THE GREAT MASTERPIECES OF WORLD LITERATURE

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Capolavori della letteratura mondiale Dante

Goethe

shakespeare Molière

raccontati da RobeRto Mussapi e illustrati da GioRGio baCChin


La Divina Commedia di

Dante alighieri

raccontata da RobeRto Mussapi e illustrata da GioRGio bacchin

gli angeli

Dante beatrice Caronte

Matelda

Virgilio ulisse


presentazione

international Copyright © 2007 by editoriale Jaca book spa, Milano all rights reserved prima edizione italiana settembre 2008

isbn 978-88-16-57280-5 per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a editoriale Jaca book, servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano tel. 02.48561520/29, fax 02.48193361 e-mail: serviziolettori@jacabook.it internet: www.jacabook.it

il più grande poema dell’umanità nasce nel buio. il protagonista, lo stesso autore, racconta di come si trovò perso nell’oscurità di una selva: “nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita”. La selva è il mondo esterno alla città, il luogo del mistero in tutte le fiabe, il luogo del sogno, come vedremo in shakespeare nel sogno di una notte di mezza estate. Ma ora, nel passaggio tra il xiii e il xiV secolo, con Dante alighieri, come tra qualche secolo con shakespeare, questo sogno, che ha luogo, o inizio, nel bosco, non è ingannevole. Dante racconta di come si perse nel buio fosco della selva, avendo smarrito la retta via, la via della virtù, per alighieri cristiano, la via della poesia, per alighieri poeta. La via verso casa, aggiungerò, poiché Dante, in seguito a una delle tante lotte intestine al comune di Firenze, in quel turbinoso periodo dei comuni italiani – pieno di luce e buio, grandezza e sangue – apparteneva a una fazione sconfitta, ed era stato condannato all’esilio, pena, in caso di ritorno in patria, l’amatissima Firenze, l’esecuzione capitale. il poema più glorioso dell’umanità, in cui un uomo racconta in versi irraggiungibili la sua discesa agli inferi, la risalita faticosa alla tremante quiete purgatoriale, su, fino ai santi, fino al fuoco di Dio, nasce dal buio, e il viaggio più assoluto di ogni tempo, dal fondo dell’inferno alle altezze divine, è stato compiuto da un esule. privato della sua patria, alighieri scopre la patria universale, quella che preesiste al nostro mondo, e lo giustifica, e vivrà eternamente dopo la fine del mondo terreno. il poema di Dante, La Divina commedia, nasce come rappresentazione; il termine commedia significa che l’autore intendeva offrire una rappresentazione totale, una messa in scena della sua avventura. Che inizia nell’oscurità. Dante si è perso nella vita, cupe apparizioni, nella selva, gli fanno disperare di salire verso il colle che adombra una via di salvezza, un mutamento. Ma gli appare un’ombra, quella di Virgilio, il grande poeta latino, il maestro del mondo non ancora cristiano: sarà la sua guida. Dante, insomma, aspira a

scrivere un poema quale è stato per l’età classica l’eneide, epopea della fondazione di Roma. il fiorentino supererà il pur grande maestro, forse in virtù della sua umiltà. infatti il suo viaggio, che parte dai dannati, dagli assassini, gli usurai, i perversi, alle anime espianti del purgatorio, fino a quelle beate in Dio, non è ascritto a proprio merito, ma a Virgilio, il maestro, e all’intervento di Lucia (santa della vista, che insegna a riconoscere il vero oltre le apparenze), che ha inviato beatrice, la donna che Dante infinitamente aveva amato e che era morta giovanissima. alle spalle di Dante c’è un secolo straordinario in cui, al sud, nelle corti siciliane, nasce come un radioso agrume la lingua poetica italiana, che sale a nord a maturare sotto un non meno caloroso sole, quello della toscana. Qui la poesia italiana, già grande nei siciliani, trova il suo apice: Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti, sono le punte di diamante di una prodigiosa fioritura poetica in cui il tema dominante è l’amore. il poeta arde per la donna amata, in lei si consuma. anche alighieri scrive rime affini a quelle dei suoi grandi amici, Cavalcanti, Lapo Gianni, rime di amore per beatrice, fino a fondere liriche e narrazione nel libro che celebra l’amata, La Vita nuova. siamo a un passo dalla scelta epocale: da questa sintonia tra poesia e racconto nasce l’idea del poema, il poema dell’uomo che, perso nella sua miseria, è salvato dalla guida dei poeti, e dall’intercessione della donna amata e scomparsa da questo mondo. potremmo sospettare che Dante dedichi la sua vita di esule a scrivere La Divina commedia allo scopo di ritrovare beatrice, lassù, a lambire la luce indescrivibile di Dio. Certo la poesia d’amore siciliana e stilnovista diviene con il suo capolavoro poesia di amore universale, dove il volto della donna si perde in quello di Dio, e dove il poeta s’immerge appieno nel fango e nella gloria dell’umanità, fino a giungere, dopo una lenta risalita che attraversa infinite persone e figure, infinite storie e vite passate, al cospetto di Dio, che non può essere descritto: il poema finisce con Dante in estasi, abbagliato di fronte a Dio, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

ponte Vecchio. Costruito in epoca romana, più volte distrutto e riedificato, è il perenne simbolo di Firenze. a Firenze nacque nel 1265 Dante alighieri, che morirà a Ravenna nel 1321, in esilio. era stato infatti cacciato dalla fazione vincente della sua città e costretto a non farvi mai più ritorno, pena la morte. il destino negava la cittadinanza nel luogo di nascita all’uomo che col suo viaggio avrebbe abitato l’universo.

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Quadro primo

nel mezzo della mia vita mi persi in una selva oscura. non trovavo più la retta via. buia e terribile, mi vennero incontro una pantera, un leone e per ultima una lupa, che mi atterriva, impedendomi di salire in cima al colle dove volevo andare, costringendomi a tornare indietro, nella selva spaventosa. non ricordo esattamente come vi entrai, tanto ero pieno di sonno in quel punto che persi la strada, o la coscienza. Ma quando giunsi ai piedi di un colle, là dove terminava quella valle che mi aveva riempito il cuore di paura, vidi la sua sommità illuminata dal sole, luce di Dio. e allora un poco si quietò la paura che perdurava nel lago del mio cuore per tutta quella notte, quella notte buia in cui da troppo tempo vivevo. hai presente un naufrago, che giunge a riva ansimante, miracolosamente salvo? ecco, quello ero io, e come il naufrago si volge a guardare il mare che stava per inghiottirlo… Mi riposai un poco e cominciai a salire, ma ecco mi venne incontro una pantera, splendida e terribile. Decisi di proseguire, nonostante il terrore, ma a quel punto mi si parò davanti un leone, che sembrava avanzare verso di me, a testa alta, con fame rabbiosa, e poi d’improvviso una lupa magrissima, crudele:

di fronte al suo sguardo famelico e laido persi ogni speranza di giungere alla cima del colle, e capii che stavo tornando in basso, nella selva oscura. Lì mi accorsi di lui. e lui, ombra o persona, mi parlò, allora, rispose alla mia supplica. “sono Virgilio, di Mantova e di Roma.” il mio maestro, il grande poeta latino che aveva scritto l’eneide, il poema dell’esule di troia che giunse in italia e fondò Roma. Mi inginocchiai davanti a lui, chiedendo aiuto. e l’aiuto venne, subito.

Dante

Virgilio

“per questa strada non giungerai mai alla cima, Dante, ti condurrò per un’altra via, se davvero vorrai lasciare alle spalle la selva, se davvero tu vuoi salire. sarò la tua guida, ti condurrò per un luogo eterno, dove udirai grida disperate, vedrai gli antichi spiriti dolenti, e poi ne incontrerai altri, che soffrono, ma sono felici perché sperano che il loro dolore abbia termine e un giorno possano giungere lassù in alto, accanto a Lui, in paradiso. e poi, se vorrai, se ne sarai capace e degno, anche tu salirai a Lui.” per questo io voglio raccontarvi il mio viaggio, e ne farò poesia, perché nessun uomo lo dimentichi mai, e tutti conoscano la vita ultraterrena, lo strazio dell’inferno, la lenta e dolce redenzione

del purgatorio, la luce splendente del paradiso. Fu una donna, beatrice. L’avevo incontrata a Firenze, la mia città, a nove anni, mi era entrata nel cuore per sempre. a ventisei anni beatrice moriva. “È stata lei a scendere, nel Limbo, dove io abito tra i giusti e i buoni ma privi di battesimo, perché nati prima di cristo” disse Virgilio. “È scesa dal cielo più alto, dove canta tra i beati, per amore tuo, Dante, mi ascolti, per amore di te che ti eri perso nella disperazione, in una vita senza luce e senso. Lei mi ha chiesto di soccorrerti e guidarti, io sono qui per te in obbedienza a lei, che ha saputo scendere dal cielo per amore di un uomo. seguimi, e seguendo me tu la rivedrai.” “io era tra color che son sospesi”, ricordo disse Virgilio di sé, quando lei scese. e di lei: “Lucevan li occhi suoi più che la stella”. parlandomi di lei, vinse la paura che all’improvviso mi aveva colto di fronte a una simile impresa. io sono un uomo, un mortale, gli avevo detto. come posso scendere al regno dei morti, come hanno fatto prima di me solo pochi grandi eroi, mossi dal destino? Mi disse di non cedere alla viltà, beatrice era più del destino, era al fianco dell’amore divino. allora vinsi la paura, mi accinsi di nuovo all’avventura, con impresse nella mia mente le parole di lei, che si devono temere solo quelle cose che hanno potere di far male ad altri, solo quelle. così, come un marinaio segue l’onda e la rotta tracciata dalle stelle, io iniziai il mio viaggio, guidato dal mio maestro Virgilio.

Dante si trova perso in una selva oscura: appaiono tre figure terribili: una pantera, un leone, una lupa. Dante è disperato, non può salire verso l’argine, le tre fiere gli sbarrano il cammino. si accorge di un’ombra, che sembra guardarlo. È Virgilio, il grande poeta, il suo maestro. Gli annuncia che lo guiderà dall’inferno al purgatorio fino al paradiso.

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Quadro secondo

“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”: ho visto la porta dell’inferno, con incise queste parole finali. poche righe: di qui si va alla città dolente, nell’eterno dolore. Rimasi atterrito. “Qui bisogna che scompaia ogni viltà o paura – disse Virgilio – qui siamo all’ingresso del luogo delle anime che non hanno rispettato Dio”. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, in quell’aria senza tempo, opaca, sporca, fangosa. una moltitudine infinita, tanta gente che non avrei creduto che tanti la morte ne avesse disfatti… ne vidi una turba addensarsi sulla riva di un fiume nero e caliginoso, l’acheronte. Qui, sulla sua barca il vecchio terribile, caronte con gli occhi diabolici, li aduna a bordo, picchiando col remo quelli che cercano di resistere, li carica per traghettarli alle rive del regno buio senza ritorno dell’inferno. il demonio caronte, con gli occhi di brace, mi urlò che non era quella la mia riva, che non avevo diritto di traghettare, io anima viva e non dannata, ma Virgilio lo mise a tacere: “si vuole così là dove si può tutto ciò che si vuole, e basta domande.” allora tacque e obbedì, e io vedevo le anime stanche e nude, cambiare colore e battere i denti. così ad uno ad uno caronte li raccolse sulla barca, percotendoli, e quando il fiume nero fu attraversato, un forte terremoto scosse la ri-

va, e io svenni, come sprofondando in un sonno irresistibile. ho visto, nobile scena, le anime del Limbo, i sapienti, i buoni, nati prima di cristo e non battezzati, sospesi, lontani dalla sua luce ma privi di punizioni: non subivano alcuna sofferenza fisica, ma solo quella dello spirito, in loro alto e nobile, la sofferenza di non poter vedere Dio. Quello del Limbo è il primo cerchio che cinge l’abisso infernale. si vedevano ancora alle spalle i vapori dell’acheronte, quando in quel luogo di pianto sommesso incontrai i miei maestri, ovidio, orazio, Lucano, e il più grande di tutti, omero. poi, dopo quel primo cerchio, l’inferno nero: ho visto il diavolo barcaiolo Flegiàs traversare la palude di fango e liquami, e, tutto sporco e lordato, Filippo argenti dibattersi in quel brago, tra gli altri iracondi, uomini in vita dominati da furia insensata, si mordono e picchiano azzuffandosi selvaggiamente nel fango, senza poter sentire né vedere. sono giunto alle mura della città di Dite: rosseggiano per le fiamme che la bruciano incessantemente, una città abitata da diavoli e spiriti dannati, e i suoi mille guardiani infernali ci impedirono l’accesso. provai terrore, ma Virgilio mi rassicurò, ricordandomi chi voleva la mia missione, e infatti poco dopo discese un angelo che annullò la loro rabbiosa resistenza. ho visto gli eretici, che negarono la veri-

tà di Dio, e in vita furono illuminati da una falsa luce, e ora nell’inferno giacciono in sepolcri infuocati dalla luce abbagliante, ho riconosciuto uomini nobili, tra loro, cavalcante de’ cavalcanti, Farinata degli uberti, che fece una profezia, e allora scoprii che i defunti non conoscono il presente ma il tempo a venire, così come i presbiti vedono lontano e non vicino… ho visto le anime dolenti, ho udito le loro grida e lo strazio, ma c’è una storia che più di tutte conta, perché ancora oggi a ricordarla piango. ero disceso dal primo al secondo cerchio, avevo visto Minosse ringhioso e orrendo assegnare le pene cingendosi con la coda tante volte quanti stabiliva i gradi. ora incomincian le dolenti note: quel pianto che da allora mi percuote. ero giunto a un luogo muto di ogni luce, mugghiante come mare battuto da venti contrari. La bufera infernale trascina come vuole gli spiriti, li rigira nell’aria e li molesta. intesi che quello era il girone dei peccatori carnali, trascinati dal vento come stornelli dalle fragili ali. non un attimo di sosta, ma quell’eterna pena. Vidi la splendida semiramide e altre leggendarie regine, la bionda Didone di cartagine e l’egiziana cleopatra, ed elena, per il cui volto scoppiò la guerra più lunga di ogni tempo, e mille vele partirono dai porti gonfiandosi di vento per i suoi occhi. e due, che volavano insieme, e parevano al vento così leggeri: “Maestro – dissi – volentieri parlerei a loro.” come colombe volano al dolce nido, i due vennero a me, mi ringraziarono commossi per la mia attenzione. e allora lei, che era nata

sulla marina dove discende il po, narrò la loro storia. Lei, Francesca, lui, paolo, giovani, furono presi da un amore irresistibile, senza colpa o premeditazione. Fu un libro, che leggevano insieme, la storia della passione di Lancillotto per la regina Ginevra, moglie di artù. Di colpo scoprirono il loro amore: “la bocca mi baciò tutto tremante.” Quel giorno non lessero più avanti, il libro aveva cessato il suo compito. Fu il marito di lei a sorprenderli e assassinarli. Mentre l’uno dei due spiriti diceva queste parole, l’altro piangeva così che io per la pietà venni meno come se il mio cuore morisse, e caddi come corpo morto cade.

Caronte 14

“Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”: Dante vede la porta dell’inferno, con incise queste parole. Di qui si va alla città del dolore eterno, delle anime che non hanno rispettato Dio. sulle rive del fiume acheronte il vecchio Caronte, con gli occhi diabolici, carica sulla barca le anime dei dannati per traghettarle nel regno buio senza ritorno dell’inferno.

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Quadro terzo

il diavolo Ciriatto

il diavolo Rubicante

e dopo gli eretici e quelle nobili presenze nelle are di fuoco, i turpi violenti, coloro che avevano ucciso e massacrato popoli e genti, il tiranno Dionisio di siracusa, attila, pirro, condottieri efferati che avevano versato sangue innocente, costretti a vivere eternamente immersi nel sangue del crudo fiume Flegetonte. e i seduttori correre nudi sferzati da diavoli, i corruttori immersi nello sterco, e l’orrida punizione ai barattieri, coloro che si arricchirono con l’inganno rovinando altre persone: un grande lago di pece bollente, e dorsi di uomini che si tuffano all’esterno cercando di uscirne, ma senza riuscirvi; bugiardi e sleali in vita, ora sono costretti a vivere nella pece ardente perseguitati da diavoli maligni e infingardi; vidi uno di loro sollevare il volto dalla pece e il diavolo Graffiacane

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il mostro Gerione

afferrarlo per le chiome con il rampino e sollevarlo come una lontra. e subito gli altri diavoli incitarono Rubicante a scorticarlo, e il demone ciriatto lo dilaniava con le sue orribili zanne, mentre Draghignazzo gli straziava le gambe. e i ladri, come Vanni Fucci, correre nudi in mezzo a serpenti che legano loro le mani dietro la schiena e li morsicano. e a volte essi stessi si tramutano in disgustosi serpenti. e ho visto Gerione, il mostro repellente, la fiera dalla coda aguzza, che entra in ogni luogo e appesta il mondo con il suo puzzo. ha il volto di un uomo, il corpo di serpente con le zampe pelose fin sotto le ascelle, e se ne sta, come a volte le barche, un po’ in acqua e un po’ a terra, lasciando penzolare la coda biforcuta e piena di pungiglioni simili a

quelli degli scorpioni. e sotto il mostro immondo ho visto gli usurai, costretti a sedere eternamente sulla sabbia bollente e sottoposti a un vapore rovente che scende dall’alto. Ma voglio concludere il mio racconto di quella prima parte del viaggio, la parte dolorosa, con un nome e un volto che superano per grandezza tanti spiriti più fortunati e felici. Finì all’inferno, tra i consiglieri fraudolenti, per l’inganno da lui escogitato del cavallo di troia, ma per il resto è un maestro a me e a tutti gli uomini, era il grande viaggiatore curioso del mondo, incantato dalle sue meraviglie: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. era

ulisse, uno dei re greci che assediarono e conquistarono, bruciandola, la città nemica. Vinsero grazie a una sua invenzione, il cavallo di legno, un idolo fittizio che nascondeva i più valorosi guerrieri achei. poi ripartì per la sua isola itaca, dove lo attendeva la moglie penelope. il suo viaggio, tra un naufragio e l’altro, fu tormentoso e magico, pieno di meraviglie. Giunto a itaca non seppe resistere al richiamo del mare e dell’ignoto, armò una nave, si lanciò per oltrepassare le colonne d’ercole… l’imbarcazione, che remava controcorrente, fu inghiottita dalle acque, sparì nel fondo del mare, dove ha sede il mistero, l’enigma che incantò la sua vita e mosse il suo ultimo viaggio.

ulisse

ulisse, il grande viaggiatore, naufrago, che dopo tante tempeste era riuscito a tornare a itaca, alla moglie penelope. Finì all’inferno, tra i consiglieri fraudolenti, per l’inganno da lui escogitato del Cavallo di troia. Ma nel rievocare la sua ultima impresa Dante rivede in lui il grande eroe della conoscenza e dell’avventura, viaggiatore curioso del mondo, incantato dalle sue meraviglie: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. ulisse, il suo ultimo viaggio, ripartito da itaca, verso l’ignoto, oltre le Colonne d’ercole, vide la sua nave che remava controcorrente inghiottita dalle acque.

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Quadro Quarto

siede con la spada sguainata e il volto risplendente sulla soglia di diamante: è l’angelo custode del purgatorio. Lì, risalendo da quella riva, ho incontrato tanti angeli. il primo, il nocchiere, conduceva le anime alla purificazione. È il regno intermedio, il purgatorio, l’unico destinato a dissolversi, dopo il Giudizio universale. Lì le anime purgate passeranno al paradiso, e quel regno scomparirà, dopo aver svolto il suo dolce compito. come erano lievi le anime, camminando su quella riva! e come si stupirono, vedendo la mia ombra proiettata al suolo. perché essi avevano volto e figura come noi viventi, ma erano fatti di sostanza incorporea: ho incontrato casella, il mio amico, l’ho abbracciato tre volte, e tre volte ho stretto le braccia al mio petto. poi ci siamo salutati, ha cantato la sua melodia. e ho riso con belacqua, il pigro, che è pigro anche nell’espiazione e tarderà a salire in cielo, ma vi arriverà. La spiaggia del purgatorio è battuta dalle onde dell’oceano, e vi cresce solo il giunco. Mi sono cinto di quell’erba flessibile per purificarmi dalla caligine infernale, dopo essere giunto alla dolce spiaggia per un piccolo foro, dall’inferno. tutto è diverso qui, ho visto in cielo quattro stelle splendenti, e l’angelo che guidava sulla piccola barca le anime, ho ascoltato le loro voci, in attesa di salire accanto a Dio.

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sono quiete, le anime, sanno che il tempo in questo regno le deve mondare dei peccati, ma la stessa attesa è bella, per loro… ho parlato a Manfredi, a pia de’ tolomei, a buonconte da Montefeltro, a iacopo del cassero, ma soprattutto ricordo gli angeli, e le anime dei miei amici, casella, sordello. È stato bello incontrarci in questo regno destinato a svanire. e la luce abbagliante di un angelo apparso nella salita prima mi ferì gli occhi, poi divenne gioia, e l’ascesa, non so come, divenne lieve come una discesa. e lì, custode del paradiso terrestre, una donna bellissima, Matelda, dagli occhi più splendenti di Venere, tuffa le anime nelle acque del Letè, cancellando il ricordo dei peccati, e in quelle dell’eunoè, che suscita memoria delle buone azioni. i fiumi sorgono direttamente dalla fonte divina. Quella riva, quella spiaggia, quella salita, resteranno per me come un sogno, più dell’inferno e del paradiso, anche perché destinate a compiere la loro funzione, e sparire, come sparisce il sogno dopo averti svelato il mondo.

Matelda

gli angeli

È il regno intermedio, il purgatorio, l’unico destinato a dissolversi dopo il Giudizio universale. Lì le anime purificate passeranno al paradiso, e quel regno scomparirà, dopo aver svolto il suo dolce compito. Le anime sono lievi camminando su quella riva. e si stupiscono vedendo l’ombra di Dante proiettata al suolo. perché, pur avendo volti e fisionomia di quando erano in vita, sono fatte di sostanza incorporea. La spiaggia del purgatorio è battuta dalle onde dell’oceano, e vi cresce solo il giunco, che purifica della caligine dell’inferno, di cui si vede l’uscita per un piccolo foro. Ma qui è diverso, in cielo quattro stelle splendenti, e l’angelo che guidava sulla piccola barca le anime in attesa di salire accanto a Dio.

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Quadro Quinto

trentatré volte, trentatré scalini. al di sopra della sfera di fuoco nove cieli, dove ho incontrato gli spiriti beati. oltre i nove cieli l’empireo, e qui… il culmine, l’ultima visione, quella che non posso raccontare. ho visto Dio, ma non esistono parole per ricordare e raccontarlo. La sua luce compenetra tutto l’universo, ma lassù, nell’empireo, brilla infinitamente. Questo ricordo: che il fine e il desiderio ultimo della nostra mente è Dio, anche se non lo sappiamo, e io che ho avuto il dono di raggiungere quel fine non posso ricordarlo o raccontarlo. anche lei a tratti è sparita dalla mia memoria. anche lei è superiore alla lingua umana in cui vi scrivo. Ma questo ricordo: da quando mi apparve in purgatorio, verso la fine di quel viaggio, alcune cose sono scomparse, perché appartengono già all’eternità. Ma altre restano. era ormai il pieno pomeriggio quando la vidi rivolgersi dalla parte sinistra e infiggere gli occhi nel sole, più intensamente di un’aquila. Grazie al suo sguardo anche il mio fu attratto e guidato, e io, grazie a beatrice, fissai il sole. ero in paradiso, dove ci sono concesse facoltà straordinarie, riuscii a vedere il sole sfavillare come un ferro incandescente, e la sua luce miracolosamente raddoppiata. e mentre lei continuava a fissarla, i miei occhi furono ra-

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piti nei suoi, e lì, assorto, mi sentii mutare dallo stato umano a quello divino. “trasumanare”, è un verbo difficile. perché la realtà del trasumanare è incomprensibile alla nostra intelligenza. io ho potuto viverla grazie allo sguardo di beatrice. e non so se, mentre salivo al cielo, io fossi solo anima o anche corpo. Ricordo, a frammenti, la gloria di beatrice, piccarda Donati, che mi spiegò come ogni spirito in paradiso sia pago del suo spazio, indipendentemente dalla prossimità a Dio… e san tomaso, e alberto Magno, e salomone e Dionigi l’aeropagita, ricordo la danza di quegli spiriti, il canto. e un mio antenato, cacciaguida, a cui chiesi di parlarmi della mia vita futura, qui, sulla terra. Richiesi sincerità, e la ottenni, come la ottenni! Mi predisse l’esilio, la sventura. che Firenze mi caccerà e io, che sono sceso all’inferno e risalito dal purgatorio al paradiso, io che ho compiuto il viaggio nel mondo primo e ultimo, vagherò senza patria per tutta la vita. e proverò quanto sia duro salire le scale straniere, e quanto sa di sale il pane altrui. e ho visto in cielo l’aquila formata dalla figura di tutte le anime dei beati, e ho udito il canto della loro pietà in vita che si fece gloria eterna nel cielo, ed erano tanti, tanti, ma parlavano con una voce

sola, come da molti carboni esce un solo calore. e poi Lui, che ricordo solo nel cuore, e, come quando sogni, qualcosa ti appare, per svanire, al risveglio, ma per restare per sempre dentro di te. e lei, prima che mi lasciasse solo con Dio, lei la ricordo, splendida nella sua bellezza e nel suo amore, lei che mi fece innamo-

beatrice

rare da bambino e che mi amò nella sua breve vita mortale come mi ama ora dall’alto accanto al signore, lei, beatrice. per lei sono uscito dalla selva oscura e sono diventato poeta. poi anche lei tornò al suo cielo e io fui solo in Lui e con Lui, l’immemorabile, il non dicibile, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Dante vede Dio, ma non esistono parole per ricordare e raccontarlo. La sua luce compenetra tutto l’universo, ma lassù, nell’empireo, brilla infinitamente nella gloria delle anime beate. era ormai il pieno pomeriggio quando Dante aveva visto beatrice rivolgersi dalla parte sinistra e infiggere gli occhi nel sole, più intensamente di un’aquila. Grazie allo sguardo di lei, anche il suo era stato attratto e guidato, ed egli, grazie a beatrice, ora fissa il sole. È in paradiso, dove ci sono concesse facoltà straordinarie, riesce a vedere il sole sfavillare come un ferro incandescente, e la sua luce miracolosamente raddoppiata. e mentre lei continua a fissarla, sente i propri occhi rapiti nei suoi, e lì, assorto, si sente mutare dallo stato umano a quello divino.

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Composizione dei testi e selezione delle immagini Graphic srl, Milano stampa e rilegatura Grafiche Flaminia, Foligno (pG) Finito di stampare nel mese di Giugno 2008


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