Alla ricerca di Lola - Jaca Book - estratto

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ALLA RICERCA DI LOLA

DAVIDE CALÌ • RONAN BADEL

Mi chiamo Robert, ma potete chiamarmi Bob.

Sono un detective privato. In realtà, non lo sono…

il detective è il mio amico David, ma fin da piccolo ho sempre sognato di poterlo dire.

Una domenica di un po’ di anni fa, David mi ha chiesto se potevo fargli un piacere.

Nulla di che, dovevo soltanto passare la mattinata nel suo ufficio. David era in appostamento per un altro caso, ma aspettava una telefonata importante.

Non dovevo fare altro che rimanere seduto davanti al telefono e prendere la chiamata. Niente di complicato.

Arrivai alle 8. Alle 11, non aveva ancora chiamato nessuno.

Capii che avrei aspettato a lungo, così uscii a comprarmi un panino.

Evidentemente mi aveva preso per David.

Continuò:

– Non serve trovare lei in persona. Si tratta soltanto di trovare qualcuno che se la ricordi. Era una cantante. La chiamavano tutti Lola Pearl, ma non era il suo vero nome. Deve trovare qualcuno che ricordi il suo vero nome. Ho bisogno solo di questo.

Mentre parlava, fui tentato più volte di dirle che non ero un detective, ma non lo feci.

Automat, 1927

Lavorava in un cinema

e conosceva Lola perché aveva diviso con lei

una stanza per un po’ di tempo.

Si ricordava molto bene di lei e non sembrava così

felice di parlarne. Una sera, avevano litigato e Lola

era scomparsa.

– Perché quella discussione?

– Per colpa di un uomo, un agente dello spettacolo.

O almeno era quello che diceva di essere. Si interessava

molto a Lola, ma non mi convinceva. Aveva l’aria un po’ losca. Lola se l’è presa… secondo lei ero gelosa.

– Quell’uomo era stato l’agente di Lola? – Non lo so. Dopo quella discussione, ci siamo perse di vista.

Trovai l’agente in questione, ma aveva cambiato mestiere.

Sembrava piuttosto in imbarazzo

a parlare di Lola.

– Non lavoro più con gli artisti. Sono tutti matti!

All’epoca gestivo qualche cantante, degli attori.

Ma adesso ho chiuso.

– Cosa mi può dire di Lola?

– Non aveva una voce fantastica, ma una

forte personalità, quella sì. Era una donna seducente,

lei mi capisce, determinata a realizzarsi nella vita.

– E ci è riuscita?

– Questo non lo so. Dopo che mi sono sposato, mia moglie

mi ha spinto a lasciar perdere il mondo dello spettacolo

e a trovarmi un lavoro, diciamo… normale.

All’indirizzo indicato, trovai un uomo che si occupava del suo prato.

Quel pomeriggio la mia macchina decise di lasciarmi a piedi, così presi il treno.

Il viaggio fu utile per fare il punto sulle cose che avevo scoperto...

– Tutti fuggono da qualcosa.

Anche tu, come gli altri.

Nighthawks, 1942

CARTA D'IDENTITÀ:

Edward HOPPER

1882 (Nyack, Stato di New York) - 1967 (New York)….. ARTISTA AMERICANO …..…….. movimento: REALISMO…… olii su tela, manifesti, incisioni, acquerelli .

CHI ERA

EDWARD HOPPER?

nato in una famiglia di commercianti, si forma in una grande accademia, con un corso per corrispondenza della New York School of Illustrating, poi alla New York School of Art. Soggiorna in Francia tre volte, tra il 1906 e il 1910 e prende l’abitudine di passeggiare per le strade dipingendo e disegnando ciò che vede: ponti, monumenti, scene di vita quotidiana. Di ritorno a New York nel 1908, lavora come disegnatore pubblicitario e illustratore per alcune riviste economiche e commerciali newyorkesi, e al

tempo stesso dipinge i suoi ricordi della Francia, l’America

dopo la crisi del 1929, New York, i luoghi e i paesaggi della classe media.

La fama arriva con la celebre

The House by the Railroad (La casa vicino alla ferrovia), che dal 1930 entra a far parte delle collezioni del Museo d’Arte Moderna (MoMa) di New York.

Da allora, mostre e retrospettive si susseguono negli Stati Uniti e in Europa. Muore a New York nel 1967, nel suo studio.

L’ARCHITETTURA

hopper diceva «aspiro soltanto a dipingere i raggi del sole che scompongono un’architettura».

Dal successo delle prime viste di un porticciolo della costa orientale agli edifici newyorkesi, passando per la sua casa di Cape Code di cui disegna il progetto, l’architettura è onnipresente nella sua opera.

Appassionato da sempre di architettura (da bambino sognava di diventare un architetto navale), Hopper realizzò numerosi schizzi di edifici mentre era a Parigi. Nel 1924 dipinge una serie di acquerelli di Gloucester, luogo di villeggiatura di molti artisti nel New England. È l’inizio della sua notorietà, con viste esterne di costruzioni nello stile dei pionieri americani, simbolo di un passato ormai trascorso. Hopper dipinge gli edifici e le case in momenti diversi della giornata, riprendendo così l’eredità degli impressionisti: i momenti che preferisce sono al mattino.

IL PAESAGGIO URBANO UNA SOLITUDINE senza fine

nella CITTÀ

MODERNA

linee architettoniche attraversate da un tratto di luce, neon proiettati sui muri newyorkesi, ponti, strade, ristoranti e bar, uffici, edifici: sono queste le componenti del paesaggio urbano di Hopper.

Early Sunday Morning (Domenica mattina presto) che rappresenta un mattino sulla Settima Strada ne è un esempio. Mentre ci si aspetterebbe un

universo urbano attivo, a volte frenetico, in una strada molto frequentata, non si trova niente di tutto questo. La presenza umana è semplicemente suggerita dalle tende che caratterizzano i tranquilli appartamenti al primo piano.

Le lettere illeggibili delle insegne, gli ornamenti architettonici appena disegnati, i contrasti di luce e ombra, gli edifici vuoti affacciati su una strada ancora deserta all’inizio di una giornata. Il paesaggio urbano è contraddistinto dall’abbandono.

nessuno ha dipinto meglio di lui la vita moderna e la sua solitudine. Personaggi anonimi, silenziosi, immobili, colti nell’attesa di non si sa cosa, con i volti fissi e inespressivi. Non si incrocia mai il loro sguardo e non si guardano l’un l’altro.

Così in Chop Suey rappresenta delle donne eleganti che pranzano in un ristorante cinese. La donna di fronte sembra persa nei suoi pensieri e guarda nel vuoto. L’uomo in fondo non guarda la sua compagna.

In Room in New York (Stanza a New York), Hopper ci mostra una coppia in una camera. Interno notte. Lui, assorto nella lettura del giornale (pagine di borsa o economiche?). Lei, seduta al piano, picchietta sui tasti. I loro visi sono in ombra. Non si parlano. Ciascuno è chiuso nel suo mondo, nella sua solitudine.

L’AMERICA degli ANNI TRENTA E QUARANTA

È quella dopo la grande crisi del 1929, quella che vede l’avvento delle città e delle classi medie. L’America urbana dell’American way of life. Quella della modernità, del cinema, dei ristoranti self-service (con distributori automatici di cibo e bibite), di uffici in cui lavorano delle segretarie eleganti, come in un romanzo di Raymond Chandler.

Nel quadro Automat (Tavola calda), una donna è seduta da sola a un tavolo, con lo sguardo fisso sulla tazza di caffè. Di fronte a lei una sedia vuota. Chi sta aspettando? A cosa pensa? Nella vetrina alle sue spalle si vede solo la notte in cui si riflettono le luci del locale.

Con New York Movie (Cinema a New York) siamo al cinema. Si nota soprattutto la maschera, l’elegante signorina bionda, che potrebbe stare bene anche in un film

di Alfred Hitchcock, persa nei propri pensieri, sola.

Office at Night (Ufficio di notte) ci introduce quasi di nascosto in un ufficio, visto da una metropolitana sopraelevata, dopo che è calata la notte. Un uomo seduto dietro a una scrivania legge dei documenti. A sinistra una donna sta in piedi davanti a uno schedario aperto. Guarda un foglio per terra accanto alla scrivania. I due non si guardano, non si parlano.

E da tutto ciò nasce il fascino esercitato da Hopper. Presentimento – speranza o timore – che qualcosa stia per accadere…

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