PADRE TIBONI Filippo Ciantia
«uno tra i più santi uomini che abbiamo»
«uno tra i più santi uomini che abbiamo»
«uno tra i più santi uomini che abbiamo»
Prefazione di Christophe Pierre
Dello stesso autore
Elio Croce
fratello missionario comboniano
La montagna del vento
Lettere di amicizia dall’Uganda
Il divino nascosto
Storie di eroico quotidiano
Nelle edizioni Itaca
Marc Bigirindavyi
Martiri della fraternità
I quaranta seminaristi di Buta via di evangelizzazione
Tu sei un valore
Le donne di Rose. Work in progress per una vita a cura di Matteo Severgnini, Mónica Fontana Abad
Filippo Ciantia
Padre Tiboni «uno tra i più santi uomini che abbiamo»
www.itacaedizioni.it/padre-tiboni
Prima edizione: agosto 2022
Prima ristampa: febbraio 2024
© 2022 Itaca srl, Castel Bolognese
Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0732-5
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.
Seguici su
Itacalibri
Itacalibri
Ho conosciuto padre Tiboni durante il mio soggiorno di otto anni in Uganda, come nunzio apostolico.
Vi incontrai un sacerdote animato da un bell’entusiasmo missionario, semplice, attento e fraterno, visibilmente centrato sulla persona di Cristo e circondato da numerosi amici che egli accompagnava con immensa paternità e profondo affetto.
Sono grato a Filippo Ciantia, che fu uno tra gli “amici” di Tiboni, di cui, a cinque anni dalla morte, ripercorriamo il cammino di missionario, che il discepolo di Comboni ha saputo coltivare, e che l’incontro con Giussani gli ha permesso di concretizzare, dandogli un aspetto così attraente.
Mi ha colpito l’osservazione che egli fece poco dopo i primi incontri, in questi termini: «Da un punto di vista missionario, Enrico e gli altri non mi colpirono più di tanto: erano dei nani in confronto ai comboniani. Tuttavia, vedevo in loro qualcosa che non avevo trovato altrove. Mettevano Gesù al centro di tutto e la comunione che vivevano tra loro era per me di una straordinaria importanza. Tutto mi incuriosiva».
L’autore ci fa scoprire come nelle vicissitudini di una vita di straordinaria attività, la sua figura si è progressivamente lasciata modellare al punto di diventare una delle più significative espressioni degli stili di Comboni e di Giussani.
I frutti della sua testimonianza di pastore e di educatore sono le numerosissime persone che Ciantia ci ritrae, illustrando come Tiboni ha saputo condurle verso un incontro con Cristo che ha trasformato le loro vite.
Ci sono, secondo me, due affermazioni che riassumono il suo messaggio, e sono il segreto e il motore della propria esi-
stenza: «Gesù Cristo deve essere il centro della tua vita, ma non un Gesù Cristo sognato, immaginato o pensato, ma il Gesù Cristo vissuto nella comunità cristiana»; «Gesù Cristo è un’esperienza personale e comunitaria; senza di lui la nostra vita missionaria non ha alcun senso».
Invito i lettori a lasciarsi “incuriosire” e sedurre dal cammino così originale di un religioso che ci presenta un itinerario di santità solidamente radicato nella sua umanità che lo rende vicino a ciascuno di noi.
✠ Christophe Pierre Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America
Il cielo era di un azzurro che non aveva mai visto. Ogni giorno era così terso e bello che le sembrava straordinariamente nuovo e la lasciava senza fiato, ammirata, nell’aria pura del mattino o nella pace della sera. Adorava i fiori e le bouganville alla sinistra della casa e anche quelle laggiù in fondo avevano dei colori così vivaci – rosa, viola, bianchi, porpora – che le pareva invadessero la veranda ed entrassero nelle poche, piccole stanze della loro casa. Si sentiva a suo agio con quelle piante che, come lei, amano il caldo e, soprattutto, il sole.
Sin da quando era arrivata in Uganda, si era trovata immersa nella bellezza dei colori e dei profumi. I fiori di frangipane erano la sua passione per la loro varietà di colori e dimensioni e per il delizioso profumo che riempiva l’aria del mattino e della sera. Per questo era stata soprannominata “min ature”, mamma dei fiori, anche per la grazia e la cura con cui li usava per rendere bella e accogliente la modesta dimora.
Poi, dopo l’intenso stupore di quell’istante sincero, l’aveva colta la nostalgia della sua Varese. I balli e le passeggiate sotto i portici di Corso Matteotti, la spensieratezza dell’adolescenza, gli abiti eleganti e colorati. Le era calato in cuore un velo oscuro, subito fugato dal ricordo dell’incontro con Enrico. Quel giovane deciso e affascinante, dallo sguardo penetrante e la parola franca e profonda, l’aveva conquistata, giovanissima diciassettenne, a un’altra vita, anzi a un’altra via, perché sarebbe stato un cammino nuovo, che mai avrebbe immaginato per sé, abituata alle belle compagnie della borghesia varesina.
«Capisco che possiamo pensare a una vita insieme, anche per sempre, ma devi sapere che io desidero andare in missione,
come medico. Continuiamo questo rapporto se sei pronta a verificare questa strada con me!»
Giovanna aveva detto di sì, senza esitare. Senza sapere ciò che avrebbe implicato, ma era un sì certo e pieno, mai dimenticato, né rimpianto. Ne era nata una vita, una via, bellissima e piena.
Fino al matrimonio e alla partenza per l’Uganda erano stati anni di ideali e leggerezza, anche nelle situazioni più difficili dei turbolenti anni Sessanta.
Adesso tutto questo le pareva tanto lontano. Ora si trovavano a Kitgum, una piccola cittadina nel Nord del Paese. Enrico era al lavoro, all’ospedale St. Joseph’s assieme ad Antonio, mentre Peppe era andato a insegnare alla scuola poco lontana, sulla strada per Palabek. Luisa e Liliana erano andate al mercato a fare la spesa ed era rimasta da sola. Ma il carattere forte non glielo poteva togliere nessuno.
Con la nascita di Luca era arrivata una grande gioia, poi non era stata bene, ed era stata portata nella capitale, nel noto ospedale di Mulago, dono della Corona per l’indipendenza, per una delicata operazione.
Tre famiglie in tre camere, con una stanza che faceva da cucina e sala da pranzo, era tutto quello che si era potuto trovare nella missione per i nuovi due medici e il collega insegnante. Si faceva una bella fatica, ma il “sì” dell’inizio non era stato dimenticato.
Poi era arrivato questo nuovo missionario: un tipo strano che sistematicamente si presentava al mattino per una tazza di caffè e si sistemava sulla “baraja”, la veranda, a studiare la lingua locale, l’Acholi, o a leggere i suoi libri e le riviste. Arrivava l’ora di pranzo e inevitabilmente non si poteva che invitarlo alla tavola comune.
All’inizio non se n’erano accorti, ma quando la sua presenza era diventata regolare, ne era nata una certa irritazione. Faceva tante domande sulla loro vita, su come avessero maturato la decisione, da laici sposati, di fare una esperienza in terra
di missione. Visto quanto era accaduto precedentemente e le incomprensioni, anche gravi, vissute nell’anno precedente a Gulu, pensavano addirittura che forse il nuovo padre potesse avere motivazioni inquisitrici.
In sostanza, soprattutto le donne erano stufe e lei più di Luisa e Liliana: il padre comboniano arrivava, sereno e pacifico, e il più delle volte si fermava a pranzo e addirittura a cena. Quando aveva portato anche la sua biancheria perché fosse lavata da loro, il vaso, già colmo, era traboccato.
Enrico avrebbe chiarito la situazione, cercando di far capire che la discrezione è una virtù anche in terra di missione e c’è una misura in tutto. Era ormai il tramonto. Enrico aveva trovato il comboniano intento a leggere una rivista che gli amici dell’Italia avevano inviato poche settimane prima. Era l’occasione che aspettava, per affrontare e risolvere una volta per tutte il problema.
Con la sua solita calma e precisione Enrico aveva elencato, con ferma eleganza, tutti i problemi che la convivenza presentava, cercando di lavorare di fioretto, come quando manovrava il bisturi in sala operatoria, elencando lamentele, difficoltà e limiti oggettivi. Tutto con un adeguato savoir faire varesino.
Pian piano anche gli altri si erano avvicinati e, mentre il sole tramontava, erano ormai tutti insieme.
Aspettava quel momento. Padre Pietro, che aveva ascoltato attentamente e in silenzio, con quegli occhi profondi e limpidi fissi su Enrico, ma che abbracciavano tutti, esclamò, con pacata decisione: «Ma non avete capito che io voglio stare con voi?».
Mentre era sceso un gran silenzio, tra il sorpreso e l’imbarazzato, arrivò Santina, la “lapidi”, bravissima e fidata babysitter, con il piccolo Luca sulle spalle, che verseggiava di gioia.
Anche gli occhi limpidi di padre Pietro Tiboni sorridevano.
Questo libro è il frutto di molti contributi, opera corale grazie a tante persone, cui sono grato e debitore. Il libro è gremito di persone che hanno goduto della grazia della compagnia e amicizia con padre Pietro. Ogni volta che leggerete un nome, sappiate che a quella persona va il mio “grazie”.
Innanzitutto, un vasto archivio – curato dalla Fraternità dell’Uganda, nata attorno a Enrico Guffanti e tuttora un riferimento per molte persone, incluse giovani famiglie e individui che desiderano vivere una esperienza di missione – ha dato “vita” a questo libro, assieme a molte testimonianze e ai trent’anni di amicizia personale e familiare con Tibo, come tutti lo chiamavano e lo ricordano. Moltissime lettere “raccontano” il suo cammino; alcune scritte da Tiboni stesso, ma soprattutto dalle persone che hanno vissuto con padre Pietro in Uganda. Vi è anche una documentazione degli anni precedenti all’incontro con le famiglie di Comunione e Liberazione a Kitgum e una raccolta di articoli di giornali e riviste, come «Nigrizia», «30 Giorni» e «Mondo e Missione».
Il libro di Enrico Castelli, La difficile speranza, ha raccontato il periodo generativo del movimento di CCL in Uganda, con cenni al passato, ma soprattutto concentrandosi sui primi anni Ottanta.
Nella Vita di don Giussani di Alberto Savorana vi sono alcuni capitoli che “fissano” i passaggi fondamentali dell’esperienza ugandese. Giussani in più di una occasione ha parlato in pubblico di Tiboni, con testi ripresi in alcuni dei suoi libri.
Ho consultato il ricco e accurato archivio di «Tracce-Litterae communionis», il mensile di CL , che ha raccontato molto dell’esperienza ugandese, che tuttora, soprattutto grazie a Rose Busingye,
trova ampio spazio e permette di percepire e gustare la sua ricchezza di servizio e testimonianza.
Il sito del Meeting di Rimini conserva gli interventi di Tiboni che costituiscono un elemento molto importante per tracciare la sua storia.
Ho avuto accesso all’archivio comboniano e alla biblioteca nella casa curiale a Roma, grazie a una generosa collaborazione dei tanti confratelli e amici di Tiboni. Ho trovato documenti originali redatti da Tiboni, sue lettere, sconosciute in larga parte. Inoltre, ho potuto leggere la raccolta del «Bollettino dei Figli del Sacro Cuore di Gesù», utilissimo soprattutto per gli anni in Sudan e per il periodo in cui Tiboni fu assistente generale. Le interviste con alcuni comboniani, come padre Bruno Gilli, attualmente in Togo, Fidel González e Cosimo de Iaco, Daniele Giusti, e David Glenday a Roma, Carlo Torri e Claudia Piffer a Gulu, sono state fondamentali per alcuni capitoli.
A parte, devo segnalare due “storie” veramente sorprendenti nella vita di Tiboni.
Innanzitutto, il gruppo dei “militari” da lui seguiti durante il “periodo romano” dal 1976 al 1979. Ho avuto numerose testimonianze, attraverso incontri, telefonate e scritti. Poi la comunità dei monaci benedettini della Cascinazza, che quando ha saputo della mia decisione di scrivere il libro, dopo due anni di quasi completo isolamento (causa restrizioni dovute alla pandemia), ha voluto incontrarmi. Mi sono trovato davanti tutta la comunità riunita e molti monaci hanno contribuito con testimonianze e ricordi. Inoltre, hanno condiviso con me la registrazione e la trascrizione di tutti gli incontri avuti nel monastero per oltre dieci anni: un’amicizia veramente particolare. Le registrazioni degli incontri alla Cascinazza, attraverso la voce di Tibo, mi hanno permesso di gustare nuovamente la sua ironia, la sua semplicità, la simpatia e soprattutto la certezza umile di chi ha fede solo nel Signore. Tutti gli incontri sono anche trascritti con fedeltà e cura, ovviamente, “certosine”.
Preziosissima, soprattutto per i primi due capitoli, la trascrizione di dialoghi con Tiboni da parte di Giorgio Salandini (con alcuni contributi di Robi Ronza). Giorgio aveva in mente di scrivere su Ti-
boni, ma una grave malattia lo ha impossibilitato: la moglie, Pupa, mi ha regalato i suoi appunti, veramente fondamentali. Ho potuto anche incontrare i familiari di padre Pietro a Tiarno di Sopra, scoprendo aspetti molto importanti della sua vocazione, della sorella comboniana e di due altri compaesani comboniani.
Infine, ho condotto un gran numero di interviste con tantissime persone, la cui lista sarebbe veramente lunga: tutte preziosissime. Si tratta di persone “di ogni tribù, popolo e nazione” che attraverso Tiboni hanno incontrato la passione del Comboni e il movimento di don Giussani. Tra queste persone anche, all’epoca, bambini, che lo ricordano ancora oggi in modo intenso.
Infine, va segnalata la disponibilità di migliaia di messaggi, sms, email, che per molti anni, ogni giorno, Tiboni ha inviato a centinaia di amici, correlate da fotografie di persone, natura, luoghi. Ci sarebbe da redigere un’antologia o addirittura una specie di agenda dell’anno con i suoi pensieri. Ringrazio particolarmente Giuseppe Bottelli, peraltro uno dei “militari di Tibo” per le tante notizie, testimonianze e soprattutto per i messaggi di Tiboni che ha raccolto fedelmente negli anni. Lo ringrazio per le foto e soprattutto per quella che fa da copertina. Esiste, infatti, un ampio repertorio fotografico, che in piccolissima parte contribuisce al libro: tante persone le hanno messe a disposizione, aiutandomi nel fissare molti particolari che altrimenti sarebbero andati perduti.
Infine, per me è stato un esercizio di servizio a un grande missionario e un fedele amico, che ha avuto cura e affetto per me, per mia moglie Luciana e per ciascuno dei miei figli. Lavorando sui documenti, incontrando le persone, ho capito ancor di più come Cristo sia sempre vivo in un volto, in una persona. «Cristo nella sua contemporaneità, nel suo qui ed ora è, per noi, il carisma, il punto storico attraverso cui Cristo dice: Vieni e vedi»81.
81 Stefano Alberto in Luigi Giussani, Dare la vita per l’opera di un Altro, BUR, Milano 2021, p. 54.
Chi volesse inviare la propria testimonianza su padre Pietro Tiboni e ogni altro materiale utile a custodirne la memoria può scrivere a: filippo.ciantia@gmail.com.
La redenzione cerca la tua forma per entrare nell’inquietudine di ogni uomo.
Karol WojtyłaTrentino dalla fede rocciosa come le sue montagne, Pietro Tiboni fin da bambino si era sentito chiamato a dare la vita per Cristo e a essere missionario in Africa dove ha speso gran parte della sua vita, specie in Sudan e Uganda.
Ho conosciuto padre Tiboni durante il mio soggiorno di otto anni in Uganda, come Nunzio Apostolico.
Vi incontrai un sacerdote animato da un bell’entusiasmo missionario, semplice, attento e fraterno, visibilmente centrato sulla persona di Cristo, e circondato da numerosi amici che egli accompagnava con immensa paternità e profondo affetto.
Christophe PierreFilippo Ciantia ha vissuto per trent’anni in Uganda con la moglie e i suoi otto figli lavorando prima come medico per conto di Ong come Cuamm e Avsi, poi come direttore del Dr Ambrosoli Memorial Hospital. Ha scritto La montagna del vento. Lettere dall’Uganda, Il divino nascosto. Storie di eroico quotidiano e Elio Croce fratello missionario comboniano.