HISTORICAL ATLAS OF EASTERN AND WESTERN MONASTICISM

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ATLANTE STORICO DEL MONACHESIMO


Juan María Laboa

ATLANTE STORICO DEL MONACHESIMO ORIENTALE E OCCIDENTALE

con contributi di Richard Cemus s.j., Pascaline Coff o.s.b., Zoran Krstić, Ljubomir Maksimović, Gaetano Passarelli, Sava vescovo di Šumadija, Columba Stewart o.s.b., Anthony-Emile Tachiaos, Christo Ternelski, Vassia Velinova, Mirjana Živojinović


INDICE

© 2002/2016 Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati Edizione italiana settembre 2016

PRESENTAZIONE Traduzione dei testi dallo spagnolo e dall’inglese di Roberto Fusco Gli Autori dei singoli testi sono indicati nell’indice con le seguenti abbreviazioni: Richard Cemus s.j.: R.C. Pascaline Coff o.s.b.: P.C. Zoran Krstić: Z.K. Ljubomir Maksimović: L.M. Gaetano Passarelli: G.P. Sava vescovo di Yumadija: S.v.Y. Columba Stewart o.s.b.: C.S. Anthony-Emile Tachiaos: A.-E.T. Christo Ternelski: C.T. Vassia Velinova: V.V. Mirjana Zivojinović: M.Z. Cartografia a cura di Ermanno Leso, Milano

I.

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UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

1. L’antico monachesimo orientale. Induismo, buddismo e giainismo (J.M.L.) 2. Radici mediterranee di un modo di vita (J.M.L.) 3. Monachesimo veterotestamentario (J.M.L.)

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

1. Il monachesimo e il Nuovo Testamento. Un fenomeno assente nel primo cristianesimo (C.S.) 2. La lunga gestazione. Lo spirito della prima comunità (J.M.L.) 3. Origene, un monaco prima del monachesimo (J.M.L.) 4. L’ascetismo premonastico (C.S.)

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III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

1. Il monachesimo del deserto. Risposte e costanti (J.M.L.) 2. Gli eremiti copti (J.M.L.) 3. I cenobiti (J.M.L.) 4. La grande tradizione siriaca (J.M.L.) 5. Asia Minore, Cappadocia (J.M.L.)

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IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

1. Due propagandisti instancabili. San Cassiano e san Girolamo (J.M.L.) 2. Il monachesimo in Gallia. Martino di Tours e l’isola di Lérins (C.S.) 3. Il monachesimo agostiniano. Sant’Agostino di Ippona (J.M.L.) 4. Il monachesimo ispanico (J.M.L.) 5. Il monachesimo irlandese (J.M.L.) 6. San Benedetto (C.S.) 7. La Santa Regola (C.S.) 8. Espansione della Regola di san Benedetto (J.M.L.)

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V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

ISBN 88-16-60531-2 Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

1. San Basilio il Grande e la tradizione della chiesa ortodossa d’Oriente (Z.K.) 2. San Saba e la sua regola (R.C.) 3. Il monachesimo e l’iconoclastia (J.M.L.) 4. La riforma studita e san Teodoro. Il riformatore dell’Ufficio monastico di Costantinopoli (S.v.Y) 5. Cirillo e Metodio (A.-E.T.) 6. Differenti regole monastiche (R.C.) 7. Il monachesimo sotto l’Islàm (J.M.L.)

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VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

1. San Gregorio Magno. Il primo papa monaco (J.M.L.) 2. La Regula Mixta (J.M.L.) 3. I monaci evangelizzatori (J.M.L.) 4. La riforma carolingia. San Benedetto di Aniane (J.M.L.) 5. Cluny (J.M.L.) 6. Il ritorno al deserto. Il monachesimo contestatore (J.M.L.) VII.

UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’Athos e i cambiamenti nel periodo dei Macedoni (Lj. M. e M.Z.) 2. Il monachesimo bulgaro (V.V. e C.T.) 3. Il monachesimo serbo (S.v.Y.) 4. Il monachesimo in Armenia (J.M.L.) 5. Il monachesimo in Georgia (J.M.L.) 6. Il monachesimo italo-greco (J.M.L.) 7. Il monachesimo nella Russia di Kiev (R.C.) 8. Sinai, Bisanzio, Athos e la loro influenza (R.C.) 9. San Gregorio Palamas e l’esicasmo (A.-E.T.) 10. San Sergio di Radonez. La sua tradizione e i suoi eredi (R.C.) 11. Il monachesimo romeno (R.C.) 12. La Filocalia (R.C.) 13. Gli starez e la pietà russa nei secoli XVIII e XIX (R.C.) 14. Il mondo ortodosso contemporaneo (G.P., V.V., C.T., S.v.Y.) 15. Le chiese pre-calcedonesi (G.P.) VIII.

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UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

1. Sant’Anselmo (J.M.L.) 2. I Certosini (J.M.L.) 3. I Cistercensi (J.M.L.) 4. Riforma protestante e monachesimo (J.M.L.) 5. I Trappisti (J.M.L.) 6. Secolo XX e vita eremitica (J.M.L.) 7. Il monachesimo in Africa (J.M.L.) 8. Il monachesimo anglicano (J.M.L.) 9. La rinascita del monachesimo protestante (J.M.L.) 10. Il monachesimo in Nord America (C.S.) 11. Il monachesimo in America Latina (J.M.L.) 12. Il monachesimo in Oceania e Asia (J.M.L.) 13. Ecumenismo (C.S.) 14. Il dialogo monastico interreligioso Dal dialogo interreligioso al dialogo monastico (P.C.) Le radici antiche a fondamento dell’impegno contemporaneo (J.M.L.) I DONI DEL MONACHESIMO

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PRESENTAZIONE

«Per te ci hai fatti e il nostro cuore è inquieto finché in te non trovi pace», confessò sant’Agostino, esprimendo con semplicità l’ansia più profonda dell’umanità nel corso della storia. Il Creatore, nel plasmare l’essere umano a sua immagine e somiglianza, deposita amorevolmente nel suo cuore l’ignoranza dell’origine, l’inquietudine per la ricerca di tale verità, la speranza di un incontro chiarificatore e definitivo. L’uomo è il grande pellegrino, il grande cercatore, capace di percorrere instancabilmente i cammini della vita per incontrare questa radice primordiale di amore divino. Cosciente che la fragilità della propria natura di argilla avvolge e occulta qualcosa di più grande e più definitivo, l’uomo tenta in tutti i modi di purificare ciò che è terreno e andare alla scoperta del divino. Come è splendida la storia di questo grande popolo che nel corso dei secoli, in mille modi diversi, si è sforzato di scoprire dentro di sé ciò che lo relaziona al suo Creatore! Nel deserto dell’anima tanti sconosciuti protagonisti, le cui virtù fiorirono nel segreto, hanno combattutto con tensione e costanza per conoscere e amare Dio, ripudiando e abbandonando quanto potesse loro impedire tale incontro. Amare è senza dubbio imparare a camminare in questo mondo meraviglioso, comprenderlo, rispettarlo, amarlo, cercare di migliorarlo. Tutto questo ci insegnano i santi uomini delle diverse religioni, con la coscienza che tutto ciò che è uscito dalle mani del Creatore è essenzialmente buono. Costoro hanno amato la natura e la vita, in tutte le sue manifestazioni, consapevoli che, come la civiltà dà la misura della potenza umana, così la natura ce la dà di Dio. «Voi non così» disse Cristo ai suoi discepoli come criterio di condotta tanto individuale quanto comunitaria. Per seguire il Maestro bisogna tornare a nascere di nuovo, in modo che, mentre si vive nel mondo, lo domiamo senza rimanere influenzati da esso. È questo l’immenso paradosso cristiano, l’insidia o la sfida sempre presenti nella vita della Chiesa: essere calati nel mondo, senza tuttavia essere mondani, abbarbicati al pericolo costante della mondanità. Contro questa tentazione hanno combattuto i Padri del deserto; contro di essa hanno lottato sempre i monaci, mostrandoci in molti modi il bisogno di essere evangelizzatori, senza cadere nella mediocrità dei valori mondani. Quando i monaci desiderano che la volontà del Padre si realizzi nel mondo, come nel cielo e in Cristo, allora anche la più piccola e più ordinaria delle cose diventa santa e grandiosa; allora l’amore di Dio si schiude e germoglia nella sua creazione e nelle sue creature; allora le nostre vite si trasformano. E questa trasformazione è una epifania e una venuta di Dio nel mondo. Da questo punto di vista, si possono individuare alcuni dei principali obiettivi e dei più ricercati e più assidui pensieri dei grandi rappresentanti di questa sorprendente ed emozionante storia del monachesimo. 1. Morire al mondo. Questa è sempre risultata una meta fondamentale nella vita e nell’ascesi del deserto e significava morire nel corpo come nello spirito. I monaci cercavano di far sì che il corpo

cessasse di reagire «normalmente» alle necessità della carne, in modo da dominare così la sete, la fame, la fatica, il sonno. «Uccido il mio corpo, perché lui uccide me», rispose Doroteo a Palladio, quando questi lo interrogò sulle ragioni dell’ascesi. E se uccideva il suo corpo, era per forgiarne un altro, per raggiungere quello stato che i testi ascetici definivano apatheia. 2. Il monaco è un altro Cristo. Nelle vite e detti dei Padri e poi dei monaci si incontra la convinzione che essi si conformavano alla vita e alla passione di Cristo e affiora la sicurezza che tale conformità si realizza in sommo grado con una condotta di vita di sacrificio e rinuncia. 3. Tensione per il ritorno definitivo del Signore. Vivere in ordine al ritorno del Signore, in attesa della sua parousia, costituisce parte dell’essenza del cristianesimo, ma soprattutto della vita monastica. Quanti visitavano i Padri del deserto constatavano che essi non avevano alcun assillo o sollecitudine, nessuna preoccupazione per il vestiario o il cibo, ma unicamente per la speranza nel ritorno del Signore. Gli anziani interpretavano la propria vita come un momento della grande lotta escatologica già in corso e ognuno si sentiva in essa personalmente coinvolto e partecipe della forza vittoriosa di Cristo. 4. La lotta escatologica tra il bene e il male, tra Cristo e il diavolo. I monaci avevano una conoscenza molto chiara del fatto che il diavolo era il loro grande nemico, sempre presente e disposto a impedire loro una vita pura e onorevole. Consideravano la vita spirituale come una guerra invisibile trionfalmente inaugurata da Cristo nella solitudine del deserto e si sentivano chiamati a continuarla con lui e come lui. In realtà, avevano una coscienza molto chiara della coesistenza di due città, quella del bene e quella del male, quella degli angeli e quella dei diavoli, e ben presente era in loro la convinzione che la realtà era popolata di questi spiriti. La tradizione monastica, soprattutto quella orientale, ha sviluppato ampiamente la dottrina della «vita angelica». 5. All’origine della vita nel deserto sta la chiamata a seguire, nel modo più esplicito e radicale, Cristo nella sua negazione e, soprattutto, nella sua passione. Isidoro di Scete si macerava nella veglia ininterrotta, dicendo: «Non ho alcuna scusa: il Figlio di Dio è venuto qui per noi». Poimén, dopo un’esperienza estatica disse: «Il mio pensiero era per la santa madre di Dio, Maria, che piangeva presso la croce del Salvatore. Così io stesso devo sempre piangere allo stesso modo». 6. Alcuni fuggivano per amore di Dio il contatto con gli uomini, altri per lo stesso motivo li accoglievano. L’ospitalità si convertì in una caratteristica monastica. I monaci fuggivano dal rapporto con la gente, si addentravano nel deserto, circondavano il loro spazio di mura, ma mantenevano e privilegiavano l’ospitalità, capaci di rompere con modi e usi abituali, affinché i loro visitatori si sentissero accolti e a proprio agio. In loro era Cristo che andava a salutarli ed era lui che ricevevano e ospitavano, cosicché i monaci cercavano di trasformare in una vera festa l’arrivo di un ospite. Esiste un’altra testimonianza della vita monastica, soprattutto a 7


ATLANTE

partire dal V secolo, quella della bellezza che irradia l’ambiente, il sistema di vita e in particolare la liturgia. In questo tema si integra con naturalezza quello della cultura, che spazia dalla capacità di dare un senso al proprio vivere al mantenimento di spazi di memoria e di contemplazione della bellezza, incluso il sublime. Tutte queste caratteristiche hanno contraddistinto i monaci dall’origine fino ai nostri giorni, hanno segnato le loro vite personali e i carismi dei loro diversi ordini. I monaci collaborarono in misura decisiva all’evangelizzazione dell’Europa e svolsero un ruolo fondamentale per la salvezza della cultura classica e per il dissodamento della terra e l’espansione dell’agricoltura, in opere che rimangono l’eloquente testimonianza di una azione in cui si sono coniugati sempre preghiera e lavoro. In realtà, la relazione monaco/mondo non si manifesta solo in un modo di sentire. Non è solamente il mondo, né sono solo i cri-

stiani i beneficiari delle preghiere e dell’ascesi dei contemplativi. Costoro devono, a loro volta, conoscere in cosa consiste il mondo, per completare la propria visione concreta della vita umana, e agire in esso impegnandosi in quegli aspetti che favoriscono e realizzano un’umanità migliore. I voti assumono il loro significato più completo se intesi come un impegno di servizio verso gli altri, come un’appassionata preoccupazione per la verità e per il nostro prossimo e per tutti i nostri prossimi. Un atlante storico illustrato del monachesimo testimonia il duplice paradosso cristiano: da un lato lo «stare nel mondo senza essere mondani», e proprio da parte dei monaci che più hanno incarnato questo, la seconda faccia del paradosso ci mostra che il monachesimo ha cambiato il mondo, il suo stesso paesaggio naturale e culturale. Senza secoli di monachesimo il mondo in cui ci muoviamo sarebbe diverso.

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1. Affresco raffigurante un santo eremita. Chiesa del Redentore a Calendziha, Mingrelia, in Georgia. La tradizione cristiana orientale, di cui la Georgia fa parte dai primi secoli, ha conservato nel monachesimo una forte presenza dell’esperienza eremitica. 8

2. Particolare di una miniatura gotica, 1350 circa. Conservata nella Biblioteca Reale di Bruxelles in Belgio. Vi si raffigura un abate; l’abbazia è una forma tipica delle comunità monastiche occidentali. 9


I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

1. L’ANTICO MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’ANTICO MONACHESIMO ORIENTALE

la soglia (in alto a sinistra nella foto), passavano attraverso i tre edifici del santuario: il tetto del secondo è un fiore di loto sbocciato mentre il terzo, il più alto, culmina con un linga, emblema di Viva. Così, di salita in salita, il pellegrino accede alla montagna di Viva.

INDUISMO, BUDDISMO E GIAINISMO 3. Disegno tratto da una statua trovata a Sanchi, in India. Viene raffigurato un eremita brahamanico. L’abito è tratto da una corteccia d’albero: solo una spalla è coperta, mentre la sottana è una sorta di kilt. I capelli sono legati insieme e acconciati per formare una specie di copricapo.

1. L’«atman» in cerca del «Brahman»: il monachesimo indù L’India costituisce la premessa e il modello nella storia della religiosità dei popoli e ha mantenuto nel corso dei secoli un ammirevole rispetto e un’eccezionale dedizione a tutto ciò che si riferiva alla vita e alle manifestazioni dello spirito. In questo immenso continente, s’incontrano da migliaia di anni popoli che hanno pensato all’aldilà e al valore religioso dell’esistenza. Di fatto, spesso si pensa all’India come alla terra della contemplazione – metodo e mezzo che unisce l’uomo all’assoluto, a Dio –, poiché gli asceti e gli eremiti indiani hanno cercato con ardore e perseveranza questo incontro liberatorio. Il modo più consueto di raggiungerlo è stata la meditazione. Per gli Upanishads esiste un’unità totale tra principio individuale (atman) e principio cosmico o essenza dell’universo (Brahman). La vera felicità consiste nell’unione definitiva tra atman e Brahman. Il maggiore ostacolo per ottenere questa unità sta nella difficoltà che può avere l’atman nel riconoscere la reale essenza della propria natura, ossia nello sperimentare personalmente che l’io individuale non è una realtà indipendente, ma una partecipazione del Brahman, l’essere assoluto, con cui desidera unirsi attraverso l’identità. La vita virtuosa e l’ascetismo favorirono questa consapevolezza e la conseguente unione. Come ottenerla? Ritirandosi nella «selva», conducendo una vita austera e dedicandosi alla meditazione, sia per gli uomini sia per le donne. I santi eremiti erano soliti attirare, con la propria fama e i propri metodi, gruppi di discepoli che aspiravano ad imitare il loro modo di vita. Intorno al VI secolo, si moltiplicarono le comunità e le scuole di tipo monastico e si raggiunsero livelli di grande radicalità nei metodi ascetici e nelle mortificazioni, nel ritiro dal mondo e nell’abbandono dei beni temporali, arrivando all’estremizzazione dei monaci nudisti, «vestiti d’aria», modo per indicare l’assoluta indifferenza e la solitudine radicale. Tutti questi metodi sembravano costituire il cammino più sicuro per raggiungere la felicità e la libertà. Secondo una tradizione millenaria indù, la vita normale dell’uomo consta di quattro stadi successivi: lo studente celibe, il padre di famiglia, l’eremita e il monaco. Quest’ultimo è lo stadio della totale rinuncia, della preparazione alla morte, della concentrazione religiosa. Si trattava di un monachesimo molto libero, privo di una qualsiasi forma di organizzazione, multiforme, e che in sostanza non conosceva la vita comunitaria. I monaci erano tenuti ad osservare cinque voti principali e altrettanti secondari. I principali erano: non fare del male a nessun essere vivente, essere sinceri, non rubare, non perdere il controllo di sé ed essere generosi. I voti secondari prescrivevano di mantenere l’imparzialità, di obbedire al guru, di essere amabili, puliti e di mangiare cibi che fossero puri. 10

4. Disegno di un Sanyasin indù, ripreso da una raffigurazione trovata nei monasteri rupestri di Ajanta in India. I monaci indù non portarono a lungo gli abiti di corteccia fatti a strisce usati dagli asceti in tempi precedenti. Con la nascita del monachesimo buddista anche gli induisti portarono tessuti di color ocra od ocra rosso. È per questo difficile distinguere religiosi buddisti da induisti. Nel disegno si raffigura una fascia che cinge i fianchi e viene poi gettata sulle spalle.

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5. A Ellora in India vi sono templi e monasteri buddisti, induisti e jaina. Il più celebre monumento induista è il Kailasa, qui raffigurato. Si tratta di un’arte monastica che scavava i monasteri nella roccia. In questo caso un enorme blocco di roccia è stato intagliato e scolpito per rappresentare una montagna, il paradiso di Viva. Si trattava di un santuario, retto dai monaci, a cui affluivano i pellegrini. Nell’ordine i pellegrini, varcata

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I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

1. L’ANTICO MONACHESIMO ORIENTALE

8. Mappa dell’India dei primi secoli della nostra era che furono anche i secoli di massima espansione dell’arte del monachesimo buddista, che a sua volta fu di stimolo all’arte induista.

Indo Indraprastha

Brahmaputra Mathura

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Sanchi Ujjayini Somnat

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2. L’organizzazione comunitaria buddista

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Krishna

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Il monachesimo buddista si è caratterizzato sin dalle sue origini per la sua organizzazione comunitaria e si è inoltre distinto da quello indù per aver eliminato le caste, molto radicate in quella cultura, e per aver disprezzato le sue continue speculazioni. I monaci buddisti hanno una regola di vita in cui predomina la pratica della povertà; essi, inoltre, si allontanano dal mondo, aspirano soprattutto a morire, cercano con impegno la propria interiorità e praticano la castità. Secondo la dottrina buddista, esiste un unico vero problema che merita davvero la nostra attenzione: la liberazione dal dolore, prodotto dai desideri e dalle passioni. Questa liberazione costituisce un obiettivo e uno sforzo individuale: ogni essere umano deve lottare contro i propri affetti e deve riuscire a smorzarli, con il fine di sfuggire al «sansara», il ciclo delle vite e delle morti, causa di tanta sofferenza e di perenne inquietudine. Il buddismo giunse in Tibet attraverso l’India e lì raggiunse una straordinaria espansione. In breve tempo, si trova anche in Indocina, Cina e Giappone. In Tibet si coltiva una pratica rituale-meditativa: si tratta di una serie di riti semiliturgici, accompagnati da un’intensa meditazione prima del Mandala, visualizzazione grafica del cosmo. La pratica della meditazione stabilisce come proprio nucleo e principale obiettivo il consentire ai monaci di concentrarsi su se stessi per liberarsi dalle passioni, rivelando in ciò la sua forza e la sua efficacia. I monaci praticano un’assoluta sottomissione e dedizione al guru, vale a dire al maestro. Questa forma classica di educazione assunse molti tratti somiglianti a quelli che si riscontrano nella vita dei maestri religiosi eremiti o itineranti, così frequenti nel corso di tutta la storia dell’India. Dal secolo VIII, si passò dai piccoli monasteri «parrocchiali», ciascuno dei quali aveva la funzione di insegnamento e di stimolo alla devozione per un villaggio o gruppo di villaggi, ai grandi centri di studio e ritiro, molto simili a collegi o università.

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6-7. Visione e pianta generale delle grotte di Ajanta in India. Si tratta di uno straordinario insieme di santuari (cappelle) e monasteri buddisti che circondano da tre lati una valletta. I monasteri hanno pianta quadrata, sono sale delimitate da un colonnato e circondate da piccole celle individuali scavate, a loro volta, nella roccia. Le cappelle hanno pianta absidale o rettangolare allungata. Luogo monastico e di pellegrinaggio, nei primi secoli della nostra era fu aiutato dal mecenatismo dei sovrani dell’epoca Gupta che sostennero le arti della scultura e della pittura.

9. Straordinaria pittura murale raffigurante Budda, testimonianza dell’arte monastica delle grotte di Ajanta. I tratti di bellezza che il Budda aveva acquisito nel corso delle vite anteriori sono qui presenti, ne sono un esempio i riccioli dei capelli, l’usnisa (protuberanza del cranio), le pieghe del collo e così via.

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I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

1. L’ANTICO MONACHESIMO ORIENTALE

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10-11. A Ellora la grotta, cioè il complesso ricavato nella roccia, detta di Indrasabha (Assemblea di Indra, divinità comune sia all’induismo sia al giainismo) risale ai secoli IX e X. È la più bella grotta frutto del monachesimo jaina, con le sue sale di riunione sistemate su più piani, con le sue figure scolpite, con i suoi fregi sui balconi nei quali si alternano personaggi jaina con animali: elefanti e leoni. La scala che si vede nella figura 11 conduce al santuario elevato della figura 10. Questo santuario è costruito sul modello del Kailasa induista illustrato nel paragrafo precedente.

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3. Il radicalismo giainista Il giainismo deve il suo nome al verbo sanscrito ji, che significa conquistare. Si riferisce alla lotta ascetica che i monaci giainisti devono intraprendere contro le passioni e i sensi, al fine di purificare l’anima da tutto ciò che la fa rimanere legata all’esistenza corporale, e conquistare così l’onniscienza e la purezza dell’anima. Delinea una delle tre tradizioni più antiche dell’India, con il suo specifico monachesimo. I monaci più perfetti vanno in giro nudi, trascorrono lunghe ore immobili, nella posizione kayotsarga: le braccia abbandonate lungo il corpo, leggermente staccate, lo sguardo fisso sulla punta del naso. Rispettano nella maniera più assoluta ogni forma di vita, atteggiamento che impone loro numerose proibizioni alimentari, professionali e sessuali. Non mentono mai, mantengono sempre la continenza sessuale, non posseggono assolutamente nulla. Non

reagiscono né al freddo, né agli insetti che martoriano le loro membra infiacchite da un’ascesi feroce. La loro vita è perfettamente regolata ed essi obbediscono ciecamente ai superiori che dirigono ed esercitano la propria austerità in funzione dello stadio spirituale in cui si trovano e della capacità di comprendere il significato delle penitenze. La regola di vita include la meditazione, la preghiera, lo studio, la povertà, l’ascetismo e la norma di consumare un solo pasto al giorno, limitandosi alla quantità di cibo che entra nel palmo di una mano. In realtà, la rinuncia dei monaci induisti, buddisti e giainisti è ispirata alla convinzione che il mondo e la persona stessa sono una pura e nefasta illusione. Com’è risaputo, con Alessandro Magno si estesero in Occidente molti usi e costumi dell’Oriente. È questo il momento in cui lo stile di vita dei monaci dell’India ottenne popolarità in Europa, soprattutto attraverso la letteratura greca.

12. In una sala di riunione del monastero jaina (fig. 10 e 11) si trova un capolavoro della scultura. Si tratta dello Yaksa Matanga sul suo elefante sotto un albero di mango. Il personaggio porta i segni dell’opulenza: ventre prominente e cavalcatura reale.

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I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

2. RADICI MEDITERRANEE DI UN MODO DI VITA

2. RADICI MEDITERRANEE DI UN MODO DI VITA 13. Una delle poche raffigurazioni di Serapide (180-200 d.C.). Dipinta su legno fa parte di un trittico di provenienza ignota, ma probabilmente parte dei reperti funerari del Fayum, in Egitto. Oggi si trova al Paul Getty Museum in California.

1. I «reclusi» di Serapide: il monachesimo egiziano L’Egitto è il paese del deserto per eccellenza. Nei suoi grandi templi, isolati e silenziosi, i sacerdoti trascorrevano una vita laboriosa, semplice e silenziosa. In confronto alle città del rumore, della vana agitazione e della sfrenatezza, questo ritiro significava la ricerca dell’essenziale e della serena presenza dello spirito. Cercavano Dio nel silenzio e nella solitudine. I metodi, naturalmente, furono diversi, a seconda dei luoghi e delle circostanze. Molto noti furono i reclusi nel tempio di Serapide, che non erano sacerdoti di quel dio, ma si rinchiudevano temporaneamente nel suo tempio con lo scopo di prenderne possesso, per ottenere un oracolo o per conseguire la grazia di una cura per se stessi o per altri, cui la fornivano in cambio del pagamento di un compenso. In realtà, al di là della stretta reclusione nel tempio, questa pratica ha poco a che vedere con le manifestazioni del monachesimo sia orientale, sia cristiano, al contrario dell’opinione di alcuni autori, che, agli inizi del XX secolo, sostenevano che i monaci pacomiani seguirono il loro esempio.

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15. Busto raffigurante Pitagora. Conservato al Museo Capitolino di Roma.

2. Il monachesimo filosofico Nel mondo greco, in particolare nell’ambito della filosofia, si trovano forme di vita ascetica e comunitaria che ci ricordano aspetti tradizionali di tutto il monachesimo. Pitagora fu l’iniziatore di una specie di comunità ascetica, cui diede una Regola di vita, con severe prescrizioni sul silenzio, l’astinenza e il quotidiano esame di coscienza: metodi e pratiche che dovevano favorire l’esistenza di un uomo più razionale e consapevole delle proprie capacità. Perciò, i novizi osservavano un silenzio continuo, consci che l’uso smoderato della lingua era fonte di innumerevoli mali, personali e sociali. Cercavano la padronanza di se stessi e una maggiore purificazione interiore. Non v’è dubbio che la dedizione alla filosofia e alla speculazione portava con sé alcune esigenze particolari: «L’istruzione e la filosofia richiedono, chiaramente, molta solitudine e ritiro», scrisse Dione Crisostomo. L’imperatore Marco Aurelio, che aspirava ad essere filosofo, non poteva ritirarsi in solitudine per via della sua carica e perciò, per quanto gli era possibile, si «ritirava in se stesso». Apollonio di Tiana, pitagorico, viene descritto nella sua biografia come persona che disprezzava il vino, la carne e i vestiti di lana; che si vestiva di lino e camminava scalzo, con i capelli lunghi, con gli occhi bassi e che professava perpetua castità. I pitagorici ritenevano che tutti gli esseri umani formassero una grande famiglia, perché erano tutti figli di Dio in senso stretto. Empedocle diede vita a un movimento, il cui metodo dominante fu il vegetarianismo, non tanto come pratica ascetica, quanto come pratica che favoriva la metempsychosis, cioè la reincarnazione. Lo spiritualismo di Platone si nutrì del disprezzo per ciò che è 16

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14. Ricostruzione della pianta del Serapeion dell’isola di Delos, Grecia. (III-II secolo a.C.).

16. Mosaico del I secolo d.C. conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli e proveniente da Pompei. Un tempo interpretato come la raffigurazione di sette saggi ora lo si considera come una rappresentazione della scuola platonica e viene così commentato: il primo personaggio sarebbe Eraclide Pontico nell’atto di tenere un discorso, segue Speusippo nipote e successore di Platone, viene quindi Platone stesso nell’atto di indicare il globo celeste. L’ultimo personaggio sulla destra, dopo tre successori di Platone, sarebbe Aristotele in atteggiamento dialettico rispetto agli altri. Il mosaico resta una splendida metafora di una comunità di uomini dedicati al filosofare. 17

mondano. Anche Seneca parlò spesso della fatica e della lotta contro le passioni. Nei suoi scritti, diede una forte accezione religiosa al ritiro dal mondo, alla solitudine e alla capacità di dominare la sessualità. I Neoplatonici cercavano di incontrarsi con l’Uno, il Dio supremo, principio e fine di tutte le cose. Per raggiungerlo, conducevano uno stile di vita estremamente austero: spesso non si sposavano, non mangiavano carne, dormivano poco, imponevano sacrifici al proprio corpo. 3. I nunzi del regno della luce: il «monachesimo manicheo» Nel manicheismo, conoscere se stessi significa contemplare la propria anima, essendo partecipi della natura di Dio. La conoscenza costituisce l’unica via di salvezza, e, per raggiungerla, bisogna superare l’ignoranza e la mancanza della coscienza personale,

due caratteristiche proprie di chi è dominato nella carne dalla fornicazione, dalla procreazione, dal senso di possesso, dall’ansia di mangiare e di bere. Coloro che non sono capaci di superare queste passioni e limitazioni, si vedono condannati a rinascere ripetutamente, in una successione di corpi sempre deboli e impuri. Solo pochi decidono e riescono a percorrere lo stretto cammino della vita ascetica, l’unica che risulta capace di superare la vita mondana, fondamentalmente cattiva. Per questo, la comunità è divisa in perfetti e imperfetti, in eletti e uditori, in chi pratica i precetti morali e chi non li esegue. Le teorie manichee con questa divisione rispondevano all’opposizione dei principi contraddittori e al conseguente predominio di essi: lo spirito e la materia, il bene e il male, la luce e il buio. Soltanto i figli della luce ricevono la rivelazione autentica. Essi sono quanti hanno abbracciato una regola rigorosa, spesso vissuta in comune. L’essenza dei loro rituali era la preghiera e il digiuno. Erano considerati perfetti coloro che raggiungevano la verità.

17. Rappresentazione stilizzata di Mani, ripresa da una pittura cinese. 17


I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

3. MONACHESIMO VETEROTESTAMENTARIO

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18. Ipotesi di un itinerario dell’Esodo in una incisione su legno, da H. Bünting, 1582. Si trova nella National and University Library di Gerusalemme.

1. Profetismo e radicalità Il popolo d’Israele si forgiò nel deserto. I quarant’anni trascorsi nella solitudine del Sinai sono rimasti nella storia d’Israele come la fucina di un popolo unico. Il Signore era insieme con loro e si prendeva cura di loro ed essi, benché si lamentassero e fossero idolatri, si purificarono fino a convertirsi in un popolo nuovo. Il deserto eserciterà, dal quel momento in poi, un fascino speciale sui grandi uomini d’Israele, da Elia fino a Gesù. Gerusalemme, rispetto al deserto, porta con sé un altro elemento della vocazione monastica, vale a dire l’esilio. Tutti coloro che hanno sentito nel cuore la chiamata di Abramo guardano anzitutto a Gerusalemme: «Parti dalla tua terra, dai tuoi parenti, dalla casa, da tuo padre e dirigiti verso la terra che io ti mostrerò». Questo versetto risulta citato almeno due volte nelle biografie dei monaci della Giudea. Si potrebbe attribuire bene a ciascuno di loro. Geremia riporta il messaggio di Gionadab, figlio di Recab: «Non 18

19. Visione del deserto del Negev, in Israele. Al centro si vede l’oasi di Ain Hudra. Il deserto del Negev, a cui si richiama la Bibbia, è cosparso di importanti rilievi montagnosi.

berrete vino né voi, né i vostri figli, mai, e non costruirete case, non seminerete semi, non pianterete vigne, non possederete nulla, bensì trascorrerete tutta la vostra esistenza nelle tende, perché possiate vivere molti giorni sul suolo dove siete forestieri» (Ger 35,6-7). Nel popolo d’Israele ci furono sempre esponenti dello spirito di fedeltà e di totale consacrazione a Dio, che li portava a un forte ascetismo, opposto alla debolezza e alle deviazioni così presenti nella storia del popolo d’Israele. Le cosiddette «comunità profetiche», presenti già ai tempi di Samuele, in auge ai tempi di Elia e che durano fino ai tempi del profeta Amos, erano comunità indipendenti e itineranti: ruotavano attorno ad un profeta, vivevano nella povertà del proprio lavoro o della carità pubblica e alcuni erano celibi. Furono a buon diritto considerati una dimostrazione vivente della grazia e della vicinanza di Dio: «Io ho fatto sorgere profeti tra i vostri figli nazarei e tra i vostri giovani» (Am 2,11). Il gruppo religioso dei Recabiti rappresentò una protesta contro

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I. UNIVERSALITÀ DEL FENOMENO MONASTICO

3. MONACHESIMO VETEROTESTAMENTARIO

l’insediamento religioso del popolo eletto. La sua finalità consistette nel ripristinare gli ideali religiosi più puri della fede radicale, accordandoli con l’Alleanza di Yahweh. Tentarono una difesa spirituale contro la contaminazione del contesto cananeo, nel quale il popolo d’Israele si era stabilito. Gli Asidei costituivano un movimento religioso pietista molto radicato, composto di sacerdoti, scribi e gente semplice del popolo (1 Mac 7,12ss), che si differenziava dal resto del popolo giudeo per il suo amore per la legge e per il suo totale rifiuto della cultura pagana, onnipresente e contagiante, che costituiva una continua tentazione per molti israeliti. In alcuni casi, bisogna far risalire la nascita di questi diversi gruppi alla determinazione di rinnovare il rigore delle origini. Molti giudei, che amavano la Legge e la giustizia, fuggirono nel deserto e si stabilirono lì con i propri figli e le proprie greggi. I grandi profeti e i loro discepoli hanno costituito spesso per i monaci cristiani un esempio da imitare. La vita, che trascorrevano in solitudine, in preghiera e nello sforzo continuo volto all’attuazione del regno di Dio, la fiducia che riponevano in un futuro liberatorio per il popolo d’Israele, la consapevolezza che avevano della continua presenza di Dio, l’intimità con Dio di cui godettero alcuni profeti (Enoch, Noè, Abramo), hanno impressionato gli asceti cristiani di tutti i tempi, che hanno guardato a loro come a un tipo di perfezione ideale. 2. Esseni e terapeuti

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E O

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Damasco

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Tiro

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L. di Genezaret

Giordano

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21. La Palestina con posizionato il sito delle grotte di Qumran e le principali città di riferimento dell’area all’epoca degli Esseni.

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20. Una delle grotte di Qumran nel deserto della Palestina presso il Mar Morto. Nelle grotte furono ritrovati i cosiddetti «Rotoli del Mar Morto», fra cui la regola della comunità monastica giudaica degli Esseni.

M A R

Anche gli Esseni (135/104 a.C. - 68/70 d.C.) predicavano un ritorno al passato, all’ideale del deserto e all’osservanza totale della Legge e alle altre tradizioni del popolo. Vissero nell’operosa attesa di un futuro messianico escatologico. Soltanto dal Messia ci si poteva attendere la vittoria definitiva di Yahweh su Belial. Erano convinti di vivere già gli ultimi tempi, le fasi finali che precedevano la lotta apocalittica. In varie fonti contemporanee si parla degli Esseni, ma la loro organizzazione si è potuta conoscere meglio soltanto dopo il ritrovamento negli anni Quaranta dei papiri di Qumran, nel deserto della Palestina, dove probabilmente esisteva il più importante monastero della setta. Per quanto riguarda la loro organizzazione, la caratteristica peculiare degli Esseni fu l’esistenza di due gruppi ben diversificati: il primo gruppo viveva in una comunità ristretta, i cui membri dovevano sottostare all’obbedienza, alla comunanza dei beni e alla continenza; il secondo era formato da famiglie che vivevano nel deserto, in perfetta comunione spirituale con il primo gruppo, dal quale dipendevano anche nell’organizzazione della vita materiale. Passavano il giorno dediti alla preghiera e al lavoro, sia intellettuale, sia materiale (artigianato e agricoltura). Avevano anche uno scrittorio per copiare i manoscritti. Durante la notte, celebravano riunioni liturgiche simili a quelle che avevano luogo di sabato nelle sinagoghe, ma con la peculiarità di un pasto, di significato religioso ed escatologico, in cui si distribuiva pane e vino. La finalità di questo movimento ascetico religioso appare evidente nella regola della Comunità: «Per vivere secondo la Regola della Comunità, cercando Dio e operando dinanzi a Lui ciò che è buono e giusto, come egli ha ordinato per mezzo di Mosè e di tutti i suoi servi e profeti» e «per praticare in terra la verità, la giustizia, il diritto e per non camminare più con l’ostinazione di un cuore colpevole e di occhi adulteri che commettono ogni forma di male». Gli asceti di Qumran avevano un profondo senso ascetico-mistico, davano grande importanza alla preghiera e mantenevano sem-

Ioppe Gerusalemme Gaza

Qumran

22. Visione generale di alcune grotte di Qumran. La posizione in alto, lungo costoloni di roccia, le rendeva adatte all’eremitaggio.

Mar Morto

23. Mar Saba, Israele. Abitazioni rupestri, eremitiche, usate anche in epoca post veterotestamentaria.

pre un sentimento di estremo rispetto e devozione nel rivolgersi alla divinità. Andavano in cerca dell’illuminazione interiore e della conoscenza delle cose divine, derivante dalla sapienza e dall’esperienza. Analogamente, i terapeuti – una setta giudea della Diaspora, che vissero in Egitto nei pressi del lago Maeris – erano dediti a una vita prevalentemente contemplativa. Il loro scopo era di curare le proprie passioni. Vivevano in singole celle composte di due stanze, delle quali una era dedicata alla contemplazione. La meditazione e l’amorevole dedizione al rispetto della Legge erano alimentate dalla lettura della Sacra Scrittura e di alcuni libri della setta, che avevano un ruolo preponderante. Rinunciavano alla proprietà privata, praticavano il celibato, vivevano in modo ascetico tutte le manifestazioni della loro vita. Nonostante conducessero una vita prevalentemente solitaria e individualista, non mancavano riunioni comunitarie: il sabato si celebrava un’assemblea che comprendeva letture, canti e il discorso del più anziano e si concludeva con un pranzo in comune, consistente in pane, sale, issopo e acqua. Ogni sette settimane, aveva poi luogo un’assemblea rituale, con canti corali che si protraevano per tutta la notte. I terapeuti ammettevano la partecipazione delle donne alla solenne assemblea del sabato, specialmente se vergini o anziane, ma separate dagli uomini da una parete alquanto elevata.

Petra

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

1. IL MONACHESIMO E IL NUOVO TESTAMENTO

1. IL MONACHESIMO E IL NUOVO TESTAMENTO UN FENOMENO ASSENTE NEL PRIMO CRISTIANESIMO

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24. Battesimo di Cristo nel Giordano. Il Battista viene contrassegnato dalla capigliatura incolta di un eremita. Miniatura del Menologio di Basilio II del 985 circa, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma. 25. Cristo nel Deserto è tentato dal Diavolo. Dall’alto si vedono le città in contrasto con la vita di penitenza e digiuno condotta nel deserto. Dipinto di Duccio da Buoninsegna, conservato alla Frick Collection di New York. 26. Veduta del Giordano, in Israele. 27. Veduta attuale del Monte delle Tentazioni su cui fu portato Cristo, secondo il Nuovo Testamento.

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I primi scrittori del IV secolo affermavano che il loro stile di vita era solidamente basato sugli insegnamenti sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, convinti che la Bibbia costituisca la principale regola monastica. Basilio il Grande descrisse la vita monastica come l’adempimento dei comandamenti, come fece san Benedetto, che definì la vita del monaco come un viaggio, di cui il Vangelo è la guida (RB, Prol. 21). Tuttavia, Gesù nulla disse del monachesimo, né le pratiche essenziali della vita monastica erano una caratteristica della religione del popolo di Israele come presentata nell’Antico Testamento. Gli Atti degli Apostoli descrivono comunità di ferventi cristiani riuniti per la preghiera, lo spezzare il pane, circostanze di reciproco aiuto, ma non si trattava che di persone ordinarie in situazioni normali. Come poteva, quindi, la Bibbia essere base della vita monastica? Essa lo era in tre modi fondamentali: gli insegnamenti di Gesù, gli accenni alla pratica ascetica presenti negli altri scritti del Nuovo Testamento e l’esempio dei profeti e dei seguaci di Gesù.

28. Raffigurazione della Pentecoste in una miniatura armena che fa parte di una raccolta di inni del 1591, conservata oggi al Museo Armeno di Francia a Parigi. Gli apostoli riuniti attorno alla discesa dello Spirito Santo saranno simbolo per ogni comunità monastica successiva.

I voti della vita monastica sono: una sorta di separazione dalla società normale, una speciale consacrazione alla preghiera, la scelta di rimanere celibi per motivi religiosi e una ridotta dipendenza dai beni materiali, quali cibo e proprietà. Tutti questi elementi erano in qualche misura nella vita e nell’insegnamento di Gesù e divennero poi la base della vita ascetica cristiana sviluppatasi nel monachesimo. Gesù stesso lasciò casa sua («Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» Mt 8,20) per predicare il regno di Dio e porre l’amore di Dio al di sopra di tutti i legami umani (Mt 10,37; 19,29; cf. Lc 14,26). Egli trascorse del tempo in luoghi deserti in preghiera e ascetismo, più precisamente durante il periodo della tentazione nel deserto, vicino al fiume Giordano (Mt 4,1-11), ma anche a intervalli durante tutto il suo ministero: non si sposò e notò che alcuni rimanevano celibi («eunuchi») per amore del regno di Dio (Mt 19,21); Gesù fu annunciato da suo cugino Giovanni, un altro predicatore celibe, la cui rinuncia alla società normale fu più radicale di quella di Gesù, dal momento che scelse di vivere nel deserto. Come tutti i buoni Ebrei, Gesù digiunò in alcuni giorni (Mt 6,1618), prevedendo che i suoi discepoli continuassero a fare altrettanto dopo che li avrebbe lasciati (Mt 9,14-15); consigliò ad almeno una persona di vendere i propri beni, dare il denaro ai poveri e seguirlo (Mt 19,21; cf. Lc 12,33); paragonò il regno di Dio a una perla di grande valore ottenibile a condizione di sacrificare tutti i propri beni (Mt 13,14). Egli disse ai suoi apostoli di viaggiare leggeri, portando con sé solo l’indispensabile (Mt 10,9-10): seguirlo significava portare la Croce dell’autorinnegamento e possibilmente del martirio (Mt 10,38-39). L’atmosfera di aspettativa che Gesù sarebbe tornato presto nella gloria, intensificata dalla realtà della persecuzione, diede a tali radicali raccomandazioni un senso di giustizia e di necessità. Anche nel Nuovo Testamento si può percepire una tendenza ascetizzante che avrebbe finito per influire sui gruppi successivi. Il Vangelo di Luca è, d’accordo con Matteo e Marco, particolarmente rigido nel trattare questa materia: come il Gesù di Matteo dice ai suoi seguaci di non accumulare tesori terreni (Mt 6,19), così nella versione di Luca Egli prescrive ai seguaci di vendere tutto ciò che posseggono (Lc 12,33); il Gesù di Matteo è preoccupato che i seguaci amino la famiglia più di lui (Mt 10,37), mentre Luca trasforma quel medesimo insegnamento in una rinuncia drammatica, richiedendo che odi la famiglia chi vuole essere libero di rispondere con pienezza alla vocazione del Signore (Lc 14,26). Questa visione più radicale degli obblighi del cristiano avrebbe influenzato i successivi movimenti ascetici e monastici. Le Lettere di Paolo sono i primi scritti cristiani in nostro possesso. La sua fede nell’imminente ritorno di Cristo suggeriva i vantaggi del celibato (1Cor 7,25); le sue insistenti esortazioni a mortificare l’io a favore della «lotta» posta davanti a noi (1Cor 9,2427), ad eliminare il vecchio io e a porre il nuovo nel battesimo (Rm 6,6) e il suo paragonare la sofferenza cristiana alla sofferenza redentiva di Gesù (cf. 2Cor 4,11) fornirono una base teologica all’ascetica cristiana. Nei successivi scritti del Nuovo Testamento 23


II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

1. IL MONACHESIMO E IL NUOVO TESTAMENTO

30. Il profeta Elia. Particolare di un’icona della trasfigurazione della scuola di Teofane il Greco, 1403 circa. Oggi conservata alla Galleria Tret’ jakov di Mosca, in Russia. La figura di Elia eremita nel deserto è ripresa sia dal Nuovo Testamento che dalla comunità cristiana primitiva. L’arte bizantina porterà avanti un’immagine di Elia in cui si specchierà l’immagine di san Giovanni Battista.

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29. Affresco di un Banchetto celeste ritrovato nelle catacombe dei Santi Pietro e Marcellino a Roma. L’iconografia del Banchetto celeste è frequente nelle catacombe, richiama il «Banchetto eucaristico» e simboleggia la comunità nel nome di Cristo, paradigma per ogni comunità monastica cristiana.

appaiono segni di un crescente favore nei confronti della verginità consacrata (Ap 14,1-5) e di una corrispondente disapprovazione del matrimonio dei vedovi (1Tm 3,2.12). Queste tracce di primi atteggiamenti ascetici segnarono la strada per successivi sviluppi teologici e pratici. Gruppi di asceti cristiani ai margini estremi dell’ortodossia – e talora anche al di là di essa, come gli Encratiti associati a Taziano, attivi nel tardo II secolo – curarono l’edizione delle Scritture per avvalorare il proprio stile di vita. Taziano creò un rapporto armonico tra i Vangeli noto come Diatessaron, mostrando una chiara predisposizione ascetica; gli scritti apocrifi come gli Atti di Giuda Tommaso e gli Atti di Paolo e Tecla imitavano il genere biblico, ma si rivelavano molto più espliciti dei testi canonici nella loro enfasi sulla verginità e sulla privazione. Il monachesimo si sviluppò nel IV secolo e coloro che ad esso aderirono guardavano non solo a Gesù, ma anche ai profeti che lo precedettero per desumere esempi di una totale offerta di sé a Dio. Il monachesimo fiorì in Palestina, dove le comunità si stabilirono in luoghi associati alla figura di Gesù, Giovanni il Battista e ad altri personaggi fondamentali della cultura biblica. Prima di Giovanni, Elia conobbe il deserto e la montagna, vivendo con semplicità e sfidando le concezioni convenzionali. L’autore della Lettera agli Ebrei evoca con efficacia i personaggi biblici che coraggiosamente avevano lasciato casa e famiglia per rispondere al24

la chiamata di Dio, anche «errando per i deserti, per i monti e per le spelonche e caverne della terra» (Eb 11,38), testo divenuto uno tra i favoriti negli ambienti monastici. Sant’Antonio il Grande era noto perché usava la vita di Elia come specchio per giungere alla conoscenza di se stesso (Vita di Antonio, 7); per alcuni scrittori, infine, tra cui Gregorio di Nissa, l’incontro di Mosè con Dio sul Sinai è divenuto un paradigma per l’ascesa mistica al divino. Tutte queste figure eroiche hanno fornito ispirazione alla successiva imitazione cristiana. Non appena i gruppi monastici cominciarono a riflettere sulla loro vocazione, la comunità cristiana idealizzata di Gerusalemme, descritta in At 2-4, divenne un efficace modello. L’enfasi apostolica sui beni condivisi e sulla preghiera comune descriveva perfettamente il fondamentale orientamento della vita cenobitica, in cui la formazione della comunità è un aspetto focale. I seguaci di Pacomio nell’Egitto del IV secolo chiamarono il loro movimento koinonía, prendendo in prestito il termine usato per la comunità di Gerusalemme in At 2,42. Sant’Agostino evocò lo stesso modello nelle prime righe della sua Regola monastica, il Praeceptum, e Giovanni Cassiano vide il monachesimo come la naturale continuazione dello spirito apostolico perduto nella Chiesa più tollerante. Nessuno di questi monaci stava scrivendo una «storia»: l’ideale biblico su cui meditare era incarnato nel monachesimo che essi stessi sperimentavano e favorivano.

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31. San Giovanni Battista. Icona del 1502, parte di una Deesis in cui classicamente il Battista si trova alla sinistra di Cristo mentre la Madre di Dio a destra. L’icona è attribuita alla scuola di Dionisij e si trova alla Galleria Tret’jakov di Mosca. Il Battista pur ricoperto da un manto mantiene il suo abito di pelli e simboleggia la vita eremitica nel deserto.

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

2. LA LUNGA GESTAZIONE

2. LA LUNGA GESTAZIONE LO SPIRITO DELLA PRIMA COMUNITÀ

32. Primo albero genealogico del monachesimo indicato da san Gerolamo. Dall’Antico Testamento con Elia ed i figli di Recab si passa ai primi rami del monachesimo cristiano.

1. Lo spirito della prima comunità San Paolo, sant’Ireneo di Lione e Tertulliano attestano chiaramente, nei loro scritti, che lo stile di vita adottato dalla prima comunità di Gerusalemme costituì il modello proposto a tutti i fedeli e formò parte della catechesi cristiana, nei primi secoli della nostra era. Negli Atti troviamo la descrizione della comunità ideale: «Tutti i beni erano in comune; si dava a ciascuno ciò di cui aveva bisogno; tutti avevano un cuore solo e un’anima sola». In realtà, si trattava dell’eco delle parole di Gesù: «Vendi e regala ciò che hai […] e seguimi!». Queste parole costituirono un vero e proprio incitamento alla vita religiosa cristiana, benché nel suo spirito essa fosse un modello per ogni vero cristiano. Nella Lettera a Diogneto troviamo una descrizione della comunità cristiana, che sottolinea alcuni tratti di questa comunità ideale: «I cristiani vivono sì nella carne, ma non secondo la carne; abitano in terra, ma vivono in cielo […]. Amano tutti, ma da tutti sono perseguitati. Sono ripudiati da tutti e, senza dubbio, sono condannati; sono giustiziati e in tal modo portati in vita. Sono poveri e arricchiscono molti; manca loro tutto, ma non manca loro nulla […]. Operano il bene e sono puniti come malfattori; condannati a morte, godono come se fossero destinati alla vita. In poche parole, i cristiani sono per il mondo ciò che l’anima è per il corpo». Non risuonano nelle nostre orecchie molte delle caratteristiche della storia monastica? San Gerolamo tracciò il seguente albero genealogico del monachesimo: «Quanto a noi, consideriamo capi della nostra professione Paolo, Antonio, Ilarione e Macario; e, per tornare all’autorità delle Scritture, nostro capo è Elia, nostro principe è Eliseo, nostre guide sono i figli dei profeti che abitavano la campagna e il deserto e piantavano le tende vicino alle acque del Giordano. Tra costoro ci sono anche i figli di Recab, che non bevevano né vino, né altro liquore che li rendesse ubriachi, abitavano in tende e sono lodati da Dio in Geremia».

Macario Paolo

Giuliano

Ilarione

Antonio Recabiti Elia

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2. Le prime prove Nei primi decenni del cristianesimo, non mancarono gruppi radicali, convinti che il proprio cristianesimo richiedesse una totale dedizione alle esigenze evangeliche. Così, gli Atti apocrifi degli apostoli indicavano che ricevere il battesimo obbligava non solo al celibato, ma anche alla pratica di un ascetismo povero e itinerante. Nacquero così i figli della Alleanza, dei quali più tardi parleranno sant’Efrem a Edessa e Afraat in Persia e che in quelle Chiese costituirono l’ultimo anello dell’ascetismo premonastico, nella lunga catena di coloro che seguivano le regole in modo radicale. Gli inospitali e inclementi deserti erano considerati i luoghi più adeguati ed erano ricercati per mettersi alla prova, per confrontarsi con le tentazioni e con la lotta spietata contro i nemici di Dio e degli uomini. Nel deserto si prepararono Abramo, Giacobbe, 26

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Mosè ed Elia; nel deserto si ritirò Gesù Cristo, maestro e guida di quanti si proposero, fin dal primo momento, di seguire i suoi passi. Il deserto era, in definitiva, il luogo dell’esperienza suprema, ossia la prova che conduceva al di là di se stessi, all’incontro con l’angelo o la bestia, fino al diavolo o fino a Dio. In uno degli scontri più decisivi di sant’Antonio con le legioni demoniache, Cristo stesso si dichiarò spettatore e infine corona e premio del santo vincitore della prova. Non mancarono, nelle prime comunità cristiane, gli eredi dei pietisti ebrei, che vissero austeramente (nell’astinenza dal vino e da alcuni alimenti, come la carne) e nella verginità. Seguire Cristo, esigeva da parte di questi cristiani l’abbandono di ciò che posse-

devano e di coloro che amavano. Rufino di Aquileia scrisse: «Ci sono due tipi di martirio: uno dell’anima, l’altro del corpo; uno palese, l’altro nascosto. Quello palese ha luogo quando si uccide il corpo per amore di Dio; quello nascosto, quando, per amore di Dio, si sradicano i vizi». A poco a poco, nelle comunità primitive, comparvero vergini, persone caste e dedite all’ascesi, vale a dire persone che rinunciavano al matrimonio, alla procreazione, ai possedimenti e alle comodità della vita, per la dedizione all’amore esclusivo per Dio, che praticavano la castità e che si dedicavano intensamente alla preghiera. In alcuni testi primitivi, inoltre, si trovano le tracce dell’esigenza, che avevano coloro che pretendevano di raggiunge-

33. Il deserto resta il paradigma dell’ascesi dei primi cristiani e delle prime forme eremitiche e monastiche. Qui è riprodotta una visione del deserto Paran nel Negev israeliano, sullo sfondo la montagna sacra di Har Karkom in cui alcuni archeologi come Emmanuel Anati hanno inteso vedere il Sinai.

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

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re la perfezione, di trascorrere un’esistenza totalmente dedita all’esperienza personale con Dio. La Didachè, l’importante manuale di istruzione morale della Chiesa primitiva, propone ai catecumeni del tempo un ideale difficile, tramite la contrapposizione del «cammino della vita» e il «cammino della morte». 3. Di nuovo il dilemma: solo alcuni uomini nuovi? Sin dai primi tempi del cristianesimo, si può dire, si ritrova l’invito a una esistenza pura, nobile, dedita soltanto al Signore. Una così difficile esigenza, di fatto, non poteva essere seguita da tutti, e di conseguenza, a poco a poco, si cominciano a riscontrare due modi d’intendere l’esistenza e i precetti cristiani. L’esercizio profetico-ascetico sarà compito di pochi, anche se li troveremo in tutti i tempi e in tutti i luoghi. In Siria, si conosce l’esistenza di precoci comunità siffatte e, in altri luoghi, di movimenti di poveri. 28

2. LA LUNGA GESTAZIONE

Il monachesimo cristiano è un fenomeno, i cui precedenti sono chiaramente riconducibili ad altre religioni e al popolo d’Israele, anche se trova i suoi punti fondamentali di riferimento nei Vangeli e nella prima comunità cristiana. Tali analogie sono dovute alla natura comune dell’essere umano, che, sottoposta ad analoghe esperienze religiose, reagisce in maniera piuttosto omogenea alle più profonde aspirazioni e agli ideali più ardui. Il suo antecedente più evidente, però, è il Signore Gesù, esempio di compenetrazione con il Padre e di dedizione ai fratelli, capace di un disinteresse assoluto, di generosità e abbandono, cammino imprescindibile per l’incontro di ogni uomo con Dio. In tal senso, il monaco sarà il tipo dell’ «uomo nuovo», che aspira ad essere completamente l’immagine di Gesù Cristo, morto e risuscitato. Il monaco si pone come un morto di fronte alle cose transitorie del mondo e alle preoccupazioni terrene, e vive della presenza dello Spirito Santo e dei suoi doni, dei quali il primo è l’amore e insieme con esso la gioia, la castità, l’obbedienza a tutte le manifestazioni della generosa dedizione a Dio Padre.

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34. Abramo si prepara alla sua missione di iniziatore del popolo di Israele nel deserto; la sua ascesi e la sua obbedienza lo rendono disponibile a sacrificare il figlio Isacco, in questo fermato poi da Dio che gli presenta in sostituzione un montone. Qui rappresentata la scena del sacrificio in un affresco delle catacombe della via Latina a Roma.

36. In questo affresco delle catacombe della via Latina a Roma si vede Gesù al pozzo con la Samaritana. L’offerta da parte di Gesù di un’acqua viva che dia la salvezza è paradigma per ogni scelta monastica che non si preoccupa delle cose transitorie di questo mondo per concentrarsi su ciò che porta alla vita eterna.

35. Anche Mosè si preparò nel deserto alla sua missione di liberatore del popolo d’Israele dall’Egitto. Qui è raffigurato mentre batte una verga contro la roccia per far scaturire l’acqua durante l’esodo attraverso il deserto. Esperienza di deserto in cui è dovuto passare l’intero popolo. Affresco delle catacombe di San Callisto, a Roma.

37. Uno dei primi fonti battesimali che ci sono stati conservati è il fonte della basilica al monte Nebo attualmente in Giordania. Il battesimo è partenza della vita per ogni cristiano e richiamo indispensabile per ogni scelta monastica. 37

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

3. ORIGENE, UN MONACO PRIMA DEL MONACHESIMO 39

3. ORIGENE, UN MONACO PRIMA DEL MONACHESIMO

Marsiglia CASSIANO

38. Il martirio è segno paradigmatico per il monachesimo primitivo. Il distacco dal mondo anche a costo della vita per affermare la venuta di Cristo. L’icona del XVII secolo qui riprodotta raffigura i quaranta martiri morti congelati sul lago di Sebaste in Turchia. Si trattava di quaranta legionari romani cristiani che nel 320 non accettarono di abbandonare la fede come richiesto dall’imperatore Licinio. Furono così condannati a morire ignudi sul lago ghiacciato. Cristo li accoglie in cielo e le loro anime sono simboleggiate dalle corone del martirio.

1. Una vita apostolica tra due epoche Origene, il grande teologo di Alessandria, non fu monaco, ma molti lo hanno considerato il precursore del monachesimo e anche il padre della vita religiosa. In realtà, nella sua vita e nei suoi scritti troviamo gli elementi principali che hanno caratterizzato la vita del monachesimo. Evagrio Pontico, Cassiano, san Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, vale a dire alcuni dei più grandi testimoni della storia del monachesimo, furono realmente suoi discepoli nella vita spirituale. I monaci d’Egitto, in particolare, furono ferventi seguaci della spiritualità di Origene e questo fu causa di non poche considerazioni nei secoli successivi. Origene nacque nel 185; suo padre subì il martirio durante la persecuzione di Severo (202) e fu egli stesso torturato durante la persecuzione di Decio (249-251), fino a morire di quei tormenti, nel 253-254. La storia personale e familiare segnò la sua vita e la sua religiosità, portandolo a confessare senza timore la propria fede e a dedicare la propria vita alla comunità cristiana. Condusse un’autentica vita ascetica durante tutta la sua esistenza: i suoi digiuni furono frequenti e prolungati, e questo comportò che fu proprio lui a dare un vigoroso impulso alla pratica del digiuno e dell’astinenza tra i cristiani. Dormiva poco, sempre per terra. Diede un gran valore alla povertà nel suo più profondo significato. Una volta, vendette i propri libri, ciò che più amava, per darne il ricavato ai poveri. Secondo Origene, gli asceti vivevano una vita apostolica, intendendo questa espressione nel senso di vita di perfezione. 2. La separazione «morale», la preghiera continua Insegnando e insistendo sulla necessità di separarsi dal mondo, spiegava che si trattava di una separazione morale, non spaziale: «Bisogna partire dall’Egitto, bisogna abbandonare il mondo, se desideriamo seguire il Signore. Dobbiamo lasciarlo, dico, non come luogo, ma come modo di pensare, non scappando attraverso le strade, ma procedendo attraverso la fede». Più tardi, senza dubbio, sotto diverse condizioni sociali, questa particolare separazione avrebbe costituito una delle caratteristiche essenziali del monachesimo. Era un uomo continuamente dedito alla preghiera e il suo scritto Sulla preghiera costituisce il primo commentario tecnico della preghiera cristiana in generale, e del Padre nostro in particolare. Per Origene, la preghiera rappresenta essenzialmente una partecipazione alla vita di Dio. Nella sua vita e nelle sue opere troviamo alcuni temi chiave del suo pensiero e di ciò che più tardi costituirà la vita dei monaci: l’importanza data alla preghiera continua, messa necessariamente in relazione con una virtuosa condotta di vita; l’importanza della lettura, specialmente della Scrittura, e della meditazione nella vita dell’asceta; la necessaria implicazione reciproca di preghiera e pastorale; l’ascetismo inteso come succedaneo del martirio; il 30

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Costantinopoli Cappadocia BASILIO GREGORIO DI NISSA GREGORIO DI NAZIANZO

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39. Nella cartina si indicano i siti con i nomi dei padri della Chiesa che si resero discepoli della vita spirituale di Origene preparando così la spiritualità monastica successiva. 40-41. Due figure di Santi monaci affrescate nella chiesa di San Mercurio nel Cairo vecchio, Egitto.

ORIGENE

biblico dell’esodo. Egli considera l’attraversamento del deserto da parte del popolo ebraico l’immagine della vita cristiana, che va dal battesimo al cielo, e considera inoltre questo evento un’immagine dell’itinerario catecumenale, che si sviluppa dopo la conversione (fuga dall’Egitto) e l’ingresso nel catecumenato (passaggio del Mar Morto), fino al battesimo (traversata del Giordano), che segna l’entrata nel Regno di Cristo (terra promessa).

38

concetto dinamico di vita spirituale, intesa come continuo avanzamento e ascensione, magnifica e faticosa, fino all’incontro personale con Dio. È ammirevole la sua profonda capacità di penetrare il mistero della Incarnazione e della trasformazione che il Verbo guadagna nell’anima umana. La pietà, la mistica e il monachesimo devono molto alla sua esperienza religiosa e alla sua opera scritta. Il nucleo della sua opera teologica fu lo studio approfondito della Bibbia, lo sforzo per comprenderla e per utilizzarla, al fine di raggiungere una fede retta e una vera religiosità. Comprendere la Sacra Scrittura era per lui «l’arte delle arti e la scienza delle scienze». La lettura quotidiana della Scrittura costituì il fulcro della sua vita religiosa personale e, attraverso di lui, si trasformerà nel cuore religioso del monachesimo. Dopo essersi ben affinato nel suo lavoro di esegesi, Origene si concentrò sul significato spirituale dell’Esodo. Secondo lui, l’esodo del popolo ebraico costituiva una grande allegoria del continuo progresso del cristiano, dalla conversione al battesimo, dal battesimo alla morte, e dalla morte al cielo. «Il Signore si rallegra grazie a te, quando ti vede vivere in tende in questo mondo, quando ti vede non avere intenzione o fermo proposito sulla terra, e non desiderare ciò che è terreno, e non considerare tua proprietà perenne l’ombra di questa vita, ma che ti affretti, come chi si trova di passaggio, verso la vera patria del paradiso, da dove sei partito, dicendo: sono straniero come tutti i miei padri». Origene paragona spesso la preparazione al battesimo all’evento

3. L’ascesi come vita apostolica Non si può raggiungere nulla di tutto questo senza distacco, sforzo e sofferenza. Si può arrivare alla illuminazione, alla contemplazione e all’unione mistica con Dio soltanto attraverso lo stretto sentiero della rinuncia, della purificazione e della più rigorosa ascesi, rinunciando al matrimonio e alla famiglia, praticando il digiuno, combattendo le passioni del corpo e in particolar modo la sua concupiscenza, sforzandosi di crescere in tutte le virtù, prima tra le quali l’umiltà. Per Origene, dunque, la vita spirituale consta di due parti inseparabili e complementari: l’ascesi, o lotta contro le passioni e i demoni che le accendono e le favoriscono, e la contemplazione, che consiste in una mistica di tipo fondamentalmente intellettuale. La prima parte è principio e condizione necessaria della seconda. L’uomo spirituale, nella misura in cui cresce nella perfezione, sperimenta l’aumento dell’intensità delle sue tentazioni: questo fa sì che egli viva sempre in una continua consapevolezza del peccato, in una perenne contrizione per le proprie colpe. Senza ascesi non esiste vita mistica: «Solo i puri di cuore sono capaci di raggiungere la contemplazione», ripeteva con insistenza. Anche se Origene non fu monaco, perché, tra l’altro, ai suoi tempi non c’erano monaci, e anche se nel suo pensiero non era contemplato l’abbandono della società per vivere appieno il cristianesimo, nei suoi scritti e nella pratica della sua vita troviamo i principi fondamentali e lo spirito che, in seguito, daranno forma all’istituzione del monachesimo. 31


II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

4. L’ASCETISMO PREMONASTICO

4. L’ASCETISMO PREMONASTICO

La vita ascetica e gli insegnamenti di Gesù, come presentati nel Nuovo Testamento, trovarono pronti imitatori tra i primi cristiani. La totale consacrazione proposta dai Vangeli come ideale cristiano fu interpretata da alcuni come una chiamata alla rinuncia delle pratiche e delle aspettative sociali ordinarie. Queste scelte erano individuali, vissute in seno alle comunità cristiane e all’interno di famiglie che fornivano un sostegno materiale. I primi seguaci furono per lo più donne: vedove rimaste sole o giovani donne non sposate. Il ruolo di queste vedove e vergini nella vita delle Chiese locali divenne, poi, man mano più evidente e la loro libertà di pregare, digiunare e lavorare un contributo genuino alla più ampia comunità di fede. Alcuni uomini e donne cercarono nel matrimonio spirituale, ovvero celibatario, di creare la loro propria arena domestica per la preghiera e la pratica ascetica. Una serie di condanne di questa pratica, classificata dai vescovi e dai sinodi come sinesaktismo – letteralmente donne «introdotte»

in casa di nascosto – suggerisce che essa attraeva molti come modo per pilotare le concorrenti richieste della società e della vocazione religiosa. È difficile per noi oggi capire quanto risultasse complesso il primo orizzonte cristiano, prima che il tempo e l’esperienza stabilissero modelli più stabili per la vita ascetica. Gradualmente l’ascetismo ottenne un posto nella Chiesa più tollerante come uno stile di vita cristiana praticabile, rispettato e venerato. Alcuni asceti potevano aver cercato compagnia nella comunità, ma il modello era domestico piuttosto che istituzionale. L’ascetismo all’interno del matrimonio era probabilmente la forma più comune per gli uomini come per le donne, in modo da poter adempiere più agevolmente alle aspettative sociali. Le coppie sposate decidevano dopo la nascita dei bambini di astenersi da rapporti sessuali o di vivere più semplicemente, elemosinando. Questo è il modello proposto dal catecheta egiziano Clemente di Alessan-

dria († 212 ca.), egli stesso sposato e padre, ma attratto dall’ascetismo come modo per esprimere la profondità della fede cristiana con l’età e l’esperienza. Nelle Chiese sire della Mesopotamia l’ascetismo sembra essere sempre stato un aspetto centrale. Un tempo in queste Chiese il celibato veniva richiesto a coloro che perseguivano la totale iniziazione attraverso il battesimo. I non sposati, i vergini, i battezzati erano noti come ihidaye, «soli», anche noti come bnai e bnat qyama, «figli e figlie della convenzione». Gli sposati che adottavano uno stile di vita da celibi in preparazione al battesimo erano i qaddishe, «i santi». Successivamente il termine ihidaye designò i monaci e assunse l’ulteriore accezione di «solitario». L’identificazione dell’ascetismo con la cristianità battesimale era inusuale. Per i più l’ascetismo era un atteggiamento all’interno della Chiesa, scelto da alcuni come forma di disciplina cristiana. Con il passare del tempo, la pratica dell’ascetismo guadagnò so-

stenitori e vide lo sviluppo di un’ampia teologia, spesso espressa attraverso le storie di donne e uomini santi che sceglievano un nuovo tipo di testimonianza a Cristo. Alcune di queste erano Atti apocrifi di vari apostoli, come gli Atti di Paolo e Tecla sulla resistenza di una giovane donna al matrimonio dopo aver ascoltato il discorso di Paolo, o gli Atti di Giuda Tommaso, in cui si vede l’apostolo viaggiare verso l’India per insegnare la conoscenza ascetica della cristianità. Tali scritti completavano le spiegazioni del martirio, mostrando un modo di autoconsacrazione cristiana liberamente scelto e valido anche nei tempi di pace. Nel III secolo Origene († 253-254), brillante esegeta di Alessandria e poi di Cesarea di Palestina, sviluppò una teologia in cui l’ascetismo, specialmente sessuale, anticipava la condizione angelica a cui gli esseri umani sono destinati dopo gli sforzi propedeutici di questa vita. La sua supposizione non era nuova, ma l’incorporazione da lui operata dell’ascetismo nella spiritualità cristiana risultò decisi-

42. In questo mosaico tombale paleocristiano di Tunisia viene raffigurata una coppia di sposi. Lui, uno scriba, appare in atteggiamento compunto, lei in posizione di orante. Il cero, le colombe, i galli e le rose contribuiscono a creare un’atmosfera carica di religiosità. Ciò che sarà per i monaci una regola, per i cristiani era un paradigma. 43. Affresco in una cupola di Bagawat, oasi di Kharga, in Egitto. Vi si raffigurano le storie di santa Tecla, con la santa esposta alle fiamme del martirio. Tecla è la figura leggendaria di una nobile vergine convertita da san Paolo e scampata miracolosamente a morte per essere poi battezzata nell’arena dove viene martirizzata. Tecla resterà una figura paradigmatica per il monachesimo e perciò presente in molta arte monastica come nella chiesa di Bagawat. 44. Una santa affrescata nel monastero di San Mosè l’Etiope a Nabak in Siria.

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II. LE ORIGINI DEL MONACHESIMO CRISTIANO

4. L’ASCETISMO PREMONASTICO

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niera del giovane Agostino. Tra i vari tipi di gruppi Gnostici alcuni erano caratterizzati da un’enfasi riguardo all’ascetismo, come i profetici e carismatici Montanisti, ai quali il grande teologo Tertulliano († 225 ca.) si aggregò verso la fine della vita. Pertanto, gli asceti ortodossi erano costretti a provare l’autenticità della loro testimonianza cristiana. I sostenitori dell’ascetismo aumentarono con il tempo. Le donne che sceglievano la verginità per tutta la vita cominciarono a indossare il velo come segno della loro consacrazione, adottando in tal modo il copricapo normalmente riservato alle donne sposate. Il vescovo provvedeva a dare il velo all’interno della liturgia e spesso le vergini occupavano un posto speciale in chiesa, quale riconoscimento di un ruolo distinto nella comunità. Tale forte affermazione di libertà ascetica incontrava resistenza nell’aspettativa convenzionale. Il vescovo Ambrogio di Milano, introducendo la cerimonia del velo, registrò un forte contrasto ad opera dei maggiorenti, che la consideravano sovversiva nel controllo delle figlie.

Nilo

45. Carta storica delle principali persecuzioni e martirii subiti dai cristiani.

EGITTO 203 250-253 257-260 306-310

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CIRENAICA

va. Dal tempo delle Omelie Macariane del IV secolo, alcuni gradi della pratica ascetica venivano assunti dai cristiani più devoti nelle varie circostanze della vita. La scelta ascetica richiedeva spesso grande coraggio, poiché essa, particolarmente per le donne, era un rinnegamento delle aspettative più convenzionali. Gli insegnamenti ascetici erano frequentemente visti con sospetto dai vescovi e dal laicato cristiano; l’ascetismo come una minaccia per la casa e la famiglia, per l’importanza del matrimonio cristiano, per la bontà dei doni di Dio. Emersero individui e gruppi certamente elitari, che si ergevano a giudici con coloro che si sposavano e vivevano come parte della società tradizionale. Movimenti come gli «Encratiti», o «astemi», guidati dal maestro siro Taziano nel tardo II secolo, erano polemici e sospetti. Ugualmente negativi circa l’incarnazione umana erano i Manichei, che non si configuravano come cristiani, benché il loro fondatore, Mani, avesse evidentemente un’educazione cristiana ed essi si appellassero alla gente alla ma-

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ARABIA

Martirio di Stefano Martirio di Giacomo il Maggiore Arresto di Paolo Uccisione di Giacomo, parente di Gesù Distruzione del Tempio e diaspora degli Ebrei Martirio di Simone vescovo di Gerusalemme

46. «Martirium» di el-Adhra, nella regione di Tur’Abdin, oggi in Turchia. Nell’antico territorio siriano di cui la regione di Tur’Abdin faceva parte vi sono frequenti costruzioni paleocristiane dedicate ai martiri («martiria»).

Il moto verso comunità ascetiche indipendenti e strutturate – i «monasteri» – non costituiva un passo arduo, sebbene richiedesse un sostegno economico. Spesso le ricche vedove fornivano spazi e fondi per le nascenti comunità monastiche. Sappiamo che nell’Egitto del tardo III secolo Antonio il Grande affidò sua sorella alle «note e fedeli vergini», che sembra avessero un tipo di vita comunitaria. La testimonianza degli asceti è meno abbondante. Nel II secolo Giustino martire notò che «alcuni uomini e donne, che sono stati discepoli di Cristo sin dalla loro infanzia, giunti a 60 o 70 anni hanno conservato la loro purezza: e io sono orgoglioso di poter additare questo tipo di persone in ogni nazione» (Prima Apologia, 15, 6). C’erano i celibi «Figli della Convenzione» nelle Chiese sire e un legame speciale tra celibato e sacerdozio divenne più comune durante l’antichità cristiana. L’ascetismo maschile diventa rilevante solo con l’avvento dei primi testi monastici, come la Vita di Antonio.

47. Nel sacello paleocristiano di San Vittore in Ciel d’Oro, oggi incorporato alla basilica di Sant’Ambrogio a Milano, si trova una delle più antiche raffigurazioni di Ambrogio. Sant’Ambrogio è da considerarsi un promotore dell’ascetismo premonastico primitivo, in particolare femminile. 35


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

1. IL MONACHESIMO DEL DESERTO

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1. IL MONACHESIMO DEL DESERTO RISPOSTE E COSTANTI

49. Anfiteatro delle tre Gallie a Lione rimasto luogo di testimonianza di molti martiri cristiani tra i quali la figura di Blandine. 50

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Alcuni vollero lottare contro il demonio sul suo terreno tradizionale, vale a dire nel deserto. Sono frequenti le testimonianze di coloro che affermano che il deserto, inizialmente molto popolato dalle forze del male, fu conquistato a palmo a palmo dalla santità di vita di uomini così grandi. Non si può dimenticare l’esperienza di Gesù nel deserto della Palestina. Secondo altri, questo genere di vita si trasformava in un succedaneo del martirio. La vita monastica, come il martirio, poteva sostituire il battesimo, dava il perdono a tutti i peccati e rendeva completamente simili a Cristo. Erano convinti, cioè, che la loro vita solitaria fosse il loro proprio sacramento. Come scrive Cassiano, riferendosi ai cenobiti, «la pazienza e la fedeltà rigorosa, con cui perseverano devotamente nella professione che abbracciarono un giorno, poiché non soddisfano mai i propri desideri, li trasformano continuamente in uomini crocifissi per il mondo e in martiri viventi». Una delle idee più insistite in quell’epoca consiste nel considerare il monaco come uomo della croce: «esercitarsi ed essere disposti a morire per amore di Cristo – dice Basilio di Cesarea –,

51. Cartina dei luoghi del primo monachesimo in Egitto con indicati gli attuali monasteri intitolati a sant’Antonio e a san Paolo di Tebe.

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48, 50. Vengono qui messe a confronto l’immagine della grande basilica paleocristiana di San Lorenzo a Milano, frutto di un cristianesimo divenuto principale religione dell’impero, con il rischio di perdere lo spirito primitivo, e l’immagine del monastero dedicato a sant’Antonio nel deserto egiziano dove la spiritualità copta ha cercato di mantenere vivo l’ascetismo del primo cristianesimo.

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Il decreto della libertà religiosa (313) e la veloce conversione di massa dell’Impero al cristianesimo portarono inevitabilmente a un’estesa mediocrità dello spirito religioso e a un rilassamento delle esigenze ascetiche e religiose dei cristiani. Nonostante l’apparente successo e il riconoscimento generalizzato del cristianesimo, molti cristiani continuavano a ricordare le esortazioni che san Paolo faceva alla sua comunità: di non abusare delle cose di questo mondo, ma di servirsi del mondo come se non se ne facesse uso. I cristiani, secondo l’apostolo, dovevano aspettare l’arrivo dello sposo «con le lampade accese e le costole strette», atteggiamento difficile da mantenere in un mondo apparentemente cristianizzato, ma troppo invariato e mediocre. In questa prospettiva, la vita dei Padri del deserto può essere interpretata e intesa come reazione istintiva al profondo significato cristiano, contrapposto alla fallace riconciliazione con il mondo, che poteva sembrare giustificata dalla conversione imperiale. Non c’è dubbio che il desiderio, più o meno consapevole, di dimostrare a gran voce l’incompatibilità tra cristianesimo e mondo, e il rifiuto della progressiva mondanizzazione dei cristiani costituirono uno dei motivi dell’aumento del numero dei cristiani, che decidevano di abbandonare la società romana e di vivere in solitudine. Secondo questi cristiani, soltanto i monaci potevano praticare in pieno la vita cristiana, impossibile da condurre appieno in un mondo impuro. Si trattò, in poche parole, di una protesta silenziosa, ma clamorosa, contro il rilassamento della vita cristiana. Secondo altri storici, i monaci cercarono di continuare in un altro modo l’atteggiamento di quei cristiani che non avevano indugiato ad affrontare le belve feroci per difendere l’integrità del Vangelo. Molti dei primi cristiani, che vissero in solitudine e isolamento (anacoreti), erano fuggiti sui monti e nel deserto, a causa delle persecuzioni e, abituatisi al nuovo modo di vita, decisero di rimanere in quegli stessi luoghi anche dopo la pace di Costantino, fuggendo, questa volta, dai nuovi pericoli e tentazioni contro la fede, tentazioni meno sanguinose, ma non meno insidiose. Il sentimento essenziale di tutta l’esperienza solitaria dei monaci del deserto consiste nel riconoscimento dell’esistenza del male nel cuore stesso del mondo e nel più profondo di ogni essere umano, e nella necessità di lottare contro di esso, «con preghiera e digiuni». Erano consapevoli di essere uomini caduti, e del fatto che il mondo era caduto con loro. Essi e il mondo erano stati ridotti in schiavitù dal principe delle tenebre, cadendo nell’errore e nel peccato, che rendeva loro impossibile trovare la via per ritornare a Dio. Questi uomini, fuggiti nel deserto per le esigenze della propria fede, a poco a poco, maturarono l’idea che la vita cristiana vissuta in generosità e in dedizione era una confessione di fede, un martirio incruento. Sant’Antonio, nel 311, si precipitò ad Alessandria durante la persecuzione di Massimino Daia, con l’intenzione di testimoniare la sua fede. «Dopo che cessò la persecuzione, in cui il beato vescovo Pietro subì il martirio, Antonio si ritirò nuovamente nel deserto, dove, attraverso l’applicazione della sua coscienza, era martire tutti i giorni e combatteva la battaglia della fede», scrive il suo biografo.

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III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

1. IL MONACHESIMO DEL DESERTO

mortificare le proprie membra che sono in terra, rimanere in piedi, in ordine di battaglia, per affrontare tutti i pericoli che possono sopraggiungere a causa del nome di Cristo, non affezionarsi alla vita presente: questo è ciò che si chiama portare la croce». La maggioranza prese questa strada come risposta libera e nobile alla chiamata di Dio. Arsenio chiese con insistenza al Signore: «Guidami nella via della salvezza», e immediatamente ebbe la risposta: «Arsenio, fuggi lontano dagli uomini e sarai salvo». Seguendo l’esempio di Gesù, desiderarono dedicarsi alla preghiera e alla penitenza, allontanandosi dal mondo e dagli uomini, nella solitudine del deserto. I monaci erano considerati veri uomini di Dio, dotati di carisma e capaci di curare i malati, di consolare gli afflitti e di generare figli per la vita spirituale. A prima vista, sembrerebbe che la finalità di queste vite sia puramente individuale e personale, e che si riduca al desiderio di purificazione, di santificazione e che tutte le azioni siano volte a questo scopo. Senza dubbio, sin dal primo momento, l’orizzonte

e campo d’azione fu più ampio e la loro ambizione abbracciò tutto il campo ecclesiastico. Coloro che si consegnarono all’esclusivo servizio di Dio, separandosi dal mondo, operano, secondo le parole di Eusebio di Cesarea, «come rappresentanti di tutto il genere umano». Malgrado l’allontanamento e l’emarginazione, secondo gli uomini di questo mondo, le loro vite assomigliavano a «lampade che illuminano il mondo intero». Il loro modo di vita e il loro radicale rifiuto rafforzavano il carattere marcatamente escatologico del loro esempio. Per i cristiani del tempo, essi si trasformavano nella «incarnazione dell’eternità stessa», nell’anticipazione di ciò a cui tendevano e aspiravano. Il marcato rifiuto dei valori terreni, come il matrimonio, le ricchezze, gli onori e le comodità, poteva avere origine, a volte, in eresie o in interpretazioni radicali poco concordi con l’autentico significato evangelico, ma, in generale, rappresentò molto bene la presenza dello spirito tra gli uomini, la vicinanza purificatrice e salvifica del definitivo.

53. Icona del 1723 proveniente da Trebisonda in Turchia, oggi in collezione privata a Parigi. Raffigura il monaco Zosima che partecipa la Comunione a santa Maria Egiziaca, considerata anticipatrice del monachesimo femminile.

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52. L’arte copta conserva nei secoli l’iconografia dei padri fondatori del monachesimo egizio. In questa tavola del XVIII secolo, oggi al Museo di Arte copta del Cairo vecchio, si ha una splendida immagine di san Paolo di Tebe, ritenuto con sant’Antonio abate l’iniziatore dell’anacoretismo egiziano. L’anacoretismo individua la scelta monastica della «separazione» dalla vita secolare e pertanto del ritrarsi in solitudine nel deserto.

54. Grotta di sant’Antonio alle spalle dell’attuale monastero in Egitto. La tradizione la riconosce come luogo di eremitaggio del Santo. Il diavolo, tentatore, è preso da una miniatura spagnola medievale di un commentario dell’Apocalisse (secolo XI).

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55. Immagine di sant’Antonio conservata al Museo del Cairo Vecchio che compare in coppia con la precedente immagine di san Paolo di Tebe. Nella tavola dipinta Antonio possiede gli attributi tradizionali della sua iconografia: l’abito monastico, la barba e il bastone a stampella. 39


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

2. GLI EREMITI COPTI

2. GLI EREMITI COPTI 56. Veduta aerea dei resti del famoso complesso anacoretico detto delle «Celle» nella regione oggi chiamata Qusur al-Izayla

58. Particolare di un eremo delle «Celle» a Qusur al-Izayla. Vi si vedono chiaramente delle nicchie di eremiti.

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In Egitto, dove il deserto è alla portata di tutti, era facile ritirarsi e nascondersi ai limiti delle zone abitate, nelle antiche tombe, che potevano servire da rudimentali capanne, dove la vicinanza di un fiume o lo scaturire di una fonte assicuravano con facilità l’approvvigionamento d’acqua. Questo è quello che fecero i primi anacoreti, quei cristiani che decisero di separarsi dagli esseri umani e vivere soli, per trovare più facilmente Dio e per dedicare a Lui la propria vita, senza restrizioni. Più tardi, si allontanarono sempre di più e si addentrarono nel deserto. La vita monastica cominciò in Nitria, nei primi decenni del IV secolo e si diffuse rapidamente in Egitto, Siria, Palestina e nell’Asia Minore. I monaci erano reclutati generalmente nelle classi basse della società copta. La maggioranza era rozza, poco istruita, spesso analfabeta. Da ciò dipende la frequente diffidenza per la speculazione teologica. Erano laici e non volevano ricevere cariche sacre, perché questo equivaleva, solitamente, ad abbandonare la solitudine e a dedicarsi all’opera pastorale. Alcuni di loro vivevano in solitudine assoluta, come prigionieri rinchiusi in caverne, in anfratti inaccessibili, a volte per decine di anni, ricevendo dalla pubblica carità i viveri indispensabili, attraverso un’apertura praticata nel muro. La maggior parte di essi viveva autonomamente, ma vicini gli uni agli altri. In una comunità che, di fatto, era come una cooperativa di solitari, gli anacoreti 40

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59. Una nicchia eremitica affrescata con una croce. L’arte eremitica copta è ricca di queste croci colorate, quasi aniconiche. 60. Tipologia di differenti celle eremitiche.

Alessandria

Damanhour

Nitria

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57. La cartina identifica sulla sinistra del delta del Nilo, a sud di Alessandria, due grandi siti monastici anacoretici primitivi, quello di Nitria e quello delle Celle. Siamo agli inizi della tradizione monastica copta. 60

61. Ricostruzione isometrica di un eremo delle «Celle» in Egitto. 41


63. Egitto, Palestina, Siria, Alta Mesopotamia e Asia minore furono le regioni di espansione del primo monachesimo.

Danubio

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Costantinopoli Tessalonica

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ASIA MINORE

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Damasco PALESTINA

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Alessandria EGITTO

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MAR ROSSO

62. Attuali mura di cinta del monastero al-Baramus a Wadi’n Natrun. Primo luogo di ritiro di san Macario.

non dovevano preoccuparsi del sostentamento, né di come ricevere i sacramenti, e quindi la loro libertà personale era totale. Al centro della colonia, si innalzava una chiesa, fornita di uno o più sacerdoti, anch’essi anacoreti. Si riunivano il sabato e la domenica, per celebrare l’eucaristia e fare la comunione, secondo le due specie sacramentali. In alcune colonie, esistevano foresterie per gli stranieri, spesso molto numerosi, che accorrevano anche da lontane comunità cristiane, perché il Padre risolvesse i loro problemi e offrisse loro orientamenti per la vita. L’ospitalità fu, sin da principio, una delle virtù monastiche. «È giusto accogliere con venerazione i fratelli che ci fanno visita, poiché accogli non loro, ma Dio. Hai visto tuo fratello, dice la Scrittura, hai visto tuo Signore Iddio», insegnò l’anacoreta Apollo. Non era sempre facile mantenere questa ospitalità, per il fatto che i numerosi visitatori che accorrevano dall’Europa e dall’Oriente interrompevano la necessaria solitudine e il raccoglimento e provocavano un malessere che obbligava molti anacoreti a fuggire in luoghi ancor più nascosti. Coloro che erano chiamati alla solitudine cercavano un modello, un anziano famoso per la sua austerità e santità, che potesse insegnare loro come comportarsi nell’eremo, come lottare contro le frequenti tentazioni dei demoni, come progredire nelle virtù. È questo padre o modello spirituale, che trasmetteva ai discepoli le massime e le regole del monachesimo, che li formava e li guidava perché potessero sviluppare meglio la vita ascetica intrapresa. Così, avevano origine le colonie di eremiti, più numerose a secon42

da di quanto straordinario e carismatico fosse il maestro. Furono famose le colonie formatesi intorno ad Ammone e Macario. Necessariamente, a causa dei discepoli e degli ammiratori, spesso questi maestri sentivano il bisogno di nascondersi ancora di più, e, a loro volta, i discepoli aumentavano e accorrevano sempre più numerosi, alla loro nuova dimora. Nella vita dell’anacoreta, la preghiera occupava un posto privilegiato. «Il vero monaco, diceva sant’Epifanio, deve tenere senza sosta in cuor suo la preghiera e la salmodia». La preghiera era individuale o comunitaria, durante le ufficiature di mezzanotte o durante le riunioni del sabato e della domenica. La preghiera è sempre un contatto personale con il Signore, che si può esprimere sia nel più profondo del cuore o della stanza, sia in comune con i fratelli. Tutti aspiravano a un contatto continuo, intimo e amoroso con Dio, consapevoli di cosa ciò significasse per la propria vita spirituale. «Quello che fa sopravvivere nell’anima il ricordo di Dio è l’essere liberi dai vizi, il perseverare nella lettura, nell’ufficiatura e nella preghiera incessante, giorno e notte», insegnava Evagrio Pontico ai suoi discepoli. Accanto alla preghiera, il lavoro manuale occupava la giornata dell’anacoreta egiziano. I monaci tentarono sempre di far coesistere armoniosamente preghiera e lavoro e, per questo, cercavano sempre occupazioni compatibili: confezione di cesti, di corde e di stuoie intrecciate con giunchi e palme, facilmente reperibili nei dintorni. I prodotti erano venduti nei villaggi e il ricavato serviva

loro per vivere. Alcuni copiavano manoscritti, attività spesso mal vista dagli ignoranti; altri aiutavano i contadini nella mietitura, in cambio di una quantità di grano sufficiente alla loro sussistenza e alle elemosine che offrivano ai poveri. Mangiavano una sola volta al giorno, anche se, spesso, non assumevano assolutamente nulla anche per tre o quattro giorni. La dieta consisteva in pane, sale e acqua – alimento fisso di sant’Antonio, per esempio – oppure soltanto in frutta, o in qualche verdura. In generale, si astenevano da ogni cibo cotto. Di solito, mangiavano da soli, alle tre del pomeriggio, o al tramontar del sole. Soltanto il sabato e la domenica, dopo l’eucaristia, assumevano l’agape in comune, nella chiesa stessa. Si trattava di un cibo straordinario. Sant’Antonio, al posto dell’agape, aggiungeva al suo pasto qualche oliva, verdura secca e olio. Di sabato e di domenica, avevano luogo le cosiddette colazioni, conferenze su temi spirituali, discussioni su argomenti teologici o esposizioni di temi concreti, tenute da uno dei Padri più venerabili. Era una vera e propria formazione continua, non soltanto teorica, ma anche e soprattutto utile alla vita e all’esperienza di ciascuno. Il più famoso anacoreta copto, che era anche il più seguito e venerato, fu senza dubbio sant’Antonio, che propose come stile di vita di dedicare la maggior parte del tempo all’anima e pochissimo al corpo. La sua vita fu scritta dal grande patriarca di Alessandria, sant’Atanasio, e divenne un vero e proprio modello per quanti sentirono la vocazione al deserto e alla solitudine.

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64. Sant’Atanasio, particolare di un affresco del monastero di San Mosè l’Etiope a Nabak in Siria. Atanasio, uno dei padri della Chiesa, scrivendo la biografia di sant’Antonio, fece conoscere il monachesimo in Occidente. 43


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

3. I CENOBITI

3. I CENOBITI 65. Veduta attuale del monastero di San Gabriele nella regione del Fayum in Egitto. Il monachesimo cenobitico comporta la nascita di monasteri complessi, veri e propri insediamenti con differenti funzioni sotto l’autorità di un superiore.

66. Icona bulgara che raffigura san Pacomio considerato il fondatore del cenobitismo.

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Si è molto discusso se sia venuto prima l’anacoretismo o il cenobitismo: in realtà, sembra che esistano precedenti e dati per difendere entrambe le posizioni. Nel deserto, agli anacoreti copti fece seguito il cenobitismo, che consistette nel fronteggiare l’anarchia degli anacoreti, concentrandoli in un monastero, con vita comunitaria, sotto l’autorità di un superiore. Nasce così, quasi contemporaneamente in diversi luoghi, la vita cenobitica, benché a noi siano giunte soltanto le notizie del monastero fondato sotto la direzione di Pacomio, intorno all’anno 323, a Tabennesi, nell’alto Egitto. A Pacomio non si attribuisce ancora il raggruppamento di asceti intorno ad un capo carismatico, ma sicuramente fu lui il fondatore delle comunità di fratelli: «Se si presenta qualcuno alla porta del monastero, che chiede di rinunciare al mondo e di unirsi al numero dei fra44

telli […], si unisca pure profondamente ai fratelli». Non era un qualcosa di puramente spirituale, ma trascendeva la vita pratica di ogni giorno. Pacomio, che aveva assunto la Scrittura come propria guida e maestra di vita, s’impegnò affinché la comunità vivesse secondo il modello della primitiva comunità di Gerusalemme: «un cuore solo e un’anima sola». I fratelli si aiutavano reciprocamente, secondo l’immagine di Cristo, che pose se stesso a servizio di tutti: «L’amore di Dio – diceva – consiste nel soffrire gli uni per gli altri». Pacomio, «quando vide che i fratelli si riunivano intorno a lui, stabilì la regola seguente: ciascuno doveva essere autosufficiente, in tutto ciò che riguardava i bisogni materiali, sia per il cibo, sia per i forestieri che ricevevano la sua ospitalità, dal momento che mangiavano insieme. I monaci affidavano a Pacomio i

propri beni, affinché li amministrasse; e questa era una decisione libera e spontanea, dovuta al fatto lo consideravano persona sicura e che egli, dopo Dio, era il loro padre». In seguito, si dedicò a regolare minuziosamente ogni attività della vita cenobitica: occupazioni, lavoro, abbigliamento, dieta alimentare. La perfetta vita comune escludeva l’autonomia dei monaci, che dovevano vivere in obbedienza e in atteggiamento docile di fronte all’abate, nel rifiuto di ogni proprietà privata e nell’uso dei beni, che, secondo la nuova concezione, appartenevano all’intera comunità. Il monaco non può dare, né ricevere, non può prestare, né distruggere o cambiare alcunché. Andavano così scomparendo l’autonomia e l’indipendenza, che erano state caratteristiche degli anacoreti. Il monastero cenobitico si trasformò, in tal modo, in un corpo organico, in cui il monaco svolgeva un compito preciso e con-

creto, anche se differenziato a seconda dell’insegnamento che aveva ricevuto, in funzione delle necessità della comunità. I discepoli di Pacomio conservarono il ricordo delle sue parole: «In Egitto, vedo tre persone della nostra epoca, spinte da Dio al beneficio di quanti possono intendere: il vescovo Atanasio, campione fino alla morte di fede cristiana; sant’Antonio abate, modello perfetto della vita anacoretica; e questa comunità che rappresenta il modello per quanti desiderano riunire le anime secondo Dio, per curarle fino a che non raggiungano la perfezione». Non esisteva il noviziato, e neppure i voti, ma esisteva l’obbligo di osservare tutte le regole proprie del monastero e quello di obbedire a tutti i superiori. Si trattava di un grande monastero con diverse residenze, in cui i fratelli si aiutavano e si servivano reciprocamente. L’idea di servizio è alla base della vita cenobitica pacomiana. 45


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

3. I CENOBITI

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Alessandria Nitria San Mena Le Celle D. Baramus dei Siriani

Fondazioni di Pacomio

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Altri monasteri

Il Cairo

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della Vergine Sant’Antonio Beni Suef

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San Pacomio M. Rosso Akhmim M. Bianco Sohag dell’Arcangelo M. di Pbow Tabennesi D. Amba Bidada San Palamone

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70. Famosissima icona (secoli VI-VII) proveniente dal monastero di Bawit, oggi nelle sale copte del Museo del Louvre a Parigi. Cristo accompagna san Mena. L’arte copta dà fondamento cristologico alla scelta monastica.

Isna dei Martiri Idfu

San Simeone

67. Pianta della chiesa del monastero di San Pacomio presso Akhmin. In nero la struttura originaria del VI secolo. In grigio la struttura posteriore. Il tratteggio indica la struttura originaria scomparsa.

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Assuan

68. Resti delle colonne della basilica del monastero di Pbow, in Egitto, una delle principali fondazioni pacomiane. 69. Cartina dello sviluppo del monachesimo copto.

La struttura del monastero ricorda gli accampamenti militari che Pacomio conobbe quando era soldato: era circondato da un muro e aveva una casa per gli ospiti, una sala per le riunioni del culto, un refettorio, con cucina e forno, un ospedale e una serie di case, in ciascuna delle quali vivevano da 20 a 50 monaci. I sacrifici e l’austerità del passato, almeno apparentemente, erano stati attenuati. In realtà, lo stile di vita era stato adattato ad una grande comunità, composta, necessariamente, da temperamenti di carattere diverso, più o meno rigorosi e inclini all’austerità. Erano imposte pochissime cose, cosicché rimanesse un ampio margine per le iniziative particolari, purché non dannose per la vita della comunità. Una delle regole imponeva che «tutti mangiassero indossando un cappuccio di pelle concia di capra», al fine di evitare l’invidiosa emulazione. Tutti coloro che venivano ammessi al monastero dovevano imparare a leggere e a scrivere, e a ripetere a memoria passi della Sacra Scrittura. Pacomio, che aveva iniziato la sua vita anacoretica, sotto la direzione del famoso Palamone, e al quale si attribuivano atti prodigiosi, come quello di aver sciolto con le lacrime un mattone su cui si era messo a pregare, rappresentò la presenza di una certa umanità, all’interno di un genere di vita spesso eccessivamente radicale, e, al tempo stesso, seppe superare alcune delle limitazioni proprie della vita troppo autonoma degli anacoreti, imponendo le non sempre facili esigenze della vita in comune. Alcuni dei suoi

consigli evidenziano una profonda sapienza cristiana, a carattere universale: ad esempio, raccomandava ai monaci di rifiutare la pericolosa tendenza a immischiarsi negli affari degli altri fratelli, e li esortava ad interessarsi piuttosto alla direzione che prendevano le loro anime. Il mutuo rispetto dei monaci, come manifestazione esteriore di carità, doveva essere una delle basi della concordia dentro il monastero, la regola aurea della vita comunitaria. A quell’epoca, sorsero molti conventi di monaci che seguivano la regola pacomiana ed erano diretti da monaci scelti da Pacomio e dai suoi successori. Pacomio, di fatto, fondò otto monasteri, tra i quali due femminili. Nonostante i pochi dati in nostro possesso, si conosce l’esistenza di altri monasteri retti da tradizioni diverse, anche se influenzati, in qualche modo, dalle norme pacomiane. In Palestina, sant’Ilarione fondò il primo cenobio nel 329, e, a poco a poco, mossi in parte dall’attrazione e dal significato religioso della Terra Santa, i monasteri si moltiplicarono, soprattutto in luoghi che avevano relazione con la vita di Gesù. Il passaggio dal monachesimo eroico del deserto al monachesimo urbano e regolare trasformò la vita monastica da mezzo in metodo, da spontaneità, a volte eccentrica, ma pur sempre straordinaria, in una forma di vita austera, ma accettabile e imitabile, caratterizzata in buona parte dal desiderio di aiutarsi e sostenersi gli uni con gli altri. 47


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

4. LA GRANDE TRADIZIONE SIRIACA

4. LA GRANDE TRADIZIONE SIRIACA

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71. L’arte siriaca è particolarmente legata alla figura di sant’Efrem. In questa miniatura del XII secolo, oggi conservata nella Biblioteca del Patriarcato Siro Ortodosso di Damasco, si ha, se pur rovinata, una splendida iconografia di questo padre dell’anacoretismo siriaco.

1. Un intreccio di esigenze Nei territori che comprendono le province della Siria, Fenicia, Mesopotamia ed Edessa, fino al periodo in cui si stabilirono le prime comunità, si sviluppò un tipo di cristianesimo molto esigente, caratterizzato da un rigore di vita a volte estremo, e dall’accettazione della verginità e della povertà come attitudini e forme di vita comune. Alcuni storici sottolineano l’influsso della Persia e dell’India sulla dottrina e sulle pratiche del monachesimo siriaco, caratterizzato da un estremo individualismo. Non bisogna dimenticare neanche la possibilità di un influsso della setta degli esseni, anche se ci sono pochissimi dati che lo confermano. Questo spiegherebbe l’estremo fondamentalismo, spesso stravagante, di molte pratiche 48

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72. Nel convento di Nostra Signora di Balamand, in Libano si conserva questa icona in cui si vede a sinistra san Simeone lo stilita, il più famoso tra i monaci dedicati a questo tipo di ascesi sulla colonna, e, a destra, san Simeone del monte Ammirabile, a sua volta stilita. L’icona mostra come un mondo di pellegrini, devoti e postulanti venisse ai piedi delle colonne.

73. Tra le rovine della chiesa paleocristiana di Qalat Siman in Siria (dedicata a san Simeone) si trova il basamento della colonna su cui stava lo stilita.

rigoristiche di questa regione. San Gregorio di Nazianzo descrive con ammirazione il modo di vita dei monaci siriaci: digiunavano per venti giorni, portavano catene di ferro, dormivano sulla nuda terra e rimanevano in piedi, in continua preghiera, sotto pioggia e neve e battuti dal vento. Così, gli «stazionari» s’imponevano come regola di stare sempre in piedi, senza parlare o sollevare gli occhi, senza coricarsi per dormire. Alcuni di loro vivevano come gli animali: mangiavano erba, si posavano su rocce o su alberi come uccelli. Gli anacoreti più sconcertanti che popolarono i luoghi solitari della Siria furono i pazzi, pazzi per Cristo, che si facevano credere malati di mente. Tutti costoro avevano una sete insaziabile di mortificazioni. Al tempo stesso, pregavano senza sosta e meditavano sulle Scritture. Teodoreto di Ciro parla degli anacoreti che, nella seconda metà

del VI secolo, popolarono i deserti e i monti di questo territorio: «abbracciano la vita solitaria, si impegnano a non parlare di nulla all’infuori di Dio e non si concedono assolutamente il conforto umano». Alcuni abitavano in capanne, altri in grotte e caverne; molti prescindevano da ogni tipo di dimora: vivevano all’aria aperta, senza nessuna protezione contro gli agenti atmosferici, a volte congelati dal freddo, a volte scottati dal sole; alcuni rimanevano in piedi, altri si circondavano di un muro, perché non volevano parlare con nessuno; altri cercavano rifugio nel cavo di un albero; altri, ancora, rimanevano esposti a tutti gli sguardi. Non bisogna dimenticare che san Giovanni Crisostomo iniziò la sua vita religiosa come anacoreta, nei pressi di Antiochia. In ogni caso, ci troviamo lontani dalle altre tradizioni monastiche, anche orientali.

Ricordiamo l’insegnamento del noto anacoreta Poemone: «Non ci ha detto di uccidere il nostro corpo, ma le nostre passioni»; ma la tradizione siriana andrebbe meglio d’accordo con la risposta che Doroteo diede a Palladio: «(Il mio corpo) mi uccide e così io uccido lui». 2. Sant’Efrem e gli stiliti Sant’Efrem (306-372) fu uno dei più noti anacoreti siriaci, autore di importanti opere, difensore della vita ascetica ed eremitica, da lui paragonata al martirio. Predicò l’eremitismo assoluto, dedito alla preghiera continua e regolato dalla più stretta austerità, e insistette sull’importanza dello studio, che, secondo lui, faceva aumentare la purezza del cuore. 49


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

4. LA GRANDE TRADIZIONE SIRIACA

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77. Affresco del monastero di San Mosè l’Etiope a Nabak, in Siria. Nel particolare del Giudizio finale qui riportato si vede san Pietro che apre le porte del Paradiso a monaci e monache.

74-75. Croce e risurrezione sono i temi dell’arte siriaca: non si dà croce senza risurrezione. L’evangeliario di Rabbula del 586, oggi conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze unisce nello stesso foglio Cristo in Croce e Cristo risorto, mentre il codice Siriaco 344 conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi ci mostra una croce gloriosa con al centro Cristo risorto e giudicante tra gli angeli. 76. Siria e alta Mesopotamia all’epoca della espansione monastica.

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tenendo che fosse inviato da Dio per consolare il popolo cristiano. Il prodigioso diffondersi del movimento stilita fu dovuto, in buona parte, all’influsso di Simeone il Grande. I reclusi costituirono un’altra categoria di anacoreti siriaci, che vivevano rinchiusi in case senza finestre, in sepolcri o in torri. Il mobilio di questi uomini, che disprezzavano le cose periture, era di una semplicità evangelica. «La povertà volontaria – scrisse Evagrio Scolastico – consiste nel non possedere più di un mantello, una tunica, una Bibbia e una cella».

L. di Van Tigri Edessa Qalat Siman

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3. La vita comunitaria e la croce individuale

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Il modo più sorprendente di vivere la rinuncia assoluta fu quello degli stiliti, numerosi in Siria e Mesopotamia: essi stabilivano la propria dimora sulla cima di una colonna e rimanevano lì immobili per anni, in modo che, pur vivendo nel mondo, si tenevano lontani da esso, mantenendosi a metà strada tra cielo e terra. Simeone lo Stilita visse in questo modo per quarant’anni: «Il famoso Simeone – scrive Teodoreto di Ciro –, prodigio della terra abitata, è conosciuto dai sudditi dell’Impero romano, ma è celebre anche tra i Persiani, gli Indiani e gli Etiopi. La sua fama si è propagata anche tra i nomadi sciiti». Simeone rimase in piedi in cima a una colonna, giorno e notte, in estate e in inverno; quando pregava, si chinava spesso e a fondo; dava buoni consigli a chi stava ai piedi della colonna e faceva prediche due volte al giorno; combatté contro eretici e pagani, stimolò lo zelo religioso di autorità religiose e civili. Iniziò la propria esperienza in un monastero, ma dopo dieci anni fu espulso, perché i suoi compagni non sopportavano di conformare il proprio stile di vita alle estreme penitenze di Simeone. Questo lo portò a vivere solo e a scegliere la colonna come massima solitudine e come modo per fuggire le forme di venerazione dei suoi ammiratori. La gente lo considerava santo e accorreva in massa dalle parti più lontane dell’Impero, ri-

Gerusalemme Mar Morto

ARABIA

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In un ambiente individualista ed eccentrico, come quello descritto, risultò più difficile che attecchisse la vita cenobitica, che, in un primo momento, consisteva in congregazioni di eremiti formatesi attorno ad un santo venerato. Verso la fine del VI secolo, la vita comunitaria cominciò ad imporsi sempre più, ma non senza contraddizioni, dato che la stabilità e il progresso economico dei monasteri sembrava allontanarsi dal concetto di povertà e di ascesi assoluta, propria degli anacoreti. Per questo motivo, a poco a po-

co i monasteri iniziarono ad imporsi restrizioni. Una delle difficoltà dell’organizzazione dei monasteri siriaci fu la mancanza di regole monastiche, di norme comuni di vita. Esistevano esempi e modi di vita di abati e monaci famosi che servivano come punto di riferimento e modello di vita, ma non vi era lo stretto obbligo di seguirli. In realtà, il cenobio siriaco era una scuola di solitari, dove si esercitavano i grandi asceti, o anche una residenza di reclusi, dove vivevano i monaci veri e propri, serviti da monaci di seconda categoria: gli uni si dedicavano alla preghiera e all’ascesi, gli altri lavoravano, assicurando il buon funzionamento del monastero. Il maestro e i discepoli si riunivano di sera, per la preghiera in comune e per mangiare; il resto del tempo lo passavano in solitaria meditazione, senza altra regolamentazione al fuori dell’esempio e dei consigli del maestro. Nonostante le numerose forme di eccentricità, non c’è dubbio che i monaci fossero grandi cristiani, concentrati sul valore teologico della croce, sulla morte e, nel contempo, sul miglior modo di aprirsi a Dio, con il quale volevano rimanere in permanente comunione. Loro grande nemico era il corpo, che tentarono di annullare con immaginazione e costanza. Il loro grande modello fu Cristo crocifisso. 51


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

5. ASIA MINORE, CAPPADOCIA

5. ASIA MINORE, CAPPADOCIA 79. Gregorio di Nissa. In un mosaico medievale dell’abside della grande cattedrale di Santa Sofia a Kiev, Ucraina.

Secondo san Girolamo, fu sant’Ilarione, discepolo di sant’Antonio, a trasmettere il modello monastico egiziano all’area siro-palestinese. In realtà, la presenza del monachesimo in Asia Minore risulta ben documentata nell’epoca successiva al concilio di Nicea (325), quando si diffuse il modello di Eustazio di Sebaste, che, riprendendo i motivi di un certo fondamentalismo, abbastanza vicino alla ideologia gnostica, arrivò al punto di condannare l’unione matrimoniale, la messa celebrata da sacerdoti sposati e qualsiasi forma di ricchezza. Il concilio di Grange (340) attacca direttamente questo fondamentalismo, nei canoni relativi alla condanna delle forme di estremismo, che predicavano la continenza sessuale e un eccessivo pauperismo che era riuscito ad attirare un consistente numero di asceti. Basilio mantenne, in gioventù, buone relazioni con Eustazio, fino a che non si scontrarono per ragioni dottrinali. La Cappadocia fu evangelizzata molto presto, probabilmente ad opera dello stesso Paolo. In questa terra ci furono molti martiri, e da lì partirono alcuni missionari che apportarono forti influssi sulla conversione dell’Armenia. San Basilio, san Gregorio di Nazianzo e san Gregorio di Nissa, detti Padri Cappadoci, sono originari di questa terra, dove la vita religiosa ebbe un forte sviluppo, soprattutto dovuto all’impulso dato da san Basilio, che intraprese la codificazione dell’ascetismo. Nato in Cappadocia, Basilio scelse la vita monastica, dopo aver condotto solidi studi di retorica nelle migliori scuole dell’epoca. Visitò le realtà ascetiche di varie regioni orientali, prima di ritirarsi a vivere in solitudine, in una delle sue proprietà, non lontano dalla sua terra (357-58). Lì iniziò un’esperienza comunitaria insieme ad alcuni amici, tra i quali c’era Gregorio di Nazianzo, e si concentrò fondamentalmente sulla preghiera e sullo studio. In quegli anni, approfondì la conoscenza della mistica di Origene: scrisse un manuale antologico, la Philokalia, corredato di testi scelti di Origene, che favorì una straordinaria diffusione delle idee del teologo alessandrino, in ambienti monastici. Basilio realizzò il suo viaggio tra i monasteri egiziani poco prima della morte di Antonio (356) e comprese che era necessario superare gli inconvenienti dell’anarchismo monastico, presente in molti luoghi, inserendo i monasteri nell’ordinamento ecclesiastico. Egli giunse alla conclusione che la vita ascetica, trasferita all’interno di una comunità, era migliore della vita anacoretica: «La carità non si cerca per se stessa; la vita solitaria, che allontana da tutti, ha come unico scopo quello di servire a raggiungere gli obiettivi dell’individuo in questione. Senza dubbio, questo è palesemente in contrasto con la legge della carità […]. Noi siamo stati chiamati con l’unica speranza della nostra chiamata, siamo un solo corpo e membra gli uni degli altri». Con Basilio, il cenobitismo raggiunse un progresso organizzativo senza precedenti, emancipando il monachesimo dalla sua iniziale impronta anacoretica. Diede sviluppo al sentimento comunitario, rifiutando l’ottica diffusa che riduceva il monastero ad una riunione di solitari. Per superare l’individualismo, la regola basiliana enuclea le prerogative del superiore, nelle mani del quale il monaco, esercitando l’obbedienza e l’ispirazione dello spirito, ab52

80. San Gregorio di Nazianzo, detto anche san Gregorio il Teologo. Icona gemella di quella di san Basilio, qui a lato, opera dello stesso autore e sita nella medesima chiesa.

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78. San Basilio il Grande in un’icona del XVIII secolo dipinta da Giovanni di Gerusalemme. Chiesa di San Nicola, Tripoli, Libano.

bandona la propria libertà. Il superiore è il garante della disciplina collettiva, che trova i suoi fondamenti principali nella preghiera, nel lavoro, nel servizio ecclesiastico e nell’attività caritatevole (ospedali, scuole per bambini, cibo per i poveri). In una simile ottica, che cerca la comunione totale attraverso l’attività quotidiana, non sono permesse iniziative personali: tutti devono seguire il medesimo ritmo di digiuni, di penitenze e di discipline ascetiche. Basilio completa la sua legislazione con acuta teologia spirituale, nella quale s’intravede l’attuazione dei principi evangelici (castità, povertà, obbedienza), come ideale fondante della realtà monastica. Nelle sue regole troviamo, inoltre, una forte insistenza sulla necessità di avvicinare e aiutare i poveri, i bisognosi e gli infermi, nei quali il monaco deve sempre vedere Cristo. Gregorio di Nissa, fratello di Basilio, elaborerà il primo dei tre principi evangelici, che costituirà il punto di partenza nel cammino verso il raggiungimento della perfezione cristiana, nel De Virginitate, opera maestra del genere, vero e proprio sostegno delle regole basiliane. La verginità è per san Gregorio «una porta per

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accedere a una vita più santa»; il suo potere è tale che «fa sì che Dio partecipi alla vita dell’uomo, dà le ali al desiderio dell’uomo di ascendere alle cose celesti ed è un ponte che unisce la natura umana a Dio, rendendo armonici, con la sua mediazione, questi estremi, per natura così diversi tra loro». Gregorio vede, alla luce della verginità, tutta l’economia divina, l’intera catena della salvezza, che si estende dalle tre Persone della Trinità e dalle potenze angeliche del cielo, fino all’uomo, ultimo anello. Chiama Cristo archiparthenos, ossia «prima vergine». Gregorio di Nazianzo è il terzo dei Padri Cappadoci. Nacque nel 329, incontrò Basilio all’università di Atene e la sua amicizia segnò la sua vita: fu monaco insieme a Basilio per breve tempo, ma quanto bastò perché egli collaborasse alla redazione delle regole monastiche. Vescovo di una piccola diocesi, difese con forza la piena umanità di Cristo e l’assoluta uguaglianza delle tre persone trinitarie. La sua vita fu una continua fuga dal mondo, per poi farvi di nuovo ritorno. Il desiderio di ritiro e solitudine, però, non lo abbandonò mai. Il contributo che i Padri Cappadoci diedero al progresso della teologia, alla soluzione del problema dei rapporti tra ellenismo e 53


III. IL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO

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84-86. Interno di una chiesa monastica, a pianta basilicale, scavata nella roccia ed esterni con aperture di celle lungo le pareti rocciose. Gli affreschi mostrano una tendenza aniconica.

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Alessandria

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cristianesimo, al ristabilimento della pace e alla espansione del monachesimo ebbe un durevole influsso sulla Chiesa. La legislazione di san Basilio ha molto influenzato le tradizioni monastiche dell’Occidente: le regole furono tradotte, verso la fine del IV secolo, da Rufino di Aquileia, e, più tardi, san Cassiano e san Benedetto le conobbero; furono poi menzionate anche da Gregorio di Tours e, nel IX secolo, fecero nuovamente la loro comparsa nella Concordia di san Benedetto di Aniàne. Tra i successori dei Cappadoci, merita di essere ricordato Nilo di Agira, morto nel 430, la cui dottrina ebbe grandissima risonanza fra i monasteri dell’Asia Minore. Nelle sue opere, troviamo l’apologia della povertà e del lavoro, in contrapposizione con alcune teorie che mettevano in contrasto lavoro e preghiera. 54

81. Cartina della Cappadocia e carta del Medio Oriente con posizionata la Cappadocia attorno a Cesarea, nel centro dell’Asia Minore (Turchia). Nella cartina della Cappadocia assieme ai vari centri monastici troviamo anche i luoghi di provenienza dei grandi Padri cappadoci: Nazianzo e Nissa. 82. Veduta di una delle valli con romitaggi e complessi monastici abitate durante secoli in Cappadocia. 83. La Presentazione al Tempio del Signore, affresco di una chiesa rupestre con gli sfregi operati dagli infedeli per togliere la «forza» all’immagine.

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IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

1. DUE PROPAGANDISTI INSTANCABILI

1. DUE PROPAGANDISTI INSTANCABILI SAN CASSIANO E SAN GIROLAMO

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(7)Marsiglia

(1)Dacia

MAR

(Romania)

(6)Roma

M A R

NERO

(5)Costantinopoli

M E D I T E R R A N E O

Gerusalemme(2,4) Betlemme

EGITTO

(3)Scete

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1. Dall’Africa a Roma Il monachesimo nasce e si diffonde in Africa, ma qualche decennio più tardi arriva a Roma. Sant’Atanasio, il grande patriarca di Alessandria, durante le sue visite a Roma e a Treviri, parlò del valore cristiano dei monaci. Più tardi, la sua Vita di Antonio fu letta e imitata: molti monaci fecero visita ai sepolcri di Pietro e di Paolo, entusiasmandosi per il loro esempio e le loro parole. Il monachesimo europeo deve, però, i suoi inizi soprattutto a due personaggi di ben diverso carattere, ma di medesimo entusiasmo: Cassiano e Girolamo. In molti luoghi iniziarono a sorgere comunità che, in un certo senso, vivevano secondo il modo di vita cenobitico, ma senza regole e costumi codificati. Erano cristiani che vivevano così gli insegnamenti e le pratiche ecclesiastiche, e in particolare, la liturgia. Di fatto, alcuni di questi monasteri si stabilirono accanto a cattedrali o chiese, al fine di curare e mantenere vivi i riti liturgici. Lentamente, l’opinione popolare verso i monaci divenne sentimento di rispetto, ed essi, dall’essere incompresi e disprezzati, arrivarono ad essere ammirati e onorati. Influirono su tale cambiamento gli esempi di personaggi rispettati, come Melania l’Anziana e Rufino, o la lettura della vita di san Martino, di Sulpicio Severo e, soprattutto, gli scritti di Cassiano. In Italia proliferarono i monasteri e gli esempi di monaci eccellenti. Alcuni vescovi, come sant’Ambrogio, fondarono monasteri urbani che contribuirono efficacemente al loro lavoro pastorale. Altri, come Paolino di Nola ed Eusebio di Vercelli, seppero far coesistere la carica episcopale, la loro vocazione ascetica, la direzione spirituale di monaci e la loro intensa vita di preghiera. 56

87. Foglio di un codice del secolo VIII conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Lat. 5766). Nel codice è contenuta la Collatio IV di san Cassiano. 88. Itinerario di san Cassiano. Dalla Dacia, attuale Romania, andò in pellegrinaggio in Terra Santa con probabile passaggio da Costantinopoli. Fattosi monaco a Betlemme, in Palestina, andò tra i monaci d’Egitto. Tornato a Costantinopoli e fatto diacono fu inviato a Roma. Lo troviamo infine a Marsiglia, nel sud della Francia, dove diede uno straordinario impulso al monachesimo d’Occidente. 89. Miniatura di un manoscritto che ricopia le Conferenze di san Cassiano redatte nel 420. Oggi è conservato nella Biblioteca Municipale di Valenciennes in Francia. San Cassiano è raffigurato sulla destra mentre sembra guardare dei monaci copisti che offrono il manoscritto all’abate Amand (VII secolo).

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90. Stampa del 1801 che raffigura, come allora appariva, la cripta della chiesa del monastero di San Vittore, presso Marsiglia fondato da san Cassiano. La stampa è conservata nella Biblioteca del Municipio di Aix-en-Provence, in Francia.

91. I resti delle colonne della cripta di epoca merovingia di San Vittore, non distante da Marsiglia. 57


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

1. DUE PROPAGANDISTI INSTANCABILI Treviri(3)

(1)Stridone (4)Aquileia

Marsiglia

(8)Costantinopoli

Roma(2,9)

Nissa Antiochia

Smirne

Atene

(5,7,11)

(6) Aleppo

(10)Creta

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2. Contemplazione e azione in Cassiano Cassiano nacque probabilmente nell’attuale Romania, intorno al 360, da famiglia agiata. Padroneggiava il latino e il greco e sin da bambino manifestò la propria vocazione monastica. Andò in pellegrinaggio in Palestina e intorno al 378 entrò in un monastero di Betlemme; alcuni anni dopo, fece un pellegrinaggio nel deserto egiziano, e lì si stabilì, sotto la guida spirituale di Pafnuzio, nella colonia di solitari di Scete. Prima del 404 fu ordinato diacono a Costantinopoli da san Giovanni Crisostomo, e da lui fu mandato a Roma a portare alcuni messaggi. Intorno al 415, si trovava a Marsiglia, dove concentrò i suoi sforzi per riformare i monasteri esistenti e crearne di nuovi. Fondò due monasteri, uno maschile (San Vittore) e l’altro femminile. Insegnò a tutti i monaci il significato della vera tradizione. Il suo bilinguismo facilitò il suo voler essere ponte tra Oriente e Occidente. In realtà, fu un monaco errante, ma l’esperienza acquisita in Oriente, relativamente alle forme di eremitismo e cenobitismo, lo rese capace di proporre un modello più adeguato alla mentalità occidentale. Uomo di ottima formazione e di profonda esperienza cenobitica, grazie alla sollecitazione di vescovi e asceti, che riconoscevano la sua autorità in materia, scrisse due opere che hanno influito in modo decisivo sulla formazione del monachesimo occidentale: le Istituzioni cenobitiche e le Conversazioni spirituali, in cui descrive cosa si deve osservare in un monastero per otte58

92. San Girolamo in una miniatura di un codice conservato nella abbazia di San Gallo in Svizzera (Cod. Sang. 22). Qui appare come il traduttore dei Salmi, parte del suo grande lavoro di diffusione della Sacra Scrittura.

nere la purificazione dell’anima. L’abbigliamento, l’ufficiatura divina e la penitenza sono descritti con devozione e semplicità; spiega, poi, come si devono combattere efficacemente gli otto peccati capitali: gola, lussuria, avarizia, ira, malvagità, accidia, superbia e orgoglio. La sua opera costituisce il manuale del monaco perfetto. Le Conversazioni, dal canto loro, sono una summa di spiritualità monastica. Per Cassiano, i monaci rappresentano nella Chiesa la presenza del primitivo fervore e della prospettiva escatologica: la ricerca del regno di Dio, infatti, e l’orientamento escatologico occuparono un posto centrale nella sua teologia. Cassiano afferma che senza il lavoro manuale, le pratiche spirituali perdono la loro efficacia. Insiste sulla necessità di integrare adeguatamente azione e contemplazione, obiettivo questo che, nella storia della vita monastica, costituisce, di fatto, una continua aspirazione. Senza dubbio, Cassiano individua nella carità il fine supremo del monaco e prospetta, come unico mezzo per raggiungerla, la rinuncia a tutto ciò che è in contrasto con essa. Tutta la dottrina monastica di Cassiano si può ridurre a una equazione: carità = purezza di cuore = preghiera pura. Il monaco ha abbandonato il mondo per andare in cerca del regno di Dio, che consiste nell’unione con Dio, tramite la contemplazione. Mentre Evagrio distingue tra regno di Dio e regno di Cristo, Cassiano afferma che il monaco fa pieno ingresso nel regno di Dio quando riceve, attraverso la purezza del cuore, l’illuminazione dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo.

Gerusalemme

(12) Betlemme

Alessandria

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93. Itinerario di san Girolamo. Proveniente da Stridone in Pannonia, l’attuale Ungheria, andò ancora giovane a Roma, poi a Treviri in Germania da dove, passando per Aquileia, arrivò sino in Siria per vivervi un’esperienza eremitica e dedicandosi a studi biblici. Passando da Costantinopoli tornò a Roma ormai maestro in Sacre Scritture e di lì nuovamente in Siria facendo tappa a Creta. Andò poi in Palestina dove condusse vita monastica e compose le sue opere principali.

3. San Girolamo e il «secondo battesimo» San Girolamo ebbe una vita piuttosto agitata ed è passato alla storia per la sua straordinaria conoscenza delle Scritture e per la sua autorevole traduzione latina, la Vulgata; ma, nella sua epoca, fu noto anche per la sua innata vena polemica e per le aspre controversie, intavolate sia con persone fisiche, sia con istituzioni. Girolamo è considerato un valido difensore e diffusore del monachesimo, sia per quanto scrisse a suo favore, sia per il suo modo di vita. Quand’era ancora molto giovane, lasciò tutto quello che possedeva e divenne eremita nel deserto di Calcide (Siria). Nella solitudine dell’eremo, lottò contro ricordi, fantasie, e terribili tentazioni. Studiò l’ebraico e si specializzò negli studi biblici: «ama la scienza delle Scritture e non amerai i peccati della carne». Dopo aver fatto ritorno a Roma, divenne padre spirituale di note dame dell’aristocrazia e rinomato maestro della Sacra Scrittura.

Alla morte di papa Damaso, Girolamo si mise in viaggio verso la Terra Santa, insieme a Paola, una delle sue discepole più fedeli. Costei fece innalzare due monasteri a Betlemme, uno per sé e per le sue compagne, l’altro per Girolamo e i suoi monaci, e un alloggio per i pellegrini. Fu proprio a Betlemme che Girolamo scrisse parte della sua ingente opera. La professione monastica era, per lui, il secondo battesimo; bisognava seguire, nudi, la nuda croce, sbarazzandosi di tutti i beni e gli affetti. L’assoluto sacrificio di sé si identificava con la castità, ottenuta grazie ai digiuni, alle veglie, e alla mortificazione della volontà, tramite l’obbedienza. L’ufficio divino e la liturgia rappresentavano il dialogo delle anime con Dio, nutrito con la Bibbia, che era il principio e la fine della formazione monastica. Tale formazione poteva avvenire solo grazie alla pratica del silenzio e all’amore della cella. Obbedienza, umiltà e, soprattutto, carità costituivano, secondo Girolamo, le virtù fondamentali della vita «angelica» e santa del monaco. 59


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

2. IL MONACHESIMO IN GALLIA

Parigi

Loira

MARTINO DI TOURS E L’ISOLA DI LÉRINS

Senna

(6)Tours

Marmoutier

94. Miniatura del XII secolo conservata nella Biblioteca Municipale di Tours, in Francia. All’interno della lettera capitale D si illustra il miracolo di san Martino che con un segno di croce evita di essere schiacciato da un albero che veniva abbattuto da dei contadini che volevano mettere alla prova il suo Dio. L’albero era presso un tempio pagano e Martino voleva abbatterlo così i fedeli del tempio lo sfidarono: «lo abbatteremo noi e vedremo se il tuo Dio ti salverà». Il miracolo convinse i contadini della bontà del Dio di san Martino.

(3,5)Poitiers PANNONIA (UNGHERIA)

o

(2,4)Milano Arles

Rodan

Il più famoso monaco della Gallia del IV secolo, regione corrispondente più o meno alla Francia odierna, fu Martino (316-97). Egli era un giovane uomo privilegiato e un soldato prima di scoprire la cristianità e di sentire la chiamata alla vita monastica. Il suo modello di monachesimo fu quello di una comunità libera riunita intorno ad un maestro. Dopo la sua morte, tuttavia, un tipo di monachesimo molto diverso emerse nel lontano sud della Gallia sulla piccola isola di Lérins.

2. IL MONACHESIMO IN GALLIA

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Danubio Lérins

Martino: un modello monastico Il biografo di Martino, Sulpicio Severo (ca. 360-ca. 430), conobbe il famoso monaco negli ultimi anni di vita. Egli ci dice nella Vita di Martino (ca. 394-97) e nei Dialoghi (405) che Martino nacque in una famiglia di militari in Pannonia (Austria orientale e Ungheria) e crebbe nel nord Italia, vicino a Milano. Da giovane soldato ebbe l’apparizione – divenuta poi famosa – di Cristo, vestito con parte del mantello che Martino aveva donato quello stesso giorno a un mendicante infreddolito. L’apparizione lo indusse a farsi battezzare. Non è chiaro per quanto tempo Martino rimase nell’esercito da cristiano, forse per 20 anni. Quando terminò la carriera militare, si legò a Ilario, il vescovo asceta di Poitiers nella Gallia occidentale. Questa intesa durò poco poiché Ilario fu presto esiliato per la sua opposizione alla visione ariana di Cristo. Martino poi si recò nel nord Italia e visse per qualche tempo come eremita. Dal 360 Martino si stabilì vicino a Poitiers in un luogo chiamato Ligugé. Lì visse da eremita, come aveva imparato in Italia. Ben presto egli guadagnò discepoli e fama e nel 371 fu nominato vescovo di Tours. Come vescovo istituì a Marmoutier una comunità monastica organizzata intorno a sé come padre spirituale e condivise il possesso dei beni, la preghiera e i pasti. I monaci più giovani lavoravano come amanuensi, mentre i più anziani si dedicavano completamente alla preghiera. Martino agì sia come vescovo di Tours che come capo spirituale della comunità di Marmoutier. Famoso per il suo severo ascetismo e i suoi sbalorditivi miracoli, Martino «mostrava una sorta di felicità divina nella sua espressione, sembrava avere oltrepassato i limiti ordinari della natura umana» (Vita, 27). Martino lasciò più un esempio di santità che un modello per la comunità monastica. Il culto del santo si estese largamente, ma la sua forma strutturata liberamente di monachesimo accentrato su un capo spirituale era difficile da duplicare. Il monachesimo basato su regole avrebbe trovato molto più successo in Occidente.

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95. Famosa statua sita sulla facciata della cattedrale romanica di Lucca in Toscana. San Martino a cavallo taglia in due il suo mantello per darne la metà ad un povero. 96. La freccia rossa indica l’itinerario di san Martino. Martino nasce in Pannonia che comprendeva l’attuale Austria orientale e Ungheria per passare la giovinezza a Milano nel nord Italia. Andò a Poitiers in Francia per amicizia con il vescovo, tornato nel nord Italia visse da eremita, istituì poi una comunità monastica a Marmoutier dopo avere proseguito la vita eremitica presso Poitiers. Divenne allo stesso tempo vescovo di Tours. La freccia senape indica l’itinerario di Onorato. Onorato era un Gallo che viaggiò molto in Medio Oriente conoscendo il monachesimo palestinese ed egizio. Poi passando dall’Italia andò nel sud della Francia e nell’isola di Lérins davanti a Cannes formò tra gli eremiti una comunità cenobitica con una Regula. Cesario vescovo di Arles ne fu un importante erede.

Un famoso monastero: Lérins Mentre la santità di Martino ebbe grande influenza, il modello di vita e le regole monastiche scritte del monastero dell’isola meridionale di Lérins furono di notevole importanza per lo sviluppo 60

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97. L’isola di Sant’Onorato, parte del piccolo arcipelago delle Lérins, vista da Cannes in Costa Azzurra.

del monachesimo latino. L’isola in sé è piccola, circa 1,5 km di lunghezza e meno di 1 km di larghezza. Fu lì che alcuni eremiti avevano creato una comunità cenobitica sotto la guida di Onorato (m. 430). La loro vita fu regolata da una prima normativa scritta che, dopo varie revisioni, costituì la prima Regola leriniana (la Regola dei Quattro Padri), finendo via via per codificarsi in un vero e proprio genere letterario, da cui sarebbe scaturita più di un secolo dopo la Regola di Benedetto. Onorato, un agiato Gallo, divenne un asceta e viaggiò molto per l’Oriente cristiano, facendo tesoro delle varie tradizioni monastiche della Terra Santa e dell’Egitto prima di ritornare in Gallia attraverso l’Italia. Egli si stabilì a Lérins alla fine del IV secolo e spinse gli eremiti dell’isola a unirsi in una comunità guidata da un singolo capo, chiamato in un primo momento is qui praeest, «colui che è incaricato». I membri della comunità dovevano obbedire al capo e osservare la «regola» comune del monastero. Poi nacque il genere latino di Regula, che è rimasto lo strumento principale della formazione monastica in Occidente fino ad oggi. Sebbene la forma della Regula fosse latina, l’orientamento del monachesimo leriniano era decisamente orientale. Il modello scelto da Onorato per la comunità mostra un marcato influsso del monachesimo egiziano. Veniva consumato un solo pasto al giorno; il 61


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

2. IL MONACHESIMO IN GALLIA

tempo era scandito dalla preghiera liturgica comune; le prime tre ore di ogni giorno erano dedicate alla preghiera personale e alla lettura (descritte semplicemente come vacare Deo, «essere libero per Dio»); le altre ore erano dedicate al lavoro manuale. Le norme scritte, alcune delle quali basate anche sulla pratica egiziana, stabilivano come i postulanti, gli ospiti, i monaci visitatori e i chierici dovevano essere ricevuti. La regola mostrava un interesse per l’ordine liturgico, sensibilità per la debolezza individuale, aiuto reciproco e correzione delle colpe. Onorato divenne la figura più importante sia nel monachesimo che nella Chiesa in Gallia. Lo scrittore Giovanni Cassiano degli inizi del V secolo dedicò la seconda parte delle sue Conferenze a Onorato, definendolo il capo di un grande cenobio a Lérins. Dopo l’elezione di Onorato a vescovo di Arles nel 426-27, a Lérins gli successe Massimo. Una versione rivista della Regola, la Seconda Regola dei Padri, risale a questo periodo di transizione. Tale testo mostra l’influenza dell’enfasi di Agostino sulla carità monastica e fissa le radici della vita di comunità nell’ideale biblico dei cristiani di Gerusalemme descritto negli At 2-4. Il capo viene chiamato praepositus e deve essere obbedito e amato. La regola stessa diventa ancora di più l’elemento unificante della comunità e c’è un accresciuto interesse per il decoro liturgico. A questo punto, nella sua storia Lérins ha favorito un fiorire dell’attività letteraria e l’inserimento di monaci nelle vicine sedi episcopali. L’importanza di Lérins sta ampiamente nel suo contributo alla gerarchia della Chiesa in Gallia. I monaci erano chiamati dall’isola per servire come vescovi, portando le regole e le usanze con sé per promuovere la vita monastica nelle loro diocesi. Uno dei più importanti esportatori leriniani fu Cesario, poi vescovo di Arles, che trascorse l’ultima decade del V secolo a Lérins prima di essere mandato ad Arles per recuperare la città dall’ascetismo troppo rigido. Nel giro di un paio di anni egli divenne vescovo e un attivo legislatore del monachesimo maschile e femminile. Il suo testo monastico più importante, la Regola per le Vergini, conserva alcune usanze liturgiche di Lérins, altrimenti perdute. Con Cesario si giunge al periodo di Benedetto.

98-99. Veduta delle mura interne e veduta generale esterna del monastero fortificato opera dell’abate Adalberto nel Medioevo. Il monastero non venne mai disturbato né da Visigoti né da Ostrogoti, ma i Saraceni nel IX secolo lo razziarono e portarono i monaci in Spagna. Liberati e tornati a Lérins, Adalberto costruì l’enorme torrione fortificato i cui resti ancora si vedono. Lì si rifugiavano i monaci in caso di scorribande ed assalti; un sotterraneo metteva in comunicazione il torrione con il monastero non fortificato.

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100. Visione dell’attuale flora dell’isola che, coltivata dai monaci, divenne nei secoli un vero giardino ricco di piante e piantagioni.

102. Non lontano dal monastero fortificato lungo la costa sud dell’isola troviamo la cappella di San Pietro restaurata nel 1964.

101. Rovine della cappella dedicata a san Michele a nord dell’isola.

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IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

3. IL MONACHESIMO AGOSTINIANO

3. IL MONACHESIMO AGOSTINIANO

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SANT’AGOSTINO DI IPPONA

1. Sant’Agostino e Ippona La conversione di sant’Agostino al cristianesimo coincise con la sua decisione di vivere in comunità, inizialmente in un modo un po’ atipico, ossia con un gruppo di amici che cercavano la verità, in seguito in modo più tradizionale. La sua decisione fu rafforzata dall’esser venuto a conoscenza di un monastero nei pressi di Milano, diretto da sant’Ambrogio, vescovo che stimava e incentivava la vita monastica, e in particolare la vita in comune dei chierici, istituita alcuni decenni prima da Eusebio di Vercelli, e dalla conoscenza dei monasteri romani, visitati durante un breve soggiorno nella capitale dell’impero. Fu influenzato, inoltre, dalla lettura dalla Vita di sant’Antonio e dall’esempio di Pontiziano, monaco di origine africana, che egli conobbe a Milano, mentre serviva Dio in povertà e totale dedizione. Anche Ambrogio, nella sua vita, adottò le pratiche caratteristiche della vita monastica: l’astinenza, i digiuni, l’assoluta povertà, la preghiera continua, il lavoro manuale. Dedicò, inoltre, alcune

delle sue opere alla consacrazione femminile alla verginità, insegnamento che lasciò un segno profondo nei secoli successivi. Ad Ippona (391), sant’Agostino organizzò una prima comunità di amici, che, in realtà, erano piuttosto monaci filosofi, e che ricercavano la verità in senso platonico. Più tardi, dopo essere stato ordinato sacerdote, fondò un monastero di sacerdoti; divenuto vescovo, trasformò la sua casa vescovile in un monastero (396), dove insieme a lui vivevano sacerdoti che lavoravano nella diocesi. Nel corso di molti anni, ordinò soltanto coloro che erano disposti a vivere in comunità e in povertà assieme a lui: «Chi desidera possedere beni personali e vivere dei propri guadagni, o agire in modo contrario alle nostre regole, non rimarrà con me e non sarà chierico». Veniva messo in pratica il precetto apostolico. La comunità sacerdotale era un corpo unico, insieme al vescovo e alla Chiesa. Possedevano in comune la casa e i beni, costituiti dalle donazioni dei fedeli. Agostino visse in questa comunità clericale per tutti i 34 anni del suo vescovato. A partire dal 425, accettò di attenuare questo precetto per coloro

103. Cartina dei luoghi principali della vita di sant’Agostino: nato a Taghaste in Nord Africa divenne filosofo e manicheo, lasciò poi Cartagine, nell’attuale Tunisia per andare a Milano dove sotto l’influenza di sant’Ambrogio e della madre santa Monica, si convertì all’autentica fede cristiana e ricevette il battesimo vivendo in una forma di comunità monastica con degli amici. Tornato in nord Africa divenne prete a Ippona, ma poté continuare una vita monastica. Fu poi durante 35 anni vescovo della stessa Ippona sino alla invasione ed alla persecuzione dei cristiani attuata dai Vandali nella regione.

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104. Pianta della famosa città romana di Ippona con il primo quartiere dei cristiani della città.

105. In una cripta nelle catacombe paleocristiane di San Gennaro a Napoli troviamo questo straordinario mosaico che raffigura un vescovo, nero, nord africano, rifugiatosi a Napoli causa la persecuzione dei cristiani operata dai Vandali in Nord Africa.

G RANDI TERME

TEATRO

A NORD

Milano Q UARTIERE C RISTIANO

106. Attuali rovine di Cartagine, sul mare, non distante da Tunisi.

Roma QUARTIERE QUARTIERE DEL FORO

DELLE VILLE

CARDO MINOR

Ippona C ARDO

Cartagine

Taghaste

V ILLA DEL M INOTAURO

A F

R

I C

A

T ERME A SUD

V ILLA A PIANI SOVRAPPOSTI

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IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

3. IL MONACHESIMO AGOSTINIANO

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107. In questa tavola paleocristiana dipinta, si vede sant’Agostino tra san Girolamo e san Gregorio. La tavola fa parte del Dittico di Boezio ed è conservata nei Musei civici d’Arte e di Storia di Brescia, nel nord Italia.

che, non sentendo la vocazione per un simile genere di vita, rimanevano convinti della propria missione sacerdotale. Fondò anche monasteri femminili: ad Ippona, per esempio, ne fondò uno, ponendolo sotto la direzione di sua sorella. L’influsso indelebile che Agostino esercitò sul mondo monastico è però dovuto essenzialmente alla sua Regola per i servi di Dio, scritta intorno al 400, per i monaci di Ippona. Non si trattava propriamente di una regola in senso stretto, ma piuttosto della rivelazione dello spirito con cui, chi vive in monastero, deve essere regolato e diretto. Questo grande vescovo, entusiasta della vita monastica, era imbevuto dell’ideale sublime, che ispirava la Chiesa primitiva e le sue prescrizioni rispecchiano proprio la ricerca e l’inseguimento di esso. Secondo sant’Agostino, i monaci hanno un «modo di vivere nella carne, ma non secondo la carne». La motivazione contemplativa di tale eroismo è del tutto nuova. Agostino interpreta l’anacoretismo come estrema aspirazione a contemplare Dio.

108. In questa immagine rinascimentale dovuta a Vincenzo Foppa e conservata nei Musei civici del Castello Sforzesco di Milano, vediamo sant’Agostino con gli attributi vescovili, così come ce lo tramanda la tradizione iconografica.

Sant’Agostino parla della necessità della preghiera e della carità, ma anche del regime alimentare e dell’abbigliamento da indossare. Tiene presenti i bisogni imprescindibili per preservare la salute fisica dei monaci, e per venire incontro ai bisogni dei malati, si preoccupa di come impiegare il tempo e di come coltivare lo spirito. È un uomo esigente, moderato ed equilibrato. Ricerca la forma perfetta di vita in comune, e sicuramente non la individua in forme di austerità o digiuno, bensì nel reciproco servizio e carità. Esige, inoltre, la preparazione intellettuale e incoraggia l’acquisizione della capacità di istruire l’intelligenza dei monaci. Alla base delle disposizioni monastiche si trovano i comandamenti originari: amare Dio e il prossimo. In tal modo, questa legislazione assume le caratteristiche di un prolungamento della legge divina. Alcuni riferimenti alla Scrittura confermano l’alleanza tra la regola monastica e la parola di Dio. 3. Il servizio pastorale

2. Un monachesimo urbano e colto Sant’Agostino sostiene che il monaco non può prescindere dall’interiorità, dal concentrarsi nel profondo dell’essere umano, e egli concepiva tale interiorità come pienezza dell’essere e della vita. La conoscenza di se stessi apre agli uomini la conoscenza di Dio. Preghiera e contemplazione sono strumenti essenziali per raggiungere questa conoscenza, che è, al tempo stesso, unione con Dio. «Un cuore solo e un’anima sola» costituivano il segreto della comunità primitiva. Agostino cercherà di raggiungere tale obiettivo nella vita comunitaria. La relazione interpersonale assume un valore completamente religioso. La comunità agostiniana si riunisce per vivere nell’umanità e nella concordia fraterna: «Vivete tutti, dunque, con umanità e concordia e onorate gli uni con gli altri Dio, di cui siete templi viventi». Perciò, la carità assume un ruolo centrale nell’ascesi agostiniana: essa si fonda nel dialogo continuo e sincero tra i monaci e nella comunanza dei beni: «bisogna soprattutto coltivare la carità; ad essa bisogna conformare il cibo, le parole, l’abbigliamento, le espressioni del volto. Siamo uniti e congiunti tramite la stessa carità: trascurarla significa offendere Dio» (De moribus, 37, 70). 66

Una delle particolarità di questo tipo di monachesimo è la sua dedizione al servizio della comunità ecclesiastica. Agostino unificò la vita del chierico con quella del monaco: riteneva, infatti, che l’apostolato costituisse la necessaria conseguenza della totale dedizione del monaco al servizio della Chiesa. La grande originalità sta nella perfetta simbiosi tra studio, occupazione principale, contemplazione e apostolato. Grazie all’influsso determinante di Agostino, il monastero, oltre ad essere una palestra di ascesi e un seminario, iniziò ad avere il ruolo di centro culturale, dove si curava, soprattutto, l’educazione ascetica e scolastica degli adolescenti. Il monachesimo agostiniano si estese rapidamente nel nord Africa. Dai suoi monasteri, furono scelti molti vescovi che, a loro volta, fondarono monasteri nelle proprie diocesi, riuscendo a fronteggiare le violente azioni dei Vandali e degli Agareni. Uno dei più noti successori di Agostino fu san Fulgenzio di Ruspe, morto nel 527, che diede impulso alla vita di questi monasteri. La regola agostiniana ha avuto molto successo, nel corso dei secoli, poiché è stata fatta propria da molti ordini e congregazioni monastiche ed è servita, inoltre, come fonte d’ispirazione per la composizione di nuove regole. 67


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

4. IL MONACHESIMO ISPANICO

4. IL MONACHESIMO ISPANICO 109. Isidoro di Siviglia offre alla sorella Florentina il suo De fide catholica… contra Iudaeos. Miniatura di un manoscritto francese dell’800 circa. Conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi (Ms. Lat. 1396).

110. Miniatura del manoscritto De Natura Rerum di Isidoro di Siviglia conservata nella biblioteca municipale di Laon in Francia (Ms 422). La miniatura raffigura la ruota delle stagioni e dei mesi.

111-112. Due vedute della chiesamausoleo dedicata a san Fruttuoso, presso Braga in Hispania. Esempio della eccellenza raggiunta dall’arte cristiana dei Goti di Spagna. Nell’immagine a sinistra si vede l’esterno dei bracci est e nord ed il tiburio centrale (assai restaurato) mentre nell’immagine in basso si vede l’abside orientale, sulla destra si nota il presunto sarcofago di san Fruttuoso.

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1. Origini e diffusione Anche nella penisola iberica ci furono manifestazioni della ricerca della solitudine, di pratiche ascetiche, di desiderio di mortificazione. Dagli atti del concilio di Elvira, tenutosi intorno al 300, si viene a conoscenza dell’esistenza di un numero piuttosto elevato di vergini consacrate. Uno dei canoni punisce severamente le vergini incontinenti, considerandole alla stregua delle adultere, in quanto la vergine che pecca commette adulterio contro Cristo, di cui è sposa. In seguito, il movimento priscillianista segnala anche la presenza di un consistente movimento monastico. Priscilliano, monaco severo, rigido nella sua condotta, pronto a trascorrere in preghiera tutto il giorno e tutta la notte, impresse un forte carattere ascetico alla propria setta, e il suo modo di vita rigido ed esigente fu la causa del prestigio ottenuto presso la gente semplice. L’ascetismo priscillianista influenzò le origini del monachesimo ispanico, spiegando così il motivo per cui il concilio di Saragozza (380) guardasse i monaci con diffidenza e sospetto. 68

Un altro caso famoso è quello di Egeria, monaca probabilmente originaria della Galizia, vagabonda devota e simpatica, che scrisse la narrazione del suo pellegrinaggio in Palestina per le monache del suo convento, offrendo una significativa descrizione della situazione del cristianesimo in Terra Santa. Molti dei numerosi cristiani latini che andavano in pellegrinaggio in Terra Santa, rimanevano a vivere nella terra di Gesù, spesso in monasteri latini, presi dal desiderio di imitare la vita del Signore, camminando per le strade in cui egli camminò e ripetendo i suoi gesti e le sue azioni. Melania l’Anziana fondò un monastero femminile sul Monte degli Ulivi; Rufino di Aquileia fondò, nel medesimo luogo, un convento di monaci che, insieme a lui, avevano una scuola e copiavano manoscritti; a Betlemme, Paola, figlia spirituale di san Girolamo, come già detto, fece sorgere due monasteri, uno per sé e per le sue compagne, l’altro per il santo e per coloro che vivevano con lui. Sembra che sia gli uni sia gli altri si riunissero per celebrare l’ufficio divino nella chiesa della Natività.

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2. Personalità di spicco Nella penisola iberica, nei secoli VI e VII la vita monastica ebbe uno sviluppo straordinario: san Leandro, sant’Isidoro di Siviglia, san Fruttuoso, capi instancabili e brillanti della Chiesa ispanica, scrissero regole e disposizioni per monache e vergini. Si trattò di un aggiustamento delle regole di Pacomio, Cassiano e Agostino, rivolto a coloro che non si sentivano sufficientemente in grado di seguirle nella loro austerità e perfezione. In realtà, molti monasteri vivevano in modo erratico, senza norme fisse. Questi vescovi, considerati allora come legislatori, decisero di offrire una regola concreta, che fosse adattata alle necessità di tutti e fosse facilmente seguita. Sant’Isidoro, il più famoso dei vescovi ispanici, scrive in forma semplice e comprensibile, affinché anche i più ignoranti possano seguire e praticare i precetti della vita religiosa. San Fruttuoso, da parte sua, era un visigoto di una nobile famiglia di Toledo. Fondò molti monasteri in Galizia, in Portogallo e in Andalusia, per i quali, nel 630 circa, scrisse la Regula Mo-

nachorum, equilibrato compendio di altre regole e frutto del buon senso del santo. San Martino di Braga fondò il monastero di Dumio, di cui fu abate. Uomo di grande e attraente personalità, vescovo di Braga, fu, nel suo paese, il grande propulsore della Chiesa, che egli trasformò in Chiesa nazionale del regno svevo. Dato che era buon conoscitore del monachesimo orientale, dedicò le sue conoscenze alla traduzione delle sentenze dei Padri egiziani. Sant’Isidoro ebbe uno scambio di lettere, oggi perdute, con san Martino, nelle quali quest’ultimo lo esortava a correggere i suoi errori, a praticare una vita di fede, a perseverare nella preghiera, ad elargire elemosine, ad essere pio e a coltivare le virtù. 3. Il Pactum e le regole Non tutte le regole esistenti nei monasteri ispanici erano dello stesso tenore: san Fruttuoso di Braga, ad esempio, impone rigore 69


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

4. IL MONACHESIMO ISPANICO

113

113. Sulle rovine dell’anfiteatro romano di Tarragona in Spagna si ravvisano chiaramente i resti di chiese di epoca visigota e romanica. 114. Resti degli scavi del villaggio e di sepolture visigote a Bovalar presso Lerida in Spagna.

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115. Cartina della Spagna visigota con i principali centri cittadini compresi Huesca, Toledo e Lerida dove si svolsero i concili di fondamentale importanza per lo sviluppo del monachesimo e per la cooperazione tra i vescovi ed i monaci nella diffusione del cristianesimo e della cultura.

Huesca Lérida

Dumio Braga

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Tarragona

116. Miniatura del Codex Aemilianensis redatto intorno all’anno 1000 e conservato nella Biblioteca dell’Escorial in Spagna. Vi si raffigura dall’alto in basso: la città di Toledo, due chiese, un concilio, due chiese ed alberi. Questa miniatura passerà alla storia come una delle più simboliche riguardanti un concilio.

Duero

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115 70

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Elvira

117. Nel tesoro di Guarrazar, Toledo, è conservata questa corona votiva a maglia quadrata e pietre dure, esempio altissimo dell’oreficeria visigota e testimonianza di una civiltà matura, ormai uno dei centri della cristianità europea.

116

117

e determinazione senza riserve per chi voglia integrarsi nella vita monastica, ed esige cieca obbedienza e assoluto silenzio, mentre sant’Isidoro sembra avere pretese più morbide. I monaci, per i quali sant’Isidoro stila le regole, guadagnano il proprio sostentamento con il lavoro: oltre a formare una comunità spirituale, formano anche una comunità economica autosufficiente. I lavori più pesanti sono svolti dai servi del monastero; tutto ciò che si produce è proprietà comune. Nel monachesimo ispano-visigoto esisteva la particolarità del pactum, che gli dà un carattere specifico e distintivo: si tratta di un vero e proprio contratto tra i monaci e l’abate, sottoscritto da entrambe le parti al momento dell’ingresso al monastero, in cui si stabiliscono i doveri reciproci, di modo che l’attuazione di ciascuno di essi condizioni gli altri. Costituì, spesso, lo strumento giuridico che le comunità avevano tra le mani per liberarsi da abati tirannici e viziosi. Verso la fine del VI secolo, gli abati iniziarono ad intervenire nella legislazione ecclesiastica. Nel concilio di Huesca del 598, si raccomanda che gli abati e il clero si riuniscano una volta all’anno,

per essere istruiti dal vescovo. Iniziano, poi, a partecipare ai concili: nel 653, dieci abati assistettero all’VIII concilio di Toledo e firmarono gli atti, come parte integrante della Chiesa spagnola. Il vescovo interveniva nella vita dei monasteri. Il concilio di Lerida (546) dice, infatti, che le comunità religiose sottostavano a una regola approvata dal vescovo. Vari concili riconosceranno loro il diritto di scegliere e imporre la regola che dovevano seguire i monasteri posti sotto la loro giurisdizione. Non potevano, peraltro, intromettersi nell’amministrazione dei beni del monastero. Sant’Isidoro dichiara che il vescovo deve incentivare i monaci a condurre una vita santa, a correggere le violazioni della Regola e a nominare gli abati e le altre autorità del monastero. I vescovi affidavano alla cura pastorale dei monaci le parrocchie rurali. Il popolo apprezzava molto i monaci e molti sacerdoti facevano richiesta di diventare monaci. San Benedetto di Aniàne inglobò nel suo Codex Regularum le regole di sant’Isidoro, di san Fruttuoso e la Regula communis, facendo sì che, in tal modo, il monachesimo ispanico contribuisse alla riforma del monachesimo carolingio. 71


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

5. IL MONACHESIMO IRLANDESE 1. Una Chiesa di tipo monastico. In Irlanda e in Gran Bretagna ci furono molti monasteri, su isole, valli e montagne, anche se, molto spesso, risulta difficile farne un elenco, per mancanza di fonti attendibili; per il VI secolo, conosciamo, però, con sicurezza l’esistenza di centri importanti: Menevia, fondato da san Davide; Iona, fondato da san Colombano; Killcany, da cui partirono i grandi missionari e fondatori, come Brendam, Finian e Colombano; Bangor, nell’Ulster, rilevante centro intellettuale. Alcuni di questi luoghi si trasformarono in grandi centri di produzione artistica. Il rigido rigore degli eremiti irlandesi e la sistemazione delle celle in uno spazio delimitato da una barriera di pietra rendono evidente l’influsso della vita eremitica del deserto egiziano. I monaci irlandesi si distinsero anche per il loro entusiasmo e lo studio, conseguenza, a volte, dell’influsso dei monaci europei che fuggirono nell’isola, durante le invasioni barbariche. L’apostolo dell’evangelizzazione in Irlanda fu san Patrizio. Durante la sua sfortunata giovinezza, questo bretone fu portato in Irlanda come schiavo e lì apprese la lingua locale; scappò in Francia e colse l’opportunità di vivere qualche anno a Lérins, la famosa isola situata lungo la costa della Provenza, interamente 119. Iniziale di un manoscritto irlandese del 600. Si tratta del Cathach di san Colombano conservato oggi nella biblioteca della Accademia Reale di Dublino. Il monachesimo è la matrice principale della cultura irlandese alle porte del Medioevo. 118

119

Iona

121

121. L’Irlanda per l’operato di san Patrizio divenne una terra di monaci. Questi impressionanti resti di un abitato monastico si trovano nell’isoletta di Skelling Michael presso la costa sud dell’Irlanda.

Bangor

(2) Kilkenny

(5) (1)

(4)Auxerre

118. San Patrizio. Disegno tratto da una pietra tombale irlandese del XV secolo. 120. Itinerario di san Patrizio. Patrizio nasce in Britannia nel sud dell’attuale Inghilterra, ultimo lembo dell’Impero romano. Condotto come schiavo in Irlanda si legò a questa terra e a questo popolo. Fuggì, poi, per vivere liberamente e raggiunse i monaci delle isole Lérins nel sud della Francia. Ad Auxerre nel centro della Francia divenne vescovo e decise di ritornare in Irlanda per evangelizzarla. 72

(3)Lérins

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abitata da monaci. Ad Auxerre fu ordinato vescovo e fece ritorno in Irlanda, con l’intento di evangelizzare l’isola. Morì, probabilmente, nel 461. San Patrizio favorì, senza dubbio, il monachesimo, anche se la sua maggiore espansione fu dovuta sicuramente all’influsso dei monasteri di Withorn, in Scozia, e di St. David, in Galles. I monaci concentravano la propria attività sullo studio della Bibbia e dei Padri e sulla trascrizione di manoscritti, il tutto vissuto con forte spirito di ascesi e penitenza. La Chiesa celtica, nei secoli V e VI, ebbe dei lineamenti propriamente monastici: l’organizzazione ecclesiastica, le finanze, le terre ecclesiastiche non erano amministrate dai vescovi, come accadeva nel resto dell’Europa, ma da abati, che assumevano l’autorità propria del vescovo, il quale assolveva mansioni sacramentali, come quella di ordinare i sacerdoti. Ogni monastero era assolutamente autonomo e viveva secondo le proprie regole e la propria disciplina ascetica. L’Irlanda era una terra di pastori, senza città, e non era mai stata sotto l’amministrazione romana. La parrocchia monastica corrispondeva al distretto del clan, il cui capo era il proprietario del monastero. Il clan si sentiva responsabile della manutenzione e dell’accrescimento della comunità monastica e, da parte sua, il monastero svolgeva la funzione di chiesa e di scuola per la tribù.

Questo ebbe come conseguenza particolare che l’Irlanda cristiana si radunava nelle comunità monastiche, piuttosto che nelle sedi episcopali, tanto che non ci furono contrasti tra diritti monastici e diritti vescovili, come era accaduto in Francia. 2. Un monachesimo particolare I monaci irlandesi realizzarono con inusitata frequenza la peregrinatio propter Deum, una specie di esilio volontario e continuo, fatto per amore di Cristo, che li portava a peregrinare nel centro e nel nord Europa, trasformandoli nei più grandi missionari dell’antichità. Non vanno assolutamente confusi con i chierici vaganti, monaci erranti che non si sottomettevano a nessuna regola di stabilità o autorità. Questo esilio era duro e doloroso, aveva una chiara finalità apostolica e, generalmente, si concludeva in comunità. Tra i primi che esercitarono tale pratica, ci fu san Colombano, membro della dinastia reale, fondatore di vari monasteri, che morì nel 615, nell’isola di Iona, dopo una vita piena di avventure e di generosa dedizione personale. Nei monasteri irlandesi iniziò e si sviluppò la pratica della confessione, anche quotidiana, delle colpe, intesa non solo come espres73


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

5. IL MONACHESIMO IRLANDESE 125-126. Due esempi di raffinatissima arte della miniatura monastica irlandese. In alto «Chi-ro», miniatura dal Libro di Lindisfarne, fine secolo VII conservato alla British Library di Londra. In basso il simbolo di san Marco nei vangeli di Echternach, 710 circa. Conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

Greencastle Coleraine

Ailech Derry

Raphoe Ardstraw

Carrickfergus

Maghera

Greyabbey Assaroe

Cáeluisce

Dromore

Devenish Clones

Killala

Armagh

Downpatrick

Greencastle Carlingford Carrick Monasterboice on Shannon Mellifont Mayo Drogheda Kells Ballinrobe Dunmore Roscommon Trim Bective Rinnduin Cong Tuam Maynooth Castleknock Knockmoy Athlone Dublino Annaghdown Clondalkin Dalkey Athenry Clonmacnoise Tallaght Galway Bray Loughrea LorrhaClonfert Kildare Enniskerry Rathfarnham Kilmacduagh Wicklow Terryglass Castledermot Kilfenora Baltinglass Glendalough Roscrea Carlow Arklow Nenagh Dysert o'Dea Kilkenny Killaloe Limerick Cashel Ferns Adare Jerpoint New Ross Dunbrocly Wexford Ardfert Waterford Lismore Tintern Castlemaine Dungarvan Mallow Killorglin Killarney Ardmore Boyle

Dundalk Kilmore

Cork

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Ross

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123. Cartina della diffusione dei monasteri in Irlanda attorno all’anno 1000.

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122. Miniatura di una versione del 1400 del Viaggio di San Brendano che racconta la saga dei monaci irlandesi che si spingevano sul mare aperto per evangelizzare altri popoli, sostenuti dalla provvidenza, qui personificata da un immaginario mostro marino.

sione di umiltà, ma associata al sacramento della penitenza. Quest’usanza si estese anche ai laici, che accorrevano dall’abate o dal sacerdote, per chiedere come espiare le proprie colpe. I penitenziali dei missionari, vere e proprie liste di peccati da pagare, nelle quali ciascun peccato corrisponde ad una penitenza determinata, assunsero un ruolo determinante nell’introduzione della penitenza privata. Nella Regula monachorum di san Colombano, autentico esempio di penitenziale monastico, si avverte che «la confessione e la penitenza liberano dalla morte», e si stabilisce che il monaco deve confessare quotidianamente le sue colpe, incluse quelle di minor importanza, e deve compiere fedelmente la penitenza che gli viene assegnata, in accordo con il prezzo stabilito. Le sanzioni consistevano, generalmente, nel cibarsi solo di pane e acqua, nel recitare i salmi e nella punizione della flagellazione. 3. San Colombano San Colombano (540-615), nel 590, abbandonò, insieme a dodici compagni, il monastero di Bangor e si diresse nel continente, con lo scopo di evangelizzarlo. Con il suo operato, favorì in maniera determinante la rinascita del cenobitismo, soprattutto a partire dalla fondazione di numerosi monasteri, sia nel territorio francese, dove fondò quello che poi si trasformerà nel famoso 74

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124. La cosiddetta «croce della scrittura» del centro monastico di Clonmacnoise in Irlanda, vero centro di studi che anticipa le università europee.

monastero di Luxeuil, sia in Italia, con la fondazione del monastero di Bobbio. Questo santo monaco, di stirpe reale, amante dello studio, esperto conoscitore della Scrittura, che leggeva in ebraico e in greco, percorse instancabilmente l’Europa centrale, evangelizzando i popoli, riformando le strutture ecclesiastiche e facendo convertire i sovrani. Morì, come abbiamo detto, nel 615, proprio quando il monastero di Bobbio cominciava a sviluppare la sua straordinaria influenza culturale e si andava trasformando in uno dei principali centri di irradiamento spirituale della penisola italiana. L’infaticabile attività di copiatura dei manoscritti di opere sia religiose, sia della letteratura profana influì in modo provvidenziale sulla trasmissione dei testi della cultura classica. La dottrina monastica di san Colombano è raccolta nei sermoni, tutti indirizzati ai suoi monaci, in cui egli parla della caducità del mondo, e di Dio inteso come rifugio. La dignità dell’uomo è il suo essere immagine di Dio e il grande dovere del cristiano è di essere «infaticabile nella carità», amare i fratelli e Dio, con il desiderio del cielo. Colombano e i suoi monaci diffusero un cristianesimo vicino alle origini, che non si differenzia da quello romano sotto l’aspetto dottrinale, ma in quello relativo all’organizzazione, alla liturgia e allo stile di vita. Era una scuola di severità, di audacia e di eroismo cristiano. 75


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

6. SAN BENEDETTO

6. SAN BENEDETTO 128. San Gregorio Magno raccoglie testimonianze per scrivere la vita di san Benedetto. Miniatura del manoscritto dei Miracoli di San Benedetto di san Gregorio realizzata da Adravaldo e Aimoino nel 1437. Il manoscritto è conservato nel Museo Condé di Chantilly, in Francia.

129. Miracolo di san Benedetto, in cui il santo riconosce il pane avvelenato. Affresco del Magister Conxolus del secolo XII; chiesa inferiore del convento del Sacro Speco presso Subiaco, Italia Centrale. 129 130

130. San Benedetto convince il re dei Goti, Totila, a frenare la sua avanzata distruttiva in Italia. Miniatura di Jean de Stavelot in una copia dei Miracoli di San Benedetto conservata al Museo Condé di Chantilly, in Francia. 131. A differenza di altri padri fondatori del monachesimo, Benedetto compì la sua opera, che avrebbe influenzato tutta la storia del monachesimo occidentale, in un limitato lembo di terra italiano. Lasciata Norcia in Umbria dove nacque, da Affile nel Lazio si ritrasse a vivere da eremita presso Subiaco, dove fondò la prima comunità monastica. Passò, poi, a Cassino dove formò un monachesimo cenobitico e scrisse la famosa regola.

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127. Particolare di un affresco del X secolo in cui san Benedetto guarisce un infermo. Chiesa di San Crisogono, Roma.

Il più grande legislatore monastico dell’Occidente latino non ci ha detto niente di se stesso e nessuno dei suoi compagni si è impegnato a scrivere la sua biografia. Noi abbiamo la sua Regola e più di 50 anni dopo la sua morte abbiamo avuto il resoconto della sua vita e dei suoi miracoli scritto dal papa san Gregorio il Grande (Libro II dei suoi Dialoghi, un lavoro sui santi italiani). Questa personale modestia, che frustra lo storico, è rappresentativa del tema centrale della Regola di Benedetto: l’umiltà. Gregorio rivendica di aver appreso notizie su Benedetto da quattro dei suoi discepoli. Sebbene nomini la Regola, egli non la cita mai direttamente. Un attento lettore può notare nel ritratto di Gregorio affinità e anche echi dell’insegnamento di Benedetto e avere una visione di come i cristiani intendevano la santità monastica ai tempi di Benedetto. Il Benedetto dei Dialoghi di Gregorio possiede tutti i poteri miracolosi caratteristici del grande santo e le storie spesso sono modellate chiaramente sul genere biblico. Gregorio lo descrive come uno che «sin dall’infanzia ebbe il cuore di un uomo vecchio» (Dial. 2, Prol.). Allo stesso tempo Benedetto appare chiaramente come uno che crebbe nella saggezza e imparò dall’esperienza. Nato intorno al 380 a Norcia, un paese a nord-est di Roma, Benedetto era figlio di genitori abbastanza ricchi da mandarlo a Roma per la sua educazione. Scioccato dalla mondanità della grande città e dal comportamento dei suoi colleghi, egli abbandonò gli studi e si ritirò nel «deserto» della campagna, portando come compagnia solo la sua balia. Sostando in una chiesa nel piccolo

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Norcia

Subiaco Roma

Affile Cassino

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paese di Affile, Benedetto e la sua balia furono accolti dai luminari locali. Benedetto attirò particolare attenzione riparando miracolosamente un utensile da cucina rotto, preso a prestito dalla sua balia. L’episodio divenne il motivo della venerazione e il riparatore ricevette gli omaggi dell’intero paese. In crisi per l’inaspettata attenzione, Benedetto scappò via, lasciando anche la sua balia, e trovò una caverna nei pressi di Subiaco. Qualcuno da un monastero vicino gli diede l’abito monastico ed egli visse da eremita per tre anni, così totalmente isolato dalla gente che non sapeva neppure quando arrivava la Pasqua se un prete locale non gli portava un pranzo festivo. Gli eremiti attirano l’attenzione. Subito i membri di un vicino monastero lo persuasero a diventare il loro abate. Fu una situazione disastrosa, perché Benedetto non tollerava altro che la perfetta osservanza della vita monastica. Ben presto i suoi monaci si ribellarono e tramarono di avvelenare il suo vino. Risparmiato dall’aiuto di Dio (il recipiente contenente il vino avvelenato si frantumò quando fu benedetto), Benedetto ritornò alla sua solitudine. Il suo fallimento è stato chiaramente un problema per Gregorio, che ha riservato alcuni paragrafi per spiegare perché era giusto per Benedetto andare via (Dial. 2.3). Egli continuò ad attirare discepoli e a creare una struttura monastica decentralizzata di piccoli monasteri, ognuno con il proprio padre spirituale, sotto la sua sorveglianza. Egli portò con sé coloro che – pensava – avrebbero tratto vantaggio dal suo esempio, inclusi i suoi più famosi seguaci: Mauro e Placido. Essi furono i protagonisti del suo 77


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

6. SAN BENEDETTO

più famoso miracolo: Placido fu salvato dall’annegamento da Mauro che camminò attraverso l’acqua obbedendo al comando di Benedetto (Dial. 2.7). L’invidia di un sacerdote locale, culminata in un altro tentativo di avvelenamento, spinse Benedetto e un piccolo gruppo di suoi discepoli più affezionati a lasciare Subiaco per Montecassino, dove essi ripulirono un tempio di Apollo con il suo sacro boschetto per costruire il loro monastero (Dial. 2.8). Montecassino fu l’ultima casa terrena di Benedetto. Maturato con l’esperienza sia della solitudine che della comunità, egli istituì uno stile di vita strettamente cenobitico e scrisse la sua Regola. Gregorio ritrae i monaci di Montecassino molto impegnati con il mondo che li circondava, sia religioso che temporale. Nel 546 Benedetto ebbe un incontro con Totila, re dei Goti, e Gregorio sostiene che ciò ebbe l’effetto di attenuare la crudeltà di Totila (Dial. 2.14-15). La guerra non fu la sola sfida che i suoi monaci affrontarono; Gregorio racconta della miracolosa sopravvivenza nei tempi di carestia (Dial. 2.21). Benedetto e i suoi monaci crearono un luogo di stabilità in tempi molto difficili e non è una sorpresa che alcuni erano attratti da lui e dal suo monastero. Egli era disposto a impegnare tali persone nel dovere pastorale: Gregorio ricorda che appena arrivò a Cassino, Benedetto evangelizzò i residenti con la sua «continua predicazione» (Dial. 2.8). Su un piano più personale, quando Benedetto maturò, la sua capacità e la sua attitudine per le relazioni umane crebbero. La traiettoria lontana dalla società umana presa nei suoi primi anni gradualmente si curvò nella connessione sociale. Gregorio descrive tre esempi del movimento di Benedetto verso relazioni

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134. Nell’ampia iconografia riguardante san Benedetto che gli affreschi del monastero del Sacro Speco, presso Subiaco, conservano, spicca questa immagine del Santo che vede l’anima della sorella Scolastica salire al cielo portata dagli angeli.

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132. Mauro per indicazione di Benedetto salva Placido dalle acque. Predella dell’Incoronazione della Vergine dovuta a Lorenzo Monaco (1414), conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

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133. Ricostruzione del convento di Montecassino come doveva apparire nel 1077 sotto l’abate Desiderio (da Conant). 78

umane più profonde mentre cresceva nella vita di preghiera. Il primo è il legame con sua sorella Scolastica. Ella appare verso la fine del racconto della sua vita, in una illustrazione di grande fascino della profondità spirituale. La storia narra che i due si incontravano annualmente per conversare ai piedi del monte Cassino. Scolastica, come suo fratello, era entrata nella vita monastica. Si dice che nella loro ultima riunione Benedetto resistette al tentativo di sua sorella di prolungare la loro conversazione. Benedetto si alzò per andare via, insistendo quasi con arroganza che doveva tornare al suo monastero per la notte. Scolastica chinò la testa in preghiera e immediatamente la calma del cielo notturno divenne una tremenda tempesta che impedì a Benedetto di tornare a casa. Spaventato dall’audacia e dal potere di Scolastica, Benedetto si arrese alla prova che quello della sorella era – come Gregorio scrive – l’amore più grande. Tre giorni dopo egli ebbe la visione dell’anima di sua sorella che ascendeva al cielo nella forma di una colomba e verificò la profondità di ciò che aveva imparato da lei ordinando che il suo corpo fosse collocato nella tomba che lo aspettava. Benedetto aveva un amico intimo di nome Servandus, un diacono e abate di un monastero vicino. Essi si incontravano regolarmente per uno scambio di «dolci parole di vita». Durante una delle sue visite, Servandus venne svegliato nella notte da Benedetto,

che gridava il suo nome. Egli salì di corsa le scale, andò nella stanza di Benedetto e vide una luce inusuale. Il santo spiegò che Dio gli aveva mostrato il mondo intero racchiuso in un solo raggio di luce, che brillava nell’oscurità. Appena guardò, egli vide l’anima del suo amico Germano, vescovo di Capua, portata via dagli angeli in una sfera di fuoco (Dial. 2.35). Anche il suo incontro spirituale più profondo coinvolse gli amici, come parte della visione e come testimone. Qualche giorno prima di morire, Benedetto volle che i monaci aprissero la tomba che avrebbe condiviso presto con Scolastica. Sentendosi più debole, il sesto giorno chiese di essere portato nell’oratorio del monastero, dove prese la santa Comunione. Stando davanti all’altare, le sue braccia si sollevarono in preghiera sui suoi discepoli, egli lasciò il suo spirito tra le parole della preghiera. Morì tra coloro che amò di più (Dial. 2.37). Dopo la morte di Benedetto, il suo monastero resistette meno di 50 anni. La conquista gotica con Totila risparmiò Montecassino, ma non le invasioni longobarde nel VI secolo. Nel 577 il monastero fu distrutto e i monaci scapparono a Roma. Essi ritornarono a Montecassino più di 140 anni dopo. I Dialoghi di Gregorio fornirono una sicurezza che l’eredità di Benedetto si sarebbe tramandata; la Regola di Benedetto fornì l’altra e più importante certezza. 79


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

7. LA SANTA REGOLA

7. LA SANTA REGOLA

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136. San Benedetto spiega la Regola ad un monaco. Miniatura de La Regola di San Benedetto in latino e in francese, 1437 Liegi, Belgio. 135

137. Benedetto dà la Regola ai monaci. Affresco del Sodoma (1505-1508). Chiostro del monastero di Monte Oliveto Maggiore, in Italia.

137

135. Benedetto mentre scrive la Regola. Particolare del disegno a penna del Codice Zweifalten (1138-1147). Conservata nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda, in Germania.

La tradizione associa il Benedetto di Montecassino, di cui il papa san Gregorio Magno scrive nei suoi Dialoghi, con la regola monastica che porta il nome di Benedetto. Sebbene Gregorio non citi la Regola nel suo resoconto della vita di Benedetto, si riferisce ad essa come ad «una regola per monaci notevole per la sua ingegnosità e chiara nel linguaggio» (Dial. 2.36). Gli studiosi sono stati capaci di tracciare agli inizi del IX secolo a San Gallo in Svizzera (Sangallensis 914) una copia della Regola della comunità di Montecassino (fondata da Benedetto intorno al 530). Il più antico manoscritto della Regola, che risale agli inizi dell’VIII secolo, fu scritto per i monasteri inglesi ed è ora ad Oxford (MS Hatton 914). Benedetto era un monaco fondamentalmente tradizionale, che conosceva bene i primi scritti monastici. Egli dirige i suoi lettori verso le conferenze, gli istituti e le vite dei grandi monaci. Egli nomina Basilio il Grande come una particolare autorità (RB 73.5) e richiedeva ai suoi monaci di leggere ad alta voce da un testo mo80

nastico ogni sera dopo cena (RB 42.3). La Regola è piena di citazioni e di allusioni ai primi testi, sia patristici che monastici. Come si usava a quel tempo questi «prestiti» non sono indicati e i loro autori non sono citati. Il debito maggiore di Benedetto è verso un prolisso e idiosincratico testo monastico scritto poco prima del suo. Noto come la Regola del Maestro, questo testo era in genere ritenuto una successiva espansione della Regola di Benedetto. Durante il XX secolo una serie di analisi ha dimostrato che il Maestro visse prima e Benedetto fece una brillante abbreviazione e un adattamento della più lunga Regola per creare quello che è realmente un nuovo testo. Lunga un terzo della Regola del Maestro e influenzata da altre tradizioni oltre che da quella del Maestro, la Regola di Benedetto rappresenta una sintesi creativa dei materiali testuali disponibili al legislatore monastico del VI secolo. Uno studio della struttura della Regola rivela sia i debiti di Benedetto alla tradizione che la sua originalità. La Regola comprende sette parti principali: prologo, principi costituzionali (1-3), prin-

cipi spirituali (4-7), preghiere (8-20), organizzazione comune (2167), relazioni fraterne (68-72), conclusione (73). In questa struttura ci sono alcune ripetizioni e adattamenti che rivelano l’uso di fonti, specialmente della Regola del Maestro. La Regola si apre con un invito personale: «Ascolta, figlio mio, le istruzioni del Maestro e presta attenzione ad esse con l’orecchio del tuo cuore. Questo è l’avviso di un padre che ti ama: accoglilo volenterosamente e mettilo in pratica effettivamente» (Prol. 1-2). Queste righe, amate dai Benedettini, sono state adattate da un testo ascetico latino, a sua volta modellato sulla letteratura biblica della saggezza. Il prologo continua con materiale largamente ereditato dalla Regola del Maestro, enfatizzando il ritorno a Dio con l’obbedienza e la fedeltà ai comandamenti. Benedetto parla di nuovo con la sua voce alla fine quando assicura i suoi monaci che sebbene la via sia difficile all’inizio, diventerà più agibile con l’esperienza, come il «cuore si espande con l’inesprimibile delizia dell’amore» (Prol. 49).

Poiché Benedetto scrive per i cenobiti, che definisce coloro che «servono sotto una regola e un abate» (RB 1.2), egli dedica i primi due capitoli alla conoscenza del ruolo dell’abate come pastore della comunità e del ruolo dei monaci nel fornire consiglio per le maggiori decisioni (RB 2-3). Qui Benedetto fa innovazioni rispetto al Maestro e agli altri che non provvidero a un tale processo di consultazione. Il dovere dell’abate e le responsabilità dei monaci sono così importanti che Benedetto ritorna su questi temi alla fine della Regola con un trattamento distintivo (RB 64 e 68-72). La fondamentale spiritualità della Regola è contenuta in una reinterpretazione dell’etica cristiana in termini monastici (RB 4) e in una trilogia di capitoli sui temi centrali dell’obbedienza, un adeguato uso della parola e l’umiltà (RB 5-7). Il più importante è l’umiltà. Benedetto presenta una «scala» di dodici gradi di umiltà, un’immagine presa in prestito dal Maestro (che a sua volta aveva preso in prestito materiale da Giovanni Cassiano), che porterà da un iniziale stato di paura di Dio all’esperienza finale dell’amore di 81


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

Dio che spinge via ogni paura. Nel prologo si dice che le discipline della vita monastica diventano più naturali con l’esperienza, a meno che non siano fatte «fuori dell’amore per Cristo, delle buone abitudini e della gioia nella virtù» (RB 7.69). Benedetto prescrive un programma di sette momenti di preghiera comune ogni giorno: le Veglie, un lungo servizio di salmi e letture nel mezzo della notte; le Lodi, una preghiera mattutina, all’alba; la Prima, la Terza, la Sesta e la Nona, brevi raccolte di preghiere a intervalli durante la giornata; i Vespri, la preghiera serale; la Compieta, la preghiera finale della giornata (RB 8-17). Egli chiedeva ai suoi monaci di recitare tutti i 150 salmi nel corso di una settimana (RB 18). Le sue istruzioni per gli adattamenti stagionali alle ore variabili della luce del giorno sono legate al ciclo liturgico, che cambia nell’annuale celebrazione della Pasqua. Egli scrive anche sulla disposizione interiore del monaco alla preghiera sia comune che personale, insistendo sulla consapevolezza della presenza di Dio e sulla purezza dell’intenzione (RB 19-20). Benedetto era esperto nelle esigenze della vita comune (RB 2167). Egli provvede a ordinare gli uffici monastici, prescrive i pasti comuni e istituisce un processo per imputare le colpe e riconciliare i contendenti. Egli mostra anche sensibilità verso i particolari bisogni dei giovani, degli anziani, dei malati e degli ospiti. Il suo approccio è in netto contrasto con quello del Maestro, che era sospettoso verso coloro che non si conformavano totalmente. Qui Benedetto mostra sia la propria esperienza pastorale che l’influenza di Agostino, la cui regola monastica (il Praeceptum) Benedetto conosceva e citava. È notevole anche l’atteggiamento inusualmente rigido di Benedetto verso due colpe: la proprietà privata e il lamentarsi, a cui egli si riferisce chiamandolo «mormorio». La prima colpisce l’essenza della vita cenobitica, l’interdipendenza; la seconda corrode i legami della comunità, minando gli sforzi costruttivi. L’ultima parte della Regola (RB 68-72) riprende i temi dell’obbedienza e della comunicazione, ma non in modo esteso come la Regola del Maestro. Alcuni sostengono che egli abbia aggiunto questi capitoli in un secondo momento, come una sorta di riflessione finale su temi importanti. Essi sono certamente il frutto della sua esperienza della vita comunitaria. Benedetto scrisse la Regola per il suo monastero. Egli previde che altri l’avrebbero usata e li rassicurò che potevano essere fatti degli adattamenti su questioni pratiche dipendenti dal clima (RB 40.8, 48.7, 55.1-2) e sulla salmodia per la preghiera comune (RB 18.22). La Regola qualche volta veniva combinata con altre per creare una «regola mista» (regula mixta), ma quando veniva conservata integralmente, era integrata con consuetudini o costituzioni monastiche che modificavano le prescrizioni di Benedetto in base alle necessità locali. I movimenti della riforma benedettina come i Cistercensi (XII secolo), i Trappisti (XVII secolo) e i «Benedettini Primitivi» (XIXXX secolo) erano accomunati da una stretta osservanza della Regola, ma anche essi fecero delle modifiche a seconda delle circostanze. Il significato dell’impresa di Benedetto sta nella visione spirituale che si modellava sulla tradizione vivente. 82

7. LA SANTA REGOLA

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138. San Benedetto dà la Regola all’abbadessa Aelika. Frontespizio di un manoscritto contenente la Regola, originario dell’abbazia di Ringelheim, 1025. Oggi conservato a Berlino nella Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz (ms. Theol. Lat. 199). 139. San Benedetto regge la Regola. Si tratta forse della più importante iconografia della Regola, presente nel famoso Codex Benedictus, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Lat.1202).

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IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

8. ESPANSIONE DELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO

8. ESPANSIONE DELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO 141

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141. Bassorilievo funerario del vescovo benedettino Agilberto del VII secolo. Cripta della chiesa abbaziale di Jouarre in Francia. 142. Voti dei primi monaci (intorno all’anno 800) dell’abbazia di San Gallo, in Svizzera. Foglio 1 dal Libro dei professi. I voti monastici erano secondo le varie regole professate, la matrice a San Gallo restava quella data da san Benedetto.

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140. San Benedetto mostra l’inizio della Regola: «Ascolta o figlio le istruzioni del maestro e porgi l’orecchio». La scultura è una terracotta rinascimentale dipinta dalla scuola del Della Robbia e si trova sul portale del monastero di Monte Oliveto Maggiore, in Italia.

Dopo la morte di san Benedetto, la sua regola non fu molto conosciuta, né applicata, per più di due secoli. In seguito alla distruzione di Montecassino da parte dei Longobardi (ca. 577) e all’esodo dei monaci verso Roma, non si conoscono in Italia fondazioni benedettine, ad eccezione di quella di Sant’Andrea, dove visse come monaco san Gregorio Magno. La prima menzione della Regola, eccettuate le allusioni che san Gregorio fa nei Dialoghi, appare in una lettera di Venerando, fondatore e abate del convento di Altaripa in Aquitania (620-630). Anche Colombano conobbe la Regola benedettina a Luxeuil, e la ricorda nella sua regola: è proprio nell’ambito dei suoi monasteri, infatti, che fu conosciuta e stimata ed esercitò per la prima volta la sua influenza. Durante tutto il VII secolo, il codice benedettino è menzionato ac84

canto ad altre regole, come testo a cui ispirarsi e da cui si potevano trarre suggerimenti e precetti utili alla vita comunitaria. L’introduzione e la ricezione della regola devono essere messe in relazione ai viaggi dei manoscritti che la contenevano: nel Medioevo, infatti, i libri manoscritti viaggiavano, e i loro andirivieni avevano un valore proprio, poiché erano portatori nello spazio di un messaggio o di una regola concreta. Esaminando la situazione geografica in relazione all’importanza dei vari monasteri, si nota che alle numerose e piccole diocesi del Mezzogiorno italiano corrispondono i numerosi e piccoli monasteri urbani e suburbani, che erano sotto l’immediata giurisdizione dei vescovi; al nord, invece, i monasteri hanno uno sviluppo più autonomo, che li porterà nel tempo ad ottenere una vera e propria dispensa da parte dei vescovi. D’altra parte,

lo scarso numero di diocesi facilitò, nel nord, la comparsa di monasteri grandi e ricchi, che oltrepassavano le mura dei chiostri, trasformandosi in ampli organismi amministrativi ed economici, di forte ripercussione sociale e civile, dal momento che i sovrani concedevano il loro favore più facilmente ai monasteri che ai vescovati. Nei grandi monasteri, generalmente, la regola fu adottata prima che nei piccoli. Anche il monachesimo della penisola iberica era immerso nella comune tradizione monastica occidentale ed essa contribuì certamente a formare parte della Regola di san Benedetto: nella regola stilata da sant’Isidoro di Siviglia, infatti, si trovano molte tracce di san Benedetto. Nel secolo VIII, la regola benedettina inizia ad imporsi sulle altre.

Montecassino, la Montagna Santa, era sulla strada dei pellegrini che andavano in Terra Santa e di coloro che viaggiavano verso Oriente. Uno di questi pellegrini era Petronace, incoraggiato da papa Gregorio II a riprendere la sua vita monastica. Era l’anno 717 e a lui si unirono monaci di altri monasteri. Sulla Montagna, del resto, egli s’imbatté in «alcuni uomini semplici», che si erano ritirati lì. Nel giro di pochi decenni Montecassino si trasforma nel centro a cui si guarda da tutta Europa e dove si va per emulare la genuina osservanza dei monaci, ufficialmente sancita da papa Zaccaria, traduttore, come sappiamo, dei Dialoghi di san Gregorio in greco, e che, insieme ad altri libri, donò alla nuova comunità il testo autografo della Regola. Fu un atto di importanza sia religiosa che politica, per una società vessata da perenni contrasti. L’abbazia di Montecassino divenne un grande centro monastico, 85


IV. LA TRADIZIONE MONASTICA OCCIDENTALE

in cui si andava creando la coscienza benedettina, e fu proprio lì che Carlomagno, nel 787, si procurò una copia della Regola. La regola benedettina, pur propagandosi sempre più, non aveva ancora raggiunto la preminenza sulle altre regole. Contribuì fortemente alla sua diffusione l’anglosassone Bonifacio, pellegrino nel continente, che stabilì nel nuovo monastero di Fulda la disciplina della Regola, l’osservanza e i costumi monastici stabiliti da san Benedetto. Inoltre, nel cosiddetto concilio germanico del 742, ordinò che la Regola benedettina divenisse la norma sia per i monaci, sia per le monache. In tal modo, verso la metà dell’VIII secolo, le famose abbazie di Luxeuil, di San Gallo, di Corbie e altre, che dovevano la propria esistenza a monaci irlandesi, galloromani o franchi, accolsero la regola cassinense: «San Benedetto si coricò nel letto di san Colombano», come dice il detto popolare. Benedetto di Aniane confronta la regola di san Benedetto con le altre regole esistenti, ne prova la superiorità e la impone nel concilio degli abati, da lui convocato ad Aquisgrana nell’817. Da quel momento in poi, l’Europa monastica sarà essenzialmente benedettina. Su tale decisione, oltre alle ragioni politiche, confermate dall’appoggio offerto dai sovrani franchi, e la convinzione che non fosse bene che i monasteri godessero di grande autonomia, influirono anche altri fattori, come, ad esempio, l’entusiasmo manifestato da san Gregorio nei Dialoghi per la figura e l’opera di san Benedetto, e specialmente per i pregi particolari di essa: la chiarezza, l’organicità della struttura, la moderazione dei precetti, in antitesi con la rigidità e l’esagerazione di altre regole. Qualità queste, che Benedetto da Norcia aveva fatto sue nel cor-

8. ESPANSIONE DELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO

so del suo itinerario spirituale, che, nella sua ricchezza, ripercorreva, in un certo senso, le tappe della storia del monachesimo orientale, da Paolo di Tebe, Antonio e Pacomio, fino a Basilio il Grande. Nel frattempo, il nome del fondatore di Montecassino iniziò a figurare sempre più spesso nei calendari, nei martirologi, nei sacramentari e in altri libri liturgici, fino a diventare un nome popolare e venerato. A partire dal IX secolo, i monaci di Fleury, rifacendosi ad una storia poco nota, pretesero di possedere le vere reliquie di san Benedetto e, per questo, il monastero divenne un attivo centro di diffusione del culto liturgico del santo. Tutto ciò favorì la sempre più ampia introduzione della regola di san Benedetto, senza che, però, i monaci dimenticassero o rifiutassero in blocco le regole precedenti. Alla fine del secolo VIII, Ambrogio Auperto scriveva: «Cerca di vivere sempre secondo la regola dei Padri, ma in primo luogo secondo quella di san Benedetto. Non deviare da essa, né verso destra, né verso sinistra, non aggiungervi e non sottrarle nulla, dal momento che contiene tutto il necessario». In realtà, nel corso dei secoli, alla regola benedettina furono apportate modifiche e aggiunte: proprio Benedetto di Aniane, per la riforma monastica da lui intrapresa, utilizzerà, oltre la regola benedettina, una serie di norme e di regole che adattano la Regola di san Benedetto ai diversi luoghi. La stessa prassi sarà seguita in tutte le successive riforme, come quella cluniacense, e in alcuni ordini, come quello cistercense che, oltre al ritorno alla Regola, contiene dichiarazioni, costituzioni e aggiunte che la completano.

143. Dal corpo di san Benedetto si dirama l’albero genealogico benedettino nel senso della sua «discendenza spirituale». Miniatura di Jean de Stavelot nella copia della Vita di San Benedetto conservata al Museo Condé di Chantilly in Francia. Jean de Stavelot era monaco dell’abbazia di Saint-Laurent di Liegi in Belgio ed eseguì la sua opera intorno al 1432-1437. Nella «discendenza spirituale» notiamo alcuni personaggi che ritroveremo in questo atlante come: Colombano, Anselmo, Beda, Odilone abate di Cluny e Gregorio Magno. 86

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V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

1. SAN BASILIO IL GRANDE 144. San Basilio il Grande, raffigurato nel nartece esterno della chiesa della Presentazione della Vergine al Tempio (metà del XVII secolo) del monastero serbo di Chilandari nella penisola del Monte Athos, in Grecia.

1. SAN BASILIO IL GRANDE E LA TRADIZIONE DELLA CHIESA ORTODOSSA D’ORIENTE

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cupano anche di alcuni problemi della vita monastica quotidiana. Il cenobio, considerato da Basilio la forma basilare della vita monastica, riproduce nella forma la prima comunità cristiana a Gerusalemme, che egli considera come la vera «Chiesa iniziale» e la comunità escatologica del corpo di Cristo. Queste regole non sono da considerare come una sequela normativa e giuridica, bensì una guida morale riguardante virtù e doveri da compiere, se si vuole percorrere la «via stretta» verso il Regno dei Cieli. La vita monastica non doveva essere vista come una via per fuggire dal mondo o per disprezzare usi e costumi laici, ma semplicemente come un tentativo di formare una comunità escatologica nella nostra storia. Le Regole Monastiche di Basilio il Grande hanno avuto una forte influenza sulla vita monastica nella Chiesa ortodossa d’Oriente per secoli. Il loro carattere evangelico ed ecclesiastico sembra essere stato di importanza fondamentale specialmente a Costantinopoli e nei monasteri slavi. La traduzione in latino di Rufino di queste Regole alla fine del IV secolo influenzò Giovanni Cassiano e Benedetto da Norcia. Oltre alla traduzione in latino, ci sono anche traduzioni di questi testi in armeno, georgiano, arabo e slavo antico. Basilio il Grande non solo contribuì all’organizzazione della vita monastica, ma esercitò anche una significativa influenza sulla vita e sulla pratica liturgica nella Chiesa ortodossa d’Oriente. A lui è attribuita l’Anafora, un tempo la più utilizzata dalle Chiese di tradizione bizantina. Per la sua attività speculativa e pastorale è stato giustamente chiamato «Grande». Morì il 31 dicembre 378 all’età di 49 anni e fu seppellito il 1° gennaio 379. 146 Ma C

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145. San Gregorio di Nazianzo, in un’icona della scuola di Pskov, dell’inizio del XV secolo, oggi alla galleria Tret’jakov di Mosca. 146. Itinerario di Basilio. Nato a Neocesarea nel Ponto, presso il mar Nero, andò giovanissimo a Cesarea in Cappadocia e lì incontrò Gregorio di Nazianzo e Giuliano l’Apostata. Andò a Costantinopoli e, poi, ad Atene dove completò gli studi. Tornato a Cesarea fu battezzato. Viaggiò in Oriente per conoscere il monachesimo. Tornato a Cesarea dove fu fatto vescovo, promosse una grande riforma del monachesimo che influenzò la tradizione cristiana orientale e occidentale. 147. Effigie dell’imperatore Giuliano detto l’Apostata in una moneta romana del IV secolo.

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Basilio il Grande è uno dei Padri della Chiesa cristiana di Cappadocia – noti anche come Padri Cappadoci – e indubbiamente uno dei più grandi Padri della Chiesa cristiana di tutti i tempi. Nacque intorno al 330 d.C. a Neocesarea del Ponto da ricchi e – cosa ancor più importante – devoti genitori, noti come pii cristiani, al cui esempio di fede egli improntò l’intera sua vita: «Mi è stato insegnato a credere in Dio ed essere un vero cristiano dalla mia beata madre Emelia e da mia nonna Macrina. Quella stessa fede, naturalmente ora anche più forte, io nutro in me» (Lettere, 203, 223). Ricevette la sua prima educazione dal padre, insegnante di retorica a Neocesarea, e partì poi per Cesarea di Cappadocia intorno al 345, dove incontrò Gregorio Nazianzeno, un altro dei tre Padri Cappadoci, divenuto e restato il miglior amico per il resto della sua vita; vi incontrò anche Giuliano l’Apostata che divenne imperatore e suo avversario. Lasciò poi Cesarea per Costantinopoli e intorno al 352 partì per Atene, il più celebre centro ellenistico di cultura e continuò la sua educazione. Lì studiò retorica, grammatica, filosofia, astronomia, geometria e aritmetica con Imerio e Proeresio, famosi sofisti. Trascorse quattro anni ad Atene e si procurò un’eccellente educazione laica che non sottovalutò mai. Gregorio di Nazianzo, soprannominato il Teologo, sosteneva che essa era sottovalutata solo da coloro che volevano che gli altri rimanessero ignoranti, come loro. Basilio, completati gli studi, lasciò Atene e tornò a Cesarea dove fu battezzato dal vescovo Diano. Viaggiò in Oriente per conoscere le varie esperienze di vita monastica. Incontrò un gran numero di monaci di quei tempi e conobbe le loro usanze e regole. Durante questo viaggio Basilio comprese tutta la grandezza del monachesimo, ma percepì anche una certa mancanza di regolarità nell’organizzazione della vita monastica e ciò lo spinse a scrivere le sue Regole Monastiche. Ordinato diacono intorno al 360 e poi sacerdote dal vescovo Eusebio, sostenne con zelo lo sforzo della Chiesa di combattere l’arianesimo di Valente e la restaurazione neo-pagana di Giuliano. Quando il vescovo Eusebio morì nell’autunno del 370, Basilio fu eletto arcivescovo di Cesarea di Cappadocia, con un solo voto di scarto, quello di Gregorio il Teologo. La sua attività come arcivescovo fu multiforme: costruì un ospedale, un orfanotrofio e una casa per anziani alla periferia di Cesarea, un vero e proprio centro sociale e assistenziale che divenne quasi un paese, conosciuto come «Basiliade». Il lavoro in queste istituzioni fu fatto per lo più da monaci. Privilegiò la vita cenobitica incentrata sull’amore verso Dio e verso il prossimo, secondo la definizione dei principali precetti espressa da Gesù. La sua idea ascetica rappresentò un modello per generazioni di monaci non soltanto in Oriente, ma anche in Occidente ad opera di san Benedetto. Nell’ambito bizantino dal suo insegnamento dipende in massima parte la riforma monastica operata da Teodoro Studita dopo l’iconoclasmo e le fondazioni di Atanasio sul Monte Athos e di Antonio a Kiev. Le sue opere ascetiche sono le Regole Monastiche, le Grandi e Piccole Regole, due gruppi di Epitomi e Regole Ascetiche. Le Regole Monastiche e le Grandi e Piccole Regole sono le due raccolte più importanti. Esse, scritte come risposta alle domande dei monaci, hanno forma di un dialogo. Le Grandi Regole comprendono 55 capitoli e parlano dei principi generali e basilari della vita monastica: amore verso Dio e verso il prossimo, ritiro, isolamento, austerità. Le Piccole Regole, che comprendono 313 risposte, si oc-

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V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

1. SAN BASILIO IL GRANDE 148. Impressionante visione di abitazioni monastiche scavate in una montagna della Cappadocia. Basilio e gli altri padri cappadoci diedero nella regione un impulso monastico senza precedenti che determina tuttora il paesaggio delle valli, che si intersecano per chilometri e chilometri.

151. Veduta generale della Grande Lavra del Monte Athos in Grecia. L’Athos con i suoi monasteri sarà il luogo di conservazione della spiritualità ortodossa e dell’opera di Basilio anche dopo la caduta di Bisanzio, e lo è sino a oggi.

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149. Santa Sofia di Costantinopoli, divenuta moschea con la caduta di Bisanzio, è l’espressione più tipica della Costantinopoli giustinianea erede dell’apporto di Basilio nel costituire la chiesa cristiana d’oriente. 90

150. Il monastero delle Grotte di Kiev, oggi Ucraina, in un’immagine storica. Dopo la seconda guerra mondiale le distruzioni ne hanno alterato il paesaggio. Kiev è da considerarsi per la chiesa russa il primo erede di Costantinopoli e dell’opera di Basilio.

152. Veduta generale del monastero del Sacro Speco presso Subiaco in Italia. Il Sacro Speco è uno dei simboli della spiritualità di san Benedetto che fu influenzato da Basilio per dare poi impulso a tutto il monachesimo occidentale.

153. Veduta dell’attuale monastero di Lérins, nel sud della Francia fondato da san Cassiano che, a sua volta, si era ispirato alla visione monastica di Basilio il Grande. 91


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

2. SAN SABA E LA SUA REGOLA

2. SAN SABA E LA SUA REGOLA

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154. Veduta della Lavra di Calamon in Palestina non lontano dal luogo dove il fiume Giordano si getta nel mar Morto. Le fondamenta risalgono al V secolo, periodo cruciale dello sviluppo del monachesimo cenobitico in Palestina.

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naci, che vivevano sotto la sua direzione. Benché fosse a capo di un complesso così vasto di monasteri, Saba era un semplice monaco. Solo nel 491 venne ordinato sacerdote. Saba diede alla vita monastica una struttura di romitaggi riuniti in un grande complesso detto, appunto, lavra, in cui si conduceva una vita di eremitismo e cenobitismo, non dissimile a quello che poi si chiamò scete (skit). Nonostante il suo amore per la solitudine, Saba non rifiutò di lottare per la promozione della libertà e degli interessi anche economici della Chiesa palestinese, rappresentata dai patriarchi di Gerusalemme. Tale impegno lo indusse a due celebri viaggi a Costantinopoli, alla corte di Anastasio I e di Giustiniano, e a manifestazioni politiche vere e proprie a capo della folla dei monaci dei monasteri. Tra il 438 e il 531 Saba fondò e organizzò quattro lavre, alle quali se ne aggiunsero tre dei suoi discepoli: le lavre di Firmino, delle Torri e di Neelkerabà. A somiglianza della Grande Lavra, ognuna di esse aveva un nucleo centrale di edifici (chiesa comune o «katholikòn» che conteneva più di mille persone), sala delle riunioni, biblioteca, refettorio, cucina, un albergo per i pellegrini ecc.) sul quale gravitavano un numero variabile di eremitaggi

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San Saba (439-532) rappresenta uno dei più grandi personaggi del monachesimo orientale. È stato monaco e archimandrita di monasteri in Palestina, il più importante dei quali fu la Grande Lavra, da lui fondata e tuttora esistente, nota anche col nome di «Mar Saba». Saba nacque nel 439 a Mutalasca nella Cappadocia. Fin da ragazzino fu affidato a un monastero vicino, di regola basiliana. Diciottenne, nel 457, lasciò la Cappadocia e andò a stabilirsi in Palestina, da dove si allontanò solo per un breve periodo recandosi ad Alessandria d’Egitto. Le sue esperienze cenobitiche nei monasteri palestinesi di Passarione, di Teoctisto e di Eutimio e quelle eremitiche fatte nel deserto attiguo, lo indussero a seguire la propria strada: una forma di vita media tra eremitismo e cenobitismo. All’inizio si ritira in una grotta, poi in una torre, vicino al mar Morto, per poi stabilirsi nel 478 nella valle del Cedron, nel deserto di Giuda, tra Gerusalemme e il mar Morto. È qui che – sulla riva destra del Cedron – comincia nel 483 a raccogliere i primi discepoli e organizzare la sua famosa lavra, in seguito fu chiamata «grande» o «massima» (he megiste laura) sebbene, anche nel tempo della sua maggiore fioritura, non abbia avuto più di 150 monaci. Contando però anche quelli delle altre fondazioni, giunse a 500 mo-

155. La Lavra di San Saba, «mar Saba», tutt’ora in attività. Fondata dal Santo nel deserto di Giuda in Palestina nel 484.

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156. La regione della foce del Giordano, del fiume Cedron e del deserto di Giuda, luoghi di diffusione del monachesimo in Palestina.

sparsi nei suoi dintorni, tutto entro una grande muraglia di pietra. I suoi discepoli, si riunivano insieme ogni sabato e domenica e trascorrevano vegliando tutta la notte intermedia; tale veglia rappresentava un’innovazione originale, che poi venne mantenuta fedelmente. Dopo aver celebrato insieme l’ufficio divino e la divina liturgia, ricevuta la santa comunione, i lavrioti tornavano alle loro celle, portando con sé l’eucaristia, provviste di cibo, l’acqua ecc. Ma oltre a queste lavre, Saba fondò sei cenobi o monasteri – due dei quali, Gadara ed Emmaus, nel periodo in cui per opposizione dei monaci si allontanò per alcuni anni dalla sua lavra – a cui ne affiancò un settimo il suo discepolo Severiano nel 514-515. Sin dal 493 Saba fu posto dal Patriarca di Gerusalemme a capo di tutti gli eremiti della Palestina, senza dire che ebbe pure la «sovrintendenza» degli antichi cenobi di Eutimio e di Teoctisto (mentre san Teodosio ebbe quella di tutti gli altri). La vita istituitavi da Saba per mezzo di regole anche scritte (il Typikon) fu saldamente ancorata all’ortodossia calcedonese. Stabilizzandoli nel regime della lavra, Saba è riuscito a fondere il cenobitismo basiliano e l’ideale eremitico venuto dall’Egitto. Questo equilibrio spiega la lunga sopravvivenza della sua istituzione prin93


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

2. SAN SABA E LA SUA REGOLA 159. Immagine di santa Maria Egiziaca che tanto influenzò il monachesimo in Palestina e Medio Oriente. Icona siriaca del XVIII secolo conservata nel monastero di Nostra Signora di Balamand in Libano.

157. L’immagine di san Saba in un trittico del XIV secolo, conservata nel monastero di Santa Caterina al Sinai. 158. L’immagine di Eutimio, uno dei padri del monachesimo palestinese, nella chiesa dei Santi Anarghiri a Kastoria, nel nord della Grecia.

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cipale (la Grande Lavra), malgrado le razzie, i saccheggi, le distruzioni e le stragi subiti prima dai persiani, in occasione dell’invasione del 614 e poi, a varie riprese, dai predoni e dai musulmani. Ma spiega anche un fenomeno in Oriente piuttosto raro: la convivenza nel monastero di greci, siri e georgiani, che permise, fra l’altro, il dispiegarsi di un’eccellente attività di traduzione di testi importanti. Spiega inoltre la diffusione della «regola di san Saba» mediante il Typikon suo omonimo e la grandezza di alcune personalità emerse tra i monaci «sabaiti» (si pensi a san Giovanni Damasceno, a san Cosma di Maiuma e Stefano Innografo, a Teodoro Abu-Qurrah, a Leonzio di Damasco). A san Saba viene attribuito il Typikon detto di san Saba o di Gerusalemme. Questo è esatto in quanto, alla base, vi sono certe regole che furono stabilite da lui e da sant’Eutimio. Dopo, però, furono aggiornate da altri, tra cui san Sofronio, san Giovanni Damasceno e Nicola Grammatico. Il Typikon di san Saba si diffuse dal tempo di Fozio in poi, in gran parte dell’Asia Minore e, dal secolo XI, con Simeone di Tessalonica, divenne regola comune e guida liturgica delle Chiese di rito 94

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bizantino. Ma con delle variazioni: in Bitinia, ad esempio, le lavre non erano composte da singoli eremiti, ma da gruppi di due o tre cellioti sotto un unico superiore. Anche la vita monastica sul Monte Athos si modellò sull’esempio di Mar Saba. La Grande Lavra che sant’Atanasio Athonita vi fondò nel 963 non è però una lavra nel senso sabaita ma un cenobio. L’usanza di dare il nome «lavra» a cenobi di grande rilievo si è affermata in seguito anche altrove (ad esempio in Russia). Altro libro attribuito a san Saba sono le Costituzioni di San Teodosio sulla vita dei monaci cenobiti e cellioti; è un regolamento fondamentale per i suoi monaci, dato dal santo al suo successore Melita di Beirut. Morto il 5 dicembre 532 a 93 anni, il suo corpo fu in seguito trasportato a Venezia dove riposò, nella chiesa di Sant’Antonio, fino al 12 novembre 1965 quando – come segno di riconciliazione tra le due grandi Chiese cristiane – fu restituito alla sua lavra dove ora riposa. La venerazione del grande fondatore si è diffusa anche in Occidente; una dimostrazione è costituita dal fatto che verso la metà del secolo VII gli fu dedicato un monastero a Roma, sull’Aventino, probabilmente ad opera di monaci greci.

160. Una delle principali figure del monachesimo orientale che influenzò la spiritualità bizantina e ortodossa nei secoli fu Giovanni Damasceno. Lo ricordiamo qui perché a sua volta può essere considerato un continuatore dell’opera di san Saba nel lavoro di aggiornamento della sua regola monastica, il Typikon. Affresco del 1468 nella chiesa di San Simeone del monastero di Novgorod, nel nord della Russia.

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163. Questa miniatura, prodotta a Costantinopoli nel 1100 circa, è una delle più antiche raffigurazioni rimaste del «Santo Volto». Il soggetto ebbe un ruolo centrale nella controversia sulle immagini. Gli sfregi sul volto di Cristo, pur posteriori, evocano l’ostilità degli iconoclasti all’attribuzione a Dio di una forma umana. Il manoscritto è conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Ross. Gr. 251.

V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

3. IL MONACHESIMO E L’ICONOCLASTIA Un’anomala, complessa e dolorosa guerra a tutto campo interessò e devastò l’Impero bizantino nel corso, almeno, dell’VIII e di buona parte del IX secolo, allorché gli Arabi e i Bulgari fiaccavano le sue capacità difensive, occupandone una cospicua porzione di terre e arrivando quasi a un passo dalla conquista della stessa Costantinopoli. Dottrina che predicava la distruzione delle immagini, l’«iconoclasmo» trova il suo fondamento nella proibizione contenuta nel libro dell’Esodo e nel Deuteronomio di rappresentare gli esseri tanto celesti quanto terrestri per immagini e nella conseguente determinazione di Ebrei e Arabi di non raffigurare immagini di Dio, al fine di non riprodurre così il costume pagano di adorare idoli. A ciò si aggiungono, poi, l’incertezza e i dubbi di molta parte del mondo cristiano sul tema, nonché il potere e l’influenza enormi esercitati dai monaci nella società bizantina. La diffusione dell’iconoclasmo ebbe inizio quando l’imperatore di origine siriaca Leone III, sia per retaggio familiare, sia per ingraziarsi le popolazioni arabe più vicine, attaccò con violenza il culto delle immagini sacre, proibito dalla legge mosaica e dal Corano, ma molto comune nella pietà cristiana. L’immagine sacra sembrava, infatti, costituire come un fulcro della vita religiosa dell’Impero bizantino, tanto che la popolazione ne aveva moltiplicato nelle sue abitudini l’uso, collocandole non soltanto nelle chiese e nei conventi, ma perfino nelle case private e negli edifici pubblici, su mobili, vetri, abiti e pendenti, in modo che ne venivano coinvolti tutti gli ambiti della vita sociale sia pubblica sia privata. I teologi consideravano, in generale, le immagini come un valido strumento apologetico e di preghiera, come affermava il patriarca Niceforo: «la vista conduce alla fede»; benché non pochi sostenessero che il loro culto era eccessivo, tanto da sconfinare, talora, pure nell’idolatria. Atanasio e Cirillo di Alessandria, Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno furono facondi difensori delle immagini: «il muto disegno riesce a parlare dalle mura, offrendo ingenti grazie».

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3. IL MONACHESIMO E L’ICONOCLASTIA 164. Icona greca del XIX secolo che raffigura il Trionfo dell’Ortodossia. L’icona rappresenta la restaurazione delle immagini sacre sotto la benedizione di Dio Padre in alto tra le nuvole. Il monachesimo contribuì moltissimo al ritorno della venerazione delle immagini.

Il Concilio di Nicea II (787) dettò la seguente definizione: «Decretiamo che accanto alla preziosa croce vivificante trovino legittimamente posto anche le icone dipinte o musive o realizzate con altro materiale, che adornano le sante chiese di Dio, gli oggetti di culto, i paramenti sacri, i muri, le tavole lignee, le case e le strade». Non v’è dubbio che esistesse pure tra le ragioni di fondo, l’innegabile relazione sorta in ambito devozionale tra le icone e la crisi ariana, giacché monaci e devoti consideravano la preghiera rivolta all’icona nient’altro, in realtà, che un nuovo modo di rendere onore all’incarnazione di Dio. Affermava in merito Giovanni Damasceno: «Non è la materia che io adoro, ma Colui che ha creato la materia e che si è fatto materia per me, che ha eletto la sua abitazione nella materia e tramite la materia ha realizzato la mia salvezza». D’altra parte, la maggioranza dei monaci manifestava una devozione smisurata per le immagini, appoggiando e incoraggiando le sue manifestazioni più esagerate e offrendo, così, il fianco a quanti, come l’imperatore Leone III Isaurico, combatterono con pari foga tanto la venerazione per le immagini quanto l’ambiente monastico. A ciò si aggiungono anche ragioni teologiche, in cui si affiancavano a un devozionalismo profondo un’ignoranza dottrinale altrettanto cospicua. Non si trattò soltanto di una controversia teologica, ma di una vera e propria disputa, animata da passioni smisurate. Gli imperatori e i loro soldati commisero ogni genere di orrori contro le immagini, l’ingenua sensibilità popolare e i monaci, ma, per la tenace resistenza da costoro opposta, non riuscirono a ottenere altro effetto che infervorare ancor di più le masse a una ininterrotta forma di culto delle icone e di attaccamento ai monaci. L’imperatore Costantino V giunse a decretare la confisca dei monasteri, la loro trasformazione in caserme e l’integrazione dei mo164

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161. Una cosiddetta «croce degli iconoclasti» in un eremo delle Celle in Egitto. La mancanza della figura di Cristo è supplita dall’unione dei simboli dell’albero, segno di vita, e dalla croce ricca di ornamenti e già segno di risurrezione. Così il monachesimo copto, come si è visto, meditava sull’inscindibile connessione tra croce e resurrezione. 162. Sul soffitto della cappella di San Basilio presso Mustafapaxa, in Cappadocia, è dipinta questa grande croce gemmata. Non è sicuro che risalga all’epoca dell’iconoclastia ma esprime bene la predilezione per la raffigurazione della croce, caratteristica degli iconoclasti. 96

naci nell’esercito. Era la prima volta che i monaci venivano avversati in modo tanto diretto, provocando tra l’altro per conseguenza l’emigrazione di numerosi tra loro verso l’Italia Meridionale. Ad ogni modo, talora proprio per effetto dello spirito di resistenza caratteristico del mondo monastico, costoro si trasformarono in uno dei principali punti di riferimento della religiosità bizantina, con importanti risvolti sul piano sia pubblico sia politico. Il teologo più noto e influente in questa controversia fu Giovanni Damasceno, monaco di Palestina, che scrisse tre apologie in favore delle immagini. Altrettanto importante fu Teodoro Studita, riformatore della vita monastica e ardente difensore delle immagini di Cristo. Entrambi elaborarono la teologia ufficiale sulle immagini. Nell’843 si riconobbe, infine, la legittimità delle icone, e la memoria ne resta nella festa che l’ortodossia celebra da allora ogni prima domenica di Quaresima. I monaci confermarono il loro ruolo di anima della Chiesa e della religiosità bizantina, raggiungendo proprio in quest’epoca una vera «età dell’oro». 97


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

4. LA RIFORMA STUDITA E SAN TEODORO

4. LA RIFORMA STUDITA E SAN TEODORO IL RIFORMATORE DELL’UFFICIO MONASTICO DI COSTANTINOPOLI

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165. Una raffigurazione fortemente espressiva di Teodoro Studita in un mosaico del 1040 circa, nel monastero di Hosios Lukas nella Focide, in Grecia.

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Il monastero di Studion, originariamente la chiesa parrocchiale del santo Precursore a Costantinopoli, fu fondato dal senatore Studius nel V secolo. Nel corso del tempo esso divenne il monastero più importante non solo in quella città, ma tra tutti i monasteri nella parte occidentale dell’Impero bizantino. Tutta la serie di regole monastiche dall’XI al XII secolo si basava sulla Regola Studita. Teodoro Studita, che morì nell’826, scrisse il typikon (ordinamento per il servizio, vedere anche il capitolo V, 6) che fu subito accettato nella parte occidentale dell’Impero bizantino. Grazie a Teodoro Studita, il suo monastero divenne un rinomato centro di cultura, particolarmente noto per il suo «scriptorium». Successivamente il monastero fu devastato e poi ricostruito da Costantino il Paleologo nel 1293. Nel processo di riforma del servizio, intrapreso sotto l’influenza del rito del Santo Sepolcro in Gerusalemme, il typikon studita accettò i lavori poetici dei migliori autori appartenenti all’ordine dei Sabbaiti come Andrea di Creta, Cosma di Maiuma e Giovanni di Damasco dal monastero di San Sabba il Santificato. Il typikon studita per il rito fu influenzato da quello di Gerusalemme. Più tardi fu il typikon studita ad influenzare a sua volta quello di Gerusalemme, ma questo alla fine lo estromise. Il typikon studita non fu conservato nella sua forma originaria. Ne conosciamo una parte in una versione risalente alla metà del IX secolo e la sua forma più estesa in un testo dell’XI secolo. Quando Alessio, il Patriarca di Costantinopoli (1025-1043) che – prima di essere eletto – era stato un igumeno secondo alcuni e un ecclesiastico del monastero di Studion secondo altri fondò il monastero della Dormizione della Santa Vergine a Costantinopoli nel 1034, come fondatore presentò un ordinamento. Il typikon del fondatore di questo monastero, noto anche come il typikon di Alessio, era in generale una versione del typikon studita nella quale peraltro il Patriarca Alessio, introdusse frammenti tratti da altre regole monastiche e dalla pratica della grande Chiesa di Costantinopoli. La effettiva differenza tra il typikon studita e il typikon di Gerusalemme è un punto di particolare interesse. Esso è stato affrontato da Nikon della Montagna nera, uno scrittore monastico di Antiochia dell’XI secolo. Egli era famoso per il suo lavoro sulla sostituzione del typikon studita con quello di Gerusalemme. Secondo il typikon di Gerusalemme, il rito consiste in veglie – i versetti sono cantati – mentre le lodi mattutine sono unite al servizio della Prima Ora. Non c’è nessun riferimento alle veglie nel typikon studita. Nell’arco di tutto l’anno, il rito consiste di lodi mattutine, nihterinon e vespri. La grande Dossologia non è mai cantata. Gli apostycha vengono letti nelle feste maggiori. Secondo il typikon studita, il servizio ha luogo sette volte al giorno (vedere Salmo 119,164), cominciando dal mattutino. Il Salmo 5 si legge nella Prima Ora, il Salmo 90 nell’Ora Sesta, il Salmo 85 nell’Ora Nona e il Salmo 103 durante la preghiera serale. Durante le lodi mattutine si legge la vita del santo del giorno, mentre le esaltazioni di san Teodoro Studita si leggono durante i vespri. Secondo il typikon studita non c’è la liturgia quotidiana. Accanto al typikon del Fondatore, opera del Patriarca Alessio, ci

166. La chiesa di Sant’Andrea a Peristerai, in Grecia (870-871) è un esempio della ripresa monastica sul piano edilizio con la fine del periodo iconoclasta. I monaci, convinti iconoduli, nella maggior parte dei casi erano stati costretti molte volte ad un “silenzio” anche sul piano costruttivo.

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sono alcune regole di altri fondatori, che sono state scritte sotto l’influenza del typikon studita, tralasciando però alcuni akoloutha e i completi menaia. Vi appartengono i seguenti ordinamenti: l’ordinamento del monastero di Criptoferrata e l’ordinamento del monastero di Grottaferrata, che furono fondati dal monaco Nilo († 1004) a circa 30 km da Roma; l’ordinamento del monastero di Nicola Cassugliano nella parte orientale della Calabria, fondato nel 1099, che fu scritto dall’igumeno Nicola nel 1174, attingendo dai padri Sava e Studita; l’ordinamento del monastero della Ma-

dre di Dio Euergetis che fu fondato dal monaco Paolo († 1054) alla periferia di Costantinopoli nel 1048. Sebbene il typikon studita cominci ad essere rimpiazzato dal typikon di Gerusalemme dopo il declino dell’Impero romano orientale nel 1261, alcuni suoi riti, come è già stato sottolineato, sono stati conservati non solo nei citati typikon dei fondatori, ma nelle pagine del typikon di Gerusalemme. Essi sono evidenti nella prima traduzione in antico slavo ecclesiastico del typikon di Gerusalemme, nota come il typikon dell’arcivescovo serbo Nicodemo, nel 1319. 99


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

5. CIRILLO E METODIO

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167. Icona portatile con i santi Cirillo e Metodio.

Discendenti da una nobile famiglia nota all’imperatore, i fratelli Metodio e Costantino nacquero a Tessalonica, la seconda città in ordine di importanza nell’Impero bizantino, rispettivamente nell’815 e nell’826. Il maggiore fece carriera nell’amministrazione dello Stato. Il loro biografo non precisa il luogo dove si trovava il principato slavo, il cui governo gli era stato affidato dall’imperatore, ma esistono vari elementi a favore della Bitinia, in Asia Minore. L’attività di Metodio come autore di opere a carattere giuridico prova la solidità della sua formazione nel diritto. Il fratello cadetto seguì un altro orientamento e, dopo un eccellente corso di studi nella capitale dell’Impero presso illustri maestri, fu ordinato «lettore», vale a dire chierico di rango inferiore, ordine necessario ad ottenere in seguito il ruolo di segretario della Cancelleria patriarcale. Poco interessato agli incarichi che tale funzione 100

prevedeva, Cirillo non tardò a dare le dimissioni e a ritirarsi in un monastero della capitale chiamato Kleidion. Senza dubbio il soggiorno di Cirillo in tale monastero, che non durò più di sei mesi, non era legato alla sua volontà di farsi monaco. Cirillo cercava un luogo tranquillo per concentrarsi e riflettere sul suo avvenire e l’atmosfera di questo monastero gliene offriva l’occasione, lasciando comunque intuire che la vita monastica gli era particolarmente familiare. Dopo avere svolto i suoi servizi per circa venti anni come governatore del «principato slavo», Metodio apparve nuovamente sulla scena degli eventi, ma questa volta come monaco. Il suo biografo ci informa che «quando ne ebbe il modo, abbandonò il principato e se ne andò sul Monte Olimpo, dove vivono i santi Padri». E fu qui che «si vestì di un abito nero e obbedì nell’u-

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168. Il mondo di Cirillo e Metodio e il primo sviluppo delle Chiese slave sino nella Grande Moravia e in Pannonia; il loro discepolo Clemente darà nuovo sviluppo monastico al mondo bulgaro, ormai cristianizzato, nella regione del lago di Ohrid.

miltà, osservando appieno la regola monastica e occupandosi di libri». Poco più tardi Cirillo, che frattanto aveva insegnato filosofia e compiuto una missione ufficiale presso gli Arabi, raggiunse suo fratello per occuparsi, come lui, di libri. Metodio era, dunque, divenuto monaco, mentre Costantino, mantenendo la propria funzione di lettore, non aveva ricevuto la tonsura. L’Olimpo, in Bitinia, era un fiorente centro monastico, pullulante di monasteri sparsi nell’intera regione, alcuni dei quali famosi per i loro asceti. Dopo l’VIII secolo, la regione aveva accolto circa 200.000 Slavi provenienti dalla Bulgaria, che avevano fatto richiesta, positivamente accolta, all’imperatore bizantino di potersi installare nella zona. È risaputo che tra le figure più eminenti di monaci dell’Olimpo furono personalità quali Giovannicio il Grande (754-846), di origine slava, a riprova del fatto che gli Slavi di Bitinia erano già

attratti dall’ideale cristiano di vita monastica. Costantino e Metodio vi erano giunti, affinché Metodio diventasse monaco e per occuparsi insieme di libri, secondo il racconto dei loro biografi. Questa occupazione dei due fratelli porta facilmente a supporre che i futuri «apostoli degli Slavi», con l’aiuto di monaci slavi, avessero cominciato nel monastero dell’Olimpo a preparare la grande missione presso quei popoli, compiendo uno sforzo di traduzione dei testi sacri nella loro lingua. Così, il monastero dell’Olimpo in cui visse Metodio divenne un centro di collaborazione letteraria greco-slava, come sarebbe stato più tardi per i monasteri greci di Costantinopoli, del Sinai e del Monte Athos. Nel monastero i due fratelli ricevettero l’ordine imperiale di compiere una missione presso i Cazari. Dopo averla svolta, Costantino tornò a Costantinopoli, mentre Metodio rientrò all’Olimpo. 101


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

5. CIRILLO E METODIO 169. Monastero di San Naum, sul lago di Ohrid, testimonianza della discepolanza monastica di Cirillo e Metodio.

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170. In questo affresco ad Assisi, in Italia, san Benedetto patrono della chiesa d’Occidente e fonte primaria del monachesimo occidentale è posto tra i patroni del cristianesimo e del monachesimo slavo: Cirillo e Metodio. 169

L’imperatore e il patriarca vollero che Metodio fosse ordinato arcivescovo di un episcopato importante, ma egli rifiutò tale onore, per stabilirsi in qualità di abate insieme al fratello nel monastero Polychroníou. Si trattava di un monastero assai ricco e numeroso, che annoverava tra le sue file circa 70 monaci. La scelta non fu, ovviamente, casuale: se il patriarca godeva il diritto di nominarne l’abate – diritto riservato di norma esclusivamente ai monaci –, ciò significa che esso era sotto la sua diretta giurisdizione. Non ci è dato di sapere dalle fonti quale attività svolgesse Metodio come abate, ma con ogni probabilità si occupava dei problemi della missione slava che l’Impero era in procinto di compiere. Non desta, pertanto, stupore se è da questo ambiente che l’imperatore diede ordine a Costantino e Metodio di recarsi nei paesi slavi della Grande Moravia per soddisfare la domanda del suo sovrano Rastislav, desideroso che i missionari bizantini predicassero il Vangelo nel suo paese in lingua slava. 102

Partiti per la Grande Moravia, dove esplicarono una intensa attività ecclesiastica e letteraria, i due fratelli erano seguiti da alcuni compagni, tra i quali bisogna pensare che vi fossero verosimilmente dei monaci slavi di Bitinia. Dopo una permanenza di quaranta mesi in Moravia, dove stabilirono la lingua slava nella vita ecclesiastica, i due fratelli si diressero a Roma. Transitando per la Pannonia, dietro insistenza del principe Kocel, predicarono anche in questo paese, prima di presentarsi al Papa, accompagnati dai loro collaboratori, alloggiando in un monastero greco della città. Costantino, per la fatica delle opere intraprese, si ammalò e, sentendo avvicinarsi il momento della morte, chiese di poter vestire l’abito monastico, ricevendo così il nome di Cirillo. Prima di morire disse a suo fratello di sapere quanto egli amasse il monastero in Bitinia, ma lo consigliò di non farvi ritorno e di proseguire nella sua opera missionaria. Otto giorni più tardi morì, da semplice monaco. Metodio disse allora al Papa: «Nostra madre ci ha

171. Veduta interna della chiesa di San Clemente a Roma dove sono state deposte le spoglie di san Cirillo.

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fatto promettere che colui che fosse morto per primo sarebbe stato riportato dall’altro nel monastero del fratello per esservi sepolto». Da queste parole si capisce che per Cirillo esisteva il voto di morire in qualità di monaco. Il monaco Cirillo fu inumato a Roma nella chiesa di San Clemente. Le biografie letterarie dei due fratelli hanno trasmesso al mondo slavo la memoria dell’amore nutrito per il monachesimo da parte degli inventori del suo alfabeto e, con ciò, fondatori del suo patrimonio di letteratura ecclesiastica. 103


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

6. DIFFERENTI REGOLE MONASTICHE

6. DIFFERENTI REGOLE MONASTICHE

A differenza del monachesimo occidentale, nell’Oriente non esistono «ordini» religiosi differenziati tra loro da specifici carismi: il tipo di vita monastico è unico e ogni monastero è a sé stante. La diversificazione delle «regole» seguiva in Oriente i vari modi di vita: si va dall’eremitismo alla piccola comunità di due-tre monaci o poco più (skiti), alla laura-gruppo di piccole comunità, al cenobitismo, cioè vita comune di grandi comunità dirette da un archimandrita o igumeno. Alla base di tutte sta ad ogni modo la consapevolezza che la spiritualità monastica è semplicemente la radicalizzazione escatologica delle promesse battesimali, e perciò è sentita come esemplare per tutti i cristiani. La necessità di regolare la vita monastica con un’apposita regola non è stata perciò avvertita sin dall’inizio, anche perché la prima forma della vita monastica fu quella carismatica dei singoli eremiti che tra il terzo e il quarto secolo cominciarono a ritirarsi nel deserto di Egitto. Dalle loro esperienze sono nate certe «tradizioni», che però non costituirono ancora delle regole nel senso di norme giuridiche, ma modi di vita. Il vescovo di Alessandria, Atanasio (295-373), cosciente delle proprie responsabilità, sente il bisogno di orientare in senso determinato il monachesimo che sta prendendo forma sotto i suoi occhi. Egli non fa allora appello a un documento legislativo, ma scrive la Vita Antonii, «che basta ai monaci per definire la loro ascesi». Con ciò egli non dà un minimum di pratiche da osservare ma propone l’ideale della perfezione.

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172. Immagine di sant’Antonio, la figura capostipite del monachesimo orientale. Affresco della chiesa dei Santi Anarghiri di Kastoria, in Grecia. 173-176. Quattro vedute di monasteri copti che sono testimonianza della grande tradizione di san Pacomio. In alto: Deir el-Malak, il monastero dell’arcangelo Michele nella regione di Naqada e Qamula a nord di Luxor. Al centro: nella stessa regione Deir Mari Buktur il monastero di San Vittorio e Deir Amba Pissantaos, il monastero dell’abate Pisenzaio. In basso: il monastero dei Martiri Deir el-Shohada a sud di Luxor. Fondato nel luogo del martirio di una comunità cristiana di Esna e del suo vescovo. 177. L’apparizione dell’angelo a Pacomio. Affresco del monastero di Aghiu Pavlu al Monte Athos in Grecia. 104

La prima regola fu, quindi, una parola carismatica, un logion, rivolta personalmente da un anziano al figlio spirituale, e fondata sulla sua autorità. Come tale faceva parte della direzione spirituale. Il logion personale, ripreso da altri, che ne sperimentano l’utilità anche per la propria vita, nasce dalla tradizione orale. Un ulteriore passo è fatto quando alcune frasi diventano famose e vengono scritte. Le frasi così fissate sono poi raggruppate sistematicamente e, in seguito, incorporate in altre collezioni analoghe (apophtegmata). Alla fine di questo sviluppo sta la «regola della tradizione dei Padri» che però non ha altro scopo che favorire il progresso spirituale del singolo, senza ancora la pretesa di regolare la vita in comune. Questa «regola» fu seguita da eremiti e reclusi. Del tutto diversa è la regola di Pacomio (ca. 290-347), il fondatore della vita monastica cenobitica, ispirata dall’esigenza della vita di comunità ben ordinata in modo da favorirvi la pace e il raccoglimento. Tuttavia, mentre il logion dell’anziano era orientato al contenuto della vita spirituale del singolo, la regola pacomiana cercava di adattare esperienze giuridiche umane a scopi spirituali e regolare così gli aspetti esterni della vita. Per questo il regolamento monastico pacomiano può essere considerato una specie d’umanesimo cristiano sociale. Il pericolo che vi si cela è tuttavia quello di una certa secolarizzazione della vita comune. San Basilio di Cesarea (ca. 330-379) sembra aver avvertito questo pericolo quando compose le sue regole: per unire spiritualmente

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V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

6. DIFFERENTI REGOLE MONASTICHE

178. San Basilio il Grande. Dopo i Padri del deserto il primo grande ordinatore del monachesimo orientale. Particolare dell’affresco riguardante i vescovi officianti (1208-1209) nell’abside della chiesa della Madre di Dio, al monastero di Studenica, in Serbia.

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Ispirato da san Basilio, san Saba (VI secolo) unisce nel suo famoso typikon elementi della regola basiliana con l’esperienza di vita anacoretica, così come fu vissuta nella Grande Lavra, in Palestina, da lui fondata e diretta.

i fratelli egli si serve della Parola di Dio che è la vera regola basiliana. Tutto il resto è considerato come una sua spiegazione. Basilio non considera il monachesimo un’istituzione a sé stante all’interno della Chiesa, ma semplicemente un modello di Chiesa in piccolo, aperto alla Chiesa intera. Il percorso della regola basiliana potrebbe essere suddiviso in tre tappe o gradi. Il primo testo, che può essere considerato una «regola» nel senso stretto, e come tale stimato da Basilio stesso e dai suoi contemporanei, è costituito dalle «Regole morali». Più di 1500 versetti del Nuovo Testamento citati in 80 regole (Horoi), divisi in sottocapitoli, raccolgono sistematicamente quanto bisogna fare e non fare. La si potrebbe chiamare la regola di vita del cristiano impegnato. La seconda tappa è costituita dal piccolo Asketikon, il quale riflette le necessità pratiche emerse nei colloqui di Basilio coi monaci delle varie fraternità ascetiche che l’invitavano spesso a rispondere ai loro quesiti. L’opera conserva perciò la forma di un dialogo, domanda e risposta. In questo Asketikon si registra una forma di passaggio: da un gruppo ecclesiale di «cristiani impegnati» verso un ordine monastico organizzato e istituzionalizzato, continuando però a insistere più sulla vita interiore che sugli aspetti esteriori. La terza tappa è fondata sul grande Asketikon, suddiviso in regole minori (Regulae brevius tractatae) e regole maggiori (Regulae fusius tractatae). Mentre le prime consistono nei numerosi singoli ordinamenti, le seconde ne sono il definitivo riassunto sistematico. Tutto l’Asketikon, in pratica, non è altro che un commento agli Horoi estratti dalla Bibbia. In esso Basilio determina singoli punti, che regolano il modo di vita che ormai si può chiamare monastica. 106

San Teodoro Studita (759-826) vuole riformare il monachesimo nei cenobi bizantini del suo tempo, ritornando all’ideale di san Basilio, adattandolo in alcuni punti, ad esempio nella più grande rilevanza che il suo typikon, noto come Hypotiposis, riserva alla figura del superiore. Ciò inaugura un gran numero di typika, sui quali si modellerà in seguito anche il monachesimo slavo.

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179. La Scala del Paradiso secondo la visione di san Giovanni Climaco. Affresco della facciata settentrionale della chiesa della Resurrezione nel monastero di Suceviwa, nell’attuale Romania. San Giovanni Climaco vissuto tra il 570 e il 649 scrisse la famosa opera La scala del Paradiso in greco mentre era abate al monastero del Sinai. Quello che oggi verrebbe chiamato un «best seller» fu tradotto in latino, siriaco, arabo, aramaico, armeno e in slavo ecclesiastico e successivamente nelle varie lingue moderne. La vita ascetica è interpretata come una scala che il monaco deve salire, ogni gradino corrisponde a una virtù che è chiamato ad acquisire. Si

tratta di trenta gradini come i trenta anni della vita nascosta di Cristo prima del suo ministero pubblico. Enorme fu l’influenza di questa opera sul monachesimo orientale ed, in specie, nei paesi slavi. 180. Teodoro Studita, come san Saba nel VI secolo, a cavallo dell’VIII e IX secolo dà nuovo impulso al monachesimo, terminata la crisi iconoclasta. L’affresco qui riprodotto proviene dal monastero di Chilandari al monte Athos (1621-1622 ad opera di Georgjie Mitrofanović).

Il nome typikon (dal greco typos=regola, regolamento) nella tradizione bizantina fu dato a un ordinamento consuetudinario che determinava la vita d’ogni giorno del singolo monastero dal punto di vista giuridico e monastico, ma innanzitutto liturgico, servendo come un calendario perpetuo. In generale si distinguono due gruppi di typika. Il primo ha origine da un padre spirituale, fondatore di un monastero, che ha praticato la vita monastica e la codifica per coloro che lo seguiranno. Oltre a quelli già nominati, va menzionato innanzitutto il typikon di Nikon della Montagna Nera († 1088), nonché i suoi Pandekta, un compendio canonico-litugico. Il secondo gruppo dei typika è chiamato ktetorici, o di fondazione, perché hanno origine dall’autorità civile (di solito un nobile faceva costruire un monastero e il typikon che doveva regolare la donazione). Tali typika compaiono dal secolo X in poi, quasi esclusivamente nell’Impero bizantino. Oltre i typika, sempre individuali, esistevano regolamentazioni comuni. Nell’Oriente cristiano, infatti, fu spesso l’autorità pubblica che faceva la legislazione monastica. Le leggi imperiali (Giustiniano) o i sinodi episcopali (soprattutto quello di Calcedonia) hanno formulato delle prescrizioni monocanoniche per la disciplina del monachesimo bizantino nel suo insieme. 107


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

7. IL MONACHESIMO SOTTO L’ISLÀM 181. Gli splendidi resti pavimentali della chiesa di Santo Stefano (VIII secolo), Umm al Rasas, in territorio giordano. Vi si vedono, tra l’altro, rappresentate le principali città dell’epoca. La chiesa fu edificata quando ormai la regione era sotto il califfato arabo di Damasco, eppure lo splendore del decoro mostra la possibilità di una convivenza tra le comunità cristiane e l’Islàm arabo del periodo. Un monumento cristiano di questo periodo rivaleggiava con qualsiasi altra costruzione ed era pienamente inserito nel tessuto di comunicazioni dell’epoca. Se la regione decadde in seguito lo si dovette al passaggio del califfato da Damasco a Baghdad ed i centri della romana Provincia Arabia vennero tagliati fuori da secolari vie di comunicazione.

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182. L’edificazione della chiesa di Santo Stefano in territorio arabo-islamico fu aiutata anche dai monaci. Ne è prova un pannello della navata sud con il ritratto di un benefattore e la ben visibile iscrizione «Ricordati signore, del tuo servo Kaioum monaco e prete di Fisga». 108

La presenza del cristianesimo in Medio Oriente, sua culla storica, e in Africa, con la gloriosa memoria di martiri, santi e delle sue oltre settecento diocesi, agli inizi del V secolo, fu praticamente annullata in conseguenza all’invasione degli eserciti arabi e all’introduzione della religione islamica. Bisogna constatare che la resistenza di vari popoli fu debole, sia a causa del particolarismo africano, che non sopportava la prepotente presenza dei bizantini, sia per il superficiale assorbimento del cristianesimo da parte di molte popolazioni indigene, poco romanizzate. Per comprendere tale fenomeno, basta il detto, molto significativo, di alcuni popoli monofisiti: «Il Dio della vendetta ci manda l’Arabo per liberarci dal Romano». Si pensò che il nuovo invasore sarebbe stato più rispettoso delle loro scelte religiose, di quanto non fossero stati i bizantini, ma tale convinzione fu presto smentita dai fatti. La caduta della Siria e della Palestina, con la città-simbolo di Gerusalemme, causò una spaccatura decisiva nella storia del cristianesimo. Il 20 agosto del 635 capitolò Damasco e nel 638 Gerusa-

183. Arcata di una navata laterale della chiesa del monastero di San Michele di Cuixá in Catalogna. L’edificazione risale al secolo X e l’architettura mostra una chiara influenza dell’arte islamica nell’assetto degli archi.

lemme. La rassegnazione della popolazione e l’appoggio frequente da parte dei monofisiti possono essere spiegati nel contesto dei sentimenti nazionalisti antibizantini, piuttosto che con motivazioni religiose. I conquistatori arabi incontrarono la civiltà ellenica, che per un millennio aveva ricoperto tutto il Vicino Oriente e aveva prodotto molti saggi e pensatori. Allo scontro militare si accompagnò, particolarmente nei primi secoli, un’intensa assimilazione dei modelli politici e culturali che l’ellenismo aveva prodotto ad opera soprattutto di quegli arabi che erano rimasti cristiani. La Siria si arabizzò con sorprendente facilità e, nel complesso, la popolazione cristiana accettò le nuove condizioni. Nell’Africa settentrionale, le comunità cristiane di Agostino e Cipriano scomparvero completamente. Anche se inizialmente ai cristiani fu concesso di mantenere la propria religione, con il pagamento di un tributo speciale, consistente in un quinto delle rendite, questo sentimento di tolleranza fu contrastato, dalla metà dell’VIII secolo, da periodi di persecuzione, nei quali i cristiani dovettero scegliere tra l’apostasia o l’esilio. La convivenza tra cristiani e musulmani non è stata certo così idil-

liaca, come sostengono alcuni. In generale va però riconosciuto che la società islamica che gli arabi costituirono aveva spazio al suo interno per le comunità cristiane, che mantennero la propria fede e la propria organizzazione ecclesiastica nel corso dei secoli. La posizione di inferiorità giuridica e sociale rispetto ai musulmani le fece però diminuire fino a divenire una minoranza e, in alcuni casi, scomparire. La Spagna visigota, da parte sua, crollò come un castello di carte nel 711 e, anche se i cristiani convissero con gli invasori, che non furono mai molti rispetto alla popolazione autoctona, la penisola cominciò ad accettare piano piano l’Islàm come religione dominante, mentre una minoranza di cristiani si rifugiò nel nord, disposta a mantenere la propria religione e le proprie usanze, scontrandosi con gli invasori. Il fenomeno del monachesimo assume espressioni di rilevanza speciale, in queste circostanze avverse. Spesso, l’arrivo dei musulmani comportò la distruzione dei monasteri e la fuga dei monaci verso terre cristiane; cosa che accadde in Sicilia, dove la maggioranza dei monaci si vide costretta a fuggire in Calabria, nella Spa109


V. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN ORIENTE

7. IL MONACHESIMO SOTTO L’ISLAM 184. Resti del monastero di Makaravank, in Armenia, la cui costruzione iniziò nel IX secolo. Il monastero in dati periodi fu sotto il dominio di governanti islamici. 185. Cartina storica delle date di arrivo di governi araboislamici nel bacino del Mediterraneo nel nord della Mesopotamia e nel Caucaso.

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186. Monastero di Nekresi nella Kahetia, in Georgia fondato tra il VI e il VII secolo (gli affreschi sono del XVI) fu, in alcuni periodi, sotto regimi islamici. D anubio

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gna musulmana e in molti luoghi dell’Oriente. Altre volte, nelle comunità cristiane sottomesse e spesso maltrattate, che però mantenevano buona parte della loro organizzazione interna precedente, non mancarono i monasteri o i cristiani che vivevano la propria vocazione di anacoreti. Questi monaci, dediti alla carità, alla predicazione, al canto degli inni e all’insegnamento, costituirono, per i cristiani, un fondamentale punto di riferimento per mantenere la propria identità. I maroniti nacquero nell’attuale Libano, nei pressi di un monastero diretto da san Marone, e furono capaci di mantenere la propria fede e le proprie radici. In Armenia e in Georgia rimasero fedeli non solo al cristianesimo, ma anche alla loro identità nazionale, grazie, soprattutto, al lavoro e all’esempio dei monaci. Nella Cordova musulmana, i monaci rappresentarono uno stimolo per alcune comunità, spesso intorpidite e in pericolo di assimilazione: ciò li portò al martirio, e fu la causa di un risveglio doloroso, ma efficace. Chiaramente, i monaci non erano gli unici testimoni dell’ancor vivo cristianesimo: esisteva, infatti, anche un’organizzazione ecclesiastica, fatta di chierici e laici. Nei monasteri, però, si riscontra spesso la sintesi dello spirito cristiano e, al tempo stesso, una tenace difesa delle diverse tradizioni e nazionalità.

In una società in cui i cristiani si trovavano circondati e dominati dalla cultura e dalle forme di vita dei musulmani, non mancarono tentativi di adattamento del cristianesimo alla dottrina musulmana, al fine di ottenere una convivenza migliore. In tale situazione, ci furono soprattutto due casi, che divennero motivo di scontro e di aspre controversie: nella Spagna islamizzata, si trattò della rinascita dell’eresia adozionista, ossia del tentativo di superare il complesso mistero trinitario, motivo d’accusa che l’Islam opponeva all’unicità del Dio cristiano, affermando che Cristo non era il vero Dio, ma solo un uomo adottato da Dio; a Bisanzio, d’altra parte, si scatenò, conformemente alla concezione musulmana, il rifiuto delle immagini che rappresentavano la divinità, con la convinzione che sarebbe stato più facile, in tal modo, assimilare e convincere i seguaci dell’Islam. In un caso e nell’altro, furono i monaci a combattere con intensità e ardore queste eresie, in difesa della verità tradizionale. Ancora oggi, in alcuni monasteri di terre quasi esclusivamente musulmane, si trovano monasteri cristiani. Pur essendo cambiati i tempi, le circostanze continuano ad essere difficili. Qualche anno fa, in Algeria, un monastero di monaci cistercensi ha offerto un nuovo esempio di fedeltà e dedizione all’ideale cristiano. 111


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

1. SAN GREGORIO MAGNO

1. SAN GREGORIO MAGNO IL PRIMO PAPA MONACO

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187-189. Il mondo del papa monaco Gregorio è quello di una Roma, qui rappresentata dall’abside paleocristiana di Santa Pudenziana, riconquistata ai Goti nel 553. La città rimarrà nell’ambito dell’impero bizantino, qui rappresentato dalla cupola di Santa Sofia a 112

Costantinopoli

Costantinopoli, sino al 755. Eppure in questa Roma, in cui affluivano funzionari, religiosi, soldati e artisti dall’oriente, Gregorio che aveva assorbito l’influenza della spiritualità orientale, diverrà il promotore del monachesimo che oggi riconosciamo come occidentale.

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190. Gregorio detta a un monaco I dialoghi, opera fondante, tramite biografie, la genesi del monachesimo occidentale. Miniatura del XII secolo della abbazia di San Lorenzo a Liegi oggi conservata nella Biblioteca Reale di Bruxelles (Ms. 9916, 17).

191. San Gregorio e il diacono Pietro. Miniatura del Moralium Libri di San Gregorio conservata nella Biblioteca di Montecassino (Ms 73).

I Longobardi distrussero gran parte dell’organizzazione ecclesiastica e monastica esistente in Italia. Non bisogna dimenticare che i monasteri, rimanendo strettamente legati all’organizzazione ecclesiastica e sotto il diretto controllo dei vescovi, senza avere alcuna relazione tra di loro, seguirono le sorti dell’organizzazione ecclesiastica di cui facevano parte, e subirono le stesse conseguenze dell’invasione. Molti monaci fuggirono lontano dai campi di battaglia, per andare a formare nuovi cenobi, in luoghi più tranquilli, aiutati spesso dal papa. A Roma, le basiliche e le chiese più importanti facevano spesso affidamento su monasteri sia maschili, sia femminili. San Gregorio è uno dei papi più affascinanti e ammirati della storia della Chiesa. Nacque da famiglia nobile, intorno al 540, ricevette una buona educazione e, all’età di trent’anni, divenne prefetto della città, grazie alle sue qualità personali. Per dare asilo ai tanti monaci che giunsero a Roma, disorientati e privi di mezzi, dopo essere fuggiti dai loro cenobi, a causa della persecuzione longobarda, Gregorio fece costruire sei monasteri nei suoi posse-

dimenti di Sicilia, e un settimo nella sua casa avita, sul Monte Celio, dove egli stesso si ritirò. Ordinato diacono, fu mandato da Onorio II alla corte di Costantinopoli (579-586) come ambasciatore, incarico importante e delicato, favorito dalle ottime relazioni stabilite con la famiglia imperiale e con il patriarca di Costantinopoli. Lì, ebbe modo di familiarizzare con la dottrina spirituale dei Padri greci e allacciò rapporti con il monachesimo orientale. Nel 590 fu ordinato vescovo e fu eletto vescovo di Roma. Il problema della difficile conciliazione tra vita attiva e vita contemplativa lo tormenterà nel corso di tutta la sua vita. Gregorio, che non abbandonò neppure per un momento lo stile di vita austero e devoto del monaco, cercò sempre di condurre una vita di preghiera, senza peraltro trascurare i doveri della sua carica. Può essere considerato il padre spirituale del Medioevo e, in effetti, i monaci lo considerarono un maestro di vita interiore. A lui dobbiamo una raccolta di scritti che esprimono nel modo più adeguato e significativo la spiritualità del monachesimo. Il suo 113


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

1. SAN GREGORIO MAGNO

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successo più grande è stato quello di presentare gli insegnamenti dei Padri greci e di sant’Agostino in una forma comprensibile per i monaci del suo tempo. I Dialoghi, inoltre, sono un resoconto delle figure più importanti del monachesimo pre-longobardo, e collocano in un posto di particolare riguardo la figura di san Benedetto, la cui vita, infatti, occupa tutto il II libro dell’opera. San Gregorio, pur non essendo un benedettino, e anche se i suoi precetti e le sue regole non appartenevano propriamente alla tradizione benedettina, conobbe a fondo la figura di san Benedetto: scrisse una sua biografia e ne riferì l’insegnamento in un modo così pregnante, che induce ad affermare che i suoi ideali monastici abbiano il medesimo spirito di quelli di san Benedetto. Gregorio concepisce il monastero come luogo tranquillo e sicuro, dove trovare rifugio dalle tempeste del mondo e dalla sua vita stancante. Cerca di spogliarsi di tutto ciò che è mondano, di superare la condizione peccaminosa dell’uomo e di dilettarsi delle gioie eterne. Nel monastero egli può dedicarsi alla contemplazione e concentrare la mente alla meditazione. Niente può turbare la tranquillità, l’ambiente pacifico del monastero, che rappresenta il presupposto della vita monastica. Non sono tollerate le uscite frequenti, la personale amministrazione dei beni lontani dal cenobio, e l’affollamento di ospiti. L’elezione a papa lo allontanò dal monastero, ma non dai suoi ideali, anzi, la sua nuova carica gli fece comprendere meglio il valore spirituale dell’opera apostolica. Scrisse: «non temo nulla per me, ma molto per coloro che mi sono stati affidati». Dedicò il suo tempo e i suoi sforzi a risolvere i problemi della Chiesa e a diffondere il messaggio di Cristo. In questo difficile lavoro, si servì abbondantemente dei monaci, su cui faceva molto affidamento. Affidò loro sedi episcopali ed essi lo aiutarono direttamente a svolgere il suo incarico di governo; li mandò, poi, in Inghilterra in una delle più note missioni di evangelizzazione della storia. Nonostante nessuno abbia affermato con più forza di lui la difficoltà di eseguire allo stesso tempo gli obblighi del chierico e i doveri del monaco, Gregorio ha anche sottolineato che il bene della Chiesa, la conversione dei popoli pagani e la salvezza dei fedeli potevano richiedere la collaborazione di alcuni monaci, come di vescovi e sacerdoti. L’apparente contraddizione di Gregorio si spiega con la sua esperienza personale: «La vera perfezione di una contemplazione, che fino ad allora era stata troppo quieta e sicura di se stessa, incomincia a maturare solo nelle difficoltà e nei bisogni della vita attiva». Egli, vissuto nella continua nostalgia per la vita monastica perduta, fu consapevole del fatto che «chiunque, possedendo molte virtù, rifiuti di pascolare il gregge di Dio, dimostra di non amare il Pastore supremo». Nelle sue mani, il monachesimo si trasformò in strumento provvidenziale di ricostruzione interna della Chiesa e di evangelizzazione di popoli lontani. Nonostante questo, non c’è dubbio che la concezione monastica era comunque orientata verso la separazione dal mondo e dalla stessa vita ecclesiastica. Gregorio, poi, non esitò a migliorare lo stato spirituale del mona114

195. Scena di vita monastica dedicata al pranzo comune. La raffigurazione prende pretesto dal miracolo della moltiplicazione dei sacchi di farina che si illustra nello sfondo della scena. Affresco del Sodoma (inizio XVI secolo) nel chiostro del monastero di Sant’Oliveto Maggiore, in Italia.

192. Scena di vita monastica: monaci negli stalli di un coro. Miniatura del XV secolo dal Salterio di Enrico VII. Conservata alla British Library di Londra.

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stero e la vita dei monaci: li riformò, quando lo riteneva opportuno, attraverso continue disposizioni, tanto da divenire il pontefice che più influenzò il nascente diritto monastico. Una delle misure più trascendentali da lui adottata fu quella di chiarire i rapporti tra monastero e vescovi diocesani: l’abate è colui che governa il monastero, non il vescovo della diocesi, benché quest’ultimo conservi la giurisdizione su esso; anche se è il vescovo ad ordinare il nuovo abate, egli tuttavia non interviene nella scelta; il vescovo, di conseguenza, deve vegliare sull’osservanza delle regole, ma non deve amministrare i beni monastici, né impadronirsi dei monasteri, né disporre liberamente dei suoi membri o ridurre i loro privilegi. Si può dire, in un certo senso, che le sue disposizioni costituirono il primo passo verso l’esenzione dei religiosi, problema sempre conflittuale nella vita della Chiesa.

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193. Scena di vita monastica che descrive uno scriptorium, attività fondamentale promossa da Gregorio Magno. La miniatura è opera del famoso scriptorium di Echternach, 1040 circa. Conservata alla Staatsbibliothek di Brema in Germania (Ms B21). 194. Scena di vita monastica dedicata al lavoro agricolo presso le abbazie, secondo le varie stagioni. Miniatura dell’abbazia di Montecassino, lì conservata (Codice CXXXII). 115


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

2. LA REGULA MIXTA

2. LA REGULA MIXTA

Alla sua morte, san Benedetto lasciò una Regola scritta e tre cenobi attivi, Montecassino, Subiaco e Terracina, che convissero, nel corso dei secoli, con una moltitudine di monasteri di ogni tipo, dipendenti da altre tradizioni o regolamentati da altre regole. La Regola benedettina si andò diffondendo lentamente, non tanto perché aumentarono i monasteri benedettini, ma per il fatto che, a poco a poco, i monasteri già esistenti iniziarono ad adottarla come propria. In che modo funzionavano, intanto, i monasteri che erano autonomi e non facevano parte di nessun organismo collettivo? Seguendo la cosiddetta «regola mista» o «regola dell’abate», vale a dire, con le regole di ogni tipo e provenienza che caratterizzarono e diressero la vita dei monasteri, a partire dal V secolo fino al IX secolo. Furono innumerevoli e varie nella loro concezione e applicazione, redatte per regolare una determinata comunità monastica o, in alcuni casi, un gruppo di monasteri. Ci sono giunte circa una trentina di regole. Già Giovanni Cassiano com-

mentava che nel V secolo c’erano tante regole quanti monasteri. In realtà, erano gli abati di ciascun monastero a scegliere, redigere e imporre le regole. Gli abati possedevano, nelle biblioteche dei monasteri, codici che, spesso, erano dei veri e propri compendi di regole monastiche, nei quali si poteva trovare un orientamento per il regime spirituale e temporale da imporre ai cenobi. Sceglievano le norme che sembravano loro più convenienti, a seconda dei casi specifici. Alcune di queste regole contenevano scarsa efficacia legislativa. Molte di esse erano piuttosto brevi e la loro normativa risultava incompleta, rispetto alle esigenze dell’organizzazione comunitaria; a volte, concedono più spazio alle teorie monastiche o alle riflessioni etico-religiose che alle norme concrete di comportamento; spesso, hanno un tono paternalistico e colloquiale, improprio per delle norme disciplinari. Insomma, questa ricca raccolta di regole ha l’aspetto più di una raccolta di proposte ascetiche, di esempi edificanti da imitare che di codici vincolanti.

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198-199. L’organizzazione stessa sul piano topografico di un monastero è la messa in atto della Regola. Qui riprodotta è la famosa pianta dell’abbazia di San Gallo (rappresentazione idealizzata di un monastero carolingio) realizzata nello scriptorium di Reichenau attorno all’825, oggi a San Gallo (Cod. 1092). 1. Chiesa; 2. Scrittorio, sopra: biblioteca; 3. Sacrestia a due piani; 4. Locale per la preparazione delle ostie e dell’olio; 5. Chiostro; 6. Spazio per l’assemblea del capitolo; 7. Locale riscaldato e dormitorio; 8. Sala termale

e servizi igienici; 9. Refettorio, sopra: vestibolo; 10. Cucina; 11. Cantina, sopra: dispensa; 12. Parlatorio; 13. Stanza del responsabile per i poveri; 14. Ostello per i pellegrini; 15. Locale per la preparazione della birra e forno dell’ostello; 16. Stanza del portinaio; 17. Abitazione del direttore della scuola; 18. Alloggi per i confratelli in viaggio; 19. Locale per la preparazione della birra e forno per gli ospiti; 20. Alloggio degli ospiti; 21. Scuola esterna; 22. Abbazia; 23. Edificio per i salassi; 24. Edificio del medico; 25. Orticello delle spezie; 26. Ospedale; 27. Cucina e sala termale

Ovviamente, quest’usanza aveva sia vantaggi, sia seri inconvenienti: risultava, infatti, più facile adattare le regole a una comunità reale, in un momento preciso, ma tutto era relativo alla qualità degli abati, e, sappiamo bene, non tutti gli abati erano eccellenti. Un abate mediocre o pessimo poteva con estrema facilità mandare in rovina la vita spirituale ed economica del suo monastero, caso ripetutosi frequentemente, soprattutto se si considera che, spesso, tali regole non costituivano un obbligo tassativo, bensì, piuttosto, una direttiva che mostrasse il percorso e lo spirito che il buon monaco doveva seguire. Per ovviare a questo inconveniente, san Benedetto definisce il monastero come una comunità che vive «sotto una regola e un abate». Anche l’abate si deve sottomettere alla regola, e ha l’obbligo di osservarla in tutti i suoi punti. L’ideale aureo della vita monastica benedettina tardò molti secoli ad imporsi, anche se il pactum dei monasteri ispanici si basava già su questo principio di obbligo reciproco.

In realtà, gli abati non erano così autonomi come può sembrare a prima vista, dal momento che erano tenuti a sottomettersi ad un insieme di leggi più generali, che segnavano dei limiti apparentemente taglienti: le leggi imperiali, quelle decretate dal papa, i canoni dei vari concili ecumenici, e in particolare quello di Calcedonia del 451, importantissimo per la vita monastica. Il quarto canone di Calcedonia prescriveva che nessuno scegliesse un monastero, senza il permesso del vescovo, che i monaci si assoggettassero al vescovo della diocesi, che si consacrassero ad una vita di digiuno e di preghiera e risiedessero in luoghi prestabiliti, che non intervenissero in argomenti ecclesiastici, che non abbandonassero il monastero, a meno che non lo richiedesse il vescovo. Disgraziatamente, tali norme molto spesso non erano rispettate. A volte, si definì «regola mista» l’insieme composto dalle regole di san Benedetto e di san Colombano. La seconda, di contenuto più dottrinale e penitenziale, offre poche norme pratiche, salvo

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196. La liturgia è una componente indispensabile della vita monastica, di conseguenza i testi liturgici sono uno strumento vivificante. Qui si vede Luithero che dedica il suo antifonario a san Gallo, attorno al 1135 (Cod. Sang. 375). 116

197. Le biografie di santi fondatori o riformatori sono un aiuto fondamentale per «comprendere» le regole sul piano dell’antropologia religiosa cioè per percepirle nelle loro ragioni culturali e spirituali. La miniatura del codice di San Gallo 562, qui riprodotta, è l’inizio della biografia di san Gallo di Walahfrido Strabone.

per l’ospedale e l’edificio dei salassi; 28. Doppia cappella per l’ospedale e il noviziato; 29. Noviziato; 30. Cucina e sala termale del noviziato; 31. Cimitero e frutteto; 32. Orto; 33. Abitazione del giardiniere; 34. Cortile per le oche; 35. Abitazione del guardiano; 36. Cortile per le galline; 37. Granaio; 38. Officine; 39. Cucina e locale per la preparazione della birra dei monaci; 40. Mulino; 41. Mortaio; 42. Essiccatoio; 43. Granaio e officina del bottaio; 44. Stalle dei tori e dei cavalli; 45. Stalla delle pecore; 46. Torri; 47. Stalla delle capre; 48. Stalla delle mucche; 49. Scuderia; 50. Stalla dei maiali; 51. Alloggi della servitù. 117


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

2. LA REGULA MIXTA

200. I testi fondanti della vita monastica venivano continuamente ricopiati. La miniatura qui riprodotta in cui si vede san Benedetto con l’abate Teobaldo si trova in una copia del Moralium libri di san Gregorio, conservata nella Biblioteca dell’abbazia di Montecassino (Ms.73).

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201. L’arte liturgica non riguarda solo i codici o l’arredo degli edifici, qui troviamo la riproduzione di un pastorale vescovile, romanico, del convento di Boscherville, in Normandia, Francia, dove si nota il recupero cristiano anche di simboli animali celtici e precristiani.

per quanto concerne la penitenza, motivo per cui, spesso, è stata definita, a sproposito, codice penale. In tutti gli altri campi, si applicava la regola benedettina, codice monastico di carattere eminentemente pratico. È per questo motivo che alcuni autori affermano che san Benedetto fece il suo ingresso nel mondo monastico occidentale, «a braccetto di san Colombano». A partire dalla metà del VII secolo, alcuni sovrani francesi imposero la «regola mista» ad alcuni dei più importanti monasteri del regno, come Saint-Denis, Saint-Martin di Tours e Saint-Germain di Auxerre. Nell’VIII secolo, Ludovico il Pio e Carlomagno imposero la regola benedettina in tutti i monasteri dell’Impero e i cluniacensi la fecero conoscere e la imposero nella penisola iberica. Gli autori delle varie regole giudicano come fautori di disordine e anarchia quegli asceti che rifiutano di sottomettersi ad una comunità stabile, che vivono in modo indipendente, soli o in piccolissimi gruppi, o che vagano da un luogo a un altro. San Girolamo, in una lettera del 384, lamenta la diffusione di tale fenomeno; Cassiano condanna severamente gli asceti e san Benedetto li rifiuta con durezza. Tali lamentele indicano che la vita monastica tardò molto ad essere vissuta secondo una regola e che i monaci erranti furono considerati una minaccia, fino nel Medioevo inoltrato. Secondo san Girolamo e san Cassiano, essere monaci significava vivere in un convento, sotto la direzione di un superiore. Per san Benedetto e altri autori del suo tempo, l’obbedienza doveva essere doppia, sia rivolta alla regola, sia all’abate: genus coenobitorum […] militans sub regula vel sub abbate. Si tratta di una formula nuova, che fa della regola una realtà distinta dall’autorità dell’abate e la pone in primo piano, anche se non si deve dimenticare che il concetto antico di regola è differente dal nostro e che non si allontana dal carattere di imperioso strumento di legge. Secondo i suddetti autori, fonte di tutti i comportamenti è la Bibbia e le regole non erano testi esclusivi, ma complementi dell’unica grande regola, la Scrittura. In tal modo, si spiega che fosse normale leggere e confrontare regole diverse e mescolarle tra loro. In quest’epoca, in Francia si fondarono anche monasteri duplici, che ospitavano comunità di uomini e donne nello stesso recinto. Il monastero duplice non era, naturalmente, una società mista, ma consisteva in due comunità separate e distinte, che vivevano l’una accanto all’altra, che utilizzavano una chiesa comune per le funzioni liturgiche e che avevano un unico superiore.

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VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

3. I MONACI EVANGELIZZATORI

3. I MONACI EVANGELIZZATORI

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L.di Costanza (18) Bregenz San Gallo (17) Basilea (19) Coira

(7) Nevers n (6) Autun S. Maurizio d’Agaune

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AQUITANIA

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(20) Milano

Lione

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BORGOGNA

M A R

E R I T M E D

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Lérins Marsiglia

202. Ridisegno al computer di un’iniziale dell’Evangelario di Bobbio in cui la matrice irlandese è evidente.

MARE ADRIATICO

O

202

(21) Bobbio Genova

Rodano

La vocazione al monacato esige stabilità, silenzio e clausura. Senza dubbio, però, nella storia dell’evangelizzazione, il ruolo dei monaci ha trasceso questi tre principi. Quando san Gregorio Magno decide di intraprendere l’evangelizzazione degli anglosassoni, pensa ai monaci come strumento migliore. Perciò, invia sant’Agostino e i suoi quaranta compagni, provenienti dal suo monastero romano di Sant’Andrea, nel regno del Kent, e inizia così una delle pagine più splendenti della storia dell’evangelizzazione. Benché questi monaci non fossero inizialmente convinti della convenienza di un simile viaggio, la lucidità e la decisione del papa riuscirono non solo a far loro cambiare atteggiamento, ma anche a renderli efficaci evangelizzatori. Le omelie di san Gregorio su Ezechiele mostrano la sua convinzione del fatto che la vita contemplativa dei monaci si perfeziona attraverso l’azione. Già nel 597 ebbe luogo la prima conversione di massa. Sant’Agostino, nominato primo arcivescovo di Canterbury, non tardò a fondare un monastero nella sua sede, il primo cenobio benedettino fuori d’Italia. Il Venerabile Beda descrive con semplicità la vita apostolica di questi monaci, apostoli d’Inghilterra: «Per svolgere la mansione loro affidata, iniziarono ad imitare la vita apostolica della Chiesa primitiva, dedicandosi alla preghiera assidua, alle veglie e ai digiuni, predicando la parola di vita a coloro che incontravano, disprezzando come aliene le cose di questo mondo». Intorno al 610, viene fondata, a Londra, quella che più tardi diventerà la famosa abbazia di Westminster. Iniziarono a moltiplicarsi i conventi, vere e proprie fonti di apostolato ed evangelizzazione. Bisogna ricordare, in particolar modo, l’isola sacra di Lindisfarne, monastero da cui provenivano alcuni dei più importanti manoscritti irlandesi, come il famoso Evangeliario della fine del VII secolo. Anche qui, furono i monasteri l’asse portante del processo di evangelizzazione. È così che inizia la lunga tradizione missionaria e culturale, in seno al monachesimo sassone. I monaci stabilirono la pratica della peregrinazione o dell’esilio in nome di Dio, cioè dell’abbandono del proprio monastero per interminabili viaggi, pieni di pene e sofferenze, verso terre di pagani, cui annunciare la buona novella. La predicazione costituisce una vocazione, così come lo era stata la ricerca della solitudine. Era un metodo di ascesi estrema, difficile e piena di sacrifici, date le privazioni e i pericoli di ogni sorta che inevitabilmente dovevano affrontare nei paesi in cui decidevano di stabilirsi. I monasteri femminili, le cui badesse occupavano spesso un’alta posizione sociale e spirituale, ebbero anch’essi grande importanza nella cristianizzazione dell’Inghilterra e di altri popoli del continente. San Colombano rappresenta in modo significativo i monaci missionari irlandesi. A 41 anni si sentì chiamato a predicare il Vangelo nel continente. Fondò in Borgogna il monastero di Luxeuil, sulle rovine di una fortezza romana, comunità che, a sua volta, generò molti altri monasteri e si trasformò in scuola di missionari gallo-franchi, che esercitarono un influsso innovatore sulla

A

O RD L N E D

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N

203. Itinerario di san Colombano. Dal famoso monastero di Bangor in Irlanda dopo una lunga presenza in Francia con la fondazione di monasteri e un viaggio di missione per aprire, anche tramite discepoli, monasteri in Germania ed in Svizzera, san Colombano giunge nel nord Italia in periodo longobardo e conclude la sua missione a Bobbio a sud di Milano. 204. Immagine di san Colombano all’interno di una lettera capitale di un manoscritto del XIII secolo, Vite e passioni dei Santi, conservato nella Biblioteca Municipale di Douai, in Francia (Ms. 838). 204

Chiesa franca e che, insieme ai missionari irlandesi, portarono il cristianesimo fra i germani, ancora pagani, caduti sotto il dominio dei franchi. Anni dopo, in Italia, Colombano fondò il monastero di Bobbio, dove morì nel 615. Lo spirito del monachesimo di Colombano è austero, esigente e individualista; egli intendeva la vita monastica come un combattimento nel quale il monaco si adoperava per raggiungere la totale rinuncia di sé e la sottomissione assoluta al superiore. Lo seguirono alcuni monaci irlandesi, come Gallo,

fondatore del monastero di San Gallo, e san Kiliano, che evangelizzò l’attuale Franconia (Würzburg). Gli attuali Paesi Bassi, la Germania, parte della Polonia, la Boemia, la Danimarca e la Svezia furono evangelizzati in gran parte dai monaci anglosassoni, di tradizione benedettina. Willibrord, con undici compagni, Bonifacio (Winfrid), uno dei grandi missionari della storia, Pirmino, Anscario e molti altri monaci sassoni, franchi e visigoti, portarono in questi paesi la fede, la cultura e la regola di san Benedetto. Tennero conto della struttura dei popoli germanici e

tentarono di ottenere conversioni collettive, conquistandosi i capi e i sovrani, spesso attraverso il matrimonio con principesse cristiane. Willibrord è considerato l’apostolo dei Paesi Bassi, e san Bonifacio, con la sua attività prodigiosa e instancabile, è l’apostolo della Germania, il riformatore della Baviera e della Gallia e l’arcivescovo di Magonza. Questi monaci predicavano, battezzavano e fondavano monasteri, che si trasformavano in punti d’appoggio imprescindibili per il processo di evangelizzazione. Stabilivano i rudimenti dell’orga121


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

3. I MONACI EVANGELIZZATORI

207

205

CLOGHER ARMAGH ARDAGH

TRIM

KILDARE

206

BANGOR GLENDALOUGH

SLETTY EMLY

S.ASAPH

FERNS LICHFIELD

LEICESTER ELMHAM

S.DAVIDS

HEREFORD

WORCESTER DUNWICH DORCHESTER

UTRECHT

BARKING ROCHESTER CANTERBURY

WINCHESTER SHERBORNE SELSEY

206. La tradizione vuole che questo Codex Ragyndrudis, conservato nel tesoro della cattedrale di Fulda, fosse il libro tenuto da san Bonifacio al momento del suo martirio, i tagli nelle pagine sarebbero stati provocati dai colpi di spada.

Roermond Gand,St-Pierre St. Truiden BODMIN St-Omer COLONIA Nivelles Andenne Montreuil-sur-Mer Aubigny St-Amand St-Riquier Fosses StavelotSt-Valery Péronne Arras,St-Vaast St-Saëns Malmedy St-Quentin Corbie Fécamp TREVIRI Barisis-au-Bois Noyon Logium Montivillers Laon, Ste-Salaberga Soissons Jumièges Meaux Coutance Beaulieu Chelles Reuil Jouarre Rebaist Parigi St-Maur-des-Fossés Faremoutier Breuil Orbais Bonmoutier Lagny Troyes Montierender Sens, Moutiers-en-Puisaye St-Pierre Remiremont Fleury-sur-Loire Auxerre Fontaine Indre Luxeuil Bourges Jouet, St-Aubois Lure Cusance Noirmoutier Bèze Navence Besançon Nevers St-Cyran Flavigny St-AmandNouaillé Charenton Baulmes monasteri fondati dal 590 al 640 de-Montron St-Benoit-de-Quinçai Mazerolles dal 641 al 660 dal 661 al 680 Solignac Royat Chamalières dal 681 al 730 Manglieu sedi diocesane anglosassoni e celtiche Brageac diocesi fondate o riorganizzate da Bonifacio Cahors, St-Amant Moissac

St. Ursitz S. Gallo Grandfelden Disentis

Bobbio

Douzère Grasellus

205. Scene della vita di san Bonifacio. Un battesimo e la morte del Santo, avvenuta nel 754, per unica protezione Bonifacio fa uso del suo Vangelo. Miniatura di un libro della messa di Fulda in Germania dell’inizio dell’XI secolo.

nizzazione ecclesiastica, erigevano cattedrali. Nell’anno 800 circa, tutta l’Europa occidentale si trovò arricchita di grandi abbazie: Corbie (657), Echternach (708), Fulda (744), esente, sin dalla fondazione, dall’autorità di qualsiasi vescovo della diocesi, San Gallo (750), Corvey (822). Rodolfo di Fulda riassume, nella vita di santa Lioba, questa politica: «Vedendo il santissimo uomo Bonifacio che la Chiesa di Dio andava crescendo […], introducendo una duplice strada per favorire la crescita della religione, iniziò ad erigere monasteri, per trascinare i popoli alla fede cattolica, non tanto attraverso l’opera dei chierici, quanto attraverso le comunità di monaci e di vergi122

207. Fondazioni monastiche frutto della così detta «missione irlandese». Nell’immagine: l’abbazia di Echternach, oggi in Lussemburgo. Fu fondata dal monaco irlandese Willibrord nel 708 ed in essa è sepolto. L’attuale assetto architettonico risale all’epoca romanica.

ni […]. Mandò a Montecassino il suo discepolo Esturno, uomo nobile di stirpe e di costumi, affinché apprendesse la disciplina regolare e la vita monastica, presso il monastero fondato dal beato padre Benedetto». Fu un’opera di cristianizzazione e anche di civilizzazione. Fulda e la maggior parte dei monasteri si trasformarono in focolai di vita religioso-ecclesiastica e in centri di irradiazione culturale. Le biblioteche, il lavoro di copiatura dei manoscritti, capace di riscattare e conservare buona parte della cultura greco-romana, gli scritti dei monaci, le cronache dell’epoca, sono il frutto di un insostituibile fervore culturale. 123


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

4. LA RIFORMA CAROLINGIA

4. LA RIFORMA CAROLINGIA SAN BENEDETTO DI ANIANE

Con Pipino, e ancor di più con Carlomagno, il cristianesimo e la Chiesa caratterizzarono ogni tipo di manifestazione sociale dell’Impero. Ne conseguì, innanzitutto, un’importante rinascita culturale e letteraria: le scuole episcopali e gli scriptoria dei monasteri, in cui venivano copiati i testi degli autori classici, favorirono la formazione intellettuale e culturale di una parte della società e, oltre a salvaguardare gran parte della cultura antica, gettarono le basi del Rinascimento del XIII secolo e l’Umanesimo del XIV-XV secolo. Al tempo stesso, tutto ciò contribuì a riformare i costumi morali dei governanti e del popolo, gli usi liturgici del clero, che si trovavano in reale decadenza. I monaci divennero una classe colta, che educava il popolo. Quasi inavvertitamente, i sovrani ricercavano l’uniformità all’interno del proprio regno, convinti che ciò avrebbe favorito l’unità, e, di conseguenza, il loro potere e la tranquillità del regno. Carlomagno, pur non essendo un grande fondatore di monasteri, chiese all’abate di Montecassino una copia della Regola di san Benedetto, la inviò a tutti gli abati dell’Impero e pretese che tutti i monaci la seguissero.

È così che la regola benedettina cominciò ad imporsi in tutti i monasteri. Senza dubbio, non si trattò tanto di un’imposizione dall’esterno, quanto della convinzione del fatto che questa regola fosse più equilibrata di quella di san Colombano, e più adatta di quelle vigenti in altri cenobi. In realtà, anche Bonifacio e i suoi monaci sassoni, che imposero la regola benedettina, portata secoli prima nelle isole britanniche, pensarono lo stesso. Verso la fine dell’VIII secolo, i monaci si consideravano figli di san Benedetto, e lo venerarono come unico patrono e patriarca, senza sospettare che, legata a questa universale accettazione, vi fosse una componente leggendaria. Benedetto di Aniane, di famiglia visigota, conoscitore della tradizione monastica orientale, decise di vivere in solitudine, conducendo una vita molto rigorosa; però, dice il suo biografo Ardone, «la grazia di Dio gli inspirò un altro disegno: per essere un esempio salvifico per i suoi fratelli, s’infiammò d’amore per la Regola di san Benedetto e, mettendo da parte le lotte solitarie, quest’atleta avanzò nel campo di battaglia per combattere, da quel momento in poi, insieme a tutti gli altri». Fondatore di un’austera

210

209

208. Ricostruzione ipotetica del famoso complesso carolingio di Aquisgrana, si nota nella parte alta la struttura ottagonale della cappella Palatina, consacrata nell’ 805, che si rifaceva ai modelli paleocristiani a pianta centrale che, a loro volta, riprendevano i mausolei romani. Il richiamo al mondo classico è una caratteristica di questo periodo e la stessa arte monastica ne sarà portatrice in architettura e, anzitutto, nelle arti figurative, che avranno nella miniatura una delle massime espressioni. 124

208

209. Capolavoro degli scriptoria carolingi questa miniatura di Davide che suona, attorniato da musici e dalle sue guardie, fa da frontespizio al libro dei Salmi, della Bibbia di Vivien (Tours 845-846). Il ritorno alla classicità è evidente. Viene conservata nella Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi (Ms. Lat. 1).

210. Questa Fontana della vita dove si coniugano simboli cristiani a elementi classici e pagani fa parte dell’Evangelario di Godescalco, scuola della corte di Carlomagno (782-783) oggi alla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi (Ms.nouv.acq.lat. 1203).

comunità ad est di Marsiglia, verso cui confluirono numerosi discepoli, egli fu un efficace strumento per la realizzazione dell’uniformità monastica. Non era contrario al lavoro intellettuale dei monaci, ma pensava che esso dovesse venire dopo la funzione religiosa e spirituale. Era convinto che la diversità dell’osservanza e l’autarchia dei monasteri costituisse una delle cause del rilassamento monastico. Creò importanti monasteri, in cui impose una forma di vita esigente e armoniosa, nel desiderio di far rivivere in tutta la sua purezza la regola di san Benedetto. Piano piano, vescovi e principi gli chiesero monaci capaci di riformare altri monasteri. Carlomagno e, soprattutto, Ludovico il Pio sostennero il suo impegno e gli affida-

rono la direzione di tutti i monasteri dell’Impero, rendendolo, per così dire, abate generale di essi. Ludovico il Pio lo chiamò alla corte di Aquisgrana e lo nominò abate del nuovo monastero di Inden (Kornelimünster, 815), fondato presso la capitale, perché esso diventasse un modello da emulare. Ludovico desiderava che questo monastero fosse in grado di formare una fucina di abati e di creare un corpo di ispettori, capaci di riformare i monasteri esistenti. Difatti, il sinodo monastico di Aquisgrana dell’817 stabilì un «Capitolare monastico», raccolta di norme, spesso troppo minuziose e non sempre conformi allo spirito di san Benedetto, espresse in 75 capitoli, che prescrivevano i doveri dei monaci. In particolare, 125


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

4. LA RIFORMA CAROLINGIA

York REGNI ANGLOSASSONI

Winchester

S

ASSONI

Aquisgrana Chevremont Soissons, Schlüchtern Hersfeld Fulda St-Médard Reims,Prüm Echternach St-Denis St-Remi Holzkirchen Lorsch St-Pierre St-Maur-des-Fossés Kitzingen Mettlach St-Germain MARCA BRETONE Ansbach Solnhofen Neustadt Gorze St-Etienne St-Mihiel Ratisbona, St. Emmeram St-Calais Ellwangen Salonne Berg Tours, St-Martin Ebersmünster Feuchtwangen Angers, Niederaltaich St-Aubin Herrieden Murbach Buchau Flavigny Cormery Gunzenhaufen Charroux Pfäfers Kempten Chiemsee Chalon-sur-Saône, St-Marcel

Coira Disentis

Oviedo REGNO

DELLE ASTURIE E DI LEÓN

Milano, S. Ambrogio Gellone Caunes Aniane Montoli Lagresse Marsiglia, MARCA St-Victor ISPANICA

Bobbio

R Müstair Brescia, S. Salvatore

Sesto

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Firenze

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EMIRATO OMAYYADE DI CORDOVA

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Costantinopoli

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Cordova

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M P E R O

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N O I Z A N T I

M E D I T E R R A N E O

213

212

211

212. Inizio della lista dei monaci di San Gallo sotto l’abate Grimaldo (841-872) del Codex Fabariensis («Liber Viventium») conservato nella Biblioteca della stessa abbazia.

211. Cartina dell’impero di Carlomagno con indicati i monasteri che ricevettero le donazioni imperiali.

213. Miniatura dell’Evangelario di Liuthar, conservato nel Domschatz di Aquisgrana. Liuthar offre il codice all’imperatore Ottone III. 214. Dall’abbazia di Fulda viene questa miniatura del X secolo dedicata alla «Vita di San Chiliano», patrono di Würzburg in Germania. La «Vita» è conservata nella Niedersachsische Landesbibliothek di Hannover (Ms. 189).

si cercò di garantire la sussistenza economica dei monasteri, contro la voracità senza scrupoli degli abati che tenevano in custodia i monasteri, causa endemica del decadimento della disciplina dei chiostri, e la celebrazione dell’Ufficio divino, secondo i principi della regola benedettina. A tutti gli abati dell’Impero, riuniti nel sinodo, Benedetto di Aniane «spiegò approfonditamente la Regola; divenne chiaro a tutti ciò che prima era oscuro; risolse i passaggi difficili; espunse gli errori antichi; difese i costumi e le aggiunte utili. Fece approvare la raccolta all’unanimità e redasse un capitolario che fece firmare all’Imperatore, affinché egli ordinasse che fosse seguito in tutti i monasteri del Regno», scrive Ardone. Un anno dopo, un altro sinodo approvò i diritti e i privilegi monastici. Furono approvate, inoltre, alcune disposizioni riguardan126

ti le monache, al fine di introdurre maggiore austerità e rigore nel loro modo di vita. Una regola ispirata al modello benedettino fu stilata anche per i canonici delle chiese cattedrali e parrocchiali, e per le monache o le canoniche che cominciarono ad esistere agli inizi dell’VIII secolo. A Benedetto di Aniane si deve anche una forte centralizzazione organizzativa e una rigida uniformità disciplinare e liturgica che, in un certo senso, minacciava l’autonomia delle abbazie. In realtà, san Benedetto di Aniane ritoccò la Regola dei monaci benedettini in alcuni punti: pose la liturgia in maggiore considerazione, rafforzò l’autorità dell’abate, adattò l’alimentazione e l’abbigliamento dei monaci alle condizioni climatiche del regno franco-germanico, così diverse da quelle dell’Italia meridionale. Tutte

214

le innovazioni furono accettate e il rinnovamento monastico si estese rapidamente. Come accade spesso, la potenza e la ricchezza dei monasteri attirò la voracità dei signori feudali, che li gravarono con forti imposte e cercarono di impossessarsi delle loro entrate. Si impose, poi, il «protettorato», per cui i monasteri venivano sottomessi a signori laici o ad abati nominati da questi, tutti privi di vocazione e di capacità di comprendere il significato profondo della vocazione monastica. Le conseguenze furono nefande per la disciplina e la vita religiosa di molti monasteri, che vissero tempi di decadenza e impotenza, benché alcuni importanti monasteri continuassero a svolgere un ruolo importante, come Fulda in Franconia, Corvey in Sassonia, San Gallo in Svevia e Reichenau sul lago di Costanza. 127


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

5. CLUNY

5. CLUNY 216

215a. Ricostruzione secondo J. K. Conant della sezione longitudinale della chiesa del monastero di Cluny (II fase.) 215b. Ricostruzione a «volo di uccello» del complesso abbaziale di Cluny con la chiesa consacrata nel 1130 (III fase.) 215c. Ricostruzione secondo J. K. Conant della planimetria del monastero di Cluny nel 1043.

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Paderborn

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Le 5 “figlie” principali Centri guida della riforma

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Parigi(St-Martin)

St-Denis

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Cappella della Vergine

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Aurillac Sauxillanges Figeac

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Abbazia “madre” di Cluny

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215a

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Chiostro dei novizi

216. Le congregazioni di Cluny, X-XI secolo.

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Cantina

Uomini

Cortile Porta sud Stalla

215c

Negli stessi monasteri, nacque anche la riforma della vita dei religiosi, ogni giorno più necessaria. In alcuni di essi, sorse il bisogno di tornare alle origini della vocazione monastica. Tra questi tentativi e obbiettivi, il più noto sarà quello di Cluny, che avrà un influsso più duraturo e una protezione più universale. Nel cosiddetto secolo buio, questi monasteri riformati arrivarono al punto di esercitare una vera e propria autorità morale sulla cristianità. Guglielmo di Aquitania decise, nel 910, di edificare un’abbazia a Cluny, «per la salvezza della propria anima», e la vincolò al «patrimonio di San Pietro», vale a dire al papato. I papi gli con128

217. Il papa Urbano consacra nel 1095 l’altare maggiore della chiesa di Cluny. Miniatura dal «Chronicon cluniacense» di Saint-Martin-desChamps del XII secolo. Oggi alla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi (Ms. Lat.17716).

Stalla

Entrata

cessero l’esenzione spirituale, che estesero anche all’insieme dei monasteri, integratisi nel nuovo ordine. Appartenendo a San Pietro, si mantennero indipendenti dall’ingerenza dei vescovi e dei signori feudali, e quest’autonomia, che spezzava i vincoli del precedente sistema feudale, costituì il punto di partenza della sua grandezza. Cluny si trasformò in una vera Civitas Dei. I privilegi concessi dai papi provocarono conflitti con i vescovi, ma, lentamente, tutti i monasteri e anche intere congregazioni religiose ottennero da Roma il diritto di esenzione. I numerosi monasteri che desiderarono seguire i costumi di 217

129


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

5. CLUNY

218

220

218. L’importanza presa dall’Ufficio dei defunti, nel monachesimo benedettino, è palesata da questa miniatura del Libro delle Ore del re Renato, Digione 1437. Oggi alla British Library di Londra (Ms. Egerton 1070).

219. Esempio del più puro stile costruttivo cluniacense è questo interno della chiesa del complesso monastico di Tournus in Borgogna, Francia. Data la mancanza di sufficienti resti a Cluny, Tournus ci dà un esempio di come la Cluny del Mille partecipa a quella rivoluzione artistico-culturale che darà poi vita al romanico europeo.

Cluny (Consuetudines 1068) dovettero sottomettersi totalmente all’abbazia centrale e al suo abate, che, in realtà, era l’unico abate di tutte le residenze e al quale tutte dovevano obbedire. L’abate e la comunità di Cluny stabilivano i regolamenti riguardanti tutti, e non esisteva un’assemblea generale legislativa, anche se l’autonomia dei monasteri veniva mantenuta nella vita quotidiana e nell’organizzazione specifica. La comunità di Cluny passò da 50 a 700 monaci e l’ordine arrivò a contare più di 1200 residenze in tutti i paesi dell’Europa occidentale. I novizi prendevano i voti a Cluny e vi risiedevano per i primi tre anni della loro vita religiosa. L’influsso della casa madre s’imponeva attraverso la trasmissione personale, piuttosto che attraverso l’imposizione di regole, che, per altro, non mancava. Per svolgere il ruolo di guida e insegnamento, Cluny fece assegnamento su abati longevi e di grande personalità: Berno (910-927), Maiolo (948-994), Odilone (9941048), Ugo (1049-1109), e Pietro il Venerabile (1122-1157), contemporaneo di san Bernardo. La Chiesa di Cluny fu, nel corso dei secoli, la più importante Chiesa della cristianità e, nell’XI secolo, l’abbazia fu, nel suo complesso, il centro spirituale della cristianità occidentale. L’abate Odilone istituì e regolamentò minuziosamente la festa dei morti: iniziava alla sera del 1° novembre, festa di Ognissanti, con il canto dei salmi, il rintocco delle campane e l’accensione di dieci candele

davanti all’altare. Anche i funerali furono dettagliatamente regolamentati. I morti erano considerati beati, per essersi affidati alle preghiere dei monaci: tale era la sicurezza dell’efficacia dell’intercessione. «Affido la mia anima nelle vostre mani, perché sia nutrita alla tavola della vostra preghiera», scrisse loro il cardinale Pier Damiani. Il culto dei defunti è presente in tutte le religioni, ma poche istituzioni riuscirono a offrire sicurezza e speranza, come Cluny. L’azione speciale che ha caratterizzato Cluny è stata la sua vita liturgica. La funzione di intercessione e preghiera a favore del popolo cristiano, e soprattutto dei defunti, propria della liturgia cristiana, fu coltivata e sviluppata nel suo carattere più splendente e nello stile più superbo, anche se, a volte, eccessivamente ieratico e formale. I monaci dedicavano più di otto ore al giorno alla chiesa e ai capitoli, mentre il lavoro manuale praticamente non esisteva e il compito di copiatura dei manoscritti fu abbandonato. In una cronaca si legge: «In quel monastero […] si celebrava continuamente la messa, dall’alba fino all’ora di cena, dato il gran numero di monaci; era una cerimonia di una dignità, una purezza e una riverenza così grandi, che costituiva uno spettacolo più angelico che umano». Senza dubbio, non era previsto molto tempo per la preghiera individuale, dato che i monaci si muovevano coralmente, in modo compatto, con ruoli e obiettivi

130

219

9

220. Tutto ciò che ci resta dell’ultima fase del grande complesso monastico di Cluny è la cosiddetta Torre dell’orologio: una torre con lanterna del transetto destro.

definiti, con un’intensa liturgia della parola collettiva, salmodiale e processionale. Fu importante, inoltre, l’influsso che questo monastero esercitò sul movimento della pace di Dio (Tregua Dei): la nobiltà, sempre immersa in conflitti e in sanguinosi scontri personali, accettò spesso di fare appello all’autorità pacificatrice dei monaci. Svolse, poi, un ruolo decisivo anche nel rinnovamento monastico di molti paesi europei. Nei regni ispanici, i nuovi monasteri dipendenti da Cluny furono intimamente legati alla storia della Riconquista. Ci furono monaci in buone relazioni con la società feudale e la loro connessione con Roma (vari papi erano stati monaci cluniacensi) si tradusse nella frequente prassi di eleggere monaci per le più importanti sedi episcopali. La riforma cluniacense, quindi, produsse buoni frutti anche nella riforma ecclesiastica nel suo insieme. Questo sistema monastico era di tipo aristocratico ed escludeva il popolo e, più in generale, tutti i movimenti di rinnovamento che sorgevano spontaneamente tra la povera gente e i giovani delle città. In effetti, molti cominciarono a criticare le scandalose ricchezze di Cluny, le sue frequenti intromissioni in argomenti temporali, e, soprattutto, la sua insistenza su due aspetti che non corrispondevano ai principi del monachesimo originario, ossia l’eccessivo tempo dedicato alla liturgia e il numero eccessivo di monaci-

sacerdoti. San Pier Damiani, lo straordinario filosofo e rinnovatore della vita religiosa, scrisse dure parole contro questo stile monastico. Secondo lui, la vita del monaco non aveva bisogno di chiese monumentali, né di cori organizzati, né di canti prolungati, né di rintocchi di campane, né di ornamenti preziosi. L’«Ordo Cluniacensis», sebbene durante il XII secolo continuasse ad estendere le sue fondazioni e la sua influenza, iniziò ad accusare una forte crisi di paralisi che minacciò tutta la sua struttura organizzativa, troppo complesssa per essere diretta solo dall’abate di Cluny. La sua stessa efficacia religiosa si ridusse man mano che la sua esigenza di disciplina si allentava.

Alla pagina seguente: 221. Carta delle congregazioni benedettine attuali con il numero dei monasteri. Per la diffusione in Africa, America Latina e Asia, vedere rispettivamente le pagine 248, 258 e 260. 222. Vertice del decoro architettonico romanico e capolavoro di scultura è il portale ovest della chiesa di Santa Maddalena a Vézelay in Borgogna. Vi scopriamo il timpano che per alcuni descrive la missione degli apostoli (prima dell’Ascensione), mentre per altri si tratta di una rappresentazione della Pentecoste. 131


VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

FINLANDIA

NORVEGIA SVEZIA

ESTONIA

Scozia 2

LETTONIA IRLANDA 1

DANIMARCA

GRAN BRETAGNA

LITUANIA

Inghilterra 15 4 PAESI BASSI BELGIO 10

POLONIA 3

GERMANIA 36

LUSSEMBURGO

1 ORU

SSIA

REP. CECA 3 FRANCIA 24

AUSTRIA 18

SVIZZERA 8

UNGHERIA 4

SLOVENIA

ROMANIA

CROAZIA

1

ITALIA

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SPAGNA 12

66

BULGARIA

I AV

SL

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BOSNIAERZEGOVINA

JU

PORTOGALLO 4

BIEL

SLOVACCHIA

1

ALBANIA

MACEDONIA

GRECIA

221 AUSTRIA Austriaca Ottiliensis Beuronensis Hungarica BELGIO Sublacensis extra Congregationes Annuntiationis CROAZIA Slava FRANCIA Sublacensis Solesmensis Annuntiationis Olivetana extra Congregationes

132

15 1 1 1 4 1 5 1 9 10 1 3 1

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REPUBBLICA CECA Slava SCOZIA Angliae Sublacensis SLOVACCHIA Hungarica SPAGNA Sublancensis Solesmensis SVIZZERA Helvetica extra Congregationes Ottiliensis UNGHERIA Hungarica

3 1 1

222

1 8 4 5 2 1 4

Alla doppia pagina seguente: 223-224. Tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI fu dipinto in Sant’Angelo in Formis, abbazia filiale della famosa Montecassino, in centro Italia, questo importante affresco che costituisce la prima abside affrescata in Occidente dopo quella paleocristiana di Santa Maria Antiqua in Roma. L’arte benedettina dà così l’avvio a un modello che sarà ripreso da tutto il romanico, l’arte europea per antonomasia: Cristo in trono con gli evangelisti ed il tetramorfo dell’Apocalisse. Nel dettaglio ingrandito, sulla pagina sinistra, si vede l’abate Desiderio di Montecassino (1050-1087) che offre a Dio la nuova chiesa del monastero. 133



VI. LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE

6. IL RITORNO AL DESERTO Ren

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IL MONACHESIMO CONTESTATORE

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6. IL RITORNO AL DESERTO

Bologna Opleto Corvaria

Moscheta Fiumana S. Paterniano Montepiano Marradi Urano Razzuolo Fonte Taona p Luco Crespino Planitto Insula S. Decentius Lacu Heremus Vaiano Poppiena Faioli Pistoia Trivio Pretoveteri ro Pacciana Prataglia Mons Herculis Metau Tosina Cantignano PozzeveriGrignano Firenze Camaldoli Arno Pisa Fucecchio Vallombrosa Strumi Deciano Cappiano M.te Scalari Nerana Tega S. Michele S. Sepolcro Cerasolo Cintoria Passignano Rainaldi Soffena Osella Carisio Cerreto Arezzo Anghiari Montemurro Cavriglia S. Viriano Morrona Adelmo Coltibuono S. Elena Mucchio Rota AnagnanoS. Michael Città di Castello S. Giusto Pirella Chio Siena S. Andrea Cuneo Accole na Berardenga Fleri Te Ceci Alfiano Curtis Luponis Torri Landumo ia S. Quirico rn delle Rose L. TrasimenoSubasio Co Al

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San Romualdo (950-1027) rappresenta meglio di chiunque altro le suddette aspirazioni. Dopo la permanenza di tre anni a Sant’Apollinare in Classe (Ravenna), visse da eremita nei pressi di Venezia, poi, nei Pirenei, a Cuixà, dove perfezionò i tratti caratteristici della sua intuizione: costituire un gruppo di eremiti, ruotanti attorno ad un monastero, sotto una regola fissa e un’autorità riconosciuta. Infine, tornò in Italia e cominciò a fondare romitori, con grande successo. Nel 1012 fondò il più noto, quello 136

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San Romualdo

È in questo periodo che nascono dovunque gruppi di anacoreti, monasteri di monache, ispirate dal medesimo spirito, e che molti monasteri preesistenti si uniscono al movimento riformatore, accettandone lo stile di vita. Tra i monaci greci dell’Italia meridionale, fuggiti a causa delle invasioni saracene, godette di grande rinomanza la vita di san Nilo il Giovane (910-1004), fondatore della celebre Badia di Grottaferrata. La Toscana fu una delle regioni più ricche di iniziative ed esperienze di fervore spirituale e di sapiente organizzazione. Uno dei riformatori più noti fu san Giovanni Gualberto (9901073), che fondò una colonia di eremiti che vivevano in capanne a Vallombrosa (1038), vicino Firenze, in silenzio perpetuo, in clausura assoluta e senza svolgere alcun lavoro manuale. Presto si evolvettero verso uno stile cenobitico, sotto la regola benedettina, anche se in un modo più simile a quello camaldolese; i monaci vallombrosani potevano, inoltre, ritirarsi sulla montagna quando avevano bisogno di momenti di maggiore solitudine e raccoglimento. Per non far distrarre i monaci e per venire incontro ai loro bisogni materiali, egli creò un gruppo separato di frati laici o conversi.

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Questi monaci pretesero di recuperare la semplicità della vita monastica e di ottenere maggiore libertà spirituale, maggiore austerità e povertà, maggiore indipendenza dalla società feudale, e maggiore solitudine. I nuovi monaci suscitarono stupore e speranza nei contemporanei, convinti che essi potessero rinnovare la cristianità.

Nella Vita Romualdi di san Pier Damiani troviamo la concezione che il santo aveva della vita eremitica: una povertà assoluta, la comunicazione con i fratelli, l’obbedienza al superiore, la preminente tendenza all’anacoretismo, il rifiuto dello stile di vita dei monasteri del tempo, l’accettazione selettiva della Regola benedettina e l’adozione di san Giovanni Battista, come modello per il monaco autentico. In realtà, san Romualdo fondò e riformò molti monasteri ed eremi, ma non produsse legislazioni, né offrì un’elaborata e regolamentata organizzazione. Nell’XI secolo, i laici si intromettevano spudoratamente nella vita della Chiesa, approfittando dello sgretolamento dell’organizzazione carolingia e del declino del papato. Pier Damiani, priore di Fonte Avellana, discepolo e biografo di san Romualdo, nel Libro di Gomorra offre un quadro impressionante dei vizi del clero, che suscitarono una reazione popolare che sboccò nella riforma del papato e della Chiesa. Pier Damiani, convinto che la vita eremitica fosse l’unica vita autentica per il cristiano zelante, si trasformò in grande propagandista dei nuovi movimenti.

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Secondo san Bernardo, tre pensieri carnali tormentavano il monaco: mangiare, bere e vestirsi. Indicavano l’emergere dei bisogni mondani, la tentazione del Maligno, la «regione dell’ombra e della morte». Sin dal momento in cui il monaco sceglie di fuggire dal mondo, deve rinnegare ogni pensiero che lo tiene attaccato ad esso. Tutto il movimento contestatario di riforma lottò contro il demonio, il mondo e la carne, in ogni sua manifestazione. Probabilmente, si trattò anche del rifiuto di misure giuridiche che sembravano soffocare ogni manifestazione di spontaneità e pluralismo nella vita religiosa. Ci fu la rinascita dell’eremitismo, sempre latente nella vita del cristianesimo, e di una maggiore personalizzazione della vita religiosa, troppo diluita dalla meticolosa regolamentazione esistente. Si sentì il bisogno di un radicale ritorno alle origini, di un nuovo concetto di povertà, non solo individuale, ma collettiva, del ristabilimento del lavoro manuale, di una maggiore solidarietà con i poveri, peraltro così numerosi a quel tempo. A volte, influì anche l’arrivo massiccio degli esiliati dall’Impero di Costantinopoli, invaso dai turchi, che portarono con sé la tradizione di rigore propria del monachesimo orientale.

di Camaldoli, vicino ad Arezzo. I suoi eremi guardavano essenzialmente alla regola benedettina, ma con proprie dichiarazioni e costituzioni; i monaci vestivano di bianco e tutte le residenze erano sottoposte al priore di Camaldoli, fino al 1534, quando i due rami di anacoreti e cenobiti si separarono definitivamente. Romualdo propose sempre ai suoi discepoli un programma estremamente rigido: digiuni, flagellazioni, veglie, preghiera continua e povertà assoluta. Egli stesso si cingeva il corpo con il cilicio, non si lavò mai i vestiti e si cibò sempre solo di pane ed erbe. Ancora una volta, si ripeteva, in tutta la sua radicalità, il contemptus mundi, ossia il disprezzo del mondo.

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Ancora una volta, nella storia del cristianesimo, si ripete un meccanismo di grande importanza religiosa: l’arricchimento dei monasteri, la sontuosità delle costruzioni e lo stile di vita rilassato dei monaci provocarono, all’interno della comunità dei credenti, un’aspra reazione, tesa al ritorno all’essenza più pura e propria del monachesimo, la povertà, la solitudine e l’identificazione con la croce. Nella Chiesa si venne spontaneamente formando un movimento di contestazione, contrario all’immobilità e alle implicazioni temporali del monachesimo esistente, condannato, perché giudicato troppo ricco e statico. In realtà, pur se in circostanze completamente diverse, si ripropose il fenomeno del ritorno al deserto.

227

225 226

225. In un territorio abbastanza limitato dell’Italia, tra l’Emilia e il Lazio, si trova una grande concentrazione di monasteri vallombrosani e camaldolesi. 226. Crocifisso di Ariberto, oggi a Milano nel Museo del Duomo. In questo capolavoro compiuto attorno all’anno Mille si esprime una nuova spiritualità occidentale, ormai non più con lo sguardo al mondo classico, che affronta il mistero della croce come occasione per la partecipazione alle sofferenze di Cristo ed anche in dialettica con le lusinghe del mondo. 227. In questo affresco del Beato Angelico del 1442 troviamo raccolti vari santi fondatori di ordini. In piedi da sinistra a destra san Benedetto e san Romualdo fondatore dei Camaldolesi. In basso san Francesco, san Bernardo e san Giovanni Gualberto fondatore dei Vallombrosani.

Accanto ad ogni monastero fondato nel corso della sua vita, Giovanni Gualberto fece erigere un ostello per i pellegrini e anche una specie di convitto, dove potevano vivere tutti insieme e pregare e dove si formavano gli aspiranti al sacerdozio, spesso inviati da quei vescovi che desideravano riformare la vita del clero. Fu un tipo di monachesimo contestatario, poco convenzionale: andavano in cerca della croce e della perfezione, la loro solitudine ammetteva in qualche caso la comunità, e non abbandonarono mai del tutto la vita pastorale. 137


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’ATHOS

1. L’ATHOS E I CAMBIAMENTI NEL PERIODO DEI MACEDONI

229

228 231

228. Nel Protaton di Karyes, capitale del Monte Athos, troviamo questa icona del XVI secolo raffigurante Pietro l’Athonita.

Tradizionalmente, Athos, che è stato menzionato nel poema di Omero, è il nome geografico della penisola all’estremità orientale della Calcidica (Khalkidikhi). Fu solo nel Medioevo che il nome Monte Santo venne in uso e più ampiamente accettato. Dovettero passare alcuni secoli prima che il nome diventasse sinonimo della crescente pratica monastica sulla penisola, poiché il monachesimo non era al momento facilmente e prontamente accettato sul Monte Athos. Le sue aree interne erano relativamente inadatte per attività economiche, le sue coste erano ostili e geograficamente esso era lontano dalle regioni centrali della prima cristianità. D’altra parte quando la situazione politica nella Calcidica (Khalkidikhi) e nell’area continentale più vicina ad essa migliorò alla fine dell’VIII secolo, quest’ampia e quasi appartata penisola offrì evidenti vantaggi per la vita di un gran numero di monaci. Si pensa che i primi eremiti possano essersi ritirati nella penisola al più tardi alla fine dell’VIII secolo, mentre la loro presenza 138

231. Questa suggestiva visione della penisola athonita che si spinge nel mare la si ha dall’alto della Santa Montagna. La montagna è stata per tutte le civiltà un simbolo del raccordo tra l’uomo e il divino. Le tradizioni più antiche considerano le montagne luogo di manifestazione della divinità. Per questo la scelta dei monaci di stare in una lunga penisola caratterizzata da una montagna era ad un tempo ricerca di isolamento e di dialogo col divino.

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229. In questo mosaico di Santa Sofia a Costantinopoli si vede l’imperatore Leone VI il Saggio che riceve da Cristo la saggezza divina. Leone VI viene considerato uno dei primi grandi sostenitori dell’Athos. 230. La Chiesa metropolitana, detta del Protaton, nella Grande Lavra al Monte Athos. Così chiamato in quanto sede del Protos, il primate tra i rappresentanti dei venti monasteri, il Protaton attuale risale al secolo X.

è confermata solo dalla prima metà del IX secolo. Allora apparve per la prima volta il servizio liturgico di san Pietro l’Eremita, una famosa figura-guida dei primi eremiti. Nell’843 la vittoria degli iconofili e la restaurazione del culto delle icone favorirono il progresso della vita e della pratica monastica, il rifiorire del monachesimo e il ritorno dei monaci con una fervente fede religiosa. All’inizio della seconda metà del IX secolo alcuni eremiti si riunirono nelle prime comunità cenobitiche. Il prototipo della vita monastica fu una comunità semieremitica, guidata dal 685 da sant’Eutimio il Giovane di Salonicco. Tali comunità potevano facilmente svilupparsi in cenobi, ma non lo fecero. Non fu nella regione centrale della penisola che apparve la prima comunità cenobitica, Colobos, ma in periferia. Ciò fu confermato anche dal primo statuto imperiale dato al Monte Athos all’inizio del governo della dinastia «Macedone». Il fondatore di essa, l’imperatore Basilio I (867-886), concesse nel giugno dell’883 che «coloro i quali avessero scelto la vita da

eremiti» sarebbero stati protetti dall’imperatore stesso da ogni disordine provocato dai funzionari. La concessione dell’imperatore Basilio I fu di grande importanza per la vita monastica sul Monte Athos, poiché alla comunità monastica fu garantita l’indipendenza e per la prima volta fu proclamata la sua integrità. Sebbene non fossero stati ancora costruiti monasteri sul Monte Athos, lo statuto garantiva il loro sviluppo. Si erano aperte le porte all’ascesa del monachesimo. Con ogni probabilità, il numero dei monaci crebbe velocemente entro la fine del IX secolo. Queste nuove condizioni si risolsero nell’amministrazione indipendente dei monasteri athoniti da parte del protos anche prima della fondazione di grandi monasteri. Karyes divenne la sede del protos. Il primo accenno all’esistenza di un protos particolare, il monaco Andrea, fu trovato in un atto dell’imperatore Leone VI (886-912) del 908. Nei successivi cinquant’anni non ci sono accenni a nomi particolari di protos, quindi l’organizzazione delle comunità monastiche di quel perio139


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’ATHOS

232. Atanasio l’Athonita è stato il primo grande fondatore e riorganizzatore della vita monastica sull’Athos a partire dalla seconda metà del X secolo. Questo affresco del XIV appartiene alla così detta scuola macedone del Protaton di Karyes. 233. Particolare di un affresco sovrastante l’entrata del refettorio della Grande Lavra. Sant’Atanasio è seguito dagli imperatori Niceforo, Focas e Giovanni Zimisce che furono i mecenati della fondazione monastica.

232

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233 235

do è sconosciuta. La sola cosa certa è che alla fine del X secolo a Karyes fu costruita una delle chiese più antiche, Protaton. La svolta più grande nella vita di Athos fu provocata da sant’Atanasio Athonita, che raggiunse l’Athos dalla Bitinia alla fine del 957 e vi si stabilì. I suoi quasi tre anni di reclusione nella sua nuova sede portarono grandi cambiamenti nella vita monastica del luogo e nella protezione dalle incursioni arabe, che minacciavano l’intera comunità. Atanasio era un monaco ben istruito, un calligrafo eccezionale, ma anche una persona con un’eccellente abilità in politica. Subito dopo il suo arrivo egli divenne un membro rispettato della comunità, ciò fu dovuto in parte al fatto che era il padre spirituale del famoso generale Niceforo Foca. Quando nel 960 Niceforo ebbe successo in un’offensiva sull’isola di Creta, che era sotto il dominio arabo, e rimosse un pericolo che minacciava l’Athos, chiese ad Atanasio di unirsi a lui. I due amici decisero di erigere un piccolo monastero cenobitico sul Monte Athos. Niceforo finanziò i lavori, mentre Atanasio divenne l’igumeno della nuova comunità. Il monastero fu fondato nel 963, dopo che Niceforo fu fatto imperatore (963-969). Nel 964 gli fu dato il nome di Grande Lavra e garantita la completa indipendenza. Atanasio fu il suo primo igumeno. Le reliquie di san Basilio il Grande e una parte 140

della santa Croce, che erano state date al nuovo monastero dall’imperatore, lo resero particolarmente rispettato. A questo punto comincia la storia dei monasteri del Monte Athos. Il termine lavra cominciò ad essere usato come un termine generale per le comunità monastiche del luogo e poi ottenne un nuovo significato, differente da quello che aveva avuto nel primo periodo cristiano. Grazie ai sostanziosi fondi a loro disposizione e allo stato di monastero imperiale della Grande Lavra, l’idea originaria di costruire un piccolo monastero cenobitico fu abbandonata e fu costruito un grande edificio per 120 monaci, circondato da altre costruzioni come l’ospedale, lo scriptorium e il porto. L’imperatore Giovanni Zimisce (971-976) sostenne il nuovo monastero, che subito si decise a codificare la propria organizzazione e il proprio stile di vita. La Grande Lavra ebbe il primo typikon nel 970/71, questo seguì la Regola della comunità cenobitica studita (799) scritta dal riformatore del monachesimo bizantino e igumeno del monastero di Studion a Costantinopoli, Teodoro Studita. Secondo la Regola, che nel frattempo serviva come esempio della vita monastica, tre principi fondamentali dovevano essere osservati nella vita quotidiana dalla comunità cenobitica: vita comunitaria (senza schiavi), assoluta obbedienza e molto lavoro. Il rigido ordine della vita monastica, che fu poi fissato nel typikon della Grande Lavra, divenne il prototipo per

234. La Grande Lavra del Monte Athos, vista dal mare. 235. In questa immagine si può notare la complessità della Grande Lavra.

l’organizzazione di tutte le comunità cenobitiche sul Monte Athos. Il typikon fissò soprattutto la rigida organizzazione interna del monastero. L’igumeno, eletto da sedici stimati monaci, aveva autorità quasi assoluta, garantita per la vita, ed era considerato il padre spirituale di ogni membro della comunità. Per la prima volta venne negato alle donne l’accesso al Monte Athos; fu anche proibito tenere animali domestici femmine. Le comunità cenobitiche, che furono fondate successivamente, seguirono le regole dell’organizzazione stabilite dalla Grande Lavra. Gli igumeni, eletti a vita, erano i capi del Consiglio, i cui membri erano anch’essi eletti a vita. La vita quotidiana e il molto lavoro erano comuni così come beni personali di piccola entità. Ad alcuni monaci venivano affidate in perpetuo mansioni speciali, come quella di sacerdote, guardiano, bibliotecario, cuoco, magazziniere ecc. Le regole di vita ascetica implicavano periodi di digiuno, che duravano per due terzi dell’anno. Ogni momento di tempo libero doveva essere dedicato alle preghiere di auto-purificazione. I monaci erano in gran parte ignoranti. Nonostante questo limite, la copia e la custodia dei manoscritti religiosi furono incoraggiate e di conseguenza l’Athos divenne un importante centro di cultura e spiritualità nella Chiesa ortodossa orientale. Il prestigio della Grande Lavra ben presto causò qualche ansia e inquietudine tra gli altri athoniti e nel 972 l’imperatore Giovanni 141


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’ATHOS

236. La vita nell’Athos mantiene non solo una tradizione secolare sul piano delle pratiche ascetiche e liturgiche ma anche riguardo al lavoro dei monaci che, a parte i donativi, devono provvedere al proprio sostentamento. L’agricoltura infatti continua ad essere praticata con strumenti tradizionali.

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237. Un monaco con il simandron. Questo antico strumento di legno a percussione serviva, e serve tutt’ora, per il richiamo dei monaci all’ufficio liturgico.

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238. Veduta d’insieme dell’antico refettorio del monastero di Vatopedi. In un’atmosfera di colore azzurro intenso, con le pareti totalmente affrescate, che visualizzano ai monaci, oltre a scene dell’Antico Testamento, l’intera storia del monachesimo tramite i suoi principali protagonisti. Questo luogo fa comprendere come la sacralità della vita monastica non appartenga solamente agli edifici di culto o alle celle,

Zimisce fu costretto a mandare una missione sul Monte Athos, la cui opera si risolse nel primo typikon generale sulla locale organizzazione della vita monastica. Esso è chiamato Tragos, dal momento che è scritto su pelle di capra (tragos significa capra), ed è ora conservato negli Archivi del Protaton. Secondo tale ordinamento, l’assemblea, l’istituzione di maggiore autorità, si riuniva tre volte all’anno. Il protos e i membri dell’assemblea non potevano prendere decisioni importanti l’uno senza l’altro. L’assemblea assunse estrema importanza quando altri cinque monasteri furono fondati, mentre Atanasio era ancora vivo (m. ca. 1004), e altri dieci ne seguirono a metà dell’XI secolo. L’anacoretismo era ancora considerato la forma fondamentale della vita monastica e spesso esercitava la sua azione sulle comunità cenobitiche. Molti monasteri avevano un gran numero di celle, le celle degli eremiti, che frequentemente diventavano i focolai di nuovi monasteri. Nella prima metà dell’XI secolo, quasi alla fine della dinastia macedone, il monachesimo sul Monte Athos era in via di sviluppo. Era tempo di maturazione, ma anche di grande instabilità. I 142

ma anche, seguendo il grande insegnamento di Pacomio, ai momenti della comunità riunita che, a sua volta, si sente in comunione con Cristo, la Vergine e tutti i santi monaci che l’hanno preceduta. 239. L’imperatore Costantino Monomaco siede alla destra del Cristo in un mosaico del 1044 in Santa Sofia. Costantino a metà dell’XI secolo contribuì ad armonizzare la vita dei vari monasteri dando loro una regola comune.

239

problemi di disciplina divennero seri e ciò causò grande ansia e difficoltà, poiché a Bisanzio l’Athos era considerato il centro più rinomato per la vita monastica. Dal momento che i cenobi, essendo «lavre imperiali», erano sotto il patronato dell’imperatore stesso, le difficoltà furono risolte con l’intervento dell’ordine più alto. L’imperatore Costantino IX Monomaco (1042-1055) mandò un delegato, la cui opera si risolse nel settembre 1045 nel nuovo typikon, chiamato typikon di Monomaco. Il nome familiare di Santa Montagna fu usato in esso ufficialmente per la prima volta. Il typikon di Monomaco fu di fondamentale importanza. Esso determinò completamente l’ordine e l’organizzazione della vita monastica nella comunità, tanto che non fu necessario scrivere altri ordinamenti generali per i successivi tre secoli e mezzo. In più, lo stile di vita monastica, come era stato concepito dal riformatore Teodoro Studita, non fu soggetto ad alcun cambiamento. Al contrario, fu pretesa la sua rigida osservanza. Ogni forma di lusso, espansione economica, commercio con luoghi lontani, spostamento di monaci da un posto all’altro fu severa143


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

1. L’ATHOS 240. I fondamentali elementi architettonici per ogni monastero sono: il katholikon (cioè universale, è questo il nome attribuito alla chiesa principale del monastero), le celle dei monaci, il refettorio, le torri e le fiali di cui qui accanto si vede l’interno di una del monastero di Dochiariu, tutto affrescato con un pozzo. Le fiali sono infatti piccoli edifici ottagonali o decagonali aperti ai lati con una cupola sostenuta da colonne. In essi si trovano pozzi e fontane.

241

244

240

243. La piantina dei vari monasteri con evidenziato il katholikon all’interno della corte.

244. Monastero di Dionissiu. La torre, qui in ottimo stato di conservazione, era particolarmente importante per i monasteri che davano direttamente sul mare.

242

243

Karakálu Grande Lavra

S.Basilio

Iviron

Xiropotámu

Sográfu

Dochiaríu

Vatopédi

Chilandári

Vatopédi Pantokrátoros

Dochiariu

Stavronikíta

Porto di Sográfu

Stavronikíta

Símonos Petra

Dionissíu

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Kutlumussíu

Pantokrátoros

Aghíu Pavlu

Filothéu

Xenofóntos

Chilandári

Kutlumussíu Iviron

Filothéu Grigoríu

Karakálu Torre degli Amalfitani Dionissíu

Chiesa o cappella Refettorio Fiáli Torre

144

X-XI secolo XII-XIII secolo XIV-XV secolo XVI-XVII secolo

Aghíu Pavlu

Grande Lavra

241. Il lato occidentale del monastero di Simonos Petra e sullo sfondo la cima del Monte Athos. 242. I principali monasteri dell’Athos con i monumenti architettonici e le loro datazioni.

Esfigménu

Aghíu Panteleímonos

Konstamonítu

mente proibita. Da un punto di vista organizzativo, l’unità della comunità monastica fu enfatizzata dal rispetto per il protos, che rimaneva in carica a vita. Il nuovo protos veniva confermato a Costantinopoli, dove riceveva il pastorale e la nomina dall’imperatore stesso. Il protos prendeva da solo le decisioni sulle attività quotidiane, mentre altre decisioni più importanti venivano prese con un consiglio da 5 a 10 igumeni. Le questioni più importanti venivano discusse durante l’assemblea, che era presieduta dal protos e si riuniva al massimo tre volte all’anno. Dalla fine dell’epoca «macedone», la rafforzata posizione del protos finalmente cominciò a simboleggiare l’unità della comunità monastica della Santa Montagna. I monasteri dell’Athos conservarono la piena autonomia. Essi erano ridotti allo stato di semplici anelli di una catena di istituzioni gerarchicamente organizzate, che ricevevano ordini dal protos. Il protos a quel tempo veniva eletto dai monasteri di rango inferiore, così che non potesse essere imposto dall’alto rango del monastero da cui proveniva. Un ordine e un’organizzazione di questo tipo trasformarono l’Athos nella Santa Montagna. La grande opera della dinastia macedone si compiva e i risultati passavano in eredità alle future generazioni bizantine e, con tutti i cambiamenti fatti nei secoli successivi, alle generazioni dei tempi post-bizantini. 145


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

2. IL MONACHESIMO BULGARO

2. IL MONACHESIMO BULGARO

245

247

245. Facciata della chiesa dedicata a san Clemente ad Ohrid, nell’attuale Macedonia, un tempo parte dell’impero bulgaro. Il grande discepolo di Cirillo e Metodio è da considerarsi uno dei padri del cristianesimo e del monachesimo bulgaro.

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247-248. Il grande monastero di Rila, veduta della corte interna con le gallerie e una parte della chiesa dedicata alla Natività della Vergine, ricostruita tra il 1834 e il 1837 dove è conservata l’icona di san Giovanni di Rila. 246

' DELL TATO DESPO

Il debutto della pratica monastica in Bulgaria risale alla cristianizzazione del popolo bulgaro nell’865. Si può ipotizzare l’esistenza di tale pratica prima dell’adozione ufficiale del cristianesimo solo in qualche comunità isolata di cui si hanno informazioni incerte. Durante la seconda metà del IX secolo sul territorio della capitale Pliska, e più tardi nella capitale cristiana di Preslav, esistevano già dei grandi monasteri che non erano solo dei focolai di cultura cristiana ma anche degli importanti centri letterari. È evidente, nella nota in margine figurante in una delle copie della Teologia di Giovanni l’Esarca, che il fratello del principe Boris-Michele (?-907), Doxos, era un monaco. Egli era l’organizzatore dell’attività di tutta una generazione di scrittori e di traduttori: Costantino di Preslav, Giovanni l’Esarca, i discepoli di Cirillo e Metodio, che erano venuti in Bulgaria, Clemente d’Ohrid e Naum. Sull’esempio dei loro maestri intellettuali – i missionari della fede cristiana, i santi Cirillo e Metodio – essi crearono nel sud-ovest della Bulgaria dei monasteri, che si trasformarono in focolai di cultura cristiana, contribuendo attivamente a divulgare la celebrazione dell’ufficio divino in lingua slava. Alcune fonti scritte indicano che il re bulgaro Pietro, il figlio di Simeone il Grande, terminò i suoi giorni in un monastero e che ha lasciato molte opere morali contenenti i principi fondamentali dell’etica cristiana. All’epoca del primo impero bulgaro, il compito del monachesimo era di trasmettere la tradizione cristiana, di inculcare alla popolazione le principali norme etiche e morali del cristianesimo, dando la priorità al catechismo etico.

246. Cartina dei centri di riferimento (Tessalonica, Athos, Costantinopoli) e di fondazione del monachesimo bulgaro (Ohrid, Preslav, Rila, Tbrnovo).

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248

La visione mistico-contemplativa fu introdotta per la prima volta in Bulgaria da Giovanni di Rila (876-946), considerato il primo monaco eremita, che fondò sulla montagna di Rila una comunità monastica, divenuta poi un esempio da seguire per molti monaci-anacoreti. Secondo la leggenda, il re Pietro si presentò in persona all’eremita da cui ricevette la benedizione. Il culto di san Giovanni di Rila si diffuse dapprima su scala regionale, poi si sviluppò molto in fretta in culto nazionale; il santo era considerato il protettore di tutti i Bulgari. La traslazione reiterata delle reliquie del santo ha contribuito grandemente alla sua popolarità. Sotto il regno del sovrano bulgaro Assen I, il fondatore del secondo impero bulgaro, le reliquie del santo furono traslate da Sofia a Tbrnovo, la nuova capitale bulgara, dove hanno protetto la cristianità ortodossa fino alla metà del XV secolo, epoca in cui furono trasferite nel monastero di Rila, dove sono conservate ancora oggi. L’influenza e la popolarità dell’eremita si propagarono ugualmente nel territorio serbo, dove in breve tempo apparvero gli eremiti Gabriele di Lesnovo, Prohoros Psinski, Gioacchino d’Osogovo (di Saranadapor) e Pietro Koriski. I monasteri che essi fondarono esistono ancora ai nostri giorni e celebrano degli uffici commemorativi a loro gloria. Dalla fine del XII all’inizio del XIII secolo il movimento monastico in Bulgaria fu fortemente influenzato dal nuovo centro d’eremitaggio: il Monte Athos. I monasteri dell’Athos, in particolare quelli di Sografu e di Chilandari, e in qualche misura la Grande 147


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

249

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251. Miniatura, opera del monaco bulgaro Simeone. Il monaco realizzò per il re Ivan Alessandro (1331-71) un tetravangelo in cui si trova questa miniatura che vede il re con la moglie e i due figli. Il Tetravangelo di Re Ivan Alessandro si trova a Londra (BM Add. Ms. 39627). 252. Veduta dal basso del monastero bulgaro di Sografu nella penisola dell’Athos. La Bulgaria, come altri paesi ortodossi, ha un proprio monastero sull’Athos al quale il popolo bulgaro è particolarmente devoto. 253. Evangelario del Monastero di Rila della prima metà del secolo XIII (NMRM 1/13).

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Lavra, esercitarono un’influenza eccezionale sull’orizzonte spirituale dei monaci bulgari. Fedeli all’idea della parità morale dell’ortodossia e avversari spietati di tutte le eresie, i monaci del Monte Athos s’impegnarono a rivedere le Sacre Scritture al fine di preservare i credenti da un’interpretazione snaturata di esse. Alcuni monaci, come il vecchio Giovanni e il suo discepolo Metodio, sono stati i pionieri di questa attività che si è prolungata per diversi decenni, per raggiungere l’apice nel XIV secolo, grazie ai monaci esicasti di Tbrnovo: Teodosio, Cipriano ed Eutimio (1320/1330-inizio del XV secolo), l’ultimo patriarca (1375-1393) del secondo impero bulgaro. Se nel XIII secolo si gettarono le basi di legami profondi e indistruttibili nei monasteri bulgari e del Monte Athos, il XIV secolo ha segnato il trionfo dell’unione spirituale e della consolidamento della comunità ortodossa nei Balcani intorno alle idee degli esicasti. La loro dottrina religiosa e filosofica spesso era contraddittoria, ma il suo risultato finale è 148

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249. Il trasferimento delle reliquie di san Giovanni di Rila, in un affresco del 1863 eseguito da Nicolas Obrazopisov per la chiesa dell’Assunzione nel metochion dell’Orlitsa, dipendenza del monastero di Rila. 250. Veduta panoramica del monastero di Rila in un particolare di un’icona bulgara dedicata a san Giovanni di Rila ed eseguita tra il 1839-40, da Giovanni di Samokov.

evidente nel contesto della disgregazione politica degli stati feudali balcanici, causata dall’invasione dei conquistatori ottomani, quando riuscì a unire il clero e soprattutto il monachesimo nella lotta per preservare la tradizione ortodossa. Nel XIV secolo in Bulgaria si impose l’influenza dei monaci esicasti, che si formavano spesso a Costantinopoli o sul Monte Athos; essi si consideravano i discepoli dell’illustre esicasta Gregorio del Sinai, fondatore del monastero di Paroria, situato ai confini tra la Bulgaria e Bisanzio. Questo monastero divenne un centro importante per i contatti bizantino-slavi nel basso medioevo. Ciò fu preso in considerazione dai sovrani bulgari: il re Ivan Alessandro (?-1371, re dal 1331) decretò una donazione con cui concesse al monastero beni immobili, oro e pietre preziose per aiutare materialmente la sua attività. I monaci del monastero contribuirono a intensificare gli scambi spirituali tra i monaci esicasti bulgari e quelli bizantini, ciò diede origine alle Vite di esicasti bulgari scritte da agiogra-

fi bizantini come la Vita di Teodosio di Tbrnovo, scritta per il patriarca bizantino Callisto, e la Vita del monaco Romil di Vidin, opera di Gregorio Dobropisec, di origine greca. Uno dei primi esicasti bulgari fu Teodosio di Tbrnovo, nato nel 1300 nella regione di Vidin. Circa nel 1335 egli entrò nel monastero di Paroria, fondato da Gregorio del Sinai, per istituire più tardi a Tbrnovo l’illustre monastero di Kilifarevo, dove si formarono Eutimio, Cipriano e Kyr Dionysios. Dopo la morte di Teodosio, il suo successore Eutimio fu ordinato patriarca nel 1371 a Tbrnovo. Di sua iniziativa Eutimio fondò il monastero della Santa Trinità, divenuto poi un centro di intensa attività letteraria dove, sotto la sua direzione personale, i monaci letterati effettuarono una riforma linguistica, ortografica e letteraria globale. Tale riforma ebbe per mira la redazione dei libri sacri, al fine di adattarli alle norme bizantine in vigore a quell’epoca. D’altra parte la sostituzione del Typikon di Gerusalemme con 149


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

2. IL MONACHESIMO BULGARO 254

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254. Caratteristico esempio di scrittura miniata appartenente al tetravangelo di Krupnik, del monastero di Rila. L’intestazione è quadrata con motivi e intrecci ornitomorfi, l’iniziale K è con intrecci di tipo balcanico (NMRM 1/5).

quello di Studion, già avvenuta a Bisanzio, fu il risultato degli sforzi di Eutimio. Egli agì per instaurare l’unità completa delle chiese ortodosse nei Balcani e per elevare il ruolo del monachesimo a un livello mai conosciuto fino ad allora. Eutimio si servì della formazione di tutta una generazione di letterati bulgari, che propagarono fuori dai confini del paese non solo l’esicasmo, ma anche le tradizioni letterarie dei loro maestri. L’opera dell’ultimo patriarca bulgaro è conservata in Russia, dove fu trasferita dal suo confratello Cipriano, che divenne metropolita di Russia. Gregorio di Tsamblak (1364-1420), divenendo successivamente il superiore del monastero di Dečani in Serbia e del monastero di Neamţ, assunse alcuni lavori in Serbia, in Valacchia e in Moldavia. Più tardi egli fu ordinato metropolita della Lituania (1414), sotto il regno del principe Vitovit. Devastata dalle conquiste e privata della sua sovranità, la Bulgaria rimase comunque dimora di un focolaio di istruzione e di cultura per gli slavi ortodossi, grazie all’attività di dozzine di monaci che garantirono alla loro patria un patrimonio spirituale da conservare e trasmettere alle generazioni future. Sul territorio bulgaro tra il XV e il XVI secolo, nonostante le rovine che gli oppressori avevano lasciato dietro di sé, i monasteri continuarono il loro ruolo di focolai sia della coscienza cristiana che della cultura e civilizzazione slava. Grazie ai mezzi offerti dalla popolazione slava, essi funzionarono come vestigia di un glorioso passato. In questo senso, il primo posto fu occupato dal monastero di Rila, che diede rifugio a monaci letterati come Vladislav Gramatik (XI secolo) e Dimitri Cantacuzeno. Il legame indistruttibile con i monasteri del Monte Athos continuò a inco150

255. Affresco del 1603 nel refettorio del monastero di Bačkovo, in cui sono rappresentati i filosofi pagani dell’antichità, Diogene e Ariclos. I filosofi pagani vengono considerati profeti della venuta di Cristo in ambito greco.

raggiare spiritualmente il monachesimo in questa condizione difficile. L’aspetto positivo fu che questo legame nei secoli XVII e XVIII avrebbe contribuito al risveglio della coscienza nazionale all’epoca della rinascita bulgara. Nell’epoca precedente la rinascita i monasteri assunsero interamente la funzione letteraria e l’istruzione sulle terre bulgare. Molti monasteri funzionarono da scuole: i monasteri di Rila, di Troia, di Etropolé, di Plakovo ecc. Alcuni di essi sono perfino divenuti centri di lotta armata per l’indipendenza nazionale. Grazie all’attività dei monaci, che raccoglievano doni per i monasteri tra il XVIII e il XIX secolo, i contatti con i membri della comunità ortodossa si intensificarono. I grandi monasteri del Monte Athos – quelli di Sografu e di Chilandari – crearono dei nuclei sul territorio bulgaro, destinati al rifugio di monaci in viaggio. Essi diffusero ugualmente la letteratura in bulgaro moderno, contribuendo così alla formazione della coscienza nazionale. Basta pensare al fatto che l’autore della prima storia della Bulgaria, Paissi (1722-1773), fu monaco al monastero di Chilandari dal 1749 e diffuse la sua opera durante i suoi viaggi in Bulgaria per evidenziare il ruolo del monachesimo come generatore dello sviluppo spirituale della società bulgara. All’epoca della rinascita bulgara i monasteri si trasformarono in centri autentici della spiritualità bulgara. Fu in quel periodo che si diffusero per la prima volta le idee di una chiesa autocefala, di un’istruzione in lingua bulgara e dell’indipendenza nazionale. Con tutte queste attività i monasteri hanno contribuito enormemente alla genesi delle idee della liberazione nazionale, che hanno portato alla liberazione della Bulgaria nel 1878. 151


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

3. IL MONACHESIMO SERBO

3. IL MONACHESIMO SERBO

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256. San Sava in un affresco medievale del monastero di Mileyeva in Serbia.

257. Copia del Typikon, cioè della Regola, del monastero serbo di Chilandari, al monte Athos. La devozione della cristianità serba nei confronti di Chilandari è vivissima anche ai nostri giorni.

7 Tebe

2,6

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Costantinopoli 2

Nicea 2

3,5

Il monachesimo serbo fu costituito nel 1219, prima che san Sava venisse nominato arcivescovo in Serbia. La vita e la pratica monastica raggiunsero la Serbia dall’est. Esse furono influenzate fortemente dalla tradizione monastica greca e si svilupparono più intensamente grazie all’influenza di san Clemente e san Naum di Ohrid. Gli eremiti come Giovanni di Rila, Gioacchino di Osogovo, Prohor di Pčinja e Gabriele di Lesnovo erano rispettati ugualmente da tutti gli slavi ortodossi del sud. Centri della vita monastica erano sia i monasteri che i conventi femminili. Kosara, figlia del re Samuele, si fece suora nel 1015 nel convento della Madre di Dio di Krajina. Il fondatore dello stato serbo, Stefano Nemanja, a cui fu dato il nome di Simeone quando entrò nell’ordine monastico, costruì il monastero di San Nicola, dove – come suo fondatore – costituì la regola monastica, chiamata di conseguenza Typikon del fondatore. Egli e suo figlio, il monaco Sava, dopo aver avuto il permesso 152

dall’imperatore Alessio III Angelo, ricostruirono il monastero di Chilandari nel 1198 come casa dei monaci serbi che volevano praticare il monachesimo sul Monte Athos. Sostenendo di sapere tutto sulla vita monastica orientale, san Sava riorganizzò la pratica monastica serba. Sebbene avesse ricevuto un’educazione monastica secondo la tradizione cenobitica, san Sava era fortemente incline all’orientamento anacoretico. Uno dei più istruiti monaci dell’ultimo secolo, l’accademico Filarete Granic´, disse: «La comunità monastica ideale dovrebbe osservare il principio del vero collettivismo in tutti i campi, nelle relazioni sia interne che esterne; in sostanza ciò implica la completa soppressione dell’individuo e di ogni speciale interesse o ambizione che una persona possa voler perseguire». San Sava scrisse tre typika: nel 1199 ne incise uno per la vita anacoretica nel muro di pietra della cella di Karyes per se stesso e per i monaci che avrebbero vissuto nella stessa cella dopo di lui.

Salonicco

4

4 1 Chilandari

1,3

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258-259. Il monaco e arcivescovo Sava percorse tutta la parte orientale del mondo cristiano con diversi viaggi, per ragioni politiche, monastiche e di pellegrinaggio. Nella cartina piccola i tre viaggi: dal monastero di Chilandari a Costantinopoli (1198, 1199, blu), dal monastero di Chilandari a Nicea e al monastero di Ziča (1219, rosso), diversi viaggi dalla Serbia al monastero di Chilandari, sul Monte Athos (1191, 1207, 1216, ocra). Nella cartina grande sono mostrati i due pellegrinaggi: ai Luoghi Santi (1219, rosso) e ai Luoghi Santi, al Sinai e a Tebe (1234, 1235, ocra). Il tratteggio blu indica la traslazione delle spoglie da Tbrnovo a Mileyeva e poi a Belgrado (da M. Blagojević ). 153


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

3. IL MONACHESIMO SERBO

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260. Veduta generale del monastero serbo di Chilandari, sull’Athos. In primo piano in basso l’edificio massiccio è il refettorio, al centro si vede il katholikon, con a sinistra una fiali, semicoperta. Dietro il katholikon svetta la grande torre di San Sava mentre la torre campanaria si trova lungo le mura alla sua sinistra. Le celle monastiche occupano il grande edificio a sinistra della torre di San Sava. A sinistra, in basso, l’edificio che sembra proiettarsi fuori dal monastero su un altissimo contrafforte è la foresteria.

Quei monaci non sarebbero dovuti essere necessariamente sacerdoti, poiché la regola monastica secondo questo typikon comprendeva salmi, preghiere e metànoia. La pratica nella Chiesa ortodossa orientale è di leggere il Salterio una volta durante la funzione nel corso di una settimana e due volte durante il periodo di digiuno prima di Pasqua. Secondo il Typikon di Karyes il Salterio deve essere letto quotidianamente. Questa pratica è unica nella Chiesa ortodossa orientale. A Chilandari san Sava scrisse invece un typikon cenobitico, in corrispondenza al tipo di vita monastica che vi era praticata durante il periodo che egli trascorse lì. Questo ordinamento fu una delle fonti del culto della Chiesa ortodossa serba e fu particolarmente d’aiuto prima del 1319 quando venne scritto il Typikon serbo completo. 154

261. Sant’Atanasio l’athonita in un affresco di Chilandari. 262. Lo splendido katholikon di Chilandari visto dal lato della fiali. Fu fatto costruire alla fine del XIII secolo dal re della Serbia Milutin.

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

3. IL MONACHESIMO SERBO 264. I centri della vita monastica in Serbia. In nero sono indicati i monasteri fondati tra l’XI e il XV secolo, in rosso quelli fondati tra la fine del XV e il XVII secolo, quando la Serbia era governata dagli Ottomani. Privina Glava Danubio Rakovac FRU

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263. La chiesa elegantissima, della Presentazione di Maria al Tempio, nel monastero di Kalenić in Serbia. Kalenić oggi si trova in piena attività una comunità monastica femminile.

Il terzo typikon associato al nome di san Sava è quello di Studenica. Sulla paternità di san Sava dei typika di Chilandari e di Studenica ci sono diverse versioni. Alcuni ricercatori sono convinti che entrambi furono scritti da uno dei colleghi di Sava, mentre altri pensano che san Sava scrisse solo alcune parti di essi. Al contrario, altri esperti ritengono che san Sava sia l’unico autore dei typika. I ricercatori non sono d’accordo sul periodo in cui il typikon di Studenica fu scritto: in genere si pensa che sia databile al 1206, ma alcuni sostengono che fu scritto nel 1220. La vita monastica era popolare tra le donne come tra gli uomini nella Chiesa ortodossa serba del Medioevo. Le donne delle famiglie nobili serbe si facevano suore. Le stesse regole erano valide sia nei monasteri maschili che femminili, le disposizioni del typikon di Gerusalemme, che per primo fu tradotto dal greco al 156

265. Veduta aerea del complesso monastico di Studenica in Serbia, risalente ai secoli XII-XIV. 266. Le chiese dei Santi Apostoli, della Madre di Dio Odighitria e di San Nicola, viste dalle absidi, nel famoso complesso monastico del patriarcato di Peć nel Kosovo. È questo il luogo di riferimento storico religioso più importante per il monachesimo e per la cristianità serba.

serbo, per la pratica nella Chiesa ortodossa serba. Esso arrivò in Bulgaria e in Russia in versione serba, contiene l’ordinamento completo e consiste di due parti: la prima concerne il culto e la seconda si riferisce all’organizzazione della vita monastica nel monastero. Il numero di monaci e monache diminuì durante il dominio turco, ma il monachesimo, particolarmente nei monasteri maschili, non si estinse. Il periodo successivo alla prima guerra mondiale ha visto il rifiorire del monachesimo, maggiormente nei conventi di suore. Oggi la Chiesa ortodossa serba ha monasteri e conventi di suore in Serbia e in tutto il mondo (Romania, Ungheria, Germania, America, Canada, Australia, Bosnia, Croazia, Dalmazia, Slovenia), con Chilandari come suo monastero più rinomato. Clericalmente, tuttavia, spetta al Patriarcato ecumenico la giurisdizione su Chilandari.

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

3. IL MONACHESIMO SERBO

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

4. IL MONACHESIMO IN ARMENIA 267

Alcune tradizioni antiche del paese risalgono ai tempi della predicazione del cristianesimo in terra armena e agli apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo, ma le uniche fonti sicure che possediamo riguardano gli inizi del III secolo, quando un’ambasceria greca giunse alla corte armena e ottenne alcune conversioni, mal recepite e causa di persecuzione e martirio. Senza dubbio, alla fine del III secolo, l’Armenia era ormai cristiana. L’evangelizzatore dell’Armenia fu san Gregorio l’Illuminatore, membro della famiglia reale, ordinato vescovo in Cappadocia, nel 294. Il re Tiridate III, da lui convertito, pubblicò un editto reale, che impose il cristianesimo ai sudditi. Per questo motivo, l’Armenia viene considerata la prima «nazione del cristianesimo» della storia, avendo accettato ufficialmente, come religione di stato, il cristianesimo. A partire dalla conversione ufficiale, la storia e il destino dell’Armenia rimarranno perennemente connessi alla religione cristiana. Il 2 giugno del 451, il sommo generale Vardan Mamikonian, alla vigilia di una battaglia cruciale, arringò le sue truppe, dicendo: «Chiunque abbia creduto che il cristianesimo fosse per noi come un vestito, ora comprenderà che non ce lo può strappare, come non può toglierci il colore della nostra pelle». In questo senso, si può affermare a ragione che il cristianesimo si trova nelle radici culturali e nazionali dell’Armenia. Sin dal principio, i monaci accompagnarono con la propria vita e dottrina l’introduzione e lo sviluppo del cristianesimo. Laddove esistevano ricordi di martiri, si stanziarono gli anacoreti e si fondarono monasteri, mettendo così in stretto rapporto la professione di fede tramite il martirio e la professione di fede tramite una vita santa. I deserti si riempirono di anacoreti e le zone abitate di monasteri. La tradizione monastica si nutrì soprattutto dell’esempio della corrente monastica di Cappadocia, incentrata sulla vita cenobitica, e della corrente siriaca, come si deduce dalle forti espressioni di radicale austerità e dalla presenza della lingua siriaca nei libri e nei riti liturgici. Nel 354 si celebrò il primo Concilio nazionale della Chiesa armena, in cui si deliberò e si legiferò sul monachesimo. I Padri del concilio decisero di fondare vari monasteri e laure per gli anacoreti, consapevoli dell’importanza che ciò avrebbe costituito per lo sviluppo della vita cristiana. Il monachesimo armeno non fu di tipo strettamente contemplativo, ma si dedicò anche all’evangelizzazione diretta del popolo e alle opere assistenziali. Il suddetto concilio li incoraggiò a creare ospedali, ospizi e asili per poveri e anziani. All’inizio del V secolo, i monaci san Mersop Vartapet e san Sahak inventarono l’alfabeto armeno, composto da 36 caratteri e tradussero in questa lingua la Sacra Scrittura e le opere dei Padri, segnando così il futuro della Chiesa e della nazione armena. I monaci determinarono per la Chiesa armena un modello decisivo che ci ricorda quello delineato da sant’Agostino: sono monaci celibi, a differenza del clero sposato, di buona formazione, dediti allo studio della Scrittura e all’istruzione del popolo. 160

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267. San Gregorio l’Illuminatore, evangelizzatore dell’Armenia. Miniatura del 1658 in un Sinassario che oggi si trova al Catolicato Armeno di Cilicia ad Antélias in Libano. 268. I resti del monastero di Marmashen in Armenia. 269-270. I resti della chiesa del monastero armeno di T’anaativank (secolo XIII). Sulla sinistra si notano splendidi dettagli di arredo scultoreo esterno. Siamo di fronte ad un esempio splendido dell’architettura monastica armena.

La vita monastica armena ebbe una straordinaria fioritura: oggi si conosce l’ubicazione di più di 460 monasteri, cui andrebbero aggiunti i numerosi monasteri armeni della Palestina e di altri paesi. Ai tempi di Giustiniano, gli armeni si separarono dalla Chiesa imperiale, a causa della sua politica egemonica e repressiva, per salvaguardare la propria identità religiosa e culturale. In effetti, le differenze non sono consistite tanto nelle diverse posizioni o affermazioni dottrinali (ci fu un periodo in cui la Chiesa armena

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

4. IL MONACHESIMO IN ARMENIA 271

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271. Miniatura armena: La lavanda dei piedi nell’Evangelario di Vaspurakan del 1450. Oggi conservata a Londra (Gall. Sam Fogg). 272-273. Due miniature tratte da un Innario armeno del 1591 conservato al Museo armeno di Francia a Parigi. Sulla sinistra abbiamo Cristo Buon Pastore, sulla destra una sintetica raffigurazione dei Martiri di Sebaste in cui il lago ghiacciato è rappresentato da una coppa mentre, come da tradizione iconografica bizantina, le anime salgono a Dio in forma di corone.

abbracciò il monofisismo), bensì nella convinzione degli armeni che l’esigenza bizantina di uniformità liturgico-dottrinale sarebbe sfociata nell’assimilazione. Il periodo di governo arabo (VII-XI secolo) non significò decadenza culturale per la Chiesa armena, perché essa seppe mantenere in vita una notevole attività artistica e architettonica. Il rito armeno costituisce uno dei cinque riti principali della Chiesa orientale. La liturgia attualmente in uso risale sostanzialmente alla seconda metà del V secolo, con aggiunte posteriori, dovute a influssi bizantini o latini, soprattutto del periodo tra XI e XVI secolo. 162

L’asse portante della cultura armena fu teologico-filosofico, in gran parte dovuto al fatto che l’intero sistema di istruzione superiore, modellato quasi esclusivamente dalla Chiesa, vi ruotava intorno. La Chiesa era l’unico elemento unificatore, in mezzo al frazionamento esistente e all’assenza di un potere politico vero. Le istituzioni monastiche furono veri centri di elaborazione e trasmissione della cultura. In un territorio continuamente esposto alle invasioni di arabi, turchi selgiuchidi, mongoli e turchi ottomani, i monasteri, grazie alla loro capacità di resistenza, dovuta anche alla favorevole conformazione geografica della regione, hanno preservato la con163


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

275. Interno della chiesa del Monastero di Makaravank. Si nota con chiarezza il gioco abside-cupola ottenuto con pietre di grandissima taglia. 276. Veduta interna del «gavit» ad archi incrociati del monastero di Mshkavank’.

274. Esempio di planimetria di monastero (Monastero di Sanahin). 1. Chiesa di San Astvatzatzin (934); 2. Gavit a tre navate (1211); 3. Chiesa di San Amenaprkitch (966); 4. Gavit della chiesa di San Amenaprkitch (1181); 5. Accademia (XI sec.); 6. Chiesa di San Gregorio (1061); 7. Matenadaran (biblioteca) (1063); 8. Portico antistante alla biblioteca (XIII sec.); 9. Campanile (XII-XIII sec.); 10. Tomba dei Kiurikian; 11. Tomba della famiglia Zakarian; 12. Khatchk’ar; 13. Ingressi.

Le parti colorate indicano i due gavit, testimonianza architettonica della funzione educativa e sociale assunta dai monasteri armeni.

275 277

277. Rovine del complesso monastico di Kirants, costruito a partire dal XIII secolo. Si tratta di un esempio anomalo per l’impiego dei mattoni cotti e della ceramica smaltata.

278

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278. Principali siti monastici armeni. Derbend

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tinuità della tradizione religiosa, culturale e storica radicata in Oriente, ma con profondi legami con la cultura occidentale. A Venezia, a partire dal XVIII secolo, nel monastero dell’isola di San Lazzaro i monaci armeni della congregazione dei mechitaristi, hanno mantenuto vive, con le loro produzioni, traduzioni ed edizioni, la lingua, la letteratura e la storia armena, perpetuando in tal modo la ricca tradizione del monachesimo armeno. La funzione così importante dei monasteri spiega la presenza di una specifica tipologia architettonica, il gavit: si tratta di un grande spazio coperto, che precede la chiesa e che, pur potendo avere un utilizzo anche religioso, svolge soprattutto la funzione di aula d’insegnamento, sala d’incontri e di assemblee e per l’amministrazione della giustizia. Nel corso dei secoli in cui gli armeni non hanno avuto uno stato indipendente e hanno vissuto sparsi in tutto il mondo, la Chiesa è stata la più solida garante del sentimento nazionale. 165


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

5. IL MONACHESIMO IN GEORGIA

5. IL MONACHESIMO IN GEORGIA RU S S IA

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279a 279b 280

Uno dei grandi maestri dell’ascetismo in Asia Minore fu Eustazio di Sebaste, personalità controversa sia come uomo di Chiesa, sia come vescovo e teologo, seguace di un ascetismo molto puritano. Fu colui che iniziò e propagandò il monachesimo tra gli armeni, i paflagoni e le popolazioni del Ponto. La Georgia si convertì al cristianesimo intorno al 337, sicuramente per opera di una giovane schiava che si chiamava Nina, la quale ottenne la conversione del re Mirian e della regina Nana, affascinati dalla sua virtù e religiosità. Fu una conversione immediata, ma profonda e duratura. Il re Mirian commosso per i miracoli operati da Nina, si recò dall’imperatore Costantino per chiedergli di mandargli sacerdoti, e fu così che tutto il popolo abbracciò la religione cristiana. Già dal 331 si conosce la presenza di una sede vescovile in Georgia; da lì, il cristianesimo si diffuse, verso Oriente, fino in Albania, verso Occidente, fino alla Colcide. Parlando di monachesimo georgiano, bisogna fare una distinzione tra monaci georgiani presenti al di fuori della Georgia e quelli residenti all’interno dei confini. Una delle caratteristiche, infatti, del monachesimo georgiano è la sua tendenza ad espatriare e a fondare monasteri in diversi paesi, nei quali manterranno le proprie caratteristiche. Il primo monaco georgiano che si conosce fu Evagrio Pontico (345-399), famoso tra i monaci di Nitria in Egitto. A Gerusalemme, esisteva un noto «monastero degli Iberi», quello di San Teodoro, dove si trovano le più antiche iscrizioni in lingua georgiana (430); in Siria, il Clibanion fu il centro dove si produssero le traduzioni patristiche e liturgiche dal greco al georgiano. Centri di monaci georgiani si formarono anche in altri paesi, come la Palestina, l’Egitto, o accanto alla colonna di san Simeone lo Stilita e a Mar Saba. Più tardi, sarà molto cospicua la colonia georgiana presente sul Monte Athos. 166

ATHOS

Costantinopoli

Antiochia SIRIA PALESTINA Gerusalemme

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EGIT T O NITRIA

279a. Principali monasteri della Georgia 279b. La Georgia nel contesto geografico medio orientale.

La sorprendente fioritura dei monasteri di monaci georgiani al di fuori dei confini naturali può essere spiegata soltanto con l’esistenza di una forte vita monastica all’interno dei confini. La cosa curiosa, però, è che non ci sono notizie di tale esistenza prima del V secolo, quando il re Vachtang fece venire dalla Grecia due monaci, che successivamente divennero cattolici della Chiesa di Georgia (punto supremo di riferimento religioso di carattere nazionale, con funzione identica a quella dei patriarchi dell’Impero), vale a dire, di una Chiesa autocefala. L’accettazione dell’ortodossia cristologica portò la Chiesa georgiana a seguire un percorso differente da quello delle altre Chiese del Vicino Oriente, nelle quali il monofisismo o il nestorianesimo ebbero il ruolo di motori spirituali, tutori dei riti particolari, di fronte all’espansionismo costantinopolitano. La Georgia accettò il rito bizantino, ma ciò non fu mai il presupposto di una perdita dell’identità o dell’orgoglio etnico. Lo stesso re Vachtang fondò un monastero a Opiza, che divenne celebre in seguito sia per la sua vita religiosa, sia per la sua attività in favore dei bisogni del popolo georgiano. Questo e altri monasteri promossero la lingua locale, per favorire la tutela della propria identità nazionale, utilizzandola in tutte le mansioni ecclesiastiche, sia nella liturgia, sia in un’interessante letteratura religiosa, espressa nei generi più disparati: scritti apocrifi, esegetici, dogmatici, agiografici, ascetici e di diritto canonico. Nei monasteri ebbe origine una ricchissima attività culturale, che segnerà la vita del popolo georgiano, in ogni sua manifestazione. L’espansione monastica propriamente detta inizia in Georgia con i cosiddetti Tredici Padri siriani, giunti in Georgia dalla Mesopotamia, nel 550. Essi riorganizzarono il monachesimo esistente, lo

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280. La Georgia, come si è visto per Bulgaria e Serbia, ha un suo monastero nella penisola dell’Athos. Si tratta di Iviron, uno dei monasteri che stanno sul mare, il suo porto è di conseguenza a stretto contatto con il monastero. 281. Alzato della chiesa del monastero di Opiza (secolo IX) il monastero fondato nel V secolo da re Vachtang. 167


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

5. IL MONACHESIMO IN GEORGIA

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282-284. Monastero rupestre di Udabno a David-Garedza nel distretto di Sagaredzo e veduta dei resti della grande lavra di Garedza fondata nel VI secolo dall’eremita san Davide. Il monastero era totalmente affrescato nelle parti comuni, si può vedere dall’esterno e dall’interno il refettorio con i posti dei monaci a loro volta scavati nella roccia.

285. Rovine della sala superiore del «palazzo» (VIII-IX) del monastero di Nekresi, distretto di Kvareli, nell’antica regione della Kahetia. 286-287. Pianta e sezione longitudinale della chiesa di Nekresi, con edifici adiacenti. La costruzione, come si vede, è un esempio interessantissimo di basilica a tre chiese. 288. Chiesa del monastero di Martvili nel distretto di Gegečkori nella regione storica della Mingrelia. La costruzione, di cui si vede la facciata occidentale, è del VII secolo.

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fecero sviluppare e lo difesero; contribuirono, inoltre, in modo decisivo, al fallimento del monofisismo nel paese. I Tredici Padri arrivarono con la benedizione e l’appoggio di Simeone lo Stilita il Giovane, e questo spiega la devozione e l’influsso che la vita di questo monaco ebbe sulle tradizioni della Chiesa georgiana. L’anacoretismo, soprattutto nella sua forma itinerante, conservò sempre un buon numero di adepti tra i monaci di Georgia, anche dopo la diffusione del monachesimo cenobitico. Sotto la dominazione araba, che durò dal 650 almeno fino al IX secolo, si nota una particolare espansione della vita monastica, che si trasforma in fulcro della vita culturale e religiosa. Il momento dell’acme culturale del XII secolo coincide con una brillante epoca di espansione politica, in cui il regno si estese dal mar Nero al mar Caspio, da Trebisonda al Caucaso. La decadenza iniziò con l’occupazione mongola. Caratteristica del monachesimo georgiano fu la preoccupazione apostolica, fino al punto che, per potersi dedicare completamente all’apostolato diretto, tutti i monaci che avevano le qualità per farlo, venivano ordinati sacerdoti. Nonostante le invasioni e l’intermittente dominazione araba, e nonostante tutte le difficoltà politiche ad essa conseguenti, il processo di riunificazione territoriale fu completato nel 1008, quando iniziò il secondo importante periodo della Georgia (XI-XIII secolo). Il personaggio più illustre fu, senza dubbio, Davide il Costruttore, che stabilì la capitale a Tbilisi, organizzò un sistema feudale fortemente centralizzato e un temibile esercito, associò la Chiesa alla direzione dello Stato, vigilando personalmente sulla scelta dei vescovi. Fece costruire chiese e monasteri, tra cui quello di Gelati, che divenne un famoso centro universitario. La caduta della monarchia russa nel 1917 ripristinò l’autocefalia 169


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

5. IL MONACHESIMO IN GEORGIA

289. Affresco nella chiesa della Madre di Dio del monastero di Gelati nel distretto di Tkibuli nell’antica regione della Imeretia. L’affresco del secolo XVI mostra il santo monaco Davide che, dopo la riunificazione della Georgia avvenuta attorno al Mille, divenne il maggior fondatore e costruttore di monasteri tra i quali Gelati.

290. Chiesa minore di San Giorgio posta sul retro del katholikon all’interno del monastero di Gelati.

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292. Come il katholikon anche la chiesa minore di San Giorgio era concepita per essere pienamente affrescata. Nonostante lo stato di deperimento si può ammirare lo splendido cromatismo dell’arte monastica georgiana.

291. Planimetria del monastero di Gelati tra il XII e XIII secolo. Al centro si vede il vasto complesso del katholikon, la chiesa principale.

della Chiesa georgiana che, dopo l’annessione all’impero russo, all’inizio del XIX secolo, era stata assorbita dalla Chiesa russa. Le difficoltà provocate dal regime comunista furono le stesse degli altri territori dominati da tale ideologia, ma in Georgia la rinascita del cristianesimo è stata rapida e ha saputo unirsi, sin dall’inizio, ad importanti manifestazioni culturali e sociali del paese. La nascita della Repubblica di Georgia, nel 1991, ha determinato l’inizio di una nuova epoca per la Chiesa locale, il cui prestigio aumenta di giorno in giorno. Oggi conta circa tre milioni di fedeli. 170

Alla doppia pagina seguente: 293. Un eccellente esempio di monastero georgiano fortificato è Ananuri nel distretto di Duyeti, antica regione della Kartlia. L’assetto attuale è dovuto a rifacimenti dei secoli XVII e XVIII.

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

5. IL MONACHESIMO IN GEORGIA

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VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

6. IL MONACHESIMO ITALO-GRECO

6. IL MONACHESIMO ITALO-GRECO Roma

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Montecassino ValleluceA Serperi

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SICILIA

294. Il katholikon estremamente ben conservato di un monastero nei pressi di Stilo in Calabria. Se ne avverte chiaramente la pianta a croce greca inscritta in un quadrato. 295. L’Italia meridionale e la Sicilia furono terra d’elezione del monachesimo italo-greco, che prosperò tanto sotto il governo dei Bizantini quanto poi sotto quello dei loro nemici, i Normanni (nella cartina i monasteri italo-greci sono indicati con il triangolo rosso; la linea beige mostra l’estensione della riconquista delle terre meridionali effettuata dall’imperatore Basilio II all’inizio del secondo millennio).

Nel sud della penisola italiana e nella Sicilia, durante il Medioevo, troviamo una ricca e variegata diffusione del monachesimo greco. Erano i territori della cosiddetta Magna Grecia, dove la tradizione greca era continuata nel corso dei secoli, e furono meta dell’espansione bizantina, nel momento di apogeo dell’impero. La vita eremitica, le lavre, i piccoli centri monastici si moltiplicarono nel corso dei secoli. In misere capanne o grotte solitarie viveva una moltitudine di asceti consacratisi alla preghiera, al digiuno e alle penitenze corporali, con l’ammirazione della popolazione vicina, suscitata dall’austerità della vita e dalla fama di profeti e di fautori di miracoli. Dopo la conquista di queste terre da parte delle truppe di Giustiniano (VI secolo), e l’esodo dei monaci orientali, profughi dell’invasione persiana (VII secolo), o dei monaci fuggiti a causa della persecuzione iconoclasta (VIII secolo), il monachesimo italo-greco 174

RO IMPE

FA T I M I D

296. Ruggero II, re dei Normanni in Sicilia, viene incoronato da Cristo. Mosaico nella chiesa della Martorana a Palermo.

E

298. Facciata della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Forza di Agrò, nella Sicilia orientale a sud dello stretto di Messina. Una delle tradizioni ce la presenta come una ricostruzione operata nel 1116 in favore della comunità greca da Ruggero II su sollecitazione del monaco Gerasimo. La chiesa infatti si ispira per la cromaticità all’arte bizantina.

MALTA

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aumentò considerevolmente. Quando, nell’831, gli Arabi invasero la Sicilia, molti monaci si rifugiarono in Calabria, dove fondarono nuovi monasteri, trasformando questa regione in una nuova Tebaide, per poi fare ritorno in Sicilia nell’XI secolo, dopo la conquista normanna, per restaurare sull’isola l’antico splendore della vita monastica. Il monachesimo basiliano arrivò a possedere, in Calabria, più di 300 monasteri e un numero altrettanto cospicuo in Sicilia, divenuta un focolaio di cultura bizantina. Altri monasteri seguirono la regola di Teodoro Studita e di sant’Antonio del Monte Athos. Questa situazione provocò la sfiducia dei Normanni, che, temendo che i monaci basiliani fossero partigiani del regime bizantino, cercarono di proteggere il monachesimo benedettino, favorendo l’estensione di tale regola. Ciò nonostante, la devozione popolare verso i monaci greci fu co-

297. Mosaico della navata di Santa Maria del Pátir presso Rossano in Calabria. Vi si raffigura un centauro, segno della costante influenza della cultura classica greca nel monachesimo greco del sud Italia.

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stante al punto che i Normanni finirono per accettarli e proteggerli. Infatti, il famoso monastero del Patìr, primo tra i monasteri greci, ottenne nel 1105 il privilegio d’esenzione dalla giurisdizione episcopale. Fu proprio durante la dominazione normanna che i monaci greci di Calabria espressero la loro maggiore vitalità, con una moltitudine di santi, e un notevole influsso negli studi e nell’arte dell’epoca. Esercitarono, infatti, un efficace ruolo di tramite della cultura greca per l’Umanesimo italiano. A Messina, il monastero del Santissimo Salvatore ottenne, nel 1131, da parte di Ruggero II, che i più di trenta monasteri basiliani della diocesi si raggruppassero sotto il suo archimandritato, senza dover sottostare a nessun’altra autorità religiosa o secolare. Questa concentrazione ricorda, da una parte, quella avvenuta a Cluny, ma, senza dubbio, l’esempio più diretto fu il sistema esistente nel Monte Athos, dove l’amministrazione dei monasteri era 175


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

6. IL MONACHESIMO ITALO-GRECO

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299. Nella cappella Palatina, famosissimo edificio del Palazzo dei Normanni a Palermo campeggia questo mosaico con i tre grandi padri della Chiesa orientale, san Gregorio il Teologo, san Basilio e san Giovanni Crisostomo. I Normanni, una delle culture che più hanno determinato la formazione dell’Europa, in Sicilia dovettero convivere con il cristianesimo d’Oriente e perciò permettere al culto popolare di tramandare la memoria delle proprie radici.

diretta da un consiglio, sottoposto all’archimandrita. La nuova legislazione monastica, che favoriva la vita regolamentata ed evitava i pericoli dell’isolamento, provocò la fioritura in Sicilia delle antiche tradizioni basiliane, con grandi ripercussioni in campo spirituale e culturale. A partire dalla seconda metà del XIII secolo, con la dominazione degli Angioini, inizia la decadenza dei monasteri basiliani, sia perché l’elemento greco era estremamente diminuito, sia perché la lotta tra Angioini e Aragonesi comportò, di fatto, la scomparsa del rito greco. Si concludeva, così, la suggestiva epopea del monachesimo bizantino dell’Italia meridionale. Il monachesimo greco, però, non scomparve del tutto in Italia: rimane infatti, fino ai nostri giorni, la gloriosa Badia di Grottaferrata, fondata da san Nilo. San Nilo nacque a Rossano (Calabria), intorno al 910, da una nobile famiglia di origine italo-greca. Dopo aver lasciato la sua sposa, divenne monaco, trascorrendo il tempo in preghiera e penitenza e nello studio della Sacra Scrittura e dei Padri, senza trascurare la letteratura, in cui si distinse come raffinato poeta. Durante il 176

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301. Mosaico dell’arco trionfale dell’interno della chiesa di Santa Maria Odigitria nella badia di San Nilo. San Nilo stesso è raffigurato sulla sinistra in basso, di fronte a san Bartolomeo, realizzatore della fondazione della badia.

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300. Il monachesimo italo-greco si spinse sino a Roma, la più importante fondazione pervenuta sino ai nostri tempi è la badia di San Nilo a Grottaferrata, che compirà nel 2004 il suo millenario. Qui è riprodotta una pagina di un testo di letteratura monastica a mano dello stesso fondatore, san Nilo (Ms. B.α′ 189).

periodo di vita eremitica, rinnovò le prove e le vittorie degli antichi padri del deserto. L’insistenza dei suoi discepoli lo incoraggiò a fondare un monastero nei pressi di Rossano. Da lì, messosi in viaggio verso nord, fondò monasteri, tra cui quello di Valleluce, vicino a Montecassino, e quello di Serperi, vicino a Gaeta, dove ricevette la visita del giovane sognatore Ottone III, che, in segno di rispetto e venerazione, mise la corona imperiale nelle sue mani. La sua ultima fondazione fu quella di Grottaferrata, dove morì all’età di 95 anni, lasciando una scia di ammirazione ed entusiasmo, sia tra i popoli ellenizzati della Calabria, sia tra quelli del Lazio, e fu venerato dai principi d’Italia e dall’emiro di Salerno. San Nilo, nonostante sia stato fondatore di molti monasteri, visse la maggior parte della sua vita nella più assoluta solitudine, e la regola di san Basilio, che egli diede a tutti i suoi monasteri, fu modificata dalla sua estremamente rigida tendenza all’ascesi. Grottaferrata fu consacrata da papa Giovanni XIX, nel 1024, a Santa Maria Madre di Dio e il documento più antico che ne attesta il nome fu la bolla di Benedetto IX, del 1037. I monaci si sono sempre dedicati, sin d’allora, seguendo fedelmente l’esempio del

302. La costruzione romanica di Grottaferrata è dimostrazione di un pieno accoglimento all’interno di un’espressione architettonica occidentale della spiritualità italo-greca.

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fondatore, allo studio della Scrittura e dei Padri, alla conservazione e al restauro dei manoscritti antichi, lasciando un’impronta profonda nell’agiografia, nell’innografia e nella filologia e mantenendo viva, nel corso dei secoli, la tradizione iconografica italogreca. L’abate Vitali prese parte al Concilio di Firenze, cui parteciparono il patriarca di Costantinopoli, numerosi vescovi greci e il famoso cardinale Bessarione, abate commendatario del monastero, che favorì gli studi e la liturgia greca negli anni in cui Costantinopoli cadeva in mano ai turchi. Fino ai nostri giorni, i monaci si dedicano all’apostolato diretto e agli studi orientali e conservano nella loro biblioteca una straordinaria collezione di manoscritti greci, soprattutto liturgici e di musica bizantina. L’importanza dell’opera di san Nilo, al di là delle sue fondazioni, consiste nel nuovo vigore apportato al monachesimo italo-greco, che riuscì perfettamente a integrarsi nella stessa tradizione latina e italiana, apportando la propria cultura e sensibilità religiosa. 177


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

7. IL MONACHESIMO NELLA RUSSIA DI KIEV

7. IL MONACHESIMO NELLA RUSSIA DI KIEV

305. Planimetria dell’area di Kiev dove si vedono la cattedrale di Santa Sofia ed i vari monasteri; il più discosto è quello delle Grotte.

Chiesa della Dormizione na Podole

306. Cartina dell’antico principato di Kiev all’inizio del secolo XI. Chiesa della Decima Chiesa Cattedrale Monastero di S. Sofia di S. Teodoro di S. Basilio Monastero di S. Giorgio Porta d'Oro

Monastero di S. Michele dalle Cupole d'Oro

Monastero di S. Irene

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307 Monastero delle Blacherne

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Monastero del Salvatore a Berestovo (Spasskij-Berestovskij)

303. Tomba di Jaroslav il Saggio posta nella famosa cattedrale di Santa Sofia a Kiev, antica capitale della Rus’ (antica Russia), oggi della Repubblica indipendente di Ucraina. Il principe Jaroslav fu promotore della vita monastica nella Rus’ appena convertita al cristianesimo.

Monastero delle Grotte (Pečerskij)

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Il monachesimo del periodo kieviano può essere raggruppato sotto due modelli fondamentali. Accanto ai monasteri fondati da un principe e strettamente legati alla famiglia del fondatore sorgono a poco a poco, attorno all’esperienza personale e carismatica di un monaco, centri monastici che meglio sapranno tradurre nell’esperienza ascetica i tratti tipici del popolo. Nella più antica cronaca degli slavi orientali, la Cronaca di Nestore (Povest’ vremmenych let), ritroviamo la prima testimonianza cronologica di questi due tipi di fondazioni monastiche. Nel 1037 Jaroslav il Saggio fonda due monasteri in Kiev sul tipo di quelli bizantini, nei quali gene178

L.Onega L. Ladoga

Ladoga Mar Baltico

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Novgorod

L.Peipus

Rostov

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304. L’icona della Madre di Dio nel famoso monastero delle Grotte di Kiev fondato da Antonio delle Grotte. Il cristianesimo entrato nella Rus’ come conversione voluta dai regnanti, fu reso popolare proprio dall’opera dei monaci e questa immagine è divenuta una delle più venerate della Kiev cristiana. Qui vediamo una copia del XIII secolo della Madre di Dio delle Grotte (Svenskaja), raffigurata affiancata dai fondatori del monastero: Antonij e Feodosij. Oggi l’opera si trova alla Galleria Tret’jakov di Mosca.

PO LO N

L’inizio del cristianesimo tra gli slavi orientali della Rus’ di Kiev è precedente al decimo secolo. Anche le prime testimonianze di una presenza monastica in quel periodo sono evidenti. Tuttavia solo con il battesimo del gran principe Vladimir e dei suoi sudditi nel 988 vengono poste le basi per lo stabilizzarsi di alcune forme di vita monastica organizzata secondo modelli bizantini. È molto importante il contributo che da allora il monachesimo ha dato all’interiorizzazione del messaggio cristiano tra gli slavi orientali, imprimendogli l’impronta monastica caratteristica del cristianesimo orientale. Bisanzio, da cui Vladimir accettò il battesimo, appena due secoli prima è uscito dalla lotta iconoclasta, conclusa con la vittoria del partito dei monaci (secondo concilio di Nicea, 787) che ne è rinforzato, tanto da diventare la forza determinante nella Chiesa bizantina. È da presumere che i missionari venuti a Kiev fossero dei monaci e che questi abbiano formato la nascente Chiesa russa in tale spirito. Infatti, il monachesimo mise subito radici tra il popolo cristianizzato ed esercitò presto un grande influsso religioso, sociale e culturale.

307. Sezione in alzato della facciata settentrionale della cattedrale della Dormizione di Maria costruita nel monastero delle Grotte (da N. Logvin).

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IMPERO BIZANTINO

ralmente era il fondatore a dare un ordinamento (typikon) e a conferire benefici. Nel 1051, attorno all’esperienza di un solitario, Antonio, si raccolgono dei discepoli e danno inizio alla vita monastica propriamente slava. La Cronaca, con pochi ma significativi tratti, pone a confronto questa esperienza monastica con le due fondazioni di Jaroslav: «Molti monasteri da regnanti e da boiari e dalla ricchezza furono fondati, ma non sono come quelli fondati dalle lacrime, dal digiuno, dalla preghiera e dalle veglie. Antonio non aveva né oro né argento, ma fondò il monastero con le lacrime e con il digiuno». È, quindi, solo a partire da Antonio delle Grotte (=pečery) (Antonij Pečerskij, † 1073) che il monachesimo comincia a radicarsi veramente nella coscienza del popolo della Rus’. Antonio, dopo essere stato iniziato alla vita monastica sul Monte Athos, scelse le grotte sulla collina di tufo sopra il fiume Dniestr per condurre la vita anacoretica, a Berestovo, dove già prima di lui per breve tempo viveva un altro solitario, il sacerdote Ilarione. Con Teodosio delle Grotte (Feodosij Pečerskij, † 1074) il nascente movimento monastico passa dalla vita eremitica a quella cenobitica. Nasce così il monastero detto «delle Grotte», insignito dal 1169 con il titolo di «lavra» (Kievo-Pečerskaja Lavra), destinata a diventare punto di partenza e centro del movimento ascetico e di irradiazione spirituale tra tutti gli slavi orientali. Adottando come regola l’Hypotyposis nell’edizione di Alessio Studita di Costantinopoli, Teodosio aggancia il suo monastero alla tradizione bizantina che risale fino a san Basilio, senza però rinunciare alle caratteristiche proprie. I tratti più autentici di questo primitivo monachesimo russoucraino devono essere ricercati nella testimonianza delle fonti che narrano la vita dei primi monaci del grande monastero di Kiev: la 179


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

308. Veduta generale del monastero di San Giorgio di Novgorod nel nord dell’antico principato di Kiev. Con la venuta successiva dei Mongoli sarà verso nord che si rifugeranno in gran parte i monaci e con loro il punto di riferimento della cristianità russa.

vita di san Teodosio, scritta dal monaco Nestor alcuni anni dopo la morte del santo, e il Paterikon, composto nella prima metà del XIII secolo. Nel Kievopečerskij Paterik, la tradizione ascetica trova la sua formula classica. Composto sull’esempio dei «Libri dei Padri» antichi, ma a differenza da essi non riferisce solo detti, bensì racconta la vita di numerosi monaci del Monastero delle Grotte. Nonostante tratti leggendari, il Paterikon costituisce una preziosa fonte, perché permette di seguire lo sviluppo del monachesimo russo, che non riproduce solo i modelli bizantini, ma fa emergere tratti peculiari, propri della nascente spiritualità slava. Tali sono ad esempio i forti richiami alla vita in comune e l’umiltà come predilezione per i lavori vili. Un’altra caratteristica è la tendenza all’ascesi «passiva», vale a dire considerare la sopportazione delle condizioni geografiche e climatiche sfavorevoli e la necessità del duro lavoro manuale come ascesi, senza ricercare altre forme, note nell’Oriente e a Bisanzio. Se la regola studita, invece dell’obbedienza nel senso stretto, mette in rilievo l’idea del servizio alla comunità e alla società, Teodosio va oltre, considerando non solo la sua stessa funzione dell’igumeno come «servizio», ma ricercando i lavori più umili e indossando vestiti più poveri. Il modo di Teodosio di interpretare la tradizionale povertà monastica è tra i tratti più caratteristici. Proibendo non solo la proprietà privata del singolo monaco, ma insistendo sulla povertà totale dell’intera comunità (nessuna provvista per domani!), egli cerca di unire il modello basiliano di vita comune con la povertà tipica degli eremiti, compresa come abbandono totale alla provvidenza di Dio. Più tardi si assisterà a un fenomeno simile con il sorgere degli ordini mendicanti nell’Occidente. Interessante è anche lo spirito collegiale nell’ele180

309. All’interno del Salterio tutto occidentale dell’arcivescovo Egberto di Treviri troviamo alcune miniature della Rus’ di Kiev. Il codice divenne parte della dote di Gertrude andata in sposa al principe di Kiev Izjaslav Jaroslavić. Qui si vede l’incoronazione da parte di Cristo del principe Jaropolk e della principessa Irina che è ricordata come una grande fondatrice di monasteri.

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310. Veduta dal fiume Volchov del monastero dedicato a Sant’Antonio a Novgorod, uno dei maggiori centri della cristianità all’epoca del principato di Kiev.

311. Straordinario frammento di un affresco con la raffigurazione di un santo nel monastero di Sant’Antonio a Novgorod. L’arte monastica russa, in piena fedeltà alla tradizione bizantina ha ormai assunto la sua peculiarità con scuole locali di pittori e affrescatori, capaci di una straordinaria forza espressionista che ne ha permesso una forte introiezione popolare ed è divenuto perciò un efficace strumento di devozione.

zione di nuovi igumeni, anche se ciò causerà situazioni di crisi. In un certo senso si può, infatti, dire che nel Paterik si trovano già in nuce le antinomie che attraverso i secoli dovrà affrontare la Chiesa russa: l’ideale della vita comune e del suo ordine, l’apertura continua alla solitudine e all’idioritmia (vita secondo il proprio ritmo). La spiritualità della fuga dal mondo insieme con l’apertura alla gerarchia, alla società. Il desiderio di impadronirsi della sapienza dei libri e l’inclinazione al farsi «pazzo per Cristo» (jurodistvo). In alcune figure di monaci descritte nel Paterik di Kiev, vissuti tra il XII e XIII secolo, emerge un graduale affievolirsi di quell’armonia tra ascesi e vita monastica, tra solitudine e comunità, incarnata nella figura di Teodosio. Ciò condusse a esagerazioni nella scelta delle forme e dei mezzi ascetici e soprattutto all’affievolirsi della vita cenobitica. Nei secoli XII e XIII si nota come la crescita materiale, prodotta da benefici e donazioni, e il legame sempre più stretto del principe con il monastero portarono la Lavra delle Grotte a Kiev e gli altri monasteri sorti a Novgorod, Suzdal’, Vologda, Vladimir a una sempre maggior incidenza sociale e culturale, ma anche a una decadenza spirituale. L’invasione dei Mongoli nel 1240 pose fine alla vita nella Lavra che più tardi poté essere rinnovata senza però riacquistare la stessa importanza di prima. Chiusa dopo la rivoluzione d’ottobre, la Lavra fu trasformata dai bolscevichi in un museo. Dopo i bombardamenti durante la II guerra mondiale, parzialmente ricostruita e riaperta alla vita monastica, la Lavra ora costituisce il più importante monastero ortodosso ucraino. 181


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

8. SINAI, BISANZIO, ATHOS E LA LORO INFLUENZA

8. SINAI, BISANZIO, ATHOS E LA LORO INFLUENZA

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314. Icona dedicata al grande interprete della spiritualità sinaita Giovanni Climaco, qui lo vediamo tra san Giorgio e san Biagio. Si tratta di un’icona del XIII secolo conservata al Museo Russo di San Pietroburgo. 312-313. Due vedute, in controcampo, del famoso monastero di Santa Caterina del Sinai. Con l’Athos questo monastero è rimasto nei secoli uno dei centri della spiritualità cristiana orientale, riconosciuto punto di riferimento per tutti i paesi ortodossi e del cristianesimo orientale. Il monastero inoltre è rimasto luogo di pellegrinaggio per l’intera cristianità, anche occidentale, meta non secondaria, del pellegrinaggio in Terra Santa.

Per giungere a Gregorio Palamas (1296-1359), l’ultimo grande teologo bizantino che ha conferito all’esicasmo un fondamento metafisico, influenzando in modo duraturo tutta la spiritualità e la teologia ortodossa la quale nel Palamismo ha riconosciuto la sua più elevata espressione, bisogna partire dagli stessi inizi del monachesimo. La tradizione dei padri antichi ha trovato nel «dottore del deserto» Evagrio Pontico (345-399) la sua sistematica elaborazione. Senza parlare espressamente della preghiera del cuore, Evagrio rileva con insistenza un certo numero di temi che si ritrovano in seguito in tutta la spiritualità orientale: custodia del cuore, spogliamento dello spirito, semplificazione della preghiera, lotta 182

contro i «pensieri». Sia la «scuola sinaita» che la mistica bizantina, nonché gli esicasti athoniti si rifanno a lui. L’interprete più originale della «spiritualità sinaita» è Giovanni Climaco († 649?), che continua la tradizione degli anacoreti del Sinai, attestata già nel IV secolo. Attorno al 557 sorge il monastero di Batos – dal secolo XI denominato di Santa Caterina – sul tradizionale luogo del roveto ardente di Mosè (Es 3,2). Giovanni, prima di diventarne igumeno, vi condusse per quarant’anni vita eremitica. Nel suo libro Scala del paradiso (climax tou parádeisou), in 30 capitoli (gradini), egli dà insegnamenti a solitari e contemplativi sulla lotta spirituale e l’acquisto delle virtù, basandosi sulla dottrina di Evagrio Pontico, di altri Padri, oltre che sulla

propria esperienza. La Scala è una vera summa della vita spirituale, molto avvincente per il tono pratico e metodico della sua psicologia ed è stata molto letta sia in Oriente che in Occidente. A causa di quest’opera il suo autore fu chiamato «Climaco». Per Climaco come per Evagrio, la preghiera si sviluppa con una progressiva eliminazione delle immagini e dei pensieri. Di qui la necessità della monologia (la preghiera «di una sola parola») o invocazione breve di Gesù incessantemente ripetuta, la quale dispone lo spirito e alimenta il ricordo costante del Signore. Il ricordo e la sua espressione orale devono, secondo Climaco, costituire «una cosa sola con il respiro». Questa sua osservazione farà scuola, anche se è difficile dire se l’autore l’abbia intesa come una descrizione metodologica. Molto più insistenti su que-

sto punto saranno invece i suoi posteri, tra cui Esichio Sinaita (VIII-X secolo) e Filoteo (fine XII secolo). Climaco, comunque, resterà un autore classico e diventerà l’ispiratore meno contestato del rinnovamento esicasta del XIII-XIV secolo sul Monte Athos. Ancora nel XIX secolo, il vescovo russo Ignatij Brjančaninov – mettendo in guardia i principianti contro i pericoli dei metodi psico-fisici – parla del «metodo di Climaco» come di quello più semplice e più sicuro per arrivare alla preghiera del cuore. Continuando la tradizione, Esichio Sinaita propone una nozione molto semplice della perfezione spirituale. Per lui tutto sta nell’attenzione, nella sobrietà e nella pace interiore (l’esichia). Discernere i pensieri, arrestando quelli cattivi, cioè le rappresentazioni fantastiche, significa tenersi liberi dal peccato che da esse 183


8. SINAI, BISANZIO, ATHOS E LA LORO INFLUENZA

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315. Icona che rappresenta la famosa Scala del Paradiso secondo quanto descritto da Giovanni Climaco come abbiamo detto nell’illustrazione 179 di questo atlante. Questa icona fu probabilmente dipinta nella seconda metà del XII secolo nello stesso monastero di Santa Caterina dove è conservata.

trae l’origine. L’arma più efficace in questo combattimento è, per Esichio, l’invocazione monologica, vale a dire la preghiera di Gesù. Sia Niceforo Aghiorita sia Gregorio Palamas riprenderanno tale e quale questa semplice dottrina, arricchendola rispettivamente della tecnica del respiro e della visione della luce taborica. Simeone Nuovo Teologo (917-1022), autore di un gran numero di catechesi e di poesie che lo qualificano come uno dei più grandi, se non il più grande mistico bizantino, costituisce un importante anello fra la tradizione e l’esicasmo athonita. Il suo pensiero teologico poggia sul presupposto che il battezzato non sviluppa veramente gli effetti del suo battesimo, se non perviene alla coscienza della presenza dello Spirito Santo dentro di sé e non vede la luce della gloria di Dio. Con ciò Simeone si ritrova all’interno dell’altra grande corrente spirituale, che nell’Oriente coesiste con quella intellettualistica evagriana, ma che – a differenza di essa – ricerca l’esperienza sensibile della grazia divina. Questo, come anche le 184

visioni della luce divina, fanno di Simeone Nuovo Teologo un autore a cui volentieri si rifarà l’esicasmo athonita, avviato dal XIII secolo in poi e che trova in Niceforo una figura chiave. Niceforo il Solitario (seconda metà del secolo XIII), chiamato anche «l’esicasta» o «aghiorita», fu il primo e più autorevole testimone (datato con certezza) della preghiera di Gesù combinata con una tecnica respiratoria. È lui (secondo I. Hausherr) l’autore del famoso testo «Il metodo della santa preghiera e dell’attenzione», che la tradizione attribuiva invece a Simeone Nuovo Teologo, sotto il cui nome è entrato anche nella Filocalia. Il testo descrive la posizione del corpo, il modo del respiro e lo sforzo psico-fisico per giungere più velocemente alla visione della luce. La vera e propria restaurazione esicasta del XIII-XIV secolo viene invece sovrastata dalla figura di Gregorio Sinaita (1255-1346), soprannominato così a causa della sua permanenza sul Sinai, prima

316. Caratteristica veduta di un monastero dell’Athos sul mare, si tratta del monastero di Grigoriu di cui si vede al centro il katholikon.

che approdasse al Monte Athos. Nutrito della dottrina del Climaco e di Simeone Nuovo Teologo, anche per Gregorio la vita spirituale consiste nel recuperare o meglio riscoprire sperimentalmente l’«energia» battesimale e nel percepire la luce. Come Niceforo, anch’egli vede nella preghiera di Gesù, accompagnata dal controllo del respiro, la via più breve per riuscirci. Senza, tuttavia, dilungarsi molto sul ritmo della respirazione, Gregorio precisa che l’invocazione del nome di Gesù allude a un certo dolore fisico conseguente al metodo, ed espone più dettagliatamente i suoi effetti psicologici. Quando Gregorio giunse sull’Athos, dove ormai dal IX secolo si coltivava la vita monastica, rimase colpito di non trovarvi vita contemplativa ma soltanto osservanza di prassi esteriore dell’ascesi e della preghiera. Egli si stabilì quindi nella skiti di Magulà dove iniziò all’esicasmo un gruppo di discepoli. È probabile che in questo tempo abbia incontrato anche Gregorio Palamas. A causa delle incursioni turche Gregorio, nel 1325, fu costretto a

lasciare la Santa Montagna. Una lunga peregrinazione lo portò anche in Bulgaria, dove promosse l’esicasmo fra i monaci e contribuì alla sconfitta della setta bogomila. Nonostante la sua presenza relativamente breve, egli diede – con l’esicasmo – un potente impulso alla vita spirituale nei monasteri dell’Athos che d’allora in poi diverranno depositari della tradizione monastica ortodossa. Essa si irradierà in tutto il mondo ortodosso e feconderà particolarmente il monachesimo, sia romeno sia slavo, particolarmente russo: tanto Nil Sorskij che più tardi Paisij Veličkovksij attingeranno all’Athos come alle fonti della tradizione esicasta, prima di iniziare la loro opera di riforma del monachesimo, rispettivamente nel XV e nel XVIII secolo. Il movimento «neoesicasta», avviato dalla Filocalia (Venezia 1782), compilata sull’Athos da Macario di Corinto e Nicodemo Aghiorita, e ancor di più dalla sua versione slava (Mosca 1793), oltrepassò tra le due guerre i confini del mondo ortodosso e penetrò sempre più in quello cattolico. 185


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

9. SAN GREGORIO PALAMAS

9. SAN GREGORIO PALAMAS

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E L’ESICASMO

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317. Veduta orientale del katholikon della Grande Lavra del Monte Athos. Quale monaco in questa lavra san Gregorio Palamas difese la spirituale esicasta che conformò tutto il monachesimo di tradizione bizantina.

La teologia mistica ortodossa, chiamata teologia esicasta, ha conosciuto il suo apogeo nel XIV secolo grazie a Gregorio Palamas, che ne fu il difensore più acceso. Nato nel 1296 da una famiglia aristocratica di Costantinopoli, ricevette una eccellente formazione filosofica. Intorno al 1316 prese l’abito monastico, divenendo eremita nella Lavra sul Monte Athos, per passare in seguito in diversi luoghi e monasteri della famosa penisola monastica, ivi inclusi gli illustri monasteri di Vatopedi e di Esphigménou, del quale fu per qualche tempo anche igumeno. Il pensiero teologico del Palamas era, si direbbe oggi, il prodotto stesso della tradizione esicasta, la cui origine risale a un’epoca molto più antica. La teologia esicasta è strettamente legata all’esperienza mistica che ha come fine la partecipazione dell’uomo alle energie increate di Dio. Dal IV secolo prende l’avvio una mistica incentrata sull’invocazione incessante del nome di Gesù, sulla quale insiste san Paolo nelle sue Lettere. Tale preghiera si effettua nel cuore stesso dell’uomo che prega. Sotto la prospettiva di questa ripetizione incessante del nome di Gesù si dispiega successivamente la dottrina mistica dei grandi maestri di spiritualità, che conobbe una straordinaria diffusione. La preghiera esicasta è praticata nel corso del XIV secolo tra gli anacoreti e i monaci più austeri del Monte Athos. Nel corso di questo secolo, l’esercizio della preghiera del cuore ha conosciuto un nuovo vigore grazie all’attività e come si è visto nel capitolo 186

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318. San Gregorio Palamas in un’icona portatile del XV secolo conservata al Museo di Belle Arti di San Pietroburgo in Russia. 319. Icona della Trasfigurazione del XVIII secolo della Venerabile Arciconfraternita della Purificazione di Livorno, Italia. L’esicasmo, con l’invocazione continua del nome di Gesù promossa da

Gregorio Palamas, tende a far pervenire il fedele alla contemplazione della «vera luce» cioè di Cristo, in questo il suo effetto prodromico è l’esperienza degli apostoli durante il mistero della Trasfigurazione. Tale mistero e tale festa saranno perciò particolarmente venerati nella tradizione orientale, anche nelle zone periferiche come l’Italia. 187


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

9. SAN GREGORIO PALAMAS

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320. Scena suggestiva di un monaco al monte Athos in contemplazione davanti al mare. Sullo sfondo il monastero di Stavronikita.

precedente all’insegnamento spirituale di Gregorio Sinaita. Monaco originario dell’Asia Minore, questi era vissuto nei monasteri di Cipro, del Sinai e di Creta e aveva trasferito nella penisola athonita le tradizioni qui esistenti. L’insegnamento di Gregorio Palamas consisteva in una sistematizzazione di questa preghiera, il cui metodo «psico-fisico» mirava alla contemplazione che si ottiene mediante il «ritorno» dell’intelletto nel cuore e il controllo della respirazione e del battito cardiaco in modo tale che tutti coincidano. Così, ad ogni battito cardiaco si ripete l’invocazione del Nome divino nella forma di una breve preghiera: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». A poco a poco chi pratica questa preghiera perviene alla contemplazione della Luce di cui gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni parteciparono nella Trasfigurazione di Cristo. Inoltre, attraverso la preghiera del cuore, l’esicasta prende conoscenza delle realtà divine, alle quali non potrebbe pervenire con il solo intelletto. In questo modo, la teologia diviene una esperienza interiore ed empirica piuttosto che una conoscenza legata alla ragione. 188

L’insegnamento degli esicasti sulla preghiera trovò un acerrimo avversario nella persona del monaco Barlaam, un greco di Calabria, a cui l’imperatore aveva affidato l’insegnamento della filosofia a Costantinopoli. Dotato di una eccellente preparazione filosofica, Barlaam si oppose alla dottrina esicasta, che riteneva estranea all’ortodossia, in quanto – a suo avviso – contraria al principio dell’inconoscibilità di Dio. L’affermazione degli esicasti di poter partecipare delle energie increate di Dio, come quella della Luce della Trasfigurazione, era per Barlaam una pretesa inaccettabile, tanto più che la conoscenza che egli aveva delle convinzioni degli esicasti proveniva da monaci pii, ma semplici e incapaci di attingere a una vera e propria discussione teologica. Agli avversari degli esicasti non tardarono ad aggiungersi il monaco Acindino, il patriarca di Costantinopoli Giovanni Caleca, l’eminente storico bizantino Niceforo Gregora e altri prelati ed eruditi. Il monaco Palamas intraprese il ruolo principale di difensore delle dottrine esicaste, rifiutando gli argomenti di Barlaam e dei suoi adepti. A tal fine scrisse una serie di trattati

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321. In questa miniatura del XIV secolo viene rappresentato il Sinodo presieduto dall’imperatore Giovanni Cantacuzeno al palazzo della Blacherne a Costantinopoli nel 1341. Il Sinodo doveva risolvere la cosiddetta disputa riguardante l’esicasmo suscitata dal monaco Barlaam il Calabrese.

teologici intitolati «Triadi per la difesa dei santi esicasti», in cui insisteva sulla necessità di distinguere nettamente tra la conoscenza di Dio, che è impossibile, e la conoscenza delle sue energie, che è invece accessibile all’uomo. La «questione esicasta» fin dai suoi esordi coinvolse la vita ecclesiastica di Bisanzio e divise i teologi in due opposte fazioni. Tuttavia, gli argomenti teologici di Palamas attiravano sempre più i teologi verso le dottrine degli esicasti. Nel 1341 gli igumeni dei monasteri athoniti convocarono un sinodo, in cui fu sottoscritto all’unanimità un documento, il Tomos agioreitikós, redatto dal Palamas, a favore delle tesi degli esicasti. Malgrado ciò, gli oppositori non desistettero, inducendo l’imperatore Giovanni Cantacuzeno e la reggente Anna di Savoia a risolvere il problema con la convocazione di un nuovo sinodo nel 1347, che si espresse a favore di Palamas e degli esicasti con la scomunica degli avversari. Nello stesso anno Palamas fu promosso all’arcivescovato di Tessalonica. Altri due sinodi convocati nel 1351 e nel 1368 per la stessa ragione si pronunciarono ancora a favore degli esicasti. In

322. A Tessalonica, in Grecia, la chiesa di Santa Caterina, appariva già così all’epoca in cui Gregorio Palamas divenne vescovo della città dopo aver lasciato il Monte Athos.

questo modo, i monaci esicasti di Bisanzio e dei vicini Paesi balcanici, in cui il movimento esicasta aveva trovato un terreno assai fertile, venivano legittimati. L’opera di Palamas non fu di poco conto: la sua dottrina mistica aveva già gettato profonde radici nella vita della Chiesa e marcato l’inizio di una nuova epoca della teologia. Inoltre, molti prelati esicasti erano chiamati a rimpiazzare un gran numero di oppositori della loro stessa dottrina. Palamas fu autore estremamente prolifico. Oltre alle già menzionate «Triadi», scrisse numerose Lettere, indirizzate tanto ai suoi avversari quanto ai suoi sostenitori, alcune delle quali si configurano come autentici trattati di alta teologia, incentrati sull’importante questione della distinzione tra l’essenza di Dio e le energie divine increate. I suoi scritti edificanti comprovano la profondità della sua spiritualità, come pure le omelie ne mostrano lo zelo di pastore. Benché vescovo, il Palamas mantenne fino alla morte, sopraggiunta nel 1359, i sentimenti di monaco athonita solidi come agli inizi della sua vita di eremita del Monte Athos. Fu canonizzato dalla Chiesa di Costantinopoli nel 1368. 189


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

10. SAN SERGIO DI RADONEŽ

10. SAN SERGIO DI RADONEŽ

325. Veduta attuale della antica lavra della Santissima Trinità fondata da san Sergio in un sito non distante da Mosca, che poi prese il suo stesso nome, lavra della Trinità di San Sergio. Divenne il luogo principale di riferimento del monachesimo russo ed occupa tutt’ora un posto esclusivo nella spiritualità del popolo russo.

LA SUA TRADIZIONE E I SUOI EREDI 323

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323-324. Miniature dal famoso codice russo tardo medievale della Vita di San Sergio di Radonez, concernente san Sergio con i suoi confratelli.

San Sergio di Radonez, fondatore dell’attuale più importante monastero ortodosso russo (Troice-Sergieva Lavra), è uno dei principali santi monaci della Chiesa ortodossa russa, considerato anche un santo nazionale, per l’importanza che ebbe per la nascita dello Stato moscovita nel XIV secolo. La lavra da lui fondata ospita oggi anche l’Accademia teologica di Mosca ed è luogo di sepoltura dei patriarchi russi. Bartolomeo Kirilovič, così il nome civile del futuro monaco Sergio, nasce nel 1313 o 1319 nei dintorni di Rostov il Grande, ma ben presto si trasferisce con la famiglia a Radonez, nella regione di Mosca. Vorrebbe farsi monaco fin da piccolo, ma solo verso 1340, dopo la scomparsa dei genitori (fattisi monaci prima di morire secondo l’antica usanza), può ritirarsi nella solitudine. Nel 1342 riceve l’abito monastico e cambia il nome in quello di Sergio. Nel 1353 diventa igumeno (abate) del monastero da lui fondato e che egli intitola al nome della Santissima Trinità. Muore l’8 ottobre 1392 all’età di settantotto anni, dopo più di mezzo secolo di vita ascetica, ed è sepolto nella sua lavra che ora porta anche il suo nome: Lavra della Trinità di San Sergio. Canonizzato nel 1448, la sua memoria si celebra due volte all’anno, il 18 luglio e l’8 ottobre. È inserita anche nel calendario cattolico orientale. La vocazione alla vita monastica significa per Sergio vocazione alla vita eremitica. Diventa l’iniziatore del grande movimento 190

degli eremiti (pustynniky), un nuovo tipo di monachesimo che si diffonderà nei territori del nascente Stato moscovita e favorirà la sua ascesa religiosa, culturale e politica, dopo che Kiev, distrutta nel 1240 dai Tatari, non riacquisterà più l’importanza che aveva prima della loro invasione.

come primo igumeno è eletto Metrofane. Soltanto dopo la morte di quest’ultimo (1353/4) diviene capo della comunità lo stesso Sergio. In tale occasione egli fu ordinato sacerdote. Per discordie interne Sergio lascia, tuttavia, presto il monastero per ritirarsi di nuovo in solitudine. Ritorna però dietro le insistenze della comunità.

Sergio passò circa due anni in solitudine nel luogo della futura lavra. Durante questo periodo – così leggiamo nella sua Vita – ebbe a sopportare molte tribolazioni: freddo, orsi, lupi e altre bestie selvatiche di cui col tempo riuscì ad acquistare la benevolenza. Da queste esperienze emerge il «passivo» tipo d’ascesi, caratteristico dei monaci russi che, a differenza dei bizantini, non ricercavano speciali pratiche ascetiche, giacché il lavoro e la sopportazione delle condizioni climatiche e naturali costituivano di per sé già una mortificazione assai dura. Come in tanti altri casi analoghi (vedi ad esempio la vita di san Teodosio Pečerskij), anche a san Sergio, dopo aver condotto la vita in solitudine, si uniscono altre persone desiderose di imitare la sua ascesi e vivere la vita monastica. Così nel corso di alcuni anni si forma una comunità di dodici monaci, che costituirà il nucleo del futuro monastero. Sergio passa quindi con loro dalla vita solitaria a quella cenobitica e diventa il fondatore del monastero della Santissima Trinità, che era già titolo della chiesa, da lui costruita nella solitudine. Pur essendo Sergio il fondatore,

Assecondando, si dice, una richiesta del metropolita di Mosca Alessio, come anche del Patriarca costantinopolitano Filoteo, Sergio introduce la regola della vita cenobitica di tipo studita che ebbe più tardi una particolare diffusione nei monasteri russi. Come regola liturgica, invece, fu adottata quella di Gerusalemme.

326. Veduta absidale della cattedrale della Trinità della lavra di San Sergio, edificata sulla tomba del Santo.

L’erezione del monastero della santissima Trinità in questa località deserta diede inizio a una colonizzazione. Intorno ad esso sorse la cittadina di Sergiev Posad (nome cambiato dai bolscevichi in Zagorsk, e ora tornato all’originale), a settanta chilometri da Mosca. Diventa presto centro religioso, culturale (scrittorio per copiare manoscritti), nonché politico. Con consigli e interventi Sergio esercitava un influsso considerevole sull’attività dei vari principi russi dell’epoca. I gran principi di Mosca venivano al monastero. Il Metropolita di Mosca Alessio affida a Sergio la missione di andare a far da paciere tra i principi di Novgorod e Rjazan e quelli di Mosca. Il Metropolita di Mosca Alessio (1300191


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

10. SAN SERGIO DI RADONEŽ

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327. La più famosa delle icone russe, opera del grande maestro Andrej Rublëv è questa Ospitalità di Abramo più conosciuta con il nome di Icona della Trinità. Era un tempo al centro della iconostasi

1378), infine, voleva Sergio come suo successore alla sede metropolitana, ma questi nel rifiutare l’offerta rimase «più duro del diamante». L’evento politico più importante legato al nome di san Sergio è la battaglia di Kulikovo, l’8 settembre 1380. Il gran principe di Mosca Dimitrij Donskoj, forte della benedizione impartitagli da san Sergio, conquistò la vittoria decisiva sul khan Mamaj, avviando così la progressiva liberazione della Russia dal giogo dei Tatari. Poco dopo il 1400 fu scritta la Vita di san Sergio (ampliata nel 1415), ad opera di Epifanio il Saggio, uno dei maggiori agiografi russi. Nonostante i tratti leggendari, emergono le caratteristiche sia del monachesimo russo come tale, sia della personalità di san Sergio, che vanno ben oltre la mera agiografia. Così, ad esempio, il modo radicale con cui san Sergio vive la povertà monastica. Sulla scia di san Teodosio di Pečersk, anche lui vuole impegnare tutta la comunità nel rigorismo, previsto secondo la tradizione solo per gli anacoreti, cioè non conservando niente per il domani. La penuria, che ne consegue, scontenta però i monaci al punto tale che san Sergio deve cedere e assistere alla progressiva crescita delle ricchezze del suo monastero. Personalmente, tuttavia, egli conserva, ancora come igumeno, la predilezione per i vestiti più miseri. A san Sergio è legato il sorgere della spiritualità trinitaria in Russia. La prima chiesa che egli costruì nella foresta era dedicata alla Santissima Trinità e tale nome egli ha dato anche al suo monastero. In tale ambiente mistico Andrej Rublëv (13601430), appartenente egli stesso alla lavra, ha creato la famosa 192

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icona della visita dei tre angeli ad Abramo presso la quercia di Mamre, una delle espressioni pittoriche più elevate della teologia trinitaria. A san Sergio si attribuisce la fondazione di qualche decina di monasteri, a capo dei quali furono posti i suoi discepoli (11 dei quali sono venerati come santi). Per questo viene definito il «padre del monachesimo nella Russia settentrionale». L’espansione della lavra va sia verso il sud (Mosca) che verso il nord, dove nacque un nuovo centro monastico, la cosiddetta «Tebaide russa». Quattro monasteri divennero particolarmente famosi:

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nella cattedrale della lavra della Trinità di San Sergio. Oggi si trova alla Galleria Tret’jakov di Mosca. 328. Veduta generale, dal lago, del monastero di San Cirillo di Beloozero. Siamo nella regione del lago Kuben, a nord est di Mosca divenuto un centro di grande importanza per il monachesimo russo. 329. Veduta della cattedrale di San Giovanni nella lavra della Trinità di San Sergio, a sinistra si vede la cella di Cirillo. 330. Icona di Cirillo di Beloozero, opera del 1424 attribuita a Dionisij di Gluyica. L’icona proviene dal monastero di Cirillo ed è oggi conservata alla Galleria Tret’jakov di Mosca.

Monastero di San Cirillo di Beloozero. Cirillo, figlio di un Boiaro (ca. 1337-1427), entra nel monastero Simonovo di Mosca di cui divenne igumeno nel 1390, ma già due anni dopo, nel 1392, si fa recluso prima ed eremita nella regione del Lago Bianco (Beloozero), assieme al monaco Ferapont. Entrambi diventano fondatori di un monastero. Sulla scia di san Sergio, anche Cirillo esercita influsso sulla società civile del suo tempo. Si sono conservate tre lettere che egli scrisse ai principi del suo tempo, ricordando loro i doveri di principe cristiano verso i suoi sudditi. Il monastero di Cirillo rimase uno dei più importanti della Russia. In esso si è formato, tra l’altro, anche Nil Sorskij (1433-1508), il padre dell’esicasmo russo. Anche i monaci delle foreste di Komel’, che diedero vita al centro monastico al di là del fiume Volga, continuavano la tradizione di san Sergio di Radonez. San Paolo di Obnora (1317-1429), suo discepolo, visse per alcuni anni nel tronco di un tiglio (anti193


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

10. SAN SERGIO DI RADONEŽ 331. Lo spettacolare interno affrescato della chiesa della Natività della Madre di Dio nel monastero fondato dal monaco Ferapont, discepolo di Cirillo, sempre nella famosa regione del lago Kuben.

334. Veduta attuale del monastero dei Santi Zosima e Savvatij, alle isole Solovki, oggi chiamato monastero delle Solovky.

336. Suggestiva veduta invernale del monastero della Tolga a Jaroslavl. La tradizione vuole che nel 1314 il vescovo Prochor in un viaggio di ritorno dal mar Bianco, alla confluenza del fiume Tolga con il Volga ebbe una visione. Gli apparve un’icona raggiante della Madre di Dio. Si narra che l’icona fu ritrovata da lui e dai suoi compagni e nel sito fu costruito il monastero.

335. Carta dei maggiori monasteri russi oggi visitabili.

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332. Paesaggio, dall’atmosfera nordica di grande attrazione per il monachesimo, delle isole Solovki nel mar Bianco; vi si nota la chiesetta dedicata a sant’Andrea.

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333. Icona raffigurante il monastero dei Santi Zosima e Savvatij nelle isole Solovki.

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M. di Ferapont L. Kuben M. di S. Kirill

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ca forma ascetica dei cosiddetti dendriti). Amava molto il silenzio, perciò si ritiene fosse un esicasta. A lui si unì un altro solitario, Sergio di Nurom († 1413), proveniente dal Monte Athos, ma formato anche lui nella lavra di San Sergio.

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M. del Salvatore

Un altro grande monastero del nord è quello sull’isola Solovki, nei tempi recenti divenuto tristemente noto come il più temibile tra i gulag staliniani, in cui trovò nel 1937 la morte anche padre Pavel Florenskij, uno dei più promettenti pensatori religiosi russi.

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Altrettanto fecero i monaci del lago Kuben. Tra i vari monasteri da loro fondati il più famoso è lo Spasso-Kamennyj. In esso visse, tra l’altro, il «Gonzaga russo», principe Andrea Zaozersk († 1453), in religione Giosafat, il quale, rinunciando a tutti i suoi beni, morì dopo soli cinque anni di vita monastica.

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Vologda Sergjev M. della Tolga Posad Jaroslavl' Istra Mosca Kostroma M. di S. Ipazio Aleksandrov Suzdal'

M. delle Vergini M. della Resurrezione

M. di S. Sava

Zvenigorod Vladimir

M. dell'Intercessione della Madre di Dio M. del Salvatore di S. Eufemio M. della Dormizione

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10. SAN SERGIO DI RADONEŽ

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11. IL MONACHESIMO ROMENO

11. IL MONACHESIMO ROMENO

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337. Veduta generale del monastero di Neamw, antica fondazione di Petru Musat della fine del XIV secolo, tradizionalmente attribuita ai discepoli del beato Nicodemo di Tismana, fondatore della vita cenobitica di tipo esicasta nei paesi rumeni. Pietro Musat fu il primo metropolita della Moldavia (Romania) e i monasteri di Neamw e Putna sono rinomati per la loro attività artistica: scriptoria, scuole di musica, ricami liturgici.

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Nonostante l’importanza che il monachesimo assume nella vita religiosa del popolo romeno, sia le fonti sia i riferimenti bibliografici su di esso sono pochi. Uno dei rari documenti originali sono gli Insegnamenti del Principe Neagox il Bessarabo al figlio Teodosio, uno scritto dell’inizio del XVI secolo in slavo antico. Soltanto tra 1980-1988 vedrà la luce una trilogia sul passato e presente del monachesimo romeno, opera del padre Ioanichie Bblan, monaco del monastero Sihbstria. Le origini del monachesimo in Romania si possono far risalire all’epoca dell’impero romano, in quanto per la provincia della Scytia Minor e della Dacia è attestata la presenza di veri centri monastici da dove usciranno monaci come Giovanni Cassiano († 435), Germano e Dionigi il Piccolo († 545), nonché i cosiddetti «monaci sciti» all’inizio del VI secolo. Le sorti del monachesimo del periodo successivo non sono documentate fino al XIV secolo. È evidente tuttavia la presenza di una vita monastico-eremita prima del secolo XIV in Moldavia (principato autonomo dal 1359). Molti monasteri fondati nel secolo XIV, come Neamţ, ebbero origine da monaci serbi seguaci di Nicodemo di Tismana e da monaci venuti dal territorio del sud del Danubio, in fuga davanti all’avanzare dei Turchi. È certo che in Va198

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338. Dettaglio di un affresco sul Giudizio Universale nel nartece esterno del monastero di Moldoviwa. Vi si notano Mosè e gli Ebrei, i Turchi e i Latini.

339. La chiesa di San Giorgio nel monastero di Voronew in Moldavia. Fondazione di Stefano il Grande nel 1488. Le Chiese monastiche della Moldavia, in Romania, hanno come caratteristica molto frequente l’affresco esterno, oltre alla completa affrescatura interna. Si tratta di cicli dedicati all’insegnamento della storia sacra, Antico e Nuovo Testamento, della liturgia e della teologia. 199


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

11. IL MONACHESIMO ROMENO

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lacchia (principato del sud della Romania, autonomo dal 1330) nella vita monastica cenobitica ebbe un importante ruolo organizzativo Nicodemo († 1406) che, nativo della Macedonia serba, si era formato all’ascesi sul Monte Athos, ivi professando nel monastero serbo di Chilandari. Dopo un probabile soggiorno a sud del Danubio, nella Krajna (sotto il governo serbo), dove pare abbia fondato due monasteri, passò in Valacchia dove fondò Vodiţa (1369) e Tismana (1375-8).

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340. La Moldavia (Romania), come altri paesi ortodossi, ha il suo monastero nella penisola del Monte Athos. Veduta della skiti rumena di Prodromu cioè di san Giovanni il Precursore. 341. Il monastero di Prodromu sull’Athos in una acquaforte del 1779 attribuita a Zaharije Orfelin. 200

La crescita della tradizione monastica in terra romena toccò l’apogeo sul finire del secolo XVIII, allorché il rinnovamento filocalico athonita raggiunse il monachesimo romeno grazie all’opera dello starez Paisij Veličkovskij (1722-1794), uscito dalla scuola spirituale di Basilio di Poiana Mbrului (1695-1767), entrambi slavi, rifugiatisi nei paesi romeni. La figura spirituale di Paisij domina il monachesimo romeno della prima metà del secolo XIX, costituendo anche il tramite fra la tradizione orientale e i tempi moderni. Paisij basa la vita nei grandi monasteri da lui fondati su quattro pilastri: vita cenobitica, studio degli scritti dei Padri, pratica della preghiera di Gesù e manifestazione quotidiana dei pensieri al padre spirituale, adattando l’ideale esicasta, originalmente vissuto in maniera eremitica, ai grandi monasteri cenobitici. Notevole era il dono di Paisij di tenere insieme monaci di varie nazioni, in particolare romeni e russi. Quest’ultimi, formatisi alla scuola di Paisij, tornarono successivamente in Russia dove diedero origine al rinascimento spirituale del secolo diciannovesimo.

La discendenza spirituale romena di Paisij è costituita dagli starez Georghe (1730-1806) e Calinic (1787-1869). Il carattere specifico che emerge dal monachesimo romeno è la sua ispirazione esicasta. In Romania il termine esicasta conobbe una fortuna unica in tutta l’Ortodossia. Ne danno testimonianza le innumerevoli denominazioni di montagne, colline, fiumi e località con termini di origine monastica che ricordano il nome di tale o talaltro monaco esicasta che ha vissuto in quei luoghi. L’esicasmo in Romania è stato recepito in modo originale, tanto da poter parlare di una «tradizione esicasta romena» come di un fenomeno tipico, perdurante fino ai nostri giorni. I principali centri della vita esicastica romena, gli «esicasteri» (in romeno sihbstrie, dal greco hesychastérion) si trovano nelle regioni romene Dobrugia, Moldavia, Valacchia, Banato e Transilvania. Il loro sviluppo numerico è un fenomeno pressoché unico nel mondo ortodosso. L’ideale esicasta e filocalico è rimasto vivo durante tutta la storia del monachesimo romeno, anche, e soprattutto, nei grandi monasteri cenobitici. Alcuni di essi, fondati dai principi romeni in Valacchia e Moldavia, nel XIV e nel XVIII secolo, sono dei veri monumenti, sia per la loro architettura, quanto per i loro famosi affreschi. Si tratta di una sintesi del tutto particolare tra lo stile bizantino e quello gotico e rinascimentale. Gli affreschi esterni – un’altra particolarità – e quelli interni rappresentano tutta una teologia implicita, i cui significati restano ancora da decifrare.

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342. Veduta generale del monastero di Suceviwa in Moldavia (Romania). La fondazione è del 1583 da parte del metropolita Giorgio Movilà e di suo fratello Geremia, il futuro principe di Moldavia. Costruzione e pitture verranno ultimate entro il 1596. 343. Nella chiesa della Dormizione del monastero di Humor in Moldavia troviamo questo affresco del 1535 che raffigura quattro santi monaci: Germano, Nicon, Timoteo e Teofane. 201


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE POLONIA

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344. I monasteri della Moldavia tra il 1365 e il 1606 (da C.C. Giurescu e D.C. Giurescu, Istoria rombnilor, Bucarest 1976).

CURLANDIA

Mar Baltico

345. L’Europa orientale tra Mar Baltico e Mar Nero e la posizione della Moldavia.

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ORDINE TEUTONICO

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346. Dettaglio di un affresco che rappresenta il famoso Inno Acatisto in onore della Madre di Dio. L’inno era particolarmente consueto nella liturgia monastica. Il dettaglio rappresenta la strofa 24 sulla venerazione dell’icona della Theotokos (la Madre di Dio). L’affresco si trova su una parete esterna della chiesa dell’Annunciazione nel monastero di Moldoviwa. Alla doppia pagina seguente: 347. Sulla facciata occidentale della chiesa di San Giorgio nel monastero di Voronew troviamo questo impressionante affresco del 1547; vi si rappresenta il Giudizio Universale.



VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

12. LA FILOCALIA

12. LA FILOCALIA

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348. Gregorio Nazianzeno nell’atto di scrivere, miniatura di un codice contenente le sue Omelie (Sinait. 339). Fu il primo a utilizzare il termine Filocalia per una raccolta di opere di Origene.

349. San Nicodemo l’Aghiorita, coeditore della Filocalia. Il ritratto appare nel frontespizio di una raccolta di vite dei Santi da lui redatta e pubblicata nel 1819, dieci anni dopo la sua morte.

La Filocalia è una grande antologia di testi ascetici e mistici, riguardanti in specie la preghiera esicastica, redatta da Macario di Corinto (Notaras) (1731-1805) e da Nicodemo l’Aghiorita (17491809), monaci della Grande Lavra del Monte Athos, e apparsa la prima volta nel 1782 a Venezia. È la più importante pubblicazione del mondo ortodosso greco durante il dominio turco, durante il quale l’ortodossia greca decadeva progressivamente. La Filocalia testimonia lo sforzo di promuovere un rinnovamento spirituale attraverso il «ritorno alle fonti» della spiritualità ortodossa, che si inserisce nel movimento dei cosiddetti Kollyvàdes, sostenitori di un approfondimento della teologia liturgica e sacramentale, nonché un ritorno all’eredità patristica e bizantina. La parola «philokalía» significa letteralmente amore del bello e del buono. Sant’Agostino l’identifica con la filosofia, ma già Eusebio l’utilizza per indicare antologie di testi. Basilio e Gregorio Nazianzeno diedero lo stesso titolo alla collezione di testi tratti dalle opere di Origene. La Filocalia di Macario e di Nicodemo è una vasta opera di 1200

pagine in folio nella prima edizione e contiene sia estratti sia opere intere di circa 36 autori dal IV al XV secolo. È la maggior raccolta di testi d’orientazione esicasta, che riflette la spiritualità di quelli che si ritiravano nella solitudine e in silenzio per unirsi a Dio attraverso la preghiera continua e raggiungere così la theosis (deificazione o divinizzazione dell’uomo). Questo ideale della spiritualità orientale costituisce un filo unificante che attraversa l’intera Filocalia.

206

Ben presto uscì l’edizione in slavo ecclesiastico di Paisij Veličkovskij, con il titolo Dobrotoljubie, nel 1793 a San Pietroburgo (ebbe almeno otto edizioni fino al 1920). Non è la semplice traduzione, perché Paisij lavorava già in precedenza sugli stessi testi patristici. Mentre l’incidenza della Filocalia (greca) rimase limitata al solo ambiente monastico, il Dobrotoljubie, raccomandato dagli starez russi, conobbe larga diffusione, influenzando perfino la pietà popolare (come per I sinceri racconti d’un pellegrino al suo padre spirituale, Kazan, 1881). All’esigenza di avere una versione in lingua russa viene incontro

350. Il refettorio del monastero di Dionissiu sul Monte Athos dove emise la sua professione religiosa san Nicodemo.

il vescovo Teofane il Recluso, edizione in 5 volumi nel monastero russo di San Panteleimon sul Monte Athos, 1877-1889. Pur tenendo conto della versione slava di Paisij, Teofane basa la propria traduzione, per quanto possibile, sull’originale greco. La versione di Teofane è tuttavia molto più voluminosa dell’originale, perché l’autore opera una scelta propria di testi, aggiungendone alcuni e togliendone o modificandone altri, ad esempio quelli riguardanti il metodo psico-fisico della preghiera esicasta. Traspare il suo intento pastorale, di rendere l’esicasmo praticabile non solo dagli eremiti ma anche dai cenobiti e dai laici. Forse è anche per questo che il Dobrotoljubie di Teofane conobbe in Russia larga diffusione già prima della rivoluzione e viene oggi di nuovo ristampato, ultimamente anche in una versione abbreviata, tascabile. Fu questo Dobrotoljubie russo, che servì da base per le prime traduzioni in lingue occidentali, dapprima come raccolte di testi scelti, come quella in lingua inglese Early Fathers from The Philokalia (London, 1951), che fu utilizzata per traduzioni in

francese (1953), tedesco (1956) e italiano (1960). Di recente sono state edite traduzioni complete della Filocalia greca in quattro volumi in italiano (1982-1987) e inglese (1979-1995). Il terreno sul quale in Occidente è cresciuto tale interesse alla Filocalia fu preparato da I sinceri racconti d’un pellegrino al suo padre spirituale, tradotti in numerose lingue occidentali dal 1925 (tedesco) in poi, (1946 in italiano), e diventati famosi come Racconti sinceri del pellegrino russo. Sono, infatti, un racconto di come si traducono nella vita gli insegnamenti contenuti nella Filocalia. La Filocalia ebbe, quindi, e continua ad avere grande importanza per il risveglio della preghiera e per il rinnovamento della vita spirituale sia in Oriente che in Occidente, dimostrando che il «movimento filocalico» sorto nella Russia del XIX secolo, è tuttora vivo. La Filocalia tratta della preghiera, delle disposizioni e delle condizioni che essa esige; tra le disposizioni, la principale è la custodia del cuore e quella vigilanza dello spirito che esclude tutta la divagazione dell’anima, perciò si chiama nepsis. Infatti appare nel sottotitolo la 207


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

12. LA FILOCALIA

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351. Veduta generale del monastero russo delle isole Solovki che divenne un importante centro di diffusione della Filocalia in Russia. 208

352. La Papadikija è una raccolta musicale di inni secondo la modalità monastica. Papadikija del 1670 circa, monastero di Iviron (cod. 1250), Monte Athos.

Alla doppia pagina seguente: 353. Visione dal mare di un monastero dell’Athos (Esfigmenu). L’Athos con la sua storia di spiritualità resta una radice indispensabile per comprendere il grande movimento degli starez.

divenuto monaco, approfondì la dimensione mistica. Andò poi in Moldavia (Romania), fu l’inizio di una scuola di starez. Il discepolo Teofane e lo starez Leone fecero del monastero di Optina in Russia il centro del movimento.

354. Itinerario di Paisij Veličkovskij ed espansione del movimento degli starez. Dall’attuale Ucraina Paisij andò all’Athos dove,

355. Visione panoramica del monastero di Dragomirna in Moldavia, doveva già apparire così quando Paisij arriva in Moldavia e ne stimola il rinnovamento nel 1763.

denominazione «dei neptici» (vigilanti). Si può parlare di una spiritualità tipica? I primi autori non ebbero questa intenzione, nondimeno essi scelsero i testi secondo un criterio: i dogmi cristiani devono essere vissuti nella preghiera che è divinizzatrice e dà la pace (deificazione). Per raggiungere questo scopo, la Filocalia propone innanzi tutto la preghiera di Gesù che deve condurre colui che la recita assiduamente alla preghiera del cuore. Per raggiungere più velocemente tale traguardo, sarà suggerito il metodo psico-fisico come l’hanno elaborato gli esicasti sul Monte Athos nel XIV secolo e che consiste in certi atteggiamenti del corpo durante la preghiera e nella regolazione del respiro. Questo esicasmo athonita ha trovato la sua giustificazione teologico-filosofica nel Palamismo. Esso sostiene che, a certe condizioni, l’uomo può fare l’esperienza mistica in cui partecipa alle energie increate di Dio, la «luce taborica». Va, però, osservato che la Filocalia non si esaurisce in questo, ma presenta l’esicasmo nella sua concezione larga, che corrisponde alla ricerca della preghiera continua nella pace interiore: una aspirazione del monachesimo sin dalle sue origini. La Filocalia riflette perciò varie tendenze spirituali che si sono create lungo il periodo dei dieci secoli che essa comprende. Se è vero che nella Filocalia è predominante la corrente evagriana della «preghiera pura», visione di Dio del solo intelletto, svuotato da ogni concetto, forma o immagine, rimane tuttavia presente anche la corrente cosiddetta «del sentimento» dello pseudo-

Macario. Ciò rende la Filocalia comunque di non facile lettura. Tale difficoltà sembra sia stata sempre avvertita. Ciò spiega, perché già il curatore del Dobrotoljubie russo, Teofane Zatvornik, non si è accontentato della semplice traduzione, ma ha dato all’opera un taglio rispondente alle esigenze pastorali del suo tempo. Lo stesso vale per Dumitru Stbniloae (1903-1993), autore della monumentale Filocalia romena. Parlando della Filocalia, non si può tralasciare la tradizione esicastica romena (l’edizione, iniziata nel 1946, ha raggiunto il decimo volume nel 1981). Più lontano ancora s’era spinto in precedenza Ignatij Brjančaninov (18071867), i cui scritti ascetici sono un’antologia di autori filocalici commentati. Non bisogna dimenticare che lo stesso Paisij Veličkovskij non curava solo la prima edizione slava, ma formava nei suoi monasteri gli starez, padri spirituali, che trasmettevano la spiritualità filocalica al popolo attraverso la parola viva e personale. Questo legame necessario tra il testo della Filocalia e la guida spirituale da parte di uno starez emerge, del resto, dagli stessi Racconti del pellegrino russo. Anche se si basano probabilmente sull’esperienza vissuta di un pellegrino reale, il testo dei Racconti è tuttavia il frutto di un’accurata e progressiva elaborazione, guidata da un preciso intento: rendere la spiritualità esicastica accessibile a tutti, eliminando pericoli di eventuali smarrimenti. In tal senso, il testo dei Racconti è un’introduzione alla Filocalia, fatta da chi fu starez egli stesso. 209


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

13. GLI STAREZ

13. GLI STAREZ E LA PIETÀ RUSSA NEI SECOLI XVIII E XIX

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Le riforme di Pietro il Grande (1672-1725), volte a modernizzare il suo vasto impero, aprendolo all’Occidente, ebbero in Russia effetti traumatizzanti. Anche per quanto riguarda il monachesimo, il secolo può essere considerato, nel suo insieme, un periodo di decadenza che culminò con la scomparsa del monachesimo dalla storia politica e sociale russa, attraverso una progressiva secolarizzazione dei centri monastici (1701-1764). Durante tutto il secolo, specie per opera di Caterina II († 1796), i monasteri sono passati da 1.200 a 387, assorbiti nell’organismo e nella burocrazia statale. Proprio in questa situazione critica, tuttavia, si scorgono le prime luci di un rinnovamento spirituale. La riscoperta della dimensione contemplativa e della paternità spirituale come elementi essenziali dell’esperienza monastica incide un solco profondo in due uomini di questo secolo: san Tichon di Zadonsk e Paisij Veličkovskij. In Tichon di Zadonsk (1724-1783) si vedono riuniti due tipi classici della santità russa: quello del vescovo, pastore d’anime e testimone del Vangelo (fu vescovo di Voronez dal 1763 al 1767) e quello del monaco, dello starez, assetato di silenzio e di solitudine, ma nello stesso tempo vicino e aperto a ogni uomo (nel 1768 si ritirò in solitudine nell’eremitaggio di Zadonsk). Nella sua spiritualità affiorano i tratti dominanti del monachesimo russo: il desiderio di un’unione intensa con Dio, l’amore al Cristo sofferente, la sete della trasfigurazione totale dell’uomo nel Regno dei cieli, un amore compassionevole per i poveri. Ma soprattutto Tichon ha saputo armonizzare, nella figura dello starez, le due componenti dell’esperienza del monaco: la vita in Dio e la carità per il prossimo. 210

Un impulso nuovo e vitale per il monachesimo russo, accompagnato da una riscoperta della paternità spirituale all’interno della comunità (starčestvo), fu dato da un monaco ucraino, Paisij Veličkovskij (1722-1794). L’ansiosa ricerca delle fonti autentiche della tradizione monastica lo portò al Monte Athos (1746), dove divenne monaco e dove riscoprì la dimensione mistica del monachesimo attraverso gli scritti di Nil Sorskij e degli autori esicasti. Con i discepoli che ben presto si riunirono attorno a lui, Paisij si trasferì in Moldavia (nell’odierna Romania, 1763), dove divenne uno stimolo di rinnovamento per una serie di monasteri (Dragomirna, Sekul’, Neamw). Lì Paisij diede avvio a una vera scuola degli starez, rinnovando l’antichissimo fondamento del monachesimo orientale: la paternità spirituale. Innovativo è però l’aspetto «comunitario» dell’intuizione spirituale di Paisij: la preghiera di Gesù, lo studio della Sacra Scrittura, la dimensione personale del cammino verso Dio, vengono inseriti in un quadro equilibrato di una vita cenobitica, nutrita e sostenuta dalla preghiera liturgica, dal lavoro intellettuale e manuale.

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Attraverso lo starčestvo Paisij riesce quindi ad adattare l’ideale esicasta alla vita dei suoi grandi cenobi, aprendo così la via a un rinnovamento interiore del monachesimo russo. Per dare al suo modello di vita monastica solide basi patristiche e ascetiche, Paisij traduce in slavo antico un classico della spiritualità orientale, la Filocalia (in slavo Dobrotoljubie). L’influenza di questo libro nell’ambito spirituale russo non si limita al monachesimo, ma penetra in tutti gli strati sociali, non solo ecclesiastici, ma anche laici (cfr. i Racconti di un pellegrino russo). Il legame tra la spiritualità di Paisij Veličkovskij e il «rinnova-

mento filocalico» del secolo XIX è rappresentato dalla figura degli starez, che danno un’impronta decisiva al ruolo del monachesimo nella società russa, e alla sua incidenza nella formazione spirituale del popolo. Due monasteri emergono nella storia di questo periodo: l’eremitaggio di Optina, reso noto da una vera dinastia di starez, e il monachesimo di Sarov, legato al nome di uno dei più grandi monaci e mistici della Chiesa russa, san Serafim. Nel 1800, un discepolo di Paisij Veličkovskij, Teofane (Feofan), impregnato dell’esperienza spirituale del maestro, diede nuovo impulso all’eremo di Optina. Ma è con lo starez Leone (Leonid Nagolkin, 1768-1841), che Optina diventò il centro dello starčestvo russo. La parola starčestvo (letteralmente anziano, vecchio) significa nel contesto monastico la maturità spirituale di chi è ormai capace di guidare anche gli altri. Leonid ne è l’esempio vivente: è il padre degli umili, che cercarono dalle sue parole, imbevute di testi delle Scritture e dei Padri, un sollievo alle loro sofferenze fisiche e spirituali. Tratti diversi caratterizzarono la figura di Macario (Makarij Ivanov, 1788-1860). Contemplativo ed erudito, che aprì l’eremo di Optina a letterati e studiosi (Dostoevskij, Solov’ëv, Leont’ev e altri), Makarij diffuse gli scritti di Paisij Veličkovskij e iniziò l’edizione di testi patristici, la cui lettura porterà il filosofo hegeliano I. Kireevskij a convertirsi alla fede ortodossa. Certamente più noto di tutti gli starez di Optina fu Ambrogio (Amvrosij Grenkov, 1812-1891). In questo monaco si rinnova la compassione del Padre celeste per gli uomini. Attento alla persona e a ogni sua attività, possedeva il dono straordinario di com211


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

13. GLI STAREZ

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356. Il profeta Elia nel deserto, da un’icona del XV secolo conservata a Petrozavodsk nel Museo delle Arti decorative della Carelia, in Russia. Quando il monachesimo orientale vuole riprendere l’originale spiritualità eremitica, la figura di Elia ritorna ad imporsi come modello veterotestamentario.

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357. Icona russa del XIX secolo. Serafino di Sarov è rappresentato durante una veglia nella foresta.

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358. Famoso quadro del 1889 dovuto al pittore russo Mikhail Nesterov. Viene rappresentata la figura di un eremita che spesso sarà identificato nella tradizione russa con uno starez. Lo starez, vero «padre spirituale», è chi è capace di guidare gli altri e perciò di aiutare anche le comunità monastiche a ritrovare lo spirito originario.

prendere immediatamente lo stato d’animo del suo interlocutore e trovare la «parola di salvezza» adatta alla sua anima. «Io desidero», scrive, «donare a ogni uomo la gioia benedetta da Dio, aiutare ciascuno, qualunque siano le circostanze della sua vita». Tolstoj ha dato di Amvrosij una breve ma incisiva testimonianza: «È quando si parla con uomini come lui che si sente la vicinanza di Dio». Nel monastero di Sarov visse una delle più luminose figure del monachesimo russo: lo starez Serafim (1759-1833). La sua vita, semplice e unitaria, rivela una sintesi degli aspetti della spiritualità russa e della più genuina tradizione monastica: l’anelito alla trasfigurazione di ogni creatura in Dio, per mezzo di un’inabitazione e di una penetrazione di tutto l’essere dallo Spirito Santo (cfr. il famoso Colloquio con N. Motovilov). Inoltre la vita dello starez Serafim abbraccia tutte le dimensioni dell’esperienza monastica: monaco nel monastero di Sarov (1779-1793), sente il richiamo dell’ascesi, della vita solitaria, immersa nel silenzio e nella preghiera continua, ma legato al popolo e ai suoi drammi. Durante l’invasione della Russia da

359. Pentecoste. Icona della scuola di Mosca eseguita da Prochor di Gorodec del 1405. La Pentecoste è una festa che rappresenta la premessa della spiritualità degli starez, che intendono far ritrovare ai monaci e al popolo il senso della discesa dello spirito sulla comunità dei credenti. L’icona si trova nella cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca.

parte di Napoleone, per tre anni (1804-1807) Serafim si fa stilita su una pietra; è l’unico caso di stilitismo conosciuto nel XIX secolo. Segue un periodo di totale silenzio (1807-1810), dopo di che Serafim vive da recluso, in una piccola cella (1810-1825). Questo periodo di preghiera silenziosa «più forte di tutto ciò che esiste, perché fa discendere lo Spirito Santo», preparò l’ultima tappa della vita di questo monaco: l’apertura a tutti gli uomini e il servizio della paternità spirituale. Serafim accolse così la folla del popolo che affluiva a Sarov e indirizzò a ciascuno il messaggio riassunto nelle parole del saluto con il quale usava rivolgersi a chi veniva da lui: «Cristo è risorto, mia gioia»! Si può dire, quindi, che agli starez spetta non solo il merito di aver formato – sulla scia della Filocalia – la pietà popolare russa del XIX secolo, ma anche di aver riavvicinato alla Chiesa l’intellighenzia russa, da essa tradizionalmente lontana. Con il loro approccio «personalista», gli starez hanno indicato alla Chiesa e al monachesimo russo una via d’uscita dalla sua crisi secolare, una via, purtroppo, bruscamente interrotta dalla rivoluzione bolscevica. 213


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

14. IL MONDO ORTODOSSO CONTEMPORANEO

14. IL MONDO ORTODOSSO CONTEMPORANEO 360. L’Athos resta una realtà più che mai viva per il monachesimo orientale dei nostri giorni. Qui vediamo un’immagine del monastero di Aghiu Panteleimonos detto anche «Russikon», punto di riferimento costante per il monachesimo della Russia.

361. La skiti russa del Profeta Elia, sempre sull’Athos, è un altro punto di riferimento per il monachesimo della nazione russa.

362. È il 12 giugno 1988. All’aperto, nel monastero di San Daniil, divenuto nuova sede del Patriarcato di Mosca, si svolge la messa celebrativa del «Millennio» presieduta dal patriarca russo Pimen e concelebrata dagli altri patriarchi ortodossi in memoria della nascita della Rus’ cristiana di Kiev.

363. Fedeli entrano per una funzione liturgica nel monastero della Trinità di San Sergio non distante da Mosca. Il monastero, come si è detto, resta il centro della devozione cristiana dei Russi.

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Volendo fornire uno spaccato più o meno verosimile del monachesimo ortodosso contemporaneo, non si può far a meno di operare una distinzione tra le nazioni a maggioranza ortodossa che facevano parte del Patto di Varsavia e quelle che restarono politicamente agganciate all’Occidente. A quest’ultima categoria è da annoverare la sola Grecia. Pertanto il fenomeno monastico va visto unitamente agli eventi che dopo il 1917 segnarono quei Paesi. La Russia costituiva e costituisce la nazione a maggioranza ortodossa territorialmente più vasta. L’andamento delle vocazioni alla vita monastica che si ebbero in questa nazione può essere assunto, a larghe linee, quale paradigma. Durante il regno di Nicola II (1894-1917), ultimo zar prima dell’avvento del comunismo, il monachesimo in Russia ebbe uno sviluppo notevole. Sappiamo che nel 1917 vi erano 1.257 monasteri maschili e femminili, con circa 33.572 unità tra monaci e novizi, e 73.462 tra monache e novizie. In altri termini, se il numero dei monasteri maschili era superiore (circa 550 contro i 475 femminili), il rapporto delle persone era di 4 a 11 a favore delle monache. Eccetto le grandi Lavre e qualche fondazione importante, i monasteri maschili contavano dalle 30 alle 50 unità, mentre le comunità femminili superavano sempre il centinaio di monache. Solo in cinque diocesi (Vyborg, Kiev, Kursk, Mosca, Charkov) i monasteri maschili superavano il migliaio di monaci;

mentre le monache lo superavano in ben venticinque (Kiev, Mosca, Nižnij Novgorod, Orel, Penza, Samara, Tambov ecc.). Un monastero era tanto più popolato, quanto più era grande la fama di santità dei padri spirituali e quanto più rigida era la regola che si osservava. Accanto alla forma di vita ascetica tradizionale, agli inizi del ’900 vi furono tentativi di creare un tipo di vita religiosa attiva molto simile alle congregazioni occidentali, tanto nell’ambito maschile che in quello femminile. Conservando alcuni aspetti della struttura monastica, queste comunità avevano missioni di apostolato, di assistenza ai poveri e di opere sociali. Erano tentativi di inserimento della vita consacrata nel tessuto e nei problemi sociali. Esempi di tale tipo furono le fondazioni della granduchessa Elisabetta Romanov († 1918) e del sacerdote Giovanni di Kronstadt (1829-1908): la sua «Casa di lavoro» nel 1902 era fornita di laboratori, scuole, biblioteche, orfanotrofi, ospizi e occupava oltre 7.000 persone. Dopo la rivoluzione di ottobre, la politica adottata dal regime fu quella delle repressioni e delle confische che avrebbero annientato completamente la vita monastica se alcune comunità non avessero fatto ricorso all’espediente di farsi registrare come cooperative di lavoro. Ma la proibizione all’accesso a queste comunità per coloro che in precedenza erano stati religiosi, finì per assottigliare anche quelle fila. Solo tra il 1918 e il 1921 ne furono

chiusi 722, così nel 1930 non esisteva più alcun cenobio in tutta l’Unione Sovietica. La sopravvivenza fu assicurata nei paesi confinanti (Finlandia, Estonia, Lituania, Polonia, Romania ecc.) e poi ancora più lontano (Serbia, Cecoslovacchia, Francia, Stati Uniti, Canada, Australia e Sud America), mentre i monasteri fondati in Cina scomparvero dopo la rivoluzione di Mao. La presenza di monasteri maschili o femminili nel mondo occidentale fu sempre limitata e circoscritta ad elementi russi o di origine russa con qualche simpatizzante. I monasteri nati fuori dai confini della Russia (Terra Santa: Ain Karim, Monte degli Ulivi, Getsemani ecc.; Monte Athos: San Panteleimon, skiti di Sant’Andrea e di Sant’Elia ecc.; Santa Caterina del Sinai) man mano vennero privati dell’afflusso di nuovi monaci. A mo’ di esempio: nel 1900 i monaci russi sul Monte Athos erano 3.496, nel 1925 scesero a 560, nel 1945 divennero 180, negli anni ’70 si ridussero a 62 e nel 1988 se ne contavano solo 25. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’annessione all’Unione Sovietica di territori confinanti (Ucraina, Transcarpazia, Bielorussia, Bessarabia, Moldavia, repubbliche baltiche) passarono anche ben 104 istituzioni monastiche, ma il loro numero, nel 1965, si ridusse a una ventina. Negli anni ’70 e ’80 la quantità si fermò a 16 monasteri: nel 1970

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il numero di monaci e monache era complessivamente di 1.275. In occasione del millenario del Battesimo della Rus’ furono ridati alla Chiesa una ventina di monasteri. Cosicché nella relazione presentata al Santo Sinodo di Mosca dal metropolita Vladimir di Rostov nel 1990 si parla di 35 monasteri, di cui 17 maschili ed il resto femminili. Questo paradigma venne applicato in modo abbastanza simile in tutti i paesi dipendenti dall’Unione Sovietica. Dopo la caduta del Muro di Berlino si andò ricostituendo la vita monastica secondo la tradizione, ma nello stesso tempo con aspetti nuovi derivanti dalle esperienze dei soggetti fatte anche in ambito occidentale. La ripresa è senza dubbio apprezzabile, ma non eccezionale, data la sensibile emigrazione giovanile verso l’Occidente. Il Monte Athos, d’altra parte, costituisce una sorta di termometro dell’andamento monastico dell’ortodossia. Alcune proiezioni possono giovare a comprenderne lo stato: nel 1903 vi erano 7.432 monaci, di cui 3.496 russi, 3.276 greci, 307 bulgari, 286 romeni, 51 georgiani e 16 serbi. Nel 1985 la popolazione monastica era di sole 1.309 unità in cui l’elemento greco prevaleva con il 95%. Il polo monastico della Grecia è costituito dal Monte Athos e dalla ripresa di alcuni cenobi delle Meteore, trasformati da maschili in femminili. Alcuni monasteri athoniti hanno avuto un buon incremento, tut215


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

364. Per i Greci punto di riferimento spirituale è tuttora il complesso dei monasteri semirupestri delle Meteore, nel nord del Paese. Lo stesso paesaggio in cui i monasteri sono siti è un simbolo dell’elevazione al cielo. Qui si ha una veduta dal basso del monastero di Hagios Nikolaos Anapavsas.

364

14. IL MONDO ORTODOSSO CONTEMPORANEO 365. Corte interna del monastero di Bačkovo in Bulgaria. Vi si vede una parte della chiesa dell’Assunzione della Vergine risalente al secolo XVII. Il monastero è completamente rinnovato e centro di un’intensa spiritualità.

367. Iconostasi recentemente dipinta in un piccolo monastero femminile non distante dal famoso monastero di Kalenić in Serbia.

365

368. Questa foto presa nell’inverno del 1988 mostra l’imponente cantiere della costruzione della nuova cattedrale di Belgrado dedicata al padre del monachesimo serbo, san Sava.

367

368

366. Il monachesimo femminile ha una ripresa in Bulgaria, qui si vede a Samokov l’interno del monastero dedicato al lenzuolo funebre della Vergine.

tavia di elementi provenienti da movimenti conservatori non sempre disponibili al dialogo. Il calo di vocazioni riguarda tutte le Chiese ortodosse, ma l’andamento differisce nelle diverse realtà. A tal proposito è significativo l’andamento del fenomeno monastico in Bulgaria. Dopo la liberazione della Bulgaria dal governo ottomano (1878), un certo numero di monasteri si ritrovarono fuori dalla Bulgaria libera. Mentre durante la prima metà del XIX secolo, i monasteri femminili non superavano la dozzina; dopo la liberazione, diversi monasteri maschili, che s’erano spopolati, furono trasformati in monasteri femminili. Nel 1890 la Bulgaria contava 90 monasteri con 530 monaci (di cui 346 monache e 184 monaci); nel 1936, il numero dei monasteri saliva a 105, ma il numero dei religiosi calava a 234 (208 monache e 26 monaci). Negli ultimi sondaggi del 1994, il numero dei monasteri in Bulgaria è ulteriormente cresciuto a 164, e il numero dei religiosi è salito a 228, di cui 122 monache e 106 monaci. Gran parte dei monasteri sono disabitati: alcuni sono gestiti da sacerdoti della località più vicina, altri contano comunità di due o tre monaci. I 106 monaci di cui abbiamo parlato non risiedono tutti nei monasteri. Oltre la metà ha cariche ecclesiastiche (patriarca, metropoliti, vescovi, 216

366

rettori dei due seminari); d’altra parte, il monachesimo contemporaneo (monaci che abitano in monasteri) è costituito da elementi abbastanza eterogenei. I più giovani hanno una formazione teologica, mentre in maggioranza i monaci anziani hanno scelto di trascorrere ciò che rimane della loro esistenza nell’esichia (quiete) e nel raccoglimento. La situazione dei monasteri femminili è analoga: la maggior parte delle religiose supera la sessantina. Attualmente solo i monasteri di Rila, Bačkovo, Troyan e Rozen sono completamente rinnovati e hanno una vita monastica più intensa. Diversa sembra essere invece la situazione in Serbia. Dopo la prima guerra mondiale, il Patriarcato di Serbia (ristabilito nel 1920) contava 209 monasteri con 442 monaci e 69 monache. Il monachesimo femminile ebbe un inaspettato incremento con l’arrivo dalla Russia di monache rifugiate, che portarono anche un rinnovamento spirituale detto «Movimento devozionalista». Così dai monasteri di Hopovo a Fruyka Gora e di Kuvezdin derivarono monasteri nelle diocesi di Niy, Ohrid-Bitolj, Yabac, Ziča, Bačka, Banato, Braničevo, Timok, Skoplje, Zletovo-Strumica, Belgrado e Karlovac. In questo modo nel 1940 il Patriarcato con-

tava 348 monaci e 397 monache in 27 monasteri. Nei monasteri si erano sviluppate scuole e laboratori iconografici da cui emerse un numero considerevole di iconografi. La seconda guerra mondiale inflisse un duro colpo a tutto il movimento monastico perché toccò non solo gli edifici, ma anche le persone. Dopo il conflitto molti furono i religiosi e le religiose che tornarono ai loro monasteri distrutti e cominciarono a ricostruirli. Nel 1969 la Chiesa ortodossa serba contava 81 monasteri con ben 845 monache. La loro vita, tuttavia, non fu né semplice, né facile, né le loro attività sociali svolte a favore di orfani e handicappati le favorirono nell’ultimo cinquantennio. Comunque la Chiesa serba conta, oggi, 119 monasteri maschili con 446 monaci e 122 femminili con 818 monache. Il secolo XIX è stato uno dei più difficili per il monachesimo romeno. La fondazione della moderna Romania, dopo l’unione nel 1859 dei principati romeni di Valacchia e Moldavia, è stata accompagnata da una concezione laicista anticlericale con la confisca dei beni monastici e la repressione del monachesimo (1863). Dopo questa data, si poteva diventare monaci solo dopo i 60 anni di età. Dei 250 monasteri e skiti, ne sono rimasti aperti solo 75, il 217


14. IL MONDO ORTODOSSO CONTEMPORANEO 370

371

372

Kuopio FINLANDIA

AUSTRALIA

1923

369

369. Fedeli e turisti accorrono nei monasteri moldavi in Romania per ritrovare lo spirito originario dell’ortodossia e per ammirare gli straordinari monumenti artistici affrescati, reali catechesi dipinte sulle pareti.

370. Un monaco all’Athos accende una lampada davanti a un’icona, è un segno di devozione quotidiana. Tutti i fedeli sono invitati a confrontarsi con la spiritualità del monachesimo ortodosso perché essa è vista, per il cristianesimo orientale, come paradigma per tutti, essendo ciascuno destinato a far spazio nella sua vita alla presenza concreta di Cristo.

Mar Baltico

Tallin ESTONIA 1996

GIAPPONE

RUSSIA 1448-1589

Mosca CINA ALEUTINE ALASKA

POLONIA 1924

INDIA DEL SUD

Varsavia

resto è stato trasformato in chiese parrocchiali, in prigioni e asili psichiatrici. Dei 3.500 monaci e delle 3.045 monache alla fine del XIX secolo, restano solo 820 monaci e 2.250 monache. La maggior parte furono esiliati sul Monte Athos, in Palestina e in Russia. Queste ingerenze dello Stato nella vita della Chiesa ortodossa romena (che nel 1865 si era dichiarata autonoma e nel 1885 aveva ottenuto da Costantinopoli il riconoscimento dell’autocefalia) ebbero l’effetto di una stasi per il monachesimo. L’equilibrio venne dopo che nel paese giunse una certa stabilità politica, cioè, dopo la prima guerra mondiale. Il monachesimo cominciò allora un’opera di rafforzamento con l’approfondimento dell’antica tradizione filocalica. È in questo periodo che si colloca la vita e l’opera del maggior teologo ortodosso romeno Dumitru Stbniloae (1903-1993), che ha avviato la monumentale edizione della Filocalia romena (i primi volumi apparsi a Xibiu tra il 1946 e il 1948). La pubblicazione dei successivi sei volumi è stata possibile solo negli anni 1975-1981. La dura repressione del monachesimo da parte del regime comunista portò con sé il bisogno di una sua riorganizzazione sulla base dell’utilità sociale, cosa che significava far funzionare dentro i monasteri cooperative di produzione, con l’accento messo soprattutto sulla conservazione dei monasteri come musei. Alla fine del comunismo, il monachesimo romeno si trovava 218

ridotto all’incirca a 1.500 monache e 1.000 monaci in 122 monasteri e skiti. Eppure segnava, paradossalmente, un relativo rifiorire intorno a una decina di padri spirituali, dei veri starez come padre Paisie Olaru (1897-1990) e padre Cleopa Ilie (1912-1998). Particolare influsso durante il tempo della persecuzione comunista ebbe anche il poeta e giornalista Sandu Tudor (1896-1961), diventato monaco e poi schimonaco (portatore del «grande schema», segno di elevato stato ascetico) col nome di Daniil. Attorno a lui, nel monastero Antim di Bucarest si è creato un gruppo di intellettuali noto come il «Roveto Ardente», che segna il riavvicinamento dell’intellighenzia romena alla Chiesa ortodossa. Coscienti di tutto un mondo e di tutta una gerarchia di valori che crollava, essi riscoprono i fondamenti spirituali della persona umana, nella preghiera di Gesù e nell’esicasmo, trasmesso loro dal monaco Ivan Kulighin, rifugiato dalla Russia nel monastero di Cernica e deportato poi di nuovo nella Siberia dove morirà nel 1950. Padre Tudor morirà, come tanti altri del gruppo, nelle prigioni comuniste. I monasteri ortodossi (sia maschili sia femminili) nati in diaspora, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, contano un considerevole numero di vocazioni giovanili, che vivono profondamente la spiritualità e la liturgia dell’antica tradizione bizantina.

Praga REP. CECA

STATI UNITI

Kiev

1951

ARMENIA

UCRAINA 1990

ROMANIA

EGITTO

1885-1925

Belgrado SERBIA

Bucarest BULGARIA

1879-1920

Sofia

Skopje Patriarcato non riconosciuto ALBANIA

1937

1870-1953

FYROM

GRECIA

Mar Nero

1919

Tbilisi BRASILE

PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI Atene

CILE ARGENTINA

1833

Mar Mediterraneo

CRETA 1900

CIPRO Nicosia V sec.

PATRIARCATO ALESSANDRIA Alessandria

DI

UGANDA

Mar Caspio

GEORGIA

Istanbul

1967

Tirana

ETIOPIA KENYA

PATRIARCATO DI ANTIOCHIA

non calcedonesi

Damasco Gerusalemme PATRIARCATO Sinai DI GERUSALEMME

371. La chiesa ortodossa con i patriarcati in Europa, nel Caucaso e nel bacino del Mediterraneo. Il simbolo in rosso indica i patriarcati dei primi secoli; in viola sono indicati i patriarcati recenti. In blu sono rappresentate altre chiese autocefale e in verde le chiese autonome.

372. Diffusione dell’ortodossia e della presenza monastica ortodossa nel mondo. I triangoli verdi indicano le chiese non calcedonesi.

219


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

15. LE CHIESE PRE-CALCEDONESI

15. LE CHIESE PRE-CALCEDONESI 373

374

Bisanzio

Efeso (Concilio del 431)

Mar Caspio

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Calcedonia (Concilio del 451) Sebaste

CHIESA ARMENA

Cesarea Antiochia

MAR M EDITERRANEO

376

375 Lago di Urmia

CHIESA GIACOBITA

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Alessandria (Concilio del 444)

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La Mecca CHIESA NUBIANA

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Meroe Chiese Monofisite Chiese Nestoriane

CHIESA ETIOPE

Axum Lago Tana

373. Diffusione del monachesimo cristiano orientale (pre-calcedonese).

374. San Cirillo d’Alessandria. Affresco del monastero di San Mosè l’Etiope a Nabak in Siria.

Il IV Concilio Ecumenico tenutosi a Calcedonia nel 451 è da considerare una sorta di spartiacque per la cristianità. Dopo quell’evento presero avvio nuovi assetti religiosi e politici, che permettono di capire l’attuale assetto nell’Oriente cristiano.

lare dell’Egitto e della Siria, che trovarono l’alibi per la lotta all’imperialismo bizantino. Si determinò quindi in molte Chiese orientali una doppia gerarchia: una di fede calcedoniana, l’altra monofisita. La prima, espressione dell’ortodossia di Stato, fu sostenuta dai notabili e dai burocrati dell’amministrazione imperiale, seguita da un numero sempre più esiguo di fedeli prevalentemente ellenofoni, stanziati nelle grandi città commerciali delle coste. Costoro vennero chiamati spregiativamente Melkiti (dal siriaco malka, ovvero imperatore, re, sovrano), cioè «servi» dell’imperialismo bizantino, collaborazionisti. I Melkiti, che, pur osteggiati nei loro ambienti, seppero garantire la sopravvivenza di Chiese proprie, seguirono i loro riti tradizionali fino al XII-XIII secolo, quando, per effetto del plurisecolare vincolo di comunione con la Chiesa bizantina, finirono per mutuarne il rito, usando il greco e l’arabo come lingue liturgiche, mentre la gerarchia è rimasta prevalentemente ellenofona. Ancora oggi, infatti, i patriarchi di Alessandria e di Gerusalemme sono ellenofoni.

A Costantinopoli l’archimandrita Eutiche, partendo da quanto stabilito al Concilio di Efeso (431) e da quanto affermato da Cirillo di Alessandria († 444), sosteneva che, dopo l’Incarnazione, in Cristo non vi era più distinzione tra la divinità e l’umanità, ma un’unica natura. Il conciliabolo di Efeso del 449, che sancì questa prospettiva teologica, venne celebrato tra disordini e tumulti. L’imperatrice Pulcheria e l’imperatore Marciano perciò convocarono un Concilio a Calcedonia (451). Qui i Padri definirono in Cristo due nature (umana e divina) unite in una sola persona e in un solo individuo. Emerse una spaccatura radicale mai più appianata tra i sostenitori (duofisiti) e gli oppositori (monofisiti) di questo dogma. L’anticalcedonismo o monofisismo divenne immediatamente una bandiera politica delle spinte separatiste e nazionaliste, in partico220

375. Chiesa di Santa Hripsimé a Vagarsapat in Armenia. La chiesa del VII secolo è venerata come una delle radici della spiritualità armena.

376. Esterno della chiesa di Mar Yakub, nella regione Tur’Abdin, oggi in Turchia, luogo di pellegrinaggio e di turismo per chi vuole incontrare i segni del monachesimo siriaco.

Il termine melkita è poi passato a designare le Chiese di tradizione bizantina in comunione con Roma nel Medio Oriente. La gerarchia di fede monofisita, con forte ispirazione popolare, fu di chiara impronta nazionalista, in lotta per l’autonomia politica da Costantinopoli. In verità, il monofisismo, che mascherò i vari moti indipendentisti, generalmente non può essere ricondotto alla cristologia eutichiana (monofisismo reale), quanto piuttosto alla tradizione cirilliana (monofisismo apparente): si trattò, in sostanza, di una presa di posizione contro Calcedonia più formale che sostanziale, riconducibile cioè a mere ragioni di terminologia concentrate prevalentemente sulla diversa accezione del termine physis (natura). Il monofisismo reale, infatti, non ebbe molta fortuna: gli epigoni di Eutiche non durarono a lungo, liquidati dalla critica non solo dei calcedoniani ma anche degli stessi monofisiti apparenti, i quali espressero fiorenti pensatori, come ad esempio Severo di Antiochia († 538), destinati a fare scuola. La disgregazione ecclesiastica post-calcedonese indusse gli imperatori bizantini a cercare una mediazione, che, spesso, anziché

semplificare la problematica e avvicinare le parti, conseguì traguardi diametralmente opposti. Qualche secolo dopo, i movimenti monofisiti nazionalisti antibizantini della Siria e dell’Egitto finirono per favorire, a causa di un tragico equivoco, la fulminea espansione e l’occupazione araba musulmana di quei territori. Viene compresa tra le Chiese pre-calcedonesi anche quella assira d’Oriente o nestoriana, quindi la siro-ortodossa o Giacobita, Armena e Copta. Tutte queste Chiese, in proporzione al loro numero nei rispettivi ambienti e in diaspora, hanno un fiorente monachesimo, chiuso tuttavia alla loro realtà religiosa. La Chiesa assira d’Oriente o nestoriana, originata da Nestorio condannato al Concilio di Efeso nel 431, era diffusa all’inizio in Mesopotamia e in Persia, ma la sua grande espansione missionaria nel Medioevo raggiunse l’India e la Cina. Dopo le repressioni subite in Iraq nel 1933, gran parte è emigrata negli USA, Canada e Australia. Attualmente i fedeli sono circa 130 mila in diaspora, 110 mila in area araba e 120 mila in Turchia e Iran. 221


VII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO ORIENTALE

15. LE CHIESE PRE-CALCEDONESI

377 378

Dopo il 1968 si è verificato uno scisma che ha dato origine a due patriarcati: uno con sede a Morton Grove (Illinois, USA) e l’altro con sede a Baghdad. La divisione è in corso di ricomposizione a favore del Catholicos residente negli USA, che rappresenta la successione legittima. Nel 1994 questo Patriarca ha sottoscritto con il Pontefice romano una dichiarazione di fede cristologica comune. Conta numerose comunità religiose che vivono il monachesimo tradizionale, da cui si attinge per molte delle nomine gerarchiche.

377. Veduta del monastero dei siriani a Wadi’n Natrun. Il monachesimo egiziano vive, oggi, una stagione di importante ripresa, segnata anche dall’opera di restauro degli edifici e del patrimonio artistico. 378. Interno della chiesa del monastero di Sant’Antonio in Egitto con gli arredi liturgici predisposti all’ufficio.

La Chiesa siro-ortododossa è detta anche giacobita dal suo organizzatore, il vescovo di Edessa Giacomo Baradeo († 578). Dopo aver conosciuto una discreta espansione in Oriente, fu colpita duramente dall’invasione mongola di Tamerlano nel secolo XIV. Nel 1984 il Patriarca, che risiede a Damasco e ha il titolo di Antiochia e di tutto l’Oriente, ha sottoscritto con il Papa di Roma un documento in cui si professa una fede cristologica comune. I fedeli si aggirano intorno a 300 mila nell’area medio-orientale e circa 150 mila in diaspora nell’Europa settentrionale, USA, Canada e Australia. Il monachesimo, fiorente e spesso preparato culturalmente, vive secondo le antiche consuetudini sire. La Chiesa copta abbraccia i fedeli dell’antico patriarcato di Alessandria d’Egitto. Le stime relative al numero dei fedeli variano da un minimo di 3 milioni ad un massimo di 8 milioni, prevalentemente in Egitto e circa 400 mila in diaspora nell’Europa, USA, Canada e Australia. Nel 1996 sono state erette due diocesi in Italia (Milano e Torino). Nel 1973 e nel 1988 il Patriarca, che risiede a Il

222

379

Cairo, ha sottoscritto con il Pontefice romano un documento di fede cristologica comune. Il monachesimo copto è oggi fiorente e gli antichi monasteri di Sant’Antonio, di San Pacomio ecc. contano vocazioni di persone intellettualmente molto preparate e desiderose di rivivere l’esperienza ascetica della loro tradizione. Grande è l’apertura dei centri monastici copti. La Chiesa armena apostolica riconosce come suprema autorità il Catholikos che risiede ad Etchmiadzin nell’attuale Repubblica di Armenia. Al Catholikos di Cilicia, residente ad Antelias (Libano), fanno capo giurisdizionalmente i fedeli del Libano, Siria, Iran e Grecia e quelli della diaspora da questi Paesi. Il Patriarca di Gerusalemme ha giurisdizione per Palestina, Israele e Giordania, mentre quello di Istanbul per la Turchia. I fedeli sono circa un milione nell’area medio-orientale, mentre di qualche milione in diaspora, prevalentemente Europa, USA, Canada, Sud America, Australia. In diaspora esiste un’organizzazione ecclesiastica capillare con diocesi e parrocchie. Il monachesimo è fiorente, ma, come la Chiesa armena, è introflesso, cioè «volto all’interno» (in un’espressione emblematica: armena in armeno per gli armeni). Grandi meriti culturali ebbe dal 1700 in poi la comunità monastica «armeno-cattolica» fondata dall’abate Mechitar (Pietro Manuk) sull’isola di San Lazzaro a Venezia. Nell’insieme è da dire che, mentre in tutte le Chiese pre-calcedonesi vi è una ripresa del monachesimo, in particolare quello maschile, nelle Chiese omologhe cattoliche si registra un notevole calo.

379. Veduta del monastero di San Bishoi sempre nella regione di Wadi’n Natrun. Vi si nota l’architettura slanciata e mossa del nuovo campanile. 380. Questo disegno di una croce trionfale tratto da un manoscritto siriaco del secolo XVII ci ricorda la spiritualità orientale, che esprime nella croce immediatamente il mistero della resurrezione.

380 223


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

1. SANT’ANSELMO

1. SANT’ANSELMO 381. Campanile romanico della chiesa di Sant’Orso ad Aosta, simbolo della cristianità aostana. Da qui parte Anselmo per andare a vivificare il monachesimo francese ed inglese.

LA MANICA

382. L’antica strada romana che da Aosta portava nella valle del Rodano e da lì nelle Gallie e in Britannia.

Rouen Le Bec IMPERO ROMANO GERMANICO

Avranches

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REGNO D’ITALIA

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383

Eu LA MANICA

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381

382

Nacque in Italia, in Valle d’Aosta, nel 1033; studiò in Francia; divenne monaco, priore e abate del Bec; nominato arcivescovo di Canterbury, rimase sempre e in tutto un monaco. Il suo obiettivo permanente fu la conquista della verità divina, per quanto ciò risulta possibile all’essere umano. Emise la sua professione all’età di ventisette anni, dopo un periodo di agitazione e irrequitezza, e trascorse i primi tre anni nel silenzio e nella preghiera, approfondendo la propria vocazione monastica. Studiò senza posa insieme a Lanfranco, priore del monastero, per la sua sapienza tra i rappresentanti più apprezzati della cristianità dell’epoca. Esortò i giovani a dedicarsi al lavoro intellettuale, richiamando purtuttavia la loro attenzione sul pericolo che lo studio pregiudicasse l’osservanza della Regola. Per rispondere alle richieste e ai bisogni concreti dei suoi fratelli, si impegnò a scrivere 224

opere spirituali e teologiche, risultando di fatto uno dei principali artefici del rinnovamento monastico del suo tempo. Alla morte del fondatore del monastero fu nominato abate. Secondo il suo biografo Eadmero: «era un padre per coloro che erano sani e una madre per gli infermi, o, ancor meglio, un padre e una madre per tutti. Pertanto, quando qualcuno, soprattutto tra i più giovani, aveva qualche segreto, lo spingeva a manifestarlo come a una madre». Fu promosso alla sede primaziale di Canterbury e ordinato vescovo il 6 dicembre 1093, dopo mesi di sforzi, poiché sentiva come monaco una ripugnanza assoluta per gli onori, il potere e la gloria. Fu fedele alla Santa Sede e alle proprie idee e ciò lo portò a essere mandato lontano dalla sua terra per sei anni. Nella sua nuova dignità mantenne la condizione di monaco, senza mai tradire le esigenze della propria originaria vocazione monastica. Afferma il

384

Arcidiocesi Diocesi francese Diocesi normanna

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St.-Wandrille Jumiéges St.-Ouen St.e-Catherine Quillebeuf Lessay Rouen Gournay Beauvais St.-Vigor BonneCormeilles Bayeux Troarn Le Bec Nouvelle Gisors Caen Coutances St.-Martin- Pontoise Lisieux Bernay Brionne Torigny la-Garenne St.-Pierre St.-PierreBeaumontsur-Dives Vernon le-Roger Évreux Meulan D ive Falaise St.-Évroult Ivry Avranches Conflans s Or ton I ne Exmes St.e-Honorine Parigi BRE Laigle TA G NA Mont-St.-Michel Séez St.-Martin Abbazia Priorato del Bec Altro luogo (castello, ecc.)

Chartres

FRANCIA

suo biografo: «Posso garantire con la massima verità che molte volte gli ho sentito dire che preferiva vivere in un monastero tra i fanciulli a svolgere le mansioni del maestro, piuttosto che stare a capo della Chiesa d’Inghilterra». Fu scrittore fecondo, autore di trattati speculativi, di meditazioni e riflessioni spirituali: tutta la sua opera risponde alle domande e agli interessi tipici dell’ambiente monastico. Il suo famoso detto: «La fede che cerca di capire» riassume appieno l’intera sua opera, consistente nell’entrare in contatto diretto con le esigenze concrete dei suoi fratelli, aiutandoli a preparare il loro spirito nell’amore e nel timor di Dio e nella migliore conoscenza di se stessi. Anselmo fu fondamentalmente un contemplativo e tutta la sua opera si ispira alla ricerca della verità e dell’esperienza di Dio. Il suo processo intellettuale parte da questa esperienza personale che diventa di volta in volta più profonda e raggiante. Egli cerca

383. La situazione dell’Europa all’epoca dell’andata di sant’Anselmo al monastero del Bec nel nord della Francia. 384. Arrivato al Bec in Normandia nel 1059, Anselmo vi rimane come monaco, ne diviene poi priore e abate e vi resta sino al 1092. In questo periodo i beni e le dipendenze del monastero si moltiplicarono nella regione normanna, in Francia e in Inghilterra. Anselmo, divenuto arcivescovo di Canterbury in Inghilterra, soggiorna ancora a Le Bec nell’estate del 1103 e dal luglio del 1105 all’agosto del 1106.

su Dio una verità fondata, che esige il senso e la percezione sensibile della sua presenza. L’amore è ciò che muove la mente a intraprendere la ricerca razionale, speculativa della conoscenza di Dio. All’inizio del Proslogion si incontra una preghiera che condensa compiutamente questo programma: «Signore, che io possa cercarti desiderandoti, desiderarti cercandoti, incontrarti amando». La ricerca anselmiana nasce, dunque, dalla preghiera, si sviluppa accompagnata dalla preghiera e termina nella preghiera. Il suo pensiero è totalmente impregnato di cultura biblica. J.-P. Pouchet, uno dei massimi studiosi di Anselmo, riassume quali furono i mezzi utilizzati dal santo nel suo studio del mistero di Dio: «priorità inviolabile della fede, pratica dei precetti divini, lettura meditata della pagina sacra, fervore nella preghiera, osservazione della natura, ricerca razionale, intuizione contemplativa». La fede che cerca di capire presuppone un intelletto che parte a sua volta 225


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

226

385. Cartina dell’Inghilterra all’epoca di Anselmo arcivescovo di Canterbury.

385

387

388

386. Incipit di una copia del famoso Monologion di Anselmo. La miniatura è un’iniziale ornata con la figura dello stesso Anselmo in trono fra due monaci. Il codice è conservato nella Biblioteca Municipale di Rouen, in Francia (Ms. 359).

387. Ritratto di sant’Anselmo in una miniatura conservata alla Bodleian Library di Oxford (Ms. Auct. D. 2.6.).

388. Anselmo presenta le sue Orationes sive meditationes alla contessa Matilde di Canossa. Particolare di una miniatura conservata alla Stiftsbibliothek di Admont in Austria (Ms 289).

Cattedrale di S. Paolo

Villa di Hayes

Abbazia di S. Pietro a Westminster Castello di Windsor

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386

389. Schema dell’abbazia di Canterbury di poco successivo al periodo anselmiano.

Villa di Harrow

Torre di Londra S. Andrea di Lambeth

Villa di Mortlake

ig i

dalla fede. La Bibbia, la liturgia, i Padri, la dottrina razionale della Chiesa costituiscono l’humus che nutre la sua capacità e la sua metodologia di pensatore moderno e originale. Serva come espressione del metodo e dello spirito anselmiano il seguente testo del Proslogion: «Orsù, piccolo uomo, lascia un momento da parte le tue inquietudini; entra per un istante in te stesso, lungi dal tumulto dei tuoi pensieri. Getta via, fuori di te le preoccupazioni angoscianti; metti da parte le tue inquietudini tormentose; dedica qualche tempo a Dio e riposa un momento in lui. Entra nella stanza della tua anima; escludi tutto, eccetto Dio e quanto possa aiutarti a cercarlo; e in questo modo, chiuse tutte le porte, cercalo. Allora, dì, cuore mio intero, dì a Dio: ‘Cerco il tuo volto, Signore, cerco il tuo volto’. E allora tu, Signore, Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come incontrarti. Signore, se non sei qui, dove ti cercherò assente? Se sei dappertutto, come non ti scopro presente? È pur vero che abiti in una luce inaccessibile. Ma dove si trova questa luce inaccessibile? Come potrò avvicinarmi ad essa? Chi mi condurrà fino ad essa e mi introdurrà in essa per vederti al suo interno? E poi con quali segni, sotto che volto dovrò cercarti? Non ti ho mai visto, Signore, Dio mio; non conosco il tuo volto. Che farà, altissimo Signore, che farà questo tuo esiliato lontano da te? Che farà il tuo servo, desideroso del tuo amore e gettato via lontano dal tuo volto. Egli anela vederti, ma il tuo volto sta molto lontano da lui. Desidera avvicinarsi a te, ma la tua dimora è inaccessibile. Arde dal desiderio di incontrarti, ma ignora dove vivi. Fa il proposito di cercarti, ma mai ha visto il tuo volto». Questo significativo testo non solo affronta il permanente e angosciante dilemma dell’essere umano che ricerca Dio con sincerità, senza però trovare spesso risposta alle proprie ansie, ma anche il segreto della vita religiosa, la spiegazione dell’attrazione del deserto e della vita monastica. Perseverare nel monastero significa persistere nella ricerca di Dio, crescere di giorno in giorno nella conoscenza e nell’amore di Dio, perché la vita monastica consiste nel fare il possibile per conoscere Dio che si rivela in Cristo, penetrare attraverso l’intelletto e l’amore nel senso profondo della rivelazione e collocare la vita intera nell’obbedienza a Cristo. Permeato dalla sua esperienza di vita monastica, nei suoi scritti e nella sua permanente direzione spirituale Anselmo raccomandò la necessità della preghiera, l’obbedienza, che egli considera il vero e proprio pellegrinaggio del monaco, la fuga dal mondo e quei metodi permanenti della vita cristiana che costituiscono l’essenza della vocazione monastica: l’ospitalità, la cura degli infermi, la generosità, la pazienza, la stabilità, la purezza di cuore, l’amicizia e la carità fraterna.

1. SANT’ANSELMO

Dipendenza di Canterbury Dipendenza di Rochester York

Lincoln St.Werburgh

Bangor

Crowland Peterborough Coventry Worcester Hereford

St.Davids Llandaff

Glastonbury Michelney Exeter

Ely Bury St.Edmunds

Winchcombe

Malmesbury

Pembroke

St.Neots

Norwich

Thorney

St.Albans

Westminster Londra Rochester Bath Canterbury Wilton Salisbury Winchester Lewes Battle Chichester Shaftesbury Cerne Arcidiocesi Diocesi Monastero

389 227


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

2. I CERTOSINI

2. I CERTOSINI 394. Ricostruzione ideale dell’abitazione di un monaco certosino.

390. Veduta del monastero di Ema, nei pressi di Firenze, con la schiera delle celle.

Bruno nacque a Colonia, intorno al 1027, studiò con entusiasmo arte e teologia a Reims, dove fu nominato maestro di teologia della cattedrale. Lì insegnò teologia per 20 anni e fu parte del collegio dei canonici. Tra i suoi discepoli ci furono il futuro Urbano II e Dan Hugo, vescovo di Grenoble. La vita troppo mondana del mondo clericale e della cristianità medievale non soddisfaceva i suoi aneliti al rigore e alla perfezione spirituale. Decide, perciò, insieme ad alcuni amici, di «abbandonare il mondo fugace, per conquistare l’eterno e ricevere l’abito monastico». Dopo aver trascorso un po’ di tempo con san Roberto, fondatore dei cistercensi, a Molesme, nel 1084, si ritirò con sei discepoli nella solitudine di Chartreuse, valle alpina disabitata, a circa 1.000 m di altitudine. L’unico desiderio di Bruno era quello di vivere solo con Dio. San Bruno non apparteneva alla tradizione benedettina e cercò qualcosa di fondamentalmente diverso: la solitudine eremitica. Costruì con tronchi d’albero alcune rozze capanne nei pressi di una piccola cappella. In quelle montagne aride e deserte le loro anime si potevano elevare liberamente verso le lande divine della contemplazione che andavano cercando. Misero in pratica alla lettera la vita ideale descritta da san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (6,4 ss): «Mostriamoci in tutto ministri di Dio, nella pazienza, nei lavori, nelle veglie, nei digiuni, nella castità, nella conoscenza; affaticati, ma sempre gioiosi; come coloro che non posseggono nulla, ma hanno tutto». La novità del nuovo ordine si manifestò nell’abito bianco, fatto di lana non tinta; nella formula della professione di fede; nei fratelli laici, che si dedicavano prevalentemente al lavoro manuale, insieme alla categoria dei monaci professi, e che, a differenza dei monaci, vivevano in comunità; nella liturgia, austera, priva di accompagnamento musicale (infatti, nelle chiese dei certosini non ci sono organi), e semplice nelle cerimonie. Il digiuno era quasi continuo, non mangiavano mai la carne, mentre, quando veniva loro offerto, mangiavano il pesce. Il martedì, il giovedì e la domenica potevano mangiare uova e formaggio. Gli altri giorni si limitavano a pane e acqua. Il monaco certosino recita quotidianamente l’Ufficio della Vergine e dei defunti, ad eccezione di alcune festività. Quando muore, viene sepolto senza bara, ma solo con i propri abiti e sulla sua sepoltura viene collocata una croce di legno senza nome. Urbano II, nel 1090, fece venire il suo maestro san Bruno a Roma, in veste di consigliere, ma la sua vita solitaria difficilmente poteva sopportare la frenetica vita romana. Il papa gli permise di fondare un altro eremo in Calabria: San Giovanni Battista della Torre, dove il santo morì. Da quel monastero, scrisse ai suoi figli di Chartreuse: «Di voi, fratelli amatissimi, dico che l’anima mia proclama la grandezza del Signore, poiché vedo su di voi la ricchezza della sua misericordia e mi rallegro, perché, essendo voi sprovvisti della scienza delle lettere, Dio onnipotente incide con il suo dito nei vostri cuori non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua santa legge. Con le opere vostre, mostrate ciò che amate e sapete. È chiaro che state raccogliendo sapientemente il frutto dolce e rivitalizzante delle Sacre Scritture, poiché osservate con grande at228

395. Parti di un dittico di un anonimo olandese del Rinascimento, vi si vede un donatore certosino con san Bruno. L’opera è conservata nei Musei Reali delle Belle Arti di Bruxelles in Belgio. 395

394

Studio Cella

Oratorio

Passavivande

Laboratorio

Legnaia

390 Porta del chiostro

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393

391-392-393. Il grande architetto francese Le Corbusier fu colpito in gioventù dalla forza espressiva della struttura certosina del monastero di Ema e disegnò vari schizzi nel suo taccuino. Questa silhouette fatta di cubi, la cui sezione per altro mostrava il particolare adattamento all’essere abitate, furono per il padre del «movimento moderno» in architettura uno stimolo a ripensare gli edifici in modo, da un lato fortemente geometrico e dall’altro a misura umana. Lungi da un razionalismo arido Le Corbusier parla del «lirismo» presente nell’edificio.

tenzione e zelo la vera obbedienza, che consiste nel compiere i comandamenti di Dio, chiave di tutta la vita spirituale e garanzia della sua autenticità. Essa non si trova mai senza profonda umiltà e straordinaria pazienza e si accompagna sempre all’amore puro di Dio e della vera carità. Rimanete dunque, fratelli, nello stato in cui siete giunti». Il suo discepolo Guido scrisse di lui: «Il maestro Bruno fu famoso per la sua religione e la sua scienza, esempio di totale onestà, rigore e maturità. […] Fu uomo di cuore profondo». Alla morte del fondatore che, probabilmente, non immaginò di aver dato origine ad un nuovo ordine, i suoi figli presero il nome di «poveri di Cristo». Le prime «consuetudini», o usanze regolamentate, sono del 1128 e furono imposte a tutto l’ordine tramite il capitolo del 1142, gli Statuta antiqua del 1259 e i Nova Statuta del 1368. Nel 1581 tutti i regolamenti e le usanze precedenti furono raccolti e sintetizzati nella «Nuova collezione degli statuti», ancor oggi in vigore. Il priore della Grande Certosa è il Generale di tutto l’Ordine, con giurisdizione vicaria sulle varie residenze autonome, di cui renderà conto al Definitorio, formato da otto membri. Ogni tre anni egli presenta le sue dimissioni e il Definitorio decide se accettarle o no. La biblioteca comune era ricca e il lavoro fondamentale dei nuovi monaci consistette nella copiatura di manoscritti, pur dedicandosi anche alla carpenteria, all’incisione e al giardinaggio. Costruiro229


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

2. I CERTOSINI

USA

1

1 GRAN BRETAGNA

Monache FRANCIA Chartreuse de Nonenque (Aveyron) Chartreuse Notre Dame (Alpes de Haute Provence) SPAGNA Cartuja Santa Maria de Benifaçà ITALIA Certosa della Trinità (SV) Certosa di Vedana (BL)

1 GERMANIA

FRANCIA

4 2

PORTOGALLO

1 SVIZZERA

SLOVENIA

1

ITALIA

1

2 5 1 SPAGNA

2

BRASILE

1 Monaci

ARGENTINA

1

ITALIA FRANCIA Grande Chartreuse (Isère) Certosa di Farneta (LU) Chartreuse de Portes (Ain) Certosa di Serra San Bruno (VV) Chartreuse de Sélignac (Ain) GRAN BRETAGNA St Hugh's Charterhouse (Parkminster) Chartreuse de Montrieux (Var) GERMANIA SVIZZERA Chartreuse de la Valsainte Kartause Marienau SPAGNA SLOVENIA Cartuja de Aula Dei (Zaragoza) Kartuzija Pleterje Cartuja de Jerez (Cadiz) USA Cartuja de Miraflores (Burgos) Ch. of the Transfiguration (Vermont) Cartoixa de Montalegre (Barcellona) BRASILE Cartuja de Porta Coeli (Valencia) Mosteiro N.S. Medianeira (RS) PORTOGALLO ARGENTINA Cartuxa de Scala Coeli (Evora) San José

397

396

no le celle intorno a un chiostro, vicino al quale c’era l’oratorio e tutto il complesso era protetto da un muro. I monaci lavoravano, dormivano, mangiavano e pregavano nelle proprie celle, che abbandonavano solo per recarsi all’oratorio in tre occasioni: per l’ufficio notturno, la messa che inizialmente non era giornaliera, e per i vespri. La domenica e i giorni di festa mangiavano tutti insieme nel refettorio. I certosini, quindi, sono un misto tra cenobiti ed eremiti. Il silenzio, una delle loro caratteristiche, veniva interrotto quando sentivano la necessità di parlare e durante la lunga passeggiata che erano tenuti a fare una volta alla settimana. La casacella del certosino consta di un corridoio, una camera per lo studio, un laboratorio per il lavoro, un oratorio, una camera per dormire e un giardino. Il priore Guido (1173-1180), nelle sue Lettere sulla vita contemplativa, insistette sulla necessità di coniugare l’ascesi alla contemplazione: «Un giorno, durante il lavoro manuale, cominciai a pensare all’esercizio spirituale dell’uomo e, improvvisamente, si presentarono alla riflessione del mio spirito quattro gradi di spiritualità: lettura, meditazione, preghiera e contemplazione». 230

I certosini ebbero la fortuna di non estendersi rapidamente come altri ordini riformati. In un’occasione, san Bruno scrisse a un amico: «I figli della contemplazione sono meno numerosi dei figli dell’azione». In tal modo, non subirono la crisi degli altri ordini, e non caddero nelle reti della politica, neppure di quella ecclesiastica. Per queste ragioni e per la decisione di ammettere nell’ordine soltanto i candidati adatti dal punto di vista fisico, spirituale e psicologico, è stato scritto che non furono mai riformati, per il fatto che non ce ne fu mai la necessità: numquam reformati, quia numquam deformati. Le monache certosine non erano comprese nella fondazione di san Bruno. Cinquant’anni dopo la sua morte, il monastero di Prébayon chiese di essere affiliato all’ordine e la sua preghiera fu accolta. Il priore della Grande Certosa impose loro una regola ispirata alle prime usanze dell’ordine. Più tardi, iniziarono ad essere fondati anche altri monasteri femminili. Le monache non dimorano in abitazioni separate, ma vivono in un monastero e mangiano sempre insieme. La divisione del tempo e i digiuni sono simili a quelli dei certosini.

396. Una delle opere più straordinarie dell’arte certosina realizzata tra il XV e XVI secolo, è certamente la Certosa di Pavia, a sud di Milano. Oggi non è più una Certosa. Un esempio di arte rinascimentale, in cui nel rigore delle forme classiche è stato innestato un gusto cromatico e decorativo particolare. I monaci si dedicarono nelle Certose all’arte e all’artigianato.

397. Carta della diffusione delle Certose nel mondo.

231


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

3. I CISTERCENSI

3. I CISTERCENSI La vita ecclesiastica, nella sua aspirazione all’autenticità e alla generosità, rappresenta un continuo ritorno alle origini. Verso la fine dell’XI secolo, la riforma ecclesiastica prese varie direzioni: una, con i càtari e i valdesi, fu di violenta rottura; un’altra, ereticale, cercò la salvezza fuori dalla Chiesa; un’altra ancora, di tipo istituzionale, cercò la salvezza all’interno della comunità ecclesiastica. Quest’ultima sfociò nella riforma gregoriana, incentrata sulla ricerca di una vita religiosa più concorde e fedele ai Vangeli. I riformatori religiosi del tempo rivolsero lo sguardo al modello dei Padri del deserto e di san Benedetto da Norcia. Tale fu il percorso seguito dai riformatori dell’ordine di Cister, Roberto da Molesme, Alberico, Stefano Harding e Bernardo. Nel 1098, Roberto, abate e fondatore del monastero di Molesme, insieme con altri sette monaci, espresse il desiderio di fondare una comunità che vivesse secondo un’osservanza più stretta e fedele alla regola di san Benedetto, rispetto a quello che era avvenuto fino ad allora. Nacque così il monastero di Cister a Cîteaux, nel cuore della Borgogna. Roberto sognava il deserto, come ideale di vita monastica, e nella fondazione di Cîteaux si percepisce un riflesso dell’ombra di Pacomio. Nel 1100, papa Pasquale II pose la nuova fondazione sotto la protezione della sede apostolica, «libera sia dalle pressioni ecclesiastiche, sia da quelle secolari», e concesse l’approvazione canonica e lo statuto giuridico. Nella Pasqua del 1112, Bernardo di Fontaine, all’età di 22 anni, chiese di entrare nel monastero. Insieme a lui, arrivarono 30 membri delle migliori famiglie di Borgogna, tra i quali si trovavano quattro dei suoi fratelli e due zii materni. Quest’inaspettata presenza provocò l’inizio della sorprendente diffusione del nuovo ordine. Bernardo, a 25 anni, divenne il primo abate di Clairvaux (1115). Era un uomo di straordinaria spiritualità, carattere e doti letterarie e il suo insegnamento personale esercitò sulla Chiesa dell’epoca un eccezionale influsso. Alcuni autori lo considerarono l’ultimo Padre della Chiesa. Nel corso della sua vita, arrivò a fondare 66 monasteri. San Bernardo sviluppò e mise in pratica il pensiero di san Benedetto, chiamando il monastero scuola di carità. Il principale obiettivo della disciplina monastica era quello di ripristinare la natura umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio, vale a dire per l’amore e la completa dedizione personale. Secondo san Bernardo, le rinunce della vita monastica vanno assunte soltanto con la conoscenza e l’esperienza di Dio. Per ottenere ciò, bisogna fare ritorno a se stessi, e questo può avvenire solo in solitudine e in silenzio. La solitudine era per lui incompatibile con l’esercizio delle funzioni pastorali al di fuori del monastero. Criticò con forza la maestosità e la ricchezza delle chiese cluniacensi, la profusione di mostri nei capitelli delle colonne, la sontuosità degli ornamenti liturgici, lo stile di vita e la stoffa degli abiti: «L’abito dovrebbe essere segno di umiltà ed essi, invece, senza dubbio, lo cuciono con materiali di lusso; il monachesimo significa rifiuto del mondo, e, senza dubbio, i monaci cercano di essere signori di provincia». Nacque così uno stile architettonico e un’estetica della persona più semplice e austera, che è il cosiddetto stile cistercense. Lo spirito del nuovo ordine volle rinnovarsi e consolidarsi, imparentandosi direttamente con lo spirito della regola benedettina: seguono, infatti, le sue prescrizioni in tutto ciò che concerne il ci232

398. Pastorale in argento dorato appartenente a san Roberto di Molesme, conservato oggi al Museo delle Belle Arti di Digione, in Borgogna, Francia. La ricchezza dell’oggetto mantiene il rigore aniconico dei disegni. 399-400. Dalla pianta di Dom Milley del 1708 è stata tratta questa ricostruzione, con planimetria, del primo monastero, «Monasterium Vetus» di Clairvaux, in Francia.

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bo e il vestiario, rifiutano le imposte ecclesiastiche, fonte di arricchimento e corruzione, non accettano l’istituzione di priorati, che introdurrebbe un principio di gerarchia, contrario allo spirito di carità, così come anche il ricorso alla manodopera servile. Il lusso, secondo san Bernardo, era peccaminoso, figlio del demonio, contrario agli insegnamenti evangelici; era esecrabile nei monaci, che negavano così l’umiltà della loro professione, era uno scandalo intollerabile nei pastori, compreso il papa, che dimostravano sconsideratamente di essere figli del secolo e saccheggiatori dei poveri. Secondo la regola, «i monaci dormono vestiti, per essere sempre pronti». Per san Bernardo, il monaco è come un soldato in guerra e così lo descrive nella sua Regola. Le abbazie cistercensi, che contavano solo 12 monasteri, seguendo la prescrizione di san Benedetto, non erano costruite in zone desertiche, bensì in zone fitte di alberi o nei pressi di terre disso-

401. Stefano Harding, terzo abate dell’ordine cistercense, a sinistra, e l’abate di Saint-Vaast d’Arras, sempre in Francia, mentre offrono ciascuno la propria abbazia alla Vergine. Miniatura in una copia del IV libro del commento al libro di Geremia di san Gerolamo, conservato nella Biblioteca Municipale di Digione in Borgogna (Ms 130).

date ed erano vere e proprie cittadelle monastiche. Secondo la «Carta Charitatis» di Stefano Harding, terzo abate e vero organizzatore dell’ordine, le abbazie cistercensi sono completamente autonome, pur mantendosi unite dal patto di amicizia, dallo stile di vita e dalla carità condivisa. L’abate di Cîteaux visita ogni anno le abbazie cistercensi, al fine di vegliare per lo spirito di umanità cistercense, senza intervenire nella gestione temporale, tranne che in casi estremi. L’adunanza generale degli abati si riuniva a Cîteaux ogni estate, per discutere gli argomenti riguardanti l’ordine. L’ordine si espanse, con velocità sorprendente, dal Portogallo alla Svezia, dall’Irlanda all’Estonia, dalla Scozia alla Sicilia. Alla fine del XII secolo, esistevano 530 monasteri cistercensi maschili, detti «benedettini bianchi», e molti femminili. Il successo dell’ordine e la sua crescita incontrollata causarono, in 233


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE Iona

3. I CISTERCENSI

Melrose 660-1545 Nunraw 1946

Bethlehem 1948 Bangor 540 Boyle 1148-1659 Roscrea VII sec.

Bangor

Bolton

Holycross 1180 Mount Melleray 1831

Rievaulx Fountains 1132 Diepenveen 1883

Mount St. Bernard 1835

Tilburg Achel Altenberg 1881 1133-1803 Tegelen Zundert 1900 1884 Tintern Aulne Westmalle 1131 VII sec.-1794 1794 Echt 1883 Villers-la-Ville Westvleteren Mariawald Caldey 1146-1789 806 1480 V sec. Val-Dieu Le Mont-des-Cats 1216 1826 Chevetogne Maulbronn Vaucelles Valloires 1925 1139-1648 1132 1138-Rivol. Scourmont Orval 1850 Vauclair 1070 Bricquebec 1134-Rivol. 1824 Bebenhausen Trois-Fontaines Royaumont fine XII sec. 1118-Rivol. 1228-1791 Chaalis Stams La Grande Trappe 1137-Rivol. Clairvaux 1115-Rivol. Celenberg Savigny Muri 1046 1273 1140 1090 Le Relecq Boquen 1027 VI sec. 1137 Pontigny Morimond 1114-Rivol. Clermont L'Épau 1115-Rivol. Langoned 1152-Rivol. 1229 Vézelay Fontenay Acey 1136 Hauterive 1136-Rivol. Piona Timadeuc 878-XVI sec. 1119-1791 Port-du-Salut XI sec. 1138 1891 Cîteaux 1233 Sept-Fons La Millerayede Bretagne 1098 1132 1145 La Ferté-sur-Groshe Bellefontaine Chiaravalle XI sec. Noirlac Sergno 1136-1798 1136-XVIII sec. Notre-Dame-desDombes 1863 Tamié 1134 Aubazine 1147-1789 Aiguebelle Cadouin 1137 1119-Rivol. Notre-Damedes-Neiges 1850 Lerins Sénanque 375 Ste-Marie-du-Desert 1148-1969 1852 St-Sever Silvacane Le Thoronet 993 1147-1443 1136-Rivol. Fontfroide 1093-1905 San Pedro Viaceli Iranzu de Cardeña 1908 ca. 1027 ca. 884

Jerpoint 1180 Dunbrody 1182

Sobrado de los Monjes 922

Osera 1141

San Isidro ca. 1072

Fitero 1141

La Oliva 1150 Veruela 1176

Piedra Huerta 1194-XIX sec. 1144

Zwettl 1138

Heiligenkreuz 1135

Engelszell 1293

Viktring 1142-1786

La Delivrance 1881

Marija-Zvijezda (Samostan) 1869

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405

406

407

S. Galgano 1181 S. Clemente 871-1915

Frattocchie 1883 Tre Fontane ca. 625 Fossanova 1135

Santas Creus 1152-XIX sec. Poblet 1151

Tarouca 1140

402

Alla doppia pagina seguente: 408. Il chiostro dell’abbazia di Chiaravalle, ormai alle porte di Milano. Anche oggi Chiaravalle è un importante centro monastico cistercense e di studi.

402. La cartina visualizza la straordinaria e rapida diffusione dei cistercensi. 403. San Bernardo mentre predica nel capitolo. Miniatura del Libro d’Ore di Etienne Chevalier dipinta da Jean Fouquet nel XV secolo. Oggi al Museo Condé di Chantilly, in Francia. 404-407. Vedute dei siti che sono stati il cuore della grande riforma cistercense. Vengono anche chiamati il quadrifoglio: in alto Pontigny, a sinistra, e La Ferté, a destra; in basso Morimond , a sinistra, e Clairvaux a destra.

403 234

un certo senso, la rovina dello spirito essenziale: l’abate-padre non poteva visitare tutte le abbazie, e gli abati non riuscivano sempre a partecipare alle adunanze generali. Le abbazie, di fatto, furono abbandonate a se stesse, e il risultato fu molto diseguale. Ancora una volta, le ricchezze, acquisite tramite donazioni o l’attività agricola, spesso di vasta estensione (il monastero di Chiaravalle possedeva 20.000 ettari di terreno, quello di Alcobaça 40.000), corruppero lo spirito della fondazione. Il modello cistercense ruppe i rapporti con il sistema signorile imperante. Si trattava di un’unità autogestita, che rispondeva alle necessità di una comunità che distribuiva il tempo tra il lavoro e la preghiera, seguendo le prescrizioni della Regola. All’inizio, non si produceva nulla di superfluo, a meno che non lo richiedesse il bisogno di un’altra comunità. Con il permesso del vescovo, furono accolti conversi laici, che erano trattati allo stesso modo, nella vita e nella morte, tranne il fatto che non erano monaci, aiutavano nei lavori agricoli e nell’allevamento e amministravano le fattorie. L’ordine cistercense fu il primo ad organizzare, in modo organico ed efficace, la vita dei conversi, integrandoli completamente, e,

nello stesso tempo, mantenendoli separati, a seconda di ciò che ritenevano conveniente. San Bernardo utilizzò spesso l’immagine di Tertulliano, secondo cui il chiostro era per i cristiani quello che il deserto aveva significato per i profeti: una prigione liberamente scelta, una prigione con le porte aperte. Ripeté, inoltre, la sua convinzione che Chiaravalle rappresentasse la visione di Gerusalemme. La concezione fondamentale del monastero e l’organizzazione sociale risultavano inscindibili dalla sua concezione mistica: la città ideale dei figli di san Benedetto prefigurava la Gerusalemme celeste, dove tutti i figli di Dio troveranno posto. A causa della riforma protestante, i cistercensi, per rispondere meglio alle aspettative dei fedeli, si inserirono sempre più nella vita delle parrocchie, soprattutto in Germania. Quasi tutte le dimore cistercensi assegnarono monaci alla carica pastorale e il Capitolo del 1601 fissò lo statuto legale delle parrocchie amministrate dall’ordine. Nel XVIII secolo, all’epoca della piena attuazione della politica religiosa dei monarchi illuminati, la vita pastorale dei cistercensi fece sì che molte abbazie non fossero soppresse. 235



VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

4. RIFORMA PROTESTANTE E MONACHESIMO

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409. Famoso ritratto di Lutero uscito dalla bottega del pittore e incisore tedesco Lucas Cranach il Vecchio nel 1529. Oggi conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

Nei paesi che, prima o dopo la pace di Augusta (1555), erano caduti sotto l’influenza del protestantesimo, i principi abolirono completamente la vita monastica, poiché Lutero, nella sua dottrina, aveva rifiutato i voti monastici, in quanto, a suo avviso, contrari alla legge evangelica. Nel De votis monasticis, infatti, egli afferma che essi sono contrari alla parola di Dio, alla fede, alla libertà evangelica, ai precetti divini, alla carità e alla ragione naturale: «Non c’è dubbio che il voto monastico sia pericoloso in se stesso, perché non ha a suo favore l’autorità e l’esempio della Scrittura, e non lo rinveniamo nel Nuovo Testamento o nella Chiesa primitiva. […] È una pericolosa invenzione degli uomini». Lutero negò così qualsiasi valore spirituale al monachesimo e decise l’abolizione dei voti e degli ordini religiosi, ponendo invece l’accento sul valore della vocazione laica. Oltre all’accusa di rilassamento e d’incapacità di seguire la regola, i riformatori escogitarono due nuovi tipi d’attacco, chiaramente espressi, un secolo prima, in Inghilterra, da Wycliff. Il primo era un attacco teologico contro i principi stessi del monachesimo: secondo loro, l’unica regola della vita cristiana era il Vangelo; tutto il resto era meramente umano, e, pertanto, cattivo. I monaci andavano in giro ad insegnare che la salvezza era nei digiuni, nelle penitenze e nelle flagellazioni stabilite, invece che nelle semplici e basilari virtù evangeliche. In secondo luogo, dicevano, i monaci erano parassiti della società, spendevano i soldi per le proprie comodità e non compivano nessun lavoro di valore sociale. Dal 1520 l’attacco al monachesimo costituì l’elemento distintivo della cultura protestante. È vero che a quell’epoca c’erano troppi monasteri e che molti erano eccessivamente ricchi e, a volte, poco utili alla società, pur es238

410. Ritratto di Enrico VIII d’Inghilterra eseguito verso il 1540 da Hans Holbein il Giovane. Oggi alla Galleria Nazionale di Roma.

sendo questa un’affermazione piuttosto discutibile. D’altro canto, in un’epoca che esigeva riforme, mancò a molti la reale volontà di operarne. La decadenza degli ordini religiosi negli anni precedenti la Riforma è ampiamente provata, anche se, ad essere onesti, bisognerebbe dire che, già a quell’epoca, era in atto una forte e intensa riforma in non pochi conventi e ordini religiosi. Dopo la Riforma protestante, in termini generali, la vita monastica si adattò al principio secondo cui chi governava, determinava e imponeva la religione negli stati di sua appartenenza. I monaci rimasero laddove c’erano principi o città cattoliche, e scomparvero laddove chi governava aveva attuato la riforma. Questo significò, nella prassi, che la metà del nord della Germania perse la maggior parte dei suoi monasteri, mentre nel sud si conservarono quasi tutte le abbazie esistenti. Alcuni conventi di monache resistettero a tutti gli attacchi e le imposizioni, soprattutto quando la badessa apparteneva ad una famiglia reale. Alcuni arrivarono ad accettare il luteranesimo, con la condizione di poter conservare le pratiche spirituali cattoliche. In Svezia, la sottomissione al re Gustavo Vasa dette come risultato la lenta confisca delle proprietà, durata per decenni, e in Norvegia e in Danimarca il processo fu ugualmente lento. In Olanda i monaci fuggirono dai distretti luterani. In Inghilterra, tra il 1535 e il 1540, i monasteri furono violentemente distrutti, per mano di Thomas Cromwell, desideroso di trovare fondi per le spese reali e per la difesa del regno. Enrico VIII dette la sua approvazione a questa politica, perché aveva bisogno di denaro e perché molti monaci si erano opposti al suo divorzio da Caterina e all’atto di supremazia reale, motivi sufficienti per decretare l’estinzione del monachesimo. Alcuni monasteri, caratterizzati da grande spiritualità, resistettero tenacemente. Al-

411-412. Rovine di due abbazie inglesi segno della decadenza del monachesimo dopo la Riforma. In alto: veduta delle rovine di Santa Maria di Buildwas, si vedono le finestre e la sala del capitolo e i resti della chiesa che guardavano sul chiostro. In basso: panorama dei resti della grande abbazia di Santa Maria a Fontains, sulla sinistra si vede la facciata della chiesa e sulla destra il corpo delle abitazioni monastiche.

cuni certosini e altri religiosi furono giustiziati per la loro resistenza. In Irlanda si assistette allo stesso processo, alcuni anni dopo. In Scozia, la laicizzazione dei monasteri si andò attuando lentamente, in uno spazio di 50 anni. Complessivamente, si calcola che in tutta l’Europa rimasero poco più della metà dei monaci esistenti prima della riforma. Nelle regioni di lingua tedesca che continuarono ad essere cattoliche, le antiche congregazioni monastiche, e in particolare i benedettini, ebbero considerevole rinascita e sviluppo: grazie alla loro riorganizzazione, alla buona formazione, alla conoscenza e all’osservanza della regola, i monaci tedeschi divennero parte integrante di una delle più devote regioni cattoliche d’Europa. Le grandi abbazie barocche non solo fanno parte del paesaggio, ma, soprattutto, influirono sulla vita spirituale ed ecclesiastica. In Francia ci furono vari tentativi riusciti di stabilire congregazioni regionali di benedettini, che furono capaci di riformare profon-

damente la realtà esistente e darle nuova forza ed espansione. Le due nuove congregazioni di Saint-Vanne e di Saint-Maur sono intimamente unite alla storia culturale di questi secoli. La congregazione di Saint-Vanne introdusse una novità sostanziale nell’ordine benedettino: la centralizzazione. I monaci potevano essere trasferiti da un monastero a un altro, avevano un centro unico per la loro formazione, si dedicavano, oltre che alla preghiera corale della Liturgia delle Ore, che occupava buona parte del loro tempo, anche alle mansioni parrocchiali, all’insegnamento e allo studio. Furono famosi per le loro ricerche storiche, riguardanti, soprattutto, la storia ecclesiastica francese. I maurini, da parte loro, offrirono un’eccellente formazione monastica ai loro candidati, cui richiedevano una solida formazione umanistica. Per lo studio delle lingue antiche, facevano grande affidamento su eccellenti biblioteche. Oggetto di specializzazione proprio dei maurini furono la patristica, la liturgia e la storia. 239


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

5. I TRAPPISTI

5. I TRAPPISTI 413

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413. Armand-Jean le Bouthillier de Rancé (1626-1700) il nobile francese che per contingenze strane della vita si trovò ad essere abate «in commendam» dell’abbazia de La Trappe e, poi, ne divenne l’effettivo conduttore operando una riforma radicale, più severa della stessa regola cistercense del XII secolo. Criticato certo per la radicalità, di fatto ridiede vita al monachesimo con uno spirito estremista giustificato dal periodo in cui visse.

414. Interno di un edificio, ad uso industriale de La Trappe. Il problema della capacità di autosostentamento restava fondamentale per la riforma monastica che diede vita ai Trappisti.

415

415. Esterno dello stesso edificio dell’immagine precedente, adibito a uso industriale. Il monachesimo occidentale prosegue nell’intento di formare un mondo monastico capace di autonomia, per non compromettersi con la realtà politica circostante.

Nel XVII secolo, essendosi in parte esaurito l’impulso e l’entusiasmo provocato dal Concilio di Trento, la situazione religiosa ed ecclesiastica non si trovava in uno dei suoi periodi migliori. Non mancavano religiosi che mantenevano rigorosamente gli ideali della fondazione, né monasteri che continuavano ad essere importanti punti di riferimento spirituale, ma abbondavano anche gli esempi di abbandono e di rilassamento, dovuti in gran parte, alla nefanda istituzione dell’«encomienda», tramite la quale il monastero era posto nelle mani di sacerdoti e laici estranei al monastero, la cui preoccupazione era di impadronirsi delle rendite. In realtà, il clima generale dell’Europa era piuttosto frivolo e si traduceva indubbiamente in un rilassamento dell’organizzazione ecclesiastica e della vita religiosa, sia dei laici, sia del clero. In questo contesto viveva Jean Le Bouthillier de Rancé (16261700), figlio adottivo del cardinale Richelieu, ordinato sacerdote nel 1651, su ispirazione di san Vincenzo de’ Paoli. Tra i molti benefici ottenuti dall’influenza della famiglia, ottenne quello di essere abate commendatario dell’abbazia cistercense di La 240

Trappe, fondata nel 1120. Si trattava di un’abbazia in rovina, situata in Normandia, in cui vivevano sei religiosi, in modo poco conforme alla regola. Rancé, che conduceva una vita mediocre e dissipata, mutò condotta e si convertì profondamente, in seguito alla morte di una persona a lui cara, abbandonò i titoli e i benefici che possedeva e decise di riformare il piccolo convento, che, fino a quel momento, non lo aveva minimamente interessato. Presto si notarono le conseguenze della sua decisione: si moltiplicarono le vocazioni, attratte dallo spirito di penitenza e dalla stretta osservanza imposta e seguita, al punto che i sei monaci preesistenti, incapaci di stare dietro al nuovo ritmo, lasciarono il convento. L’impetuoso abate, detto «Abate Tormenta», appassionato nella fede e irremovibile nella sua decisione di rimanere fedele alla sua incontenibile vocazione religiosa, si dedicò con passione a cercare Dio, seguendo le norme evangeliche. La Trappe fu il riflesso dell’evoluzione spirituale del suo riformatore e dell’estremo ascetismo di alcuni filosofi francesi del XVII secolo. Le norme erano molto severe: niente pesce, niente uova, niente burro, niente vino e niente pagliericcio per coricarsi la notte. I

monaci osservavano il silenzio perpetuo, dedicavano poco tempo allo svago, limitavano la corrispondenza, trascorrevano la vita in comune fino al punto di dormire tutti insieme nello stesso dormitorio, introducevano di nuovo il capitolo delle colpe, ristabilivano il lavoro manuale e il digiuno della Quaresima nella sua interezza, e la loro vita era regolata dalle ufficiature liturgiche, di giorno e di notte, e dal lavoro fisico, che, spesso, li sfiniva. In un certo senso, a La Trappe era risorto lo spirito eroico dei primi cistercensi, anche se, secondo alcuni autori, Rancé sostituì il vibrante spirito contemplativo di san Bernardo con l’oscurità del rigorismo della sua epoca. La riforma fu approvata nel 1678 da papa Innocenzo XI e il suo esempio di vita sacrificata e coerente fu recepito e ammirato da religiosi ed ecclesiastici. Senza dubbio, Rancé non pensò mai di fondare una congregazione distinta da quella dei cistercensi e non permise l’affiliazione di altre abbazie che avevano seguito il suo esempio. In realtà, questa riforma costituì un forte colpo contro la mondanizzazione del clero, la più pericolosa e costante tendenza della vita religiosa e clericale. Il disprezzo per il lavoro intellettuale, coltivato e imposto attraver-

so il culto, portò Rancé ad un violento conflitto con Mabillon e Le Masson, i sapienti benedettini appartenenti alla ramificazione dei maurini, cui tanto deve la cultura francese. Apparentemente, essi contrapponevano la salda devozione alla vera scienza, ma, in realtà, entrambi avevano ragione di insistere ciascuno sull’importanza che aveva avuto sulla tradizione religiosa ciò che ciascuno difendeva. La controversia mostra il carattere di Rancé: intrepido, disdegnoso delle ragioni altrui, assolutamente convinto delle proprie, usava un comportamento aggressivo e ingiusto nei suoi attacchi, e generalizzava senza timore. Il cardinale Bona diceva di lui: «Il fervore di quest’abate è intriso di furore», ma, bisognerebbe aggiungere, anche di generosità, serietà e coerenza. Di fatto, lo spirito delle due istituzioni, in quegli anni, non era lo stesso: i benedettini contavano in Francia più di 400 abbazie, con splendide costruzioni, ma con pochi monaci e, in generale, suscitavano poco entusiasmo, con la sola eccezione della congregazione di Saint-Maur; i trappisti, al contrario, erano pochi, ma erano coerenti e fedeli alla propria vocazione e alle idee del fondatore. In un certo senso, i trappisti rappresentarono una risposta pro241


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

5. I TRAPPISTI

Canada

Stati Uniti

Oceano

India

Atlantico Oceano

Nigeria

Venezuela

Ciad

Benin

Ecuador

Bolivia

Pacifico

Vietnam

Eritrea

Filippine

Oceano Pacifico

Etiopia Uganda Kenya Ruanda

R.D.C.* Angola

Brasile

Perù

Cina (Hong Kong) Taiwan

Israele

Marocco

Messico

Giappone

Corea del Sud

Libano

Indonesia

Madagascar

Cile

an

o

ian

o Australia

O

ce

Argentina

d In

Nuova Zelanda

Irlanda

Regno Belgio Danimarca Unito Paesi Bassi

Polonia Germania Repubblica Ceca

Svizzera Francia Spagna

416

Italia

Numero di monasteri cistercensi per Paese: 1

da 2 a 5

da 6 a 10

da 11 a 15

da 16 a 20

da 25 a 35

Austria Ungheria Slovenia

Cistercensi e monache associate:

Bosnia-Erzrgovina

417

Cistercensi trappisti

Ordine Cistercense

Bernardine di Oudenaarde

Bernardine d'Esquermes

Las Huelgas

Bernardine della Svizzera roman

R.D.C.*: Repubblica Democratica del Congo (Zaire)

418

fondamente religiosa, da contrapporsi alla superbia dello spirito illuminista, che esigeva un Dio e una religione umana, vale a dire in accordo con la ragione e con la statura umana, e allo spirito frivolo secondo cui, dai moralisti agli apologisti, tentavano, in tutti i modi, di far sposare il cristianesimo alla comodità e al piacere. Rancé rappresentava tutto ciò che lo spirito illuminista disprezzava: l’abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio creatore e redentore e la necessità della croce, all’interno del disegno salvifico di Dio. Rancé morì nel 1700, dopo essersi dimesso dalla carica di abate nel 1695. Dopo lo sconvolgimento della Rivoluzione francese, quando in Francia tutto sembrava ormai perso, a La Trappe sorse uno sforzo organizzato per salvare un nucleo cistercense. Fu un gruppo di monaci coraggiosi che fecero ritorno in patria e iniziarono a diffondere l’Ordine, con un successo sorprendente. Il fatto che tutti furono entusiasti seguaci dell’abate Rancé, ebbe un’importanza determinante nella storia successiva. Prima della Rivoluzione, l’osservanza di La Trappe era ristretta a poche comunità; dopo il 1815, l’influenza di Rancé si trasformò in forza dominante della 242

rinascita cistercense, in Francia e in altri paesi. La corrente trappista si diffonderà specialmente in Spagna e negli Stati Uniti. Nel 1813 c’erano due tipi di osservanza trappista, con alcune divergenze nell’interpretazione della Regola, a seconda delle congregazioni. Nel 1892 Leone XIII convocò a Roma tutti i superiori delle tre congregazioni e si giunse all’unione, con la creazione dell’«Ordine cistercense riformato di Nostra Signora de La Trappe». Dal 1903 si chiamano «cistercensi riformati». L’abate del monastero di La Trappe scrive, in un libro recente: «La nostra generazione si è impegnata a fondo per realizzare un rinnovamento radicale e aggiornarsi, nel rispetto delle decisioni del Concilio Vaticano II. Che compito aspetta coloro che abbiamo formato e che continueranno la tradizione nel prossimo futuro? […] La cosa più evidente sarà la diminuzione dei componenti delle comunità […] e l’inadeguatezza di locali destinati a gruppi più numerosi. Certo, nessuna comunità ha la garanzia dell’immortalità. […] I nostri successori avranno una vista più acuta di noi, come quegli apostoli che, nelle raffigurazioni delle vetrate di Chartres, s’innalzano sulle spalle dei profeti, riuscendo così a percepire quello che i loro predecessori non vedevano».

416. Monaco durante il lavoro agricolo. Da La vita cisterciense, Cerf e Zodiaque, 1998 (Jaca Book per l’Italia). 417. L’applicazione ai testi e allo studio resta fondamentale per lo spirito trappista, da La vita cisterciense, Cerf e Zodiaque, 1998 (Jaca Book per l’Italia). 418. La diffusione nel mondo delle comunità cistercensi e trappiste sia femminili che maschili.

243


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

6. SECOLO XX E VITA EREMITICA

6. SECOLO XX E VITA EREMITICA

Il XX secolo appare confuso, mosso, con continui rivolgimenti rivoluzionari, sconcertante dal punto di vista spirituale. Il monachesimo, in generale, e la vita eremitica, in particolare, sono stati travolti dal vento impetuoso di idee e di situazioni, in modo che, non solo si sono rinnovate le forme classiche di vita consacrate, ma sono anche nati nuovi fenomeni spirituali. Allo stesso modo in cui la Chiesa è passata dall’intendere se stessa come società all’intendere se stessa come comunione, le nuove comunità hanno riscoperto i valori della vita comunitaria. In realtà, non c’è nulla nel mondo moderno che possa favorire la solitudine, data la rapidità dei mezzi di comunicazione, come radio, televisione, aeroplani, e la teoria che la solitudine sia negativa per lo sviluppo dell’essere umano. Non sono certo mancati, in vari ambienti, il bisogno di vivere un’esperienza eremitica, il desiderio di tornare, in un certo senso, al deserto, di vivere al di là della razionalità, secondo i modelli moderni, anche se in certi casi si può avere l’impressione che si tratti di esigenze ed esperienze elitarie o comunque minoritarie. È vero che i tentativi di far rinascere la vita solitaria nella Chiesa occidentale hanno ottenuto pochi risultati effettivi e che nelle Chiese orientali la vita solitaria è praticamente scomparsa. Restano, senza dubbio, i monaci e gli eremiti del Monte Athos, ma il loro numero diminuisce e l’età dei residenti è avanzata. Senza dubbio, continuiamo a trovare tentativi di escogitare nuove forme di solitudine e di ricerca di Dio, che abbiano la prerogativa di essere fedeli al carisma originale, senza cadere nell’immobilismo. I camaldolesi hanno mantenuto le loro celle sul Monte Corona, in Italia, hanno fondato una comunità a Cuxias, in Brasile, e, nel 1958, si sono stabiliti in California, di fronte all’Oceano Pacifico. Agli inizi del XX secolo, esistevano venti certose in Francia e nove in altri paesi europei. Ora, sono ancora in vita, con lo stesso spirito e la stessa dedizione spirituale, quattro in Francia, due in Italia, cinque in Spagna e una in Svizzera, Slovenia, Germania, Inghilterra, Portogallo, Stati Uniti e Brasile. In totale, ci sono circa 700 monaci certosini. I carmelitani, sia calzati sia scalzi, che seguono una tendenza secolare e, sul modello di Elia, hanno fondato alcuni «deserti», come luoghi di vita solitaria, di ritiro o per raggiungere esperienze spirituali più intense. Quello di Batueca (Salamanca) è il più noto, ma ne esistono altri anche in Francia, Italia, Austria, Ungheria e nella stessa Spagna. I benedettini americani hanno permesso che in uno dei loro conventi si conducesse vita eremitica. Si è trattato, in realtà, di un tentativo di rinnovare l’uso benedettino medievale, secondo cui alcuni eremiti vivevano accanto a un monastero da cui dipendevano. Nel 1956 tre benedettini belgi fondarono una confraternita nelle Lande, in Francia, con il desiderio di ritrovare la semplicità e la povertà del monachesimo primitivo, ed essa si è moltiplicata anche in altri paesi. Charles de Foucauld rappresenta uno dei casi più noti del XX secolo di ricerca del deserto: dopo una vita agitata come militare, dive244

419

419. Una caratteristica foto del Piccolo Fratello Charles di Gesù, Charles de Foucauld, del 1912. 420. Una veduta della zona dei Tassili in Algeria con uno dei rari luoghi d’acqua. È in questo mondo desertico frequentato nei millenni da popoli nomadi che Charles de Foucauld decise di vivere la sua esperienza di «deserto» e di monachesimo in pieno dialogo con la religiosità e la cultura di chi viveva e transitava nella regione, dedicandosi lui, come i suoi confratelli e discepoli, ai bisogni di chi vive ai margini del cosiddetto mondo dei consumi. 420

245


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

6. SECOLO XX E VITA EREMITICA

422

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421. La tenda ad Abiodh-sidi-Cheich, in Algeria usata da Magdeleine di Gesù, fondatrice delle piccole Sorelle. Attratta dall’esempio e dalla spiritualità di Charles de Foucauld, nel 1936 Magdaleine Hutin partì per l’Africa dove sperimentò l’amore per il piccolo Gesù e il desiderio di amicizia tra persone di diversa religione. Tornò in Europa, dove la sua congregazione fu approvata nel 1964, e costituì il suo centro presso la Fraternità delle Tre Fontane a Roma.

nuto frate trappista e giardiniere delle clarisse a Nazaret, si stabilì in Algeria, a 500 km a sud di Orano, dove visse in una capanna, in preghiera e meditazione. Nel 1905 si spostò più a sud, nell’oasi di Tamanrasset; nel 1916, fu assassinato da una banda di Tuareg armati. Morì così l’eremita del Sahara, monaco senza monastero, maestro senza discepoli, penitente e solitario, che, con il suo esempio, ha influenzato in modo sorprendente la spiritualità del secolo, anche grazie a due congregazioni (la Confraternita dei Piccoli Fratelli di Gesù e quella delle Piccole Sorelle di Gesù), sorte alcuni anni dopo, che seguono una regola lasciata da Foucauld, secondo la quale devono essere considerati monaci quei poveri che, senza dedicarsi ad un apostolato esteriore, fossero stati capaci di contribuire all’invisibile apostolato della Chiesa, partecipando con la preghiera e il sacrificio all’opera di redenzione di Cristo. Anche gli ordini eremitici antichi avevano questo obiettivo, ma, per raggiungerlo, fuggivano dal mondo e cercavano un luogo più propizio alla preghiera. L’eremita del Sahara non solo desiderava che i suoi Piccoli Fratelli non si isolassero nella clausura, ma che si inserissero anche, a piccoli gruppi, nel mondo dei poveri, con cui dividevano la dura vita del lavoro. Questa era una concezione davvero rivoluzionaria della vita solitaria, ma il suo influsso non è riuscito ad espandersi e ad agire sulla spiritualità contemporanea. Il noto scrittore Divo Barsotti ha fondato, nei pressi di Firenze, due comunità eremitiche, una maschile e una femminile, che si 246

422. L’ultima parte della vita di Magdeleine di Gesù fu dedicata alla Russia e al dialogo con le Chiese ortodosse. La vediamo qui in una foto del 1972, sulla porta della camionetta chiamata «stella filante», vera fraternità su ruote, nella quale viaggiava nei paesi dell’Est europeo ancora sotto i regimi di stampo sovietico-staliniano.

dedicano alla vita contemplativa, con ispirazione orientale. Si guadagnano da vivere con il lavoro artigianale e si sono trasformati in un rimedio e in punto di riferimento da seguire, in un mondo dominato dal consumismo e dalla tecnologia. Esistono molti altri casi, individuali o di gruppo, di cristiani che si sono ritirati nella solitudine del deserto, delle isole e delle città, per ricostruire e vivere nel profondo il proprio cristianesimo, senza perdere la preoccupazione dell’annuncio salvifico di Gesù Cristo. Il monaco è colui che ha assunto una posizione critica e di protesta di fronte al mondo contemporaneo, alla società e alle sue strutture, come faceva, nel IV secolo, l’abitante del deserto egiziano, che fuggiva la cultura romana del suo tempo, ma è, nello stesso tempo, consapevole del suo obbligo di essere testimone e fiaccola luminosa del Vangelo. Anche ai nostri giorni, come nel corso della storia del cristianesimo, uomini e donne considerano che il significato profondo della loro vita spirituale si può sviluppare adeguatamente soltanto nel silenzio e nella solitudine reale. Il compito peculiare del monaco nel mondo attuale è di mantenere viva l’esperienza contemplativa e di tenere aperta la strada, affinché l’uomo moderno possa recuperare l’integrità della sua profondità interiore. La necessità mistica dell’incontro personale con la trascendenza sembra avere più senso in un’epoca dominata dalla tecnologia, in cui si è dissolto il significato e il rigore della Chiesa.

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423. La casa madre della comunità fondata da don Ivo Barsotti, chiamata Casa di San Sergio a Settignano vicino a Firenze. 424. Don Ivo Barsotti. 425. Scorcio della corte centrale della comunità monastica di Bose nel nord Italia. In una vecchia cascina Enzo Bianchi fondatore della comunità ha voluto operare un riassetto adatto sia alla vita cenobitica che alla vita in solitudine. Bose è oggi un’occasione per incontrare il monachesimo ed il cristianesimo delle origini ed è come alle origini un segno e una presenza spirituale e culturale nella società.

Alla pagina seguente: 426. L’attuale diffusione del monachesimo in Africa. 427. Crocifisso ligneo, Congo, forse del XVI secolo. L’iconografia cristiana in terra Bakongo risale al XVI secolo ad opera dei portoghesi. Le forme iconografiche risentono molto dell’Europa mentre i tratti somatici sono africani. Questi crocifissi, in seguito, sono stati usati anche come figure propiziatorie, dalla cultura africana, per la caccia e a scopo medicinale.

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VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

7. IL MONACHESIMO IN AFRICA

7. IL MONACHESIMO IN AFRICA TUNISIA

MAROCCO SAHARA OCC.

ALGERIA

LIBIA

EGITTO

MAURITANIA

GUINEA

IT

1 1

IA

ETIOPIA

2

1

GUINEA EQUATORIALE

UGANDA

KENIA GABON

1

1 REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

CONGO

1 1 1 1 2 1 1 1

1 1 4

TANZANIA

2

1

4 COMORE

ANGOLA

1

1

MALAWI

ZAMBIA O

1

SENEGAL Solesmensis SUD AFRICA Ottiliensis Sublancensis TANZANIA Ottiliensis Mwimwa priorato benedettino TOGO Ottiliensis Sublancensis UGANDA Ottiliensis ZAIRE Annuntiationis ZAMBIA Ottiliensis

IC

1

1 1

ZIMBABWE

NAMIBIA

ZA

ANGOLA Annuntiationis BURKINA FASO Sublancensis CAMERUN Helvetica CONGO Sublancensis COSTA D'AVORIO Sublancensis GHANA Sublancensis KENIA Ottiliensis MADAGASCAR Sublancensis NIGERIA Annuntiationis RUANDA Annuntiationis

2

RUANDA BURUNDI

BOTSWANA

2

MADAGASCAR

LESOTHO

2 SUDAFRICA

426

In questo capitolo, sarà presentato il caso particolare delle comunità monastiche nel Benin, come esempio di ciò che accade in alcuni paesi africani e dell’irradiamento della vita monastica in giovani comunità cristiane, ancora in formazione. I monasteri di cui parliamo costituiscono sempre vere e proprie oasi di spiritualità e d’incontro, dove si ritirano vescovi, sacerdoti, laici, famiglie e giovani, come in un luogo di silenzio e di raccoglimento. L’arcidiocesi di Cotonou consta di due comunità benedettine e di una di clarisse. Altre due comunità cistercensi si trovano nella diocesi di Parakou. Nel 1958, l’arcivescovo di Cotonou, monsignor Gantin, chiese alle benedettine di Vanves (Francia) di fondare un monastero nel cuore della foresta tropicale. Le prime due religiose si recarono nel paese nel 1965 per apprendere la lingua locale e conoscere la Chiesa del luogo. Qualche anno dopo, con l’arrivo di altre quattro suore, ebbe inizio la storia della testimonianza e della crescita del monastero, in un piccolo paese di nome Toffo. Nel 1972 furono accolte le prime vocazioni autoctone, segno che la presenza del monastero avrebbe potuto prolungarsi, grazie al suo inserimento nella popolazione locale. Oggi, il monastero consta di nove suore professe, di cui sette sono indigene, di tre postulanti e di una novizia. La preghiera e il lavoro manuale occupano in modo preponderante la vita delle monache. Toffo è famoso per l’arte e la rifinitura delle vesti liturgiche (stole, paramenti, camici) e anche per abiti, mantelli e trapunte. Le monache si occupano pure di colti248

1

SWAZILAND

2 1

MO

1

GIBUTI

SUDAN

BENIN SIERRA COSTA LEONE NIGERIA D'AVORIO LIBERIA GHANA CAMERUN TOGO

1 2

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A

CIAD

AL

BURKINA FASO

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1

SO

GAMBIA GUINEA BISSAU

MB

SENEGAL

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428. Paramenti sacerdotali contemporanei, opera dell’atelier d’arte liturgica di Yaoundé in Camerun. La Chiesa cattolica post-conciliare ha cercato di favorire un rinnovamento della liturgia che valorizzasse simboli e forme delle tradizione africana. Su questi paramenti troviamo i tre colori base della cromia africana, simbolo della condizione umana. Troviamo inoltre motivi geometrico-figurativi che mettono in continuità il cristianesimo con la cosmologia africana: l’uomo e i «cerchi cosmici», l’ovale e i cauri, simbolo della fecondità e della vita, che associati alla croce sono «simbolo del riscatto della nostra salvezza» (Mveng).

vazioni di frutta, con cui producono marmellate molto apprezzate dalla popolazione. L’accoglienza degli ospiti occupa un posto centrale nella vita della comunità. I primi ad essere accolti sono gli abitanti del villaggio in cui si trova il monastero, ma la maggior parte arriva da tutto il paese, per prendere parte alla vita di silenzio e di preghiera delle monache. Si riuniscono per gli esercizi spirituali e per i preparativi precedenti all’ordinazione di sacerdoti. È frequente trovarvi seminaristi di diverse diocesi, in incontri di formazione o di preghiera più intensa. Un po’ più a sud di Toffo, si trova il monastero benedettino del Monte Tabor, che ha avuto una storia complicata: le sue origini, in realtà, risalgono a un’altra comunità monastica, creatasi nel Benin nel 1963. Nel 1989, i monaci, di origine francese, furono costretti per vari motivi ad abbandonare la fondazione e a fare ritorno in Francia. Coloro che allora erano novizi, furono inviati nel Burkina Faso, per completare la propria formazione e, al loro ritorno, nel 1998, furono accolti a Cotonou e diedero vita al nuovo monastero, con sei monaci professi e due novizi. Sono pochi, ma sufficienti per rappresentare un punto di richiamo e di riferimento per chi si senta attratto dalla vita contemplativa e da un maggior rigore spirituale. Le clarisse, di origine italiana (monastero di Mercatello nelle Marche), giunsero nel 1993 e sono ora cinque professe, tre postulanti e una novizia. Nel cuore della Chiesa locale, si dedicano all’adorazione eucaristica e alla contemplazione, secondo lo

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429

429. Straordinario pilastro della chiesa di Saint-Michel a Libreville nel Gabon, opera dello scultore Zephirin Lendogno. Il decoro dell’architettura cristiana si fa carico della tradizione e della cultura in cui è inserito.

spirito di santa Chiara e di san Francesco d’Assisi, seguendo ed imitando Cristo, povero e crocifisso. Anche in questa comunità l’accoglienza degli ospiti costituisce un dovere importante, in particolare se si tratta di sacerdoti e laici che hanno bisogno di un luogo adeguato per rinnovare il proprio spirito. Caratteristica di questa comunità è l’attenzione ai bambini abbandonati, fatto molto frequente in alcuni paesi africani. Il monastero si premura di trovare famiglie pronte ad accogliere i bambini. A 700 chilometri dal monastero delle clarisse, si trovano due comunità cistercensi, di origine francese. Nella comunità trappista di Nostra Signora di Kokoubou, iniziata nel 1973, ci sono 10 professi solenni, quattro dei quali autoctoni, due professi temporali e tre novizi. Si deve dare rilievo all’impatto che la vita di questi religiosi esercita sulla giovanissima Chiesa locale, che si trova a dover assimilare tradizioni formatesi in Europa nel corso dei secoli. I vescovi, i missionari e il clero indigeno si affiancano ai monaci e ritengono che la loro testimonianza di vita e la loro preghiera sia un importante appoggio spirituale per la propria azione evangelizzatrice. L’abbazia si trasforma in spazio di ritiro per tutti coloro che vogliano ricorrere a un’autentica fonte di spiritualità, in laboratorio attivo di divulgazione culturale e religiosa, e in luogo di ritrovo per coloro che cercano la verità. Nell’abbazia cistercense di Nostra Signora della Stella (1960), nel 1999 è stata eletta la prima badessa africana. Le religiose provengono da sette paesi e sono 25 professe solenni, due novizie, due postulanti e un’oblata. Il monastero è divenuto luogo di spiritualità,

di ascolto, di accoglienza e di ricerca di Dio, per quanti ne abbiano il desiderio e la necessità. La vita in comune tra persone che hanno eredità culturali così diverse richiede di dare priorità ai valori essenziali, per rendere più profonda l’unità. Si sta cercando di fondare un monastero nella Repubblica democratica del Congo, anche se la difficile situazione del territorio sta creando complicazioni. Nel 1984, i benedettini di Belloc diedero vita a Saint-Benoit-desSources. Qualcosa di simile sta avvenendo anche in molti altri paesi del continente. La progressiva crescita delle chiese, come sempre è accaduto nella vita della Chiesa, richiede spazi di silenzio, di austerità particolare, di preghiera continua: i monasteri. Per questo motivo, gli ordini tradizionali e nuovi fondano monasteri, più necessari laddove il clero secolare autoctono va trovando lentamente la propria strada e la propria forma di vita. La vita dei monaci rappresenta il richiamo, la testimonianza e l’occasione per uno scambio reciproco di esperienze e bisogni. Il numero dei monasteri nel terzo mondo è passato dai 30 del 1950 ai quasi 300 di oggi. Nei monasteri africani, in particolare, troviamo tre supporti alla vita religiosa: il compromesso con la liberazione temporale dei popoli, il dialogo ricettivo con monaci di altre religioni, un certo indietreggiare dalla tradizione, quando questi o altri scopi connessi lo richiedono, pur mantenendo sempre forte l’accento posto sulla preghiera, la contemplazione e l’allontanamento dal mondo da parte dei religiosi attivi, in definitiva un ritorno alle origini di san Benedetto. 249


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

8. IL MONACHESIMO ANGLICANO

8. IL MONACHESIMO ANGLICANO INGHILTERRA

NORDAMERICA E CARIBE 100 uomini 260 donne

EUROPA 175 uomini 625 donne

ASIA 25 uomini 70 donne

AFRICA 50 uomini 370 donne

AUSTRALASIA E PACIFICO 600 uomini 225 donne

Y

Cardiff

O

RK

SHIRE

MIRFIELD

BUCKINGAMSHIRE NASHDOM Oxford Londra BERKS HIRE Bristol BURNHAM

432

431 430

Il rifiuto del monachesimo da parte del mondo protestante fu generale, ma nell’anglicanesimo, a partire dal XVII secolo, non mancarono espressioni di stima per tale fenomeno religioso tradizionale, sopratutto tra quegli anglicani più vicini al cattolicesimo e più influenzati dallo zelo religioso della Controriforma. Il rinato interesse per il monachesimo sorse essenzialmente grazie al cosiddetto movimento di Oxford, nel 1833. In effetti, l’unico tentativo anteriore al XIX secolo fu quello della comunità di Little Gidding, in cui, nel corso di vent’anni (1626-1646), una trentina di persone condussero una vita regolata, che imitava le prime comunità cristiane. La vita, la carità e il lavoro che caratterizzarono questa istituzione provocarono l’ammirazione di Carlo I. Duecento anni dopo, nel 1842, John H. Newman realizzò un tentativo di comunità quasi monastica a Littlemore, vicino a Oxford, secondo un’idea scaturita dalle sue conversazioni con Pusey. Lì si riunì un gruppo di giovani che, sotto la direzione di Newman, condusse una vita molto austera, in un contesto di preghiera e di forte spirito comunitario. Questo esperimento, però, non ebbe seguito. Infatti, sin dall’inizio, molti componenti del movimento di Oxford cominciarono a considerare la necessità che la Chiesa d’Inghilterra avrebbe avuto di fare affidamento su 250

430. Presenza nel mondo del monachesimo anglicano.

istituzioni monastiche e, per ottenere ciò, ritennero indispensabile che si parlasse pubblicamente di questo argomento. Da quel momento in poi, tra coloro che furono influenzati dal movimento di Oxford, si produsse una continua corrente di fondazioni, soprattutto di donne, che è durata fino ai nostri giorni. Lo scopo delle comunità femminili era, per alcune, la carità, ed esse seguirono le norme e lo spirito delle Figlie della Carità, di san Vincenzo de’ Paoli, per altre, un carattere di maggiore clausura e raccoglimento. Molte di esse si trasferirono anche in Australia, in Canada e in alcun paesi di Asia e Africa. Delle 34 esperienze monastiche esistenti tra il 1842 e il 1961, cinque finirono per convertirsi al cattolicesimo, 19 si estinsero e solo 10 sopravvissero in seno alla Comunione Anglicana, e quattro di queste sono durate per più di 50 anni. Tali comunità si basano sui tradizionali pilastri della vita religiosa: castità, povertà, vita in comune, e obbedienza. Hanno adottato, totalmente o in parte, la versione monastica dell’ufficio divino e il messale romano. Si occupano tutte, con notevoli risultati, dell’opera missionaria e sociale, fuori dall’Inghilterra. Forse, la più nota comunità femminile è la Community of the Sisters of the Love of God, nata a Oxford nel 1906. Il suo obietti-

431. John Henry Newman, in età giovanile, disegno di George Richmond conservato alla National Portrait Gallery di Londra.

vo spirituale è la vita contemplativa, la preghiera e l’intercessione. Le preghiere notturne del Breviario si fanno alle due della mattina, e le religiose rimangono in continua preghiera sia durante il giorno, sia durante la notte. Vivono in un silenzio continuo e severo. In un’altra comunità femminile, la Community of the Servants of Christ, accadde qualcosa che merita la nostra attenzione. Il vescovo di Chelmsforf impedì loro di conservare il Santissimo Sacramento nella cappella, e per questo le religiose decisero di cambiare diocesi. Il fatto mostra, da una parte, l’importanza dei cambiamenti avvenuti all’interno dell’anglicanesimo, dall’altra, la complementarità tra vita contemplativa e tradizione sacramentale cristiana. Queste religiose si sono ora stabilite nella Casa di Preghiera di Burnham. Il numero dei monaci è senza dubbio esiguo, perché in realtà esiste un solo monastero, nel senso tradizionale del termine: l’abbazia di Nashdom, dove si celebra solennemente la liturgia, secondo il rito romano. Si potrebbe affermare che si tratta di un vero e proprio monastero benedettino che segue con rigore i tre elementi della vita comune, su cui tanto insistette san Benedetto: preghiera, studio e lavoro manuale. Molti monaci si

432. San Benedetto. La conversione di Newman al cattolicesimo fu dovuta, per sua stessa dichiarazione, alla frequentazione dei padri della Chiesa e dei loro testi a partire dai Cappadoci. La figura occidentale che nei suoi stessi scritti acquista maggiore evidenza è Benedetto. L’affresco qui riprodotto è dovuto al Magister Conxolus e fu eseguito nel XIII secolo nella chiesa inferiore del monastero del Sacro Speco presso Subiaco, in Italia.

dedicano allo studio e alla scrittura, mentre coloro che predicano, si ritirano e attendono ai bisogni spirituali delle popolazioni vicine. Nella Chiesa anglicana, si trovano anche alcune comunità molto simili alle congregazioni religiose cattoliche. Ricordiamo, ad esempio, la Community of the Resurrection, la più nota, forse, che tentò di vivere secondo la vita dei primi cristiani. Preghiera, studio e lavoro sono i fondamenti della loro vita, e una delle cose a cui si dedicano con successo è la formazione degli aspiranti sacerdoti. Un’altra comunità conosciuta nel mondo anglicano è la Society of the Sacred Mission, che si dedica essenzialmente all’istruzione dei giovani, in particolare di quelli inclini al sacerdozio. Nell’anglicanesimo il movimento monastico si sviluppò inizialmente contro il volere dei vescovi, tanto che le relazioni reciproche non furono frequenti, situazione evolutasi nel tempo. Ai giorni nostri, esiste un consiglio di sei esperti nominati dai vescovi, e presidiato da un vescovo diocesano. Troviamo monasteri e case di religiosi anche in molti altri paesi, dove è diffusa la Comunione Anglicana: Australia, Nuova Zelanda e, soprattutto, Nord America. 251


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

9. RINASCITA DEL MONACHESIMO PROTESTANTE

9. LA RINASCITA DEL MONACHESIMO PROTESTANTE

435 433

434

433. Una rara rappresentazione di Lutero vestito da monaco. Il disegno è dovuto a Lucas Cranach.

L’intervento, sia teorico sia pratico, messo in atto dai riformatori contro i voti e le forme di vita monastica del loro tempo non facilitò la successiva ripresa di questa forma di vita religiosa nelle Chiese riformate, ma non mancarono mai, in tali comunità, esperienze di vita di tipo, in un certo senso, semi-monastico. Comunque, benché non siano mancate difficoltà nel riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, nel XX secolo tali manifestazioni sono tornate a vivere in forma esplicita. L’origine delle nuove fondazioni va cercata nelle esperienze spirituali fuori dall’ordinario di alcune persone concrete o di piccoli gruppi, soprattutto in occasione delle circostanze drammatiche vissute durante le due guerre mondiali e nell’ambiente nobile e problematico del movimento evangelico giovanile, cui apparteneva la maggior parte dei fondatori delle nuove comunità. Tra questi giovani si manifestò spesso un forte pessimismo, relativo alla situazione spirituale esistente, una critica distruttiva delle forme di vita della società presente in Europa e una critica radicale alle Chiese istituzionali. In un modo o nell’altro, risuonarono ancora una volta le parole proferite un secolo prima da Kierkegaard: «Facciamo ritorno ai monasteri da cui uscì Lutero», convinti del fatto che le esperienze monastiche potessero costituire un’occasione di purificazione e di rinnovamento. In realtà, non si trattava esattamente di un ritorno al passato: si evitò, infatti, di usare la parola «monastero», portatrice di troppi echi di un’epoca che non si voleva riportare in vita, al punto che si preferì usare la parola «comunità», che, senza cessare di essere 252

434. Kierkegaard in un disegno di J. V. Gertner conservato nella Biblioteca Reale di Copenaghen. Il monachesimo da parte del filosofo danese era visto come un aiuto a ritrovare la posizione esistenziale di fondo per i cristiani.

tradizionale, manteneva una buona dose di ambiguità. Era un’epoca in cui si riscopriva il sogno di una Chiesa intesa come fraternità, in cui abbondarono i movimenti pietisti e in cui ci fu una grande apertura e valorizzazione positiva delle possibilità esistenti nel mondo moderno, apparentemente così contrario ai valori cristiani. Bisogna tener presente, anche, l’influsso dell’opera di Bonhoeffer, La vita in comunità, opera rappresentativa, a partire da un forte fondamento cristologico. «Non può considerare Dio come Padre, chi non consideri propria madre la terra», disse Bonhoeffer in una conferenza, rifacendosi consapevolmente a una frase di san Cipriano, vescovo di Cartagine, che notava l’intima connessione tra la paternità di Dio e la maternità della Chiesa. Non è stato facile distinguere il significato profondo e le esigenze organizzative della fraternità e della comunità, o determinare i segreti della sua organizzazione interna. Ci sono state fraternità di celibi, altre più aperte e cangianti; alcune comunità presupponevano la vita in comune, secondo determinate vocazioni, altre, invece, realizzavano questa vita in comune solo in certi momenti, in funzione di alcune mansioni. Esistono una sessantina di comunità stabili e molte altre che compaiono e scompaiono con rapidità. A seconda delle diverse modalità di organizzazione e di finalità, possiamo individuare l’esistenza di comunità parrocchiali, contemplative, diaconali e sociali, missionarie ed evangeliche. Nel 1913, si riunirono 40 parroci evangelici che decisero di

436

435. Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante morto nel 1945 nel campo di concentramento di Buchenwald. Ancora una volta l’esigenza di riforma radicale della vita delle chiese ripropone, nell’opera del pensatore protestante, elementi della dimensione monastica.

436. Nel secondo dopoguerra del XX secolo la comunità monastica di Taizé in Francia è stata un richiamo per molti giovani a percepire la dimensione comunitaria del cristianesimo. L’esistenza di una, se pur piccola, comunità monastica vissuta diveniva così un invito a tutti per riscoprire una dimensione fondamentale del cristianesimo. Nella foto Frère Roger parla ad una larga assemblea di convenuti a Taizé.

dedicarsi con grande entusiasmo alla preghiera e allo studio della Bibbia. Oggi sono diventati un migliaio, nell’area di lingua tedesca. Le comunità contemplative, da parte loro, hanno come compito specifico la consacrazione alla vita spirituale. Iniziarono in Svezia nel 1919 e si sono diffuse in diversi paesi europei. Nel 1957, ad Amburgo, sorsero alcune comunità ispirate alla spiritualità benedettina e altre più vicine alle pratiche della tradizione cistercense. Altre comunità si sono dedicate al servizio divino e alla preghiera. Sorsero così i Fratelli della vita comune, nel 1905 (Svizzera); i Gioanisti, una comunità che evoca Giona (Scozia), in cui si ripeterono tanti esempi ammirevoli di vita mistica e di lavoro per la cultura dei monasteri medievali. Tutte queste comunità sono sorte individualmente, con regole autonome e quasi senza ispirarsi a ordini antichi. La loro vita comune e la loro spiritualità s’incentrano essenzialmente sull’ufficio divino e sulla eucaristia. In accordo con la tradizione riformista, con l’adozione di tale forma di vita, rifiutano ogni tipo di merito personale. Tutti hanno stabilito un periodo di noviziato e di prova, prima di una decisione definitiva. Si ritrova, generalmente, la preferenza per una vita di pietà, anche se non è esclusa l’opera teologica (in quest’ambito, infatti, ci sono molti teologi interessanti). Non risulta molto chiara la relazione di tali comunità con le Chiese istituzionali, poiché predomina un orientamento ecumenico che supera, in un certo senso, le varie Chiese.

Un esempio speciale di questa rinnovata attenzione alla spiritualità monastica lo troviamo nella famosa comunità di Taizé, non lontana dalle rovine del grande monastero di Cluny, caratterizzata da un’intensa vita monastica e frutto delle influenze recepite da varie sensibilità religiose, quella francescana, benedettina e di de Foucauld. In questo monastero di grande spirito ecumenico, oltre al servizio verso i disabili e gli emarginati e i popoli del terzo mondo, c’è una sorprendente attenzione per la gioventù europea, con il proposito di offrire un senso alla loro vita, dedizione che ha ottenuto una straordinaria accoglienza da parte dei giovani di ogni paese e condizione. Nella vita dei monaci di Taizé ci sono due elementi-chiave che costituiscono la vita monastica: la preghiera e il lavoro. Per quanto riguarda l’ascesi, al di là degli elementi strettamente personali, la forma di apostolato dei monaci li porta a sobbarcarsi costantemente i reciproci incarichi, a cercare di comprendere l’interiorità di ogni uomo e di quanto possa giovare il procedere insieme e mantenere viva l’attenzione ai poveri. I primi tempi non furono facili, date le reticenze che provocava la vocazione ecumenica, in realtà, priva di principi definiti. Taizé è una comunità che si è sentita chiamata a vivere soprattutto i valori della comunione e, in quanto tale, concepisce se stessa piuttosto come luogo di riconciliazione e unità, dato che il nucleo più profondo della sua esperienza sta nella comunione con Dio e con tutti gli uomini. 253


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

10. IL MONACHESIMO IN NORD AMERICA

10. IL MONACHESIMO IN NORD AMERICA 1882 A

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438

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Trappiste

Centri di irraggiamento

438. Chiesa dell’abbazia di Saint John a Collegeville nel Minnesota, USA. Sede di un importante convento monastico e di una famosa università, Collegeville chiama per realizzare la chiesa uno dei maestri del movimento moderno: Marcel Breuer. L’opera è infatti un importante esempio di architettura, segno della volontà monastica di essere presente nella cultura del tempo.

437

437. L’insediarsi di benedettini e trappisti nell’America del Nord.

I monaci e le suore originariamente si recarono in Nord America per le stesse ragioni per cui vi si recarono gli altri colonizzatori: rifugio, opportunità e missione. La straordinaria diversità del monachesimo americano è spiegabile con quell’insieme di fattori come le origini nazionali delle maggiori famiglie monastiche americane. Nella seconda metà del XX secolo le istituzioni europee e il loro prodotto garantirono il rinnovamento richiesto dal Concilio Vaticano II, proprio quando nuove comunità stavano emergendo. La storia del monachesimo americano è cominciata alla fine del XVI secolo in Brasile (1581 a Bahia). Nel Nord America c’erano i Benedettini a Città del Messico agli sgoccioli del XVI secolo, mandati da Montserrat, in Catalogna. La loro comunità sopravvisse fi254

no al 1863. I primi Benedettini americani, che parlavano inglese, furono quelli della colonia cattolica del Maryland, che, tornati in Europa, si unirono alle comunità inglesi esiliate in Francia e nei Paesi Bassi (1705). Essi non ritornarono a istituire il monachesimo nelle colonie americane. I primi Benedettini, effettivamente vissuti in ciò che oggi sono gli Stati Uniti, furono i monaci francesi esiliati dopo la dissoluzione dei monasteri durante la Rivoluzione francese. Un solo benedettino arrivò nel 1790 e dedicò il resto dei suoi anni al lavoro pastorale, mentre i Trappisti arrivarono nel 1803. I loro sforzi di istituire il monachesimo cistercense nel Kentucky, Illinois, a New York e in altri luoghi furono eroici, ma non ebbero successo. Un monaco, accidentalmente fermatosi in Nuova Scozia nel 1815, probabilmente istituì una comunità precaria lì

nel 1823, ma il vero inizio di uno stabile monachesimo trappista ci fu un quarto di secolo dopo. La prima istituzione monastica di successo negli Stati Uniti fu l’istituzione bavarese a Latrobe, Pennsylvania, nel 1846. La straordinaria figura dietro questo sforzo fu Bonifacio Wimmer, il primo prete diocesano che entrò nel monastero bavarese di Metten nel 1832 e sviluppò uno zelo per la missione e un forte senso del destino. Finalmente Wimmer riuscì ad avere il permesso per andare in America al servizio degli immigrati tedeschi, portando con sé 18 aspiranti. Nel 1852 tre suore benedettine da S. Walburga in Eichstatt si recarono in Pennsylvania per aiutare nella missione. La loro superiora, Benedicta Riepp, era uguale a Wimmer in determinazione. Dalla comunità maschile di Wimmer a Latrobe e dal

monastero femminile di Riepp a St. Mary sarebbe venuta una sorprendente serie di istituzioni che dalla metà del XX secolo avrebbero contato migliaia di membri professi negli Stati Uniti, in Canada, in Messico, nelle Bahamas e altrove. L’altro maggiore influsso monastico europeo fu svizzero. Monaci benedettini si recarono da Einsiedeln in Indiana nel 1854 e da Engelberg in Missouri (1873) e in Oregon (1882). Da questi monasteri si sviluppò la Congregazione svizzero-americana, oggi la seconda più ampia famiglia di monasteri maschili negli Stati Uniti. Come i bavaresi, gli svizzeri si recarono a lavorare con gli immigrati tedeschi, e le donne benedettine si recarono dal monastero di Maria Rickenbach in Missouri nel 1874 per portare cure pastorali, educative e mediche. Esse furono la base dei due maggiori 255


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

10. IL MONACHESIMO IN NORD AMERICA 441

442

439

439. Biblioteca dell’abbazia di Snowmass in Colorado, USA. 440. Cappella del Santissimo Sacramento dell’abbazia di Mepkin nel South Carolina, USA. L’architettura monastica moderna cerca sovente di creare spazi di meditazione operando sulla luce in ambienti semplici e aniconici.

440 443

gruppi monastici femminili in America, le Sorelle benedettine dell’Adorazione perpetua e le suore della Congregazione del Sacro Cuore a Yankton, Sud Dakota. Altri due monasteri svizzeri di donne istituirono due comunità americane: a Cottonwood, Idaho (1882, da Sarnen) e in Sud Dakota (1889, da Melchthal). Uomini e donne benedettini affrontarono condizioni incredibilmente difficili alla frontiera americana, condividendo pienamente le avversità con i coloni immigranti che essi servivano. L’osservanza monastica tradizionale era impossibile malgrado lo sforzo eroico. Alcuni uomini trascorsero periodi considerevoli lontano dai monasteri su incarico pastorale, spesso da soli. Le religiose erano obbligate a sopportare l’abituale regola del rigido convento e subivano la pena canonica di perdere i loro solenni voti monastici tradizionali e l’indipendenza con la sottomissione al vescovo locale diocesano. Negli Stati Uniti nel XX secolo sia le donne che gli uomini benedettini si sono battuti per rivendicare le pratiche monastiche e l’identità. Il monastero trappista francese di Melleray, vicino a Nantes, mandò una parte di monaci, aspiranti, e lavoratori negli Stati Uniti nel 1848. Essi andarono nel Kentucky. Questo periodo di sforzi ebbe successo e il Gethsemani sarebbe stato la madre della maggior parte delle case cistercensi maschili negli Stati Uniti. Il monastero della Nuova Scozia fondò una comunità a Rhode Island, che poi si spostò a Spencer (Massachusetts), dove si sviluppò. Passò 256

più di un secolo tra la fondazione del Gethsemani e l’arrivo nel 1949 dei primi Trappisti. Essi arrivarono da Glencairn (Irlanda) a Wrentham (Massachusetts), e molte comunità furono fondate. Dalla fine del XIX secolo i monasteri benedettini degli Stati Uniti istituirono comunità in Canada e iniziarono l’opera missionaria nelle Bahamas. Il XX secolo ha visto il ritorno del monachesimo in Messico e la fondazione di alcune comunità nell’America centrale. La colonizzazione monastica europea continuò con l’arrivo di uomini benedettini inglesi in tre comunità degli Stati Uniti e benedettini francesi in Canada. Ci sono state due fondazioni nuove di donne benedettine provenienti da Eichstatt (Baviera), la casamadre dell’originaria missione benedettina femminile nel 1852. I motivi originari per cui il monachesimo fu portato in Nord America sono cambiati. La persecuzione religiosa nell’Europa occidentale è cessata, sebbene coloro che sono fuggiti dal comunismo dell’Europa orientale e della Cina abbiano istituito monasteri negli Stati Uniti a metà del XX secolo. L’originario impulso missionario dei Benedettini bavaresi e svizzeri si è adattato all’assimilazione della cultura americana da parte delle comunità immigranti. I monasteri hanno visto una maggiore enfasi sulla vita comunitaria e un declino degli incarichi esterni, a causa anche della riduzione dei membri. Il Concilio Vaticano II ha obbligato tutti i monasteri a esaminare le pratiche e le regole tradizionali. Il processo di rinnovamento ha colpito sia il

441. Suggestivo lucernario sopra un’acquasantiera nella cappella dell’abbazia della Vergine del Curutaran in Messico. 442-443. Veduta dell’architettura e dei campi dedicati all’allevamento dell’abbazia di El Encuentro in Messico.

monachesimo che altre forme di vita religiosa e il clero, con una drastica diminuzione del numero di aspiranti alle comunità benedettine e trappiste. C’è stato qualche cambiamento nell’affiliazione congregazionale appena sono cambiate le identità comunitarie. La tradizione benedettina italiana olivetana, per esempio, ha sostenuto esperimenti in monasteri «misti» di uomini e donne. Mentre le più antiche comunità nord-americane si restringevano e si interrogavano sui loro propositi e sul loro futuro, le nuove comunità enfatizzavano un tipo di monachesimo meno apostolico. Alcune di esse furono istituite come una nuova ondata della colonizzazione monastica europea: le comunità delle suore contemplative da parte dei monasteri francesi e bavaresi, la comunità camaldolese a Big Sur (California) e la casa certosina nel Vermont. Altre furono iniziative americane in risposta al desiderio di uno stile di vita più contemplativo: il Monte Salvatore a New York, la comunità di Weston nel Vermont e il Monastero di Cristo nel deserto nel Nuovo Messico. Molte di queste comunità hanno attratto nuovi membri. In Nord America si può vedere una situazione simile a quella monastica europea. Le comunità hanno cicli di crescita e di contrazione, di rinnovamento e di stasi. Alcune sopravvivono e rifioriscono; altre no. Dopo più di 150 anni il monachesimo in Nord America ha raggiunto la maturità. 257


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

11. IL MONACHESIMO IN AMERICA LATINA

11. IL MONACHESIMO IN AMERICA LATINA

STATI UNITI

MESSICO

444. Antica chiesa e monastero benedettino di Nostra Senhora di Monte Serrat a Salvador, Bahia in Brasile. Il monastero fu costruito tra il 1650 e il 1679 dall’abate Fra Marco do Desterro.

445. Monastero delle trappiste di Quilvo in Cile, fondato dalle trappiste di Vitorchiano nel 1981. Vitorchiano ha fondato, negli ultimi anni, sei monasteri in vari paesi.

446. La diffusione del monachesimo in America centrale e meridionale.

1 4

BELIZE HONDURAS

GUATEMALA EL SALVADOR

1

NICARAGUA

TRINIDAD

COSTA RICA

VENEZUELA COLOMBIA

1

4 ECUADOR BELIZE Helveto-Americana 1 GUATEMALA Helveto-Americana 2 Olivetana 1 Solesmensias 1 ARGENTINA Cono-Sur 6 BRASILE Brasiliensis 14 Sublacensis 1 Hungarica 2 Americano-Casinensis 2 Camaldulensis 2 Vallis-Umbrosae 1 Olivetana 2 CILE Cono-Sur 2 COLOMBIA Americano-Casinensis 1 Ottiliensis 1 Sublacensis 2 PARAGUAY Cono-Sur 1 PERÙ Angliae 1 TRINIDAD Annuntiationis 1 URUGUAY Cono-Sur 1 VENEZUELA Ottiliensis 1

444

I benedettini, come in generale gli altri ordini monastici, ebbero poco a che vedere con il processo di evangelizzazione ispano-portoghese in America. Giunsero nel continente attraverso il Brasile, partendo dal Portogallo. Nel resto del continente non entrarono che nello scorcio finale del XIX secolo. Esistette soltanto un monastero di monache cistercensi a Lima a partire dal XVI secolo, attualmente rinnovato con monache spagnole provenienti dal monastero di Las Huelgas di Burgos. I re di Spagna non permisero l’ingresso degli ordini monastici nel Nuovo Mondo, non considerandoli utili per la diretta evangelizzazione degli indios. Probabilmente, questo fu un errore fatale, al cospetto del processo di evangelizzazione in Europa, realizzato in buona parte dai benedettini. Attualmente la vita monastica benedettina, ad eccezione di alcuni specifici monasteri, non è arrivata a radicarsi e a svilupparsi autonomamente con forza nel continente ibero-americano. La maggior parte delle fondazioni, tuttavia, sono sostenute o dirette da monaci provenienti dalle case fondatrici e alcune, dopo anni di esistenza, si vedono costrette a chiudere a causa dell’impossibilità dello stesso monastero fondatore di continuare a inviare monaci, data la scarsità di vocazioni in Europa. I monaci della famiglia benedettina sono presenti al momento in 18 paesi ibero-americani, con un totale di 870 monaci. I benedettini approdarono in Brasile nel 1581, fondando il primo monastero benedettino d’America a San Salvador di Bahia. Suc258

445

cessivamente a questa prima fondazione, i benedettini si diffusero tra le principali città della colonia portoghese. In Brasile un gruppo portoghese si trasformò in congregazione indipendente nel 1827, ma quando nel 1855 un governo anticlericale proibì ogni forma di proselitismo, il movimento si vide sul punto di estinguersi. Nel 1895, su richiesta dei sopravvissuti, Maredsous (Belgio) inviò una colonia di monaci di Beuron e in breve tempo si determinò una ripresa del numero di vocazioni e delle attività. Il Brasile continua ad essere il Paese ibero-americano in cui il movimento benedettino presenta maggior radicamento: 56 case e 277 monaci. Tali monasteri svolgono, in generale, una importante attività di carattere pastorale e sociale, dalle parrocchie ai centri di studio di teologia, dai collegi alle biblioteche e alla promozione sociale dei più bisognosi. Nei paesi sudamericani i monasteri dipendono in massima parte da congregazioni europee. Così, il Messico ha due fondazioni dell’abbazia spagnola di Silos, appartenente alla congregazione di Francia; la Martinica e Trinidad hanno rispettivamente residenze delle congregazioni francese e belga; a Trinidad esiste anche un convento di monaci dipendenti da Sant’Otiliano di Augusta. Molti altri monasteri dipendono da abbazie nordamericane, come le abbazie messicane di Tepeyac, a 20 km da Città del Messico, di Nostra Signora de los Angeles (Cuernavaca), Nostra Signora de la Soledad (Guanajuato) e Tutti i Santi (Veracruz), fondate rispetti-

PERÚ

BRASILE

1

24 BOLIVIA PARAGUAY

1

URUGUAY

1

CILE

2

ARGENTINA

6

446

vamente dalle abbazie statunitensi di St. John, Mount Angel e Christ in the Desert. Il Venezuela conta tre case di «Otiliani»; in Cile esistono due fondazioni, l’una di Samos e l’altra di Beuron; in Colombia ne esiste una di Samos; in Argentina si ha un importante priorato dipendente da Subiaco, una casa filiale di Silos a Buenos Aires e una piccola colonia di Einsiedeln nelle Pampas. In Cile sorse, all’ombra dell’abbazia benedettina della Santissima Trinità de las Condes di Santiago, un importante movimento apostolico benedettino di laici, la cui finalità era di portare i valori fondamentali della Regola di san Benedetto nell’ambito dell’educazione. Questo movimento si sta sviluppando con molta energia nel Paese e si sta estendendo agli altri Paesi del continente: sua missione è l’educazione cristiana dei bambini e dei giovani secondo la prospettiva del Vangelo e della Regola di san Benedetto da Norcia, incoraggiato dall’attuale opera di 900 membri, uomini e donne, sposati e celibi. Nel 1985 in Brasile iniziò a muovere i suoi primi passi la Certosa di Nostra Signora Medianeira. I primi cistercensi trappisti giunsero dagli Stati Uniti in Argentina e in Cile; le monache dalla Francia e dall’Italia. L’abbazia cistercense di Azul in Argentina è la prima di stretta osservanza in America Latina, ma esistono priorati anche in Cile, Messico e Brasile. In queste case l’equilibrio tra visione contemplativa e vocazione missionaria portò i monaci alla convinzione che il futuro del continente sta nella sua costruzione simultanea-

mente temporale e spirituale. Da questo punto di vista, la religiosità contemplativa doveva compensare e appoggiare l’aspetto attivo dell’evangelizzazione. I premostratensi possiedono nove case in America Latina, dove svolgono un’efficace opera missionaria tra gli indigeni. Da parte loro, i cistercensi di Germania, Francia e Italia, sia di osservanza comune sia di stretta osservanza, hanno anch’essi fondato alcuni monasteri. Si tratta di comunità giovani, ma dai tratti caratteristici che le contraddistinguono nell’Ordine: semplicità della liturgia, sforzo di trovare un’adeguata espressione di contemplazione che si armonizzi con la mentalità delle vocazioni indigene. Trattandosi di comunità numericamente ridotte, non esistono attività produttive di grande importanza. Si è cercato un adattamento corretto al contesto sociale che si muove intorno alle case, cosa che si sta ottenendo senza pregiudicare l’orientamento contemplativo. La maggioranza delle nuove case monastiche furono dotate di mezzi e di personale, perché non fosse necessaria l’attività produttiva da parte di tutti i membri della comunità. In queste case americane si assistette a una reazione contro l’eccessivo legame del sacerdozio con la vocazione monastica, con il rafforzamento della tendenza alla vita contemplativa, alla semplicità, al lavoro manuale e all’importanza della lectio divina: affiora una mentalità alquanto svincolata dalle tradizioni e molto libera nell’interpretazione della Regola, in cui si uniscono creatività e fedelità all’essenza di ogni Ordine. I contatti tra i monasteri sono molto frequenti, scanditi da incontri continui nell’intento di rispondere alla sfida di un cristianesimo molto numeroso, ma in grave crisi sociale e culturale. Non c’è dubbio che la solidarietà con i bisogni sociali e politici della popolazione ponga problemi, per quanto si stia cercando di affrontarli senza fuoriuscire dall’alveo della tradizionale ospitalità benedettina. Nel movimento liturgico si cerca di assumere e integrare gli elementi della religiosità popolare autoctona, con una attenzione speciale per il popolo, come, ad esempio, nella fondazione di Tupassy María in Paraguay ad opera del monastero di Los Toldos. Il monachesimo femminile si è molto diffuso e, in questo caso, in continuità con la ricca tradizione del passato coloniale: se, infatti, i monaci – fuorché in Brasile – non furono che solo relativamente presenti, le religiose contemplative furono una presenza costante, anche se non appartennero alla famiglia benedettina. Si hanno, così, numerosi monasteri di cistercensi, trappiste e benedettine in quasi tutti i Paesi dell’immenso continente. Si può affermare che in queste terre esiste un’abbondanza di piccole fondazioni, non poche delle quali chiamate a ulteriori frammentazioni. A prima vista, ciò può sembrare alquanto caotico, ma differisce di poco dalla realtà del monachesimo in numerosi frangenti del Medioevo. Questo stato di cose sembra rispondere alla situazione attuale dell’America Latina, alla ricerca di se stessa in una evoluzione permanente e creativa. 259


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

12. IL MONACHESIMO IN OCEANIA E ASIA

12. IL MONACHESIMO IN OCEANIA E ASIA

TURCHIA ARMENIA

3

SIRIA

448

COREA DEL NORD

MONGOLIA

TURKMENISTAN IRAQ

1 GIAPPONE

UZBEKISTAN

ISRAELE GIORDANIA

447

KAZAKISTAN

AZERBAIGIAN

LIBANO

3

KIRGHIZISTAN

COREA DEL SUD

TAGIKISTAN

IRAN

2

AFGHANISTAN

CINA HAWAI

ARABIA SAUDITA

1

TAIWAN PAKISTAN

QATAR

NEPAL E.A.U

BHUTAN

OMAN BANGLADESH INDIA

YEMEN

1

8

MYANMAR

FILIPPINE

LAOS

4

VIETNAM

2

THAILANDIA CAMBOGIA

SRI LANCA

BRUNEI

2 MALAYSIA

AUSTRALIA Sublacensis Silvestrina BANGLADESH Sublacensis CINA Americano-Casinensis COREA DEL SUD Olivetana Ottiliensis FILIPPINE Ottiliensis Sublacensis GIAPPONE Americano-Casinensis

1 1 1 2 1 2 2 2

HAWAI Olivetana INDIA Annuntiationis Ottiliensis Silvestrina Camaldulensis ISRAELE Olivetana extra Congregationes SRI LANKA Silvestrina VIETNAM Sublacensis

1

INDONESIA

2 1 4 1 1 2 2 4

2 AUSTRALIA

1

451

450

449

447. Chiostro del monastero di Matutum. Il monastero è stato fondato da dieci suore della Trappa di Vitorchiano nel 1995.

448. Danza eseguita nel monastero di Matutum, Mindanao nelle Filippine. La danza si svolge in onore delle consorelle trappiste del monastero di Vitorchiano, non distante da Roma, che erano in visita.

449. Monaci benedettini in preghiera del Monastero della Santa Trinità Yatsugatake, Fujimi, Giappone (foto Archivio della St. John’s Abbey, Collegeville).

450. Monastero della Santa Trinità Yatsugatake, Fujimi Machi, Nagano Ken, Giappone (foto Archivio della St. John’s Abbey, Collegeville).

La presenza benedettina in Oceania è assai scarsa. L’Australia, fin dai suoi esordi come colonia inglese, ebbe una costante presenza di benedettini inglesi come missionari o impegnati nel servizio episcopale. La presenza più significativa è il monastero di Nuova Norcia, fondato dal benedettino spagnolo P. Rosendo Salvado nel 1846. Questo monastero, fondato in piena foresta, fu un importante centro di evangelizzazione e inculturazione nel mondo indigeno australiano. Intorno ad esso si sviluppò un nucleo urbano importante, sotto l’aspetto tanto della vita culturale quanto di quella cristiana, come già accaduto anticamente in Europa. Esistono poi monasteri benedettini e trappisti in Australia e Nuova Zelanda, benché le vocazioni native continuino ad essere poche e i monaci locali non arrivino a superare numericamente la quantità degli Irlandesi. L’irradiazione della trappa di Kopua in Polinesia, soprattutto nelle isole di Samoa e Tonga, ha richiamato nella fondazione molte vocazioni. La professione dei novizi di Tonga ha adattato il cerimoniale tradizionale alla cultura dell’isola, creando rituali liturgici suggestivi e molto graditi. Il monachesimo benedettino è presente oggi in cinque Paesi dell’Oceania con 120 monaci e 460 monache.

I primi monaci della famiglia benedettina a stabilirsi nel continente asiatico furono i cistercensi francesi della stretta osservanza, giunti in Cina nel 1883. Oggi il monachesimo benedettino è presente in nove Paesi asiatici con un totale di 1.300 monaci: 600 benedettini distribuiti in 40 monasteri, 500 cistercensi in 6 monasteri, 190 monache cistercensi di stretta osservanza in 9 monasteri. I benedettini sono presenti a Sadhu Benedicti Math in Bangladesh, con 7 case in Corea, 12 in India, 2 in Israele, in Giappone con il monastero della Santa Trinità fondato dall’abbazia nordamericana di Saint John’s Collegeville nel 1947, con 4 monasteri in Sri Lanka, 2 priorati a Taiwan fondati da abbazie benedettine nordamericane nel 1964 e 1966, in Viet Nam con l’abbazia di Thien An, fondata dai monaci dell’abbazia francese di La-Pierre-qui-Vire nel 1940, da cui hanno preso, a loro volta, vita tre nuovi monasteri. Benedettini e cistercensi hanno sofferto particolarmente sotto il regime comunista, ma le comunità risultano assai radicate nel Paese e contano su abbondanti vocazioni. Loro principale attività apostolica è l’accoglienza e la direzione spirituale.

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451. Attuale diffusione del Monachesimo in Asia.

Nelle Filippine, dove la presenza benedettina era rappresentata dal monastero di Nostra Signora di Montserrat a Manila in cui si coniugava il radicamento nella tradizione spagnola con gli apporti propri della cultura filippina, varie fondazioni locali e ben rappresentative del Terzo Mondo sono generosamente fiorite negli ultimi tempi. La comunità di Montserrat dirige il prestigioso liceo di San Beda, con 6.000 alunni; la chiesa abbaziale è sede di una importante parrocchia. Nel 1981 Montserrat fondò il monastero della Trasfigurazione a Malaybalay City, divenuto importante centro di spiritualità per tutte le Filippine meridionali. Nel 1983 fu fondata la casa di San Benedetto a Digos, nell’isola di Mindanao, con il compito fondamentale di assistere la popolazione nell’approfondimento della fede, a causa del suo arretramento, corrispondente alla realtà sociale dell’intero arcipelago. I monaci dirigono una parrocchia di oltre 65.000 abitanti molto sparpagliati e con 50 cappelle, attivandosi anche per il servizio presso le tribù indigene delle montagne. Nel 1991 questa abbazia fondò il Centro di Studi Sant’Anselmo come casa di formazione e studentato per giovani monaci.

I Cistercensi di stretta osservanza (Trappisti) giunsero a costituire tre importanti monasteri in Cina con comunità che superavano i 150 membri. L’avvento del comunismo pose termine a queste fondazioni e trenta monaci soffrirono persino il martirio, mentre un piccolo gruppo di monaci riuscì a sopravvivere fino ai nostri giorni in clandestinità e tra grandi sofferenze. Attualmente alcuni giovani si stanno unendo a questi monaci. Un gruppo di ragazze dirette da questi clandestini chiesero di farsi cistercensi, riuscendo a uscire dal paese per emettere la professione in un’abbazia del Giappone; anch’esse vivono ora in Cina in clandestinità. I Trappisti contano in Asia 9 monasteri maschili e 8 femminili, con un totale di 190 monaci e 265 monache. Il monachesimo femminile è molto ben rappresentato nelle isole, soprattutto dalle benedettine di Tutzing, con circa un centinaio di religiose sparse su di esse, sotto il priorato di Santa Scolastica di Manila. Le monache curano e dirigono molte iniziative apostoliche tra cui trasmissioni radiofoniche con le quali insegnano il catechismo alle popolazioni più difficili da raggiungere. 261


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

13. ECUMENISMO

13. ECUMENISMO

453. Il trappista cistercense Thomas Merton è divenuto uno dei simboli dell’ecumenismo. La sua opera si allargò al dialogo e al reciproco apporto spirituale con esperienze monastiche di altre religioni. Il dialogo tra religioni non si realizza anzitutto su temi dottrinali ma è chiamato a pescare nel profondo delle esperienze religiose. L’esperienza monastica, come si è detto, è paradigmatica per l’esperienza religiosa di ogni credente. Il dialogo tra monaci di varie religioni è perciò un grande apporto al dialogo tra credenti di religioni diverse.

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452. Sorella Maria Gabriella Sagheddu, la trappista sarda che dedicò i suoi ultimi anni di vita monastica e la sua preghiera all’ecumenismo.

Appena il movimento ecumenico si sviluppò nelle Chiese del XX secolo, il monachesimo occidentale divenne un luogo privilegiato per incontri ecumenici e riflessioni. Il monachesimo nacque prima della divisione tra il cristianesimo orientale e occidentale nel 1054 e della frammentazione della Riforma. Il monachesimo occidentale guarda in due direzioni nella sua considerazione ecumenica: verso le Chiese orientali, con cui condivide un’eredità spirituale e monastica; verso le Chiese della Riforma, che condividono l’enfasi del monachesimo sulla spiritualità biblica. I monasteri cattolici (romani) sono oggi luoghi di ritrovo naturali per riunioni ecumeniche, da quando tutti possono partecipare pienamente all’Ufficio divino. Allo stesso tempo vari tipi di monachesimo sono sorti all’interno delle Chiese della Riforma e i membri di tali comunità hanno una naturale affinità con i loro fratelli e sorelle nelle Chiese cattoliche (romane) e nelle Chiese ortodosse. Ci sono anche comunità esplicitamente ecumeniche come quella di Taizé in Borgogna, che include membri cattolici (romani) e protestanti. Il monachesimo occidentale del XIX secolo guardò per ispirazione al Medioevo, ma il monachesimo del XX secolo partecipò pienamente alla ripresa degli studi patristici e liturgici. Questa riscoperta del primo cristianesimo e delle fonti principali della spiritualità monastica portarono inevitabilmente a un apprezzamento più forte della spiritualità e delle tradizioni del cristianesimo orientale, dove l’orientamento patristico e liturgico era stato conservato più fedelmente. L’attenzione all’Oriente fu un particolare interesse di Dom Lambert Beauduin (1873-1960). Nel 1925 questo benedettino belga fondò il monastero bi-rituale ad Amay (trasferito a Chevetogne nel 1939) e il famoso periodico Irénikon. 262

Beauduin aveva anche partecipato alle Conferenze di Malines con gli anglicani tra il 1921 e il 1926. Beauduin fu un pioniere nell’ecumenismo, un innovatore nella vita monastica e sopportò sia incomprensioni che reazioni negative al suo lavoro. Sebbene il Concilio Vaticano II e il suo decreto sull’ecumenismo arrivassero dopo la sua morte, sostennero le sue convinzioni e Chevetogne continua a testimoniare una visione più completa di una Chiesa che riprende ugualmente sia tradizioni orientali che occidentali. Suor Maria Gabriella Sagheddu (1914-39), una trappista sarda beatificata nel 1983, fu un altro tipo di testimone monastica ecumenica. Ella e la sua badessa furono influenzate dall’invito del sacerdote francese Paul Couturier a pregare per l’unità cristiana e poco dopo la sua prima professione nel 1937 ella chiese di offrire la sua vita di preghiera al fine dell’unità. Sebbene sia vissuta solo per altri due anni, la sua devozione all’ecumenismo divenne nota già mentre era in vita. La sua beatificazione nel 1983 riconobbe l’importanza della preghiera nell’opera ecumenica, un’enfasi adatta specialmente alle comunità monastiche. La più famosa iniziativa monastica ecumenica è sicuramente la comunità di Taizé. Il progetto cominciò nel 1944 quando un giovane protestante svizzero, Roger Schutz (n. 1915), si stabilì con degli amici in questo luogo della Borgogna, non lontano dall’abbazia in rovina di Cluny. Precedentemente durante la guerra egli era vissuto a Taizé per essere solidale con l’esperienza francese dell’occupazione nazista. Quando vi ritornò con i suoi compagni, la loro intenzione era di diventare una «parabola di comunità». Nel 1949 essi presero i voti perpetui di celibato, comunità e semplicità di vita e presto si unirono a loro i fratelli della Chiesa cat-

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454. Incontro ecumenico nel 1961, davanti alla chiesa del villaggio di Taizé, promosso dalla stessa comunità monastica di Taizé.

455. Il benedettino Kilian Mc Donnel, fondatore e presidente dell’Institute for Ecumenical and Cultural Research a Collegeville, davanti all’Istituto stesso.

tolica romana. Col tempo la comunità è divenuta internazionale, oltre che ecumenica. Taizé è particolarmente nota per la sua attenzione al mondo giovanile e per il suo canto contemplativo, reso popolare dai gruppi di preghiera diffusi in tutto il mondo, ma l’obiettivo ecumenico è rimasto centrale tanto nella visione del fondatore quanto nella vita della comunità. Un altro membro del ramo trappista dell’Ordine cistercense, Thomas Merton (1915-1968), ha dato un contributo vitale al nascente movimento ecumenico americano negli anni Cinquanta e Sessanta attraverso le sue pubblicazioni e la sua corrispondenza. Merton ha delineato un cristianesimo contemplativo in grado di fornire una risposta concreta alle sfide sia globali sia nazionali lanciate dalla Guerra fredda e dal Movimento per i Diritti civili. Molti protestanti furono attratti dalla visione della Chiesa e della società di Merton e ne divennero amici recandosi in visita al monastero del Gethsemani in Kentucky o inviandogli lettere. Nella misura in cui Merton si è evoluto dal suo iper-cattolicesimo degli anni Quaranta e Cinquanta verso una più tollerante visione della tradizione spirituale cristiana, integrando soprattutto prospettive patristiche e orientali, ha sviluppato una prospettiva per sua stessa indole ecumenica. Verso la fine della sua vita gli interessi di Merton si sono orientati verso le religioni non cristiane, soprattutto verso il buddismo asiatico e, pur rimanendo ancorato e fedele al suo modello cristiano di vita monastica, è stato in grado di accogliere altre tradizioni spirituali senza vedersi minato nelle sue convinzioni. Dopo l’incoraggiamento del Concilio Vaticano II a intraprendere un formale dialogo ecumenico, nel 1965 i monaci benedettini del-

l’abbazia di Saint John di Collegeville in Minnesota (USA) hanno fondato un centro per il dialogo e la formazione all’ecumenismo. Attualmente noto come Istituto per la ricerca ecumenica e culturale, il centro sponsorizza incontri su aspetti topici di interesse comune, fornisce accoglienza e agevolazioni di ricerca per studiosi in visita e personalità del mondo ecclesiastico. Il monastero attrae pure singoli e gruppi delle altre Chiese e ha invitato la diocesi di Minnesota a costruire una casa di ritiro sulla proprietà dell’abbazia. I monaci di Saint John prendono parte ai dialoghi ecumenici nazionali e internazionali. Piccole comunità monastiche particolarmente dedite agli sforzi e all’apertura in senso ecumenico continuano a fiorire. Per quanto siano spesso di breve durata, esse forniscono un contributo concreto al fertile campo dell’ecumenismo. Al contempo, alla tradizionale enfasi monastica sull’ospitalità si aggiunge in misura sempre maggiore una particolare sottolineatura del benvenuto ai cristiani di altre confessioni. Le case di ritiro monastiche offrono l’opportunità di saggiare il peso e la profondità delle varie forme cristiane di preghiera, mentre a sua volta la natura “marginale” delle comunità monastiche potrà, in avvenire, offrire spazio a quanti fuoriescono dalle altre Chiese. Programmi spirituali di istituzioni quali il Centering Prayer, l’opera sulla meditazione cristiana di Dom John Main e la preghiera di Taizé hanno esercitato una grande forza di attrazione con la loro capacità di trasmettere il patrimonio spirituale della Chiesa indivisa delle origini, superando le barriere formali. Il maggiore contributo del monachesimo all’ecumenismo, come a qualsiasi altra questione, è la preghiera. 263


VIII. UN MILLENNIO DI MONACHESIMO IN OCCIDENTE

14. IL DIALOGO MONASTICO INTERRELIGIOSO

14. IL DIALOGO MONASTICO INTERRELIGIOSO

Tra il 1982 e il 1992 vi furono numerosi scambi, in seguito ai quali si intensificò il dialogo intermonastico tra il Dalai Lama, altri capi buddisti e membri del MID, sfociati nel 1993 nel Parlamento delle Religioni del Mondo a Chicago. In seguito a questi incontri, il Dalai Lama ha proposto al MID di inviare 25 rappresentanti buddisti e altrettanti cristiani a vivere insieme in una settimana di condivisione e dialogo comune sulla vita spirituale nell’abbazia del Gethsemani, residenza del suo amico Thomas Merton. Il primo

degli Incontri del Gethsemani ebbe luogo nel 1996, il secondo nel 2002. Scambi sostenuti dal MID continuano tuttora e fin dal 1996 si muovono ben oltre il mero senso di ospitalità e amicizia tra monaci tibetani buddisti in esilio e monaci statunitensi, per promuovere, in un contesto monastico cristiano, un concreto aiuto a favore dei fratelli e delle sorelle buddiste in esilio ricorrendo a modi creativi come l’educazione sanitaria, l’apprendimento dell’uso del computer e dell’inglese. [Pascaline Coff osb]

LE RADICI ANTICHE A FONDAMENTO DELL’IMPEGNO CONTEMPORANEO

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456. Fase VII del MID (Dialogo Monastico Interreligioso). Conversazione tra monaci di diverse religioni al Dzongsar Institute di Bir, India.

DAL DIALOGO INTERRELIGIOSO AL DIALOGO MONASTICO

Il dialogo interreligioso scaturì dal Concilio Vaticano II (19621965). Papa Paolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam Suam (1964), pose l’accento sulla necessità del dialogo interreligioso, ma fu soltanto con il documento Nostra Aetate (1965) sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane che un autentico dialogo interreligioso prese avvio. Il presidente del Consiglio per il Dialogo Interreligioso promosse le relazioni della Chiesa cattolica con le altre religioni chiedendo nel 1974 all’abate Primate di insistere affinché monaci e monache cristiani cercassero di divenire ponti per la promozione di una reciproca comprensione tra i cristiani e i rappresentanti delle altre fedi. Nel 1968 gli abati benedettini di tutto il mondo sostennero la loro prima Conferenza intermonastica asiatica dell’estremo oriente e dell’occidente a Bangkok per studiare il metodo per il dialogo con le altre religioni. Fu questa Conferenza a portare Thomas Merton in Oriente e in visita al Dalai Lama. Fu l’incoraggiante inizio del dialogo intermonastico tra oriente e occidente. Fecero seguito altre due Conferenze asiatiche, promosse dalla Aide Inter-Monasteries (AIM), organizzazione della confederazione benedettina 264

con la responsabilità di facilitare il dialogo tra le fedi: a Bangalore nel 1973 e nello Sri Lanka nel 1980. Nel 1978, su invito dell’AIM, si formò l’organizzazione denominata «AIM’s North American Board for East-West Dialogue», che prese poi il nome di «Dialogo Monastico Interreligioso» (MID). Alcuni mesi più tardi un gruppo monastico europeo scelse il nome di «Dialogo Interreligioso Monastico» (DIM), con il medesimo proposito di stimolare nel monachesimo occidentale l’interesse per le idee e i valori presenti nelle religioni orientali e di incoraggiare lo sviluppo del dialogo intermonastico soprattutto tra buddismo e monachesimo cristiano. Si tennero poi le «Naropa East-West Conferences», promosse dal Naropa Institute a Boulder (Colorado) e dal MID, nel 1980 e 1981. In quest’ultima il segretario del MID chiese al Dalai Lama in una udienza semi privata se desiderasse inviare suoi monaci presso monasteri cristiani americani. Alla sua risposta positiva, prese avvio la Intermonastic Hospitality Exchange tra monaci cristiani americani e buddisti tibetani (la DIM ha pure ospitato scambi di monaci tibetani e di altri buddisti soprattutto Zen, in Europa e Asia).

Il Dialogo Monastico Interreligioso si è concretizzato in un percorso compiuto da monaci orientali e occidentali passando dalla semplice comunicazione per arrivare alla comunione. Si è presa via via coscienza che esistono elementi di contatto tra i monaci cristiani e i sadhu (povero), i sannayasi (rinnegante), gli yogi hinhues, i bhikku (mendicante), gli arahat (degno), i thera (anziano) e i maestri buddisti zen; i maestri ebrei della qabbalah e dello hasid; i faqir, i sufi e i dervisci musulmani. Tra tali elementi di contatto si possono considerare il rifiuto delle ansie del mondo, la ricerca dell’Assoluto, il ricorso alla disciplina o all’ascesi, come è stato descritto nei primi capitoli di questa opera. In occasione del suo viaggio in Asia del 1968, Merton scrisse: «I miei colloqui con i buddisti sono stati finora aperti e franchi; è esistita una comunicazione totale a livello veramente profondo. L’impressione è che reciprocamente ci si riconosca una certa profondità di esperienza spirituale; è indiscutibile». La ricerca del dialogo sulle esperienze religiose situate nel cuore di ogni tradizione religiosa indusse i Padri Jules Monchanin, Henry Le Saulx e Beda Griffiths a iniziare gli ashram cristiani in India, in seguito ai quali in vari monasteri nacque una più viva preoccupazione per il dialogo interreligioso con i fratelli di altre religioni. Merton, nella stessa occasione, ha espresso la sua impressione sul dialogo tra monaci di diverse tradizioni: «Ho lasciato il mio monastero per venire qui, non solo come ricercatore universitario

e come autore […]. Vengo come pellegrino desideroso di ottenere non solo informazioni, non solo eco relative ad altre tradizioni monastiche, ma desideroso di bere alle fonti antiche della visione e dell’esperienza monastica». Come traduzione di questo interesse dei monaci di Oriente e Occidente, vennero celebrati i Congressi di Bangkok (1968), Bangalore (1973) e Kandy (1980). Nel 1977 l’abbazia di Praglia diede vita a una serie di incontri tra monaci cristiani, buddisti e hindu. Da parte loro, i benedettini organizzarono nel 1977 in Europa e negli Stati Uniti due gruppi di studio al fine di ricercare e favorire le diverse possibilità per un efficace dialogo interreligioso. Nel 1979 trentanove monaci buddisti e due sacerdoti shintoisti, tutti giapponesi, soggiornarono per tre settimane nella clausura di monasteri benedettini e trappisti europei. Nel 1983 quindici monaci europei e due religiose convissero in monasteri giapponesi. Le valutazioni finali constatarono il mutuo e profondo arricchimento derivante da tali esperienze. Si tratta di un’esperienza straordinaria che procede ben oltre lo studio e il confronto dottrinale, addentrandosi sul piano della ricerca spirituale praticata nel silenzio, nella preghiera e nella meditazione condivisa, intercalata dal lavoro quotidiano e dalla refezione comune. A livello più personale, la condivisione della vita e dell’ideale spirituale ha permesso di raggiungere la comunione reciproca. [Juan Maria Laboa]

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I DONI DEL MONACHESIMO

I DONI DEL MONACHESIMO

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457. Un pozzo nel deserto. Disegno dal taccuino di Charles de Foucauld eseguito nel 1885. Due simboli della dimensione monastica: il deserto in cui ritirarsi e l’acqua (il pozzo) che dà la vita.

Nella pluralità delle sue variegate manifestazioni, particolarmente coinvolto nelle vicissitudini quotidiane del popolo cristiano, fortemente integrato nell’indole e nelle caratteristiche di ogni nazione e di ogni cultura, ma, al tempo stesso, espressione chiara del nucleo fondamentale della dottrina e delle esigenze evangeliche, il monachesimo costituisce una delle pagine più istruttive, brillanti e suggestive della storia del cristianesimo. Nel corso dei secoli i monaci si sono occupati esclusivamente di Dio nella più completa solitudine, in assidua orazione e nello spirito della compunzione perpetua. San Benedetto scrisse nella sua Regola che «tutta la vita del monaco avere il carattere di una continua Quaresima», sebbene si trattasse in realtà di un genere di vita che richiamava ad ogni momento alla fiduciosa speranza della Pasqua. I monaci sono per definizione contemplativi, cercano il Dio vivente tanto nella storia, attraversata da Gesù Cristo, quanto nella natura, espressione sublime della bellezza divina, e aspirano permanentemente al cielo: «Concedimi di vedere la tua gloria» (Es 33,18) costituisce la formula rappresentativa per esprimere nel modo più adeguato il senso della spiritualità monastica. Tuttavia, i monaci si sono occupati al contempo anche degli esseri umani, loro fratelli, dei loro bisogni e delle loro preoccupazioni. 266

Le occupazioni e l’impegno di molte congregazioni di monaci, diverse nei carismi ma mosse di fatto da obiettivi analoghi, si sono mossi su un ventaglio di ambiti che spazia dalla cultura all’economia, dai manoscritti all’agricoltura, dalle scuole alle distillerie. La carità di Cristo li ha spinti non soltanto a pregare incessantemente per gli uomini, ma anche a guidarli sui cammini di questo mondo, tanto più complesso e confuso quando l’individuo è privo di obiettivi chiari. Evagrio Pontico definì il monaco come «colui che vive separato da tutti e unito a tutti». Sant’Antonio abate non ebbe alcuna esitazione ad abbandonare la propria diletta solitudine per impegnarsi ad alleviare o a risolvere le necessità di quanti cercavano il suo sostegno. La vita dei monaci nella sua essenza più profonda era un cammino di conversione e di ritorno a Dio, un continuo intrecciare legami e relazioni con Dio. Sebbene non vi sia dubbio che gli obiettivi ultimi dei monaci siano stati quelli di ogni cristiano che abbia desiderato vivere il messaggio evangelico nella più assoluta pienezza, i monaci hanno cercato con passione e costanza di comprendere il significato più sostanziale dell’essere figli di Dio, hanno disvelato con chiarezza la contraddizione del peccato e le sue amare conseguenze, hanno scoperto con la parola e le opere come ci si possa liberare dal male in questa valle di lacrime. I nuovi sol-

dati di Cristo, poveri con il Cristo povero, disprezzate le ricchezze di questo mondo e spogliatisi dell’uomo vecchio, si dilettano a vestirsi del nuovo. Per loro vivere e realizzare è sempre opera di amore. In questa personale ricerca e peregrinazione, il monaco pretende un cuore indiviso, incapace di servire due signori, che si ponga interamente al servizio di Dio, privo di scissioni, non distratto dal mondo né dalle passioni. Il suo dominio del corpo con metodi talora radicali, la sua vita austera, la sua rinuncia a quanto possa indebolire la sua saldezza e il suo impegno assoluto hanno come obiettivo permanente amare e servire l’unico Signore della vita e della morte. Se il fine della vita monastica è unirsi a Dio attraverso la puritas cordis, è pure necessario che il monaco cerchi Dio laddove Egli può stare nascosto e lo conosca nella misura in cui è dato di conoscerlo alla limitata intelligenza umana: Dio è un Dio nascosto che si dà alla conoscenza soltanto nella misura in cui lo si cerca davvero. È nella Sacra Scrittura, che è la sua stessa parola messa per iscritto, che Dio si manifesta in un modo speciale e privilegiato. Di conseguenza, la lettura e lo studio della Parola divina, siano essi diretti o mediati dalla interpretazione dei Padri, ci darà necessariamente di Lui una maggiore conoscenza e, naturalmente, una maggiore vicinanza, un aumento di amore, una maggiore disposizione alla preghiera e all’unione con la divinità. Non è possibile conoscere la vita monastica senza tenere conto di questa reverenza e di questa devota sequela dei libri sacri. La vita consacrata è al servizio della missione della Chiesa, o meglio ancora al servizio della missione di Gesù, che la Chiesa continua nel tempo fino alla seconda venuta del Signore. Il monaco, pertanto, intesse una relazione duplice, l’una con Cristo, l’altra con la Chiesa. Anche nella più grande solitudine o sulla cima di un’alta colonna, il monaco possiede una coscienza assai forte della Chiesa e del suo dovere di evangelizzare, di essere testimone di Cristo, di aiutare i fratelli nei loro bisogni temporali e spirituali. Le sorpren-

denti scene di monaci che annunciano la buona novella a popoli estranei alla tradizione cristiana costituiscono alcune delle pagine più straordinarie della storia del cristianesimo. Il monachesimo offre salute mentale e speranza. Chi vive in tranquillità, senza alterarsi, mormorare né rispondere, senza prestarsi all’indolenza o a svogliatezza, non ghermito né preoccupato dai beni terreni, senza essere dominato dalle passioni del corpo o dello spirito, conservando in ogni istante il controllo dei propri atti, dei propri gesti e del proprio pensiero, amando Dio in ognuno in cui confida e che serve, cosciente di essere figlio di Dio Padre e fratello di Cristo, che secondo l’azione benefica dello Spirito si incarnò per essere nostro fratello e salvarci, questi gode della pace dello spirito e vive di speranza. La vita comunitaria monastica offre norme e pratiche di civiltà e convivenza: al fine costante di non disturbare gli altri con inutili lamentele e con il presupposto di accettare sempre i propri limiti e la propria fragilità, essa insegna a sopportare con pazienza le debolezze del prossimo, quelle del corpo come quelle dello spirito, così come le proprie personali debolezze, che sempre ci accompagnano e ci affliggono. Il fine principale di san Benedetto nell’imporre il lavoro manuale ai suoi monaci non fu né l’utilità sociale, né l’esperienza poetica, ma la penitenza. E senza dubbio, la sua opera fu al contempo l’una e l’altra cosa: i monaci lavorarono con pazienza ed entusiasmo, trasformarono luoghi, migliorarono la terra, progredirono nelle tecniche di agricoltura, scoprirono i segreti dell’uva; hanno amato Dio, ma anche gli uomini e la natura, cogliendone appieno i doni. Per i cristiani l’istituzione monastica costituisce, di fatto, una parte integrante del mondo spirituale. I monaci non sono disertori del mondo né della Chiesa, benché fin dal principio abbiano costituito una protesta silenziosa contro un cristianesimo mondanizzato e un mondo poco cristiano. Essi non arrecano profitto al prodotto nazionale lordo, ma senza di loro il mondo sarebbe più bellicoso ed egoista, meno riflessivo e meno generoso.

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INDICE DEI NOMI Ilario, vescovo: 60 Ilarione, sacerdote: 179 Ilarione: 26, 47, 52 Ilie Cleopa, starez: 218 Imerio: 88 Innocenzo XI, papa: 241 Ireneo di Lione: 26 Irina, principessa di Kiev: 180 Isacco: 29 Isidoro di Scete: 7 Isidoro di Siviglia: 68, 69, 71, 85 Ivan Alessandro, zar di Bulgaria: 149 Ivanov Makarij (Macario): 211 Izjaslav Jaroslavič, principe di Kiev: 180

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

NOMI Abramo: 18, 20, 26, 29, 193 Acindino, monaco: 188 Adalberto, abate di Lérins: 62 Adravaldo: 76 Aelika, badessa: 82 Afrat: 26 Agolberto, vescovo: 85 Agostino: 7, 24, 34, 62, 64, 66, 67, 69, 82, 109, 114, 120, 160, 206 Aimoino: 76 Alberico: 232 Alessandro Magno: 15 Alessio III Angelo, imperatore: 152 Alessio, metropolita: 191 Alessio, patriarca di Costantinopoli: 98 Alessio Studita di Costantinopoli: 179 Amand, abate: 56 Ambrogio: 34, 35, 56, 64 Ambrogio Auperto, 86 Ammone: 42 Amos, profeta: 18 Anastasio I, imperatore: 92 Anati, Emmanuel: 27 Andrea di Creta: 98 Andrea, monaco: 139 Anna di Savoia: 189 Anscario, monaco: 121 Anselmo d’Aosta: 86, 224, 226, 227 Antonio abate (Antonio il Grande): 24, 26, 35, 36, 38, 39, 43, 45, 52, 86, 88, 104, 266 Antonio del Monte Athos: 174 Antonio delle Grotte (Antonij Pečerskij): 178, 179 Apollo, anacoreta: 42 Apollonio di Tiana: 16 Ardone: 124, 126 Aristotele, 17 Ariberto: 137 Ariclos, filosofo: 151 Arsenio: 38 Assen I, zar di Bulgaria, 147 Atanasio: 43, 45, 56, 96, 104 Atanasio Athonita: 88, 94, 140, 142, 155 Bălan Ioanichie: 198 Barlaam, monaco: 188, 189 Barsotti, Ivo: 247 Bartolomeo, apostolo: 160 Basilio di Poiana Mbrului: 200 Basilio il Grande: 22, 30, 36, 52, 53, 54, 86, 88, 89, 90, 91, 104, 106, 107, 176, 179, 206 Basilio I, imperatore: 139 Basilio II, imperatore: 22, 174 Beato Angelico: 137 Beauduin, Lambert: 262 Beda: 86, 120 Benedetto IX, papa: 176 Benedetto da Norcia: 22, 54, 62, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 84, 85, 86, 88, 89, 91, 103, 114, 116, 117, 118, 119, 121, 122, 124, 137, 232, 249, 251, 259, 266, 267 Benedetto di Aniàne: 54, 71, 86, 124, 126 Bernardo di Chiaravalle: 130, 136, 137, 232, 233, 234, 235, 241 Berno, abate: 130 Bessarione, Giovanni, cardinale: 177 Biagio: 183 Bianchi, Enzo: 247 Blandine, martire: 37 Boezio: 66 Bona, cardinale: 241 Bonhoeffer, Dietrich: 252, 253 Bonifacio (Winfrid): 86, 121, 122, 124 Boris-Michele, principe: 146 Brendano (Brendam): 72, 73 Breuer, Marcel: 255 Brjančaninov, Ignatij: 183, 209 Bruno: 228, 229, 230

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Budda: 13 Bünting, H.: 18 Calinic, starez: 201 Callisto, patriarca: 149 Carlo I d’Inghilterra: 250 Carlomagno: 86, 119, 124, 125, 126 Cassiano: 30, 36, 54, 56, 57, 58, 69, 91, 119 Caterina II di Russia: 210 Caterina d’Aragona: 238 Cesario: 61, 62 Chevalier, Etienne: 234 Chiara: 249 Cipriano: 109, 252 Cipriano di Tbrnovo: 148, 149, 151 Cirillo (Costantino): 100, 101, 102, 103, 146 Cirillo di Alessandria: 96, 220 Cirillo di Beloozero: 192, 193, 194 Clemente d’Ohrid: 101, 146, 152 Clemente di Alessandria: 32 Colombano: 72, 73,74, 84, 86, 117, 119, 120, 124 Conant, J. K.: 128 Cosma di Maiuma (Cosmo di Maio): 94, 98 Costantino (imperatore): 36, 166 Costantino V, imperatore: 97 Costantino IX Monomaco, imperatore: 143 Costantino di Preslav: 146 Costantino il Paleologo: 98 Couturier, Paul: 262 Cranach, Lucas (il Vecchio): 238, 252 Cromwell, Thomas: 238 Dalai Lama: 264, 265 Damaso, papa: 59 Dan Hugo, vescovo: 228 Davide, monaco irlandese: 72 Davide, eremita georgiano: 168, 170 Davide il costruttore, re della Georgia: 169 Decio (imperatore): 30 Desiderio, abate: 78, 133 Diano, vescovo: 88 Dimitri Cantacuzeno, monaco: 151 Dimitrij Donskoj, principe di Mosca: 192 Diogene: 151 Dione Crisostomo: 16 Dionigi il Piccolo: 198 Dionisij di Gluyica: 25, 192 Doroteo: 7, 49 Dostoevskij, Fëdor: 211 Doxos, monaco: 146 Duccio da Buoninsegna: 22 Eadmero: 224 Efrem: 26, 48, 49 Egberto di Treviri: 180 Egeria, monaca: 68 Elia, profeta: 18, 24, 25, 26, 212 Eliseo: 26 Empedocle: 16 Enoch: 20 Enrico VII d’Inghilterra: 114 Enrico VIII d’Inghilterra: 238 Epifanio: 42 Epifanio il Saggio: 192 Eraclide Pontico: 17 Esichio Sinaita: 183, 184 Esturno, discepolo di san Bonifacio: 122 Eusebio di Cesarea: 39, 88, 206 Eusebio di Vercelli: 56, 64 Eustazio di Sebaste: 52, 166 Eutiche, archimandrita: 220, 221 Eutimio: 92, 93, 94 Eutimio di Târnovo, 148, 149, 151 Eutimio il Giovane: 139 Evagrio Pontico (Scolastico): 30, 42, 51, 58, 166, 182, 183, 266 Ferapont, monaco: 193, 194 Filarete Granič, monaco: 152

Filoteo: 183 Filoteo, patriarca: 191 Finian: 72 Florenskij, Pavel: 194 Florentina: 68 Focas, imperatore: 140 Foppa, Vincenzo: 67 Foucauld, Charles de: 244, 246, 253, 266 Fouquet, Jean: 234 Fozio: 94 Francesco d’Assisi: 137, 249 Fruttuoso: 69, 71 Fulgenzio: 67 Gabriele di Lesnovo, eremita: 147, 152 Gallo: 115, 120 Gantin, arcivescovo: 248 Geremia: 18, 26 Geremia, principe di Moldavia: 201 Germano, monaco: 198, 201 Germano, vescovo: 79 Gerosimo, monaco: 175 Gertner, J.V.: 252 Gertrude, pricipessa di Kiev: 180 Gheorghe, starez: 201 Giacobbe: 26 Giacomo Baradeo, vescovo: 222 Gioacchino d’Osogovo, eremita: 147, 152 Gionadab: 18 Giorgio: 183 Giovanni XIX, papa: 176 Giovanni Battista: 22, 23, 24, 25 Giovanni Caleca, patriarca: 188 Giovanni Cantacuzeno, imperatore: 189 Giovanni Cassiano: 24, 62, 81, 89, 116, 198 Giovanni Climaco: 106, 182, 183, 184, 185 Giovanni Crisostomo: 49, 58, 96, 176 Giovanni Damasceno: 94, 95, 97, 98 Giovanni di Gerusalemme: 52 Giovanni di Kronstadt: 214 Giovanni di Rila: 147, 148, 152 Giovanni di Samokov: 148 Giovanni Gualberto: 136, 137 Giovanni l’Esarca: 146 Giovanni Zimisce, imperatore: 140, 141 Giovannicio il Grande: 101 Girolamo: 26, 52, 56, 58, 59, 66, 68, 119 Giuda Taddeo, apostolo: 160 Giuliano l’Apostata, imperatore: 88, 89 Giurescu, C.C.: 202 Giurescu, D.C.: 202 Giustiniano, imperatore: 92, 107, 160, 174 Giustino, martire: 35 Godescalco: 125 Gregorio II, papa: 85 Gregorio del Sinai: 149 Gregorio di Nissa: 24, 30, 52, 53 Gregorio di Tsamblak: 151 Gregorio di Tours: 54 Gregorio Dobropisec: 149 Gregorio il Teologo: 176 Gregorio l’Illuminatore: 160 Gregorio Magno, papa: 76, 77, 78, 79, 84, 85, 86, 112, 113, 114, 115, 118, 120 Gregorio Nazianzeno: 48, 30, 52, 53, 88, 89, 96, 206 Gregorio Palamas: 182, 184, 185, 186, 187, 188, 189 Gregorio Sinaita: 184, 185, 188 Grenkov Amvrosij, monaco: 211, 213 Griffiths, Beda: 265 Grimaldo, abate: 127 Guglielmo di Aquitania: 128 Guido, priore: 229, 230 Gustavo Vasa, re di Svezia: 238 Hausherr, I.: 184 Holbein, Hans (il Giovane): 238 Hutin, Magdaleine: 246

Jaropolk, principe di Kiev: 180 Jaroslav il Saggio: 178, 179 Kaioum, monaco: 108 Kierkegaard, Soren: 252 Kiliano: 121 Kirewskij, I.: 211 Kocel: 102 Kosara, suora: 152 Kulighin, Ivan: 218 Kyr Dionysios di Tbrnovo: 149 La Saulx, Henry: 265 Lanfranco, priore: 224 Le Bouthillier de Rancé, Jan: 240, 241, 242 Le Corbusier: 229 Le Masson, monaco: 241 Leandro: 69 Lendogno, Zephirin: 249 Leone (Leonid Nagolkin), monaco: 211 Leone III Isaurico, imperatore: 96, 97 Leone VI il Saggio, imperatore: 138, 139 Leone XIII, papa: 242 Leont’ev, W.: 211 Leonzio di Damasco: 94 Licinio, imperatore: 30 Lioba: 122 Liuthar: 127 Logvin, N.: 179 Lorenzo Monaco: 78 Luca, evangelista: 23 Ludovico il Pio: 119, 125 Luithero: 115 Lutero, Martin: 238, 252 Mabillon, monaco: 241 Macario: 26, 42 Macario di Corinto: 185, 206 Main, John: 263 Maiolo, abate: 130 Mamaj, khan: 192 Mani: 17, 34 Mao Tse Tung: 215 Marciano, imperatore: 220 Marco, evangelista: 23, 75 Marco Aurelio, imperatore: 16 Maria Egiziaca: 38, 95 Marona: 111 Martino di Braga: 69 Martino di Tours: 56, 60, 61 Massimino Daia, imperatore: 36 Massimo di Lérins: 62 Matilde di Canossa: 227 Matteo, evangelista: 23 Mauro (discepolo di san Benedetto): 77, 78 Mc Donnel, Kilian: 263 Mechitar, abate: 223 Melania l’Anziana: 56, 68 Melita di Beirut: 94 Mena: 47 Merton, Thomas: 262, 263, 264, 265 Metodio: 100, 101, 102, 103, 146, 148 Metrofane, igumeno: 191 Milley, Dom: 232 Milutin, re della Serbia: 155 Mirian, re della Georgia: 166 Mitrofanovič, Gheorgjie, 106 Monchanin, Jules: 265 Monica: 64 Mosè: 20, 24, 26, 29, 182 Movilà Giorgio, metropolita: 201 Nana, regina della Georgia: 166 Napoleone Bonaparte: 213 Naum di Ohrid: 146, 152 Nestore (Nestor): 178, 180 Nestorio: 221

Neterov, Michail: 212 Newman, John Henry: 250, 251 Niceforo, patriarca: 96 Niceforo Aghiorita: 184, 185 Niceforo Foca, generale e imperatore: 140 Niceforo Gregora: 188 Nicodemo, arcivescovo: 99 Nicodemo, monaco: 200 Nicodemo Aghiorita: 185, 206, 207 Nicodemo di Tismana: 198 Nicola II, zar di Russia: 214 Nicola Cassugliano: 99 Nicola Grammatico: 94 Nikon (Nicon), monaco: 98, 107, 201 Nil Sorskij: 185, 193 Nilo di Agira: 54 Nilo (il Giovane) di Grottaferrata, 99, 136, 176, 177 Noè: 20 Obrazopisov, Nicolas: 148 Odilone, abate: 86, 130 Olaru Paisie, starez: 218 Onorato: 61, 62 Orfelin Zaharije, 200 Origene: 30, 31, 33, 52, 206 Ottone III, imperatore: 127, 176 Pacomio: 24, 44, 45, 47, 69, 86, 104, 143, 232 Pafnuzio: 58 Paisij Veličkovskij: 185, 200, 201, 206, 209, 210, 211 Paissi, monaco: 151 Palamone: 47 Palladio di Galazia: 7, 49 Paola (discepola di san Girolamo): 59, 68 Paolino di Nola: 56 Paolo, apostolo: 23, 26, 32, 33, 36, 52, 56, 186 Paolo, monaco: 99 Paolo VI, papa: 264 Paolo di Obnora: 193 Paolo di Tebe: 38, 39, 86 Pasquale II, papa: 232 Passarione: 92 Patrizio: 72, 73 Petronace: 85 Pier Damiani: 130, 131, 136 Pietro, apostolo: 51, 56 Pietro, diacono: 113 Pietro d’Alessandria: 36 Pietro il Grande: 210 Pietro il Venerabile: 130 Pietro l’Athonita: 138 Pietro l’Eremita: 139 Pietro Koriski, eremita: 147 Pietro, zar di Bulgaria: 146, 147 Pimen, patriarca: 215 Pipino il Breve: 124 Pirmino: 121 Pitagora: 16, 17 Placido (discepolo di san Benedetto): 77, 78 Platone: 16, 17 Poemone (Poimén): 7, 49 Pontiziano, 64 Pouchet, J.-P.: 225 Priscilliano: 68 Proeresio: 88 Prochor, vescovo: 195 Prochor di Gorodec: 213 Prohoros Psinki (Prohor di Pčinja), eremita: 147, 152 Pulcheria, imperatrice: 220 Rabbula: 50 Rastislav, 102 Recab: 18, 26 Richelieu (Armand du Plessis), cardinale: 240 Richmond, George: 251 Rickenbach, Maria: 255 Riepp, Benedicta: 255 Roberto da Molesme: 228, 232 Rodolfo di Fulda: 122 Roger, frate: 253 Romanov, Elisabetta: 214 Romualdo: 136, 137 Rosendo Salvado, P.: 260 Rublëv, Andreij: 192 Rufino di Aquileia: 27, 54, 56, 68, 89 Ruggero II, re di Sicilia: 175 Saba: 92, 93, 94, 95, 98, 99, 107 Sagheddu, Maria Gabriella: 262 Sahak, monaco: 160 Samuele: 18 Samuele, re della Serbia: 152

Sandu Tudor: 218 Sava: 152, 153, 154, 156, 217 Schutz, Roger: 262 Scolastica: 79 Seneca: 16 Serafino (Serafim) di Sarov: 211, 212, 213 Serapide: 16 Sergio di Nurom: 194 Sergio di Radonež (Bartolomeo Kirilovič): 190, 191, 192, 193 Servandus, abate: 79 Settimio Severo, imperatore: 30 Severiano, discepolo di san Saba: 93 Severo di Antiochia: 221 Simeone del monte Ammirabile: 48 Simeone di Tessalonica: 94 Simeone il Grande, zar di Bulgaria: 146 Simeone, monaco: 149 Simeone lo Stilita il Giovane: 169 Simeone Nuovo Teologo: 184, 185 Simeone Stilita: 48, 49, 50, 51 Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi, detto il): 80, 115 Sofronio: 94 Solov’ëv, S.M.: 211 Speusippo: 17 Stbniloae, Dumitru: 209, 218 Stavelot, Jean de: 77, 86 Stefano Harding: 232, 233 Stefano Innografo: 94 Stefano Nemanja (Simeone), monaco: 152 Sulpicio Severo: 56, 60 Tamerlano: 222 Taziano: 24, 34 Tecla: 32 Teobaldo, Abate: 118 Teoctisto: 92, 93 Teodoreto di Ciro: 48, 50 Teodoro Abu-Qurrah: 94 Teodoro Studita: 88, 97, 98, 99, 107, 140, 143, 174 Teodosio: 93 Teodosio delle Grotte (Feodosij Pečerskij): 178, 179, 180, 190, 192 Teodosio di Tbrnovo: 148 Teofane (Feofan), di Optina: 211 Teofane, monaco: 201 Teofane il Greco: 25 Teofane il Recluso: 207 Tertulliano: 235 Tichon di Zadonsk: 210 Timoteo, monaco: 201 Tiridate III, re di Armenia: 160 Tolstoj, Leone 213 Totila: 77, 78, 79 Tertulliano: 26, 34 Ugo, abate: 130 Urbano II, papa: 129, 228 Vachtang, re della Georgia: 167 Valente, imperatore: 88 Vardan Mamikonian, generale: 160 Vartapet Mersop, monaco: 160 Venerando, abate: 84 Vincenzo de’ Paoli: 240, 250 Vitali, abate: 177 Vitovit, principe della Lituania: 151 Vladimir, principe: 178 Vladimir di Rostov, metropolita: 215 Vladislav Gramatik, monaco: 151 Walahfrido Strabone: 115 Willibrord: 121, 123 Wimmer, Bonifacio: 254 Wycliff, John: 238 Yaksa Matanga: 15 Zaccaria, papa: 85 Zaozersk Andrea, principe: 194 Zatvornik Teofane: 209 Zosima: 38

LUOGHI Abiodh-sidi-Cheich, Algeria: 246 Affile, Italia: 77 Aghion Panteleimonos, Grecia: 214 Aghiu Pavlu, Grecia: 104 Ain Hundra, Israele: 18 Ajanta, India: 10, 12, 13

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INDICE DEI LUOGHI Akhmin, Egitto: 46 Albania: 166 Alcobaça, Brasile: 235 Alessandria d’Egitto: 30, 33, 36, 40, 56, 92, 220, 222 Algeria: 111 Altaripa, Francia: 84 Amay, Belgio: 262 Amburgo, Germania: 253 Ananuri, Georgia: 171 Antelias, Libano: 223 Antiochia, Turchia: 49, 98 Aosta, Italia: 224 Aquileia, Italia: 59 Aquisgrana, Germania: 86, 124, 125, 127 Argentina: 259 Arles, Francia: 61, 62 Arras, Francia: 233 Armenia: 52, 111, 160 Asia Minore: 40, 43, 52, 54, 94 Assisi, Italia: 103 Atene: 88, 89 Athos (monte), Grecia: 88, 91, 94, 101, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 151, 152, 153, 166, 167, 175, 179, 182, 183, 185, 186, 188, 189, 194, 200, 206, 207, 209, 211, 214, 215, 218 Augusta, Germania: 238, 258 Australia: 156, 215, 218, 221, 222, 223, 250, 251, 260 Austria: 244 Auxerre, Francia: 72, 73 Azul, Argentina: 259 Bačka, Serbia: 217 Bačkovo, Bulgaria: 151, 216, 217 Bahamas (isole): 255, 256 Bahia, Brasile: 254, 258 Baghdad, Iraq: 108, 222 Banato, Romania: 201 Banato, Serbia: 217 Bangalore, India: 264, 265 Bangkok, Thailandia: 264, 265 Bangladesh: 260 Bangor, Irlanda: 72, 74, 121 Batos, Sinai: 182 Batueca, Spagna: 244 Baviera, Germania: 121 Bawit, Egitto: 47 Belgrado, Serbia: 153, 217 Beloozero (Lago Bianco), Russia: 192, 193 Benin: 248 Berestovo, Russia: 179 Bessarabia: 215 Betlemme, Palestina: 56, 58, 59, 68 Beuron, Francia: 258, 259 Big Sur, Stati Uniti: 256 Bielorussia: 215 Bir, india: 264 Bitinia, Turchia: 94, 100, 101, 102, 140 Bobbio: 74, 120, 121 Boemia, Repubblica Ceca: 121 Borgogna, Francia: 232, 262 Boscherville, Francia: 119 Bose, Italia: 247 Bosnia: 156 Boulder, Stati Uniti: 264 Bovalar, Spagna: 70 Braga, Spagna: 69 Braničevo, Serbia: 217 Brasile: 244, 254, 258, 259 Britannia (Inghilterra): 72, 224 Bucarest, Romania: 218 Buchenwald: 253 Buenos Aires, Argentina: 259 Buildwas, Inghilterra: 239 Bulgaria: 101, 146, 147, 149, 156, 167, 185, 216 Burgos, Spagna: 258 Burkina Faso: 248 Burnham, Inghilterra: 251 Cairo, Egitto: 30, 223 Calabria, Italia: 99, 109, 174, 175, 176, 188, 228 Calamon, Palestina: 92 Calcedonia, Bitinia (Turchia), 107, 117, 220, 221 Calcide (deserto di), Siria: 59 Calcidica (penisola), Grecia: 138 Calendžiha, Georgia: 9 California, Stati Uniti: 244 Camaldoli, Italia: 136 Canada: 156, 215, 218, 221, 222, 223, 250, 256 Cannes, Francia: 61 Canterbury, Inghilterra: 120, 224, 225, 226, 227 Cappadocia, Turchia: 52, 54, 88, 90, 160 Cartagine, Tunisia: 64, 65, 252

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INDICE DEI LUOGHI Cassino, Italia: 77, 79, 85 Caucaso: 110, 169, 219 Cecoslovacchia: 215 Cedron (fiume), Israele: 92, 93 Celio (monte), Italia: 113 Cernica, Romania: 218 Cesarea, Palestina: 33 Cesarea di Cappadocia: 54, 88, 89 Charkov, Russia: 214 Chartres, Francia: 242 Chartreuse, Francia: 228 Chelmsforf, Inghilterra: 251 Chevetogne, Belgio: 262 Chiaravalle, Italia: 235 Chilandari, Grecia: 89, 107, 147, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 200 Cile: 259 Cina: 12, 215, 221, 256, 260, 261 Cipro: 188 Cîteaux, Francia: 232, 233 Città del Messico, Messico: 254 Clairvaux, Francia: 232, 234 Clonmacnoise, Irlanda: 74 Cluny, Francia: 128, 129, 130, 131, 175, 253, 262 Colcide, Asia minore: 166 Collegeville, Stati Uniti: 255, 260, 263 Colombia: 259 Colonia, Germania: 228 Congo: 247, 249 Corbie, Francia: 86, 122 Cordova, Spagna: 111 Corea: 260 Corvey, Germania: 122, 127 Costantinopoli (Istanbul), Turchia: 56, 58, 59, 88, 89, 90, 91, 92, 96, 97, 98, 99, 101, 112, 113, 136, 140, 145, 146, 149, 153, 177, 186, 188, 189, 218, 220 Cotonou, Benin: 248 Cottonwood, Stati Uniti: 255 Creta, Grecia: 59, 188 Criptoferrata, Italia: 99 Croazia: 156 Cuernavaca, Messico: 258 Cuixá, Spagna: 109, 136 Cuxias, Brasile: 244 Dacia, Romania: 56, 198 Dalmazia: 156 Damasco, Siria: 108, 222 Danimarca: 121, 238 Danubio (fiume): 198, 200 David-Garedza, Georgia: 168 Dečani, Serbia: 151 Delos, Grecia: 16 Dionissiu: 145, 207 Dniestr (fiume), Russia: 179 Dobrugia, Romania: 201 Dochiariu, Grecia: 144 Dragomirna, Romania: 209, 211 Dumio, Spagna: 69 Echternach, Lussemburgo: 115, 122, 123 Edessa, Turchia: 26, 48, 222 Efeso, Turchia: 220, 221 Egitto: 15, 21, 24, 29, 30, 31, 35, 37, 39, 40, 41, 43, 46, 56, 61, 96, 166, 220, 221, 222 Eichstatt, Germania: 255, 256 Einsiedeln, Svizzera: 255 el-Adhra, Turchia: 35 El Encuentro, Messico: 257 Ellora, India: 10, 14 Elvira, Spagna: 68 Ema, Italia: 228, 229 Engelberg, Svizzera: 255 Esna, Egitto: 104 Esphigménou, Grecia: 186 Estonia: 215, 233 Etchmiadzin, Armenia: 223 Etropolé, Bulgaria: 151 Fayum, Egitto: 16, 44 Fenicia: 48 Filippine: 260, 261 Finlandia: 215 Fleury, Francia: 86 Focide, Grecia: 98 Fontains, Inghilterra: 239 Fonte Avellana, Italia: 136 Francia: 72, 73, 119, 121, 215, 224, 225, 239, 241, 242, 244, 248, 254, 259 Franconia, Germania: 121 Fujimi, Giappone: 260 Fulda, Germania: 86, 122, 127

Galles: 73 Galizia, Spagna: 68 Gallia (Francia): 60, 61, 62, 121, 224 Gelati, Georgia: 169, 170 Germania: 121, 156, 235, 238, 244, 259 Georgia: 9, 111, 166, 167, 169, 170 Gerusalemme, Israele: 18, 24, 26, 44, 62, 89, 98, 108, 149, 156, 166, 191, 220, 223 Giappone: 12, 260, 261 Giordania: 223 Giordano (fiume): 22, 23, 26, 31, 92, 93 Giuda (deserto di), Israele: 92, 93 Giudea: 18 Glencairn, Irlanda: 256 Grecia: 167, 214, 215, 223 Grenoble, Francia: 228 Grigoriu, Grecia: 185 Grottaferrata, Italia: 99, 136, 176, 177 Guanajuato, Messico: 258 Har Karkom (monte), Israele: 27 Hopovo, Serbia: 217 Huesca, Spagna: 70, 71 Humor, Romania: 201 Illinois, Stati Uniti: 254 Inden, Germania: 125 India: 10, 12, 13, 14, 15, 48, 221, 260 Indiana, Stati Uniti: 255 Indonesia: 12 Inghilterra (Gran Bretagna): 72, 114, 120, 225, 226, 238, 244, 250 Iona (isola di), Scozia: 72, 73 Ippona, Tunisia: 64, 66 Iran: 221, 223 Iraq: 221 Irlanda: 72, 73, 74, 233, 239 Israele: 18, 20, 28, 29, 223, 260 Istanbul, Turchia: 223 Italia: 56, 120, 121, 126, 136, 137, 175, 176, 187, 222, 244, 259 Iviron, Grecia: 167, 208 Jaroslavl, Russia: 195 Jouarre, Francia: 85 Kalenić, Serbia: 217 Kandy, Benin: 265 Karlovac, Serbia: 217 Karyes, Grecia: 138, 139, 140, 152, 154 Kastoria, Grecia: 94 Kent, Inghilterra: 120 Kentucky, Stati Uniti: 254, 256, 263 Kharga (oasi di), Egitto: 32 Kiev, Ucraina: 53, 88, 91, 178, 179, 180, 181, 190, 214 Killcany, Irlanda: 72 Kirants, Armenia: 165 Kokoubou, Burkina Faso: 249 Komel’ (foreste di), Russia: 193 Krajna: 200 Kuben (lago), Russia: 192, 194 Kulikovo, Russia: 192 Kursk, Russia: 214 Kuveždin, Serbia: 217 La Ferté, Francia: 234 La Trappe, Francia: 240, 241, 242 Lande, Francia: 244 Latrobe, Stati Uniti: 254 Lazio, Italia: 176 Le Bec, Francia: 225 Lerida, Spagna: 70, 71 Lérins (isola di), Francia: 60, 61, 62, 72, 91 Libano: 48, 95, 111 Libreville, Gabon: 249 Liegi, Belgio: 86, 113 Ligugé, Francia: 60 Lima, Perù: 258 Lindisfarne, Irlanda: 120 Lione, Francia: 37 Lituania: 151, 215 Little Gidding, Inghilterra: 250 Littlemore, Inghilterra: 250 Londra: 120 Lucca, Italia; 61 Luxeuil, Francia: 74, 84, 85, 120 Luxor, Egitto: 104 Macedonia: 200 Maeris (lago), Egitto: 21 Magonza, Germania: 121

Makarawank, Armenia: 110, 164 Malaybalay City, Filippine: 261 Malines, Belgio: 262 Manila, Filippine: 261 Mar Baltico: 202 Mar Bianco: 195 Mar Caspio: 169 Mar Mediterraneo: 110, 219 Mar Morto: 20, 31, 92 Mar Nero: 169, 202 Mar Saba, Israele: 21, 166 Mar Yakub, Turchia: 221 Maredsous, Belgio: 258 Martinica: 258 Martvili, Georgia: 169 Marmashen, Armenia: 160 Marmoutier, Francia: 60, 61 Marsiglia, Francia: 56, 57, 58, 125 Maryland, Stati Uniti: 254 Matutum, Filippine: 260 Melchtall, Svizzera: 255 Melleray, Francia: 256 Menevia, Irlanda: 72 Mepkin, Stati Uniti: 256 Mercatello, Italia: 248 Mesopotamia: 33, 43, 48, 50, 110, 167 Messico: 255, 256, 257, 258, 259 Messina, Italia: 175 Meteore, Grecia: 216 Metten, Germania: 254 Milano, Italia: 35, 36, 60, 61, 222 Mileševa, Serbia: 152, 153 Mindanao (isola): 261 Missouri, Stati Uniti: 255 Moldavia, Romania: 151, 198, 199, 200, 201, 202, 209, 211, 215, 217 Moldoviwa, Romania: 199, 202 Molesme, Francia: 228, 232 Montecassino, Italia: 78, 79, 84, 85, 86, 115, 116, 122, 124 Monte Corona, Italia: 244 Monte Oliveto Maggiore, Italia: 81, 84, 115 Montserrat, Spagna: 254, 261 Moravia: 101, 102 Morimond, Francia: 234 Morton Grove, Stati Uniti: 222 Mosca, Russia: 191, 193, 214 Mshkavank’, Armenia: 164 Mustafapaşa, Cappadocia: 96 Mutalasca, Cappadocia: 92 Nabak, Siria: 32, 43, 51, 220 Napoli, Italia: 65 Nashdom, Inghilterra: 251 Nazaret, Palestina: 246 Nazianzo, Cappadocia: 54 Neamţ, Romania: 151, 198, 211 Nekresi, Georgia: 169 Neocesarea del Ponto: 88, 89 Nebo (monte), Giordania: 29 Negev (deserto del), Israele: 18, 27 Nekresi, Georgia: 111 New York, Stati Uniti: 254, 256 Nicea, Bitinia (Turchia): 52, 97, 153, 178 Nilo (fiume), Egitto: 40 Niş, Serbia: 217 Nissa, Cappadocia: 54 Nitria, Egitto: 40, 166 Nižnij Novgorod, Russia: 214 Norcia: 76, 77 Normandia: 225 Norvegia: 238 Novgorod, Russia: 95, 180, 181, 191 Nuova Scozia, Canada: 254, 256 Nuova Zelanda: 251, 260 Nuovo Messico, Stati Uniti: 256 Ohrid (lago di), Macedonia: 101, 102, 146 Ohrid-Bitolj, Serbia/Macedonia: 217 Olanda: 238 Opiza, Grecia: 167 Optina, Russia: 209, 211 Orano, Algeria: 246 Orel, Russia: 214 Oxford, Inghilterra: 80, 250 Paesi Bassi: 121, 254 Palermo, Italia: 176 Palestina: 20, 24, 36, 40, 43, 47, 58, 59, 68, 92, 93, 95, 107, 108, 160, 166, 218 Pampas, Argentina: 259 Pannonia (Austria orientale/Ungheria): 60, 61, 101, 102 Paraguay: 259

Parakou, Benin: 248 Paran (deserto), Israele, 27 Paroria, Bulgaria: 149 Pavia: 231 Peć, Serbia: 156 Pennsylvania, Stati Uniti: 255 Penza, Russia: 214 Peristerai, Grecia: 99 Persia: 26, 48 Pirenei: 136 Poitiers, Francia: 60, 61 Polinesia: 260 Polonia: 215 Ponto, Asia minore: 166 Plakovo, Bulgaria: 151 Pliska, Bulgaria: 146 Pointigny, Francia: 234 Polonia: 121 Pompei, Italia: 17 Portogallo: 233, 244, 258 Praglia, Italia: 265 Prébayon, Francia: 230 Preslav, Bulgaria: 146 Provenza, Francia: 72 Pskov, Russia: 89 Qalat Siman, Siria: 49 Quilvo, Cile: 258 Qumran, Palestina: 20, 21 Qusur al-Izayla, Egitto: 40, 41 Radonež, Russia: 190 Ravenna, Italia: 136 Reichenau, Germania: 116, 127 Reims, Francia: 228 Rhode Island, Stati Uniti: 256 Ringelheim, Germania: 82 Rila, Bulgaria: 146, 147, 151, 217 Rjazan, Russia: 191 Rodano (fiume): 224 Roma, Italia: 24, 29, 56, 58, 59, 76, 79, 84, 94, 102, 103, 112, 113, 131, 133, 176, 228, 246 Romania: 58, 156, 198, 200, 201, 215, 217 Rossano, Italia: 175, 176 Rostov, Russia: 190 Rožen, Bulgaria: 217 Russia: 94, 151, 156, 192, 193, 200, 207, 208, 210, 214, 218, 246 Šabac, Serbia: 217 Salerno, Italia: 176 Samara, Russia: 214 Samoa (isola): 260 Samokov, Bulgaria: 216 Sanchi, India: 10 San Gallo, Svizzera: 58, 80, 85, 86, 116, 121, 122, 127 San Lazzaro degli Armeni (isola di), Italia: 165, 223 San Pietroburgo, russia: 206 Sanahin, Armenia: 164 Santiago, Cile: 259 Saragozza, Spagna: 68 Sarnen, Svizzera: 255 Sarov, Russia: 211, 213 Scete, Egitto: 58 Scytia Minor, Romania: 198 Scozia: 233, 239, 253 Sebaste (lago di), Turchia: 30 Sekul’, Romania: 211 Serbia: 151, 153, 156, 167, 215, 217 Sergiev Posad, Russia: 191 Serperi, Italia: 176 Settignano, Italia: 247 Siberia, Russia: 218 Šibiu, Romania: 218 Sicilia: 109, 113, 174, 175, 176, 233 Silos, Spagna: 258 Simonos Petra, Grecia: 144 Sinai, Egitto: 18, 24, 27, 94, 101, 106, 153, 182, 184, 188 Siria: 28, 40, 43, 48, 50, 59, 108, 109, 166, 220, 221, 223 Skelling Michael (isola di), Irlanda: 73 Skopje, Serbia/Macedonia: 217 Slovenia: 156, 244 Sofia, Bulgaria: 147 Sografu, Grecia: 147, 151 Solovki (isole), Russia: 194, 195, 208 Snowmass, Stati Uniti: 256 Spagna: 62, 69, 70, 109, 111, 242, 244 Spencer, Stati Uniti: 256 Sri Lanka: 260, 264 St. Mary, Stati Uniti: 255 Stati Uniti: 215, 218, 221, 222, 223, 242, 244, 254, 255, 256, 259, 265

Stilo, Italia: 174 Stridone, Pannonia (Ungheria), 59 Studenica, Serbia: 106, 156 Subiaco, Italia: 77, 78, 79, 91, 116, 251, 259 Suceviţa, Romania: 106, 201 Sud Dakota, Stati Uniti: 255 Suzdal’ Russia/Ucraina: 181 Svezia: 121, 233, 238, 253 Svizzera: 121, 244, 253 Tabennesi, Egitto: 44 Tabor (monte), Benin: 248 Taghaste, Tunisia: 64 Taiwan: 260 Taizé, Francia: 262, 263 Tamanrasset (oasi), Algeria: 246 Tambov, Russia: 214 T’anaativank, Armenia: 160 Tărnovo, Bulgaria: 146, 147, 148, 149, 153 Tarragona, Spagna: 70 Tassilli, Algeria: 244 Tbilisi, Georgia: 169 Tebe (Luxor), Egitto: 153 Tepeyac, Messico: 258 Terracina, Italia: 116 Tessalonica (Salonicco), Grecia: 100, 146, 189 Tibet: 12 Timoc, Serbia: 217 Tismana, Romania: 200 Toffo, Benin: 248 Toledo, Spagna: 70, 71 Tolga (fiume), Russia: 195 Tonga (isola): 260 Torino, Italia: 222 Toscana: 136 Tournus, Francia: 130 Tours, Francia: 60, 61 Transcarpazia: 215 Transilvania, Romania: 201 Trebisonda, Turchia: 38, 169 Trento, Italia: 240 Treviri, Germania: 56, 59 Trinidad: 258 Tripoli, Libano: 52 Troyan (Troia), Bulgaria: 151, 217 Tunisia: 32 Tur’Abdin, Turchia: 35 Turchia: 221, 223 Tutzing, Germania: 261 Ucraina: 209, 215 Umm al Rasas, Giordania: 108 Ungheria: 156, 244 Unione Sovietica: 215 Vagarsapat, Armenia: 221 Valacchia, Romania: 151, 198/200, 201, 217 Valle d’Aosta: 224 Valleluce, Italia: 176 Vallombrosa, Italia: 136 Vanves, Francia: 248 Vatopedi, Grecia: 142, 186 Venezia, Italia: 94, 136, 165, 206 Venezuela: 259 Veracruz, Messico: 258 Vermont, Stati Uniti: 256 Vézelay, Francia: 131 Vidin, Bulgaria: 149 Viet Nam: 260 Vitorchiano, Italia: 258 Vladimir, Russia/Ucraina: 181 Vodiwa, Romania: 200 Volchov (fiume), Russia: 181 Volga (fiume), Russia: 193, 195 Vologda Russia/Ucraina: 181 Voronež, Russia: 210 Voroneţ, Romania: 199, 202 Vyborg, Russia: 214 Wadi’n Natrun, Egitto: 42, 222, 223 Weston, Stati Uniti: 256 Withorn, Scozia: 73 Wrentham, Stati Uniti: 256 Würzburg, Germania: 121, 127 Yankton, Stati Uniti: 255 Yaoundé, Camerun: 248 Zadonsk, Russia: 210 Žiča, Serbia: 153, 217 Zletovo-Strumica, Serbia: 217

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CREDITI FOTOGRAFICI

Aaron Raverty, osb: 456 Abbazia di El Encuentro, Messico: 442, 443 Abbazia di La Trappe: 413, 414, 415 Abbazia Virgen del Curutarán: 441 Angelo Stabin : 5, 10, 11, 14, 40, 49, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 106, 153, 189, 191, 367 Archivio dell’Arte Luciano Pedicini, Napoli: 223, 224 Archivio Jaca Book/Adriano Alpago Novello: 1, 73, 184, 186, 268, 269, 270, 275, 276, 277, 282-285, 288, 289, 290, 292, 293, 375 Archivio Jaca Book/Carlo Perogalli: 166, 322 Archivio Jaca Book/E.V. Gippenreiter: 150, 308, 310, 325, 326, 328, 329, 331, 332, 334, 336 Archivio Jaca Book/Iskusstvo: 30, 31, 79, 145, 160, 303, 304, 309, 311, 314, 327, 330, 333, 351, 356, 359 Archivio Jaca Book/La Prova : 81, 83, 84, 86 Archivio Jaca Book/Mauro Magliani: 47, 48, 108 Archivio Jaca Book/Radu Mendrea : 20, 22, 23, 26, 27, 179, 337, 338, 339, 342, 343, 346, 347, 355, 369 Archivio Lunwerg/Isabel Valls: 111, 112, 113, 117 Archivio Lunwerg/Pedro de Palol: 114 Archivio Lunwerg/Ramon Manent: 183

Archivio Scala, Firenze: 410 Archivio Vasari, Roma: 187 Axinia Dzurova/Fabio Gentili: 247, 249, 255, 365, 366 BAMS photo Rodella: 152, 171, 301, 302, 382, 408 Belzeaux-Zodiaque: 124 Biblioteca Apostolica Vaticana: 24 Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: 74 Bibliothèque Nationale, Parigi: 126, 209, 210 Bozidar Babic´: 265 Bruno Fert: 416, 417 Davide Tellazzi, disegni : 60, 61, 67 Dúchas, The Heritage Service: 121 Edizione Paoline, Milano/Patriarcato di Mosca (Antonio Tarzia): 362 Ekdotike Athenon: 157, 167, 239, 296, 318, 321, 364 Emmanuel Anati : 19, 33, 420 Ermanno Leso, disegni: 3, 14, 17, 32 Fernando Lanzi: 95, 170, 220, 396 Giraudon/Alinari/Musée Condé: 403 Isber Melhem: 40, 41, 44, 52, 53, 55, 64, 71, 72, 77, 78, 80, 159, 267, 374 J. Stoikovic´: 266

Composizione dei testi Oldoni Prestampa, Milano Selezioni delle immagini Franco Strada, La Fotolito, Milano Stampa e legatura Tiskarna Vek Koper, Koper d.o.o. Finito di stampare nel mese di Settembre 2016 272

Jean-Louis Nou: 9 Massimo Capuani: 43, 46, 50, 54, 58, 59, 62, 65, 68, 151, 154, 155, 173-177, 228, 230, 231-238, 240, 241, 244, 252, 260, 262, 280, 283, 316, 317, 320, 340, 350, 353, 360, 361, 363, 370, 376-379 Mission Suisse d’Archéologie Copte, Genève: 56, 161 Monastero Trappiste Vitorchiano: 445, 447, 448, 452 Photothèque André Held, Ecublens: 2, 29 Piccole Sorelle di Gesù, Fraternità Generale, Tre Fontane, Roma: 419, 421, 422 Rapuzzi, Brescia: 107 RMN (photo Hervé Lewandowski): 70 Roger-Viollet: 105 Romano Zardi: 148 SANU (Accademia Serba delle Scienze e delle Arti): 256, 257 St. John’s Abbey, Collegeville, Mn: 438 (foto Greg Becker), 449, 450, 455 Stiftsbibliothek, St. Gallen, foto Kal Künzler : 92, 142, 196, 197, 198, 212 Terryl N. Kinder : 404-407, 439, 440 Vlado Kiprijanovski, Skopje: 169, 245 Zodiaque: 201, 219, 222, 294, 297, 298, 381, 411, 412


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