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SI GIRA CIAKGIRA CIAK ladispoli LADISPOLI
by ACI
Tra i tanti volumi dedicati a Ladispoli e alla sua storia, ce n’è uno che merita di essere aperto prima di addentrarci alla scoperta di questa città balneare che non si distingue per le sue ricchezze architettoniche: Ladispoli e i luoghi del cinema. Un viaggio immaginario tra il 1937 e il 2020 di Crescenzio Paliotta (AltrEdizioni, 2020). Nel Preambolo al volume, lo storico del cinema Claudio Siniscalchi scrive: “Ladispoli è vittima di un virus: il luogo comune. E quel luogo comune è stato proprio il cinema ad alimentarlo. Fregene era più alla moda. Ostia meglio attrezzata. Santa Marinella più esclusiva. Santa Severa più ufficiale. Ladispoli troppo popolare, malmessa, caciarona, multietnica, volgare.
Oddio, quei palazzoni! Qualche anno fa se ne uscì con questa battuta Suso Cecchi D’Amico. Che dire? Che rispondere?”. Una prima risposta arriva proprio dal volume citato, quando l’autore ci conduce con l’immaginazione sui tetti limitrofi alla stazione ferroviaria di Ladispoli e inizia a descrivere ciò che abbiamo sotto i nostri occhi e che non vediamo: Proprio qui sotto, tra la stazione di Palo Laziale e il passaggio a livello che allora si attraversava per arrivare a Ladispoli, nel 1951 Vittorio De Sica girò tutta la parte finale del film Umberto D. Lì, verso il mare e il Castello Odescalchi, nello stesso periodo Mario Soldati girava le avventure di Zorro e quelle del Corsaro Nero, su un galeone spagnolo ricostruito davanti al Borgo di Paolo. E poi lì, all’interno del Parco […]. John Huston nel 1964 ambientò il Paradiso Terrestre per il suo grandioso film La Bibbia. […] Verso l’entroterra, in quella campagna pianeggiante, Roberto Rossellini nel 1942 girà tutto il film L’uomo della croce, una storia ambienta nella steppa dell’Ucraina, e lo girò proprio negli stessi mesi nei quali i soldati italiani stavano combattendo in Unione Sovietica.
Potremmo andare ancora oltre, con la citazione, facendovi notate la grande struttura del Castellaccio dei
Montaroni dove Mario Monicelli nel 1959 ambientò la drammatica scena finale del film La Grande Guerra, o il tratto di Aurelia alberato dove Dino Risi filmò nel 1962 le scene più famose del film Il Sorpasso, o la chiesetta della SS. Annunziata dove nel 1936 il trentenne Roberto Rossellini celebrò le sue nozze, diventando cittadino di Ladispoli e soggiornandovi poi per sei anni.
Ecco, dunque, cosa i nostri occhi non vedono, “oltre i palazzoni”: una città che è stata un riferimento per il cinema, “quello di AlbertoSordi, di CarloVerdone, di Pingitore e PippoFranco” che hanno mostrato le sue spiagge come le più confusionarie, popolari e affollate degli anni ’70 e ’80. Ma bisogna, ancora una volta, fare un salto nel tempo (breve, questa volta) e tornare indie-
John Huston, regista statunitenze che nel 1964 ambientò nei dintorni di Ladispoli il suo fim “La Bibbia“ tro di un secolo per capire la vera natura di Ladispoli, piccolo borgo nato come un tranquillo “villaggio” per le vacanze al mare a metà Ottocento, sul modello di quelli europei. La neonata ferrovia Roma-Civitavecchia prevedeva infatti una breve diramazione – con tanto di carrozze trainate da cavalli – che permetteva di arrivare al Castello della famiglia Odescalchi e raggiungere il borgo dei pescatori di Palo dove, nel 1961, erano stati realizzati due dei primi “Stabilimenti per i bagni” della costa tirrenica, destinati a ospitare la nobiltà romana che poteva concedersi il lusso della nuova moda delle vacanze estive. Ma il richiamo dei “bagni di mare e di sole” si fece di anno in anno sempre più forte, tanto ad arrivare a quel fatidico 1888 che segnò la data di nascita ufficiale della città di Ladispoli, quando molti nobili e ricchi borghesi della Roma Umbertina si videro recapitare questo biglietto: “Il Principe Ladislao Odescalchi e l’Ing. Vittorio Cantoni si pregiano di invitarvi all’inaugurazione della Stazione Balneare Ferroviaria di Ladispoli (presso Palo), che avrà luogo il 1° luglio 1888”. Cronista di questa avventura, e di come venne realizzata, fu un gio- vane Gabriele D’Annunzio, inviato sul posto nel maggio dello stesso anno per vedere cosa stesse accadendo. La sua descrizione, pubblicata sulle colonne del giornale La Tribuna, era straripante di entusiasmo e prospere previsioni… in realtà, i primi bagnanti rimasero un po’ delusi: un solo stabilimento era all’altezza delle aspettative, per il resto c’erano solo pochi stabilimenti in legno su palafitte e rare case affacciate sul mare, mentre si stava costruendo il palazzo Cantoni, il solo edificio in stile Umbertino, ancora affacciato su piazza della Vittoria. La città, comunque, era nata. Ed era stata battezzata, in onore del suo fondatore Ladislao, “Ladispoli”. Inizialmente irrisa dai giornali satirici dell’epoca (“A LADISPOLI si ce so’ tre case è grasso che cola…” luglio 1888, sulle pagine del Rugantino), abbandonata alle sole forze dei suoi primi abitanti, fino alla Prima guerra mondiale il piccolo centro dovette arrangiarsi come poteva, in modo un po’ pioneristico e avventuroso, cercando di valorizzare le risorse naturali del territorio e di combattere, nel frattempo, la concorrenza del rapido sviluppo di Ostia come alternativa per le estati romane.
In tutto questo lasso di tempo, però, la natura incontaminata e l’aspetto rude e un po’ selvatico dei suoi abitanti, disdegnati dalla Roma bene, attirarono invece l’attenzione di artisti, pittori, scrittori e poi, come abbiamo visto, cineasti. Alla fine degli anni ’20 la città fu rilanciata come stabilimento balneare, si arricchì delle strutture di base mancanti (poste, farmacia, un mercato coperto e il lungomare pavimentato), e tornò a risorgere, anche se per pochi anni. Nel settembre del 1943, la Grande Guerra arrivò anche a Ladispoli: la città era sotto l’occupazione dei tedeschi, convinti che il previsto sbarco degli Alleati potesse avvenire proprio qui (sbarcheranno invece, come è noto, ad Anzio). Ladispoli fu interamente evacuata, furono demoliti gli stabilimenti e cannoneggiata la Torre Flavia. Per più di otto mesi fu una città vuota, spettrale. Fino alla mattina del 6 giugno, quando i carri armati alleati avanzarono da Roma e liberarono la città. Una città interamente da ricostruire, a partire dagli stabilimenti e fino alle campagne da bonificare (espropriate ai latifondisti e assegnate ai contadini), una città che ospitò, tra il 1946 e il 1948, i rifugiati ebrei reduci dai campi di concentra- mento, e che lentamente si tolse le macerie di dosso e si rimboccò le maniche.
Negli anni ’50 Ladispoli fu la “città della salute”, “la città del cinema”, la “città della Sagra del Carciofo” (lo è ancora); negli anni ’60 e ’70 si confermò come meta del turismo di massa: turismo fatto non solo di villeggianti del fine settimana ma anche di chi prima affittò, e poi comprò, appartamenti e villette sul mare. Di tutta questa storia, dal punto di vista architettonico, non resta molto. Ma resta una cosa fondamentale: la sua popolazione. Non solo i discendenti di chi contribuì a far nascere – e rinascere – la città, ma anche di chi vi fu costretto a transitarvi e qui decise di fermarsi. Se vi capita di visitare Ladispoli nei fine settimana estivi, noterete ad esempio svariate bancarelle gestite dalla comunità russa, con tanto di matrioske, orologi e occhiali di marca sovietica, e poi negozi e banchetti gestiti invece dalla comunità rumena. Certo, ce ne sono anche a Roma, ma qui la loro presenza ha una storia particolare: ad esempio, per vent’anni, dai ’70 ai ’90, Ladispoli fu città di transito per i moltissimi ebrei russi costretti a lasciare l’Unione Sovietica e diretti in Paesi come il Canada, gli Stati Uniti e l’Australia. Molti di loro si fermarono qui, come qui si fermarono rumeni in cerca di un luogo dove vivere non lontano dalla Capitale, mentre dalla Capitale venivano ad abitare qui romani stanchi del caos metropolitano. Ecco la bellezza di Ladispoli, dunque: questo suo essere multietnica, multilingue e multiculturale, per certi versi ancora un po’ selvatica, per altri sempre più ricca e al passo con i tempi grazie al turismo internazionale.