Diavolo di un corridore promo

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marco pastonesi

corse, battaglie e miracoli di renzo zanazzi


Marco Pastonesi Diavolo di un corridore. Corse, battaglie e miracoli di Renzo Zanazzi Prima edizione in L’ammiraglia, maggio 2015 Arringa i concorrenti allineati alla partenza: Samuele Zamuner Dà il via alla competizione: Enrico Brizzi Presiede al cronometraggio: Marcello Fini Sventola la bandiera sul traguardo: Serena Tommasini Degna Offre la corona d’alloro al vincitore: Alessandra Maestrini Conclude la prova su un velocipede di fortuna: Tommaso Naon ufficiostampa@italicaedizioni.it, +39 347 8725246 Per la gentile concessione delle immagini l’editore ringrazia: il Centro documentazione La Gazzetta dello Sport per le fotografie; Paolo Gandolfi per le figurine contenute all’interno del testo e Andrea Gandini per la foto a pagina 252. Le illustrazioni alle pagine 62, 106, 122 e 176 sono di Serena Tommasini Degna. © 2015 Marco Pastonesi – Italica edizioni Isbn 978-88-98133-18-5 Italica edizioni è un sogno nato camminando tra buoni amici nel corso del grande viaggio a piedi Italica 150 http://www.italicaedizioni.it www.facebook.com/italicaedizioni info@italicaedizioni.it


A Filippo



Indice

Nota dell’editore p. 9 Il canto del gregario di Aldo Grasso 11 Diavolo di un corridore 15 Prologo – Chilometro zero – Pronti, via – Il primo gruppo – “Pisarel” detto il “Guzza” – L’Ambroeus – Severgnini – Il Vigorelli – Razioni e scaldarancio – L’ora – La Resistenza – Il Gino – Pugnaloni – Il Circuito degli assi – Via Cicco Simonetta – L’“Avocatt” – Bartali – La Milano-Sanremo del ’46 – Aldo Bini – Ricci Mario – Gregari – 1946: il primo Giro – Il “Luisin” e il mito della maglia nera – Pieris – Cottur – Iano – Seghezzi – Casola – Il Nando – Il 1947 – Il secondo Giro – Montanelli – La maglia rosa – Coppi – Mario Fossati – Koblet – Il Tour del 1951 – Serse – Parigi – Il “Pasutin” – Il Giovannino – Ettore e Sandrino – Magni Vittorio – Magni Fiorenzo – La Zanazzi – L’Alfonsina – Maspes e Gaiardoni – Meo – L’Ernesto – Stayer – Zandegù – La rivoltella – Quella volta che – I dieci comandamenti – Ultimo chilometro – Volata finale – Antidoping – Fuori tempo massimo (a Renzo) Ringraziamenti 223 Bibliografia su Renzo Zanazzi 225 Lo “Zanass” in milanés a cura di Giuseppe Figini 227 Le squadre di Renzo Zanazzi 231 Vittorie e podi 233


Una bella fuga ad inseguimento assicura a Zanazzi la maglia rosa di Massimo Rendina 235 Immagini 239


Nota dell’editore

Il mestiere di editore, in un tempo come il nostro, richiede attitudini non dissimili da quelle che si esigono da un ciclista: fermezza d’animo, stoica sopportazione dello sforzo e fede cieca nel fatto che, in mezzo a tante fatiche, arriveranno senza preavviso momenti nei quali si riuscirà a cogliere la meraviglia di stare al mondo, e di ritrovarsi impegnati in ciò che si sognava fin da piccoli. Per la nostra giovane e combattiva casa editrice, uno di quei momenti è arrivato quando Marco Pastonesi ci ha consegnato le prime bozze di Diavolo di un corridore. A dire il vero, ancor prima di ricevere il testo in lettura, eravamo già onorati all’idea che il nostro catalogo fosse impreziosito da una firma prestigiosa come la sua, letta in calce a centinaia di articoli in grado di cantare con voce da fuoriclasse l’epica del ciclismo; che narrasse la storia d’un campione o d’un gregario, un testo di Pastonesi l’avremmo comunque pubblicato con piacere. All’apparire del racconto, però, il compiacimento ha lasciato spazio alla stupefazione: non eravamo, infatti, di fronte all’attesa monografia su Renzo Zanazzi, corridore, partigiano e galantuomo, ma a un racconto – il racconto – sugli anni d’oro del ciclismo italiano, narrati dalla viva voce dello “Zanass”, una voce onesta e scanzonata proveniente dal paradiso dei corridori, della quale Pastonesi si è fatto discreto e meritevole tramite. Possiamo dire, nel nostro piccolo, di avere assistito a uno dei miracoli ai quali si accenna nel sottotitolo dell’opera: per chi prenderà in mano questo testo, Bartali non sarà più Bartali, e Coppi non sarà


più Coppi, e non nel senso che il loro mito ne risulterà sminuito, ma che si trasformerà in storia reale, umana, tridimensionale. Grazie a questo racconto, neppure Milano sarà più la stessa, e vedremo con occhi diversi tutto il Paese, bello e scalcagnato, che ha la ventura di ospitarci sul proprio suolo, nutrirci delle proprie leggende e osservarci vivere un giorno dopo l’altro, affamati di giustizia e assetati di libertà. Difficile immaginare una scrittura più “impegnata” e, allo stesso tempo, più lieve di quella che ci conduce a voler bene ai suoi protagonisti, alle strade che hanno percorso in lungo e in largo, e alle città alle quali hanno regalato motivi d’orgoglio: in questo senso, il presente volume è anche un atto d’amore, ed è per noi un piacere farci da parte in silenzio, e lasciarvi in compagnia delle sue pagine. E.B.

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Il canto del gregario

I sax spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga… Paolo Conte, Boogie «Milano è la patria delle biciclette: qui le fabbriche, dalla Turri e Porro alla Bianchi, dalla Prinetti & Stucchi alla Dei. Milano è il regno delle piste: qui quella in terra battuta al Trotter, poi quella in legno all’Arena, poi quella del Sempione (Borg di scigolatt, “borgo dei cipollari”, “degli ortolani”), in via Giovanni da Procida, quindi quella smontabile nel Palazzo di piazza VI febbraio. Milano è la capitale del ciclismo: e il 28 ottobre 1935 s’inaugura il velodromo di via Arona, voluto da Vigorelli». Se Milano è la capitale del ciclismo (italiano), Marco Pastonesi ne è il cantore più sensibile, qui più che mai in stato di felicità narrativa. Competente come pochi, passionale senza ritegno, padrone della scrittura come un suiveur d’altri tempi, Pastonesi ci regala un romanzo di rara intensità: l’aria che si respira è lieve, ma c’è un pullulare di sensazioni, di ricordi, di epica “povera”, di precisione evocativa che di rado si trova nei libri che parlano di sport. A una prima lettura, Diavolo di un corridore è il racconto della vita di Renzo Zanazzi, come si dice in questi casi “un pezzo di storia del ciclismo”. Nato a Gazzuolo (Mantova) il 5 aprile 1924, Renzo era il più vecchio di tre fratelli tutti promettenti ciclisti – gli altri due erano Valeriano (classe ’26) e Mario (classe ’28) – e si è segnalato particolarmente nelle prime stagioni del secondo dopoguerra. Dopo i travagli del conflitto, Renzo era approdato 11


alla corte di Eberardo Pavesi alla Legnano, al servizio di Bartali, e con Gino è rimasto tre anni. Il campione toscano apprezzava Renzo, tanto che sia nel 1946 che nel 1947 lo ha voluto con sé alla Tebag per due vittoriosi Giri della Svizzera. Successivamente, Renzo ha fatto un po’ il giramondo: nel 1948 ha corso per la Cimatti, poi è passato alla Viscontea, poi due anni alla piacentina Arbos, infine, nel 1952, Fiorenzo Magni lo ha voluto con sé alla Ganna. Terminata la carriera di ciclista, ha fondato, assieme al fratello Valeriano, la linea di biciclette che porta il suo cognome. «Il suo ciclismo» parola di Pastonesi «era quello avventuroso degli anni Trenta e Quaranta, poi quello di Bartali e Coppi, ma anche di Malabrocca e Pinarello, negli anni Cinquanta. […] anarchico, ribelle, libero, sempre attaccante, cattivo, esplosivo, ostinatamente diretto, schietto, vero. Dinamite pura, la sua, perché il suo motore era così contadino e operaio, così semplice e umano, che gli bastava un solo caffè per mandarlo fuori giri e, nel caso, procurargli i crampi». Ma è sufficiente entrare nel cuore di Diavolo di un corridore per capire che lo “Zanass” è anche un espediente retorico, una voce monologante per raccontare la lunga storia del ciclismo italiano con una vivacità che solo il racconto orale sa restituire, come se tutto il libro fosse un unico respiro. Lo “Zanass” è anche un punto di vista, quello del gregario, parola che un certo bigottismo del politicamente corretto ci fa pronunciare con qualche rossore, ma che alla fine testimonia solo insofferenza nei confronti di tutto ciò che ha una qualità. Ebbene sì, gregario. «Il gregario è l’angelo della borraccia, anche se certi gregari riempiono la borraccia con l’acqua delle mangiatoie, un po’ perché sono bolliti e un po’ perché sono incattiviti contro i capitani troppo esigenti». I grandi gregari sono uomini fatti per soffrire e, quando vincono, non è consentito loro ridere, devono penare e basta, perché è quasi una vittoria concessa: ai tempi del ciclismo epico accadeva che talvolta il capitano lasciasse vincere un suo scudiero, giusto per lasciargli la soddisfazione 12


di “una qualche diecimila”. Nei primi anni della televisione, Ugo Tognazzi, con Gregorio il gregario, ne ha tracciato una parodia a tratti spietata. A proposito di televisione, in un’intervista del marzo 1990 a Dario Ceccarelli, Sergio Zavoli cerca di descrivere il malessere del ciclismo moderno: «È come se la tv avesse livellato ogni differenza. Prendiamo la figura del gregario: una volta lo si distingueva fisicamente. Aveva addosso una specie di destino, gli si leggeva in faccia che portava l’acqua e spingeva il capitano. Il ciclismo in tv è bellissimo e senz’anima. Uno spettacolo straordinario per gli occhi che non raggiunge mai la fantasia. Avrebbe bisogno di ciò che lo fece grande e forse non c’è più: l’epos popolare. Certo sarebbe splendido se si potesse mettere assieme il romanzone di ieri e le risorse tecniche di oggi, l’imprecisione un po’ teatrale del passato e l’attuale rigore documentale, la suggestione di ieri con la tecnica di oggi». Il gregario, le fontane per riempire le borracce, l’epos popolare: Zavoli finge di non sapere che proprio Il processo alla tappa (una delle trasmissioni più belle della storia della tv italiana) è stato un canto d’addio a quel ciclismo scarsamente tecnologico, poco sponsorizzato, non ancora “riscritto” dalla televisione. Diavolo di un corridore è epos puro, parole che cercano di sfuggire all’avvento della televisione. Ma è anche qualcosa di più sottile, di candidamente perfido: attraverso i racconti in prima persona dello “Zanass” scopriamo la scena e il retroscena, le grandi imprese e le piccinerie dei corridori. C’è un ritratto di Bartali (che non voglio svelare) che vale tutto il libro, c’è una storia fra i fratelli Coppi di cui nessuno ha mai riferito, c’è il racconto di Alfonsina Strada, la prima e unica donna ad avere mai corso il Giro d’Italia, ci sono tanti altri aneddoti che non smetteresti mai di divorare… In ambito narrativo, sposare il punto di vista del gregario è scegliersi una visuale inusuale, come quella dei domestici in Downton Abbey (dove si anima un gioco formale tra il “sopra” e il 13


“sotto”, dove prendono corpo le dinamiche sociali fra “servo” e “padrone”, secondo una consolidata tradizione drammaturgica inglese), o come quella dell’addetto ai bagni in Gilda, il film con Rita Hayworth, l’unico personaggio ad avere il privilegio di scrutare il mondo dal basso verso l’alto. La tangenzialità della narrazione consente di cogliere uno stile di gesti, una caricatura di voci, una dispersione di personaggi, come un gruppo in fila indiana. Zanazzi ha trasformato il suo ciclismo in un’allegoria della vita: «Ogni pedalata era una lezione, ogni curva un ripasso, ogni sguardo una battuta, ogni giornata una tappa». Di questo racconta l’autore. Aldo Grasso

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Diavolo di un corridore

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Istintivo, sincero, spontaneo. Secco, asciutto, tagliente. Anagraficamente vecchio, naturalmente giovane. Genuino, vero, autentico. Ancora, a volte, cattivo, così come lo era, sempre, in corsa. Allegro, divertente, perfino spettacolare. Scoppiettante, vulcanico, esplosivo. Prima da corridore. Poi da cantastorie, non contastorie. Magari bauscia, mai casciaball. La storia raccontata – in prima persona – da uno che la storia l’ha incrociata e percorsa, attraversata e accompagnata. Non solo da ciclista, ma anche da ragazzino e da uomo, da partigiano e da testimone. La storia vissuta sulla strada e in pista, in fuga e all’inseguimento, davanti, in mezzo, in fondo al gruppo. La storia non ufficiale, ma reale. Dove non ci sono santi ed eroi, semmai soldati e guerrieri, molti in bicicletta, ma anche a piedi. Renzo Zanazzi era. Adesso, forse, grazie a questo nostro Diavolo di un corridore – glielo dovevo, con tutto il cuore –, Renzo Zanazzi è e sarà. Marco Pastonesi

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Prologo

Il 2 aprile del 1950. Domenica. Giro della provincia di Reggio Calabria: classica del calendario italiano, ma anche del calendario mondiale, tant’è che quel giorno in programma ci sono soltanto il Giro delle Fiandre e il Giro della provincia di Reggio Calabria. Al Nord muri e pavé per Magni Fiorenzo, al Sud la rivincita della Milano-Sanremo, in cui Bartali ha legnato Coppi. Qui, in tutto, 242 chilometri di mangia-e-bevi meridionali e, a una cinquantina dall’arrivo, il Sant’Elia, 11 chilometri di salita al 6-7 per cento, con rampe al 12. A Reggio Calabria ci arriviamo in treno, bici come bagaglio al seguito, terza classe, sedili di legno, per fare la cresta sul rimborso del biglietto; invece per i più fortunati c’è proprio Coppi che li ospita nel suo scompartimento in prima classe. Pronti, via: entro nella prima fuga, ci sono anche Martini e Vincenzo Rossello, il più forte dei due fratelli Rossello. Ma la prima fuga, di solito, non è mai quella buona. Tant’è vero che ci riprendono. Io, però, tengo duro. Sono ancora davanti, nel gruppo di testa, e ho la gamba buona. Affrontiamo il piano della Limina, che sarà anche “piano”, ma per arrivarci bisogna fare una salitona fino a 800 metri. Mi dico: se scollino con i primi, o poco dietro, poi non si sa mai, rimane solo il Sant’Elia e, se si arriva in volata, me la gioco. Così attacco la salita, con convinzione, con decisione, con un bel passo, il più forte che riesca a tenere. L’azione fa effetto: il gruppo si allunga in fila indiana, poi perde i pezzi, si fa selezione, si rimane in po19


chi. Finché, a metà della salita, sempre in testa, mentre prendo un tornante al largo dove la pendenza è più dolce, da dietro, prendendo il tornante stretto dove la pendenza è più forte, eppure a velocità doppia, alla mia sinistra sopraggiunge Coppi. Mi fa: «Dài, Renzo, che quello ha forato». “Quello” sarebbe Bartali. Ma Coppi va come una moto. Con due pedalate mi stacca. E mi stacca anche sogni e gambe. Così, con l’ultimo respiro, gli dico – ma si potrà dire? – «Va’ a dà via ’l cü, te e Bartali». Quel giorno Bartali fora quattro gomme, Coppi tre, io due. Anche in questo esiste una gerarchia. Le strade fanno pena. A Bartali si spacca pure la sella. Strade – statali e provinciali – facendo, Coppi molla anche Ortelli e Astrua, e passa con quasi sei minuti di vantaggio su “quello”, lui, Bartali. E al traguardo, Coppi – gli ultimi 48 chilometri di fuga, da solo, sotto l’acqua – arriva con quasi cinque minuti di vantaggio sul secondo. Che è sempre “quello”, lui, Bartali. E una settimana dopo, Coppi vince la Parigi-Roubaix allo stesso modo: i 45 chilometri finali, dei 247 di corsa, se li fa in fuga, da solo, e con quasi tre minuti sul secondo, che stavolta non è “quello”, lui, Bartali, ma fa niente. T’è capì l’antifona?

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