la giustizia»; nell’altra Salomone con la scritta: «Temi il Signore e allontanati dal male». Sulla terza è raffigurato il re giusto Ezechia con il profeta Isaia. Sulla quarta infine è rappresentato Cristo con la scritta: «I re regnano per la mia forza». Da queste raffigurazioni emerge quindi chiaramente l’idea che il potere dei re è espressione della volontà di Dio; inoltre, si indicano i compiti e i doveri del sovrano, conformi all’insegnamento di Cristo. È evidente, infine, che gli esempi a cui dovevano ispirarsi i nuovi imperatori sassoni fossero quelli dei re dell’antico Israele, che erano re e sacerdoti al tempo stesso.

CAPITOLO 8 177
La corona imperiale tedesca. Kunsthistorisches Museum, Vienna

SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

La paura della fine del mondo…

c’è anche oggi?

La paura della fine del mondo è da sempre presente nell’umanità. nel Medioevo era associata a catastrofi, epidemie, carestie, fenomeni naturali allora inspiegabili come terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche. Spesso, in base alle Sacre Scritture, si attribuiva la fine del mondo alla volontà di Dio e alla sua decisione di punire l’umanità per i peccati che essa compiva. Anche oggi, però, che la scienza è progredita ed è in grado di spiegare molti fenomeni naturali, l’uomo non è immune da questa paura. Anzi, molti sono convinti che proprio la scienza con il suo sviluppo incontrollato (si pensi alle armi atomiche) potrebbe causare una distruzione planetaria. Oppure che il progresso inarrestabile, con i mali che esso può compor-

tare, primo fra tutti l’inquinamento ambientale, potrebbe mettere in pericolo la nostra vita sul pianeta. Come vedi non è cambiato di molto il nostro modo di vedere e temere il futuro rispetto agli uomini medievali. Tutto questo ci può fornire molti interessanti spunti per riflettere sulla natura dell’uomo, sulle sue insicurezze, sulla sua fragilità e sul suo futuro sulla terra. Lasciamo a te il compito di approfondire queste riflessioni. noi vogliamo soltanto sottolineare quale grande responsabilità abbiamo rispetto al futuro del nostro pianeta e quindi anche del nostro e di quello dei nostri figli.

178 VEr SO L’AnnO MILLE
L'esplosione atomica di Nagasaki

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Mentre in Francia si affermò una nuova dinastia, quella dei Capetingi, che, seppur faticosamente, seppe porre le basi per l’edificazione di un grande regno unitario, l’Italia rimase sempre frammentata e debole, a causa delle divisioni tra i grandi feudatari che aspiravano a impossessarsi del titolo di re. Anche il papato era in crisi, conteso tra le famiglie aristocratiche romane.

2. Ottone I di Sassonia, dopo aver sconfitto gli Ungari, riuscì prima a farsi eleggere re d’Italia e poi a farsi incoronare imperatore. Nel 962 fu costituito il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, un impero che formalmente si richiamava a quello carolingio, ma che in realtà era molto diverso. Mancava infatti in esso la parte francese ed il fulcro dello stato era la Germania.

3. Ottone pose sotto il suo controllo la Chiesa e, in particolare, volle controllare l’elezione dei papi. Si occupò anche delle nomine dei vescovi, ai quali poi attribuì cariche di governo nel territorio. Questo perché, non potendo avere figli legittimi, essi non potevano pretendere l’ereditarietà del titolo. Nacquero così i “vescovi-conti”.

4. La Chiesa in questo periodo attraversò una fase di grave decadenza a causa della corruzione di molti ecclesiastici, della diffusione della simonia e del concubinato. Gli stessi papi non davano grande prova di moralità, almeno fino all’intervento di Ottone I. Un segnale di risveglio fu però dato dalla ripresa della vita monastica, soprattutto attraverso la fondazione del grande monastero di Cluny.

5. Contrariamente alla credenza diffusa dagli storici del XIX secolo, fra gli uomini del Medioevo non ci fu il terrore dell’anno Mille. La condizione degli uomini che vivevano alla fine del primo millennio era sì di paura, ma non certo per la fine del mondo, bensì per altri motivi: le nuove invasioni degli Ungari, dei Normanni e dei Saraceni, le carestie, l’incertezza dovuta alla mancanza di governi stabili.

CAPITOLO 8 179

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Chi era Ugo Capeto?

2. Com’era la situazione di roma e del papato nel X secolo?

3. Qual era il progetto di Ottone I?

4. Come si chiama il nuovo impero fondato da Ottone I?

5. Che cosa stabiliva il Privilegio Ottoniano?

6. Come si comportò Ottone I nei confronti dei territori bizantini in Italia?

7. Quale matrimonio organizzò Ottone I per il proprio figlio?

8. Quale monastero venne fondato in Francia nel 910?

9. In quali condizioni si trovava il clero cattolico in quel periodo?

10. Quale leggenda si è diffusa a proposito dell’anno Mille?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Ugo Capeto diventa re di Francia

2. Battaglia di Lechfeld

3. nasce il Sacro romano Impero della nazione Germanica

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa

In Francia Ugo Capeto riuscì a porre sotto il suo controllo i grandi feudatari.

Il titolo di re d’Italia era conteso tra le grandi casate nobiliari.

La situazione del papato era molto florida.

Ottone di Sassonia sconfisse gli Ungari a Lechfeld.

F

F

F

F

Ottone I restaurò l’Impero Carolingio. V F

Ottone I non si intromise mai nell’elezione dei papi. V F

Con la nomina dei vescovi-conti l’imperatore risolveva il problema dell’ereditarietà dei feudi. V F

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Nel X secolo l’Italia era in crisi perché

a. era sottomessa al potere imperiale.

b. era divisa e vi erano lotte per il potere tra le grandi casate feudali.

c. era minacciata dalle incursioni dei Saraceni.

180 VEr SO L’AnnO MILLE
V
V
V
V
955 962 987

Il Privilegio Ottoniano permise all’imperatore

a. di porre sotto il suo controllo i vescovi e il papa.

b. di ottenere il diritto di avere l’ultima parola nell’elezione del papa.

c. di ricostituire il Sacro romano Impero di Carlo Magno.

La Chiesa nel X secolo conobbe una grave crisi perché

a. si stavano diffondendo nuove eresie.

b. ci fu una decadenza morale degli ecclesiastici.

c. c’erano guerre e rivalità tra il papa e l’imperatore.

La simonia era

a. l’acquisto o la vendita per denaro delle cose sacre, in particolare delle cariche ecclesiastiche.

b. l’abitudine a trasmettere in eredità a figli le proprie cariche.

c. l’abitudine a vivere con donne per gli ecclesiastici.

Il millenarismo era

a. la lotta contro l’uso delle immagini sacre.

b. la credenza nell’imminente fine del mondo.

c. l’uso di numerare gli anni dalla nascita di Cristo.

Esercizio 5 · Questo brano contiene parecchie inesattezze e imprecisioni. Riscrivilo sul tuo quaderno di lavoro, correggendole.

Ottone I di Sassonia, divenuto imperatore del Sacro romano Impero (955), si garantì l’appoggio del papa, la cui elezione venne lasciata nelle mani delle famiglie nobili romane, e cominciò quindi a governare il suo territorio, comprendente Germania, Francia e il regno d’Italia, servendosi della collaborazione dei vescovi-conti. Si trattava di vescovi a cui egli affidava il governo di città e di territori in cambio della loro fedeltà. Fece questo per contrastare il potere dei grandi feudatari che avevano ormai strappato l’eredità dei loro feudi. I vescovi al contrario, essendo votati al celibato non potevano avere figli legittimi quindi nemmeno vantare l’ereditarietà. Purtroppo molti di questi vescovi erano persone rozze e ignoranti e non svolsero al meglio questo compito. Inoltre molti di loro si ribellarono all’autorità dell’imperatore e divennero una causa di indebolimento del suo potere.

Esercizio 6 · Completa il seguente brano nelle parti mancanti.

La situazione della popolazione europea nel corso del secolo era particolarmente drammatica: da una parte le continue incursioni di , , che spingevano i contadini a chiedere protezione ai signori, e che causavano distruzioni e dall’altra una grave crisi politica che aveva portato al crollo dell’Impero e a una situazione di caos, dovuta alla mancanza di . A ciò si aggiunga la crisi della Chiesa: il papato era nelle mani delle potenti che se ne servivano per accrescere il loro potere e la loro ricchezza. D’altra parte gli ecclesiastici si macchiavano di e , vale a dire

. Furono queste le cause di un diffuso sentimento di smarrimento e di angoscia riguardo al futuro. non risulta invece vera la leggenda secondo la quale anche perché a quei tempi

. Questa concezione, chiamata si basa su un’interpretazione letterale di passi dell’Apocalisse nei quali si dice che

. La leggenda di questa diffusa paura della fine del mondo è stata sostenuta in particolare da storici del secolo, ma è stata ora notevolmente ridimensionata.

CAPITOLO 8 181

Scene di vita agricola

Dal portale della

basilica di St. Denis (XII secolo), Francia

La grande rinascita

Una vitalità nuova

Fu una vitalità nuova quella che sembrò pervadere l’Europa dopo il Mille. E non si trattò di una vitalità dovuta allo scampato pericolo per la temuta fine del mondo. Le sue cause furono altre.

I gravi problemi politici e istituzionali che avevano indebolito l’Impero e la Chiesa sembravano ormai in via di risoluzione. Nelle campagne, finito l’incubo delle nuove invasioni, si stava sviluppando un grande fervore di attività: ovunque la popolazione cresceva, si viveva più a lungo, si produceva di più.

Sul solco della tradizione benedettina rinacque, in forme e istituzioni nuove, il monachesimo.

Come disse un cronista del tempo, l’Europa si ricoprì di «un bianco mantello di chiese». Era un mondo interessante e nuovo che stava muovendo i primi passi all’inizio del secondo millennio dell’era cristiana.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Gli straccioni che sconvolsero Milano

• Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Come si mangiava nel Medioevo

• Lo sviluppo tecnologico nel Medioevo

• Che cosa rimane oggi di Cluny

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 9
per non perdere il filo

Apogeo

Il punto più alto, il momento culminante. È un termine di origine astronomica: indica il punto più alto dell’arco apparente che il sole e la luna compiono in cielo, quando appaiono più lontani dalla terra.

Perché si parla di ripresa

dopo il Mille?

1 · La ripresa parte dalle campagne

Un «bianco mantello di chiese»

Nelle Storie di Rodolfo il Glabro, uno dei maggiori cronisti di quel tempo, si legge che, passato l’anno Mille, il clima cambiò, le piogge diminuirono e la vita sulla terra rifiorì. E, come segno di questo, la terra si ricoprì «di un bianco mantello di chiese». La crisi che aveva colpito gran parte dell'Europa sembrava quindi definitivamente finita. Le cose andarono probabilmente così, anche se, come sappiamo, tale crisi non era stata certo dovuta alla paura della fine del mondo ma ad altre e più complesse cause. In ogni caso, nell’XI secolo si verificò, come egli scrive, una generale anche se lenta rinascita. Si trattò di una rifioritura che investì vari campi: da quello economico a quello politico, da quello spirituale e religioso a quello culturale. Ebbe inizio quello che può essere considerato l’apogeo del Medioevo.

Contadini al lavoro Paul Getty Museum, Los Angeles

Si nasce di più… e si vive più a lungo

Anche la popolazione riprese a crescere. Su questo non siamo in possesso di dati assolutamente certi, in quanto allora non esistevano sistemi di registrazione delle nascite e delle morti come oggi, ma sembra che a partire dagli ultimi decenni del X secolo la popolazione europea sia, nel giro di due-tre secoli, più che raddoppiata, passando da 20-25 a 55-60 milioni di persone (e alcuni studiosi ipotizzano anche cifre superiori). Vi fu quindi un costante incremento demografico: si nasceva di più, si viveva più a lungo e la durata media della vita si alzava.

Quali le cause di questa generale ripresa?

Le cause di questa crescita sono le più svariate. Alcune già le conosciamo: la fine delle ultime devastanti invasioni di popoli stranieri, la protezione offerta ai contadini dai signori nei castelli, una maggiore stabilità politica dovuta alla rinascita dell’Impero con Ottone I, un miglioramento della vita della Chiesa con la nomina di papi e di vescovi più degni. Questi fatti resero più tranquilla e serena la vita degli uomini, garantirono più protezione e sicurezza e quindi maggiore fiducia nel futuro.

Un diffuso miglioramento del clima e importanti innovazioni tecnologiche

A queste si aggiungono altre cause che gli storici hanno cercato di portare alla luce. Molti, anche rifacendosi a testimonianze del tempo, hanno rilevato un generale miglioramento del clima. Si ebbe infatti quello che oggi chiameremmo un “riscaldamento” della terra, che in Europa produsse conseguenze assai positive. La temperatura media europea, alzandosi di uno o due gradi, rese più produttivi i campi, favorendo la coltivazione delle piante alimentari, ad esempio dei cereali, mentre si ridusse complessivamente la quantità delle piogge. Il miglioramento del clima provocò anche la diminuzione delle malattie legate al freddo, quelle delle vie respiratorie ad esempio, che mietevano molte vittime specie fra i bambini. Ma soprattutto, da questo miglioramento derivò, come detto, un generale aumento della produzione agricola che fu favorito anche da nuove scoperte e innovazioni tecnologiche. Si trattava di innovazioni che presero piede con gradualità, non con la stessa rapidità e allo stesso modo in tutte le parti dell’Europa. A volte i nuovi strumenti erano molto costosi e quindi non tutti i contadini erano in grado di sfruttarli. A poco a poco però si diffusero, producendo risultati positivi: i contadini cominciarono a produrre di più e a ottenere migliori risultati dal loro lavoro. E questo innescò una serie di conseguenze che prenderemo in esame più avanti.

Perché si parla di incremento demografico a partire dalla fine del X secolo?

Perché si parla di miglioramento del clima?

CAPITOLO 9 185

Dissodamento Operazione con la quale si rende più morbido e di conseguenza coltivabile un terreno duro e compatto.

Un nuovo tipo di aratro

Innanzitutto venne modificato l’aratro, che fu reso più pesante e più adatto a dissodare i terreni duri e compatti delle pianure del nord Europa. Furono introdotte lame in ferro che tagliavano il terreno in profondità, ma soprattutto il versoio (una specie di lama ricurva che, penetrando nel terreno, non solo lo tagliava ma rivoltava anche le zolle, con un’unica operazione). Vennero inoltre applicate le ruote, che consentivano un traino più veloce. Questi aratri venivano trascinati non più solo da coppie di buoi ma da cavalli, più forti e agili nei movimenti, grazie anche alla ferratura degli zoccoli. Inoltre, mentre in precedenza l’aratro veniva attaccato agli animali mediante una cinghia che stringeva loro il collo, ostacolandone la respirazione, dopo il Mille fu inventato il collare a spalla: un collare rigido che si appoggiava sulla spalla, permettendo una maggiore facilità di movimento.

La rotazione triennale

Perché la rotazione triennale delle colture apportò vantaggi alla popolazione contadina?

Venne poi introdotto il sistema della rotazione triennale delle colture che sostituiva quella biennale. Poiché le coltivazioni impoveriscono il terreno, in passato il campo da coltivare veniva diviso ogni anno in due parti, di cui solo una coltivata e l’altra lasciata a riposo. La resa era quindi dimezzata. Con l’introduzione della rotazione triennale, invece, si procedeva diversamente. Il terreno era diviso in tre parti. Nella prima si seminavano in autunno cerali a lunga crescita quali il grano, il miglio e il farro; nella seconda legumi (come ceci o piselli) o cereali che si seminavano in primavera perché crescevano più rapidamente (ad esempio l’orzo e l’avena). Solo la terza era lasciata a riposo (su questo campo, detto maggese, venivano fatti pascolare gli animali, che con i loro escrementi concimavano la terra). L’anno successivo le colture si alternavano e in tal modo si coltivavano sempre i due terzi del campo. Si aumentava e si variava così la produzione, che veniva distribuita su tutto l’arco dell’anno. Perciò, se anche in una determinata stagione il raccolto era scarso a causa di condizioni climatiche avverse, si poteva subito compensare questa scarsità con i prodotti maturati nella parte restante del campo nei mesi immediatamente successivi. Si evitavano così lunghi periodi di carestia.

Il mulino ad acqua

Un grande contributo allo sviluppo dell’economia venne anche dall’utilizzo sempre più esteso del mulino ad acqua e dal suo perfezionamento (il mulino a vento si diffuse solo in un secondo momento e nelle aree molto ventose, ma non diede mai significativi risultati). Nell’antichità infatti esso era costruito in modo da ruotare attorno a un’asse verticale e quindi era totalmente immerso nell’acqua e questo ne frenava la rotazione. In età medievale invece

186 L A Gr An De rInASCITA

si costruirono mulini posizionati verticalmente attorno a un’asse di rotazione orizzontale. Ciò permetteva alla ruota girevole di essere immersa solo in parte nell’acqua, favorendo in tal modo la spinta nella rotazione. Il mulino così perfezionato consentì di macinare molto più grano in tempi più rapidi, risparmiando la forza umana e quella animale, che potevano essere impiegate per altri lavori. Inoltre, utilizzando la forza dell’acqua con lo stesso metodo del mulino, si potevano svolgere più rapidamente lavori quali frantumare i metalli, conciare le pelli, follare i tessuti. Non era però sempre possibile ricorrere al lavoro dei mulini: erano infatti soggetti all’andamento delle acque dei fiumi, inoltre il loro uso da parte dei contadini comportava il pagamento di una somma di denaro al mugnaio e questo non era alla portata di tutti.

Follatura

Operazione con la quale si dava compattezza, morbidezza e leggerezza ai tessuti di lana.

Perché il mulino ad acqua non conobbe un utilizzo generalizzato?

CAPITOLO 9 187
Rotazione
cereali maggese
Rotazione biennale
triennale
anno
anno
anno
anno
anno
cereali legumi o cereali primaverili maggese La rotazione triennale

L'uso del cavallo da tiro prima (a sinistra) e dopo (a destra).

Bonifica

Operazione con la quale si prosciugano terreni paludosi e acquitrinosi al fine di renderli coltivabili e/o abitabili.

Perché si dice che la crescita della popolazione fu effetto e causa al tempo stesso del miglioramento della produzione agricola?

La conquista di nuove terre coltivabili

L’aumento della popolazione, frutto dei miglioramenti che abbiamo finora preso in esame, fu a sua volta causa di ulteriori miglioramenti. Fu quindi al tempo stesso effetto e causa di progressi, in una specie di spirale destinata a creare una crescita continua. Per soddisfare le necessità di una popolazione sempre più numerosa, infatti, si rese necessario coltivare di più e quindi strappare terreni alle paludi e alle foreste che allora ricoprivano l’Europa. Vennero quindi avviate bonifiche , disboscamenti e dissodamenti.

All’avanguardia in questa opera di innovazione tecnologica e di conquista di nuove terre troviamo ancora una volta i monaci: furono proprio loro i più grandi bonificatori e disboscatori del territorio.

188 L A Gr An De rInASCITA
vomere lama di ferro collare
rigido
zoccoli
zoccoli
collare
non ferrati
ferrati
la fascia stringe la trachea collare rigido vomere lama di ferro collare rigido
zoccoli
zoccoli
collare
non ferrati
ferrati
la fascia stringe la trachea collare rigido Il nuovo aratro

2 · Il rinnovamento della Chiesa e della vita monastica

L’esigenza di un ritorno alle origini

Dai monasteri partì però anche un’altra grande opera, quella della riforma della Chiesa e del rinnovamento morale della vita religiosa. Nell’ultimo secolo infatti anche i grandi monasteri dell’ordine benedettino avevano conosciuto una crisi piuttosto profonda: erano diventati molto ricchi, dimenticando spesso la regola della povertà insegnata dal loro fondatore; molti abati poi erano diventati conti, rivestendo un’autorità politica e dimenticando la loro missione religiosa. Molti monaci però cominciarono a sentirsi a disagio in queste nuove condizioni e vollero tornare a vivere la vita religiosa come l’aveva insegnata san Benedetto, in preghiera e povertà. Perciò lasciarono questi monasteri e ne fondarono di nuovi per poter realizzare il loro desiderio.

Il rinnovamento della Chiesa parte da Cluny

La prima grande nuova fondazione fu l’abbazia di Cluny, fondata nel 910 dal duca di Aquitania Guglielmo il Pio, che l’aveva voluta esente da ogni dipendenza da signori laici o dai vescovi. Ciò significa che queste autorità non potevano intervenire nella direzione del monastero, che dipendeva solo e interamente dall’abate, come pure nella scelta degli abati, lasciata totalmente alla volontà dei monaci.

A Cluny vennero così eletti grandi abati, tra cui ricordiamo soprattutto il secondo, Oddone. Questi abati guidarono il monastero con saggezza e promossero un grande movimento di riforma, per correggere i difetti della Chiesa e riportarla alla purezza di un tempo.

I monaci di Cluny seguivano la regola benedettina, anche se avevano abbandonato la pratica del lavoro manuale per sostituirla con le celebrazioni liturgiche. Trascorrevano infatti quasi l’intera giornata nella preghiera, nel silenzio e nella celebrazione di sante messe e di altri riti sacri. In breve tempo, molti giovani attratti dalla vita monastica si unirono a questo monastero, al punto che per accettarli tutti si dovettero costruire nuova abbazie affiliate in tutta la Francia (e oltre), con a capo un priore che dipendeva direttamente dall’abate di Cluny. L’abbazia di Cluny, divenne quindi un’eccezionale potenza spirituale (e anche materiale in quanto ricca e stimata) e il suo esempio fu seguito in tutta Europa.

I riformatori monastici in Italia: camaldolesi e vallombrosani

L’esempio di Cluny ebbe molto seguito anche in Italia, per merito soprattutto di due grandi santi, fondatori di altrettanti ordini: san Romualdo, che fondò l’ordine camaldolese, e san Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani.

Perché i monasteri benedettini erano entrati in crisi?

Perché Cluny godette di una condizione particolarmente favorevole?

CAPITOLO 9 189

Clausura

Particolare forma di esperienza religiosa e monastica in cui monaci e monache si dedicano interamente alla preghiera e al lavoro, evitando contatti col mondo esterno. Possono dialogare con persone esterne al monastero solo attraverso una grata.

Romualdo, originario di Ravenna, fondò nel 1012 l’eremo di Camaldoli, nel Casentino. Nel suo monastero veniva seguita la regola benedettina, ma con maggiore durezza, grande spirito di penitenza e distacco dal mondo (clausura).

Giovanni Gualberto, fiorentino, aveva frequentato per un certo periodo il monastero di San Miniato al Monte a Firenze, da dove però si era allontanato dopo un contrasto con l’abate, da lui accusato di simonia. Nel 1036 fondò quindi una piccola comunità di monaci nella foresta di Vallombrosa, sugli Appennini toscani.

Nascono i cistercensi

Perché Roberto di Molesmes fondò il monastero di Citeaux?

Un altro ordine importantissimo che lascerà un segno decisivo nella rinascita religiosa dell’Europa fu quello cistercense. L’ordine prende il nome dal monastero di Citeaux, una località impervia e desertica della Francia centro-orientale, chiamata in latino Cistercium. Questo monastero fu fondato, nel 1098, dall’abate Roberto di Molesmes, che vi si recò a vivere con alcuni confratelli, seguendo in modo rigoroso la Regola di san Benedetto. Egli infatti riteneva che i monasteri benedettini del suo tempo, compreso quello di Cluny, si fossero allontanati dagli insegnamenti del loro fondatore, mettendo in secondo piano o eliminando del tutto il lavoro e arricchendosi con il possesso di terre e con altre attività. Egli quindi, accanto alla centralità della preghiera, della vita solitaria, della meditazione e della povertà proponeva anche la ripresa del lavoro manuale, soprattutto agricolo.

San Bernardo di Chiaravalle

L’ordine cistercense ebbe una grande diffusione anche grazie all’opera del francese Bernardo di Chiaravalle, che ne divenne la personalità più significativa. San Bernardo fu una delle figure più autorevoli e influenti nella Chiesa e nella società in questo periodo; predicò le crociate, fu consigliere prezioso dei papi, scrisse molte opere teologiche e filosofiche; fondò a sua volta il monastero di Chiaravalle (Clairvaux) in Francia e diffuse la spiritualità cistercense in tutta Europa. Alla sua morte, nel 1153, si conteranno ben 350 monasteri affiliati a Citeaux, che diventeranno 530 nel 1250. In questi luoghi i cistercensi contribuirono anche allo sviluppo agricolo e alla crescita economica. Bonificarono infatti paludi, dissodarono terreni, rendendo così fertili e coltivabili pianure e vallate, e diffusero nuove forme di coltivazione della terra. In Italia il movimento cistercense ebbe ampia diffusione. Tra le fondazioni più importanti ricordiamo le abbazie di Chiaravalle e Morimondo (nei pressi di Milano), Staffarda in Piemonte, Casamari e Fossanova nel Lazio.

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L’ordine certosino

Un’esperienza monastica particolare fu quella dei certosini, fondati da san Bruno nel 1084. Quest’ordine, il cui nome deriva dal primo insediamento, quello nell’impervia località montana della Chartreuse, nelle Alpi francesi, si dedicò in modo particolare alla preghiera e al silenzio, riproponendo un modello di vita quasi eremitica.

Anche i semplici fedeli si battono per il rinnovamento della Chiesa

L’esigenza di rinnovamento della Chiesa fu avvertita non solo all’interno dei monasteri. Anche i semplici fedeli, soprattutto delle città, scandalizzati per l’immoralità dei loro pastori, protestavano e avanzavano con forza questa richiesta. Talvolta queste proteste degeneravano in azioni violente (ad esempio aggressioni a preti o vescovi simoniaci) o in vere e proprie rivolte armate, come nel caso del movimento della Pataria a Milano. Altri invece erano portati ad allontanarsi dalla Chiesa per seguire, come vedremo più avanti, dottrine e movimenti ereticali.

CAPITOLO 9 191
Danubio Reno Nilo
Roma Casamari
S.
Stefano
Morimondo Chiaravalle Heiligenkreuz Hautecombe La Fertè Citeaux Morimond Clairvaux Pontigny Molesmes Boyle
S. Spirito S. Stefano Principali monasteri cistercensi

Perché fallì il tentativo di Ottone III?

3 · Il consolidamento del potere imperiale

La Renovatio Imperii Romanorum di Ottone III

Dopo la morte di Ottone I e il breve regno di Ottone II, la corona imperiale passò a Ottone III (983-1002). Questi salito al potere in giovane età, addirittura incoronato imperatore quando era ancora bambino, fu uomo di grandi ideali. Innanzitutto sognò di restaurare l’impero di Carlo Magno nella sua completezza, allargandolo all’Italia meridionale e, se possibile, al resto d’Europa. In secondo luogo, approfittando del fatto che la madre fosse nipote dell’imperatore bizantino, pensò di poter arrivare a riunificare l’Impero Romano d’Oriente e quello d’Occidente (la Renovatio Imperii Romanorum).

L’influenza di papa Silvestro II

Tali ideali di grandezza gli furono inculcati anche dal suo educatore, uno degli uomini più dotti del Medioevo, Gerberto d’Aurillac, che divenne papa col nome di Silvestro II (999-1003). Durante i pochi anni in cui entrambi governarono si verificò un fatto mai accaduto prima: la totale armonia e collaborazione fra papa e imperatore. Ottone III trasferì la sua sede a Roma proprio nell’intento di portare a termine il suo grande progetto e di collaborare più strettamente col papa, suo maestro. Purtroppo per lui però, andò incontro al fallimento. Una rivolta scoppiata nel 1001 lo costrinse infatti a lasciare la città.

La casata di Sassonia si estingue. Sale al trono la dinastia di Franconia

Ottone morì nel gennaio del 1002, a soli ventidue anni, presso Viterbo, forse di malaria o forse addirittura avvelenato. I suoi cavalieri ne riportarono il corpo nella sua terra, deponendolo accanto a quello di Carlo Magno ad Aquisgrana. Nel maggio dell’anno successivo morì anche Silvestro II.

A Ottone successe Enrico II di Sassonia (1002-1024), che sconfisse Arduino d’Ivrea, pretendente al trono d’Italia e conquistò il Ducato di Benevento. Enrico II, però, va ricordato soprattutto perché si adoperò per favorire il rinnovamento della Chiesa e per la particolare benevolenza che mostrò verso i suoi sudditi, specie i poveri, al punto che alla sua morte fu proclamato santo.

Perché Corrado II concesse l’ereditarietà dei feudi minori?

Con lui si estinse la Casa di Sassonia. Non avendo figli, infatti, gli successe come imperatore Corrado II il Salico della casata di Franconia (1024-1039). Fu costui che concesse nel 1037, con la Constitutio de Feudis, l’ereditarietà anche ai feudi minori (quelli dei valvassori e dei valvassini) soprattutto con l’intento di indebolire i grandi feudatari suoi avversari.

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METTIAMO A FUOCO

Gli straccioni che sconvolsero Milano

In lotta contro un vescovo simoniaco

A Milano tra il 1056 e il 1057 scoppiò, contro la corruzione del clero, la rivolta dei patarini. A originarla fu la nomina, da parte dell’imperatore, di un nuovo vescovo, Guido da Velate, gradito all’aristocrazia cittadina ma inviso al popolo che lo accusava di essere simoniaco e legato al potere politico. Contro di lui si scatenò ben presto la protesta popolare, guidata da Arialdo, un prete che predicava da tempo anche contro la corruzione di gran parte del clero milanese, che accusava di simonia e di concubinato. non si trattò di una protesta pacifica: fedeli arrabbiati assalivano i sacerdoti, costringendoli a lasciare la città, interrompevano processioni e celebrazioni, inveivano pubblicamente contro il vescovo e contro i preti corrotti, dichiarando di non accettare i sacramenti amministrati da questi preti. Si arrivò persino a scontri armati tra fazioni sostenitrici delle diverse posizioni. Durante tali scontri, in momenti successivi, vennero assassinati sia Arialdo che un altro dei leader della rivolta, il cavaliere erlembardo Cotta.

I patarini erano veramente straccioni?

Chi erano i patarini e perché si chiamavano così?

Secondo l’interpretazione più diffusa il nome deriva dalla parola milanese patée, che significava “straccio” (infatti il quartiere dei robivecchi era chiamato dei pattari). Questo farebbe pensare ai poveri vestiti di stracci, gli straccioni. In realtà a questo movimento non aderirono solo le persone più povere di Milano. Gli storici hanno dimostrato che in esso erano presenti anche piccoli artigiani e mercanti, esponenti di quella che oggi si chiamerebbe borghesia, e anche qualche nobile. A metterli insieme erano quindi ragioni di carattere politico (volevano contare di più nella società e scalzare dal potere cittadino la grande aristocrazia) ma soprattutto una motivazione religiosa, lo scandalo per la corruzione del clero milanese.

Il papa era inizialmente dalla loro parte I patarini ottennero nella loro protesta anche l’appoggio del papa, Alessandro II (Anselmo da Baggio), che tra l’altro da giovane aveva militato nelle loro file e che mandò più volte a Milano dei suoi emissari per riportare l’ordine in città, arrivando anche a scomunicare il vescovo. nel 1071 finalmente Guido da Velate rinunciò alla sua carica, ma al momento di scegliere il successore si riaccese lo scontro tra il papa e l’imperatore che sostenevano due diversi candidati. Siamo ormai nel pieno di quella che, come vedremo nel capitolo seguente, si chiamerà “lotta per le investiture”. Quattro anni dopo, con l’uccisione di erlembardo, la protesta patarina si placò e la città ritornò sotto la piena autorità dell’imperatore. I patarini più estremisti, che si rifiutarono di tornare all’ordine, finirono per lasciare Milano e unirsi alle forze ereticali che si svilupperanno in varie parti d’Italia e d’europa, primi fra tutti i catari.

CAPITOLO 9 193
Papa Alessandro II

METTIAMO A FUOCO

Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Come si mangiava nel Medioevo

È difficile fornire un quadro generale riguardo all’alimentazione dell’uomo medievale. Diversa è infatti la situazione dei contadini nell’Alto Medioevo rispetto a quella degli abitanti delle città nei secoli successivi al Mille. Un conto è poi l’alimentazione delle popolazioni che vivevano nelle aree mediterranee, un conto quella degli abitanti delle regioni fredde del nord europa. Inoltre la situazione poteva variare di anno in anno o di stagione in stagione: bastava un inverno insolitamente caldo o una primavera straordinariamente rigida che i raccolti diminuivano e il regime alimentare cambiava. Se poi vi erano guerre e razzie la situazione peggiorava tragicamente anche dal punto di vista alimentare.

Una “civiltà del grano”

In questa precarietà possiamo comunque dire con certezza che gli alimenti di base per l’uomo medievale erano i cereali, il grano soprattutto ma anche orzo, avena, miglio, segale. Per questo si può parlare di una “civiltà del grano”. Da questi prodotti si ricavavano farina, zuppe (a volte con legumi) e pane in abbondanza (si parlava di pane e “companatico” ossia “ciò che accompagna il pane”, che comunque era sempre scarso). Poco frequente era invece sulla tavola dei contadini la carne. Se il signore lo consentiva, si praticava la caccia nel feudo oppure la pesca nei fiumi e quindi c’era la possibilità di mangiare selvaggina o pesce, ma questa era un’evenienza piuttosto rara.

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Quando il sistema di rotazione era biennale la produzione era più scarsa e i contadini vivevano sempre ai limiti della sopravvivenza. ricordiamo, a questo proposito, che la resa del grano, che pure è ricco di calorie, è sempre scarsa: allora per ogni chicco seminato se ne ricavavano all’incirca tre, e di questi tre uno doveva essere accantonato per la semina successiva e un altro andava, da contratto, al signore. Inoltre la farina che dal grano si ricavava era facilmente deperibile e non poteva essere conservata a lungo.

Le terribili carestie e le forme di solidarietà sociale

In questa situazione di precarietà bastava poco, un temporale particolarmente intenso o una scorribanda di qualche gruppo di predoni che distruggevano i raccolti, e il contadino precipitava nella carestia più nera. Questa era una delle paure più diffuse, uno dai flagelli, insieme alla peste e alla guerra, che si chiedeva a Dio nelle preghiere di tenere lontano.

Cronisti del tempo descrivono in modo agghiacciante scene di miseria e di carestia; in queste circostanze gli uomini disperati si cibavano anche di erbe e radici, di insetti e serpenti. Qualche volta anche di cadaveri. non bisogna però generalizzare: questi periodi di carestia non erano costanti, e non furono mai generalizzati a tutta l’europa. riguardavano di volta in volta aree diverse in periodi diversi.

Inoltre un grande aiuto contro la fame era dato dalle molteplici forme di solidarietà che esistevano: vi era l’aiuto solidale all’interno del villaggio, come pure quello offerto dai monasteri che assistevano i poveri. non era infrequente tra l’altro che anche nelle mense contadine si riservasse un posto vuoto a tavola per ospitare in qualsiasi momento mendicanti o pellegrini di passaggio: un’usanza che in alcune parti d’Italia era ancora viva fino a pochi decenni fa. Più tardi, a partire dal XII secolo, si distinsero in quest’opera caritativa, come vedremo, i frati mendicanti, le corporazioni, singoli nobili e borghesi disposti a assistere caritatevolmente i bisognosi per mettere in pratica l’insegnamento evangelico e per conquistarsi il paradiso.

Nelle città si mangiava meglio: l’esempio di Parigi nel XIII secolo

La situazione migliorò indubbiamente anche se gradualmente dopo il Mille, soprattutto all’interno delle città che, come vedremo, conobbero un consistente sviluppo. La carne divenne un cibo più abituale sulle tavole e i prodotti agricoli cominciarono ad abbondare. régine Pernoud, una storica francese del nostro tempo, scrive che, ad esempio, in Francia nel XIII secolo nell’area di Parigi ogni famiglia allevava uno o due maiali. nutriti per lo più con i rifiuti domestici, venivano di regola macellati all’inizio dell’inverno e da essi si ricavava carne e grasso per un’intera annata. Durante i periodi “di magro”, la quaresima e i venerdì, si mangiava, ove possibile, pesce. Per ciò che riguarda i condimenti, si faceva grande uso del pepe, che copriva i sapori cattivi dei cibi mal conservati (le tecniche di conservazione degli alimenti erano ancora rudimentali). Apprezzata era la frutta (ma ricordiamo che pesche e albicocche, originarie del Vicino Oriente, furono introdotte in europa solo a seguito delle crociate). Interessante è che – ce lo racconta sempre régine Pernoud – per le vie di Parigi si vendevano ciambelle e fichi d’India. naturalmente i nobili riguardo al cibo stavano molto meglio: per loro i pasti giornalieri erano tre (vi era anche la merenda), e carne, vini, cacciagione e spezie erano presenti in grande quantità sulle loro tavole. Per quanto riguarda le bevande, si consumava molta birra d’orzo, l’idromele (una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del miele aromatizzato con erbe) e vino, a volte allungato con l’acqua.

Un’ultima curiosità: in un documento francese risalente alla fine del 1300 e comunemente noto come Ménagier de Paris, si fa l’inventario della quantità settimanale di carne macellata a Parigi in quel periodo. e le cifre erano piuttosto impressionanti: 312 buoi, 3.130 pecore, 328 maiali, 306 vitelli.

CAPITOLO 9 195

IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Lo sviluppo tecnologico nel Medioevo

Perché è importante studiare la storia dell’evoluzione tecnologica non si deve credere che la storia sia fatta soltanto dalle vicende degli Stati, dalle guerre o dalle opere dei grandi artisti. Un’invenzione tecnica e la scoperta dell’utilità di qualcosa che prima l’uomo non conosceva possono aver avuto sullo sviluppo dell’umanità un influsso maggiore di quello di tante guerre. Il Medioevo, contrariamente a quanto spesso si sente dire, ha visto un discreto progresso scientifico e soprattutto tecnologico. naturalmente non si può pensare a qualcosa di simile al progresso che l’umanità ha conosciuto negli ultimi secoli, né per entità né per ritmo di sviluppo. Tuttavia non fu nemmeno un fatto trascurabile, e oggi molti studiosi cominciano a occuparsene con interesse. Gli uomini del Medioevo Inventarono molte macchine, che migliorarono il loro lavoro al punto che lo storico francese Marc Bloch è arrivato a definire la civiltà medievale “civiltà della tecnica”. e un altro storico, il Lilley, ha parlato di vera e propria “rivoluzione tecnologica”.

L’abolizione della schiavitù e le sue conseguenze

La molla principale di queste innovazioni, almeno inizialmente, fu il venir meno della schiavitù. nell’epoca antica il grande numero di schiavi disponibili per il lavoro non spingeva a trovare modi per migliorarne le tecniche. nel Medioevo invece la schiavitù, combattuta dalla Chiesa, si ridusse a ben poco e questo fece da spinta a ricercare nuovi modi di produrre e nuove fonti di energia per sostituire la loro forza-lavoro.

Le innovazioni in campo agricolo

In campo agricolo, abbiamo visto che attorno al X secolo si giunse a un’invenzione fondamentale grazie alla quale si poté aumentare da due a tre volta la capacità di tiro del cavallo. Venne inventato un giogo che, a differenza di quello che usavano gli antichi, non comprimeva la trachea dell’animale riducendone così la capacità di tiro. Inoltre furono inventate e si diffusero la ferratura degli zoccoli dei cavalli e il pesante aratro a ruote con coltello verticale e vomere orizzontale con

delle specie di orecchie per rivoltare le zolle. Il migliore utilizzo della forza dei cavalli rese pure conveniente la costruzione di carri più grandi con il conseguente ridursi del costo dei trasporti.

Altre innovazioni in vari campi nel campo dell’artigianato tessile furono costruite le macchine per dipanare la seta, l’arcolaio che serviva a ridurre in gomitoli di filo le matasse di lana, il telaio a pedale. Furono inventati inoltre il verricello col quale si sollevavano, con una semplice manovella, oggetti anche piuttosto pesanti, il cabestano (una specie di argano per sollevare e spostare pesi ancora più grandi).

risale all’alto Medioevo, come detto, anche il perfezionamento del mulino ad acqua, ossia del motore a ruota idraulica. Lo stesso meccanismo veniva usato non solo per macinare il grano e altri cereali e farne farina, ma anche per altre lavorazioni in campo tessile e metallurgico. Fino all’invenzione nel secolo XVIII della macchina a vapore, i mulini ad acqua o anche a vento saranno l’unico motore di cui l’uomo potrà disporre.

nel campo della metallurgia si svilupparono la produzione della ghisa e l’uso del carbon fossile. In altri campi fecero la loro comparsa la clessidra per la misurazione del tempo, il canale a chiuse a porte girevoli, la polvere da sparo.

Il mulino ad acqua

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nel XV secolo si giungerà all’invenzione della stampa, mentre gli occhiali erano già conosciuti. Ci sarebbero molte altre invenzioni e tecniche da ricordare ma lasciamo a te il compito di svolgere ulteriori ricerche.

Gli studi in campo fisico e chimico

Per quanto riguarda lo sviluppo delle scienze, forse la disciplina che fece i maggiori progressi fu la chimica: studiosi medievali scoprirono gli acidi, le basi, l’alcool. Si compirono studi sul magnetismo, sull’ottica e sull’acustica per quanto riguarda la fisica. ecco i nomi di alcuni fra questi studiosi: ruggero Bacone, Alberto Magno, Arnaud de Villeneuve, raimondo Lullo, Pietro di Maricourt, Giovanni Buridano, nicola di Oresme. Significativa è la figura dell’inglese roberto Grossatesta, vescovo e docente all’università di Oxford, che si dedicò in modo particolare allo studio della luce, dell’arcobaleno, degli specchi e delle lenti. Una sua interessante teoria spiega come tutto l’universo avesse avuto inizio da una sorta di puntino infinitesimale di luce-energia, posto da Dio all’origine del mondo materiale; è una teoria che, ricca di molte conseguenze sul piano fisico, anticipa in modo suggestivo il famoso concetto del Big Bang elaborato dagli scienziati nel corso del XX secolo.

Ancora una volta alla base di questo sviluppo vi erano i monaci

Molte di queste scoperte e innovazioni provenivano dai monaci, soprattutto dai cistercensi, come ci ricorda lo storico Jacques Le Goff, che in proposito scrive ne Il bel Medioevo: «Il desiderio di essere liberati dai bisogni materiali per dedicarsi alle occupazioni propriamente spirituali (uffizi, orazioni), la vocazione caritativa che li obbligava a provvedere alle necessità economiche non solo della loro numerosa comunità, ma dei poveri e dei mendicanti stranieri con distribuzione di viveri, li hanno obbligati a sviluppare una certa attrezzatura tecnica». D’altra parte, la stessa regola benedettina invitava i monaci a dedicarsi con impegno al lavoro e, inoltre, il monastero doveva essere autosufficiente e quindi sviluppare tutte le possibilità produttive per garantirsi questa autosufficienza. Infine vi erano esigenze particolari legate alla vita spirituale (pensiamo ad esempio alla necessità di produrre il vino per la messa, che favorì lo sviluppo delle tecniche di coltivazione della vite e di produzione del

vino). Ai monaci successero in un secondo momento le università fenomeno importantissimo di cui parleremo più avanti, nelle quali si posero le basi per il progresso scientifico che verrà realizzato in europa nei secoli successivi.

Come si può vedere, quindi, quella medievale fu una società, dal punto di vista scientifico e tecnologico, tutt’altro che statica. Il grande storico Marc Bloch, che ha dedicato a questi temi un libro molto importante intitolato Lavoro e tecnica nel Medioevo, parla per questo di una continua “capacità di rinnovamento” e di uno “slancio prodigioso” che sono alla base del grande sviluppo dell’europa. Più di recente lo studioso inglese Seb Falk, nel libro I secoli luminosi. La sorprendente storia della scienza medievale, ha confermato questo giudizio parlando di "irresistibile determinazione medievale ad armeggiare, riprogettare, migliorare o aggiornare la tecnologia".

Ritratto del cardinale Ugo di Provenza

Opera di Tommaso da Modena (1352), Seminario Vescovile, Treviso. Si noti l’uso degli occhiali.

CAPITOLO 9 197

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Che cosa rimane oggi di Cluny

Cluny fu la più imponente costruzione monastica del Medioevo. La sua abbazia, dedicata ai santi Pietro e Paolo, fu ingrandita, dopo la prima costruzione, altre due volte e fu ultimata nel 1130 divenendo la più grande chiesa allora esistente. essa ospitava 300 monaci e molti laici e l’intero complesso si estendeva per un’area di circa 5 chilometri quadrati.

Di esso oggi è rimasto ben poco. Dopo otto secoli di vita, nel 1790, durante la rivoluzione francese, i rivoluzionari, spinti da una forte ostilità contro la Chiesa cattolica, fecero chiudere il monastero; la chiesa venne prima confiscata dallo stato e poi venduta e utilizzata come cava da cui ricavare materiale per le costruzioni. Fu così quasi totalmente demolita. Solo una piccola parte si salvò ed è visibile tuttora. Si tratta del braccio meridionale del transetto maggiore, sormontato da un campanile ottagonale e fiancheggiato da una torre.

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Ciò che rimane oggi dell’antica abbazia di Cluny

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Dopo il Mille l’Europa conobbe un graduale ma costante sviluppo di cui la crescita demografica fu insieme causa e conseguenza. Le ragioni di questo sviluppo furono molteplici: la fine delle invasioni dei popoli stranieri, il nuovo ordine politico che garantiva maggiore sicurezza, un certo miglioramento climatico.

2. La rinascita partì soprattutto dalle campagne, dove vennero introdotti, in particolare dai monaci, nuovi attrezzi e nuove tecniche di coltivazione. Ricordiamo l’aratro pesante col versoio, il mulino ad acqua, la ferratura dei cavalli, il giogo per l’attaccatura alle spalle degli animali, la rotazione triennale delle colture. Vennero inoltre bonificati e dissodati molti terreni poi adibiti alla coltivazione.

3. La rinascita fu però anche morale e religiosa e partì, ancora una volta, dai monasteri. Sorsero nuove fondazioni e nuovi ordini, che si riproponevano di riportare la vita cristiana alla purezza delle origini: Cluny, i cistercensi e i certosini in Francia, i camaldolesi e i vallombrosani in Italia. Anche i fedeli laici si batterono, a volte in forme violente, come nel caso della Pataria a Milano, contro gli abusi e i vizi degli ecclesiastici.

4. Intanto, si andava consolidando la struttura dell’Impero, grazie all’azione dei sovrani della casata di Sassonia. A Ottone I successero Ottone II e Ottone III; quest’ultimo in particolare, sovrano di larghe vedute e di straordinaria cultura, sotto l’influenza di uno degli uomini più colti del suo tempo, Gerberto d’Aurillac, divenuto papa Silvestro II, sognò di riportare l’Impero alla sua primitiva grandezza, riunificando l’Occidente e l’Oriente.

5. Il suo progetto però non poté realizzarsi e la casa di Sassonia si estinse per far posto a una nuova dinastia, quella di Franconia. Nel 1037 un imperatore di questa dinastia, Corrado II, concesse l’ereditarietà per i feudi minori.

CAPITOLO 9 199

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Com’è l’andamento demografico dopo il Mille?

2. Come venne modificato l’aratro e perché questi cambiamenti resero migliore l’aratura dai campi?

3. Che cosa si intende per rotazione triennale delle colture?

4. Quali sono le principali caratteristiche di Cluny?

5. Quali furono gli ordini nati in Italia sull’esempio di Cluny?

6. Che cosa fece san Bernardo di Chiaravalle?

7. Quale fu il sogno di Ottone III?

8. Chi era Silvestro II?

9. Chi successe a enrico II?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Fondazione dell’abbazia di Citeaux

2. Fondazione dell’abbazia di Cluny

3. Morte di Ottone III

4. Constititutio de Feudis di Corrado II

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

L’incremento della popolazione dopo il Mille fu favorito

a. dal generale miglioramento del clima.

b. dal generale miglioramento del clima ma anche dall’aumento della produttività agricola.

c. dal miglioramento delle tecniche della medicina.

Il monachesimo benedettino era entrato in crisi perché

a. i giovani non erano più attratti dagli ideali della vita monastica.

b. gli abati erano spesso persone corrotte e immorali.

c. nel corso del tempo i monasteri si erano arricchiti allontanandosi dalla pratica della regola di san Benedetto.

La Renovatio Imperii di Ottone III consisteva

a. nella restaurazione dell’Impero di Carlo Magno.

b. nella riunificazione dell’Impero d’Occidente e di quello d’Oriente.

c. nel rinnovamento del papato e nella fine della corruzione della Chiesa.

Durante il governo di Ottone III

a. vi fu la fine della lotta tra imperatore d’Oriente e imperatore d’Occidente.

b. la Chiesa ebbe un grande sviluppo.

c. vi fu il pieno accordo tra imperatore e papa.

200 L A Gr An De rInASCITA
910 1002 1037 1098

Corrado II concesse l’ereditarietà dei feudi minori.

a. per indebolire i grandi feudatari del regno.

b. per controllare meglio il territorio.

c. per rafforzare la sua autorità sullo stato.

Esercizio 4 · Completa la seguente mappa concettuale inserendo al posto giusto i concetti suggeriti.

Innovazioni tecnologiche in agricoltura

Miglioramento della produzione agricola

Ulteriore aumento della produzione agricola

Clima migliore

Incremento demografico

necessità di nuove terre coltivabili: bonifiche, disboscamenti

Situazione politica e religiosa più tranquilla e sicura

Clima migliore

Incremento demografico

Situazione politica e religiosa

più tranquilla e sicura

CAPITOLO 9 201

Assedio di Antiochia Miniatura dalle

Storie d’Oltremare di Guglielmo di Tiro (XII secolo), Bibliothèque Municipale, Lione

La Chiesa si afferma

L’apogeo della Chiesa medievale?

Passata attraverso una dura crisi, la Chiesa di Roma era riuscita a rinnovarsi, e ora sembrava più forte, pronta a guidare la scena europea e a raccogliere le nuove sfide che provenivano da Oriente: lo scisma ortodosso e l’arrivo minaccioso dei Turchi. Due furono i momenti, nella seconda metà dell’XI secolo, che sembrarono segnare l’apogeo della Chiesa medievale: quando a Canossa l’imperatore si umiliò a piedi nudi nella neve di fronte al grande papa Gregorio VII e quando, alcuni anni dopo, decine di migliaia di uomini partirono per la crociata al grido di «Dio lo vuole», rispondendo all’appello di un altro papa, Urbano II.

Mai in tutto il Medioevo dei papi avevano goduto di un potere così grande, anche sul piano politico.

Tuttavia questa situazione non durerà a lungo. Come vedremo nei prossimi capitoli, nuove forze si affacceranno sulla scena europea a ridimensionare il ruolo del papato: i Comuni in Italia, i nuovi stati nazionali nel resto d’Europa. E anche l’Impero, grazie agli imperatori dalla dinastia sveva, riprenderà ben presto vigore.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Per che cosa il papa sfidò l’imperatore: la libertas ecclesiae

• Matilde di Canossa: grande protagonista in un’epoca drammatica

• Il duomo di Monreale: quando culture diverse convivono in armonia

• Urbano II chiama alla crociata

• Col principato di Kiev nasce la Russia

• Perché usiamo la parola cristianità

• Le crociate “irregolari”

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 10
per non perdere il filo

Perché alla lunga l’intervento dell’imperatore nella nomina dei papi risultò un fatto negativo?

Potere spirituale

Potere che il papa, e in via subordinata i vescovi, hanno di guidare dal punto di vista religioso la Chiesa e la vita spirituale dei fedeli.

Potere temporale espressione usata per indicare il potere esercitato dal papa e dai vescovi nel campo del governo politico o dell’amministrazione di un territorio o di uno stato.

Perché si dice che i vescovi-conti esercitavano sia un potere spirituale che temporale?

Cardinali sono i più stretti collaboratori del papa. Un tempo erano i preti delle più antiche chiese di Roma e i vescovi delle sette diocesi vicine a Roma (tra cui Ostia e Frascati) che insieme formavano il sacro collegio. Dalla fine del XII secolo questo titolo venne esteso anche a vescovi di città lontane da Roma.

1 · La subordinazione della Chiesa al potere imperiale

Un grave problema da risolvere L’opera di rinascita e di rinnovamento della Chiesa, portata avanti, come abbiamo visto, dalle nuove fondazioni monastiche, fu importantissima. Sarebbe stata però incompleta se non si fosse risolto anche un altro problema, quello dell’elezione del papa e della nomina dei vescovi. A quel tempo, infatti, grazie al Privilegio Ottoniano, era l’imperatore a decidere chi dovesse essere papa. Inoltre egli nominava i vescovi a cui affidare i feudi e i poteri di governo dei territori. In tal modo, scegliendo persone di sua fiducia, egli finiva per esercitare un controllo su tutte le autorità della Chiesa, che così perdeva la sua libertà. È vero che, all’inizio, questo aveva permesso di sottrarre l’elezione del papa all’influenza nefasta delle famiglie aristocratiche romane ma, col passare del tempo, aveva finito anche per porre le basi per una sottomissione del papa all’imperatore. Risolvere questo problema voleva quindi dire ridare al papa la sua piena autorità e difendere la libertà della Chiesa (come si diceva con un’espressione latina allora in uso la libertas ecclesiae).

I vescovi-conti: più conti che vescovi Anche la presenza dei vescovi-conti costituiva un problema. Nei feudi ecclesiastici, infatti, il vescovo-conte svolgeva funzioni religiose ma anche di governo politico, detenendo quindi sia il potere spirituale che quello temporale . La sua nomina o investitura era duplice: riceveva dal papa l’autorità vescovile, e dal sovrano quella politica. In Germania addirittura, come abbiamo visto, erano gli imperatori stessi che nominavano i vescovi-conti, conferendo loro entrambi i poteri. Ciò finì per determinare conseguenze negative per la Chiesa, in quanto spesso i vescovi-conti erano scelti più per le loro virtù guerriere e la loro fedeltà politica, che per le qualità morali e spirituali che possedevano. Potevano quindi diventare vescovi abili politici, più preoccupati di rafforzare il loro potere e di arricchirsi che di guidare i fedeli sulla via del Vangelo.

2 · La lotta per le investiture

Il programma di Gregorio VII

Era di fondamentale importanza risolvere questi problemi. Già nel 1059, papa Niccolò II aveva introdotto una sostanziale modifica nel modo di eleggere i pontefici, stabilendo che da quel momento in poi tale elezione sarebbe stata di competenza dei soli cardinali, senza più alcun intervento né dell’imperatore né del popolo roma-

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no. Far accettare questa riforma all’imperatore non era però facile: era necessario che dopo Niccolò II ci fosse un papa disposto, per questo motivo, anche a scontrarsi con lui. E questo papa fu Ildebrando di Soana, un monaco benedettino di nobili origini che prese il nome di Gregorio VII. Egli, per la verità, si era già dedicato a un’ampia opera riformatrice durante gli anni in cui era stato semplice monaco e poi in quelli in cui era divenuto cardinale a Roma, dove aveva combattuto la corruzione del clero e la simonia. Da papa volle continuare in quest’azione impegnandosi a liberare la Chiesa dalla subordinazione all’Impero e ristabilendo in modo particolare l’autorità del pontefice, che poteva anche giungere, in casi molto gravi, a destituire l’imperatore. Gregorio VII intendeva difendere la nuova regola per l’elezione del pontefice, introdotta dal suo predecessore; inoltre non era più disposto a tollerare che fosse l’imperatore a nominare vescovi e abati.

Perché Niccolò II modificò il modo di eleggere il papa?

Dipinto su pergamena (XII secolo), Bibliothèque Municipale, Douai, Francia

CAPITOLO 10 205
Gregorio VII

Scomunica

Atto con cui il papa esclude un fedele dalla comunità cristiana e in particolare gli proibisce di accedere ai sacramenti. Nel Medioevo questo atto aveva conseguenze anche sul piano politico: i sudditi infatti non erano più tenuti a obbedire a un sovrano scomunicato che, quindi, perdeva ogni potere.

Perché la scomunica era un atto grave per i sovrani del Medioevo?

Perché Gregorio VII scomunicò l’imperatore Enrico IV?

Lo scontro con l’imperatore

Quando, nel 1073, Ildebrando fu eletto papa secondo la nuova regola, non ottenne l’approvazione dell’imperatore, che non accettò l’elezione perché avvenuta in contrasto col Privilegio Ottoniano. Enrico IV non era neppure disposto a rinunciare al diritto di investitura dei vescovi-conti. Continuò quindi a nominare vescovi senza dare ascolto alle proteste del papa. Nel 1076 fece addirittura dichiarare dai vescovi da lui scelti che Gregorio VII non era un papa legittimo e che, per questo, era da considerarsi decaduto e andava sostituito. Ma Gregorio non era certo un uomo da farsi intimidire, neanche dall’imperatore. Immediatamente promulgò la scomunica contro Enrico, liberando tutti i suoi sudditi e vassalli dall’obbligo di fedeltà nei suoi confronti.

L’imperatore, per evitare di trovarsi solo e abbandonato dai suoi vassalli, dovette trovare un modo per riconciliarsi col papa. Scese in Italia per chiedere personalmente perdono a Gregorio, umiliandosi davanti a lui, affinché gli fosse ritirata la scomunica.

L’umiliazione di Canossa

Enrico raggiunse il papa che era ospite presso il castello di Matilde di Canossa, grande feudataria e sua alleata e sostenitrice. Il castello si trovava sull’Appennino reggiano e le cronache del tempo dicono che l’imperatore, giuntovi nel gennaio del 1077, dopo aver chiesto umilmente al papa di essere ricevuto, dovette rimanere tre giorni in penitenza, a piedi nudi nella neve, prima di poter entrare. Solo dopo questa umiliazione, Gregorio lo ricevette e lo perdonò, ritirando la scomunica.

Perché Enrico IV si umiliò a Canossa?

La lotta però non era finita. Dopo questa umiliazione, subita controvoglia, Enrico passò al contrattacco. Tornato in Germania ritrattò tutto e riprese la sua lotta contro il papa che qualche anno dopo dovette nuovamente scomunicarlo. La reazione dell’imperatore questa volta fu però diversa: scese in Italia con un forte esercito e assediò Roma. Il papa dovette rifugiarsi in Castel Sant’Angelo mentre Enrico nominò al suo posto un antipapa. Alla fine, Gregorio VII ricevette soccorso da Roberto il Guiscardo, capo dei Normanni in Italia, che giunse a Roma, lo liberò ma, nello stesso tempo, sottopose la città a un terribile saccheggio. Gregorio, ormai debilitato, morì nel 1085 a Salerno, pronunciando la celebre frase: «Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio».

Il Concordato di Worms

Questo scontro, chiamato dagli storici “lotta per le investiture”, si protrasse ancora a lungo. Il nuovo imperatore Enrico V, che aveva spodestato il padre, arrivò a un certo punto persino a far imprigionare il papa Pasquale II. Il successore di quest’ultimo, Callisto II, giunse nel 1122 a un accordo con l’imperatore, il cosiddetto Con-

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cordato di Worms. Con esso si stabiliva che l’elezione e la consacrazione dei vescovi, con la consegna dell’anello e del pastorale, spettava solo alla Chiesa, al clero e al popolo dei fedeli; l’imperatore poteva, ma solo in un secondo momento, conferire al vescovo poteri di governo. Solo in Germania egli poteva presenziare all’elezione, dirimere eventuali contrasti e conferire l’autorità temporale (lo sceptrum) prima della consacrazione.

Lo scontro prosegue: i guelfi contro i ghibellini

Il concordato di Worms sembrò affermare, una volta per tutte, il diritto del papato alla nomina dei vescovi. Secondo gli storici, rappresenta il primo passo verso un chiarimento sui differenti compiti spettanti alle due autorità del papa e dell’imperatore (si parla infatti di una prima distinzione tra potere spirituale e potere temporale). Non per questo però il problema poté dirsi risolto una volta per tutte. Questo scontro durato mezzo secolo tra le due massime istituzioni della cristianità medievale non poteva non avere conseguenze anche nei secoli successivi. Durante questo scontro, infatti, si erano formati due partiti politici nemici, tra loro fortemente ostili, uno a favore del papato, l’altro a favore dell’impero. Si trattava dei guelfi e dei ghibellini Questi due partiti si scontrarono ovunque, ma soprattutto in Germania e in Italia, per circa due secoli, con guerre e conflitti che turbarono la vita delle città e dell’intera società.

Guelfi e ghibellini

Termini usati a partire dal XII secolo. Guelfo deriva da enrico di Welf, duca di Baviera; ghibellino dal castello di Waiblingen, sede del duca di svevia Corrado di hohenstaufen. Questi due principi tedeschi si contesero la corona: il duca di Baviera era appoggiato dal papa, il duca di svevia dall’imperatore. Perciò, con il passar del tempo, i termini da essi derivati finirono per indicare i due partiti, quello filo-papale (guelfi) e quello filo-imperiale (ghibellini).

Perché gli storici ritengono importante il concordato di Worms?

Cattedrale di San Pietro Worms, Germania

Ruggero II incoronato da Gesù Cristo

Mosaico (XII secolo), Chiesa di santa Maria dell'Ammiraglio detta della Martorana, Palermo

3 · Il regno dei Normanni nell’Italia meridionale

La famiglia degli Altavilla

Nella lotta contro l’imperatore i papi ebbero come alleati i Normanni, che si erano da poco tempo insediati nel Meridione d’Italia. È giunto ora il momento di conoscere più da vicino questo popolo così importante nella storia del nostro paese e che già abbiamo visto all’opera nel IX secolo, quando si stanziò nel Nord della Francia, nell’odierna Normandia. Agli inizi del nuovo millennio alcuni gruppi di Normanni, forse pellegrini sulla via della Terra Santa, si stabilirono nel Sud Italia, mettendosi al servizio dei Longobardi nei loro conflitti contro i Bizantini e gli Arabi. Attorno agli anni Trenta uno dei loro clan, quello degli Altavilla (così chiamati

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perché originari della città di Hauteville nella Normandia francese), conquistò la Puglia, che allora comprendeva anche l’odierna Basilicata, togliendola ai Bizantini. Il loro signore, Guglielmo, la trasformò in una contea con centro a Melfi. Successivamente gli Altavilla ingrandirono i loro domini strappando terre sia ai Bizantini che ai Longobardi, finché non si affermarono due tra i più abili esponenti della famiglia: Roberto il Guiscardo (che significava “l’astuto”) e Ruggero.

Da Roberto il Guiscardo a Ruggero II

Roberto il Guiscardo si fece riconoscere dal papa duca di Puglia e di Calabria, dichiarandosi suo vassallo e promettendogli fedeltà. In tal modo il papa assoggettava alla Chiesa il territorio dei Normanni, facendoseli alleati. Da questo momento in poi l’avanzata di questo popolo in tutto il Meridione d’Italia si fece inarrestabile. Mentre Roberto portava a termine la conquista della parte continentale, il fratello Ruggero, dopo una guerra trentennale, cacciò gli Arabi dalla Sicilia. Alla morte dei due, il figlio di Ruggero, Ruggero II d’Altavilla, unificò tutto il territorio nelle sue mani, facendosi incoronare nel 1136 re di Sicilia e di Puglia, col consenso del papa. Nasceva così il Regno normanno con il quale si realizzava la definitiva unificazione politica dell’Italia meridionale.

I territori normanni nell’Italia meridionale

Regno d'Italia

Patrimonio di san Pietro Territori normanni alla fine del XII secolo

Perché il territorio dei Normanni fu assoggettato al papa?

CAPITOLO 10 209
Po Arno
Mar Ligure Mar Tirreno Mare Adriatico Mar Ionio Mar Mediterraneo Roma Napoli Salerno Benevento Bari Matera Cosenza
Catania
Agrigento Messina
Sicilia
Reggio Calabria
Palermo
Siena Spoleto
Calabria Puglia

Scisma

È il distacco, la separazione di una parte dei fedeli dalla Chiesa universale in quanto non riconosce più l’autorità del vescovo di Roma.

Ortodossa

Che segue l’ortodossia, cioè l’opinione corretta (dal greco orthòs “corretto” e doxa “opinione”). È il termine usato dalle Chiese bizantine per autodefinirsi dopo la separazione dalla Chiesa di Roma.

Perché

Michele Cerulario diede avvio allo Scisma d’Oriente?

4 · L’Europa guarda a Oriente: le crociate

Lo Scisma d’Oriente

Da Oriente arrivavano intanto nuove preoccupazioni per la Chiesa di Roma. Nel 1054 il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, volendo affermare la sua autorità sulle chiese orientali, entrò in contrasto col papa e, dopo molte tensioni dovute anche a divergenze teologiche, giunse fino alla separazione da Roma. Accusò il papa di eresia e, considerandolo un vescovo come tutti gli altri, rifiutò di riconoscerlo a capo della Chiesa universale. Era lo Scisma d’Oriente, dal quale nacque la Chiesa Ortodossa . Da quel momento la cristianità fu spaccata in due: Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa. Roma e Costantinopoli erano sempre più lontane e ostili.

La minaccia dei Turchi Selgiuchidi

Turchi Selgiuchidi

Popolazione guerriera di origine orientale che prende il nome dal condottiero selgiuk, che diede inizio al processo di espansione.

Altre notizie gravi arrivavano a Roma e in tutto l’Occidente dalla Terra Santa: i pellegrini cristiani che si recavano in quei luoghi per venerare il Santo Sepolcro dove era stato sepolto Gesù subivano violenze e vessazioni da parte dei Turchi Selgiuchidi , una popolazione proveniente dall’Asia centrale che, all’inizio dell’XI secolo, aveva conquistato l’Impero musulmano. Rispetto agli Arabi, questi nuovi dominatori, che pure si erano convertiti all’Islam, erano meno tolleranti e più aggressivi nei confronti dei pellegrini provenienti dall’Europa. Inoltre, con il loro espansionismo, minacciavano lo stesso Impero Bizantino, tanto che l’imperatore Alessio I Comneno aveva chiesto aiuto all’Occidente, nonostante ci fosse appena stato lo scisma, nella speranza di ricevere truppe in soccorso. L’imperatore bizantino non poteva immaginare cosa sarebbe accaduto in seguito alla sua richiesta!

Viene bandita la prima crociata

Indulgenza

Nella dottrina cattolica indica la totale o parziale cancellazione davanti a Dio della pena che il peccatore dovrà scontare nel Purgatorio dopo la morte, pena che è proporzionale alla gravità dei peccati commessi.

Perché fu indetta la prima crociata?

Nel 1095, infatti, papa Urbano II, già continuatore dell’opera riformatrice di Gregorio VII e molto vicino agli ideali cavallereschi, raccolse l’invito di Alessio I e durante un concilio tenuto nella città francese di Clermont, pronunciò un celebre discorso nel quale invitava i cristiani a prendere le armi per liberare il Santo Sepolcro. Per incoraggiare la loro partenza, il pontefice promise l’indulgenza a tutti coloro che avessero seguito il suo appello, impegnandosi a combattere per Cristo con un solenne giuramento. Questi combattenti avrebbero indossato, come segno della loro promessa, una croce rossa cucita sulla veste bianca. Il motto di questa spedizione divenne: «Deus vult!», cioè «Dio lo vuole!». L’appuntamento per la partenza venne fissato per l’anno seguente e la risposta della cristianità occidentale fu sorprendente: dall’Europa partì alla volta dell’Oriente uno dei più grandi e dirompenti movimenti popolari di guerra che la storia ricordi: la crociata.

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Un disordinato moto popolare

Il papa aveva rivolto il suo appello, prima ancora che ai sovrani, direttamente ai fedeli: dopo quattro secoli di invasioni, saccheggi e violenze subite, per la cristianità era giunto il tempo di passare al contrattacco. Questo appello fu diffuso capillarmente in ogni città e villaggio da instancabili predicatori come il francese Pietro l’Eremita, e immediata fu la risposta popolare. Ne nacque un vasto movimento (la cosiddetta “crociata dei poveri o dei “pezzenti”), che si

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Goffredo di Buglione

Perché si parla di crociata

diresse, senza una guida e senza un ordine, verso i “luoghi santi”, anticipando persino la partenza della crociata organizzata dai principi. Fu un’avanzata tragica, poiché questa massa di persone si riversava nei villaggi che incontrava sul suo percorso spesso saccheggiandoli per procurarsi da mangiare. Soprattutto nei villaggi abitati da Ebrei i saccheggi si concludevano con terribili stragi.

La paura per la loro scomposta avanzata spinse le popolazioni locali e i signori, soprattutto in Ungheria, a fermarli con la forza. Furono perciò in buona parte sterminati prima ancora di arrivare alla meta.

La presa di Gerusalemme si risolve in un tragico massacro

Alla crociata per così dire “ufficiale” non aderì nessun sovrano europeo, tanto meno l’imperatore. Così non vi fu un capo assoluto della spedizione, ma un insieme di signori di varia provenienza, ciascuno con un proprio esercito. Col passare del tempo, si affermò la figura di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, da tutti riconosciuto, alla fine, come il vero e proprio capo della spedizione e artefice del suo successo.

La crociata durò nell’insieme tre anni. Partito nel 1096, l’esercito cristiano, dopo essere passato per Costantinopoli (dove Alessio Comneno, terrorizzato, rifiutò ogni collaborazione) e aver attraversato i deserti dell’Asia Minore, giunse alle porte di Gerusalemme che venne conquistata, dopo un breve assedio, il 14 luglio 1099. La

È la più grande fortezza crociata giunta quasi intatta fino a noi.

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“dei pezzenti”? Il Krak dei Cavalieri Provincia di homs (siria)

conquista si trasformò in una strage: i crociati superstiti, stanchi ed esasperati dal lungo viaggio, dai mille pericoli corsi e dalle ingenti perdite subite a causa della fame e delle malattie, una volta entrati in città, accecati dalla sete di bottino, massacrarono gran parte della popolazione, comprese donne e bambini.

Nascono i Regni Latini d’Oriente

La conquista di Gerusalemme suscitò ampie reazioni in tutta l’Europa. Dopo più di quattro secoli, il Santo Sepolcro era liberato e i pellegrini potevano di nuovo tornare a farvi visita senza pericolo. Per organizzare i territori liberati vennero costituiti alcuni regni, chiamati Regni Latini d’Oriente e affidati ai vari capi della spedizione. A Goffredo di Buglione fu affidato il Regno di Gerusalemme; agli altri condottieri la Contea di Edessa, la Contea di Tripoli e il Principato di Antiochia. A salvaguardia di questi territori vennero edificati imponenti castelli, come il celebre Krak dei cavalieri, e venne introdotto il sistema di organizzazione feudale.

Le crociate successive

Al termine di questa grande impresa, però, i musulmani non potevano dirsi del tutto sconfitti. Essi rimasero in possesso di molti territori, soprattutto nell’entroterra, e da lì portarono continue minac-

I regni latini d’Oriente

Regno di Armenia

Contea di edessa

Principato di Antiochia

Contea di Tripoli

Regno di Gerusalemme

Regno di Cipro

Territori rimasti ai musulmani

CAPITOLO 10 213
Eufrate Tigri
Nilo
Mar Mediterraneo
Mar Morto Edessa Antiochia Tarso Tripoli
Famagosta
Gerusalemme Beirut Krak

ce ai Regni cristiani. Nel 1187, guidati dal Saladino, giunsero anche a riconquistare Gerusalemme. Per queste ragioni le lotte dei cavalieri crociati in Terra Santa durarono a lungo e dall’Europa, nei secoli successivi, dovettero partire nuove spedizioni per riprendere i territori perduti. Ve ne furono ben sette (a cui se ne devono aggiungere alcune non ufficiali e condotte da singole città con obiettivi diversi). Di qualcuna di queste avremo modo di parlare nei capitoli successivi. Non sempre però tali spedizioni furono animate dallo stesso spirito religioso che aveva contraddistinto la prima. Talvolta prevalsero motivazioni politiche ed economiche, ad esempio nel caso della IV crociata nella quale, come vedremo, intervenne pesantemente Venezia, che mirava a consolidare i propri interessi sul Mediterraneo.

5 · Il significato delle crociate

Le “crociate” non si chiamavano crociate

Sulle crociate si è detto e scritto tanto, sia al momento dei fatti che nei secoli successivi. Sono perciò entrate in quello che si chiama “l’immaginario collettivo”, quel bagaglio di conoscenze e credenze, talvolta basate su pregiudizi e fantasie, che le persone finiscono per fare proprie spesso in modo acritico. Tutti noi quindi ci siamo fatti una certa idea di tale fenomeno, idea che non sempre corrisponde alla verità storica. Per questo è importante seguire quanto ci dicono gli storici.

Partiamo dal nome: la parola crociata non è contemporanea agli avvenimenti ma ha cominciato ad essere usata solo nel XV secolo.

Allora si usavano altri termini: peregrinatio (pellegrinaggio), iter (itinerario militare), passagium (traversata via mare) e altri ancora, termini che non fanno certo pensare a una guerra per la fede. Talvolta i partenti erano chiamati crucesignati per via della croce che portavano cucita sull’abito, ma sia i Bizantini che gli Arabi li chiamavano semplicemente Franchi.

Non furono una “guerra santa”, ma un pellegrinaggio armato

Da questa precisazione terminologica si può ricavare un altro mito da sfatare: le crociate non furono delle “guerre sante” miranti a diffondere la fede cristiana, come il jihad islamico. In chi partiva non c’era nessuna intenzione di imporre il Cristianesimo ai musulmani con la forza delle armi. La motivazione fu essenzialmente quella di liberare i luoghi santi dalla dominazione turca. Chi partiva era inoltre animato da una forte motivazione personale: si trattava per lui di compiere, anche a rischio della propria vita, una sorta di pellegrinaggio prendendo la croce e seguendo Gesù, verso i luoghi

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in cui aveva vissuto. Nel Medioevo il pellegrinaggio verso i santuari e la Terra Santa era una pratica molto diffusa, che riprese vigore dopo l’anno Mille, in coincidenza con la grande riforma della Chiesa. A differenza, però, dei pellegrinaggi che si erano tenuti fino ad allora, rigorosamente senza armi e pacifici, in questo caso i “pellegrini” portavano armi per difendersi e per lottare. Gli studiosi parlano perciò di “pellegrinaggi armati”. Naturalmente, viste anche le condizioni in cui tale pellegrinaggio si svolgeva, era facile che questi pellegrini armati si trasformassero in predoni a caccia di bottino, tradendo le motivazioni ideali ma ciò non cambia il significato di fondo del fenomeno. A conferma di ciò sta il fatto che la gran parte di coloro che giunsero in Terra Santa al termine della spedizione tornarono alle loro case e non si stanziarono nei luoghi liberati, proprio come si faceva al termine di un pellegrinaggio.

Perché la crociata non è paragonabile alla “guerra santa” islamica?

CAPITOLO 10 215
Sigillo templare

Perché le crociate furono un fenomeno complesso?

Nascono gli ordini monastico-cavallereschi

A questo punto possiamo ben dire che i crociati univano in sé due figure tipicamente medievali, quella del pellegrino e quella del cavaliere. Erano sia l'uno che l'altro. Il frutto più rappresentativo di questa visione religioso-militare fu la nascita, connessa alle crociate, degli ordini monastico-cavallereschi. Si trattava di ordini religiosi i cui membri erano essenzialmente monaci che praticavano la vita religiosa nella povertà personale, nella castità e nell’obbedienza al loro superiore, ma che accoglievano anche le regole della cavalleria: si impegnavano a difendere, anche con le armi, i luoghi santi e le loro vie di accesso.

Per noi la figura del monaco combattente è un po’ difficile da comprendere, in quanto pensiamo che la religione non debba essere legata all’uso delle armi e alla pratica della violenza. Allora invece le cose erano diverse. Per l’uomo del Medioevo la fede era così profondamente radicata nella vita personale e sociale per cui si poteva persino arrivare a combattere per essa. Il più importante e famoso degli ordini monastico-cavallereschi fu quello dei Templari, fondato nel 1118. Ad esso se ne aggiunsero altri, tra cui gli Ospedalieri di san Giovanni di Gerusalemme, dediti inizialmente a fornire assistenza e ospitalità ai pellegrini (oggi sono chiamati Cavalieri di Malta) e l’Ordine Teutonico.

Altre motivazioni rendono questo fenomeno molto complesso

Da ultimo c'è da dire che alle motivazioni religiose se ne aggiunsero sicuramente altre, di carattere più schiettamente economico o politico. Per le crociate partirono infatti anche avventurieri, poveri in cerca di fortuna, cavalieri senza terra e feudatari impoveriti (un celebre capo che partecipò alla prima crociata “popolare” fu un nobile francese dal nome significativo di Gualtieri Senza Averi).

Questo spiega anche il loro comportamento: non avendo nulla da perdere e non riconoscendo nessuna autorità, erano disposti a tutto, anche alle violenze più atroci, pur di trarne guadagni.

Secondo alcuni storici infine le crociate furono anche una sorta di “valvola di sfogo” per l’enorme incremento demografico che si stava verificando in Europa, e che faceva salire di molto il rischio di miseria e carestie. Quando, come vedremo, vi prenderanno parte anche i re e le repubbliche marinare, le motivazioni (a parte l’eccezione del sovrano di Francia Luigi IX) si faranno di carattere più marcatamente politico e commerciale.

Un bilancio finale controverso Quale fu il risultato delle crociate? Quale bilancio trarne? È una questione su cui ancora oggi gli storici stanno dibattendo, senza aver raggiunto un’opinione condivisa. Vi è chi dà di esse un giudizio sostanzialmente negativo e chi vi vede dei risvolti positivi. Un luo-

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go comune piuttosto diffuso, e tornato di moda negli ultimi anni a causa delle vicende legate al terrorismo islamico, è quello che vede in esse una specie di “scontro di civiltà”. Con le crociate sarebbe emersa per la prima volta la radicale opposizione tra la civiltà cristiana occidentale e quella islamica. Esse avrebbero interrotto ogni possibilità di dialogo tra questi due mondi.

Questa visione risente però di un modo parziale di leggere la storia, che privilegia le guerre e gli scontri armati. La storia, invece, non è fatta solo di guerre. Tra una guerra e l’altra ci sono molti periodi di pace, e in questi periodi si sviluppano tra le persone e i popoli contatti commerciali, economici, ma anche culturali e spirituali. Questo è accaduto anche nel caso delle crociate, che videro molti momenti di scontro, distribuiti però su due secoli e intervallati da lunghi periodi di pace durante i quali i contatti e gli scambi erano molto più frequenti e positivi di quanto sembri. Circolavano merci, ricchezze, conoscenze. Attraverso la dura esperienza della guerra passavano segnali positivi e la stessa mentalità dell’uomo europeo, fino ad allora piuttosto chiusa, a contatto con popoli così diversi, cominciò a cambiare e a farsi più aperta.

METTIAMO A FUOCO

Per che cosa il papa sfidò l’imperatore: la libertas ecclesiae

La lotta per le investiture che contrappose papa e imperatore non fu una lotta fra queste due autorità per la supremazia e il potere sull’europa. Né fu il tentativo, da parte del papa, di mettersi al posto dell’imperatore nel governo dell’Impero, cioè delle “cose temporali”, come allora si diceva. Fu qualcosa di molto diverso. Con questa lotta il papa intendeva difendere innanzitutto la libertà della Chiesa dalle intromissioni dell’imperatore che ne voleva fare uno strumento al suo servizio. si trattava del valore della libertas ecclesiae per la quale da sempre, fin dalle origini, i cristiani si erano battuti.

Va notato che né in ambito musulmano né altrove è mai accaduto qualcosa di simile alla lotta per le investiture. Questo perché solo in ambito cristiano è sancita dall’origine quella distinzione tra autorità religiosa e autorità politica che, per necessità storica, veniva contraddetta allora dalla figura del vescovo-conte che univa in sé entrambi questi poteri.

In gioco c’è la coscienza

Nei primi secoli i cristiani non si contrapposero all’autorità dell’imperatore in quanto tale e cercarono di essere sempre suoi sudditi corretti. Un grande padre della Chiesa, Tertulliano, scrisse a questo proposito: «Il cristiano non è nemico di nessuno, tanto meno dell’imperatore; sapendo che questi è stato costituito da Dio, è necessario che il cristiano lo ami, gli mostri ossequio e lo onori». solo in un caso essi si ribellarono, andando per questo anche incontro al martirio, e fu quando l’imperatore pretese di prendere il posto di Dio nella coscienza degli uomini. Per i cristiani solo Dio è il signore ultimo della coscienza, solo a lui l’uomo si inchina e obbedisce, non a un imperatore che è pur sempre un uomo, per quanto grande. Per il cristiano le leggi di Dio sono superiori a qualsiasi legge umana. Ogniqualvolta quindi la volontà dell’imperatore si poneva in contrasto con la volontà di Dio, come disse san Pietro, bisognava «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29) e questo riprendeva la famosa frase evangelica che dice «date a Cesare quel che

è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22, 21). È interessante notare che i cristiani applicarono questo principio non solo nei confronti degli imperatori pagani ma anche di quelli cristiani, quando questi ultimi con il loro comportamento violavano la legge di Dio.

Difendere la Chiesa vuol dire difendere la libertà della coscienza da ogni potere terreno Fin dall’inizio i cristiani riconobbero che l’autorità suprema nelle Chiesa era il papa in quanto successore di Pietro, e con lui i vescovi, successori degli altri apostoli. erano loro le guide per chi avesse voluto seguire in modo corretto l’insegnamento di Gesù e la legge di Dio. Per questo motivo diventava essenziale, per la vita stessa della Chiesa, difendere la libertà del papa e dei vescovi di insegnare e trasmettere la vera fede. se il papa e i vescovi non fossero più stati liberi di insegnare il Vangelo ma fossero stati costretti a obbedire a un’autorità esterna (come accadeva con la nomina dei vescovi-conti da parte dell’imperatore), anche la fede di tutti i cristiani sarebbe stata messa in pericolo. Gli uomini non avrebbero più avuto la certezza di seguire il vero insegnamento di Gesù e la vera legge di Dio. ecco quindi l’origine di ogni lotta per la libertas ecclesiae che si svilupperà in modalità diverse e complesse per tutto il Medioevo e poi anche nell’età moderna: difendere la libertà dell’uomo di abbracciare nella sua coscienza la fede nel vero Dio.

L’esempio di Ambrogio

Il vescovo di Milano, Ambrogio, nel IV secolo scrisse: «La Chiesa è di Dio e a Cesare non deve essere assolutamente assegnata, perché non può essere diritto di Cesare il tempio di Dio… L’imperatore è nella Chiesa e non sopra la Chiesa». A queste parole fece seguire anche l’esempio: non esitò a mettersi contro l’imperatore Valentiniano II quando questi volle favorire l’eresia ariana, e contro l’imperatore cristiano Teodosio quando questi ordinò una strage di civili innocenti nella città greca di Tessalonica. Le sue parole e il suo esempio divennero un modello per tutti i secoli

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successivi: in tutto il Medioevo papa e imperatore ebbero talvolta rapporti positivi, di sincera collaborazione, ma spesso, nelle questioni riguardanti la fede, l’insegnamento della religione, la nomina dei vescovi, arrivarono allo scontro. Da tutti questi ambiti l’imperatore doveva essere escluso. e nel campo di competenza esclusiva della Chiesa rientrava anche il giudizio sulla fede e sul comportamento di quegli imperatori che si dicevano e volevano essere cristiani.

Un valore difeso sempre

È questo che bisogna tener presente ogni volta che assistiamo, nel Medioevo o anche nell’età moderna, a scontri tra papa e imperatore o papa e stati nazionali. La priorità principale per i papi, salvo naturalmente qualche raro caso legato ad ambizioni personali o nepotistiche di papi moralmente non irreprensibili, sarà sempre quella di difendere la libertà della Chiesa. Diverso, come ab-

biamo visto, fu il caso dell’Impero Bizantino, dove l’autorità dell’imperatore si estendeva in modo assoluto anche sulla Chiesa.

Un valore per tutti

Un’ultima precisazione, forse difficile da comprendere per noi, ma necessaria. Quando la Chiesa si pone contro il potere politico che pretende di determinare i convincimenti profondi e la libertà della coscienza di fronte a Dio e nel campo della religione e della morale, compie un’opera che va a vantaggio di tutti gli uomini, non solo dei cristiani, perché ricorda a tutti che la coscienza e la libertà sono valori che nessuno, neanche l’autorità politica di uno stato, può cancellare. se questo avvenisse l’uomo perderebbe la sua libertà più profonda e sarebbe in balia di qualsiasi forma di potere.

Sant’Ambrogio

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Mosaico (V secolo), basilica di Sant’Ambrogio, Milano

PROTAGONISTI

Matilde di Canossa: grande protagonista in un’epoca drammatica

Una donna intrepida e coerente…

Tra le grandi donne che hanno lasciato un segno profondo nella storia medievale vi è sicuramente la contessa Matilde di Canossa. Nata attorno al 1046 da Bonifacio di Toscana, questa grande donna si trovò a governare un vasto territorio dell’Italia centro-settentrionale che andava da Mantova, Bergamo e Brescia fino ai territori emiliani e a quelli toscani di Arezzo e siena, proprio negli anni drammatici e cruciali dello scontro tra il papa Gregorio VII e l’imperatore enrico IV. Profondamente religiosa e dal carattere fiero ed energico, fu sempre schierata apertamente con il papa che ospitò nel suo castello a Canossa nel 1077, proprio in occasione del famoso episodio dell’umiliazione dell’imperatore. sembra sia stata proprio lei ad adoperarsi per la riconciliazione tra i due grandi nemici e a convincere l’imperatore alla sottomissione.

… che non si arrese mai nelle difficoltà

Dopo questa vicenda la sua fortuna cominciò però a declinare. Come sappiamo, infatti, l’imperatore, tornato in Germania, riprese la guerra contro il papa e, sceso di nuovo in Italia, si impossessò di gran parte dei territori della contessa, spogliandola di tutti i suoi diritti feudali. Gli stessi vescovi toscani, favorevoli all’imperatore, si ribellarono al suo potere. Matilde però non si perse d’animo: in quei momenti difficili seppe mantenere fede ai suoi ideali politici e religiosi, con intelligenza e ardimento, non di rado mettendosi essa stessa al comando delle sue truppe in battaglia. Continuò a sostenere il papa, aiutandolo anche finanziariamente con le ricchezze che era riuscita a conservare nel suo tesoro privato. Nel 1089 arrivò a sposare il giovanissimo duca Guelfo di Baviera (aveva diciassette anni mentre lei ne aveva quarantasei), per rinforzare con l’appoggio di quest’ultimo la sua lotta anti-imperiale. Tradita anche dal marito che in breve tempo passò dalla parte dell’imperatore, Matilde continuò quasi da sola la sua lotta, che si placò soltanto alla morte di enrico IV. Col suo successore, enrico V, riuscì

infatti a trovare un accordo che la reintegrò nei suoi possedimenti precedentemente persi. Ormai in pace, negli ultimi anni della sua vita si dedicò all’attività benefica a favore di chiese e monasteri. Morì nel 1115, lasciando tutti i suoi beni al papa, circondata da immensa fama. Il suo biografo Donizone la definirà «onore e gloria d’Italia». A sottolineare l’importanza che questa donna straordinaria ebbe nelle vicende della Chiesa, nel 1632 papa Urbano VIII ne farà traslare il corpo nella basilica di san Pietro, in una tomba eretta dal grande architetto Bernini.

Enrico IV a Canossa invoca la contessa Matilde e l’abate di Cluny perché intervengano in suo favore presso papa Gregorio VII Miniatura dalla «Vita di Matilde» di Donizone (secolo XII), Biblioteca Vaticana, Roma

220 L A ChIesA sI AFFeRMA

VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Il duomo di Monreale:

quando culture diverse convivono in armonia

Lo splendore dei Normanni

Il duomo di Monreale, in sicilia, non lontano da Palermo, è forse la più straordinaria creazione risalente al periodo normanno e rappresenta anche uno dei massimi esempi di come in campo artistico diversi stili e culture (in tal caso quelli normanno, bizantino e arabo) possano fondersi armoniosamente, dando vita a un capolavoro. Fatto costruire in breve tempo da Guglielmo II d’Altavilla (detto anche il Buono) nel 1174, si presenta con dimensioni imponenti (100 metri circa di lunghezza e 40 di larghezza) ed è affiancato da un magnifico chiostro appartenente a un antico monastero benedettino annesso alla chiesa. Già dalla facciata esterna si nota la fusione degli stili: spesse mura perimetrali e due grandi torri ai lati dell’ingresso, una trasformata in campanile, ricordano le chiese nordiche, mentre le decorazioni, in pietra lavica e tufo, sono di netta impronta araba. Alla chiesa si accede attraverso uno splendido portone bronzeo opera di un maestro pisano, Bonanno. sul portone si trovano 46 formelle che rappresentano episodi biblici.

La magnificenza dei mosaici

Una volta entrati nella chiesa si rimane estasiati dallo spettacolo: straordinari mosaici a sfondo dorato ricoprono tutte le pareti (è la superficie musiva più estesa al mondo!). Qui emerge tutta l’influenza dell’arte bizantina, con il grande Cristo pantocratore (cioè “onnipotente”), alto ben 12 metri, che domina sopra l’altare nell’abside centrale e che sembra aprire le braccia per accogliere tutto il mondo. Gli altri mosaici sulle pareti e le absidi laterali rappresentano invece scene bibliche e figure di santi. si vedono anche iscrizioni in greco. La chiesa è divisa in tre navate ma la parte absidale, dove è situato l’altare, è separata nettamente dal resto della sala (e questo è un altro elemento di influenza bizantina). Di influenza araba invece sono le arcate di forma ogivale e le decorazioni geometriche sul soffitto. Come si vede, quindi, si può ben dire che tutti i grandi popoli che hanno occupato l’isola sono rappresentati al meglio in questa straordinaria opera.

CAPITOLO 10 221
Cristo Pantocrator. Duomo, Monreale

PARTIAMO DALLE FONTI

Urbano II chiama alla crociata

Il testo del discorso col quale Urbano II lanciò l’appello alla prima crociata non ci è pervenuto nella sua forma originale. Di esso possediamo cinque versioni posteriori, alcune di seconda mano (cioè che riportano testimonianze di altri presenti all’evento), altre di testimoni oculari che però redassero il testo alcuni anni dopo. È questo il caso del passo che riportiamo, opera di un monaco di un monastero di Reims, di nome Roberto. Questi era presente al concilio ma ne annotò il testo solo nel 1107, cioè dodici anni dopo il fatto. Ciò naturalmente crea qualche problema agli storici, che lo devono esaminare con estrema cautela, cercando di confrontarlo con altre testimonianze al fine di accertarne la totale o parziale veridicità.

Il passo che riportiamo è comunque ritenuto generalmente attendibile e da esso emergono alcuni aspetti interessanti a partire dai destinatari dell’appello. È da notare anche una certa imprecisione nella conoscenza dei fatti: evidentemente allora era meno facile di oggi avere notizie certe su vicende accadute in terre lontane dall’europa. Leggi attentamente il brano e rispondi alle domande proposte:

«Popolo dei Franchi, popolo d’oltralpe, popolo eletto e amato da Dio, distinto tra tutte le nazioni sia per la posizione del vostro paese che per l’osservanza della fede cattolica e per il servizio che prestate alla santa Chiesa, a voi ci indirizziamo con il nostro discorso e la nostra esortazione. Vogliamo che sappiate quale doloroso motivo ci ha condotto nelle vostre terre, da quale necessità vostra e di tutti i fedeli siamo stati attratti qui. Da Gerusalemme e da Costantinopoli ci è giunta più di una volta la dolorosa notizia che i Persiani, popolo del tutto lontano da Dio e molto diverso da noi, hanno invaso le terre dei cristiani di quei luoghi, le hanno devastate col ferro, con la rapina e col fuoco e in parte ne hanno portati prigionieri gli abitanti nel proprio paese, in parte li hanno uccisi con una miserevole strage. Le chiese di Dio o le hanno rase al suolo o le hanno destinate al culto della propria religione. Anche il regno dei Greci è stato tanto pesantemente colpito e sconvolto. A chi dunque spetta il compito di fare vendetta e di

riconquistarlo, se non a voi ai quali più che a tutti gli altri popoli Dio ha concesso la gloria nelle armi, la grandezza d’animo, l’agilità del corpo, la capacità di umiliare coloro che vi resistono?»

Adatt.

1. A chi si rivolge il papa? Come definisce questo popolo nel suo intervento?

2. Che compito gli affida e perché?

3. Qual è la “dolorosa” notizia giunta al papa dall’Oriente?

4. A quale popolo orientale si imputa l’invasione dei luoghi santi? Stando a quanto hai studiato è esatto questo riferimento o si è trattato in realtà di un altro popolo?

5. Che cosa si intende per “regno dei Greci”? Che cosa si dice di questo regno?

6. Quali nefandezze vengono attribuite agli invasori?

Assedio e presa di Gerusalemme Miniatura dalla «Cronache d’oltremare» (XIV secolo), Bibliothèque Nationale, Parigi

222 L A ChIesA sI AFFeRMA

METTIAMO A FUOCO

Col principato di Kiev nasce la Russia

I rus’

Nell’europa orientale, nelle immense pianure solcate dai grandi fiumi della Dvina, del Dnepr, del Don e del Volga, tra gli ultimi secoli del primo millennio e gli inizi del secondo, si consolidò un principato che ebbe la sua capitale a Kiev. Questa città, di antiche origini slave, fu conquistata nell’860 dai Variaghi (o anche Vareghi o Varingi), una popolazione di mercanti e guerrieri di provenienza svedese (quindi Normanni), che erano giunti fin lì seguendo le rotte commerciali lungo le grandi vie d’acqua. Nell’882 il principe Oleg fece di Kiev la capitale di un principato detto anche Rus’, nome forse di origine finnica (significherebbe “rematori”), usato per indicare le popolazioni nordiche e in seguito anche quelle slave con cui i Variaghi si fusero.

Con il tempo il principato di Kiev si estese fino a comprendere un territorio molto vasto che andava dal golfo di Finlandia fino alle foci del Danubio e del Volga.

Un baluardo della cristianità a est

I russi di Kiev, convertitisi al Cristianesimo dopo il battesimo del loro capo Vladimiro I il Grande nel 988, mantennero buoni rapporti con l’Impero bi-

zantino e divennero ben presto un caposaldo difensivo da questa parte dell’europa contro le nuove minacciose migrazioni di nomadi della steppa orientale. Con Jaroslav il saggio, nell’XI secolo, la città e lo stato raggiunsero il loro più grande sviluppo. I Russi adottarono anche l’alfabeto cirillico, derivato da quello greco e introdotto, come già visto, da san Cirillo che aveva evangelizzato nel IX secolo gli slavi e tradotto la Bibbia nella loro lingua; fondarono anche molte città (in slavo grad) e costruirono fortezze (dette kreml) per la difesa del territorio. Una di esse, il Cremlino, diverrà il nucleo originario dell’attuale Mosca. Lo splendore del principato di Kiev finì nel 1240 quando la capitale dovette subire la devastante conquista dei Mongoli che la distrussero quasi interamente. Dopo questa invasione il principato non tornò più allo splendore di un tempo. secondo molti studiosi, è a queste popolazioni che si deve l’origine del grande stato russo che poi ritroveremo nel corso dei secoli successivi tra i protagonisti delle vicende europee e mondiali.

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Statua di Cirillo e Metodio. Monti Beschidi, Polonia

IL PERCORSO DELLE PAROLE

Perché usiamo la parola cristianità

Chi erano i cristiani

Avrai notato come in questo capitolo appaia con una certa frequenza un termine nuovo: cristianità. Che cosa significa? ha lo stesso significato di Cristianesimo oppure ha un significato diverso? Partiamo da lontano. Nei primi secoli il termine cristiani, apparso per la prima volta forse ad Antiochia, in Asia Minore, indicava i discepoli di Cristo, coloro che credevano in lui e abbracciavano il suo insegnamento. Con la parola Cristianesimo quindi si indica la religione che accomuna tutti i credenti in Cristo. si tratta pertanto di un termine prettamente religioso. Chi non crede che Cristo sia figlio di Dio e che sia morto e risorto per la nostra salvezza non può dirsi cristiano. se uno poi crede in questo ma non obbedisce all’insegnamento del papa, può dirsi cristiano, ma non cattolico (è il caso ad esempio dei cristiani ortodossi, nati dopo lo scisma d’Oriente che abbiamo appena studiato).

Cristianità non equivale a Cristianesimo

Il termine cristianità ha invece un significato diverso. esso designa non la religione o la Chiesa in senso stretto, ma l’insieme dei popoli che nel corso del Medioevo si sono convertiti al Cristianesimo. Presso questi popoli, poco o tanto, i valori cristiani sono penetrati nella società e l’hanno influenzata, ne hanno condizionato le leggi, le usanze, i comportamenti, la cultura e l’arte. si pensi ad esempio al valore dell’uguaglianza di tutti gli uomini, che ha portato al rifiuto del concetto di schiavitù e quindi all’abbandono della sua pratica, nonché al riconoscimento della pari dignità della donna, all’amore per i poveri e per i deboli e così via. Questi valori erano riconosciuti importanti anche da chi magari non credeva in Cristo o non obbediva al suo insegnamento, per cui si può dire che tutti appartenevano alla cristianità, anche se non erano personalmente cristiani, poiché vivevano in una società profondamente legata al Cristianesimo (d’altra parte ancora oggi molti, pur non essendo credenti, riconoscono al Cristianesimo di aver dato un contributo fondamentale al progresso dell’umanità). Infine, siccome praticamente tutti i popoli europei nel Medioevo presto

o tardi abbracciarono la religione cristiana, non è improprio usare il termine cristianità anche come sinonimo di europa medievale, almeno a partire dall’XI secolo

Cristiani ma anche peccatori

Un’ultima avvertenza, però: quando si dice che il Medioevo era una società ispirata ai princìpi cristiani, non si intende che in quel periodo gli uomini fossero particolarmente virtuosi e seguissero sempre i precetti della Chiesa, anzi. Corruzione dei costumi, violenze, vizi e peccati di ogni genere erano pratiche diffuse allora come oggi e penetrarono anche nelle gerarchie ecclesiastiche e nei monasteri. spesso, come abbiamo visto, in nome della fede si commisero i più atroci delitti. Gli uomini del Medioevo, però, si sentivano costantemente in rapporto con Dio ed erano sempre consapevoli che, peccando, violavano i suoi comandamenti. Perciò, a grandi peccati seguivano spesso grandi pentimenti e grandi penitenze.

CAPITOLO 10 225

NON TUTTI SANNO CHE

Le crociate “irregolari”

Le crociate dei poveri: spedizioni disordinate e tragiche

Le crociate furono un vasto movimento popolare che attraversò gran parte dell’europa cristiana e che non solo coinvolse cavalieri, nobili e principi ma penetrò anche negli strati più bassi della società e presso i ceti più umili. A ondate successive, partirono infatti, alla volta della Terra santa, masse di poveri, mendicanti, contadini privi di terre, cavalieri impoveriti e giovani cadetti. Ad animarli non era solo la fede, alimentata dalle parole infervorate di predicatori itineranti e rozzi monaci irregolari, ma anche la speranza di fare fortuna, di trovare ricchezze, di costruirsi una vita migliore in Oriente. e lungo il percorso queste masse di persone, prive di guida e disciplina, finivano per vagare disordinatamente e disperdersi nei villaggi che incontravano sul loro cammino, dove si abbandonavano spesso a violenze e saccheggi. Tra i più colpiti da queste violenze vi furono soprattutto i villaggi dei contadini ebrei, che vennero spesso difesi dalle stesse autorità locali, i nobili e i vescovi. e in effetti questa massa disordinata di persone preoccupava molto principi e sovrani, che temevano i disordini provocati nei territori da loro attraversati. Per questa ragione furono soprattutto loro a intervenire. Prima ancora che dai Turchi, queste masse di sbandati vennero infatti disperse o ridotte all’impotenza dagli stessi eserciti dei sovrani cristiani, ungheresi o bizantini.

30.000 fanciulli in marcia

Una crociata singolare e tragica fu quella condotta da migliaia di fanciulli, forse 30.000, che radunatisi nel 1212 in Francia e Germania, si misero in cammino, del tutto inermi e privi di guida e protezione, alla volta della Terra santa. Poche notizie si hanno dell’esito di questa “crociata dei fanciulli”, malvista e osteggiata, come le altre crociate “irregolari”, dalle autorità e dagli abitanti dei luoghi attraversati. Molti di loro persero la strada o tornarono a casa. Altri riuscirono a imbarcarsi nei porti italiani sulle navi dirette in Oriente (si hanno notizie di imbarchi a Genova e in Puglia), ma di loro si sono poi perse le tracce. Probabilmente molti, una volta giunti alla meta, furono uccisi o catturati; altri furono venduti agli Arabi come schiavi dagli stessi marinai che li trasportavano. Altri infine morirono in mare o per fame e stenti.

226 L A ChIesA sI AFFeRMA
La crociata dei fanciulli Incisione di Gustave Doré (XIX secolo)

RACCONTIAMO IN BREVE

1. La lotta per la libertà della Chiesa mirò soprattutto ad eliminare l’influenza del potere politico nelle nomine del papa e dei vescovi e per questo venne chiamata “lotta per le investiture”.

2. La fase più drammatica di questa lotta si ebbe con lo scontro durissimo tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV. In un primo momento, con la scomunica da parte del papa e l’umiliazione dell’imperatore a Canossa (1076), sembrò che la vittoria arridesse a Gregorio. In realtà l’imperatore non depose le armi e lo scontro si trascinò ancora per parecchi anni.

3. La conclusione sembrò arrivare con il concordato di Worms (1122) che rappresentò una parziale vittoria delle posizioni del papato. In realtà non si trattò di una conclusione definitiva. Il conflitto si protrasse ancora a lungo, coinvolgendo principi e città attraverso la creazione di due fazioni: i guelfi (filo-papali) e i ghibellini (filo-imperiali) che si diedero lungamente battaglia.

4. In questa lotta i papi trovarono un certo aiuto in un nuovo regno formatosi al Sud, ad opera dei Normanni, il Regno di Sicilia. Fu un regno forte e accentrato, vassallo del papa. Con esso i Normanni divennero per un certo tempo protagonisti delle vicende politiche nell’area mediterranea.

5. Da Oriente intanto giungevano notizie gravi e preoccupanti. Nel 1054 le Chiese bizantine si erano staccate dall’obbedienza al papa, costituendo la Chiesa scismatica ortodossa. In Terra Santa invece i Turchi Selgiuchidi, che avevano sostituito gli Arabi, commettevano violenze e vessazioni a danno dei pellegrini cristiani.

6. Nel 1095 il papa Urbano II bandì la prima spedizione armata per liberare i “luoghi santi” dalla dominazione turca. Era l’inizio delle crociate, un fenomeno complesso che sarebbe durato per alcuni secoli (in totale ci furono 8 crociate ufficiali più altre irregolari) e che avrebbe portato l’Europa cristiana a scontrarsi duramente con il mondo islamico. La prima crociata si concluse nel 1099 con la presa violenta di Gerusalemme e la successiva creazione di Regni Latini in Oriente.

CAPITOLO 10 227

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Come viene modificata da Niccolò II la modalità di elezione del pontefice?

2. Che cosa fece enrico IV dopo l’elezione di Gregorio VII a papa?

3. Quali furono le celebri parole pronunciate da Gregorio VII prima di morire?

4. Che cosa stabiliva il Concordato di Worms?

5. Da dove provenivano i Normanni che si insediarono nell’Italia meridionale?

6. Che titolo assunse Ruggero II d’Altavilla?

7. Chi era Pietro l’eremita?

8. Chi guidò la prima crociata e come si concluse?

9. Che cos’è il Krak dei cavalieri?

10. Che cosa sono e quali furono gli ordini monastico-cavallereschi?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Urbano II bandisce la prima crociata

2. Concordato di Worms

3. Presa di Gerusalemme

4. scisma d’Oriente

5. Ruggero II d’Altavilla diventa re di sicilia e di Puglia

6. scontro tra enrico IV e Gregorio VII

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

I vescovi-conti detenevano solo il potere spirituale. V F

Niccolò II affidò l’elezione del papa ai soli cardinali.

F enrico IV accettò con favore la nomina a papa di Gregorio VII.

I ghibellini erano i sostenitori del papa.

I Normanni sottrassero la Puglia agli Arabi.

La prima crociata fu indetta in seguito alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi.

La prima crociata si concluse con la costituzione dei Regni Latini d’Oriente.

228 L A ChIesA sI AFFeRMA
V
V F
V F
V F
V F
V
1054 1076 1095 1099 1136 1122
F

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

La nomina dei vescovi-conti fu una grave minaccia per la vita della Chiesa perché

a. questi vescovi erano poco amati dal popolo.

b. questi vescovi disubbidivano al papa.

c. questi vescovi erano più interessati all’azione politica che alla vita religiosa.

Gregorio VII ebbe l’obiettivo di

a. affermare la libertà della Chiesa.

b. sottomettere l’imperatore, guidandone le scelte.

c. riformare la vita dei monasteri.

Dopo che il papa gli tolse la scomunica, Enrico

a. si sottomise definitivamente alla sua volontà.

b. riprese la lotta contro di lui.

c. si dedicò a consolidare il proprio potere in Germania.

Con l’accordo di Roberto il Guiscardo con papa Niccolò II

a. il papa riconosceva le conquiste di Roberto che in cambio accettava di diventare vassallo del papa.

b. Roberto diventava re della sicilia.

c. Roberto riconosceva l’autorità del papa sull’Italia.

I Regni Latini d’Oriente sono

a. dei regni costituiti in europa dai principi che ritornarono arricchiti dalle crociate.

b. dei regni costituiti in Oriente dai capi crociati su modello feudale.

c. dei regni orientali derivati dell’Impero Bizantino.

Le crociate furono

a. una forma di guerra santa per la diffusione delle fede cristiana.

b. un tentativo di conquistare l’Oriente per sfruttarne le risorse.

c. un pellegrinaggio armato per liberare i luoghi santi dalla dominazione turca.

Esercizio

5 · Leggiamo un dipinto.

Ti proponiamo di analizzare attentamente la celebre miniatura tratta dalla Vita di Matilde del biografo Donizone, un testo risalente al 1114, nel pieno dello scontro tra Papato e Impero per le ”investiture”. In questo dipinto, che trovi a pagina 220, compaiono tre figure: l’imperatore enrico IV, la contessa Matilde di Toscana e l’abate Ugo di Cluny. Noterai subito che le dimensioni di queste figure non sono tra loro proporzionate: evidentemente chi ha realizzato il dipinto (un autore anonimo) non conosceva ancora la tecnica della rappresentazione in prospettiva e quindi per fissare le dimensioni dei personaggi raffigurati si affidava ad altri criteri che non ti sarà difficile scoprire. Dopo aver osservato attentamente il dipinto puoi rispondere alle domande che ti proponiamo.

1. Quale delle tre figure è seduta sul trono e che gesto sta compiendo?

Perché occupa questa posizione?

2. In che atteggiamento è Enrico IV? Da cosa si capisce che è l’imperatore?

3. Quale delle tre figure è rappresentata in dimensioni più grandi?

Che cosa significa, secondo te, questo particolare? Che gesto sta compiendo?

CAPITOLO 10 229

San Gimignano che protegge la città

Dipinto di Taddeo di Bartolo (1391 circa), Musei Civici, San Gimignano (Siena)

Nasce la civiltà comunale

Una nuova dimensione politica

Con la nascita dei Comuni nell’Italia centro-settentrionale si affermò una nuova concezione della politica. Cittadini ormai liberi, mercanti, artigiani, i “borghesi” insomma, decisero di diventare protagonisti delle scelte che li riguardavano e di non lasciarle più in mano ad altri. Volevano cioè “partecipare” e più ancora autogovernarsi nelle loro città. Si tratta di un inizio di quella che possiamo chiamare la moderna “democrazia rappresentativa”.

Naturalmente, questo processo provocò lotte, anche durissime, con coloro che prima detenevano il potere: l’aristocrazia feudale e soprattutto l’imperatore. Si trattò di uno scontro dal quale i Comuni, dopo fasi alterne, uscirono vincitori.

Questa vittoria non fu però senza conseguenze, anche problematiche: con l’affermarsi dei Comuni, si rese difficile per molto tempo, addirittura per secoli, la possibilità di realizzare, almeno nell’Italia centro-settentrionale, un’unità politica. Con la democrazia comunale, infatti, cominciarono a prevalere sempre di più i particolarismi.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Borghesi nel Medioevo e borghesi oggi: quante differenze!

• I comuni di allora e i comuni di oggi: proprio la stessa cosa?

• La struttura urbanistica delle città medievali

• L’import-export fra Occidente e Oriente

• Quando nel Comune vi è un buon governo

• L’inventore della bussola… che non è mai esistito

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 11
per non perdere il filo

Perché rinascono le città?

1 · I Comuni

Rifioriscono le città

Nel corso dell’XI e poi del XII secolo le città italiane conobbero una grande rinascita. Anche prima, durante l’Alto Medioevo, esse non erano del tutto scomparse, ma sicuramente non rappresentavano più il centro della vita economica e sociale. In seguito alle invasioni barbariche, inoltre, si erano in parte spopolate. La gente allora viveva prevalentemente nelle campagne, attorno ai castelli signorili, e si dedicava a un’agricoltura di sussistenza che rendeva difficile, come abbiamo visto, lo sviluppo dei commerci.

Con la crescita della produzione agricola e, per quanto riguarda le città di mare, lo sviluppo dei contatti con l’Oriente dovuti anche alle crociate, si ebbe dopo il Mille una grande espansione dei commerci: c’erano prodotti da vendere e le città divennero sempre di più centri di fiere, mercati e attività artigianali che richiamavano molte persone.

Si sviluppa la borghesia

Lavoratori autonomi Sono coloro che gestiscono il proprio lavoro senza dipendere da nessuno: commercianti, artigiani e liberi professionisti (medici, avvocati, banchieri ecc.) che svolgono un’attività qualificata che richiede una particolare competenza.

All’interno dei centri urbani (detti anche borghi) si creò un nuovo ceto sociale, la borghesia cittadina e imprenditoriale, costituita da mercanti, artigiani (detti mastri), notai, banchieri, medici, quelli che oggi chiameremmo lavoratori autonomi . Con lo sviluppo delle attività economiche questo ceto si estese e i borghesi, forti anche della loro crescente ricchezza, cominciarono ad avanzare pretese di governo all’interno delle città e questo fu all’origine di una importante trasformazione politica: nacquero i Comuni, una delle più caratteristiche e significative istituzioni della società medievale. Ma seguiamo nei dettagli questa evoluzione.

Che cos’erano i Comuni: da accordo privato…

Perché si dice che i Comuni nascono come accordi fra privati?

La parola “comune” deriva dal latino communis che significa “di tutti”; ciò vuol dire che la città era considerata un bene di tutti, apparteneva a tutti i suoi abitanti che, quindi, se ne dovevano far carico governandola. In realtà originariamente con tale termine si intendeva indicare prevalentemente un accordo privato, un patto “giurato” fra i borghesi più ricchi e importanti, che si accordavano tra loro (si mettevano “in comune” appunto) per difendere i loro interessi e per sottrarre potere al vescovo-conte o al feudatario, che rappresentavano allora nella città l’autorità imperiale. A volte si trattava di persone che lavoravano nello stesso settore e che avevano interesse a stabilire regole comuni per promuovere ed esercitare al meglio la loro attività

232 NASCe LA CIVILTà COMu NALe

… a forma di governo cittadino

Questo accordo finì ben presto per assumere un significato più ampio. Con esso infatti i cittadini, in numero sempre maggiore, mediante assemblee convocate talvolta al suono della campana e chiamate “parlamenti” o “arenghi”, cominciarono a prendere decisioni riguardanti l’intera città, fissavano norme, leggi, un vero e proprio “statuto”, un insieme di regole valide per tutti gli abitanti. Il semplice accordo tra privati si trasformò perciò in una vera e propria nuova forma di governo della città, una nuova istituzione. La parola Comune, a questo punto, finì per indicare proprio l’insieme di cittadini che si assumevano il compito di governare autonomamente la loro città, sottraendo gradualmente tale governo al feudatario rappresentante dell’imperatore.

Città sul mare Dipinto su tavola di Ambrogio Lorenzetti (XIV secolo), Pinacoteca Nazionale, Siena

Ben presto il Comune assunse anche il controllo dei territori intorno alla città, il contado, fino a diventare, almeno nel caso di quelli più importanti, come una vera e propria città-stato di rilevanti dimensioni.

Ricordiamo che i territori su cui si estendevano le città erano sotto la giurisdizione di feudatari laici o vescovi-conti e sotto l’autorità ultima dell’imperatore. Questi però, essendo lontano in quanto impegnato in Germania, e talvolta debole, non era in grado di imporre un controllo ravvicinato. Dal punto di vista formale, i Comuni riconobbero sempre l’autorità superiore dell’imperatore e non miraro-

234 NASCe LA CIVILTà COMu NALe
Il Comune diventa una nuova entità politica, una specie di città-stato
Vita al mercato Miniatura (XV secolo), Bibliothèque Nationale, Parigi

no mai a liberarsi totalmente da essa; nei fatti, tuttavia, agirono in modo sempre più autonomo: emanavano leggi, riscuotevano imposte, amministravano la giustizia, provvedevano alla difesa della città costruendo mura. In pratica esercitavano autonomamente queste funzioni di governo, chiamate anche regalìe in quanto di diritto appartenenti al re

I Comuni non si svilupparono nell’Italia centro-meridionale…

La nascita dei Comuni fu un fenomeno che riguardò prevalentemente l’Italia centro-settentrionale e un certo numero di città costiere. Dove esisteva un forte potere centrale invece, come nello Stato della Chiesa (il Patrimonio di San Pietro) e più a sud nel Regno Normanno, i Comuni non si svilupparono, perché mancavano le condizioni perché questo avvenisse. E, d’altra parte, in quei territori le città non avevano conosciuto lo stesso sviluppo economico e imprenditoriale che si era registrato al nord.

… e non furono un fenomeno solo italiano

Va anche aggiunto che i Comuni, pur legati nella loro origine e nel loro straordinario sviluppo all’Italia, non furono un fenomeno solo italiano. Si ebbero esperienze simili anche in alcune aree dell’Europa, soprattutto settentrionale: nelle zone costiere del mar Baltico, con città quali Lubecca, Amburgo, Danzica, Riga che diedero vita a un'alleanza chiamata Lega Anseatica, e nelle Fiandre, corrispondenti alla regione settentrionale dell’attuale Belgio. Qui la città di Bruges divenne uno dei più importanti mercati d’Europa.

2 · L’evoluzione delle forme di governo comunale

All'inizio governano i consoli

In generale possiamo dire che all'inizio in molti Comuni governarono i consoli, persone che provenivano dalle famiglie nobili e che esercitavano soprattutto il comando militare e detenevano il potere esecutivo, davano cioè esecuzione alle decisioni delle assemblee cittadine o dei Consigli di Anziani. A questi ultimi spettava invece il potere legislativo, ossia avevano il compito di emanare le leggi e di fissare le norme di governo della città.

I consoli erano in numero limitato (potevano essere da due a più di venti) e duravano in carica per poco tempo, al massimo un anno. Le prime città in cui si ha notizia della presenza di consoli sono Milano, Pisa e altre città toscane, attorno agli ultimi decenni dell’XI secolo.

Perché i Comuni possono essere considerati delle forme di città-stato?

Perché i Comuni non si svilupparono nell’Italia centro-meridionale?

CAPITOLO 11 235

Perché si dice che con i consoli si afferma il potere nobiliare?

Come detto, i consoli rappresentavano in gran parte gli interessi dei nobili (detti anche magnati o maggiori) che si erano trasferiti a vivere in città dopo aver lasciato la campagna perché avevano perso i loro feudi o perché li avevano ceduti, e qui cercavano ancora di esercitare un certo potere.

I piccoli mercanti, gli artigiani e i lavoratori salariati impiegati nelle botteghe non avevano nessuna possibilità di influire sul governo cittadino.

Ai consoli succedono i podestà

Fazione

Gruppo di persone che hanno idee o interessi comuni (soprattutto in campo politico) e li affermano anche in modo violento.

Ben presto, però, il grande afflusso di nuovi cittadini e l’arricchimento dei ceti mercantili e imprenditoriali portarono a lotte e scontri. Infatti i ricchi borghesi (chiamati anche popolo grasso) miravano a conquistare il potere sottraendolo ai nobili. Le violenze e le lotte tra fazioni arrivarono a un punto tale che i borghesi ottennero la creazione di una nuova carica di governo, quella del podestà. Il podestà, che governava per un periodo molto breve e con poteri limitati, di tipo solo esecutivo, spesso proveniva dall’esterno ed era un esperto di materie giuridiche o di tecniche militari. Era perciò in grado di garantire un governo neutrale, al di sopra delle parti, e di provvedere a difendere al meglio la città nei conflitti che potevano nascere dentro e fuori le sue mura. I governi podestarili si affermarono all’incirca dalla fine del XII secolo.

L’ultima fase: i capitani del popolo

Perché si affermarono i capitani del popolo?

Una terza fase, che si sviluppò dalla metà del XIII secolo, è quella contrassegnata dalla figura dei capitani del popolo. Si trattava di una carica che affiancava il podestà e che rappresentava i ceti della media e bassa borghesia (chiamati anche popolo minuto). Questi, riuniti nelle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri di cui avremo modo di parlare più avanti, tenevano assemblee proprie e intendevano far sentire la propria voce nel governo cittadino, spesso creando tensioni e conflitti soprattutto con i magnati.

I Comuni erano forme di democrazia?

Democrazia

Dal greco démos “popolo” e krátos “comando”; indica una forma di governo in cui il potere appartiene al popolo, che lo esercita votando le leggi direttamente o scegliendo propri rappresentanti che lo facciano (democrazia rappresentativa).

Al termine di questa presentazione ci si può porre una domanda: i Comuni possono in qualche modo essere considerate forme di governo democratico? Si tratta naturalmente di una domanda complessa, che va affrontata con cautela proprio perché l’esperienza che noi abbiamo della democrazia è tipicamente moderna e si è sviluppata molti secoli dopo la fine del Medioevo. Si rischia perciò di commettere l’errore che gli storici chiamano anacronismo, ossia giudicare fenomeni antichi con un metro di giudizio che non è il loro perché è il frutto di idee e modi di pensare che sono nati dopo. In generale, però, possiamo dire qualcosa riguardo alla questione. Se per democrazia si intende “governo del popolo” nel senso in cui

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tutto il popolo, nessuno escluso, può partecipare alle decisioni che riguardano la vita della città, allora quella comunale non era una democrazia “compiuta”. Vi erano, infatti, categorie sociali che ne erano escluse. In primo luogo, le donne, e poi i lavoratori salariati, che non facevano parte delle corporazioni e che quindi non potevano nemmeno essere rappresentati dai capitani del popolo.

Certamente, però, rispetto al tipo di potere feudale, in cui le cariche di governo erano attribuite “dall’alto”, dall’imperatore, si tratta di un passo avanti. Nei Comuni si afferma, infatti, il principio che chi governa deve in qualche modo rappresentare il volere di almeno una parte del “popolo”. Possiamo pertanto dire che i Comuni rappresentarono un passo avanti in quanto a forma di governo democratico, anche se restarono ancora molto lontani da forme “compiute” di democrazia.

I Comuni estendono i loro territori

Consolidate le loro istituzioni all’interno, i Comuni puntarono anche a estendere i loro domini al di là delle mura cittadine. Quelli più grandi e potenti miravano a impossessarsi dei territori del con-

Perché non si può dire che i Comuni sono forme di democrazia compiuta, ma comunque rappresentano un passo avanti in direzione della democrazia?

CAPITOLO 11 237
Palazzo dei consoli Prima metà del XIV secolo, Gubbio (Perugia)

Perché finì la potenza di Amalfi?

E quella di Pisa?

tado, sottraendoli ai signori feudali che ancora vi abitavano e che li controllavano, oppure a conquistare i Comuni più piccoli. Si aprì perciò una fase di lotte e guerre, anche molto violente, di cui le cronache del tempo ci danno ampia testimonianza. Spesso tali guerre si inserivano nello scontro in corso tra il papa e l’imperatore. Vi erano perciò Comuni che si alleavano col papa, e che perciò erano detti guelfi, e Comuni ghibellini, sostenitori della politica imperiale. Una caratteristica di queste guerre è che, per la prima volta dalla caduta dell’Impero Romano, si fece uso di eserciti cittadini: la guerra non era più riservata, come nell’età feudale, ai signori e ai cavalieri, ma tutti i cittadini del Comune in età adulta erano chiamati a far parte dell’esercito. Chi non aveva denaro per pagarsi il cavallo e le armi, era arruolato nelle fanterie: la libertà che i Comuni garantivano doveva essere accompagnata dalla responsabilità di provvedere alla loro difesa armata.

3 · Le repubbliche marinare

Un grande sviluppo commerciale

Un tipico caso di sviluppo delle città italiane fu rappresentato dalle cosiddette repubbliche marinare. Si trattava di alcune città costiere che, sfruttando loro posizione geografica, divennero ricche e potenti grazie al commercio marittimo, anche se questo generò tra loro una serie ininterrotta di lotte e conflitti. Le più importanti furono quattro: Amalfi, Pisa, Genova, Venezia.

Amalfi, Pisa e Genova

Amalfi, la più antica, si era distinta da sempre nella guerra contro i musulmani. Nell’XI secolo, però, fu conquistata dai Normanni e poi sconfitta definitivamente da Pisa nel 1137. Pisa, a quei tempi collegata al mare dall’Arno, divenne a sua volta una potenza marinara in seguito alle guerre vittoriose contro i musulmani, condotte sempre insieme con Genova, ancor prima delle crociate. Già nell’XI secolo le due città avevano riconquistato la Corsica, la Sardegna, le Baleari e spesso attaccato le coste africane. Durante le crociate, poi, seppero trarre grande vantaggio dai commerci con l’Oriente.

La condivisione della medesima porzione di Mediterraneo portò però allo scontro tra le due città, scontro che si concluse con l’affermazione definitiva della più potente Genova nella decisiva battaglia della Meloria nel 1284.

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Genova entrò ben presto in conflitto con la più potente di queste repubbliche, Venezia, i cui interessi commerciali erano in concorrenza con quelli genovesi. L’attrito fra le due repubbliche fu aspro e durò a lungo finché nel Trecento prevalse definitivamente Venezia. A differenza di Amalfi e di Pisa, Genova non scomparve tuttavia dalla scena in quanto potenza marittima. Riuscì infatti a mantenere un proprio spazio nel Mar Nero, dove la sua presenza in Crimea durò fino al 1475, e a sviluppare con grande profitto attraverso lo stretto di Gibilterra commerci con il Nord Europa fino al Mar Baltico, alla Scandinavia e all’Islanda. Come quella di Venezia anche la Repubblica di Genova durerà sino alla fine del secolo XVIII quando sarà travolta dalle invasioni napoleoniche e più tardi ceduta ai Savoia.

La lunga vicenda della Repubblica di San Marco

Di straordinaria rilevanza fu la storia di Venezia, detta anche Repubblica di San Marco, perché particolarmente devota a questo santo, le cui reliquie, secondo la tradizione, erano state trafugate

Cattedrale di Sant’Andrea (Duomo) Fine X secolo, Amalfi (Salerno)

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Lo scontro tra Genova e Venezia

Doge

Capo dello stato nelle repubbliche di Venezia e di Genova; è una parola veneziana che deriva dal latino dux-ducis, ossia “condottiero”, “guida”.

Repubblica oligarchica Governo di poche persone che si distinguono per importanza o ricchezza.

Perché Venezia divenne una sorta di repubblica oligarchica?

da due mercanti ad Alessandria d’Egitto nell’828 e portate in città dove erano oggetto di grande venerazione (sono tuttora conservate nell’omonima basilica).

La città, sorta nel periodo delle invasioni barbariche, si era nel tempo sviluppata autonomamente pur conservando con Costantinopoli rapporti privilegiati che le garantivano notevoli facilitazioni commerciali.

A guidare la repubblica vi era un doge , eletto fra le famiglie nobili che detenevano il controllo della città. Nei primi tempi il doge aveva molto potere; successivamente, però, tale potere si ridusse a vantaggio di alcune famiglie aristocratiche ricche e potenti, che finirono per garantirsi il governo della città. Venezia divenne pertanto una sorta di repubblica oligarchica

Il suo dominio sul mare, e non solo

La Repubblica di San Marco, chiamata anche la Serenissima, divenne nei secoli uno dei più ricchi e potenti stati italiani ed europei. Le navi veneziane raggiungevano tutti i porti del Mediterraneo; i suoi mercanti arrivavano fino all’Estremo Oriente, come ci testimoniano i celebri viaggi di Marco Polo. Venezia ampliò progressivamente i suoi domini, fino a costituire un vero e proprio impero, che andava dalla terraferma, verso il Veneto e la Lombardia, al mare, lungo la costa adriatica, fino a raggiungere la Grecia, Rodi e la lontana Cipro. Importante fu la dominazione veneziana sulle coste orientali dell’Adriatico, in particolare dell’Istria e della Dalmazia, dove ancora oggi sono visibili, nell’arte e nella cultura, i segni della sua presenza. Verso oriente si trovò a combattere per secoli contro i Turchi, difendendo strenuamente l’Europa dalla loro minaccia. La sua lenta e graduale decadenza inizierà nel XV secolo, prima con la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) e, poi, con la scoperta dell’America (1492), che sposterà l’asse dei commerci europei dal Mediterraneo all’Atlantico. La sua storia di stato indipendente, continuerà però ancora a lungo e terminerà solo nel 1797, con la conquista di Napoleone e la successiva cessione all’Austria.

4 · Lo scontro tra i Comuni e l’imperatore Federico Barbarossa

I motivi dello scontro

Abbiamo già accennato al fatto che i Comuni, almeno formalmente, erano sotto l’autorità dell’imperatore, cioè svolgevano funzioni che di diritto competevano a lui. Abbiamo anche detto, però, che l’imperatore era lontano, in Germania, e ciò consentiva loro di godere di una certa autonomia. La situazione però poteva durare sol-

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Domini veneziani sul Mediterraneo Territori di Venezia all'inizio del XV secolo

Territori di Venezia dopo il XV secolo

Tratto di mare controllato dalle navi veneziane Impero Ottomano Città importanti

tanto finché non fosse salito al trono un sovrano deciso a far valere la propria autorità e i propri diritti. Questo personaggio arrivò: si trattava di Federico I di Svevia, detto il Barbarossa.

La politica del Barbarossa

Il Barbarossa era salito al trono imperiale al termine di un periodo piuttosto contrastato. Dopo la morte di Enrico V, infatti, era scoppiata in Germania una lunga guerra per la sua successione, combattuta tra la casa di Baviera, a capo del partito guelfo, e quella di Svevia, a capo del partito ghibellino. Alla fine prevalsero i ghibellini e divenne imperatore proprio Federico I di Svevia che si trovò a governare senza incontrare alcuna opposizione interna.

Egli volle da subito esercitare la sua autorità, ponendosi anche al di sopra del papa. Inoltre, forte dei suggerimenti degli studiosi di diritto romano allora attivi presso l’università di Bologna, decise di riprendersi i poteri che gli spettavano all’interno dei Comuni (le regalie), di cui i governi comunali si erano appropriati in modo, a suo dire, illegittimo, quando si erano sostituiti al potere dei feudatari o dei vescovi-conti.

Diritto romano È l’insieme delle leggi romane dell’età repubblicana e imperiale, tramandato nel Medioevo attraverso il Corpus Juris Civilis fatto redigere da Giustiniano.

CAPITOLO 11 241
Mar Mediterraneo Mar Nero
Danubio Reno
Nilo Atene Genova Costantinopoli Milano Antiochia Alessandria Venezia Trebisonda Maurocastro Tripoli Napoli

Dieta

Assemblea dei maggiori feudatari, degli alti ecclesiastici e dei rappresentanti delle città dell’Impero o del Regno. Prendeva il nome dalla parola latina dies, che significa “giorno”, perché in origine indicava il giorno stabilito per l’adunanza.

Perché i Comuni si scontrarono con l’imperatore?

La pressione dell’imperatore sul papa e sui Comuni

Il Barbarossa, nel suo tentativo di restaurazione dei poteri imperiali, entrò in conflitto con il papa, i Comuni italiani e i grandi aristocratici guelfi della Germania.

Egli dovette scendere in Italia parecchie volte, scontrandosi fin dall’inizio con i Comuni, primo fra tutti Milano. In una dieta tenuta a Roncaglia, presso Piacenza, comunicò loro di voler nominare un podestà, suo rappresentante, in ogni città; quindi si fece incoronare re d’Italia. Successivamente, si recò a Roma dove pose fine alla rivolta di un monaco eretico, Arnaldo da Brescia, che guidava la città dopo che il papa ne era stato cacciato. Federico lo fece giustiziare, rimise sul trono il papa e si fece consacrare da lui imperatore (1155).

Si arriva allo scontro aperto

Negli anni successivi, la situazione italiana tornò però a farsi critica e il Barbarossa si vide costretto di nuovo a scendere in Italia dove, nel 1162, distrusse Milano. Sembrava ormai avere la vittoria in pugno, ma stava per scendere in campo il papa.

Il nuovo pontefice, che gli si oppose fieramente, era Alessandro III, uomo forte e deciso quanto il suo lontano predecessore Gregorio VII. Il Barbarossa non lo riconobbe come papa legittimo e gli contrappose, come già era accaduto in passato, un antipapa. Alessandro allora scomunicò l’imperatore e incitò alla ribellione antiimperiale tutti i Comuni guelfi d’Italia.

La Lega Lombarda e la battaglia di Legnano

Questi Comuni, riunitisi a Pontida presso Bergamo nel 1167, dopo un solenne giuramento costituirono la Lega Lombarda e decisero subito di ricostruire Milano e fondare una nuova città fortificata, chiamata Alessandria in onore del papa.

Perché la pace di Costanza

può considerarsi una vittoria per i Comuni?

Riprendeva così la sfida dei Comuni contro l’imperatore che decise di scendere di nuovo in Italia per farla finita una volta per tutte con i suoi nemici. Non riuscì però a conquistare Alessandria e, in difficoltà, dovette rifugiarsi a Pavia. Allora i milanesi, guidati da un certo Alberto da Giussano, lo attaccarono e lo sconfissero duramente nella battaglia di Legnano, nel 1176. Sette anni dopo, nel 1183, Federico fu costretto a stipulare con i Comuni italiani la Pace di Costanza. Con essa veniva riconosciuto ai Comuni il diritto di mantenere i poteri di governo di cui si erano impossessati e che già esercitavano, ma essi dovevano impegnarsi a garantire all’imperatore un riconoscimento formale della sua autorità, vale a dire trattarlo con gli onori dovuti. Poca cosa rispetto a quanto Federico aveva preteso agli inizi della lotta: in pratica i Comuni avevano ottenuto la piena vittoria.

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Il Barbarossa: un imperatore sconfitto o vincitore?

Tornato in Germania, il Barbarossa si prese le sue rivincite. Dapprima sconfisse il cugino Enrico il Leone, capo del partito guelfo. Poi fece sposare suo figlio, il futuro Enrico VI, con Costanza d’Altavilla, ultima discendente dei Normanni in Italia ed erede del Regno di Sicilia. Con questo matrimonio egli poneva le basi per l’unificazione dell’Italia meridionale al suo Impero, coronando il sogno di molti imperatori precedenti. Il figlio, infatti, gli diede un nipote che sarebbe diventato a sua volta un grande imperatore e una delle figure più importanti nella storia medievale, Federico II di Svevia.

A questo punto l’imperatore, ormai ottantenne, volle chiudere la sua vita in pace con Dio e con la Chiesa: allestì un imponente esercito e partì per una crociata, la terza, facendosi paladino della cristianità. Anche in questo caso, però, non ebbe fortuna: morì annegato mentre cercava di attraversare un fiume nell’odierna Turchia (1190). La notizia della sua tragica morte commosse tutti e anche a Roma si pregò per la sua anima. Il suo progetto di ridare piena dignità e autorità all’imperatore sembrava fallito, ma in realtà, come vedremo, egli aveva posto le basi perché questo sogno si realizzasse dopo di lui, attraverso il nipote.

Costanza d'Altavilla Miniatura dal De mulieribus claris (XV secolo), opera latina di Giovanni Boccaccio, Bibliothèque Nationale de France, Parigi

Perché fu importante il matrimonio del figlio del Barbarossa con Costanza d’Altavilla?

Federico Barbarossa tra i figli Enrico e Federico Miniatura dalla Cronica dei Guelfi (fine XII secolo), Landesbibliothek Fulda (Germania)

5 · Le lotte all’interno dei Comuni

Lo scontro tra guelfi e ghibellini si riproduce all’interno delle città e tra le città Anche dopo la sconfitta del Barbarossa, non bisogna credere che la vita dei Comuni scorresse tranquilla e pacifica. Le lotte al loro interno proseguivano e si saldavano su scala più vasta con quelle tra guelfi e ghibellini. Nei vari Comuni si formavano fazioni guelfe e fazioni ghibelline, con i nobili di origine feudale che si schierava-

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no dalla parte ghibellina, mentre il popolo grasso, i mercanti e i borghesi sostenevano prevalentemente i guelfi. A questi motivi di contrasto si aggiungevano rivalità di carattere personale o familiare, accentuate da vecchie ostilità covate nel tempo tra cittadini di opposte città o quartieri. Quando poi i Comuni cominciarono ad ampliare i propri domini nel contado circostante, strappando territori ai feudatari, il conflitto si trasformò in scontro fra città e campagna, fra vecchio potere feudale e nuovo potere comunale. Quando l'imperatore fu sconfitto, anche molti feudatari persero la loro forza e il loro potere.

Il caso di Firenze

Il Comune che meglio illustra questo insieme di conflitti è proprio Firenze, forse la città-simbolo dell’età comunale italiana.

Firenze si era costituita in Comune verso la fine del XII secolo. Fino al 1250, a predominare furono i nobili, che cercarono di mantenere anche in città le loro forme di potere. Lo dimostra, ad esempio, la costruzione dentro la cerchia delle mura di case-torri simili a castelli. Quando, dopo la morte del grande imperatore svevo Federico II, i guelfi cacciarono i ghibellini dalla città, gli artigiani e i commercianti, membri delle corporazioni, riuscirono a imporre, a difesa dei loro interessi, un capitano del popolo.

In seguito, nel 1260, i ghibellini, appoggiati da Siena, riconquistarono la città con la battaglia di Montaperti, ma il loro successo fu di breve durata. Furono, infatti, di nuovo sconfitti, quando il figlio di Federico II, Manfredi, che li sosteneva, venne a sua volta sconfitto e ucciso. Di tutto questo si parlerà in un prossimo capitolo. Nel frattempo, però, Firenze aveva cominciato a estendere il proprio controllo sull’intera Toscana, sconfiggendo la ghibellina Arezzo nella battaglia di Campaldino. Nel 1293 con un provvedimento politico molto importante, gli Ordinamenti di Giustizia, promossi dall’allora capo della città, il priore Giano della Bella, la borghesia guelfa segnò la sua definitiva vittoria sui magnati. Con questo provvedimento si stabiliva, infatti, che potevano partecipare alla vita politica soltanto coloro che erano iscritti a una corporazione (praticamente gli appartenenti alla borghesia) e il suo intento era chiaro: escludere dalla partecipazione alla vita politica della città i nobili, che non facevano parte di alcuna corporazione.

Una volta vincitori, però, i guelfi si divisero a loro volta in due fazioni: i “bianchi”, contrari alle ingerenze del papa nella vita della città, e i “neri”, che invece erano favorevoli. Anche il grande poeta Dante Alighieri fu coinvolto in queste lotte. Quando nel 1302 i neri presero il sopravvento egli, che era uno degli esponenti più in vista della parte bianca, fu mandato in esilio.

Perché scoppiarono lotte all’interno dei Comuni?

Perché con gli Ordinamenti di giustizia a Firenze si afferma definitivamente la borghesia?

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Perché la Serrata del Maggior Consiglio andò invece a favore dell’aristocrazia?

Il caso opposto di Venezia Mentre in molti altri Comuni si andò progressivamente affermando il potere del “popolo”, cioè la borghesia, a Venezia avvenne il contrario. Nel 1279 fu attuata una riforma del parlamento cittadino, chiamata Serrata del Maggior Consiglio. Con questa riforma si stabiliva che potevano far parte di questo organismo solo i membri delle famiglie che già in passato vi avevano partecipato. Si trattava di un provvedimento che andava chiaramente a favore dell’antica aristocrazia cittadina, escludendo invece dal potere i borghesi che si erano arricchiti di recente con le loro attività.

Venezia, quindi, che dal punto di vista formale era ancora una repubblica, andava trasformandosi sempre più in un’oligarchia.

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Gonfalone di Venezia con il Leone di San Marco

IL PERCORSO DELLE PAROLE

Borghesi nel Medioevo e borghesi oggi: quante differenze!

La parola borghese (dal latino medievale burgensis) era usata all’inizio per indicare chi abitava nella città, il “borgo”. Questo termine fece la sua comparsa a partire dall’XI secolo e la sua valenza era innanzitutto giuridica: il borghese era colui che era libero, non nobile né ecclesiastico. La sua libertà si esprimeva innanzitutto nel poter praticare un lavoro non servile e quindi non dipendente da un signore feudale e questa condizione di libertà era garantita proprio dal fatto che egli risiedeva in città, dove l’autorità del signore non arrivava. Il termine aveva quindi un valore essenzialmente positivo. Essere borghese era motivo di vanto: significava non avere padroni, essere indipendenti e creativi nel proprio lavoro, saper utilizzare al meglio le proprie energie e le proprie capacità per raggiungere il successo. Col passare del tempo il significato e la valenza di questo termine sono però cambiati. Soprattutto in seguito allo sviluppo dell’industrializzazione e alla diffusione delle grandi ideologie politiche del XIX secolo, in particolare il socialismo, borghese

ha finito per indicare una persona ricca e agiata, magari un “capitalista” cioè un proprietario di industrie, un “padrone” insensibile alle dure condizioni di lavoro dei propri operai, se non addirittura un loro sfruttatore. Con la contestazione giovanile degli anni ’60 e ‘70 del Novecento poi, l’aggettivo “borghese” ha assunto un’accezione particolarmente negativa sul piano morale. “Vivere una vita borghese” era diventata quasi un’accusa. Significava praticare uno stile di vita interessato innanzitutto agli aspetti formali ed esteriori, egoisticamente teso al proprio benessere materiale e disinteressato ai bisogni degli altri. Praticamente l’opposto, come abbiamo visto, di ciò che caratterizzava la borghesia nel Medioevo. Non è così nei paesi dove l’influsso delle ideologie più sopra ricordate non è stato così forte come da noi o in Francia. Ad esempio in Svizzera, compresa la Svizzera Italiana, dove ci sono associazioni e partiti che si definiscono “borghesi” senza che ciò implichi alcuna connotazione negativa.

CAPITOLO 11 247

IL PERCORSO DELLE PAROLE

I comuni di allora e i comuni di oggi: proprio la stessa cosa?

Come saprai anche oggi esistono i comuni ma non sono certamente simili a quelli medievali, anche se usiamo la stessa parola per indicarli. I Comuni medievali furono infatti delle piccole città-stato, indipendenti, che si autogovernavano e che spesso erano in conflitto tra loro o con l’imperatore, e che potevano quindi avere un proprio esercito, fare guerra o battere moneta. Il comune di oggi invece è un’entità amministrativa locale che su un piccolo o grande territorio può decidere su molte materie (pensa alla raccolta dei rifiuti, ai trasporti urbani, alle attività culturali) ma sempre rimanendo nell’ambito di leggi decise dallo stato. Non

può inoltre occuparsi di politica estera né, tanto meno, coniare proprie monete o fare guerre. Tutti questi sono compiti che oggi spettano allo stato di cui i comuni fanno parte. un aspetto però è abbastanza simile: chi è a capo di questo organismo rappresenta, oggi come allora, i cittadini. È infatti eletto da loro, un po’ come nel Medioevo, quando erano i “borghesi”, attraverso le loro corporazioni e associazioni, a scegliere i governanti.

248 NASCe LA CIVILTà COMu NALe

METTIAMO A FUOCO

La struttura urbanistica delle città medievali

La piazza era il cuore della città

A differenza delle città edificate dai Romani, che presentavano una pianta quadrata o rettangolare (la pianta è la forma della città osservata dall’alto) con le vie parallele che si intersecavano formando tendenzialmente angoli retti, le città sorte o modificate nel Medioevo presentano una forma assai diversa. Avevano, infatti, un centro ben preciso, un cuore nel quale si trovavano le piazze più importanti.

La piazza, come scrive lo storico Arsenio Frugoni, fu «la tipica e mirabile creazione del Medioevo», luogo di incontri tra persone, di attività e di vita in comune in una società dove l’individualismo non esisteva. Le piazze cittadine erano sostanzialmente tre (a volte coincidenti a volte distinte, ma collegate o vicine): la piazza religiosa, quella politica e quella commerciale. La prima era la piazza della cattedrale, non grande ma con edifici bassi per far risaltare maggiormente la grandezza della chiesa; occupava una posizione un po’ appartata, sulla quale non sfociavano le vie di grande traffico, quasi a favorire il silenzio e il raccoglimento.

Sulla piazza politica, più grande e centrale, si affacciavano i palazzi del governo (che potevano avere vari nomi: palazzo della ragione, palazzo del broletto, palazzo del podestà, palazzo del capitano del popolo, palazzo pubblico, arengario, a seconda del tipo di governo e delle autorità che vi erano nel Comune). Qui si radunavano i cittadini per discutere e prendere le decisioni politiche.

La piazza commerciale era quella su cui si teneva il mercato (a volte si chiamava anche piazze delle erbe perché vi si vendevano i prodotti agricoli).

Una struttura a raggiera

Dal centro si dipartivano come dei raggi le vie che portavano verso l’esterno, verso le mura, e che dividevano il territorio in spicchi (se erano quattro si parlava di quartieri se sei di sestieri). Viste dall’alto, quindi, le città medievali hanno una forma tendenzialmente circolare. Ancora oggi molte città, per quanto si siano ingrandite nei secoli successivi, conservano nel loro centro storico questa struttura, che si può facilmente riconoscere (la si ritrova quasi ovunque con poche eccezioni).

Le case-torri simbolo del potere nobiliare un’altra caratteristica delle città medievali, soprattutto agli inizi, nella fase consolare, era la presenza di “case-torri” che assomigliavano a piccoli castelli turriti, costruiti entro la cerchia muraria. erano le abitazioni fortificate delle famiglie nobiliari trasferitesi in città, edificate in questo modo sia per difendersi dagli attacchi delle forze nemiche (era il periodo in cui vi erano frequenti lotte cittadine), sia per esprimere di fronte a tutti la loro potenza o il loro prestigio. Spesso le case-torri di famiglie alleate o imparentate erano vicine, per consentire, in caso di assedio, di comunicare attraverso passerelle installate fissando dei pali in fori praticati sulla muratura esterna. In tal modo ci si poteva scambiare provviste, armi, uomini armati. Oggi visitando le città medievali si fa fatica a ritrovare le case torri. Quando infatti finì il potere nobiliare, le autorità cittadine imposero l’abbattimento o l’abbassamento di queste abitazioni.

Delle città a “misura di pedone”

È importante, infine, ricordare che la città medievale era, per così dire, “a misura di pedone”, senza traffico, con vie molto strette e case molto ravvicinate. Ciò permetteva di godere dell’ombra e ripararsi dal sole d’estate e di proteggersi dal freddo o dal vento d’inverno. I portici, poi, riparavano anche dalla pioggia. In questa situazione, il contatto ravvicinato fra i cittadini era frequente: si viveva praticamente per strada e la privacy, come diremmo oggi, allora non esisteva. Ma questo non costituiva un problema per dei cittadini abituati alla vita comunitaria. Altri erano i reali problemi: quello dell’igiene pubblica (ad esempio non vi erano fognature e gli scarichi avvenivano direttamente in strada) e soprattutto quello degli incendi. Le molte parti in legno degli edifici, infatti, esponevano le abitazioni a questo rischio costante.

CAPITOLO 11 249

METTIAMO A FUOCO

L’import-export fra Occidente e Oriente

Un commercio senza concorrenza come visto, il commercio delle città marinare italiane con l’oriente era molto florido e favorito dalla totale mancanza di concorrenza. Non vi erano, infatti, altre città affacciate sul mediterraneo in grado di competere con le loro flotte mercantili. il risultato fu un generale arricchimento delle repubbliche, vanificato in parte, però, dai molti conflitti che le videro contrapposte e dai quali uscì alla fine vincitrice venezia. ma quali erano i prodotti più ambiti e ricercati in questi fiorenti scambi commerciali?

L’importanza delle spezie tra i prodotti importati, grande valore avevano le spezie. si trattava di aromi di origine vegetale usati o per insaporire i cibi e allontanare il cattivo odore che essi potevano emanare in caso di lunga conservazione o come medicinali (per questo i farmacisti di allora erano chiamati “speziali”). tra i primi ricordiamo la cannella, la noce moscata, il pepe; tra i secondi l’aloe e la canfora. un cenno particolare merita il pepe, chiamato nel medioevo l’“oro nero” tanto era prezioso. originario dell’india, oltre a insaporire i cibi, veniva usato per conservare la carne perché non andasse a male e la sua importanza era tale che, in certi periodi, veniva usato addirittura come moneta di scambio per pagare altre merci. in un primo tempo il commercio del pepe sul mediterraneo fu opera soprattutto dei veneziani.

Prodotti di lusso

altri prodotti importati e molto ricercati erano quelli che noi chiameremmo “di lusso”. vi erano l’avorio, proveniente dall’africa, gli smeraldi egiziani e, dall’asia, perle, rubini, diamanti, giade. a questi si aggiungevano tessuti preziosi, sete e broccati, che vestivano le dame dell’alta società e ornavano le chiese e i palazzi dei signori, e i coloranti usati per la tintura delle stoffe. Dalla Persia poi provenivano i tappeti che venivano impiegati per rendere caldi e accoglienti gli ambienti spesso non riscaldati.

Grano, legname, stoffe… e anche uomini tra i prodotti esportati quello più importante era il grano, venduto soprattutto nei porti bizantini. Gli arabi, invece, acquistavano legname per la costruzione delle navi. sviluppata era anche l’esportazione di lana e lino. Purtroppo, va anche detto che tra le “merci” più apprezzate vi erano gli schiavi. Per aggirare l’opposizione della chiesa al ritorno della schiavitù, molti mercanti esercitavano questo turpe commercio al di fuori delle terre ove giungeva l’autorità del papa. vendevano come schiavi nei paesi arabi persone rapite nelle lontane terre slave, ancora per lo più pagane. Questo spiega perché la moderna parola schiavo derivi in modo evidente da “slavo”. si vendevano schiavi anche a venezia, a condizione che si trattasse di persone già schiave al momento del loro acquisto e non ridotte in schiavitù dai loro venditori!

Le acquisizioni dal mondo arabo e dall’Estremo Oriente accanto ai prodotti commerciali molte furono anche le conoscenze e le acquisizioni tecnologiche provenienti dall’oriente. agli arabi dobbiamo l’introduzione nelle aree mediterranee degli agrumi e del grano detto, per questo, saraceno. anche la carta, in realtà un’invenzione cinese, fu da loro

250 Nasce la civiltà comu Nale
Mercato di schiavi in Yemen, XIII secolo

introdotta in europa. La coltivazione del gelso è invece di provenienza bizantina.

Nel campo delle tecniche di navigazione, l’Occidente ha accumulato molti debiti nei confronti degli orientali. La bussola fu un’invenzione dei Cinesi ancor prima che gli amalfitani ne diffondessero l’uso in europa. Dall’estremo Oriente giunse

l’uso della vela latina: si trattava di una vela di forma triangolare, introdotta nel Mediterraneo dagli Arabi che però, a loro volta, l’avevano ripresa dagli Indiani. Le flotte mediterranee l’adottarono presto per la loro maneggevolezza, preferendola alla più ingombrante vela quadrata.

CAPITOLO 11 251
Marco Polo, suo padre e suo zio in procinto di partire da Venezia nel 1271 verso l’Oriente Miniatura dal manoscritto Bodley 264 (XIV secolo) contenente anche un'edizione francese del Milione di Marco Polo e conservato alla Bodleian Library dell'Università di Oxford

LEGGIAMO L’ARTE

Quando nel Comune vi è un buon governo

esaminiamo insieme un celebre dipinto di Ambrogio Lorenzetti, un artista vissuto a cavallo fra XIII e XIV secolo, in piena età comunale. Si tratta dell’affresco intitolato Gli effetti del Buon Governo in città che si trova nel Palazzo Pubblico di Siena, il palazzo del Comune, che si affaccia sulla celebre piazza dove si svolge ancor oggi il palio. In questo affresco è rappresentata la vita che poteva svolgersi in un Comune governato con giu-

stizia e in cui tutti i cittadini si comportavano in modo onesto e virtuoso. Sulla parete di fronte invece è rappresentato il cattivo governo, in cui, sotto la tirannia, dominano l’orgoglio, la crudeltà, il tradimento.

Dopo aver osservato attentamente le immagini riprodotte rispondi alle domande proposte

252 NASCe LA CIVILTà COMu NALe

1. Quali attività mercantili e commerciali si possono riconoscere nell’affresco?

2. Che cosa fanno le giovani donne al centro della scena? Che cosa ha in mano una di loro?

3. Si può riconoscere la presenza di una scuola? Dove si trova? Che posizione occupa l’insegnante rispetto agli allievi?

4. Ci sono personaggi a cavallo? Ti sembrano personaggi ricchi e potenti? Era importante, secondo te, possedere un cavallo a quei tempi?

5. Che cosa sta facendo in città il pastore col suo gregge?

6. Quante case-torri riesci a individuare? Chi le aveva fatte costruire e vi abitava?

7. L’impressione complessiva che emerge dal dipinto è di festa e di allegria oppure di tristezza? C’è qualche particolare che te lo fa capire?

CAPITOLO 11 253

NON TUTTI SANNO CHE

L’inventore della bussola… che non è mai esistito

La bussola, una piccola scatola di legno contenente un ago calamitato che si volge sempre verso nord, consentendo in tal modo di orientarsi, è probabilmente di origine cinese Fu diffusa tra il XII e il XIII secolo in europa dai marinai di Amalfi che se ne servivano nella loro navigazione in mare aperto. La tradizione vuole che a inventarla sia stato uno di loro, un certo Flavio Gioia, ma in realtà questo presunto inventore non è mai esistito.

Tutto per colpa di una virgola

Come è sorta dunque questa leggenda? Si può dire che tutto deriva da un clamoroso equivoco. un cronista e letterato del XV secolo, infatti, un certo Flavio Biondo, fu il primo che parlò di questa invenzione attribuendola agli amalfitani.

Qualche anno dopo, un altro studioso riportò la notizia scrivendo: «Ad Amalfi, fu inventato l’uso della calamita [cioè la bussola], da Flavio è detto». evidentemente intendeva dire che la notizia dell’invenzione della bussola era stata tramandata da questo Flavio. La sua frase però fu in seguito riportata da altri spostandone la virgola, e si trasformò in: «Ad Amalfi fu inventato l’uso della calamita da Flavio, è detto». Insomma, da cronista, Flavio finì per diventare l’inventore della bussola. un altro storico ha poi creduto di individuare in una località della Puglia, Gioia del Colle, il luogo di origine del presunto inventore. Così alla fine l’inventore fantasma si è ritrovato anche con un cognome, Flavio Gioia. Tutto per colpa di una virgola, è proprio il caso di dire.

254 NASCe LA CIVILTà COMu NALe

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Con l’aumento della produzione agricola e la rinascita dei commerci le città tornarono a rifiorire, soprattutto nell’Italia centro-settentrionale e nelle zone costiere. In esse nacque una nuova realtà politica, i Comuni, frutto dell’accordo tra gli abitanti più attivi e più in vista, allo scopo di darsi delle regole e uno statuto con cui governare l’intera città. Si trattava di commercianti, artigiani, professionisti (la futura borghesia) e nobili che si erano trasferiti in città.

2. I Comuni inizialmente furono governati dai consoli, che rappresentavano il ceto nobiliare. In seguito, con l’ascesa della grande borghesia, subentrarono i podestà. Infine si affermò la figura dei capitani del popolo, che rappresentavano gli interessi della piccola e media borghesia riunita nelle Corporazioni della Arti e dei Mestieri.

3. Favorite dalla loro posizione si svilupparono, grazie ai commerci marittimi, quattro città chiamate repubbliche marinare. Si trattava di Amalfi, conquistata poi dai Normanni; Pisa, sconfitta da Genova, un tempo sua alleata nella lotta contro gli Arabi; Genova, che lottò con Venezia per il predominio nei traffici con l’Oriente; infine Venezia, la più potente di tutte, che si batté a lungo contro i Turchi e costituì un vasto dominio sulla terraferma, sulle coste slave e su alcune isole del Mediterraneo.

4. L’imperatore Federico I Barbarossa, raggiunto uno stabile potere in Germania, scese in Italia per riaffermare la sua supremazia sui Comuni. Qui, dopo alcuni successi iniziali, si scontrò con le città guelfe dell’Italia settentrionale, unite nella lega Lombarda e sostenute dal papa. Fu da queste clamorosamente sconfitto nella Battaglia di Legnano (1176) e costretto, con la successiva pace di Costanza, a rinunciare alle sue pretese egemoniche sui Comuni che, in sostanza, divennero delle specie di città-stato pienamente autonome rispetto all’autorità imperiale.

5. Particolarmente significative sono le vicende del Comune di Firenze. Questo Comune conobbe sempre al suo interno, fin dalle origini, scontri e lotte di carattere sociale: popolo minuto contro magnati, guelfi contro ghibellini. Dopo il predominio della nobiltà feudale legata ai ghibellini, si affermò la borghesia guelfa che, con gli Ordinamenti di Giustizia, escluse dalla vita politica chi non era membro di una delle Corporazioni. In seguito il partito guelfo si divise nelle fazioni dei bianchi e dei neri, rispettivamente contrari e favorevoli alle ingerenze in città del papato. I neri, sostenuti dal papa Bonifacio VIII, presero il sopravvento nel 1302.

CAPITOLO 11 255

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Che cosa si intende per borghesia?

2. In quali aree fuori dall’Italia si svilupparono realtà simili ai Comuni italiani?

3. Chi erano i consoli, i podestà, i capitani del popolo?

4. Quali furono le repubbliche marinare?

5. Quali furono i domini di Venezia?

6. Quali furono i motivi dello scontro fra il Barbarossa e i Comuni?

7. Che cos’era la Lega Lombarda?

8. Chi uscì vincitore dalla battaglia di Legnano?

9. Quali lotte si svilupparono all’interno dei Comuni?

10. Che cosa stabilivano gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella?

11. Quale grande poeta fu vittima, a Firenze, delle discordie fra guelfi bianchi e guelfi neri? Come si concluse la lotta tra queste due fazioni?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Battaglia di Legnano

2. Pace di Costanza

3. Federico I Barbarossa incoronato imperatore

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

I Comuni non possono considerarsi una forma di democrazia compiuta perché

a. erano ancora sotto l’autorità dell’imperatore.

b. alcuni ceti sociali e categorie di persone erano esclusi dalla partecipazione alle scelte politiche.

c. governava solo la borghesia.

Le regalie erano

a. i privilegi concessi dall’imperatore ai Comuni rimasti fedeli.

b. le leggi con le quali i Comuni si autogovernavano.

c. i poteri di governo delle città che i Comuni avevano strappato ai rappresentanti dell’imperatore.

Venezia fu una repubblica oligarchica perché

a. era governata dai dogi.

b. potevano partecipare al governo della città solo famiglie nobili antiche.

c. aveva tanti domini sul mare.

256 NASCe LA CIVILTà COMu NALe
1155 1176 1183

Federico Barbarossa e i Comuni entrarono in conflitto perché

a. i Comuni esercitavano le regalie sottratte al potere imperiale.

b. i Comuni erano alleati del papa e sostenevano la sua politica.

c. i Comuni non intendevano sottomettersi all’imperatore.

La pace di Costanza stabilì che

a. ai Comuni spettava l’esercizio delle regalie.

b. ai Comuni spettava l’esercizio delle regalie ma l’imperatore conservava la sua autorità formale.

c. tutti i poteri dovevano tornare all’imperatore.

Esercizio 4 · Completa il seguente brano nelle parti mancanti.

Al vertice delle istituzioni comunali in un primo tempo vi furono i che detenevano il potere . Il numero dei loro membri variava da un minimo di a un massimo di . La loro carica era di breve durata ed essi erano espressione del ceto ossia i magnati. Il potere legislativo, ovvero

era invece detenuto da . Quando i ceti imprenditoriali e mercantili divennero più forti, entrarono in conflitto con i magnati, e imposero la creazione di una nuova autorità, il . Questi aveva poteri limitati e proveniva da era inoltre spesso un esperto di . egli doveva garantire un governo cioè al di sopra delle parti. Infine, nel secolo, la piccola borghesia (chiamata popolo ) e raggruppata nelle ottenne la creazione di una nuova autorità, il del popolo, che aveva lo scopo di .

Esercizio 5 · I dati che ti presentiamo riguardano la crescita demografica in Italia dal 1000 al 1200, raffrontata all’Europa. Prova con questi dati a realizzare due istogrammi, uno per l’Italia e uno per l’Europa, disponendo su colonne parallele le cifre indicate (se necessario, fatti aiutare dall’insegnante di matematica).

CAPITOLO 11 257
1000 1050 1100 1150 1200 Italia 5,2 5,8 6,5 7,3 8,5 europa 42 46 48 50 61
Dati in milioni di abitanti. Dal libro di A. Bellettini, La popolazione italiana dall’inizio dell’era volgare ai giorni nostri, einaudi.
di Alessandria
di Spinello Aretino
Fondazione
Affresco
(1407-1408), Palazzo Pubblico, Siena

L’apogeo della civiltà medievale

L’aria delle città rende liberi… e creativi

L’età comunale si caratterizza per un rinnovato clima di libertà. All’interno dei Comuni, infatti, la servitù non esisteva più e non vigevano le regole feudali che sottoponevano gli individui a superiori da cui dovevano dipendere. In tutti i campi, da quello economico a quello politico, da quello religioso a quello artistico e culturale, questo clima favorì un rinnovato fervore che si tradusse in creatività, voglia di protagonismo, spirito di intraprendenza e nello sviluppo di idee nuove e originali. Le nuove tecniche mercantili e bancarie, le corporazioni, le confraternite, gli ordini mendicanti, le università, lo sviluppo del romanico e del gotico ne sono alcuni significativi esempi.

Purtroppo, però, vi è anche il rovescio della medaglia. Quella comunale era una società fortemente unitaria nella quale tutti i suoi membri erano legati da profondi vincoli di appartenenza e condividevano valori e ideali comuni. Chi in qualche modo non si riconosceva in questi valori e stili di vita, come gli ebrei, o li contestava alla radice, come i càtari, veniva visto come una minaccia e quindi era emarginato, escluso, combattuto anche con estrema violenza.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• San Francesco e san

Domenico: come correggere la Chiesa con l’esempio e non con la contestazione

• I càtari: “puri” da morire

• Essere bambini nel Medioevo

• Il teatro nel Medioevo

• Quanto fu difficile introdurre in Occidente i numeri arabi

• San Tommaso d’Aquino: quando la fede incontra la ragione

• Misurare il tempo, misurare la vita

• Il romanico e il gotico:

l’arte della pietra e della luce

• Il lavoro dell’uomo nel ciclo delle formelle del campanile del duomo di Firenze

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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12
Capitolo
per non perdere il filo

Perché si diffuse il motto

«L’aria delle città rende liberi»?

1 · Verso il pieno sviluppo della società comunale

Una grande esplosione di libertà e creatività

L’età comunale rappresentò probabilmente uno dei vertici nello sviluppo della civiltà medievale, almeno in molte aree del nostro paese. Nel precedente capitolo ci siamo occupati soprattutto degli aspetti politici e istituzionali legati allo sviluppo dei Comuni. Ora invece ci occupiamo di tutti gli altri aspetti, compresa la vita quotidiana. Un primo dato emerge con evidenza: nei Comuni italiani si respirava un’aria nuova, un’aria di libertà e di creatività, si lavorava intensamente, si costruiva, si studiava, si produceva e si commerciava, si creava. L’uomo comunale viaggiava, entrava in contatto con molte persone, imparava e trasmetteva conoscenze. Aveva un orizzonte sempre più ampio.

«L’aria della città rende liberi» Nei Comuni non esisteva più la sottomissione feudale. Chi viveva in città era libero, non era più sottoposto ai vincoli feudali, non aveva un “signore” da cui dipendere. E per questo non era raro che contadini servi della gleba fuggissero in città per cercar fortuna lavorando “in proprio”; una volta qui, il signore non era più in grado di riprenderseli. «L’aria della città rende liberi» si diceva, e questo era in gran parte vero. Anche i provvedimenti adottati dai Comuni spesso affermavano questo principio. Ad esempio, quando il Comune di Bologna procedette all’affrancamento (cioè alla liberazione) di tutti i servi della gleba abitanti nel suo territorio, emanò un decreto in cui si affermava che tutti gli uomini «sono creati liberi dalla natura» e che nel territorio della città non ci sarebbe dovuto essere più nessuno ridotto in condizione servile.

Un ricco ventaglio di appartenenze:

l’uomo non viveva da solo

Non si trattava però di una libertà intesa in modo individualistico. L’uomo libero non si concepiva da solo e isolato ma si associava con altri cittadini in molteplici modalità, era inserito all’interno di una ricca vita comunitaria. Una delle caratteristiche della vita comunale infatti era la presenza di varie associazioni. Ve ne erano di tipo territoriale come quartieri, rioni, contrade, “porte”. Vi erano le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, associazioni di cui facevano parte tutti coloro che esercitavano la stessa professione e che difendevano gli interessi dei lavoratori di queste categorie. Vi erano le confraternite religiose, che erano associazioni di fedeli che si ritrovavano insieme a pregare e a celebrare riti religiosi, ma anche a compiere opere di carità, assistere i bisognosi e i malati. Nelle città odierne che furono Comuni medievali, quasi tutti gli ospedali anco-

260 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

ra esistenti vennero fondati allora, per opera appunto di confraternite; sono dunque ininterrottamente in funzione da 700-800 anni!

Le appartenenze territoriali

Il territorio cittadino era diviso, come detto, in quartieri (o anche sestieri), in “contrade”, “porte”, “rioni” (i nomi potevano cambiare da città a città). Ognuno di essi aveva propri responsabili, gonfaloni, costumi, in parte riscontrabili ancora oggi. Ogni cittadino era orgoglioso di appartenere al suo territorio e questo sentimento si manifestava sia in tempo di pace che in tempo di guerra. I cittadini, infatti, erano fieri di difendere la loro città combattendo, come cavalieri o fanti, all’interno del proprio reparto costituito da persone che abitavano nella sua stessa zona. Ciascuno cercava di combattere con valore anche per non gettare discredito su tutta la sua comunità di appartenenza. Un’eco di questo fatto, e anche delle rivalità che spesso si accendevano tra i vari quartieri, è ancor oggi costituito da quello straordinario spettacolo che è il Palio di Siena.

Perché si dice che all’interno della vita comunale la libertà non era concepita in modo individualistico?

CAPITOLO 12 261
Bandiere delle diverse contrade senesi

Censimento Operazione con la quale si accerta il numero degli abitanti in un determinato territorio e le loro caratteristiche.

Perché si dice che la famiglia era allora concepita in modo più ampio rispetto ad oggi?

L’importanza dell’appartenenza famigliare

La famiglia era concepita con un’estensione molto più ampia rispetto ad oggi. Questo perché nella stessa abitazione convivevano numerosi parenti. Al suo interno le famiglie erano organizzate in modo gerarchico: era forte l’autorità degli anziani sui più giovani, dei genitori sui figli, dell’uomo sulla donna, dei fratelli maggiori sui fratelli minori. Per queste ragioni si parla di famiglia patriarcale, anche se non è esatto dire che la donna non avesse importanza. Nel Medioevo anzi non mancarono i casi di donne che raggiunsero posizioni di grande prestigio, e in generale esse avevano allora un ruolo sociale ed economico di maggior rilievo rispetto a quello che avrebbero poi avuto nei secoli successivi, ad esempio nei ceti borghesi del XIX secolo. Questa struttura patriarcale era caratteristica di tutti gli strati della società, non solo della nobiltà, ma anche delle famiglie borghesi e contadine. L’importanza della famiglia è confermata dal fatto che quando si effettuavano censimenti non si conteggiava il numero degli abitanti di una città ma quello dei “fuochi” cioè dei nuclei famigliari.

2 · Un’economia dinamica sostenuta dalle Corporazioni

Che cos’erano le Corporazioni delle Arti e dei

Mestieri

Perché sorsero le Corporazioni?

L’individualismo era assente anche nelle attività economiche e lavorative. Gli “imprenditori” erano consapevoli che il loro lavoro era al servizio dell’intera comunità cittadina e che, associandosi tra loro, potevano meglio sviluppare la loro attività, affinando regole e competenze acquisite e consolidate nel tempo. Per questo, all’interno dei Comuni, diedero vita alle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, associazioni che riunivano coloro che esercitavano la stessa professione e alle quali era d’obbligo essere associati per poter lavorare. Le Corporazioni assomigliavano un po’ alle associazioni professionali che esistono oggi, anche se allora avevano più potere. Spesso, infatti, assumevano, come abbiamo visto, compiti importanti nel governo dei Comuni e nominavano, scegliendoli tra i loro aderenti, le persone che dovevano rivestire cariche importanti nella città. Ogni corporazione aveva un suo statuto che stabiliva la paga dei lavoranti, il prezzo dei prodotti, l’orario del lavoro e del riposo, previsto la domenica e nelle altre feste religiose. Fissava, inoltre, le modalità con cui i prodotti dovevano essere realizzati (le dimensioni degli oggetti, gli ingredienti dei cibi, i tempi di cottura ecc.). Erano “regole” da rispettare per realizzare un prodotto perfetto (si diceva, e si dice ancor oggi per questo, fatto “a regola d’arte”). In tal modo chi acquistava il prodotto era sicuro della sua qualità.

262 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

Avevano anche una funzione sociale

Le Corporazioni, però, non si limitavano a questo; sostenevano i loro membri con aiuti economici e morali in caso di bisogno e li assistevano in caso di malattia. Finanziavano la costruzione di cappelle e di chiese dedicate al loro santo protettore e pagavano artisti perché le abbellissero con opere d’arte. Spesso, poi, i membri di una corporazione andavano a risiedere nella stessa strada dove aprivano le loro botteghe una di fianco all’altra (ancor oggi in tante città si possono trovare vie che portano il nome di queste attività come via dei conciatori, via degli orefici ecc.). In molte città le corporazioni finirono col tempo per dividersi in “arti maggiori” e “arti minori” a seconda del livello economico e di ricchezza e dell’importanza che le varie attività rivestivano all’interno del Comune.

“Andare a bottega”: così si iniziava a lavorare

I ragazzi che venivano avviati al lavoro si mettevano, come apprendisti, sotto la guida di un maestro. Andavano perciò “a bottega” da lui per apprendere i segreti del mestiere sotto la sua guida.

Emblemi delle arti di Orvieto del 1602 Pergamena, Museo dell'Opera del Duomo, Orvieto Come si vede, in questa come in altre città, le Corporazioni rimasero in vita a lungo, almeno fino al XVIII secolo.

Perché le Corporazioni avevano anche una funzione sociale?

Il maestro forniva all’apprendista anche la sussistenza materiale e, spesso, dei consigli di vita. Terminato il periodo di apprendistato, il giovane poteva aprire a sua volta una bottega, divenendo maestro e prendendo uno o più apprendisti presso di sé. Spesso i giovani si recavano a bottega in un’altra città proprio per fare un’esperienza più ricca. Nella bottega poi, oltre agli apprendisti, vi erano uno o più lavoranti, retribuiti con un salario. Questi lavoranti non facevano parte di nessuna corporazione e non godevano dei diritti concessi a chi invece ne faceva parte.

3 · Mercanti e banchieri sempre più protagonisti dell’economia

Un fiorire di fiere e mercati

Una conseguenza della rinascita dei commerci fu, come già accennato, lo sviluppo di grandi mercati, tenuti in determinati periodi dell’anno, le cosiddette fiere, che si affiancavano ai mercati locali, più piccoli e a cadenza settimanale. Le fiere erano organizzate in occasione di festività religiose (il nome derivava dal latino feria che significa “giorno festivo”), erano di grandi dimensioni e avevano cadenza annuale. Fino a tutto il XIII secolo le fiere più importanti d’Europa si tenevano nella Champagne, una regione del NordOvest della Francia. Qui ve ne erano ben sei all’anno, della durata di due mesi ciascuna a rotazione in quattro città diverse; la loro importanza era tale da richiamare mercanti da tutti i paesi europei e non solo, ed erano regolamentate da precise leggi. Col XIV secolo si affiancheranno a queste anche importanti fiere nelle Fiandre, l’attuale Belgio, soprattutto a Bruges.

Il mercante: una professione nuova

In questo rinnovato contesto economico la figura del mercante divenne una tra le più importanti. In una società statica, infatti, dove chi nasceva generalmente intraprendeva la professione paterna e si manteneva per tutta la vita nelle condizioni economiche iniziali, senza alcuna possibilità di miglioramento, il mercante era invece colui che, con pochi affari ben riusciti, poteva arricchirsi e così elevarsi di rango, raggiungere il successo e diventare una persona importante. Poteva, però, anche perdere tutto se l’affare andava male, se le merci per qualche motivo si rovinavano o non giungevano a destinazione, e questo succedeva con una certa frequenza per via dei briganti che infestavano le strade o a causa delle vie di comunicazione impervie e rischiose o di eventi meteorologici imprevisti.

In tal caso la sua situazione si capovolgeva ed egli si trovava sul lastrico, in miseria; ritornava al punto di partenza. Per questo la qua-

264 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

lità principale richiesta al mercante era il coraggio, l’amore per il rischio. Naturalmente non da solo: occorrevano spirito di intraprendenza e spregiudicatezza, astuzia e un buon bagaglio di conoscenze (“far di conto”, conoscere le leggi, le lingue e la geografia). Soprattutto occorreva avere soldi da spendere (“capitale da investire”) per poter comprare merci e organizzare il trasporto, comprese le scorte armate per proteggere i convogli. Segno dell’importanza sempre maggiore che i mercanti stavano assumendo nella società è il fatto che essi sono protagonisti di molti racconti e novelle di quel tempo, tra cui quelle indimenticabili raccontate nel Decameron dal grande scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio.

Riprende a circolare la moneta

La rinascita dei traffici creò anche nuove esigenze riguardo ai sistemi di pagamento. La moneta, che con il declino dei commerci in età feudale era pressoché scomparsa, sostituita dal baratto, ora riprese a circolare. Divenne però necessario utilizzare per i pagamenti monete accettate in paesi diversi. Le più importanti erano quelle messe in circolazione nelle città o negli stati dalle economie più ricche. La moneta più utilizzata divenne perciò in quel periodo il “fiorino”, coniato a Firenze, che assunse la funzione di moneta internazionale un po’ come ora sono il dollaro o l’euro. Altre monete diffuse

Perché tra le doti richieste a un mercante vi era soprattutto il coraggio?

265
Fiorino d'oro Staatliche Museen, Berlino

Gli usurai Dipinto della scuola di Marinus van Reymerswaele (1540), Museo Stibbert, Firenze

Perché divenne importante il fiorino?

erano il “bisante”, chiamato così perché coniato a Bisanzio e che anche nell’età precedente era rimasta insieme alle monete arabe l’unica utilizzata per gli scambi internazionali, e il “genovino”, coniato da Genova. Col crescere della potenza veneziana cominciò ad essere usato anche il “ducato” o “zecchino” coniato in questa città. Col fiorino, fra l’altro, si tornò dopo tanto tempo alla coniazione di monete d’oro che era stata interrotta in Occidente dopo Carlo Magno, quando l’oro era stato sostituito dalle monete d'argento.

I cambiavalute e le banche

Interesse

È la quota di denaro in più che, al momento della restituzione del prestito, deve dare chi ha ricevuto il prestito a chi gliel'ha concesso.

Perché nacquero i cambiavalute?

La circolazione di differenti monete tra una nazione o una città e l’altra rese indispensabile l’opera dei cambiavalute. Si trattava di persone che avevano dei banchi nei vari mercati sui quali scambiavano, per i mercanti, le monete straniere in valute locali. I cambiavalute però non si limitavano solo a queste operazioni: ricevevano anche denaro in deposito dai loro clienti e, quando la Chiesa cominciò a permetterlo, prestavano denaro a interesse . Queste attività ci fanno dire che i cambiavalute possono essere considerati i primi “banchieri” (il nome stesso, si rifà ai “banchi” su cui operavano).

Il problema dell’usura

Un’attenzione particolare merita il problema dell’usura. Per usura si intendeva allora il prestito di denaro a interesse, qualunque fosse l’entità di questo interesse, e questa pratica era stata condan-

nata e vietata per lungo tempo dalla Chiesa sia per ragioni di principio che pratiche. In linea di principio si riteneva immorale un arricchimento basato non sul lavoro ma sullo sfruttamento del tempo, che è un dono di Dio (e anche nella Bibbia si ritrovano condanne di tale pratica). Sul piano pratico il divieto era motivato invece dal fatto che, in un’economia di sussistenza come quella altomedievale, il prestito di regola era utilizzato dalla famiglie povere per poter acquistare generi di prima necessità e non per avviare attività economiche. Quasi sempre perciò colui che riceveva il prestito si trovava a spenderlo interamente e non era poi in grado di restituirlo, e questo provocava drammatiche conseguenze per lui e per la sua famiglia. Vietando il prestito a interesse la Chiesa limitò quindi i mali dell’usura che altrove invece divennero una tragedia sociale (si pensi ad esempio che in Cina non era raro che i contadini per pagare i debiti vendessero le loro figlie). Con lo sviluppo dell’economia e dei commerci dopo l’XI secolo divenne più frequente l’uso dei prestiti per investimenti, per creare cioè lavoro e quindi per aumentare la disponibilità di denaro; chi riceveva il prestito e lo faceva fruttare in attività lavorative redditizie, si arricchiva ed era perciò in grado di restituire il denaro ricevuto. Ciò spinse la Chiesa dopo lunghe riflessioni, anche sotto la pressione dei primi studiosi di economia, che erano per lo più frati francescani, a considerare legittimo questo tipo di prestito, purché l’interesse non fosse eccessivo. Il prestito a interesse venne così a distinguersi dall’usura vera e propria che si aveva quando l’interesse era elevatissimo.

Nuove tecniche finanziarie

Per i mercanti poteva essere un grave problema il trasporto in giro per l’Europa di grandi somme di denaro: molto elevato era il rischio di perderlo, nonché di essere depredati. Ciò portò all’invenzione di nuove modalità nell’effettuare i pagamenti. Il mercante, alla partenza per un lungo viaggio, versava al “banchiere” il suo denaro, ricevendo in cambio da questi una lettera ufficiale (lettera di cambio) in cui si dichiarava la somma versata. Una volta giunto a destinazione, il mercante poteva presentarsi a un banchiere locale associato a quello presso cui aveva depositato il suo denaro e, consegnando questa lettera, otteneva la somma pari a quella versata alla partenza. Così il mercante aveva sempre a disposizione i soldi senza doverli trasportare. Allo stesso modo, per i pagamenti da un mercante all’altro non era più necessario consegnare materialmente il denaro: bastava che un banchiere autorizzato dal mercante trasferisse la somma da pagare dal conto di questo al conto di colui che doveva essere pagato (giroconto). Come si vede, la difficoltà aguzza l’ingegno e l’ingegno era proprio la qualità fondamentale che garantiva il successo a un mercante.

Perché la Chiesa proibì inizialmente l’usura?

Perché si faceva ricorso alle “lettere di cambio”?

CAPITOLO 12 267

Cattedrale È la chiesa principale di una diocesi, dove ha sede il vescovo che vi celebra l’eucaristia. Il nome tardo latino cathedralis deriva da cathedra, il seggio su cui il vescovo esercitava il proprio ruolo di pastore.

Santi patroni Sono i santi riconosciuti come protettori di una città o di un paese. Ad essi è dedicata la chiesa principale che ne conserva solitamente delle reliquie.

Perché gli ordini monastici tradizionali non erano sempre ben visti dalla popolazione cittadina?

4 · Una religione per laici sempre più intraprendenti

Rimane viva l’autorità morale della Chiesa

In campo religioso rimase viva anche nell’età comunale l’autorità della Chiesa. Il suo insegnamento continuava ad essere ascoltato e a influire sulla vita delle persone. Nelle città la cattedrale rimaneva uno dei punti di riferimento per tutti anche visivamente, in quanto situata nel cuore del perimetro urbano. La vita della gente era ancora scandita dal tempo della Chiesa: gli uomini si riposavano la domenica e nelle festività, partecipavano ai riti religiosi, facevano penitenza nei periodi importanti dell’anno liturgico come l’Avvento e la Quaresima e facevano feste grandi a Natale e a Pasqua o in occasione della ricorrenza dei santi patroni . Spesso le grandi fiere e i mercati si svolgevano, come detto, proprio in occasione di festività religiose. In campo economico la Chiesa forniva precetti che tutti seguivano, come abbiamo visto a proposito del problema dell’usura. I monasteri continuavano a svolgere una funzione sociale. Nel tempo si erano arricchiti grazie a generose donazione e ricche eredità lasciate dalle persone più abbienti. Con questi proventi garantivano protezione ai ceti più poveri, costruivano e amministravano ospizi per pellegrini e ospedali (ancora oggi, molti antichi ospedali portano nella loro intitolazione alla Madonna o a un santo il segno di questa origine). Va detto, però, che spesso questo eccessivo arricchimento poteva favorire nei monaci una certa mollezza di costumi e la ricerca di una vita più comoda e agiata. Per questo motivo gli ordini monastici tradizionali non sempre erano ben visti dalla popolazione cittadina e si avvertiva l’esigenza di nuove forme di vita religiosa.

I “laici” diventano protagonisti della fede

Laico

Si dice di persona che non è ecclesiastica né appartiene a un ordine religioso. Ne abbiamo già fatto cenno parlando dei feudatari laici che si differenziavano dai “vescovi-conti”.

La novità proviene proprio da questo: gli abitanti delle città avvertivano l’esigenza di vivere la fede secondo forme nuove, più adatte alla vita cittadina. Volevano seguire da vicino l’insegnamento di Gesù, senza per questo farsi monaci, ritirarsi lontano dal mondo, rinunciare alla famiglia, al lavoro e alla vita di tutti i giorni. Erano laici che ritenevano di poter vivere fino in fondo da protagonisti la vita cristiana. Nacque così l’interessantissimo fenomeno delle confraternite a cui già abbiamo fatto cenno: mercanti, artigiani, imprenditori, membri delle Corporazioni si radunavano in questi gruppi per pregare insieme, riflettere sulla loro vita, avviare opere di carità, costruire o abbellire chiese. Alle confraternite, come alle Corporazioni, si deve, come già visto, la costruzione di ospedali e ospizi oppure l’edificazione o l’abbellimento di molte chiese.

268 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

Le principali mete di pellegrinaggio

Cammino di Santiago

Via Francigena

Via di San Michele

Via per gerusalemme (terra)

Via per gerusalemme (mare)

I pellegrinaggi

Un altro esempio di questa volontà di vivere in prima persona la fede era costituito dalla pratica dei pellegrinaggi cui abbiamo già fatto cenno parlando delle crociate. Si trattava di viaggi compiuti in gran parte a piedi o per mare, verso i luoghi ritenuti santi dalla Chiesa. Le mete principali erano, oltre alla Terra Santa, dove si potevano visitare i luoghi in cui aveva vissuto Cristo, anche Roma, sede del successore di Pietro (i pellegrini diretti a Roma erano detti Romei e il percorso veniva chiamato Via Francigena), Santiago de Compostela, in Galizia, nella parte nord-occidentale della penisola iberica, dove vi era il santuario contenente le reliquie di san Giacomo Apostolo (questo percorso veniva chiamato camino di Santiago). Altra meta importante era San Michele sul Gargano, in Puglia, dove la tradizione voleva fosse apparso l’arcangelo Michele.

Questi viaggi duravano mesi. Con un bastone, una bisaccia, un cappello a larghe tese per proteggersi dalla pioggia, il pellegrino si metteva in cammino verso la sua meta per fare penitenza dei propri peccati, per imparare a seguire Gesù, magari per sciogliere un voto .

Lungo il percorso vi erano ospizi gestiti dai monaci e alberghi presso cui si poteva alloggiare di notte e trovare conforto. Nonostante questo, i pellegrinaggi rimanevano molto pericolosi: si poteva essere assaliti e uccisi dai briganti, le donne potevano subire vio-

Solenne promessa fatta a Dio. Sciogliere un voto vuol dire mettere in pratica ciò che si è promesso. Coloro che si dedicano alla vita religiosa fanno i voti di povertà, castità e obbedienza.

CAPITOLO 12 269
Voto Mar Mediterraneo Mar Nero
Danubio Reno Nilo
Roma Venezia Pavia Marsiglia Milano Bari Costantinopoli Efeso San Michele al Gargano Gerusalemme Seleucia Santiago di Compostella Leon Roncisvalle Calais Amburgo Lubecca Brema Parigi Canterbury

Perché erano importanti per l’uomo medievale i pellegrinaggi?

lenze e aggressioni, si potevano contrarre malattie che minavano la salute, ma tutto questo non frenava la fiducia e l’entusiasmo di chi partiva. I pellegrinaggi avevano anche il merito di avvicinare persone provenienti da diverse località e paesi: le facevano sentire unite su uno stesso cammino e parte di un unico popolo.

Gli ordini mendicanti

Una forma più estrema di vita cristiana fu quella degli ordini mendicanti. In un’età in cui il richiamo del denaro e del successo economico prendeva sempre più piede all’interno della società borghese, molti giovani erano attratti invece dal messaggio cristiano nella sua radicalità: abbandonare tutto e seguire Cristo in totale povertà. Si distinsero per questa scelta due grandi personaggi vissuti a cavallo tra il XII e il XIII secolo: l’italiano Francesco d’Assisi e Domenico de Guzman, originario della Spagna ma attivo in Francia e in Italia. Costoro, vivendo alla lettera il richiamo evangelico alla povertà totale, cominciarono a raccogliere intorno a sé altri giovani affascinati da questa proposta di vita. Da loro nacquero i grandi or-

Papa Innocenzo III sogna san Francesco che sostiene la Chiesa Affresco di giotto (fine del XIII secolo), Basilica superiore, Assisi

dini mendicanti medievali, quello dei Francescani (detti anche Frati Minori) e quello dei Domenicani (o Frati Predicatori). I primi si dedicarono specialmente all’aiuto ai poveri e ai diseredati (i lebbrosi ad esempio) mentre i secondi alla predicazione della fede. In entrambi i casi gli appartenenti a questi ordini vivevano senza nulla, di sola elemosina.

5 · Gli “esclusi”: eretici ed ebrei

Gruppi e categorie sociali non assimilabili

La società europea che si era venuta a creare a partire dall’XI secolo si presentava compatta e ben strutturata attorno a princìpi e valori cristiani accettati da tutti e sotto la guida unitaria della Chiesa. Tuttavia nella realtà le cose erano più complesse. Vi erano infatti anche gruppi di persone che non si riconoscevano nel Cristianesimo e nei suoi princìpi oppure che non accettavano l'autorità del papa e della Chiesa. Queste persone non erano facilmente assimilabili all’interno della società, si ribellavano oppure vivevano come se fossero degli estranei ad essa. Si trattava da una parte degli ebrei e, dall’altra, degli eretici.

L’eresia càtara

Verso la metà del XII secolo si diffuse a partire dalle regioni meridionali della Francia, nella Linguadoca in particolare, una corrente religiosa ereticale chiamata Catarismo. Il cuore di questo movimento fu nella città di Albi (e per questo i càtari furono chiamati anche albigesi) ma la sua origine sembra essere ancor più lontana: alcuni studiosi ipotizzano addirittura che provenga da antiche religioni orientali diffusesi prima di Cristo. Secondo i càtari (parola di origine greca che significa “i puri”), solo lo spirito è puro, mentre la materia, e quindi anche il corpo umano, è interamente corrotta dal male. Esaltavano perciò la morte in quanto solo con essa l’uomo può liberarsi dall’impurità, sottraendo il suo spirito alla schiavitù del corpo. Anche avere dei figli era, per in càtari, sbagliato, in quanto ogni nuovo nato sarebbe stato anch’esso prigioniero della materia. Nonostante questa visione negativa della vita umana, il loro comportamento ascetico, fatto di penitenze e rinunce allo scopo di mortificare il corpo materiale, incuteva rispetto sia ai signori feudali che alla gente comune che li guardava talvolta con ammirazione, soprattutto se li confrontava con molti uomini di Chiesa che vivevano nella ricchezza e nel lusso. Tuttavia, la loro presenza e la diffusione delle loro idee costituivano un oggettivo pericolo per l’ordine della società: essi infatti non riconoscevano alcuna autorità né politica né religiosa, non rispettavano le leggi, non pagavano

Perché Francescani e Domenicani sono detti “ordini mendicanti”?

CAPITOLO 12 271

Perché l’eresia catara costituiva una minaccia per la società medievale? Legato Ambasciatore, inviato.

le tasse e non ritenevano si dovesse prestar fede ai giuramenti. Con loro, le nascite sarebbero diminuite e i matrimoni e le famiglie si sarebbero sfaldati. Inoltre, non rifuggivano, se necessario, dalla pratica della violenza.

La “crociata” contro i càtari

Abiurare

Rinunciare solennemente e pubblicamente alle proprie idee, in particolare in campo religioso.

Quando dei sicari càtari assassinarono un legato pontificio, il papa Innocenzo III bandì una crociata contro di loro (1209), affidandone l’esecuzione ai feudatari del nord della Francia i quali ne approfittarono per saccheggiare e conquistare le regioni meridionali che erano le più ricche del paese, massacrando brutalmente migliaia di persone. La fine della guerra contro di loro avvenne solo nel 1244 con la distruzione dell’ultima roccaforte che essi detenevano sui Pirenei, distruzione che pose termine in modo violento alla diffusione di questa dottrina. All’ultima fase del conflitto aveva preso parte direttamente anche il re di Francia, che ne approfittò per porre i territori meridionali sotto il suo potere. A questo va aggiunto che nel 1231, per combattere la diffusione di queste idee era stato creato dalla Chiesa un tribunale speciale, che dava la caccia agli eretici per sottoporli a processo (era l’inizio della cosiddetta “Inquisizione”). In tal modo, gli eretici che non si pentivano e non abiuravano erano affidati alle autorità civili che, nei casi più estremi, li mettevano a morte.

I “poveri di Lione”

Un altro movimento ereticale fu quello sorto, sempre in Francia, a Lione, ad opera di un ricco mercante, Pietro Valdo. Egli, colpito dal richiamo alla povertà contenuto nel Vangelo, decise di dare tutte le sue ricchezze ai poveri e di dedicarsi a una vita pura e casta. Nel 1173 costituì, con un gruppo di seguaci, il movimento dei “poveri di Lione”, che inizialmente non vollero porsi al di fuori della Chiesa. Purtroppo, però, una serie di incomprensioni, aumentate quando i seguaci di Valdo vollero dedicarsi alla predicazione delle verità di fede pur non essendo ecclesiastici e non avendone la preparazione, portarono allo scontro con il papa che li scomunicò. A seguito della scomunica, i “poveri di Lione” uscirono dalla Chiesa cattolica costituendo una Chiesa alternativa, detta da allora valdese, che esiste tuttora e che ha la sua sede principale in Italia, in alcune valli del Piemonte, dette perciò valli valdesi.

Gli ebrei: un corpo estraneo della società occidentale?

Particolare era la condizione degli ebrei. Essi vivevano dai tempi dell’Impero Romano all’interno della società occidentale ma erano visti con una certa diffidenza e ostilità soprattutto da parte del popolo. Era infatti diffuso un atteggiamento che potremmo chiamare di antigiudaismo, in quanto essi erano ritenuti colpevoli della con-

272 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

danna a morte di Gesù, il figlio di Dio, e per questo accusati di essere un popolo deicida. Si trattava quindi di un’ostilità che aveva alla sua origine una motivazione religiosa e non razziale (come avverrà per l’antisemitismo dei nazisti nel XX secolo). Questa accusa verso gli ebrei era del tutto infondata e le autorità della Chiesa non l’avevano mai legittimata, come non avevano mai giustificato atteggiamenti persecutori nei loro confronti (un decreto di papa Gregorio Magno difendeva anzi i loro diritti), ma purtroppo era diffusa a livello popolare. Va detto anche che il sentimento popolare, soprattutto in quelle zone d’Europa in cui era massiccia la presenza di ebrei sin dalla fine dell’Impero Romano, faticava ad accettare la presenza di persone che, all’apparenza uguali a tutti gli altri per fattezze e lingua, non erano assimilabili al resto della società per usi e costumi derivanti dalla propria religione, e che, anzi, affermando con fierezza la propria diversità, potevano a buon diritto essere considerati un popolo estraneo.

Con le mutate condizioni economico-sociali la situazione peggiora

La situazione cominciò a peggiorare a partire dall’inizio delle crociate. In tale circostanza, come abbiamo visto, si registrarono violenze e massacri ad opera dei crociati soprattutto nelle aree renane

Luoghi di diffusione dei principali movimenti ereticali in Europa tra XI e XIII secolo

Perché erano diffusi sentimenti antiebraici presso la popolazione?

CAPITOLO 12 273
Mar Mediterraneo
Reno
Danubio Roma Albi Lione Milano Carcassonne Catari Valdesi Pataria

Capro espiatorio

Nel linguaggio comune è qualcuno a cui viene attribuita la responsabilità di mali diffusi nella società; si pensa perciò, in modo del tutto irrazionale, che sacrificandolo, la colpa venga espiata e il male allontanato. Il termine fa riferimento al sacrificio rituale del capretto presso gli antichi ebrei.

e danubiane dell’Europa centro-orientale. In questo caso, però, alle motivazioni religiose si erano ormai aggiunte cause di tipo economico e sociale: agli ebrei non si perdonava il fatto che, potendo dedicarsi al commercio e soprattutto al prestito a interesse (pratica allora vietata dalla Chiesa) essi potevano arricchirsi, a danno dei cristiani poveri o di bassa condizione sociale, che erano quelli che avevano dato vita alle crociate “popolari” spontanee e senza guida. Oltre che di violenze gli ebrei erano fatti oggetto anche di calunnie (tra cui quella infamante e assolutamente infondata di praticare omicidi rituali, di uccidere cioè cristiani, soprattutto bambini, per sacrificarli nei loro riti). Per la verità anche in questo caso le autorità, sia civili che religiose, cercarono di difenderli, impedendo, ove riuscivano, queste violenze dettate dalla rabbia popolare. Lo stesso san Bernardo di Chiaravalle, intransigente predicatore della seconda crociata, intervenne in loro difesa con parole molto chiare («chiunque colpisca un ebreo per prendere la sua vita, è come uno che danneggia Cristo stesso…») e papa Innocenzo IV nel 1247 dimostrò l’assurdità dell’accusa di omicidio rituale. Rimaneva comunque diffusa l’idea che gli ebrei fossero un corpo estraneo con cui i cristiani non dovessero avere a che fare: nel IV Concilio Lateranense del 1215 si stabilì infatti che essi portassero dei segni identificativi (una rotella gialla cucita sull’abito) proprio per avvertire i cristiani della loro vicinanza e metterli in guardia dall’entrare in contatto con loro.

L’espulsione dai maggiori stati europei Quando, verso la fine del XIII secolo, la società europea cominciò a vivere i primi drammi della carestia e poi della peste e della guerra, gli ebrei divennero, nel sentire popolare, i capri espiatori a cui imputare tutte le colpe di questa situazione. Anche i sovrani, purtroppo, ne trassero conseguenze e iniziarono le espulsioni: gli ebrei vennero cacciati dall’Inghilterra nel 1290 e dalla Francia nel 1306. Sul declinare del Medioevo comunità ebraiche erano presenti ormai solo in Spagna, in Italia e in Germania. Al di là di atteggiamenti della Chiesa che sembrano contraddittori, almeno alla nostra mentalità moderna, va detto che per tutti i mille anni del Medioevo, Roma e lo Stato della Chiesa furono l’unico luogo nell’Europa occidentale dove gli ebrei non subirono mai violenze ed espulsioni.

274 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

6 · Un eccezionale sviluppo artistico e culturale

Un contributo determinante

I Comuni diedero alla cultura italiana ed europea un contributo determinante. Al loro interno, infatti, furono realizzati splendidi monumenti architettonici e capolavori artistici, si scrissero opere letterarie e filosofiche di fondamentale importanza. Mercanti e banchieri con i loro proventi finanziarono la costruzione di splendidi palazzi e di meravigliose cattedrali. Soprattutto nacquero all’interno delle maggiori città dei nuovi importantissimi centri di elaborazione culturale, le università.

Con le università si va verso un sapere più laico

Le università sorsero quando, nell’XI secolo, gruppi di studenti, bisognosi di accedere al sapere, anche allo scopo di avviarsi verso attività professionali sempre più complesse, si accordarono con dei docenti affinché divenissero loro insegnanti. Nacquero così queste nuove scuole che erano delle vere e proprie corporazioni di maestri e studenti. Prima il compito di trasmettere il sapere alle giovani generazioni era prevalentemente affidato alle scuole istituite presso le cattedrali o presso i monasteri. Si trattava però di un sapere finalizzato quasi esclusivamente all’accesso alla carriera ecclesiastica e basato su studi di carattere religioso e teologico. Ora invece, pur rimanendo la teologia e la filosofia la base di tutte le discipline, si affrontavano anche materie pratiche, “mondane”. Le prime università di cui abbiamo notizia sono quella di Salerno, dove esisteva già

Studenti in lettura Tomba di giovanni da Legnano, Jacobello e Pier Paolo dalle Masegne (fine XIV secolo), Museo Civico, Bologna

CAPITOLO 12 275

Retorica

Disciplina del parlare e dello scrivere bene cioè del saper organizzare un discorso in modo da convincere chi ascolta.

Dialettica

Disciplina del ben argomentare cioè del ragionare in modo logico e razionale.

Perché si dice che con le università si afferma un sapere sempre più laico?

una scuola di medicina, e quella di Bologna (fondata nel 1088) per lo studio del diritto; altri centri di studi di grande prestigio divennero Orléans per la grammatica e la retorica , Chartres e Oxford per le scienze, Parigi per la dialettica , la filosofia e la teologia. I docenti e gli allievi provenivano da ogni parte d’Europa e potevano essere sia laici sia ecclesiastici.

Che cosa si studiava

Goliardia

Termine che deriva dal personaggio biblico di golia, considerato nel Medioevo alla stregua di un diavolo. Con questo termine gli studenti volevano indicare, in modo anche provocatorio, il loro comportamento scanzonato e a volte scandaloso.

L’insegnamento era rigorosamente in latino, vera e propria lingua internazionale del tempo, e questo facilitava l’accesso agli studi a giovani provenienti da diversi paesi d’Europa, che si trasferivano dal loro luogo di origine in cerca delle università più prestigiose (e per tale ragione venivano anche chiamati “chierici vaganti”). Le università si dotavano di un proprio statuto, assumevano i docenti, provvedevano al loro alloggio e a quello degli studenti. Godevano di larga autonomia, garantita loro dalla protezione della Chiesa, e del particolare privilegio del “diritto d’asilo”, per cui non poteva essere arrestato nessuno che si rifugiasse in una sede universitaria. Questo creava negli studenti un clima di libertà e di spensieratezza che a volte si esprimeva anche in atteggiamenti indisciplinati o in grossolani scherzi (goliardia ) che agitavano la vita delle città, destando anche qualche preoccupazione riguardo all’ordine pubblico.

Gli studi comprendevano il trivio, cioè le arti cosiddette liberali (grammatica, retorica e dialettica) e il quadrivio, che prevedeva l’insegnamento di aritmetica, geometria, musica e astronomia. Ad essi facevano seguito gli studi specialistici superiori, che duravano fino a sei anni per la medicina e il diritto e otto per la teologia. Al termine di questo ciclo di studi l’allievo otteneva il titolo di dottore, che lo autorizzava anche a insegnare (dottore deriva dal latino docere che significa appunto insegnare).

Un metodo che valorizzava la ragione

Il metodo d’insegnamento nelle università si basava sulla lettura di un testo scritto, che poi veniva commentato dal docente e discusso liberamente dagli studenti. L’apprendimento era prevalentemente orale e, contrariamente a quanto si possa pensare, non si trattava di un insegnamento mnemonico e ripetitivo (lo diventerà nei secoli successivi); al contrario, si valorizzavano la discussione, la curiosità di approfondire, il ragionamento critico. A riprova di ciò vi sono i grandi studiosi che fiorirono all’interno di queste università, dai filosofi Tommaso d’Aquino, Anselmo d’Aosta, Alberto Magno, Pietro Abelardo, Giovanni Duns Scoto, agli scienziati Roberto Grossatesta, Giovanni Buridano, Ruggero Bacone, al giurista Graziano. La concezione della vita propria dell’uomo medievale fu espressa, tra il XIII e il XIV secolo, in opere monumentali e insuperabili come la Summa Theologica, di san Tommaso d’Aquino, che in

276 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

Cambridge

Oxford

Lovanio

Colonia

Treviri

Parigi

Orleans

Poitiers

Avignone

Magonza

Friburgo

Cracovia

Ingolstadt

Vienna

Danubio

Pavia

Vercelli

Padova Bologna

Perugia

Roma

Salerno

Le università fino al XV secolo

Siviglia

Alcalà

effetti è una vera e propria enciclopedia del sapere medievale, e la Divina Commedia di Dante Alighieri.

Le grandi stagioni del romanico e del gotico

Con l’XI secolo si ebbe in gran parte dell’Europa anche un risveglio delle arti, a partire dall’architettura. In molte città furono edificate bellissime cattedrali secondo uno stile che verrà definito romanico in quanto riprendeva alcune caratteristiche dell’architettura romana. Questo stile venne utilizzato anche nella costruzione delle chiese abbaziali dei monasteri e non solo nelle aree meridionali dell’Europa. A partire dal XIV secolo, invece, prevalse un nuovo stile architettonico che si diffuse soprattutto nel nord Europa, e in particolare in Francia. Per questo venne chiamato gotico (cioè “barbarico”). Le chiese si fecero più alte e slanciate, con facciate e campanili arricchiti da molteplici guglie e con finestre illuminate da splendidi vetrate. I costruttori di cattedrali, veri e propri maestri apprezzatissimi, anch’essi appartenenti a una corporazione, custodivano le tecniche di costruzione gelosamente, come dei segreti che si tramandavano di generazione in generazione. Tra i più importanti costruttori vi erano quelli provenienti dal nord Italia detti Maestri Comacini o Campionesi perché originari della zona compresa tra Como e Campione d’Italia.

prima del 1300

1300-1400

dopo il 1400

Perché il metodo di insegnamento praticato nelle università valorizzava la ragione?

CAPITOLO 12 277
Perché i due nuovi stili architettonici diffusisi a partire dall’XI secolo si chiamavano romanico e gotico? Reno Nilo
Salamanca Valladolid

METTIAMO A FUOCO

San Francesco e san Domenico: come correggere la Chiesa con l’esempio e non con la contestazione

Francesco da ricco mercante a “poverello di Dio”

Francesco nacque ad Assisi in Umbria, nel 1182, da un ricco mercante, Pietro Bernardone. grazie alle sue agiate condizioni economiche, poté permettersi una giovinezza frivola e spensierata nella quale partecipò anche a una delle tante guerre, di piccole dimensioni ma violentissime, che allora si combattevano tra i vari Comuni italiani. Sempre più insoddisfatto, però, di questa vita si avvicinò al Vangelo dal quale maturò la sua conversione e la decisione di dedicare tutta la sua esistenza a Cristo e ai poveri emarginati, a partire dai lebbrosi, vivendo nell’assoluta povertà. La fama della sua vita si diffuse rapidamente e attorno a lui si raccolsero migliaia di giovani decisi a seguirlo, vivendo come lui in povertà, preghiera e carità.

Il grande spirito di obbedienza alla Chiesa

Un’altra caratteristica che lo contraddistinse fu lo spirito di obbedienza alla Chiesa e al papa. A quei tempi infatti non era infrequente che persone desiderose di una autentica vita evangelica, di fronte allo scandalo dato dal comportamento degli alti ecclesiastici, si ponessero al di fuori della Chiesa e contro di essa, diventando eretici e fondando delle proprie chiese alternative. Francesco non fece nulla di tutto questo: cercò sempre, al contrario, di rimanere dentro la Chiesa, chiedendo ai papi l’approvazione per il suo operato.

Potremmo dire che Francesco mise in pratica un principio fondamentale del Cristianesimo: che di fronte allo scandalo, più che la ribellione è utile l’esempio. Nel 1210 fu approvata per la prima volta dal papa la regola del suo ordine che egli chiamerà dei Frati Minori. Molte altre esperienze importanti contrassegnarono la sua vita instancabile: dal tentativo, nel 1219, di convertire il sultano d’Egitto alla fede cristiana, alla predicazione fuori dai confini del nostro paese, all’esperienza straordinaria delle stimmate, le ferite sul corpo simili a quelle di gesù, che egli ricevette in modo miracoloso, nell’eremo della Verna, nel Casentino. Fu proclamato santo da papa gregorio IX, appena

due anni dopo la morte (nel 1228) e, insieme a Caterina da Siena, è patrono d’Italia. Ricordiamo anche che una sua composizione poetica, il Cantico di Frate Sole (conosciuto anche come Cantico delle Creature), costituisce una delle prime e più alte manifestazioni della letteratura italiana.

San Domenico: il battagliero predicatore della fede

Domenico de guzmàn nacque da una nobile famiglia a Calaruega, in Spagna, nel 1170. Dopo gli studi universitari, divenne sacerdote all’età di ventisei anni. Spinto da un forte desiderio di difendere la fede cristiana in un’epoca di crescenti eresie, fondò nel 1206 l’ordine dei Frati predicatori, dediti alla vita di preghiera, allo studio e alla predicazione. La sua decisione incontrò il consenso di papa Onorio III che ne approvò la regola e, da allora, l’ordine dei frati domenicani si diffuse rapidamente in tutta Europa. Domenico morì nel 1221 a Bologna, dove aveva istruito i suoi primi frati, e fu canonizzato nel 1234 da gregorio IX. San Francesco e san Domenico, pur molto diversi nel temperamento, ebbero in comune il senso dell’assoluta fedeltà al Vangelo e alla Chiesa e, per questo, diedero un contributo decisivo al rinnovamento della vita religiosa cristiana in una fase di tumultuosi e drammatici cambiamenti. Con una vita esemplare rafforzarono la fede dei loro contemporanei e riavvicinarono al Cristianesimo molti che se ne stavano allontanando. Con la loro dottrina contribuirono a combattere le più pericolose eresie che si stavano diffondendo e che mettevano in pericolo la corretta trasmissione della fede.

278 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

METTIAMO A FUOCO

I càtari: “puri” da morire

Un Dio buono e un Dio malvagio

I càtari erano ossessionati dalla purezza (anche il loro nome trae origine dall’antico greco katharòs, che significa puro). Essi credevano che il mondo, in quanto materiale, fosse impuro e pieno di male e per questo fosse opera non di Dio, che è sommamente buono, ma di una divinità malvagia (Satana). Dio avrebbe creato solo lo spirito e tutto ciò che è spirituale mentre la materia, e quindi i corpi, sarebbero opera del Dio malvagio. La loro era quindi una concezione dualistica della divinità e di tutta la realtà. Per loro Satana, che per la religione cristiana è semplicemente una creatura, sebbene ribelle e votata al male, era invece un vero e proprio Dio, avverso e nemico del Dio buono ma potente quanto lui. Ciò non pare differente da quanto affermavano talune religioni orientali dell’antichità come, ad esempio, lo zoroastrismo, diffusosi in Persia attorno al VI secolo avanti Cristo e giunto poi fino in Occidente.

Il male è nella materia

Come detto, essi identificavano il male principalmente con la materia e con il corpo, anche quello dell’uomo, mentre il bene era identificato con lo spirito, l’anima. Da ciò derivavano alcune

conseguenze, anche singolari, sul piano della vita pratica. Essi rifiutavano e negavano tutto ciò che riguardava la materia e ne favoriva l’esistenza e praticavano un rigorosissimo ascetismo spirituale. Per questo rifiutavano i rapporti sessuali e la procreazione, negavano il matrimonio e, per quanto riguarda la vita sociale, non riconoscevano alcuna autorità. Rifiutavano inoltre il lavoro e il servizio militare, non pagavano le tasse e ritenevano i giuramenti privi di valore. Riguardo poi alla figura di Cristo, essi pensavano che fosse vissuto sulla terra solo come spirito e che il suo corpo materiale fosse stato solo un’apparenza, mentre l’intera Chiesa era opera di Satana.

L’astinenza, anche totale, dal cibo

L’aspetto sicuramente più singolare è che la maggior parte di loro si asteneva da determinati cibi e alcuni, chiamati “perfetti”, ne praticavano addirittura la rinuncia totale fino a lasciarsi morire, pensando così di raggiungere la completa purezza (questa pratica si chiamava endura).

Càtari espulsi da Carcassonne

Miniatura dalle grandes Chroniques de France (XV secolo), Bibliothèque Nationale, Parigi

CAPITOLO 12 279

METTIAMO A FUOCO

Essere bambini nel Medioevo

Una difficile sopravvivenza

Le condizioni di vita dei bambini nel Medioevo, come in tutte le società povere, non erano delle più facili. già sopravvivere dopo la nascita era un problema. gli studiosi hanno calcolato che un bambino su tre moriva entro i primi cinque anni di vita e le cause di questa elevata mortalità erano le più svariate: malattia, malnutrizione, mancanza di latte nelle mamme; a volte i bambini restavano soffocati durante il sonno, perché venivano posti nei letti degli adulti per riscaldarli dal freddo e finivano per essere schiacciati. Ma non era questo l’unico pericolo: purtroppo essi a volte venivano rapiti, o per chiederne riscatto o per essere venduti come schiavi.

Un’infanzia serena ma breve

Crescendo, però, il bambino era amato e circondato dall’attenzione da parte di tutta la famiglia. gli storici Arsenio e Chiara Frugoni, in un libro dal titolo Storia di un giorno in una città medioevale, descrivono la vita dei bambini nell’età comunale partendo dall’osservazione attenta di dipinti e miniature da cui ricavano curiose informazioni. I neonati erano fasciati in modo molto stretto come delle piccole mummie, perché si temeva che le ossa potessero crescere storte, e venivano posti in culle a dondolo (in qualche caso curiosamente appese al soffitto per economizzare lo spazio). Appena usciti dalle fasce, venivano vestiti come dei piccoli adulti (non esisteva la moda per l’infanzia!). Quando cominciavano a camminare, usavano girelli a ruote, esattamente come oggi. Anche i giochi erano in parte simili a quelli odierni: giocavano a palle di neve, alla guerra con spade di legno, a palla, a nascondino, con le trottole, con i fischietti, con cavallini di legno. Addirittura si giocava a colpire la palla con una mazza come una specie di hockey. Si facevano anche dei palloncini con le vesciche di maiale gonfiate.

Troppo presto al lavoro

Purtroppo, rispetto ad oggi, il tempo dell’infanzia allora era molto più breve. La vita media era più bassa e quindi si era costretti a diventare grandi prima. Ci si sposava in giovane età e i bambini di famiglie povere già a otto-dieci anni erano avviati al lavoro. L’istruzione avveniva fino a sei anni in casa e generalmente se ne occupava la madre. Poi, se le famiglie se lo potevano permettere, iniziava la scuola vera e propria. Le famiglie più ricche potevano ospitare in casa un precettore per i loro figli, che insegnasse a leggere, scrivere e far di conto. Altrimenti vi erano le scuole monastiche destinate a quei bambini che avrebbero intrapreso la carriera ecclesiastica. Solo successivamente si crearono scuole aperte a tutti e gratuite, presso le sedi vescovili. Tra i metodi usati per far apprendere (ma questa è una caratteristica che si ritrova in tutte le epoche del passato), vi erano la memoria e… le bacchettate, che potevano essere sulla schiena o sulle mani. Per i più bravi e fortunati, al termine di questa scuola, vi era l’università. In questo percorso scolastico era quasi impossibile che trovassero spazio le bambine. Esse rimanevano per lo più in casa ad apprendere le nozioni di vita domestica per prepararsi ad essere brave mogli e mamme. A volte, però, bambine di nobile famiglia avevano la possibilità di accedere agli studi. Anche le monache all’interno dei monasteri avevano questa possibilità e spesso conseguivano ottimi risultati, come dimostra ad esempio la celebre Ildegarda di Bingen, badessa e insieme grande studiosa nel campo delle lettere e della scienza.

280 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE
Giochi di bambini Dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio (part.), 1560, Kunsthistorisches Museum, Vienna

METTIAMO A FUOCO

Il teatro nel Medioevo

Secoli difficili per il teatro

Nella tarda antichità romana il teatro aveva conosciuto un notevole degrado. gli spettacoli comici erano pieni di volgarità e oscenità e nei circhi si assisteva ai giochi cruenti dei gladiatori o alle terribili uccisioni dei cristiani che venivano divorati dalle belve. Tutto ciò aveva finito per gettare una cattiva luce su tutto il teatro che, nel Medioevo, fu spesso osteggiato e guardato dagli uomini di Chiesa con diffidenza e sospetto. Le uniche forme di spettacolo comico sopravvissute erano le esibizioni nelle fiere e nei mercati di giocolieri, mimi e altri artisti girovaghi che intrattenevano il pubblico con giochi e scherzi piuttosto rozzi e di scadente qualità.

Si diffonde il teatro religioso

Molto diffuso fu invece il teatro religioso che accompagnava la liturgia e che si svolgeva inizialmente all’interno delle chiese. Si trattava per lo più di dialoghi recitati in latino, in occasione di ricorrenze religiose, che rappresentavano episodi biblici in modo piuttosto semplice e con testi ripresi dai vangeli senza nessuna particolare aggiunta (ad esempio il presepe vivente, che la tradizione attribuisce a san Francesco, con la visita dei pastori e dei re magi alla capanna, l’annunciazione, le scene della passione di Cristo, la scoperta del sepolcro vuoto la mattina di Pasqua). A poco a poco queste rappresentazioni si fecero più complesse e articolate: i dialoghi si arricchirono di nuove battute e frasi inventate, i personaggi acquistarono più importanza e vennero meglio caratterizzati, i costumi divennero più preziosi e ricercati. Anche le vicende rappresentate si fecero più complesse: si mettevano in scena, infatti, vite dei santi oppure racconti allegorici contenenti insegnamenti morali. Queste rappresentazioni, diffuse in molte parti d’Europa a partire dal XIII secolo, presero nomi differenti. In Francia si chiamarono Misteri e Miracoli, in Spagna Autos sacramentales, in Inghilterra Morality plays. In Italia si svilupparono le Laudi drammatiche. La più celebre fu quella di Jacopone da Todi, un poeta umbro dell’ordine francescano, intitolata Donna de Paradiso. Questa lauda rappresenta la morte

di gesù sulla croce con il pianto e il dolore della Madonna che assiste alla drammatica morte del figlio. Anche il linguaggio cambiò: in coincidenza con lo sviluppo della nuova religiosità cittadina, il latino venne sostituito dalle nuove lingue volgari. gli spettacolo non vennero più allestiti nelle chiese ma all’esterno, sui sagrati o nelle piazze, con veri e propri palchi. gli attori non erano professionisti o monaci, ma cittadini, spesso membri delle corporazioni.

Le “feste dei folli”

In particolari circostanze, ad esempio durante il carnevale, si organizzavano spettacoli comici singolari nei quali i partecipanti si divertivano a prendere in giro le autorità, spesso capovolgendo i ruoli. In questi spettacoli gli inferiori si burlavano dei superiori e gli studenti delle università; ad esempio, ridicolizzavano i loro professori rappresentandoli a cavallo di un asino oppure mettevano l’asino in cattedra. Questi spettacoli erano chiamati “feste dei folli” e, anche se ufficialmente proibiti dalle autorità, erano però poi nella pratica tollerati perché rientravano in quel clima goliardico diffuso presso gli ambienti universitari. Un’altra forma particolare di spettacolo era quella dei trovatori (così chiamati nel sud della Francia, con una parola di origine provenzale che significava grosso modo “compositore”). Si trattava di poeti girovaghi che andavano di corte in corte o nella piazze dei mercati raccontando storie di dame e cavalieri o recitando testi poetici con l’accompagnamento musicale. Saranno questi trovatori i primi poeti della storia della letteratura europea.

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IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Quanto fu difficile introdurre in Occidente i numeri arabi

Il mercante e l’aritmetica

Il sistema di calcolo basato sui numeri arabi fu introdotto in Occidente dal pisano Leonardo Fibonacci. Questi, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, ebbe modo di soggiornare a lungo, lavorando nei commerci, presso gli Arabi sia in Algeria che in Egitto e in Siria. Qui accumulò molte esperienze riguardo alla matematica e, tornato in patria, le fece conoscere attraverso un trattato, il Liber Abaci, pubblicato nel 1202. Si trattava di una specie di enciclopedia dell’algebra nella quale egli introduceva la numerazione araba e mostrava come essa rappresentasse un grande vantaggio nell’esecuzione dei calcoli. Il suo non era un interesse “puro”; non era un matematico di professione, attratto dai numeri. A lui interessava la matematica in funzione dell’attività commerciale. Le cifre arabe consentivano, a suo avviso, calcoli più agevoli e veloci rispetto a quelle romane fino ad allora usate. E per questo erano più funzionali alle esigenze di rapidità che i mercanti avevano nelle operazioni di compravendita e in quelle bancarie.

Le grandi resistenze

Nonostante l’evidente progresso, l’introduzione di questo nuovo sistema di numerazione incontrò molte resistenze. Ancora nel 1299, ad esempio, lo statuto dell’Arte dei cambiavalute di Firenze proibiva di farne uso pena una multa severa per ogni infrazione. Quali furono le ragioni di queste resistenze? Innanzitutto l’abitudine: chi è abituato a un sistema millenario, per quanto complesso e macchinoso, diffida sempre un po’ delle novità. Vi erano, però, anche altre ragioni: soprattutto si temeva che, essendo ancora ignorato da molti, questo sistema potesse portare a errori di calcolo o, peggio ancora, che potesse essere usato da chi era più impratichito per truffare o ingannare chi era meno esperto. Per queste ragioni ci volle ancora un secolo perché si arrivasse, verso la fine del Trecento, alla generale accettazione di esso. I numeri arabi fecero perciò la loro comparsa, prima che nei commerci, nei sistemi di scrittura delle date: un cronista importante quale il fiorentino giovanni Villani, ad esempio, vissuto a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, ne farà ampio uso nelle sue opere.

Cifre arabe orientali

Cifre arabe occidentali

Cifre del XII secolo

Cifre del XIV secolo

Cifre attuali

282 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE
L’evoluzione dei numeri arabi

PROTAGONISTI

San Tommaso d’Aquino: quando la fede incontra la ragione

Ragione e fede camminano insieme

San Tommaso d’Aquino è il più grande fra i teologi cristiani e uno dei maggiori sapienti dell’umanità. La sua opera ha lasciato un segno indelebile nella cultura europea, soprattutto perché ha saputo, seguendo l’insegnamento del grande filosofo greco Aristotele, valorizzare enormemente la ragione umana, mettendola in rapporto con la fede. Egli ritenne, infatti, che chi crede in Dio non deve rinunciare a cercare di capire con la ragione chi è Dio e com’è fatto. Mentre, al contrario, chi cerca la verità con la ragione deve, con umiltà, riconoscere che essa non può spiegare tutto e che quindi è possibile completare la propria ricerca affidandosi alla fede. Può sembrare, per un ragazzo della tua età, una questione molto difficile ma in realtà, se ci pensi bene, questo è ciò che ci accade tutti i giorni. Nella vita quotidiana, infatti, quante volte ci capita di fidarci di quello che altri ci dicono, ma poi vogliamo essere noi stessi a “vederci chiaro”, e quante volte, al contrario, se non riusciamo a capire tutto, ci convinciamo che è bene fidarci di quello che altri, di cui abbiamo stima, ci dicono. È esattamente questo che, con discorsi naturalmente più complessi, ha cercato di spiegare san Tommaso in tutti i suoi numerosi scritti.

La scelta di farsi domenicano

Tommaso nacque attorno al 1224, o forse nel 1221, nel Castello di Roccasecca, nelle vicinanze di Aquino in Ciociaria. Il padre era signore di quei luoghi mentre la madre era di origine normanna; la sua famiglia era legata all’imperatore. Avviato agli studi nell’abbazia di Montecassino, prese la decisione di farsi monaco, ma fu duramente ostacolato dai parenti che arrivarono a rapirlo e a imprigionarlo in un castello per circa un anno per fargli cambiare idea. Tommaso, però, restò fermo nel suo proposito, anche se poi scelse di entrare, nel 1244, nel nuovo ordine dei predicatori, anziché nei benedettini. Compiuti poi gli studi nella nuova università di Napoli, fondata da Federico II, venne avviato dai superiori a Colonia a continua-

re la sua carriera universitaria sotto la guida del grande maestro Alberto Magno.

Gli anni di insegnamento

Qui seppe conquistarsi grande fama al punto che gli fu assegnata la prestigiosa cattedra alla Sorbona di Parigi, dove insegnò insieme al più celebre teologo francescano del tempo, Bonaventura da Bagnoregio. I due ebbero un grande seguito presso gli studenti che affollavano le loro lezioni, anche se le loro visioni filosofiche erano diverse e non di rado contrastanti. Più legata all’opera del grande filosofo antico Aristotele, quella di Tommaso, più vicina a Platone, altro grande filosofo greco, quella di Bonaventura.

Un sapere enciclopedico

Molti sono stati gli scritti di Tommaso, in gran parte frutto del suo insegnamento e del suo rapporto quotidiano con gli studenti; tra essi il capolavoro rimane la Summa Theologiæ (“Somma Teologica”), in cui egli raccolse con linguaggio chiaro e rigoroso tutto il sapere cristiano del tempo nei vari campi della teologia, della filosofia, della morale, della politica e persino dell’economia. Morì nel 1274, nell’abbazia cistercense di Fossanova, mentre era in viaggio per recarsi a un concilio a Lione, dove era stato invitato dal papa, come suo consigliere.

San Tommaso d’Aquino

Dipinto di Carlo Crivelli (part.), XV secolo, National Gallery, Londra

CAPITOLO 12 283

IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Misurare il tempo, misurare la vita

Il tempo del contadino e il tempo del monaco Quando la vita dell’uomo si svolgeva prevalentemente nelle campagne, non si sentiva l’esigenza di misurare con precisione lo scorrere del tempo. A dettare il ritmo del lavoro era, infatti, la natura e a illuminare l’uomo per le sue attività era la luce del sole: l’uomo si alzava all’alba, terminava il lavoro al tramonto, si coricava col calare del buio (e questi tempi, come sappiamo, variavano da stagione a stagione). Affidandosi alla natura l’uomo ne adottava i ritmi molto blandi, senza avere l’assillo della precisione. Per la verità, con la diffusione del monachesimo, fu introdotto un altro criterio per misurare il tempo: la preghiera. Più volte al giorno, a intervalli regolari, i monaci si radunavamo per recitare le loro preghiere e la giornata era scandita da questi momenti che si alternavano a quelli in cui si svolgevano altre attività. Al tempo del contadino si aggiungeva, quindi, il tempo del monaco. E in questo secondo caso l’esigenza di una misurazione più precisa del tempo, con la quale calcolare esattamente l’intervallo tra una preghiera e l’altra, cominciò a farsi sentire. Fu all’interno dei monasteri che si crearono quindi, attorno al XII secolo, le prime “macchine” per misurare il tempo, macchine più comode e precise rispetto alle antiche meridiane (che di notte non si potevano usare) e clessidre. Si trattava di “svegliatori meccanici”, strumenti con meccanismi capaci di azionare rudimentali suonerie a intervalli regolari, così da indicare ai monaci il momento di radunarsi, soprattutto di notte.

Gli orologi “a scappamento” : dal pressappoco verso la precisione

Questi strumenti erano detti “a scappamento” e consistevano per lo più in una ruota che girava azionata da una forza esterna, un peso (e, in un secondo momento, una molla), che era controllata da un dispositivo che la frenava nel suo movimento, così da farlo procedere a scatti distanziati con assoluta regolarità. Senza questi dispositivi frenanti, la ruota si sarebbe mossa rapidamente e l’energia impressa su di essa si sarebbe esaurita subito. Fu da qui che nacque l’idea dell’orologio.

I primi, posti sulle torri delle città, comparvero attorno al 1300 e non erano altro che dei grandi “svegliatori”: segnavano infatti ancora le ore limitandosi a batterle. Successivamente, comparvero i primi quadranti per segnare le ore, ma con una particolarità: l’indice che segnava l’ora (quella che chiamiamo lancetta) era fisso ed era il quadrante che ruotava attorno ad esso. Solo in un secondo tempo le parti si invertiranno e sarà l’indice a muoversi e il quadrante, con marcate le ore, rimarrà fisso. Il battere delle ore poi veniva affidato sempre più spesso a degli “automi” meccanici che riscuotevano grande successo presso la gente. Si trattava di uomini o animali in ferro che battevano sulle campane o emettevano suoni (il più antico in Italia pare sia quello di Orvieto detto “Maurizio”, che risale al 1351; a Strasburgo tre anni dopo fu costruito un orologio con un gallo meccanico che ad ogni rintocco batteva le ali e cantava). Questi strumenti erano costosi e ancora imprecisi, soprattutto per gli attriti che frenavano i movimenti degli ingranaggi, e anche perché non si usava ancora la lancetta dei minuti, che fu introdotta solo sul finire del XVI secolo. Il margine di errore poteva variare dai venti minuti all’ora, al giorno: un po’ troppo per noi così abituati alla precisione!

L’orologio segna il tempo della città e del mercante

Ben presto la vita delle città venne regolata da questa nuova misurazione, soprattutto le attività di lavoro: l’apertura delle botteghe, le consegne delle merci, le udienze dei giudici e dei notai, le attività delle banche, l’inizio delle lezioni nelle scuole e nelle università verranno scanditi in questo nuovo modo (qualche studioso parlerà di “tempo del mercante” che si affianca al “tempo dei monaci”). gli uomini si abitueranno a svolgere le loro attività non più regolandosi sulla luce del giorno, ma guardando l’orologio e il ritmo della loro vita comincerà ad avere un andamento diverso, più frenetico e, come si direbbe oggi, sicuramente più stressante.

284 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

METTIAMO A FUOCO

Il romanico e il gotico: l’arte della pietra e della luce

Le chiese romaniche: luoghi di pace e di raccoglimento Dopo il Mille fiorì, soprattutto nell’Europa meridionale, uno stile architettonico chiamato “romanico” perché riprendeva alcuni caratteri dell’antica architettura romana. Le chiese in stile romanico, pur con qualche differenza, presentano molti tratti comuni e caratteristici e tutto, al loro interno, favorisce una profonda sensazione di pace e di raccoglimento. Innanzitutto presentano una facciata abbellita da decorazioni e con una grande finestra circolare, il rosone, che proietta la luce del sole fin sull’altare, mentre il resto della chiesa è in ombra per la quasi totale assenza di finestre laterali. L’interno è di solito diviso in tre navate, grandi corridoi separati tra loro da pilastri e colonne di varie forme e dimensioni. Di queste, la navata centrale confluisce verso l’altare rialzato sotto cui è situata la cripta, una cappellina sotterranea che conserva le reliquie del santo a cui la chiesa è dedicata. Il tetto, non più in legno ma in muratura, presenta soffitti con volte a crociera (a forma cioè di croce), che poggiano sui pilastri. La pianta è a croce latina, cioè con il braccio verticale più lungo di quello orizzontale (si dice a croce greca invece quando i due bracci hanno lunghezza uguale).

Il gotico, lo stile del nord

Diverso è invece lo stile delle chiese che verranno costruite, a partire dal XIV secolo, in Francia e che si diffuse poi in tutto il resto d’Europa. Questo stile verrà chiamato “gotico” proprio perché proveniente dal nord, la terra che si riteneva popolata

anticamente dai goti. La chiese gotiche sono più alte, tese verso il cielo come a significare l’uomo che vuole innalzarsi verso Dio. Le facciate sono riccamente decorate e arricchite da molteplici guglie appuntite, coronate a volte da statue di santi. L’interno, molto più elaborato rispetto alla semplicità delle chiese romaniche, è illuminato da luci multicolori provenienti da splendide vetrate a mosaico che ricoprono le grandi finestre laterali. Caratteristico dello stile gotico è poi l’uso di archi allungati verso l’alto, detti “a sesto acuto” che contribuiscono a rafforzare l’idea di un innalzamento verso il cielo. Queste chiese sono molto più grandi, spaziose e riccamente decorate rispetto a quelle romaniche, ma forse per questo anche meno raccolte. L’imponenza e la maestosità infatti possono, a volte, rendere più difficile la concentrazione e la meditazione dei fedeli. Sia le chiese romaniche che quelle gotiche sono ricchissime di sculture (si può parlare per loro di una vera e propria “arte della pietra e della luce”): statue, decorazioni, capitelli (le parti terminali delle colonne) che rappresentano Cristo o altre figure sacre, scene bibliche, ma anche animali fantasiosi, mostri che simboleggiano i peccati e i vizi dell’uomo. Talvolta queste figure mostruose sono poste all’esterno per significare che il peccato non trova posto nella chiesa.

Rosone della facciata con i simboli degli Evangelisti

CAPITOLO 12 285
Basilica di San Pietro a Tuscania (Viterbo)

LEGGIAMO L’ARTE

Il lavoro dell’uomo nel ciclo delle formelle del campanile del duomo di Firenze

Il campanile del duomo di Firenze, alla cui realizzazione ha partecipato anche il grande pittore giotto, si erge imponente a fianco della cattedrale e ospita sulle sue pareti esterne splendidi bassorilievi realizzati molto probabilmente dalla bottega dello scultore Andrea Pisano. Questi bassorilievi rappresentano con straordinaria efficacia il lavoro umano in relazione con l’opera di Dio. Va detto che la rappresentazione del lavoro umano, visto in particolare attraverso lo scorrere dei mesi dell’anno, fu una delle caratteristiche originali dell’arte medievale. Rappresentazioni scultoree o pittoriche di questo genere si trovano ed esempio, solo per citarne alcune, sulla fontana maggiore di Perugia, sull’ingresso del duomo di Modena, in una sala del castello del Buonconsiglio a Trento. Mai, nel mondo antico, il lavoro umano era stato rappresentato con così tanto interesse, segno che è stato con l’avvento del Cristianesimo che esso è stato nobilitato fino a diventare, ricordiamo il motto benedettino «ora et labora», il completamento della preghiera.

Il ciclo delle formelle

Le formelle del campanile del duomo di Firenze sono di grande interesse perché spiegano con chiarezza, più di altre raffigurazioni, il significato che gli uomini medievali attribuivano al lavoro. Sono bassorilievi di forma sia esagonale (l’esagono era la figura che simboleggiava i sei giorni della creazione) che romboidale, che decorano la parte bassa delle quattro pareti esterne. Si parte, sul lato ovest, con la rappresentazione della creazione di Adamo ed Eva da parte di Dio, segno che il lavoro dell’uomo, raffigurato nelle formelle successive, non è che la prosecuzione dell’opera creatrice di Dio. Seguono sugli altri lati le descrizioni del lavoro come frutto dell’ingegnosità umana con la quale l’uomo si realizza (tra questi l’astronomia, l’arte delle costruzioni, la medicina, la tessitura); il lavoro guidato dalle arti liberali cioè le discipline studiate nelle università e nelle quali la ragione umana assume un ruolo importantissimo e l’uomo raggiunge la perfezione con le arti della scultura, della pittura e dell’architettura; in-

fine, sul quarto lato, la rappresentazione dei sacramenti, cioè l’opera con la quale gesù trasforma l’uomo e lo eleva alla perfezione della santità, completando così la creazione divina.

L’arte del fabbro (in alto) L’arte dell’edificare (in basso) Formelle del campanile di Giotto, Bottega di Andrea Pisano (metà XIV secolo circa), Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

286 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE

1. L’età comunale, che raggiunse il suo culmine nel XIII secolo, rappresenta uno dei vertici della civiltà medievale. All’interno delle città italiane si respirava un grande clima di libertà e ferveva uno spirito di intraprendenza e di creatività; era forte, inoltre, lo spirito comunitario: i cittadini appartenevano a comunità più vaste, come la famiglia, il quartiere, il Comune appunto, la corporazione e la confraternita, e questa appartenenza era vissuta con orgoglio e con entusiasmo.

2. Le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri erano organizzazioni che accompagnavano e sostenevano la vita dei loro membri e di cui dovevano far parte tutti coloro che esercitavano un lavoro qualificato. Esse fornivano aiuto ai membri in difficoltà, stabilivano le regole di svolgimento del lavoro, i prezzi dei prodotti, le modalità con cui i prodotti dovevano essere realizzati, paghe e orari dei salariati. Grande sviluppo ebbero anche l’attività mercantile e quella bancaria; nacquero nuove forme di pagamento che garantivano più sicurezza nella circolazione del denaro: la lettera di cambio, antenata del nostro assegno, e il giroconto.

3. In campo religioso, l’autorità della Chiesa rimaneva ancora molto salda, ma nascevano nuove realtà ed esperienze a testimonianza del bisogno, sempre più avvertito dai fedeli, di vivere da protagonisti la propria fede. Essi si riunivano in confraternite per pregare, partecipavano ai pellegrinaggi. Seguivano la predicazione di personaggi carismatici come san Francesco d’Assisi e san Domenico di Guzman che crearono ordini mendicanti, subito accolti dalla Chiesa.

4. In questo fervore religioso presero piede anche forme ereticali quali quelle dei càtari e dei valdesi. Contro di esse, però, la Chiesa fu durissima: non vennero in alcun modo tollerate e vennero estirpate con la forza. Purtroppo in questo periodo si accentuò, soprattutto per motivazioni economiche, l’ostilità nei confronti degli ebrei. Durante le crociate si verificarono i primi massacri nei villaggi dell’Europa orientale e successivamente cominciarono le prime espulsioni dagli stati europei.

5. Nacquero in questo periodo anche le università, come corporazioni di studenti e professori. In esse si trasmetteva un sapere più aperto alle materie di uso pratico e si valorizzavano molto la ragione e l’apprendimento critico. La lingua usata da studenti e professori era il latino. Grande sviluppo ebbe, infine, l’arte, soprattutto con la fioritura dei grandi stili architettonici del romanico e del gotico.

CAPITOLO 12 287
RACCONTIAMO IN BREVE

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Che cos’erano le confraternite?

2. Come si svolgevano i censimenti nel Medioevo?

3. Dove si tenevano le fiere più importanti?

4. Quali erano allora le monete più utilizzate?

5. Quali furono le nuove tecniche finanziarie create dai mercanti e dai banchieri?

6. Quali erano le mete principali dei pellegrinaggi?

7. Dove si diffuse l’eresia càtara e in che modo fu estirpata?

8. Chi erano i “poveri di Lione”?

9. Quali accuse infondate venivano rivolte contro gli ebrei?

10. Come nacquero le università?

11. Quale lingua era usata nelle università?

12. Quali erano le caratteristiche dell’architettura romanica, e quali quelle del gotico?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Espulsione degli ebrei dall’Inghilterra

2. Crociata contro i catari

3. Creazione del tribunale dell’inquisizione

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri erano

a. associazioni che si occupavano di carità e di assistenza.

b. organismi che consentivano di governare i Comuni.

c. associazioni di liberi imprenditori che si davano delle regole per tutelare meglio il loro lavoro.

Nel Medioevo la famiglia

a. non aveva nessuna importanza.

b. era molto importane e in essa avevano un ruolo fondamentale le donne.

c. era molto importante e al suo interno era fortemente gerarchica.

Per usura si intende

a. il deposito di denaro presso le banche.

b. il prestito di denaro a interesse.

c. l’esistenza di diverse monete per ogni Comune.

288 L’APOgEO DELLA CIVILTà MEDIEVALE
1209 1231 1290

I càtari erano

a. una setta ereticale diffusa soprattutto in Francia e combattuta aspramente dalla Chiesa.

b. un ordine mendicante diffuso nel sud della Francia.

c. una corrente religiosa che si poneva contro la Chiesa e che si affermò in tutta l’Europa.

Le università erano frequentate

a. da coloro che intendevano intraprendere la carriera ecclesiastica diventando vescovi o abati.

b. da giovani provenienti da tutta Europa che volevano imparare a svolgere nuove professioni.

c. dagli apprendisti delle corporazioni.

Esercizio 4 · Dopo aver letto attentamente le parti riguardanti le attività mercantili e bancarie, immagina di essere un mercante e racconta in una specie di diario le attività da te svolte. In tale diario devi raccontare di un tuo viaggio verso una fiera del nord Europa, i preparativi, le difficoltà incontrate durante il viaggio e le attività svolte una volta arrivato alla meta. La tua narrazione non deve naturalmente contenere elementi anacronistici.

Esercizio 5 · Spiega i significati delle espressioni sotto riportate riguardanti i fenomeni religiosi diffusi nel medioevo, mettendo in luce somiglianze e differenze.

Ordini monastici tradizionali

Ordini mendicanti

Confraternite

Movimenti ereticali

Ordini monastico-cavallereschi

CAPITOLO 12 289
Castel del Monte, la più celebre residenza di Federico II Andria

I due poteri universali dall’apogeo al declino

Federico II e Bonifacio VIII: impero e papato a cavallo tra Medioevo e modernità

Federico II di Svevia, che si trovò investito, oltre che della corona imperiale anche di quella del Regno di Sicilia, fu sovrano energico e potente. Volle, con la sua azione spesso spregiudicata, ridare prestigio e autorità all’Impero, puntando, soprattutto nei suoi territori italiani, a realizzare uno stato accentrato ed efficiente, superando i particolarismi, limitando i poteri dei nobili e dei Comuni e scontrandosi in maniera anche durissima con il papato che temeva il suo eccessivo potere. Aperto nei confronti della cultura, mostrò idee innovative anche riguardo ai rapporti con l’Islam, verso il quale abbandonò ogni forma di politica aggressiva e cercò invece il dialogo.

Lo scontro nuovamente drammatico tra papato e impero, riaccesosi in questo frangente, occupò i decenni centrali del secolo XIII.

La temporanea vittoria del papa in questo scontro favorì il declino dell’Impero, e della casata sveva in particolare, ma al tempo stesso permise il rafforzamento dei nuovi stati nazionali, tra cui, soprattutto, quello francese. Per questo papa Bonifacio VIII, quando vorrà riaffermare il principio medievale della superiorità del papato, si troverà di fronte come nemico non più, come in passato, l’imperatore, ma proprio il re di Francia, e sarà un nemico potente e senza più scrupoli.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Castel del Monte: un capolavoro affascinante e misterioso

• Un’orda d’oro minaccia

l’Europa: i Mongoli

• In missione nel lontano Oriente

• Federico II: la meraviglia del mondo

• L’oltraggio di Anagni

• Ruggero Bacone e gli albori della scienza sperimentale

• Giotto cantore dell’età comunale

• Come si lavorava nella bottega di un pittore medievale

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 13
per non perdere il filo

Perché il papa era preoccupato per la salita al trono imperiale di Federico II?

1 · Federico II, la “meraviglia del mondo”

L’infanzia

Federico nacque a Jesi, nel 1194, figlio dell’imperatore Enrico VI e di Costanza d’Altavilla. Dalla madre ereditò, ancora bambino, il Regno di Sicilia (1198) mentre dal padre ricevette in eredità il Sacro Romano Impero (1220). L’unione di queste due corone, però, era tale da suscitare preoccupazione nei papi che, trovandosi circondati a nord e a sud dai domini imperiali, temevano di perdere la libertà tanto faticosamente acquistata con la lotta per le investiture.

Fin dalla giovane età, rimasto orfano di entrambi i genitori, Federico fu affidato a papa Innocenzo III, che ne divenne il tutore. Il papa lo fece allevare con ogni cura, si occupò soprattutto della sua istruzione e formazione culturale, ma cercò in tutti i modi di mantenere separato il trono di Sicilia da quello imperiale.

La contrarietà del papa alla sua nomina imperiale

Per questo motivo, nel 1209 Innocenzo III incoronò imperatore un altro pretendente al trono, Ottone IV di Brunswick, capo del partito guelfo. Ottone, però, tradì le aspettative del papa in quanto scese egli stesso in Italia per impossessarsi anche del Regno di Sicilia. Innocenzo, allora, lo scomunicò e appoggiò la candidatura a imperatore di Federico, in cambio della promessa di rinunciare alla corona di Sicilia. Successivamente Federico promise anche di organizzare una nuova crociata.

Federico ottiene l’Impero

Ormai tra Ottone e Federico era guerra aperta per la conquista del trono imperiale. Lo scontro decisivo non tardò ad arrivare e fu uno scontro dalle dimensioni europee. Da una parte, infatti, con Ottone era schierato il re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, mentre dall’altra vi era il re di Francia Filippo II Augusto (di questi due sovrani parleremo nel capitolo seguente). Il 27 luglio 1214 i due schieramenti si affrontarono a Bouvines, nel nord della Francia, in quella che verrà chiamata la “battaglia delle nazioni” perché, per la prima volta nella storia del nostro continente, si combattevano eserciti di nazioni europee: quello francese, quello inglese e le truppe tedesche dei due rivali. Da questo scontro uscì sconfitto Ottone

Perché la battaglia di Bouvines fu definita la “battaglia delle nazioni”’?

IV; Giovanni Senza Terra perse tutti i suoi possedimenti francesi e, soprattutto, Federico ottenne il titolo imperiale, col nome di Federico II, senza dover rinunciare allo scettro di re di Sicilia, come promesso al papa.

292 I dUE POTERI U nIVER sALI dALL’APOGEO AL dECLInO

Regno di Francia

Regno di Aragona

Cordoba

Lorena

Brandeburgo

Sassonia

Alsazia

Borgogna

Arles

Provenza

Turingia

Pomerania Slesia

Regno di Polonia

La crociata pacifica

Venezia

Mar

Regno

d’Ungheria

Mediterraneo Danubio

L'impero ai tempi di Federico II

domini degli Hohenstaufen

sacro Romano

Impero

Germanico

Regno

normanno di sicilia ereditato da Federico II

Patrimonio di san Pietro

Gerusalemme

Alessandria

CAPITOLO 13 293
La visione dello stato che aveva Federico II era nuova rispetto alla tradizione medievale. Ai suoi occhi l'imperatore doveva detenere tutti i poteri senza nessuna limitazione. Per questo cominciò a contrastare non solo il potere dei feudatari e dei Comuni, ma anche quello della Chiesa. Ben presto entrò in conflitto col nuovo papa, Onorio III, che inutilmente gli chiese di mantenere fede alla promessa fatta di organizzare una crociata, e col suo successore, il più energico e battagliero Gregorio IX, che giunse persino a scomunicarlo. A questo punto, Federico decise di partire ma, una volta giunto in Terra Santa, anziché combattere contro gli infedeli, firmò un trattato col Sultano d’Egitto con cui ottenne il controllo di Gerusalemme, di cui si autoproclamò re. I pellegrini vi avrebbero avuto, in tal modo, libero accesso. Egli non voleva sicuramente un conflitto dispendioso ma, soprattutto, sembra che non condividesse l’idea di una crociata e che fosse animato da un’intima simpatia verso l’Islam (già in precedenza aveva dimostrato questa apertura ad esempio reclutando mercenari musulmani come sue guardie del corpo). Il papa si sentì ingannato da questo atteggiamento e lo scomunicò di nuovo invadendo con le sue truppe il Regno di Sicilia. Federico, tornato in Italia, ottenne la revoca della scomunica in cambio della sua promessa di rispettare i diritti della Chiesa. Reno Nilo
Roma
Ravenna

Perché la visione dello stato di Federico II era innovativa?

Con le Costituzioni Melfitane organizza il Regno di Sicilia

Ora Federico era pronto per dedicarsi ai due compiti che riteneva importantissimi: organizzare il Regno di Sicilia, ponendolo sotto il suo pieno controllo, e sottomettere i Comuni dell’Italia settentrionale.

Nel 1231 promulgò le Costituzioni Melfitane, un insieme di leggi con le quali diminuiva il potere dei vescovi e dei baroni, ad esempio assumendo su di sé l’amministrazione della giustizia, e poneva fine ad ogni intromissione degli uomini di chiesa in campo politico e amministrativo. Per rafforzare anche simbolicamente il suo potere, diede il via alla costruzione di castelli e palazzi, tra cui il più celebre fu Castel del Monte in Puglia. Diede anche un grande impulso allo sviluppo della cultura: fondò, infatti, l’Università di Napoli, che oggi porta il suo nome, e favorì presso la sua corte, a Palermo, la nascita di una importante scuola poetica, la scuola poetica siciliana, le cui opere costituiscono una delle prime testimonianze della letteratura italiana in lingua volgare.

In lotta contro i Comuni

Con i Comuni dell’Italia centro-settentrionale, invece, Federico arrivò allo scontro. Revocò i privilegi che suo nonno, il Barbarossa, aveva concesso con la pace siglata a Costanza nel 1183. Quando poi i Comuni riorganizzarono la Lega Lombarda, egli li affrontò e, con l’aiuto del potente feudatario veronese Ezzelino da Romano e di alcuni Comuni ghibellini a lui fedeli, come Cremona e Pavia, li sconfisse duramente nella battaglia di Cortenuova nei pressi di Bergamo (1237).

Perché Federico II arrivò nuovamente allo scontro con i Comuni?

Gregorio IX, allora, lo scomunicò nuovamente e convocò un concilio a Roma con lo scopo di dichiararlo decaduto dal trono. La reazione di Federico fu però durissima: fece arrestare i cardinali che si stavano recando al concilio e marciò su Roma per catturare il papa che però, nel frattempo, era morto.

La resa dei conti finale

Lo scontro ormai era al culmine. Si era giunti alla resa dei conti finale non solo tra papa e imperatore ma anche fra guelfi e ghibellini. Il sogno di una collaborazione tra i due massimi poteri del Medioevo stava definitivamente tramontando.

Il papa successivo, Innocenzo IV, convocò un nuovo concilio, questa volta a Lione in Francia, dove si era rifugiato per avere maggiore protezione. Qui Federico fu nuovamente scomunicato e, addirittura, deposto. I suoi sudditi furono quindi sciolti dal giuramento di obbedienza nei suoi confronti.

Fu un duro colpo per l’imperatore: questa volta, infatti, i grandi feudatari guelfi ne approfittarono per dare avvio a una nuova ribellione. Anche i Comuni partirono alla riscossa e lo sconfissero in uno

294 I dUE POTERI U nIVER sALI dALL’APOGEO AL dECLInO

scontro a Parma nel 1248, mentre l’anno seguente in una cruenta battaglia a Fossalta, presso il fiume Panaro, anche suo figlio Enzo venne battuto dai bolognesi e catturato. La situazione si stava facendo molto difficile, ma Federico II era ancora pronto a riprendere la lotta quando la morte lo colse improvvisamente nel 1250, all’età di cinquantasei anni.

2 · Il Sacro Romano Impero inizia il suo declino

Manfredi: ambizioso quanto sfortunato pretendente al trono

Con la morte di Federico, la dinastia sveva si avviava al tramonto. A ereditare il trono imperiale fu in un primo momento il figlio Corrado IV, mentre il Regno di Sicilia fu usurpato dal fratellastro Manfredi, figlio naturale di Federico. Corrado IV morì però quasi subito, nel 1254, lasciando erede un figlio giovanissimo, Corradino. Manfredi, allora, riuscì a governare al posto del nipote, poi si fece incoronare nel 1258 re di Sicilia. Anche stavolta il papa non gradì questa scelta e offrì il trono di Sicilia a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, a condizione che accettasse di essere suo vassallo. Carlo accettò e scese in Italia con un consistente esercito per impossessarsi del regno. Nel 1266, nella battaglia di Benevento, sconfisse Manfredi, che disponeva di truppe di molto inferiori e che morì da valoroso in battaglia.

Duello tra un cavaliere francese e Manfredi Affresco proveniente dalla Tour Ferrande (XIII secolo), Pernes-Les-Fontaines, Francia

Perché il papa offrì il trono di Sicilia a Carlo d’Angiò?

Il tragico tentativo di Corradino

A questo punto rimaneva l’ultimo degli Hohenstaufen di Svevia, Corradino, che, sebbene giovane e con un esercito ridottissimo, cercò di opporsi a Carlo d’Angiò. Ancora una volta le città italiane si divisero: i guelfi si schierarono con gli angioini e il papa, i ghibellini con Corradino. La battaglia decisiva avvenne a Tagliacozzo, nell’Italia centrale, dove l’esercito svevo fu distrutto. Lo sventurato Corradino, caduto prigioniero di Carlo, fu fatto decapitare senza pietà a soli sedici anni nella Piazza del Mercato di Napoli. Finiva così in modo tragico la dinastia imperiale sveva.

Il grande interregno

Con la morte di Corrado IV, l’ultimo imperatore legittimo, e con il fallimento del tentativo di Corradino, si apriva un periodo di vuoto nella successione al trono imperiale. Si trattava di quello che venne chiamato grande interregno: non vi era un imperatore e i vari principi tedeschi si scontravano tra loro senza ottenere nessun risultato. Questa fase durò fino al 1273 quando riuscì a conquistare la corona imperiale Rodolfo, esponente di una nuova casata, quella degli Asburgo, detti così perché provenivano dal castello di Habsburg in

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Busto di Bonifacio VIII scultura di Arnolfo di Cambio (XIV secolo), Appartamenti Pontifici, Città del Vaticano

Lotaringia. Sia lui però, che il suo successore Alberto, si occuparono prevalentemente dei loro possedimenti in Germania (riuscirono ad esempio ad acquistare il Ducato d’Austria) trascurando l’Italia. In ogni caso, lo stato di salute dell’Impero non era dei più floridi: pur essendoci ora formalmente un sovrano che si fregiava del titolo imperiale, il suo potere sia sui principi tedeschi sia sui Comuni italiani era, di fatto, ridottissimo. Tuttavia, questa dinastia, che partì in sordina, avrà modo di crescere nel tempo fino a diventare un fattore determinante di tutta la scena politica europea almeno fino ai primi decenni del XX secolo.

Gli angioini a Napoli. La Guerra del vespro

Carlo I d’Angiò, preso possesso del regno, non riuscì però a conquistare il favore dei suoi nuovi sudditi. Attuò, infatti, una politica accentratrice, affidando l’amministrazione dello stato a funzionari francesi e inasprendo la pressione fiscale. Inoltre, i soldati francesi si comportavano spesso in modo sprezzante e vessatorio, attirandosi le ire delle popolazioni locali. Questo portò, il 30 marzo del 1282, allo scoppio di una rivolta generale dei palermitani contro gli angioini. Questa rivolta venne chiamata dei vespri siciliani perché ebbe inizio quando un soldato francese maltrattò una dama siciliana che all’ora del vespro usciva di chiesa. La rivolta divampò ben presto in tutta l’isola e si trasformò in guerra (la Guerra del vespro) allorché i siciliani chiesero l’aiuto di Pietro III, re del regno spagnolo di Aragona, a cui offrirono la corona. Durante questa guerra gli angioini dovettero lasciare l’isola e Pietro III venne incoronato re a Palermo il 4 settembre 1282.

Il conflitto tra angioini e aragonesi durò vent’anni e si concluse con la Pace di Caltabellotta del 1302. Questa pace stabiliva che la Sicilia sarebbe passata agli aragonesi spagnoli, mentre la parte continentale del regno, chiamata ora Regno di Napoli, sarebbe rimasta agli angioini.

Da questo momento il Meridione d’Italia fu diviso in due, e la Sicilia, ormai parte del Regno d’Aragona, rimarrà in mani spagnole fino al 1715.

3 · Anche il papato medievale verso il declino

La rinuncia di Celestino V e l’elezione di Bonifacio VIII

Dopo un lunghissimo conclave durato più di due anni, nel 1294 fu eletto papa un vecchio monaco eremita in fama di santità, Pietro da Morrone. Questi, timoroso di non essere in grado di svolgere questa missione e restio a lasciare la vita eremitica, non voleva assoluta-

Perché si parla di declino del Sacro Romano Impero?

Vespro

Parola di origine latina (vesper) che indica l’ora del tramonto. I vespri o vesperi sono le preghiere recitate, nella liturgia cattolica, proprio al calar del sole.

Perché Carlo I d’Angiò si inimicò i sudditi?

Perché scoppiò la Guerra del vespro?

Conclave È l’assemblea dei cardinali che si riuniscono a porte chiuse (conclavis significa “che si chiude a chiave”) per eleggere il papa.

CAPITOLO 13 297

Perché Celestino V rinunciò al papato?

mente accettare l’incarico. Fu però convinto, e divenne papa col nome di Celestino V. Dopo qualche mese però, sentendosi in balìa di forze più grandi di lui, impaurito dell’enorme potere conferitogli con questa carica e a disagio per lo sfarzo della corte papale, decise di rinunciare e tornare al suo eremo.

Gli succedette, allora, il cardinale Benedetto Caetani, fiero rivale di Celestino, che prese il nome di Bonifacio VIII. Egli fu l’ultimo pontefice che tentò di dare supremazia al papato nel Medioevo.

Lo scontro col re di Francia

Giubileo

Particolare ricorrenza (celebrata inizialmente ogni 50 anni, successivamente ogni 25) nella quale viene concessa un’indulgenza plenaria (cioè totale) e straordinaria a coloro che si recano in pellegrinaggio a Roma.

Bonifacio VIII inaugurò il suo pontificato proclamando quello che fu il primo giubileo della storia della Chiesa. Migliaia di pellegrini accorsero a Roma nella settimana santa del 1300 a pregare sulla tomba di Pietro, a fare penitenza e ad acclamare il papa.

Perché Filippo il Bello si scontrò con Bonifacio VIII?

Successivamente, forte anche del prestigio acquisito con il giubileo, emanò la bolla Unam Sanctam, nella quale ribadiva, in forma ancor più forte, quanto già affermato dai papi precedenti: il papa è l’autorità a cui tutti gli uomini devono sottostare per raggiungere la salvezza e anche i sovrani e gli imperatori devono, in quanto uomini, sottomettersi a lui in tutto ciò che riguarda la salvezza della loro anima. Al papa, inoltre, spetta anche il controllo della corretta gestione del potere politico. Questo documento aumentò le tensioni in atto tra il papato e il re di Francia, Filippo IV il Bello, che si erano già scontrati in precedenza. Il motivo dello scontro riguardava sia la tassazione che il re voleva imporre al clero francese, sia il controllo sull’operato dei vescovi. Di fronte alla bolla pontificia la reazione di Filippo IV fu durissima.

L’oltraggio di Anagni

Il re di Francia nel 1303 inviò contro il papa una spedizione militare, guidata dal suo cancelliere Guglielmo di Nogaret e dal nobile romano Sciarra Colonna, esponente di una famiglia nemica dei Caetani. Raggiunto mentre si trovava nel suo palazzo ad Anagni, Bonifacio fu aggredito e si disse anche che fosse stato colpito al volto dal Colonna (è il celebre schiaffo di Anagni). Fu un oltraggio gravissimo per il pontefice che ne morì poco dopo, per il dolore e l’umiliazione subìta.

Dopo di lui, il papato non riacquistò più il prestigio e la forza di un tempo. Come vedremo Clemente V, un papa francese, deciderà nel 1309 di spostare la sede del papato da Roma ad Avignone in Francia.

Lì i papi rimarranno fino al 1377, chiaramente sottomessi alla monarchia francese.

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VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA

Castel del Monte: un capolavoro affascinante e misterioso

L’ossessione delle geometrie perfette

Castel del Monte è uno dei capolavori architettonici più affascinanti e misteriosi che la civiltà medievale ci ha lasciato. Edificato da Federico II, probabilmente tra il 1240 e il 1250, troneggia ancora oggi, massiccio e imponente, dall’alto di una collina posta sull’altopiano delle Murge, in Puglia, nel territorio di Andria. La sua forma è unica al mondo, per certi aspetti bizzarra, originale, ma allo stesso tempo geometricamente perfetta fino all’esasperazione. Presenta, infatti, una pianta rigorosamente ottagonale, con otto torri, non più alte del corpo dell’edificio, poste sugli angoli dell’ottagono. All’interno si trovano sedici stanze disposte su due piani (quindi otto per piano) di forma trapezoidale, da cui si accede alle scale e alle camere delle torri. Il cortile interno segue la forma dell’edificio: è quindi anch’esso ottagonale. L’ossessivo ripetersi del numero otto e la forma complessiva della pianta hanno spinto coloro che si rivolgono al passato in cerca di segreti e misteri a ipotizzare la presenza nell’opera di qualche significato misterioso, magari un codice segreto che riveli chissà quale messaggio rivolto a qualcuno, o pochi, in grado di decifrarlo (si tratterebbe, perciò, di un messaggio esoterico). Oppure si tratterebbe di riferimenti astrali, tenendo conto degli interessi culturali di Federico II, incline a occuparsi anche di queste tematiche. si può notare, infine, che esso riprende, nella sua forma, quella della corona sveva con cui fu incoronato imperatore. In realtà, la maggior parte degli studiosi nega la presenza di tutti questi significati nascosti e ritiene più semplicemente che la forma dell’edificio riveli un grande interesse per la geometria e la voglia di creare figure geometriche perfette e armoniose.

Essenziale all’esterno, raffinato all’interno, e con colori straordinariamente cangianti Costruito in vari materiali, la pietra calcarea locale, il marmo, la breccia corallina, presenta un’altra singolare caratteristica: i colori delle pareti cambiano sfumatura a seconda della luce del sole e dell’ora della giornata, con il prevalere di tonalità bianche

oppure rosa, a seconda dei casi. Essenziale nelle linee e nelle decorazioni esterne, il castello doveva essere raffinatissimo all’interno, con rivestimenti colorati e mosaici, anche se purtroppo di questi non è rimasta che una piccolissima parte. dell’arredo interno ci sono pervenuti intatti solo cinque camini, di cui tre al piano superiore, e le latrine.

A cosa serviva?

non esistono informazioni certe riguardo alle funzioni di questo anomalo castello. La maggior parte degli studiosi ritiene però che non avesse funzioni militari o difensive, in quanto non ha né un fossato né un ponte levatoio. non fu neanche una residenza (non è sicuro infatti che Federico vi abbia mai soggiornato). È probabilmente un edificio destinato a ospitare l’imperatore e il suo seguito quando si dedicava alle battute di caccia (anche se non vi sono stalle per ospitare i cavalli) e doveva fare da sfondo scenografico per eventi di rilievo. Vi si tennero, infatti, alcune feste nuziali di nobili del regno. Caduto in disuso e semiabbandonato dopo la fine degli svevi, ha conosciuto vari restauri a partire dal XIX secolo e oggi si presenta tra le costruzioni meglio conservate di quel periodo. L’Unesco nel 1996 lo ha inserito nel patrimonio mondiale dell’umanità.

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Vista sul cielo dal cortile interno di Castel del Monte

METTIAMO A FUOCO

Un’orda d’oro minaccia l’Europa: i Mongoli

Il feroce Gengis Khan

artefice del più grande impero della storia nel XIII secolo, proprio quando in Europa avveniva il durissimo scontro tra il papato e Federico II, si profilò all’orizzonte una nuova terribile minaccia proveniente da oriente. si trattava dei Mongoli, cavalieri nomadi che popolavano le steppe asiatiche e che dal secolo precedente avevano iniziato a espandersi sia verso est che a occidente. Li guidava un leggendario condottiero, Gengis Khan, che unì sotto il suo comando l’intero popolo e portò le sue conquiste fino all’Impero cinese da una parte, all’Afghanistan, al Turkestan, alla Persia, all’Armenia e alla Russia orientale dall’altra: probabilmente il più grande impero mai realizzato nella storia. I Mongoli erano forti di un’inarrestabile armata a cavallo, chiamata Orda d’oro, ma questo termine non deve trarre in in-

ganno. se per orda intendiamo una massa scomposta e disordinata, essi erano tutt’altro. Ciò che li rendeva forti era la perfetta organizzazione dell’esercito: cavalieri abilissimi nel combattimento a cavallo, rapidi negli spostamenti, con reparti ben strutturati a gruppi di dieci, cento, mille uomini e disciplina ferrea. nelle loro conquiste essi diedero prova anche di particolare crudeltà e ferocia: morte e devastazione, infatti, li accompagnavano e spesso, al loro passaggio, i villaggi venivano completamente distrutti e intere popolazioni sterminate.

La minaccia giunge al cuore dell’Europa

La morte di Gengis Khan, avvenuta nel 1227, non frenò la spinta espansionistica di questo popolo. sotto il suo successore, Ogodai, essi arrivarono fin nel cuore dell’Europa dove vennero chiamati

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Arabia Impero Bizantino 1221 1223 1222 1221 Bolgar Darband Tabriz Rey Nishapur Urgenc Merv Otrar

anche Tartari o Tatari. Intorno al 1240 conquistarono Kiev e il territorio dell’attuale Ucraina; nell’aprile del 1241 sconfissero in pochi giorni due eserciti europei mandati ad affrontarli, uno composto da tedeschi e polacchi e l’altro da ungheresi, e dilagarono poi nelle regioni occidentali. Invasa l’Ungheria si mossero alla volta di Vienna e spalato (nell’attuale Croazia). Alcune avanguardie raggiunsero Udine e si spinsero fino all’Adriatico. Fu solo la morte del loro condottiero, avvenuta nel 1241, a fermarli. Morto Ogodai infatti, le truppe mongole presero la via del ritorno in Asia per riunirsi in una grande assemblea che doveva eleggere il suo successore. In Europa non torneranno più: continueranno invece le loro conquiste in Asia. Importante fu nel 1258 la presa di Baghdad come pure la ripresa espansionistica sotto un altro mitico condottiero, Tamerlano, che nella seconda metà del XIV secolo mise a ferro e fuoco intere aree dell’Asia, dall’India fino alla siria.

I benefici della pax mongolica

I Mongoli nella loro avanzata diedero indubbiamente prova di brutalità e ferocia (anche se non dobbiamo mai dimenticare quanto di positivo racconta di loro Marco Polo nel suo celebre libro Il Milione). Tuttavia, la loro espansione non ebbe solo effetti negativi, ma produsse anche innegabili benefici. Essi, infatti, con il loro dominio, misero in relazione popoli e civiltà sino ad allora distanti e separati e aprirono nuove vie commerciali tra l’Europa e l’Asia, dopo che queste erano state rese difficili dall’avanzata araba. Per questi motivi gli storici hanno parlato positivamente della pax mongolica, usando un’espressione simile a quella usata per l’antico Impero Romano (la pax romana), che aveva avuto la stessa funzione: unificare vasti territori e consentire fecondi scambi e comunicazioni.

L'impero di Gengis Khan territori d’origine di Gengis Khan

domini mongoli nel 1206

Conquiste di Gengis Khan

CAPITOLO 13 301
Kirghisi Tatari Tibet India Impero cinese dei Sung 1219 1226-27 Ningxia Khbalik (Pechino)

NON TUTTI SANNO CHE

In missione nel lontano Oriente

Inviato speciale in Oriente in missione diplomatica non fu solo Marco Polo l’unico europeo a percorrere le vie del lontano Oriente. Altri, sia prima che dopo di lui, compirono lo stesso viaggio. Ricordiamo, tra i primi, il frate francescano Giovanni da Pian del Carpine che può, a buon diritto, essere considerato una sorta di inviato speciale in missione diplomatica, il primo europeo giunto in Oriente per avviare relazioni con quei lontani popoli. nel 1245, infatti, egli percorse oltre 10.000 chilometri per promuovere, su incarico del papa, la conversione dei Tartari al Cristianesimo e per chiedere loro di rinunciare alla conquista dell’Europa e di stipulare un’alleanza contro l’Islam. Egli riuscì, nel luglio del 1246, a raggiungere la corte del temutissimo imperatore Guyuk, nipote di Gengis Khan, che lo ricevette con cortesia e rispetto ma rifiutò le sue proposte. di lui, anche dopo il suo ritorno in Europa, si conserverà il ricordo e, quando i Polo arriveranno a Pechino, scopriranno che alla corte imperiale il Cristianesimo e le usanze occidentali erano ben conosciuti. di questo suo avventuroso viaggio egli diede uno straordinario resoconto nell’opera Historia Mon-

galorum, “La storia dei Mongoli”, opera che contribuì a far conoscere in Europa gli usi e i costumi di questo popolo lontano.

Il tentativo di convertire i Tartari al Cristianesimo

Una quarantina di anni dopo partì un altro missionario francescano, Giovanni da Montecorvino, inviato dal papa in Oriente, su richiesta dell’imperatore mongolo Kublai desideroso di istruire il suo popolo alla fede cristiana. di lui si hanno poche notizie. sembra che abbia tradotto in cinese il nuovo Testamento e abbia iniziato a celebrare la messa in quella lingua, operando molte conversioni. dopo alcuni anni riuscì a mettersi in contatto con il papa che lo ordinò vescovo di Pechino e inviò altri missionari che collaborassero con lui. Purtroppo della sua opera e di quella degli altri frati si persero in Occidente le tracce, ma il ricordo del Cristianesimo rimarrà vivo nel popolo cinese e quando, due secoli dopo, missionari gesuiti arriveranno in Cina, troveranno, per questo, accoglienza e disponibilità all’ascolto.

Grande muraglia cinese

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METTIAMO A FUOCO

Federico II: la meraviglia del mondo

Una cultura ricca e aperta dotato di intelligenza brillante, unita a una vasta cultura e a una grande sagacia politica, Federico II si meritò dai contemporanei l’appellativo di Stupor mundi (cioè “Meraviglia del mondo”). Egli seppe, con le sue qualità e la sua spregiudicatezza, precorrere i tempi, tanto da suscitare contemporaneamente entusiasmo e stupore nei suoi ammiratori e odio profondo nei suoi detrattori. dotato di un carattere ombroso e difficile, sapeva però anche mostrare grandi passioni ed entusiasmi. Il suo amore andò sempre alle terre del sud che aveva ereditato dalla madre e, per questo, si sentiva sia italiano che tedesco. sviluppò perciò una cultura molto aperta, fondendo insieme elementi italici, tedeschi, mediterranei e anche arabo-musulmani.

Il tentativo di creare al sud uno stato moderno dal punto di vista politico, egli si sentiva a tutti gli effetti un imperatore romano, chiamato a restaurare l’antica grandezza dell’Impero. Per realizzare questo suo progetto partì dal Meridione d’Italia dove cercò di realizzare uno stato moderno, accentrato ed efficiente. Per questo, limitò il potere dei grandi feudatari, come del resto era già avvenuto con i re normanni, e cercò di favorire la nascita di una moderna burocrazia, composta da amministratori pubblici e giuristi in grado di operare con fedeltà e rigore.

Per sostenere i costi della sua politica e far fronte alle spese per l’esercito che voleva forte e ben addestrato, introdusse un sistema fiscale gravoso, ma equo e uguale per tutti. Favorì lo sviluppo economico del regno attuando misure volte ad accrescere i commerci e le attività manifatturiere. Arrivò anche a coniare la prima moneta d’oro dai tempi di Carlo Magno, l’augustale.

Un grande amore per la poesia

nella sua corte, Federico II favorì un grande sviluppo culturale. Raccolse infatti molti poeti di varia provenienza, tra cui Jacopo da Lentini, Pier delle Vigne (che fu anche suo cancelliere), Giacomino Pugliese. Egli stesso, oltre a un trattato sulla caccia col falcone, una delle sue grandi pas-

sioni, scrisse testi poetici. Le opere di questi poeti, ispirate ai temi dell’amore cavalleresco e cortese, così come era cantato dai trovatori provenzali, pur non raggiungendo elevati vertici artistici, costituirono uno dei primi esempi di letteratura italiana in lingua volgare.

L’interesse per il mondo islamico

In anticipo sui tempi fu anche il suo interesse per il mondo musulmano, da cui provenivano molti sapienti che lui chiamò alla sua corte per essere istruito nei campi che più lo appassionavano: l’astrologia, la geografia e le scienze. Inoltre erano musulmani anche i mercenari che si occupavano della sua protezione personale.

Questa sua apertura verso il mondo islamico non poteva essere gradita e neanche compresa a quei tempi: per questo i suoi avversari finirono per accusarlo di eresia e lo descrissero spesso come l’Anticristo, anche a causa della sua politica antipapale. Viceversa i suoi sostenitori lo esaltarono come se fosse un “secondo Cristo” che avrebbe purificato la Chiesa da tutti i suoi mali.

La statua di Federico II al Palazzo Reale di Napoli

CAPITOLO 13 303

PARTIAMO DALLE FONTI

L’oltraggio di Anagni

Quella che ti proponiamo è la narrazione dell’episodio dell’oltraggio di Anagni fatta dal cronista fiorentino Giovanni Villani che fornisce dell’episodio una versione favorevole al papa. Bonifacio VIII emerge, infatti, per la sua serenità e grandezza d’animo, mentre i suoi avversari, intimiditi dalla sua personalità, non osano colpirlo. Altra notizia rilevante che emerge dal racconto è quella della rivolta dei cittadini di Anagni che cacciarono i Colonna e liberarono il papa.

«Trovandosi papa Bonifacio, coi suoi cardinali e con tutta la sua corte, ad Anagni, dov’era nato, in casa sua, nel mese di settembre 1303 sciarra Colonna, con 300 uomini a cavallo e con gente a piedi, una mattina presto entrò in Anagni con le insegne e bandiere del re di Francia. Giunti al palazzo papale senza incontrare resistenza, vi salirono e lo occuparono, perché l’assalto era stato improvviso e il papa e i suoi non stavano in guardia. Papa Bonifacio, sentendo il rumore e vedendosi abbandonato da tutti i cardinali, fuggiti e nascosti chi per paura chi perché gli era ostile, e vedendo che i suoi nemici avevano preso la terra e lo stesso palazzo ove egli era, si considerò morto; ma, valente e generoso com’era, disse: “Poiché mi tocca essere catturato a tradimento e morire come Gesù Cristo, almeno voglio morire come papa”.

E giunti presso di lui sciarra e gli altri nemici, lo schernirono con villane parole e lo arrestarono in-

sieme coi familiari che erano rimasti con lui. Ma nessuno ebbe l’ardire di mettergli le mani addosso; lo lasciarono, così parato com’era, sotto sorveglianza, e si misero a rubare il tesoro del papa e della Chiesa. Il valoroso papa rimase prigioniero dei suoi nemici per tre giorni, in questo dolore, vergogna e tormento; ma, come Cristo al terzo giorno risuscitò, così dio volle che papa Bonifacio fosse libero.

senza preghiere o altri mezzi, per sola opera divina, il popolo di Anagni, pentito del proprio errore e uscito dalla sua cieca ingratitudine, si levò improvvisamente in armi, gridando: “Viva il papa e muoiano i traditori!”; e, correndo per la città, ne cacciò sciarra Colonna e i suoi seguaci e liberò il papa e la sua famiglia».

1. Di quante persone si servì Sciarra Colonna per entrare in Anagni? Che insegne portava?

2. Perché Bonifacio VIII parla di tradimento?

3. Come si comportò Sciarra Colonna nei confronti del papa? C’è traccia in questa testimonianza del celebre schiaffo di cui altri hanno parlato?

4. A chi viene paragonato il papa quando si parla della sua prigionia?

5. Come si comportò il popolo di Anagni? È un comportamento simile a quello dei cardinali?

6. Quali particolari della narrazione ti fanno capire che l’autore del racconto parteggia apertamente per Bonifacio VIII?

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La Sala delle Scacchiere (o “Sala dello Schiaffo”) di Palazzo Bonifacio VIII ad Anagni (Frosinone)

IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Ruggero Bacone e gli albori della scienza sperimentale

La figura di Ruggero Bacone (1214 ca.-1292), filosofo e teologo, scienziato e alchimista inglese, è significativa di quale peso abbiano avuto nel Medioevo il pensiero scientifico e la ricerca tecnica. stabilitosi come insegnante all’università di Oxford dopo studi in quella di Parigi, Bacone fu un grande sostenitore del primato dell’esperienza come modo per acquisire conoscenze riguardo a ciò che ci circonda. sulla base di questo principio si immaginò, prima ancora di Leonardo da Vinci, cose che sarebbero accadute secoli dopo di lui. nel suo De secretis operibus artis et naturae IV (“sulle opere segrete dell’arte e della natura”) scrive infatti tra l’altro: «Arriveremo a costruire macchine capaci di spingere grandi navi a velocità più forti di un'intera schiera di rematori e bisognose soltanto di un pilota che le diriga. Arriveremo a imprimere ai carri incredibili velocità senza l'aiuto di alcun animale. Arriveremo a costruire macchine alate, capaci di sollevarsi nell'aria come gli uccelli».

Precursore di Galileo

secondo Bacone l'uomo può giungere alla conoscenza della realtà in due modi: con la conoscenza interna che viene da dio e con la ragione che esplora la realtà sensibile, quella che si percepisce con i cinque sensi. Quest’idea liberò l’uomo medievale dal convincimento che la ricerca non potesse comunque contraddire quello che i sapienti dell’antichità tenevano per vero e per utile. se dalla riflessione libera e dalla sperimentazione veniva fuori qualcosa di meglio quello valeva, anche se gli antichi la pensavano diversamente o non erano giunti a inventare ciò che si era inventato adesso.

si tratta di idee e spunti di riflessione che troveranno poi piena e sistematica formulazione e attuazione nell’opera di Galileo Galilei, vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo e che giustamente viene considerato il padre della scienza moderna, ma che presero vita già nel XIII secolo nell’opera di questo grande intellettuale e scienziato inglese.

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Ruggero Bacone in abiti francescani bilancia gli elementi del fuoco e dell’acqua. Illustrazione tratta da «Symbola Aurea Mensae Duodecim Nationum» di Michael Maier, 1617

LEGGIAMO L’ARTE

Giotto cantore dell’età comunale

Giotto (1266-1337) fu probabilmente la massima espressione pittorica dell’età comunale di cui esprime i valori e la sensibilità. La sua pittura è altamente innovativa e si discosta dai modelli bizantini su cui si reggeva tutta la tradizione artistica precedente. Analizzare la sua opera consente, quindi, di mettere ancora più a fuoco le caratteristiche della nuova mentalità comunale. Prendiamo in esame, a questo proposito, uno dei suoi tanti capolavori, l’affresco raffigurante san Francesco che restituisce le vesti al padre, che fa parte del ciclo di affreschi che il pittore dedicò, nella basilica di Assisi, al grande santo di cui era un ammiratore. La scena rappresentata mostra in particolare il momento in cui il santo consegna le sue vesti al padre ed è coperto con un manto dal vescovo presente nella piazza. Attorno vi è la folla dei curiosi e dei notabili della città, che esprimono sui loro volti vari sentimenti e varie reazioni (uno di essi trattiene per la mano il padre adirato). si può mettere a confronto questo dipinto con un’opera più antica di impronta bizantina che già conosci, il mosaico che rappresenta Giustiniano nella basilica di san Vitale a Ravenna (la trovi alle pagine 62-63).

Le domande che riportiamo possono essere di aiuto nello sviluppare tale confronto:

1. In cosa si differenziano i due sfondi?

2. Che cosa rappresenta, secondo te, lo sfondo dorato?

3. In quale ambiente è inserita la scena di san Francesco?

4. In quale delle due rappresentazioni il personaggio principale (san Francesco e Giustiniano) si muove e in quale invece è fermo e immobile?

5. Ti sembrano più espressivi i volti dei personaggi di Giotto o quello del mosaico di Giustiniano?

6. In quale delle due opere la figura umana ti sembra più piatta e in quale invece si nota una certa profondità e un certo spessore?

Ti suggeriamo, a questo punto, alcune conclusioni. Giotto rappresenta il santo colto in un momento di vita quotidiana, in mezzo agli uomini del suo tempo, nella sua città. non è isolato, avvolto dalla luce e lontano dagli uomini. La città, poi, è rappresentata in tutta la sua vivacità e ricchezza. Vi sono i palazzi visti nella loro profondità (è la tecnica della “prospettiva” con cui si cercava di rappresentare la dimensione spaziale) e i personaggi non sono immobili come statue ma si muovono, esprimono sentimenti. Il santo, per Giotto, era un uomo profondamente immerso nella vita cittadina. Viveva la sua fede, pregava, compiva gesti di carità, nel rapporto quotidiano con le persone che aveva intorno. non fuggiva fuori dalla città e dal mondo per cercare la beatitudine in luoghi appartati e lontani. Tutto questo corrispondeva proprio alla nuova sensibilità cittadina e comunale: gli abitanti del Comune erano attivi, intraprendenti, vivevano all’interno della loro comunità dove cercavano di vivere la loro fede e di realizzare la loro vita dentro le attività quotidiane.

Giotto: un lavoro di squadra Ricordiamo anche, al termine di questo approfondimento, che Giotto fu pittore ma anche imprenditore. Oltre che a Firenze egli creò una serie di botteghe in diverse città italiane: Milano, Padova, Ravenna, Assisi, Roma, napoli, dove si recava periodicamente a impostare nuovi dipinti, sviluppati poi dai suoi collaboratori, e successivamente a concluderli e rifinirli dipingendo di persona ad esempio le parti più impegnative come i volti e altri particolari. I suoi collaboratori dipingevano poi anche in proprio. Grazie a ciò lo stile giottesco si diffuse rapidamente e ne restano tracce anche dove gli affreschi di Giotto sono andati perduti. Giotto venne poi talvolta incaricato da Firenze di agire pure come suo ambasciatore. Fu ad esempio in tale veste presso Azzone Visconti, signore di Milano. Fu quindi oltre che pittore e imprenditore, anche diplomatico.

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CAPITOLO 13 307

IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Come si lavorava nella bottega di un pittore medievale

La bottega: anche una fabbrica di colori e di vernici

La bottega dei pittori medievali era anche una fabbrica di colori, di vernici, di pennelli e così via. diversamente da oggi infatti questi materiali non si trovavano già in vendita, e ogni bottega doveva produrseli. Alle dipendenze del maestro lavoravano quindi molte persone. non solo pittori o aspiranti pittori ma anche lavoranti, muratori e manovali che si occupavano della produzione dei color e degli strumenti di lavoro e della preparazione delle tavole e dei muri su cui si sarebbe dipinto. C’erano poi i pittori che aiutavano il maestro nelle opere di maggiore impegno oppure realizzavano le opere meno impegnative. si tenga infatti conto che alle botteghe d’arte ci si rivolgeva anche per la fornitura di insegne, gonfaloni e altri oggetti dipinti, che costituivano anzi in genere il grosso della produzione. Poi c’erano i discepoli, presi a bottega senza compenso per imparare il mestiere del pittore. Il loro apprendistato poteva durare anche tredici anni.

Come si costruivano i colori e si realizzavano le tavole e gli affreschi

Cennino Cennini, pittore vissuto nel XIV secolo e influenzato da Giotto, nel suo testo Il libro dell’Arte ci descrive nei dettagli il lavoro che veniva svolto nelle botteghe. spiega da quali piante o minerali si ricavavano i vari colori (a volte non erano reperibili in Italia e si doveva importarli da paesi lontani), come andavano macinati e con che cosa li si doveva mischiare per renderli applicabili (albume d’uovo, latte di fico, fiele di bue o altro). spiega poi come costruire e conservare i pennelli e come preparare i muri e le tavole di legno sulle quali si sarebbe dipinto. In entrambi i casi la procedura era molto complessa. Per le tavole, che dovevano essere di legno di pioppo, si passava dalla deposizione di tre strati di colla, all’applicazione di una tela di lino sottile, all’ingessatura con due strati di gesso, alla lisciatura fatta con una ama passata sul gesso così da renderlo lucente. A questo punto la tavola era pronta per essere dipinta e decorata con sottilissime lamine d’oro. Quando poi il dipinto era ben asciutto, su di esso si passava una

vernice trasparente che serviva sia a proteggerlo che a renderlo lucente. Complessa era anche la tecnica dell’affresco, cioè del dipinto su muro. Qui entravano in azione dapprima i muratori, che stendevano sulla parete un primo strato di intonaco grezzo, sul quale veniva poi tracciato un reticolo; tenendo conto di esso il pittore tracciava a carboncino il disegno dell’opera da realizzare. Poi passava sul tracciato a carboncino con un pennello intinto in un colore rosso, realizzando quella che si chiamava la “sinopia”, base del futuro dipinto. Ogni giorno poi un muratore, badando bene a non cancellare la sinopia, provvedeva a stendere un sottile strato di intonaco, detto “tonachino”, sulla superficie che il maestro stimava di poter dipingere in una giornata, cioè prima che il tonachino si asciugasse. L’affresco infatti così si chiama perché deve essere dipinto sull’intonaco fresco in modo che il colore si mischi con esso indelebilmente. solo per l’azzurro non si era trovato un colore adatto all’affresco. Lo si doveva dipingere a tempera, e per questo è giunto fino a noi spesso danneggiato (come bene si vede negli affreschi di Giotto).

308 I dUE POTERI U nIVER sALI dALL’APOGEO AL dECLInO
sinopia tonachino

1. Federico di Svevia ereditò dal padre Enrico VI la corona imperiale e dalla madre Costanza d’Altavilla il Regno di Sicilia. La presa di possesso di questi territori fu però per lui difficile: i papi cercarono in tutti i modi di impedire che le due corone si unissero nella sua persona. Il conflitto fra il papa e Ottone IV di Brunswick, incoronato imperatore al suo posto, e la vittoria nella battaglia di Bouvines (1214) favorirono però il suo successo. Egli riuscì a diventare sia imperatore che re di Sicilia.

2. Una volta incoronato imperatore, Federico II entrò in contrasto con i pontefici, soprattutto perché si rifiutò di partire, come promesso, in una crociata e di mantenere separate la corona di Sicilia e quella imperiale.

3. Volendo esercitare il pieno controllo sul Regno di Sicilia, limitò con le “Costituzioni Melfitane” il potere dei feudatari e della Chiesa, e cercò di creare un’amministrazione moderna ed efficiente. Nell’Italia settentrionale riprese la lotta contro i Comuni guelfi che sconfisse nella battaglia di Cortenuova (1237). A questo punto papa Innocenzo IV lo scomunicò di nuovo sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di obbedienza. La morte inaspettata di Federico nel 1250 pose, però, fine allo scontro.

4. Inutili furono i tentativi di succedergli sul trono da parte, prima del figlio naturale Manfredi e poi del nipote Corradino. Entrambi vennero sconfitti e uccisi dalle truppe francesi di Carlo d’Angiò a cui, dal papa, era stato offerto il Regno di Sicilia. Con la morte di Corradino finiva la dinastia sveva e il trono imperiale rimase vacante fino al 1273 quando divenne imperatore Rodolfo d’Asburgo.

5. Contro la dominazione angioina insorsero i siciliani nella Guerra del vespro. Essi chiesero l’aiuto di Pietro III d’Aragona che divenne re di Sicilia. Al termine di un conflitto ventennale il regno del sud fu diviso: agli angioini andò la parte continentale (Regno di Napoli) mentre gli aragonesi si insediarono in Sicilia.

6. Anche il papato si avviava verso un momento di crisi. Dopo la rinuncia di Celestino V al pontificato, venne eletto Bonifacio VIII, che organizzò il primo giubileo della storia, con enorme successo, e nel 1302, con la bolla

“Unam Sanctam”,affermò la superiorità del papa su tutti i sovrani. Si scontrò però col re di Francia Filippo IV il Bello che non esitò a umiliarlo, infliggendogli l’oltraggio di Anagni. Il suo successore, il francese Clemente V, sottomesso ormai alla volontà del re di Francia, nel 1309 trasferì la sede papale da Roma ad Avignone.

CAPITOLO 13 309
IN BREVE
RACCONTIAMO

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Quali territori ereditò Federico II dai genitori?

2. Quali schieramenti si affrontarono nella battaglia di Bouvines? Chi ne uscì vincitore?

3. Come si concluse la crociata di Federico II?

4. Che cosa stabilivano le Costituzioni Melfitane?

5. Quali furono gli interventi di Federico II in campo culturale?

6. Qual era l’atteggiamento di Federico II nei confronti del mondo musulmano?

7. Chi successe a Federico II?

8. Che cos’è il grande interregno’?

9. Come si concluse la Guerra del vespro?

10. Che cosa affermava la bolla Unam Sanctam?

11. Come si concluse lo scontro tra Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Battaglia di Cortenuova

2. Morte di Federico II

3. Inizio della Guerra del vespro

4. Oltraggio di Anagni

5. Battaglia di Bouvines

6. Battaglia di Benevento

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

A Federico II successe Manfredi che consolidò il potere imperiale.

Con l’uccisione di Corradino IV si estinse la casata sveva e iniziò il grande interregno.

Al termine del grande interregno il titolo imperiale passò agli Asburgo.

Gli angioini erano una dinastia spagnola.

Celestino V rimase papa a lungo.

Col giubileo del 1300 migliaia di pellegrini giunsero a Roma.

F

F

F

310 I dUE POTERI U nIVER sALI dALL’APOGEO AL dECLInO
V F
V F
V
V
V
V F 1214 1237 1250 1266 1303 1282

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

I papi ostacolarono la salita al trono imperiale di Federico II perché

a. avrebbe realizzato un impero grandissimo.

b. avrebbe unito la corona imperiale al Regno normanno di sicilia.

c. avrebbe minacciato la Chiesa.

Attuando le Costituzioni Melfitane Federico II

a. intendeva ridurre il potere della nobiltà e della Chiesa nel suo Regno.

b. intendeva favorire lo sviluppo dell’economia e dei commerci.

c. intendeva realizzare un’alleanza con gli arabi musulmani.

Con la Pace di Caltabellotta

a. si concluse la Guerra del vespro e la sicilia andò agli angioini mentre napoli passava agli aragonesi.

b. si concluse la Guerra del vespro con la sconfitta degli aragonesi.

c. si concluse la Guerra del vespro e la sicilia andò agli aragonesi mentre napoli rimase agli angioini.

Con la bolla Unam Sanctam Bonifacio VIII stabilì

a. che sovrani e imperatori dovevano sottomettersi al papa.

b. che sovrani e imperatori dovevano sottomettersi al papa per raggiungere la salvezza della loro anima.

c. che l’imperatore era superiore al papa.

Esercizio 5 · Questo brano contiene parecchie inesattezze e imprecisioni. Riscrivilo sul tuo quaderno di lavoro, correggendole.

Federico II, assunta la carica imperiale nel 1214 dopo la battaglia di Cortenuova, iniziò ad attuare una politica innovativa rispetto alla tradizione imperiale medievale. Volle infatti dare un potere pressoché assoluto all’imperatore e per questo cercò alleanze con i feudatari, i Comuni e la stessa Chiesa. Per ottenere il favore del papa organizzò una crociata che si concluse con la conquista di Gerusalemme. Con le Costituzioni Melfitane, cercò di organizzare al meglio il governo del Regno di sicilia, riducendo il potere dei vescovi e dei baroni ma lasciando loro l’amministrazione della giustizia. scomunicato e deposto dal papa Innocenzo IV, Federico accettò questa decisione e cercò di riconciliarsi con lui, ma inutilmente. Morì, nel 1250. all’età di cinquantasei anni. sul trono imperiale era pronto a succedergli il figlio Enzo.

CAPITOLO 13 311

Luigi IX discute con i suoi consiglieri al ritorno della crociata Miniatura da Le livre des faits de Monseigneur

Saint Louis (XV secolo)

Bibliothèque Nationale, Parigi

L’Europa nel XIII secolo: nascono gli stati nazionali

Un nuovo volto per l’Europa: il Medioevo si avvia al suo termine

Nel corso del XIII secolo prese consistenza in Europa il processo di formazione degli stati nazionali.

La Francia e l’Inghilterra, in particolare, assunsero, seppur in modo diverso e opposto fra loro, le caratteristiche di veri e propri regni ormai del tutto svincolati da papato e Impero, e sempre più apertamente in competizione con essi.

I due grandi poteri sovranazionali che avevano fino ad allora guidato la cristianità, sia sul piano politico che su quello spirituale, sembravano così avviarsi a un lento, ma inesorabile declino.

Ma c’è un altro elemento che evidenzia la crisi, anche ideale, del Medioevo. Si tratta del fallimento delle ultime crociate ormai allontanatesi dagli ideali originari. I nuovi crociati che partivano per i luoghi santi erano infatti sempre meno animati da ragioni ideali e religiose e sempre più mossi da interessi politici o economici. Le figure dei monaci-cavalieri erano ormai un ricordo del passato. Anche da questo si capisce che il Medioevo stava volgendo al termine.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Parigi nel XIII secolo

• Nella corte di Aquitania nasce la letteratura cortese

• La figura della donna nel Medioevo

• La Magna Charta

• Il Saladino: feroce persecutore di cristiani o modello perfetto di governante?

• Il parlamento: l’organo che emana le leggi di uno stato

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 14
per non perdere il filo

Perché si parla di re taumaturghi a proposito dei sovrani francesi?

1 · L’affermazione dell’autorità del sovrano nel Regno di Francia

Re taumaturghi…

In Francia i re della dinastia capetingia riuscirono, nel corso del XII e del XIII secolo, a indebolire e a sottomettere i grandi feudatari, come i duchi di Normandia e di Aquitania. Rafforzarono, quindi, gradualmente la loro autorità e il loro potere, riuscendo a costituire uno stato solido controllato e governato da loro, e a farsi accettare da tutti come legittimi sovrani. Essi riuscirono a ottenere ciò anche facendosi considerare dal popolo figure sacre, dotate di una speciale protezione da parte di Dio. Ricordiamo, a questo proposito, che i re di Francia, per antica consuetudine, erano unti con l'olio santo al momento della loro consacrazione e questo conferiva loro una particolare sacralità. Il popolo finì per venerare questi sovrani fino al punto di attribuire loro anche miracoli; si diffuse infatti a partire dalla seconda metà dell'XI secolo, la credenza che, con l'imposizione delle loro mani, essi potessero guarire le persone da alcune malattie molto diffuse (per questo gli storici li hanno definiti “re taumaturghi”). Si trattava evidentemente di una leggenda ma la gente finì per esserne convinta. Accorreva con venerazione dal re per chiedere ogni tipo di aiuto e si rafforzava nell’idea che fosse un personaggio eccezionale, dotato di particolare assistenza divina, al quale quindi si doveva, anche per questo, totale e incondizionata obbedienza.

… ma anche molto abili e saggi

Naturalmente non fu solo questa la ragione per cui i re di Francia divennero sempre più potenti. Essi seppero anche governare con abilità. Filippo II Augusto ad esempio, che regnò dal 1180 al 1223, con accortezza si inserì, come visto nel capitolo precedente, nello scontro tra i due pretendenti al trono imperiale e combatté a Bouvines a fianco di Federico II contro Ottone IV e l’inglese Giovanni Senza Terra. La vittoria in quell’occasione gli consentì di entrare in possesso di molti territori che i sovrani inglesi possedevano in Francia. Inoltre nella sua azione di governo avviò un’opera di centralizzazione amministrativa, creando dei magistrati regi con i quali controllare l’azione dei feudatari.

Luigi IX, il Santo

Luigi IX, il re “santo” che regnò dal 1226 al 1270 (anche se nei primi anni sotto tutela della madre), fu uomo molto religioso, che seppe farsi benvolere dal suo popolo con una politica di moderazione e saggezza e con un grande impegno in favore dei poveri, dei malati e dei bisognosi. Fu anche un abile governante: con una saggia politica matrimoniale (sposò infatti Margherita figlia del conte di Provenza), unificò i feudi meridionali francesi alla Corona capetin-

314 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

gia, rafforzando così il regno. Riuscì a far assegnare al fratello Carlo d’Angiò il Regno di Sicilia (che poi divenne Regno di Napoli). Mise ordine nel sistema delle leggi allora vigenti in Francia. Sottopose a controlli i suoi funzionari punendoli nel caso avessero commesso abusi nei confronti della popolazione verso cui mostrò sempre grande disponibilità all’ascolto. Coniò la moneta aurea che impose in tutto il territorio da lui governato. Non ebbero successo, invece, le due crociate da lui organizzate, ma di questo parleremo più avanti.

Filippo IV il Bello: la massima espressione dell’autorità del re sullo stato

Nipote di Luigi IX, Filippo IV il Bello fu il sovrano che affermò il principio della piena e assoluta superiorità del re all’interno dello stato, rispetto ad ogni altro potere, anche quello della Chiesa. Questo lo portò, come abbiamo visto nel capitolo precedente, a scontrarsi apertamente col papa.

Dopo di lui, però, i suoi immediati successori non si riveleranno altrettanto abili e forti. Nel 1328 finì la dinastia capetingia per linea diretta. Ad essa subentrarono delle dinastie indirette, prima fra tutte quella dei Valois.

315
Filippo IV il Bello Dipinto da Recueil des rois de France (XVI secolo), Bibliothèque Nationale, Parigi

Perché Guglielmo fu detto il Conquistatore?

2 · L’Inghilterra verso una monarchia parlamentare

L’Inghilterra prima dell’avvento dei Normanni

L’Inghilterra, prima della conquista romana, era abitata da popolazioni celtiche; poi, con la caduta dell’Impero Romano, subì l’invasione degli Angli, dei Sassoni e di altre popolazioni germaniche, che la divisero in vari regni. Come abbiamo visto, a partire dal VII secolo iniziò l’opera di evangelizzazione da parte dei missionari cristiani. Nella seconda metà del IX secolo dovette subire nuovi attacchi delle popolazioni vichinghe a cui cercò di opporsi il re Alfredo il Grande che riuscì ad arginarle, unificando sotto di sé il regno. I suoi successori dovettero lottare ancora contro gli invasori, ma senza successo. All’inizio dell’XI secolo l’isola era diventata praticamente una colonia danese e solo sul finire del secolo riacquistò per un breve periodo la propria indipendenza.

Arriva Guglielmo il Conquistatore

Alla morte del re Edoardo il Confessore non vi erano eredi diretti. Il trono finì nelle mani di Aroldo, potente conte di Wessex e cognato del re defunto. Vi era, però, un altro pretendente, Guglielmo duca di Normandia, nipote per parte di madre di Edoardo. Guglielmo giudicò quella di Aroldo una usurpazione, anche perché Edoardo aveva designato lui come successore, e mosse guerra al rivale. Giunse dalla Francia con un esercito e sconfisse il suo avversario nella battaglia di Hastings (1066) nella quale lo stesso Aroldo trovò la morte. Il trono d’Inghilterra apparteneva ora al normanno Guglielmo, chiamato, proprio in seguito a questa vittoria, il Conquistatore. Questa dei Normanni però non fu una vera e propria invasione con masse di persone che si trasferivano dalla Francia in Inghilterra; fu piuttosto una conquista militare da parte di un gruppo ristretto e ben addestrato di guerrieri che poi si insediarono a corte e nei castelli (ne furono costruiti moltissimi in pochi anni), parlando francese e conservando le loro usanze. Un fatto singolare è che Guglielmo, oltre che re d’Inghilterra, continuava ad essere duca di Normandia e quindi vassallo del re di Francia. Vedremo come questa situazione avrà gravi conseguenze nei secoli successivi.

La politica di Enrico II Plantageneto

Con il re Enrico II, salito al trono nel 1154, si affermò in Inghilterra la nuova dinastia angioina dei Plantageneti, detti così dal loro stemma che riproduceva una pianta di ginestra (in francese plante de genêt). Sua madre, infatti, della casata normanna, aveva sposato il principe della casa reale francese Goffredo d’Angiò. Enrico II volle dare una forte impronta accentratrice al suo governo, soprattutto nei confronti della Chiesa, cercando di occuparsi, ad esempio,

316 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

nella nomina dei vescovi. Si arrivò, così, a un duro scontro: Enrico fece addirittura assassinare l’arcivescovo di Canterbury ed ex cancelliere, Tommaso Becket, che difendeva le ragioni della Chiesa contro le sue pretese. Attraverso un accorto matrimonio con Eleonora, figlia del Duca di Aquitania e già moglie del re di Francia Luigi VII, entrò anche in possesso di ampi territori in tutta la Francia occidentale, territori che ormai andavano dalla Normandia, a nord, alla Linguadoca, a sud.

Viene concessa la Magna Charta

Il figlio primogenito di Enrico fu il celebre Riccardo Cuor di Leone, molto amato dal popolo, ma a lungo lontano dal suo Regno perché impegnato nella terza crociata che, tra l’altro, come vedremo, ebbe un esito fallimentare. Alla sua partenza egli lasciò il Regno nelle mani del fratello minore Giovanni Senza Terra (chiamato così perché non disponeva di propri domini feudali). Giovanni non si dimostrò un abile regnante. Perse molti territori in Francia; sostenne la candidatura di Ottone IV al titolo imperiale e fu sconfitto con lui nella battaglia di Bouvines; non riuscì a imporre la sua volontà ai nobili inglesi. Questi ultimi, nel 1215, l’anno successivo alla sconfitta di Bouvines, strapparono a Giovanni un’importantissima concessione, la Magna Charta Libertatum (letteralmente “Grande Car-

Perché Enrico II fece uccidere Tommaso Becket?

Battaglia di Hastings Particolare del celebre arazzo di Bayeux (seconda metà dell’XI secolo) che racconta per immagini la conquista normanna dell’Inghilterra, Bayeux (Francia)

CAPITOLO 14 317

Perché la Magna Charta poneva dei limiti al potere del re?

ta delle Libertà”). Si trattava di un documento che stabiliva, tra l’altro, che il re non avrebbe potuto imporre nessuna tassa senza il consenso generale dei suoi vassalli, che nessun uomo libero poteva essere arrestato arbitrariamente, neanche su ordine del re, e che un nobile poteva essere giudicato in tribunale solo da suoi pari.

I poteri del re sono limitati dal Parlamento: nasce la monarchia parlamentare

Perché si parla di “monarchia parlamentare” in Inghilterra dopo l’emanazione della Magna Charta?

La Magna Charta rappresentava un atto con cui i nobili difendevano la loro libertà contro lo strapotere del re, al quale si imponevano dei limiti che non poteva oltrepassare. L’assemblea dei nobili del regno finì, sotto i sovrani successivi, per prendere il nome di Parlamento: era la Camera dei Lords a cui si sarebbe aggiunta di lì a poco anche la Camera dei Comuni rappresentativa dell’alta borghesia cittadina. Si tratta del primo parlamento nella storia dell’Europa medievale. Per questo, d’ora innanzi, la forma di governo inglese si può a buon diritto definire una “monarchia parlamentare”.

3 · La Spagna avvia la Reconquista

Un popolo mai rassegnato

Dall’VIII secolo la Spagna era sotto la dominazione musulmana, ma gli spagnoli non si erano mai totalmente rassegnati a questa situazione. Fin dall’inizio avevano difeso la loro identità e la loro fede cristiana e avevano alimentato speranze di liberazione. Rimanevano, inoltre, zone come il nord montuoso, ai piedi dei Pirenei, dove i musulmani non erano arrivati e dove popolazioni cristiane in fuga avevano trovato rifugio. Qui sarebbe avvenuta la battaglia di Covadonga del 722, nella quale un piccolo gruppo di cavalieri visigoti avrebbe fermato un ben più numeroso esercito musulmano. Questa battaglia, forse solo un piccolo scontro, si trasformò in leggenda e acquistò un forte valore simbolico: venne vista come l’inizio di quella che sarebbe stata chiamata la Reconquista cioè la lotta degli spagnoli per liberare la loro terra dagli Arabi. Sempre nelle regioni dell’estremo nord sorse il Regno delle Asturie, che diventerà il primo nucleo della Spagna libera.

Nei secoli successivi, a partire dal periodo carolingio, gli spagnoli cominciarono a strappare territori ai dominatori arabi, fino a creare nuovi regni. I principali tra questi furono, nell’XI secolo, quello di Castiglia (chiamato così per l’alto numero di castelli che lo caratterizzavano) e quello di Aragona, il primo nella parte centrale del paese, il secondo nella parte nord-orientale. Accanto a questi, sorsero anche il Regno di Navarra (ai piedi dei Pirenei) e la Contea del Portogallo.

318 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

La Reconquista spagnola

Principali battaglie

Direttrici della reconquista

Santiago de Compostela

Città principali

Prende avvio la Reconquista

La Spagna era ormai pronta per la Reconquista, favorita anche dall’indebolimento del califfato arabo che si stava frammentando in molti emirati. Quest’opera ebbe come protagonista un personaggio entrato poi nella leggenda come Rodrigo Diaz de Bivar, meglio conosciuto come El Cid Campeador, il quale animò la lotta per la libertà, giungendo a riconquistare l’importante città di Valencia (1094). Attore principale di questa riconquista, spesso però frenata dalle rivalità fra i vari regni cristiani, fu nei secoli successivi proprio il Regno di Castiglia, mentre il cuore della Spagna cristiana divenne il Santuario di Santiago de Compostela, meta di continui pellegrinaggi.

Nel 1212 le forze cristiane, finalmente unite, inflissero una durissima sconfitta agli Arabi nella battaglia di Las Navas de Tolosa.

CAPITOLO 14 319
Valencia Granada Lisbona
Portogallo Castiglia Leon Navarra Aragona
Regno degli Almohadi Algarve Cadice Cordoba Las Navas

Perché nelle crociate successive alla prima si perse l’ideale originario?

4 · La fine dell’epoca delle crociate

Un ideale sempre meno puro

Abbiamo già accennato al fatto che alla prima crociata ne seguirono altre. Questo perché la minaccia turca non fu mai definitivamente allontanata e i possedimenti cristiani in oriente erano molto fragili e sottoposti a continui assalti. A volte, però, a spingere a nuove spedizioni non fu solo l’esigenza di riconquistare i territori tornati in mano musulmana. Vi furono anche altre motivazioni di carattere economico e politico. Potenze quali la Repubblica di Venezia cercarono infatti di trarre da esse consistenti vantaggi commerciali e territoriali (parleremo più avanti della quarta crociata) mentre sovrani e imperatori le utilizzarono per regolare conti politici nei loro paesi. Si potrebbe quasi dire che, difficilmente, nelle crociate successive si trovò lo stesso impeto ideale presente nella prima spedizione.

El Cid Campeador Monumento equestre realizzato nel 1955, Burgos, Spagna

Gerusalemme torna in mano turca

Dopo una seconda crociata che non produsse esiti significativi, i Turchi, guidati dal celebre condottiero Saladino, riconquistarono Gerusalemme nel 1187. Ciò rese necessaria una nuova spedizione, la terza, guidata dall’imperatore Federico Barbarossa in persona, che però morì annegato in Turchia. Ad essa parteciparono anche il re di Francia Filippo II Augusto e quello d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Il risultato di questa crociata fu, dal punto di vista militare, fallimentare, anche a causa dei contrasti tra i due sovrani che la guidavano. Si giunse, però, a un accordo con il Saladino con il quale veniva consentito ai pellegrini cristiani il libero accesso ai luoghi santi.

La crociata “deviata”: la quarta

Da ricordare è anche la quarta crociata (1202-1204), una delle più tragiche in quanto la spedizione, guidata da Venezia che fornì le navi, anziché puntare sui luoghi santi deviò su Costantinopoli che fu presa e saccheggiata. L’Impero Bizantino, retto dalla dinastia dei Comneni, venne abbattuto e sostituito con un “impero latino” che però ebbe vita breve. Questa azione rappresentò un fatto grave; i bizantini si sentirono traditi dai cristiani d’Occidente che cominciarono ad essere visti come nemici, almeno quanto i Turchi musulmani. L’ostilità tra bizantini e latini nata in questa occasione peserà molto, successivamente, sui rapporti tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa romana, rendendo sempre più difficile la pacificazione e la riunificazione.

Le ultime crociate

La quinta crociata (1217-1221) fu quella in cui avvenne l’incontro pacifico tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto. Il grande santo si presentò nel campo musulmano con l’intento di convertire gli “infedeli”alla fede in Cristo. Fu trattato con molto rispetto, poté predicare e fu ascoltato con molta attenzione ma non ottenne la loro conversione.

La sesta fu quella intrapresa, dopo lunghe esitazioni, dall’imperatore Federico II, e si concluse, come visto, con un trattato col sultano per ottenere il libero accesso a Gerusalemme per i pellegrini.

Le ultime due furono quelle, infruttuose, organizzate dal re di Francia Luigi IX. Entrambe fallirono: nella prima il re fu fatto prigioniero, nella seconda morì, a Tunisi, di peste.

Alla fine, nel 1291, cadde, dopo una strenua resistenza, anche l’ultimo baluardo cristiano in Medio Oriente, la fortezza di San Giovanni d’Acri. Dopo due secoli tutto era perduto: il grande sogno di sottrarre ai musulmani i luoghi santi per riportarli sotto la bandiera cristiana era finito. Gli stessi ordini monastico-cavallereschi dovettero riprendere la via dell’Europa.

Perché fallì la terza crociata?

Perché fallì la quarta crociata?

Perché la quarta crociata rese più difficile la pacificazione fra Chiesa romana e Chiesa d’Oriente?

CAPITOLO 14 321

METTIAMO A FUOCO

Parigi nel XIII secolo

Una grande capitale europea Parigi, nel XIII secolo, si avviava a diventare la più grande capitale europea. Possenti mura, fatte edificare da Filippo II Augusto, racchiudevano infatti una città molto popolosa, dalla fervida vita economica e culturale e abbellita da splendidi edifici, chiese e palazzi. Il cuore della città era costituito, allora come oggi, dall’Ile de la cité, l’isola sulla Senna. Qui si trovavano l’imponente cattedrale di Notre Dame, il palazzo reale, sede del governo, con i suoi bellissimi giardini, e l’Hotel Dieu, il più antico ospedale della città, che ospitava poveri, malati, orfani. I lebbrosi, a causa dell’elevato rischio di contagio di questa malattia, erano invece raccolti in un lazzaretto periferico. In seguito Luigi IX, per ospitare le reliquie della Corona di Spine di gesù e i frammenti della lancia con la quale era stato trafitto sulla croce, farà edificare la bellissima chiesa della Sainte-Chapelle con le sue straordinarie vetrate che si possono ammirare ancora oggi.

Le attività economiche e commerciali

Le attività commerciali si svolgevano sulla riva destra del fiume, con il porto fluviale e le molte botteghe artigiane. Qui si trovava il grande mercato fatto recintare da Filippo II Augusto che vi aveva realizzato anche due edifici coperti. Al centro di esso si ergeva il palo della gogna pubblica. Qui i bestemmiatori e i mercanti che frodavano i clienti venivano esposti per un certo tempo, con la testa e le mani incastrate in due tavole di legno, mentre la ruota su cui erano collocati girava. I passanti potevano così vederli e lanciare verso di loro insulti, fango e verdure marce.

Una celebre università

Sulla riva sinistra del fiume si sviluppava invece il quartiere culturale, dove sorgeva l’università della Sorbona, una tra le più celebri e prestigiose istituzioni scolastiche del tempo, meta di studenti e docenti provenienti da ogni parte d’Europa. Qui il clima era molto allegro e goliardico: canti, danze, scherzi e divertimenti degli studenti allietavano le serate del quartiere. A volte questi divertimenti sfociavano in risse sedate a fatica dalle autorità. Molto frequentate erano anche taverne e locan-

de, con gli strilloni che all’esterno esaltavano ad alta voce le qualità del vino che vi veniva servito per richiamare i clienti.

Vie e strade molto animate, ma col rischio degli incendi

Molto animate erano le vie, circa 300, solitamente pulite perché, a differenza che in altre città, a Parigi le fogne erano coperte. Non era, però, raro

322 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

imbattersi in greggi e mandrie che uscivano verso i pascoli esterni intrufolandosi tra la folla e le bancarelle. Sebbene vi fossero precisi divieti, circolavano per le vie anche i maiali (ogni famiglia ne possedeva qualcuno) che tra l’altro servivano a tenere pulite le strade in quanto divoravano i rifiuti commestibili abbandonati. Tra le bancarelle più caratteristiche vi erano quelle che vendevano frittelle. Molti erano i servizi igienici pubblici con ben 26 bagni sempre molto affollati. Il pericolo più grave in questa come in altre città era quello degli incendi dovuti al fatto che gran parte degli edifici erano in legno. A Parigi però i cittadini era-

no pronti ad affrontare questo rischio in quanto una legge stabiliva che tutti dovessero aver pronto in casa un secchio pieno d’acqua e, in caso di allarme dato dal suono a martello delle campane, intervenire in ogni parte della città per portare soccorso.

CAPITOLO 14 323
Vetrate della Sainte Chapelle, Parigi

METTIAMO A FUOCO

Nella corte di Aquitania nasce la letteratura cortese

L’amore dei cavalieri: la donna al centro di tutto Viene spesso alla mente, pensando al Medioevo, l’immagine di cavalieri che si inchinano riverenti di fronte alla dama, che si rivolgono a lei con parole cortesi, che combattono giostre e tornei in suo onore. Spesso anche nei film e nei racconti vengono descritte scene di questo tipo. È un modo di rappresentare i comportamenti del cavaliere che ha origine da alcuni poeti che vissero e composero le loro opere nel periodo che va tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del XIII. Siccome operavano nelle corti feudali del sud della Francia, la loro letteratura è stata anche definita letteratura cortese, e questo modo di descrivere l’amore, amor cortese. Nelle loro poesie, estremamente raffinate ed eleganti, la donna veniva posta al centro di tutto; era come un sovrano di fronte a cui il cavaliere si inchinava e giurava solenne fedeltà. Tutte le imprese che egli compiva erano in onore della sua dama, alla quale doveva devozione totale. Detto questo, non bisogna però lasciarsi ingannare e pensare per la donna a un ruolo simile a quello che occupa nella società contemporanea: in realtà essa rimaneva, in quel tipo di società, ancora oggetto passivo dell’amore dell’uomo, priva di reale personalità e valorizzazione. Tuttavia rispetto alla scarsissima considerazione di cui essa godeva nel mondo antico, la letteratura cortese rappresentò un indubbio passo avanti.

Il mecenatismo della corte di Aquitania

Questi poeti venivano anche chiamati trovatori, termine che derivava dal verbo trobar, che in lingua d’oc, la lingua da loro usata, significa “inventare”, “comporre versi”. La corte in cui maggiormente si diffuse questo tipo di letteratura e nella quale i trovatori erano accolti e onorati (si può parlare di vero e proprio mecenatismo) fu quella di Aquitania, a Poitiers. Qui visse, tra l’altro, il primo di questi poeti, che fu addirittura il duca di Aquitania, guglielmo IX. Di lui, spirito un po’ bizzarro e scanzonato, ci sono pervenuti una decina di componimenti interessanti. La nipote fu la ce-

lebre Eleonora, sposa prima del re di Francia Luigi VII e poi del re d’Inghilterra Enrico II il Plantageneto, nonché madre di riccardo Cuor di Leone e di giovanni Senza Terra. Anche Eleonora al tempo del suo soggiorno nella corte di Poitiers praticò il mecenatismo, ospitando vari artisti e letterati che a lei dedicarono le proprie opere.

Un segno profondo nella nostra mentalità

Il modo di intendere l’amore e il rapporto tra uomo e donna nelle opere di questi poeti ha lasciato una segno profondo nella nostra cultura e nella nostra mentalità. Ancor oggi noi spesso ci comportiamo un po’ come questi cavalieri medievali. Per capirlo è sufficiente riflettere su alcune espressioni che, nate allora, sono entrate nel linguaggio comune e sono da noi ancora usate. Quando si cerca di conquistare il cuore di una ragazza, ancor oggi si usano le espressioni come “fare la corte” o “corteggiare”. Il comportamento gentile viene chiamato cortesia. Quando si tratta con gentilezza una ragazza o una donna si dice che ci si comporta da “cavalieri”. Quale passo avanti è stato questo se pensiamo alla rozzezza e alla brutalità dei popoli barbarici da cui comunque questi guerrieri discendevano!

Scene di amore cortese raffigurate su un astuccio in avorio intagliato, prima metà del XIV secolo

324 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

METTIAMO A FUOCO

La figura della donna nel Medioevo

Idee contrastanti: dal disprezzo…

In un’epoca lunga e complessa come il Medioevo è difficile fornire una visione sintetica di come era vista e considerata la donna. Si corre il rischio di generalizzare o di fornire un’interpretazione parziale non rispondente alla complessità del dato storico. Scritti, immagini e fonti iconografiche, racconti, documenti ufficiali presentano infatti visioni alquanto contrastanti del problema. Anche se non è vero che nel Medioevo si sia dubitato che la donna avesse un’anima (si tratta di una leggenda del tutto falsa e infondata), è però vero che si possono rintracciare testi nei quali si afferma che essa è inferiore all’uomo, che deve essere sottomessa al marito, se necessario anche con la forza e la violenza.

… alla venerazione più incondizionata

Si possono però trovare anche testi dal contenuto del tutto opposto. Pensiamo alle poesie e alla letteratura cavalleresca dove la donna è oggetto di venerazione assoluta, ispira gentilezza e bontà d’animo e l’uomo si pone devotamente al suo servizio. Addirittura i poeti stilnovisti del XIII secolo (si tratta di una corrente poetica diffusa soprattutto nell’area toscana e della quale fece parte anche Dante Alighieri) paragonano la donna a un angelo capace, con la sua grazia, di rendere migliore l’uomo fino a condurlo al Paradiso. Non possiamo non pensare che questa idea angelica della donna sia connessa alla grande venerazione diffusa nel popolo cristiano per la figura di Maria, la madre di gesù. In opere come quelle di san Bernardo e dello stesso Dante essa è presentata come l’intermediaria della salvezza, colei che ottiene il perdono di Dio per gli uomini e apre loro le porte del cielo. Il modello di Maria faceva sì che si guardasse a tutte le donne con uno sguardo diverso e più rispettoso in confronto a come erano viste in precedenza nel mondo barbarico.

Nella realtà quotidiana alcune donne contavano molto più di quanto si pensi Se poi dai testi letterari si passa a esaminare le testimonianze della vita quotidiana si incontrano interessanti sorprese. È vero infatti che la società

medievale era prevalentemente patriarcale, cioè fondata sulla centralità dell’uomo, padre e marito, ed è anche vero che, trattandosi di una società in gran parte povera, i più deboli, come le donne e i bambini, ne subivano le maggiori conseguenze, dovendo lavorare come e più degli adulti maschi. È però anche vero, come hanno rilevato studi approfonditi di storiche come Eileen Power e régine Pernoud, che vi erano situazioni in cui le donne assumevano ruoli importanti, talvolta di comando, sia nel campo del lavoro che della famiglia. È notorio, ad esempio, che secondo la legge feudale, la donna poteva essere investita della signoria sulle terre (conosciamo in Italia l’esempio della contessa Matilde di Canossa). È stato scoperto che gli statuti di molti Comuni riconoscevano alle donne la possibilità di intraprendere attività commerciali in proprio, che, in Francia, la donna era considerata maggiorenne a dodici anni mentre l’uomo a quattordici. Anche in campo religioso la donna poteva accedere a studi elevati e, nei casi di monasteri doppi (cioè maschile e femminile tra loro collegati), l’autorità suprema spettava alla badessa e non all’abate.

Le grandi donne del Medioevo

Il Medioevo infine ci fa conoscere molte donne importanti, che esercitarono ruoli decisivi in campo politico e culturale, trattando da pari a pari con re, papi e imperatori. Oltre alla già citata Matilde di Canossa, e alle notissime Teodora, Costanza d’Altavilla, Isabella di Castiglia, Eleonora d’Aquitania possiamo ricordare la badessa Ildegarda di Bingen, studiosa, scienziata e mistica ma anche critica severa del Barbarossa (che rimproverò addirittura di comportarsi «come un bambino»), santa Caterina da Siena e santa giovanna d’Arco, che incontreremo nel prossimo capitolo, la scrittrice Maria di Francia, la grande mistica santa Brigida di Svezia.

CAPITOLO 14 325

PARTIAMO DALLE FONTI

La Magna Charta

La Magna Charta Libertatum può essere considerata una specie di carta costituzionale (negli stati moderni su usa proprio questa espressione), che stabiliva in modo solenne alcuni diritti dei nobili e delle città inglesi nei confronti del sovrano. Concedendola, il re si impegnava a obbedire a ciò che essa stabiliva e quindi riconosceva dei precisi limiti al proprio potere: quelli, appunto, sanciti nella Charta. Per questo motivo, quella inglese si può considerare una monarchia costituzionale, una monarchia, cioè, in cui il potere del re è limitato da una carta costituzionale. Ti presentiamo di seguito alcuni passi di questo documento. Da essi potrai notare che i princìpi contenuti non sono affermazioni astratte e generali ma si riferiscono a circostanze e situazioni molto concrete, che si possono incontrare nella vita di tutti i giorni. Questa è, infatti, ancora oggi, una delle caratteristiche del diritto inglese, molto attento a fissare leggi che si riferiscono a casi concreti che possono capitare nella vita quotidiana.

«Nessuna tassa e nessun aiuto verranno stabiliti nel nostro regno se non dal comune consiglio del regno [si tratta dell’assemblea dei nobili] e solo per riscattare il nostro corpo, per armare cavaliere il nostro figlio primogenito o per maritare una sola volta la nostra figlia primogenita, e sia un contributo ragionevole.

un uomo libero non potrà essere colpito da ammenda per un piccolo reato se non in proporzione a questo reato; non potrà esserlo per un grande delitto se non in proporzione a questo delitto ma senza perdere il feudo. Allo stesso modo sarà per i mercanti ai quali si lascerà il loro negozio. Anche i contadini saranno allo stesso modo colpiti da ammenda senza perdere i loro strumenti di lavoro.

I conti e i baroni non potranno essere puniti con una ammenda che per giudizio dei loro pari, e in misura proporzionale al reato commesso. Nessun uomo libero potrà essere arrestato, imprigionato, spossessato della sua dipendenza, della sua libertà, messo fuori legge, esiliato o molestato in nessuna maniera e noi non interverremo su di lui se non dopo che ci sia stato un giudizio di condanna dei suoi pari secondo la legge del paese».

1. In quali occasioni potranno essere stabilite nuove tasse e a quali condizioni?

2. Come devono essere le pene (ammende) per i vari reati?

3. Che cosa non potrà essere comunque tolto a feudatari, mercanti e contadini che subiscono delle pene? Secondo te, per quale motivo si stabilisce questo?

4. Che cosa si dice dei nobili e degli uomini liberi?

326 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI

PROTAGONISTI

Il Saladino: feroce persecutore di cristiani o modello perfetto di governante?

Abile combattente, ma anche saggio politico

Il Saladino è uno dei personaggi più celebri del Medioevo e su di lui sono fiorite storie e leggende di ogni tipo che hanno di gran lunga superato la realtà. Molti, in Occidente, hanno dipinto questo personaggio come un feroce e sanguinario guerriero (“il feroce Saladino” appunto, come appare in alcuni poemi cavallereschi); altri, tra i quali lo stesso Dante Alighieri, lo hanno descritto, al contrario, come un uomo saggio, virtuoso e generoso, quasi un modello perfetto di cavaliere e di governante anche per i cristiani. In realtà Yusuf ibn Ayyub Salah al-Din (questo è il vero nome del Saladino), sultano d’Egitto e di Siria, vissuto tra il 1138 e il 1193, fu soprattutto un valido e fortunato uomo politico, che sapeva sia combattere con durezza che, quando serviva, governare pacificamente e con le armi della diplomazia.

Un’abile ascesa politica

Figlio di un funzionario del Califfo di origine curda, non arabo quindi, si trasferì col padre dal piccolo villaggio sul Tigri dove era nato a Damasco, in Siria. Qui, prima ancora che alla politica e all’uso delle armi, si appassionò agli studi filosofici e religiosi. Cominciò successivamente a distinguersi nella pratica militare, affrontando in vari scontri i crociati. Intraprese anche la carriera politica che lo vide raggiungere, in breve tempo, brillanti risultati. Divenne infatti dapprima gran Visir, cioè una sorta di Primo ministro, e poi Sultano d’Egitto. Ottenuta questa carica iniziò una politica di conquista che lo portò a estendere i suoi domini dall’Egitto fino alla Siria e alla Palestina, dove conquistò gerusalemme nel 1187 dopo aver permesso ai suoi abitanti cristiani di lasciare indenni la città.

Strenuo nemico dei templari generalmente tollerante in materia religiosa con la popolazione civile, fu invece ferocemente ostile ai templari che considerò suoi acerrimi nemici e contro i quali combatté aspramente fino a sterminarli dopo la conquista di gerusalemme. gli eser-

citi cristiani d’Europa guidati da riccardo Cuor di Leone mossero contro di lui la terza crociata che però si concluse con un nulla di fatto e la Terra Santa rimase in mano musulmana. Nonostante i durissimi scontri, nei quali anche le sue truppe subirono pesanti perdite, il Saladino conservò sempre una profonda stima per il sovrano inglese di cui apprezzava le indubbie qualità di combattente.

La stima di Dante

Il Saladino morì in povertà, nel 1193, dopo aver donato tutti i suoi averi ai poveri. Segno della considerazione e della stima che godette anche in Occidente, nonostante la sua fama di “ferocia”, è il fatto che Dante Alighieri nella sua Divina Commedia lo collochi non nel profondo dell’Inferno ma nel Limbo, insieme ai grandi del passato che, pur non essendo stati cristiani, incarnarono e testimoniarono i grandi valori dell’umanità.

Raffigurazione del Saladino tratta da un manoscritto arabo del XII secolo

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SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA)

Il parlamento: l’organo che emana le leggi di uno stato

Negli ordinamenti degli stati contemporanei nei quali vige un sistema democratico, il parlamento è l’organo politico, eletto dal popolo, che ha il compito di fare (in termine tecnico si dice “emanare”) le leggi e, in molti casi, anche di esercitare un controllo sull’attività del governo che, invece, ha una funzione esecutiva, cioè dà esecuzione pratica alle leggi e alle direttive del parlamento. Il parlamento si può comporre di una o due “camere” (questo è il caso ad esempio dell’Italia dove esistono la Camera dei Deputati e il Senato). Nel

caso delle due camere esse possono avere caratteristiche e funzioni diverse (è il caso della germania dove esiste un’assemblea nazionale e una che rappresenta gli stati regionali). Pur esistendo forme di parlamenti fin dall’alto Medioevo, la definizione chiara e precisa dei loro compiti risale alla fine del XVIII secolo, con il pensiero del filosofo illuminista Montesqueiu, e la successiva rivoluzione francese, che prenderemo in esame nel secondo volume del nostro corso.

Nell’alto Medioevo: organismi con nomi e funzioni diverse Prima questi organismi, che prendevano nomi diversi (Stati generali in Francia, Camera dei Lords in Inghilterra, Cortes in Spagna), erano in gran parte assemblee di nobili o signori feudali e potevano avere funzioni diverse. Il sovrano le convocava ogniqualvolta doveva prendere decisioni importanti in merito soprattutto all’emissione di nuove tasse o all’intrapresa di una guerra o alla stipula di un trattato di pace. In qualche caso tali assemblee raccoglievano le lamentele contro il sovrano o si occupavano di questioni giudiziarie riguardanti i nobili. Non sempre però il re era tenuto a obbedire alle decisioni del parlamento (questo avvenne in Inghilterra in seguito alla Magna Charta). Simili in qualche modo ai parlamenti, possono essere considerate le assemblee che si tenevano all’interno dei Comuni italiani e nelle quali i cittadini che ne avevano diritto (ad esempio in certi casi gli iscritti alle Corporazioni) esprimevano un parere circa le questioni che riguardavano la vita della città. Anche i popoli barbarici conoscevano forme di assemblee di uomini liberi in armi (i soldati) che affiancavano il re nelle decisioni da prendere in caso di guerra. Lungo sarebbe invece risalire al mondo antico. Possiamo dire che a roma esisteva una forma assembleare molto importante, il Senato, di cui facevano parte i membri delle più antiche famiglie patrizie.

328 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI
Giovanni Senza Terra firma la Magna Charta alla presenza dei baroni Illustrazione novecentesca tratta da un libro sulla storia dell’Inghilterra

RACCONTIAMO IN BREVE

1. In Francia la dinastia dei Capetingi consolidò il suo potere, grazie a grandi sovrani come Filippo II Augusto e Luigi IX, che seppero governare con abilità, dando sacralità al loro potere e costituendo uno stato fortemente accentrato. Filippo IV il Bello completerà quest’opera facendo diventare la Francia una grande potenza sulla scena politica europea.

2. In Inghilterra, dopo che Guglielmo il Conquistatore aveva portato i Normanni sul trono, si realizzò uno stato con caratteristiche diverse: un suo successore, Giovanni Senza Terra, fu infatti costretto dalla nobiltà a concedere la “Magna Charta”. Con essa i nobili e i Comuni limitarono i poteri del sovrano e ottennero il riconoscimento di vari diritti. Da questo documento nacque poi il Parlamento composto dalla “Camera dei Lords” e da quella dei “Comuni”. L’Inghilterra, in tal modo, si avviò a diventare una monarchia parlamentare o anche costituzionale.

3. In Spagna prese avvio, grazie a figure eroiche quali Rodrigo Diaz de Bivar, meglio conosciuto come il Cid, e soprattutto ad opera dei Regni di Castiglia e di Aragona, il lento processo di riconquista del paese con la progressiva cacciata degli Arabi (“Reconquista”).

4. Per riconquistare i luoghi santi che erano di nuovo caduti, ad opera del Saladino, in mani musulmane, furono promosse nuove crociate, ma i risultati furono deludenti. Nessuna di queste spedizioni raggiunse lo scopo sperato anche perché le motivazioni di carattere più prettamente religiose vennero sostituite da fattori politici o economici. La quarta crociata, in particolare, guidata dai veneziani, puntò su Costantinopoli che venne conquistata e saccheggiata, e l’Impero Bizantino dei Comneni venne abbattuto. Questo fatto, tra l’altro, rese sempre più difficili i rapporti tra il mondo greco-bizantino e la cristianità occidentale. Nel 1291 cadde, dopo una strenua resistenza, anche l’ultimo baluardo cristiano in Medio Oriente, la fortezza di San Giovanni d’Acri. L’ideale delle crociate in Terra Santa era ormai definitivamente crollato.

CAPITOLO 14 329

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. In che modo Filippo II Augusto rafforzò il suo potere?

2. Come governò Luigi IX?

3. Che cosa avvenne nella battaglia di Hastings?

4. Come si svolse la conquista normanna dell’Inghilterra?

5. Chi era Tommaso Becket?

6. Che cosa stabiliva la Magna Charta?

7. Che cos’è la Reconquista?

8. Quali azioni si attribuiscono a rodrigo Diaz de Bivar?

9. Come si concluse la quarta crociata, guidata dai veneziani?

10. Come finirono le due crociate di Luigi IX?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Battaglia di Las Navas

2. Concessione della Magna Charta

3. Caduta della fortezza di San giovanni d’Acri

4. Battaglia di Hastings

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Con Filippo IV il Bello la monarchia francese

a. divenne la più potente in Europa.

b. raggiunse il massimo grado di debolezza.

c. impose la sua assoluta supremazia su tutti i poteri all’interno dello stato.

Quella normanna in Inghilterra non fu una vera e propria invasione

a. perché si trattò di una conquista militare operata da un gruppo ristretto di guerrieri.

b. perché i normanni conservarono la loro lingua e costruirono numerosi castelli.

c. perché fu il frutto di una pacifica successione al trono da parte di guglielmo.

In Inghilterra dopo il 1215 i re persero parte del loro potere perché

a. era stata concessa la Magna Charta.

b. la dinastia dei Plantageneti si estinse.

c. erano stati sconfitti nelle crociate.

Per politica accentratrice a proposito di Enrico II Plantageneto si intende

a. una politica nella quale tutti i poteri erano concentrati nelle mani del re.

b. una politica di conquiste e di espansionismo.

c. una politica di sottomissione della Chiesa al re.

330 L’EurOPA NEL XIII SECOLO: NASCONO gLI STATI NA zIONALI
1066 1212 1215 1291

La IV crociata ebbe un esito fallimentare perché

a. ci furono contrasti fra i vari sovrani europei che vi parteciparono.

b. i crociati vennero sconfitti dal Saladino.

c. i veneziani, anziché puntare su gerusalemme, assalirono e conquistarono Costantinopoli.

Esercizio 4 · Rileggi attentamente i paragrafi 1 e 2 e completa il brano riportato.

Nel a seguito della sconfitta di Bouvines e della rivolta dei nobili, giovanni Senza Terra dovette concedere la . Con tale documento si stabiliva che

. Con esso quindi i nobili ottenevano mentre il potere del re . Inoltre venne istituito in Inghilterra il parlamento nobiliare, chiamato a cui farà seguito successivamente la che rappresentava la È il primo caso in Europa. Con questi atti le istituzioni politiche inglesi si differenziano e assumono caratteristiche nettamente diverse da quelle francesi, nelle quali il potere del re era sempre più saldo e si realizzò uno stato fortemente accentrato cioè

Esercizio 5 · Dopo aver letto attentamente il paragrafo 2 e i box dedicati alla Magna Charta e al Parlamento, scrivi il significato dei seguenti termini.

Monarchia parlamentare

Parlamento

Camera dei Lords

Camera dei Comuni

Potere legislativo

Potere esecutivo

CAPITOLO 14 331

Affresco (XV secolo), Oratorio dei Disciplini, Clusone, Bergamo

Danza macabra

L’“autunno del Medioevo”

Un secolo di crisi

Scheletri che irrompono tra la folla terrorizzata, trascinandola verso la morte in una danza vorticosa, o che a cavallo assaltano con le falci in mano cittadini inermi: queste sono le scene che pervadono l’immaginario collettivo in molte parti d’Europa verso la metà del XIV secolo. Sono le danze macabre che simboleggiano in modo drammatico il declino del Medioevo.

E, in effetti, il XIV secolo fu un’epoca di profonda crisi i cui segnali furono molti: l’Impero ridotto a rango di principato accanto ad altri, il papa quasi prigioniero ad Avignone, il susseguente scisma che divise la Chiesa d’Occidente, la terribile e devastante Guerra dei Cent’Anni, la peste nera con le sue innumerevoli vittime, la povertà e le rivolte sociali, la fine della democrazia comunale in Italia. A buon diritto, quindi, si può parlare, con lo storico Johan Huizinga, di “autunno del Medioevo”.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• La fine dei Templari Cola di Rienzo: l’inventore della propaganda politica

• L’ossessione della morte nell’arte: trionfi e danze macabre

• Giovanna d’Arco: quando una ragazza

può cambiare la storia

• La peste a Firenze nel racconto di Giovanni Boccaccio

• Curare e guarire nel Medioevo

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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15
Capitolo
per non perdere il filo

Perché fallì il tentativo di Arrigo VII?

1 · Il declino dell’Impero

I falliti tentativi di Arrigo VII…

Con la fine della dinastia sveva, di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti, iniziò per l’Impero un periodo di decadenza. Ormai privi dei loro domini nell’Italia meridionale, gli imperatori, a partire da quelli della nuova dinastia degli Asburgo, si limitarono a occuparsi della Germania. Rare furono le eccezioni. La prima fu quella di Arrigo (o Enrico VII) di Lussemburgo che, divenuto re di Germania nel 1308, scese in Italia per riportare l’ordine nella penisola e imporre sui Comuni la propria autorità. La sua venuta fu richiesta a viva voce sia da Dante sia dai Comuni ghibellini; questi ultimi speravano in un suo appoggio nella ininterrotta guerra contro gli avversari guelfi. I risultati della spedizione non furono, però, quelli desiderati. Arrigo VII incontrò parecchie difficoltà e, dopo essere riuscito a stento a farsi incoronare imperatore a Roma, fu bloccato sotto le mura di Firenze in un lungo e improduttivo assedio. Morì, improvvisamente, nel 1313 a Buonconvento presso Siena, senza riuscire a portare a termine la sua impresa.

… e di Ludovico IV di Baviera

Analogo fallimento incontrò la venuta in Italia di un imperatore successivo, Ludovico IV di Baviera (o il Bavaro). Questi, dopo essersi fatto incoronare a Roma contro la volontà del papa, dovette precipitosamente ritornare in Germania nel 1330, incalzato dalle forze guelfe guidate dal re di Napoli Roberto d’Angiò. Continuò poi dalla Germania la sua lotta contro il papato senza ottenere, però, significativi risultati.

La “Bolla d’oro” di Carlo IV

Perché la Bolla d’oro rappresentò il declino del potere imperiale?

Il successore di Ludovico, Carlo IV di Lussemburgo (detto anche di Boemia), sancì l’ormai definitivo indebolimento del ruolo dell’Impero con una riforma, la Bolla d’oro del 1356. Con essa si affidava a sette grandi elettori tedeschi, quattro principi laici e tre ecclesiastici, il potere di eleggere l’imperatore, mentre il papa perdeva il diritto di consacrarlo. Questo significa che l’imperatore era ormai ridotto alla stregua di un principe fra colleghi principi di pari livello, con un’autorità che non era superiore a quella dei suoi elettori. In compenso questi ultimi consolidavano sempre più il loro governo autonomo nei rispettivi territori. Lo stesso Carlo IV, consapevole di questa nuova situazione, si concentrò soprattutto sul governo della Boemia, dedicandosi in modo particolare all’abbellimento di Praga, che fu la sua residenza.

334 L’“Au T unn O DeL MeDIO e VO”

2 · La “cattività avignonese” del papato

Il papato si trasferisce ad Avignone

Analoga crisi conobbe il papato. Nel 1305 venne eletto, dopo un lungo conclave, un papa francese, Clemente V, che decise di trasferire la sua sede nella città di Avignone, nel sud della Francia. Il motivo di questo trasferimento fu, a suo dire, quello di garantirsi una maggiore sicurezza rispetto alle minacce che erano rivolte contro di lui dalle varie famiglie aristocratiche romane. In realtà questa decisione fu il frutto di pesanti pressioni del re di Francia che, in questo modo, contava di controllare e sottomettere l’intera Chiesa.

Il papa sottomesso al re di Francia

E così avvenne: la protezione si trasformò ben presto in sottomissione e il papato finì sotto la soggezione della monarchia francese. Per alcuni si trattò di una vera e propria prigionia e per questo si parlò, già da allora, di vera e propria “cattività avignonese” della Chiesa (dal latino captivitas che significa prigionia).

Il re di Francia, Filippo IV il Bello, impose spesso il suo volere al papa, che, su suo comando, si trovò anche costretto a sciogliere nel 1313 l’ordine dei Templari, consentendo al sovrano di impossessarsi delle loro favolose ricchezze. La distruzione di quest’ordine, uno tra i più prestigiosi della cristianità, fu accompagnata da accuse infamanti, violenze, uccisioni, come quella avvenuta sul rogo a Parigi del Gran Maestro Jacques de Molay. Questa vicenda costituisce una delle pagine più cupe della Chiesa avignonese.

Perché Filippo il Bello fece condannare i Templari?

CAPITOLO 15 335
Palazzo dei papi Avignone, Francia

Demagogia

Atteggiamento di chi, con lo scopo di ottenere il favore popolare, basa la sua politica su promesse gradite alla gente, ma difficilmente realizzabili.

Megalomania Mania di grandezza; si ha quando si presume troppo dalle proprie capacità e possibilità.

Perché fallì il tentativo di Cola di Rienzo?

Roma senza papa: l’avventura tragica di Cola di Rienzo

Non più residenza dei papi, Roma si trovò in una fase di decadenza. Vi erano scontri tra le famiglie più potenti, ma anche povertà e insicurezza. In questa situazione emerse la figura di un popolano, Cola di Rienzo, che con le sue notevoli capacità comunicative riuscì ad attrarre dalla sua parte il popolo e a prendere il potere col titolo di tribuno. Mosso da una grande passione per la storia antica di Roma e per la sua gloria passata, si propose l’obiettivo di riportare la città allo splendore di un tempo. Ottenne inizialmente anche l’appoggio del papa avignonese che gli affidò un incarico di prestigio. Col passare degli anni, tuttavia, le sue molte promesse a favore del popolo non vennero mantenute; il suo atteggiamento si fece più violento e autoritario, e l’imperatore e lo stesso papa cominciarono a mostrare preoccupazione per i suoi programmi demagogici e la sua megalomania (concepì addirittura il progetto di ricostituire l’Impero Romano). Dopo alterne vicende, l’avventura di Cola finì tragicamente: abbandonato dal popolo, cadde vittima di una rivolta abilmente organizzata dai nobili romani nel 1354. Il suo corpo fu bruciato e le ceneri gettate nel Tevere.

336 L’“Au T unn O DeL MeDIO e VO”
Cola di Rienzo Statua di Girolamo Masini, eretta nel 1877, presso il Campidoglio, Roma

3 · Lo Scisma d’Occidente

Il ritorno del papato a Roma

Fu, finalmente, papa Gregorio XI che decise di riportare la sede papale a Roma (1377), accogliendo le pressanti richieste provenienti da tutta la cristianità e di cui si era fatta portavoce soprattutto una donna, Caterina da Siena. Quest’ultima, di umili origini (era la ventiquattresima figlia, semianalfabeta, di un tintore senese) ma anche animata da una straordinaria fede, non esitò a rimproverare aspramente il papa per la sua titubanza (in una lettera lo aveva esortato addirittura ad essere «uomo virile» e «non fanciullo timoroso»). Il ritorno di Gregorio XI fu salutato come una liberazione per la Chiesa, ma questo entusiasmo durò poco. Nuove nubi si stavano addensando all’orizzonte.

Il “Grande Scisma”

La morte di Gregorio XI, avvenuta l’anno seguente, aprì infatti un nuovo grave problema di successione. In un conclave reso alquanto turbolento dalle forti pressioni della folla romana, che temeva la scelta di un nuovo papa francese, venne eletto Urbano VI, arcivescovo di Bari. Si trattò di una votazione piuttosto controversa, in quanto i cardinali non agirono nel pieno possesso della loro libertà ma sotto minaccia di violenza. Per questo di lì a poco, in un nuovo conclave, i cardinali francesi, insoddisfatti della scelta precedente, elessero un nuovo papa a loro gradito, Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Questi, a sua volta, impossibilitato a stabilirsi a Roma dove risiedeva Urbano VI, si trasferì nuovamente con la sua corte ad Avignone. È l’inizio di una delle più gravi crisi nella storia della Chiesa occidentale: il Grande Scisma d’Occidente.

Una Chiesa con due papi contrapposti

Per quarant’anni a guidare la Chiesa ci furono due papi contrapposti; ognuno di loro nominava i suoi vescovi e vi erano sacerdoti e fedeli che obbedivano al primo papa e altri che obbedivano al secondo; altri ancora, confusi, non sapevano quale autorità riconoscere. Anche le chiese erano spesso contese tra i seguaci dell’uno e quelli dell’altro papa.

La situazione peggiorò ulteriormente nel 1409 quando, a seguito di un concilio tenuto a Pisa, i papi divennero addirittura tre. La soluzione di questo grave scisma si avrà solo nel 1418 con il concilio di Costanza, che riporterà l’unità nella Chiesa sotto un unico pontefice.

Perché si verificò il “Grande scisma” d’Occidente?

CAPITOLO 15 337

Legge salica

È il nome dato all’antica legge germanica, propriamente dei Franchi Salii, che regolava, tra le altre cose, anche la successione al trono e che era ancora in vigore in Francia nel XIV secolo. La compilazione più antica di cui disponiamo risale alla fine del V secolo, all’epoca di Clodoveo.

Perché scoppiò la Guerra dei Cent’anni?

4 · La Guerra dei Cent’Anni

Perché scoppiò la guerra

È chiamata Guerra dei Cent’Anni una serie di conflitti che videro di fronte Inghilterra e Francia e che durarono, seppur con fasi di stanca e interruzioni, dal 1337 al 1453. Si trattò di uno scontro le cui radici risalivano a tempi molto lontani, in piena età feudale quando, nell’XI secolo, Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia e vassallo del re di Francia, era divenuto re di Inghilterra. Quando in Francia, nel 1328, morì senza eredi Carlo IV, figlio di Filippo IV il Bello e ultimo sovrano della dinastia capetingia, si aprì un problema di successione: i feudatari francesi scelsero come nuovo re Filippo di Valois, cugino del defunto, preferendolo, perché nato in territorio di Francia, a Edoardo III re d’Inghilterra, a sua volta nipote di Filippo IV. Secondo la legge salica che regolava la successione al trono, la precedenza sarebbe dovuta spettare a Edoardo III, il quale, vantando questo suo diritto, dichiarò perciò guerra alla Francia.

L’ultimo conflitto feudale e la prima guerra moderna

Alle motivazioni del conflitto, di carattere dinastico, si aggiungevano altri fattori più prettamente economici. Era in gioco, infatti, anche il possesso dei ricchi territori un tempo appartenuti a Eleonora d’Aquitania, che era stata prima regina di Francia e poi d’Inghilterra. Questi territori, ora in possesso della monarchia francese, erano richiesti per sé dal re d’Inghilterra. A questo va aggiunto il fatto che, da tempo, i mercanti inglesi insidiavano la supremazia di quelli francesi, soprattutto nei mercati delle Fiandre, e ciò recava un danno all’intera economia francese.

Perché la Guerra dei Cent’Anni può considerarsi l’ultimo conflitto feudale e il primo conflitto moderno?

Si trattava, quindi, di un intreccio di motivi, alcuni riconducibili a questioni di ereditarietà e di possessi territoriali legati alle vecchie leggi feudali, altri, più moderni, legati allo sviluppo dell’economia mercantile. Su tutti appariva evidente anche un altro elemento decisivo: in questo conflitto sarebbe stata in gioco la nuova supremazia sull’Europa. Il regno che avesse vinto sarebbe stato, da allora in poi, il più potente d’Europa, quello che avrebbe preso il posto del declinante Impero germanico nel guidare la politica europea. Ecco perché si può dire a ragione che questo fu l’ultimo conflitto medievale e al tempo stesso la prima guerra moderna.

La prima fase della guerra Edoardo III diede avvio alla guerra rivendicando per sé il doppio titolo di “re di Francia e d’Inghilterra” e la prima fase del conflitto fu nettamente favorevole agli inglesi, che combattevano utilizzando nuove strategie e nuove armi, tra le quali la bombarda e soprattutto l’arco lungo, più potente delle balestre. Nella battaglia di

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Crecy (1346) e nella successiva presa di Calais emerse tutta la superiorità militare degli inglesi. Solo il dilagare della peste favorì un breve ristagno del conflitto che riprese poi però con le scorribande vittoriose del figlio di Edoardo III, anch’egli chiamato Edoardo e soprannominato “il principe nero del Galles”. Nel 1356 persino il nuovo re di Francia, Giovanni II il Buono, venne sconfitto a Poitiers e catturato dagli inglesi. A seguito della pace di Bretigny, che nel 1360 pose fine a questa fase del conflitto, il re d’Inghilterra divenne sovrano di un insieme di territori che erano pari a circa un terzo dell’odierna Francia.

Dall’apice del successo inglese…

La Francia era ormai in condizioni gravissime: sia a Parigi che nelle campagne regnava la desolazione e scoppiavano rivolte di ogni tipo. Col nuovo re Carlo VI la situazione sembrò ulteriormente aggravarsi: a partire dal 1392, infatti, egli fu sempre più spesso vittima di crisi di pazzia per cui la nobiltà francese pensò di sostituirlo con nuovi candidati. Da una parte si schierarono, guidati dal duca di Borgogna, i potenti borgognoni, filo inglesi, che sostenevano la causa di Enrico V d’Inghilterra; dall’altra i sostenitori della

Battaglia di Crecy Miniatura (XV secolo), Bibliothèque nationale, Parigi

Si noti l’uso dell’arco lungo da parte delle truppe inglesi situate sulla destra del dipinto. Si noti anche come nello stemma dei soldati inglesi ai tre leoni, in origine leopardi, da alcuni secoli simbolo della monarchia plantageneta, si sono aggiunti i tre gigli, simbolo della monarchia francese. Ciò sta a significare come il re di Inghilterra si considerasse anche il legittimo erede al trono di Francia.

Delfino

nome attribuito al principe ereditario della monarchia francese; trae origine dalla regione del Delfinato, che fu appannaggio, per un certo tempo, del figlio primogenito del sovrano.

causa francese e orleanista, detti armagnacchi per via del loro capo, il conte di Armagnac. Enrico V, con l’appoggio dei borgognoni, inflisse all’esercito francese una durissima sconfitta nella battaglia di Azincourt (1415), facendosi poi nominare da Carlo VI, di cui aveva sposato la figlia Caterina, erede al trono di Francia.

… alla riscossa francese

Giovanna d’Arco guida le truppe francesi alla battaglia di Orléans Miniatura tratta da La vie des femmes célèbres (1505)

di Antoine Dufour, Musée Dobrée, nantes

Il Regno di Francia era sul punto di essere annientato quando fece la sua comparsa sulla scena politica Giovanna d’Arco, una ragazzina analfabeta che, dichiarandosi ispirata da Dio, spronò il figlio di Carlo VI, il futuro Carlo VII, alla riscossa. Sotto la sua guida l’esercito francese liberò Orleans, consentendo al delfino di essere incoronato re di Francia. La cattura e l’uccisione di Giovanna da parte degli inglesi non fermò la riscossa francese: l’entusiasmo della ragazza era stato contagioso. Carlo VII riprese coraggio e gli inglesi finirono per subire una serie di sconfitte, prima in Normandia, poi in Aquitania, a Castillon (1453). Con esse la guerra si concluse. Gli inglesi persero tutti i territori in Francia ad eccezione del porto di Calais; i francesi acquisirono la consapevolezza di essere ormai diventati una grande nazione, la prima in Europa.

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Territori inglesi e francesi nella Guerra dei Cent’Anni Possedimenti inglesi Possedimenti francesi

del Duca di Borgogna

Spedizione di Giovanna d'Arco

Le campagne si spopolano, ma i commerci continuano a fiorire Tra il XIII secolo e la prima metà del XIV l’economia europea conobbe importanti trasformazioni. Nelle campagne, a causa di un clima fattosi più rigido e piovoso, le coltivazioni divennero più difficoltose e le foreste andarono estendendosi. Molti campi vennero abbandonati e rimasero incolti, mentre i contadini spesso finivano per cercare fortuna in città. Le conseguenze furono raccolti più scarsi con conseguenti carestie. Nelle città divenute più popolose, al contrario, continuavano a fiorire le attività artigianali e soprattutto commerciali. Ancora nei primi decenni del Trecento si ebbe un grande sviluppo di fiere e mercati, in particolare nella regione francese della Champagne e nelle Fiandre, mentre nel nord della Germania fiorirono le grandi città mercantili sul mar Baltico. Milano, Venezia, Genova e Firenze sono invece le città italiane in cui i commerci erano allora maggiormente sviluppati.

Perché la produzione agricola tra XIII e XIV secolo diminuì?

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5 · «Dalla fame, dalla peste, dalla guerra liberaci o Signore»: i grandi flagelli si abbattono sull’Europa
Avignone Crécy Azincourt
1360 1429 1453
Crécy
Calais
Orléans Parigi Calais
Avignone
Azincourt Orléans Chinon Parigi
Avignone Crécy Azincourt Orléans Parigi Calais
Domini

Un fenomeno tipicamente italiano: l’attività bancaria

Un fenomeno che ebbe grande sviluppo, soprattutto in Italia, fu la crescita delle banche. A Firenze, in particolare, grandi istituti bancari privati legati a importanti famiglie quali i Bardi e i Peruzzi, divennero così ricchi e potenti da riuscire a prestare denaro persino ai re europei, diventando in tal modo un sostegno fondamentale per la loro politica.

L’arrivo della peste nera

La concentrazione della popolazione nelle città, sommata alla scarse misure igieniche, favorì in Europa, attorno alla metà del secolo, la diffusione della peste nera che raggiunse il suo apice nel 1348. Non tutte le regioni europee furono colpite allo stesso modo dal morbo; si salvarono le aree di montagna e quelle lontane dalle grandi vie di comunicazione, mentre ci fu un numero maggiore di vittime nelle zone in cui la popolazione era già indebolita dalla scarsa nutrizione dovuta alle carestie e alla guerra. La peste era una malattia di origine asiatica, diffusa dalle pulci presenti nei topi, e portata inizialmente dai Tartari in Crimea. Da lì, attraverso le navi, probabilmente genovesi, giunse in Europa (la prima traccia della diffusione del morbo si ebbe a Messina nel 1347). La medicina del tempo era del tutto impreparata ad affrontare questa terribile malattia e anche i governanti non seppero adottare provvedimenti per fermare il contagio. Il risultato fu che in Europa, che allora contava dagli 80 ai 100 milioni di abitanti, si ebbero circa 20­30 milioni di morti.

Una visione più tragica della vita e della morte Gravi furono le conseguenze della peste, sia sul piano demografico, sia su quello economico e sociale. Soprattutto però fu rilevante il cambiamento che si ebbe nella mentalità delle persone. A un’epoca, quella della civiltà comunale, caratterizzata da una visione serena e ottimistica dell’esistenza, che aveva portato san Francesco nel suo splendido Cantico della creature a guardare con fiducia anche a «sorella morte», fece seguito un’età profondamente diversa e drammatica. Gli uomini della seconda metà del XIV secolo furono dominati da un sentimento di angoscia per una vita che appariva sempre più fragile e precaria e dalla paura della morte improvvisa che non concedeva alle vittime nemmeno il tempo di pentirsi dei propri peccati. Nelle rappresentazioni pittoriche e poetiche si fecero così strada i trionfi della morte e le danze macabre, mentre nella pratica religiosa prevalsero gli aspetti penitenziali che giunsero fino alle forme più estreme quali quelle dei flagellanti. Costoro percorrevano le vie dei villaggi frustandosi e recitando preghiere lamentose, allo scopo di fare pubblica penitenza per prepararsi alla morte e al giudizio divino. In questo clima di paura, si diffusero le superstizioni più strane,

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quali la credenza che la diffusione della peste dipendesse dall’influsso negativo di certi pianeti o dall’azione di forze demoniache. In alcune zone, soprattutto dell’Europa orientale, la popolazione debilitata e inferocita scatenò violenze e persecuzioni contro gli ebrei, ritenendo che fossero loro i responsabili del flagello.

Viene distrutto anche il tessuto sociale

Anche la vita sociale venne sconvolta dalla peste. Molte cronache del tempo raccontano di uomini che vagavano soli, in fuga disperata, di genitori che abbandonavano i figli e di figli che fuggivano dai genitori, di servi che tradivano i loro padroni, di mariti e mogli che si separavano, di morti lasciati insepolti per le strade o che venivano sepolti in forma anonima senza il conforto dei parenti e della religione, di case e chiese devastate da persone allo sbando. Quell’insieme di rapporti cordiali e vivaci, quel fiorire di attività, di iniziative, di associazioni, che animavano la vita cittadina solo qualche decennio prima, risultava ormai distrutto.

Perché la peste cambiò la mentalità delle persone?

Appestati coperti di piaghe Miniatura dalla Bibbia di Toggenburg (1411)

Perché in Europa esplosero le rivolte popolari?

L’esplosione delle rivolte popolari

Le drammatiche condizioni economiche nelle campagne, aggravate dalla peste e dalla terribile Guerra dei Cent’Anni, alimentarono nella seconda metà del secolo rivolte popolari che si svilupparono in varie parti d’Europa. Furono le prime rivolte di questo tipo che scoppiarono nel Medioevo. In Francia, paese direttamente colpito dalla guerra, si ebbe nel 1358 una violenta ribellione contadina, la jacquerie (termine derivato dal nomignolo dispregiativo di Jacques Bonhomme con cui allora venivamo chiamati i contadini). A questa si aggiunse un’analoga rivolta scoppiata a Parigi ad opera della borghesia cittadina. Le regioni centro­settentrionali del paese furono devastate da violenze di ogni tipo, i castelli dei nobili vennero assaliti e saccheggiati e durissima giunse la repressione da parte delle forze nobiliari, repressione che causò circa 20.000 vittime.

Analoghe rivolte si ebbero nelle Fiandre e in Inghilterra, mentre in Italia va ricordato il cosiddetto Tumulto dei Ciompi a Firenze. Si trattò di una rivolta dei lavoratori della lana (detti appunto Ciompi), umili salariati privi di ogni diritto che, guidati da un certo Michele di Lando, riuscirono in un primo momento a ottenere il governo della città ma, successivamente, vennero sconfitti e sgominati dalle forze comunali

6 · I Comuni italiani verso un nuovo ordinamento: nascono le signorie

Finisce la democrazia comunale

Perché nel XIV secolo finisce la democrazia comunale in Italia?

A partire dalla seconda metà del XIII secolo in molti Comuni italiani si ebbero profondi cambiamenti. Con lo sviluppo delle attività mercantili si erano formati nuovi ceti sempre più ricchi che miravano a ottenere il potere all’interno delle istituzioni comunali. Ciò diede origine a lotte e a contrasti violenti da cui spesso uscivano vincitori esponenti di grandi e ricche famiglie. Questi, a poco a poco, talvolta con la forza, altre volte col consenso popolare, finivano per assumere il controllo dell’intera vita cittadina e del suo governo, divenendo “signori” delle città e imponendo la trasmissione ereditaria del loro potere ai figli. Si formarono, così, le signorie, un nuovo tipo di ordinamento che rappresentò la fine dei governi comunali e della democrazia che essi, in qualche modo, avevano realizzato.

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METTIAMO A FUOCO

La fine dei Templari

Una straordinaria operazione di polizia… La notte del 13 ottobre 1307 scattò quella che uno storico francese definì «una delle operazioni di polizia più straordinarie di tutti i tempi». Tutti i Templari di Francia (circa 2.000), vennero arrestati dalle forze del re. Si trattò di una mossa a sorpresa accuratamente preparata in gran segreto (ancora il giorno prima, ignaro di quello che sarebbe successo, il capo supremo dell’ordine, il Gran Maestro Jacques de Molay, era stato in compagnia del re senza sospettare nulla). Quali furono le accuse rivolte ai Templari? un manifesto reale diffuso per le vie di Parigi le elencava: apostasia e oltraggio alla croce e alla figura di Cristo, atti osceni e idolatria (avrebbero adorato in gran segreto una statuetta diabolica chiamata Bafometto).

… e una “campagna mediatica”

ben orchestrata

Si trattava di accuse in gran parte false e dettate da invidie e gelosie, oppure fondate su confessioni estorte con la tortura. Tuttavia, diffuse in maniera capillare presso la cittadinanza – oggi si parlerebbe di una campagna mediatica per convincere l’opinione pubblica – suscitarono nella popolazione un grande effetto. I procedimenti contro i cavalieri del tempio si protrassero fino al concilio di Vienne, nell’intreccio tra indagini condotte da tribunali ecclesiastici e tribunali civili, confessioni strappate con torture e minacce e ritrattazioni, tradimenti e riaffermazioni di fedeltà all’ordine, esecuzioni sommarie e atti di clemenza. Significativa, a questo proposito, è l’autodifesa redatta nel 1310 da quattro delegati scelti come portavoce dell’ordine: «Se i fratelli del Tempio hanno detto, dicono o diranno, finché saranno in prigione, qualsiasi cosa a proprio carico o a carico dell’Ordine del Tempio, questo non porta alcun pregiudizio al suddetto Ordine perché è notorio che hanno parlato o parleranno costretti, spinti o corrotti dalle preghiere, dal denaro o dalla paura; e protestano che lo proveranno a tempo e a luogo, quando godranno di piena libertà… ».

L’esito drammatico della vicenda

L’esito della vicenda è noto, come pure è nota la fama che nei secoli successivi è caduta su questo drammatico episodio e sull’intero Ordine del Tempio, a partire dal fatto che nel giro di pochi mesi dopo il tragico rogo di Jacques de Molay morirono improvvisamente sia il papa Clemente V, responsabile dello scioglimento, che Filippo il Bello. Su queste vicende fiorirono leggende che legarono i Templari a eventi misteriosi, sette segrete e gruppi esoterici, libri, tesori, verità arcane custodite in un’aura di oscurità e segretezza. Va detto chiaramente che si tratta di leggende che non hanno alcun fondamento storico, create ad arte per catturare la curiosità spesso morbosa di lettori digiuni di storia e di metodo storico, ma purtroppo ampiamente divulgate dai mass media. Quel che è certo da un punto di vista strettamente storico è che i Templari avevano sempre combattuto con onore in Terra santa, ma che avevano anche accumulato nel tempo ingenti ricchezze in Francia. Ciò aveva suscitato accanto a diffuse invidie e rivalità, la bramosia del re che sperava, con lo scioglimento dell’ordine, di entrarne in possesso e di arricchire così le sue finanze.

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Jacques de Molay, l'ultimo Gran maestro dei templari

PROTAGONISTI

Cola di Rienzo: l’inventore della propaganda politica

Da popolano a capo della città

Cola di Rienzo fu il personaggio più singolare e interessante nella Roma senza papa del XIV secolo. egli riuscì, caso più unico che raro nella storia dell’Occidente medievale, da popolano a raggiungere i vertici del potere, senza usare le armi o la ricchezza ma solo la sua abilità oratoria e il suo intuito politico.

Roma, privata della presenza del papa, giaceva in condizioni economiche misere; l’afflusso di pellegrini e di autorità che si recavano alla corte papale era finito e quindi anche l’economia della città ne risentiva. Violenti erano gli scontri tra fazioni nobiliari rivali, per cui si viveva in un clima di insicurezza. Cola riuscì a far leva su questi problemi: garantì a tutti ricchezza economica e la fine dei soprusi e delle violenze dei nobili. Ciò gli procurò il favore della popolazione che il 18 maggio del 1347, senza l’uso delle armi, cacciò i funzionari del Comune e gli assegnò i pieni poteri per il governo della città, respingendo poco dopo anche un assalto dei nobili.

Ma in che modo quest’uomo di umili origini era riuscito in così poco tempo ad attrarre dalla sua parte il favore della gente?

Un uso abile della propaganda…

Cola era un abile oratore, colto, brillante, capace di colpire gli ascoltatori con frasi ad effetto e anche con gesti spettacolari e teatrali. Ad esempio, in una circostanza fece pubblicamente il bagno nella vasca dove, secondo la tradizione, Costantino aveva ricevuto il battesimo; in un’altra occasione, al momento della sua investitura a cavaliere, si fece incoronare con ben sei corone. un aspetto singolare della sua azione politica fu l’utilizzo di nuovi sistemi di propaganda, sistemi che definiremmo moderni. usava, infatti, dipinti allegorici (paragonabili ai manifesti elettorali che si usano oggi) in cui rappresentava le sue idee politiche (ad esempio Roma raffigurata come una nave su un mare in tempesta, assalita da bestie feroci che rappresentavano i nobili), oppure gonfaloni con immagini e slogan simili agli spot che usano oggi

i politici (sul gonfalone della libertà c’era scritto Roma caput mundi). Questa pratica, che diventerà usuale anche in altre città e in altre rivolte popolari, ebbe in lui uno degli iniziatori.

… che sfocia nella megalomania

La sua megalomania però era tanta, almeno quanto la sua abilità nel parlare. Dopo poco tempo si autoattribuì il titolo di Tribuno, al quale aggiungeva formule altisonanti come: «Tribuno della libertà, della pace e della giustizia, liberatore della Santa Repubblica romana» oppure «Candidato dello Spirito Santo, cavaliere severo e clemente, liberatore dell’urbe». Concepì il progetto di unificare l’Italia e di ricostituire nelle sue mani l’antico Impero Romano, mentre le promesse fatte al popolo non erano realizzate. La gente, che inizialmente gli credette e lo appoggiò, finì per abbandonarlo, come pure il papa e l’imperatore, da cui lui aspettava appoggio e sostegno. Conosciamo la conclusione tragica della sua vicenda: in una rivolta popolare abilmente preparata dai nobili suoi nemici, venne massacrato, il suo cadavere mutilato e bruciato, e le ceneri disperse. Fu la tragica fine di un politico abile, diremmo oggi, nel “vendere la sua immagine”, ma incapace di governare in modo saggio, realistico ed efficace nel tempo.

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LEGGIAMO L’ARTE

L’ossessione della morte nell’arte: trionfi

e danze macabre

La vita come qualcosa di estremamente precario

L’esperienza drammatica della peste segnò profondamente la mentalità dell’uomo europeo. Tra il XIV e il XV secolo si diffuse un modo di sentire la vita come qualcosa di fragile e precario, sempre appesa a un filo che, improvvisamente, poteva spezzarsi. La morte appariva, quindi, come una minaccia continua e ossessiva che toglieva ogni serenità al vivere quotidiano e alle azioni degli uomini. In ogni momento, si pensava, tutto poteva finire e l’uomo sarebbe dovuto comparire davanti al giudizio di Dio, spesso senza avere il tempo di pentirsi e di chiedere perdono dei propri peccati.

L’incombenza della morte

Molte rappresentazioni artistiche e letterarie danno voce a questo modo angosciante di intendere la vita. Sulle pareti delle chiese e dei cimiteri si rappresentavano le danze macabre, dei dipinti nei quali i morti, raffigurati come scheletri, tornano sulla terra e prendono con sé i vivi per portarli, attraverso un vorticoso ballo, nell’aldilà. Si tratta di dipinti presenti soprattutto in Francia e nell’eu-

ropa del nord, ma non mancano esempi anche in Italia come quello che si trova a Clusone (Bergamo). In Italia si diffuse anche la rappresentazione dei trionfi della morte. Si tratta di dipinti (ma anche testi letterari) in cui la morte viene raffigurata in forma di scheletro che, con aria truce, impugnando una falce o altre armi, colpisce dall’alto di un carro o su un veloce destriero, tutti coloro che le capitano a tiro. Gli uomini sono interrotti nelle loro attività e nei loro piaceri e messi di fronte al proprio destino. La caratteristica di tali rappresentazioni è proprio questa: ricordare che la morte si abbatte improvvisamente e indistintamente su tutti, senza fare differenze tra ricchi e poveri, potenti o uomini da poco, papi, imperatori, re, mercanti o contadini, sapienti e ignoranti. Davanti alla morte scompaiono tutte le differenze sociali, economiche e culturali. In tal modo, si voleva invitare i fedeli all’umiltà e a una vita morigerata per essere sempre pronti alla chiamata finale.

Trionfo della morte

Affresco anonimo risalente alla metà del XV secolo Galleria Regionale della Sicilia, Palermo

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PROTAGONISTI

Giovanna d’Arco: quando una ragazza può cambiare la storia

Dalla realtà alla leggenda

Giovanna d’Arco è uno di quei personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia e i cui tratti tendono facilmente a spostarsi dalla realtà al mito e alla leggenda. nata probabilmente il 6 gennaio 1412 a Domremy, piccolo villaggio della Lorena, regione nord-orientale della Francia, e figlia di umili contadini, non imparò mai né a leggere né a scrivere, ma dai genitori ricevette una fede forte e un amore profondo per la propria patria. nel villaggio in cui Giovanna viveva giungevano gli echi terribili della Guerra dei Cent’Anni che allora sconvolgeva il paese. non erano poi infrequenti le scorrerie nella zona di soldati inglesi. Fin dai tredici anni, tra lo scetticismo e gli scherni degli abitanti del villaggio, la ragazza sosteneva di avere delle visioni e di sentire delle “voci”: erano, secondo lei, angeli e santi che le recavano messaggi divini.

Prescelta per una grande missione

In breve maturò in lei la coscienza di essere stata prescelta da Dio per una grande missione: salvare il proprio paese dalla guerra e dall’umiliazione. Finì per lasciarsi guidare da queste voci e per mettersi a capo di una azione di riscatto francese per riunificare la Francia intera sotto il suo legittimo sovrano. Recatasi dal delfino, il futuro Carlo VII, riuscì a ottenerne l’appoggio e a porsi a capo dell’esercito che marciò su Orléans. Vestita da uomo, coperta da un’armatura di battaglia, con lo stendardo e la spada, subito seppe suscitare nel popolo e nell’esercito francese, ormai rassegnati alla sconfitta, nuova speranza e nuovo entusiasmo. L’8 maggio 1429 Orléans venne liberata e in quello stesso anno Carlo VII poté finalmente essere incoronato re di Francia a Reims. era il primo passo verso la riscossa e la cacciata definitiva degli inglesi dal suolo di Francia. Fu a questo punto, però, che le sorti della pulzella (fanciulla) cominciarono a cambiare. Il re, poco favorevole a continuare la guerra, frappose ostacoli e Giovanna finì per rimanere sola, senza l’appoggio dall’alto. Venne allora catturata nel corso di una battaglia

dai soldati borgognoni, alleati degli inglesi. nulla fu fatto dal re di Francia per liberarla e le stesse autorità ecclesiastiche preferirono lasciarla al suo destino, giudicandola una povera contadina esaltata e visionaria.

Il processo e la condanna a morte

Consegnata agli inglesi che pagarono a peso d’oro questa consegna, fu sottoposta a un processo pubblico a Rouen (gennaio-maggio 1431) allo scopo di dichiararne la follia e l’eresia. Gli inglesi, per fare questo, si rivolsero ai maggiori teologi del tempo, che erano allora d'accordo con loro. Rinchiusa per tutto il periodo del processo in una gabbia di ferro con pesanti catene ai piedi, alle mani e al collo, venne irrisa e sbeffeggiata per le sue visioni, considerata indemoniata ed eretica. Fu, alla fine, condannata al rogo, ma non rinnegò mai le sue visioni come non rinunciò al suo abito di soldato. Già pochi anni dopo, però, quando oramai i francesi si stavano avviando alla vittoria, la sua figura venne riabilitata e il re Carlo VII dichiarò nulla la sentenza di Rouen. Ma prima ancora del re erano stati i francesi a risollevare il ricordo della ragazza: a lei fu attribuito il merito principale della vittoria contro gli inglesi e venne considerata un'eroina. nel 1920 fu proclamata santa dalla Chiesa e nello stesso anno il governo francese le dedicò una festa nazionale; la sua figura poi ha finito per ispirare molti racconti, opere letterarie, pittoriche e cinematografiche, tuttora famose. Sicuramente, da un punto di vista storico, possiamo dire che il suo intervento e la sua azione furono decisivi sia per condurre i francesi al successo sia per consolidare in essi un forte sentimento patriottico. Quello che stupisce ancor oggi è che a realizzare tutto questo sia stata un ragazzina analfabeta e di umili origini.

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PARTIAMO DALLE FONTI

La peste a Firenze nel racconto di Giovanni Boccaccio

nelle prime pagine del suo capolavoro, il Decameron, lo scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio descrive l’irruzione dell’epidemia di peste a Firenze nel 1348. Dal suo racconto emergono alcune interessanti osservazioni riguardo alle modalità di diffusione del contagio, alle sue manifestazioni sui corpi delle vittime e ai comportamenti dei cittadini di fronte a questa tragedia. Ti presentiamo alcuni estratti di questa descrizione che è naturalmente in lingua volgare (così era chiamato l’italiano del tempo). Abbiamo perciò provveduto a trascriverli nell’italiano odierno ma abbiamo deciso di lasciarne una parte in lingua originale (quella evidenziata in corsivo). Ti proponiamo di provare a leggere da solo anche questa parte per vedere se riesci a comprenderla: sarebbe un utile esperimento con cui ti potrai avvicinare alla lingua antica. Ti accorgerai, con sorpresa, che è meno difficile di quanto si possa pensare

«Già erano passati 1348 anni dalla incarnazione del Figlio di Dio, quando nella egregia città di Firenze, la più nobile delle città italiane, giunse la mortifera pestilenza. Questa, o per l’influenza degli astri o mandata agli uomini dalla giusta ira di Dio a correzione delle loro malvagità, incominciata parecchi anni prima nell’Oriente, dove aveva mietuto molte vittime, senza fermarsi, passando da un luogo all’altro, era giunta fino all’Occidente. nascevano all’inizio, sia ai maschi che alle femmine, o nell’inguine o sotto le ascelle certe rigonfiature, alcune grandi come comuni mele, altre come uova, che la gente chiamava bubboni. e in breve tempo questi bubboni mortiferi si diffondevano in tutte le parti del corpo e poi si trasformavano in macchie nere o livide che apparivano a molti sulle braccia o sulle cosce, ad alcuni grandi e rade ad altri piccole e spesse.

A cura delle quali infermità né consiglio di medico, né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra ‘l terzo giorno dalla apparizione de’ sopraddetti segni, chi più tosto e chi meno, e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano. E più avanti ancora ebbe di male: che non solamente il

parlare e l’usare con gl’infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator trasportare.

Da queste cose e da altre simili e maggiori nacquero diverse paure in chi era vivo; alcuni pensavano di mantenere la salute evitando i malati e le loro cose. Altri ritenevano che il vivere moderatamente e il guardarsi da ogni eccesso aiutasse a resistere a questo contagio. Altri ritenevano al contrario che la medicina contro questo male fosse bere assai, divertirsi e soddisfare ogni istinto facendosi beffe della malattia. e così le leggi sia umane che divine non erano più rispettate perché coloro che dovevano farle rispettare erano tutti o morti o infermi. uomini e donne abbandonarono la loro città e le loro case, i loro luoghi e i loro parenti, un fratello abbandonava l’altro, lo zio il nipote, la sorella il fratello, e spesse volte la moglie il marito e, cosa quasi incredibile, i padri e le madri i figlioli quasi non fossero i loro». Adatt.

1. Quali erano, secondo il narratore, le cause della peste?

2. Come si manifestavano i primi sintomi della malattia?

3. Entro quanti giorni moriva chi era colpito dal morbo?

4. Come si trasmetteva il contagio da persona a persona?

5. Come si comportavano le persone in questa drammatica situazione? Perché si dice che le leggi umane e divine non erano più rispettate?

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IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA

Curare e guarire nel Medioevo

Poche cure, ma tanta carità

La medicina, almeno nell’alto Medioevo, non era certamente una scienza praticata e sviluppata. non esistevano cure e terapie efficaci per fronteggiare le malattie più diffuse né ricerche a questo scopo. Anche le scoperte che la medicina antica, in particolare quella greca, aveva fatto erano andate in buona parte perdute. nei monasteri, però, la medicina naturale era tenuta in grande considerazione: si praticavano cure con le erbe e si prestava grande attenzione alla coltivazione di piante aromatiche e salutari (era in uso per questo allestire un orto particolare chiamato “giardino dei semplici”). I contadini, al contrario, si affidavano spesso a pratiche tradizionali al limite della superstizione, oppure confidavano nei miracoli. In ogni caso, ai malati si prestava molta cura: non erano lasciati soli nella malattia; ovunque nei monasteri, presso i santuari, in appositi ospizi, erano assistiti, accuditi e confortati da monaci e persone caritatevoli che mettevano in pratica l’insegnamento di Cristo di assistere i bisognosi.

Dopo il Mille: un indubbio progresso

La situazione cominciò a cambiare con lo sviluppo della vita cittadina e comunale. In generale al benessere del corpo si cominciò a dedicare più attenzione e le tecniche di cura cominciarono a perfezionarsi; la medicina, da semplice forma di carità e assistenza, diventò una scienza. Gli ospedali, sorti principalmente ad opera degli ordini religiosi e delle confraternite, divennero luoghi di cura, e non più solo di ospitalità, cominciando così a differenziarsi dai semplici ospizi. I medici divennero dei professionisti, anche ben pagati, che arrivavano a svolgere la loro professione dopo anni di studio. Per curare praticavano salassi, cioè prelievi di grosse quantità di sangue dall'organismo, operavano chirurgicamente, somministravano farmaci di varia natura. L’efficacia di queste cure era tutta da dimostrare e comunque esse non avevano nulla di paragonabile alle cure di oggi. Ricordiamo, comunque, che nel XII secolo fiorì la celebre scuola medica di Salerno, una vera e propria università di medicina con un corso di

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studi molto approfondito (per diventare medici bisognava studiare per tre anni la logica, per cinque la medicina, comprese anatomia e chirurgia, e infine praticare per un anno il tirocinio presso un altro medico). Chi esercitava pratiche mediche senza averne titolo era punito molto severamente dalla legge e considerato un ciarlatano. Anche gli studi medici degli antichi autori vennero tradotti e diffusi. Si studiavano i testi di Galeno, Ippocrate, Aristotele. un libro molto importante per gli studi medici fu il Canone dello scienziato orientale Avicenna.

Il caso della lebbra: una malattia allora incurabile

Particolare era il caso della lebbra, una malattia abbastanza contagiosa, per la quale non esistevano cure e che portava a una morte lenta e devastante (il volto e il corpo venivano sfigurati e il malato emanava un forte fetore). Proprio per queste caratteristiche, chi contraeva tale malattia finiva anche per essere considerato un individuo maledetto e preda del diavolo. Per tali ragioni, l’unica risposta che la società comunale trovò fu l’isolamento, l’allontanamento dei lebbrosi dalla comunità civile. Vennero allestiti dei lebbrosari

fuori città (nel Duecento se ne contavano circa 19.000 in tutta europa) in cui il malato doveva vivere senza aver più contatti con le persone sane. Per questo risulta ancora più straordinaria la decisone di san Francesco di vivere con i lebbrosi, una grande testimonianza di carità che giungeva fino a mettere a rischio la propria vita.

L’irruzione della peste

Il fragile impianto della scienza medica di allora fu sconvolto nel Trecento dall’irruzione della peste. Contro questa terribile malattia, che si diffondeva rapidamente anche per la scarsità di misure igieniche e le carenze alimentari della gente, i medici non ebbero alcuna possibilità di intervenire e la medicina tutta fece dei passi indietro. Si tornò a spiegazioni di carattere superstizioso (come quella che attribuiva il contagio alla posizione dei pianeti nel cielo) che non aiutarono certo a trovare rimedi efficaci.

Raffigurazioni riguardanti la pratica della medicina

Miniature da un codice della seconda metà del XII secolo Sir Hans Sloane Collection, The British Library, London

CAPITOLO 15 351

RACCONTIAMO IN BREVE

1. Nel XIV secolo iniziò il tramonto della civiltà medievale (l’“autunno del Medioevo”), tramonto che riguardò molteplici aspetti. Innanzitutto sul piano politico si registrò il definitivo indebolimento del ruolo e dell’autorità imperiale: vi furono imperatori deboli, ridotti ormai a governare pienamente solo i propri territori tedeschi. Anche il nuovo sistema di elezione (la “Bolla d’oro” di Carlo IV di Boemia) di fatto finì per ridurre l’imperatore a un semplice principe al pari dei suoi elettori.

2. Il papato visse in questo periodo la “cattività avignonese”: i papi risiedettero nella città francese e furono praticamente sotto il controllo del re di Francia, sottomessi alla sua politica. Un fatto grave che avvenne durante questo periodo, e che conferma tale sottomissione, fu lo scioglimento dell’ordine dei Templari e la loro successiva eliminazione.

3. Mentre il papa risiedeva ad Avignone, a Roma, per un breve periodo, si impose la figura di Cola di Rienzo, un popolano che, preso il potere col favore della gente, concepì il disegno anacronistico di riportare Roma all’antico splendore imperiale. Abbandonato dal popolo e avversato dai nobili, dal papa e dallo stesso imperatore, fu assassinato e il suo progetto fallì.

4. Anche dopo il ritorno a Roma della sede pontificia (1377), la Chiesa non trovò pace. Si sviluppò infatti un terribile scisma che la spaccò in due: da una parte fu eletto un papa italiano, dall’altra un papa francese. Vi furono quindi due Chiese, due autorità e due gerarchie. E questo creò grande confusione e sconcerto nei fedeli.

5. La Francia e l’Inghilterra furono coinvolte in un durissimo scontro militare, la Guerra dei Cent’Anni, che durò quasi ininterrottamente dal 1337 al 1453. Si trattava di un conflitto che aveva origine da controversie riguardanti la successione al trono francese, ma che in realtà nascondeva anche ragioni nuove, di tipo economico e politico: i due grandi stati nazionali, in assenza dell’autorità dell’imperatore, si contendevano il predominio futuro sull’Europa.

6. La guerra, inizialmente, vide la netta prevalenza degli inglesi; vi fu poi però la riscossa francese, guidata da un’eccezionale figura femminile, Giovanna d’Arco. Nonostante la cattura e l’uccisione di questa ragazza da parte degli inglesi, alla fine saranno proprio i francesi a ottenere una schiacciante vittoria.

7. La guerra, unitamente ad altre cause, creò miseria e favorì la diffusione della grande epidemia di peste che si sviluppò in gran parte dell’Europa, raggiungendo il suo culmine

352 L’“Au T unn O DeL MeDIO e VO”

nel 1348. La peste trovò una società impreparata ad affrontarla, causò perciò milioni di vittime, devastò la vita sociale nelle città e nelle campagne, creò un clima di diffusa paura di cui anche l’arte dà testimonianza col fiorire delle rappresentazioni delle “danze macabre” e dei “trionfi della morte”.

8. Reazione alla miseria e alla carestia diffuse fu l’esplosione, in molte parti d’Europa, di un insieme di rivolte popolari (in Italia vi fu quella fiorentina dei Ciompi). Queste rivolte, le prime di questo tipo nel Medioevo, finirono generalmente nel fallimento e con le più brutali repressioni da parte dei nobili.

9. Anche l’esperienza dei Comuni in Italia andava declinando. In molte città, infatti, si imposero famiglie ricche e potenti che si impossessarono del governo, abolendo le istituzioni comunali e ottenendo l’ereditarietà delle loro cariche. Oramai ci si avviava verso il governo delle “signorie”.

CAPITOLO 15 353

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Che cosa stabiliva la “Bolla d’oro” e da chi fu emanata?

2. Che cosa si intende per “cattività avignonese” della Chiesa?

3. Chi era Caterina da Siena e perché la sua opera fu importante?

4. Chi era Cola di Rienzo e che cosa fece?

5. Come si concluse la prima fase della Guerra dei Cent’Anni?

6. Chi era Giovanna d’Arco?

7. Da dove proveniva la peste e da che cosa fu favorita la sua diffusione?

8. Che cosa fu la jacquerie? e il Tumulto dei Ciompi?

9. Che cosa sono le signorie? e quando si trasformarono in principati?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. Concilio di Costanza

2. Guerra dei Cent’Anni

3. Ritorno a Roma del papato

4. Bolla d’Oro di Carlo IV

5. esplosione dell’epidemia di peste

Esercizio 3 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

Con la Bolla d’oro di Carlo IV

a. si stabilì la pari dignità dell’imperatore e dei principi tedeschi.

b. si cambiarono le regole per l’elezione dell’imperatore.

c. si stabiliva la superiorità dei sovrani europei sull’imperatore.

Nel periodo avignonese la Chiesa

a. conobbe grande crescita e sviluppo.

b. conobbe un periodo di libertà e di riforme.

c. fu sottoposta all’autorità del re di Francia.

Con il “Grande Scisma”

a. la Chiesa d’Occidente si trovò con due papi e venne divisa in due.

b. la Chiesa d’Occidente si separò definitivamente da quella d’Oriente.

c. la Chiesa d’Occidente fu sottomessa definitivamente all’autorità imperiale.

La Guerra dei Cent’Anni può essere considerata la prima guerra moderna

a. perché fu combattuta con nuove armi.

b. perché fu combattuta per il predominio politico ed economico sull’europa.

c. perché fu combattuta contro l’imperatore.

354 L’“Au T unn O DeL MeDIO e VO”
1337-1453 1348 1356 1377 1418

Le signorie si affermarono

a. quando l’imperatore impose i suoi rappresentanti al governo delle città.

b. quando terminò il conflitto tra guelfi e ghibellini.

c. quando il governo delle città fu preso da esponenti delle famiglie più potenti.

Esercizio 4 · Completa la seguente mappa concettuale inserendo negli spazi predisposti i concetti e i fatti qui di seguito elencati, in modo da evidenziare i nessi causali rappresentati dalle frecce.

nei Comuni si affermano dopo varie lotte alcune famiglie potenti.

I “signori” detengono tutto il potere e pongono fine alle istituzioni comunali. nascono i Principati.

I “signori” ottengono dal papa o dall’imperatore il riconoscimento del loro potere col conferimento di un titolo.

Il potere passa nelle mani dei “signori”.

Esercizio 5 · Elenca, in non più di quindici righe del tuo quaderno, i fattori che caratterizzano il declino della civiltà comunale, suddividendoli in fattori politici, religiosi, culturali, economici e sociali.

CAPITOLO 15 355

Bartolomeo Colleoni

Statua equestre di Andrea Verrocchio (1480-1488), Venezia

L’Italia delle signorie e dei principati

La fine della stagione comunale

A partire dalla seconda metà del XIII secolo, nei Comuni italiani si verificarono graduali, ma profondi cambiamenti. Ricche e potenti famiglie presero il potere, soppiantando le istituzioni comunali. Si trattava delle “signorie” che, di lì a breve, si sarebbero trasformate in principati.

Se questo, come vedremo più avanti, ebbe effetti straordinari sullo sviluppo dell’arte e della cultura, intrecciandosi col nascente Umanesimo e il successivo Rinascimento, sul piano più strettamente politico produsse esiti non del tutto positivi. Innanzitutto finì la breve stagione delle libertà comunali e delle prime nascenti forme di democrazia civica, per lasciare spazio a forme di governo e di potere tendenzialmente assolute. In secondo luogo, l’Italia si frammentò in molteplici stati di dimensioni regionali, aggressivi e bellicosi, che daranno vita a una stagione di guerre locali, alimentate anche dallo sciagurato utilizzo delle truppe mercenarie. Il risultato fu un’Italia sempre più debole e marginale, proprio mentre le grandi nazioni europee si andavano consolidando e all’orizzonte si profilava la minaccia di un'invasione turca.

AL TERMINE DEL CAPITOLO

Schede di approfondimento

• Vivere a Firenze nel Quattrocento

• 800 volte “no”: i martiri di Otranto

• Un testimone oculare racconta la congiura dei Pazzi

• Uccidere con le armi da fuoco è la stessa cosa che uccidere con la spada?

• Quando finisce il Medioevo?

Raccontiamo in breve

Attività e verifiche

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Capitolo 16
357 CAPITOLO 16
per non perdere il filo

Perché nacquero le signorie?

1 · L’evoluzione delle istituzioni comunali

L’avvento delle signorie

In gran parte dei Comuni dell’Italia centro-settentrionale, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, si ebbe una graduale trasformazione delle istituzioni di governo. Le famiglie più ricche e potenti, che avevano accumulato ingenti ricchezze grazie alle nuove attività mercantili o finanziarie e che quindi potevano permettersi di avere a disposizione dei propri uomini armati, riuscirono, spesso in seguito a dure lotte contro famiglie rivali, a impossessarsi del potere all’interno delle città. Le cariche di governo esistenti nel Comune finirono per essere occupate da membri di queste famiglie o addirittura vennero soppresse. Spesso l’esponente più autorevole della casata, il “signore”, finiva per governare da solo la città e il territorio circostante, prendendo tutte le decisioni, comandando l’esercito, amministrando la giustizia e trasmettendo infine questi poteri al proprio figlio al momento della morte. Per queste ragioni si parla di nascita delle signorie.

Un panorama variegato

Per la verità le signorie si affermarono in modi e tempi diversi. A volte, come detto, i signori prendevano il potere con la forza, dopo avere eliminato o sottomesso le famiglie rivali. Altre volte lo face-

358 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI
Il Palazzo Ducale di Urbino, residenza della signoria dei Montefeltro

vano col consenso del popolo che, stanco di assistere a lotte che minacciavano la sicurezza di tutti, accettava volentieri l’autorità di un signore che garantisse la pace in città. In qualche caso, di fronte a scontri interni al Comune che si protraevano nel tempo e che causavano, come visto, lutti e devastazioni, i cittadini chiamavano personaggi autorevoli provenienti da fuori, nobili o capi militari, a cui affidavano il governo, col compito di porre fine a queste lotte. L’intenzione era che si sarebbe dovuto trattare di un governo al di sopra delle parti e, soprattutto, di breve durata, giusto il tempo di ricomporre i contrasti interni. Spesso invece accadeva che questi signori riuscissero ad allargare sempre più i loro poteri e a protrarre nel tempo l’incarico ricevuto fino a renderlo vitalizio, o addirittura ottenessero di poterlo trasmettere ereditariamente ai figli.

La fine delle libertà comunali

In ogni caso con l’affermazione delle signorie nelle città italiane cessava di esistere quella forma di libertà e “democrazia” che si era affermata con gli ordinamenti comunali e che i Comuni avevano coraggiosamente difeso nella lotta contro gli imperatori. Ora, col governo dei signori, le istituzioni comunali (consigli, assemblee, magistrature) perdevano ogni valore. I cittadini non prendevano più parte alle discussioni e alle decisioni che riguardavano la vita della città e pagavano le imposte ai nuovi signori. Non entravano più nemmeno a far parte dell’esercito: per questo infatti si faceva un costante ricorso, come vedremo più avanti, a truppe mercenarie.

Una nuova immagine del potere

I signori cercarono di rafforzare il loro potere dando ad esso un’immagine di splendore, di raffinatezza, di eleganza, di magnificenza. Per questo ebbero una cura particolare nel realizzare splendidi palazzi in cui risiedere con le loro corti, nell’abbellire le loro città facendo costruire grandi piazze o grandi viali, che diventassero come dei palcoscenici dove sfilare, mostrarsi al popolo, allestire spettacoli e parate. Per fare tutto questo si circondarono di architetti, scultori, artisti e letterati che finanziarono e ai quali chiesero di dare lustro, cioè importanza, al loro potere e al loro casato.

Quando le signorie si trasformano in principati

Per consolidare il loro potere inoltre i signori cercarono il sostegno e l’approvazione del papa o dell’imperatore. Senza il consenso di questi, infatti, il loro governo non poteva essere considerato legittimo. La legittimazione poi poteva avvenire attraverso l’ottenimento dell’incarico di vicario imperiale o più frequentemente di un titolo nobiliare (in prevalenza quello di duca, di granduca o di marchese). Questo fu il caso ad esempio dei Visconti a Milano (prima

Perché a volte i signori prendevano il potere con il consenso del popolo?

Perché con le signorie finiscono le libertà comunali?

Perché i signori abbellirono i loro palazzi e le loro città?

CAPITOLO 16 359

Perché era importante per i signori ottenere un titolo nobiliare dal papa o dall’imperatore?

vicari imperiali e poi dal 1395 duchi), dei Gonzaga a Mantova (marchesi dal 1433), dei Savoia nei loro domini a cavallo delle Alpi Occidentali (duchi dal 1416). Singolare fu il caso degli Estensi che ottennero il titolo di duchi di Modena e Reggio dall’imperatore nel 1452 e quello di duchi di Ferrara dal papa nel 1471. Col conferimento di questi titoli, i signori potevano essere considerati ormai come dei veri e propri sovrani (per questo si parla anche di principati).

Nascono gli stati regionali

Perché si parla di “stati regionali”?

I nuovi “principi” governavano infatti con piena autorità stati che, inizialmente, erano ancora di dimensioni cittadine ma presto si sarebbero ampliati. Infatti i principati più grandi e potenti cominciarono ben presto a ingrandire i loro domini, sottomettendo e inglobando le città più piccole e i territori circostanti. Nacquero così stati grandi all’incirca come le attuali regioni e per questo gli storici parlano di “stati regionali”.

L’Italia: un mosaico di stati

È giunto a questo punto il tempo di conoscere da vicino i più importanti tra questi principati. Partendo dall’Italia settentrionale, troviamo innanzitutto le propaggini, negli attuali Piemonte e Valle d’Aosta, del Ducato dei Savoia, con capitale a Chambery (lo spostamento della capitale a Torino avverrà solo nel 1563) e che allora comprendeva soprattutto territori che oggi fanno parte della Francia. Vi era poi il ricco e potente Ducato di Milano di cui parleremo ampiamente più avanti. A est si estendeva il territorio della Repubblica di Venezia, che non divenne mai principato ma, come abbiamo visto, rimase sempre saldamente nelle mani di poche famiglie aristocratiche. In Toscana si andò affermando progressivamente la Repubblica di Firenze, in realtà una signoria sotto il dominio della potente famiglia dei Medici che otterranno il titolo di granduchi solo nel 1569 ma che ebbero sempre un potere indiscusso sulla città e sullo stato. L’Italia centro-meridionale era divisa fra lo Stato Pontificio, governato dal papa, il Regno di Napoli e quello di Sicilia. Inizialmente questi due regni erano divisi: il primo in mano agli Angioini e il secondo agli Aragonesi. Vennero poi unificati, a partire dal 1442, quando Alfonso V d’Aragona sconfisse Renato d’Angiò e si impossessò di Napoli. A questo punto tutta l’Italia meridionale, insieme con la Sicilia e la Sardegna, costituì un unico grande regno aragonese. In questo quadro vanno anche menzionati dei principati politicamente meno rilevanti ma significativi soprattutto, come vedremo, sul piano dello sviluppo artistico e culturale: si tratta del marchesato di Saluzzo, dei domini degli Estensi a Ferrara e in altri territori a sud del Po, dei Gonzaga a Mantova, dei Montefeltro a Urbino.

360 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI

Torino

Milano Genova

Repubblica di Lucca

Ducato di Mantova

Venezia

Ferrara Modena

Repubblica di Firenze Principato di Piombino

Repubblica di Genova Corsica (Repubblica di Genova)

Mar Mediterraneo

Firenze

Siena

Domini degli Estensi Repubblica di Siena

Stato della Chiesa

Roma

Regno di Napoli

Palermo

2 · Le guerre per il predominio in Italia e lo sviluppo delle corti

Il progetto di dominio dei Visconti

A Milano si affermò nel corso del XIII secolo la signoria dei Visconti, che presero il potere nel 1277 e governarono la città fino al 1447. I Visconti tentarono di dare ai loro domini dimensioni più ampie fino a giungere, con Gian Galeazzo, signore dal 1385, a impadronirsi di Verona, Vicenza, Padova, Bologna e, a sud degli Appennini, Perugia, Pisa e Siena. Solo la morte improvvisa nel 1402 fermò il suo tentativo, proprio quando si accingeva ad assediare Firenze. Per dare solidità e lustro al suo potere egli aveva ottenuto inoltre, nel 1395, dall’imperatore Venceslao il titolo di duca e aveva avviato un grande sviluppo artistico con l’inizio dei lavori per la costruzione del Duomo e della splendida Certosa di Pavia. Il figlio Filippo Maria continuò la politica paterna, ma senza successo: trovò infatti l’opposizione di Firenze e Venezia e da quest’ultima venne sconfitto, nel 1427, nella battaglia di Maclodio, nei pressi di Brescia. Durante il governo di Filippo Maria scoppiò la guerra, cui abbiamo già fatto cenno, tra Renato d’Angiò e Alfonso d’Aragona per la successione al trono del Regno di Napoli. Il duca di Milano si alleò prima con gli Angioini, ma poi passò dalla parte di Alfonso. L’intento evi-

L’Italia dopo la Pace di Lodi (1454)

CAPITOLO 16 361
Napoli Regno di Sardegna Repubblica di Venezia Ducato di Milano Ducato di Savoia

Perché Filippo Maria

Visconti sostenne

Alfonso d’Aragona

nella guerra contro gli Angioini?

dente di Filippo Maria era quello di crearsi nel centro-nord dell’Italia un regno di dimensioni analoghe a quello che la casa d’Aragona si era costruita nel Mezzogiorno. I due regni si sarebbero poi alleati per darsi reciproco sostegno. Il contributo milanese fu determinante per il successo della guerra di conquista grazie alla quale Alfonso poté insediarsi come nuovo re di Napoli (1442)

Dai Visconti a Francesco Sforza

Nel 1447 Filippo Maria Visconti morì senza lasciare eredi diretti. Per un breve periodo, principalmente per opera dei mercanti della città, i milanesi riuscirono a far rivivere le istituzioni comunali creando quella che passò alla storia come Repubblica Ambrosiana. Fu però un tentativo destinato al fallimento: nel 1450 Francesco Sforza, che aveva sposato la figlia di Filippo Maria e che comandava le truppe milanesi, si impossessò del potere facendosi incoronare duca.

La minaccia turca e la pace di Lodi

Non era più tempo però per una politica di conquista. Il contesto internazionale stava infatti profondamente cambiando e all’orizzonte si andava profilando per la penisola una nuova terribile mi-

362 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI
Stemma dei Visconti, signori di Milano Castello Sforzesco, Milano

naccia. I Turchi infatti, presa Costantinopoli, come vedremo più avanti, si affacciavano bellicosamente sull’Adriatico. Per gli stati italiani era quindi tempo di interrompere le guerre fratricide per unirsi di fronte al comune pericolo. Nel 1454 fu a tale proposito stipulata tra Milano e Venezia la Pace di Lodi. Con essa finì il decennale scontro fra i due stati col riconoscimento dei confini lungo il fiume Adda. Questo accordo fu accettato anche dagli altri stati coinvolti a vario titolo nel conflitto e pose le basi per un’alleanza comune in funzione antiturca, la “Santissima Lega”, cui aderirono Milano, Venezia, Firenze, il papa e il re di Napoli. Alla base di questa alleanza stava, oltre alla constatazione del pericolo turco che incombeva sulla penisola, il fatto che nessuno degli stati italiani sarebbe stato in grado di raggiungere una supremazia sugli altri tale da poter pretendere di dominare su tutta l’Italia. Esisteva un sostanziale equilibrio tra le forze, equilibrio che questo accordo avrebbe dovuto mantenere e rafforzare, impedendo a qualsiasi stato di diventare più forte degli altri. Solo così si sarebbe potuto garantire la pace, cosa che avvenne fin verso la fine del XV secolo.

L’ascesa dei Medici a Firenze: Cosimo il Vecchio

Tra gli stati che divennero protagonisti della scena politica italiana, soprattutto nella seconda metà del secolo, vi fu Firenze. Qui si era andata affermando la signoria dei Medici, ricchi banchieri di origini oscure, che avevano saputo con i loro traffici costituire un’immensa ricchezza e raggiungere fama in tutta Europa. A partire dal 1434 un autorevole esponente della famiglia, Cosimo il Vecchio, cominciò a imporre la sua signoria in un modo singolare. Non abolì infatti le istituzioni comunali né occupò mai alcuna carica di governo (per questa ragione Firenze continuò a dirsi repubblica): seppe però tenere in pugno la città grazie al favore che si era conquistato presso il popolo e collocando uomini a lui fedeli nei vari posti di comando e nelle più importanti cariche pubbliche. Altro grande merito suo fu l’impegno a favore dell’arte e della cultura: fu infatti amico di artisti e letterati che incoraggiò, protesse e finanziò.

L’astro di Lorenzo il Magnifico

L’opera di Cosimo fu continuata con ancora maggior successo dal nipote Lorenzo che, proprio per questo, fu detto il Magnifico (14491492). Egli si adoperò, sul piano politico, per consolidare la pace e l’equilibrio sanciti a Lodi, intervenendo per sanare contrasti, impedire conflitti, consolidare alleanze. Per questo si meritò anche l’appellativo di “ago della bilancia” della politica italiana. Non ebbe però vita facile in questo, anche nella sua Firenze, dove incontrò svariati oppositori e dovette fronteggiare una congiura da parte della famiglia nemica dei Pazzi, appoggiata dal papa. In questa congiura, avvenuta nel 1478, trovò la morte anche il fratello Giuliano.

Perché si parla di equilibrio tra gli stati italiani?

Perché si arrivò alla Pace di Lodi?

Perché Firenze continuò ad essere chiamata repubblica anche sotto il dominio dei Medici?

CAPITOLO 16 363

Lorenzo il

Perché Lorenzo fu soprannominato “l’ago della bilancia” della politica italiana?

Lorenzo, scampato a fatica, seppe però riprendersi e stroncare con durezza gli avversari. Da questo però derivò un nuovo conflitto che vide schierate da una parte le forze papali e quelle del re di Napoli Ferrante d’Aragona, dall’altra Firenze e i suoi alleati Milano e Venezia. La pace sembrava di nuovo in pericolo ma ancora una volta Lorenzo seppe, con abilità, risolvere la situazione raggiungendo un accordo col re di Napoli che pose fine allo scontro.

Lo splendore della corte medicea

Lorenzo si distinse anche per il suo straordinario impegno in campo artistico e culturale e per lo splendore di cui seppe circondare la sua corte. Come già il nonno, favorì e protesse artisti e letterati tra i quali il poeta Angelo Poliziano, i filosofi Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, i pittori Sandro Botticelli e Andrea Verrocchio, l’architetto Giuliano da Sangallo. Fu egli stesso raffinato poeta e intellettuale, nonché animatore e promotore di spettacoli ed eventi culturali che crearono in città un clima di eleganza e di vivacità. Con lui Firenze poté a buon diritto essere definita la “novella Atene”. Di pari passo però crescevano anche la corruzione e la miseria dei più poveri. Quando ormai la sua salute stava venendo meno, contro tale stato di cose cominciò a scagliarsi il frate domenicano Girolamo Savonarola, intransigente predicatore contro il lusso, la corruzione

364 L’ITALIA
Magnifico Medaglia coniata da niccolò Fiorentino (fine XV secolo), national gallery of art, Washington, dC

morale e la prepotenza dei fiorentini e dei loro governanti. Amareggiato, tra l’altro, da questi attacchi, Lorenzo morì, ancor giovane, il 9 aprile del 1492. Con lui finiva un periodo di pace e l’Italia e Firenze, da quel momento, andranno incontro ad anni e situazioni terribili.

Un bilancio di luci e ombre

La Firenze medicea divenne, più di ogni altra città italiana, il simbolo di quello straordinario periodo di fioritura creativa che venne chiamato Rinascimento e che ha reso l’arte e la cultura italiana famose nel mondo. Ad esso dedicheremo ampio spazio nel secondo volume del nostro corso. Qui tracciamo un bilancio sul piano più strettamente politico-sociale. Da questo punto di vista non tutto di questa età si presenta luminoso. Accanto al prestigio delle corti e alla pace che faticosamente si seppe costruire vi sono anche ombre. Innanzitutto la fine, come già visto, delle libertà comunali e di quella forma di democrazia, seppur iniziale, che era andata realizzandosi nei secoli precedenti. In secondo luogo la frammentazione politica dell’Italia che portò ben presto al suo indebolimento fino a farla diventare terra di conquista delle grandi monarchie straniere. In terzo luogo, non lo dobbiamo mai dimenticare, il fatto che lo sfarzo e la ricchezza che caratterizzavano la vita delle corti, non raggiunsero gli strati inferiori della società: soprattutto i contadini vivevano in condizioni di miseria che le guerre e le scorribande delle soldataglie mercenarie non facevano che accentuare.

3 · Le compagnie di ventura: una costante minaccia per la pace in Italia

Cambia il modo di concepire la guerra

Con il cambiamento degli assetti politici mutò anche il modo di intendere la guerra. Nell’età feudale combattere era il compito principale dei signori e dei cavalieri che in tale gesto, compiuto con lealtà e coraggio, facevano consistere tutto il loro onore e prestigio. Nell’età comunale l’onere di combattere per la difesa della propria città e delle sue libertà spettava a tutti i cittadini che assolvevano questo compito spesso con orgoglio e dedizione. Ora invece i signori e i principi non si rivolgono più ai loro sudditi per costituire gli eserciti e i sudditi non si mostrano certo entusiasti di combattere per il signore. Da qui il ricorso alle truppe mercenarie, soldati che combattevano come dei veri professionisti della guerra in cambio di denaro. Questi combattenti, per cui la guerra era un “mestiere”, non erano mossi più da ragioni ideali o dalla necessità di difendere la propria casa o il proprio paese, ma solo dall’obiettivo di arricchirsi il più possibile.

Perché si parla di bilancio “di luci e ombre” a proposito della politica di Lorenzo?

CAPITOLO 16 365

Perché si diffusero le compagnie di ventura?

Si diffondono le compagnie di ventura

Si diffusero in tal modo le “compagnie di ventura”, veri e propri eserciti mercenari, composti anche da qualche migliaio di uomini, spesso stranieri, guidati da condottieri detti “capitani di ventura” che si mettevano a servizio dei principi che offrivano loro maggior denaro. Questi soldati combattevano spesso con brutalità, infierendo sulle popolazioni civili, saccheggiando e depredando allo scopo di accumulare bottino. A volte si “vendevano” al miglior offerente e non era raro il caso di compagnie che nel corso di una guerra cambiavano schieramento perché allettate dalla promessa di compensi più elevati. Inoltre suscitavano o fomentavano esse stesse i conflitti, allo scopo di avere sempre nuove possibilità di guadagno. Per tutte queste ragioni le milizie mercenarie, anche se ampiamente utilizzate, non erano ben viste: papi e imperatori ne condannarono l’uso ed eminenti intellettuali quali Francesco Petrarca e Niccolò Machiavelli, a distanza di circa un secolo e mezzo tra loro, ne denunciarono i danni. Quest’ultimo in particolare le definì la «ruina» (rovina) dell’Italia di allora.

I principali “signori della

guerra”

Bombarda Cannone di grandi dimensioni, in grado di sparare proiettili di grosso calibro dagli effetti piuttosto devastanti contro muri e fortificazioni. difettava però di precisione ed era di difficile movimentazione in quanto non posizionata su ruote.

Colubrina Cannone di piccolo calibro, molto allungato (richiamava la forma di un serpente, coluber in latino), che poteva essere usata a mano da un solo uomo.

Tra i più celebri capitani di ventura ricordiamo l’inglese John Hawkwood, passato alla storia con il nome italianizzato di Giovanni Acuto, gli italiani Muzio Attendolo Sforza (col figlio Francesco, futuro duca di Milano), Facino Cane, Braccio da Montone, Niccolò Piccinino, Francesco Bussone detto il Carmagnola che combatté prima per Milano e poi per Venezia, Bartolomeo Colleoni, Giovanni dalle Bande Nere. Va detto che non tutti questi comandanti erano dei brutali guerrieri, privi di scrupoli. Alcuni, come Francesco Sforza e Giovanni dalle Bande Nere, erano abili strateghi che sapevano muovere bene le truppe sul terreno e cercavano di fare meno ricorso possibile allo scontro diretto col nemico, puntando più sulla sorpresa e la rapidità (si parlò a questo proposito di “scuola sforzesca” per indicare questa strategia). Inoltre alcuni di questi puntavano, con la forza delle armi, a conquistarsi una signoria personale e una volta raggiunta (è il caso ancora di Francesco Sforza) seppero trasformarsi in abili politici.

La diffusione delle armi da fuoco

Un altro fattore che contribuì a cambiare il modo di condurre e di intendere la guerra fu l’utilizzo, a fini militari, della polvere da sparo, che in Europa cominciò a diffondersi nei primi decenni del Trecento, con la conseguente invenzione delle armi da fuoco. L’artiglieria fece la sua comparsa nella battaglia di Crecy nel 1346 durante la Guerra dei Cent’anni ma si diffuse poi ampiamente a partire dal secolo successivo. Vennero costruite bombarde e colubrine che lanciavano a distanza pietre e successivamente palle di

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piombo e ferro. Si trattava di armi inizialmente poco efficaci, più adatte a spaventare che a uccidere. Col tempo però furono perfezionate, e allora i loro effetti divennero devastanti. Cambiò così il modo di combattere: lo scontro corpo a corpo all'arma bianca (cioè con spade e lance) perse importanza, come pure la cavalleria. Si poteva uccidere a distanza e non contavano più nel combattimento l’abilità e la tecnica nel maneggiare le armi o nel condurre il cavallo. Inoltre si potevano uccidere più uomini con un colpo solo. Anche i castelli e le mura delle città divennero facilmente attaccabili grazie all’uso di cannoni sempre più potenti capaci di perforare e abbattere pareti difensive fino ad allora inespugnabili. I costi della guerra divennero così sempre più elevati: dotarsi di armi da fuoco costava molto e solo i sovrani più ricchi, quelli che governavano grandi stati, potevano permettersele. Alla lunga quindi questi furono favoriti rispetto alle piccole monarchie e ai principati italiani.

Giovanni dalle

Bande Nere

Scultura di Temistocle guerrazzi (XIX secolo), posta all’esterno della galleria degli Uffizi, Firenze

Sulla spada è scritto il motto delle Bande nere: “non mi snudare senza ragione, non m’impugnare senza valore”.

Perché le armi da fuoco causarono il declino della cavalleria?

Turchi Ottomani

nome di una tribù turca che si affermò in Anatolia e nei Balcani a partire dall’inizio del XIV secolo e che viene fatto risalire al suo antico capo detto Othman.

4 · La fine dell’Impero d’Oriente

La minaccia dei Turchi Ottomani

Nel XIV secolo si era andata facendo sempre più grave la minaccia dei Turchi Ottomani e per l’Occidente era ormai giunto il momento non più di organizzare crociate per riprendere i luoghi santi, ma piuttosto di difendersi dal rischio di un attacco sempre più imminente. Gli Ottomani giunsero agli inizi del XV secolo a minacciare Costantinopoli al punto che lo stesso imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo fu costretto a chiedere aiuto all’Occidente, promettendo, in cambio, di promuovere la ricongiunzione della Chiesa Ortodossa con quella Cattolica in un concilio che si aprì a Ferrara e poi si svolse a Firenze nel 1439. Purtroppo però non si arrivò a nessun risultato: la riconciliazione non avvenne e l’Occidente cristiano non volle impegnarsi in una crociata per difendere l’Oriente bizantino.

La tragica caduta di Costantinopoli

Così, nella notte fra il 28 e il 29 maggio del 1453, l’esercito turco guidato dal nuovo sultano Maometto II, dopo un lungo assedio, conquistò Costantinopoli. Cadde così, dopo più di undici secoli, l’Impero d’Oriente. D’ora in poi la città sarebbe diventata la capitale dell’Impero Ottomano.

L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XII, cadde valorosamente con la spada in pugno: decapitato, la sua testa imbalsamata venne portata in giro come trofeo a simboleggiare l’avvenuto trionfo della mezzaluna turca.

I Turchi non si fermano qui: l’attacco all’Europa cristiana

Harem

Parola di origine araba che significa “luogo inviolabile, sacro”. nel suo uso più comune indica il luogo della casa dove è vietato l’ingresso agli estranei. In particolare nelle case dei signori è il luogo dove soggiornavano le donne, mogli e concubine, del padrone di casa.

Nei decenni successivi i Turchi si spinsero sempre più verso occidente, nella direzione dei Balcani, dell’Ungheria e di Vienna. Le loro conquiste erano sempre segnate da efferati massacri anche se poi, a conquista conclusa, essi si rivelavano spesso buoni amministratori. In tempo di pace non esitavano, tuttavia, a compiere razzie e attacchi pirateschi contro i paesi cristiani loro vicini, saccheggiando e rapendo bambini per farli schiavi e donne per i loro harem

Anche l’Italia centro-meridionale visse nel terrore delle loro incursioni dal mare. Nel 1480 ad esempio essi conquistarono, dopo un’accanita resistenza, la città costiera di Otranto in Puglia e fecero strage degli abitanti che si erano rifiutati di convertirsi all’Islam. Non sempre questi invasori ebbero però vita facile. In Albania un nobile locale, Giorgio Castriota detto Scanderbeg, resistette accanitamente per circa trent’anni all’avanzata turca infliggendo loro numerose sconfitte. Solo alla sua morte, avvenuta nel 1468, i Turchi poterono riprendere l’avanzata, arrivando a conquistare molte regioni sud-orientali dell’Europa, quali la Moldavia, la Valacchia,

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L'espansione turca fino agli inizi del XV secolo (prima della conquista di Costantinopoli)

Territori cristiani

Territori bizantini

Territori musulmani dopo le conquiste dei Turchi Ottomani

quasi tutta la Serbia, la Bosnia-Erzegovina e l’Albania. Pur non imponendo la conversione all’Islam dei popoli conquistati, i Turchi la favorirono fortemente garantendo privilegi economici e politici ai cristiani che divenivano musulmani. Passarono così all’Islam la grande maggioranza degli albanesi e buona parte dei bosniaci.

CAPITOLO 16 369
Turchi Arabia Gerusalemme La Mecca Costantinopoli
Mar Mediterraneo Nilo Tigri Danubio Indo Eufrate Mar Nero Mar Caspio
Venezia Genova
Oceano Indiano
Oceano Atlantico

METTIAMO A FUOCO

Vivere a Firenze nel Quattrocento

Una grande fioritura artistica

nel XV secolo Firenze contava all’incirca 100.000 abitanti e si andava progressivamente arricchendo di straordinari edifici e capolavori d’arte. nel 1436 venne completato il duomo (S. Maria del Fiore) con la cupola realizzata da Filippo Brunelleschi, vero capolavoro di ingegneria. nel giro di pochi anni venne poi consacrata la chiesa di Santa Croce, venne rifatta, ad opera di Leon Battista Alberti, la facciata di S. Maria novella, vennero realizzati, sempre dal Brunelleschi, la cappella Pazzi e il porticato dello Spedale degli Innocenti, probabilmente il primo orfanotrofio d’europa finanziato dalle famiglie ricche della città e dalle Corporazioni. In quegli stessi anni operavano a Firenze Beato Angelico, Masaccio, donatello, Lorenzo ghiberti. Tutti hanno lasciato abbondanti tracce del loro genio artistico.

Un’intensa vita economica

Accanto all’arte ferveva però anche la vita economica. Le strade e le 50 piazze della città erano sempre affollate In Piazza del Mercato Vecchio si vendevano pesce, verdura, carne (quest’ultimo cibo destinato per lo più ai ricchi). Su appositi carretti vi erano botti da cui si spillavano boccali di vino che venivano venduti ai passanti e che pubblicizzavano taverne e osterie. Sul Ponte Vecchio vi erano invece botteghe di beccai, conciatori, fabbri, pescivendoli, che però a volte emanavano un lezzo piuttosto cattivo. Molti erano anche i banchi dei cambiavalute e molto sviluppata era l’attività bancaria. L’Arno era navigabile fino alla foce e su di esso scorrevano chiatte e zattere cariche di legname, pietre da costruzione, sale, balle di lana. Alle porte di ingresso della città poi vi erano i banchi dei gabellieri che tassavano tutte le merci che venivano introdotte per essere vendute. I bagni pubblici erano quattro e sempre affollatissimi, soprattutto di sabato. Molte erano taverne e alberghi. L’angolo più cupo di Firenze rimanevano le Stinche, cioè le prigioni dove, come ci riferisce niccolò Machiavelli, si aggiravano pidocchi «grandi come farfalle».

Una diffusa vita religiosa Intensa era la vita religiosa. All’inizio del Cinquecento si contavano in città più di 100 conventi, di cui 49 femminili. 118 erano le chiese ma molte famiglie ricche disponevano anche di proprie cappelle private. Una ventina erano gli ospedali e gli ospizi per viandanti e poveri. Caratteristiche, ai crocicchi delle strade, le croci in pietra scolpita, ai cui piedi stavano moccoli di cera e lampade ad olio che venivano illuminate di notte (era l’unica forma di illuminazione per le vie deserte).

Un’atmosfera festosa Soprattutto durante il governo di Lorenzo il Magnifico, Firenze fu allietata da feste e divertimenti. Si allestivano corse di cavalli, rappresentazioni teatrali e musicali. nel mese di maggio, in occasione dei festeggiamenti di San giovanni, avevano luogo per strada balli mascherati, spettacoli con fuochi d’artificio, esibizioni di giocolieri e acrobati, rappresentazioni di scene religiose o mitologiche. nella festa di San giacomo si teneva sull’Arno un palio di barche. Venivano inoltre allestiti dei carri con rappresentazioni allegoriche, chiamati Trionfi, che sfilavano per le vie della città (ad esempio durante il carnevale). nel 1439, in occasione del Concilio tenutosi a Firenze per la riunificazione della Chiesa d’Oriente e di quella d’Occidente, venne allestita una grande processione nella quale tre personaggi della famiglia Medici si vestirono da re magi e sfilarono per le vie della città seguiti da cortigiani e notabili e alla presenza di circa 700 ecclesiastici.

Ricchezza e povertà

grande era nel complesso la ricchezza della città: nel 1422 ad esempio circolavano due milioni di fiorini; i commerci di beni di lusso prosperavano e crescevano. I mercanti erano sicuramente il ceto più importante, anche se non tutti godevano della stessa condizione di ricchezza. essi non dovevano solo possedere ricchezza, ma anche mostrarla; perciò vivevano in palazzi molto belli, avevano ville in campagna (i Medici ne avevano più di una: le più celebri sono quelle di Cafaggiolo nel Mugello e di Poggio a Caiano). diversa invece era la

370 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI

condizione dei poveri, sottoposti a tasse spesso gravose e che suscitavano malcontento. Abbiamo a questo proposito la denuncia del frate predicatore girolamo Savonarola che dirà: «I poveri sono oppressi dalle gravezze. V’è chi, con cinquanta di rendita, paga cento di imposta, mentre i ricchi pagano poco, perché le imposte si mettono ad arbitrio». non dimentichiamo che lo sfarzo e la ricchezza del rinascimento riguardavano soprattutto i ceti più elevati. Come pure lo sviluppo delle attività culturali. Si calcola che nelle città di allora

il 10% circa della popolazione controllasse il 50% della ricchezza. e a Firenze la situazione non era certo molto differente.

Nella pagina precedente Cupola di Santa Maria del Fiore, opera di Filippo Brunelleschi (XV secolo), Firenze

CAPITOLO 16 371

NON TUTTI SANNO CHE

800 volte “no”: i martiri di Otranto

Situata sulla punta più orientale del regno di napoli sull’Adriatico, a meno di cento chilometri dalle coste albanesi cadute un anno prima sotto il dominio ottomano, Otranto fu vittima, nel 1480, di uno dei più terribili massacri perpetrati dai Turchi nel loro tentativo di penetrazione in Occidente. 800 suoi abitanti, che si erano rifiutati di rinunciare alla fede cristiana per convertirsi all’Islam, vennero orrendamente trucidati dai loro aguzzini ottomani.

Complicità e connivenze

Tutto ebbe inizio all’alba del 29 luglio 1480 quando, minacciosa, si stagliò all’orizzonte un’imponente flotta turca. Si trattava di 90 galee e altre imbarcazioni con a bordo, dicono le cronache

del tempo, circa 18.000 uomini. Li guidava gedik Ahmed Pascià che, dietro ordine del Sultano Maometto II, lo stesso che aveva guidato ventisette anni prima l’assalto a Costantinopoli, puntava alla conquista dei territori orientali del regno di napoli per usarli poi come base per l’attacco definitivo a roma. Per la verità dietro a questa azione stavano anche complicità e connivenze di due stati italiani, la repubblica di Venezia, che aveva raggiunto l’anno prima un accordo con i Turchi, e Firenze, guidata a quel tempo da Lorenzo il Magnifico. entrambi questi stati erano mossi dall’intenzione di indebolire il regno di napoli, loro grande rivale nella guerra per il predominio sulla penisola, e per questo avevano sollecitato l’attacco turco.

372 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI

La terribile carneficina

Otranto era difesa da una guarnigione di 400 soldati aragonesi, poca cosa rispetto alle imponenti forze turche. Per giunta molti di questi soldati, di fronte al pericolo, fuggirono senza opporre resistenza. rimasero quindi solo i civili a difendere la città. Ahmed Pascià però non procedette subito alla conquista. Offrì infatti per ben due volte ai cittadini la possibilità di arrendersi avendo salva la vita. Questi però rifiutarono con fierezza: arrendendosi avrebbero perso la libertà e ogni diritto civile e commerciale. Se i Turchi volevano la città, avrebbero dovuto quindi prenderla con la forza. e questo è ciò che avvenne. dopo un terribile assedio durato due settimane, il 12 agosto gli Ottomani aprirono una breccia nelle mura e fecero irruzione in città. e per le vie di Otranto fu la strage. Ovunque violenze, distruzioni, saccheggi; gli assalitori si accanirono soprattutto contro i luoghi sacri, tra cui un monastero e la cattedrale, che fu ridotta a stalla. Chi osava resistere nelle strade veniva immediatamente trucidato, tra i primi lo stesso vescovo della città, ucciso brutalmente in chiesa. Portata a termine la conquista, Ahmed Pascià impose a tutti gli abitanti rimasti in vita la conversione all’Islam oltre al pagamento di una grossa somma di denaro in cambio della vita. Qualcuno cominciò a pagare ma molti rifiutarono. A questo punto si scatenò terribile la vendetta del capo ottomano. Presi schiavi tutte le donne e i bambini, ordinò poi che 800 uomini adulti fossero decapitati. Prima dell’esecuzione fu rinnovata loro la richiesta di abiurare al Cristianesimo, ma per 800 volte la risposta fu “no”. Cominciò a questo punto la carneficina. era il 14 agosto e la collina della Minerva (ora chiamata “collina dei martiri”) su cui venne portato a termine il massacro si colorò di rosso del sangue delle vittime.

Un sacrificio che non fu inutile

La notizia di questo massacro giunse fino a napoli e il re Ferrante d’Aragona ne rimase sconvolto; ordinò al figlio Alfonso, allora impegnato in Toscana nella guerra contro Firenze, di dirigersi col suo esercito in Puglia per riprendere la città, che rimase però per circa un anno sotto l’occupazione ottomana. A favorire la definitiva riconquista da parte dei napoletani fu un fatto imprevisto: la morte nel maggio del 1481 di Maometto II, morte a cui fecero seguito le lotte per la successione tra i

figli. Ahmed fu richiamato in patria e la guarnigione turca, priva del suo comandante, subì l’attacco dell’esercito di Alfonso, che riprese la città il 10 settembre 1481. I resti dei corpi dei martiri, orrendamente mutilati, vennero riesumati e, in parte, trasferiti in una chiesa di napoli dove la popolazione cominciò a venerarli come reliquie. Successivamente la Chiesa li ha proclamati martiri e come tali ancora oggi sono venerati. La resistenza e il sacrificio dei martiri idruntini (così si chiamano gli abitanti di Otranto) non furono comunque vani: oltre a offrire una grande testimonianza di fede, essi consentirono al re di napoli di rendersi conto del grave pericolo che incombeva sull’Italia meridionale e gli permisero di intervenire con un esercito che impedì alle imponenti forze ottomane di dilagare nella Puglia. I cronisti dell’epoca non esagerarono dunque quando affermarono che da questo sacrificio derivò la salvezza dell’Italia meridionale.

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Nella pagina precedente Reliquie dei martiri, conservate nella cattedrale di Santa Maria Annunziata, Otranto (Lecce)

PARTIAMO DALLE FONTI

Un testimone oculare racconta la congiura dei Pazzi

Il poeta Angelo Poliziano, uno dei maggiori letterati italiani del Quattrocento, fu testimone diretto della congiura dei Pazzi. Si trovava infatti con Lorenzo quando i congiurati tentarono di ucciderlo. Questo è il racconto, vivace e drammatico, che lui ne ha dato. nel leggerlo, ricordiamo che si tratta di un testo scritto in latino, si deve tener conto del fatto che l’autore era uomo di fiducia e stretto collaboratore di Lorenzo che gli aveva affidato l’istruzione dei figli. non sempre quindi la sua esposizione dei fatti risulta fredda e distaccata. Al contrario, è viva e intensa la sua partecipazione agli eventi e chiaro il suo giudizio di condanna nei confronti dei congiurati, come pure la insistente sottolineatura dell’appoggio che il popolo fiorentino diede, in tutta questa vicenda, al Magnifico.

«Al segnale convenuto Bernardo Bandini, Francesco de’ Pazzi e altri congiurati si strinsero in cerchio intorno a giuliano; il Bandini lo trafisse con una pugnalata e giuliano, fatti alcuni passi, cadde a terra e fu finito da Francesco de’ Pazzi. Lorenzo intanto veniva a sua volta ferito alla gola da un altro congiurato ma seppe difendersi con coraggio, impugnando la spada, e si salvò rifugiandosi con pochi amici nella sacrestia. nella chiesa intanto era nata una gran confusione; vi erano rumore e lamenti e tutti fuggivano da ogni parte: sembrava che il tempio crollasse. Io e gli altri che ci eravamo salvati nella sacrestia con Lorenzo stavamo di guardia alla porta; e siccome si temeva per la ferita di Lorenzo, Antonio ridolfi, giovane generoso, cominciò a succhiare la ferita sanguinante [si temeva infatti che l’arma da cui era stato colpito fosse avvelenata]. Lorenzo invece incurante del suo stato non cessava dal richiedere come stesse giuliano, irritato per l’inaspettato tradimento. ed ecco che a un tratto molti si avvicinarono alla porta della sacrestia gridando che erano amici e parenti, e che Lorenzo uscisse prima che i nemici si facessero più forti. Fu loro aperto e gli amici, circondato Lorenzo, in modo che non vedesse il corpo di giuliano, lo condussero a casa per alcune stradine secondarie. Il palazzo dei Medici si riempì di armati, fanciulli, giovani e vecchi impegnati a difenderlo come se si trattasse della loro patria.

Iacopo de’ Pazzi, fallitogli il piano di ammazzare Lorenzo, preso dalla rabbia, uscì dal duomo e sceso in piazza tentò con pochi amici di fare insorgere il popolo. nessuno però si mosse, anzi tutti inorridirono per la sua azione scellerata. giunti poi gli amici di Lorenzo al palazzo della Signoria, diedero man forte al gonfaloniere di giustizia [che stava dalla parte di Lorenzo], così tutti i partigiani dei Pazzi furono ammazzati. Iacopo de’ Pazzi cercò di mettersi in fuga; ma si scontrò con una massa di gente che correva al palazzo dei Medici chiedendo vendetta contro i traditori. Francesco de’ Pazzi e Francesco Salviati [Arcivescovo di Pisa e anch’egli capo della congiura] furono presi e impiccati alla stessa finestra del palazzo della Signoria». da Agnolo Poliziano, La congiura dei Pazzi, adatt.

1. Dove si svolge l’episodio?

2. Di che cosa si mostra preoccupato Lorenzo? Per che cosa è irritato?

3. Come si comporta il popolo durante la congiura? Da che parte sta?

4. Quale atto eroico compie il giovane Antonio Ridolfi?

5. Quali particolari fanno capire che Poliziano condanna l’agguato contro i Medici?

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Stemma della famiglia Pazzi. Palazzo Pazzi, Firenze

METTIAMO A FUOCO

Uccidere con le armi da fuoco

è la stessa cosa che uccidere con la spada?

Si sconvolgono gli assetti degli eserciti e si comincia a uccidere senza più regole

L’invenzione delle armi da fuoco ebbe conseguenze molto importanti non solo sul piano strettamente militare ma anche su altri piani. Sconvolse innanzitutto gli assetti degli eserciti, facendo passare in secondo piano la cavalleria e, di conseguenza, il ruolo dell’aristocrazia nella guerra. Prima di allora, infatti, combattere era stata quasi sempre una prerogativa dei nobili che si addestravano per tutta la vita sia a cavalcare che a maneggiare armi a cavallo. Su questo si era costruito l’ideale cavalleresco medievale con la figura del cavaliere rispettoso delle regole e dei limiti alla violenza, posti dalla stessa Chiesa. Ora, invece, chiunque poteva, accendendo una miccia o imbracciando, come avverrà di lì a poco, un archibugio, uccidere, colpendolo da lontano, anche un cavaliere coperto da un’armatura. La scala sociale, che vedeva al primo posto la nobiltà, veniva così sconvolta anche nella guerra e le regole d’onore, che prima cercavano di limitare gli effetti devastanti della violenza ora passavano in secondo piano. non si combatteva più frontalmente, uomo contro uomo, e lo scopo del combattimento diventava uccidere col minore sforzo il maggior numero di nemici. Questa mancanza di regole nel combattere e l’immensa capacità di uccidere delle nuove armi vennero denunciate già da alcuni grandi scrittori. nel Trecento Petrarca parlò di «strumento infernale» della follia umana. Successivamente Ariosto nel suo Orlando Furioso parlò di «abominevole ordi-

gno», opera di «Belzebù». Il grande scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, cantore della fine della cavalleria, nel suo Don Chisciotte esprimerà tutto lo sconcerto per la fine del ruolo della nobiltà nella guerra e scriverà: «… penso che il loro inventore abbia nell’inferno il premio della sua diabolica invenzione! Per causa sua un infame e codardo braccio può togliere la vita a un prode cavaliere e, senza sapere né come né donde, sul più bello del coraggio e dell’entusiasmo eccoti una palla che tronca e mette termine in un istante ai pensieri e alla vita di chi avrebbe meritato di goderla per lunghi secoli».

La morte viene da lontano

C’è però un altro aspetto che va sottolineato. Con le armi da fuoco si uccide da lontano e colui che spara non vede quasi più le proprie vittime, non ne vede il volto, il dolore, la sofferenza mentre muoiono. Il legame tra l’azione dell’uccisore, che si limita ad accendere una miccia o, nelle guerre moderne, a premere un tasto, e l’effetto della morte della vittima, si affievolisce nella coscienza di chi uccide. È più facile perciò mettere da parte l’orrore che suscita la morte di un uomo e si finisce per uccidere con più facilità se lo si fa da lontano, se non si vedono le vittime cadere direttamente sotto la propria mano. Anche questo spiega il progressivo incrudelirsi delle guerre moderne, anche nei confronti delle vittime civili.

Miniatura raffigurante l’assedio di una città fortificata con l’uso dell’artiglieria

CAPITOLO 16 375

METTIAMO A FUOCO

Quando finisce il Medioevo?

Un uomo del Medioevo sapeva di vivere nel Medioevo?

dividere la storia in periodi è una necessità degli storici che nel ricostruire il passato hanno bisogno di “schemi” che ne facilitino la comprensione e permettano loro di sintetizzare, cioè di raccogliere insieme una sterminata quantità di informazioni. Inoltre, dividere in periodi consente di individuare meglio alcuni grandi cambiamenti (di carattere politico, culturale, economico, religioso) che indubbiamente ci sono stati nel percorso storico dell’umanità. non dobbiamo però dimenticare che questa divisione è fatta appunto dagli storici, spesso anche molto tempo dopo che i fatti sono avvenuti, proprio perché il senso di determinati cambiamenti si percepisce meglio da lontano, piuttosto che mentre stanno avvenendo. Quando, ad esempio, Cristoforo Colombo pose per la prima volta il piede sulle coste americane, nessuno si rendeva conto pienamente di quanti cambiamenti questo fatto avrebbe prodotto nella storia dell’umanità. A molte persone di quel tempo poteva addirittura sembrare un fatto di scarsa importanza. Solo dopo, anche molti secoli, invece emergerà con chiarezza la rilevanza di questa scoperta.

Tutto questo ci porta a dire che gli uomini del Medioevo non sapevano di vivere in quello che, dopo, sarebbe stato chiamato Medioevo, e quindi non sapevano nemmeno che il Medioevo stava finendo. Questo è un problema che loro non ebbero ma che gli storici, per le ragioni che sopra abbiamo detto, si sono invece posti.

Si possono fare varie ipotesi sulla fine del Medioevo

Fatta questa premessa, possiamo individuare, a distanza di molti secoli, alcuni avvenimenti che possono essere presi come date simboliche che segnano il termine di questo lungo Medioevo. La scelta di privilegiare l’uno o l’altro di questi avvenimenti dipende dalla chiave di lettura che si adotta per la storia. Se di essa si sottolineano soprattutto gli aspetti economici allora si scelgono determinati avvenimenti in questo ambito (ad esempio proprio la scoperta dell’America nel 1492, che

spostò l’asse dei commerci dal Mediterraneo all’Atlantico, introducendo enormi cambiamenti rispetto a prima). Se si sceglie una prospettiva più di carattere politico allora si può considerare la fine della guerra dei Cent’Anni (1453) dove si affermano gli stati nazionali ai danni dell’Impero (tra l’altro questa è anche la data che segna la fine dell’Impero romano d’Oriente, ultimo retaggio dell’antico Impero romano). Se si sceglie di dare più importanza agli eventi religiosi allora si può scegliere come data l’inizio della riforma protestante di Martin Lutero (1517) con la quale l’europa occidentale rompe l’unità religiosa plurisecolare. Addirittura, si può andare ancora più indietro fino al cosiddetto “oltraggio di Anagni” (1303) nel quale si nota come ormai il papato abbia perso la sua autorità sulla politica europea. Se si considerano invece gli aspetti culturali,. sicuramente la fine del Medioevo può essere fatta coincidere con la seconda metà del XIV secolo in cui si afferma, come vedremo nel prossimo capitolo, la cultura umanistica. dal punto di vista invece della vita sociale una data importante può essere il 1348, anno della terribile pestilenza che investì l’europa intera. Come si vede, quindi, ci sono varie ipotesi riguardo alla conclusione del Medioevo. Addirittura qualche storico ipotizza che il Medioevo sia finito solo nel XVIII secolo con la rivoluzione francese. Tutte queste ipotesi contengono degli aspetti di verità e sono molto interessanti e stimolanti perché ci spingono continuamente a riflettere e a rimettere in discussione le varie opinioni, ad essere cauti e non affrettati nei giudizi e a non generalizzare con superficialità. Questo è uno degli aspetti che rende affascinante e interessante lo studio della storia: il non dar mai nulla per scontato e l’essere disposti sempre a nuove ricerche e approfondimenti.

376 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI

RACCONTIAMO IN BREVE

1. A partire dalla seconda metà del XIV secolo i Comuni italiani conobbero una graduale evoluzione dal punto di vista politico e istituzionale. Le lotte sorte al loro interno fra i vari ceti si conclusero spesso con l’affermazione di ricchi e potenti signori che si impossessarono, con modalità differenti ma con esito simile, delle cariche e dei poteri di governo comunali. Questi signori riuscirono dapprima a trasmettere i loro poteri ai figli inaugurando così delle dinastie; in un secondo momento ottennero l’approvazione dell’imperatore o del papa che conferirono loro anche un titolo nobiliare. In tal modo le signorie si trasformarono in veri e propri principati. Con essi la stagione delle libertà e della democrazia comunale tramontò definitivamente.

2. Una volta consolidato il potere all’interno, questi principi cercarono di estendere il loro dominio anche all’esterno delle città, fino a conquistare aree di dimensione regionale. A questo punto i maggiori tra questi stati cominciarono a mirare al conseguimento di un predominio sull’intera penisola. Ma questo causò lunghe ed estenuanti guerre cui presero parte Milano, Venezia, Firenze, il Regno di Napoli, lo stesso papato.

3. Queste guerre si conclusero nel 1454 con la stipula della Pace di Lodi in funzione antiturca. L’anno prima infatti i Turchi Ottomani avevano conquistato Costantinopoli e da lì minacciavano di attaccare l’Europa. Di fronte a questo pericolo e nella consapevolezza che l’equilibrio tra le forze degli stati italiani era ormai impossibile da infrangere, nacque l’accordo di Lodi accompagnato dalla creazione di una Lega difensiva.

4. Nella seconda parte del secolo XV si distinse l’opera di Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze, che si adoperò con successo per difendere l’equilibrio e la pace tra gli stati italiani. Importante fu anche la sua opera in campo artistico e culturale. Con lui Firenze divenne il più importante centro del Rinascimento italiano.

5. Un fattore di grande instabilità e di tensione sulla scena politica italiana fu costituito dall’irrompere degli eserciti mercenari, compagnie, anche di qualche migliaio di uomini, che combattevano per denaro al servizio dei signori e che spesso erano responsabili di violenze e crudeltà e che suscitavano a loro volta altre tensioni e conflitti. La drammaticità della guerra fu aggravata anche dall’uso sempre più massiccio dell’artiglieria e delle armi da fuoco.

6. Conquistata Costantinopoli nel 1453, i Turchi Ottomani diedero inizio a un tentativo di espansione nei Balcani e nell’Europa sud-orientale, diventando una minaccia sempre più grave per i paesi cristiani.

CAPITOLO 16 377

ATTIVITÀ E VERIFICHE

Esercizio 1 · Rispondi, anche oralmente, alle seguenti domande.

1. Che cos’erano le signorie?

2. Che cos’erano i principati?

3. Che cos’erano gli stati regionali?

4. Che cos’era la “Santissima Lega” e chi vi aderì?

5. Quali attività importanti sono attribuite a Lorenzo il Magnifico?

6. Che cos’erano le compagnie di ventura e in che modo combattevano?

7. Chi era Francesco Sforza?

8. Chi era giorgio Castriota Scanderbeg e che cosa fece?

Esercizio 2 · Completa la linea del tempo: scrivi il numero del fatto storico sulla data corretta.

1. I Turchi Ottomani conquistano Costantinopoli

2. Pace di Lodi

3. I Visconti prendono il potere a Milano

4. Morte di Lorenzo il Magnifico

5. Alfonso d’Aragona diventa re di napoli

Esercizio 3 · Indica se l’affermazione riportata è vera o falsa.

I signori rafforzarono le istituzioni comunali.

gli stati regionali italiani mantennero sempre rapporti di armonia e di concordia.

Filippo Maria Visconti ottenne il titolo di duca dall’imperatore Venceslao.

I Medici erano una ricca famiglia di banchieri di oscure origini.

A Firenze sotto il governo dei Medici le condizioni di vita del popolo e dei contadini migliorarono.

non tutti i capitani di ventura furono brutali guerrieri privi di scrupoli.

Ad Otranto i Turchi sterminarono la popolazione perché si era rifiutata di convertirsi all’Islam.

V F

V F

V F

V F

V F

V F

V F

Esercizio 4 · Per completare la frase iniziale scegli fra le tre alternative proposte quella che ti sembra, oltre che esatta, anche precisa e formulata con il linguaggio più appropriato.

I signori miravano a ottenere un titolo nobiliare dal papa o dall’imperatore

a. per rafforzare il loro potere e renderlo ereditario.

b. per legittimare il loro potere e renderlo dinastico.

c. per aumentare le loro ricchezze.

378 L’ITALIA deLLe SIgnO rIe e deI PrInCIPATI
1277 1442 1453 1454 1492

Milano e Venezia stipularono la Pace di Lodi

a. per spartirsi l’Italia settentrionale.

b. per porre fine alle guerre e far fronte alla minaccia turca.

c. per allearsi e combattere contro gli altri stati italiani.

Lorenzo il Magnifico fu considerato l’”ago della bilancia della politica italiana” perché

a. favorì ovunque lo sviluppo dell’arte.

b. governò con saggezza ed equilibrio Firenze.

c. si adoperò per mantenere e garantire l’equilibrio fra i vari stati italiani.

Le compagnie di ventura erano una minaccia per la pace e la tranquillità dell’Italia perché

a. fomentavano in continuazione conflitti e disordini fra i vari stati italiani.

b. introdussero nuove armi e tecniche militari distruttive.

c. si offrivano al miglior offerente cambiando spesso bandiera.

Le armi da fuoco favorirono il rafforzamento dei sovrani dei grandi stati a danno dell’aristocrazia perché

a. negli eserciti fecero passare la cavalleria in secondo piano.

b. erano molto più distruttive delle armi usate in passato.

c. erano molto costose e solo i sovrani con grandi disponibilità finanziarie potevano permettersele.

Esercizio 5 · Indica e colora, nella cartina sotto riportata, i principali stati regionali italiani indicando poi nella legenda anche i nomi delle dinastie che li governarono.

Legenda

CAPITOLO 16 379

Indice delle definizioni a margine del testo

380
A Abbazia 71 Abiurare 272 Amministrativo 30 Anacoreta 70 Anarchia 11 Antipapa 170 Apogeo 184 Apostoli 16 B Bombarda 366 Bonifica 188 Burocratico 30 C Califfo 98 Capro espiatorio 274 Cardinali 204 Cattedrale 268 Cattolicesimo 18 Celibato 169 Censimento 262 Cesaropapismo 50 Chiesa 16 Clan 31 Clausura 190 Colubrina 366 Concilio ecumenico 18 Conclave 297 Concubinato 171 Conio 123 D delfino 340 demagogia 336 democrazia 236 demografia 11 dialettica 276 dieta 242 dinastia 39 diritto romano 241 dispotismo 50 dissodamento 186 doge 240 E emiro 117 eremita 70 eresia 18 eucaristia 17 F Farisei 16 Fazione 236 Feudo 140 Follatura 187 G gibilterra 98 giubileo 298 giureconsulto 52 giurista 52 goliardia 276 guelfi e ghibellini 207 H Harem 368 I Impero 116 Indoeuropeo 32 Indulgenza 210 Interesse 266 L Laico 268 Lavoratori autonomi 232 Legato 272 Legge salica 338 Lingue semitiche 92 Liturgia 124 M Maggiorenti 94 Martire 17 Mausoleo 37 Megalomania 336 Merovingi 38 Messia 15 Millenarismo 172 Monaco 70 Monastero 71 Monofisismo 52 N notabili 124 O Ortodossa 210 P Paganesimo 74 Pannonia 37 Pastorale 169 Patriarca 31, 50 Potere spirituale 204 Potere temporale 204 R razzia 92 regno 116 reliquia 73 repubblica oligarchica 240 retorica 276 retroguardia 118 S Santi patroni 268 Scisma 210 Scomunica 206 Simonia 171 Soldati mercenari 11 T Turchi Ottomani 368 Turchi Selgiuchidi 210 U Usurpazione 78 V Vassallo 122 Vespro 297 Voto 269

Indice

CAPITOLO 16 381
Caro amico… 4 Capitolo 1 Finisce il mondo antico: si prepara un mondo nuovo 7 1 · Perché cadde l’Impero Romano 8 2 · I fattori “interni”: una crisi che durava da tanto tempo 8 3 · I fattori “esterni”: le invasioni barbariche 12 4 · Una nuova religione arriva da oriente: il Cristianesimo 14 5 · Da religione perseguitata a religione ufficiale dell’Impero 18 METTIAMO A FUOCO Che cosa sono i vangeli? 20 METTIAMO A FUOCO Perché il Cristianesimo ebbe successo? 21 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Le catacombe e i simboli cristiani 22 METTIAMO A FUOCO L’“editto” che non ci fu… ma che fu estremamente importante 23 IL PERCORSO DELLE PAROLE I barbari sono scomparsi, di vandali invece ce ne sono ancora 24 Capitolo 2
nuovo volto dell’Europa. Nasce il Medioevo 29 1 · I Regni Romano-Barbarici 30 2 · Chi erano i “barbari” 31 3 · Con i Regni Romano-Barbarici nasce il Medioevo 35 4 · Seguiamo da vicino le vicende italiane 36 5 · L’ascesa dei Franchi 38 METTIAMO A FUOCO Il Medioevo: un’epoca misteriosa e spesso fraintesa 40 PROTAGONISTI Come muore un filosofo: Severino Boezio 41 PARTIAMO DALLE FONTI I barbari: rozzi animali o “buoni selvaggi”? 42 NON TUTTI SANNO CHE Le grandi regine dei merovingi 44 Capitolo 3 La breve restaurazione imperiale 49 1 · L’Impero Romano d’Oriente: una vita più lunga 50 2 · La straordinaria opera di Giustiniano 51 3 · Arrivano i Longobardi: l’Italia si spezza in due 55 PARTIAMO DALLE FONTI La Guerra greco-gotica: il racconto di un corrispondente di guerra del tempo 58 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA La splendida fioritura di Ravenna 59 LEGGIAMO L’ARTE I mosaici di Ravenna 61 METTIAMO A FUOCO Le tracce dell’influenza longobarda in Italia 62 PARTIAMO DALLE FONTI Dalla faida al guidrigildo 64 Capitolo 4 L’Europa diventa cristiana 69 1 · La grande stagione del monachesimo 70 2 · L’ascesa del vescovo di Roma: l’opera di Gregorio Magno 75 3 · Il papa sceglie i Franchi 76 METTIAMO A FUOCO Perché i re venivano “unti”? 80 METTIAMO A FUOCO La vita in un monastero benedettino 81 NON TUTTI SANNO CHE Ermanno di Reichenau: il disabile diventato genio 85 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) Perché il lavoro è importante per l’uomo 86 Capitolo 5 La nascita e la diffusione dell’Islam 91 1 · La Penisola Arabica prima di Maometto 92 2 · Maometto 93 3 · Che cosa predicava la nuova religione 94 4 · La diffusione dell’Islam 98 METTIAMO A FUOCO Il Corano può essere paragonato alla Bibbia? 102 IL PERCORSO DELLE PAROLE Quante parole per indicare i musulmani 103 METTIAMO A FUOCO I contributi della cultura araba 104 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Come è fatta una moschea 106
Il
382 METTIAMO A FUOCO La donna nella religione islamica 108 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) Cristianesimo e Islam: dialogare è possibile 110 Capitolo 6 Carlo Magno “re e padre dell’Europa” 115 1 · Carlo diventa re dei Franchi 116 2 · Dal Regno Franco all’impero cristiano: un lungo processo 116 3 · Natale dell’anno 800: nasce il Sacro Romano Impero 119 4 · Grande combattente… ma anche abile organizzatore e saggio legislatore 121 PROTAGONISTI Alcuino di York: un modello di intellettuale medievale 125 METTIAMO A FUOCO Che cosa rendeva forte l’esercito franco? 126 IL PERCORSO DELLE PAROLE Duchi, conti, marchesi: con Carlo Magno nasce la nuova nobiltà europea 127 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Aquisgrana, la “nuova Roma” 128 PARTIAMO DALLE FONTI Carlo Magno nella descrizione di Eginardo 130 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) È giusto imporre una religione con la forza? 132 Capitolo 7 Il declino dell’Impero carolingio e l’affermarsi del feudalesimo 137 1 · L’Impero carolingio muore col suo fondatore 138 2 · La grande paura: le invasioni di nuovi popoli 141 3 · Si afferma la società feudale 146 METTIAMO A FUOCO La formazione delle lingue europee 152 METTIAMO A FUOCO I Vichinghi, dominatori del mare 153 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA I castelli medievali 154 PARTIAMO DALLE FONTI Bodo, un contadino franco del IX secolo 156 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) Quando a tutelare i diritti dei cittadini è lo stato 158 METTIAMO A FUOCO Le “paci” e le “tregue di Dio” 160 Capitolo 8 Verso l’anno Mille 165 1 · Francia e Italia: due destini diversi 166 2 · Il sogno di restaurare l’Impero carolingio 167 3 · Il “secolo oscuro” della Chiesa 170 4 · Si avvicina l’anno Mille 172 NON TUTTI SANNO CHE Frassineto: un avamposto musulmano nel cuore dell’Europa cristiana 173 METTIAMO A FUOCO E intanto a Bisanzio… 174 PARTIAMO DALLE FONTI Come nascono i vescovi-conti 176 METTIAMO A FUOCO L’imperatore è il rappresentante di Dio in terra: lo si vede anche dalla sua corona 177 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) La paura della fine del mondo… c’è anche oggi? 178 Capitolo 9 La grande rinascita 183 1 · La ripresa parte dalle campagne 184 2 · Il rinnovamento della Chiesa e della vita monastica 189 3 · Il consolidamento del potere imperiale 192 METTIAMO A FUOCO Gli straccioni che sconvolsero Milano 193 METTIAMO A FUOCO Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Come si mangiava nel Medioevo 194 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Lo sviluppo tecnologico nel Medioevo 196 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Che cosa rimane oggi di Cluny 198 Capitolo 10 La Chiesa si afferma 203 1 · La subordinazione della Chiesa al potere imperiale 204 2 · La lotta per le investiture 204 3 · Il regno dei Normanni nell’Italia meridionale 208 4 · L’Europa guarda a Oriente: le crociate 210 5 · Il significato delle crociate 214 METTIAMO A FUOCO Per che cosa il papa sfidò l’imperatore: la libertas ecclesiae 218 PROTAGONISTI Matilde di Canossa: grande protagonista in un’epoca drammatica 220
CAPITOLO 16 383 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Il duomo di Monreale: quando culture diverse convivono in armonia 221 PARTIAMO DALLE FONTI Urbano II chiama alla crociata 222 METTIAMO A FUOCO Col principato di Kiev nasce la Russia 224 IL PERCORSO DELLE PAROLE Perché usiamo la parola cristianità 225 NON TUTTI SANNO CHE Le crociate “irregolari” 226 Capitolo 11 Nasce la civiltà comunale 231 1 · I Comuni 232 2 · L’evoluzione delle forme di governo comunale 235 3 · Le repubbliche marinare 238 4 · Lo scontro tra i Comuni e l’imperatore Federico Barbarossa 240 5 · Le lotte all’interno dei Comuni 244 IL PERCORSO DELLE PAROLE Borghesi nel Medioevo e borghesi oggi: quante differenze! 247 IL PERCORSO DELLE PAROLE I comuni di allora e i comuni di oggi: proprio la stessa cosa? 248 METTIAMO A FUOCO La struttura urbanistica delle città medievali 249 METTIAMO A FUOCO L’import-export fra Occidente e Oriente 250 LEGGIAMO L’ARTE Quando nel Comune vi è un buon governo 252 NON TUTTI SANNO CHE L’inventore della bussola… che non è mai esistito 254 Capitolo 12 L’apogeo della civiltà medievale 259 1 · Verso il pieno sviluppo della società comunale 260 2 · Un’economia dinamica sostenuta dalle Corporazioni 262 3 · Mercanti e banchieri sempre più protagonisti dell’economia 264 4 · Una religione per laici sempre più intraprendenti 268 5 · Gli “esclusi”: eretici ed ebrei 271 6 · Un eccezionale sviluppo artistico e culturale 275 METTIAMO A FUOCO San Francesco e san Domenico: come correggere la Chiesa con l’esempio e non con la contestazione 278 METTIAMO A FUOCO I càtari: “puri” da morire 279 METTIAMO A FUOCO Essere bambini nel Medioevo 280 METTIAMO A FUOCO Il teatro nel Medioevo 281 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Quanto fu difficile introdurre in Occidente i numeri arabi 282 PROTAGONISTI San Tommaso d’Aquino: quando la fede incontra la ragione 283 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Misurare il tempo, misurare la vita 284 METTIAMO A FUOCO Il romanico e il gotico: l’arte della pietra e della luce 285 LEGGIAMO L’ARTE Il lavoro dell’uomo nel ciclo delle formelle del campanile del duomo di Firenze 286 Capitolo 13 I due poteri universali dall’apogeo al declino 291 1 · Federico II, la “meraviglia del mondo” 292 2 · Il Sacro Romano Impero inizia il suo declino 295 3 · Anche il papato medievale verso il declino 297 VISITIAMO I LUOGHI DELLA STORIA Castel del Monte: un capolavoro affascinante e misterioso 299 METTIAMO A FUOCO Un’orda d’oro minaccia l’Europa: i Mongoli 300 NON TUTTI SANNO CHE In missione nel lontano Oriente 302 METTIAMO A FUOCO Federico II: la meraviglia del mondo 303 PARTIAMO DALLE FONTI L’oltraggio di Anagni 304 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Ruggero Bacone e gli albori della scienza sperimentale 305 LEGGIAMO L’ARTE Giotto cantore dell’età comunale 306 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Come si lavorava nella bottega di un pittore medievale 308

L’Europa nel XIII secolo:

Referenze fotografiche

adoc-photos/adoc-photos: 21b · adoc-photos/Contrasto: 22b · Archivio Itaca: giorgio deganello 270, 307; Stefano Bombelli 358; Matteo de Fina 17 · The Art Archive/Corbis: Alfredo dagli Orti 208 · The British Library, Londra: 279, 283, 350-351, 375 · deAgostini Picture Library/Scala, Firenze: 32, 60-61, 71, 128, 129, 138, 290, 295 · e-codices: 64 · Foto Fine Art Images/Heritage Images/Scala, Firenze: 149 · Foto Ann ronan/Heritage Images/Scala Firenze: 164 · Foto Scala, Firenze: 34, 56, 62-63, 124, 156, 197, 219, 230, 252-253, 258, 263, 266, 275, 286, 296 · Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und geschichte, Berlin: 177, 220, 265 · Foto Scala, Firenze - Luciano romano: 74 · Foto Scala, Firenze - su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali: 6, 114, 136, 233 · Foto Scala, Firenze - su concessione della Sovraintendenza di roma Capitale 42-43 · Fotolia: a23 173; Claudiozacc 367; Javier Cuadrado 320; davide_69 237; desmo 24; Fotografiecor 100-101; erica guilane-nachez 58, 132, 153, 159, 211, 217, 247; Sophie James 102; Juulijs 131; Kartos 86; Fabio Lotti 198; Masson 150, 194; Meryll 224; Mrks_v 93; giuseppe Porzani 254; Maurizio rovati 246; Toniflap 104; V. Zhuravlev 221; Wulwais 261 · The J. Paul getty Museum, Los Angeles: 95, 120, 123, 147, 171, 184 · Lessing/Contrasto: 68, 202, 312 · Mark e. Smith/Scala, Firenze: 332 · national gallery of Art, Washington, dC: rosenwald Collection 20; Samuel H. Kress Collection 28; gift of The Circle of the ngA 364 · Servizio Fotografico «L’Osservatore romano»: 110 · White Images/ Scala, Firenze: 39, 41, 80, 90, 167, 182, 223, 234, 317, 339 · Shutterstock.com: gimas copertina; Botond Horvath 15; Salvador Maniquiz 59; Tokar 84; radiokafka 105; gene emrah 109; Vvoe 126; tan_tan 160; Lucky Team Studio 285s; lorenza62 285d; pio3 299; BlackMac 303; gimas 304; Stefano Carocci Ph 336 · 123rF.COM: Alessandro0770 117; Malgorzata Kistryn 371; Jasmin Merdan 96-97; Luciano Mortula 54; nehru 21; Vladimir Prizemlin 212.

L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. Le correzioni di eventuali errori presenti nel testo sono pubblicate nel sito www.itacascuola.it/narrare-la-storia.

384
Capitolo 14
nascono gli stati nazionali 313 2 · L’Inghilterra verso una monarchia parlamentare 316 3 · La Spagna avvia la Reconquista 318 4 · La fine dell’epoca delle crociate 320 METTIAMO A FUOCO Parigi nel XIII secolo 322 METTIAMO A FUOCO Nella corte di Aquitania nasce la letteratura cortese 324 METTIAMO A FUOCO La figura della donna nel Medioevo 325 PARTIAMO DALLE FONTI La Magna Charta 326 PROTAGONISTI Il Saladino: feroce persecutore di cristiani o modello perfetto di governante? 327 SPUNTI DI RIFLESSIONE (PER L’EDUCAZIONE CIVICA) Il parlamento: l’organo che emana le leggi di uno stato 328 Capitolo 15 L’“autunno del Medioevo” 333 2 · La “cattività avignonese” del papato 335 3 · Lo Scisma d’Occidente 337 4 · La Guerra dei Cent’Anni 338 5 · «Dalla fame, dalla peste, dalla guerra liberaci o Signore»: i grandi flagelli si abbattono sull’Europa 341 6 · I Comuni italiani verso un nuovo ordinamento: nascono le signorie 344 METTIAMO A FUOCO La fine dei Templari 345 PROTAGONISTI Cola di Rienzo: l’inventore della propaganda politica 346 LEGGIAMO L’ARTE L’ossessione della morte nell’arte: trionfi e danze macabre 347 PROTAGONISTI Giovanna d’Arco: quando una ragazza può cambiare la storia 348 PARTIAMO DALLE FONTI La peste a Firenze nel racconto di Giovanni Boccaccio 349 IL CAMMINO DELLA TECNICA E DELLA SCIENZA Curare e guarire nel Medioevo 350 Capitolo 16 L’Italia delle signorie e dei principati 357 2 · Le guerre per il predominio in Italia e lo sviluppo delle corti 361 3 · Le compagnie di ventura: una costante minaccia per la pace in Italia 365 4 · La fine dell’Impero d’Oriente 368 METTIAMO A FUOCO Vivere a Firenze nel Quattrocento 370 NON TUTTI SANNO CHE 800 volte “no”: i martiri di Otranto 372 PARTIAMO DALLE FONTI Un testimone oculare racconta la congiura dei Pazzi 374 METTIAMO A FUOCO Uccidere con le armi da fuoco è la stessa cosa che uccidere con la spada? 375 METTIAMO A FUOCO Quando finisce il Medioevo? 376 Indice delle definizioni a margine del testo 380

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IN COPERTINA: Piazza del Popolo, Todi (PG)

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Abbiamo dedicato le copertine dei tre volumi a delle celebri piazze (Piazza del Popolo a Todi, Trafalgar Square a Londra, Times Square a New York) perché le piazze, pur con caratteristiche, forme e strutture urbanistiche diverse, sono state e sono tuttora dei luoghi importanti per la vita degli uomini.

Nelle piazze, fin dall’antichità, l’uomo si incontra, discute, si confronta. Le piazze sono il luogo della politica, dove chi comanda mostra il suo potere, ma anche dove il popolo fa sentire la sua voce. Sono il luogo della religione grazie ai templi e alle chiese che su di esse si affacciano. Sono i luoghi del mercato e dei commerci, dell’attività sempre più frenetica dell’economia. Con le loro statue, le loro colonne, i loro edifici pubblici, le loro bandiere sono il luogo dei simboli che cementano l’unità del popolo. Sono quindi tra i luoghi principali dove si snoda la storia. Ripercorrere il cammino delle piazze, con le loro evoluzioni nel tempo, ci permette di riconoscere almeno una parte, certo significativa, del cammino dell’umanità.

La storia è racconto di avvenimenti.

La storia è conoscenza dell’altro-da-noi e pertanto ci fornisce un’esperienza varia e nuova di ambienti lontani nel tempo e nello spazio, ma soprattutto diversi. Lo studio della storia conferisce larghezza di idee e duttilità di mente, libertà di spirito.

Cinzio Violante

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