Voglio il miracolo! Emergenza educativa: un imprevisto è la sola speranza (Silvio Cattarina)

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SILVIO CATTARINA

VOGLIO IL MIRACOLO! EMERGENZA EDUCATIVA:

UN IMPREVISTO

È LA SOLA SPERANZA

prefazione di

Franco Nembrini



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A chi continuerà quest’opera bella, che non è di chi l’ha fatta e la farà


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voglio il miracolo!


Silvio Cattarina

Voglio il miracolo! Emergenza educativa: un imprevisto è la sola speranza

Prefazione di

Franco Nembrini


Dello stesso autore nelle edizioni Itaca Torniamo a casa L’Imprevisto: storia di un pericolante e dei suoi ragazzi Un fuoco sempre acceso L’Imprevisto Giovani perduti e ritrovati

Silvio Cattarina

Voglio il miracolo! Emergenza educativa: un imprevisto è la sola speranza www.itacaedizioni.it/voglio-il-miracolo Prima edizione: giugno 2022 © 2022 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0728-8 Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)

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Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto. Foto di copertina «Dalla finestra del mio ufficio spicca una banderuola segnavento con un corridore in groppa che, baldanzoso, pedala, sferzato da un vento impetuoso… Lo guardo svettare, ma in realtà, subito dietro di lui, sono i ragazzi nel parco della comunità a rapire il mio sguardo. Un caro ringraziamento a Claudia Lazzari, Emanuela Moroni e Valeria Sgrignani.» (S.C.)

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Prefazione

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Prefazione

Non è facile per me parlare di Silvio Cattarina, per l’amicizia che ci lega da una vita e per la stima che ho per lui, ma proverò almeno a dirne le tre ragioni fondamentali. La prima. In uno degli ultimi capitoli de Le avventure di Pinocchio, il burattino, trasformato in asino, si esibisce in un circo, e una sera in cui sembra sprofondare nel più totale abbruttimento, prostrato a terra con una gamba spezzata, «gli venne fatto naturalmente di alzare la testa e di guardare in su…». Anche in quella condizione per cui lo si crederebbe perduto definitivamente, è capace di alzare lo sguardo, è capace di una invincibile nostalgia per la verità e per la bellezza. E, guardando in alto, nota la fata dai capelli turchini che è lì con lui, e le grida: «Oh Fatina mia! oh Fatina mia!». Ma, dice il testo, «invece di queste parole, gli uscì dalla gola un raglio così sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori». Quando racconto questo episodio ai genitori e agli insegnanti, mi fermo e li sfido, chiedendo loro se sono capaci di riconoscere nel raglio dei nostri figli e alunni, cioè nei loro atti così scomposti, eccessivi, sbagliati, il grido del cuore dell’uomo che implora un po’ di felicità. Ecco, Silvio è capace come nessun altro di cogliere nell’urlo inarticolato dei ragazzi che incontra il grido del loro cuore, il fondo buono del loro cuore che attraverso il male chiede sempre il bene. È una capacità che hanno in tanti, certo; ma


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quello che per tanti – me compreso – è l’esito di un lavoro, per lui è naturale e immediato. Uno sguardo sulle persone che ha cominciato a germogliare in lui molto presto. Racconta infatti: Mi sono chiesto perché, fin da piccolo, mi abbiano sempre interessato, addirittura intrigato, la passione per la vita, il mistero che vive dentro la vita, la fatica degli uomini per andare avanti, per costruire. Ho sempre guardato i volti delle persone, senza stancarmi di osservarli scrupolosamente, specialmente il viso, le mani, gli occhi dei vecchi e delle donne del mio paese. In chiesa, da bambino, seguivo a malapena la messa perché ero rapito da quei volti scolpiti nelle montagne. Studiavo quegli sguardi, i vestiti che portavano, sempre gli stessi, tutto l’anno, che emanavano quell’odore, quel profumo di stalla. La mia era una contemplazione.

E questo sguardo se l’è poi portato dietro sempre: Quello che ho provato nella mia gioventù l’ho vissuto e rivissuto nell’incontro con i tossicodipendenti, con i devianti, con i ragazzi in difficoltà e con i loro genitori; l’ho riassaporato nel pianto delle loro madri, nelle bestemmie dei padri, nelle grida dei giovani buttati negli angoli delle strade, negli sguardi abbassati e persi delle giovani ragazze. In questi non c’era più traccia della fierezza dei vecchi del mio paese, ma il grido per la giustizia era ancora più grande.

E già questo è impressionante. Ma Silvio ci attacca un’altra osservazione che forse è più impressionante ancora: La domanda sempre più tagliente era: chi è la persona, chi è l’uomo? Come è fatto davvero il cuore dell’uomo? Chi sono io?

Non è l’altro cha ha bisogno e io sono a posto: lo sguardo


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sull’altro, la contemplazione – l’ha detto lui – dell’altro diventa, immediatamente, una domanda su di sé. E questa è la grande risorsa: la scoperta che io e te siamo uguali, che siamo fatti della stessa stoffa, che il tuo bisogno, il tuo grido è identico al mio: ecco la chiave per arrivare al cuore dell’altro. La mia ferita poteva essere la grande risorsa, trasformarsi in grido, chiamare la luce, la possibilità della rinascita, del riscatto, della vittoria.

Io e te siamo ugualmente feriti, e la nostra comune ferita è il segno che ci manca qualcosa, che non siamo solo quello che sembriamo, che siamo fatti per qualcosa di grande; meglio, che fin da adesso, così come siamo, siamo qualcosa di grande. Mi ha molto colpito un episodio accaduto recentemente nella scuola dove lavora mio figlio. Uganda, slum di Kampala, Luigi Giussani High School. Un ragazzino percuote a sangue il compagno di banco, viene ripreso dalla direttrice della scuola e rimandato a casa. Nel pomeriggio la polizia chiama la direttrice per informarla che lo stesso ragazzino è in stato di arresto per tentato furto. La direttrice corre al posto di polizia e, sentendosi dire dallo studente con un filo di voce: «Non dovevi allontanarmi da te», si getta in ginocchio davanti a lui dicendogli: «Ti chiedo perdono perché stamattina non sono stata capace di guardarti per quello che sei, per quello che vali. Ho guardato solo il male che avevi commesso». Questo è il segreto di Silvio: ti guarda e tu capisci che sta contemplando (per usare le sue parole) qualcosa di grande e di buono in te, qualunque cosa tu abbia fatto. Seconda osservazione. Così come con naturalezza coglie il grido dei ragazzi, con altrettanta semplicità propone loro un percorso serio, un cammino impegnativo, una proposta intensa e faticosa. Lasciamolo dire a lui:


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Cominciammo a chiedere tanto, a chiedere tutto ai ragazzi. I primi anni non era così, non chiedevo molto ai ragazzi. Mi dicevo: la vita a loro ha già chiesto tanto, allora è bene che io chieda poco, il “minimo sindacale”, diciamo. Li trattavo da poveretti. Capimmo che soprattutto a chi aveva sofferto tanto occorre chiedere tantissimo, il doppio, altrimenti è come se non credessimo in loro, se non dessimo loro fiducia.

È il grave limite educativo di un’intera generazione di adulti che, ritenendo i giovani incapaci, deboli, inconcludenti, abbassa sempre di più il livello della proposta, illudendosi di rendere più agevole il loro cammino. La reazione dei ragazzi è durissima: rifiutano e odiano lo scarto che sentono tra l’attesa del loro cuore e il cammino che viene loro proposto. Trattati da piccoli restano piccoli, trattati da scemi restano scemi, trattati da lazzaroni lo diventano anche quando non lo sono. Nell’azione educativa di Silvio con i suoi ragazzi ho visto la profezia di quanto è promesso nella Bibbia: «Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Salmo 85). Solitamente per noi misericordia e verità sono alternative. Ogni genitore, ogni insegnante lo sa: da un lato per essere misericordiosi dobbiamo scendere a patti con la verità, dall’altro per essere giusti e veri non riusciamo a essere buoni. Invece a L’Imprevisto il miracolo accade. Chi c’è stato lo ha visto. Infine, la terza caratteristica di Silvio che mi ha colpito e che, almeno per la mia esperienza, è proprio solo sua, è l’incredibile coraggio con cui si porta dietro i suoi ragazzi a raccontare a tutti quel che vivono. E mica si porta dietro i migliori, i perfetti, i modelli esemplari del suo successo; se li porta dietro – a turno, è ovvio – proprio tutti. E dato che il libro racconta un episodio in cui compaio anch’io, l’episodio in cui io stesso sono stato per così dire costretto a scoprire questo aspetto della sua esperienza (e non ci faccio una gran bella figura…), mi permetto di riportarlo:


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Ci invitò anche Franco Nembrini alla scuola La Traccia di Calcinate, in provincia di Bergamo, per un incontro con gli studenti, i professori e i genitori. Andai con cinque ragazzi, fu un successone. Le loro testimonianze furono davvero ammirabili, inaspettate per bellezza e profondità. Ricordo ancora la frase che scappò detta a Stefano Sgattoni e che lasciò ammutoliti i presenti: «Tutti vorrebbero tirare una riga sul proprio passato e cancellarlo, ma non è possibile, a meno che questa riga non abbia un nome: perdono». Quindici giorni dopo si tenevano a Rimini gli Esercizi spirituali degli adulti di cl. Franco Nembrini e il fratello don Eugenio, memori del successo alla Traccia, chiamano me e alcuni miei ragazzi per una testimonianza serale. Arrivo in fiera con altri cinque ragazzi, non gli stessi di quindici giorni prima. Don Eugenio e Franco, senza neanche salutarmi, gridano: «Perché li hai cambiati? Erano andati così bene i primi cinque!». Dopo un attimo di esitazione ho ribattuto: «Se una cosa è vera, è vera per tutti, anche per l’ultimo arrivato». La risposta mi scappò pronta e sicura, ma avevo anch’io timore. Eppure cominciavo a crederci, ormai eravamo pronti, capaci, portati dal vento. Sempre più capivo che non poteva essere questione di capacità.

«Non poteva essere questione di capacità.» Ecco, credo, la chiave del successo dell’opera di Silvio: non scommette su sé stesso, su nuove tecniche di recupero dei ragazzi in difficoltà, ma scommette tutto sulla libertà, sapendo che solo quando un giudizio su di sé è raccontato pubblicamente, è comunicato ad altri, diventa più facilmente nostro, e più difficilmente lo si tradisce nel momento in cui il male di nuovo ci assale. Ma quanto coraggio ci vuole, quanta libertà, sia da ogni esito, sia dal giudizio degli altri, deve vivere un adulto per esporsi così e per invitare i suoi ragazzi a fare lo stesso. È possibile solo a chi vive ogni istante teso a chiedere, a domandare la compagnia di Dio in ogni piega dell’esistenza. Un po’ come Dante che, fissando continuamente lo sguardo negli occhi di Beatrice, è invitato a guardare dove lei guarda, a contemplare il Mistero che la fa vivere.


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Voglio chiudere queste poche righe ringraziando Silvio, sua moglie Miriam e tutti i suoi collaboratori perché mi hanno insegnato con quale animo si possa e si debba incontrare e accogliere il bisogno di tutti i nostri fratelli uomini. E lo voglio fare, quasi un regalo a tutta la comunità de L’Imprevisto, con le parole che Manzoni fa dire a padre Felice nel momento in cui saluta gli appestati, ormai guariti, che lasciano il Lazzaretto per tornare alla vita di tutti i giorni: – Per me, – disse, – e per tutti i miei compagni, che, senza alcun nostro merito, siamo stati scelti all’alto privilegio di servir Cristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempito un sì gran ministero. Se la pigrizia, se l’indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se un’ingiusta impazienza, se un colpevol tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi, ci ha portati a non trattarvi con tutta quell’umiltà che si conveniva, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandolo; perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica -. E, fatto sull’udienza un gran segno di croce, s’alzò.

Franco Nembrini


Parte terza. Davanti a tutti. Una storia per il mondo

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Indice

Prefazione Franco Nembrini 5

parte prima Per noi adulti, per voi ragazzi L’esordio 12 La svolta 19 Intuizioni 26 Dare un nome 30 Il male nuovo… il bene di sempre 34 Che nessuno abbia mai a disprezzarvi 38 Feriti, cioè vivi 45 La “bellezza” del povero 49 La relazione è drammatica, sempre 53 La voce e la sete 58 Preziosi 61 Quell’aria 66


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voglio il miracolo!

parte seconda Gli editoriali de «L’Imprevisto» Don Gianfranco Gaudiano 71 Paolo Cevoli 73 «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?» 74 Angeli 76 Irriducibilità 77 Bullismo 79 L’accento vero 80 Periferie trafitte 82 Il colpo di fulmine che mi fa cadere in ginocchio 84 Misericordia e perdono 86 Al mondo inutilmente 88 «Un cambiamento d’epoca». Ovvero l’uomo padrone della vita e della morte 90 La promessa 92 L’immenso 94 La povertà 96 La luce che gioca negli occhi 98 Le lacrime di mia mamma 100 Belo Horizonte 102 L’angelo, un angelo… L’infermiere del sert 104 Un grido nella notte 106 «Fino agli estremi confini» 109 Figli che vedono, che sanno tutto 111 Struggimento e premura 113 L’uomo è male, il male è l’uomo? 115 Nuovo paganesimo 117 Le assemblee ovvero la cattedrale 119


Parte terza. Davanti a tutti. Una storia per il mondo

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parte terza Davanti a tutti. Una storia per il mondo Che opera d’arte è l’uomo! Noi sappiamo cosa siamo, ma non cosa potremmo essere Diamo quel che abbiamo ricevuto «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» La sollecitudine Istigazione al suicidio sui social Così i giovani hanno sostituito Dio con Instagram Tormentati dalla gioia I giovani nella loro condizione L’emergenza educativa Date parole al dolore Se guardi bene

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voglio il miracolo!

Non siete quelli che più amo. Il mio primo interesse è la vita, è Dio. Il traguardo dell’uomo non è la riuscita, la capacità, il successo. La grandezza dell’uomo è il grido. Il grido alla vita, a Dio. Che mi dia tutto. Che chiami me. Posso esservi d’aiuto solo mostrandovi questo mio grido. Non voglio che la forza e il coraggio siano miei, sarebbero troppo piccoli rispetto all’infinito desiderio del mio cuore. Voglio essere felice, voglio il miracolo. Silvio Cattarina



Cos’è la vita? Cos’è che uno cerca? Qualcuno che ti ama e qualcuno da amare. Ci sono troppi ragazzi e ragazze che non hanno trovato l’imprevisto che ha saputo ascoltarli. Io sento questo come una ferita, perché al dolore non ci si può abituare.

Matteo Maria Zuppi Silvio è capace come nessun altro di cogliere nell’urlo inarticolato dei ragazzi che incontra il grido del loro cuore, il fondo buono del loro cuore che attraverso il male chiede sempre il bene. È una capacità che hanno in tanti, certo; ma quello che per tanti – me compreso – è l’esito di un lavoro, per lui è naturale e immediato.

Franco Nembrini Silvio Cattarina, psicologo e sociologo, è sposato con Miriam e padre di quattro figli. «L’Imprevisto», l’opera da lui fondata che ha sede a Pesaro, in oltre trent’anni di attività ha già accolto più di 1.200 ragazzi e comprende la Comunità terapeutica educativa maschile, la Comunità terapeutica femminile «Tingolo per tutti», le Case di reinserimento e la Cooperativa sociale «Più in là».

€ 16,00 itacaedizioni.it


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