Binda. L'invincibile

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edoardo rosso


Edoardo Rosso Binda. L’invincibile Prima edizione in L’ammiraglia, aprile 2015 Arringa i concorrenti allineati alla partenza: Samuele Zamuner Dà il via alla competizione: Enrico Brizzi Presiede al cronometraggio: Marcello Fini Sventola la bandiera sul traguardo: Serena Tommasini Degna Offre la corona d’alloro al vincitore: Alessandra Maestrini Conclude la prova su un velocipede di fortuna: Tommaso Naon ufficiostampa@italicaedizioni.it, +39 347 8725246 Per la gentile concessione delle immagini e dei documenti contenuti nel volume, l’editore ringrazia la Collezione Lamberto e Luca Bertozzi. © 2015 Edoardo Rosso – Italica edizioni Isbn 978-88-98133-17-8 Italica edizioni è un sogno nato camminando tra buoni amici nel corso del grande viaggio a piedi Italica 150 http://www.italicaedizioni.it www.facebook.com/italicaedizioni info@italicaedizioni.it


Indice

Prologo. 1927, Nürburg, altopiano di Eifel, Germania p. 7 Hanno ucciso il re! 11 Cittiglio, 1919 14 Lavorare… paga! 18 Binda, “l’italien” 22 Un paese sull’orlo della guerra civile 25 Il Girardengo della Costa Azzurra 31 Il “Trombettiere” torna a Cittiglio 39 Il primo Giro d’Italia 53 La leggenda di Ottavio Bottecchia 63 Il Giro di Lombardia 1925 65 1926, il secondo Giro 67 Con Bottecchia sul Ghisallo 74 1927, l’anno delle tre vittorie 79 L’ultimo allenamento di Bottecchia 84 In bicicletta negli Stati Uniti 87 1928, a caccia del secondo iride 93 A fare il pieno da “Mentin” 103 Binda contro Ronsse 105 Un uomo che vince troppo 113 Il mondiale di Liegi 123 La Coppa del duce 127 Dov’è Fredo? 133 Quasi un algoritmo 137 Un mondiale a cronometro 141


“Binda! Vai al ricovero!” 145 Di trionfi e sconfitte 147 La fatale Novi Ligure 157 Di nuovo sulla strada 161 Alla “Grande Boucle” con due capitani 171 Sposereste un uomo più vecchio? 177 Let it be 179 Documenti 183 Illustrazioni 203


Prologo 1927, Nürburg, altopiano di Eifel, Germania

Nonostante sia il 27 luglio, la giornata è fredda e umida. Il nastro d’asfalto lungo il quale si svolgerà la competizione si snoda fra boschi fittissimi e bui, degni di un romanzo cavalleresco. Ma oggi, sul circuito del Nürburgring, non v’è traccia di Artù né Lancillotto, anche se, a ben guardare, i cavalieri non mancano: in sella ai loro destrieri d’acciaio ci sono cinquantacinque atleti, pronti a disputare la prima edizione del Campionato del mondo di ciclismo su strada aperta anche ai professionisti. Il tracciato sul quale verranno scritte pagine epiche della storia degli sport motoristici ospita, oggi, una gara silenziosa. Niente benzina né motori a scoppio. Solo uomini avvezzi alla fatica e biciclette da dodici chili con cerchioni di legno e selle in cuoio. A indossare i colori del Regno di Vittorio Emanuele III di Savoia ci sono sei italiani. Fra questi, spiccano due nomi leggendari: Costante Girardengo e Alfredo Binda. Due generazioni a confronto. Girardengo, il “Campionissimo” al culmine della sua carriera, ha trentaquattro anni e vanta 9 Campionati italiani, 5 Milano-Torino, 5 Milano-Sanremo e due Giri d’Italia. Binda è di dieci anni più giovane, ma si è già dimostrato capace di vincere due Giri d’Italia. I rapporti fra i due sono tiepidi, vige una rispettosa diffidenza. Il grande campione ha ancora molto vigore da spendere, ma quel giovane nato a Cittiglio, nel varesotto, a pochi chilometri dalla salita del Ghisallo, è nella fase ascendente della sua carriera.


Quel giorno, il freddo non è solo meteorologico: il pubblico è praticamente assente. Adenau, la località più vicina al circuito, non è facile da raggiungere, e la Germania non è particolarmente affezionata a questo sport. La musica lirica che esce dagli altoparlanti sembra rimbalzare contro quel cielo scuro come l’asfalto per ricadere poi sulla tribuna quasi deserta. I ciclisti sono pronti. In sella ai loro mezzi, scambiano le ultime parole con i preparatori atletici, poi, al segnale del giudice di gara, prende avvio la corsa. Non sappiamo quante uova crude, principale doping dell’epoca pionieristica, abbia trangugiato quella mattina il venticinquenne Binda, ma la sua pedalata è quella di sempre: fluida e potente. Un’andatura tanto controllata e sicura che, se gli avessero posato sulle spalle una tazza di latte, questa sarebbe giunta al traguardo ancora piena. L’aria dell’altopiano non accenna a scaldarsi. L’umidità promana direttamente dai boschi che costeggiano i 22 chilometri di pista. Una nebbiolina bassa persiste, come un lenzuolo, appena sopra la strada, giusto all’altezza delle caviglie dei ciclisti che affrontano una dopo l’altra le 172 curve del tracciato. Gli atleti devono percorrere il Ring otto volte per un totale di 182 chilometri. Il ritmo di gara dettato dal gruppo di testa è elevato e non concede sconti. Dopo il sesto giro sono rimasti solo 20 corridori a contendersi il titolo mondiale. Qualcuno si è ritirato, qualcuno è ormai troppo attardato. Il grado di difficoltà, l’inconsueta lunghezza e l’ambientazione silvestre sono valsi a questo circuito il soprannome di “Inferno Verde”. E un piccolo inferno è quel che sta per scatenarsi nei cieli sopra Nürburg. A ogni giro, la luce è sempre più scarsa. La giornata sembra correre incontro a un tramonto precoce. Le nubi si addensano in un vasto blocco compatto e la quantità d’acqua che


si intuisce lassù pare determinata ad allagare l’intera Germania. Sembra quasi notte quando un bagliore illumina a giorno il rettilineo sul quale sta transitando il plotone italiano composto da Belloni, Piemontesi, Girardengo e Binda. Il cielo crolla e inizia a riversare sull’altopiano dell’Eifel secchiate d’acqua fredda. Lo scatenarsi degli elementi provoca nel “Campionissimo” Girardengo una reazione immediata. Quasi ubbidisse alle stesse leggi che regolano i fenomeni atmosferici, si scatena anche lui. Lascia il gruppo e fugge verso gli ultimi due giri. Si allontana rapidamente dalla squadra italiana ma, da quello stesso gruppo, si stacca un altro atleta. Alfredo Binda serra la mascella, richiama le energie conservate fino a quel momento e si lancia nel tunnel di pioggia e vento nel quale vede fuggire Girardengo. Dopo poche pedalate è alla ruota del “Campionissimo”. Mancano due giri alla conclusione, non smette di piovere. A condurre la gara, davanti a tutti, ci sono due italiani, il più anziano in testa. È lecito immaginare che in quei lunghi rettilinei i due moderni cavalieri distinguano solo due suoni: quello del proprio cuore che batte e il sibilo dei copertoni sull’asfalto bagnato. Ciascuno di loro sa esattamente quanta energia ha ancora a disposizione, mentre iniziano i 22 chilometri dell’ultimo giro. È a questo punto che Alfredo Binda sferra l’attacco decisivo. Si avvicina al “Campionissimo”, pedala nella sua scia il tempo necessario ad acquistare maggior velocità e lo sorpassa. Girardengo cerca di non lasciarlo andare via e prova a stargli dietro. Binda però non è solo forte, è anche tattico: inizia infatti ad infliggere all’avversario una serie di scatti in avanti. Un invisibile elastico sembra legare i due sfidanti. Binda si lascia raggiungere poi fugge un poco in avanti, poi di nuovo. Finché l’invisibile elastico si spezza. Girardengo desiste, Binda vola in solitaria. Il “Campionissimo” ha accusato il colpo. Forse più nella mente che nel fisico. Capisce in quell’istante, con lo sguardo perso nella traccia


liquida lasciata sulla pista dal passaggio del compagno, che la sua epoca è finita. Di fronte a lui, l’erede: il ciclista che vincerà più di ogni altro e che nel giro di poche curve sarà il primo professionista campione del mondo di ciclismo su strada.

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