Beato Angelico di Liana Castelfranchi - Jaca Book - estratto

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SOMMARIO

Introduzione

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L'ANGELICO AL TEMPO DEL «TABERNACOLO DEI LINAIOLI»

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IL DECENNIO 1435-1445

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L'ANGELICO A ROMA

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APPARATI

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NOTE

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CRONOLOGIA

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INDICE DELLE TAVOLE

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Introduzione

Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, Giudizio universale, particolare della parte sinistra del pannello con la rappresentazione del Paradiso.

Aggiungere un ulteriore studio, e di qualche utilità, a un catalogo eccezionalmente vasto come è quello sull’Angelico, è apparsa più volte impresa troppo ambiziosa all’autrice di questo testo. E tuttavia l’accrescimento continuo delle ricerche sull’opera di questo artista finisce per ridisegnarne meglio anche la complessa fisionomia. Certamente, dai primi interventi longhiani del 1928 il ruolo di protagonista, e di grande protagonista, dell’Angelico nei maggiori fatti pittorici del primo Quattrocento fiorentino, non è più in discussione. Eppure questo ruolo resta ancora per certi aspetti da precisare. Non si può negare, ad esempio, che la partecipazione attiva di questo artista alla cultura del suo tempo sia resa in certo modo problematica dal fatto che la sua attività appare così totalmente rivolta a trasmettere messaggi religiosi, al limite del «sermone devoto». Nel predominio di questi contenuti, nell’inflessibile esercizio di espressione di realtà interiori e al tempo stesso nella prontezza a cogliere le novità culturali e artistiche del suo tempo, sembra celarsi un’irrisolta ambiguità della pittura dell’Angelico, che non manca di provocare nello storico dell’arte una riserva mentale e quasi una difficoltà a esaminare le sue opere attraverso una sorta di duplice lettura. L’incessante aggiornamento stilistico operato dall’Angelico, lo porterà nel quarto decennio del ’400 a un deciso accosta-

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A fronte: Guido di Pietro detto il Beato Angelico, Incoronazione della Vergine, particolare.

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sotto il baldacchino di forme gotiche, tappezzato di damasco dorato, che conserva un forte sapore di corte paradisiaca; nei due spicchi creati dalla sagoma a cuspide, il cielo azzurro brilla compatto come nel Giudizio Universale e la luce che proviene da sinistra plasma fortemente i volti delle figure di destra, lasciando in ombra quelli di sinistra che voltano le spalle alla luce. I colori ne traggono una sonorità brillante, sbiancando nelle pieghe delle vesti fino a un diapason di luminosità e ogni forma trae da questa luce una purezza assoluta, in una mistica equazione tra luce, colore e purezza formale. Un apice in questo senso è la figura femminile inginocchiata di spalle in primo piano, di splendida tornitura formale, la testa bionda eretta sul candido collo flessuoso, cinta da una corona di rose impeccabilmente scorciata. A questa gemmea sequenza di forme e di colori si aggiunge un’analitica profusione ornamentale senza precedenti: mantelli ricamati, piviali, pastorali, mitrie, guanti, rilegature preziose, corone, stoffe rese nella loro diversa qualità; in primo piano il santo vescovo inginocchiato ha un piviale ricamato con le Storie della Passione che rinnova l’exploit di Gentile da Fabriano nel manto di san Nicola nel Polittico Quaratesi. Ma qui si misura fino a che punto il lusso cortese, sommessamente realistico di Gentile, si sia tramutato nel lusso paradisiaco dell’Angelico e abbia acquisito un’evidenza di analisi che rappresenta il più importante e preciso corrispettivo mentale della lucidezza micrografica dei fiamminghi. Quest’opera difficile e audace si colloca, nonostante e forse proprio a motivo della complessità dei problemi affrontati, non lontano dal Giudizio Universale, di cui ripete su grande scala la cristallina limpidezza dei colori, l’intensa ricerca spaziale e anche molte tipologie dei volti. Occorre quindi ritenere esatta, come già si è detto, l’indicazione della Cronaca quadripartita del convento fiesolano che fra le tavole dipinte «molti anni prima» della consacrazione del convento, avvenuta nell’ottobre del 1435, nomina anche un’Incoronazione che è da riconoscere in quella del Louvre.

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gamme cromatiche: ai tipici toni dominanti dei rosa, dei rossi e degli azzurri subentra il verde spento e l’amaranto e il profondo turchino. Una sensibilità più sottile governa la luce: nei volti delle due donne inginocchiate, la giovane e l’anziana, la luce trascorre con una gradualità così precisa da spartirli in due zone di luce e ombra17. Se si tiene per buona la data del 1436, questo Compianto rappresenta l’immediato preludio alla Pala di Perugia, che da un noto documento risulta commissionato nel 1437 per la Cappella Guidalotti di San Domenico a Perugia18. Certamente si può calcolare che la sua esecuzione si sia protratta almeno fino all’anno seguente e forse anche due; ma non oltre poiché l’Angelico doveva essere già al lavoro in San Marco nel 1439. Non c’è dubbio che la Pala di Perugia con la Madonna, il Bimbo, gli angeli e quattro santi abbia segnato un profondo arricchimento di pensieri antichi, rimeditati un’ultima volta in forma di trittico. In particolare, porta avanti e conclude i problemi impostati e ancora non pienamente risolti nel Trittico di Cortona e anzitutto l’unificazione spaziale: il gradino del trono della Vergine si estende alle ali laterali e i mantelli di santa Caterina e di san Nicola sconfinano nel pannello vicino; gli angeli intorno al trono della Vergine si dispongono in un chiaro emiciclo e i panieri di rose scorciano impeccabilmente. Soprattutto le figure dei santi che colmano lo spazio del pannello sono ormai ben diverse dal carattere statuario e ghibertiano delle opere precedenti, avendo acquisito una naturalezza nuova che diremmo classica e non classicheggiante: i gesti, la direzione degli sguardi, l’affiorare dei sentimenti, l’intensa caratterizzazione dei volti di Nicola e Domenico, segnano rispetto ai personaggi di Cortona uno stacco sottile ma deciso. Questa diffusa scioltezza e questa armonia formale sono accompagnate e sostenute da un colore profondo e luminoso, giocato morbidamente sulla direzione della luce. Da tempo è stato notato il «trattamento quasi fiammingheggiante» di questi colori19; il probabile impiego di vernici oleose in aggiunta

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Guido di Pietro detto il Beato Angelico, Compianto sul Cristo morto, particolare.

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A fronte: Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, Sermone della montagna, 1438-1444 ca., 204 x 207 cm, affresco, cella 32 del corridoio Nord, Museo nazionale di San Marco, Firenze.

Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, Comunione con gli Apostoli, 1438-1444, 200 x 248 cm, affresco, cella 35 del corridoio Nord, Museo nazionale di San Marco, Firenze.

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TAV. 62 Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, Consacrazione di santo Stefano come diacono, 1448 ca., affresco, parete sinistra della Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico, Città del Vaticano.

Alle pagine seguenti:

TAV. 63 Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, San Lorenzo riceve i doni della Chiesa, 1448 ca., affresco, 271 x 205 cm, parete centrale della Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico, Città del Vaticano.

TAV. 64 Guido di Pietro detto il Beato Angelico e aiuti, San Lorenzo distribuisce le elemosine, 1448 ca., affresco, 271 x 205 cm, parete centrale della Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico, Città del Vaticano.

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L’affresco San Lorenzo riceve i doni della Chiesa adombra un episodio più complesso riportato dalla Legenda Aurea: il tesoro era in realtà quello che apparteneva all’imperatore Filippo, ucciso da Decio e consegnato poi dal figlio di Filippo a papa Sisto ii, perché lo destinasse ai poveri. Il Pontefice, braccato dai soldati di Decio, che si vedono battere sulla porta del palazzo apostolico con le alabarde, consegna il tesoro a Lorenzo perché lo distribuisca ai poveri. Ancora una volta i due gruppi di figure risultano inquadrati dall’architettura e a essa commisurati. Questo rapporto architettura-figura si fa ancora più esplicito, diventa anzi motivo dominante nella scena a lato, la più celebre dell’intero ciclo: San Lorenzo distribuisce le elemosine. Per la terza volta la scena è ambientata in una basilica o, più precisamente, all’ingresso di una basilica, dove si apre un classico portale marmoreo architravato e fiancheggiato da paraste ornate di motivi vegetali stilizzati; alle spalle del santo si scorge la fuga dei colonnati, interrotta dal transetto chiuso da un’alta abside. Lo stretto rapporto tra la figura del santo e la basilica si carica di un significato simbolico: collocata perfettamente al centro del portale, tanto che il volto con l’aureola ne segna il fuoco prospettico, la figura di Lorenzo sembra identificare il proprio ruolo con quello della Chiesa stessa. Sullo stesso palcoscenico, a destra e a sinistra del santo si volgono a lui due gruppi di quattro poveri ciascuno, che compongono una sorta di “sacra conversazione”. Colpisce a prima vista in questi poveri un’insistenza – insolita nell’Angelico – nella descrizione di particolari esterni, una rassegna minuziosa di abiti, copricapi e una descrizione impietosa di piaghe e deformità; e per questo insistente realismo questi poveri sono stati accostati a quelli di Masaccio nella Cappella Brancacci26. In realtà questi personaggi, nonostante stracci e deformità appaiono improntati a una straordinaria compostezza che li rende “tipi” e modelli di un’umanità povera piuttosto che figure reali. Si direbbe anzi che le stesse peculiarità fisiche o di

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