ELIO CROCE fratello missionario comboniano (Filippo Ciantia) - pieghevole

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Filippo Ciantia

ELIO CROCE

fratello missionario comboniano

«Fratello missionario comboniano»: così era solito definirsi Elio Croce che ha vissuto per cinquant’anni nel Nord Uganda a servizio del popolo Acholi.

Elio Croce nasce a Moena il 3 aprile 1946. Di temperamento vivace, ancora adolescente è attirato dalla vita dei missionari comboniani e dall’idea di dedicare la propria vita agli altri.

A dodici anni, entra nella scuola professionale per fratelli coadiutori dei comboniani a Thiene. Gli studi tecnici sono accompagnati dal desiderio di «servire Dio» come seguace di Daniele Comboni.

La sua missione inizia nel 1971 a Kitgum, lavorando nell’ospedale St. Joseph’s. Nel 1985 è chiamato a Gulu, nel grande ospedale Lacor, sviluppato dai coniugi Lucille e Piero Corti.

Qui per vent’anni ha sfidato la guerriglia e nel 2000 ha affrontato una epidemia di Ebola.

Il coraggio, la fede, la carità sono le dimensioni di una vita avventurosa e affascinante. Sapeva fare di tutto e ha insegnato il lavoro a tanti. Instancabile nell’organizzazione dell’ospedale per far fronte a ogni emergenza, non temeva alcun pericolo. Quando aveva bisogno, la gente chiamava lui, uomo geniale e burbero, sorridente e deciso, coraggioso e amabile, generoso e forte.

Dopo aver lavorato per oltre 40 anni negli ospedali, al servizio dei malati e dei poveri, la sua ultima opera è stata una chiesa, grande e bella, per il popolo del quartiere nato attorno all’ospedale.

Contagiato dal Covid-19, è salito al cielo l’11 novembre 2020, festa di San Martino.

Oggi in un’imboscata i ribelli hanno ucciso una suora. Questo è il prezzo che il Signore ci chiede per testimoniare il nostro amore per lui e per i fratelli tra i quali ci ha mandato e con i quali vogliamo essere solidali in questa situazione di sofferenza e di morte fino a versare il sangue con loro, unendoci al Mistero di Cristo morto e Risorto per salvare noi e il male del Mondo.

Dal diario di Elio Croce

3 aprile 1997

La prefazione di padre Giulio Albanese mccj

La logica del divenire porta con sé il ricordo e forse mai come oggi è necessario riflettere sul passato per far fronte alle tante inquietudini che assillano il nostro tempo. Ecco che allora ci solleva l’antica saggezza secondo cui ciò che abbiamo vissuto, e dunque è ormai trascorso, si manifesta sempre e comunque nella memoria personale e collettiva, sotto le vestigia di volti, di persone che, nel corso della vita, la Provvidenza ha messo innanzi a noi come testimoni. Motivo per cui consiglio caldamente di leggere questo saggio dell’amico Filippo Ciantia che potrebbe essere definito una sorta di breviario missionario.

Le pagine che seguono, infatti, costituiscono il profilo e per certi versi il resoconto sui fatti e gli accadimenti che hanno scandito l’esistenza, per chi ebbe la grazia di conoscerlo, di

fratel Elio Croce, un autentico “mito dell’evangelizzazione a tutto campo”. Chiede pertanto una deroga chi scrive questa prefazione, se anch’egli avverte il bisogno istintivo di ricordare questo grande missionario con alcuni brevi accenni.

Siamo di fronte ad un personaggio straordinario che ebbi modo d’incontrare casualmente all’inizio degli anni Ottanta nella procura dei missionari comboniani a Mbuya, parrocchia in quella che era, prima dunque che avvenisse la sua espansione, la periferia della capitale ugandese, Kampala. Ricordo come fosse oggi quel sabato pomeriggio. Ero appena rientrato da una battuta di pesca nel Lago Vittoria. In città scarseggiavano i rifornimenti d’ogni genere a seguito della guerra e quello era l’unico modo per garantire un sano alimento ai nostri seminaristi di teologia.

Avevo il pick-up strapieno di persico del Nilo, tutto di grossa taglia, che in quelle acque si pescava in abbondanza. Allora fratel Elio lavorava come responsabile tecnico all’ospedale St. Joseph’s di Kitgum nell’East Acholi. Facemmo subito amicizia.

Mi raccontò che era giunto lì nel lontano 1971 e dunque aveva già alle spalle dodici

anni di missione. Mi colpì non solo la sua nobiltà d’animo ma anche l’affezione indicibile nei confronti del popolo acholi che era stato chiamato a servire nel Nord Uganda. Durante la conversazione notai che con la coda dell’occhio continuava a fissare il pesce che avevo sul retro della macchina. «Una pesca miracolosa quella di oggi!» esclamò. Capii al volo che

avrebbe desiderato tanto portarne un po’ in missione a Kitgum e non potei fare a meno di assecondare la sua richiesta. «Dio ti benedica» mi disse, precisando comunque che avrebbe ripagato il pesce recitando un santo rosario per me e la mia comunità. A dire il vero la pesca miracolosa fu la sua e posso garantire che si è procrastinata nel tempo fino al giorno in cui fratel Elio è tornato alla casa del Padre, l’11 novembre 2020.

Molti l’hanno giustamente definito un “Buon Samaritano” capace di soccorrere chiunque

fosse nel bisogno: poveri derelitti, senzatetto, orfani, gente ferita, malnutrita, mutilata, malata… Non vi fu, in tutto l’arco della sua esistenza, un solo istante in cui egli fosse latitante nell’esercizio evangelico della carità. Chi scrive lo può testimoniare, ad esempio, avendolo visto arrestare repentinamente la sua vecchia Toyota Land Cruiser, parcheggiandola sul ciglio di una strada polverosa, per seppellire, a costo di mettere a repentaglio la propria incolumità, i cadaveri dei tanti civili uccisi dalle

1985, Parco Turkana (Kenya). Circondato dalle donne turkana per ricevere l’acqua.

feroci soldataglie che allora, complessivamente per oltre un ventennio, infestavano il Nord Uganda.

Non dimenticherò mai il giorno in cui, il 29 agosto del 2002, venne a recuperare alla caserma di Gulu, con il suo solito fuoristrada, il sottoscritto e altri due confratelli (i padri Tarcisio Pazzaglia e Carlos Rodriguez Soto) dopo una brutta avventura con i ribelli, culminata poi con il sequestro da parte dei governativi. Eravamo distrutti dalla fatica e peraltro uno di noi, Carlos, aveva una brutta ustione

sul braccio. Ci accompagnò subito all’ospedale di Lacor per i controlli medici e poi ci fece rifocillare, offrendoci un pasto caldo e ospitalità per la notte. Fratel Elio era un uomo di preghiera, ma anche d’azione e dunque non rimaneva mai con le mani in mano: è stato un prodigioso tuttofare. Ha realizzato scuole, cappelle, orfanotrofi, impianti d’irrigazione, mulini, per non parlare della sua specialità: la costruzione e manutenzione dei reparti ospedalieri. In mezzo secolo di indefesso servizio

1985, ospedale St. Joseph’s di Kitgum. Da sinistra, Angelo e Raffaella Mainini, Maria Zilioli, Elio con il camice e stetoscopio di Filippo Ciantia, alla sua sinistra.

missionario è stato prima responsabile tecnico dell’ospedale St. Joseph’s di Kitgum, dove peraltro ebbe modo di incontrare alcuni giovani medici di Comunione e Liberazione; poi dal 1985 egli si trasferì a Gulu, presso l’ospedale di Lacor, dove ha praticamente vissuto fino alla morte.

Una delle ultime volte che visitai l’Uganda mi capitò tra le mani un giornale locale nel quale si parlava di lui. Il giornalista, per descrivere fratel Elio con il quale aveva trascorso diversi giorni, forse un’intera settimana, utilizzò la metafora della Land

Cruiser di cui sopra. Aveva colto nel segno, infatti si era accorto che quel veicolo veniva utilizzato come carro funebre, come autoambulanza, per trasportare materiali d’ogni genere, ma addirittura come scuola bus per gli orfani della St. Jude Children’s Home di Gulu. Quel veicolo portava impressi i tanti segni delle molteplici attività svolte quotidianamente da un uomo dal cuore grande e generoso. Maurizio Vitali, che per clonline.org ha pubblicato un pezzo in sua memoria, ha scritto a questo proposito: «Il suo detto preferito era: “Chi non vive per

1982, Orfanotrofio St. Jude, Gulu.

servire non serve per vivere”. Considerava ogni impresa e ogni opera non come propria, ma della Provvidenza. Con un metodo di verifica semplicissimo: se l’opera è della Provvidenza andrà avanti; altrimenti, finirà». Una cosa è certa: in tanti anni di missione, fratel Elio ne ha viste di tutti i colori: dalla sciagura della guerra civile alla piaga di Ebola, oltre al Covid-19 che all’età di settantaquattro anni ha posto fine alla sua esistenza terrena. A guardarlo in fotografia (ce ne sono tante in giro sul Web), a parte i dettagli – cappellino da fatica in testa e

rosario nel taschino – sembrava il fratello gemello di Sean Connery.

Ma andando al di là di queste considerazioni personali, tornando all’autore di questo saggio, Filippo Ciantia, è bene rammentare che, tutto quello che egli ha meticolosamente raccolto in queste pagine, è in gran parte frutto del forte legame intercorso con fratel Elio in terra africana. Si tratta, pertanto, di una narrazione dalla forte valenza esperienziale dalla quale si evince, per dissolvenza, la spiritualità – intesa come vita secondo lo Spirito – del protagonista.

Ciantia ha il merito di

2015, Gulu, località Lacor. Nella chiesa di San Daniele Comboni in costruzione.

aver debitamente espresso

il carisma comboniano del protagonista, quella versatile duttilità dell’anima di cui tutti, in questo frangente della Storia, profondamente segnato dalle diseguaglianze, abbiamo grande bisogno. Cioè comprendere,

secondo l’insegnamento di Gesù di Nazareth, che nella vita «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20,35).

Buon viaggio, dunque, a questo libro del riconoscimento e della condivisione.

Testo e foto sono tratti dal libro:

Filippo Ciantia

Elio Croce

fratello missionario comboniano Itaca, 192 pagine + inserto fotografico a colori 16,90 €

USCITA: MARZO 2024

2021, Gulu. Il ritratto di Elio, dipinto da artisti locali, all’ingresso dell’ospedale, di fronte al murale del dottor Matthew assieme ai coniugi Lucille e Piero Corti.

Filippo Ciantia ha vissuto per trent’anni in Uganda con la moglie e i suoi otto figli lavorando prima come medico per conto di Ong come Cuamm e Avsi, poi come direttore del Dr. Ambrosoli Memorial Hospital. Ha scritto La montagna del vento. Lettere dall’Uganda, Il divino nascosto. Storie di eroico quotidiano e Padre Tiboni «uno tra i più santi uomini che abbiamo».

Gulu, località Lacor. La chiesa di San Daniele Comboni dall’alto.

Fratel Elio Croce è stato un autentico “mito dell’evangelizzazione a tutto campo”, un “Buon Samaritano” capace di soccorrere chiunque fosse nel bisogno: poveri derelitti, senzatetto, orfani, gente ferita, malnutrita, mutilata, malata...

Era un uomo di preghiera, ma anche d’azione. Ha realizzato scuole, cappelle, orfanotrofi, impianti d’irrigazione, mulini, per non parlare della sua specialità: la costruzione e manutenzione dei reparti ospedalieri.

Maurizio Vitali ha scritto a questo proposito: «Il suo detto preferito era: “Chi non vive per servire non serve per vivere”. Considerava ogni impresa e ogni opera non come propria, ma della Provvidenza.

Con un metodo di verifica semplicissimo: se l’opera è della Provvidenza andrà avanti; altrimenti, finirà».

Padre Giulio Albanese mccj

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