Metropolzine 22

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Metropolzine n. 22 Metropolzine è un periodico dell’Associazione Culturale “Italian Dreamers” Casella Postale 161 47838 Riccione Centro RN Tiratura: 2000 copie Finito di Stampare: dicembre 2004

Ytsejam Records Sono pronti altri quattro Official Bootlegs disponibili sul sito www. ytsejamrecords.com. Si tratta di tre CD ed un DVD. Il DVD è intitolato “When Dream and Day Reunite” ed è la testimonianza filmata del concerto tenutosi a Los Angeles il 6 marzo 2004 in cui i Dream Theater suonarono per intero il loro primo album con ospiti d’eccezione quali Charlie Dominici e Derek Sherinian. Il DVD ha anche dei contenuti speciali tra cui un filmato di 70 minuti del periodo e dei concerti di quell’album tra il 1988 ed il 1989.

Italian Dreamers Staff: Simone Fabbri Marco Petrini Collaboratori: Ivan Iapichella Emiliano Maiello Stefano Tappari Antonio Vescio Marco Termine Francesco Ferrari Web Master: Francesco Castaldo Sede Legale ed Iscrizioni: Italian Dreamers Casella Postale 161 47838 Riccione Centro RN Internet Home Page: www.italiandreamers.net Photo Credits: Italian Dreamers Staff Mike Portnoy Alicyn Leigh Marc Villalonga Live at Budokan DVD Patrizia Cogliati Michael Bitter Francesco Ferrari Stampa: Tipolito Tuttostampa Rimini . Tel. 0541.23393

Uno dei tre CD ricalca in audio il DVD mentre gli altri due sono: The Number of the Beast Il concerto del 24 ottobre 2002 a Parigi in cui la band omaggiò gli Iron Maiden Images and Words Demos 1989-1991 (Doppio CD) Una chicca imperdibile che mostra la strada seguita dal gruppo fino alla registrazione del loro album più famoso. Sono incluse anche le audizioni per il cantante che la band organizzò per poi scegliere James LaBrie. John Petrucci Non si hanno ancora notizie certe sull’album solista di John Petrucci “Suspended Animation”, da sue dichiarazioni l’album è pronto e vedrà la luce durante il 2005, nel frattempo ecco la copertina e la lista dei brani: 1 Jaws of Life 2 Glasgow Kiss 3 Tunnel Vision 4 Wishful Thinking 5 Damage Control 6 Curve 7 Lost Without You 8 Animate-Inanimate Frameshift 2 Il 1° marzo 2005 vedra la luce il proseguimento del progetto Frameshift che vide James LaBrie protagonista nel primo capitolo. “An Absence of Empathy” è il nome del disco che vedrà alla voce l’ex cantante degli Skid Row Sebastian Bach. Tutta la musica è stata composta e suonata da Henning Pauly eccetto la batteria suonata da suo fratello Eddie. Il disco uscira per la ProgRock Records. www.wmdholdings.


Portnoy Archives: Mike Portnoy - Live at Budokan! Un altro DVD dagli archivi di Mike Portnoy è pronto, si intitola “Mike Portnoy - Live at Budokan”. Come potrete intuire si tratta delle riprese effettuate dietro la batteria di Mike durante il concerto del Budokan del 26 aprile 2004. Tre opzioni audio disponibili, tutta la band, solo batteria e commento audio dello stesso Mike. Il DVD contiente l’intero concerto tranne l’assolo di Jordan Rudess e si può ordinare esclusivamente sul sito www.mikeportnoy. com pagando con carta di credito, il formato è NTSC.

Jordan Rudess Jordan Rudess sarà presente al NAMM 2005 di Anaheim in California, tra le varie apparizioni terrà un concerto/sfida con Richard Devine. Jordan, inoltre, parteciperà il 20 aprile 2005 ad un concerto a Providence dal titolo “Bach to the Future”. Mike Portnoy Il 29 ottobre scorso Mike Portnoy ha sostituito solo per un concerto il batterista degli Overkill durante una serata all’Hard Rock Cafè di New York. Durante la serata che era dedicata alla festa di Halloween, un ospite VIP ha fatto visita al locale, si tratta di Mike Piazza, famoso ricevitore dei New York Mets, una delle due squadre di baseball di New York. Da sempre Piazza è un grandissimo fan del metal ed amico di Mike Portnoy. Mike Portnoy sarà alla batteria dei Fates Warning per la loro apparizione come headliners al HEADWAY FESTIVAL ad Amstelveen in Olanda il 3 aprile 2005. I Fates Warning hanno appena fatto uscire il loro nuovo album FWX e la loro apparizione in Olanda sarà la sola in Europa. James LaBrie Il terzo capitolo della saga “Mullmuzzler” cambia nome e diventa “James LaBrie Band”. Alle tastiere sempre Matt Guillory, batteria Mike Mangini, basso Bryan Beller mentre la novità alle chitarre è rappresentata da un ragazzo italiano: Marco Sfogli (www.marcosfogli.com). Il disco ancora non ha un nome, uscira nel 2005 sotto l’Inside Out. Dream Theater in Tour Un’ultim’ora giunta fresca fresca direttamente da Mike Portnoy pochi attimi prima di chiudere questa fanzine: i Dream Theater suoneranno l’11 giugno 2005 all’Arrow Rock Festival a Lichtenvoorde in Olanda. Mike ha detto che sarà una delle prime date del tour 2005/2006. Per tutte le curiosità e le eventuali altre date del tour vi rimandiamo al nostro sito che sarà costantemente aggiornato. www. italiandreamers.net.

Anno bisesto, anno funesto! Potete credere ai detti popolari oppure no, sta di fatto che, se per i primi undici mesi dell’anno le cose erano di una “normalità” relativa, quello che ci ha riservato dicembre è stato di una crudeltà disumana. La morte tragica di Dimebag, di “uno di noi”, come lo ha ricordato Mike ci ha colpiti dritto al cuore. Fans dei Pantera, dei Damageplan oppure no, la tragicità del fatto ed il modo in cui è stato consumato ha avuto e continuerà ad avere in futuro conseguenze su chi di musica metal, come tutti noi, vive, sogna, trae ispirazione e combatte. La gloria ed il successo sono effimeri, il ricordo della persona e della musica che ci ha regalato diventa il nostro modo di ringraziare e di non dimenticare. Un doveroso pensiero va anche a chi è stato colpito dalla terribile catastrofe del Sud-Est asiatico, troppo grande e troppo grave per non lasciare traccia dentro di noi. Solidarietà, aiuto nel trovare amici dispersi che erano laggiù (stanno tutti bene) ed una piccola donazione sono stati i doverosi impegni del Fan Club. Voltando completamente pagina, paradossalmente, il 2004 per i Dream Theater e per noi è stato un anno glorioso. I sei concerti italiani e l’uscita di un triplo CD e di un doppio DVD dal vivo, qualitativamente una spanna superiori ai loro antenati, hanno sottolineato lo stato di forma, di preparazione e di professionalità dei Dream Theater in ambito live. A volte sembrano domandarci: “Cosa volete di più?” Ed invece come nulla fosse, mentre scriviamo questo editoriale, sono di nuovo rinchiusi in studio per registrare il nuovo album. Giriamo la medaglia però, siamo fans ma con una testa sulle spalle e la voglia di proporre la nostra critica costruttiva. Giova all’artista, ovvero a colui che vive della propria creatività, tutta questa iperproduzione? Oltre ai DT pensate anche a tutte le collaborazioni, progetti personali, CD e DVD inerenti a loro usciti durante l’anno. Come tutti voi, ci auguriamo di venire clamorosamente contraddetti, ma intanto la discussione si fa interessante. Questo numero della fanzine, accompagnato da ben due CD (e per quest’anno fanno tre!) pone l’inizio di alcuni articoli che per la loro vastità verranno terminati in futuro. Official Bootlegs e storia delle chitarre di John Petrucci su tutti. Ci vediamo nel 2005, ventesimo anno di attività della band, un nuovo album e tanta, tanta strada da fare ancora insieme. Italian Dreamers Staff


Il 2004 è stato un anno molto dispendioso per le tasche di tutti voi. L’ultimo sforzo è stato fatto per avere questo live del tour di TOT. Vi sarete accorti che quando esce un nuovo lavoro non compaiono sulla fanzine le recensioni dirette dello staff del Fan Club. Ci piace approfondire bene lo studio sul materiale che abbiamo di fronte (speciale su SDOIT 2002) e scrivere la nostra versione di fretta, ci sembra sempre “troppo” superficiale. Anche questa volta, dunque, non pubblichiamo il nostro parere. Abbiamo lasciato la parola ad uno di voi. Ciò che compare qui di seguito ci è parsa la recensione più interessante tra tutte quelle arrivate in redazione; abbiamo solo corretto qualche piccola parte laddove certe notizie (come gli sbagli sulle copertine dei cd, etc) potevamo averle solo noi. Buona Lettura Parlare del nuovo disco e del nuovo dvd live dei Dream Theater, non è cosa facile. Parlare del nuovo cd/dvd live in una fanzine che viene letta da fan sfegatati dei Dream Theater è molto, molto difficile. Al momento in cui scrivo, il dvd è uscito da quasi due mesi; il cd addirittura più di un mese prima. Ciò vuol dire che di questi due nuovi lavori sapete già tutto! Li avrete già sentiti e/o visti molte volte e ve ne sarete già fatti una vostra precisa idea. Su YtseItalia, l’internet forum di questo fan club, il topic “Live at Budokan-Impressioni di ottobre” conta fino ad oggi ben 35 pagine di commenti. E come ogni lavoro dei Dream Theater, anche questo ha letteralmente spaccato in due la critica. E’ stato amato e odiato, criticato ed esaltato, con una passione che forse nessun altro loro album ha suscitato. Prince Faster, forse il più famoso dj rock in Italia, lo ha definito: “Monumentale, uno dei migliori dischi dell’anno”, mentre in un articolo apparso su RockLab a firma Samuele Boschelli, è stato scritto: “questo live vale quanto la quindicesima proiezione del Titanic ‘Hollywoodiano’ a cui ha dovuto assistere il vostro amico su amorose pressioni della fidanzata in preda ai bollori e ai pruriti derivati dalla visione del Di Caprio”. Da quì possiamo già riflettere

sul fatto che attorno al nostro gruppo preferito, le pressioni e le aspettative crescono anno dopo anno. E questo vale anche per i fan più affezionati che (pur supportando in ogni occasione e in modo quasi commovente la band), confidano e sperano (a volte anche con una certa apprensione), che ogni nuova uscita sappia far scoccare quella scintilla di magia che ci ha fatto innamorare del Teatro del Sogno. Questo perché, volenti o nolenti, giustamente o no, i Dream Theater sono considerati la più importante band progressive del mondo. E anche se in molti potranno obiettare sulla loro classificazione nell’etichetta “progressive”, resta il fatto che così i Dream Theater vengono

considerati. In ogni aspetto della vita, le gesta dei “migliori”, degli “esempi”, dei “campioni”, vengono sempre analizzate con la lente d’ingrandimento. E così, come succede ogni giorno con politici, attori o calciatori, anche ogni iniziativa dei Dream Theater suscita un’attenzione particolare, a volte esasperata. Ma il fatto che Live At Budokan sia uscito ormai da un bel po’ di tempo, ci consente di parlarne in modo più sereno e pacato, andando al di là delle considerazioni a caldo. Innanzitutto, la scaletta della serata è stata espressamente pensata dalla mente perversa di Mike Portnoy per completarsi con gli altri dvd. Andando a compilare una lista di tutte le canzoni live presenti nelle loro uscite video, ne viene fuori questo elenco (diviso per album):


W.D.A.D.U. A fortune in lies Ytse jam Only a Matter of Time IMAGES & WORDS Pull me under (2) Another day Take the time Surrounded Metropolis Under a glass moon Wait for sleep Learning to live (1e 1/2) AWAKE 6:00 Erotomania Voices (2) The silent man Puppies on acid (2) Lifting shadows off a dream A.C.O.S A change of seasons F.I.I. New millenium Peruvian skies Hollow years Burning my soul Just let me breath Anna Lee Trial of tears S.F.A.M. Regression Overture 1928 Strange deja vu Trought my words Fatal tragedy Beyond this life (2) Through her eyes Home The dance of eternity One last time The spirit carries on Finally free S.D.O.I.T. Disappear War inside my head The test that stumped them all Goodnight kiss Solitary shell TRAIN OF THOUGHT As I am This dying soul Endless sacrifice Stream of consciousness In the name of god

No album tracks To live forever (2) Cover my eyes Speak to me Instrumedley Con un quadro così chiaro e schematico, possiamo notare che le canzoni inserite nei dvd sono ben distribuite fra tutti gli album. Solo When Dream And Day Unite è stato comprensibilmente un po’ snobbato, in quanto rappresenta un disco considerato da tutti meno importante per comparire sopra un’uscita ufficiale ma, come potete ben vedere dalla pagina delle news è in previsione l’uscita di un Official Bootlegs DVD con il concerto di Los Angeles del marzo 2004 per il 15mo compleanno dell’album in questione: cosi anche i fan più esigenti saranno accontentati vedendo il primissimo album dei Dream Theater riportato sul palco dopo 15 anni con James LaBrie alla voce e un veloce cameo di Charlie Dominici. Anche se sicuramente avere avuto anche qualche immagine di tempi ormai lontani non sarebbe stata un’idea malvagia. Allo stesso modo si nota subito che mancano all’appello molti capolavori, come ad esempio: Lie, The Mirror, Scarred, Lines In The Sand, The Glass Prison e Blind Faith. Soprattutto Awake

riserva ancora molti gioiellini da riscoprire in sede live. Per quanto riguarda, invece, l’esecuzione delle canzoni in Live At Budokan, possiamo ascoltare una band veramente in gran spolvero. Anche i passaggi più ostici sono suonati in maniera esemplare e sono veramente pochissime le inesattezze che i più pignoli possono notare. Una nota di merito va a La Brie che, come tutti sappiamo, sta rivivendo una seconda giovinezza artistica (anche se nelle date italiane di Febbraio lo avevamo potuto ammirare in una forma ancora migliore). Molte le canzoni che dal vivo acquistano nuova linfa, come Disappear, Pull me Under, la rinata Only A Matter Of Time e in generale tutti i pezzi estratti da Train Of Thought. Il disco ci regala molti momenti veramente spettacolari e memorabili, ma alcuni meritano almeno una citazione: innanzitutto Beyond This Life arricchita dalla lunga jam dedicata al genio di Frank Zappa e poi la strepitosa nuova versione di Hollow Years e un’esecuzione da brividi della grandiosa Trial Of Tears. Vera chicca della serata è naturalmente l’Instrumedley, una sorta di folle greatest hits delle parti strumentali più belle dei Dream Theater, con l’aggiunta di due


vengono stampati e confezionati in una pressing plant negli states mentre quelli destinati al mercato europeo vengono stampati e confezionati in una pressing plant situata in germania) stampa i cd e le copertine commettendo un grossolano errore; quello che dovrebbe essere il logo Majesty in rilievo è un logo Majesty stampato in un colore giallognolo.

gioielli targati Liquid Tension Experiment. Una traccia che ha lasciato perplessi molti fan è l’assolo di Jordan Rudess. Non perché non sia bello, originale o suonato bene, ma solo perché ha “rubato spazio” ad alcune canzoni tagliate fuori da questo live. Tutto ciò considerando anche che in Live Scenes From New York, il buon Jordan ci aveva già regalato un gran bell’assolo e anche durante ogni tour dal 99 ad oggi raramente ha negato un suo “spot” al pubblico. Bene; arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere se Live At Budokan non abbia nessun difetto, se sia un live semplicemente perfetto in ogni suo aspetto. Purtroppo, almeno personalmente, non è così. Per farvi capire di cosa voglio parlare, facciamo un immaginario passo indietro di circa quattro mesi, e arriviamo alla prima metà di settembre. Tutti noi abbiamo ancora davanti agli occhi i tre concerti estivi, ma la nostra insaziabile voglia di Dream Theater, è già placata da una nuova notizia: l’uscita di un triplo cd/dvd live. Data prevista:

5 ottobre 2004. Su internet si comincia già a parlare dell’album, della scaletta, mentre dal Giappone arrivano racconti entusiasmanti da chi era presente alla serata. Insomma l’attesa cresce sempre di più, quando arriva la prima doccia fredda: l’album è stato posticipato al 18 ottobre. Beh, poco male, non saranno certo tredici giorni in più a fermarci! E così l’attesa ricomincia, il passaparola tra amici e sul forum si fa sempre più insistente. A questo punto incominciano a nascere alcune piccole, misteriose, incom-prensioni. Si vocifera che il triplo cd verrà venduto insieme al dvd, che ci sarà una versione speciale come “Live in Europe” dei Transatlantic, mentre ancora non si capisce se la versione europea sarà sottotitolata o no. Ed ecco che nasce la questione della copertina: il disco esce prima in America e con la copertina originale, ovvero quella con il logo Majesty in rilievo sulla copertina. Nel mentre la pressing plant europea (i cd destinati al mercato europeo

A questo punto succede il primo delirio; la band chiede che i cd “fallati” distribuiti in Europa vengano ritirati dal mercato ma, come sappiamo tutti (e Live Scenes from New York ne fa tristemente un’esempio) i negozianti non si pongono problemi e iniziano a vendere ugualmente le copie fallate addirittura invogliando i clienti e specificando che a breve arriveranno altre copie del triplo cd con una copertina diversa, la copertina “fallata” americana. (ed è qui l’errore: la copertina fallata è quella con il Majesty stampato in giallo !!!). Ovviamente il mercato non si ferma, le copie non vengono mai ritirate e piano piano arrivano anche sul mercato europeo quelle con la copertina originale: ecco perché nei negozi potete trovarle entrambe, poiché dopo la prima tranche di copie stampate dalla pressing plant in germania l’errore di stampa è stato corretto e si è tornati alla normalità. Quello che è stato un gran pasticcio però, è sembrata, ai più smaliziati, un’improvvisata strategia per incrementare le vendite. Ad altri invece sembra soltanto una furba mossa


per invogliare i collezionisti a comprare tutte e due le versioni soprattutto mal consigliati dai negozianti che, invece di dare chiare informazioni non hanno fatto altro che creare e alimentare il casino che tra l’altro non è stato l’unico !!! Torniamo un attimo indietro nel tempo, ripercorriamo i pochi giorni che mancano alla fatidica data, quando dalle pagine del sito Italian Dreamers arriva la notizia che il dvd europeo è stato posticipato a data non precisata, probabilmente fine novembre. A questo punto a più di una persona incominciano a girare un pochino gli‘“zebedei”, reazione comprensibile, e giustificata anche da un inspiegabile silenzio sul sito ufficiale della band; infatti ancora oggi l’ultima notizia presente riguardo Live At Budokak riporta il 18 ottobre come data di uscita mondiale. L’ira di molti viene placata finalmente dall’uscita del cd (con un altro piccolo ritardo). Arriviamo davanti al nostro negoziante di fiducia che apre lo scatolone dei nuovi arrivi e ci consegna finalmente la nostra copia. La osserviamo prima di scartarla e già notiamo una confezione non proprio esaltante: il solito cartone, la costina tutta appiattita, quella schifezza di logo arancione. L’eccitazione è troppa e strappiamo subito il cellophane per inserire i cd nel nostro portatile. Distruggiamo con le mani sudate l’odiata plastica, la buttiamo per terra in barba all’ecologia, apriamo la confezione già sognando un booklet di 24 pagine, eeeeeswish: uno dei cd magicamente vola via e casca di piatto sull’asfalto, mentre le vostre bestemmie fanno fare i

salti mortali ad una vecchietta che passava lì vicino! Alla fine riuscite a calmarvi e dopo aver raccolto il secondo cd che vi è cascato mentre raccoglievate il primo, incominciate ad osservare la confezione interna: di booklet manco a parlarne, nessuna nota scritta dai musicisti, nessuna foto interessante, nessun messaggio ai fans mentre giganteggia una

foto inguardabile, scura, dell’entrata del Budokan. Ma a noi puristi della musica la cosa che interessa non è la confezione (anche se paghiamo anche quella), ma ciò che contiene no? Non abbiamo mica bisogno di prodotti lussuosi come il dvd di Renato Zero? (la confezione più bella che abbia mai visto insieme al dvd di Peter Gabriel). E allora corriamo subito a casa, entriamo nella nostra cameretta ed inseriamo subito il cd nel nostro mega stereo. La band suona a mille, i ragazzi sono tutti in forma, le canzoni sono tutte magnifiche, l’Instrumedley ci fa avere ripetuti

orgasmi multipli ma? Ma chi ha l’orecchio un pochino più allenato incomincia a riscontrare qualche piccola pecca nel missaggio. Soprattutto riguardo la registrazione di La Brie, sorge qualche dubbio lecito. Nulla di trascendentale, per carità, l’album è veramente di altissima qualità, ma troppe cose, dai ritardi ai problemi di registrazione, hanno fatto storcere un

po’ il naso. Il tutto da un’idea di frettoloso, di prodotto poco curato, insomma di un’occasione persa per elevare il disco da “bellissimo” a “capolavoro”. Intanto il caos delle uscite differenziate manda molti fans in tilt: chi acquista erroneamente la versione americana del dvd venduta da non proprio “onestissimi” negozianti a circa il doppio del prezzo di listino e spacciata come versione “import” (il tutto per poterla vedere prima dell’uscita della relativa versione europea); se non fosse per il fatto che essendo Region 1 è visibile solo a chi dispone di dvd multi regione oppure sui


computer. Nel mentre c’è ancora chi è alla disperata ricerca della “versione limitata” del triplo cd con il logo bianco. Queste sgradevoli sensazioni vengono accentuate dall’uscita del dvd europeo, ma non perché anche questo presenti qualche sbavatura, ma proprio per l’esatto contrario! Qui tutto sembra veramente perfetto! Inseriamo il dvd e notiamo subito i menù ben curati. Spingiamo play sul telecomando e nel silenzio assoluto scorrono delle belle panoramiche sul Budokan, sul compostissimo pubblico, mentre in sovraimpressione appaiono i nomi degli attori principali. Tutto dà la bellissima sensazione di stare per vedere un grande film al cinema. Poi si spengono le luci, sale il boato del pubblico e inizia la magia. Immagini bellissime, inquadrature originali e spettacolari, dettagli precisissimi, luci perfette, montaggio veloce e preciso, una regia impeccabile! Il dvd scorre via che è una meraviglia e rende giustizia ai grandi mezzi tecnici che i Dream Theater hanno messo in campo in questo tour. A livello visivo i megaschermi svolgono il ruolo principale con immagini bellissime e dettagli in diretta veramente spettacolari. Il tutto si completa alla perfezione con la musica. Anche le luci sono azzeccatissime con fari piazzati anche su tutti gli spalti. Le riprese sono molto professionali e si nota subito che sono fatte da uno staff specializzato nella registra-zione di eventi live.

Ogni inquadratura ci svela un particolare, con punti di vista molto originali che giocano frequentemente sulle diverse profondità di campo. Il lavoro di Yuji Morihara, regista del dvd, è impeccabile e soprattutto lo staff operativo del Budokan non ha disatteso i puristi del genere che già avevano potuto vedere i collaboratori di Morihara all’opera per le riprese del DVD di Ozzy Osbourne. Finito il primo disco, inseriamo il secondo e neanche questo ci

ormai vietati anche ai Fan Club dall’avvento di SDOIT.

delude. Il documentario è veramente ben fatto, gli speciali di Jordan e John ci fanno entrare nel loro mondo fatto di musica, chitarre, tastiere e di un sacco di aggeggi diabolici. La curiosità del fan è tanta e credo che i filmati contenuti in questo documentario riescano in parte a districare la matassa del sapere cosa si “cela” prima e dopo le tre ore e mezza del concerto. Vediamo come sono andate le date prima del Budokan ed addirittura entriamo a far parte dei “segretissimi” soundcheck,

più. Vederli emozionati prima di salire sul palco, mentre continuano a ripetere “è uno show come tutti gli altri”; ci fa capire quanto amino la musica e quante sensazioni stupende provino suonando dal vivo.

Possiamo ammirare ancora come la band crei e discuta passaggi direttamente “on stage”. Un John Myung stranamente locuace ci spiega anche come cambiano le abitudini e gli orari di “lavoro” della band ora che i concerti sono lunghissimi e non hanno una band d’apertura. Vedere con quanta cura i Dream Theater preparano ogni show ce li fa amare ancora di

Possiamo anche trarre una piccola ma considerevole conclusione di cosa vuol dire essere “professionista”. I Dream Theater entrano nel luogo del concerto intorno alle 16 ed iniziano il soundcheck mezzora piu’ tardi, il tutto dura un paio


d’ore quando alle 18.30 teoricamente le porte vengono aperte per fare affluire il pubblico, il concerto inizia alle 20.30 per terminate a mezzanotte. In totale 8 ore direttamente sul posto di cui tre e mezzo passate sul palco. Questo il piatto principale ma considerate anche che il Jet Lag può uccidere un toro ( e nel documentario si vede), che una volta finito il concerto non dormite in un caldo letto ma in una cuccetta di un Tour Bus in movimento e che magari il mattino seguente, arrivati in città per un nuovo concerto, dovrete anche presenziare ad una conferenza stampa o fare un clinic del vostro strumento intorno all’ora di pranzo. Il secondo dvd è completato alla perfezione dal video di apertura del tour e dalla versione in multiangolo dell’Instrumedley, con la quale possiamo sbavare su ognuno dei cinque musicisti. Forse solo l’assolo di Mike ad Osaka non è proprio il massimo, anche per la scelta di due giapponesi imbalsamati per duettare con lui sul palco.

Insomma il DVD di Live At Budokan è veramente una bomba, tutto è curatissimo e...magia delle magie: anche l’audio è migliore! Ma come, non dovrebbe essere lo stesso del cd? Certo, ma purtroppo cosi non è, infatti per il DVD si è scelto un mix differente dal cd e soprattutto il tutto potenziato dall’audio 5:1 che cambia veramente il modo di ascoltare il concerto davanti al TV se dotati di un buon impianto Home Theater. Piccola curiosità: il motivo dello slittamento del dvd europeo è alla base di un altro grande errore di pressing plant, la stampa del dvd in formato europeo è stata bloccata pochi giorni prima della data prevista di uscita a causa di un grave errore di mix dell’audio nella versione 5:1. Infatti poco dopo l’inizio dell’esecuzione di New Millennium, improvvisamente, i canali del 5.1 si girano e le frequenze adatte al subwoofer si vanno a posizionare sull’altoparlante di destra, rendendo qualitativamente inascoltabile tutto il resto del concerto. Nessuno se ne è accorto perché il dvd fatto vedere alla festa di Reggio Emilia è stato “tagliato” dopo Hollow Years

ma, le pochissime copie promozionali arrivate ai vari fan club europei, recavano tale errore. Un’altra piccola chicca da collezione però questa volta veramente introvabile!!! Alcune note e alcune meno note svelate in questo articolo ma, resta il fatto che queste sono comunque piccole pecche che stridono con la straordinaria qualità del concerto, e con la grande occasione di suonare nello storico Budokan. Comunque, alla fine della degustazione del nuovo live dei Dream Theater, possiamo comunque essere molto soddisfatti. E con un bel sorriso da orecchio a orecchio, riponiamo questa nuova bellissima uscita nel nostro porta cd, dove conserviamo con gelosia tutti i capolavori della nostra band preferita. Ma...cosa succede? Il cd non entra! Sto schifo di confezione è pure troppo larga!!! AAARRRGGGH! Marco Termine


La dipartita (così l’ho sempre considerata) di Derek Sherinian dai Dream Theater è stato un grande trauma per il sottoscritto. L’amicizia che mi legava e che mi lega tuttora con il tastierista di Los Angeles è sempre stata simbolo di grande stima reciproca e grande collaborazione. Non sono qui per dichiarare se i Dream Theater con Derek erano migliori o peggiori di quelli attuali; andremmo a parare nell’infinito discorso che ormai è stato bannato dal 99% delle internet board inerenti la band americana: “Kevin, Derek o Jordan?”. Ho sempre reputato queste diatribe piccolezze, infantili ed inutili. Sono qui, invece, per portare tutti voi, anche solo per i prossimi 15 minuti, un po’ più all’interno della vita di una persona che è riuscita a fare della musica la sua vita e che è sempre stata in grado di rimettersi in gioco anche davanti alle difficoltà. La biografia di Derek la conoscete tutti, la potete trovare sul nostro sito ma, non tutti sapete che personaggio è il Sig. Sherinian e soprattutto non tutti conoscete il suo amore per l’Italia e per gli italiani. Il tour del Planet X nasce quasi per caso; Virgil Donati, italiano a metà visita spesso la nostra penisola, sia per via dei suoi clinic che per via di un amico speciale: Paolo che, oltre ad essere amico di Virgil, è anche il batterista dei Ciao Rino (cover band di Rino Gaetano), turnista con altre formazioni ed anche organizzatore di diverse manifestazioni Live nella capitale e non solo. E’

proprio Paolo, in primis, colui che si è preso la briga di portare gli extraterrestri del decimo pianeta a calcare il palco in terra italiana viste le sue amicizie con i gestori di alcuni locali sulla penisola. Mentre Virgil e Paolo pianificano l’imminente mini tour italiano, il sottoscritto viene contattato da Derek: ed è proprio con una mail che Mr. Sherinian mi avvisa del progetto “Italia” colocato dopo alcuni concerti in Polonia. Immediatamente vengo catapultato nel mezzo dell’organizzazione e messo in diretto contatto con Virgil e di riflesso con Paolo. Morale della favola: la macchina organizzativa dell’Italian Dreamers riparte per una nuova impresa, questa volta con Paolo e a maggior ragione perché avevamo già collaborato insieme durante il famoso clinic romano di Mike

Portnoy all’Alpheus. Tutto più facile no? Magari Due date sono già fissate: Roma e Taranto; finalmente un po’ di buona musica al sud ma a noi non basta, vogliamo a tutti i costi il Planet X al nord, precisamente a Milano e con non poche difficoltà e qualche buona conoscenza riusciamo a mettere a segno il colpaccio di fare suonare Virgil Donati ed i suoi amici alieni al Transilvania Live del capoluogo lombardo aiutati e coadiuvati dal sempre presente Stefano Tappari & Friends che ci fanno da tramiti e mediatori e ci danno anche un ottimo supporto logistico. Tutto ciò che è successo tra i primi di Settembre e la fine di Ottobre non sarebbe raccontabile


in poche pagine di fanzine ma basterebbe guardare i “dettagli chiamate” dei nostri telefonini per poter almeno intuire la vasta matassa di telefonate che si sono intrecciate da ogni parte d’Italia per riuscire a definire tutti i dettagli. La vera storia inizia il 27 Ottobre, sono circa le 12.30 e squilla il mio telefono: “Hey bro!” è Derek che è mi chiama appena sbarcato all’aeroporto della capitale. Il tempo di raccogliere gli altri, i bagagli e il furgoncino guidato da Paolo parte con destinazione Taranto. Ci è sembrato un bel traguardo quello di portare della buona musica al sud (laddove sarà sempre più difficile portare i Dream Theater) e nonostante alcuni problemi logistici (il biglietto costava il doppio degli altri concerti) il pubblico presente pare abbia apprezzato questa novità. Nessuno dello staff riesce a recarsi in Puglia ma alcuni dei ‘nostri’, sguinzagliati allo show, hanno raccontato la loro esperienza sulla nostra board già la notte appena tornati dall’esibizione ed il tutto promette molto bene per coloro in attesa dei rimanenti due concerti: una band molto in forma, nonostante la mancanza di Tony McAlpine e l’inserimento dell’ennesimo nuovo bassista ma, soprattutto un Derek e soci con tanto entusiasmo e voglia di incontrare tutti i fans a fine del concerto. Il giorno dopo tocca a Roma, il Fan Club è presente ed è anche tempo per il primo clinic pre-concerto di Virgil Donati che stupisce il pubblico con i suoi ritmi da extraterrestre. Il concerto romano scorre senza problemi e l’audience romana ha anche l’opportunità di incontrare tutta la band che si ferma in mezzo alla folla subito dopo il concerto è il delirio ma non posso negare che questa piccola forma di “protagonismo” piace a Derek, il quale non nega autografi e foto a nessuno.

Arriva Venerdì 29, ore 17.30, stazione centrale di Milano; due macchine ferme fuori aspettano c’è chi arriva e c’è chi riparte dopo l’intenso concerto dei Nightwish della sera prima. Il sottoscritto tocca il suolo milanese poco prima dell’arrivo di Derek, Rufus e T.J. (per Virgil il viaggio è in furgone con l’inseparabile Paolo). I tre hanno preferito il treno ad un passaggio in macchina e la scena a cui hanno assistito i pochi presenti è la scena di due amici che si rivedono dopo 2 anni: abbracci e strette di mano e poi dritti verso l’hotel per il meritato riposo. Derek è in forma smagliante e i due nuovi elementi della band si confermano immediatamente persone simpatiche dentro la giungla del traffico milanese non è poco il tempo che impieghiamo per accompagnare tutti all’hotel ed è già ora di recarsi a Lucky Music per il clinic di Virgil. I messaggi che ci arrivano dai due “furgonati” sono poco rincuoranti; ingenti problemi tecnici e traffico hanno notevolmente rallentato il viaggio di Paolo e Virgil ma il clinic si deve fare e Lucky Music decide di fare slittare l’evento di un’ora. Il sottoscritto e alcuni amici decidono quindi di recarsi in una pizzeria vicina a mangiare un boccone con un altro amicone: tal Roberto Gualdi (non Gualdo! Batterista di PFM, Dalla, Pelù e chi più ne ha più ne metta) che non vuole certo mancare ad un clinic che sicuramente si prospetta di alto interesse viste le capacità tecniche di colui che si siederà in cattedra. Roberto diventerà relatore per il fan club analizzando, nei prossimi mesi (dipendentemente dai suoi impegni), i vari dvd didattici di Mike Portnoy da un punto di

vista prettamente tecnico e tutto ciò avrà degno spazio nelle prossime fanzine. Sono le 22.00 e Virgil è arrivato da poco, maglietta sudata, stanco morto ma pronto a montarsi la “sua” batteria fatta arrivare direttamente dal produttore in Italia per questi concerti e clinic. Pochi minuti e un applauso accoglie l’alieno che assomiglia in maniera terrificante al Depp di “Edward mani di forbice”. Ma le sue mani, le braccia e soprattutto i piedi non sono sicuramente umani. Virgil spiega per tutto il clinic con un italiano apprezzabilissimo disturbato soltanto da una piccola “zeppola” sullo stile Paperino che però ci diverte tantissimo. Le facce che si vedono al clinic sono un misto tra incuriosito e sconvolto, segno che l’idea del clinic ha funzionato appieno e gli appunti in italiano consegnati da Virgil a tutti i presenti sono proprio come la ciliegina sulla torta. E’, finalmente il 30 Ottobre. Pomeriggio presto in un hotel non troppo lontano dal centro. Derek sta aspettando Igor Italiani di Metal Force per un’intervista


faccia a faccia mentre gli altri della band decidono di farsi un giro in piazza Duomo. L’amicizia che ci lega con Igor ormai è di lunga data: dai primi tempi della dipartita di Derek dai Dream ai tempi in cui Derek chiamava Igor per interviste telefoniche dalla sua Leopard Room di Los Angeles. Ricordo ancora di aver fatto delle foto alla stessa Leopard in occasione di una giornata a casa di Derek, apposta per Igor che non si immaginava mai come fosse stato lo studio di registrazione personale di Derek. Igor arriva pimpantissimo nonostante il suo viaggio PesaroMilano e ci accomodiamo tutti su un divano per dare spazio alle domande dell’intervistato-

subito di te. Wow, grazie Derek, sono molto onorato. Bene, comunque procediamo pure con l’intervista. La prima domanda che ti volevo fare è sapere come sono andate queste date abbastanza particolari in giro per l’Europa con i tuoi Planet X. Sei stato sia in Polonia che nel profondo sud dell’Italia, a Taranto, posti dove è raro assistere a show come il vostro. Oh, gli show sono andati benone e ne sono molto felice. In Polonia abbiamo avuto dai 500 agli 800 spettatori per data, e la cosa ci ha colpito molto. E’ bello vedere che, grazie ai collezionisti, al web ed a tante altre cose il no-

disco dei Planet X non appena torniamo a casa. Anzi, a dir la verità ci sono già un paio di canzoni pronte, ma vedrai che affineremo anche quelle. Comunque, penso che nella seconda parte del 2005 saremo in grado di partorire il seguito di “Moon babies”, e sarà sempre su Inside Out. Ottimo Derek, non vedo l’ora. Per il momento torniamo al concerto. Oggi ci saranno due nuovi abitanti del Pianeta X: T.J. Helmerich e Rufus Philpot. Ce li puoi presentare? Si, con molto piacere. Allora, T.J. innanzitutto è una sorta di sostituto per questo tour, è un ragazzo che proviene da Chicago ed è molto apprezzato nel circuito underground dei chitarristi virtuosi. Rufus, invece, è inglese, ha suonato con una miriade di stelle e può darsi che farà parte dei Planet X anche per il prossimo disco. Ma allora chi prenderà il posto di T.J.? Hai già in mente un nuovo chitarrista? In queste settimane stiamo prendendo contatto con un paio di nomi, ma ancora non c’è niente di certo sulla carta. Potrebbe esserci anche il ritorno di Tony (MacAlpine), perché comunque è uno dei pochi chitarristi in grado di eseguire una marea di stili diversi.

re. Quella che segue è parte dell’intervista di Igor apparsa anche su Metal Force; abbiamo preferito lasciare le domande più interessanti e dare spazio al racconto del pomeriggio passato da Igor insieme a Derek quando il sottoscritto ha dovuto interrompere l’incontro pomeridiano per altri impegni. Intervista di Igor Italiani Ciao Derek, come stai? Tutto bene? Ciao Igor, si grazie. E tu? Sono davvero felice di conoscerti di persona, quando mi hanno passato i nominativi degli intervistatori mi sono ricordato

stro ‘verbo’ si sia sparso anche in posti apparentemente lontani da raggiungere. E poi Taranto wow, grande concerto. Il bello è che eravamo in questo piccolo club e la gente era praticamente a ridosso del palcoscenico. Sembrava quasi di stare in un piccolo Colosseo hahaha, grandioso. Ho amato sin da subito l’atmosfera molto intima del posto. Parlando di album, ora, sta per uscire il tuo nuovo disco solista. Però sei in tour coi Planet XÉquindi quando vedrà la luce il seguito di “Moon babies”? Dunque, io e Virgil cominceremo a scrivere i brani per il nuovo

Quindi il prossimo line-up potrebbe essere di nuovo con Tony e con Rufus. Guarda, non voglio sbilanciarmi perché sono solo ipotesi, ma l’intenzione che ho è di fare in modo che sia Allan Holdsworth a suonare sul prossimo album dei Planet X. Lui ancora non lo sa, ma appena leggerà quest’intervista vedrai che capirà attentamente le mie intenzioni hahaha! Wow, Derek, questa è una notizia bomba! Infatti stavo proprio per chiederti come è stato lavorare con Allan, visto che lui ha fatto da ospite sul tuo nuovo “Mythology”. Fantastico, semplicemente fantastico. Ho suonato con un


numero imprecisato di grandi musicisti, ma con lui è come salire su di un livello ancora superiore. Ha talmente tanta di quella classe ho cominciato a ‘corteggiarlo’ quando è venuto a pranzo da me. Abbiamo parlato di musica, dopodiché gli ho passato i master CD di “Mythology”, soprattutto perché lui ha i suoi studi privati e preferisce registrare da solo. Gli ho dato totalmente carta bianca poteva suonare quello che voleva, tanto sapevo che sarebbe venuto fuori comunque qualcosa di spettacolare. Infatti, una settimana dopo ricevo questa sua telefonata sulla segreteria telefonica e sento che, dopo aver detto di trovare i brani molto belli, mi risuona il tutto con inclusi i suoi interventi beh, la mia prima reazione è stata: “Oh mio Dio, ma queste cose son fantastiche!”. Il bello è che lui, molto umilmente, si stava pure domandando se avesse fatto un buon lavoro! Pazzesco. Eheheh, immagino Derek. Ad ogni modo, pur se hai agguantato anche il mitico Allan sul tuo ultimo disco, c’è qualche altro famosissimo musicista con cui vorresti incidere ma che ancora ti sfugge? Si, ce ne sono due in maniera particolare. Uno è Edward Van Halen e l’altro è Jeff Beck. Ma prima o poi riuscirò ad avere anche loro. Chissà, magari addirittura nello stesso pezzo! E’ solo questione di tempo. Ora Derek volevo per un attimo cambiare argomentoÉtu sei stato produttore e ospite anche nel debutto degli All Too Human, un gruppo che in Italia è uscito solo da poco. Cosa ricordi di quella esperienza? Oh, sai che è davvero una cosa che risale a un po’ di tempo fa? Mi ricordo che la band era composta da ottimi musicisti e che erano tutte persone gentilis-

sime. La musica non era affatto male, ed io ho avuto piacere a fare da ospite all’interno del disco. Chissà, magari in futuro questa è un’esperienza che mi piacerebbe ripetere, visto che comunque sono stato ospite già su un sacco di altri lavori. Pensa che l’ultimo al quale ho partecipato è un live giapponese per i Blue Murder di John Sykes, un altro di quei musicisti davvero fenomenali (concordo! N.d.A.). Intanto auguro tutto il meglio agli All Too Human. OK, ora direi che è il momento di passare alle ‘vere’ domande da Derek Sherinian come sta la Leopard Room? Oh, la Leopard Room è morta (l’ha proprio detto in italiano, sigh! N.d.A.). Da un po’ di tempo è entrata a far parte della leggenda, visto che ho cambiato casa e quindi sono cambiati di conseguenza anche gli studios all’interno. Infatti “Mythology” è il primo disco che è stato registrato in questi nuovi studios. Se poi ti interessa saperlo, la nuova casa non è più ad Hollywood Hills ma a Burbank, vicino alla Warner Bros. Ma le lava lamps, quelle ce le hai ancora in tour? No, le ho usate solo per il tour di “Falling into infinity” (ma allora mi vuoi proprio vedere morto, doppio sigh. N.d.A.). Sai, quan-

do sono entrato a far parte dei Dream Theater ho preso una decisione. Il primo periodo sarei rimasto calmo e tranquillo al mio posto, visto che mi conoscevano in pochi, dopodiché appena ho saputo che si andava in tour ho deciso di concedermi un po’ di bizzarrie, visto che immaginavo un certo ritorno di immagine grazie a queste ‘pazzie’. Infatti, guardando indietro nel tempo, alcune delle foto che ho di quegli anni sono un poco ridicole, però hanno fatto in modo di tenere vivo l’interesse verso di me. Ad ogni modo è molto interessante notare come dopo la fuori uscita dai Dream Theater la tua figura sia diventata molto più rispettata dai fan del prog. Si, mi fa molto piacere questa cosa. Sai, fin da bambino ascoltavo la musica in una determinata maniera. Mi immaginavo di poter suonare con quelli che erano i miei idoli, ovvero Allan Holdsworth, Al Di Meola, Simon Phillips, Steve Lukather beh, dopo un po’ di anni eccomi qua, sono riuscito a realizzare molti dei miei sogni e ne sono contentissimo. Quello che senti ora è il vero Derek Sherinian, mentre nei Dream si doveva (per forza di cose) scendere sempre a compromessi. Sai, io volevo essere come uno chef, che prende i migliori ingredienti per fare la miglior musica possibile. Insomma, per i legato Allan, per i riff heavy Zakk, per la chitarra classica Al Di Meola mischiare tutte le componenti e fonderle in qualcosa di unico e di valore. Beh, ottimo proposito Derek ecco, parlando proprio di Zakk, com’è il tuo rapporto con lui? A me sembrate proprio fatti l’uno per l’altro! Si, Zakk è clamoroso. Per me è l’unico vero guitar hero americano rimasto! Quando viene a casa mia di solito sta 3 giorni questa volta è rimasto per 5 perché ha


ricevuto della birra extra hahaha! Sai, è sempre molto contento di suonare con me, perché nei miei solo album è in grado di fare cose che di solito non esplora con i suoi Black Label Society o con Ozzy. Direi che è proprio tutto Derek. Hai qualcosa da aggiungere prima di chiudere la bella chiacchierata? Si, che ringrazio te per il continuo supporto, anche col bellissimo volantino che mi hai mandato di recente, come tutti i fan italiani dei Planet X. Speriamo davvero di poter tornare qui da voi l’anno prossimo, magari col tour relativo al mio album solista. Per fare questo, però, è necessario trovare un chitarrista che sia in grado di replicare bene tutti gli stili diversi che compaiono su dischi come “Mythology”, e ho paura che a parte Tony la ricerca sia molto ardua. Ad ogni modo vedremo di fare il possibile. Ciao e alla prossima. Resoconto di un pomeriggio con Derek (Petrus - Igor Italiani) L’intervista finisce e si decide di puntare su di una paninoteca davanti all’hotel per mangiare qualcosa, visto che sono quasi le 15.00. Entriamo nel locale in questione e di certo non veniamo accolti con cortesia, forse per l’orario, forse per le nostre facce strane.

Derek indossa l’inseparabile giubbotto di pelle nero e sotto solo una maglietta della salute scura, chiaro segno che in questi anni ha dedicato tanto tempo alla cultura del suo fisico oltre che alla musica. “She needs a man, guys a real MAN!!!” sono le parole che Derek spara a zero rivolgendosi alla cameriera che non ci nega un comportamento piuttosto ‘acidello’. I discorsi sulle donne italiane sono i primi a farsi spazio tra i panini ed il vino ma, Derek in poco tempo si sente a suo agio anche con Igor e iniziano i discorsi ‘interessanti’, quelli più intimi: si parla di Dream Theater e scopro con notevole sorpresa che non ha ancora ascoltato una sola nota del nuovo album “Train of Thought”. Si parla del suo rapporto con Jordan Rudess (una grande amicizia professionale che mai e poi mai smentirò e di cui anche Jordan ha parlato durante la festa del decennale del Fan Club a San Marino) e velocemente si tira in ballo anche Kevin Moore ed i suoi ‘originali’ viaggi (Costa Rica e Turchia) per parlare, poi, di tutti i vari progetti paralleli a cui Derek ha partecipato. (ma non erano discorsi bannati da ogni board???!!!) Si parla dello strano carattere di Malmsteen e della loro reciproca collaborazione su disco ed in ambito live. Si arriva fino a quel fenomeno di Zakk Wilde e io riesco a strappare a Derek un altro invito nella sua

nuova dimora di L.A. per una birra con lui e con Zakk visto che ora sono vicini di casa. Il discorso più bello è stato quello del pre-SFAM; forse non tutti sanno ancora che il primo demo di tale album è stato composto nel 1996 quando Derek era ancora membro dei Dream. Purtroppo i rapporti con la label non erano idilliaci e la band dovette subire le influenze di etichetta e di mercato e sfornare “Falling into infinity”, mentre il ‘famoso’ demo rimase nei cassetti di Mike fino al 1999 e venne tirato fuori proprio dentro al Bear Track studios durante le registrazioni di “Scenes from a Memory”. Nessuno ha avuto modo di ascoltare quel demo strumentale di circa 40 minuti (solo qualche scorcio è comparso su internet per un breve periodo di tempo) ma posso pienamente confermare che buona parte di quel disco è stata presa da quel demo. Morale: sul booklet di “Scenes” non c’è nessun ringraziamento a Derek Sherinian! Mi fermo qui, anche se è bello notare come sulla misteriosa vicenda Derek ci scherzi su senza troppi rancori ma si nota palesemente che la vecchia amicizia che lo legava a Mike e i due John sia solo un lontano ricordo fatto di risate, scherzi, lava lamp sul palco e Nightmare Cinema. Si fa tardi ed il sottoscritto ha un altro impegno pre-concerto; vista l’armonia creatasi lascio Igor in balia di Derek il quale vuole fare una piccola camminata ‘digestiva’ per le vie adiacenti l’hotel la parola ad Igor. “I’m looking for inspiration”! Questa replica, offerta ad una commessa disperata in un negozio di vestiti, direi che racchiude perfettamente tutto l’estro e la goliardia di quel ‘personaggio’ che risponde al nome di Derek Sherinian, col quale ho avuto l’onore di passare un’oretta in giro per le strade di Milano, subito prima del suo concerto al Transilvania Live. Era la prima e forse sarà l’ultima volta che mi capita di passeggiare beatamente con uno dei miei


musicisti preferiti, ma quello che ho cercato di carpire, senza essere troppo invadente, è stato che cosa si cela dietro alla figura del mirabolante musicista statunitense. Dunque, anche se un’ora è pur sempre una ‘misera’ ora, mi è parso che Derek sia una persona fantastica, che innanzitutto ha grosso piacere nel sapere come la sua musica sia tuttora molto apprezzata, anche se sono ormai lontani gli anni come quinto membro dei Dream. E poi le battute, i divertentissimi aneddoti sul passato, l’imperdibile scena (molto in stile Renato Pozzetto) alla cassa del pub di cui sopra, dove Derek tira fuori il malloppo di soldi tenuto maldestramente nella tasca dei jeans per pagare, lo shopping/non shopping (memorabile dieci negozi visitati in cerca delle cose più disparate, con un paio di forbicine da unghie come bottino finale!), lo scoprire una sua vena salutista (vino con la giusta moderazione, assolutamente niente fumo) insomma, tante piccole cose che ne fanno (di primo acchito) una persona davvero socievole ed oltremodo simpatica. Che poi il buon Derek sappia anche suonare le tastiere in maniera a dir poco unica beh, questa è un’altra storia, non trovate? Ad ogni modo la mia ‘gloriosa’ passeggiata termina nella hall dell’albergo, anche perché di li a poco Derek riceve la compagnia della sua fidanzata, la classica bionda mozzafiato che tante volte ci si immagina nei telefilm a stelle e strisce, appena arrivata da Los Angeles in tempo per guardarsi l’ultimo concerto del Planet X e volare in Sicilia per una set-

timana di vacanza con Derek. A me non rimane che salutare il funambolico tastierista, dandogli appuntamento a qualche ora più avanti sotto al palco, in attesa di uno show di certo memorabile. Concerto Planet X – Milano (Igor Italiani) Terza ed ultima data in suolo italico, anche a Milano il Pianeta X ha finalmente dischiuso tutti i suoi cangianti paesaggi sonori di fronte ad un audience abbastanza numerosa (circa 200/300 persone) e sempre attenta ai funambolismi dei 4 abitanti di questo mondo. Un’ora e mezza di tecnicismi, atmosfere volutamente ‘malate’, che però non hanno lesinato (quasi) mai un certo gusto anche per la melodia ricercata e per l’entertainment. D’altronde, quando sul palco si hanno dei padroni indiscussi dello strumento, è difficile che si possa tornare a casa a bocca asciutta. E tra qualche breve accenno alla carriera solistica, una veloce puntatina sul passato da ‘sognatore’: Derek ha ripreso la ben nota intro di “Lines in the sand”, rendendola più acida che mai. (ed è inutile dirlo ma, quel riff suonato in quel modo, ha la sua vera personalità, che dal lontano 1998 non è mai più stata ricreata per tale esecuzione N.d.Petrus!) Non mancano numerosi episodi di‘“Moon babies” e “Universe” e c’è stato anche modo di ammirare l’attesissimo assolo (da parte mia, ma credo di tanti altri) di Mr. Virgil Donati, che ha mostrato ancora una volta cosa voglia dire suonare la batteria in maniera ‘disumana’. Tutto ciò senza togliere nulla né a T.J. Helmerich (maestro nel tapping ad 8 dita),

chiamato a sostituire alla sei corde il funambolico MacAlpine con una prova più che dignitosa, né a Rufus Philpot, in possesso di una velocità supersonica sul basso. A chiudere il tutto, ovviamente, il buon Derek ed il suo mini-rig di tastiere, grazie alle quali ha estasiato tutti con il suo inimitabile trademark sonoro. Ora non rimane che sperare in una nuova esplorazione di questo particolarissimo universo di nuovo nel 2005, come promessoci dallo stesso statunitense. Thanks Un ringraziamento particolare a Derek (che ha donato il suo cavalletto da funambolo al tastierista degli Astra, riconoscendo la bravura impeccabile della nostra tribute band ufficiale), a Virgil per la sua pazienza e disponibilità, Rufus e T.J. per gli aneddoti e le risate, Paolo per il suo “ah raga, semo in ritardo!”. Ma anche tutto lo staff di Black Dahlia, del Transilvania, del Pianeta Birra, dell’Go West Saloon. Grazie infinite a Stefano Tappari e tutti i suoi amici per l’immenso aiuto con la data di Milano e grazie a tutti voi che siete venuti ai concerti per aver creduto nella buona musica proposta dal Planet X. Concorsino: Quale è l’artista inglese di nascita ma che vive a Los Angeles che ha voluto Derek alle tastiere per il suo “Kiss the Scull” tour 2002 e per i tour successivi ? Tra tutti coloro che indovineranno ci sono 4 copie promozionali di “Mythology” autografate offerte gentilmente dall’Inside Out/AudioGlobe Italia.


Mi è stato affidato un compito arduo e sono qui per provare a svolgerlo nella migliore maniera possibile; già dal titolo qui sopra capite di cosa parlerò: delle chitarre che John Petrucci ha usato attraverso gli anni, a partire da quando effettivamente firmò il suo primo contratto di endorsement (sponsorizzazione) fino ad arrivare ad oggi. Diciamo che questo può essere il compimento di quello che Roberto Sanna scrisse tanti anni fa nella mitica Fanzine n°1! Dividerò questo articolo in 7 parti: la prima riguardante quello che succedeva in casa Ibanez nel periodo dei primi contatti con JP; la seconda parla nello specifico del suo modello Ibanez Signature analizzandone in maniera dettagliata i componenti e materiali; la terza sezione riguarda un veloce percorso sugli anni della sponsorizzazione Ibanez, più visivo che discorsivo, dagli albori fino al divorzio nel 2000, cinque mesi e tre giorni dopo l’uscita di SFAM. Nella quarta parte vi racconterò delle chitarre acustiche che JP ha alternato durante le varie registrazioni, nei videoclip e dal vivo. Successivamente la sezione per i cosiddetti geek, quelli che vogliono saper di tutto di più, se fosse possibile anche la marca di shampoo usata da Petrucci, plettri, chitarre strane usate qua e là! Nella sesta parte tratterò il periodo a partire dal 29 Marzo 2000 ad oggi, ovvero dal comunicato ufficiale di cambio di endorsement che lo vede ora tra gli artisti sponsorizzati da Ernie Ball Music Man. Nella settima ed ultima sezione intitolata Risorse vi indicherò link ai siti ufficiali, siti internet dove trovare altre foto, siti da cui ho attinto per scrivere tutto questo

papiro e anche qualcos’altro che potrebbe interessarvi; potrebbero esserci alcune lievi imprecisioni, ma su questi temi è difficile poter arrivare alla verità o completezza totale, son passati molti anni, le persone che si occupavano dei modelli JP non son più presenti in Ibanez o son comunque irreperibili. Diciamo che ho cercato di avere il minor margine di errore possibile, spero di esserci riuscito siete pronti? Via! 1. Un po’ di storia prima di cominciare Tutto ebbe inizio prima ancora che Ibanez contattasse direttamente JP; era il 1990 e un certo Dan Lawrence, artista già abbastanza noto per le colorazioni custom per alcuni chitarristi celebri, si fece avanti con il personale della casa giapponese proponendo loro alcuni corpi dipinti a mano. Questo primo incontro sembrò non portare a niente, invece, a metà dell’anno successivo Chuck Fukagawa di Ibanez prese il telefono e chiamò il buon Dan: gli fornì uno stock sostanzioso di corpi RG e glieli fece dipingere. Fu così che Dan poté portare al NAMM, la principale fiera americana dedicata agli strumenti musicali, una serie di nuovi pezzi da lui disegnati e scelti dalla casa del Sol Levante. Assieme a lui lavorava anche un’altra artista, Pamelina, famosissima per aver dipinto a mano due modelli limited edition di casa Fender (Playboy 40th Anniversary nel 1991 e quella dedicata a Jimi Hendrix nel 1996). Tra questi corpi c’era il prototipo di quella che noi oggi conosciamo come ‘Picasso Graphic’, ovvero la colorazione signature di JP: quando John visitò la Hoshino, proprietaria dei marchi Ibanez e Tama, in Giappone la vide appoggiata su uno scaffale e la

scelse immediatamente. Così iniziò il sodalizio durato quasi dieci anni, il sound che tutti noi riconosciamo come familiare nei dischi a partire da Images&Words

fino a Scenes From A Memory. Va precisato che Ibanez ai suoi artisti più importanti, tra cui Steve Vai, Joe Satriani, John Petrucci, Reb Beach, Jennifer Batten e altri, non forniva chitarre stock (di serie); dal Giappone faceva arrivare oltreoceano in Pennsylvania dei corpi e manici grezzi che venivano poi rifiniti, perfezionati e aerografati presso i Custom Shop situati per lo più in California a Los Angeles e dintorni (North Hollywood, Cave Avenue). Questo avveniva nel periodo in cui furono messe in listino serie molto limitate denominate USRG, ovvero chitarre simili alle RG ma con legni di qualità molto


migliori, le USCG, United States Custom Graphic, e le spettacolari Exotic Wood, chitarre dai legni pregiatissimi di cui oggi è vietato l’utilizzo; ci troviamo a cavallo tra la fine degli ’80 e i primissimi ’90. Successivamente, per costi di gestione, i custom shop americani furono chiusi e venne lanciata sul mercato la nuova linea di alta liuteria fatta però in Giappone, meglio nota come J-Custom. Anche gli artisti più blasonati si dovettero adeguare in due modi: o facendo rettificare gli strumenti di serie da liutai di fiducia oppure ricorrendo a vari ghostbuilders, cioè liutai in grado di costruire repliche perfette del loro strumento usando però materiali migliori. Ma torniamo al nostro guitar hero preferito. é il 1992, sono già passati 3 anni dall’uscita di WD&DU: JP è ancora privo di sponsor anche se ha già usato una Ibanez Satriani, una Maxxxas e una Saber; l’endorsement è nell’aria: esce Images And Words e i Dream Theater vengono proiettati nell’olimpo del prog-metal; la classe, il gusto, la potenza e la tecnica di JP non possono passare inosservate e in terra Giapponese qualcuno ha l’orecchio fino. Come già detto JP venne invitato alla Hoshino Gakki e appena vide la ‘Picasso Graphic’ non ebbe dubbi: quello sarebbe stato il suo modello signature. Fu così che corpi, manici, switch, potenziometri e tastiere furono spediti a Los Angeles per la creazione del prototipo di uno strumento signature. Poco tempo dopo era pronto il primo esemplare di quella che verrà commercializzata leggermente modificata solo tre anni e mezzo più tardi, nel 1995, col nome di Ibanez JPM100. I prototipi definitivi furono due: quello che possiamo vedere nel videoclip di Another Day e in alcuni punti del Live di Tokyo del tour di I&W. La grafica è quella che conosciamo con tonalità che però sono inedite per il mercato mondiale; le tinte sono pastello ma molto tenui. L’altra con i colori primari che diventò la P1. Queste chitarre hanno pochissime differenze rispetto a quella acquistabile da tutti i comuni mortali: solo i pickup ring-mounted e la paletta che riporta la dicitura

‘Ibanez u.s.a. custom’; inoltre il corpo era con molta probabilità in ontano. Qui sotto lo vediamo mentre registra la parte finale di Space Dye Vest, con la mano di Kevin Moore che spruzza un lubrificante per far scivolare agevolmente le dita di JP. Il curioso scatolino che ha nella mano destra è un E-Bow, dispositivo che crea un campo magnetico facendo vibrare le corde dando il suono che si sente nel brano a partire da 5:10.

In poche parole è una specie di nonno del Fernandes Sustainer reso celebre da Steve Vai.

2. Caratteristiche del modello JPM100 Il corpo: di derivazione RG è in tiglio, simile all’ontano ma più economico, che da un suono molto equilibrato che tende a accentuare le basse frequenze. Gli ultimi due modelli P4 e 90HAM (Hoshino Anniversary Model) differiscono dagli altri 3: la prima infatti sul body non ha la copertura di trasparente lasciandolo satinato, la seconda invece ha il corpo in tiglio e il top di un meraviglioso acero fiammato. I pickup: sono dei DiMarzio. La P1 montava un SFP, prototipo derivato dal Tone Zone che venne battezzato Steve’s Special (DP 161) al ponte e una variante del classico Air Norton al manico, chiamato Norton Lite. Tutte le altre successive montano lo Steve’s Special e l’Air Norton al manico (DP193). Il colore dei pickup era

a scelta per JP mentre di serie erano completamente neri. Anche adesso è possibile acquistarli in versione bicolore. La scelta del doppio humbucker, invece che H-S-S, è stata dettata da JP che durante le plettrate veniva infastidito dal single coil centrale; lo stesso vale per i potenziometri e il selettore che son stati posizionati più in basso rispetto alle RG standard. Due i controlli presenti, Volume e Toni comuni a entrambe i magneti. Particolare invece è la posizione centrale del selettore, solo 3-way, che splitta le due bobine centrali dando un suono stupendo sui puliti, cristallino e al contempo corposo, che riconosciamo alla prima nota. Nella produzione di serie, il modello JPM100 ha i pickup

direct-mount sul corpo per un maggior sustain. Il manico: bolt-on, cioè avvitato, è un pezzo unico di acero per avere una maggiore rigidità quindi una migliore trasmissione delle vibrazioni delle corde, fattore che aumenta il sustain. L’innesto col corpo è di tipo AANJ (All Access Neck Joint) ovvero smussato per un accesso comodo agli ultimi tasti. Nelle prime due versioni (le JPM100 P1 e P2) il manico aveva la finitura o laminata, quindi legno naturale, oppure con un velo di trasparente, ma non ci sono dati certi in proposito sul perché


fossero in un modo piuttosto che nell’altro. La scala è la tipica 25.5” delle chitarre con 24 tasti, e il profilo è custom, non è uguale a nessuno degli altri manici mai prodotti dalla casa giapponese; l’hanno denominato Viper Neck, che si colloca a metà strada tra l’Ultra Neck (o Wizard II) e il Wizard, ovvero richiama un manico “da corsa”, più rastremato al 1¡ capotasto e piatto in modo da esser notevolmente più

scorrevole, ma che strizzasse l’occhio ai manici Strato. Lungo tutto il manico abbiamo il binding, una decorazione in materiale plastico senza alcuna funzione particolare, solo estetica, la paletta invece non riporta il classico logo Ibanez col baffo bensì la sola dicitura Ibanez leggermente più grande e color oro opaco. La tastiera, molto piatta, è dotata di tasti Dunlop 6100 per dei bending sempre comodi e intonati; l’inlay (segnatasti o intarsio che dir si voglia) è di tipo off-set a pallini, ovvero spostati verso il bordo superiore del manico. Il palissandro della tastiera è scorrevole e da un suono equilibrato, senza frequenze troppo enfatizzate, anche se compensa con la sua ‘mediosità’, passatemi il termine tennnicissimo, il taglio delle medie frequenze del pickup al ponte. Anche in questo caso il modello 90HAM si differenzia: la tastiera è in ebano, l’inlay è presente solo al 12° e 24° tasto; la paletta ha il riporto in acero come il top oltre al logo classico piccolo con baffo color oro lucido. L’hardware: (meccaniche e ponte) per le P1 e le P2 era nero, invece dalla P3 in poi di un nuovo

colore chiamato Cosmo Black, un nero leggermente diverso. Le meccaniche son standard non autobloccanti, il ponte invece è il migliore mai usato dalla casa giapponese su licenza Floyd Rose, il Lo-Pro Edge, evoluzione del Pro Edge brevettato ai tempi della Jem (di Steve Vai), ribassato rispetto al precedente modello e con sistema double-locking, cioè alla selletta e al capotasto. Molto preciso ed affidabile ha da la possibilità di agire in entrambe le direzioni con un escursione per ciascun senso di circa 4 semitoni. Le corde: Petrucci durante l’ era Ibanez aveva un contratto di endorsement con la D’Addario; usava mute con scalatura .009/.046 per le JPM standard mentre sulla 7 corde c’era l’aggiunta del Si basso .056. Ultima nota veloce veloce: i plettri; JP usa da sempre gli stessi plettri, sia per l’elettrica che per l’acustica, prodotti da Jim Dunlop (da cui prende anche il suo mitico pedale wah-wah BB535 convertito a rack). Per l’elettrica ha sempre prediletto i Jazz III, piccoli, appuntiti, molto duri, spessi un millimetro, nella versione nera con superficie leggermente ruvida (qui si vede quella rossa più liscia, unica differenza); per l’acustica utilizza quelli più comuni in semplice nylon spessi 0.73mm, rosa possibilmente.

3. John Petrucci e la JPM100 attraverso gli anni Il rapporto tra JP e l’Ibanez abbiamo visto che iniziò ufficialmente nell’ormai lontano 1992, anno di uscita di I&W, anno del grande salto dei Dream Theater. Testimonianza tangibile l’abbiamo sul catalogo della casa di chitarre che in un angolo inserisce una foto di JP che imbraccia il prototipo, mentre sullo sfondo un altro modello che gli era stato sottoposto per la creazione dello strumento signature.

Notare che i giapponesi erano talmente attenti da sbagliare il nome della Band! Come vi dicevo sopra qui c’è scritto del primo contatto dell’89 e di come si è sviluppata la vicenda, tralasciando altri dettagli. Dopo che gli furono consegnati i primi due prototipi JP sembra si sia trovato meglio su quella coi colori primari e continuò a svilupparla raggiungendo la fase definitiva: la transizione la possiamo vedere nelle immagini del dvd ‘Rock Discipline’ dove

son spariti i mountin-rings per i pickups, ora direct-mount. Anche sul catalogo dell’anno successivo, 1993, John Petrucci viene annoverato tra gli artisti ma senza un modello signature sul mercato, ovvero come faccia nota, imbracciando comunque la


chitarra qui sotto ancora allo stato precedente. Probabilmente stavano ancora studiando come avrebbe reagito il pubblico al nuovo strumento. Così l’anno successivo, quando ormai I&W ha venduto molto più del prevedibile e Petrucci si è imposto come uno dei nuovi idoli della sei corde, Ibanez non resta a guardare, si inizia a pensare alla produzione di massa della JPM. Per l’esordio, comunque con una tiratura limitata, pare infatti che di JPM100 P1 ne siano state prodotte solo tra le 300 e le 400 unità, bisognerà ancora

attendere molto ma il marketing è già al lavoro. Per darvi l’idea della portata dell’investimento fatto dalla Ibanez su JP basta guardare la copertina interna del catalogo 1994: non Steve Vai o Joe Satriani che collaborano dal 1987 e uno strumento già più che affermato, ma JP è scelto per una pagina intera sebbene non sia ancora in commercio la sua chitarra. In bella evidenza il cd di I&W per sviare l’attenzione, in quanto il Nostro regge una USRG10TP, strumento del custom shop americano che già anticipa le features della JPM100, notate la posizione dei controlli, lo switch, la tastiera con inlay off-set e paletta americana, oltre al bellissimo top in acero marezzato. I Dream Theater sono in studio, il nuovo cd ha sonorità molto più heavy rispetto al precedente e Ibanez coglie subito la palla al balzo per fornire a JP delle chitarre 7 corde, gliene fornisce

almeno 2, una Universe (sempre signature Steve Vai) UV7BK visibile nel videoclip di Lie e una multicolor arancio e rossa, si intravede durante le sessioni di registrazione di Awake presenti su 5YIALT. La cosa funziona, JP è entusiasta del suono che riesce a ricavare, si trova a suo agio con lo strumento e chiede a Ibanez di preparargli un prototipo che abbia solo due humbucker e i controlli in posizione JP custom. Le vendite vanno benone, Petrucci sta occupando sempre di più le copertine delle riviste di strumenti musicali e di musica in generale, il suo nome è sulla bocca di tutti: è in questo momento di grande entusiasmo che esce Awake. Sotto potete vedere quale fosse allora il suo l’arsenale: imbraccia il prototipo di P1, a fianco troviamo l’altro prototipo usato durante le

sessioni di I&W più il prototipo della P2. Con l’uscita di Awake Ibanez ha un impennata di vendite del modello Universe che durante quel periodo non vendeva più un granchè nonostante il nome altisonante di Steve Vai. Nella foto troviamo il prototipo con colorazione Red and Orange Swirl, dipinta con tutta probabilità da Herc Fede di ATD che aveva curato le vecchie Universe Multicolor, dotata di manico standard Universe, 2 soli humbucker e i controlli tono e volume posti in una strana posizione. Infine all’estrema destra quella che è diventata la 7 corde principale fino al cambio di endorsement, la cosiddetta JPM7; una RG custom con i controlli posizionati esattamente come nella JPM100, fondo bianco e paletta RG bianca. Qui la vediamo ancora coi pickup in versione nera, successivamente DiMarzio ne fornì una coppia bianco-nera. L’anno della consacrazione come

endorser è il 1995; I&W continua a vendere, Awake non è da meno e Petrucci è ormai conosciuto tanto quanto i suoi colleghi Steve Vai e Joe Satriani. Inizia ufficialmente la produzione del primo stock di P1, ma il catalogo non riporta ancora la chitarra, questa P1 fu stata usata come ‘pilota’ per rendersi conto di come il pubblico avrebbe reagito. Inutile dire che lo strumento fu un successo ed esaurito in un breve lasso di tempo. Ancora oggi trovare una P1 in buone condizione sul mercato dei collezionisti è un’impresa


impegnativa, anche dal punto di vista economico dato che le stime per questo strumento tenuto bene oscillano tra i 1600 e i 1800€: pensate che il prezzo di vendita all’uscita era di circa un milione e ottocentomila delle vecchie lire, in un decennio la quotazione è praticamente raddoppiataÉ un ottimo investimento per una chitarra Made in Japan (ah, ma con l’euro è raddoppiato tutto, signora mia) Tutti sappiamo che le case di strumenti musicali cercano di accaparrarsi i migliori musicisti per due ragioni principali: il prestigio d’immagine e il ritorno in termini economici. La P1 è stata accolta molto bene, anche perché è uno strumento validissimo, così nel 1996 John Petrucci e la sua P2 compaiono per la prima volta sulle pagine ufficiali del catalogo Ibanez. Noterete tutti che viene proposto solo in colorazione P2 come se la P1 non fosse mai stata prodotta, prende sempre più concretezza l’ipotesi che la P1 fosse stata immessa in pochi esemplari come test. Per parecchi anni JP ha usato la P2, in un’alta percentuale di foto live e in studio lo si vede sempre con questa finitura, mentre per esempio la P4 (uscita nel periodo di termine dell’endorsement) compare dal vivo in pochissime occasioni, de gustibus. Le cose continuano ad andar a gonfie vele e i clienti che chiedono la JPM100 sono in aumento, l’endorsement sembra dare i suoi frutti, ACOS è già uscito e su questo album viene fatto un uso massiccio della JPM7, soprattutto piace nella versione DT di Perfect Strangers, suonata nell’Uncoverd

Show al Ronnie Scott’s Jazz Club prima e alle BBC Sessions con Bruce Dickinson alla voce poi. Con l’uscita dell’EP di ACOS i fan son stimolati, perché vedono finalmente pubblicato un brano che vede ancora presenti

moltissime idee di Kevin Moore, ma l’aggiunta del materiale live non placa comunque la sete di materiale nuovo in studio, così come non placa la voglia dei chitarristi di possedere un nuovo modello di JPM, magari di un colore ancor più bello. Ibanez, approva come nuova colorazione una soluzione quantomeno inedita: la nuova P3 viene creata bicolore, avorio e nera, non bianca e nera come alcuni credono. Una virata cromatica notevole se si

pensa ai primi due modelli che avevano colori, primari o pastello, ma comunque eccentrici. Il 1997 è l’anno dell’uscita di Fallino Into Infinity, album attesissimo ma che verrà accolto da gran parte dei fan in modo distaccato quando non esplicitamente freddo, pur essendo un ottimo prodotto: forse paga dazio ai vari sconvolgimenti interni alla band e ai primi dissensi con la casa discografica. Ah, da non dimenticare che dopo due dischi come I&W e Awake per chiunque sarebbe stato (credo) impossibile comporre qualcosa di così alto livello da non scontentare nessuno. Durante il tour seguente all’uscita del cd JP userà parecchio la JPM7 bianco-nera, come testimonia il video di 5YIALT; chissà forse per far abbinamento fu scelto l’avorionero per la P3. Sicuramente scontenti non sono i chitarristi che richiedono il nuovo modello di casa Ibanez: infatti è questo l’anno con la più alta tiratura di JPM, eppure le apparizioni on-stage di questo strumento non furono molte, togliere di dosso a JP la sua amata P2 è un’impresa. Come accennato in precedenza da questa chitarra in poi il manico sarà sempre col retro naturale, mantenendo comunque la caratteristica di essere un pezzo unico d’acero, e dotata del nuovo hardware Cosmo Black.

Il 1998 è un anno molto importante per Ibanez: è il 90° anniversario della fondazione della Hoshino Gakki. I capoccioni del marketing fanno una pensata di quelle galattiche: ovvero hanno l’idea di una limited edition di ciascuno dei 4 modelli top della gamma; viene scelto il blu nelle sue varie tonalità come colore comune e 90HAM come sigla aggiuntiva. Tra questi ci sono la Jem di Steve Vai, la JS di Joe Satriani, la PG di di Paul Gilbert e, ovviamente, la JPM di John Petrucci. Da chitarrista squattrinato avrei preferito col senno di poi che questa trovata risultasse un buco nell’acqua, e invece! É e invece i giapponesi costruiscono quei modelli a tiratura limitata veramente a regola d’arte, assemblati con cura, materiali sceltissimi, e un suono nettamente migliore rispetto alle versioni standard; il basso numero di esemplari per modello ha portato tre + una conseguenze: primo, in pochissimo tempo esauriti i pezzi, secondo il prezzo decisamente poco popolare già allora (attorno ai tre milioni di lire), e terzo la grossa difficoltà di reperimento

sul mercato dell’usato. La + una è probabilmente, a posteriori, la peggiore tra tutte; ha confermato un precedente: l’anno prima infatti, 1997, erano state prodotte la Jem10th, probabilmente il migliore strumento mai uscito dagli stabilimenti Ibanez, per commemorare il 10° anno di collaborazione con


(io ne comprerei una subito a trovarla, mi piace moltissimo). Il risultato diretto è che nel 1999 Ibanez non produce un nuovo modello, si limita a riproporre la P4, cosa che puzzò parecchio

Steve Vai e la JS10 Chromeboy, delicatissima chitarra con corpo in Luthite cromato, in onore del decennale sodalizio con Joe Satriani. Si erano presi un rischio bello grosso. Hanno ritentato l’esperimento con 4 strumenti e i clienti hanno dato loro ragione svuotando i negozi da quegli esemplari. Da quell’anno i giapponesi hanno cominciato di aggrapparsi a qualsiasi cosa per fare delle serie limitate costosissime lasciandosi indietro però la qualità. Un vero peccato. Dicevamo che il 1998 è un anno importante: avrebbe potuto firmare definitivamente l’accoppiata Ibanez / John Petrucci.

Lo stesso Petrucci, visti i risultati che potevano esser ottenuti dai liutai giapponesi con le edizioni limitate, iniziò a chiedere di sperimentare nuove soluzioni, tra cui una chitarra elettrica solid body con pickup piezoelettrico per avere un suono acustico dal vivo senza dover cambiare strumento al volo o senza problemi di feedback, una chitarra 12 cordeÉ insomma JP voleva che Ibanez non si limitasse a cambiare anno dopo anno solamente il colore alla sua JPM. Come andarono esattamente le cose nessuno (di noi comuni mortali) può dirlo; sta di fatto che il rapporto iniziò a scricchiolare. Le vendite delle JPM iniziano a calare, forse di riflesso allo scarso entusiasmo suscitato da FII, chi può dirlo? Non aiutò nemmeno la scelta della nuova colorazione che ai più non è assolutamente piaciuta

di saldi, ovvero il dado è stato tratto e bisogna svuotare i magazzini dalle JPM in avanzo prima del 2000. Petrucci non sarà più endorser. Ciononostante la liuteria Ibanez

creò qualcosa per JP durante il periodo discendente del rapporto anche se gli sviluppi contrattuali videro la rottura tra il musicista e i produttori di strumenti. Le cose più sperimentali arrivarono nell’arco di tempo tra la registrazione di FII e la produzione delle prime tracce in studio di Scenes From A Memory, ultimo album recante il logo Ibanez. Secondo il mio modesto parere i giapponesi si stanno ancora mangiando le mani per il fatto di aver perso John come endorser all’uscita di SFAM, album che innegabilmente ha sancito la rinascita della band. D’altra parte potevano pensarci prima. Cosa crearono? Lo vedremo tra non molto, nella sezione per i geek! 4. Il lato acustico di John Petrucci Va notato che parecchi dei pezzi più tranquilli dei Dream Theater hanno parti acustiche importanti e che anche i pezzi più heavy hanno comunque delle parti acustiche in sottofondo; Another Day, Innocence Faded, The Silent Man, Lifting ShadowsÉ, ACOS, Hollow Years, Take Away My Pain, Anna Lee, The Wasteland, Hourglass (LTE 2), Regression, Through Her Eyes, The Spirit Carries On, Finally Free. Maestro Carambola To be continued


Official Bootlegs. La prima cosa che salta agli occhi dei più esperti, è senz’altro la contraddizione in termini di queste due parole, praticamente un ossimoro. L’operazione Official Bootlegs, ideata da Mike Portnoy, consiste nel rendere disponibile in maniera “ufficiale” materiale della band altrimenti reperibile solo per vie illegali, ovvero attraverso l’acquisto (o il download..) dei cosiddetti bootleg, le famose registrazioni “pirata” di concerti e altre rarità. Per cercare di capire le ragioni di questa mossa, analizziamo però i fatti. La vastità degli “archivi Portnoy” è sempre stata proverbiale: è Mike stesso il più grande collezionista della sua band! Oltre alla miriade di demo, alle registrazioni su DAT di intere tournee e a tutto il materiale audiovideo che la band ha prodotto in questi lunghi anni, Mike non si è mai lasciato sfuggire i migliori bootleg non ufficiali in circolazione. Un fenomeno, quello dei bootleg, che quindi Mike conosce molto bene, essendo egli stesso un grande collezionista. L’avvento degli OB era stato preceduto da alcune dichiarazioni di Mike che avevamo fatto intendere che la band (ovvero sempre Mike) era intenzionata ad aprire i suoi archivi ai fan, rendendo finalmente disponibili concerti e altre rarità selezionate. Tutto ciò sia per contrastare il dilagare delle vendite dei bootleg illegali sia per evitare ai fan stessi l’acquisto di materiale pirata non sempre di buona qualità. Si tratta quindi di un enorme passo in avanti rispetto alla promozione “Beating the Boots” partita qualche anno fa attraverso i vari Fan Club e che si limitava ad offrire i vecchi Annual e Christmas CD per contrastare il fenomeno delle aste su Ebay. Questa nuova iniziativa avrebbe invece messo direttamente in contatto la band con i fan, senza intermediazioni né discografiche, né di distribuzione, né di fan Club. Nel maggio del 2003 nasce così la “Ytsejam Records”, una sorta di etichetta virtuale (o meglio ancora, un marchio) attraverso la quale vengono pubblicate le “Dream Theater Official Bootleg Series” prodotte da Mike

Portnoy e John Petrucci, associatisi nella “Jam Progductions”. Mike e John sostengono quindi tutte le spese di produzione, stampa e gestione delle vendite dei cd oltre alle royalties da pagare nel caso delle cover. Il ruolo di Petrucci però si ferma qui: infatti è Mike il vero regista di tutta l’operazione OB. E’ Mike che sceglie cosa fare uscire, quando farla uscire e come farla uscire. E’ sempre lui a gestire il lungo lavoro d’archivio per selezionare il materiale migliore dalla migliore fonte disponibile; sua la supervisione dei processi di remastering e di creazione dell’artwork. Infine è ancora soltanto Mike a scrivere le note e i commenti sui booklet che accompagnano i cd (e questo è un particolare abbastanza negativo a mio avviso..). Esistono quattro tipi di Official Bootlegs, divisi appunto in altrettante “Series”: “The Demo Series” per le registrazioni effettuate dalla band durante le prove pre-studio, “The Live Series” ovviamente per i concerti, “The Studio Series” per i “making of” dei vari album e “The Covers Series” per i concerti in cui sono state eseguite cover di altri gruppi (come ad esempio “Master Of Puppets” e “The Number Of The Beast”). I cd vengono pubblicati a gruppi di tre per volta: la promessa iniziale di pubblicarne tre ogni 6 mesi è stata però disattesa. Infatti, dopo le prima tre uscite del maggio 2003, altri tre nuovi Official Bootlegs sono stati pubblicati solo nel marzo 2004, mentre la prossima uscita è prevista per il prossimo Natale. Per averli esiste un solo modo e un solo indirizzo: www.ytsejamrecords.com. E’ infatti l’omonimo sito (gestito dal webmaster Michael Brown) l’unico luogo dove poter conoscere in dettaglio i cd, fare le ordinazioni e rivolgersi per qualsiasi informazione. I prezzi vanno dai 15 dollari per gli OB singoli a 20 per quelli doppi (spese postali escluse): cifre assolutamente oneste rispetto alla qualità di ciò che viene offerto e rispetto agli invece esorbitanti prezzi di certi bootleg non ufficiali. Tutti i cd sono confezionati

in jewel cases e hanno un booklet a colori di almeno 4 pagine, con immagini a volte rare. Tutte le note ai brani e i commenti introduttivi sono opera di Mike: in particolare, nel caso dei Demo, oltre a commentare i brani, Mike delinea una storia della band attraverso i vari capitoli introduttivi della Series. La cura degli artwork è stata affidata a Hervé Pfeiffer, già grafico per la fanzine francese “Your Majesty” e autore dell’artwork dell’Annual Cd 2002 “Taste de Memories”. Sotto la supervisione di Mike, Pfeiffer ha adottato quattro colori diversi per ciascuna delle quattro Series: Rosso per la “Demo Series”, Viola per la “Live Series”, Verde per la “Studio Series” e Blu per la “Covers Series”. Note negative l’assenza di commenti per la Live Series e il bollino indicante la Series d’appartenenza troppo simile a quelli del prosciutto crudo.Riguardo alla qualità degli OB rimando ovviamente alle recensioni dei singoli titoli. Posso comunque affermare che nel caso della “Demo Series”, anche se non eccellente vista l’anzianità delle registrazioni, la qualità proposta è senza dubbio la migliore possibile. Non c’è assolutamente nulla di “inascoltabile” e la presenza di Doug Oberkircher in fase di remastering rappresenta una garanzia: non esiste bootleg del periodo Majesty che suoni meglio di questi. Nel caso delle “Live” e “Covers Series” il discorso è leggermente diverso: dei tre OB pubblicati sino ad ora in queste Series, due sono quasi impeccabili, mentre il terzo (il live in Los Angeles) si pone invece al di sotto di molti altri bootleg non ufficiali, sia come qualità audio sia come prestazione della band. Non si tratta certamente di una registrazione da buttare, ma, come ho modo di dire nella recensione specifica, non era a mio avviso adatta ad essere pubblicata come OB e l’opera di Doug Oberkircher non poteva certo ridare la voce a James Qualità eccellente invece per il primo e unico (finora) capitolo della “Studio Series”, il “Making of SFAM”: il secondo cd è addirittura la versione di SFAM che sarebbe dovuta essere pubblicata ufficialmente. Ma ritorniamo al “perché” di questa scelta. Iniziative analoghe a quella degli OB sono state intraprese


anche da molte altre band, che, come i Dream Theater, hanno una larga base di fan molto legati alla dimensione live del gruppo e gioco forza interessati ai bootleg. Sempre più bands e major sembrano guardare adesso con nuovi occhi a quello che fino a poco tempo fa rappresentava per molti di loro uno spauracchio: il bootleg. Si sta forse cercando il modo di inglobare anch’esso nella sfera di un moderno merchandising? O si tratta di un tentativo di combattere la pirateria offrendo un “servizio” di qualità al pubblico? Ricordiamo il “caso” Pearl Jam: 72 bootleg ufficiali andati letteralmente a ruba nel circuito del fan club e che a furor di popolo sono stati in seguito distribuiti anche nei negozi con altrettanto successo. Ci sono poi i Marillion che da anni portano avanti questo tipo di iniziative tramite il loro fan club. E ancora i Deep Purple che dopo aver rimasterizzato i loro migliori bootleg, ne hanno tratto un cofanetto grandioso; e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Ma non è finita quiÉuna nuova tecnologia sta aprendo nuove prospettive in questo campo: sto parlando dell’Instant Cd. Questa tecnologia di masterizzazione rapida consente di uscire da un concerto con il Cd (perfettamente legale) dell’esibizione appena vista, acquistabile già pochi minuti dopo la fine dello show, in ottima qualità (spesso da soundboard), fornito di artwork in digipack e ad un prezzo accessibile. Artisti come i Metallica, Jewel, Kiss, Dave Matthews Band, Peter Frampton, Cowboy Junkies, Jefferson Starship, Doors of the 21st Century, Billy Idol, Pixies, Phish, Pearl Jam, Who, Ani di Franco, String Cheese Incident e in Italia Elio e le Storie Tese con il loro “cd brulè”, ci stanno provando riscuotendo successo. Gli Instant cd, o loro compilation, vengono spesso anche messi in commercio nei circuiti classici (vedi sempre Elio con il suo “Ho fatto due etti e mezzo: lascio?” che sintetizza lo sforzo dell’artista per l’abbassamento del prezzo dei cd) raggiungendo così anche coloro che non hanno seguito le tournee. A questo punto molti si porranno questa domanda:perché i Dream Theater non distribuiscono questi cd attraverso i Fan Club, ai concerti o nei negozi come fanno molti altri? Perché venderli esclusivamente tramite il sito internet? La risposta ce la da Mike nelle FAQ del sito della Ytsejam Records: l’Elektra ha dato il suo ok a tutta l’operazione purché essa rimanga in qualche maniera “limitata” dal punto di vista della distribuzione (attenzione, non della produzione..), proprio per non creare

conflitti sulla divisione dei diritti. Allo stesso modo, se ci fosse stata una distribuzione su larga scala, sarebbe stato difficile mettere d’accordo tutte le label detentrici dei diritti delle cover che si sarebbero volute pubblicare. Gli OB dei Dream restano quindi un prodotto abbastanza di nicchia: il fan medio potrebbe essere “demotivato” dal fatto di poterli acquistare solo via internet usando la carta di credito e potrebbe quindi farne a meno (o magari scaricarli!). Ma chi sarà veramente interessato al loro acquisto, li comprerà comunque, senza lamentarsi troppo di non trovarli nel negozio sotto casa. Anzi, la loro reperibilità “limitata” non può che accrescerne il fascino presso gli appassionati e, con gli anni, anche il loro stesso valore. Conclusioni E se i Dream Theater si mettessero un giorno a sfornare anche Instant Cd? Tra biglietti per assistere ai concerti e per recarcisi, continue uscite audio e video doppie e triple, side projects a raffica, tour dei side projects, Official Bootlegs ed eventuali instant Cd, resterebbero al malcapitato fan i soldi per l’iscrizione al fan club? E anche se per miracolo riuscisse ad iscriversi con gli ultimi spicci rimasti, i Fan Club, come riusciranno a mantenere e rendere credibile uno status di privilegio per i propri iscritti quando la band offre le sue migliori “chicche segrete” a chiunque abbia i soldi per pagarle? Dovranno i Fan Club contare solo su se stessi e sulle loro idee e capacità? Basteranno gli Annual Cd? (non più Christmas Cd un piccolo grande cambiamento/paradigma per spiegare che l’era dei “regali” di “Babbo Mike” e della “riconoscenza” è forse terminata?).

The Majesty Demo 1985-1985 (Demo Series) - Ytsejam Records 001 Intro L’operazione Official Bootlegs inizia con il primo dei capitoli della serie “Demo”, dedicato al primordiale periodo Majesty. La Demo Series offre a Mike l’occasione di ripercorrere la storia stessa della band, album dopo album, attraverso brevi ma intense note introduttive. La storia raccontata dai protagonisti si arricchisce sempre di aneddoti e particolari inediti: viene quindi fuori un “come eravamo” dai toni mai enfatici o leggendari, bensì chiarificante e con un pizzico di nostalgica autoironia. Benché tutte le canzoni presenti su questo cd siano apparse in passato su diversi bootleg (questa volta “non ufficiali”, vedi nota*), non si può certo fare a meno di elogiare l’ottimo lavoro di Doug Oberkircher (già sound engineer per i Dream Theater), che ha qui rimasterizzato i brani in maniera egregia, limando i “difetti” della registrazione analogica ed esaltandone il sound grezzo ma corposo. Si tratta comunque di una raccolta di cui si deve percepire la “qualità musicale” prima di quella audio: non si può ,infatti, non rimanere colpiti ascoltando cosa potevano già fare questi “pischelli” quasi 20 anni fa! Come tutte le raccolte di demo, anche questa non sembra comunque avere una longevità d’ascolto molto lunga: il rischio di ascoltarla un paio di volte per poi dimenticarla esiste. Attenzione però a non perdere due gemme che a mio avviso brillano ancora oggi: “The School Song” e soprattutto “A Vision”. Tutti i brani raccolti in questo cd hanno un valore “storico” indiscutibile per il gruppo, essendo la testimonianza degli inizi


di una lunga gavetta. Diffonderli attraverso canali ufficiali e con una qualità audio accettabile è stata senza dubbio una scelta doverosa per la band e generosa verso i fan, che così non saranno più costretti a sborsare fior di quattrini ai vari bootseller per edizioni pirata di questi brani. Traduzione del booklet “C’era una volta… Nel settembre del 1985, due ragazzi di Kings Park (Long Island, New York) – John Petrucci e John Myung – ed un ragazzo di Long Beach (Long Island, New York) – Mike Portnoy – partirono per Boston dove avrebbero frequentato il prestigioso “Berklee College of Music”… “Durante la prima settimana di lezioni, i due John mi videro suonare in una sala prove e si presentarono. Oltre ad avere le stesse origini (Long Island), avevamo gusti musicali molto simili ed idee in comune sulla musica che potevamo creare insieme. Amavamo il progressive più complesso (Rush, Yes, Dixie Dregs, Frank Zappa) ed anche la musica heavy (Iron Maiden, Black Sabbath, Metallica, Queensryche). Non avevamo intenzione di cambiare il mondo: eravamo semplicemente tre giovani studenti che suonavano per divertirsi e per cercare di creare un tipo di musica che da fan ci sarebbe piaciuto ascoltare. Suonare un sacco di note e di tempi dispari, riff pesanti e ritmi prolissi, concentrandoci sempre sul lato esecutivo: ecco, questo era ciò che facevamo allora. Il fatto che io possa essere qui, 18 anni dopo, a suonare ancora con questi due ragazzi e il fatto che abbiamo persino fatto qualcosa di importante con questa musica straordinaria è assolutamente sbalorditivo per me! I ricordi che abbiamo accumulato e la strada che abbiamo percorso da allora fino ad oggi sono qualcosa di molto grande, qualcosa che sta ancora crescendo…e cercare di esprimerlo in poche righe è impossibile. Ma forse attraverso questa nuova serie di cd, che attraversano tutta la nostra carriera e provenienti dai miei sterminati archivi, potremo raccontare un po’ di questa storia attraverso la musica… La musica su questa primissima uscita è la prima in assoluto che abbiamo composto insieme. E’ molto grezza (e a volte anche molto imbarazzante!). Per lo più la qualità audio è al massimo discreta. Infatti all’epoca i nostri mezzi di registrazione erano molto limitati: la nostra unica risorsa era il vecchio e fidato registratore analogico a 4 piste Tascam 244, che mia nonna mi aveva regalato

per il diploma. All’epoca ero l’unico ragazzo del quartiere a possederne uno e queste prime registrazioni rappresentano la mia /nostra prima esperienza in fatto di registrazioni domestiche e demo. Spero che possiate andare oltre le occasionali imperfezioni dell’audio e godervi così un piccolo spaccato di come eravamo, cosa facevamo e del dove stavamo andando…” Le canzoni 1. Particle E. Motion Questa è la primissima cosa in assoluto che ho registrato sul mio 4 piste. Si trattava di un piccolo pezzo per basso e chitarra dei due John che usammo come test per cercare di capire come diavolo funzionasse il registratore! 2. Another Won E’ da qui che cominciò tutto: questa è la prima canzone che scrivemmo tutti e tre insieme. Suonavamo come tre animali da palcoscenico carichi di adrenalina, tutti intenti ad infilare un milione di idee diverse dentro ad una sola canzone (e non è cambiato molto in questi 18 anni!). E’ interessante notare in questo primo gruppo di demo del periodo “Berklee” (tracks 1-17), come avessimo un sound da “power trio”. Ma da quando Kevin si unì a noi mesi più tardi, saremmo per sempre stati una band con le tastiere…Infatti questi primi demo sono così grezzi anche perché eravamo solo in tre. 3. The Saurus Un’altra occasione per testare il 4 piste, portando su nastro un piccolo pezzo di chitarra di John… 4. Cry for Freedom Canzone n. 2 per i ragazzi di Berklee. Un’altra cosa interessante da notare su questi demo registrati in trio è quanto il basso sia uno strumento solista. Le prime influenze di John Myung (Steve Harris, Geddy Lee, Billy Sheehan) risaltano palesemente. A tal proposito è da notare anche come la chitarra non sia predominante, ma invece più basata sugli accordi e influenzata da Alex Lifeson.

5. The School Song Canzone n. 3 per noi. Una delle gemme dimenticate…non abbiamo mai più suonato questo pezzo dopo questa registrazione e inoltre non ne è mai esistita una versione con le parti di tastiera o con il cantato, né è stato mai eseguito dal vivo. Un caso più unico che raro nella nostra storia. La sezione centrale è molto “maideniana” e al suo interno c’è una piccola parte che in seguito (nel 1987) avremmo riutilizzato in un’altra gemma dimenticata: “Resurrection of Ernie”. 6. YYZ (Rush) Se c’era una cosa che già da allora amavamo fare per tutta la notte durante le prove, era suonare le canzoni dei Rush. “La Villa Strangiato”, “The Spirit of Radio” e questa in particolare. Ecco come i Rush avrebbero probabilmente suonato se gli avessero dato 20 tazze di caffé prima di una seduta di registrazione! ( e per la cronaca - ci sono io alle tastiere!) 7. The Farandole Uno dei miei gruppi preferiti in quel periodo (e anche di Myung per ovvi motivi…) erano i Talas di Billy Sheehan. Sul loro album “Live Speed on Ice” eseguirono una loro versione di questo pezzo classico, così decidemmo di “fargli fare un giro” anche noi. [gioco di parole che rende poco in italiano, in quanto “Farandole” significa girandola. NdT] 8. Two Far Canzone n. 4 per noi. La scrivemmo durante le vacanze di Natale, quando Kevin si unì a noi per la prima volta. “Two Far” fu quindi la sua prima collaborazione musicale con noi. Le tastiere di Kevin però non appaiono su questa versione, poiché la registrammo senza di lui quando ritornammo a Berklee nel gennaio ‘86. 9. Anti - procrastination Song (S.O.D) La nostra versione del classico dei S.O.D. (ma non lo erano tutti?) 10. Your Majesty Fu il nostro primo tentativo di scrivere qualcosa di più diretto e commerciale: pare che ci sia sempre una di queste nel mucchio! Questo brano è stato resuscitato 16 anni più tardi, quando lo suonammo a Parigi nel 2002, come tributo verso tutti i membri del Fan Club francese che porta il nome di questa canzone. 11. - 17. 7 Mini Guitar Songs Probabilmente la cover dei S.O.D. non era abbastanza…Qui siamo io e John Petrucci una sera a pazzeggiare con il 4 piste. E’ incredibile come John riesca a raddoppiare i suoi assoli sovraincidendoli in maniera così incredibilmente perfetta (e ancora oggi è un maestro in questo!).


quanto gli era piaciuto! Dopo aver suonato per tutta l’estate, presto ci sembrò chiaro che Chris Collins non poteva funzionare e così decidemmo di lasciarlo andare e di cominciare a cercare un nuovo cantante, una costante che ci avrebbe tormentato per i primi 5 o 6 anni della nostra carriera... L’artwork La copertina del famoso demo dei Majesty campeggia ovviamente sul front. All’interno troviamo diverse immagini risalenti sia al periodo del “power trio” a Berklee, sia al periodo Majesty vero e proprio, tra cui le due immagini di sfondo già presenti sul demo stesso. Unico commento possibile: sbarbatelli! 18. - 23. The 1986 Majesty Demo Ecco a voi il “famoso” 1986 Majesty Demo. Nella primavera del 1986, ancora in tre, cominciammo a lavorare a questo progetto. Due nostri compagni di Berklee, Paul Falcone e James Hull (che possedeva un registratore Tascam 246 a 4 piste) ci diedero una mano. Unendo il mio Tascam con il suo ottenemmo un enorme 8 piste e ci preparammo a fare un “vero” (hahaha!) demo. Sapevamo che Kevin si sarebbe unito a noi a maggio, alla fine dei suoi corsi, e stavamo prendendo contatti anche con un cantante, Chris Collins, che i due John conoscevano dai tempi delle superiori. Avevamo una cassetta in cui Chris cantava “Queen of the Reich” con una sua vecchia band ed eravamo quasi intimiditi dalla perfezione con cui riusciva ad emulare gli acuti di Geoff Tate!!! Sfortunatamente dopo si scoprì che era tutto ciò di cui era capace ma ricordo come io e i due John ascoltavamo quella cassetta in continuazione, così eccitati…” questo è il NOSTRO cantante!!!!” ci dicevamo… Ad ogni modo, mentre eravamo ancora a Berklee, scrivemmo altre tre canzoni: la heavy e progressive “March of the Tyrant”, la ballad “Vital Star” e l’epica power ballad “A Vision” (che credo abbia ancora alcuni momenti davvero meravigliosi e un incredibile assolo di chitarra). Armati di tutto questo materiale e con una line-up completa che ci aspettava al nostro ritorno a casa, cominciammo a registrare le basi di batteria, chitarra e basso a Berklee, e quando a maggio la scuola terminò, tornammo a casa e ci unimmo a Kevin e Chris che incisero le parti di

tastiera e la voce. Ancora una volta il buon cuore di mia nonna ci venne incontro e ci procurò il denaro di cui avevamo bisogno per stampare 1000 cassette di questo demo: ce l’avevamo fatta! Cominciammo a suonare dal vivo durante l’estate del 1986 e iniziammo a vendere il demo ai concerti e a distribuirlo ovunque potevamo. Spedii il demo a tutte le riviste hard rock e metal del mondo, nella speranza di avere delle recensioni positive e quindi delle richieste da parte di persone interessate ad ascoltarlo. Fummo recensiti bene sull’edizione tedesca di Rock Hard e questo suscitò molto interesse intorno a noi all’epoca. Inoltre cercavo di dare il demo a tutti i musicisti con cui venivo in contatto: ad esempio l’amicizia con i Fates Warning iniziò proprio perché avevo dato a Jim Matheos una copia del demo ad un loro concerto e lui mi chiamò il giorno seguente per dirmi

*nota: tutti i brani presenti in questa raccolta erano già apparsi in passato sui tre volumi della famosa serie di bootleg chiamata “Instrumental”. Sul primo volume troviamo la traccia 4; sul secondo volume troviamo la 1 (chiamata però “Stars”), la 2, la 5 (chiamata però “Long Island Sound”), la 6 e la 7. Sul terzo volume troviamo infine tutti i rimanenti brani (3, 8, 9, 10, 11-17). Anche lo stesso demo (originariamente pubblicato su cassetta) è stato più volte edito su bootleg in versione cd. Le tracce apparse sui tre “Instrumental” e sulle diverse versioni cd pirata del demo sono a loro volta state inserite in miriadi di altri bootleg, spesso come bonus track. Ovviamente la qualità audio dei brani sugli “Instrumental” e sugli altri bootleg è inferiore a quella dell’”Official Bootleg”. Antonio Vescio ...to be continued


Avete mai pensato che tipo di conoscenza avreste del repertorio della band, senza l’apporto di tutte quelle registrazioni non ufficiali che negli ultimi 15 anni hanno colmato ed a volte svelato dei lati dei Dream Theater che altrimenti sarebbero rimasti nascosti? Diciamo la verità, ormai siamo talmente abituati ai cosiddetti Bootlegs che il nostro problema non è più sapere se esisterà quella versione del brano o quel concerto registrato, ma soltanto capire chi ce l’ha e quando lo metterà a disposizione di tutti. Quella che la gente chiama erroneamente “pirateria” o addirittura “falsificazione” non è che una vecchia usanza che ormai ha compiuto un secolo e che nel corso di tutti questi anni ha permesso a decine di generazioni di poter fruire di tutto quel materiale che artisti, discografici e produttori ritenevano non degno, inadeguato o poco appetibile per il mercato attuale; ovviamente non parlo dei CD PIRATA facilmente acquistabili agli angoli delle strade per pochi Euro, quelli sono dei Falsi di opere Vere che possono e devono essere facilmente acquistati nei negozi di dischi, io parlo di quei dischi stampati in poche centinaia di copie contenenti mediocri registrazioni amatoriali di concerti, showcase, eventi particolari o soundcheck, quelle piccole “perle” che ogni tanto ci regalano un brano inedito trovato in qualche archivio, una registrazione in qualche sala d’incisione dove sentiamo i nostri musicisti chiacchierare tra loro o meglio ancora il concerto a cui tanti anni fa abbiamo assistito e di cui, come unica testimonianza storica avevamo conservato solo le nostre sensazioni ed i nostri ricordi. Lasciamo da parte la questione morale o legislativa e concentriamoci per un momento sulla memoria storica: quanto hanno cambiato i gusti e le scelte dei fan

tutte le registrazioni “non ufficiali” degli ultimi 100 anni? E più che altro com’è nata questa usanza? UN PO’ DI STORIA Il termine inglese “Bootlegs” nasceva in America agli inizi del secolo scorso e stava ad indicare tutta la produzione, distribuzione e vendita di Alcolici durante il Proibizionismo, era una vera e propria industria alternativa che poiché illegale dava molte soddisfazioni sia a chi la produceva che a chi ne usufruiva, la parola quindi ha sempre indicato qualcosa di “Non concesso” di “Proibito e Rischioso” insomma, ma quand’è che questo termine è stato abbinato alle registrazioni musicali non ufficiali? Il primo “Bootleger” della storia moderna fu il Signor Mapleson, bibliotecario alla Metropolitan Opera di New York, che un giorno ricevette da un tale Thomas Edison un bizzarro cilindro metallico con la capacità di memorizzare e riprodurre i suoni dell’ambiente circostante; fortunatamente il signor Mapleson non si limitò a registrare suoni casuali, ma decise di immortalare su quei cilindri buona parte delle opere che vennero eseguite nel prestigioso teatro, lasciando così ai posteri le registrazioni che effettuò tra il 1900 ed il 1904, a tutt’oggi una tra le più importanti e significative testimonianze storiche che la musica possa annoverare nei suoi archivi. Il più delle volte le registrazioni avvenivano da lontano, quasi all’insaputa degli artisti, e comunque senza mai dar loro alcun tipo di retribuzione in più per l’utilizzo delle loro voci registrate, ironicamente Mapleson mentre contribuiva a creare il primo archivio audio che

la storia ricordi, ne diveniva contemporaneamente anche il primo “pirata”. Ovviamente per poter parlare di Bootleg nel vero senso della parola così come la intendiamo noi oggi, dobbiamo aspettare fino al 1969, anno in cui nei negozi di dischi appare un doppio album bianco, senza foto, etichette o indicazioni di nessun genere: è il Great White Wonder di Bob Dylan, ufficialmente il primo Bootleg che la storia del Rock ricordi. Sino a quel momento erano state effettuate centinaia di registrazioni più o meno ufficiali da parte di produttori, proprietari di locali o semplici fans, ma avevano sempre riguardato una fetta di mercato poco avvezza alle vendite di massa, come il Jazz o il Blues, e comunque a quell’epoca era quasi impossibile produrre, stampare e distribuire un disco per una persona che non facesse parte di una casa discografica o che non avesse contatti con uno dei pochi stabilimenti al mondo che stampava i cari e amati dischi in vinile. Eppure nel Luglio del 1969 venne data la possibilità ai fans di tutto il mondo di ascoltare le registrazioni che Dylan fece con la sua band il 12 Aprile del ’67 in uno studio di


Woodstock, che non avrebbero dovuto essere pubblicate, di cui la casa discografica era all’oscuro e da cui Bob Dylan e tutti gli altri musicisti non avevano percepito guadagno, una pubblicazione insomma “illegale” che dava la possibilità di ascoltare del materiale di indubbia bellezza, di cui però non era prevista la pubblicazione. Da quel momento in poi nascerà un vero è proprio mercato alternativo sempre alla ricerca di materiale inedito da pubblicare, che sia registrato su un nastro magnetico in mezzo alla folla di uno stadio, o trafugato da uno studio di registrazione non ha alcuna importanza, basta che non sia già stato pubblicato da una Major e diventa subito appetibile; inutile dire che non tutto quello che viene dato alle stampe risulta qualitativamente accettabile, anzi, il più delle volte la qualità è veramente scadente, ma se pensiamo ai mezzi con i quali venivano immortalati quei momenti è già tanto che ci venga concesso il privilegio di poter ascoltare o vedere cose successe ormai più di 30 anni fa di cui ben poco altro è rimasto. I Beatles sono senza dubbio il gruppo musicale che più ha influenzato la musica del secolo scorso, eppure la loro carriera è durata un decennio scarso, e le loro pubblicazioni nell’anno dello scioglimento superavano di poco la dozzina possibile che dei 1500 Bootlegs che esistono della Band nessuno meritava una pubblicazione ufficiale? Che tutte quelle centinaia di ore di registrazioni dal vivo, inediti, cover e versioni alternative, fossero tutte cose da buttar via? Senza i Bootlegs non avremmo mai avuto modo di ascoltare le prime registrazioni effettuate nel Maggio del ‘60 a Liverpool quando ancora si facevano chiamare Quarrymen e Ringo starr ancora non era il loro batterista, ne tantomeno avremmo la registrazione della loro ultima performance dal vivo del ‘66 al Candlestick Park di San Francisco, decisamente di scarsa qualità e poco ascoltabile, ma comunque la documentazione di un momento storico che avrebbe cambiato la musica in modo irreversibile. Per molti anni comunque i

Bootlegs sono stati solo una merce di scambio tra fans e non un industria con un bacino di utenza enorme su cui lucrare, per un decennio è avvenuto un prolifico e innocuo scambio di audiocassette poiché non esistevano metodi diversi per registrare la musica al livello amatoriale: non c’erano CD, ne tantomeno Videoregistratori e quindi era impossibile registrare in modo adeguato un intero concerto. E’ curioso pensare che le uniche immagini dal vivo che esistono del Tour dei Beatles in Italia del ’65 sono tutte riprese amatoriali con piccole telecamere a pellicola 8mm, e che oggi quelle stesse immagini riprese “illegalmente” sono contenute in speciali televisivi o addirittura su nastri e DVD ufficialmente pubblicati ma come non era materiale “pirata”? L’apporto che il materiale pubblicato in vie non ufficiali ha dato a gruppi come i Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin, The Who, Queen e tutti i grandi gruppi Rock anni 70 è quasi incommensurabile, molte delle cose che noi oggi diamo per scontate o che annoveriamo come dei classici, nella maggior parte dei casi sono state pubblicate inizialmente come Bootleg o comunque sono state ritrovate e conservate in archivi tutt’altro che ufficiali, basti pensare alle varie performance negli studi radiofonici, alla BBC o nelle trasmissioni televisive dell’epoca, in quegli anni erano reputate inutili, o comunque dallo scarso valore commerciale per poter essere pubblicate con un margine di guadagno accettabile, eppure sono quelle stesse registrazioni che oggi invadono gli scaffali dei negozi di dischi con le loro scritte “Remastered” o “Special Collector’s Edition” e tante altre definizioni altisonanti che forse non avrebbero mai visto la luce se prima non avessero avuto la strada spianata da un trentennio di registrazioni pirata degli stessi show, e soprattutto se qualche tecnico lungimirante non le avesse messe da parte per la sua collezione privata. Va tenuto in considerazione il fatto che nella maggior parte dei casi chi registrava i concerti non era in grado di pubblicare e distribuire un bootleg, anzi non

ne era quasi mai intenzionato, il più delle volte era in lotta con chi lucrava sulle sue registrazioni tanto faticosamente effettuate durante i concerti: uno dei più grandi “archiviatori” di concerti dei Led Zeppelin durante i vari scambi ha spedito per anni audiocassette dei sui concerti con dei piccoli ma significativi tagli sparsi nel nastro, in ordine diverso per ogni scambio per evitare che i suoi nastri venissero usati per pubblicazioni pirata a sua insaputa, e per risalire ad un eventuale “traditore” grazie ai tagli sui nastri. Grazie a lui molti dei concerti più belli dalla carriera della band sono stati resi disponibili anche a chi in quegli anni non era neppure nato, dando la possibilità di ascoltare esecuzioni mai più ripetute e performance mai registrate da nessun’altro dopo essersi tolto la vita anni fa, molti hanno pensato che il suo enorme archivio sarebbe venuto alla luce, ma la madre decise che tutte le sua cose sarebbero rimaste dove erano e quindi la ricostruzione e l’integrazione delle parti mancanti, di tutti i suoi concerti che circolavano, avvenne con la minuziosa unione di tutti i suoi nastri sparsi per il mondo. Di personaggi così ne esistono a centinaia, gente sconosciuta che con la sua passione ha immortalato momenti e situazioni irripetibili, con un atto illegale ha salvato dall’oblio del tempo una performance insolita, un esecuzione straordinaria o più semplicemente l’ultima apparizione dal vivo di un grande artista, un vero peccato che mai il suo nome verrà reso noto ai più se non per essere indicato come un “pirata” che “uccide la musica”. Un altro punto su cui vale la pena soffermarsi, è quello prettamente riferito al lato contenutistico ed economico, una volta appurata l’importanza della registrazione in se come si fa a venirne in possesso e quanto è giusto pagarla? A questa domanda in realtà non esiste una vera risposta, il prezzo di un oggetto lo decidono sempre il venditore ed il compratore, e quindi più è alta la richiesta più sarà alto il prezzo a cui io troverò l’oggetto se lo troverò; non sempre comunque un bootleg molto caro contiene all’interno un incisione


che ne giustifichi il prezzo, a volte è molto raro perché e stampato in qualche paese lontano, altre volte è caro perché ne sono state stampate pochissime copie, oppure è un edizione particolarmente bella che quindi è costata molto di più in fase di produzione (tipo vinili colorati, cofanetti, edizioni apribili con libricini, foto ecc) una cosa è certa i Bootleg storici sono diventati tali per il loro contenuto più che per la loro bellezza esteriore, di solito sono registrazioni prese dai mixer audio dei concerti, oppure nastri trafugati dai vari studi di registrazione contenenti brani inediti o scartati, o se qualitativamente sono poco appetibili sono comunque la testimonianza di qualcosa di unico, l’ultimo concerto, il primo, l’unica volta in cui è stato eseguito quel brano o meglio ancora il

concerto in cui sul palco è salito a sorpresa un altro musicista che ha dato vita ad una jam session memorabile ed irripetibile. E’ interessante notare come molto del materiale pubblicato “illegalmente” negli ultimi 30 anni sia venuto fuori grazie a persone dentro l’entourage del gruppo in questione, se non addirittura grazie al gruppo stesso: Bill Graham manager degli WHO ha filmato per anni tutti i loro concerti per la sua “collezione personale” immortalando momenti storici più o meno belli della band di Pete Townshend e dando modo così di vedere performance come quella al Cow Palace del ’73, in cui Keith Moon collassando sulla batteria venne portato via da due Roadies e la band si vide costretta a finire il concerto con un ragazzo del pubblico che si improvvisò batterista per gli ultimi brani, un evento memorabile di cui per anni

si ebbero solo racconti scritti e fotografie! I Bootlegs quindi hanno segnato il passo, hanno cambiato non solo i gusti degli ascoltatori ma anche la filosofia con cui i discografici e gli artisti oggi pubblicano e pensano i prodotti, non esiste più del materiale da scartare, poiché se prima o poi verrà pubblicato illegalmente da qualcun altro, tanto vale la pena che lo pubblichi la casa discografica in un futuro non troppo lontano, non esistono più concerti che non valga la pena di registrare poiché se qualcuno lo farà ugualmente, con una qualità pessima e guadagnandoci sopra anche dei soldi, tanto vale che il concerto lo pubblichi il gruppo stesso. Questa filosofia un po’ consumistica ha perso molto terreno da quando sono nati i masterizzatori e soprattutto da quando è nato lo scambio di files su internet, intere collezioni e archivi sono stati trasferiti su formati digitali e scambiati su internet per anni, stroncando di fatto tutti i produttori di bootlegs sia audio che video, e facendo emergere da collezioni private, registrazioni mai apparse prima o credute perse da tempo, per tutti gli amanti della musica è stato un evento indimenticabile, anni in cui si è smesso di pagare cifre astronomiche per sbiadite registrazioni in bianco e nero di concerti usurati dal tempo, in cui i cd hanno rimpiazzato le fruscianti copie su nastro dei vari “Traders” di Bootlegs in giro per il mondo, ma purtroppo sono stati anni in cui si sono scambiati anche dischi ufficiali, facendo così tornare nell’occhio del mirino tutti quelli che per una vita si sono dedicati alla registrazione ed allo scambio di materiale amatoriale, trasformando nuovamente una passione per la conservazione di materiale inedito in un atto di “pirateria” a scopo di lucro; per fortuna che da qualche parte nel mondo in qualche concerto sperduto ci sarà sempre un “Signor Mapleson” pronto ad immortalare quella performance con i mezzi del momento sicuro

del fatto che comunque vada sarà uno show unico. Per una band come i Dream Theater questo discorso vale ancora di più, la loro abitudine di cambiare spesso le scalette ai concerti, la loro iper-produttività, la capacità di cambiare l’esecuzione dello stesso brano ogni sera, rende ogni nota unica, ed ogni momento passato accanto ai loro strumenti degno di essere registrato, fortunatamente sono in molti ad averlo pensato, in primis proprio Portnoy che dispone di un archivio sulla band veramente notevole, che recentemente sta venendo alla luce grazie ai suoi “Official Bootlegs”, ma quanto è trapelato di quest’archivio nel corso degli anni? Quanti e quali sono quei concerti che hanno visto la luce in modo “sospetto” e soprattutto chi è riuscito a metterci le mani sopra per pubblicarli? E’ una storia lunga che inizia 10 anni fa proprio mentre la band comincia a muovere i primi passi verso il successo, ed i fans cominciano a chiedere qualcosa di più dei soli 3 dischi all’epoca pubblicati, il primo fan club compie timidamente i primi passi e su internet appare il primo sito ufficiale della bandÉinsieme ad un altro sito, di un certo Mike Bahr che propone per soli 15 dollari un cd pieno di cose strane ma molto interessanti, il cd si chiamerà SUBCONSCIOUS ed sarà distribuito dalla Prism Records, ne verranno fatte solo 200 copie ma dopo l’uscita di quel cd niente sarà come prima tra i fans dei Dream Theater di questo però parleremo la prossima volta. By “Illegal” Millo


Sicuramente quando starete leggendo questo articolo avrete già strappato l’involucro di carta ed inserito l’Annual CD 2004 nel vostro lettore. Come ben sapete, dal 2000 non si parla più di Xmas CD ma di Annual CD ma nulla è cambiato visto che i tempi di decisione, compilazione e produzione sono sempre gli stessi e si finisce con l’inviare il cd a Natale (o poco dopo nel nostro caso e della maggior parte degli altri Fan Clubs). Ormai “oliati” nella produzione di questo regalo esclusivo, oramai sappiamo benissimo anche le tempistiche del progetto ed i modi per evitare le brutte sorprese che “Mr. Murphy” ci propina quasi ogni anno. Tutto è partito il 27 giugno quando abbiamo preso contatto con Mike proponendogli due idee per quello che sarebbe dovuto diventare il cd che avete in mano. Naturalmente con un “live” appena registrato, il nostro primo pensiero è andato sui brani “leftovers” dal Live at Budokan (ovvero i brani che non sarebbero stati inseriti nel cd per motivi di spazio). A seguire avevamo pensato anche agli estratti migliori del concerto del 25 gennaio 2004 di Bruxelles in cui la band suonò una splendida versione di To Live Forever. Piccola premessa, come d’abitudine, ancora una volta, si dice che questo debba essere l’ulti-

mo cd distribuito dai Fan Club e, poiché il Fan Club Internazionale chiuderà con la fine del 2004 (leggete i credits per maggiori informazioni), questa volta la voce è più grossa del solito. Con questo bene in mente, Mike ha deciso di stupire tutti ancora una volta, attingendo dai suoi nastri privati e donandoci la possibilità di lavorare su materiale preziosissimo. La musica del cd in questione è un po’ una raccolta del meglio del tour americano 2004, ma la scena principale è stata estratta dal concerto del Madison Square Garden.

le distorsioni incluse direttamente nei nastri originali non sono state completamente assorbite dal processo di ri-produzione a nostro carico. Dopo le prime 4 tracce ci troviamo davanti a ben 5 assoli o jam improvvisate; consigliato vivamente l’ascolto in cuffia per un’attenta analisi della qualità artistica e di esecuzione. Chiudono il cd le versioni di Vacant e Stream Of Consciousness con Eugene Friesen al cello e per un attimo ci addentriamo in un’atmosfera nuova che dal vivo nessuno di noi aveva vissuto.

Suonare a New York è come giocare in casa davanti al pubblico amico, e Mike ha sempre sognato di suonare al Madison già dai tempi del concerto di Live Scenes From New York. Lo spot che fa da opener a questo cd ci immedesima subito nel concerto della grande mela e ci fa anche capire quanto la band tenesse all’esibizione nella propria città. Come per la totalita del primo leg del tour europeo sentiamo suonare una band in grande forma (forse meglio del Budokan?) ed un mixaggio completamente diverso. Questo grazie a noi, infatti, le tracce dell’audio della soundboard (già ottimo di per se) non sono semplicemente copiate sul master per l’Annual CD, ma vengono prese in mano da persone esperte quali i capi dei Fan Club, ritrattate completamente in studio, riequalizzate, corrette degli errori nei volumi, cucite ed “adeguate” alle loro orecchie esperte e con degno risultato direi!!!

Dopo più di 70 minuti di musica si chiude anche questo (forse ultimo) capitolo. Certo, vista la situazione internazionale dovremmo promettervi “Ramaya”, invece vi diciamo che ci batteremo con tutte le nostre forze per tenere vivo questo famoso Annual CD (che già era dichiarato morto nel 2000!!!) anche per i prossimi anni ormai vi abbiamo abituati bene!!! Solo il tempo dirà se questa nostra battaglia ne varrà la pena.

Di certo cerchiamo di fare il migliore lavoro possibile con la massima professionalità, ma arriviamo fino ad un certo punto, e la nota inclusa nel booklet vi spiega che

Italian Dreamers Staff


Baldi giovini, gentili pulzelle, chiudiamo un anno fantastico per la band e per il Fan Club, seguire con dedizione e precisione tutte le molteplici attività facenti capo al mondo dei Dream Theater è diventata quasi la nostra scommessa da vincere. In primis, i concerti, non da meno le varie partecipazioni, i dischi solisti, le reunion, gli ospiti speciali ed infine il timbro di fabbrica, chiamato DVD, di una formazione fra le più attive del pianeta musicale mondiale. Per essere onesti con tutti voi, siamo in ritardo, lo sappiamo, ma abbiamo voluto dare priorità agli articoli che riteniamo più importanti ed interessanti. Tranquilli, stiamo già lavorando per portarci in pari e per non farvi perdere neanche uno starnuto proveniente da oltreoceano. Se vi chiedete se siamo stanchi vi sbagliate, in alto a destra trovate il nostro primo passo per il 2005. Ebbene si, sembra ieri ma la carriera dei Dream Theater è arrivata al benemerito traguardo dei vent’anni di attività. E noi festeggeremo, preparando anche del materiale speciale per l’evento, in esclusiva per i nostri soci, che vi verrà presentato nei prossimi numeri di Metropolzine. Venendo al concorso della fanzine precedente, in redazione ci sono giunte circa cinquanta risposte più o meno esatte, questo dimostra che le note musicali sono un percorso ancora impervio per molti. Il tema scritto sul piatto è quello del film “Il Padrino”, accennato da Jordan quest’estate per commemorare la scomparsa di Marlon Brando di cui Mike Portnoy era grande estimatore. Attenti al particolare però, infatti, nelle note scritte da Jordan sul piatto c’è un errore. Il buon tastierista, evidentemente abbagliato dal tiramisù ha indicato la penultima nota come un MI, ma in realtà dovrebbe essere un MI b. L’unico che si è accorto di questo e che ce lo ha fatto notare sulla sua cartolina è il suonatore di

fisarmonica Domenico Vasile – Tessera 4582 che avendo già vinto il concorso precedente legato al nuovo album di Jordan, non può bissare su questo numero. Riceverà, in ogni caso, una sorpresa extra da parte della redazione del Fan Club. I vincitori del CD Live at Budokan sono: Paolo Quadrino – Tessera 4659 Filippo Ferrarelli – Tessera 4321 Daniele Agostini – Tessera 3626 Per il prossimo concorso aumentiamo il livello di difficoltà in considerazione dei premi SUPER che vi regaleremo, la domanda a cui rispondere è la seguente: Che significato ha il pesce attaccato sulla tastiera di Jordan ripreso nel DVD ed evidenziato dalla freccia nella foto qui sotto? Sappiamo che la risposta è difficile e quindi premieremo anche chi andrà più vicino alla verità. Ecco cosa mettiamo in palio: DVD Live at Budokan, DVD Mike Portnoy Archives Live at Budokan (vedi pag. 3), promo “Selections from Live Scenes from New York”, singolo di “Afterlife” del 1989

rarissimo, singolo di “Through Her Eyes”, singolo di “Home”, copia autografata di “Six Degrees of Inner Turbulence”, promo “Transatlantic – Bridge Across Europe Tour 2001” 3000 copie limitate, promo di “The Jelly Jam 2”, copia del Christams CD del 1998 “Once in a Livetime Outtakes”, copia del Christmas CD del 1999 “Cleaning Out the Closet”. Nella lettera di risposta, oltre ai vostri dati inserite anche la vostra e.mail, se risulterete vincitori sarete contattati direttamente per comunicarvi cosa avrete vinto. Alla prossima Italian Dreamers C.P. 161 47838 Riccione Centro RN


L’iscrizione e’ diversificata in base al fatto di essere un vecchio socio oppure di non essere mai stato iscritto: VECCHIO SOCIO: all’interno del pacco trovate un bollettino postale prestampato da compilare con tutti i vostri dati comprensivi del vostro numero di tessera. Il bollettino va intestato a: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN C/c n. 37076098 - Il costo del rinnovo e’ di € 20.00 SOCIO EX NOVO: se non siete mai stati iscritti al Fan Club e lo volete diventare per la PRIMA VOLTA, dovrete inviare un vaglia postale di € 20.00 al seguente indirizzo: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN Sia per vecchi soci che per i nuovi l’iscrizione 2005 base comprende: Tessera Personalizzata - 3 numeri di Metropolzine - Regalo di Natale 2005. L’iscrizione ha validita’ nell’anno solare e scadrà il 31/12/2005 anche per chi si iscrive negli ultimi mesi dell’anno che, comunque, ricevera’ TUTTO il materiale pubblicato durante il 2005, salvo esaurimento scorte. NON ACCETTIAMO PAGAMENTI IN CONTANTI, NON SPEDITE BUSTE CON I SOLDI DENTRO. RICORDATEVI di inserire nel bollettino e nel vaglia SEMPRE il vostro Nome, Cognome e Indirizzo completo di Via, Numero Civico, CAP, Citta’ e Provincia. ATTENZIONE: per tutti i soci del 2004 annunciamo che la registrazione al sito www.italiandreamers.net (che permette di accedere ai contenuti riservati) sarà valida fino al 31/05/2005, dopodichè le liste verranno azzerato e bisognerà reiscriversi in base alle istruzioni che invieremo insieme alla nuova tessera del 2005. Per gli iscritti ex-novo al 2005, la registrazione sul sito va effettuata al ricevimento della tessera 2005.


Dream Theater & Train of Thought Italian Summer Tour 2004 crew. Altri ringraziamenti vanno a: Gianni Andreotti & Elena Zermiani@Warner Italia, Elena, Marzia, Cristina &Aldo@Barley Arts, Mariela & Andrea@Live, Gary @Elektra NYC, Byron Smith@Ernieball USA,Inside Out, Silvia@Audioglobe, Elio Bordi@Frontiers Records. La decisione di dedicare più tempo ai propri figli e alle proprie famiglie ha fatto si che al 31 dicembre 2004 il Fan Club Internazionale dei Dream Theater con sede in Olanda chiudesse definitivamente i battenti. L’attività dei rimanenti Fan Clubs negli altri paesi rimane invariata e continua senza sosta. Non possiamo fare altro che ringraziare l’intero staff olandese per il lavoro, la collaborazione, la dedizione, la professionalità assoluta e l’amicizia dimostrata in tutti questi anni passati insieme, auguriamo loro un felice futuro con le proprie famiglie e li aspettiamo, in ogni caso, ad un prossimo concerto dei Dream Theater. Grazie di cuore a Roots, Denis, John, Erik & Iris. Thank you guys and see you soon somewhere on tour!!! Un ringraziamento particolare agli altri DT Fan Club sparsi nel mondo: Seb & Stephane @Your Majesty Francia, Steffen,Margret, Michael&Darko@The Mirror Germania, Masa e Famiglia@Carpe Diem Giappone, Savvas@Infinite Dreams Grecia, Andreas@SDTS Svezia, Michael@Mikeportnoy.com, Dave H@Dementiaradio. Un saluto a Roberto Gualdi che ha indovinato in 30 secondi la melodia de “Il Padrino” durante una buia e umida sera a Pesaro prima di un concerto della PFM. FAN CLUBS UFFICIALI RICONOSCIUTI NEL MONDO Voices UK – P.O. Box 5286 Northampton NN4 6XD UK Your Majesty - 107, rue de Reuilly, 75012 Paris France The Mirror - Postfach 3137 50246 Pulheim Deutschland Carpe Diem! - 6-24-11, Ryoke, Saitama 336-0901 Japan SDTS - Fornbacken 3 152 56 Södertälje Sweden Infinite Dreams C/O Babis Hatzinakis - Marikas Kotopouli 15-19 - Zografou 15773 ATHENS DT Norway - Brosetveien 14D 7045 Trondheim Norway YtseBR - Rua Itapeti, 730, 03324-000 - Sao Paulo Brasil


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