Pascoli L’inaugurazione della poesia contemporanea (Elio Gioanola)

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ELIO GIOANOLA

PASCOLI

l ’ inaugurazione della poesia contemporanea

d’Ercole

Alle co lonne

pascoli. l’inaugurazione della poesia contemporanea

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PASCOLI

l’inaugurazione della poesia contemporanea

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Elio Gioanola

Dello stesso autore

La Grande Guerra di un povero contadino

Nelle edizioni Itaca

Alessandro Manzoni

L’innominato

La notte l’alba l’abbraccio

Invito alla lettura di Eugenio Dal Pane

Donata Ortolani

Figli di nessuno

Lothar e altri racconti

Roberto Filippetti

Il desiderio e l’allodola

Etimologie: l'attrattiva delle parole

Elio Gioanola

Pascoli. L’inaugurazione della poesia contemporanea

www.itacaedizioni.it/pascoli-inaugurazione-poesia-contemporanea

Prima edizione: aprile 2024

© 2024 Itaca srl, Castel Bolognese

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-526-0777-6

Stampato in Italia da Mediagraf, Noventa Padovana (PD)

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Introduzione

Nel 2000 uscì alle stampe il mio Sentimenti filiali di un parricida, sull’opera del Pascoli. L’esordio era molto duro: «Ad ammazzare il padre è stato lui, il figlio, Giovannino delle lacrime…». Ero dominato dall’impressione ricevuta dalle mie letture psicanalitiche, che del resto avevo già usato, forse con minore decisione, in molte circostanze.

In questo senso mi aveva preceduto di pochissimo tempo l’introduzione di Cesare Garboli all’opera pascoliana contenuta nei due volumi dei “Meridiani” Mondadori. Posso riconoscere i troppi debiti concessi a questo critico tanto originale, ma la decisa svolta da lui impressa alla vulgata, ancora vigente, dell’impressionismo sentimentale di matrice crociana, ne faceva il capostipite della critica più originale sul poeta.

Insistere sull’importanza dei rapporti familiari di Pascoli significa, per un verso, uscire dal superficiale ricorso all’infantilismo emotivo del lavoro interpretativo tradizionale, andando a fondo nello psichismo che domina tutta la sua produzione.

C’è, al fondo di questa pascoliana insistenza senza tregue, un infantilismo da non intendere come dato impressionistico, ma piuttosto come esito di una turbatissima sensibilità, come esemplarmente si può leggere nelle programmatiche pagine del Fanciullino, che è l’opposto di una resa sentimentale alla prima infanzia, ma invece la discesa frenata alle origini di tutti i tormenti, come di tutte le rare gioie del poeta.

La mamma e la morte sono i temi eterni e insuperabili della produzione dell’autore, che non conosce alternative al bino-

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mio tormentoso, fuori da ogni speranza di scampo. Per questo la sua poesia è un eterno “pattinare sul posto”, che non sfugge mai alla tirannia del ‘medesimo’, variando solo nell’alternanza dei risultati, di esplosiva o di mediocre invenzione.

A vedere a fondo nel suo poetare, l’autore non può evadere dal tema «della bambina che è nella donna» (sono parole sue), essendo il suo infantilismo, molto più che sentimentale, profondamente autentico e perseguito, vero centro emotivo di tutta la sua costituzione interiore. Egli non può evadere dalla prigionia del ‘fanciullino’, perché sa che quella prigione è il vero luogo della creatività: infatti il linguaggio del fanciullo è paradossalmente senza parole (infanzia viene da non-fari, cioè non possedere un linguaggio articolato: si pensi solo al ricorso alle fonazioni degli uccelli, cui il poeta ricorre tanto spesso per adeguare la parola poetica al ritmo cantabile dei loro cinguettii).

Questo significa che è la voce a dominare rispetto alla parola, emergendo da una zona non toccata dalla significazione. È lo statuto dei nomi propri, la cui suggestione sta tutta nell’insignificanza comunicativa, come tanto spesso e tendenzialmente sempre succede nella poesia pascoliana, dove le parole sono come sfrangiate e la loro perenne tendenza è verso la sonorità invece che la significazione pura.

Basterà ricorrere a qualche esempio, piccola parte per un grande tutto: «Turella! Bianchina! Colomba!» risuona il grido del pastorello che richiama le sue mucche, con una voce tre volte variata nel perfetto ritmo ternario dei novenari.

Per questo il bambino è portatore di un ritmo variato, diventando il «fanciullo musico», che invece di scandire parole significanti, strilla e guaisce, ride e piange, manda un «tinnulo squillo come di campanello» e se «detta dentro» lo fa con quelle sue tiritere e ciarle che vengono prima della comunicazione articolata. La «voce» precede una vera intenzione comunicativa, si avverte solo «nel punto che muore», senza veramente dire ciò che letteralmente significa, come il “soffio” del nome proprio di «Svanì». Ed è per questo che la lingua morta del latino, importante nella poetica pascoliana fino al termine del

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suo esercizio, non ha alcuna intenzione di coincidenza con il linguaggio di Roma antica, ma è una lingua a parte, si direbbe, della sua decadenza.

Il fondamentale rapporto madre-figlio (la madre era morta quando il figlio nella realtà era nato da pochissimo) cancella ogni possibilità di essere reale; il poeta della realtà in sé non sa che farsene, come sa chiunque si sia minimamente interessato al suo esercizio. La sua vista non è mai un semplice vedere. Il “fanciullino” riesce a dare voce a ciò che gli adulti non riescono a conoscere né tanto meno a possedere attraverso il linguaggio della comunicazione.

Il Pascoli è al contempo poeta apparentemente semplice, così che viene proposto già ai bambini delle elementari, eppure tanto profondo da impegnare i critici più autorevoli. Il “fanciullino” nasconde, oltre tale aspetto di facciata, la complessità e il tormento dell’arte moderna, combinando infantilismo e sofferenza, metrica perfettamente tradizionale e prosodia nuovissima, in forme classiche che hanno imbarazzato i lettori e i critici di professione. Questa sintesi che propongo, sacrificando troppe cose di quella edizione di un quarto di secolo fa, vuole offrire soltanto un invito alla lettura di un poeta che ha cercato di nascondere i suoi tormenti in pure forme.

Introduzione 7

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Indice

Capitolo XII 95
Introduzione 5 Capitolo I 9 Capitolo II 23 Capitolo III 30 Capitolo IV 36 Capitolo V 42 Capitolo VI 49 Capitolo VII 55 Capitolo VIII 62 Capitolo IX 68 Capitolo X 74 Capitolo XI 81 Capitolo XII 88

Egli è dunque quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione.

Giovanni Pascoli

Il fanciullino

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Il Pascoli è al contempo poeta apparentemente semplice, così che viene proposto già ai bambini delle elementari, eppure tanto profondo da impegnare i critici più autorevoli.

Il “fanciullino” nasconde, oltre tale aspetto di facciata, la complessità e il tormento dell’arte moderna, combinando infantilismo e sofferenza, metrica perfettamente tradizionale e prosodia nuovissima, in forme classiche che hanno imbarazzato i lettori e i critici di professione.

Questa sintesi che propongo vuole offrire soltanto un invito alla lettura di un poeta che ha cercato di nascondere i suoi tormenti in pure forme.

Elio Gioanola

Elio Gioanola conobbe Itaca mentre muoveva i primi passi e li incoraggiò, offrendo prima la pubblicazione di due saggi –La poesia decadente. Pascoli e D'Annunzio e La narrativa tra '800 e '900. Svevo e Pirandello – e, successivamente, dell'opera narrativa La Grande Guerra di un povero contadino. Questo invito alla lettura di Pascoli, che esce in occasione dei novant'anni dell'Autore, suggella una lunga amicizia con un uomo al quale Itaca è profondamente grata.

€ 12,00
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