THE BIBLE. WRITING AND IMAGES

Page 1

MONUMENTA VATICANA SELECTA


MONUMENTA VATICANA SELECTA Forse nessun luogo al mondo, in un ambito territoriale così limitato, evidenzia un Patrimonio Artistico tanto differenziato ed alto nei suoi raggiungimenti espressivi. Il sito, dai suoi livelli archeologici precristiani e cristiani del primo S. Pietro al S. Pietro attuale con la piazza, i palazzi e i giardini, è stato luogo di impressionanti risultati in architettura, affresco, scultura e arti decorative; ma il Vaticano è parimenti il contenitore di raccolte archeologiche, artistiche e librarie che coprono migliaia di anni di storia dell’umanità, dagli Egizi all’arte dei nostri giorni. Volumi che affrontino il Patrimonio Artistico del Vaticano dovranno di volta in volta darsi dei limiti precisi e congrui. Non la scelta antologica di capolavori, ma l’affondo su importanti episodi artistico-culturali anche con diverse chiavi di lettura, con l’intento di costituire un ponte tra il contesto e i suoi raggiungimenti artistici. Monumenta Vaticana Selecta perciò come lettura del manufatto, della fabbrica e dell’opera d’arte, contestualizzati o, se vogliamo, in reciproco scambio con la cultura, la teologia, la fede, le riforme, ma anche con la politica e le ragioni di stato o, infine, come interesse per altre culture del presente o del passato. Monumenta Vaticana Selecta è un’iniziativa editoriale che si sviluppa in accordo tra Editoriale Jaca Book e Istituzioni Vaticane.

BIBBIA

IMMAGINI E SCRITTURA NELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

Volumi pubblicati H.W. Pfeiffer, S.J. LA SISTINA SVELATA

Iconografia di un capolavoro 2007, 20136 N. Dacos LE LOGGE DI RAFFAELLO L’antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna 2008 A. Campitelli GLI HORTI DEI PAPI I Giardini Vaticani dal Medioevo al Novecento 2009 P. Liverani, G. Spinola, con un contributo di P. Zander LE NECROPOLI VATICANE La città dei morti di Roma 2010 C. Thoenes, V. Lanzani, G. Mattiacci, A. Di Sante, S. Turriziani, P. Zander, A. Grimaldi Introduzione di Sua Eminenza Card. A. Comastri SAN PIETRO IN VATICANO I mosaici e lo spazio sacro 2011 A.M. Piazzoni, A. Manfredi, D. Frascarelli, A. Zuccari, P. Vian LA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 2012 H. Brandenburg LE PRIME CHIESE DI ROMA iv-vii secolo 2013 M. Boiteux, A. Campitelli, N. Marconi, L. Simonato, G. Wiedmann VATICANO BAROCCO Arte, architettura e cerimoniale 2014 H. Brandenburg, A. Ballardini, C. Thoenes SAN PIETRO Storia di un monumento 2015 A.M. Piazzoni, F. Manzari BIBBIA Immagini e scrittura nella Biblioteca Apostolica Vaticana 2017 Ch.L. Frommel RAFFAELLO Nelle stanze in Vaticano 2017

A CURA DI

AMBROGIO M. PIAZZONI CON LA COLLABORAZIONE DI FRANCESCA MANZARI


Indice

International copyright © 2017 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano Per tutte le immagini riprodotte nel presente volume © 2017 Biblioteca Apostolica Vaticana

Prima edizione italiana settembre 2017

Ambrogio M. Piazzoni Pag. 7

Presentazione

Parte seconda LA BIBBIA NEI CENTRI SCRITTORII E ARTISTICI DAL TARDO ANTICO AL RINASCIMENTO

Parte prima I PIÙ ANTICHI TESTIMONI E LA DIFFUSIONE DELLA BIBBIA NELLE VARIE CULTURE

AREA BIZANTINA Timothy J. Janz Pag. 81

IL TESTO GRECO Timothy J. Janz Pag. 13

AREA ORIENTALE Juan Pedro Monferrer-Sala Pag. 104

VERSIONI LATINE (200-750) Pierre-Maurice Bogaert Osb

AREA EBRAICA Giancarlo Lacerenza Pag. 108

Pag. 25

VERSIONI IN ALTRE LINGUE

Redazione Jaca Book

Le versioni copte Paola Buzi Pag. 37

Traduzioni dall’inglese e dal francese Marta Materni

Le versioni arabe Juan Pedro Monferrer-Sala Pag. 42

Copertina, grafica e impaginazione Break Point/Jaca Book

Le versioni slave Barbara Lomagistro Pag. 46

ny Fotolito Target Color, Milano Stampa e legatura La Stamperia, Parma - Italy agosto 2017 ISBN 978-88-16-60547-3

Le versioni etiopiche Alessandro Bausi Pag. 52 Le versioni siriache Giovanni Lenzi Pag. 54 La versione armena Anna Sirinian Pag. 62 La versione georgiana Gaga Shurgaia Pag. 70 La versione gotica Carla Falluomini Pag. 76

Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02.48561520; fax 02.48193361 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

AREA OCCIDENTALE

LE ORIGINI E IL PRIMO MEDIOEVO (VI-IX SEC.)

Bibbie dalla tarda antichità ai Carolingi Fabrizio Crivello Pag. 114 Evangeliario Barberini (Barb. lat. 570) Michelle P. Brown Pag. 140

Evangeliario Bretone (Arch. Cap. S. Pietro, D.154) Beatrice Kitzinger Pag. 144 ETÀ OTTONIANA ED EPOCA ROMANICA (X-XII SEC.)

Bibbie ottoniane Fabrizio Crivello

Pag. 146

Il Salterio di Bury (Reg. lat. 12) Michelle P. Brown Pag. 160 Bibbie romaniche Fabrizio Crivello Pag. 162 Bibbia di Ripoll (Vat. lat. 5729) Erika Loic Pag. 168 Le bibbie atlantiche Giulia Orofino Pag. 174


Esempi di scrittura beneventana Giulia Orofino Pag. 186 Due Vangeli fra Terrasanta e Sicilia Valentino Pace Pag. 190

Manoscritti biblici fiorentini nella biblioteca di Federico da Montefeltro a Urbino Ada Labriola Pag. 262 I salteri di Alfonso v d’Aragona e Diomede Carafa (Pal. lat. 41 e Vat. lat. 3467) Gennaro Toscano

EPOCA GOTICA (XIII-XIV SEC.)

Pag. 272

Bibbie in Francia tra xiii e xiv secolo Margaret Alison Stones Pag. 194

Parte terza FORME E USI PARTICOLARI DEL TESTO BIBLICO

Bibbia di Jean de Berry per Clemente vii (Vat. lat. 50 e 51) Caroline Zöhl Pag. 206

LETTURE BIBLICHE PER USO LITURGICO: EVANGELISTARI, EPISTOLARI E SALTERI LITURGICI

Un’ignota bibbia avignonese di metà Trecento (Vat. lat. 48-49) Francesca Manzari

L’Evangelistario avignonese di Annibaldo da Ceccano (Arch. Cap. S. Pietro B.74) Francesca Manzari Pag. 302

La Bibbia in Italia tra xiii e xiv secolo Francesca Manzari Pag. 218

LO STUDIO DELLA BIBBIA E LA BIBBIA PORTATILE NEI SECOLI XII E XIII

Pag. 212

Nuovo Testamento (Vat. lat. 39) Monika E. Müller Pag. 220 Bibbie manfrediane Silvia Maddalo Pag. 223 Bibbie bolognesi del Duecento Massimo Medica Pag. 228 Bibbia veneta (Ross. 254) Federica Toniolo Pag. 234 Bibbie duecentesche in Romagna (Vat. lat. 22 e 26) Fabrizio Lollini Pag. 238 Bibbie dell’Italia meridionale nel xiv secolo: Napoli in epoca angioina Francesca Manzari Pag. 242

Presentazione Ambrogio M. Piazzoni

Claudia Montuschi Pag. 281

Patricia Stirnemann Pag. 304

DIVULGAZIONE DEL TESTO BIBLICO: DAL MANOSCRITTO AL LIBRO A STAMPA

Maria Theisen Pag. 316

Bibbia moralizzata in latino e francese (Reg. lat. 25) Caroline Zöhl Pag. 330 Bibbia di Belbello (Barb. lat. 613) Antonio Manfredi Pag. 334 Pietro Comestore, Historia scholastica Maria Theisen Pag. 338

APPARATI NOTE

Pag. 344 BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Pag. 348

Bibbia teramana (Vat. lat. 10220) Lola Massolo Pag. 249

ABBREVIAZIONI E SIGLE

IL RINASCIMENTO (XV SEC.)

INDICE DEI MANOSCRITTI CITATI

La Bibbia in Italia nel Rinascimento Federica Toniolo Pag. 252

INDICE DEI NOMI DI PERSONE

Pag. 360 Pag. 361 Pag. 364

La Biblioteca Apostolica Vaticana, pur non essendo una biblioteca di carattere religioso, custodisce una notevole collezione di testi biblici: bibbie intere o parziali, in decine di lingue differenti, si trovano in diverse migliaia di codici manoscritti e in oltre cinquemilatrecento libri a stampa, e i volumi con testi di carattere liturgico o commenti biblici di vario genere non si contano. Anche l’arco temporale è molto esteso, e corre dalla fine del ii secolo a oggi. Il manoscritto più antico è il Papiro Hanna 1 (P75), proveniente dalla Fondazione Bodmer di Cologny e originario dell’Egitto, dove venne realizzato tra il 180 e il 220, che costituisce la più antica testimonianza quasi completa dei Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni; il manoscritto più recente è una stupenda Bibbia illustrata, in sette volumi, realizzata da Donald Jackson con tecniche antiche fra il 1998 e il 2012, che trascrive il testo inglese della versione New Revised Standard, di cui la Vaticana conserva un pregevole facsimile1. Lo stampato più antico è il primo stampato in assoluto, la Bibbia a 42 linee di Gutenberg, pubblicata a Magonza subito dopo la metà del Quattrocento (di cui la bav conserva due esemplari). Non considerando ovviamente le copie digitali, la Bibbia più recente risale al 2017: non è propriamente uno stampato (in termini biblioteconomici si definisce “materiale non librario”) ma contiene, in formato analogico e non digitale, il testo latino della Nova Vulgata, la traduzione latina ufficiale per l’uso liturgico della Chiesa cattolica. È stata realizzata con una tecnologia di avanguardia, denominata 5D optical data, nei laboratori dell’Università di Southampton2 e si presenta nella forma di un disco di quarzo fuso, del diametro di 25 mm, che si presume possa durare nel tempo senza deteriorarsi per svariati milioni di anni e per questo è stata definita dai produttori (forse un

po’ pretenziosamente) “Holy Bible Preserved for Eternity”; il disco di quarzo può essere letto con l’aiuto di un microscopio adeguatamente predisposto. Considerando la vastità dei documenti biblici conservati, non è sorprendente che si sia pensato di pubblicare questo volume dedicato alla Bibbia nella Biblioteca Apostolica Vaticana, ma è ovvio che si è stati costretti a operare una scelta drastica, tipologica e cronologica. Si è pertanto deciso di limitare il campo ai manoscritti biblici dall’Antichità al Rinascimento, affidando l’approfondimento dei diversi temi a oltre trenta autori, fra i più esperti in ciascun campo di studi, e illustrando i testi con un congruo numero di immagini dei manoscritti citati, che sono in ogni caso reperibili per intero nel sito della Vaticana3. Il volume ha cercato di trovare un equilibrio tra una narrazione cronologica che consentisse di individuare le linee di sviluppo e la necessità di seguire alcuni temi (una lingua, una regione, una tipologia) senza interromperne la trattazione. La prima parte è dedicata ai più antichi testimoni del testo biblico e alla sua diffusione nelle varie culture. «La Bibbia cristiana nasce greca» è la frase d’avvio del volume, e con essa Timothy Janz inizia il ricco e variato percorso della storia del testo biblico usato dai primi cristiani, con il Nuovo Testamento che in greco assunse la sua prima forma scritta e con l’Antico Testamento che venne utilizzato soprattutto nella versione greca detta dei Settanta, realizzata ad Alessandria d’Egitto nel iii secolo a.C. dai saggi incaricati dal sovrano Tolomeo Filadelfo, secondo quanto racconta la Lettera di Aristea. Proprio quella traduzione è riportata dai più antichi testimoni manoscritti, a cominciare da uno dei gioielli della Vaticana, il Codex Vaticanus (Vat. gr. 1209) del iv secolo, tra i più antichi manoscritti

7


Presentazione

completi della Bibbia e determinante per gli studi filologici sulla ricostruzione del testo, così come è rilevante il già citato Papiro Hanna 1 per la storia del canone dei libri del Nuovo Testamento. Nonostante il greco fosse la lingua corrente nell’area mediterranea nei primi secoli del cristianesimo, come ci viene ricordato anche nel capitolo che Pierre-Maurice Bogaert dedica alla complicata storia delle traduzioni latine dei testi biblici, già alla fine del ii secolo l’esigenza di un testo latino si era fatta sentire nelle Chiese, a partire dalle regioni africane dove si stava sviluppando la prima letteratura cristiana in lingua latina, che ovviamente doveva citare anche la Bibbia in questa lingua. Traduzioni vennero realizzate in diverse regioni, e vari testi latini (la cosiddetta Vetus Latina) circolarono finché non furono soppiantati dalla traduzione (la Vulgata) che Girolamo realizzò in un ottimo latino letterario partendo dagli originali, ebraico per l’Antico Testamento e greco per il Nuovo. La diffusione del cristianesimo in ambiti culturali diversi da quelli greco e latino rese ben presto necessario tradurre la Bibbia, talvolta solo parzialmente, per consentirne la comprensione. Giovanni Lenzi presenta i testi realizzati in siriaco (cioè nell’aramaico di Edessa), Paola Buzi si occupa delle traduzioni in lingua copta, Carla Falluomini presenta un raro testo in lingua gotica, Alessandro Bausi tratta della produzione in etiopico, Anna Sirinian di quella in armeno, Gaga Shurgaia di quella in georgiano, mentre Juan Pedro Monferrer-Sala illustra la traduzione in arabo e, infine, Barbara Lomagistro riferisce della traduzione nella lingua slava. Già nei primi secoli, dedicati soprattutto alla definizione di testi sicuri, talvolta i manoscritti erano abbelliti da decorazioni più o meno elaborate; con il passare del tempo, la Bibbia, specialmente in considerazione del suo carattere sacro, e quindi meritevole di particolare cura anche sotto il profilo della loro presentazione libraria, venne sempre più spesso arricchita da decorazioni che acquistarono altissimi livelli di espressione artistica, tanto che oggi la storia della miniatura, un settore della storia dell’arte che dello studio della decorazione dei manoscritti si occupa, ha fra i propri oggetti principali i codici legati al testo biblico. La seconda parte di questo volume, la più corposa, è dedicata appunto all’esame di quanto l’abilità, la fantasia, la fede, la capacità tecnica e artistica dei miniatori siano riuscite a esprimere nei secoli dal Medioevo al Rinascimento. Vengono considerate le maggiori aree geo-culturali nelle quali si produssero testi biblici, a partire da quella bizantina studiata da Timothy Janz che, dopo aver ricordato la

8

Presentazione

difficoltà di localizzazione dei manoscritti biblici bizantini, poiché scrittura e testo sono particolarmente omogenei e stabili, esamina i frutti decorativi che, a partire dalla rinascenza macedone del secolo x, seguita al periodo iconoclasta, maturarono nell’area fino ad arrivare a sontuosi codici, raramente bibbie intere, miniati spesso con figure su fondo d’oro. Provenienti dall’area che per semplicità si definisce orientale, Juan Pedro Monferrer-Sala presenta non solo splendidi manoscritti prodotti nelle varie lingue, ma anche testi biblici plurilingui realizzati nei monasteri egiziani, ambienti cosmopoliti che radunavano monaci di diverse provenienze, ad esempio con l’accostamento in un unico codice del Salterio tradotto in copto, arabo, etiopico, siriaco e armeno. Trova qui il suo posto anche l’esame dell’area culturale ebraica, condotto da Giancarlo Lacerenza, che precisa che sotto il profilo geografico quell’area non è assimilabile alle altre ma tutte le interseca; accanto al Rotolo della Torah, che mantiene inalterate le tradizionali forme esteriori del rotolo in pelle, fiorisce anche una produzione di testi biblici in forma di codici che rispecchiano mezzi e modi espressivi della società in cui vengono prodotti, condividendone in parte tecniche e materiali. E infine ci si occupa dell’area occidentale, sostanzialmente latina, che, di gran lunga la più testimoniata, è a sua volta divisa in varie sezioni che seguono un andamento cronologico e geografico. Il lungo periodo dal vi al xii secolo viene scandagliato da Fabrizio Crivello, che delinea la produzione europea delle bibbie nelle età carolingia, ottoniana e romanica, ciascuna con proprie distinte caratteristiche, ma in qualche modo accomunate dal fatto che la loro fattura era concentrata prevalentemente nel mondo monastico, talvolta su commissione regia o imperiale. I suoi testi sono egregiamente accompagnati dall’excursus sulle bibbie atlantiche di Giulia Orofino e dagli approfondimenti di Michelle Brown, Beatrice Kitzinger, Erika Loic e Valentino Pace. La produzione di bibbie a partire dal Duecento, quando la nascita degli ordini mendicanti e delle università ridefinirono anche gli usi dei testi biblici ai fini della predicazione e dell’insegnamento, viene esaminata in connessione alle diverse zone in cui si possono riconoscere caratteri particolari. Alison Stones presenta il grande tema delle bibbie francesi, mentre di quelle italiane si occupano Francesca Manzari (che ne dà un quadro generale approfondendo poi lo studio delle napoletane), Silvia Maddalo (che indaga quelle manfrediane) e Massimo Medica (che si dedica alle bolognesi), tutto sostenuto e illustrato dai vari approfondimenti che allargano gli orizzonti anche ad altre re-

gioni, affidati a Caroline Zöhl, Monika Müller, Federica Toniolo, Fabrizio Lollini e Lola Massolo. Il culmine della decorazione dei manoscritti si raggiunse nel Quattrocento, in coincidenza non casuale con il fiorire della cultura umanistica e lo sbocciare del Rinascimento. Il periodo è presentato da Federica Toniolo, che ne individua i tratti salienti, rileva la grande varietà e ricchezza della decorazione dei manoscritti biblici, richiama l’importanza della committenza delle corti italiane, e sottolinea gli altissimi risultati artistici raggiunti; il suo lavoro è accompagnato dagli approfondimenti di Ada Labriola sulle bibbie di Federico da Montefeltro e di Gennaro Toscano su manoscritti aragonesi. La terza e ultima parte del volume è dedicata a forme e usi particolari del testo biblico, a partire dalle letture della Bibbia che ricorrono nella liturgia cristiana. Claudia Montuschi segue il percorso logico (ma non necessariamente cronologico) della graduale formazione di questi manoscritti, che hanno origine dalle bibbie integrate da annotazioni marginali che indicano i passi da leggere nella Messa o nell’Ufficio, che si evolvono in liste poste all’inizio o alla fine del manoscritto e approdano alle raccolte per così dire specialistiche dei testi, come gli evangelistari, in cui i passi evangelici sono trascritti secondo il loro uso nel corso dell’anno liturgico, o gli epistolari, analogamente redatti per le letture delle lettere degli apostoli. Viene presentato anche il particolare caso dei salteri per uso liturgico, ove le iniziali ornate svolgono spesso la funzione di indicare la ripartizione temporale per la lettura dei Salmi. Un altro uso particolare del testo biblico fu quello dello studio e della predicazione. Patricia Stirnemann mostra il riflesso che ebbero sulla forma fisica dei codici lo sviluppo dell’esegesi biblica e lo studio del testo, sviluppatosi a partire dai maestri delle scuole cattedrale francesi, e poi dai canonici di San Vittore a Parigi fino ai maestri delle università: si cominciarono a produrre bibbie commentate, spesso suddivise in molti volumi di formato ridotto, finché i commenti stessi divennero libri autonomi, a loro volta provvisti di glosse. Si arrivò a produrre bibbie complete in un unico piccolo volume, non solo per i maestri e gli studenti parigini; anche altri avevano necessità di utilizzare bibbie non destinate alla biblioteca di un monastero ma all’uso personale: i predicatori, specialmente Domenicani e Francescani, si dotarono infatti presto di bibbie di formato molto ridotto, facilmente trasportabili, scritte in caratteri minuti. La divulgazione del testo biblico avvenne anche in una direzione apparentemente opposta a quella dell’appro-

fondimento dello studio esegetico. Maria Theisen esamina varie tipologie di compendi biblici con differenti finalità, come il racconto della storia del mondo redatto da Pietro Comestore nel xii secolo, o le bibbie moralizzate realizzate nel xiii, dove le illustrazioni svolgono una funzione determinante nella comunicazione dei contenuti, o le Bibliae pauperum che, in forma estremamente semplificata, presentano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, accompagnati da brevissime frasi, che servono a spiegare la dottrina cristiana anche a chi non ha familiarità con la lettura, o una variante più complessa, lo Speculum humanae salvationis con una gamma di scene molto più ampia. Approfondimenti di Caroline Zöhl su una bibbia moralizzata in latino e francese e di Antonio Manfredi sulla stupenda Bibbia di Belbello, una traduzione francese del testo biblico parafrasata e semplificata, accompagnano e arricchiscono l’esposizione, che giunge fino alla prima Bibbia stampata, quella detta delle 42 linee di Gutenberg. Con l’avvento e la diffusione della stampa, che cambierà profondamente il modo di trasmissione della cultura, il manoscritto librario propriamente detto non manterrà più la funzione che fino ad allora aveva svolto e, gradatamente, dopo un certo periodo di convivenza, durante il quale vengono prodotti gli esemplari più belli di bibbie manoscritte illustrate, scomparirà. E così si conclude anche questo volume, completato da una bibliografia imponente − e non poteva non esserlo − anche se si limita a registrare quella citata dagli autori. Quest’opera è stata curata da chi scrive, Vice Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, con la preziosissima collaborazione di Francesca Manzari, docente di Storia della miniatura alla “Sapienza”- Università di Roma; insieme abbiamo preparato il progetto, chiesto ai vari autori i loro contributi, organizzato gli apparati per questo volume che l’editore Jaca Book, cui si deve l’iniziativa della pubblicazione, ha realizzato in modo mirabile; abbiamo potuto curare il solo volume in italiano, mentre la cura editoriale delle versioni in altre lingue è stata svolta dalle rispettive case editrici. Al termine di questa avventura, speriamo di essere riusciti a condividere con i lettori la passione che ci ha guidato nella ricerca di una migliore comprensione dei modi in cui la Bibbia ha assunto nel tempo la forma di libro, e dei riflessi che ciò ha avuto nella storia della cultura dell’umanità, anche indipendentemente dalla considerazione di chi crede che gli scritti biblici siano uno dei modi concreti con cui Dio ha parlato e parla agli uomini di ogni tempo.

9


Parte prima

I PIÙ ANTICHI TESTIMONI E LA DIFFUSIONE DELLA BIBBIA NELLE VARIE CULTURE


IL TESTO GRECO Timothy J. Janz

1

La Bibbia cristiana nasce greca. Tutti i libri del Nuovo Testamento risultano scritti, almeno nella loro forma definitiva e attuale, in greco. Per quanto riguarda l’Antico Testamento, si suppone senz’altro che Gesù lo leggesse e lo citasse in lingua originale; ma i Vangeli, oltre a essere trasmessi in greco e quindi a far pronunciare parole greche a Gesù, attribuiscono anche a quest’ultimo citazioni che provengono specificamente dalla versione dei Settanta e cioè dall’antica versione greca della Bibbia ebraica le cui origini risalgono al iii secolo a.C.1 Anche quando gli autori dei Vangeli (e degli altri libri neotestamentari) menzionano passi della Bibbia ebraica per conto proprio (e cioè senza riportare una citazione attribuita a Gesù), si riconoscono quasi sempre nelle loro parole – anche nel caso di citazioni più o meno libere o indirette – le formulazioni della versione dei Settanta; l’esempio più famoso e significativo è forse la citazione di Is 7,14 in Mt 1,23, dove la madre del nascituro Emanuele viene definita παρθένος, “vergine”, secondo la dicitura dei Settanta, quando il testo ebraico di Is 7,14 la definisce semplicemente “giovane donna”. Tuttavia, i cristiani dei tempi degli Apostoli e dei primi Padri della Chiesa non conoscevano una realtà corrispondente a quella che i cristiani dei secoli successivi hanno chiamato “la Bibbia”, comprendente una settantina di libri divisi fra Antico e Nuovo Testamento. Infatti, i libri del Nuovo Testamento erano ancora in via di redazione; e anche la formazione del canone tripartito della Bibbia ebraica (Torah-Profeti-Scritti), che sarebbe stata poi adottata (con piccole variazioni) dai cristiani come “Antico Testamento”, si è conclusa verosimilmente non prima della metà del ii secolo d.C., almeno per quanto riguarda l’ultima parte, quella degli Scritti2. Vi erano anche limiti di natura tecnica: il rotolo – forma comune del libro nel mondo antico che tuttavia non è stata mai adottata, a quanto pare, dai cristiani come supporto per i loro testi – non era affatto adatto a contenere un insieme testuale così vasto come l’intera Bibbia; mentre il codex (libro rilegato), utilizzato invece in modo quasi esclusivo dai cristiani fin dagli inizi e nato, a quanto sembra, pressoché contemporaneamente alla nascita della Chiesa, non sembra aver raggiunto un livello di perfezionamento tecnico che permettesse la confezione di tomi così vasti prima del iv secolo d.C.3 Di conseguenza, i testimoni più antichi della Bibbia cristiana non sono “bibbie” ma esemplari di singoli libri o piccoli gruppi di libri biblici, in particolare dei Vangeli. Fra i più antichi manoscritti di questo tipo vi è il Papiro Hanna 1 (Mater Verbi), della fine del ii o dell’inizio

del iii secolo d.C., che conteneva originariamente due Vangeli interi, essendo il testimone più antico conosciuto del Vangelo di Luca e fra quelli più antichi del Vangelo di Giovanni4. Si tratta di un codex di tipo primitivo, in quanto tutti i 144 fogli del libro originario (di cui oggi si conserva poco meno della metà) erano rilegati non in fascicoli di pochi bifogli riuniti singolarmente e poi cuciti insieme, come avviene nei codices più recenti e perfezionati, ma in un unico fascicolo che, di conseguenza, doveva essere di notevole spessore, piuttosto instabile e difficile da maneggiare: già la quantità di testo rappresentata da soli due libri biblici spingeva questo formato ai suoi limiti e anche oltre, come si evince dal fatto che il manoscritto è ormai ridotto allo stato di fogli sciolti: del dorso, e cioè della cucitura, non rimane nulla. Oltre a illustrare la storia primitiva dello sviluppo del libro rilegato, questo manoscritto è anche un testimone importante per la storia del canone del Nuovo Testamento e in particolare dei Vangeli, in quanto è il primo testimone del Nuovo Testamento a contenere più di un Vangelo; non per caso li presenta nell’ordine che è rimasto quello del canone, collocando Giovanni dopo Luca (il passaggio da Luca a Giovanni si trova sul recto del foglio oggi numerato 2A8). Un altro papiro, invece, il Papiro Bodmer 8, contemporaneo o poco più recente del Papiro Hanna 15, ci mostra come la definizione del canone del Nuovo Testamento fosse ancora in fieri – almeno per gli ultimi libri – nel iii secolo d.C. Si tratta del più antico testimone delle due Lettere di Pietro. Prima di essere donato alla Vaticana dal collezionista svizzero Martin Bodmer, questo papiro di 19 fogli faceva parte di un codice miscellaneo6 comprendente anche un altro libro del Nuovo Testamento (la Lettera di Giuda, Pap. Bodmer 7) e i Salmi 32 e 33 (Pap. Bodmer 9), nonché una serie di testi cristiani non canonici fra i quali la Natività di Maria (Pap. Bodmer 5), la Terza lettera ai Corinzi attribuita a san Paolo (Pap. Bodmer 10) e una delle cosiddette Odi di Salomone (Od. Sal. 11). Tre di questi testi (Terza lettera ai Corinzi, Ode di Salomone 11 e Lettera di Giuda) facevano sicuramente parte di un unico libro originario perché si susseguono senza interruzione, con passaggi da un testo all’altro sempre all’interno dello stesso foglio, e anche perché sono stati copiati da un unico scriba. Anche le Lettere di Pietro sono state vergate dallo stesso copista e facevano probabilmente parte del medesimo libro originario, anche se, nello stato in cui il papiro è stato ritrovato, esse costituiscono un elemento codicologico distinto, con una paginazione (antica) indipendente da 1 a 36. I Papiri Bodmer 7 e 8 rappresentano,

13

2


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Il testo greco

Pagine precedenti:

1. Vangelo di Luca 16,9-21, Papiro Hanna (Pap. Hanna 1 [Mater Verbi], f. 1B12r).

comunque, il testimone più antico della Lettera di Giuda e delle Lettere di Pietro; come già notato, sono probabilmente un po’ più recenti del Papiro Hanna 1 e lasciano intravedere una tecnica libraria più avanzata in quanto i fogli di papiro che costituiscono il libro sono organizzati in più fascicoli: quattro per le sole Lettere di Pietro (due quaternioni da 8 fogli, più due binioni da 2 fogli, essendo esclusi dalla paginazione da 1 a 36 il primo e l’ultimo foglio dell’insieme). Non è dato conoscere la funzione precisa dei papiri biblici in generale – anche perché sappiamo relativamente poco sulla prassi liturgica dei primi secoli della Chiesa7 – e in particolare dei due papiri che abbiamo appena citato. Il Papiro Hanna 1 (Mater Verbi) sembra una specie di dyevangelium che poteva formare, insieme a un ipotetico altro volume contenente gli altri due Vangeli, un Evangeliario destinato a uso liturgico e cioè alla lettura pubblica; in un secondo tempo, comunque, il libro è stato chiaramente oggetto di venerazione, come si evince dal fatto che, in una data sconosciuta ma comunque non recente, la copertina di pelle è stata rinforzata tramite l’incollaggio di fogli di papiro provenienti dal libro stesso, il quale da quel momento in poi fu conservato con cura ma evidentemente non più letto. Il volume di cui faceva parte il Papiro Bodmer 8, invece, è stato generalmente interpretato dagli specialisti come antologia a uso privato, per il suo formato piccolo (ca. 130 x 150 mm) ma soprattutto per il suo contenuto, che agli occhi di un moderno lettore appare piuttosto variegato; bisogna ammettere, tuttavia, che niente vieta di pensare a un uso liturgico anche per questo libro, visto che il canone neotestamentario era ancora oggetto di dibattiti nel corso del iii secolo d.C. Con il iv secolo, invece, e in particolare dopo l’Editto di Milano dell’anno 313, la Chiesa entra in un periodo di maggiore stabilità che si rispecchia anche nella produzione libraria e in particolare in quella biblica. È in questo periodo che si fissa definitivamente anche il canone del Nuovo Testamento8, stabilito nelle grandi linee già dal ii secolo9 ma poi soggetto a variazioni di dettaglio, in particolare per quanto riguarda le epistole non paoline e l’Apocalisse, la cui inclusione rimane peraltro sempre facoltativa, a quanto pare, nei manoscritti neotestamentari bizantini10. Del iv secolo, dunque – datazioni più precise sono state proposte ma rimangono poco attendibili –, sono i due libri più antichi che si possono definire “bibbie”: il Codex Sinaiticus11, oggi smembrato e diviso fra la British Library, la Biblioteca Universitaria di Lipsia e il monastero di Santa Caterina al Sinai (dove era stato scoperto

14

dal Tischendorf negli anni Quaranta dell’Ottocento); e il Codex Vaticanus, oggi Vaticano greco 120912. Quest’ultimo libro, confezionato solo un secolo dopo il semplice fascicolo unico che costituisce il Papiro Hanna 1 (Mater Verbi), rappresenta già la perfezione del codex: circa 800 fogli (di cui oggi se ne conservano 759, per un totale di 1.518 pagine) di pergamena fine, contenenti originariamente tutto l’Antico Testamento (e cioè la versione dei Settanta, con l’eccezione dei libri dei Maccabei) e tutto il Nuovo Testamento (di cui la parte finale è andata perduta ed è stata sostituita nel secolo xv, per cui non è dato sapere esattamente quali libri vi fossero originariamente inclusi) in un formato maneggevole e peraltro molto leggibile grazie alla scrittura maiuscola molto regolare che, proprio in onore di questo libro che ne costituisce l’esempio canonico, si definisce “maiuscola biblica”13. È chiaro che libri come il Sinaiticus o il Vaticanus non sono frutto di iniziative private ma di commissioni istituzionali; si è addirittura ipotizzato un legame stretto fra queste due bibbie e l’autore dell’Editto di Milano, in quanto, secondo la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea (4,36), Costantino i avrebbe dato a Eusebio una commissione per la confezione di cinquanta copie delle Sacre Scritture «per l’istruzione della Chiesa». È stato lo scopritore del Sinaiticus, Konstantin von Tischendorf, a proporre, un secolo e mezzo fa, l’ipotesi secondo la quale le due grandi Bibbie greche del iv secolo siano state fra quelle prodotte da Eusebio a Cesarea su ordine dell’imperatore: ipotesi che rimane non verificabile ma che è stata ripresa recentemente da alcuni studiosi14. Sul luogo di produzione dei più antichi testimoni biblici non vi è un consenso generale degli studiosi. I papiri si sono conservati, e sono stati quindi ritrovati, quasi esclusivamente in Egitto, per motivo del clima secco desertico. Il papiro, peraltro, nel mondo romano fu prodotto principalmente in Egitto, per cui, nel caso dei papiri biblici, l’area della probabile fabbricazione del supporto e quella del ritrovamento moderno del libro coincidono necessariamente. Se si aggiunge il fatto che la conservazione del papiro, fuori dal clima desertico, difficilmente si prolungava oltre pochi decenni, si capisce che, per ogni manoscritto papiraceo, l’ipotesi più generalmente accettata è quella che colloca in Egitto anche l’attività di “editoria” di cui il libro è frutto: copia e rilegatura. Tuttavia, la stessa presenza di copie dei testi neotestamentari in Egitto dimostra che i libri viaggiavano nel mondo antico (anzi, la disseminazione dei libri cristiani sembra essere stata eccezionale per la sua rapidità e per la sua estensione15);

3

e l’uso del papiro egiziano come supporto scrittorio abituale era comune a tutto il bacino del Mediterraneo in epoca romana. Il supporto papiraceo di un libro, quindi, non incide di per sé sulla probabilità della sua produzione in Egitto, e tanto meno giustifica l’interpretazione delle particolarità testuali di tale libro come appartenenti necessariamente a un testo locale, tipicamente egiziano. La pergamena, invece, conosciuta almeno dal ii secolo a.C. ma considerata per molti secoli un supporto meno nobile del papiro, permette in linea di massima di identificare l’animale da cui proviene ma non la sua origine geografica; essendo peraltro molto più robusta del papiro, resisteva bene al trasporto e si conservava anche in condizioni climatiche umide, per cui i libri scritti su pergamena sono ancora meno localizzabili di quelli papiracei. Oltre all’aspetto materiale, comune ai libri greci e agli altri, vi è anche una particolarità del libro greco che sembra costante dall’antichità fino alla tarda epoca bizantina, e cioè la straordinaria omogeneità della scrittura greca in tutte le parti del mondo romano e poi bizantino16: a differenza di quanto si osserva nel mondo latino, dove si identificano facilmente particolarismi grafici locali anche molto accentuati, tranne in pochi casi eccezionali la paleografia greca è una disciplina che permette datazioni ma non localizzazioni. Ciononostante, gli studiosi odierni del testo biblico (e particolarmente del Nuovo Testamento) usano sovente criteri di tipo geografico per la classificazione dei testimoni sia dell’Antico che del Nuovo Testamento greco. Infatti, il grande valore dei numerosi testimoni biblici risiede non solo nella venerabile antichità ma anche e soprattutto nelle piccole divergenze che fanno di ogni manoscritto un unicum: divergenze che vanno studiate e analizzate al fine di stabilire il testo più vicino possibile a quello originario. Tale analisi parte naturalmente dal tentativo di stabilire gruppi di testimoni che concordano frequentemente; in questa prospettiva, gli studiosi parlano volentieri, dunque, di manoscritti biblici greci latori di un testo “alessandrino”, “occidentale”, “cesariense”, “antiocheno” o “costantinopolitano”, riprendendo (per quanto riguarda il Nuovo Testamento) un’analisi proposta inizialmente negli anni Venti del secolo scorso dallo studioso inglese B.H. Streeter (che a sua volta si rifaceva a una prima ripartizione geografica proposta dagli editori B.F. Westcott e F.J.A. Hort alla fine dell’Ottocento), la quale oggi convince poco nei dettagli ma rimane uno schema generale di riferimento nell’assenza di altre proposte in grado di ottenere un consenso più ampio17. Viste le difficoltà menzionate sopra, tali attribuzioni geografiche

si basano non tanto sulla provenienza effettiva dei singoli esemplari quanto sull’osservazione della concordanza delle particolarità testuali di ogni gruppo con quelle del testo biblico citato da scrittori cristiani dei primi secoli dopo Cristo la cui attività si situava storicamente nelle città o nelle zone in questione: così, il testo ritenuto “alessandrino” è (perlomeno in teoria) quello che troviamo nelle citazioni bibliche di autori alessandrini come Didimo il Cieco, Atanasio o Cirillo (oppure quello con particolarità che coincidono con quelle delle traduzioni copte); il testo “occidentale” è quello che troviamo citato negli scritti di autori greci che hanno vissuto a Roma come Clemente o in Gallia come Ireneo (o che concorda con le antiche versioni latine); quello “cesariense” si ritrova negli scritti di Eusebio o in quelli di Origene, originario di Alessandria, dopo il suo trasferimento a Cesarea in Palestina; e così via. Ogni principio di classificazione è discutibile, anche perché le nostre conoscenze si basano su singoli esemplari conservati per caso e non necessariamente rappresentativi dell’insieme della trasmissione reale del testo; tuttavia, l’approccio geografico di cui abbiamo descritto le grandi linee offre almeno un punto di partenza per l’analisi che si basa su obiettive osservazioni testuali. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, tutti gli esemplari vaticani che abbiamo menzionato finora fanno parte del gruppo detto alessandrino, che è generalmente considerato quello più attendibile: si tratta del Codex Vaticanus (spesso chiamato Codice B per la sigla utilizzata ormai da più di un secolo per designarlo nelle edizioni bibliche), del Papiro Hanna 1 (Mater Verbi) (noto agli specialisti con la sigla P75) e del Papiro Bodmer 8 (il quale, insieme agli altri componenti del codice miscellaneo di cui faceva parte, viene designato come P72). Anche il codex Sinaiticus appartiene a questo gruppo (a parte l’inizio del Vangelo di Giovanni che viene assegnato al gruppo “occidentale”), mentre, per ironia, il Codex Alexandrinus (così nominato perché un tempo conservato ad Alessandria; oggi è il ms. BL Royal 1.d.v-viii), altro manoscritto in maiuscola del v secolo d.C., viene generalmente assegnato al gruppo costantinopolitano o “bizantino”, per quel che riguarda i quattro Vangeli. La buona qualità del gruppo “alessandrino” si può spiegare per la presenza ad Alessandria di una lunga tradizione filologica che avrebbe permesso ai dotti di quella città di curare un testo con metodi messi a punto in secoli di lavoro sugli autori classici. Tuttavia, il gruppo (o talvolta singoli membri del gruppo) presenta anche varianti che hanno poca probabilità di essere originarie: ad esempio, nel Papiro Hanna 1 (Mater

15


Bibbia. Immagini e scrittura

4

Verbi), l’uomo ricco protagonista della parabola di Gesù in Lc 16,19, che rimane anonimo in quasi tutti i testimoni, viene identificato con il nome Neves (riga 35: ΟΝΟΜΑΤΙ ΝΕΥΗΣ), precisazione che sembrerebbe effettivamente di origine egiziana in quanto condivisa soltanto con la versione copta (e con due manoscritti in minuscola molto più tardivi). Più generalmente, il tipo testuale rappresentato da questi testimoni è tendenzialmente più breve degli altri (omettendo, ad esempio, la fine del Vangelo di Marco, Mc 16,9-20) – segno di qualità filologica, ceteris paribus, secondo la massima lectio brevior, lectio potior. La stragrande maggioranza dei testimoni esistenti del Nuovo Testamento (per la maggior parte manoscritti più recenti in scrittura minuscola) appartengono al cosiddetto gruppo “bizantino”, un testo tendenzialmente più lungo e semplice che spiana le lezioni difficili e talvolta armonizza le divergenze, ad esempio fra i Vangeli18. Dal ix secolo in poi diventa una specie di testo standard e si ritrova anche nelle edizioni a stampa dal xvi fino al xix secolo, quando gli editori cominciano a favorire il testo dei testimoni più antichi in maiuscola. Però le origini di questo tipo testuale sono molto più antiche: oltre al già menzionato Codex Alexandrinus del v secolo, il quale reca un testo di questo tipo nei Vangeli, vi è anche, del vi secolo, il cosiddetto Codex purpureus Petropolitanus, oggi smembrato e conservato (solo in parte) in nove biblioteche diverse; sei fogli, contenenti frammenti del Vangelo di Matteo, si trovano nella Biblioteca Vaticana con la segnatura Vat. gr. 2305. Il libro originario era un Evangeliario di gran lusso, di pergamena tinta in porpora e vergato con inchiostro argenteo, tranne che per i nomi divini per i quali si è ricorso a inchiostro aureo. I codici biblici di lusso di questo tipo erano sufficientemente comuni, già nel iv secolo, per ispirare una condanna da parte di san Girolamo19, ma la decina di esempi che rimangono oggi (perlopiù evangeliari, ma anche testimoni veterotestamentari come la “Genesi di Vienna”, önb, Theol. gr. 31, del vi sec.), sono tutti più recenti. Nonostante la segnatura alta, 2305, che indicherebbe normalmente un ingresso ottocentesco nella Vaticana, i sei fogli vaticani sono attestati nella biblioteca già dall’inizio del Seicento20. La storia testuale dell’Antico Testamento greco segue una strada un po’ diversa, anche se comincia per noi con gli stessi grandi codici in maiuscola che abbiamo già menzionato per il Nuovo Testamento, in particolare i codici Vaticanus, Sinaiticus e Alexandrinus. Naturalmente, anche la traduzione dei Settanta è stata trasmessa su supporto papiraceo (anzi, è quasi sicuramente nata così), ma i papi-

16

I. Il testo greco

ri greci veterotestamentari esistenti oggi sono pochissimi e giocano quindi necessariamente un ruolo minore nella costituzione del testo; peraltro non sono rappresentati nelle collezioni vaticane. Anche nello studio dell’Antico Testamento greco esiste una tradizione di analisi testuale che si avvale di categorie geografiche (si tratta in particolare del cosiddetto testo “antiocheno”), ma che riguarda soprattutto la tradizione più recente21. La particolarità fondamentale che è all’origine del carattere specifico dell’Antico Testamento greco e della sua storia testuale è invece il fatto che si tratta di una traduzione. Oltre alle solite difficoltà che ogni traduttore deve affrontare, quelli della Bibbia dei Settanta dovettero fare opera di pionieri, in quanto una traduzione letteraria di ampiezza paragonabile non era mai stata realizzata22; ebbero anche il compito delicato di rendere in greco un testo ebraico le cui parole erano considerate sacre e normative. La traduzione dei Settanta, interamente realizzata da traduttori ebrei fra il iii e il i secolo a.C., accolta poi come Sacra Scrittura dai cristiani, è stata presto rinnegata dalle stesse comunità ebree, sia per privilegiare l’uso del testo originale ebraico, sia per contrastare interpretazioni dei profeti e degli altri testi sacri ebraici in chiave cristiana. Di fatto, nonostante l’origine ebrea della traduzione, con l’eccezione di pochi frammenti papiracei, perlopiù provenienti da Qumran, tutti i testimoni oggi esistenti della Bibbia dei Settanta sono stati vergati in ambito cristiano (gli ebrei bizantini hanno conosciuto altre versioni greche del Tanakh23). Tuttavia, nei primi secoli dell’era cristiana, la traduzione dei Settanta è stata oggetto di un’intensiva attività filologica da parte di dotti ebrei, e più precisamente di una serie di revisioni che hanno segnato, e in grande misura determinato, la storia della trasmissione del testo. Fra le altre revisioni di cui rimangono solo tracce di difficile interpretazione si conoscono le opere di tre dotti ebrei del ii secolo d.C.: Aquila di Sinope, Simmaco l’Ebionita e Teodozione24. Simmaco cercava generalmente di spianare la traduzione originaria che spesso era poco elegante perché molto letterale, mentre gli altri due revisori (e Aquila in particolare), al contrario, cercavano tendenzialmente di rendere il testo greco ancora più conforme all’originale ebraico. Di queste tre grandi revisioni dell’Antico Testamento greco non sono rimaste copie intere ma soltanto varianti riportate nei margini di molti manoscritti e generalmente identificate con le sigle αʹ, σʹ e θʹ (o talvolta con l’indicazione οἱ γʹ [“i tre”] per segnalare l’accordo fra le tre revisioni), come nel cosiddetto Codex Marchalianus, Vat. gr. 2125, del vi secolo d.C., copiato probabilmente

5

in Egitto ed esempio canonico della scrittura maiuscola detta “alessandrina”, una volta proprietà del Collegio Gesuita di Clermont in Francia e acquisito dalla Vaticana da Jean Guillaume Rondel nel 178525. Si tratta di un testimone fondamentale per i libri profetici dell’Antico Testamento, per la qualità del testo stesso ma anche per le varianti dei tre revisori riportate nei margini dallo scriba originale. Naturalmente non è stato lo stesso scriba a citarle di prima mano attingendole alle versioni di Aquila, di Simmaco e di Teodozione. Questo lavoro era stato fatto già nel iii secolo d.C. da Origene, nella sua grande opera di filologia biblica chiamata Esapla26, dove il testo dell’Antico Testamento era disposto in sei colonne: testo ebraico; traslitterazione dello stesso; Aquila; Simmaco; la “quinta [colonna]”, una specie di testo critico eclettico stabilito dallo stesso Origene; e Teodozione. Gli Esapla, opera molto voluminosa, esistevano per intero in un unico esemplare conservato a Cesarea, dove Origene si era trasferito, andato perduto probabilmente nel vii secolo; ma le varianti marginali dei “tre” che troviamo nei manoscritti della Bibbia dei Settanta, nonché una grande quantità di varianti dette “esaplari” e cioè provenienti dalla “quinta colonna”, provengono da quell’esemplare. Come già detto, il fatto che l’Antico Testamento greco sia una traduzione determina in modo fondamentale la storia del suo testo: i revisori si sentono liberi di modificarlo, in quanto il suo carattere sacro non è insito ma deriva da quello dell’originale, e i loro interventi hanno anche un punto di partenza naturale, e cioè il paragone sempre possibile con il testo ebraico originale. L’aspetto geografico, determinante per lo studio dei tipi testuali del Nuovo Testamento, giocherà anche qui un certo ruolo, come vedremo nella sezione dedicata all’Area bizantina27; ma saranno soprattutto gli interventi di revisione e la successiva penetrazione più o meno spinta delle varianti risultanti nei vari tipi testuali a determinare la storia del testo dell’Antico Testamento greco. Come per le opere dell’antichità classica, anche per la Bibbia è impossibile studiare la trasmissione del testo senza tener conto della storia dei commentari e in particolare delle raccolte di commenti estratti da opere autorevoli che riempiono i margini di molti manoscritti bizantini e che si chiamano “scolii” quando si riferiscono ad autori classici, o “catene” trattandosi di testi biblici. Tali raccolte marginali sono testimonianze importanti relative alla storia dell’interpretazione del testo ma anche alla storia del testo stesso, perché spesso citano il testo biblico in una forma divergente rispetto a quella del manoscritto in cui

si trovano. È a Procopio di Gaza che si attribuisce l’invenzione della “catena” come raccolta di citazioni patristiche (provenienti non solo da commentari ma anche da opere di altro genere) relative a un determinato passo biblico; ma spesso e volentieri si mette anche in relazione l’apparizione del manoscritto “scoliato” o “cum catenis” con quella, nel ix secolo, della scrittura libraria minuscola, che permetteva di ampliare notevolmente la quantità di testo contenuto in una pagina28. Naturalmente l’attribuzione a Procopio (465-528 d.C.) è difficilmente compatibile con questa teoria: a tale proposito è molto interessante anche un manoscritto come il Vat. gr. 749, della fine dell’viii o dell’inizio del ix secolo, e cioè del periodo di nascita della minuscola libraria. Si tratta di un testimone del Libro di Giobbe con catene; il testo biblico è vergato in una forma di maiuscola che gli specialisti chiamano “ogivale inclinata”, mentre le catene marginali sono vergate in una piccola maiuscola “ogivale dritta”. Un libro come questo illustra come i margini di un manoscritto in scrittura maiuscola potevano senz’altro accogliere una catena di commenti. Il manoscritto, che è attestato nella Vaticana dai tempi di Sisto iv (xv sec.), è notevole anche perché è uno dei più antichi manoscritti greci miniati, con 57 miniature di uno stile assai particolare che gli studiosi localizzano in Italia29. Infine, bisogna menzionare una categoria di manoscritti biblici greci che è molto comune (oltre 2.000 esemplari recensiti) ma ancora relativamente inesplorata da parte degli studiosi del testo biblico30, e cioè quella dei lezionari o raccolte di brani biblici disposti nell’ordine previsto per la loro lettura durante le celebrazioni liturgiche; nel caso di raccolte di lezioni tratte dai Vangeli, si parla di evangelistari. Questo tipo di libro appare solo verso la fine del periodo qui preso in considerazione; fra gli esemplari più antichi vi è la scriptio inferior del palinsesto Barb. gr. 472, del vii secolo, poco leggibile tranne nelle pagine non ricoperte dalla scriptio superior, come il f. 164v. Fra gli altri esemplari in maiuscola figura il Vat. gr. 351, del ix secolo, quando già stava diffondendosi la minuscola. Il libro liturgico è naturalmente conservatore ed esemplari in maiuscola continueranno a essere prodotti anche molto più tardi; si vede peraltro che la maiuscola del Vat. gr. 351 non è di tipo usuale ma una scrittura artificiosa che ha per complemento la ricca decorazione di mezzi riquadri miniati e di iniziali dorate. Il libro compare negli inventari della Vaticana almeno dalla fine del Seicento ma potrebbe anche identificarsi con l’uno o l’altro dei vari esemplari nominati Evangelia ordinata per missas negli inventari del Quattrocento31.

17

6

7


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Il testo greco

2. Explicit della prima e incipit della seconda Lettera di S. Pietro, bifolio centrale di un fascicolo, con paginazione antica (ΚΒ, ΚΓ), Papiro Bodmer 8 (Pap. Bodmer 8, pp. 22-23).

18

19


Bibbia. Immagini e scrittura

3. Incipit della Lettera di S. Paolo ai Filippesi, Codex Vaticanus - Codice B (Vat. gr. 1209, p. 1499).

20

I. Il testo greco

4. Vangelo di Matteo 21,11-14, Codex purpureus Petropolitanus (Vat. gr. 2305, f. 6r).

21


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Il testo greco

5. Isaia 7,4-15, Codex Marchalianus (Vat. gr. 2125, p. 190). 6. Giobbe 20,29 con catena e illustrazione marginali (Vat. gr. 749, f. 126r).

22

23


Bibbia. Immagini e scrittura

7. Vangelo di Marco 16,1, Lezionario (Vat. gr. 351, f. 67r).

VERSIONI LATINE (200-750) Pierre-Maurice Bogaert Osb

Per valutare la rilevante presenza della Bibbia latina nei fondi della Biblioteca Apostolica Romana dobbiamo prendere in considerazione, da una parte, la storia delle versioni in latino della Bibbia, storia che inizia in Africa intorno al 200 e continua poi in Italia, Spagna, Gallia, Irlanda, Inghilterra e Germania (ci fermeremo alle soglie dell’epoca carolingia) e, dall’altra, quella della Biblioteca Vaticana, che ha inizio con papa Niccolò v a metà del xv secolo. I testimoni del periodo antico risultano tanto più preziosi proprio perché rari e lacunosi. Due sono fondamentalmente le cause che spiegano tale stato di cose. I libri della Bibbia, e in particolare il Salterio e i Vangeli, sono stati abbondantemente copiati e ricopiati di generazione in generazione. Nel corso dei secoli, i tipi di scrittura sono cambiati (onciale, semionciale, scrittura di Luxeuil, ecc. fino alla carolina) e per i lettori di un tempo gli esemplari antichi, deterioratisi oppure ormai difficilmente leggibili, venivano rapidamente smembrati. A ciò si aggiunge un secondo fenomeno peculiare della Bibbia latina. Le traduzioni dell’Antico Testamento dall’ebraico a opera di san Girolamo, la sua revisione dei Vangeli, ben presto accompagnata da quella dei Canoni di Eusebio (Vat. lat. 3806) che permettevano di comparare i passi paralleli dei quattro Vangeli, così come una contemporanea revisione delle Epistole, degli Atti e dell’Apocalisse finirono progressivamente col soppiantare sempre più le vecchie traduzioni, eseguite, per l’Antico Testamento, a partire dal testo in greco dei Settanta. Intorno all’800, le antiche versioni latine sopravvivevano ormai solo accidentalmente. Spesso ce ne rimangono – oltre alle numerose citazioni nelle opere degli scrittori latini cristiani (Cipriano, Lucifero da Cagliari, Ambrogio, Agostino, ecc.) – soltanto pochi resti: pergamene erase e poi riscritte, palinsesti (Vat. lat. 5763 e Pal. lat. 24), la cui lettura, sempre difficile, è tuttavia sovente ancora possibile, o anche fogli usati come guardia o per consolidare delle rilegature, uso che si è perpetuato fino al xvi secolo. Esistono per fortuna delle eccezioni, anche se rare.

I testimoni conservati nella Biblioteca Vaticana I testimoni disponibili non sono antecedenti alla seconda metà del iv secolo, e la nostra esposizione arriverà all’incirca fino al 750, all’inizio dell’età carolingia. In questo lasso di tempo, l’Italia fornisce quasi tutti gli esemplari (quelli di origine africana certa sono rarissimi). Tuttavia, è spesso attraverso lunghi andirivieni

24

che essi sono giunti alla Biblioteca Vaticana, perché il reimpiego della pergamena è avvenuto in Francia e in Germania a partire da esemplari arrivati dall’Italia. Il fondo della Regina Cristina (i Reginensi) proviene in buona parte dalle biblioteche monastiche francesi (ad es. Fleury-sur-Loire: Reg. lat. 1462[1]) private dei loro tesori all’epoca delle guerre di religione nel xvi secolo; esso venne acquistato dalla Vaticana nel xvii secolo (Reg. lat. 9). Il fondo dei Palatini viene dal Palatinato in Germania e, per la sua parte più preziosa, dalla biblioteca monastica di Lorsch (Pal. lat. 24). Biblioteche del genere – Luxeuil, Corbie, Fleury-sur-Loire, Lorsch, Fulda, San Gallo – conservavano antichissimi manoscritti acquisiti dai loro fondatori in occasione di viaggi in Italia, e non era raro che una volta ricopiati nella scrittura dell’epoca, la carolina, oppure stampati successivamente a Basilea o in altri luoghi, i modelli fossero poi gettati fra gli scarti e servissero come palinsesti (anticamente), come rilegature, o anche come “buste” per le carte d’archivio. Oggi questi preziosi esemplari sono rari sia nelle biblioteche francesi, tedesche e inglesi, sia a Roma e in Italia. Si possono dunque individuare due origini principali per i manoscritti latini antichi conservati alla Vaticana: quelli provenienti dall’Italia, ad es. da Bobbio (Vat. lat. 5763; verosimilmente Ott. lat. 66) e da Verona, e quelli acquisiti dai fondatori delle biblioteche monastiche a nord delle Alpi e che, in seguito a circostanze particolari, sono tornati a Roma. Gli uni e gli altri hanno sofferto e sono generalmente frammentari o palinsesti. Per fortuna, le grotte di Qumran, le ceneri del Vesuvio su Ercolano e le sabbie dell’Egitto hanno salvaguardato rotoli e codici che permettono di farsi un’idea del libro – e quindi del libro biblico – nel corso dei secoli, per i quali non è disponibile alcun testimone latino. Non ci si stupirà quindi del fatto che ciò che resta di codici anche meno antichi sia in pessime condizioni. E quel che è vero in generale lo è anche per i testimoni salvaguardati alla Vaticana.

Le discipline messe in campo Molteplici sono le discipline messe in campo per studiare queste preziose reliquie. La paleografia, cioè lo studio delle scritture, è la più conosciuta e la più necessaria sull’immediato: essa permette una lettura attenta, datazioni e localizzazioni approssimative. La codicologia, disciplina più recente, tenta di interpretare tutte le particolarità fisiche dei testimoni: a partire da un bifoglio

25


Bibbia. Immagini e scrittura

conservato è possibile talvolta ricostruire la dimensione del fascicolo di cui faceva parte, di calcolare poi il numero di fascicoli e l’ampiezza del codice prima del suo smembramento (Vat. lat. 14175, f. 1-3; S. Maria in Via Lata I, 45). Il filologo studierà l’ortografia e la grammatica, che variano con le epoche e si liberano dalle regole (bisogna dire: si degradano?) all’epoca merovingia per evolvere verso le lingue romanze. Contemporaneamente si deve identificare con esattezza il testo, biblico nel caso specifico. Si tratta della traduzione di Gerolamo dall’ebraico o dell’una o l’altra delle forme dell’antica Vetus Latina? Gli elementi parabiblici hanno un’enorme importanza: le prefazioni, la numerazione delle sezioni e i capitula o tituli che ne riassumono il contenuto e costituiscono talvolta un inizio di commento; il loro numero rappresenta una peculiarità delle bibbie latine. Vengono poi i confronti con le citazioni dei Padri della Chiesa, ecc. È importante ricordare queste linee di ricerca perché spiegano e giustificano il tempo e la cura riservata dagli specialisti allo studio di siffatti monumenti. Va qui menzionato in modo particolare il Vetus Latina Institut di Beuron che da quasi settant’anni pubblica, libro per libro, dotte edizioni. Attualmente sono uscite la Genesi, Esther, la Sapienza, il Siracide, Isaia, le Epistole paoline, da quelle agli Efesini a quelle agli Ebrei, le Epistole cattoliche e l’Apocalisse. Esdra, Marco e Giovanni sono a buon punto (Freiburg, 1949). E non ci si dimenticherà di ricordare la magistrale edizione critica in diciotto corposi volumi della Vulgata dell’Antico Testamento a opera dei Benedettini di San Girolamo (Roma, 1926-1995).

Un po’ di storia Nei primi secoli del cristianesimo, la lingua corrente del mondo mediterraneo era il greco. Le chiese leggevano quindi l’Antico Testamento nella versione dei Settanta e il Nuovo Testamento in greco. È verosimilmente nell’Africa del Nord che si fece sentire la necessità di proporre ai cristiani una versione latina già antecedentemente al 200, ed è proprio in Africa che fiorì la prima letteratura cristiana in lingua latina, con Tertulliano e Cipriano. Le più antiche traduzioni sono realizzate a partire da testi greci talvolta diversi da quelli che hanno prevalso nei grandi scriptoria del iv secolo (Alessandria, Cesarea, Costantinopoli); per quel che riguarda il Nuovo Testamento, soprattutto i Vangeli e gli Atti, si parla di “testo occidentale”. Non è un caso se il latino e la prima versione siriaca

26

I. Versioni latine

ne sono spesso i migliori rappresentanti: ai margini dello spazio cristiano si sono preservati al meglio testi divenuti obsoleti nei grandi centri. Lo stesso vale per l’Antico Testamento, e non è eccezionale che le antiche versioni latine conservino forme perdute o mal conservate della versione dei Settanta1. La storia successiva di queste versioni primitive è stata quella delle loro revisioni posteriori, eseguite spesso in ordine sparso, sui testi greci diventati quasi ufficiali. Esiste un’altra fonte di variazioni. Con il tempo, l’uso del vocabolario latino ha subito al pari dei luoghi un’evoluzione, passando dall’Africa all’Italia, alla Spagna, alla Gallia. Pertanto, per rendere il greco “doxa”, che nella Bibbia esprime la gloria divina, l’antica versione africana preferiva “claritas”, mentre le revisioni successive hanno generalizzato “gloria”. I lavori esegetici di san Girolamo e soprattutto le sue traduzioni introdussero una rivoluzione nel processo di revisione che avanzava senza intoppi. Dopo aver rivisto la traduzione dei Vangeli e tradotto almeno una parte dei libri dell’Antico Testamento dal greco esaplare, cioè da un’edizione del testo dei Settanta recensito da Origene con l’aiuto dell’ebraico, egli si mise a ritradurre da capo l’Antico Testamento dall’ebraico, a dispetto dell’opposizione più o meno esplicita dei suoi pari, quali Rufino di Aquileia e sant’Agostino. I corrispondenti romani di san Girolamo, eremita a Betlemme, e i loro librai hanno avuto verosimilmente un ruolo determinante nella progressiva diffusione delle sue traduzioni a spese delle antiche versioni. Sant’Agostino, vescovo di Ippona, è un buon testimone di questa transizione. Nelle sue opere, egli cita abitualmente l’antica versione nelle sue diverse forme: quella che ha scoperto negli anni milanesi della sua conversione, quella in uso a Ippona, quelle che trova nelle città dove va a predicare, quella di san Girolamo dal testo dei Settanta esaplare, che egli apprezza, quella infine di Girolamo dall’ebraico di cui fa però uso occasionalmente, non approvandone il principio che la animava ma ammirandone tuttavia il genio letterario. Con il successo delle versioni di Girolamo si accelera l’accantonamento dei vecchi esemplari latini. Elias Avery Lowe ha osservato che, nei palinsesti, il testo eraso può appartenere sia alla Vetus Latina che alla Vulgata, mentre quello sovrascritto non è mai riferito alla Vetus2. E questo è particolarmente vero per l’Antico Testamento; il Nuovo Testamento ha resistito meglio, perché la traduzione dalla Vetus Latina alla Vulgata è nettamente meno sensibile (Vat. lat. 7223).

Codici e pandette «Habent sua fata libelli»: i libri, e non soltanto i testi che essi veicolano, hanno, in quanto oggetti, la loro storia. Sugli aspetti esterni dei più antichi manoscritti della Bibbia latina si consulterà una sintesi illustrata da tavole molto eloquenti3. Il Vaticanus, il Sinaiticus, l’Alexandrinus sono tre pandette assai note che riportano, fin dalla metà del iv secolo, il testo completo della Bibbia in greco, Antico Testamento e Nuovo Testamento. Per la prima volta il codex arrivava ad abbracciare una materia così vasta, e per la prima volta Antico Testamento e Nuovo Testamento si trovavano integralmente riuniti. Nel mondo latino, le bibbie in un unico volume hanno iniziato a essere comuni solo a partire dal ix secolo. Esistono alcuni esempi precedenti, la Bibbia di León (palinsesto) copiata in Spagna nel corso del vii secolo (vl 67) e soprattutto l’Amiatinus, copiato in Northumbria verso il 700, inviato a Roma dall’abate Ceolfrid, conservato dapprima nel monastero del Monte Amiata e trasferito poi a Firenze. Cassiodoro, descrivendo la sua biblioteca a Vivarium (metà del vi sec.), afferma che essa possedeva tre pandette, ossia, sul modello delle grandi compilazioni giuridiche di Giustiniano, tre bibbie in un solo volume. Una era in greco, le altre due in latino, nella traduzione di Girolamo dall’ebraico e nella revisione esaplare dello stesso. Di quest’ultima ci restano soltanto due parti, fra cui il Salterio detto Gallicano, Giobbe e il Cantico dei Cantici, conservato in un commento copiato probabilmente a Vivarium, il monastero di Cassiodoro (Vat. lat. 5704). Nei secoli dei Padri della Chiesa latina, la Bibbia viene il più delle volte trasmessa in una serie di volumi distinti, circa una dozzina, chiamata talvolta bibliotheca. Questa usanza continuerà a essere prevalente a nord delle Alpi fin verso l’800, in Italia fino alle bibbie atlantiche dell’xi e xii secolo. Spesso, peraltro, le prime bibbie in un solo volume sono copiate da esemplari parziali che potevano essere discordanti.

Vetus Latina e Vulgata Quando i Padri latini impiegano il termine “vulgata”, designano con questo nome la versione greca comune della Bibbia, cioè quella dei Settanta, o la sua traduzione latina. Quando papa san Gregorio Magno cita la traduzione di Girolamo di Giobbe, la chiama “nova translatio”, “nuova traduzione”. Nei suoi Moralia in Iob, benché affermi di utilizzare le due versioni, l’antica e la nuova, egli cita quasi sempre la nuova. Il prestigio della traduzione dei Settanta restava grande tra i Padri, ma le sue traduzioni

latine, spesso molto letterali, risultavano sgradevoli all’orecchio. Le qualità letterarie delle traduzioni di Girolamo dall’ebraico hanno finito per abbattere i pregiudizi. Contemporaneamente alla diffusione dell’uso delle bibbie in un unico volume, le traduzioni di Girolamo dall’ebraico prendono il sopravvento e costituiscono già – senza che siano esplicitamente chiamate così – una “vulgata”, cioè una traduzione comune. Agli inizi del ix secolo, le numerose bibbie uscite dallo scriptorium di Tours e la maggior parte delle altre accordano la loro preferenza alle traduzioni di Girolamo. Successivamente, questa stessa preferenza si noterà nelle bibbie giganti dette “atlantiche” all’epoca della riforma gregoriana, a partire dalla metà dell’xi secolo, e sarà accordata anche dalle università e dai librai parigini nella produzione di una moltitudine di bibbie di piccolo formato. Stranamente, il Salterio comunemente utilizzato nella liturgia non fu la traduzione di Girolamo dall’ebraico, ma la sua revisione dell’antica traduzione dal greco esaplare, con il risultato che la maggior parte delle bibbie preferirono il Salterio liturgico (il Gallicano). La liturgia, come si sa, è conservatrice, fa affidamento sulla memoria, rafforzata dal canto, e ne sono una prova anche i cantici biblici e le antifone, trasmessi a volte in una forma appartenente alla Vetus Latina. Fortunatamente per gli storici e gli eruditi, la generalizzazione delle traduzioni di Girolamo non è avvenuta senza intoppi, cosicché, qua e là, si ritrovano alcuni libri nella loro antica versione, la Vetus. Queste testimonianze, che a volte troviamo ancora nel xiii secolo, si aggiungono a quelle, più antiche, che una buona sorte ha salvato dall’oblio. Ma nel nostro caso sono i testimoni più antichi a dover essere menzionati: quelli delle traduzioni nuove di Girolamo, e quelli della Vetus Latina, destinata a sparire. In questo campo, sempre in evoluzione, nulla vale quanto la presentazione e l’illustrazione di alcuni esempi, raggruppati qui in maniera empirica. I fondi della Vaticana forniscono alla ricerca e alla scoperta una materia quasi inesauribile.

Alcuni esempi 1. Palinsesti Vat. lat. 5763

Manoscritti gemelli delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, vergati in corsiva minuscola nel Nord Italia alla metà dell’viii secolo e appartenuti al monastero di Bobbio, uno in Vaticana, Vat. lat. 5763, ff. 3-80, e l’altro a Wolfenbüttel, hab, Weissenburg 64, sono in larga parte

27


Bibbia. Immagini e scrittura

palinsesti, copiati cioè su pergamene di reimpiego erase e lavate, provenienti da vari manoscritti antecedenti. Tre di questi sono biblici (cla i, 39-41 e ix, 1386-1388, **40, **41). Le copie gemelle di Isidoro hanno usato la pergamena degli stessi esemplari smembrati, i cui resti hanno poi seguito due itinerari distinti. Il primo dei manoscritti riutilizzati era la copia, in un’onciale della fine del v secolo, della traduzione fatta da Girolamo di Giosuè-Giudici-Ruth, della quale sopravvivono 77 fogli, 22 nell’Isidoro di Wolfenbüttel e 55 in quello del Vaticano. La presenza di Giosuè può essere ragionevolmente ipotizzata dal momento che Girolamo aveva tradotto in blocco i tre libri dedicandoli a Eustochio, vergine consacrata. Il secondo manoscritto riutilizzato conteneva almeno Giobbe con la prefazione di Girolamo in semi-onciale del vi secolo: ne sopravvivono 22 fogli, 8 a Wolfenbüttel e 14 in Vaticano. I fogli di questi due antichi codici sono anche i più antichi testimoni della traduzione di san Girolamo diventata successivamente la Vulgata. Dom Alban Dold è riuscito a decifrare questi palinsesti e ha ricostruito la disposizione dei fogli nei codici d’origine4. Il terzo manoscritto riutilizzato, un bilingue gotico e latino delle Epistole paoline copiato in un’onciale della fine del v secolo, probabilmente in Italia settentrionale, ha lasciato meno tracce e soltanto nell’Isidoro di Wolfenbüttel: due bifogli di uno stesso quaderno sono conservati con Rm da 11,33 a 15,13. Su ogni pagina, la colonna di sinistra è in gotico, lingua germanica dei Goti ariani nella quale Ulfila (morto nel 383) aveva tradotto gran parte della Bibbia, la colonna di destra è in latino (vl 79). Le Chiese latine del nord-est dell’Italia si erano dovute confrontare con la vicinanza di popolazioni germaniche evangelizzate da Bisanzio: i Vangeli di Brescia hanno una netta affinità con i Vangeli gotici (vl 10); un frammento di Vangelo un tempo a Giessen, ma distrutto nel 1944-1945, è gotico (verso) e latino (recto) (vl 36). Vat. lat. 3281

Manoscritto di lusso copiato in una maestosa onciale del v secolo, forse nell’Italia del Sud, e di cui ci restano undici fogli che riportavano la traduzione di san Girolamo dei Profeti Minori. Ogni foglio, piegato una seconda volta, è servito poi, nel xii secolo, per copiare l’Achilleide di Stazio su un codice di piccolissimo formato in scrittura beneventana (cla i,1,4). Questi fogli sono appartenuti a Fulvio Orsini (morto nel 1600).

28

I. Versioni latine

Pal. lat. 24

Questo manoscritto propone il testo di Tobia, Giuditta, Giobbe ed Esther nella versione di Girolamo. Esso costituisce uno dei codices di una bibliotheca che, per contenere tutta la Bibbia, doveva includerne più di una dozzina. Si tratta di un codice palinsensto. La scrittura superiore, la più recente, è un’onciale che Elias Avery Lowe aveva in un primo momento datato al vii-viii secolo per proporre poi una data più antica, il vi-vii secolo, e una possibile localizzazione nell’Italia del Sud; essa è costituita da fogli palinsesti di diversi autori latini non cristiani. Questa prima parte, danneggiata, è stata restaurata e completata, sempre in onciale, nell’viii secolo (cla 1, 68a e 68b, 69-77). Il manoscritto proviene dall’abbazia di Lorsch, da dove è passato a Heidelberg all’epoca della Riforma, e nel 1623 è stato trasferito con l’essenziale della biblioteca palatina in Vaticano. 2. Frammenti conservati in rilegature o in fogli di guardia Vat. lat. 14175, ff. 1-3

Quel grande bibliotecario che è stato il cardinale Giovanni Mercati ha pubblicato nel 1941 sette frammenti recuperati da una rilegatura proveniente dalla Spagna (cla Suppl. 1767; vl 192). Essi conservano brandelli dei capitoli da 1 a 5 di Isaia nell’antica versione africana già europeizzata. La dimensione originale dei fogli può essere stimata in 250 x 250 mm, cioè un formato quadrato, il che è indice di antichità, e lo specchio di scrittura, su due colonne, in 180 x 160 mm. La rilegatura doveva contenere, oltre a Isaia, verosimilmente uno o più altri profeti. La scrittura è un’onciale della fine del v secolo. Reg. lat. 1462, pt 1

Di questo codice in onciale (fine vi sec.) che doveva contenere i quattro libri dei Re nella traduzione di Girolamo, e che proviene da Fleury, cinque bifogli sono conservati a Orléans, bm 19(16), ff. 1-10; un foglio si trova tra i fondi della Regina. Essi erano serviti come guardia per un manoscritto del ix secolo (cla i, p. [34] e vi, 797). S. Maria in Via Lata, i.45

Il bifoglio, essendo servito da guardia a un manoscritto dei Vangeli, è a tal punto compresso e danneggiato che se ne possono leggere soltanto le facce esterne. Il recto del primo foglio contiene Giobbe 39,24-35, 40,1-3, e il verso del secondo Giobbe 41,15-6, 42,1-7; è vergato in una semi-onciale del vi-vii secolo ed è stato strappato da un

manoscritto smembrato di Giobbe nella traduzione di san Girolamo dall’ebraico, la nostra Vulgata5. 3. Esempi di codici ben conservati Vat. lat. 5704

Non si deve dimenticare che i commenti sono un veicolo importante dei testi biblici e, in particolare, del testo biblico di volta in volta iscritto in testa alla spiegazione, il quale non sempre corrisponde a quello che è stato poi commentato. Di questo passaggio infatti i copisti riprendevano a volte solo le prime e le ultime parole. In seguito, comprensibilmente, è sembrato utile completarlo, ma lo si è fatto servendosi di un manoscritto di volta in volta disponibile e che non era più quello utilizzato dal commentatore. Questo codice ne è un bell’esempio (cla i, 25). La traduzione latina del commento greco di Filone di Carpasia al Cantico dei Cantici è attribuita a Epifanio lo Scolastico, un amico di Cassiodoro. Essa è conservata in un manoscritto contemporaneo alla sua redazione, circostanza eccezionale. Ma i lemmata o lemmi, cioè le porzioni del testo biblico commentato, discordano dal commento. Ciò è dovuto al fatto che il testo biblico latino è stato preso a prestito direttamente da un manoscritto biblico preesistente. Nel caso in questione, padre Alberto Vaccari è riuscito a dimostrare che si trattava della traduzione di san Girolamo, ma non quella realizzata nel 398 dall’ebraico bensì quella che aveva eseguito in precedenza, verso il 387, dal greco e più precisamente sulla base della revisione esaplare di Origene6. Sia dell’una che dell’altra traduzione conserviamo ancora le prefazioni di Girolamo. Questo codice conservato integralmente non può non suscitare ammirazione. Esso è copiato in una bella onciale della seconda metà del vi secolo: nulla impedisce che provenga da Vivarium, il colto monastero fondato da Cassiodoro in Calabria. Il correttore potrebbe addirittura essere lo stesso Cassiodoro7. Vat. lat. 7223, ff. 1-66

Questo Vangelo secondo Matteo, copiato in Italia in un’onciale della fine del v secolo, nel vii secolo si trovava probabilmente in Francia, dove è stato completato dagli altri tre Vangeli nello stesso formato. Mentre Matteo è nella vecchia versione latina (vl 12), Marco, Luca e Giovanni, aggiunti in Francia, sono nella versione vulgata (cla i, 53-54). Il manoscritto si trovava nel collegio dei gesuiti di Clermont (l’attuale liceo Louis le Grand) a Parigi nel

xvii secolo, da cui il suo nome Claromontanus dei Vange-

li (da non confondere con un altro Claromontanus, una copia bilingue delle Epistole paoline: bnf, Gr. 107ABC). La storia di questo codice illustra bene il passaggio progressivo dalle antiche versioni alla traduzione di Girolamo e gli imprevisti connessi al processo di trasmissione dei manoscritti antichi.

4. Vulgata et Vetus Latina Ott. lat. 66

Questo manoscritto è appartenuto al cardinale Marcello Cervini, diventato papa col nome di Marcello ii (morto nel 1555): è stato copiato nell’Italia Settentrionale intorno al 700 da un prete chiamato Dominicus, probabilmente – date alcune caratteristiche insulari – nel centro monastico di Bobbio. Il manoscritto comprendeva il Pentateuco seguito da Giosuè, Giudici e probabilmente Ruth, nella traduzione di san Girolamo dall’ebraico (il testo si interrompe a Giudici 13,20); Girolamo aveva tradotto il Pentateuco già nel 393 e, solo molto dopo, nel 404, Giosuè, Giudici e Ruth, raggruppati insieme. Il modello utilizzato da Dominicus era in scriptio continua, cioè senza divisione delle parole; per di più era molto corrotto: passi illeggibili, fogli mancanti. Per rimediarvi, il copista ha fatto ricorso a un altro manoscritto (per la Genesi e Esodo) che non riportava la traduzione di Girolamo dall’ebraico bensì l’antica traduzione latina, la Vetus Latina. Nel Levitico il copista non ha colmato le lacune, il che fa pensare che non disponesse di un altro esemplare di questo libro, qualsiasi fosse la traduzione latina. Dobbiamo concludere che, in un centro di copia del Nord Italia intorno al 700, la traduzione di Girolamo era una rarità, ben lontana dall’essere “vulgata”. La scrittura è un’onciale, l’impaginazione è su due colonne, come spesso avviene nei manoscritti biblici. Benché il formato quadrato a colonna unica sia abbastanza frequente, il formato “portrait” in due colonne è già attestato alla fine del iv secolo e ha finito per prevalere (per maggiori dettagli, cfr. cla i, 66 e vl 102).

8-9

5. I Canoni di Eusebio Vat. lat. 3806, ff. 1-2

La revisione dei Vangeli da parte di Girolamo è abitualmente accompagnata da una traduzione latina dei Canoni di Eusebio. Un sistema al contempo semplice e complesso – fatto di indicazioni marginali o infratestuali

29

10


Bibbia. Immagini e scrittura

A fronte:

8. Colophon di Dominicus, Eptateuco (Ott. lat. 66, f. 112v).

e di tavole presentate in testa, il più delle volte sotto un decoro di archi – permette di individuare i passi paralleli nei quattro Vangeli. Non sappiamo in quali circostanze questo bifoglio, corrispondente al primo e ultimo foglio del quaderno contenente i Canoni, è stato legato a un sontuoso Sacramentario copiato a Ratisbona alla fine del x secolo8. I fogli dei Canoni, spesso istoriati con maestria e opulenza, costituivano il primo fascicolo del codice dei Vangeli: essi erano quindi facilmente staccabili. L’antichità di quelli qui presi in esame, copiati in Italia nel vi secolo con i titoli in capitale rustica, ne fanno un esemplare prezioso, il più antico della “piccola” serie in dodici pagine9. 6. Utilizzazione liturgica Barb. lat. 570

L’approfondimento di Michelle Brown (cfr. pp. 140143) sarà l’occasione per tutte le precisazioni utili. Un libro del genere non è soltanto testimone del testo che trasmette ma anche della vita ecclesiale di cui è stato partecipe. Reg. lat. 9 11

Il codice, copiato in un’onciale della metà del vii secolo nell’Italia del Nord (Pavia, Milano, Ravenna?), è

30

I. Versioni latine

Pagine seguenti:

9. Statua Agni e inizio del Levitico, Eptateuco (Ott. lat. 66, f. 113v-114r).

costituito essenzialmente dalle Epistole paoline (cla i, 100). Esso è preceduto da un Comes, un “compagno”, cioè da una lista delle pericopi liturgiche lette durante la messa, indicate dalle prime e ultime parole di ciascuna e che conservano le formulazioni della Vetus (vl 84). Inoltre, a margine, alcune indicazioni per l’uso liturgico in Francia sono annotate in una corsiva dell’viii secolo. Esse corrispondono in buona parte alle indicazioni del Comes. Così, al f. 41v, si legge «In calendas ianuarias» davanti a «De escis autem» (i Cor 8,4) per la messa contra idola del 1 gennaio. Al f. 49v, dopo la fine della i Ep. ai Corinzi con la sticometria (N.V. dcccl= 850 stichi), traccia residuale di una valutazione della lunghezza e del valore degli esemplari presso i librai antichi, si riconosce la serie di capitula propria di questo manoscritto, caratterizzata da formulazioni lunghe e poco numerose (sei soltanto per la ii ai Corinzi). I capitula sono gli antenati della nostra divisione in capitoli dei libri biblici. Essi sono di solito costituiti da un elenco di titoli (tituli) numerati in cima a ogni libro, e i numeri sono ripresi in margine al testo stesso. Ce ne sono di diversi tipi, ma nessun sistema ha prevalso fino al xiii secolo, quando le università e l’editoria parigina hanno imposto il loro, permettendo così la realizzazione di concordanze verbali10.

31


Bibbia. Immagini e scrittura

32

I. Versioni latine

33


Bibbia. Immagini e scrittura

34

I. Versioni latine

35


Bibbia. Immagini e scrittura

Precedenti:

10. Canoni di Eusebio (Vat. lat. 3806, f. 1v-2r).

11. Lettera ai Galati, Epistole di Paolo (Reg. lat. 9, ff. 62v-63r).

VERSIONI IN ALTRE LINGUE

LE VERSIONI COPTE Paola Buzi

La formazione della Bibbia copta: dalla varietà dialettale delle origini alla standardizzazione dell’Alto Medioevo. La Bibbia ha avuto un ruolo determinante nella nascita e nello sviluppo della cultura letteraria e manoscritta dell’Egitto cristiano, rappresentando la sua traduzione dal greco la prima fase della lenta e, per certi versi, mai compiuta formazione della letteratura copta. Al di là del suo valore religioso, essa ha costituito il nucleo originario di un nuovo momento della produzione letteraria in lingua egiziana – essendo il copto, a pieno titolo, una delle fasi della lingua autoctona, seppur arricchita da molti prestiti lessicali greci e destinata a essere mezzo espressivo esclusivo delle comunità cristiana, gnostica e manichea – rappresentando la pervicace affermazione di un’identità egiziana, da affiancare, se non da contrapporre, a quella greca. È bene tenere presente che, per buona parte della sua storia (iv-xi secolo), l’Egitto cristiano è stato caratterizzato da un diffuso e ben radicato bilinguismo. Se da una parte il greco ha sempre mantenuto il ruolo di lingua “alta”, rappresentando lo strumento linguistico della comunicazione ufficiale – all’interno dell’episcopato alessandrino e nei rapporti tra questo e le sue diocesi, ma anche nell’ambito dell’amministrazione civile – dall’altra il copto, nato appunto inizialmente come lingua di traduzione (iii-v secolo), si è progressivamente guadagnato uno spazio sempre maggiore, venendo utilizzato sia come lingua corrente, sia per la produzione di una letteratura originale (dal v al ix secolo), sia infine, seppur minoritariamente, come mezzo espressivo ufficiale di certi ambienti monastici ed ecclesiastici1. La letteratura copta dunque – di cui, come si è detto, le traduzioni delle opere bibliche dal greco rappresentano la prima fase produttiva (iii-v secolo) – costituisce solo una parte della produzione testuale dell’Egitto cristiano2. Non sorprende dunque che le prime traduzioni bibliche furono fortemente influenzate dalla marcata regionalità e dalla conseguente differenziazione dialettale propria dell’Egitto di quel periodo3. Tali dialetti (achmimico, fayyumico, licopolitano, boairico, saidico, ecc.), la maggior parte dei quali destinata a scomparire prima del vi secolo, si distinguevano prevalentemente per

36

la fonetica, ma talora anche per il lessico e la sintassi4. Quando il dialetto saidico prese il sopravvento su tutti gli altri, divenendo la lingua letteraria dell’Egitto copto (iv-v secolo) – pur non sostituendo mai del tutto il greco – le traduzioni bibliche andarono incontro a un processo di standardizzazione, destinato a durare fino all’xi secolo, epoca in cui il copto lasciò lentamente il posto all’arabo. Al tempo stesso, tuttavia, già dal iv secolo, quello che viene definito dagli specialisti come proto-boairico, ovvero uno dei primi dialetti in uso nel nord del Paese, era stato utilizzato per le prime traduzioni delle Scritture. Dall’viii secolo il dialetto boairico, più stabile e più diffuso del proto-boairico, di cui in qualche modo costituisce l’evoluzione, cominciò a sostituire il saidico come lingua letteraria dell’Egitto copto; in conseguenza di ciò, prese forma anche una Bibbia boairica, che ebbe uno sviluppo e una diffusione parallela rispetto a quella in saidico, mostrando di frequente una maggiore aderenza alla versione greca. Le versioni saidica e boairica della Bibbia copta devono quindi essere considerate traduzioni indipendenti5, come dimostra anche la tradizione dei titoli, sviluppatisi in maniera diversa nei due dialetti6. Non sappiamo con esattezza quando e dove sono state prodotte le prime traduzioni e in quale dialetto, e molti aspetti concernenti la relazione tra le diverse versioni sono lontane dall’essere state chiarite. Persino la data in cui la traduzione dell’Antico e del Nuovo Testamento è stata completata è oggetto di discussione, anche se gli specialisti sono propensi a collocarla entro il iv secolo7. D’altra parte, la Vita di Antonio (251-356 ca.), celebre “padre” del monachesimo egiziano, convertitosi al cristianesimo intorno al 270 dopo aver ascoltato un passo del Vangelo di Marco letto in copto nel sud dell’Egitto (dunque in saidico), costituisce un importante riferimento cronologico. Non esistono manoscritti copti che contengano l’intera Bibbia, neppure in più tomi; inoltre, mentre possediamo l’intero Nuovo Testamento, sia in saidico che in boairico, seppure attraverso l’integrazione di vari manoscritti frammentari, lo stato di preservazione dell’Antico Testamento è molto più lacunoso8: è possibile infatti stimare la sua sopravvivenza in saidico al 70%, mentre in boairico al 60%9. Lo studio della tradizione manoscritta dell’Antico Testamento, in tutti i dialetti, è attualmente oggetto di un progetto di ricerca internazionale diretto da Heike

37


Bibbia. Immagini e scrittura

Behlmer presso l’Università di Göttingen e denominato Digital Edition of the Coptic Old Testament.

I manoscritti vaticani Lo straordinario patrimonio della Biblioteca Apostolica comprende alcuni esemplari di manoscritti biblici in lingua copta che, oltre a essere tra i più antichi, sono esemplificativi di alcune delle varianti regionali attraverso cui si è formata una “Bibbia egiziana”. Pap. Vat. copt. 9 12

Il manoscritto Pap. Vat. copt. 9, contenente i Profeti Minori, rappresenta in questo senso un caso esemplare e, al tempo stesso, unico nel suo genere. Si tratta di un codice di provenienza sconosciuta, databile al iv secolo, acquisito dalla Vaticana nel 1980 e subito sottoposto a restauro. Ciò che rende particolarmente interessante questo esemplare non è solo il supporto scrittorio – il papiro, che cessò progressivamente di essere utilizzato in Egitto a partire dall’viii secolo – ma soprattutto il dialetto, il proto-boairico, di cui si è già detto, e che fa supporre la sua genesi e la sua circolazione nel nord dell’Egitto10. Si tratta di uno dei più antichi codici biblici in assoluto, in particolare dell’Antico Testamento. Bisogna infatti considerare che, con pochissime eccezioni (come i cosiddetti Papiri Bodmer), tutti gli altri frammenti veterotestamentari rinvenuti in Egitto sono in dialetto saidico e sono databili a un’epoca molto più recente, vale a dire al x-xi secolo. Pap. Vat. copt. 9 è un codice attualmente privo di legatura antica e si compone di sei senioni, ovvero di sei fascicoli ciascuno dei quali composto da sei bifogli sovrapposti e piegati, preceduti da un foglio di guardia bianco e seguiti da un foglio scritto solo sul recto11. I fogli papiracei, di colore bruno scuro, talvolta rinforzati da altre striscioline di papiro e privi di decorazione, hanno una dimensione media di 195/200 x 145/150 mm; il margine superiore è pressoché inesistente, fatto che può essere imputato a una consunzione avvenuta già in antico, mentre gli altri margini sono più ariosi. La paginazione è centrale e regolare, mentre manca la numerazione dei fascicoli. La scrittura, disposta su una sola colonna, appartiene alla tipologia talvolta definita “onciale biblica” ed è regolare ed elegante. L’estrema varietà con cui sono decorati e disposti i titoli, prima o dopo rispetto alle singole opere

38

I. Versioni in altre lingue

cui sono attribuiti, dimostra che il codice si caratterizza per tradizioni grafiche e paratestuali ancora in evoluzione e che il “libro copto” è ancora lontano dall’aver raggiunto consolidati standard grafici ed estetici. Da un punto di vista testuale, la recensione del codice papiraceo vaticano sembra dipendere dalla “versione palestinese” della Septuaginta, vale a dire dalla traduzione greca ottenuta a partire dall’ebraico12. Maggiormente complessi i suoi rapporti con le versioni “classiche” più tardive in dialetto boairico: se, infatti, in alcuni casi è riscontrabile un rapporto, seppur non lineare, tra queste ultime e Pap. Vat. copt. 9, in altri casi esse mostrano una totale indipendenza, manifestando quanto complicata sia la ricostruzione delle dinamiche della formazione e dello sviluppo della Bibbia copta13, formatasi attraverso iniziative scribali parallele che solo talvolta – volontariamente o accidentalmente, è difficile dirlo – si sono incrociate, almeno fino all’affermarsi di una versione standardizzata in dialetto saidico. Borgiano copt. 109

La segnatura Borg. copt. 109 comprende ventinove cassette di legno e cuoio e due volumi rilegati modernamente, che a loro volta preservano numerosi manoscritti pergamenacei in dialetto saidico. Essi appartenevano in origine al cardinal Stefano Borgia (Velletri 1731-Lione 1804), che li aveva raccolti nella sua casa-museo di Velletri, e sono oggi divisi tra la Biblioteca Apostolica Vaticana14 e la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele iii di Napoli15. I manoscritti in questione, consistenti in frammenti – per lo più fogli sfusi –, provengono dalla celebre biblioteca del Monastero Bianco, importante centro monastico dell’Alto Egitto situato a Sohag, nei pressi dell’antica Panopolis e indissolubilmente legato alla figura di Shenute di Atripe (348-466 ca., secondo la tradizione), archimandrita del monastero e primo autore originale di opere copte. Essi tuttavia risalgono a un’epoca molto posteriore a quella in cui visse e operò Shenute, essendo per lo più databili tra il x e l’xi secolo. Stefano Borgia fu il primo collezionista europeo a entrare in possesso di manoscritti provenienti da questo monastero, ma in seguito essi raggiunsero molte altre biblioteche e collezioni private, tanto che il loro studio ha richiesto e richiede tuttora un’accurata ricerca dei frammenti complementari originariamente appartenuti a un singolo codice.

13

Nessun manoscritto saidico della biblioteca del Monastero Bianco ci è giunto nella sua interezza, seppur pazientemente ricostruito a partire dai suoi frammenti. La situazione è al contrario così disperante che buona parte dei circa trecento codici finora identificati e classificati (nell’ambito del progetto Corpus dei Manoscritti Copti Letterari, fondato e diretto da Tito Orlandi) può dirsi ricostruita solo al 10-15% della originaria consistenza. Della collezione borgiana, la Biblioteca Vaticana ha ereditato quasi tutti i manoscritti biblici (pochi altri sono a Napoli). Essi sono tuttora conservati nei contenitori originali borgiani e protetti da fogli cartacei (“fascicoli”) su cui sono ancora leggibili le annotazioni di Jörgen/Georg Zoëga (Daler 1755-Roma 1809), l’egittologo, coptologo e filologo danese che catalogò per il Borgia l’intero fondo manoscritto16. Tra i codici biblici borgiani si distingue per interesse il Borg. copt. 109 cass. i fasc. 5, sei fogli pergamenacei contenenti passi del Levitico (i,34-ii,13). I fogli superstiti sono fortemente danneggiati nei margini (a eccezione di quello inferiore che appare generalmente ben conservato) e talvolta anche nella parte centrale, fatto che tradisce una voluta manomissione degli stessi già in antico. Il codice è privo di decorazioni, se si escludono alcune lettere capitali lievemente ingentilite ma certamente non eseguite da personale specializzato, bensì dalla stessa mano del copista che ha trascritto il codice. Il testo è disposto su due colonne ed è vergato con una scrittura bimodulare, molto in voga in quei secoli e che vi sono buone ragioni per ritenere elaborata in ambiente fayyumico e più precisamente nell’ambito delle attività scribali del Monastero dell’Arcangelo Michele. La pergamena presenta evidenti tracce di lavorazione, tra cui alcune striature dovute all’azione meccanica relativa alla levigatura17 e si connota per una qualità certamente non alta. Il vistoso foro del f. 1, ad esempio, permette di comprendere che i codici del x-xi secolo della biblioteca del Monastero Bianco devono spesso essere stati prodotti senza troppo badare alla qualità dei supporti scrittorî e probabilmente anche con una certa fretta. Si tratta di condizioni culturali e ambientali di estremo interesse, che aiutano a comprendere come nei centri culturali del Medioevo egiziano ci si adoperasse con difficoltà alla preservazione della letteratura copta in un Paese che da più di tre secoli parlava e scriveva in arabo. Decisamente più curati sono i nove fogli di Borg. copt. 109 cass. x fasc. 32 contenente alcune lezioni da vari libri dell’Antico Testamento18. Il codice, certamente utilizzato

con funzione liturgica, è un esempio non comune di manoscritto decorato proveniente dal Monastero Bianco. Il f. 2r, ad esempio, presenta un alfa capitale il cui corpo è campito da un viso; da esso si diparte verticalmente un motivo floreale che nel margine inferiore del foglio si biforca, terminando in due volute ai lati delle quali si trovano dei felini policromi dalle strane code. Altri animali fantastici e persino rari motivi antropomorfi sono presenti su tutti i fogli, facendo di ciò che rimane di questo codice uno degli esemplari più ricchi tra quelli rinvenuti nel Monastero Bianco. I titoli delle lezioni sono generalmente rubricati. Il testo è disposto su due colonne di elegante scrittura bimodulare, vergata con un calamo dalla punta aguzza, la pergamena è ben rigata e di buona qualità. Pur tenendo ben presenti le frammentarie condizioni in cui sono stati rinvenuti i manoscritti del Monastero Bianco e che ciò che ci è giunto non è che una minima parte dell’originario patrimonio librario del monastero, peraltro riferibile a una fase molto tarda, non si può non osservare quanto numerosi fossero i codici contenenti i Vangeli. Tale copiosità non può essere spiegata con un uso personale da parte dei monaci – anche perché i codici sono tutti di grande formato, dunque poco maneggevoli e non adatti a essere letti in cella – ma deve essere ascritta, ancora una volta, a un uso liturgico, di cui tuttavia assai poco è noto, almeno fino al xiii secolo. In molti casi i codici contenenti il Tetravangelo si presentano come dei prodotti librari di particolare pregio: la pergamena è ben lavorata, tanto da non permettere di riconoscere facilmente il lato pelo dal lato carne, e di colore chiaro, la paginazione è accurata e decorata, i margini sono ampi. Ne è un tipico esempio il manoscritto Borg. copt. 109 cass. xviii fasc. 64, contenente parte dei Vangeli di Luca e Giovanni. Non è dunque casuale se a questi codici evangelici viene riservato l’uso di una scrittura più antica (v secolo), e dunque di maggior pregio, sapientemente imitata ancora nel Medioevo, che si caratterizza per la rotondità e regolarità delle lettere e per una netta contrapposizione tra tratti pieni e tratti sottili. La decorazione, seppur ridotta a poche volute e stilizzati motivi vegetali, è anch’essa estremamente elegante. I codici manoscritti biblici della Biblioteca Vaticana sono dunque ben più che preziosi testimoni della storia della tradizione manoscritta copta, ma veri e propri capitoli della storia – culturale, religiosa e libraria – dell’Egitto cristiano.

39


Bibbia. Immagini e scrittura

12. Abdia e Giona, Profeti Minori (Pap. Vat. copt. 9, pp. 73 e 90).

40

I. Versioni in altre lingue

13. Lezionario proveniente dal Monastero Bianco (Borg. copt. 109 cass. x fasc. 32, f. 7v).

41


Bibbia. Immagini e scrittura

LE VERSIONI ARABE Juan Pedro Monferrer-Sala I primi esempi di versioni della Bibbia in lingua araba risalgono all’epoca preislamica (‘asr al-jahiliyya) se prestiamo fede, tra gli altri, a quanto racconta il cristiano Waraqa b. Nawfal – cugino di Khadija, la prima sposa del profeta Maometto – che allude all’esistenza di una versione araba dei Vangeli. È presumibile che, oltre ai Vangeli, anche l’Antico Testamento o alcune sue parti circolassero in arabo tra le comunità ebree e cristiane. Il bisogno di testi biblici per la loro attività liturgica rendeva indispensabile che ci fossero traduzioni, anche parziali, della Bibbia in arabo, che era la lingua di comunicazione di cristiani ed ebrei già prima del sorgere dell’Islam. Di grande interesse per le sue caratteristiche linguistiche è il frammento del Salmo 78 (lxx 77) scoperto nel xix secolo nella Qubbat al-Khazna della moschea degli Omayyadi a Damasco. Si tratta di un testo su due colonne: il testo greco in caratteri onciali a sinistra e le glosse arabe (non la traduzione idiomatica) a destra, anch’esse in caratteri greci onciali. Il frammento è stato tradizionalmente attribuito al vii secolo, con fluttuazioni nella datazione comprese tra la fine del vii e il ix secolo. Altri autori hanno suggerito di datarlo ancor prima del vi secolo, ubicandolo così in tempi pre-islamici e in un ambiente non-arabo. Bisognerà aspettare fino ai secoli viii-ix, già in epoca abbaside, per avere i primi riferimenti a testi biblici in arabo. Il musulmano Ibn al-Layth, che per conto del califfo Harun al-Rashid rivolge un testo di scuse all’imperatore bizantino Costantino vi (780-797), cita passaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento in arabo. E citazioni di questo tipo si trovano in altri testi di autori musulmani di quel secolo, come quelli del tradizionalista di origine ebrea convertito all’Islam Wahb b. Munabbih (morto tra il 725 e il 737). Si pensa che questi scrittori musulmani, almeno quelli che non avevano pratica nelle lingue sacre di ebrei e cristiani, abbiano dovuto usare le versioni in arabo esistenti, sempre che non fossero istruiti oralmente da informatori ebrei e cristiani. Una versione biblica, parziale, che sembra sia stata realizzata a partire dalla versione greca dei Settanta, è attribuita a Hunayn ibn Ishaq (808-873). Tuttavia, questa versione non ci è arrivata, se non attraverso le citazioni indirette di altri autori, cristiani e musulmani, che per il

42

I. Versioni in altre lingue

momento non possiamo verificare. Nel ix secolo l’autore musulmano al-Mas‘udi (morto nel 956 d.C.) afferma che ai suoi tempi la Bibbia era stata tradotta in arabo diverse volte, e il bibliografo Ibn al-Nadim (morto nel 995/8 d.C.) attribuisce a un certo ‘Abd Allah ibn Salam la traduzione in arabo del Pentateuco, dei Vangeli, dei Profeti e di altre parti del Nuovo Testamento a partire dall’ebraico, dal greco e dal sabeo (ossia l’aramaico). Il ix secolo è il momento in cui iniziano a prodursi sistematicamente le traduzioni arabe dei Vangeli e dei restanti libri del Nuovo Testamento, come pure di alcuni libri dell’Antico Testamento (Pentateuco, Isaia, Geremia, Giobbe, Ezechiele e Daniele). A questo momento risale il testo più antico fino a oggi conosciuto (sma, Sin. ar. 151) del monastero di Mar Katirina (S. Caterina), nel Sinai. Nella subscriptio di questo manoscritto si legge che Bishr al-Sirri terminò la traduzione dal siriaco delle Epistole paoline e cattoliche e degli Atti degli Apostoli a Damasco, nel mese di Ramadan dell’anno 253, vale a dire l’867 della nostra era. I codici arabi cristiani più antichi provengono dai monasteri di Mar Katirina, Mar Saba (S. Saba) e Mar Khariton (S. Caritone), nella Palestina meridionale, dove un nutrito e qualificato numero di traduttori, scribi e copisti melchiti lavorarono all’elaborazione, traduzione e copia di testi biblici durante secoli. Quest’importante impresa stimolò la nascita e lo sviluppo della produzione cristiana in arabo e contribuì, insieme ai monaci di altri monasteria, alla creazione di un nuovo veicolo di trasmissione culturale del testo biblico – in questo caso in arabo – che era la lingua dei cristiani d’Arabia prima dell’arrivo dell’Islam.

attraverso procedimenti paleografici, anche se in seguito il Graf l’ha attribuito al ix secolo, che è la data al momento accettata. Le parti più antiche mostrano una scrittura di transizione kufi-naskhi, mentre le più recenti sono di tipo naskhi. L’importanza della traduzione, invece, deve valutarsi a partire dalla doppia tradizione manoscritta del testo: quella greca e quella siriaca della Peshitta. Nell’ambito di quella parte di traduzione comprendente i frammenti conservati dei quattro Vangeli, uno degli aspetti più rilevanti è la sua natura di Vorlage concreta che era servita per realizzare la traduzione dei testi. Il Guidi segnalò correttamente che il testo più antico fu tradotto a partire da un originale greco, e il più moderno, utilizzato per supplire al testo perduto, fu reso a partire dalla Peshitta. Secondo Guidi la sezione più antica conteneva una traduzione libera e di carattere parafrastico. Nella nostra opinione il traduttore arabo non pretendeva in alcun modo di offrire una parafrasi del testo greco, come si deduce dalle strategie che adottò. Il traduttore combinò, in modo originale e intelligente, traduzione e commento a dosi opportune per fare in modo che l’esegesi contribuisse a illustrare il testo tanto nella traduzione propriamente detta come nell’interpretazione degli elementi scelti dal traduttore. L’opera esegetica svolta dal traduttore segue la strategia di non limitarsi alla mera traduzione dell’originale allorché il testo richiede spiegazioni per motivi diversi come la complessità di un certo passaggio o di un concetto concreto. Per questo il traduttore ricorse al lavoro complementare di aggiungere informazioni ai segmenti di traduzione con il fine di arricchirli. Si tratta di una tecnica rivoluzionaria che denota, tralaltro, la levatura intellettuale del traduttore.

Vat. ar. 13 (Vangeli e Lettere di Paolo) Un caso interessante è il Vat. ar. 13, manoscritto originario del monastero di Mar Saba, nel deserto della Giudea. I testi che costituivano questo codice non si sono conservati integralmente. Attualmente possediamo solo due corpora di testi: la epistolografia paolina, completa, e i quattro Vangeli, incompleti. Tuttavia, grazie al foglio finale, scritto in onciale greca, con cui si chiude il codice, sappiamo che questo includeva anche il libro dei Salmi, gli Atti degli Apostoli e le rimanenti epistole. Il materiale conservato risulta rilegato erroneamente. L’importanza del codice deriva da due aspetti: la data e la natura della traduzione. Il testo, che non è datato, era stato assegnato in un primo momento all’viii secolo

Borg. ar. 95 (Vangeli)

14 15

La versione contenuta nel Borg. ar. 95, insieme ad altre traduzioni, è la prova di una realtà culturale alla quale il cristianesimo orientale dovette adattarsi di for-

ma immediata: l’adozione di una nuova lingua veicolare, l’arabo, con la quale si riuscì a catalizzare in modo efficace e brillante il movimento di traduzione biblica greco-araba dei secoli viii-x e con esso il passaggio dei testi sacri alla nuova lingua. Questa traduzione è un altro esempio interessante delle prime versioni dei Vangeli in arabo. Si tratta di un manoscritto pergamenaceo del secolo ix copiato, secondo alcuni studiosi, nell’anno 885 della nostra era. Il codice, che proviene dal monastero di Mar Saba, mostra una scrittura naskhi, è costituito da 173 fogli e contiene i quattro Vangeli tradotti a partire da un testo greco. Come nel caso del Vat. ar. 13, questa versione non solo è importante per la sua precoce data di composizione ma anche per il tipo di traduzione che presenta: quasi letterale, molto simile al tipo traduttologico che caratterizza un altro degli esemplari manoscritti più antichi, sma, Sin. ar. 72 (ix sec.). Il traduttore tenta costantemente di stabilire una coincidenza formale tra la sua traduzione e l’originale greco utilizzato. A tal fine ricorre a una struttura sintattica in cui cerca di adattare il più possibile l’ordine delle parole al testo greco. Tuttavia, non tutto il testo rappresenta una versione letterale dell’originale greco, considerato che ci sono casi in cui il traduttore impone uno stile personale ispirato tanto dalle regole dell’arabo classico come dalle interferenze dell’intorno dialettale dell’arabo medio. Ci sono inoltre casi in cui il traduttore offre traduzioni assolutamente libere. Come nel resto delle traduzioni arabe cristiane, la natura del lessico utilizzato ha un enorme valore linguistico, dato che il numero dei prestiti lessicali e dei neologismi è considerevole. I prestiti del Borg. ar. 95 provengono soprattutto dall’arameo e dal greco, in misura minore dal persiano e indirettamente (per mediazione dell’arameo e del greco) dall’ebraico e dal latino. Questo sincretismo linguistico, frutto di un contatto secolare, fa parte di quell’universo plurilingue nel quale lavorarono i traduttori arabi cristiani1.

43


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

14. Seconda lettera di Paolo a Timoteo, 1,1-12 (Vat. ar. 13, f. 160v).

44

15. Vangelo di Marco, Mc 1,1-8 (Borg. ar. 95, f. 53v).

45


Bibbia. Immagini e scrittura

LE VERSIONI SLAVE Barbara Lomagistro La traduzione della Sacra Scrittura nella lingua slava segna il punto di avvio della tradizione scrittoria per tutti gli slavi – insediatisi dopo la grande migrazione in territori interni o finitimi all’Impero romano e convertiti al cristianesimo in momenti diversi – e in virtù di questo costituisce il principale capitolo di indagine degli studi mirati a ricostruire le fasi più antiche e nebulose di questa tradizione. Se, da un lato, la traduzione completa della Bibbia è segnalata dall’agiografo come ultima opera compiuta da Metodio1, arcivescovo di Moravia, poco prima della morte (avvenuta nell’885), dall’altro mancano concreti riscontri di questa testimonianza – al di là della conferma data da Giovanna Esarca di Bulgaria nella prefazione alla sua traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno2 –, in termini di testi o manoscritti sicuramente derivati da questa traduzione. Le indagini finalizzate a rintracciarla sono ancora in corso. Poco più sicura, ma dai contorni egualmente sfumati, appare la notizia – parimenti riferita dalle Vitae di Costantino-Cirillo e Metodio3 e dal citato Giovanni Esarca – che Costantino, inventata la scrittura per la lingua slava (862/863), avrebbe inizialmente tradotto il Lezionario contenente le pericopi evangeliche per l’anno liturgico, iniziando da Pasqua con Gv 1,1-17, e prima della sua morte (869) i due fratelli avrebbero ultimato la traduzione del Lezionario contenente le letture tratte dagli Atti e dalle Lettere degli Apostoli, il Salterio e una selezione di officiature liturgiche. La tradizione manoscritta superstite – separata da un consistente intervallo di tempo da questi eventi – conferma tale quadro, benché, dal punto di vista testuale, la tradizione del Vangelo slavo non sia monolitica ma, al contrario, mostri che la traduzione primitiva ha subito, già a partire dal x secolo, numerosi interventi redazionali, spesso indotti da controlli sul testo greco. Questi processi non hanno ancora, nelle ricostruzioni effettuate, contorni ben definiti e nitidi. Risulta però che i manoscritti del Vangelo sono aggregabili in diversi gruppi, di consistenza numerica molto varia e i cui rapporti reciproci non sono ad oggi completamente chiari, benché la critica tenda a riconoscere, a fronte di uno strato antico della traduzione, veicolato da pochi manoscritti, una ramificazione testuale in cui esso compare più o meno profondamente rimaneggiato.

46

I. Versioni in altre lingue

È largamente condivisa la ricostruzione secondo la quale dapprima sarebbe stato tradotto il Lezionario breve e in seguito, con la traduzione delle parti mancanti a opera di Metodio, sarebbe stata confezionata la traduzione integrale del Tetravangelo4. Inoltre, la forma originaria del Lezionario si sarebbe conservata nei tetravangeli glagolitici meglio che nei lezionari brevi più antichi pervenutici, sottoposti a interventi redazionali, mentre il Lezionario lungo, nelle sue diverse forme, sarebbe successivo al Tetravangelo e ne dipenderebbe5. A questa ipotesi si oppone quella, più recente, che colloca all’inizio della vicenda testuale il Tetravangelo corredato di apparato liturgico6. Nella situazione di desultoria documentazione della fase più antica, i cui dati soggiacciono spesso a interpretazioni contrastanti, il codice Vat. sl. 3 occupa un posto importante. Si tratta di un Evangeliario (Lezionario breve) membranaceo datato alla seconda metà del x secolo o all’inizio dell’xi. Contiene 158 fogli: le letture evangeliche del sabato e della domenica da Pasqua a Pentecoste ai ff. 1r-112v, e un menologium minus o menologio (liste dei santi e delle feste secondo il calendario fisso, da settembre ad agosto, con indicazione delle letture evangeliche) ai ff. 112v-153v; ai ff. 153r-158 sono copiate lezioni evangeliche supplementari e indicazioni su alcune feste liturgiche7. La legatura in pelle risale al restauro effettuato dopo l’acquisizione da parte della bav (1869-1878), in seguito al quale la dimensione dei fogli è di 220/230 x 165/170 mm. È mutilo della fine; un foglio è caduto dopo il f. 49. La scrittura è glagolitica rotonda, maiuscola, molto calligrafica, opera di una sola mano, tranne i ff. 29-30 col. a vergati da altra mano nel tipo “pendente”, ossia appoggiata alla riga rettrice superiore. Il testo è scritto su due colonne ai ff. 1r41r, 42v-116v e a piena pagina ai ff. 41v-42r, 117r-158v. Ogni pagina contiene dalle 26 alle 30 righe di testo ed è visibile il sistema di rigatura a secco. Dei 21 fascicoli – alcuni dei quali recano ancora la segnatura originale in lettere-cifre glagolitiche – tre presentano un numero vario di fogli, gli altri sono quaternioni. Oltre a essere uno dei manoscritti slavi più antichi pervenutoci, Vat. sl. 3 si distingue anche per l’accuratezza dell’esecuzione e per l’ornamentazione, sobria ed elegante. Fu acquistato da Giuseppe Assemani nel 1736, probabilmente in un monastero (dei Ss. Arcangeli o la laura di S. Sava) vicino a Gerusalemme. È difficile stabilire come vi fosse giunto: considerando la sua probabile origine dalla Bulgaria sud-occidentale e i forti legami che questa

18

16

17

aveva avuto con la Palestina, si ipotizza che esso possa esservi stato portato già prima del xiii secolo8. A Roma il manoscritto fu esaminato da Matteo Karaman che ne riconobbe l’antichità e lo datò alla fine dell’xi secolo9. Donato alla bav dal nipote di Assemani, Stefano Evodio, e qui esaminato da Bobrowski nel 1820 che lo datò al xiii secolo, esso fu oggetto del crescente interesse degli studiosi da cui scaturì la pubblicazione di saggi ed estratti del testo. Ra/ki (1865) pubblicò la prima edizione integrale, in alfabeto glagolitico, preceduta da un ampio studio di Jagi . Una seconda edizione integrale del testo, traslitterato in alfabeto latino, fu pubblicata da \rn/i (1878). Fu preso in considerazione nella discussione sul primo alfabeto slavo (se glagolitico o cirillico), contribuendo alla soluzione a favore del glagolitico10. A causa dei molti errori delle due edizioni, Vajs e Kurz ne realizzarono una nuova in due volumi (Evangeliarium Assemani 1929-1955). Un contributo fondamentale per la comprensione delle annotazioni di carattere astronomico-astrologico fu pubblicato da Speranskij (1932), mentre si moltiplicavano gli studi su singoli aspetti. IvanovaMavrodinova-Džurova (1981) pubblicarono un’edizione facsimile accompagnata da un saggio specificamente centrato sulle caratteristiche artistiche. Si ritiene che il testo sia il più vicino alla citata traduzione cirillo-metodiana dell’863, in un dialetto slavo meridionale – definito da Oblak (1896) “macedone” – a partire dal quale fu standardizzata la lingua per la liturgia slava, convenzionalmente chiamata (antico) slavo ecclesiastico11, per quanto non si sappia ancora attraverso quali e quanti stadi intermedi essa sia passata. Si tratta quindi di un manoscritto particolarmente importante per capire le modalità di traduzione del Vangelo in slavo e quelle, grafiche e illustrative, con cui il testo biblico fu diffuso tra gli slavi, oltre che per ricostruire lo strato più antico della lingua scritta. Peculiarità linguistiche dei dialetti bulgaro-occidentali collocano la genesi del manoscritto – o del suo protografo – nella regione di Ocrida, nell’arco di tempo tra la metà del x e l’xi secolo. Il menologio presenta paralleli testuali con alcuni menologi greci del x-inizio xi secolo; la presenza di santi particolarmente venerati nella regione di Tessalonica confermerebbe l’origine macedone12. È di grande interesse il fatto che vi siano ricordate le memorie di CostantinoCirillo, Metodio e Clemente di Ocrida, morto nel 916. Il manoscritto presenta molte note marginali, sia in scrittura glagolitica di modulo più piccolo, probabilmente coeve al testo principale, sia in alfabeto cirillico

di tipo maiuscolo, più antiche, e minuscolo, più recenti. Ciò testimonia, oltre che del lungo periodo in cui il manoscritto fu usato da varie persone in vari ambiti, anche del livello di coesistenza, e talora di interazione, dei due sistemi alfabetici, glagolitico e cirillico13. Speranskij (1932) ha individuato tre mani principali nell’estensione delle note: A, databile entro il xiii secolo, scrive le note di descrizione dei mesi per numero di giorni, lunghezza dei giorni e delle notti, e per giorni fasti e nefasti, cominciando da settembre a f. 112v e continuando ai ff. 121v, 125, 127v, 136, 141v, 143v, 146-146v, 150-151 (agosto) con i nomi slavi dei mesi da settembre a marzo e con nomi latino-greci per gli altri; B, databile al xiii-xiv secolo, appone le note ai ff. 126v, 146v, 157v – ma ritengo che si tratti di due mani che usano lo stesso tipo di scrittura; C, databile al xiv-xv secolo, di ambito serbo, appone le note ai ff. 132v, 135, 137. Rileva inoltre che l’iscrizione intorno ai volti dei santi Cosma e Damiano, inscritti nella lettera iniziale del 1° novembre, f. 125v, è in lingua greca ma in alfabeto cirillico, elemento che testimonia della notevole familiarità dell’autore con l’ambiente greco. Poiché analoghe compenetrazioni sono osservabili anche in altre note, ritengo questi fenomeni una ulteriore conferma della provenienza del manoscritto da ambito acridano-macedone, da un territorio in cui convergono i macedonismi linguistici, i serbismi più tardivi, e una costante e ininterrotta presenza linguistico-culturale greca. Per difetto di documentazione manoscritta non sappiamo quando nei lezionari slavi siano comparse le illustrazioni ma la loro derivazione da modelli greci è palese. Fra i più antichi manoscritti, Vat. sl. 3 è il più ornato, con 240 lettere iniziali e 21 vignette: è evidente come l’impaginazione accurata, i volti umani nelle iniziali ornate chiaramente ispirati a modelli tardoantichi, e la scrittura maiuscola e calligrafica rappresentino una chiara imitazione di un Evangeliario greco in maiuscola. Molto si è discusso circa influssi ornamentali di area siro-palestinese, ma senza individuare solidi collegamenti. Trattandosi di un libro liturgico, l’ornamentazione è finalizzata a orientarsi nel testo: le vignette aiutano a reperire determinate pericopi nel Lezionario, l’inizio dei mesi nel menologio14. Esse riprendono schemi architettonici, con elementi vegetali aggiunti all’esterno a imitazione degli acroteri degli edifici e dei sarcofagi classici. Motivi fitomorfi sono largamente presenti anche nelle lettere iniziali. La funzione distintiva delle vignette è rafforzata dalla presenza di lettere iniziali che occupano da 4 a 7 linee di testo, mentre le pericopi sono evidenziate da scrittu-

47

18

19


Bibbia. Immagini e scrittura

16. Mano B, scrittura glagolitica di tipo “pendente”, Evangeliario di Assemani (Vat. sl. 3, ff. 29v-30r col. a). A fronte: 17. Nota verticale nell’intercolumnio in cirillico e glagolitico, Evangeliario di Assemani (Vat. sl. 3, f. 94r).

19

ra di modulo più grande nell’incipit, talvolta con lettere potenziate da un doppio contorno o scritte su pezze colorate. Le iniziali V e R, che introducono rispettivamente le espressioni “V ono vr m “in quel tempo” e “Re/e Gospod'” “disse il Signore”, presentano una ornamentazione diversificata al fine di facilitare il reperimento di passi. I cerchi che contraddistinguono alcune iniziali permettono all’artista di inserirvi dei volti umani: tali raffigurazioni al tempo stesso evidenziano il passo e ne illustrano simbolicamente il contenuto. La scelta dei colori si orienta verso toni densi, non brillanti, in tonalità intermedie non contrastanti. Nel complesso Vat. sl. 3, fra i pochi superstiti della più antica tradizione manoscritta slava, testimonia

48

I. Versioni in altre lingue

Pagine seguenti: 18. Nota marginale in cirillico del «sacerdote Stan», Evangeliario di Assemani (Vat. sl. 3, f. 157v). 19. Cristo e la Samaritana, Evangeliario di Assemani (Vat. sl. 3, f. 18v).

della ricezione della Sacra Scrittura a partire dalla cultura greca non solo nel testo ma anche nelle forme. In particolare, esso mostra come l’accoglimento dell’idea della sacralità della maiuscola – trasposta a un altro sistema alfabetico – e di elementi ornamentali tardoantichi, unitamente alla mise-en-page dei manoscritti greci in maiuscola, costituisca il punto di partenza del programma politico-religioso della cristianizzazione delle società slave a tutti i livelli. Il manoscritto è il prodotto di una mirabile sintesi culturale fra la tradizione greca e l’assoluta originalità che Costantino-Cirillo aveva dato ai grafemi inventati per la Scrittura slava, sintesi che si pone alla base della creazione di una tradizione propriamente slava15.

49


Bibbia. Immagini e scrittura

50

I. Versioni in altre lingue

51


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

20. Incipit del i Libro dei Re (i Samuele), Libri dei Re (Borg. et. 3, f. 3r).

LE VERSIONI ETIOPICHE Alessandro Bausi

La Bibbia etiopica La Bibbia, sia come libro manoscritto sia come testo, svolge da secoli un ruolo centrale nella vita religiosa, intellettuale e artistica dell’Etiopia ed Eritrea cristiane. Entrambe possono ben dirsi eredi dell’“Etiopia cristiana” o “Abissinia” dell’età medievale e moderna, e per loro tramite del regno di Aksum (i-vii sec. d.C.). Collocato sull’altopiano cui si accedeva dal Mar Rosso attraverso il porto di Adulis e inserito tramite lo stesso mare in una fitta rete di traffici e relazioni culturali tra entroterra africano e Mediterraneo, Vicino Oriente e oceano Indiano, la Bibbia giunse ad Aksum con la cristianizzazione alla metà del iv secolo – come attestato da convergenti testimonianze patristiche1, epigrafiche e numismatiche – durante il regno di ‘Ezana, nel suo periodo di massima fioritura ed espansione. Si ritiene a buon diritto che porzioni consistenti della Bibbia siano state tradotte dal greco, lingua corrente in Egitto e sulle sponde del Mar Rosso, nella lingua locale per esigenze di culto, e che la traduzione dell’intera Bibbia fosse già stata completata tra il v e il vi secolo. La nomina di Atanasio di Frumenzio, segretario a corte di re ‘Ezana e considerato l’evangelizzatore dell’Etiopia, a vescovo di Aksum segna l’inizio della Chiesa etiopica, che fu perciò istituzionalmente dipendente da quella d’Alessandria d’Egitto fino all’autocefalia ottenuta nella seconda metà del xx secolo. La Bibbia greca alessandrina – per l’Antico Testamento nella versione dei Settanta (lxx) – fu tradotta in “etiopico”, in uso nel regno di Aksum – noto anche come “ge‘ez” (in italiano spesso “gheez”) o “etiopico antico” o “etiopico classico” –, lingua semitica meridionale del gruppo del semitico di Etiopia attestata dal ii-iii secolo d.C. in una scrittura sillabica sud-semitica, che già nel corso dell’età aksumita sviluppò un originale sistema di notazione vocalica. La traduzione della Bibbia e di altri scritti dal greco nella stessa epoca (apocrifi maggiori come il Libro di Enoc, il Libro dei giubilei, l’Ascensione di Isaia, il Pastore di Erma e altri ancora, e una vasta letteratura patristica), fecero dell’etiopico, impiegato fino ad allora accanto al greco nelle iscrizioni e nella monetazione, la lingua letteraria usata con minime variazioni nei secoli a venire fino a tutto il xix secolo, anche quando essa cessò di essere

52

parlata (si stima dal x secolo). In etiopico sono poi tradotti testi soprattutto dall’arabo cristiano (a partire dal xii-xiii secolo), composti numerosi testi letterari originali (cronache, agiografie, una vasta letteratura articolata in diversi generi) e redatti testi documentari; ancor oggi l’etiopico è la lingua liturgica della Chiesa cristiana etiopica. Oltre alla lingua, la Bibbia eserciterà una fortissima influenza sulla cultura cristiana etiopica come supremo modello letterario, artistico ed esegetico. Tra i manoscritti etiopici esistenti – stimati nell’ordine delle centinaia di migliaia, in massima parte in Eritrea ed Etiopia – non più di poche decine di migliaia, in larga misura quelli conservati nelle maggiori biblioteche europee e americane in originale o in riproduzione digitale o su microfilm, sono catalogati o inventariati2. La Biblioteca Apostolica Vaticana, con i suoi oltre mille codici etiopici, esclusi i rotoli, vanta il più ricco fondo al di fuori di Eritrea ed Etiopia3. La forma del codex di ascendenza tardoantica è l’unica tradizionalmente attestata, essendo il rotolo (per manoscritti magici e magicoreligiosi) o altre forme librarie (“leporelli”) riservate a usi del tutto marginali4. Per quanto sia da presupporre un’ininterrotta catena di trasmissione dall’età aksumita, documentata anche da scarne testimonianze epigrafiche (dal vi secolo) contenenti citazioni bibliche, i più antichi manoscritti etiopici non risalgono a epoca anteriore al xiii e soprattutto al xiv secolo, inclusi i manoscritti biblici: con la conseguenza che il testo biblico, come altre traduzioni dal greco in etiopico, reca traccia in alcuni dei testimoni più antichi (xiii secolo, versione “antica”) di un processo di revisione che si accentua nel xiv secolo sulla base di versioni arabe e siro-arabe (recensione “vulgata”), e per l’Antico Testamento, dal xvi secolo, anche sulla base del testo ebraico masoretico (recensione “accademica”). La revisione tarda su versioni arabe spiega anche le apparenti affinità tra etiopico e siriaco, che sono dovute a versioni arabe intermedie. Tra i pochissimi codici anteriori all’età medievale e di probabile età tardoantica si annoverano i due Evangeli conservati presso il monastero di Abba Garima, nel cuore del Tegray, non lontano da Adua, che analisi al radiocarbonio hanno recentemente attribuito a età tardoantica5.

Il manoscritto vaticano Borg. et. 3 Il Borg. et. 36 è uno dei più antichi manoscritti etiopici dell’Antico Testamento, notevole sia per il testo sia per i suoi tratti paleografici arcaici7. Secondo una

20

corrente divisione della Bibbia in codici, esso contiene i quattro Libri dei Re (ff. 3-185v) nella terminologia etiopica mutuata dalla versione dei Settanta, ovvero 1 e 2 Samuele e 1 e 2 Re della Bibbia ebraica, seguiti ai ff. 186r-187v da brevissimi testi addizionali. La nota di donazione (f. 188r) alla chiesa di S. Maria («a mia Signora Maria») a Gerusalemme, fattavi apporre dal celebre re ‘Amda Seyon (1314-1344, noto come Gabra Masqal «Servo della Croce»), data il codice non post 1344 ed è forse la più antica notizia di donazione di un manoscritto etiopico alla comunità etiopica gerosolimitana. Il manoscritto – per la cui produzione ad Aksum8 non vi è alcuna prova – pervenne da Gerusalemme a Roma nel 1637 – come si ricava da un’ulteriore nota al f. 3r di mano del monaco etiope Mahsanta Maryam, documentato da altre attestazioni – presso la comunità etiopica di S. Stefano dei Mori; ivi rimase prima di entrare,

dopo ulteriori vicissitudini, nella collezione borgiana e nel 1902 nella bav9. Sempre secondo la nota al f. 3r, il manoscritto avrebbe dovuto servire da modello alla stampa del testo (forse a cura di Jacob Wemmers, attivo intorno al 1638), peraltro mai effettuata, ed essere poi restituito a Gerusalemme. Il codice fu esaminato a Roma da Johann Michael Wansleben nel 166610, che ne trasse una copia servita a sua volta più volte da modello e ora conservata a Parigi (bnf, Eth. 2)11. L’editio princeps della versione etiopica dei Libri dei Re a cura di August Dillmann12, rifondatore degli studi etiopici moderni, non tiene conto del manoscritto borgiano, che è però testualmente molto prossimo a due dei codici utilizzati13; non ne tiene ugualmente conto la successiva edizione completa della Bibbia etiopica stampata ad Asmara a cura di Francesco da Bassano14 né l’edizione successiva etiopica sempre di Asmara15.

53


Bibbia. Immagini e scrittura

LE VERSIONI SIRIACHE Giovanni Lenzi Lo studio delle origini e della diffusione delle versioni siriache delle Sacre Scritture è complesso ma affascinante. Sia dell’Antico che del Nuovo Testamento sono esistite diverse versioni, alcune giunte a noi, altre perdute. È però preliminare a una loro presentazione la definizione del termine “siriaco” dal punto di vista linguistico.

Aramaico e siriaco Con i termini “aramaico” e “siriaco” si è spesso intesa nel corso dei secoli una unica e medesima lingua. Oggi, tra gli studiosi, si preferisce indicare con il primo termine una macrolingua semitica nordoccidentale formata da un continuum di dialetti1 la cui differenziazione è stata causata da fattori geografici, cronologici e sociali2. Con “siriaco” si intende, invece, uno solo di questi dialetti: “l’aramaico di Edessa”, che si è particolarmente sviluppato e diffuso al punto da assurgere a lingua autonoma. L’aramaico nelle sue diverse varianti è stato parlato dal x secolo a.C. fino a oggi. Si parlava anche in Palestina ai tempi di Gesù e in questa lingua egli ha predicato alle folle. Nel Nuovo Testamento greco troviamo diverse parole in aramaico come ad esempio mamona (“ricchezza”, “abbondanza”), talitha (“fanciulla”). Si può anzi evincere da alcuni particolari che Gesù parlasse il dialetto aramaico della Galilea. Il siriaco è attestato dal i secolo d.C. ed è scritto in tre alfabeti diversi: estrangela, serto e madnhaya. Si è progressivamente diffuso soppiantando gli altri dialetti aramaici ed è stato impiegato dalle comunità cristiane da Antiochia fino all’Estremo Oriente3. Gode ancora di un uso liturgico in diverse Chiese. I cristiani in Palestina hanno invece conservato fino al xiii secolo d.C. un dialetto aramaico prossimo a quello di Gesù, il quale però ha subito una notevole influenza del greco e del siriaco.

Le origini delle Chiese sire Numerosi racconti leggendari attribuiscono il primato della fondazione di questa o quella Chiesa sira a un apostolo o discepolo di Gesù: Addai a Edessa, Mari a Seleucia-Ctesifonte, Tommaso in India. Dalle attestazio-

54

I. Versioni in altre lingue

ni letterarie in nostro possesso si possono ricavare sufficienti indizi per ritenere che abbiano portato l’Evangelo alle popolazioni di lingua siriaca sia missionari di lingua greca sia missionari di lingua aramaica. Di recente è stata anche avanzata l’ipotesi che l’annuncio sia avvenuto in un contesto bilingue4. In ogni caso, entrambe le lingue hanno lasciato le loro impronte sulle versioni siriache della Bibbia. Troviamo quindi numerose parole greche traslitterate, come: parali (“litorale”), archas (“principati”); ma anche termini giudeoaramaici5 quali: *urayta (“legge”, dalla radice ebraica yarah da cui torah); patire (“azzimi”, per indicare la Pasqua); *arona (“bara”). Particolarmente significativo è l’uso di rav (maestro, caposcuola) e delle sue forme derivate rabbi, rabban, ecc., per indicare sempre e solo Gesù, un uso che collega le Chiese sire alla prima comunità cristiana di Palestina del i secolo. Si può anche ritenere che l’annuncio in lingua aramaica sia stato compiuto da una comunità giovannea, come si evince dall’uso di hayye (“vita”) per indicare la salvezza6.

tradotto le Scritture dal greco in siriaco. Attorno al 615-617 d.C. una commissione guidata da Paolo di Tella tradusse la Settanta basandosi sulla quinta colonna dell’Esapla di Origene e aggiungendo nei margini sia i segni critici dei grammatici alessandrini sia varianti tratte dalle traduzioni di Aquila, Simmaco e Teodozione. Il principale testimone di tale versione è conservato a Milano (vba, C 313 inf.) proveniente dal monastero dei Siriani a Wadi al-Natrun ma vergato probabilmente in Siria o in Mesopotamia 9.

Le versioni dell’Antico Testamento

I Separati

Peshitta dell’Antico Testamento

La più affascinante, anche se poco conosciuta, versione siriaca dei Vangeli è quella dei Separati, in siriaco Mepharreshe. Risale con ogni probabilità al ii secolo d.C., ma è attestata da due manoscritti. più recenti: il Sirosinaitico, un palinsesto scoperto alla fine nel 1892 dalle sorelle Agnes Smith Lewis e Margaret Smith nel monastero di S. Caterina al Sinai (sma, Sin. syr. 30) e datato alla fine del iv secolo, e il Curetoniano (bl Add. 14451), scoperto da Henry Tattam in Egitto nel 1842, identificato alcuni anni dopo da William Cureton e datato al v secolo. Nessuno dei due manoscritti rappresenta la versione originale. Essi offrono piuttosto due recensioni che si distanziano spesso notevolmente. La teologia dell’opera appare evidente in alcune varianti, come ad esempio Gv 6,61-63 (Sirosinaitico): «Allora Gesù sapendo che i suoi discepoli mormoravano, disse loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il figlio dell’uomo salire al luogo ove era dall’inizio? È lo Spirito che dà la vita al corpo, ma voi dite: ‘Il corpo non giova a nulla’. Le parole che ho detto a voi sono Spirito e Vita”». Per il testo greco è Gesù che dice: «Il corpo non giova a nulla», per quello siriaco sono i giudei. In altre parole i Separati si distinguono per un orientamento anti-encratita10.

La versione dell’Antico Testamento in uso nelle Chiese sire è denominata Peshitta, cioè “semplice”. Secondo alcune tradizioni sarebbe stata commissionata niente meno che da Salomone a Hiram, re di Tiro. In realtà, non è stata realizzata in un unico momento, ma in diverse fasi. La parte più antica è il Pentateuco che è opera di una comunità giudaica non-rabbinica del ii secolo d.C.7 Alcuni libri sono posteriori come Ezra-Neemia e le Cronache. Solo successivamente sono stati aggiunti alla Peshitta i libri deuterocanonici. È stata tradotta dall’ebraico. Il Vat. sir. 1 (di cui si riproduce il f. 11v che riporta Genesi 12,4b-16) ci offre appunto il testo del Pentateuco. È stato vergato nell’anno 928/929 d.C. su pergamena ed è scritto in un elegante estrangela su una colonna con inchiostro nero e marrone. Si può notare l’uso dei segni diacritici che facilitano la lettura, uso assente nei mss. più antichi. È opera dello scriba Elia presso il monastero di Mar Elias vicino a Mosul8. Siro esaplare

Nel corso dei secoli, le Chiese sire sono sempre più state attratte dalla cultura greca e hanno anche

Le versioni dei Vangeli Le versioni dei Vangeli nei dialetti aramaici sono particolarmente numerose. In siriaco troviamo: i Separati, il Diatessaron, la Peshitta dei Vangeli, la Filosseniana, l’Harqlense e, in aramaico palestinese, la Gerosolimitana. Si può notare in linea generale la preoccupazione, crescente durante i secoli, di avvicinarsi il più possibile al testo greco.

21

Diatessaron

Attorno al 175 d.C. Taziano, discepolo di Giustino, produsse un’armonia dei Vangeli presumibilmente in greco, ma traducendola presto in siriaco. Questa armonia ha avuto una notevole diffusione tra le Chiese sire, ma purtroppo è andata perduta a esclusione di un frammento greco, la cui origine tazianea è stata recentemente dimostrata11. I primi Padri delle Chiese sire la conoscevano, anzi sant’Efrem ne fece un commento giunto in buona parte a noi. Non è però possibile determinare con esattezza dalle parole di Efrem quale fosse il testo del Diatessaron perché egli conosceva e citava anche i Separati e un testo greco dei Vangeli12. Esistono numerose armonie in Oriente e in Occidente che risalgono, o sono fatte risalire, al Diatessaron. Peshitta dei Vangeli

Alla fine del iv secolo le Chiese sire hanno realizzato e diffuso una versione ufficiale dei Vangeli denominata anch’essa Peshitta (da non confondersi con quella dell’Antico Testamento). Questa versione è una rielaborazione del testo dei Separati assai più aderente al testo greco. Il Vat. sir. 13 è un fedele rappresentante del testo della Peshitta. È stato vergato in un ampio ed elegante estrangela su pergamena su due colonne con inchiostro nero e marroncino. Fu copiato nel 736 d.C. dallo scriba Giovanni a Urim sull’Eufrate13. Filosseniana

Una versione perduta e rintracciabile solo negli scritti patristici è quella voluta da Filosseno di Mabbug che si poneva il proposito di correggere la Peshitta14. La versione fu realizzata da Policarpo, corepiscopo di Mabbug nel 508/509 d.C. Harqlense

Neppure la Filosseniana, però, era sufficientemente simile al testo greco dei Vangeli e Tommaso di Harqel decise di realizzare una nuova recensione. La Harqlense è una traduzione a calco dove la sintassi siriaca è sacrificata per rispettare l’ordine delle parole del testo greco e dove numerosi nuovi lessemi sono introdotti per rendere l’originale. La versione è corredata da un apparato

55


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

21. Genesi 12,4b-16, Peshitta (Vat. sir. 1, f. 11v).

22

critico a margine con indicate le varianti di alcuni manoscritti greci e siriaci; altre annotazioni testuali sono segnalate mediante asterischi e obeli. La versione fu a sua volta rivista fino a quando Dionigi Bar Salibi, vescovo di Amid (morto nel 1171), riorganizzò i marginalia in base alla recensione bizantina del testo greco. Un’edizione critica del Vangelo di Marco è stata pubblicata recentemente15. Secondo Juckel16, il Vat. sir. 268 è il principale testimone di tale versione. La scrittura è a piena pagina, estremamente regolare e generalmente ben conservata, in un elegante carattere estrangela. Il codice contiene, oltre al Tetraevangelo, anche un’armonia della Passione della medesima versione. Il manoscritto è stato vergato in un periodo anteriore all’858 e probabilmente alla fine dell’viii secolo. Il codice proviene dal monastero di S. Maria Deipara dei Siri (Der as-Surian) nella valle di Nitria, dove fu acquistato dall’illustre famiglia maronita degli Assemani per la propria collezione privata. Nel xix secolo fu donato alla bav (si riproducono i ff. 47v48r che presentano Mt 25,25-26,4). Gerosolimitana

Una versione in un dialetto differente dal siriaco è quella in aramaico cristiano palestinese conservata in alcuni lezionari che sono stati utilizzati nei secoli da talune comunità cristiane del Medio Oriente che accettarono il Concilio di Calcedonia e che si trovarono quindi divise dalla grande maggioranza dei cristiani di lingua aramaica/siriaca. Queste comunità – denominate melchite, cioè imperiali, per il loro stretto rapporto con l’Impero bizantino – si adeguarono conseguentemente alle tradizioni occidentali adottando come lingua ufficiale il greco, ma produssero anche una propria versione delle Sacre Scritture tra la fine del v e gli inizi del vi secolo. Per realizzare tale versione venne creato appositamente un nuovo alfabeto basato su quello siriaco. L’aramaico cristiano era parlato nelle province bizantine di Palaestina prima, Palaestina secunda, Arabia ed Aegyptus; la letteratura in questa lingua si suddivide in due periodi: antico (v-ix sec.) e recente (x-xiii sec.)17. Con l’avvento dell’Islam l’uso dell’arabo soppiantò progressivamente l’aramaico palestinese. Il Vat. sir. 19, per quanto risalga al periodo recente, è un prezioso testimone di tale versione. Contiene le lezioni evangeliche per i sabati, le domeniche e le solen-

56

nità secondo un ciclo annuale che va dalla Domenica della Resurrezione al Sabato Santo; a queste seguono le lezioni evangeliche per le feste dei santi disposte in ordine cronologico da settembre ad agosto (ff. 148r-195v). La scrittura è regolare ed è realizzata con inchiostro nero e marrone. Il testo è disposto su due colonne per pagina; a volte è accompagnato da grezzi ornamenti floreali o croci; gli incipit sono policromi (oro, rosso, nero). I titoli, le rubriche, il colophon e le iscrizioni sono in garshuni o, più raramente, in arabo. Iscrizioni in arabo più recenti, che documentano il prolungato uso del codice, si trovano sul f. 196v. Il colophon (f. 194v) segnala che il manoscritto fu completato nella feria quarta del settimo giorno di Ab nell’anno dei Greci 1341 (7 agosto 1030) per mano del presbitero Elia nel monastero dell’abate Mosè, nella città di Antiochia nella regione di Adqus. Il paese di origine dello scriba, dove egli stesso portò poi il manoscritto, è Abud, un villaggio che si trova sulle pendici dei monti della Samaria (nell’odierna Autonomia Palestinese). Esso è ancora abitato da cristiani di lingua araba e di rito bizantino (oltre che da una piccola comunità araba latina fondata all’inizio del secolo). Pur periferico e quasi sconosciuto, possiede una notevole valenza storica potendo vantare una presenza cristiana ininterrotta dai tempi delle comunità giudeo-cristiane a oggi18.

Gli Atti e le Epistole In contemporanea con la Peshitta dei Vangeli fu realizzata la traduzione dal greco degli Atti e delle Epistole. È da notare però l’assenza delle lettere cattoliche minori e dell’Apocalisse. Il Vat. sir. 470, del xii secolo, conserva lezioni dei Vangeli e delle Epistole (si riproduce il f. 102v: Filemone 2425 ed Ebrei 1,1-2,2).

23

Da Antiochia ai confini della terra

Il Vat. sir. 559, del 1260, è testimone dell’espansione della Chiesa sira orientale giunta in Oriente fino al Mar della Cina19 e in Occidente entrata in relazione con la Chiesa di Roma20. Il codice è riccamente ornato con decorazioni in oro, disegni e cinquantuno miniature che rispecchiano l’arte araba del xiii secolo21 dimostrando le numerose connessioni culturali di questa Chiesa. Il codice è opera di un atelier di artigiani e appartiene a una serie di manoscritti miniati dei quali ci è pervenuto

24

un altro esemplare, il bl Add. 7170 (a. 1220), e che si rifacevano a un modello comune. È stato donato da Pio xi alla bav nel 1938 (si riproduce il f. 29v, particolare: il Martirio di Giovanni Battista).

La fede, l’arte e la cultura testimoniate dai manoscritti siriaci fanno sperare che queste Chiese, ora così perseguitate e martoriate, possano continuare a risplendere nel mondo.

57


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

22. Matteo 25,25–26,4, Harqlense (Vat. sir. 268, ff. 47v-48r).

58

59


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

23. Lettera a Filemone 24-25, Lettera agli Ebrei 1,1-2,2, Peshitta (Vat. sir. 470, f. 102v).

60

24. Martirio di Giovanni Battista, Peshitta (Vat. sir. 559, f. 29v).

61


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

25. Ornamento marginale, Vangelo armeno (Borg. arm. 85, f. 165r).

LA VERSIONE ARMENA Anna Sirinian

La Bibbia e i Vangeli nel mondo armeno La traduzione in armeno della Bibbia, realizzata all’inizio del v secolo, seguì e completò, a poco più di un secolo di distanza, la conversione ufficiale del Paese al Cristianesimo dovuta all’azione evangelizzatrice di san Gregorio l’Illuminatore (ca. 260-328): con l’accesso alla Sacra Scrittura, chiamata “Libro di ispirazione divina” (Astuatsashunch‘, corrispondente al greco θεόπνευστος), il popolo armeno poteva dirsi interamente cristiano. Secondo le fonti al contempo agiografiche e storiche, la traduzione della Bibbia costituì l’ultimo atto di un laborioso processo che vide congiungersi allo sforzo umano la misericordia divina. Ne fu protagonista un monaco predicatore, Mesrop Mashtotz‘ (ca. 361-440), il quale comprese che, per strappare all’idolatria ancora persistente molti dei suoi connazionali, bisognava trasferire in armeno i contenuti della fede cristiana tramite l’unico modo possibile: la parola scritta, che comportava la creazione di un alfabeto. Insieme ad alcuni discepoli, e con il sostegno della massima carica religiosa, il catholicos Sahak, Mesrop visitò i più importanti centri di cultura siriaca e greca fino a che, dopo alcuni insuccessi, ritiratosi in preghiera, egli vide, secondo il racconto delle fonti, «una mano destra che tracciava le lettere su una pietra» che, fattasi mirabilmente duttile, le raccoglieva su di sé «come la neve le impronte»1. Con il nuovo strumento, connotato fin da subito nelle fonti come «dono di Dio»2, Sahak, Mesrop e i loro allievi misero mano alla versione della Bibbia che, in questa cultura profondamente cristiana, è anche la prima opera scritta in lingua armena. Divenuti rapidamente provetti scribi, miniatori e artigiani della confezione di libri, gli armeni produssero nel tempo una quantità davvero considerevole di manoscritti, nell’ambito dei quali a bibbie e a Vangeli furono riservate le migliori cure, i materiali più preziosi, le miniature più numerose e varie per stili, temi e iconografie. Oggetto di particolare devozione nella pratica religiosa, il libro dei Vangeli, il più copiato in assoluto, offre sotto questo aspetto, per le molte immagini che in genere lo corredano, la più ampia documentazione per lo studio della ricca storia della miniatura armena.

62

La Bibbia e i Vangeli armeni della Biblioteca Apostolica Vaticana

I manoscritti completi della Bibbia armena conservatisi fino ai nostri giorni non sono numerosi, a causa della mole del testo che richiedeva un’onerosa committenza, oltre al fatto che nel Medioevo armeno si predilesse sempre una circolazione dei libri biblici per blocchi separati, privilegiando in particolare i Vangeli (o l’intero Nuovo Testamento) e il Salterio. La produzione di bibbie complete, costituita in genere da codici sontuosamente miniati, fu tuttavia costante e conobbe, dopo i più antichi esemplari datati risalenti al xiii secolo, una reviviscenza nel Settecento – il secolo dell’ascesa del commercio e dei capitali armeni – in particolare in centri quali Costantinopoli e Nuova Giulfa (Isfahan), in Persia. È a questa produzione tardiva, non aliena da influssi occidentali, che si riconnette l’unico esemplare manoscritto in possesso della Vaticana, il Vat. arm. 1, ultimato a Costantinopoli nel 1625 per volontà del patriarca armeno Yovhannes Khul (1554-1634) e al quale lavorò il noto copista e miniatore Mik‘ayel di T‘okhat‘ (fl. 1606-1658). Yovhannes, che terminò la sua vita a Roma, lasciò per testamento il libro a papa Urbano viii (1623-1644) nella speranza che potesse servire come base per l’edizione a stampa della Bibbia armena3. Tale progetto, tuttavia, non fu portato a compimento per dubbi circa la conformità del testo armeno alla Vulgata latina, finché, come è noto, l’editio princeps della Bibbia armena vide la luce ad Amsterdam nel 1666. La ricca decorazione del codice, che si apre con la miniatura a piena pagina illustrante i sei giorni della creazione del mondo e la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (f. 1v), presenta modelli iconografici diffusi in altri manoscritti biblici coevi, quali i mss. conservati a Lisbona (mcg, L.A. 193) o a Los Angeles (pgm, Ludwig i, 14), o ancora i mss. 428, 1932 e 1933 custoditi nel monastero armeno di San Giacomo a Gerusalemme. A una decina ammontano invece, nella Vaticana, i manoscritti dei Vangeli, tutti miniati a eccezione del Borg. arm. 36, il solo oltretutto a essere vergato nella minuta e più recente grafia notragir (o “notarile”). Il testimone più antico e dalle dimensioni maggiori (280 x 210 mm) è il Chig. r.vi.44, pergamenaceo, databile all’xi sec.4, l’unico scritto in erkat‘agir, l’onciale armena, mentre i restanti Vangeli della bav sono vergati in minuscola bolorgir (o “scrittura rotonda”). La sua sobria ornamentazione a colori opachi comprende solo

26

testate di inizio-Vangelo (ad es. f. 115r: incipit del Vangelo di Luca), lettere iniziali e marginalia composti da elementi floreali stilizzati, talvolta formulati a mo’ di candelabri sorretti da manine. Assai più ricca e articolata è, al confronto, la decorazione presentata dagli altri Vangeli che, a partire dal codice successivo in ordine di tempo, il Borg. arm. 68 dell’anno 13575, documentano gli sviluppi della miniatura armena post-ciliciana, successiva cioè ai vertici artistici raggiunti durante il Regno armeno di Cilicia (fine xii-inizi del xiv secolo) grazie alle committenze delle famiglie reali o nobiliari e ad artisti d’eccezione. In questo codice, come nella maggior parte degli altri Vangeli, la decorazione è distribuita tra le tavole dei Canoni iniziali e i fogli di apertura di ciascun Vangelo – con, a sinistra, il ritratto dell’evangelista e, a destra, la “porta” d’inizio del rispettivo testo (ad es. ff. 109v110r: ritratto di Marco e inizio del suo Vangelo) – oltre che appuntarsi sulle lettere incipitarie e sui marginalia picta, questi ultimi non solo aniconici ma anche figurati con riferimento agli episodi narrati nel testo.

In aggiunta a questo comune programma decorativo, il Vat. arm. 44, copiato a Ch‘màshkatsag, in Anatolia orientale, nel 15016, presenta scene della vita di Cristo a piena pagina intercalate al testo dei Vangeli (ad es. l’Annunciazione al f. 153r, inserita nel testo di Luca). Spicca nel gruppo, per precisione di esecuzione, nitidezza della pergamena e uso dell’oro, il Borg. arm. 85, il più piccolo per dimensioni (155 x 107 mm; ad es. f. 165r: miniatura marginale), terminato a Tigranocerta (Diarbekir) nel 1637, mentre fra le più recenti accessioni si segnala il Vat. arm. 40, forse il Vangelo più riccamente decorato in assoluto per la serie iniziale di otto coppie di miniature a piena pagina con scene della vita di Cristo e del Giudizio Universale (ad es. f. 6r: il Battesimo) nonché per le lussureggianti tavole dei Canoni (ad es. ff. 21v-22r) con profusione di oro. Il Vat. arm. 40 è anche l’unico a presentare il testo su due colonne inserite in cornici di gusto islamico, riquadrate in oro: elemento decorativo, questo, che gli deriva dal luogo di produzione, il già citato quartiere armeno di Nuova Giulfa a Isfahan, dove il codice fu copiato nel 16447.

63

25 27-28


Bibbia. Immagini e scrittura

26. Creazione del mondo e storia di Adamo ed Eva; incipit del Libro della Genesi, Bibbia armena (Vat. arm. 1, ff. 1v-2r).

64

I. Versioni in altre lingue

Pagine seguenti: 27. Lettera di Eusebio a Carpiano, Vangelo armeno (Vat. arm. 40, ff. 19v-20r). 28. Matteo evangelista e incipit del suo Vangelo, Vangelo armeno (Vat. arm. 40, ff. 30v-31r).

65


Bibbia. Immagini e scrittura

66

I. Versioni in altre lingue

67


Bibbia. Immagini e scrittura

68

I. Versioni in altre lingue

69


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

Pagine seguenti: 29. Incipit della Lettera di Eusebio a Carpiano, Tetravangelo Vaticano (Vat. iber. 1, f. 1r). 30. Canoni di Eusebio, Tetravangelo Vaticano (Vat. iber. 1, f. 5v).

LA VERSIONE GEORGIANA Gaga Shurgaia

29 30 31-32

I Vangeli, le Epistole paoline e il Salterio furono tradotti in georgiano fra gli anni Quaranta del v secolo e gli anni Sessanta del vi1, probabilmente dal greco. La redazione più antica è, dal punto di vista linguistico, del tipo xanmet’i, conservata nei palinsesti di Tbilisi (cnmg, A‑89, H‑999; cfr. mss. A‑737, A‑844) come scriptio inferior risalente al v-vi secolo2. Le versioni eseguite tra il vii e l’xi secolo rimontano a due redazioni: la prima è rappresentata dal Tetravangelo di Adiši (mses, cod. 1), la seconda dai manoscritti di Ǯru/’i (cnmg, H‑1660) e P’arxali (cnmg, A‑1453), e di Op’iza (atmi, Iber. geo. 83), Berta (nts) e T’beti (rnb, Serie nuova, Geo. 212), a essi affini3. Quest’ultima divenne la protovulgata georgiana del x secolo, testo base per le versioni successive, atonite4: quella di Eptwme Mtac’mideli (ca. 955-1028) e quella di Giorgi Mtac’mideli (1009-1065), divenuta testo canonico del Tetravangelo georgiano5. Il codice Vat. iber. 1 (metà dell’xi secolo; 217x161 mm; ii+305 ff.) si contraddistingue per antichità e per la raffinata confezione. È un Tetravangelo contenente nell’ordine: l’Epistula ad Carpianum (ff. 1r-1v) con i Canones evangeliorum (ff. 2r-8v) di Eusebio di Cesarea (cpg 3465), i quattro Vangeli (ff. 9r-90v; 91r-141v, 298r-v; 142r-221r; 221v-279r) e, infine, il Canonario o Synaxarium minus costantinopolitano, ossia Ordo delle letture evangeliche per le feste dell’anno, pienamente in accordo con il rito greco (ff. 279v, 281r-283r, 285r-288r, 290r-297v, 299r-305v), interrotto dall’inserimento fuori posto di fogli con frammenti patristici (ff. 280r-v, 284r-v) e del foglio contenente una sottoscrizione del committente in gran parte illeggibile (f. 289r-v) su una estensione di quaranta fascicoli di diversa mole6. I fascicoli recano una segnatura originaria in caratteri georgiani e una più tarda in caratteri armeni. Al momento della nuova rilegatura in pelle bruno-rossiccia a cura della Biblioteca Apostolica Vaticana tra il 1718 e il 1721, per errore del legatore, il fascicolo 4 (ff. 3239) fu cucito dopo il 5 (ff. 40-47). La parte contenente il Canonario, cucita dopo i trentacinque quaternioni del testo dei Vangeli, è molto danneggiata e non più in sequenza7. Il testo, su due colonne, è in scrittura nusxuri calligrafica, mentre la scrittura asomtavruli è adoperata come distintiva per le tavole eusebiane, i capita, le pagine ini-

70

ziali dei Vangeli secondo Matteo e Giovanni (ff. 279v, 281r-283r, 285r-288r, 290r-297v, 299r-305v) nonché per le chiose conclusive dei Vangeli. Ritengo sia opera di due mani, databili alla metà dell’xi secolo8; numerosi sono i marginalia di epoca successiva9. La mia datazione, basata su elementi paleografici, è stata confermata dall’analisi filologica e artistica di Tamar Shurghaia10 che, però, attribuisce la trascrizione dell’intero codice a una unica mano. Secondo il colophon autografo (f. 279r), il codice fu trascritto dal diacono Mikael (identificabile con la prima mano) per il suo fratello spirituale, il monaco Swmeon, menzionato anche nelle chiose ai Vangeli secondo Matteo (f. 90v), Marco (f. 92r) e Luca (f. 221v); la committenza di Swmeon è confermata anche dalla sottoscrizione al f. 289r-v. In assenza di una precisa datazione e localizzazione del codice, è stato ragionevolmente ipotizzato da Shurghaia11 che esso fosse stato esemplato nello scriptorium del monastero georgiano della Santa Croce sulla Montagna Nera, in Siria. Una nota in nusxuri (f. iiv), probabilmente del xii secolo, ricorda un maestro dei retori del monastero di P’alat’i (non ancora identificato), Giorgi, che avrebbe acquisito il codice al proprio monastero. Infine, in un’altra annotazione, ancora più tarda ma sempre in nusxuri (f. 222v), si afferma che il manoscritto fu perso, ritrovato e ridonato al monastero di Arxali – nei pressi dell’attuale cittadina di Tianeti12 – dal re Aleksandre, identificato da Ekvtime Taq’aišvili13 con Aleksandre ii (1574-1605), re di K’axeti14. Shurghaia15 ipotizza che Ketevan, regina di K’axeti, avesse portato il codice presso la corte dello scià ‘Abbas i (15881629), dove era stata ostaggio dal 1613 al 1624, anno del suo martirio. In Persia il codice venne in possesso di Pietro Della Valle: esso infatti figura sotto il numero 2 nell’elenco di sessantasette codici orientali da lui portati a Roma nel 1626 e donati poi dal suo erede, il marchese Rinaldo del Bufalo, alla bav nel 171816. Il testo dell’Epistola a Carpiano e le tavole complete dei Canoni eusebiani sono in ottimo stato di conservazione, come anche il testo dei quattro Vangeli, salvo il passo Lc 1,4, mancante. Il testo di ciascun Vangelo presenta, come pure altri Vangeli orientali, riferimenti a tre tipi di suddivisione. Il primo tipo è la divisione in capitoli: i numeri dei capitoli sono espressi in lettere asomtavruli, circondate da quattro trattini e punti ornamentali, riportate nel margine sinistro o in quello mediano. I Vangeli secondo Marco, Luca e Giovanni sono preceduti dalla lista dei capitoli (rispettivamente

ai ff. 91r-92r, ff. 142r-144v e ff. 221v-222r). Il secondo tipo di suddivisione individua le sezioni di Ammonio d’Alessandria: nel margine sinistro o mediano, sopra l’iniziale ornata del passo è riportato il numero progressivo della sezione del singolo Vangelo, mentre sotto vi è il numero del relativo Canone eusebiano; nel margine inferiore è riportata la concordanza eusebiana, fatto abituale in ambito armeno, raro invece nei manoscritti greci. Le sezioni sono suddivise in sottosezioni, evidenziate da lettere iniziali di modulo più grande. Il terzo tipo di suddivisione consiste nel marcare, senza alcuna numerazione, l’inizio e la fine di alcuni passi dei Vangeli con due croci rosse, brani probabilmente destinati alla lettura liturgica. Resta problematica l’identificazione secondo la tradizione gerosolimitana17 o costantinopolitana18. Il testo del Vat. iber. 1 è stato collegato dagli studiosi a redazioni diverse della traduzione georgiana del Tetravangelo: alla redazione preatonita19, a una redazione differente da tutte le altre note20, a una redazione intermedia tra la redazione di Adiši e quella di Ǯru/’iP’arxali21. Shurghaia22 ha dimostrato invece che si tratta della redazione di Giorgi Mtac’mideli. Anche il Canonario finale è la traduzione fatta dallo stesso Giorgi23 nel 1042-104424. Non è privo di interesse il fatto che il manoscritto sia cronologicamente molto vicino all’epoca della redazione di Giorgi. Benché dal punto di vista filologico esso non presenti elementi particolari, sotto il profilo artistico costituisce un caso peculiare. La raffinatezza della sua esecuzione trova riscontro solo nel celebre Tetravangelo di Alaverdi (cnmg, A‑484, dell’anno 1054): entrambi elaborano con gusto alquanto “provinciale” i motivi Blütenblattstil. I colori usati in Vat. iber. 1 sia per le iniziali ornate che per le pylai d’inizio dei Vangeli e le tavole eusebiane sono soprattutto il rosso violaceo e il rosso scuro, l’azzurro intenso e il verde scuro, l’a-

31. Incipit del Vangelo secondo Matteo, introdotto da pyle, Tetravangelo Vaticano (Vat. iber. 1, f. 9r). 32. Passo del Vangelo secondo Matteo, Tetravangelo Vaticano (Vat. iber. 1, f. 32r).

rancione e l’oro. Nelle tavole eusebiane sopra la trabeazione rettangolare campeggia la croce fiorita dal basso, gli angoli superiori sono ornati da acroteri e palme, su ciascuna parte sporgente dell’architrave è posta una palma fiorita ed è appeso un turibolo. La trabeazione riposa su elementi verticali, sempre tre colonne, ed è formata da due archetti che poggiano sui capitelli delle tre colonne, al cui interno sono iscritti i titoli dei canoni, e che sono inseriti in un arco più grande. La decorazione delle trabeazioni non si ripete mai25. L’ornamentazione del codice presenta molte caratteristiche comuni con i codici costantinopolitani Vat. gr. 364 (terzo quarto del x sec.) e Vat. gr. 358 (xi sec.)26 e i sinaitici sma, Sin. gr. 512 (1055-1056), Sin. gr. 172 (1067), Sin. gr. 205 (terzo quarto dell’xi sec.), mentre le sue strette analogie27 con cnmg, A‑484, S-962 (1054) e sma, Sin. gr. 158 (databile alla prima metà del xii secolo)28 fanno pensare allo stesso ambiente ed epoca di produzione29. Il copista del codice S-962 Mikael, attivo a Santa Croce sulla Montagna Nera, è menzionato nelle sottoscrizioni di A‑484 ed entrambi i codici presentano somiglianze nell’esecuzione artistica30 e potrebbe essere lo stesso Mikael, copista di Vat. iber. 1. Presentando i Canones evangeliorum di Eusebio di Cesarea in 14 pagine, A-484 si differenzia sia dalla tradizione bizantina e armena, che vi dedicano 10 pagine, sia da quella siriaca, che prevede 16 pagine31; è una caratteristica dei codici vergati a Santa Croce sulla Montagna Nera32. Inoltre, le strette analogie di questi codici con i motivi del Blütenblattstil, la cui genesi è collocata alla fine dell’xi secolo o all’inizio del xii, portano a nuove ipotesi: a retrodatare la nascita di questo stile e, di conseguenza, a riflettere sulle datazioni accettate dei codici in cui esso è presente; oppure a ipotizzare una loro filiazione da modelli più antichi non ancora noti; o, ancora, a constatare che i tre codici georgiani – due datati e uno databile alla metà dell’xi secolo – siano i primi ad aver utilizzato il Blütenblattstil 33.

71


Bibbia. Immagini e scrittura

72

I. Versioni in altre lingue

73


Bibbia. Immagini e scrittura

74

I. Versioni in altre lingue

75


Bibbia. Immagini e scrittura

I. Versioni in altre lingue

33. Commento al Vangelo di Giovanni (Skeireins), nella scriptio inferior del palinsesto (Vat. lat. 5750, f. 57).

LA VERSIONE GOTICA Carla Falluomini La traduzione delle Sacre Scritture in gotico si deve – secondo gli storici della Chiesa del v secolo Filostorgio, Socrate e Sozomeno – al vescovo dei Visigoti Vulfila (ca. 311-383), che creò anche un proprio alfabeto per metterla per iscritto, basato principalmente sui caratteri greci e latini e sulle rune. Stanziato con il suo popolo prima a settentrione del basso Danubio (Romania meridionale) e poi, dal 347-348, nei territori dell’Impero romano (presso Nicopolis ad Istrum, Bulgaria settentrionale), Vulfila – che secondo il suo scolaro Aussenzio di Durostorum parlava e scriveva in latino, greco e gotico – recepì il cristianesimo nella sua forma ariana (o meglio, omea). Il modello utilizzato per la traduzione, ora perduto, doveva essere un testo greco di tipo protobizantino, a cui molto verosimilmente venne affiancata anche una versione latina, che senza dubbio doveva circolare in territori di intensa latinizzazione come quelli basso danubiani. Dal punto di vista critico-testuale, la versione gotica trasmette numerose varianti antiche (manca, ad esempio, la “Pericope dell’Adultera”, Gv 7,53-8,11). A prescindere da peculiari divergenze linguistiche tra gotico e greco (in gotico manca, ad esempio, l’articolo determinativo ed esiste solo un tempo passato), la traduzione è strettamente letterale; sono inoltre presenti numerosi calchi e prestiti linguistici dal greco, che fanno di Vulfila un traduttore attento e raffinato. La versione della Bibbia in gotico è dunque al tempo stesso una delle più antiche traduzioni dal greco (databile alla metà del iv secolo), il più antico testimone del tipo testuale bizantino (documentato in forma completa solo dall’viii-ix secolo), nonché il più antico testo scritto in una lingua germanica. La traduzione di Vulfila si diffuse, oltre che tra i Visigoti e gli Ostrogoti, anche tra i Vandali e probabilmente tra i Burgundi, genti che parlavano dialetti germanici affini. Di essa rimangono solo frammenti:

76

una breve parte dell’Antico Testamento (Neemia) e lunghe parti dei Vangeli e delle Epistole paoline; testi tramandati in sette manoscritti copiati durante il regno ostrogoto d’Italia (493-553), la maggioranza dei quali resi palinsesti tra la metà del vii e l’inizio dell’viii secolo. Alla tradizione diretta si affianca quella indiretta, costituita dalle citazioni letterali – da Genesi, Esodo, Salmi, Isaia, Daniele, Atti degli Apostoli – tramandate da un frammento di un sermone o preghiera liturgica risalente anch’esso al periodo ostrogoto (Gothica Bononiensia). Un’ulteriore testimonianza della letteratura religiosa in gotico è un commento al Vangelo di Giovanni, denominato Skeireins “Spiegazione” dal suo primo editore Hans Ferdinand Massmann nel 1834. Si tratta di un testo anonimo, tramandato da otto fogli ora divisi tra la Vaticana (Vat. lat. 5750, ff. 59-60, 61-62, 57-58) e l’Ambrosiana (vba, E 147 sup., ff. 113-114, 77-78, 7980, 309-310, 111-112). Il manoscritto, databile al regno ostrogoto, è stato forse prodotto in ambiente veronese; venne riutilizzato per scrivervi il testo degli Acta concilii Chalcedonensis nella seconda metà del vii secolo nell’Italia settentrionale (a Verona?) e successivamente finì a Bobbio. Non sono noti né il periodo né il luogo di produzione del testo, così come non è chiaro se si tratti di un testo originale o – come pensano i più – di una traduzione del Commento al Vangelo di Giovanni di Teodoro di Eraclea, di cui rimangono solo frammenti. L’analisi linguistica non offre elementi decisivi a favore dell’una o dell’altra ipotesi, pur riscontrando come lo stile e la sintassi siano in parte diversi da quelli biblici. È inoltre da notare come le citazioni bibliche tramandate dalla Skeireins non concordino completamente con la versione di Vulfila (ma non si può escludere che l’autore del commento gotico abbia citato a memoria). Ciò che rende questo testo – dove la posizione ariana (omea) è esplicita – di particolare interesse è il suo uso in seno a una o più comunità religiose ostrogote, a cui evidentemente interessavano non solo la liturgia ma anche l’esegesi biblica nella propria lingua madre, per scopi sia comunicativi sia etnico-identitari1.

33

77


Parte seconda

LA BIBBIA NEI CENTRI SCRITTORII E ARTISTICI DAL TARDO ANTICO AL RINASCIMENTO


Bibbia. Immagini e scrittura

AREA BIZANTINA Timothy J. Janz

36-37

Dopo il periodo delle grandi bibbie greche in maiuscola, che coincide con l’espansione del Cristianesimo in epoca post-costantiniana nel iv e nel v secolo1, diversamente da quanto si osserva in altre aree geografiche, la Bibbia bizantina non è più, di norma, un libro unico2. Le bibbie intere (Antico e Nuovo Testamento insieme) realizzate in scrittura greca minuscola, che nel mondo bizantino è la scrittura libraria normale, dal ix sec. in poi sono pochissime, neanche una decina sull’insieme di quelle conservate, fra le quali due esemplari parziali dell’Antico Testamento originariamente porzioni di bibbie complete (il libro dell’viii sec. di cui facevano parte gli attuali bnm, Marc. gr. 1 e Vat. gr. 2106 e la Bibbia di Leone Reg. gr. 1, del x sec., di cui parleremo più avanti); una Bibbia del xiii sec. oggi önb, Theol. gr. 23; una Bibbia in tre volumi del xiv sec., oggi bca, Cl. ii,187; e due bibbie prodotte su commissione del card. Bessarione nel xv sec., bmv, Marc. gr. 5 e 6. Soprattutto, le bibbie intere sono numericamente irrisorie rispetto alle migliaia di manoscritti biblici greci di dimensioni più ridotte realizzati nello stesso periodo. Anche i manoscritti contenenti tutto il Nuovo Testamento sono relativamente pochi (circa duecento, compresi quelli, numerosi, che omettono l’Apocalisse): in genere i manoscritti biblici bizantini contengono piccoli gruppi di libri, ad es. l’Ottateuco (e cioè il Pentateuco insieme ai libri di Giosuè, Giudici e Rut); i Profeti, il Salterio, i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli con le Epistole (Praxapostolos). Di conseguenza, la storia del testo di ogni libro o almeno di ogni gruppo di libri ha seguito una strada particolare; d’altra parte, lo sviluppo del testo biblico è ormai più omogeneo fra Antico Testamento e Nuovo Testamento, perché i copisti e i dotti che si interessano al testo biblico greco sono ormai tutti quanti cristiani che intervengono sia sull’Antico Testamento che sul Nuovo Testamento. Il periodo qui preso in considerazione comincia con la cosiddetta Rinascenza macedone del x secolo, momento di espansione e di sviluppo dello Stato e della cultura bizantina che segue al periodo di ripiegamento segnato dall’iconoclastia dell’viii e ix secolo. Tale rinascenza si ispirava chiaramente a esempi più antichi, come illustrato in modo particolarmente eclatante da un eccezionale manoscritto non datato ma generalmente attribuito al x secolo, di forma antica in quanto rotolo e non codice, e decorato di miniature che molti specialisti di storia dell’arte ritengono ispirate, se non addirittura ricopiate, da modelli tardo-antichi: il cosiddetto Rotolo di Giosué, Pal. gr. 431, donato alla Vaticana nel 1623 da Massimiliano di Baviera come parte della Biblioteca Palatina3. Non si tratta certo

di una Bibbia, anche se gli estratti della prima parte del libro di Giosuè che appaiono quasi come didascalie alle immagini costituiscono un testimone testuale non senza importanza. Le immagini, colorate con semplice inchiostro nero, marrone, azzurro e rosso, si susseguono un po’ come i fumetti moderni, illustrando le vittorie di Giosuè narrate nei capitoli 2-10 del libro. Non vi è accordo fra gli specialisti sull’origine del rotolo, né sull’uso preciso per il quale è stato confezionato; tuttavia risulta molto probabile che l’intenzione degli autori di questo monumento artistico-librario fosse quella di celebrare la contemporanea espansione dell’Impero bizantino, precedentemente sulla difensiva in Asia Minore, nel periodo in cui, invece, aveva ripreso agli Arabi città come Aleppo, Damasco, Antiochia, Beirut e Cesarea. La scrittura è un tipo di piccola maiuscola, simile al nostro maiuscoletto, che si incontra spesso nei manoscritti di questo periodo come Auszeichnungsschrift, e cioè scrittura distintiva che serviva, ad esempio, in una pagina fitta di scrittura a distinguere gli scolii marginali dal testo commentato, vergato invece in scrittura “normale” e cioè minuscola. Il mondo bizantino continua a essere caratterizzato da una notevole omogeneità grafica. Esistono vari tipi di scrittura, ma essi si ripartiscono nell’uso non per aree geografiche ma per funzione (come nell’esempio appena evocato): tranne che in pochissimi casi (come quello dello scriptorium del copista Efrem, o quello della scrittura palestino-cipriota, di cui parleremo più avanti a proposito dei Vat. gr. 364 e 330), non è possibile localizzare la produzione di un manoscritto bizantino in un’area geografica, e tanto meno in un centro scrittorio preciso, sulla base della scrittura. Lo stesso vale anche per gli elementi decorativi, il che spiega perché le ipotesi di localizzazione per la produzione di un manoscritto come il Tetravangelo Vat. gr. 354, vergato da un certo monaco Michele nell’anno 949 d.C. secondo la sottoscrizione, coprano quasi l’intero Impero bizantino4: si è pensato all’Egitto, alla Palestina, alla capitale Costantinopoli o zone limitrofe, o anche all’Italia e in particolare a Roma. Il libro, di provenienza immediata sconosciuta, è probabilmente entrato in Vaticana verso la metà del Cinquecento, in quanto è sicuramente identificabile per la prima volta nell’inventario stilato intorno al 1585 da Federico Ranaldi (Vat. lat. 13191, f. 87v, n. 922). La sua ornamentazione, che consiste principalmente in semplici motivi geometrici colorati con inchiostro, con pochi elementi zoomorfi, potrebbe ispirarsi a un modello che risale ai secoli “oscuri” dell’iconoclastia. La scrittura artificiosa, che varia fra maiuscola ogivale diritta,

81


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area bizantina

Pagine precedenti: 34. Isaia 26,9-10 con catena e miniatura raffigurante il profeta Isaia fra le personificazioni della Notte e dell’Alba (Vat. gr. 755, f. 107r).

40

42

38-39

maiuscola ogivale inclinata e una maiuscola definita “liturgica” (usata in particolare nell’incipit di ogni Vangelo, come ad es. all’inizio di Luca in f. 117v5), fa vedere che si tratta di un libro d’apparato; e la presenza di notazione musicale neumatica, di cui questo codice è fra gli esempi precoci, conferma la sua vocazione liturgica. Ancora più difficile da definire è l’origine di un famoso Evangelistario miniato, il Vat. gr. 1522, privo di sottoscrizione e realizzato in una scrittura molto artificiosa (nel xvii sec. ritenuta quella autografa di san Giovanni Crisostomo) che ha spinto i paleografi non solo ad alzare le mani per quanto riguarda la sua localizzazione ma anche a proporre datazioni che variano dal x al xiv sec.6 A permettere una datazione approssimativa sono le miniature, databili al x sec. secondo gli storici dell’arte. Il libro, già proprietà del Collegio Greco di Roma (come un’altra sessantina fra i Vaticani greci), fu donato a Paolo v nel 1615 da Luca Stella, vescovo di Retimni a Creta. Come già accennato, in qualche caso eccezionale, sulla base di sottoscrizioni e di indizi paleografici e codicologici, si riesce (almeno in modo ipotetico) a localizzare la produzione di un gruppo di manoscritti bizantini in un’area geografica o anche in un preciso centro di copia. Tale è il caso dello scriptorium in cui si è ipotizzata l’attività di uno scriba molto prolifico di nome Efrem, localizzabile a Costantinopoli e databile verso la metà del x sec.7 Non al monaco Efrem stesso ma al suo scriptorium viene attribuita la copia di un bel Tetravangelo di piccolo formato, Vat. gr. 364, reperibile per la prima volta nell’inventario della Vaticana del 15188, con notevoli ritratti dei quattro evangelisti purtroppo assai rovinati ma con decorazione ben conservata del cosiddetto Blütenblattstil all’incipit di ogni Vangelo. Come molti manoscritti bizantini miniati del Nuovo Testamento, questo codice contiene anche una decorazione particolarmente sviluppata attorno ai cosiddetti Canoni eusebiani, tavole attribuite a Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) che quasi sempre precedono i testi evangelici nei manoscritti bizantini e che costituiscono una sorta di indice che permette, grazie a una suddivisione dei testi in sezioni con numeri riportati nei margini, di individuare per ogni sezione i passi paralleli negli altri tre Vangeli. Un’altra ricostruzione ipotetica concerne il cosiddetto “Gruppo della Paleologina”, un insieme di una ventina di eccezionali manoscritti di lusso della fine del xiii sec. con caratteristiche che sembrano indicare un’origine comune (sicuramente costantinopolitana) e forse anche una committenza comune, riconducibile a un membro femminile della famiglia imperiale dei Paleologi in base al mono-

82

gramma che appare in uno dei manoscritti del gruppo (Vat. gr. 1158, ff. 5v e 6r)9. Caratteristiche del gruppo, oltre agli aspetti codicologici, sono in particolare la scrittura arcaizzante e l’ornamentazione che accompagna l’incipit delle opere contenute; il manoscritto forse più raffinato del gruppo, anzi, uno degli esempi più raffinati in assoluto della miniatura bizantina, secondo Hugo Buchthal e Hans Belting che tale gruppo hanno individuato, è il Praxapostolos Vat. gr. 1208, donato a papa Innocenzo viii dalla regina di Cipro Carlotta di Lusignano poco prima della sua morte a Roma nel 1487. Come la scrittura greca, anche il testo della Bibbia è molto omogeneo in epoca bizantina: diversamente da quanto si osserva all’epoca dei papiri o dei grandi codici in maiuscola, la stragrande maggioranza dei manoscritti bizantini in minuscola del Nuovo Testamento reca (pur sempre con piccole varianti) lo stesso tipo testuale, il cosiddetto testo bizantino (o costantinopolitano), tendenzialmente più lungo e più “liscio” degli altri e i cui primi esemplari esistenti risalgono al v secolo10. Per quanto riguarda l’Antico Testamento, i vari testimoni formano alleanze che variano da un libro (o da un gruppo di libri) all’altro, ma anche qui la maggior parte dei manoscritti offre un testo sostanzialmente identico. Tale uniformità generale, naturalmente, mette in particolare rilievo i pochi testimoni che fanno eccezione. Alcuni manoscritti offrono un testo che si avvicina a quello dell’uno o dell’altro dei grandi testimoni tardo-antichi. Ad es., in relazione a molti dei libri storici dell’Antico Testamento, il già menzionato Reg. gr. 1, del secondo quarto del x sec. (già proprietà della regina Cristina di Svezia ed entrato in Vaticana con il resto della sua biblioteca nel 1690), conosciuto agli studiosi del testo della Bibbia dei Settanta con la sigla 55, offre un testo molto simile a quello del cosiddetto Codex Vaticanus (Vat. gr. 1209, Codice B, del iv sec.), al punto che i curatori di certi libri dell’edizione di Gottinga indicano l’accordo fra B e 55 con la sigla unica B́11. Non si osservano molti punti di contatto fra la (poca) bibliografia sul Reg. gr. 1 in quanto testimone della Bibbia dei Settanta e quella, abbondante, che ha per oggetto lo stesso manoscritto in quanto tale e soprattutto in quanto opera d’arte: il libro, infatti, una Bibbia intera miniata, è più conosciuto agli storici dell’arte e al grande pubblico come Bibbia del Patrizio Leone, sontuoso manufatto che si annovera fra le realizzazioni più notevoli dell’arte bizantina12. Non si hanno altre notizie certe del personaggio chiamato Leone, committente (a quanto pare) del libro, identificato nei giambi del f. 1r-v e nelle pitture dei ff. 2v-3r come altissimo funzionario bizantino

41

43 35

(patrizio, sacellario), nonché fratello di un altro altissimo funzionario (protospatario per la precisione), di nome Costantino, fondatore di un monastero il cui patrono era san Nicola e la cui biblioteca doveva ricevere in dono il libro completato. Se si riuscisse a identificare il Monastero di San Nicola, e se d’altra parte si riuscisse a definire meglio la parentela testuale fra il Codex Vaticanus e il Reg. gr. 1, tale conclusione permetterebbe forse di gettare qualche luce anche sul passato del Vaticanus, la cui storia rimane del tutto misteriosa fino al momento della sua comparsa negli inventari della Vaticana verso la fine del xv sec. Alcuni altri manoscritti dell’Antico Testamento, ad es. il Chigiano r.vii.45, del x sec., si avvicinano al Codex Marchalianus, Vat. gr. 2125, del vi secolo13, nell’offrire un testo che si può definire “esaplare”, nel senso che contiene varianti provenienti dall’edizione origeniana che figurava nella quinta colonna degli Esapla. Anche nella tradizione testuale del Nuovo Testamento si possono individuare alcuni, pochi testimoni che offrono non il cosiddetto testo bizantino ma piuttosto un testo simile a quello dell’una o l’altra delle categorie geografiche in cui gli studiosi ripartiscono il testo dei primi secoli del cristianesimo14. E, di nuovo, fra gli esempi più notevoli di questo fenomeno, vi è un manoscritto più conosciuto per le sue miniature che non per il suo contributo testuale: il cosiddetto Tetravangelo dell’imperatore Giovanni ii Comneno, Urb. gr. 2, già proprietà di Federico da Montefeltro e giunto in Vaticana con il resto della biblioteca dei duchi di Urbino nel 165715. In realtà, non è del tutto sicuro che si sia trattato originariamente di una committenza imperiale, nonostante la presenza dei ritratti dell’imperatore e di suo figlio Alessio al f. 19v, che permettono comunque di datare il manoscritto al periodo del loro regno congiunto, e cioè al terzo o al quarto decennio del xii sec. Fatto sta che il corredo decorativo del manoscritto, attribuito alla bottega del cosiddetto Maestro di Kokkinobaphos, e in particolare le miniature all’inizio di ogni Vangelo, che raffigurano, sulla pagina di sinistra, un episodio scelto dalla parte iniziale del Vangelo (nel caso di Matteo, si tratta della Natività); e, sulla pagina di destra, l’evangelista, insieme all’incipit del Vangelo stesso, è eccezionale per la sua ricchezza e per la sua raffinatezza. Tale ricchezza ha attirato anche ammiratori malintenzionati: le miniature furono oggetto di un furto nel 1894 e successivamente vennero recuperate e reintegrate nel volume con una operazione di restauro di cui si vedono ancora le tracce. Per quanto riguarda il testo, questo manoscritto è fra i pochi testimoni neotestamentari bizantini a

recare un testo di tipo detto “cesariense”, simile a quello che si riconosce negli scritti di sant’Eusebio e in quelli di Origene, attribuibili al periodo del suo soggiorno a Cesarea in Palestina16. La tendenza dei manoscritti biblici più sontuosi prodotti in ambito costantinopolitano ai tempi delle dinastie dei Macedoni e dei Comneni a proporre, oltre alle miniature, anche un testo biblico di particolare interesse è sicuramente un fatto che andrebbe approfondito, in quanto potrebbe gettare qualche luce sulla circolazione e la localizzazione (magari in biblioteche della capitale) di esemplari eccezionali del testo biblico17. Esiste anche un altro tipo testuale molto peculiare, oggi chiaramente individuabile soltanto in pochi testimoni (tutti in minuscola) di specifici libri dell’Antico Testamento ma concernente originariamente, con ogni probabilità, tutti i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, che risulta molto simile al testo biblico citato dai padri antiocheni, in particolare Giovanni Crisostomo (morto nel 407) e Teodoreto di Cirro (morto nel 460 ca.). Da tempo gli studiosi mettono l’esistenza di questo tipo testuale in relazione con le notizie, tràdite in particolare da san Girolamo, del lavoro filologico realizzato dal martire san Luciano di Antiochia (morto nel 312), il quale sarebbe all’origine di testimoni biblici, e quindi di un tipo testuale, cui si dava il nome di exemplaria Lucianea18. L’identificazione sembra confermata dal fatto che alcuni testimoni del testo “normale” o maggioritario recano varianti marginali contrassegnate da una sigla che consiste nelle due lettere greche lambda e omicron (probabilmente per Λο[υκιανός]: si veda, ad es., il margine sinistro del f. 226v del Barb. gr. 549, testimone dei profeti veterotestamentari del ix o del x sec., entrato in Vaticana nel 1902 insieme al resto della Biblioteca Barberini); e che tali varianti spesso si ritrovano non in margine ma nel testo biblico stesso nei pochi manoscritti che fanno parte del gruppo il cui testo coincide con quello citato dai padri antiocheni. In realtà è poco probabile che il testo “lucianeo” dell’Antico Testamento greco sia il frutto del lavoro filologico di san Luciano di Antiochia o di qualunque altro studioso: si tratta infatti, laddove è chiaramente identificabile, di un testo poco leggibile, con uno stile che varia fra la parafrasi da una parte e un letteralismo estremo dall’altra; è notevolmente più lungo del testo “normale” (o “bizantino”), non soltanto perché colma sistematicamente le omissioni del testo greco rispetto a quello del testo ebraico massoretico ma anche perché, spesso, traduce in greco due volte (con espressioni leggermente diverse) un’unica locuzione ebraica; peraltro, molte fra le varianti “lucianee” sono identificabili come

83

44


Bibbia. Immagini e scrittura

provenienti in ultima analisi dalle traduzioni di Aquila, di Simmaco e di Teodozione raccolte negli Esapla di Origene e a quanto pare introdotte nel testo che troviamo nei testimoni lucianei senza metodo particolare, forse da uno scriba che ha preso le varianti marginali del suo esemplare per segnalazioni di omissioni19. È notevole che, sebbene le testimonianze sull’intervento di Luciano (e in particolare quella di Girolamo) sembrino riferirsi a una recensione dell’insieme della Bibbia cristiana, un testo di questo tipo si lascia nettamente identificare e caratterizzare, secondo i criteri appena menzionati, soltanto nei libri storici (in particolare quelli dei Re, dei Paralipomena e di Esdra) e, in modo un po’ meno accentuato, nei libri profetici dell’Antico Testamento. Il curatore del Pentateuco nell’edizione di Gottinga, John W. Wevers, invece, giunge alla conclusione che un testo lucianeo non è individuabile fra i testimoni di quei libri. Una situazione analoga si annovera nel Salterio, dove, tuttavia, è stata generalmente accolta l’ipotesi di Alfred Rahlfs secondo la quale il testo piuttosto uniforme offerto dal migliaio di testimoni esistenti è appunto da considerarsi lucianeo, in quanto generalmente concorde con le citazioni dei padri antiocheni: in altre parole, nel caso dei Salmi il testo lucianeo avrebbe sostituito gli altri tipi testuali nella quasi-totalità dei testimoni bizantini giunti a noi20. Anche l’assenza di un testo lucianeo facilmente identificabile fra i manoscritti del Nuovo Testamento viene spiegata con una ipotesi analoga21. Ma tale affermazione lascia perplessi, in parte per motivi metodologici22 e in parte perché il testo maggioritario dei Salmi e del Nuovo Testamento non presenta le caratteristiche molto singolari che rendono il testo lucianeo dei libri storici e profetici dell’Antico Testamento facilmente riconoscibile ma anche poco leggibile. Anzi, il testo “bizantino” del Salterio, come quello del Nuovo Testamento, è particolarmente liscio e comprensibile, come è naturale per testi che hanno una funzione così fondamentale nella liturgia e anche nella devozione monastica e privata. Fra i circa 1.800 manoscritti bizantini dell’Antico Testamento elencati nel repertorio pubblicato dal progetto di edizione di Gottinga, il Salterio è di gran lunga la tipologia più frequente, con oltre mille esemplari. I salteri sono anche fra i manoscritti più frequentemente decorati con sontuose miniature; gli specialisti li dividono in due grandi categorie23: i cosiddetti salteri “aristocratici”, con poche miniature a piena pagina, in genere strettamente legate al contenuto del testo biblico; e quelli detti “monastici”, con centinaia di piccole miniature marginali tematicamente meno omogenee e raffiguranti spesso personag-

84

II. Area bizantina

gi neotestamentari e in particolare il Cristo. Un esempio del secondo tipo è il cosiddetto Salterio Barberini, Barb. gr. 372, databile intorno agli anni Sessanta dell’xi sec. in quanto vergato da uno scriba sicuramente identificabile con quello, di nome Teodoro, che nel 1066 sottoscrisse un altro Salterio molto simile a questo (bl, Add. 19352)24. Di particolare interesse è un Salterio illustrato dell’xi sec.25, il Vat. gr. 75226, eccezionale in quanto non entra in nessuna delle due categorie canoniche ma presenta, oltre all’ampio corredo commentaristico, miniature prevalentemente di tipo “aristocratico”, e cioè illustrative del testo (e in particolare degli episodi della vita di Davide menzionati nei titoli dei Salmi), disposte però non a piena pagina ma all’interno delle colonne previste per la scrittura. Esiste soltanto un altro Salterio con caratteristiche simili, il Vat. gr. 192727, per questo motivo talvolta attribuito alla stessa, anonima bottega28. Il programma iconografico di quest’ultimo manoscritto è abbastanza rappresentativo dei salteri miniati in generale, con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Quasi tutte le miniature includono la figura di Davide, generalmente in un contesto paesaggistico a fondo oro; è di norma presente anche l’arco del cielo, verso il quale si rivolgono le figure in preghiera. Il Vat. gr. 752, invece, presenta un programma iconografico decisamente insolito che rimane per molti aspetti misterioso; rappresenta comunque un qualcosa di eccezionale, per chi si occupa di filologia biblica, il vedere raffigurati, a quanto pare per l’unica volta in assoluto, i traduttori ebrei Aquila e Simmaco (f. 187r), solitamente rappresentati solo da sigle nei margini dei manoscritti o nell’apparato critico delle edizioni ma qui riccamente vestiti e provvisti di nimbi, in dialogo fra di loro. Oltre ai fastosi codici miniati, i salteri bizantini esistono in una infinita varietà di formati con diverse finalità29; ma le variazioni di tipo testuale sono, come già detto, molto limitate: tutti i testimoni recano più o meno lo stesso testo liscio, leggibile e pertanto (come dicevamo) poco adatto a essere identificato con il tipo testuale individuabile altrove come “lucianeo”. Menzioniamo quindi un’altra spiegazione del problema del testo lucianeo, che viene suggerita dallo studio paleografico dei tre principali testimoni di questo tipo testuale nei libri storici dell’Antico Testamento, e cioè il bl, Royal 1.d.ii, il Chig. r.vi.38 e il Vat. gr. 330. Tutti e tre sono databili al xii o al xiii sec. e presentano caratteristiche grafiche che permettono, sulla base di una indagine paleografica di Paul Canart, di ipotizzare una origine geografica comune a Cipro o nelle limitrofe zone costiere della Palestina30. Il manoscritto che per primo fece

45

46

conoscere questo tipo testuale è il Vat. gr. 330 (da identificarsi probabilmente con la voce «Biblia ex membranis in nigro» dell’inventario della Vaticana del 148131, nonostante il libro sia in realtà cartaceo32), che fu mandato in Spagna per la preparazione della prima edizione a stampa dell’Antico Testamento greco, la Poliglotta Complutense degli anni 1514-1517. Oltre alla scrittura, questo manoscritto contiene anche altri indizi delle sue origini geografiche, vale a dire note marginali in arabo contemporanee del manoscritto stesso, nonché segnature di fascicolo in lettere georgiane: un’eterogeneità linguistica che invita a collocare l’uso primitivo e probabilmente la produzione del codice in un luogo di pellegrinaggio del Medio Oriente (ad es. Gerusalemme o il Sinai). Tale origine geografica, che il Vat. gr. 330 sembra condividere con gli altri due testimoni che offrono un testo lucianeo molto caratterizzato, invita a pensare che il testo lucianeo, per quanto diffuso e spesso citato nel periodo tardo antico, fosse stato poi perso fino alla sua riscoperta, probabilmente in un unico esemplare, nel xii sec., in qualche biblioteca della Palestina: destino analogo a quello dei drammi “alfabetici” di Euripide, persi e destinati a rimanere tali, se Demetrio Triclinio non li avesse riscoperti nel xiv sec. in un unico esemplare a Tessalonica. Oltre ai gruppi o ai singoli testimoni veterotestamentari bizantini che si possono mettere in relazione con l’attività di un revisore conosciuto (testo origeniano, sigla O; testo lucianeo, sigla L) e a quelli che si possono caratterizzare per la loro la loro vicinanza all’uno o all’altro dei grandi codici in maiuscola, gli editori della Bibbia dei Settanta hanno individuato, per ogni libro, altri gruppi di testimoni di origine sconosciuta e probabilmente “stemmatica”, e cioè risultanti dal normale processo di trasmissione degli errori e di altri tipi di varianti sempre da un esemplare a tutti i suoi “discendenti”. Tali gruppi sono generalmente individuati, in mancanza di meglio, con sigle generiche (a, b, ecc.); fanno eccezione i raggruppamenti di testimoni in molti libri che i curatori della edizione di Gottinga segnalano con la sigla C (per Catena), in quanto ci si è accorti che i manoscritti con presenza nei margini di grandi raccolte di commentari patristici (denominati appunto “catene”) hanno spesso in comune anche molte varianti testuali33. Fra gli esempi più importanti possiamo citare gli Ottateuchi Vat. gr. 747, dell’xi secolo, e Vat. gr. 746, del xii secolo (tutti e due sicuramente reperibili negli inventari della Vaticana fin dai tempi di Giulio ii all’inizio del Cinquecento34 e molto probabilmente anche nell’inventario del 148135). Si tratta di due di solo sei Ottateuchi

bizantini miniati conservati, nei quali si possono osservare interpretazioni diverse degli stessi episodi narrativi, il cui studio comparativo è stato e rimane fondamentale per la storia dell’arte bizantina. Qui gli storici dell’arte possono paragonare le varianti pittoriche come fanno i filologi per quelle testuali: ad es., nella rappresentazione della terza piaga d’Egitto (quella delle “zanzare” secondo la traduzione della cei), che in linea di massima non soggiaceva a un modello iconografico fisso, è invece chiaro come la miniatura del Vat. gr. 747, f. 81v e quella del Vat. gr. 746, f. 173v, siano due istanze del medesimo “testo” pittorico, con gli stessi personaggi (da sinistra a destra Aronne, Mosè, la guardia del Faraone con lo scudo e il Faraone stesso) disposti allo stesso modo, persino con le stesse gestualità e vestiti (tutti tranne la guardia) di uguali colori; le “varianti” consistono nel fatto che in un manoscritto la guardia porta la spada, nell’altro no; che in una miniatura i due santi hanno il nimbo, mentre nell’altra ce l’ha solo Mosè, e così via36. Oltre che nei manoscritti dell’Ottateuco, un testo tipico dei testimoni cum catenis si lascia individuare anche nei libri profetici, ad es. nel Vat. gr. 755, contenente il solo libro di Isaia con catene, dell’xi secolo, anch’esso più conosciuto per le sue tre bellissime miniature a piena pagina, ad es. quella del f. 107r che raffigura Isaia in preghiera in mezzo a figure che rappresentano personificazioni della Notte e dell’Alba (riferimento al testo di Is. 26,9, che si trova di fronte)37. Il libro risulta presente in Vaticana fin dai tempi del fondatore Niccolò v38. Fin qui abbiamo visto le principali fonti manoscritte vaticane che gli specialisti consultano per la costituzione e lo studio del testo originale del Nuovo Testamento greco e della Bibbia dei Settanta, con le loro caratteristiche testuali, grafiche e artistiche. Concludiamo con un esemplare di un altro tipo di Bibbia, quella tradotta in “volgare”. I cristiani di lingua greca leggono tuttora il Nuovo Testamento in versione originale, in genere senza grandi difficoltà di comprensione. Anche l’Antico Testamento viene generalmente letto nelle chiese greche nella versione dei Settanta, la cui lingua però è notevolmente più difficoltosa. Il primo tentativo conosciuto per rimediare a tale difficoltà sembra essere la traduzione del Salterio in lingua greca “demotica” in un manoscritto datato all’anno 1450, oggi Vat. gr. 343, che risulta presente in Vaticana fin dai tempi di Sisto iv39, e cioè già pochi decenni dopo la sua produzione. La traduzione, realizzata probabilmente intorno al 140040, non è stata fatta ex novo sulla base del testo ebraico ma risulta un aggiornamento linguistico della già esistente Bibbia dei Settanta41.

85

47-48

34


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area bizantina

35. Incipit del ii Libro dei Re (o di Samuele) con miniatura raffigurante l’unzione di re Davide da parte del profeta Samuele, Bibbia di Leone (Reg. gr. 1, ff. 262v e 263r).

86

87


Bibbia. Immagini e scrittura

36. Illustrazioni relative a Giosué 10,10-25, Rotolo di Giosué (Pal. gr. 431, f. xiiir).

88

II. Area bizantina

Pagine seguenti: 37. Illustrazioni relative a Giosué 10,10-25, Rotolo di Giosué, (Pal. gr. 431, f. xiiir), dettaglio.

38. Canoni di Eusebio, Tetravangelo (Vat. gr. 364, f. 3v). 39. Incipit del Vangelo di Luca, Tetravangelo (Vat. gr. 364, f. 132r).

89


Bibbia. Immagini e scrittura

90

II. Area occidentale – Epoca gotica

91


Bibbia. Immagini e scrittura

92

II. Area bizantina

93


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area bizantina

40. Incipit del Vangelo di Luca, Tetravangelo (Vat. gr. 354, f. 117v). 41. Incipit della Lettera di S. Paolo ai Romani, Praxapostolos (Vat. gr. 1208, f. 167r).

94

95


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area bizantina

42. Incipit del Vangelo di Marco con raffigurazione dell’evangelista, Evangelistario (Vat. gr. 1522, ff. 127v-128r).

96

97


Bibbia. Immagini e scrittura

98

II. Area bizantina

43. Vangelo di Matteo 1,1-2 con raffigurazione dell’evangelista, Tetravangelo dell’Imperatore Giovanni ii Comneno (Urb. gr. 2, f. 21r).

46. I traduttori Aquila e Simmaco in dialogo, Salterio (Vat. gr. 752, f. 187r).

44. Ezechiele 1,7-12 con commento e varianti marginali (Barb. gr. 549, f. 226v).

47. Esodo 7,14-25 con catena e miniatura raffigurante la terza piaga d’Egitto, Ottateuco (Vat. gr. 747, f. 81v).

Pagine seguenti: 45. Salmo 17,10-15, Salterio Barberini (Barb. gr. 372, f. 27v).

48. Esodo 8,9-17 con catena e miniatura raffigurante la terza piaga d’Egitto, Ottateuco (Vat. gr. 746, f. 173v).

99


Bibbia. Immagini e scrittura

100

II. Area bizantina

101


Bibbia. Immagini e scrittura

102

II. Area Bizantina

103


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area orientale

AREA ORIENTALE

Pagine seguenti: 49. Quattro evangelisti (Vat. copt. 9, f. 20v).

Juan Pedro Monferrer-Sala

L’attento lavoro di traduzione, copia, conservazione e trasmissione di manoscritti condotto all’interno dei monasteri cristiani orientali durante il Medioevo ha permesso che una ricca eredità di testi biblici siano giunti fino a noi in diverse lingue e da differenti aree geografiche: Egitto, Siria e Palestina, Mesopotamia ed Etiopia principalmente. In questi monasteri, che ospitavano monaci provenienti da luoghi diversi, si creò un’atmosfera linguistica e culturale di ecumenismo con una matrice multilingue notevole. Questo ambiente ha fatto sì che i monasteri diventassero i centri di un’importante dinamismo intellettuale, generatori e divulgatori di un vasto patrimonio culturale che li convertì nell’“archivio” della cristianità orientale. Tale attività cosmopolita, frutto della convivenza intellettuale dei monaci di diversa provenienza geografica e linguistica che abitavano nei monasteri, riuscì ad attivare, fino a un certo punto, una politica testuale di carattere ecumenico; finì così per favorire una complicata trasmissione di opere, oltre a un’interessante diffusione multilingue, a partire da una complessa realtà linguistica, con l’arabo come lingua veicolare e culturale e il copto come lingua della tradizione religiosa, insieme ad altre lingue in contatto, frutto della variopinta popolazione che popolò l’Egitto dal periodo greco-romano. Il latino, il greco, l’arameo e l’etiopico, insieme al copto e all’arabo, conformano il caleidoscopio linguistico che illustra secoli che sono essenziali non solo per poter conoscere la trasmissione manoscritta, ma anche per poter capire l’eredità culturale che riuscirono a preservare i monasteri egiziani.

Barb. or. 2 (Salterio Pentaglotta) Il codice Barb. or. 2 è parte di una feconda tradizione testuale caratterizzata dall’inclusione di versioni plurilingue di testi biblici e la cui origine rimonta a Origene di Alessandria e al suo celebre testo esaplare, che conobbe una interessante traduzione siriaca realizzata ad Alessandria da Paolo di Tella, nota posteriormente come la versione siro-esaplare. Il carattere cosmopolita e multilingue che si generò nei monasteri bassomedievali è una caratteristica fondamentale per poter comprendere il valore di questa attività culturale. È un manoscritto copiato da varie mani, le cui sezioni più antiche possono datarsi alla seconda metà del secolo xiii e alla prima metà del secolo xiv. Si tratta di una delle traduzioni più famose del Libro dei Salmi nella tra-

104

50. Incipit del Vangelo di Matteo: Natività (Vat. copt. 9, f. 23r).

dizione copto-araba, contenente un Salterio poliglotta le cui cinque lingue documentano che le relazioni tra le diverse comunità ortodosse nella zona del Wadi alNatrun continuavano a essere attive. Inoltre, la colonna etiopica include uno dei più antichi testi fissati su supporto cartaceo di provenienza europea datato al secolo xvii grazie al tipo di filigrana della carta. Il codice proviene dalle biblioteche di Scetis, Wadi al-Natrun, probabilmente da Dayr al-Suryan (il Monastero dei Siriani), da cui poté essere preso in prestito, comprato o magari ricevuto in regalo. È possibile che il cappuccino Gilles de Loche – di cui si racconta che vide non meno di 8000 libri guidato dal crescente interesse per i manoscritti che sorse a partire dal secolo xvii – visitasse i monasteri di Wadi al-Natrun nell’anno 1633, e tra loro il celebre Dayr al-Suryan. Il manoscritto passò a essere proprietà del Dayr Anba Maqar (Monastero di San Macario) nell’anno 1634-1635, dove fu acquistato da Nicolas-Claude Fabri de Peiresc per il R.P. Agathange de Vendôme, arrivando al cardinale Barberini attraverso Gilles de Loche e rimanendo definitivamente conservato nella Biblioteca Vaticana. Il Barb. or. 2 contiene cinque versioni dei Salmi in ge)ez, siriaco, copto-boairico, arabo e armeno, disposti in cinque colonne. Il codice attuale, che si trovava in uno stato di deterioramento (muhashsham) in conseguenza dei restauri subiti (bi-tarmim hadha al-kitab) in precedenza, conobbe un successivo rimaneggiamento effettuato da Anba Yanus, che finì per essere vescovo e abate (al-mutran wa-l-ra*is) di Dayr Anba Maqar. Questo stesso monaco restaurò anche il testo del Irshad al-Mazamir (“Guida del Salterio”) nel dicembre del 1626. Attualmente il codice presenta due unità codicologiche distinte che includono i seguenti testi: gruppo A) il Salterio, frammenti dell’Antico Testamento (Es, 1 Re, 2 Sam, Is, Ab, Deut, Dan) del Nuovo Testamento (Lc, Gv), apocrifi (Orazione di Manasse, solo in arabo) e varie (Gloria in excelsis e il Credo niceno-costantinopolitano); gruppo B) una introduzione anonima ai Salmi, un excerptum dei ventiquattro Aqwal acrostici di Gregorio Nazianzeno e un menologio copto-arabo, solo con i primi quattro mesi.

lificata come recensione eclettica che è detta, a volte, la “Vulgata egizia” e che risale al secolo x. Questa versione costituì il testo standard durante il secolo xii in Egitto e in Siria, e tutto indica che il celebre teologo musulmano al-Ghazali probabilmente utilizzò un volume identico al Vat. copt. 9, con il testo copto e l’arabo in colonne parallele. Il celebre autore alessandrino Hibat Allah ibn al-)Assal realizzò la prima revisione nel 1250, ad Alessandria, e una seconda revisione ebbe luogo a fine secolo, generando la “Vulgata alessandrina”, che tuttavia è poco più del testo del Vat. copt. 9. Secondo Kashouh, il testo della Vulgata alessandrina non rappresenta una recensione della versione di Ibn al-‘Assal, visto che a suo parere l’alessandrina circolò almeno due secoli prima della seconda. Inoltre, Kashouh precisa che la versione araba del Vat. copt. 9 non è una traduzione realizzata a partire da un originale coptoboairico, bensì a partire dal siriaco e dal greco con correzioni contro la versione copta, oppure a partire dal siriaco con correzioni in certe occasioni contro il greco e in altre contro il copto. Gli argomenti di Kashouh non sono sufficientemente convincenti visto che Vat. copt. 9 conserva il testo della Vulgata alessandrina, che fu inizialmente tradotta dal copto-boairico, assimilando più tardi varianti siriache e greche e convertendosi così in una recensione eclettica. Questa Vulgata alessandrina divenne un testo molto influente, e arrivò a far parte di tutte le edizioni impresse dei Vangeli arabi fino ai nostri giorni. Il crescente interesse che i missionari cattolici svilupparono per le edizioni stampate della Bibbia, in accordo con lo spirito rinascimentale, fece sì che la Typographica Medicea di Roma, nella figura di Giovanni Battista Raimondi, pubblicasse

la editio princeps dei Vangeli in arabo nel 1591 usando come testo base il Vat. copt. 9. Vat. copt. 9 è uno dei codici più belli della biblioteca delle bibbie copte. Il manoscritto consta di 504 fogli di carta, misura 345 x 250 mm, con testo disposto su due colonne con 22-24 linee per pagina, su un campo scrittorio di 255 x 170 mm. Contiene una dedicatoria al Monastero di Sant’Antonio il Grande (f. 1r), da cui proviene. Il codice, portato dall’Egitto da Girolamo Vecchieti nel 1594, è parte di un lotto di manoscritti che furono traslati a Parigi nell’anno 1797, tornando successivamente alla Vaticana nel 1815. L’amanuense che copiò il Vat. copt. 9, di nome Giorgis, fu il copista anche di altri manoscritti e terminò il suo lavoro nel 921 am (ossia nel 1204/1205 d.C.). Il Tetravangelo, il cui stile decorativo è bizantino, mostra una interessante ornamentazione di influenza islamica con decorazione geometrica poco usuale nei codici copto-arabi. Inoltre, i marginalia inclusi nel manoscritto rappresentano un eccellente registro informativo con note del Patriarca Ghubriyal iii che ci informano, inter alia, delle vicissitudini del codice, come la sua donazione al Monastero di Sant’Antonio da parte del diacono Mikha*il Abu Haliqah in qualità di hubs, la sua sottrazione e il suo posteriore riacquisto. Il Vat. copt. 9 include una versione copta dei Vangeli in scrittura onciale tradotta dal greco. La colonna coptoboairica è accompagnata dalla versione araba, sebbene con varianti procedenti dalle Vulgate greca, siriaca e copta, fra le quali le prime due generarono addizioni assenti nell’originale copto. Seguendo la tradizione bizantina, ogni Vangelo è preceduto da una prefazione storica nella quale si indica quando e dove fu composto1.

Vat. copt. 9 (Vangeli) All’inizio del secolo xiii c’era la necessità di poter contare su un tipo testuale più fisso che tenesse in conto le tre grandi Vulgate orientali: la greca, la siriaca e la copta. Di conseguenza, il testo rappresenta una versione qua-

105

49-50


Bibbia. Immagini e scrittura

106

II. Area orientale

107


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area ebraica

AREA EBRAICA Giancarlo Lacerenza

La condizione diasporica d’Israele fra età romana e moderna impone l’adozione di un criterio diverso rispetto a quello del “centro scrittorio”, inteso in senso unicamente geografico, cui ascrivere la produzione libraria manoscritta ebraica del periodo medievale, in particolare fra il xii-xiii e il xvi secolo. Più che a pochi luoghi selezionati, infatti, già dall’Alto Medioevo si assiste nella diaspora all’affermarsi di aree geo-culturali di ampiezza diversa – Sefarad, Aškenaz, Italia, Sicilia, Bisanzio, Oriente, Yemen1 – per cui si può dire, ulteriormente semplificando, che un manoscritto ebraico può essere di ambito sefardita, aškenazita, italiano, bizantino od orientale, in molti casi senza allontanarsi troppo dalla verità, nella consapevolezza che indicazioni così vaghe e destinate in molti casi a rimanere tali gravano in maniera sensibile sulle nostre effettive conoscenze circa le dinamiche della produzione libraria nel corso del lungo Medioevo ebraico2. Queste difficoltà epistemologiche, complicate dalla frequente assenza di colophon, o talora dalla presenza di colophon privi però dei dati logistici e cronologici essenziali, emergono in maniera evidente nel caso di quella specifica categoria di manoscritti ebraici costituita dai Sifrê Torah, o Rotoli della Torah, di cui il Vat. ebr.1, esemplifica tutte le caratteristiche e, per quanto riguarda lo studio, i limiti. Il caso dei codici si presenta decisamente diverso: non vincolata ad alcuna particolare tradizione o prescrizione formale, questa categoria di manoscritti rispecchia, spesso abbastanza fedelmente, mezzi e modi espressivi della società in cui è inserita, dei quali condivide almeno in parte anche i mezzi scrittori, i supporti e i rispettivi materiali. Tali caratteristiche formali, unite alla possibilità di ascrivere il tipo di scrittura a una più o meno ben riconoscibile tradizione geo-culturale, in molti casi rendono abbastanza agevole, pur in mancanza di colophon o di altri espliciti riferimenti testuali, l’individuazione dell’area d’origine di un determinato codice. Le possibilità di operare distinzioni ancora più accurate aumentano, poi, nettamente nell’Occidente latino grazie alle maggiori conoscenze che si posseggono per i codici prodotti entro quest’area e specialmente per quelli copiati in Italia, che da soli costituiscono più del 50%3 dell’intera produzione libraria ebraica pervenutaci dal Medioevo e di cui la Vaticana, con i suoi oltre 900 manoscritti ebraici – molti dei quali miscellanei, sicché il numero dei codici è in realtà ancora superiore – e provenienti da vari antichi fondi, presenta oggi una delle collezioni più ampie e significative.

108

Vat. ebr.1 (Sefer Torah “Rotolo della Torah”) Rotolo in pelle, realizzato in Medio Oriente forse nel xiii secolo; altezza 630/650 mm; lunghezza 35,35 m; formato da 43 fogli in pelle di tipo gewil, da 4 a 6 colonne di testo per foglio, per un totale di 212 colonne con 51/53 linee di testo. Rigatura a secco; scrittura quadrata orientale con het apicata, tagin, lettere arricciate e curvate. Impugnature e aste portanti (‘asê hayyim) moderne. Questo antico Sefer Torah, integro e in discreto stato di conservazione, ben rappresenta la forma più antica di manoscritto biblico circolante in ambito ebraico: il rotolo (sefer) in pelle, supporto di tradizione ultramillenaria per tutti i testi biblici (i cui più antichi esemplari, rinvenuti a Qumran, risalgono alla metà del iii secolo a.C.) e tuttora in uso nella liturgia sinagogale. Il rotolo in pelle di tipo gewil – più scura, spessa e morbida rispetto al materiale scrittorio, più chiaro e sottile, detto qelaf, equiparato alla pergamena e in seguito preferito dagli scribi della diaspora occidentale – riproduce, secondo la tradizione ebraica, la tipologia di Sefer Torah utilizzata dallo stesso Mosè. Sebbene in tempi posteriori il suo uso sia stato limitato dalla diffusione del qelaf, la cui superficie più liscia e rigida consente allo scriba maggior precisione, velocità di esecuzione e facilità di correzione, il prestigio del gewil è rimasto intatto soprattutto in ambito orientale (mizrahi) e mediterraneo-nordafricano (sefardi; terminologia basata tuttavia su distinzioni piuttosto fluide e, in alcuni casi, come si è detto sopra, non ben determinate). Già nel fondo palatino secondo il catalogo Assema4 ni , il rotolo, di origine sconosciuta e provenienza incerta5, è probabilmente il «volumen [...] id est membranam crassiorem Hebraicis litteris conscriptam ac circumuolutam» visto in Vaticana al principio del xvii secolo da Johann Heinrich von Pflaumern6. Considerato allora, a quanto sembra, di particolare antichità e valore – vuoi per lo stato di conservazione, vuoi per l’aspetto arcaizzante della pelle – il Vat. ebr.1 in effetti non si distingue molto da altri rotoli con caratteristiche formali simili, sebbene esso non sia mai stato oggetto di indagini specifiche o molto approfondite7, come del resto vale per quasi tutti i Sifrê Torah oggi noti. Di questi ancora manca una solida tradizione di studi e solo in tempi relativamente recenti si è cominciato a prestare loro la dovuta attenzione: non per quanto riguarda il contenuto strettamente testuale – sotto questo aspetto, infatti, a eccezione dei rotoli biblici più antichi da

Qumran e dei frammenti dalla Genizah del Cairo con vocalizzazione non tiberiense, i Sifrê Torah in genere non veicolano elementi di particolare interesse – bensì per i dati utili alla storia della paleografia e della manoscrittologia ebraica in ambito liturgico. Mancando di ogni elemento esteriore utile alla datazione, e soprattutto di colophon, in condizioni normali i Sifrê Torah più antichi, ossia medievali, integri o mutili che siano, possono infatti essere datati solo con approssimazione: il tipo di scrittura ne può suggerire l’origine areale – ma, come si è visto, entro ripartizioni assai lasche di tipo geografico-culturale – e in assenza, come avviene appunto nei rotoli liturgici, di elementi di confronto quali le illustrazioni o il tipo di rilegatura, di solito non è possibile giungere ad attribuzioni più circoscritte. In casi particolari, i dubbi sulla datazione possono essere sciolti tramite l’analisi del supporto al C14, com’è avvenuto di recente per i Sifrê Torah di Bologna e Biella, risalenti al xii-xiii secolo8. Se la datazione del rotolo resta ipotetica, l’origine orientale si può inferire dal tipo di scrittura e appare confermata da varie particolarità scrittorie, che forniscono indicazioni sulla possibile provenienza dello scriba più che sul luogo in cui il rotolo sarebbe stato prodotto. La messa in pagina è conforme a quella dell’autorevole Codice di Aleppo nelle sezioni usate per individuare la tradizione scrittoria di riferimento, ossia il Cantico del Mare o Širat ha-yam (Es 15,1-21) e il Cantico di Mosè noto come Ha’azinu (Dt 32,1-43). La scrittura impiegata, malgrado mostri un certo sforzo per rispettare le regole scrittorie di una tradizione in questa fase del Medioevo non ancora stabilizzata, è decisamente imprecisa – non mancano errori, ripensamenti, cancellature – e inelegante: risalta la sproporzione fra i caratteri, spesso al di fuori delle colonne, anch’esse irregolari. Il manoscritto si segnala tuttavia come monumento non trascurabile di una tipologia di Sefer Torah di cui gli esemplari integri coevi sono relativamente rari.

Ross. 553, 556, 478 (Bibbia ebraica) Torah e megilloò (Pentateuco e Rotoli), Tehillim (Salmi), Haftaroò (sezioni dei Profeti anteriori e posteriori). Codice pergamenaceo dall’Italia centro-settentrionale, risalente al 1294; smembrato in tre volumi di rispettivi ff. 113, 59, 71, ridotti a dimensioni diverse (Ross. 553: 218 x 139 mm; 556: 213/223 x 139/141 mm; 478: 213 x 139 mm). Scrittura quadrata italiana; rigatura a secco,

testo su due colonne con frequenti segni di riempimento a fine rigo; a margine, qere-ketiv e poche altre abbreviazioni masoretiche. Rifilatura talora aderente al testo; presenza di tagli e asportazioni di miniature e decorazioni (specie nei Ross. 553 e 478). Secondo il colophon al Ross. 556, f. 59r, copiato da Eliyyah ben Ya‘aqov haKohen per Šabbeòay ben Šelomoh; completato l’8 Siwan 5054 (4 giugno 1294) in un luogo imprecisato (forse Roma o Rimini). Al f. 71v del Ross. 478, conclusivo dell’ultimo quinterno del codice originario, firma del censore Antonio Francesco Enriques dell’anno 1683. Legature rossiane di varia misura (Ross. 553: 345 x 225 mm; 556: 343 x 229 mm; 478: 340 x 230 mm). I tre mss. Ross. 553, 556 e 478, il primo dei quali acefalo, costituiscono in realtà parti di un unico codice della Bibbia ebraica, completo di accenti, vocali e note masoretiche essenziali, suddiviso in età ignota (ma dopo il 1683, quando la firma del censore fu apposta in calce al codice presumibilmente ancora integro) in tre volumi, la cui attuale segnatura non rispetta la sequenza originaria. Della parte iniziale, costituita dal Ross. 553, sono perduti i fascicoli 1-11 contenenti Genesi, Esodo e la prima parte del Levitico; i restanti quinterni (12-24) comprendono quanto resta del Pentateuco, dalla fine di Lv 13,57 a Dt 34,12, cui seguono, dal f. 87r, le cinque megilloò con il testo completo, nell’ordine, di Ruth, Cantico dei cantici, Qohelet, Lamentazioni ed Ester. L’intermedio Ross. 556 (quinterni 25-30 del codice originario) include il testo completo dei Salmi (numerati 1-149, secondo una diffusa suddivisione medievale che considera un unico componimento Sal 114-115); il Ross. 478 (quinterni 31-37) presenta infine le sezioni dai Profeti usate nella liturgia di rito italiano, con le rispettive benedizioni ai ff. 1r e 70v-71v. Il ricco, anche se misurato, programma decorativo del codice – più volte studiato e già attribuito all’Italia settentrionale9 ma in seguito, e più frequentemente, a un ambiente romano10 e di recente all’Emilia-Romagna, segnatamente a Rimini11 – prevede una decorazione impostata in modo diverso nelle tre sezioni in cui il codice era ripartito. Nel caso del volume con il Pentateuco e le megilloò (Ross. 553), si ha una decorazione particolarmente ricca al principio di ciascun libro della Torah, con intestazione miniata e dorata per le lettere della parola iniziale e vistose integrazioni al margine inferiore con figure animali, vegetali e ibride; una sola miniatura, più sobria e in genere con elementi in parte geometrici, è inclusa al termine dell’ultima colonna di

109

51


Bibbia. Immagini e scrittura

ciascun libro. Per il volume dei Salmi (Ross. 556), trattandosi di un libro unico e senza cesure fra testi diversi, le miniature principali con l’intestazione – ampie quanto le due colonne di testo – sono invece state applicate al principio delle cinque sezioni o “libri” in cui il testo tradizionalmente si articola, ossia al f. 1r, per Sal 1; al f. 16r, per Sal 42; al f. 27v, per Sal 73 (miniatura asportata), al f. 36r per Sal 90, al f. 43r per Sal 107 (in parte asportata); anche in questi casi con densi marginalia alle stesse pagine, ma non altre decorazioni altrove. Nel volume finale con le Haftaroò, le decorazioni sono quasi esclusivamente a margine delle sezioni iniziali delle varie letture e, soprattutto verso la fine del codice, appare evidente che il miniatore si è sentito più libero di riempire spazi e attingere a un ampio repertorio di soggetti ibridi e prevalentemente teriomorfi. Se lo scriba Eliyyah ben Ya‘aqov ha-Kohen non sembra altrimenti noto, il committente R. Šabbeòay ben Šelomoh può essere forse identificato, come si è proposto, con l’omonimo studioso fiorito a Roma nella seconda metà del xiii secolo, committente di varie traduzioni di testi filosofici (come in bnu, Ms. ebr. a.ii.13; Cat. Peyron 33). In ogni caso il codice, di certo inquadrabile in una produzione libraria di lusso pari, per intenti, alla produzione cristiana di tardo xiii secolo ed evidentemente destinato a una committenza di elevato livello culturale oltre che economico, fu strumento idoneo per lo studio non meno che per l’uso liturgico – almeno per quanto attiene al testo delle Haftaroò – mostrando in maniera esemplare la distanza dai pur prestigiosi, ma lontani, modelli sefarditi nella scelta delle illustrazioni, nei moduli quanto nei soggetti, cui sono stati preferiti elementi latini che non intendono glossare il testo né suggerirne l’esegesi, ma al massimo essere di supporto alla consultazione indicando libri, paragrafi e sezioni, entro i limiti della pura decorazione.

Urb. ebr. 7 (Libro dei Salmi) Codice pergamenaceo, realizzato a Napoli nel 1469; 145 x 100 mm; 2 ff. non numerati (= 1a-b, 2a-b) + 130 ff. con antica numerazione al recto solo per i ff. 1-123, corrispondenti ai quinterni con il testo dei Salmi (1-149); per i fogli successivi numerazione recente a matita. Scrittura formale sefardita, rigatura a secco; testo su una sola colonna (77 x 54/58 mm) con ampi margini; accenti, vocali, qere-ketiv. Intestazioni in oro su fondo blu e rosso e cornice con racemi, fiori e animali all’inizio di ciascun

110

II. Area ebraica

libro (ff. 1v, 33r, 57v, 75v, 90v); intestazioni decorate anche all’inizio di ciascun salmo; arma al lato inferiore della cornice al f. 1v. Secondo il colophon al f. 122r, copiato a Napoli da Yishaq ben Mošeh ibn Alragil Sefardi per «R. Šabbeòay» e completato l’8 Adar 5229 (20 febbraio 1469). Note di possesso al f. 1a e altre più ampie, con eventi familiari, per gli anni 1484-1562 ai ff. 128v-130r. Legatura con arma di Pio vi (1775-1799), consueta per i codici urbinati. Dal 1442, sotto l’egida degli Aragonesi di Napoli, durata sino alla fine del xv secolo, agli ebrei residenti nel sud Italia fu accordata, entro i limiti posti dalle norme vigenti e dall’autorità ecclesiastica, una tutela pressoché sconosciuta in altri luoghi dell’Europa occidentale, dove la presenza ebraica era ormai da decenni mal tollerata. Ciò favorì, in tutto il Meridione, una diffusa stabilità economico-sociale. Di conseguenza si realizzò una notevole fioritura culturale, tale da determinare l’attrazione verso il territorio, e in particolare nella capitale, anche di uomini di cultura – rabbini, maestri, cabalisti e scribi – provenienti dall’area germanico-aškenazita e, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alle violente repressioni e battesimi forzati del 1391, da quella iberica o sefardita. Testimone precoce di questa imponente migrazione culturale – che toccherà il suo acme nel 1492 con la definitiva espulsione degli ebrei da Spagna, Sardegna e Sicilia – è forse il codice Urb. ebr. 7, copiato a Napoli all’inizio del 1469 da Yishaq ben Mošeh Spagnolo (Sefardi), orgoglioso quindi delle sue radici iberiche, già copista a Toledo nel 1456, quando realizza per un ignoto, ma di rango, committente ebreo il prezioso codice (323 x 256 mm; 213 ff.) di una Bibbia ebraica con masorah, oggi purtroppo mutila della parte iniziale e in collezione privata12. Provenienza e patronimico permettono con certezza l’identificazione dello scriba Yishaq del nostro ms. come figlio di R. Mošeh ibn Alragil, o Mosè Arragel, di Guadalajara (ca. 1385-1456), principale editore della “Bibbia di Alba”, anche nota come “Bibbia di Arragel”, eccezionale esperimento di traduzione diretta dall’ebraico in castigliano realizzata nel secondo decennio del xv secolo per il conte di Alba Luis de Guzmán. Scomparso il padre nel 1456, Yishaq dovette di lì a qualche anno lasciare la Spagna, stabilendosi almeno per qualche tempo a Napoli, dove le sue tracce per il momento si fermano al 1469, col piccolo codice urbinate. Sulla sua destinazione non è di molto aiuto il nome del committente registrato al colophon semplice-

52

mente come «R. Šabbeòay», con epiteti che però fanno pensare a uno studioso e non fanno escludere a priori la proposta d’identificazione con quel R. Šabbeòay ben Mošeh intervenuto su questioni di macellazione rituale fra il 1472 e il 1474 secondo il ms. obl, Oppenheim Add. 4° 7813. Al f. 1v, al centro del lato inferiore della cornice decorativa che introduce il primo salmo e funge da frontespizio, si rileva un emblema araldico da ascrivere al committente o a un successivo possessore: su fondo azzurro, un leone volto a sinistra innanzi a un albero fruttato, affiancato in alto da una luna a sinistra e una stella a sei punte a destra. Mai identificato il casato, l’arma è nota da altri manoscritti, fra cui il prezioso codice biblico della Biblioteca Comunale di Imola14 copiato a Toledo nella seconda metà del Quattrocento e passato non molto tempo dopo a Napoli (che mostra nelle note di possesso vari elementi in comune col ms. urbinate); e ancora in un più tardo Mahazor (libro di preghiere per le principali festività) del 1531, di rito italiano e copiato da Eli‘ezer ben Avraham da Pisa per Gemma, vedova di un certo Mosè da Modena, il cui stemma di famiglia appare in alto nella stessa cornice (kb, Cod. Sim. Heb. 70, stemmi al f. 1r; colophon al f. 307v). Nelle decorazioni poste all’inizio di ciascun libro, con intestazioni in oro, vari tipi di animali fra i fiori e racemi

della cornice, in cui dominano il rosso, l’oro e il blu, con pochi tocchi di verde: vi troviamo due lepri (f. 1v), una lepre e un pavone a coda aperta (f. 33r), volatili e cervi (ff. 57v e 75v), una farfalla e un pavone a coda chiusa (f. 90v). Le note di possesso e le annotazioni di nascite e matrimoni, poste rispettivamente all’inizio e alle carte finali, secondo un uso ben diffuso nel mondo ebraico, permettono di seguire piccole vicende familiari nell’arco di circa un secolo e, in parte, le sorti del codice stesso: dal non identificato R. Šabbeòay di Napoli risulta essere passato, forse dopo altri passaggi intermedi, a un certo Rafa’el; e quindi, nel 1499, a un certo Yehudah ben Binyamin, per divisione ereditaria della biblioteca di famiglia, della quale ci sono pervenuti almeno altri tre codici (bpp, Parm. 2897 e 3293; bncr, Or. 55). La nascita di una bambina, Laura, è annotata al f. 130r per l’anno 1484. Cinquant’anni dopo è una donna, Graziana, moglie di Eliav ben Yehudah dell’Aquila, abitante a Sulmona, ad annotare con una minuta grafia corsiva, nel 1536, il matrimonio della figlia Brunetta (f. 128v) cui segue, nel 1539, il matrimonio di un’altra figlia, Beata; gli sposi risultano, rispettivamente, della «città di Pieve» e Roma (ff. 128v-129r). Il codice deve aver seguito una di queste strade, prima di approdare nella biblioteca dei duchi di Urbino e, infine, alla Vaticana.

111


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area ebraica

51. Incipit del Cantico dei cantici, Bibbia ebraica (Ross. 553, f. 90r).

112

52. Incipit del Salmo 1, Libro dei Salmi (Urb. ebr. 7, f. 1v).

113


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Le origini

AREA OCCIDENTALE LE ORIGINI E IL PRIMO MEDIOEVO (VI-IX SEC.)

BIBBIE DALLA TARDA ANTICHITÀ AI CAROLINGI Fabrizio Crivello Nella tarda antichità e nel primo Medioevo nascono le principali edizioni latine dei testi biblici; per la loro importanza spiccano, accanto ad altre, la Vulgata di Girolamo, realizzata tra il 383 e il 405, e la sua revisione iniziata alla fine dell’viii secolo da Alcuino nel monastero di San Martino di Tours su incarico di Carlo Magno. Nell’Alto Medioevo, tuttavia, i manoscritti conservati contenenti l’intera Bibbia sono relativamente pochi. I testi biblici più diffusi e che prevedono una decorazione sono prevalentemente quelli destinati alla liturgia: il libro dei Salmi (Salterio), l’Evangeliario e l’Evangelistario. In queste ultime due tipologie librarie hanno preso corpo, fin dal iv secolo, caratteristiche forme decorative che verranno ereditate dai manoscritti medievali. L’Evangeliario prende forma nella tarda antichità e riunisce i testi integrali dei Vangeli canonici, preceduti da prefazioni generali e da introduzioni ai singoli testi biblici; a essi verrà aggiunto nel vii secolo il capitulare evangeliorum, ovvero l’elenco delle letture previste dalle celebrazioni secondo l’ordinamento dell’anno liturgico. L’Evangelistario, i cui più antichi testimoni risalgono all’viii secolo, presenta, ordinati come il capitulare evangeliorum, i soli brani tratti dai quattro Vangeli (noti come pericopi) da leggersi durante la Messa. Si può affermare che la storia della miniatura e, quindi, in gran parte, dell’arte del primo Medioevo sia testimoniata principalmente dalla decorazione di libri di Vangeli, che si possono così considerare il libro decorato per eccellenza della produzione manoscritta medievale. L’Evangeliario di epoca tardoantica prevede una decorazione ornamentale costituita sostanzialmente da cornici per le pagine di titolo che talvolta mettono in evidenza anche l’incipit del testo. A esse si aggiungono i ritratti degli evangelisti, normalmente raffigurati intenti a scrivere il proprio Vangelo, spesso accompagnati dai rispettivi simboli, verso i quali possono volgere lo sguardo come per trarre ispirazione. Più rare sono le raffigurazioni degli evangelisti con iconografie che si ricollegano a una interpretazione particolare, esegetica o teologica, del contenuto del corrispondente Vangelo, mentre sono assolutamente inusuali i casi di evangeliari con scene narrative del Nuovo Testamento. La storia della miniatura altomedievale è costituita in larga

114

misura da ritratti di evangelisti, raggruppabili in tipologie che permettono di individuare l’attività di centri artistici e lo sviluppo del loro linguaggio figurativo. La decorazione più caratteristica dell’Evangeliario è costituita dalle tavole dei Canoni, ovvero dalle cornici ornamentali delle tabelle di concordanza tra i passi paralleli dei quattro Vangeli. Messe a punto da Eusebio di Cesarea (morto nel 339/340) sulla base di una precedente sinossi, furono successivamente introdotte da Girolamo nella sua edizione della Bibbia. Si tratta di cornici ispirate a forme architettoniche (colonne sormontate da archi, trabeazioni o timpani) che presero forma tra iv e vi secolo, divenendo nel Medioevo, con nuove e talvolta complesse variazioni ornamentali, una delle forme decorative costanti degli evangeliari. Tra i più antichi testimoni delle tavole dei Canoni di ambito latino occupa una posizione di particolare rilievo il frammento di Evangeliario tardoantico unito al ms. Vat. lat. 3806, un Sacramentario ottoniano realizzato a Ratisbona alla fine del x secolo per il monastero di Fulda1. L’Evangeliario tardoantico al quale apparteneva il frammento si trovava presumibilmente fin dall’età carolingia nel monastero di San Bonifacio, dal momento che sono state riconosciute tracce della sua influenza nelle tavole dei Canoni degli evangeliari fuldensi realizzati nel secondo quarto del ix secolo. Il Sacramentario giunse presto a Roma: in una scrittura italiana è stata aggiunta alla fine del manoscritto una Missa pro papa nella quale si prega per un pontefice di nome Silvestro, probabilmente Silvestro ii (999-1003). Il frammento tardoantico superstite è costituito da un solo bifoglio iniziale contenente quattro tavole dei Canoni. Fu eseguito in Italia, forse a Roma, intorno alla metà del vi secolo, quando molti degli scriptoria divennero centri di cultura al servizio della Chiesa. Le cornici architettoniche delle tavole dei Canoni appartengono al cosiddetto “tipo ad arco”, il cui archetipo ebbe probabilmente origine a Roma nella prima metà del vi secolo: colonne marmorizzate con capitelli corinzi dorati sono raccordate da sottili archi e sormontate da grandi arcate ornate con motivi vegetali, foglie, fiori e ghirlande; palmette acroteriali all’imposta delle arcate sorreggono eleganti uccelli. La qualità del frammento e la sua datazione al vi secolo rendono plausibile la vicinanza delle quattro tavole dei Canoni vaticane all’archetipo romano del “tipo ad arco”. Da questo discende la maggior parte delle tavole dei Canoni degli evangeliari di età carolingia.

10

L’arrivo nelle isole britanniche di evangeliari realizzati nel v e vi secolo in ambito mediterraneo, e in particolare a Roma, sancisce il tramonto della tarda antichità e l’inizio del primo Medioevo. Emblematico di questa fase è l’Evangeliario di sant’Agostino di Canterbury (ccc, ms. 286), realizzato a Roma alla fine del vi secolo e inviato, secondo la tradizione, da Gregorio Magno al santo missionario dal quale prende il nome. Grazie agli stimoli e ai modelli giunti dall’ambito mediterraneo, nei secoli vii e viii fiorì nelle isole britanniche una cospicua produzione di evangeliari che rappresenta uno dei contributi più originali che l’arte medievale abbia conosciuto. In questi manoscritti prendono vita forme di ornamentazione sconosciute all’arte tardoantica: l’iniziale e la pagina ornata che scandiscono i testi di cui è composto l’Evangeliario. In Irlanda, dove la civiltà del libro non fu nota prima dell’avvento del cristianesimo, si applicano alle pagine del manoscritto motivi ornamentali di matrice celtica e germanica che si erano sviluppati tra v e vii secolo nell’arte dei metalli, dalle fibule agli elmi, dalle else agli scudi. Si gettano in questo modo le basi per la nascita di un repertorio ornamentale che attraverserà il Medioevo e giungerà all’età moderna. I primi passi compiuti in Irlanda, che appaiono maturi nell’Evangeliario di Durrow (dtc, ms. 57) nella seconda metà del vii secolo, proseguono con la grande fioritura dei centri della Northumbria, dove monasteri come Lindisfarne e Wearmouth-Jarrow diedero vita nei primi decenni dell’viii secolo alla fase “classica” della miniatura insulare, rappresentata esemplarmente dal maestoso Evangeliario di Lindisfarne (bl, Cotton Nero D.IV). In essa si riconoscono compiutamente sviluppati i caratteri dell’ornato; la figura umana vi compare con forme di tradizione tardoantica e mediterranea sapientemente trasformate dalla caratteristica astrazione insulare. Nel secondo terzo dell’viii secolo nel sud dell’Inghilterra si assiste a un’ulteriore evoluzione: si compiono i massimi sforzi per aderire ai modelli tardoantichi, dando vita alla fase “umanistica” dell’arte insulare. Grazie anche a questi presupposti intorno all’anno 800, probabilmente in un centro della Mercia – uno dei regni anglosassoni –, fu realizzato l’Evangeliario Barberini (Barb. lat. 570) che, accanto a una ricca decorazione ornamentale, presenta raffigurazioni di evangelisti che lasciano chiaramente riconoscere la loro dipendenza da modelli mediterranei2. Contemporaneamente agli sviluppi “umanistici” si manifesta, prevalentemente in Irlanda, una seconda evo-

luzione della miniatura insulare: la fase “retrospettiva”, caratterizzata dal ritorno alle forme più astratte che avevano visto gli esordi di quest’arte. L’Evangeliario di Kells (dtc, ms. 58) rappresenta l’esempio più celebre, e allo stesso tempo complesso, di questo sviluppo. Nel corso dell’viii secolo, grazie all’attività missionaria dei monaci anglosassoni, giungono sul continente importanti evangeliari insulari e con essi le novità dell’arte delle isole britanniche. In diversi centri delle regioni franco-orientali, da Echternach a Magonza, da San Gallo a Salisburgo, si avverte l’influsso dell’arte insulare e in alcuni casi si può riconoscere l’attività di artisti anglosassoni. Sul continente gli sviluppi artistici in ambito librario avevano seguito un altro corso. Nel vii e viii secolo, a differenza di quanto avvenne in ambito insulare, i Vangeli non furono il principale libro di lusso nei territori su cui regnarono i Merovingi, corrispondente grosso modo all’antica Gallia romana. Ai miniatori merovingi si richiese soprattutto di decorare le opere dei Padri della Chiesa; nei loro manoscritti le forme ornamentali – iniziali e cornici –, talvolta per effetto degli stimoli provenienti dalle isole britanniche, svilupparono elementi tratti dal repertorio ornamentale tardoantico. Non diversamente, in Italia si assiste alla realizzazione di manoscritti che nel vii e viii secolo si attengono alla retorica del libro della tarda antichità, ricorrendo però a forme decorative semplificate e sostanzialmente grafiche. Ne è un esempio un raro Ottateuco (ossia un libro che contiene i primi otto libri dell’Antico Testamento), il ms. Ott. lat. 66, scritto in onciale su due colonne tra vii e viii secolo, forse in Italia settentrionale, dal presbitero Domenico3. Il manoscritto presenta accanto a semplici iniziali con lontane ascendenze insulari diagrammi e disegni che precedono i libri del Levitico e del Deuteronomio. Il primo lascia intravedere un sottile collegamento con quelli che figurano nella celebre Bibbia Amiatina (bml, ms. Amiat. 1), copia realizzata a Wearmouth-Jarrow poco prima del 716 di una delle edizioni bibliche in un solo volume (note come pandette) approntate nel vi secolo da Cassiodoro nel monastero di Vivarium. In ambito continentale la decorazione dei testi biblici conoscerà una nuova e straordinaria fioritura grazie al rinnovamento carolingio, quando si avvertì la necessità di libri liturgici e biblici corretti ed emendati. Tutto ebbe inizio alla corte di Carlo Magno nei primi anni Ottanta dell’viii secolo: tra il 781 e il 783, il re dei Franchi, animato dagli ideali di restaurazione della cultura cristiana antica, chiese la realizzazione di un Evangelistario di lusso

115


Bibbia. Immagini e scrittura

al famulus Godescalco (bnf, Nouv. Acq. lat. 1203). Poco più tardi avrebbe incaricato Alcuino di York di approntare una nuova edizione dell’intero testo biblico, riunendo i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento in un solo volume. Si avviò in questo modo, a partire dall’ambito librario, un rinnovamento artistico profondo e articolato che si sarebbe protratto fino alla fine del ix secolo. Per la storia della miniatura tale rinnovamento si manifesta chiaramente nella decorazione di evangeliari che, a iniziare dalle opere della scuola di corte di Carlo Magno, scandiscono l’evoluzione dell’arte carolingia. Alla corte del sovrano, stabilitasi allo scadere dell’viii secolo ad Aquisgrana, ha avuto origine una serie di evangeliari che ha messo a punto una nuova misura per la decorazione dei manoscritti di lusso: fondi porpora, scrittura dorata e argentata, cornici ornamentali per il testo, iniziali e, soprattutto, miniature a piena pagina con le raffigurazioni degli evangelisti. Il linguaggio ornamentale, senza rinunciare alle conquiste della miniatura insulare, abbandona gli elementi animalistici e si amplia, recuperando motivi antichi tratti non solo dall’arte monumentale, ma anche dalle tecniche suntuarie, come l’oreficeria e la glittica. Tutto questo si realizza nell’arco di quasi un trentennio, dai primi anni Ottanta dell’viii secolo sino agli inizi del secondo decennio del secolo successivo. La corte di Carlo Magno fu il motore trainante dell’arte carolingia e fu modello per la produzione artistica di altri centri. Ad Aquisgrana, accanto alle opere della scuola di corte, furono realizzati anche alcuni manoscritti, riuniti sotto il nome di gruppo dell’Evangeliario dell’incoronazione (km, Weltliche Schatzkammer, inv. n. xiii 18), la cui decorazione è improntata a modelli mediterranei di matrice classica ed ellenistica. Al loro stile attinsero le scuole vescovili di Reims e di Metz, che nei territori franco-occidentali diedero vita, rispettivamente nell’età dell’arcivescovo Ebbone (816-835, 840-841) e del vescovo Drogone (823-855), alle manifestazioni di carattere più rinascimentale dell’arte dei Carolingi e a loro volta influenzarono altri centri e scuole. Gli sviluppi della miniatura alla scuola di corte di Carlo Magno e gli influssi del gruppo dell’Evangeliario dell’incoronazione si avvertono nella decorazione dell’Evangeliario di Lorsch (Pal. lat. 50), che rappresenta la più recente delle realizzazioni della scuola di corte di Carlo Magno4. Databile intorno all’810, compare poco dopo la metà del ix secolo nel catalogo della biblioteca del monastero di San Nazario di Lorsch (Pal. lat. 1877),

116

II. Area occidentale – Le origini

dove venne completato nel secondo quarto del secolo con l’aggiunta del capitulare evangeliorum. Il manoscritto è racchiuso da una imponente legatura in avorio, opera capitale della scuola di corte di Carlo Magno, i cui piatti riprendono la tipologia dei dittici tardoantichi a cinque parti. Entrambi presentano in alto due angeli in volo che reggono clipei con il busto di Cristo e con la Croce. Il piatto anteriore raffigura la Vergine in trono col Bambino tra san Giovanni Battista e Zaccaria, al di sotto la Natività e l’Annuncio ai pastori; il piatto posteriore mostra Cristo che calpesta l’aspide e il basilisco tra due angeli, mentre sulla placca inferiore sono raffigurati i Magi da Erode e l’Adorazione dei Magi. Nel 1479 il prezioso Evangeliario venne rilegato, come si ricava dall’aggiunta di una nota, e forse in quell’occasione venne diviso in due parti contenenti ciascuna due Vangeli. Intorno alla metà del xvi secolo il manoscritto passò alla Biblioteca Palatina di Heidelberg, il cui patrimonio giunse nel 1623 a Roma, dove la seconda parte del manoscritto è ancora conservata nel fondo palatino della bav (il piatto posteriore della legatura figura nei Musei Vaticani, Museo Sacro). La prima parte appartenne alla fine del Settecento al cardinale arcivescovo di Vienna Cristoforo Migazzi, che la cedette poi al vescovo di Transilvania, Ignác Batthyány, per la biblioteca da lui fondata ad Alba Iulia (Romania), dove è tuttora presente (bdb, ms. R.II.1). Il piatto anteriore della legatura giunse al Victoria & Albert Museum di Londra. Il testo dell’Evangeliario, scritto in onciale dorata, è disposto su due colonne racchiuse da cornici ornamentali. Il corredo decorativo è particolarmente ricco: oltre alle cornici del testo, alle pagine di incipit e alla pagina iniziale del Vangelo di Matteo, prevede dodici tavole dei Canoni, la raffigurazione degli antenati di Cristo, la Maiestas Domini e i ritratti degli evangelisti. Le tavole dei Canoni presentano nelle lunette angeli che sorreggono tabulae derivati dall’arte paleocristiana; inusuale è la presenza di una miniatura raffigurante i predecessori di Cristo in relazione al prologo del Vangelo di Matteo, così come lo è la presenza della Maiestas Domini all’inizio del medesimo Vangelo. I ritratti degli evangelisti presentano tipi differenti, che in alcuni casi riprendono, variandole, soluzioni elaborate sulla base di modelli tardoantichi già utilizzate in opere precedenti della scuola di corte di Carlo Magno. L’evangelista Giovanni si distingue per la fedeltà a un prototipo della tarda antichità: seduto in posizione frontale tra cortine scostate al di sotto di un arco che racchiude nella lunetta il suo

53-54

55

simbolo, l’evangelista, raffigurato nell’atto di intingere la penna, veste un sontuoso mantello decorato da orbicoli di tradizione classica. Nella decorazione dell’Evangeliario di Lorsch non vengono solo ricapitolati forme ornamentali e motivi figurativi già presenti in altre opere della scuola di corte di Carlo Magno, ma si riconosce anche l’influsso antichizzante del gruppo dell’Evangeliario dell’incoronazione di Vienna, le cui opere avevano progressivamente abbandonato la decorazione delle iniziali con l’intento di restaurare l’aspetto del manoscritto antico. Similmente a quelle opere, l’Evangeliario di Lorsch rinuncia alle grandi iniziali per i Vangeli, concedendone solo una al Vangelo di Matteo affrontata alla Maiestas Domini, e introduce invece grandi pagine di incipit. Si può in questo modo affermare che il codice in questione riflette tutti i principali sviluppi che la decorazione del manoscritto aveva conosciuto ad Aquisgrana tra la fine dell’viii secolo e il primo decennio del secolo successivo. L’Evangeliario di Lorsch è anche l’opera della scuola di corte di Carlo Magno che più di ogni altra ha lasciato tracce della sua influenza: dalla miniatura carolingia di Lorsch e del medio Reno fino alle opere ottoniane di Reichenau e Hildesheim. Il rinnovamento irradiatosi dalla corte di Aquisgrana raggiunse anche Tours, il cui scriptorium nell’età dell’abate Adalardo (834-843) divenne il centro artistico specializzato nella decorazione dei testi biblici. Nascono in questo modo le miniature a piena pagina delle grandi bibbie carolinge: frontespizi per gruppi di libri dell’Antico e del Nuovo Testamento con scene articolate su più registri e iconografie riprese da modelli tardoantichi. Questa tradizione illustrativa, perfezionata a Tours tra l’845 e l’846 con la Bibbia di Viviano (bnf, Lat. 1), raggiunse il suo vertice a Reims intorno all’870 con la realizzazione della monumentale Bibbia di San Paolo fuori le mura. Queste impegnative imprese editoriali dell’intero corpus biblico potevano essere realizzate nei grandi monasteri, i soli in grado di disporre delle risorse necessarie: presenza di una biblioteca con adeguati modelli testuali, elevata organizzazione di uno scriptorium, disponibilità di numerosi scribi e artisti, possibilità di lunghi tempi di esecuzione. È significativo che anche le bibbie volute dai sovrani che potevano disporre di un atelier al proprio servizio – l’esempio più celebre è quello di Carlo il Calvo per il quale vennero realizzate tre imponenti bibbie – furono affidate all’efficienza organizzativa di grandi monasteri.

In un clima di diffuso rinnovamento, verso la metà del ix secolo, alla corte dell’imperatore Lotario fiorì ad Aquisgrana una nuova scuola di corte. Qui furono miniati una serie di evangeliari influenzati dalle opere del gruppo dell’Evangeliario dell’incoronazione e aggiornate su modelli di Reims. A essa appartiene anche il ms. Urb. lat. 3, decorato da tavole dei Canoni e iniziali ornate, che caratteristicamente presentano una struttura esclusivamente metallica costituita da nastri dorati disposti secondo un principio geometrico di base5. Le ricche iniziali dorate del manoscritto non distinguono solo l’inizio del testo dei Vangeli come di norma avviene, ma mettono in evidenza anche il corrispondente incipit sul verso del foglio precedente. Il manoscritto è stato considerato soprattutto per il testo, dal momento che rappresenta il migliore testimone di una revisione dei testi evangelici operata ad Aquisgrana all’inizio del ix secolo e nota come “Lothar-Text”, adottata dai principali centri dell’arte carolingia. Dopo la scuola di corte di Lotario, nel terzo quarto del ix secolo, si manifesta in Francia settentrionale, presumibilmente a Compiègne, l’ultima delle scuole di corte, quella di Carlo il Calvo (morto il 877), in cui le esperienze della miniatura di Reims e di Tours si uniscono per dare vita a una produzione sontuosa e per certi versi manieristica. Nella Germania nord-occidentale, nelle regioni a sinistra del Reno, vanno probabilmente ricercate le origini di manoscritti controversi, come gli evangeliari Pal. lat. 46, riferito al secondo quarto del ix secolo e legato al nome dello scriba Jonatham6, e Ott. lat. 79 risalente alla fine del ix secolo7. Il primo presenta grandi iniziali essenzialmente grafiche, tracciate con inchiostro, che lasciano intravedere collegamenti con la miniatura di Reims dell’inizio del ix secolo; il secondo è decorato dalle tavole dei Canoni – insolitamente disposte su quattordici pagine e racchiuse all’interno di cornici quadrangolari –, dalle iniziali dei Vangeli e da due miniature realizzate con disegni acquerellati e disposte sul recto e sul verso del foglio che precede le tavole dei Canoni. La prima raffigura l’Agnus Dei all’interno di un medaglione circondato dai simboli degli evangelisti; la seconda mostra la scena della Trasfigurazione, tema non comune per la decorazione di un Evangeliario. Lo stile grafico della miniatura con l’Agnus Dei trova confronto con opere realizzate in Francia settentrionale nel tardo ix secolo, mentre la scena della Trasfigurazione – forse aggiunta nei primi decenni del x secolo – riprende, nell’arcata che incornicia la scena avvolta da racemi, modelli de-

117

56

57

58


Bibbia. Immagini e scrittura

59

60

sunti dalla miniatura di Metz della metà del ix secolo. Le figure, animate da un disegno vibrante, possono essere accostate anche ad esempi della miniatura inglese del x secolo. L’Evangeliario si colloca così in quella fase ricca di incertezze segnata dal tramonto dell’arte carolingia, ma che precede il risveglio artistico del x secolo. Nei manoscritti di ambito franco-orientale, in particolare negli scriptoria della Renania, della Franconia e della Germania meridionale, gli artisti restano fedeli alle forme ornamentali di matrice insulare, ma le uniscono a modelli tratti dalle opere della scuola di corte di Carlo Magno; il fenomeno si registra nel secondo quarto del ix secolo soprattutto a Magonza e a Fulda. In questo monastero venne eseguito l’Evangeliario Vat. lat. 41; incompleto all’inizio, è il più antico di un piccolo gruppo di manoscritti realizzati tra primo e secondo quarto del secolo e accomunati dalla scelta degli elementi ornamentali delle grandi iniziali8. In Baviera, Salisburgo è uno dei centri più attivi nella decorazione libraria, come testimoniano gli evangeliari Vat. lat. 140089 e Vat. lat. 7224-722510. Il primo, che proviene dal monastero di Lambach, è databile al secondo quarto del ix secolo e presenta una decorazione ornamentale costituita dalle tavole dei Canoni e dalle iniziali dei Vangeli; il secondo venne presumibilmente realizzato nel monastero di San Pietro, al tempo dell’arcivescovo Adalram (821-836), forse nei primi anni del suo governo. Nel xiv secolo il manoscritto si dovette trovare in bassa Baviera, come si ricava dalle aggiunte in cui compaiono i nomi di alcune località di quelle regioni. Dal xviii secolo l’Evangeliario è conservato alla bav, dove a seguito di una nuova legatura venne diviso in due volumi. La decorazione è costituita dalle tavole dei Canoni, dalle iniziali dei Vangeli e, soprattutto, dalle raffigurazioni disposte su pagine affrontate degli evangelisti e dei loro simboli. I tre evangelisti (Matteo è mancante) sono raffigurati sulla pagina di sinistra e riprendono una tipologia diffusa in ambito carolingio: siedono frontali al di sotto un’edicola architettonica intenti a scrivere su un libro aperto trattenuto sulla gamba sinistra; i simboli, racchiusi entro clipei, sono anch’essi raffigurati frontali, con sei ali, nell’atto di reggere dinanzi a sé un cartiglio o un libro aperto. La disposizione su pagine affrontate dell’evangelista e del suo simbolo ha spinto a riconoscere in queste miniature il riflesso di un prototipo tardoantico, che avrebbe influenzato la decorazione libraria di ambito salisburghese già nell’xviii secolo. Il fatto che la disposizione dei simboli all’interno di clipei affrontati agli evangelisti

118

II. Area occidentale – Le origini

caratterizzi anche alcuni evangeliari realizzati in Francia settentrionale lascia aperta la possibilità che il prototipo, forse tardoantico, possa essere stato mediato da modelli insulari, ai quali Salisburgo poteva facilmente attingere. In Baviera, accanto a Salisburgo, sono attivi altri centri nella decorazione dei manoscritti, come Ratisbona. Qui l’inerzia della tradizione ornamentale precarolingia è ancora riconoscibile nel tardo ix secolo, come avviene nella decorazione essenzialmente grafica delle tavole dei Canoni dell’Evangeliario Reg. lat. 10, riconducibile all’epoca del vescovo Ambricho (864-891); più tardi, in epoca ottoniana, furono aggiunte le iniziali dei Vangeli11. Al di fuori dei grandi centri del rinnovamento artistico carolingio che fioriscono tra la Francia settentrionale e il basso Reno emergono altri gruppi di manoscritti con caratteristiche riconoscibili: in Bretagna nel tardo ix secolo viene creata una serie di evangeliari ai quali appartiene il ms. Arch. Cap. S. Pietro D.154; la loro decorazione sostanzialmente grafica dimostra la conoscenza di modelli di Tours e propone talvolta iconografie non comuni in un libro di Vangeli12. A sud, in Borgogna, centri come Lione o Sens dimostrano interesse per la decorazione dei manoscritti, anche se talvolta producono opere con una decorazione prevalentemente grafica, come mostra ad esempio l’Evangeliario Barb. lat. 637. Risalente al terzo quarto del ix secolo, il manoscritto è stato localizzato dubitativamente tra la Borgogna e l’Italia settentrionale13. I racemi che compaiono nelle iniziali sembrano risentire della precoce influenza dei manoscritti di San Gallo; le singolari lettere ornate all’inizio del Vangelo di Giovanni presentano tra i racemi anche figure e animali. Gli effetti del rinnovamento librario carolingio si avvertono anche in Italia. A Lucca, dove l’attività di scrittura era fiorita presso la cattedrale nel corso dell’viii secolo, si lascia ricondurre il Vat. lat. 701614, databile tra viii e ix secolo e decorato dalle tavole dei Canoni, mentre in Italia centrale si colloca poco più tardi, all’inizio del ix secolo, la realizzazione del Vat. lat. 546515, le cui tavole dei Canoni trasformano in un linguaggio ornamentale astratto e bidimensionale le forme architettoniche di un modello tardoantico. A partire dalla metà del ix secolo si registra una netta inversione di tendenza rispetto ai risultati conseguiti dalle grandi scuole carolinge nei decenni precedenti; questo cambiamento vede la ripresa di forme ornamentali desunte dalla tradizione insulare dell’viii secolo. Il fenomeno è evidente nella scuola franco-sassone, che ha

61

65-66

62

preso forma nel corso del secondo quarto del ix secolo in alcuni monasteri della Francia settentrionale. In essa si sviluppa uno stile ornamentale che rielabora soluzioni tratte dalla decorazione dei manoscritti insulari senza rinunciare alle forme salde e organiche dell’arte carolingia. Una fitta serie di evangeliari destinati all’esportazione caratterizza questa produzione, che si articola in un gruppo principale, probabilmente localizzabile a Saint-Amand, e due gruppi secondari, riconducibili a Saint-Bertin e a Saint-Vaast. Accanto a essi, alcuni evangeliari costituiscono un sottogruppo caratterizzato da una decorazione che prevede la presenza dei simboli degli evangelisti all’inizio dei Vangeli. Capolavoro dell’arte ornamentale del gruppo di Saint-Amand è la cosiddetta Seconda Bibbia di Carlo il Calvo (bnf, Lat. 2), databile tra l’871 e l’873; le sue iniziali rappresentano la messa a punto di un repertorio di forme e di elementi i cui effetti sono ancora riconoscibili in Francia settentrionale nel x e xi secolo. Al gruppo secondario di Saint-Bertin e a quel sottogruppo caratterizzato dalla presenza dei simboli degli evangelisti appartengono rispettivamente gli evangeliari Pal. lat. 4716 e Reg. lat. 417. Il primo presenta una decorazione esclusivamente ornamentale, con tavole dei Canoni e iniziali, che sono state “aggiornate” nel xiv secolo da una ricca decorazione filigranata; il secondo, oltre alle iniziali, prevede la raffigurazione della Maiestas Domini con i simboli degli evangelisti racchiusi in medaglioni. La miniatura franco-sassone esercitò nella seconda metà del ix secolo una vasta influenza, soprattutto nelle regioni della Francia settentrionale e nord-orientale. Importanti scriptoria di queste aree, attivi fin dall’età precarolingia, nel corso del ix secolo si aprirono alle diverse

influenze irradiantesi da Aquisgrana e Reims, in particolare i centri situati nei territori rivolti a Oriente, dove la diocesi di Liegi con i monasteri di Lobbes, Stavelot e Saint-Hubert divennero presto focolai di produzione intellettuale e artistica. Nel secondo terzo del ix secolo ha avuto origine in questa regione l’Evangeliario Vat. lat. 4318, nelle cui iniziali con protomi zoomorfe sono riconoscibili tracce dell’influenza franco-sassone. Ben più ricca è la decorazione dell’Evangeliario Vat. lat. 852319, probabilmente realizzato a Liegi nel tardo ix secolo, che unisce in una sintesi originale e solenne l’impianto franco-sassone delle grandi pagine iniziali dei Vangeli con elementi ornamentali desunti dalla miniatura di Reims. Il tardo ix secolo segna il progressivo tramonto della civiltà e dell’arte dei Carolingi. Le minacce esterne di Normanni, Saraceni e Ungari unite al frantumarsi del potere centrale misero in crisi l’impero e i centri della sua produzione intellettuale e artistica. I monaci che avevano lasciato i principali monasteri della Francia settentrionale devastati dai Normanni alla fine del ix secolo si erano spinti verso Oriente, portando con sé l’arte franco-sassone. Le sue salde forme ornamentali sopravvissero alle grandi scuole franco-occidentali, come Tours e Reims, che erano state le culle del rinnovamento artistico carolingio. Rielaborata e unita a elementi desunti da altre scuole, l’arte franco-sassone venne in questo modo ripresa e ripetuta fin dai primi decenni del x secolo. A essa non attinsero solo i primi centri della miniatura ottoniana, primo fra tutti il monastero di Corvey in Sassonia, ma anche quelli dell’Inghilterra meridionale, come Winchester. Si stava aprendo in questo modo, verso la metà del x secolo, una nuova stagione all’arte medievale20.

63

64

119

67


Bibbia. Immagini e scrittura

53-54. Cristo calpesta l’aspide e il basilisco tra due angeli, in alto due angeli in volo reggono un clipeo con la Croce, in basso i Magi da Erode e l’Adorazione dei Magi, piatto posteriore della legatura dell’Evangeliario di Lorsch (Pal. lat. 50) e particolare.

120

II. Area occidentale – Epoca gotica

Pagine seguenti: 55. Giovanni evangelista e incipit del prologo del suo Vangelo, Evangeliario di Lorsch (Pal. lat. 50, ff. 67v-68r).

121


Bibbia. Immagini e scrittura

122

II. Area occidentale – Le origini

123


Bibbia. Immagini e scrittura

56. Incipit del Vangelo di Matteo, Evangeliario (Urb. lat. 3, ff. 15v-16).

124

II. Area occidentale – Le origini

57. Explicit dei capitoli e incipit del Vangelo di Marco, Evangeliario di Jonatham (Pal. lat. 46, ff. 38v-39r).

Pagine seguenti: 58. Trasfigurazione e tavola dei Canoni di Eusebio, Evangeliario (Ott. lat. 79, ff. 4v-5r).

125


Bibbia. Immagini e scrittura

126

II. Area occidentale – Le origini

127


59. Explicit del Vangelo di Marco e incipit del Vangelo di Luca (Vat. lat. 41, ff. 84v-85r).

128

129


60. Giovanni evangelista e il suo simbolo, Evangeliario (Vat. lat. 7225, ff. 78v-79r).

130

131


Bibbia. Immagini e scrittura

61. Tavole dei Canoni di Eusebio, Evangeliario (Reg. lat. 10, ff. 6v-7r).

132

II. Area occidentale – Le origini

62. Incipit del Vangelo di Giovanni, Evangeliario (Barb. lat. 637, f. 101r).

133


Bibbia. Immagini e scrittura

63. Tavole dei Canoni di Eusebio, Evangeliario (Vat. lat. 7016, ff. 1v-2r).

134

II. Area occidentale – Le origini

64. Tavole dei Canoni di Eusebio, Evangeliario (Vat. lat. 5465, ff. 8v-9r).

135


65. Tavola dei Canoni di Eusebio e incipit del Vangelo di Matteo, Evangeliario (Pal. lat. 47, ff. 20v-21r).

136

Pagine seguenti: 66. Maiestas Domini, Evangeliario (Reg. lat. 4, f. 13v). 67. Incipit del Vangelo di Matteo, Evangeliario (Vat. lat. 43, f. 30v).

137


Bibbia. Immagini e scrittura

138

II. Area occidentale – Le origini

139


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Le origini

Pagine seguenti: 68. Lettere ornate, Evangeliario Barberini (Barb. lat. 570, f. 33v). 69. Incipit del Vangelo di Giovanni, Evangeliario Barberini (Barb. lat. 570, f. 125r).

EVANGELIARIO BARBERINI Barb. lat. 570 Michelle P. Brown

69

L’Evangeliario Barberini rappresenta un monumento della produzione manoscritta insulare. Si tratta di un libro dei Vangeli in latino, testimone della redazione “mista” insulare, realizzato intorno all’800 nell’Inghilterra anglosassone da quattro copisti, ciascuno responsabile per l’impostazione grafica della propria sezione. In aggiunta a questi, un artista a dir poco eccezionale intervenne nella realizzazione delle miniature più importanti: la pagina di apertura delle tavole dei Canoni (che presenta le protomi dei simboli degli evangelisti – associate però a questi ultimi in modo erroneo – nei timpani delle arcate e una apotropaica figura maschile barbuta con attribuiti priapici), i ritratti a piena pagina degli evangelisti e le decorazioni degli incipit (con miniature a piena pagina che introducono ciascun Vangelo e una pagina con il monogramma di Cristo). Il lavoro fu probabilmente realizzato nel regno di Mercia presso la cattedrale di Peterborough, l’antica Medeshamstede. La scrittura semionciale impiegata indica che due dei copisti provenivano dalla Mercia e due dalla Northumbria. Un colophon attribuibile al copista principale invita il lettore a pregare per «uuigbaldo», nome che potrebbe indicare nella stessa persona, oltre il copista in questione, anche il patrocinatore dell’opera, oppure solo una delle due figure. Un Wigbald, prete e «arc», compare nelle carte di Peterborough risalenti agli anni Novanta dell’viii secolo, mentre la scultura (la cosiddetta “Hedda Stone”, conservata nella cattedrale, e i fregi di Caistor e Fletton) e i lavori metallurgici (il cofanetto di Gandersheim e il bacile di Ormside) forniscono un contesto stilistico nelle immediate vicinanze. Wigbald potrebbe dunque essere stato arcicantore o arcidiacono di Peterborough. La caratteristica scrittura distintiva con le estremità delle lettere zoomorfe assegna il codice al cosiddetto “Tiberius group”, originario della Southumbria. Stilisticamente è apparentato al Book of Cerne (cul, Ll.1.10, Lichfield, 820) e alla Royal Bible (bl, Royal 1.E.vi, Canterbury, 820-840): lo si può verificare nel modellato dei volti umani nella prima tavola dei Canoni, così come nelle lettere capitali del monogramma di apertura del Vangelo di Marco. La qualità della decorazione principale del manoscritto Barberini e lo stile bizantino dei ritratti barbuti degli evangelisti, che siedono in paesaggi edeni-

140

ci e non sono accompagnati dai rispettivi simboli, sono rivelatori di un esotismo orientale che pervade l’arte del regno di Mercia intorno all’800. Questa pittoricità dello stile ha fatto avanzare l’ipotesi che l’Evangeliario Barberini sia stato realizzato in area carolingia. Ma il testo, i dati paleografici e quelli codicologici non sono in linea con la produzione carolingia, e l’interesse nei confronti dell’arte paleocristiana e bizantina fu ampiamente diffuso anche nella Southumbria. L’artista ha applicato i pigmenti in modo pittorico, mescolandoli per estendere la gamma cromatica e stendendo il colore a strati, seguendo la tradizione tecnica rappresentata dall’Evangeliario di Lindisfarne, risalente al 715-720 ca. (bl, Cotton Nero D.IV), e dal Libro di Kells, 800 ca. (dtc, ms. 58). Come quest’ultimo, il codice Barberini evita l’utilizzo dell’oro preferendogli un’ornamentazione in bianco e nero che imita la lavorazione a niello dell’argento caratteristica del contemporaneo “Trewhiddle style”, riflesso di un’evoluzione verso un’economia basata sull’argento. Alcune delle decorazioni sono rimaste incompiute. La redazione appartiene alla famiglia testuale insulare detta “mista” e accorda la sua preferenza assai frequentemente a lezioni della Vetus Latina. Delle 462 varianti di lettura registrate da Bonifatius Fischer, il codice Barberini ne presceglie 420. Esso condivide numerose varianti significative con l’Evangelario di Lindisfarne, forse reminiscenza comune di una più antica tradizione colombaniana, e parimenti l’interesse nell’annotare le lezioni. Si registra un fondamentale, comune debito nei confronti della tradizione colombaniana dell’antica Northumbria, così come un successivo apporto a questa regione di influenze italiane sia in ambito testuale che liturgico, influenze che potrebbero essersi estese fin nel cuore della Southumbria, essa stessa soggetta alle missioni irlandesi, e della Northumbria. Si registra una certa confusione per quel che riguarda il testo legato alle prefazioni, indice della corruzione di un testimone oppure della collazione di materiale proveniente da diverse fonti. Solo uno dei testi introduttivi di san Girolamo è presente nell’Evangeliario: il Novum Opus, qui caratterizzato dalla decorazione della parola «Beatissimo» (la “B” decorata all’interno della pancia della lettera con una testa di satiro e un’orsa che lecca il suo cucciolo – forse un’esegesi della Creazione?) piuttosto che dell’incipit abituale. Ritroviamo il particolare in alcuni codici italiani e franchi, ad esempio nel Codex Beneventanus (bl, Add. 5463; viii sec.) e in un altro ma-

noscritto del “Tiberius group”, la Royal Bible. Dal punto di vista codicologico, il Novum Opus avrebbe dovuto essere seguito da due ulteriori pagine, contenenti le altre usuali prefazioni di san Girolamo. Il che potrebbe spiegare perché le tavole dei Canoni sono compresse in sei carte, facendo così rientrare tutto il materiale delle prefazioni in un quaderno di dieci carte. L’inizio di ciascun Vangelo coincide con quello di un nuovo quaderno, una consuetudine della cristianità orientale che riflette la circolazione indipendente di ognuno dei quattro testi. Un’analoga autonomia delle unità codicologiche (“codicologia sacralizzata”) permea l’Evangeliario di Lindisfarne. Le liste introduttive di nomi ebraici sono una caratteristica della tradizione “mista” irlandese/celtica piuttosto che dello stemma della Vulgata italo/northumbra, della quale la Bibbia di Ceolfrid (bl, Add. 42025) e l’Evangeliario di Lindisfarne sono i principali rappresentanti. La loro inclusione solo parziale nel codice Barberini può indicare sia un’oscillazione tra queste tradizioni testuali, sia la corruzione di un testimone, o ancora la

compilazione a partire da molteplici modelli. Differenti exemplar possono essere stati usati per ciascun Vangelo. L’evidenziazione delle lezioni indica che l’Evangeliario Barberini era probabilmente letto nella liturgia in occasione della domenica di Pasqua e dell’Ascensione. L’arcidiacono o l’arcicantore sarebbero stati incaricati della lettura, o dell’esecuzione cantata, di brani dei Vangeli in occasione delle maggiori festività. Sarebbe certo affascinante immaginare Wigbald di Peterborough come sovrintendente alla produzione di quel libro dei Vangeli che avrebbe poi portato in processione, svolgendo probabilmente la funzione di maestro-scriba e combinando così il ruolo meditativo dello scriba con quella del lettore. Peterborough fu distrutta dai vichinghi nell’870. A partire dal xii secolo il codice è in Italia, dove venne successivamente chiosato e ricopiato come un modello artistico. Esso entrò nella collezione del cardinal Francesco Barberini (1597-1679) e venne fatto acquistare per la Biblioteca Apostolica Vaticana dal pontefice Leone xiii nel 19021.

141


Bibbia. Immagini e scrittura

142

II. Area occidentale – Le origini

143


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Le origini

70. Incipit della lettera di Girolamo a papa Damaso, Evangeliario (Arch. Cap. S. Pietro, D.154, f. 2r).

EVANGELIARIO BRETONE Arch. Cap. S. Pietro, D.154 Beatrice Kitzinger

70

Tra la fine del ix e gli inizi del x secolo gli scriptoria della Bretagna si specializzarono nella produzione di evangeliari decorati. Alcuni degli esempi giunti fino a noi presentano un approccio all’iconografia dei Vangeli molto connotato regionalmente, ma il manoscritto vaticano rientra nel novero di un gruppo di codici apparentati tra loro dalla scrittura e dallo stile pittorico, nei quali gli evangelisti vengono raffigurati come autori all’opera – una tradizione, questa, ampiamente diffusa e riscontrabile anche nel Barb. lat. 5701 e nel Pal. lat. 502. Il codice (204 x 132 mm) si apre con le tradizionali prefazioni di Girolamo: innanzitutto, una lettera a papa Damaso riguardante la revisione di Girolamo della traduzione latina dei Vangeli; a seguire, una meditazione sull’autorità e l’armonia dei Vangeli tratta dal commento di Girolamo a Matteo. Esso presenta inoltre una serie parziale delle tavole dei Canoni incorniciate in modo molto semplice, i quattro Vangeli con l’indice dei capitoli e i prologhi, e una lista di letture liturgiche. Una nota di possesso al f. 1r ci permette di stabilire che il manoscritto, databile tra ix e x secolo, era in Italia dal xvi secolo («Iste liber est Perusini de Guidalottis de Perusio») ma il luogo d’origine del codice rimane sconosciuto. Al pari dei loro più lussuosi equivalenti insulari e carolingi, le immagini nel codice di San Pietro raffigurano il processo di produzione del libro stesso dei Vangeli e costituiscono una riflessione sulla natura del libro come testimonianza scritta sulla vita di Cristo. Analogamente, dando risalto all’incipit dei testi prefatori, la splendida B circondata dai nomi di Girolamo e di Damaso in scrittura distintiva richiama l’attenzione sul fatto che l’Evangeliario latino sia un’opera di traduzione e di dottrina. È infatti insita nel genere di Vangelo l’idea che la scrittura venga trascritta, fatta oggetto di commento e circondata da un apparato, sia per lo studio che per la lettura liturgica (ad esempio, il conclusivo Capitulare evangeliorum). Il suo programma decorativo definisce l’esemplare di San Pietro come parte di quella tradizione di trascrizione e trasmissione che ha inizio con gli evangelisti stessi. Le modalità rappresentative delle figure degli evangelisti del codice di San Pietro suggeriscono una serie di considerazioni sul carattere delle immagini nei libri dei

144

Vangeli bretoni da un punto di vista materiale. Marco (f. 43v), Luca (f. 67r) e Giovanni (f. 107v) sono realizzati con disegni a inchiostro, accuratamente colorati e incorniciati da straordinarie combinazioni di blu, arancio e velature marroni (manca l’inizio di Matteo così come la fine delle tavole dei Canoni). Giovanni e Marco siedono su seggiole pieghevoli, tenendo alte le loro penne e con i codici in grembo; Luca è rappresentato, su un trono dall’alto schienale terminante in una testa di animale, colto nell’atto di comporre il testo. I ritratti di Giovanni e Marco sono parte integrante della struttura originale del manoscritto: l’immagine di Marco, infatti, occupa lo spazio rimasto al di sotto della fine della lista dei capitoli; quella di Giovanni, invece, occupa un’intera pagina all’interno del quaderno corrispondente, al pari del ritratto di Luca; quest’ultimo tuttavia è realizzato su un singolo foglio, inserito a fronte di una pagina contenente la fine dell’indice dei capitoli e l’inizio del testo del suo Vangelo. Su questo foglio non è stata realizzata la rigatura per la scrittura. Sul retro del foglio inoltre appare una ripetizione esatta delle linee iniziali del testo che ora fronteggia il ritratto, vergate da una mano differente rispetto a quella del copista principale del manoscritto e caratterizzata dall’utilizzo di una forma diversa per la Q iniziale. Questa inserzione solleva interrogativi circa il processo di compilazione del manoscritto, ed è anche indicativa delle priorità avvertite dai suoi artefici. L’inserimento del foglio relativo a Luca rivela l’importanza di completare la serie dei diversi ritratti quando forse, per un iniziale errore di copia, si dimenticò di lasciare uno spazio per l’immagine. Il secondo copista probabilmente ha aggiunto quelle linee per garantire che l’immagine svolgesse la funzione di introduzione al testo, senza che interrompesse il flusso testuale del Vangelo. Le diverse mani attestano la partecipazione di più persone alla realizzazione del codice; la variazione di forma nelle iniziali Q suggerisce l’esistenza di molteplici modelli per la decorazione – fatto usuale non solo fra i manoscritti bretoni presi nel loro insieme come corpus, ma persino all’interno di uno stesso scriptorium. Al tempo stesso, però, la testa di animale con la lingua sporgente, comune alla B della prefazione e al trono di Luca, stabilisce una continuità fra gli elementi del programma. Nel suo insieme, la realizzazione di immagini vigorose, intenzionalmente improntate al disegno, in assenza di una pergamena e di pigmenti pregiati, trasmette il ruolo centrale che la miniatura riveste nella produzione bretone di Vangeli.

145


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

AREA OCCIDENTALE ETÀ OTTONIANA ED EPOCA ROMANICA (X-XII SEC.)

BIBBIE OTTONIANE Fabrizio Crivello Il dissolvimento dell’Impero carolingio rappresenta per la storia della miniatura una cesura rispetto ai risultati raggiunti dalle grandi scuole attive nel ix secolo. Le prime opere che appaiono nel x secolo sul continente trasformato dalle incursioni di Normanni, Saraceni e Ungari mostrano un distacco dall’arte figurativa e illusionistica e un ritorno a forme ornamentali, talvolta attinte dalla tradizione precarolingia. La situazione è simile nelle Isole Britanniche, anche se nel ix secolo il rinnovamento dei Carolingi ebbe in quelle regioni effetti solo superficiali. Il x secolo è anche il momento in cui i regni dell’Inghilterra meridionale escono dal periodo delle invasioni scandinave e i grandi monasteri si preparano a una nuova stagione artistica. Oltre alla stabilità politica, tra i presupposti della ripresa artistica di questo periodo va ricordato il ruolo della riforma monastica, che dai primi decenni del x secolo si diffuse per iniziative diverse, in particolare grazie ad alcuni monasteri della Lotaringia. In questo clima di fervore, dopo la dispersione di biblioteche e scriptoria, i monasteri mostrano interesse per nuove tipologie librarie, tra le quali spiccano per la decorazione le vite dei santi, intorno alle cui reliquie la Chiesa aveva saputo riorganizzare molte delle proprie istituzioni. Limitata fu invece la realizzazione di bibbie, in uno o più volumi: si trattava infatti di un’operazione complessa, che richiedeva competenze organizzative che in pochissimi casi si erano rese nuovamente disponibili. In nessuno dei monasteri del x secolo si poté realizzare un’attività paragonabile a quella svolta in età carolingia da Tours nella revisione, edizione e decorazione del testo biblico. Il collegamento con la precedente età dei Carolingi è rappresentato soprattutto dalla produzione dei libri di Vangeli – evangeliari ed evangelistari (noti anche come Libri di Pericopi) –, che continuano a essere per il loro utilizzo liturgico i più importanti testi biblici decorati. Accanto a essi si diffondono i salteri, destinati all’uso liturgico o alla preghiera personale dell’alto clero. La realizzazione di queste opere prese avvio da modelli carolingi, che plasmarono le caratteristiche decorative di alcuni dei principali centri della miniatura del x secolo. Nei libri di Vangeli, accanto all’ornamentazione e alle raffigurazioni degli evangelisti, intorno ai quali l’arte carolingia aveva sviluppato un vasto repertorio di modelli, prendono ora vita cicli neote-

146

stamentari, che hanno tra i loro presupposti gli esempi provenienti dalla contemporanea arte mediobizantina. Questo fenomeno, che si avverte appena in Inghilterra, è una delle caratteristiche dell’arte ottoniana, che poté moltiplicare i rapporti con Bisanzio a seguito del matrimonio avvenuto nel 972 tra Ottone ii (955-983) e la principessa bizantina Teofano (950 circa-991). La rinascita del x secolo avverrà, quindi, a partire da queste due regioni: l’Inghilterra e l’impero degli Ottoni; a esse si accosta la Spagna, impegnata nella realizzazione di copie riccamente illustrate del Commentario sull’Apocalisse di Beato di Liébana. Lo sviluppo della decorazione di questo testo accompagna la reconquista della penisola, messa in atto dai regni cristiani del Nord a scapito della dominazione araba. La Francia e l’Italia occupano invece una posizione marginale in questo nuovo assetto dell’Europa del x secolo; solo verso l’anno Mille si avvertono nei loro territori i segnali di una ripresa, che mostrerà presto i caratteri di un’arte sostanzialmente protoromanica. La rinascita artistica in Inghilterra si manifesta con la rifondazione dei monasteri e un’intensa produzione di manoscritti decorati a essi destinati. Centro principale di questo rinnovamento fu Winchester, le cui creazioni ricevettero impulso dai sovrani del Wessex e intorno alla metà del x secolo presentavano già caratteri definiti. Gli artisti di Winchester dovettero accogliere le novità dell’arte carolingia fin dal tardo ix secolo, ma solo intorno alla metà del secolo successivo i diversi modelli vennero rielaborati, creando un linguaggio originale: struttura di iniziali e cornici attinte dalla scuola francosassone; esuberanti foglie acantacee come motivo ornamentale di riempimento riprese dagli intagli in avorio della seconda scuola di Metz; figure vibranti e pervase da una tensione interna ispirate dalle realizzazioni di Reims, il cui ruolo intorno all’anno Mille esplode per gli effetti provocati da uno dei suoi capolavori, databile intorno all’820 e giunto allora a Canterbury: il Salterio di Utrecht (uub, ms. 32). Prendono vita in questo modo disegni a penna tracciati con inchiostri di colori diversi, quasi eccitati, che si diffondono nella prima metà dell’xi secolo e caratterizzano una delle stagioni più floride della miniatura occidentale. L’arte sorta a Winchester si espande nel resto dell’Inghilterra meridionale sino a Canterbury, dove nel secondo quarto dell’xi secolo venne realizzato il Salterio Reg. lat. 12, presumibilmente per il monastero di Bury St. Edmunds, fondato nel 10151. Con i risultati raggiunti tra il tardo x secolo e gli inizi del secolo successivo, gli artisti inglesi arrivano a in-

fluenzare non solo centri della Francia settentrionale come Saint-Bertin e Saint-Vaast, ma si spingeranno anche in Normandia, a Fécamp e a Mont-Saint-Michel, e più a sud, nella regione della Loira, dove a Fleury emerge l’attività di uno straordinario miniatore di Winchester. Sul continente lo scenario artistico è dominato dalla miniatura ottoniana sviluppatasi nell’impero. I suoi inizi si erano registrati in Sassonia, dove il monastero di Corvey, legato alla dinastia degli Ottoni, aveva presto raccolto e ridato vita all’eredità delle forme ornamentali carolinge di matrice franco-sassone. Alle tipiche cornici e iniziali di queste ultime, gli artisti di Corvey avevano unito motivi ornamentali tratti da preziosi tessuti operati su fondo porpora, inaugurando in questo modo una delle caratteristiche che attraverseranno la miniatura ottoniana fino al suo esaurirsi. Intorno alla metà del x secolo nel monastero sulla Weser si realizzano evangeliari con caratteri di lusso che permettono di individuare i tratti di un’arte di corte. Sebbene la produzione di manoscritti preziosi sia in gran parte legata, come nella precedente età carolingia, alle iniziative dei sovrani, con gli Ottoni ciò si verifica in contesti diversi, anche a causa della mobilità delle corti. Questo periodo si caratterizza infatti per la presenza di monasteri che realizzano manoscritti decorati non solo per se stessi e per la grande committenza ecclesiastica, ma soprattutto per gli imperatori. L’attività delle scuole di corte che avevano dato impulso e trainato l’arte dei Carolingi è scomparsa e al loro posto emergono via via monasteri che godono del favore del sovrano e della sua famiglia. Se la prima miniatura ottoniana di Corvey è sostanzialmente un’arte ornamentale derivata dalle forme francosassoni, i centri che poco dopo emergono e assumono un ruolo guida guardano ad altri modelli: i fasti della scuola di corte di Carlo Magno. Si tratta dei monasteri di Fulda e Reichenau, che nel terzo quarto del x secolo realizzano grandi evangeliari ed evangelistari. Dal punto di vista ornamentale Reichenau, sul lago di Costanza, poté attingere all’eredità della vicina San Gallo, che nella seconda metà del ix secolo aveva messo a punto un caratteristico repertorio di motivi, costituito da racemi dorati o argentati con protuberanze bulbose e terminazioni lanceolate e falciformi. Questo diventerà il terreno sul quale fioriranno i principali linguaggi ornamentali della miniatura ottoniana a partire da quello di Reichenau, che nel terzo quarto del x secolo è già in grado di realizzare importanti manoscritti decorati. Tra questi spicca un Evangelistario noto con il nome dell’arcivescovo per il quale venne ese-

guito: Gerone di Colonia (dul, ms. 1948). Il manoscritto è decorato da miniature a piena pagina raffiguranti due scene di dedica, la Maiestas Domini e i ritratti degli evangelisti; questi ultimi riprendono quelli dell’Evangeliario di Lorsch2, calandoli però in un’atmosfera astratta e irreale che diventerà una delle caratteristiche distintive dell’arte di Reichenau. La miniatura sviluppatasi sull’isola del lago di Costanza è stata classificata in gruppi in base all’ornamentazione e allo stile delle raffigurazioni. A partire dal 990 circa prende forma il gruppo detto di Liuthar, nome che compare nei versi di dedica rivolti a Ottone iii (996-1002) nell’Evangeliario di Aquisgrana (adk, G 25), la più importante delle opere che segnano l’inizio di questa produzione. Con essa la miniatura di Reichenau raggiunge l’apogeo della sua attività con una serie di sontuosi manoscritti destinati ai sovrani della dinastia Sassone, tra i quali spiccano l’Evangeliario di Ottone iii, realizzato verso l’anno Mille, e il Libro di Pericopi di Enrico ii, databile tra il 1007 e il 1012, entrambi conservati a Monaco (bsb, rispettivamente Clm 4453 e Clm 4452). Dei fasti di questa gloriosa stagione della miniatura ottoniana si colgono i riflessi nella decorazione dell’Evangelistario Barb. lat. 711, che costituisce l’esempio più rappresentativo del rapporto tra due dei principali scriptoria ottoniani: San Gallo e Reichenau3. Databile poco prima dell’anno Mille, ripete fedelmente, anche per il formato e la disposizione del testo, il contenuto dell’Evangeliarium longum (sgs, Cod. 53), l’Evangelistario sangallese della fine del ix secolo famoso per la legatura in avorio realizzata dal monaco Tuotilo. Rispetto al modello tardocarolingio, la cui decorazione è puramente ornamentale, il manoscritto ottoniano è arricchito da una serie di miniature, che costituiscono un ciclo coerente dedicato alla vita di Cristo, che dalla Natività e dagli episodi della predicazione e della Passione giunge fino all’Ascensione. Al ciclo cristologico sono intercalati i ritratti degli evangelisti, che riprendono una caratteristica iconografia della miniatura di Reichenau messa a punto nell’Evangeliario di Ottone iii: quella dei cosiddetti evangelisti visionari. Seguendo il prototipo dell’antico mito di Atlante che doveva sostenere la volta celeste, i quattro autori dei Vangeli sono raffigurati seduti in trono mentre reggono sulle spalle un globo, all’interno del quale si riconoscono angeli, re e profeti dell’Antico Testamento. In grembo agli evangelisti compaiono alcuni libri chiusi, che alludono all’antica Alleanza. Se rispetto alla scrittura, il testo e l’ornamentazione non sussistono dubbi sull’ori-

147

71-72


Bibbia. Immagini e scrittura

gine sangallese del manoscritto, lo stile delle miniature e i loro modelli mostrano chiaramente l’influenza del vicino monastero di Reichenau. Le figure, dai caratteristici gesti accentuati, disposte su sfondi dalla resa atmosferica, sono quelle delle prime opere del gruppo di Liuthar, così da far ipotizzare l’intervento di un artista di Reichenau a San Gallo. È stato anche supposto che il manoscritto possa essere stato realizzato per la consacrazione dell’abate di Reichenau, che in virtù dei privilegi del monastero definiti alla fine del x secolo doveva svolgersi a Roma; in quell’occasione il nuovo designato avrebbe dovuto offrire al papa anche manoscritti liturgici. Verso l’anno Mille lo scriptorium di Reichenau, impegnato nella realizzazione dei grandi manoscritti decorati destinati a Ottone iii, non avrebbe potuto facilmente assolvere a quell’impegno per l’abate Alawich ii (997-1000); a quel punto sarebbe intervenuto in aiuto il monastero di San Gallo con la realizzazione dell’Evangelistario barberiniano. Il manoscritto è in ogni caso presente a Roma nel Medioevo, tra xii e xiii secolo, quando compare presso la chiesa di San Salvatore della Corte (oggi Santa Maria della Luce in Trastevere), come si ricava dalle aggiunte apposte sui fogli di guardia iniziali. Accanto a Reichenau fioriscono altri centri, prestigiose sedi vescovili con importanti monasteri la cui attività è orientata da illustri prelati. A Treviri è attivo per l’arcivescovo Egberto (977-993) il più raffinato e colto dei miniatori ottoniani noto con il nome di Maestro del Registrum Gregorii; tra le opere realizzate nella sua cerchia ricade la raffinata decorazione ornamentale del Reg. lat. 154, alla cui trascrizione collaborano anche scribi provenienti da Magonza. Oltre a Treviri spiccano altre sedi vescovili: Colonia, i cui arcivescovi possono contare su importanti monasteri cittadini in grado di produrre lussuosi manoscritti; Magonza, che durante il governo del potente arcivescovo Willigiso (975-1011) diventa uno dei principali centri della miniatura ottoniana; Hildesheim, dove intorno al vescovo Bernoardo (993-1022) prende vita una intensa attività artistica che coinvolge la produzione di manoscritti decorati. Dai centri del medio e del basso Reno, grazie anche al ruolo di Treviri, la miniatura ottoniana si irradia nei territori che si estendono a sinistra del grande fiume, in quelle regioni settentrionali dell’antica Lotaringia dove più tardi, in età romanica, prenderà vita l’arte mosana. In un centro di queste regioni va cercata tra primo e secondo quarto dell’xi secolo l’origine dell’Evangeliario Arch. Cap. S. Pietro D.1535, dove le raffigurazioni degli evan-

148

II. Area occidentale – Età ottoniana

gelisti sono precedute da scene del Nuovo Testamento e, nel caso di Matteo, anche dalla Maiestas Domini. Nei territori sud-orientali dell’impero, dalla fine del x secolo, acquista un ruolo di crescente prestigio il monastero di Sant’Emmerano di Ratisbona dove, durante l’abbaziato di Ramwoldo (975-1001), venne restaurato il famoso Codex Aureus, realizzato nell’870 alla scuola di corte di Carlo il Calvo (bsb, Clm 14000). L’attenta osservazione del manoscritto, al quale venne aggiunta all’inizio una nuova scena di dedica, diede occasione ai miniatori di Ratisbona di conoscere il vasto repertorio di motivi ornamentali che caratterizzavano quell’illustre Evangeliario. Questi, accanto agli stimoli provenienti dalle grandi realizzazioni ottoniane di Reichenau, diedero impulso all’attività artistica dello scriptorium, che presto fu in grado di soddisfare le ambiziose richieste di Enrico ii (1002-1024): un sontuoso sacramentario realizzato poco dopo il 1002 (bsb, Clm 4456) e un prezioso Evangeliario donato dal sovrano prima del 1024 a Montecassino (Ott. lat. 74)6. L’Evangeliario di Montecassino è uno dei manoscritti più importanti tra quelli realizzati dallo scriptorium del monastero di Sant’Emmerano a Ratisbona. La ricca decorazione prevede il ritratto del sovrano, le raffigurazioni degli evangelisti (quella di Giovanni è mancante), le tavole dei Canoni e le pagine iniziali del Vangeli. La pagina con l’immagine del sovrano che precede il Vangelo di Giovanni era forse in origine collocata all’inizio o alla fine del manoscritto. Accompagnata da versi che permettono di identificare l’imperatore raffigurato con Enrico ii, la miniatura mostra un’articolata composizione di forme geometriche: al centro un medaglione in cui il sovrano siede con le insegne imperiali rivestito di una stola, con la quale si intese forse sottolineare il ruolo sacerdotale di Enrico ii; quattro segmenti di medaglioni disposti attorno come a formare una croce includono in alto la colomba dello Spirito Santo, le personificazioni della Prudenza e della Sapienza – rispettivamente a sinistra e a destra – e in basso una scena di giustizia, che è stata interpretata anche in riferimento a persone e avvenimenti storici. Agli angoli sono rappresentate entro riquadri le figure della Giustizia, della Pietà, della Legge e del Diritto. Le personificazioni e i temi raffigurati alludono al ruolo del sovrano come giudice supremo investito da Dio. Secondo la Cronaca di Montecassino di Leone Marsicano, Enrico ii avrebbe donato, insieme a ornamenti liturgici, un prezioso libro di Vangeli (Chronica monasterii Casinensis, ii, 43), come ringraziamento per la guarigione da

73

74

una malattia avvenuta nel 1022 durante una visita a Montecassino. Le aggiunte apposte nell’xi secolo in scrittura beneventana permettono di confermare l’identificazione del manoscritto con l’Evangeliario offerto dal sovrano al monastero, dove è ancora presente nel 1126/1127, prima di scomparire. A Montecassino la ricca decorazione del manoscritto ottoniano non influenzò immediatamente la produzione locale, ma venne ripresa e rielaborata qualche decennio più tardi dai grandi manoscritti legati alla nuova basilica voluta dall’abate Desiderio (1058-1087). Nel secondo terzo dell’xi secolo emergono alcuni centri artistici che fino a quel momento non avevano avuto un ruolo di particolare rilievo. Echternach, grazie agli impulsi delle opere di Treviri, diventa il principale monastero al servizio della committenza degli imperatori della dinastia salica. In Baviera, lo sviluppo della miniatura di Ratisbona stimolò la produzione di diversi centri, in particolare di scriptoria monastici: Salisburgo, Frisinga, Tegernsee e Niederalteich danno vita, già nel secondo quarto dell’xi secolo, a manoscritti decorati nei quali accanto alle forme più caratteristicamente ottoniane si avvertono anche le influenze provenienti da Bisanzio. Si generano in questo modo nell’impero alcuni dei presupposti per la successiva svolta romanica. Tra le cosiddette scuole monastiche bavaresi si distingue l’attività del monastero di Tegernsee, non solo per la realizzazione di ricchi evangeliari, ma anche di salteri, per i quali si mettono a punto forme ornamentali ripetute in diversi manoscritti, dei quali il Salterio Ross. 184 è un esempio7. Realizzato intorno alla metà dell’xi secolo, il manoscritto contiene il testo salmico con il commento attribuito a Bruno di Würzburg ed è decorato da ricche pagine iniziali che suddividono i Salmi in tre gruppi di 50. All’inizio del xiii secolo venne copiata nel manoscritto una lettera di papa Innocenzo iii rivolta al clero e ai fedeli di Santa Maria de Greciana, documento che testimonia la presenza dell’opera a Roma tra xii e xiii secolo. La produzione delle scuole monastiche bavaresi e l’irradiarsi della loro attività stabiliscono un collegamento con i successivi sviluppi artistici. Se ne riconoscono gli effetti in Boemia e in Borgogna, in particolare a Cluny, dove nel tardo xi secolo emerge l’opera di miniatori di cultura tardo ottoniana, la cui attività precede o accompagna la svolta romanica. Una situazione analoga, che anticipa le trasformazioni della seconda metà dell’xi secolo, si registra anche in Italia, dove il risveglio romanico è stato preceduto da un’età particolarmente ricca di incertezze: il periodo che va dalla fine dell’impero caro-

lingio alla Renovatio imperii degli Ottoni. Pochi centri erano riusciti a dare forma a una decorazione libraria che mostrasse un orientamento riconoscibile. Fa eccezione Milano, dove nel x secolo furono realizzati, accanto a una fiorente attività di intaglio in avorio, tre salteri decorati, che testimoniano una particolare recensione diacritica del testo salmico. Si tratta dei mss. Vat. Lat. 828, Vat. lat. 839 e bsb, Clm 343. La loro decorazione è costituita da pagine iniziali e da lettere iniziali che scandiscono la sequenza dei Salmi; a esse si aggiunge, nel Vat. lat. 83 e nel Clm 343, la raffigurazione di Davide e dei suoi salmisti, mentre il Vat. lat. 82 prevede soltanto una pagina iniziale all’inizio del manoscritto. La decorazione dei salteri diacritici milanesi è caratterizzata da un pronunciato eclettismo, in cui confluiscono elementi precarolingi di tradizione insulare e carolingi, e in particolare nella struttura delle cornici si riconoscono forme di derivazione franco-sassone. Accanto a queste componenti ornamentali emerge nella miniatura di Davide attorniato dai salmisti un prototipo tardoantico. Questi manoscritti, che per i caratteri calligrafici e imitativi della scrittura sono stati ricondotti all’età carolingia, si collocano nella seconda metà del x secolo: il Vat. lat. 83, il primo della serie, va probabilmente datato intorno alla metà del x secolo o poco oltre, il Clm 343 nell’ultimo terzo del secolo e, tra i due, poco prima del Salterio di Monaco, si pone il Vat. lat. 82. Intorno all’anno Mille, Milano abbandona lo stile eclettico dei salteri e fa proprie forme ornamentali di origine ottoniana che, rielaborate nel corso del xi secolo, forniscono le basi per il successivo sviluppo romanico. Accanto a Milano emergono in Italia settentrionale altri scriptoria attivi nella prima metà dell’xi secolo nella decorazione dei manoscritti. Tra questi il monastero di Nonantola, antica fondazione longobarda, che a partire dal governo dell’abate Rodolfo (1002-1035) si accinge a reintegrare le perdite librarie causate dalle distruzioni inflitte dagli Ungari e a riorganizzare lo scriptorium. Al secondo quarto dell’xi secolo risale il Vat. lat. 8410, un Salterio la cui decorazione prevede, oltre alle iniziali ornate in cui confluiscono modelli diversi, una pagina con la raffigurazione dell’Agnus Dei attorniato dagli evangelisti e la scena della Crocifissione. La scelta di utilizzare colori intensi unita alle intenzioni plastiche del modellato delle figure appartiene ormai al clima preromanico, che non attende altro che potersi liberare dall’inerzia di modelli precedenti per rivolgersi verso le novità della seconda metà dell’xi secolo11.

149

76 75

76

77


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

Pagine seguenti: 72. Incipit della pericope per la seconda Messa di Natale e Giovanni evangelista, Evangelistario (Barb. lat. 711, ff. 14v-15r).

71. Matteo evangelista e incipit della pericope per la vigilia di Natale, Evangelistario (Barb. lat. 711, ff. 10v-11r).

150

73. L’imperatore Enrico ii attorniato da personificazioni e incipit del Vangelo di Giovanni, Evangeliario di Montecassino (Ott. lat. 74, ff. 193v-194r).

151


152

153


Bibbia. Immagini e scrittura

154

II. Area occidentale – Età ottoniana

155


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

74. Pagina iniziale del Salmo 51, Salterio (Ross. 184, f. 77v).

156

75. Pagina iniziale del Salmo 1, Salterio diacritico (Vat. lat. 82, f. 14).

157


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

76. Davide e i suoi salmisti, Salterio diacritico (Vat. lat. 83, f. 12v). 77. Crocifissione, Salterio (Vat. lat. 84, f. 275r).

158

159


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

78. Incipit del Salmo 51, Salterio di Bury (Reg. lat. 12, f. 62r).

IL SALTERIO DI BURY Reg. lat. 12 Michelle P. Brown

153

78

Il Salterio di Bury è un salterio gallicano, realizzato presso la Christ Church, cioè la cattedrale di Canterbury, durante il secondo quarto dell’xi secolo, subito dopo la realizzazione, nello stesso luogo, del Salterio romano Harley (bl, Harley 603), copiando il famoso Salterio di Utrecht, di epoca carolingia (uub, ms. 32). Il codice si apre con un calendario che presenta le festività di Bury St. Edmunds in oro. Gli incipit dei Salmi 1 e 51, incorniciati e miniati con pigmenti preziosi ed oro, presentano una decorazione a piena pagina nel “Winchester style”. La parola iniziale «Beatus» del Salmo 1 presenta la caratteristica testa di leone, le ornamentazioni zoomorfe e un medaglione al cui interno è raffigurato un monaco intento a scrivere (il copista o il committente?), mentre la Q che apre il Salmo 51 è abitata dalla Vergine in trono, con un drago ai suoi piedi. Due busti femminili, che stringono in mano un libro, la contemplano dalla cornice di acanto. L’iniziale che apre il Salmo 101 non fu realizzata benché sia stato lasciato uno spazio. La partizione liturgica del Salmo 109 si apre con una D iniziale in oro; cinquantatré disegni marginali, alcuni acquerellati o parzialmente colorati con tocchi d’oro, animano il resto del testo, ispirati forse dai salteri bizantini con immagini marginali del ix-xi secolo, come ad esempio il Salterio di Teodoro e quello Chludov (bl, Add. 19352 e gim, ms. D.129), e dalla iconografia dei salteri Utrecht e Harley. Si tratta di disegni piuttosto grandi, molto eleganti, realizzati in una variante anglosassone dello stile detto di “Utrecht” o di “Reims” e sono immagini che in parte illustrano in modo letterale il testo che accompagnano. Esse includono la Crocifissione, rappresentata in modo monumentale nello stesso stile delle contemporanee croci scolpite anglosassoni e ottoniane, con l’inusuale iconografia del serpente attorcigliato alla base della croce come nel carolingio Sacramentario di Drogone (bnf, Lat. 9428). Altre particolarità iconografiche sono: la genuflessione di Davide unto dal Signore, con il salmista che si solleva da una tomba come “tipo” di Cristo, la Discesa al Limbo e un’immagine diagrammatica del Creatore, particolarità che sono rappresentative delle tradizioni anglosassoni. Motivi iconografici dal Nuovo Testamento (la Natività e l’Ascensione con Cristo

160

che scompare), rappresentati alla maniera anglosassone – le principali analogie stilistiche e iconografiche si riscontrano nel Benedizionale di St. Ethelwold (bl, Add. 49598), nell’Evangeliario di Boulogne (bbm, ms. 11), nella Genesi di Caedmon (obl, ms. Junius 11), nel codice bl, Arundel 155 e nel Salterio Cotton Tiberius (bl, Cotton Tiberius C.VI) – sono inframmezzati con scene dall’Antico Testamento e occorrenze di varianti dell’immagine della Trinità. Sette disegni corrispondono a quelli aggiunti da un artista inglese al Salterio di Otberto (bbm, ms. 20, intorno al Mille), suggerendo in tal modo un modello comune. L’inclusione dei santi locali, Edmund, Botulfo, Hiurmin, e della consacrazione della nuova chiesa di Bury (nel 1032/1035 a opera di Aethelnoth, arcivescovo di Canterbury, per ordine di re Canuto il Grande), quando Bury non era ancora in grado di produrre autonomamente tali libri, suggeriscono una produzione a Canterbury. Il contesto stilistico è quello di Canterbury e del lavoro di uno dei suoi monaci, il talentuoso artista-scriba Eadui Basan (Eadui il Grasso, che aveva lavorato anche sul Salterio Harley), il quale era stato prelevato dallo scriptorium da Canuto il Grande e dalla regina Emma ed era stato impiegato per redigere carte e per realizzare prestigiosi volumi destinati alla nobiltà ecclesiastica e secolare al fine di far ambientare la nuova monarchia scandinava in Inghilterra. Il codice fu probabilmente realizzato nel 1030 a Canterbury a uso di Bury, forse per ordine di Canuto il Grande. Rebecca Rushforth ha identificato due note obituarie in esametri aggiunte al calendario all’inizio del xii secolo come riferibili a due discendenti della casa regnante anglo-sassone del Wessex: Christina, figlia di Edoardo l’Esiliato, e suo nipote Edgar re di Scozia (morto nel 1107), figlio di santa Margherita e Malcolm Canmore. Il codice può dunque essere stato coinvolto negli eventi legati alla conquista normanna dell’Inghilterra nel 1066. Il testo, incompleto, si interrompe a metà. L’aggiunta di una preghiera per la badessa e di un elenco delle reliquie dell’abbazia di Jouarre, nel nord della Francia, indicano che il codice probabilmente si trovava lì intorno alla fine dell’xi secolo. Fu in seguito di proprietà di Alexandre Petau d’Orléans, la cui collezione venne venduta alla regina Cristina di Svezia nel 1650. Il volume passò in seguito al cardinal Pietro Ottoboni (sotto il pontificato di Alessandro viii) e da lui alla Vaticana nel 16901.

161


Bibbia. Immagini e scrittura

BIBBIE ROMANICHE Fabrizio Crivello L’età romanica rappresenta, dopo la stagione delle grandi bibbie carolingie, il periodo di massima fioritura dell’edizione e decorazione del testo biblico. La riforma monastica che nel x secolo aveva contribuito alla ripresa artistica in Inghilterra e nell’impero sfocia nel secolo successivo in una più vasta riforma ecclesiastica, che questa volta procede dal vertice della Chiesa, da Roma. Qui prende vita una produzione di bibbie decorate di grande formato, note come bibbie atlantiche (tra le altre i mss. Barb. lat. 587, Pal. lat. 3-5, Vat. lat. 4220-4221, Vat. lat. 10405, Vat. lat. 12958), che dalla metà dell’xi secolo vengono realizzate anche per l’esportazione, stimolando la produzione di altri centri, non solo in Italia, ma anche Oltralpe1. Accanto alle bibbie atlantiche, a Roma e nel Lazio vennero realizzati evangeliari, all’interno dei quali si riconoscono componenti diverse, come avviene nel ms. Chigi A.VI.1642. Risalente alla fine dell’xi secolo, il manoscritto presenta una decorazione che unisce a iniziali di ascendenza ottoniana raffigurazioni di evangelisti realizzate con uno stile sostanzialmente grafico e ornamentale. Alla creazione del nuovo linguaggio romanico generatosi in Italia centrale nel corso del terzo quarto dell’xi secolo contribuiscono il clima di rinnovamento artistico che nasce grazie anche alla decorazione della Bibbia e una componente che finora aveva svolto un ruolo secondario: il ricorso al linguaggio figurativo di Bisanzio. Paradigma di questa elaborazione è il monastero di Montecassino durante il governo dell’abate Desiderio (1058-1087), quando i modelli mediobizantini vengono assimilati e danno vita a uno stile ibrido, definito italo-bizantino che, giunto anche a Roma, si mostra nella decorazione delle bibbie atlantiche e si propagherà dall’Italia all’intera Europa. A Roma e in ambito umbro-romano è stata riconosciuta anche l’influenza dello stile cassinese; ne sono esempio le raffigurazioni degli evangelisti dell’Evangeliario Ross. 235, realizzato tra la fine dell’xi e l’inizio del secolo successivo3. Gli scriptoria dell’Italia meridionale, che avevano conosciuto precocemente gli stimoli provenienti da Bisanzio, sono accomunati da una scrittura di origine altomedievale, la beneventana. Qui il rinnovamento cassinese si interseca con l’attività di altri centri della Puglia e

162

II. Area occidentale – Età ottoniana

della Campania; a essi sono riconducibili evangeliari ed evangelistari, come i mss. Ott. lat. 296 e Vat. lat. 37414. In Toscana la miniatura romanica si evolve grazie agli impulsi provenienti da Roma. La decorazione dei primi manoscritti prodotti a Lucca e a Pisa mostra un’ornamentazione che ha tenuto conto della tradizione ottoniana delle iniziali decorate con racemi, ma che ha saputo allo stesso tempo reinterpretare. È quanto accade nell’Evangeliario Vat. lat. 60835; realizzato a Pisa nel tardo xi secolo, il manoscritto fa parte di un gruppo di opere che condividono lo stesso raffinato linguaggio ornamentale che rielabora modelli ottoniani in chiave romanica. Di particolare rilievo è anche la decorazione della più tarda Bibbia Vat. lat. 4216, realizzata per il monastero di Santa Croce a Fonte Avellana, in Umbria6. Eseguita nel 1146, presenta iniziali confrontabili con quelle di altri manoscritti prodotti in Toscana, in particolare nella diocesi di Arezzo, e che rendono controversa l’origine del manoscritto. Se l’età preromanica era caratterizzata da stili radicati in grandi identità nazionali – l’arte inglese, ottoniana, della Spagna altomedievale –, verso l’anno 1100 si assiste a una sorta di stile internazionale, che nella decorazione libraria fa sì che centri come Roma, Montecassino, Cluny, Salisburgo, Colonia, Stavelot e Winchester mostrino un analogo orientamento stilistico, che si riconosce innanzitutto nella convinzione che il primato della pittura spetti a Bisanzio, divenuto il comune modello di riferimento. In alcuni centri si registrano proprio in ambito librario i sintomi più precoci dell’arte romanica, a differenza di quanto avviene nella pittura murale o su tavola. Questo si osserva ad esempio nella miniatura catalana che, svincolatasi dalle inerzie dello stile più drammatico e arcaico dell’illustrazione del Commentario di Beato di Liébana sull’Apocalisse, nella prima metà dell’xi secolo è già in grado di esprimersi attraverso un linguaggio rinnovato con opere come la Bibbia di Roda (bnf, Lat. 6) e la Bibbia di Ripoll (Vat. lat. 5729)7. Nell’impero bisogna attendere la seconda metà dell’xi secolo per riconoscere la presenza di un linguaggio romanico. In un centro della Renania (o dell’Alsazia) emerge nel tardo xi secolo un’opera come il Salterio Pal. lat. 39, che appare ormai lontano dai suoi precedenti ottoniani8. All’inizio del manoscritto una miniatura a piena pagina mostra un tema non frequente nella decorazione del Salterio: la danza di Davide dinnanzi all’arca

79

dell’Alleanza (2 Sam 6,14-17). Nella zona superiore è raffigurata l’arca affiancata dai Cherubini (Es 25,10-22); al di sotto Davide, raffigurato al centro, è accompagnato dai suoi salmisti ed è intento a comporre i versi salmici. La miniatura romanica conosce nel xii secolo una fase di ulteriore espansione, dovuta al rinnovato contatto con la produzione artistica di Bisanzio, che ancora una volta è in stretto dialogo con l’arte italiana. Venezia e la Sicilia normanna sono diventate catalizzatori e amplificatori degli apporti artistici provenienti da Costantinopoli. In particolare in Sicilia, intorno ai grandi mosaici palermitani, prende forma nel tardo xii secolo un linguaggio ornamentale caratteristico, costituito da iniziali dai colori smaltati su fondo oro. Al loro interno, sottili racemi di matrice settentrionale si uniscono a forme ornamentali desunte dai manoscritti greci. Di questo ornato raffinato e prezioso è un esempio l’Evangeliario di Monreale (Vat. lat. 42)9. Questa unione di componenti occidentali e bizantine si era però già verificata nei manoscritti prodotti negli atelier franchi sorti in Terra Santa in seguito alle spedizioni intraprese dai crociati; ne è un esempio l’Evangeliario Vat. lat. 597410. La seconda ondata di bizantinismo che si propaga dalla Sicilia e da Venezia raggiunge presto l’Europa continentale e settentrionale. Nel clima stimolato dai nuovi

modelli prendono vita grandi bibbie decorate che scandiscono la storia della miniatura dell’inoltrato xii secolo. Tra la Borgogna e la regione della Loira ha origine una serie di manoscritti che fa capo alla Bibbia di Souvigny (bmm, ms. 1); in Francia settentrionale la Bibbia dei Cappuccini (bnf, Lat. 16743-16746) raccoglie gli sviluppi della miniatura mosana e apre la strada alle novità protogotiche della Bibbia di Manerio (bsg, mss. 8-10), il cui scriba proviene da quell’Inghilterra che ha visto nascere poco prima le grandi Bibbie di Bury St. Edmunds (ccc, ms. 2) e di Winchester (Cathedral Library). In questi decenni dell’avanzato xii secolo si osserva una fase dell’arte medievale che è stata definita di transizione e parla un linguaggio stilistico che si colloca in un equilibrio instabile: le figure, pur rimanendo fedeli a molte delle convenzioni romaniche, sono allungate e percorse da linee sinuose e si animano di una nuova espressività; il modellato è descritto da pieghe sottili e profonde che mettono in evidenza il rilievo. Ci si trova dinanzi alla svolta del xii secolo, quando a partire dal Salterio della regina Ingeborg (mcc, ms. 9) e dal caratteristico stile detto a pieghe scanalate che lo caratterizza, si potrà abbandonare l’aggettivo romanico e aprire un nuovo capitolo della storia della miniatura, quello del gotico11.

80

163


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

79. Arcate per le tavole dei Canoni di Eusebio e incipit del Vangelo di Matteo, Evangeliario (Vat. lat. 6083, ff. 9v-10r).

164

165


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

80. La danza di Davide dinanzi all’arca dell’Alleanza e pagina iniziale del Salmo 1, Salterio (Pal. lat. 39, ff. 44v-45r).

166

167


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

81. Scene dai libri dell’Esodo e dei Numeri, Bibbia di Ripoll (Vat. lat. 5729, f. 82r).

BIBBIA DI RIPOLL Vat. lat. 5729 Erika Loic La Bibbia di Ripoll riunisce in un unico, straordinario volume, un testo biblico completo insieme a sommari extra-biblici e commentari, testi liturgici e un ampio ciclo illustrativo. Così chiamata dal suo luogo d’origine, il monastero benedettino di Santa Maria di Ripoll nel nordest della Penisola Iberica, la Bibbia di Ripoll fu realizzata durante l’abbaziato di Oliba (1008-1046). Con i suoi 455 fogli che misurano più di mezzo metro in altezza, essa rappresenta un esempio precoce di bibbie “giganti” tipiche dell’epoca post-Carolingia più comunemente associate alla produzione della fine dell’xi e del xii secolo. Altre due bibbie di grande formato, provenienti dallo stesso scriptorium, sono giunte fino a noi: la Bibbia di Roda, parimenti ambiziosa (bnf, Lat. 6), e la Bibbia di Fluvià, sopravvissuta solo in frammenti, conservati presso tre diverse istituzioni1. Quando il monastero di Ripoll fu saccheggiato nel 1835, durante la prima guerra carlista, la sua biblioteca venne devastata da un incendio. I manoscritti sopravvissuti – perché messi in salvo prima del disastro – permettono di farci un’idea dei documenti distrutti, così come gli inventari medievali e le più tarde descrizioni dei visitatori della biblioteca2. In base a queste testimonianze è evidente che dovette trattarsi di uno scriptorium prolifico al servizio dello studio monastico. Nel 1047, quando venne redatto un inventario dopo la morte di Oliba, il numero dei testi posseduti dalla biblioteca si era quasi quadruplicato rispetto all’inventario del 9793. L’ultimo inventario include tre bibbie complete (Bibliotecas iii) e distingue queste ultime dalle sottosezioni della Bibbia come i salteri e i Vangeli. Queste bibbie vengono menzionate per prime nella lista, lasciando così intendere che esse dovevano occupare un posto d’onore all’interno di una collezione di 246 codici che includeva anche volumi liturgici, testi patristici e libri per lo studio delle arti liberali. Il contenuto della Bibbia di Ripoll riflette la ricchezza della biblioteca monastica nel suo complesso, oltre alla disponibilità di testi patristici e di differenti redazioni del testo biblico. I monaci assemblarono infatti una varietà di materiali extra-biblici per redigere un’introduzione e per spiegare i libri della Bibbia4. In aggiunta ai capitula o ai sommari, troviamo infatti prologhi e prefazioni tratti da

168

Girolamo, così come testi attribuiti a Isidoro di Siviglia, al vescovo spagnolo Peregrinus, a Eusebio, a papa Damaso i, ad Agostino e ad autori più tardi come Floro di Lione. Se questi testi fanno pensare a un ruolo del manoscritto nello studio biblico, altri suggeriscono usi liturgici: cantici biblici, inni per l’ufficio divino e liste delle letture dai Vangeli per ciascun giorno dell’anno liturgico. La Bibbia di Ripoll è scritta su tre colonne, in una minuscola carolina di area catalana. Molti dei libri biblici si aprono con iniziali a quattro colori ornate con motivi a intreccio e a foglie. Alcune di esse, in particolare quelle che introducono i Libri dei Profeti, si collocano all’incrocio fra la categoria di lettera e quella di immagine, incorporando al loro interno ritratti o condensate scene narrative. Le illustrazioni più estese assumono varie forme a seconda del tipo di scena (ad esempio teofanie, scene di battaglia) e dello spazio a disposizione (ad esempio singole colonne, doppie pagine di apertura). In genere gli artisti hanno organizzato le immagini in modo da occupare la larghezza di una singola colonna di testo o di una serie di registri orizzontali, ma perfino le disposizioni delle strutture risultano dinamiche nella loro realizzazione. Ad esempio, la doppia pagina di apertura di 1 Maccabei presenta colori, gesti e movimenti particolarmente espressivi (ff. 341v-342r). Gli artisti hanno gestito con inventiva la mise-en-page per creare relazioni tra i registri, attraverso le pagine e da un capo all’altro del volume. Le strategie visuali da loro adottate enfatizzano costantemente l’interpretazione tipologica. Ad esempio, nel terzo registro di una pagina miniata che illustra i libri dell’Esodo e dei Numeri (f. 82r) appare Cristo in Maestà. L’immagine assicura la lettura cristologica delle scene alla sua destra (Mosè con le braccia aperte) e al di sotto di essa (un angelo che indica verso l’alto per mostrare a Balaam «la visione dell’Onnipotente», Num. 24,4). Le illustrazioni contenute nelle Bibbie di Ripoll e di Roda costituiscono spesso i testimoni di alcune fra le più antiche rappresentazioni di particolari scene bibliche. Gli sforzi degli studiosi per localizzarne lo stile e l’iconografia si sono rivolti verso modelli, fra gli altri, visigoti, carolingi e italo-bizantini5. Tale varietà riflette la complessa figura di Oliba: il suo contatto con i monasteri locali e transpirenaici, i suoi viaggi in Italia e la sua intensa attività di acquisizione di libri. Produrre un codice di tali dimensioni e assemblare così tanti testi e immagini comportò sicuramente un impegno significativo. I monaci devono aver considerato la Bibbia di Ripoll come uno dei più preziosi oggetti del

82-83

81

monastero, anche in assenza di pietre preziose o di ornamentazioni in oro. A differenza dei prodotti destinati a una committenza nobile, il codice è stato concepito per soddisfare i bisogni degli individui stessi che lo hanno realizzato, bisogni che spaziavano dallo studio personale

al culto collettivo. La Bibbia di Ripoll ha assolto anche a un ruolo simbolico: i suoi contenuti e la scelta di un volume unico per ospitarli manifestano l’interesse della comunità nei confronti del testo biblico inteso come un insieme unitario.

169


Bibbia. Immagini e scrittura

82. Testi introduttivi e immagini dal i Libro dei Maccabei, Bibbia di Ripoll (Vat. lat. 5729, ff. 341v-342r).

170

II. Area occidentale – Età ottoniana

Pagine seguenti: 83. Scene dal i Libro dei Maccabei, Bibbia di Ripoll, dettaglio (Vat. lat. 5729, f. 342r).

171


Bibbia. Immagini e scrittura

172

II. Area occidentale – Epoca gotica

173


Bibbia. Immagini e scrittura

LE BIBBIE ATLANTICHE Giulia Orofino Le bibbie atlantiche devono a uno storico dell’arte, Pietro Toesca, il nome, evocativo del formato colossale dei volumi e della grandiosità dell’impresa che sta dietro alla loro realizzazione. Per l’alto significato simbolico e lo speciale valore testimoniale del Libro, l’allestimento di queste monumentali pandette – ne sopravvivono oggi 118 esemplari, 99 completi e 19 frammentari1 – fu espressione di una politica editoriale messa a punto in età pregregoriana per affermare l’unità e l’autorità della Chiesa di Roma, che nelle Sacre Scritture ritrovava lo stimolo al rinnovamento morale e le ragioni del suo primato spirituale. Destinate all’uso liturgico e alla vita comunitaria, le bibbie atlantiche mostrano segni di immediata riconoscibilità, a partire dalla struttura fisica (in media 600x400 mm con una consistenza di 300-500 fogli) – il cui gigantismo risponde non tanto alla meccanica necessità di comprimere l’intera Vulgata in volumi monolitici, quanto alla volontà di manifestare già nelle appariscenti dimensioni il ruolo assolto dal Libro nella Propaganda fide –, fino alla revisione e all’uniformazione del testo2 e alla decorazione, improntata a principi di sobrietà, chiarezza e ripetibilità. Quanto alla scrittura, la scelta della “carolina riformata”3 esprime da una parte il rifiuto dei particolarismi grafici, fossero quelli della minuscola romanesca o della beneventana, dall’altra esplicita il richiamo alle grandi bibbie, anch’esse renovate in senso universalistico, di Carlo Magno e di Alcuino, di Ludovico il Pio e di Carlo il Calvo. Che Roma sia stata sede materiale oltre che cuore ideologico del progetto bibbie atlantiche appare l’ipotesi più plausibile4. Che questo progetto sia nato in un unico scriptorium è però contraddetto dagli oggettivi dati testuali, grafici, codicologici e artistici dei testimoni più antichi, che paiono piuttosto suggerire un’esecuzione policentrica, benché autorevolmente indirizzata e coordinata. È infatti possibile individuare clusters di bibbie accomunate dalla condivisione di scribi, miniatori, pratiche materiali e modelli testuali5. La Bibbia Pal. lat. 3-5, acquistata da un tale Odalricus per il monastero di San Magno a Füssen6 fa parte del nucleo più antico dei manoscritti atlantici, databile all’incirca tra 1060 e 1075. Prodotte sicuramente in due centri diversi tra l’ottavo e il nono decennio dell’xi secolo sono le bibbie Barb. lat. 587, proveniente dalla chiesa di Santa Cecilia in Trastevere7, e Vat. lat. 10405, dalla cattedrale di San Fortunato di Todi8. Più avanzata cronologicamente, dei primi

174

II. Area occidentale – Età ottoniana

anni del 1100, è la Bibbia del Pantheon, Vat. lat. 129589. La complessità del programma illustrativo fa della Bibbia del Pantheon un unicum nel gruppo, il punto di arrivo di una tipologia libraria che, mutata la forte spinta iniziale, a Roma finisce col banalizzarsi nelle repliche abbreviate e “provinciali” a ridosso o a seguito immediato della pandetta di Santa Maria Rotonda e nella standardizzazione spinta fino alla monotonia di un gruppo consistente di esemplari, quasi tutti aniconici, eseguiti entro il primo trentennio del xii secolo, tra i quali la Bibbia di San Crisogono, Vat. lat. 4220-422110. Le note di possesso e di donazione delle bibbie atlantiche di prima e di seconda generazione permettono di ricostruire il volume delle esportazioni e il peso politico dei donatori. In un clima non ancora esacerbato dall’aperta ostilità tra Gregorio vii ed Enrico iv, già pochi anni dopo il loro allestimento molte bibbie atlantiche valicarono infatti le Alpi al seguito di personaggi legati all’ambiente imperiale, impegnati nella riqualificazione morale e liturgica del clero transalpino: il vescovo Gebhardt di Salisburgo (donatore della Bibbia di Admont, asb, C-D11), il vescovo di Ginevra Federico (donatore della Bibbia di Ginevra, bpu, Lat. 112), il vescovo Ermenfried di Sion (donatore della Bibbia di Sion, acs, 1513). Lo stesso Enrico iv nel 1074 offrì al monastero di Sant’Aurelio di Hirsau la Bibbia di Monaco, siglata quasi pagina per pagina dal nome del futuro imperatore, «Heinricus rex» (bsb, Clm 1300114). In Italia non mancarono committenze forti, tutte incardinate nel sistema dei “poli” della Riforma: a Matilde di Canossa pare quasi certamente da collegare la Bibbia atlantica del monastero di San Benedetto in Polirone15, mentre emerge con sempre maggiore evidenza il ruolo di mediazione svolto da Lucca e dai suoi vescovi nel passaggio della tipologia atlantica da Roma alla Toscana16. Più a sud, se resta ipotetico il coinvolgimento diretto di Desiderio di Montecassino nella produzione della Bibbia appartenuta alla chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, di cui l’abate fu titolare, e di quella ancor oggi conservata nell’Archivio dell’Abbazia, (aam, Casin. 515)17 è invece ben documentata la storia delle acquisizioni librarie, del tutto eccezionali per qualità e quantità, del vescovo di Troia Guglielmo ii (1107-1142). Questi, tra il 1108 e il 1137, donò alla cattedrale pugliese con cadenza annuale, nell’anniversario della nomina episcopale, ventinove manoscritti, tra cui, nel 1113, la Bibbia atlantica romana in due volumi oggi a Napoli, bnn, xv.aa.1-218. Nelle sofisticate tecniche messe a punto per creare i libriguida della cristianità riformata, un ruolo centrale ebbe la realizzazione degli apparati decorativi (iniziali, pagine decorate e pagine illustrate) e la soluzione dei complessi pro-

84

85

86

87

89 90

88

91-92

blemi legati alla traduzione visiva del testo e della funzione “militante” a esso attribuita, oltre che alle esigenze della ricezione e alle possibilità di una riproduzione quasi seriale19 . Tra le lettere decorate spiccano per il loro gigantismo quelle che in tutte le bibbie atlantiche distinguono l’incipit dell’epistola dedicatoria di Girolamo (la F di «Frater Ambrosius») e della Genesi (la I di «In principio»: Vat. lat. 4220, f. 5r). Le altre iniziali evidenziano i libri biblici con un effetto di vera e propria “punteggiatura” artistica. Insieme alle scritture d’apparato esse compongono una “grammatica della leggibilità”, funzionale alla chiara distinzione delle partizioni testuali. Le lettere presentano fondamentalmente le due tipologie dello stile geometrico20: hollow shaft o a “barra vuota” (corpo diviso in scomparti riempiti da motivi ornamentali a intreccio o vegetali) e full shaft o a “barra piena” (costruite da due nastri di colori differenti affiancati, cui si avvolgono racemi, Vat. lat. 10405, f. 266r). Più rare, specie nei testimoni antichi, sono le lettere che ospitano al loro interno figure e storie, come pure le zoomorfe o figurate, in cui il segno alfabetico è in parte o integralmente costruito da animali o da personaggi (Barb. lat. 587, f. 272r). L’alto livello di standardizzazione è confermato dalla presenza delle pagine incipitarie, in genere sul recto del primo foglio, contenenti il titolo del prologo geronimiano con o senza cornice, e delle tavole dei Canoni che precedono i Vangeli, disposte su quattro pagine entro arcate architettoniche (Vat. lat. 4221, f. 108r). L’uniformità quasi statutaria delle bibbie atlantiche di prima generazione si rivela però una crosta assai sottile quando si comparano i corredi illustrativi: essi infatti presentano significative differenze che riguardano il piano di distribuzione complessivo – poiché non tutti i libri sono illustrati e alcuni lo sono solo sporadicamente – le tipologie e la scelta dei soggetti. È costante la soluzione della piena pagina per le scene della Genesi, disposte in composizioni unitarie (Pal. lat. 3, f. 5r) oppure in registri (Vat. lat. 12958, f. 4v); per l’introduzione ai Vangeli, con la Maiestas Domini circondata dai simboli degli evangelisti (Pal. lat. 5, f. 48v); per l’inizio degli Atti, illustrati nella Bibbia di Todi (Vat. lat. 10405, f. 251r) da un’Ascensione contaminata con la Missione degli Apostoli. Solo nella Bibbia del Pantheon si aggiunge un frontespizio anche al libro di Giosuè (Vat. lat. 12958, f. 60v). Tutti gli altri libri biblici sono indifferentemente accompagnati da scene o da figure isolate inserite nella colonna di scrittura (Pal. lat. 3, f. 35r; Barb. lat. 587, f. 370v) e ancorate alla pagina dalle lettere dell’incipit fino a “en-

trare” nelle iniziali. Se si eccettuano i frontespizi, in cui il contenuto globale del libro è anticipato e riassunto visivamente da tavole polisceniche, o da “icone” legate al significato simbolico e liturgico – la Maestà di Dio per i Vangeli, l’Ascensione per gli Atti degli Apostoli, che erano letti proprio in occasione di quella festività –, il legame fisico con il testo scritto è assai stretto. Le immagini, impaginate sempre prima del prologo nella Palatina per poi spostarsi all’inizio del testo vero e proprio nella Bibbia di Santa Cecilia, illustrano in genere i primi eventi narrati nel libro, in modo che il riscontro visivo sia immediato. Per quanto riguarda le singole iconografie, persino le storie della Creazione, che possono considerarsi un vero e proprio “marchio di fabbrica” delle bibbie atlantiche, mostrano notevoli discrepanze: l’unico soggetto presente in tutti gli esemplari è quello iniziale, che riassume in un’unica composizione i primi tre capitoli della Genesi, aggregando simboli ed elementi che alludono all’opera dei primi sei giorni: l’arco del firmamento da cui si affaccia il busto del Creatore imberbe, la luce e le tenebre personificate da un uomo e una donna racchiusi in mandorle o dall’angelo azzurro e dall’angelo rosso, il sole e la luna antropomorfizzati o resi da due semplici sfere, la linea della terra e quella dell’acqua. Solo la Bibbia di Santa Cecilia aggiunge la colomba dello Spirito Santo che plana sulle acque popolate di pesci, mentre le rive alberate sono animate da uccelli e da animali terrestri, alludenti al terzo, al quinto e al sesto giorno della Creazione. Il racconto di Adamo ed Eva, epitomato nella Palatina con l’immagine dei progenitori nudi al cospetto di Dio benedicente (Gen 1,27-28), si articola nelle altre bibbie con episodi che illustrano Gen 2,7 (il Creatore alita nelle narici di Adamo il soffio vitale), 2,21 (creazione di Eva dalla costola di Adamo addormentato), 3,6 (il peccato originale), 3,819 (dopo il peccato i progenitori si nascondono tra gli alberi, il Signore li rimprovera, Eva accusa il serpente, i due sono condannati), 3,20-24 (Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso e costretti a lavorare). Soltanto la Bibbia di Santa Cecilia conclude la storia con i Sacrifici di Caino e Abele (Gen 4,3-5). Anche per la serie di figure più apparentemente omogenee, quelle che introducono con il ritratto degli autori i Libri dei Profeti, in mancanza di formule fisse, assenti del resto sia nel repertorio paleocristiano che bizantino, gli artisti hanno adottato una pluralità di opzioni, raffigurando lo stesso personaggio imberbe o barbuto, con cartiglio o con libro, in piedi o seduto, isolato o coinvolto in una storia, sopra o dentro l’iniziale decorata. Quando nacque l’esigenza di associare alla nuova edizione della Vulgata un ciclo figurativo, i miniatori, o meglio i concepteurs, dovet-

175


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

84. Iniziale decorata della Genesi (In), Bibbia di San Crisogono (Vat. lat. 4220, f. 5r).

88

tero ricorrere a modelli eterogenei, esattamente come era accaduto per il testo. Questo fu messo insieme consultando fonti variabili a seconda dei libri o anche differenti per uno stesso libro, antigrafi spesso costituiti da unità testuali indipendenti più che da bibbie complete, come sembra dedursi dalla struttura modulare delle pandette romane. La trascrizione nelle atlantiche è infatti articolata in blocchi di fascicoli, corrispondenti a unità testuali ricorrenti (libri singoli come i Salmi e Giobbe, o insiemi di libri come l’Ottateuco, i Profeti, i Vangeli), con presenza quasi costante di cesure o snodi tra Antico e Nuovo Testamento e alla fine della sequenza dei Profeti21. Più che incidere sull’esecuzione materiale – poiché le varie équipes di miniatori all’opera simultaneamente nello stesso manoscritto e/o in manoscritti diversi si distribuirono il lavoro non tanto su base fascicolare ma per specializzazione “gerarchica”22 – la modularità condizionò la formazione policiclica dell’iconografia. Le gallerie dei profeti hanno una lunga storia nell’arte libraria orientale, dove a partire dall’età tardoantica essi sono non solo rappresentati come testimoni del Nuovo Testamento, ma anche in quanto autori. A Roma si conoscevano e si imitavano le miniature dei Libri dei Profeti maggiori e minori bizantini del x secolo, a quanto si deduce dal manoscritto Arch. Cap. S. Pietro C 92, vergato in romanesca da Belizo «sacer indignus» nello scriptorium della basilica di San Pietro al tempo di Gregorio vii, intorno al 108323; i ritratti a piena pagina che corredano il manoscritto presentano significativi punti di tangenza con le bibbie atlantiche. Iniziali figurate con gli apostoli Pietro, Giacomo e Giuda segnano l’incipit delle rispettive Epistole nella Bibbia della Biblioteca Vallicelliana (bv, B.25/2, ff. 51r, 46r, 64v), scritta agli inizi del ix secolo dal diacono Gioveniano per San Lorenzo in Damaso24. Nello stesso codice la miniatura a piena pagina dell’Ascensione, oggi a f. 1v, si trovava in origine a fronte degli Atti, come nella Bibbia di Todi (f. 251r); e come nel testimone più tardo, anche nel manoscritto romano di età carolingia la scena è unita alla Missio apostolorum. Le biblioteche dell’Urbe custodivano depositi librari notevoli per quantità e qualità, perfettamente in grado di ispirare la formazione policiclica della nuova illustrazione biblica, sia per le singole iconografie che per le tipologie decorative. A San Paolo fuori le mura si conservava la celebre Bibbia sontuosamente miniata a Reims nell’870-875 ricalcando precedenti turoniani, giunta in città all’epoca dell’incoronazione imperiale di Carlo il Calvo. La Bibbia fu materialmente coinvolta nelle vicende storiche e politiche dell’età gregoriana (vi è registrato il giuramento di

176

fedeltà tra Roberto il Guiscardo e Gregorio vii, del 1080) e fu sicuramente adoperata dai redattori delle atlantiche, che ne inglobarono alcuni paratesti25. Gli antenati turoniani rendono conto di molti elementi decorativi delle bibbie atlantiche, anche se queste ultime se ne distaccano significativamente soprattutto nelle scelte iconografiche26. A San Paolo fuori le mura – che sotto il rettorato di Ildebrando, futuro Gregorio vii, fu uno dei foyers dell’arte riformata27 – i concepteurs delle miniature atlantiche studiarono non tanto o non solo la Bibbia di Carlo il Calvo, quanto gli affreschi del tempo di papa Leone Magno (440-461), che avevano codificato il canone “romano” della Genesi28. È eloquente il confronto tra la scena della Creazione nella più antica delle atlantiche iconiche, la Palatina (Pal. lat. 3, f. 5r), e quella di San Paolo fuori le mura, nota dagli acquerelli seicenteschi di Antonio Eclissi tràditi nel Barb. lat. 4406 (f. 23r). Coincidono infatti la grandiosità dell’immagine, l’invenzione iconografica – la Creazione dell’universo in versione sintetizzata – e i singoli dettagli – il busto di Dio che si affaccia dall’arco del cielo, le mandorle rossa e blu che racchiudono le personificazioni della Luce e delle Tenebre, forse persino la colomba dello Spirito Santo, come farebbe ipotizzare la lacuna che sfigura la miniatura della Palatina. I prototipi paleocristiani valgono anche per le figure dei profeti e degli apostoli, che nelle atlantiche ripetono quasi alla lettera i gesti e l’impianto monumentale di quelli affrescati tra le finestre del cleristorio della parete sud della basilica ostiense29. Il debito contratto nei confronti dell’arte monumentale verrà ampiamente rimesso quando, a partire dalla fine dell’xi e per tutto il xii secolo, il ciclo della Genesi – insieme con le teorie vetero e neotestamentarie – migreranno, con la mediazione di libri di modelli, dalle pagine delle pandette romane alle pareti delle chiese del Lazio, dell’Umbria, della Sabina e nella stessa Roma, dove i resti di affreschi nell’Oratorio di San Sebastiano al Laterano sembrano un’esatta trasposizione dei frontespizi atlantici, con le scene della Creazione del cielo e della terra e di Adamo e di Eva arrangiate in cimase e registri30. Fu principalmente attraverso il richiamo ai cicli monumentali di Leone i – i cui scritti sul primato di Roma christiana vennero ampiamente utilizzati dal movimento riformatore31 – che, riaffermando visivamente il legame con la Chiesa apostolica delle origini e integrandolo con altri temi organici all’ideologia gregoriana, a partire dall’esaltazione dei personaggi veterotestamentari32, le bibbie atlantiche divennero tramiti potenti del rinnovamento ecclesiastico.

89

177


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

85. Iniziali decorate della iii Lettera di Giovanni e della Lettera di Giuda (Senior, Iudas), Bibbia di Todi (Vat. lat. 10405, f. 266r).

178

86. Iniziale decorata del libro di Tobia (Tobias), Bibbia di Santa Cecilia (Barb. lat. 587, f. 272r).

179


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

87. Tavola dei Canoni, Bibbia di San Crisogono (Vat. lat. 4221, f. 108r).

180

88. Ascensione, Bibbia di Todi (Vat. lat. 10405, f. 251r).

181


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

89. Storie della Genesi, Bibbia Palatina (Pal. lat. 3, f. 5r). 90. Storie della Genesi, Bibbia del Pantheon (Vat. lat. 12958, f. 4v).

182

183


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

91. Dio e Mosè, Bibbia Palatina (Pal. lat. 3, f. 35r). 92. Paolo e Timoteo, Bibbia di Santa Cecilia (Barb. lat. 587, f. 370v).

184

185


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

93. Pagina incipitaria del Capitulare Evangeliorum, Evangeliario (Vat. lat. 3741, f. 1r).

ESEMPI DI SCRITTURA BENEVENTANA Giulia Orofino

Ott. lat. 296 (Evangelistario)

94

L’Evangelistario Ott. lat. 296 è uno dei più raffinati esempi di codici liturgici in scrittura beneventana del tipo di Bari. Misura 275 x 175 mm ed è composto da 144 fogli. Contiene, nella prima parte (ff. 1r-133r), il Proprio del Tempo e il Proprio dei Santi combinati, con la successione dei brani evangelici secondo l’ordine del calendario liturgico romano, e nella seconda (ff. 133v-143r) il Comune dei Santi. Le pericopi sono introdotte da iniziali decorate, quasi tutte di tipo geometrico, divise in lacunari e scomparti occupati da intrecci su fondi scuri perlinati, con appendici vegetali e teriomorfe (cani interi imbrigliati o appesi alla lettera, protomi di leoni, rapaci, draghi, serpenti, lupi che ingoiano pesci, uccelli, nastri o uomini nudi); piccole figure di acrobati si arrampicano o siedono in bilico in cima alla lettera, o ancora la reggono in equilibrio sul naso. Quindici delle 164 iniziali fanno da supporto al simbolo dell’evangelista autore del brano corrispondente, di cui facilitano il reperimento: il toro di Luca (ff. 1r, 20r, 36r, 69v, 90v, 118v); il leone di Marco (f. 77v); l’angelo di Matteo (ff. 1v, 25v, 59r); l’aquila di Giovanni (ff. 7r, 22r, 40r, 45r), poggiata in un caso (f. 95r) su una colonna corinzia intorno al cui fusto si attorciglia un drago serpentiforme e per cinque volte chiamata a costituire da sola il ductus alfabetico (ff. 8r, 46r, 54r, 84r, 100v). L’esuberanza dei motivi e la sofisticata gamma cromatica, dai toni smorzati ma accesi dall’oro, riscatta l’obbligata ripetizione della stessa lettera, la I della formula introduttiva delle lezioni, «In illo tempore», e il virtuosismo quasi artificioso della scrittura, di modulo ingrandito e rotondeggiante. L’unica miniatura indipendente si trova nel margine inferiore (rifilato) di f. 28r dove, senza apparente rapporto col testo (Mt. 15,21-28) un guerriero imberbe, di profilo verso sinistra, infigge la spada nelle fauci di un drago riverso al suolo, stringendo nella mano sinistra il fodero dell’arma. La sintassi ornamentale è quella cassinese elaborata a Montecassino prima del rinnovamento promosso dall’abate Desiderio (1058-1087), penetrata in Puglia all’inizio dell’xi secolo, come attesta l’Omiliario di Napoli (bnn, vi.b.2), e canonizzata nei rotoli liturgici prodotti

186

a Bari entro la metà dello stesso secolo, l’Exultét 1 e il Benedizionale (Bari, Museo Diocesano). La disgregata distribuzione dei colori, diffusi sulle vesti o sui corpi degli animali come negli alveoli di uno smalto, l’intensa dolcezza dei volti dai lineamenti delicati e minuti, i panneggi manierati e scomposti, gli acrobati impegnati a scalare le iniziali, rivelano nel miniatore dell’Evangelistario anche la conoscenza diretta e aggiornata di modelli metropolitani comneni, confermando l’attribuzione del manoscritto a Bari, la cui storia politica e religiosa aveva favorito l’incontro tra cultura bizantina e cultura latina. L’alta qualità del codice presuppone l’esecuzione in uno scriptorium di primo piano, probabilmente quello dell’abbazia di San Benedetto, come sembra confermato anche dalle pericopi per le feste di san Nicola, san Benedetto e della santissima Trinità, al tempo del potente abate Elia, eletto nel 1071 (bmb, vot 296).

Vat. lat. 3741 (Evangeliario) Il manoscritto è uno dei pochissimi libri dei Vangeli in scrittura beneventana sopravvissuti, databile su base paleografica alla fine dell’xi secolo. Misura 368 x 254 mm ed è composto da 184 fogli. Destinato all’uso liturgico, come si deduce dal capitulare evangeliorum (f. 1r-14v), fu concepito come lussuoso dono: lo testimoniano la scena di dedica al f. 26r, in cui un personaggio laico accompagnato da un chierico tonsurato e nimbato offre il libro a un santo vescovo seduto davanti a una chiesa, e il sontuoso apparato ornamentale, impreziosito dall’uso dell’oro. Oltre a dodici iniziali decorate che evidenziano, con gerarchia dimensionale, le partizioni testuali (argumenta, prologhi, capitoli e incipit dei Vangeli), il codice presenta dodici pagine decorate con le tavole dei Canoni (ff. 15r-20v) disposte sotto gruppi di tre o quattro arcate non incluse, sostenute da colonne decorate nei fusti da motivi geometrici e ornate da elementi vegetali, pavoni, uccelli, cani e mascheroni cornuti, e sette miniature a piena pagina inserite, con un intervallo di tre pagine lasciate bianche, tra i materiali prefatori e l’inizio di Matteo (ff. 26v-29r): la scena di dedica, i ritratti dei quattro evangelisti e – affrontati sul verso e sul recto di due fogli – Cristo benedicente con il libro aperto sulle ginocchia, seduto entro una mandorla, e la Vergine Nicopeia col Bambino, in trono davanti a un tempio e adorata da quattro angeli, due ai lati, due ai piedi di Maria Regina Angelorum.

93 95

Gli evangelisti sono raffigurati in atto di scrivere, seduti davanti ai loro scranni piazzati su sfondi di città murate, viste in prospettiva dall’alto, vuote o popolate di edifici dalle cortine murarie a scacchiera; all’interno delle mura appaiono l’angelo, il leone, il toro e l’aquila reggenti cartigli che riportano integralmente o in parte gli incipit vergati sui libri o sui rotoli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Davanti a quest’ultimo un giovane vescovo seguito da un diacono è rappresentato, con proporzioni decisamente minori rispetto all’evangelista, in atto di uscire da una chiesa. Le iniziali decorate sono riconducibili per vocabolario ornamentale e tipologie (geometriche o nastrifomi/ vegetali, animate da teste zoomorfe e da cani rampanti e in tre casi dalla protome leonina marciana, da quella taurina di Luca e dall’aquila intera di Giovanni, ff. 71r, 102r, 150v) ai modi tradizionali beneventano-cassinesi, senza tracce del rinnovamento operato nello scriptorium di Montecassino in età desideriana (1058-1087). Non trova invece probanti confronti nell’arte libraria campana o laziale precedente e contemporanea lo stile illustrativo, in cui l’impianto monumentale e saldamente plastico delle figure si coniuga a un acceso cromatismo. L’alta qualità delle miniature lascia intuire la conoscenza di prototipi autorevoli, che alcune particolarità soprattutto nell’iconografia degli evangelisti (le gambe accavallate di Matteo; Marco che intinge il calamo; gli sfondi architettonici) sembrano ricondurre al mondo carolingio, con la probabile mediazione di aggiornati modelli ottoniani, forse della scuola di Colonia. Resta sconosciuto il centro scrittorio nel quale fu prodotto il manoscritto, che almeno dalla fine del xii secolo si conservava ad Alatri: il verso della carta finale originariamente bianca (f. 184v) reca infatti un inventario dei beni di Ogerio, suddiacono della cattedrale cittadina intitolata a san Paolo1.

187


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

94. Iniziale decorata (In) della Passione secondo Matteo, Evangelistario (Ott. lat. 296, f. 59r). 95. Scena di dedica, Evangeliario (Vat. lat. 3741, f. 26r).

188

189


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

96. Luca evangelista, Vangeli della Terrasanta (Vat. lat. 5974, f. 62v).

DUE VANGELI FRA TERRASANTA E SICILIA Valentino Pace

Vat. lat. 42 (Vangeli di Monreale) 97

98

Il codice presenta quattro iniziali monumentali su colonna all’inizio dei rispettivi testi evangelici, ai ff. 9r, 39r, 61r e 92r. Per la forma astata delle loro lettere sono preminenti, sull’intera colonna, la P (Principium) di Marco e la I (Incipit) di Giovanni, mentre la L (Liber) di Matteo e la Q (Quoniam) ne occupano poco meno della metà. Caratterizzanti la struttura di queste iniziali, improntate a un disegno e a una cromia di chiara leggibilità, sono gli intrecci delle aste a geometrie variabili, con linee spezzate o flesse, che talora sagomano archi (in particolare al f. 9r ricordano il disegno degli ornati islamici). Negli spazi interni della P e della Q e nello spazio triangolare di raccordo della L si svolgono racemi, ora verdi (L) ora blu (P) ora splendidamente policromi (Q), con rigogliose infiorescenze, presenti anche nel corpo della stessa lettera entro rotae. I racemi, come l’asta della I di Giovanni, sono campiti su fondo oro; una sottile linea d’oro rifila ogni lettera, là dove affianca un colore coprente, e l’oro disegna o accompagna alcune rabescature collaterali, oppure ghirigori e racemi posizionati negli spazi interni delle lettere minori (per prephationes, argumenta, capitula), il cui corpo è tappezzato da fogliette multicolori, con esiti di straordinaria eleganza e di particolare bellezza al f. 6r (M). La sola P di Marco presenta inserti figurati in tre clipei: un santo cavaliere che trafigge un drago, due uomini con veste corta avvinghiati nella lotta e il simbolo leonino di Marco con la zampa poggiata sul libro. Una scimmia dal volto umano, prona sui suoi arti, chiude in basso l’asta, mentre un bellissimo muso di canide, dalle orecchie aguzze, apre le fauci da cui escono i racemi, entro i quali si annidano dei volatili e compare un arciere che trafigge un leone. Già di proprietà del Duomo di Monreale (f. 1r), è fortemente plausibile che il codice sia stato miniato nello scrittorio della cattedrale stessa1. L’inerenza al contesto artistico dei mosaici monrealesi, o comunque insulari, è indiscutibile per la comune ascendenza bizantina (qui nelle infiorescenze vegetali e nelle rabescature dorate), per la somiglianza dei suoi ornati con le tarsie marmoree e con gli ornati “islamici” degli arredi. Per la sua qualità e per l’ostentata lussuosità è verosimile, in relazione alle vicende della cattedrale, una sua realizzazione nell’ulti-

190

mo ventennio del xii secolo. L’apparato figurativo delle iniziali non ne rivela tuttavia alcun aggancio preciso, anche se la presenza del santo cavaliere legittima qualche curiosità in proposito. Per quanto sappiamo dell’attività miniatoria nell’isola fra età normanna e protosveva2, questo codice si apparenta con manoscritti miniati conservati a Messina, Firenze e Madrid, pur se non tutti strettamente coevi, come spesso creduto.

Vat. lat. 5974 (Vangeli della Terrasanta) È un manoscritto riccamente ed elegantemente decorato. In apertura l’incipit della Prefatio geronimiana con la dedica a papa Damaso (B al f. 1r) è tutto scritto in oro su cinque linee. Al f. 3v, una miniatura a piena pagina presenta i quattro evangelisti in movimento verso destra con il libro in mano. Sul recto del foglio seguente e fino al f. 8r le tavole dei Canoni, le prime quattro sovrastate da belle immagini dei simboli degli evangelisti; i capitelli e le basi delle loro arcate alternano alle forme vegetali l’inusuale e sorprendente presenza di figurette maschili, prevalentemente nude, anche se asessuate, in pose elastiche e chiastiche. Le immagini degli evangelisti ritornano nelle tabelle miniate cui si appaiano le lettere iniziali dei loro testi, ai ff. 10v, 41r, 62v e 94v. Indiscutibilmente è Luca che ha il maggiore risalto visuale, sia per la grandezza della tabella miniata, sia per la preziosità decorativa delle letterine del suo testo iniziale sia, soprattutto, per la scrittura vergata in oro sull’intera pagina. Iniziali decorate evidenziano gli incipit: nel Vangelo di Matteo, l’Argumentum (f. 8v) e i Capitula (f. 9r); nel Vangelo di Marco il Prologus (una M, tuttavia “impertinente” al testo, al f. 39v) e i Capitula (f. 40r); nel Vangelo di Luca il Prologus (f. 60v), i Capitula (f. 61r), l’Argumentum (f. 62r); nel Vangelo di Giovanni, infine, il Prologus (f. 93r) e i Capitula (f. 93v). Centinaia di letterine, policrome e dorate, con forme geometriche, vegetali e con sporadici inserti di piccole teste ferine, costellano l’intero manoscritto. Con l’eccezione della vegetazione disegnata in riserva su fondo carminio della M al f. 39v e della “pancia” della Q al f. 62r, tutte le altre iniziali sono policrome con uso dell’oro sia nel disegno che sul fondo. Dominante nelle iniziali maggiori è la decorazione a sottili racemi vegetali sul fondo d’oro, che occupa a tappeto le aste delle lettere, gli spazi delimitati dal loro “corpo” come pure le campiture esterne di raccordo. Fra i girali si muovono quadrupedi o volatili e qualche figuretta maschile.

96

Al seguito degli studi di Hugo Buchthal3 (1957), il manoscritto è oggi unanimemente considerato originario della Terrasanta, eseguito in uno scriptorium di Gerusalemme nella seconda metà del xii secolo. Di probabile provenienza dallo stesso è il codice dei Vangeli della bnf, Lat. 276. Il modello del f. 3v del Vat. lat. 5974 è indiscutibilmente il Vat. gr. 756, di xi secolo costantinopolitano, rispetto al quale non ha mantenuto il coerente rapporto fra gli evangelisti e l’immagine del Signore sul recto del foglio seguente. Significative anche le varianti dei volti che, pur fisiono-

micamente simili al modello, ne perdono tuttavia l’intensa espressione spirituale (soprattutto Marco e Luca) mentre le loro vesti assumono una diversità di colori che riflette esiti della pittura occidentale “romanica”. Ugualmente avviene per i capitelli con figure umane sulle arcate dei canoni che rivelano memoria e adattamento a modelli di scultura anch’essa “romanica”. Il codice è dunque esemplare testimonianza dell’incontro e della “modifica” dei modelli della cultura d’immagine del cristianesimo bizantino da parte della committenza latina in Terrasanta.

191


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Età ottoniana

97. Incipit del Vangelo secondo Marco, Vangeli di Monreale (Vat. lat. 42, f. 39r).

192

98. Incipit del testo introduttivo al Vangelo secondo Matteo, Vangeli di Monreale (Vat. lat. 42, f. 6r).

193


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

AREA OCCIDENTALE EPOCA GOTICA (XIII-XIV SEC.)

BIBBIE IN FRANCIA TRA XIII E XIV SECOLO Margaret Alison Stones Nel Duecento, in Francia, i codici della Bibbia assunsero una varietà di forme, dimensioni e contenuti, concepiti innanzitutto per rispondere alle esigenze di un pubblico di religiosi monastici e secolari, scolari e maestri, e infine laici1. La copia e l’illustrazione della Bibbia erano ampiamente diffuse in Francia e le collezioni vaticane offrono testimonianza di questa produzione, nel Nord, a Parigi e nel Sud. Il patrimonio librario vaticano include esempi delle tre maggiori tipologie della Bibbia diffuse nel xiii secolo: la Bibbia glossata in più volumi, il testo biblico accompagnato dai prologhi, in uno o due volumi, e la Bibbia in francese. Il Duecento registra una serie di innovazioni per quel che riguarda il testo della Bibbia latina e i suoi commentari: nuovi prologhi per Ecclesiaste, Amos, Maccabei, Matteo e Apocalisse; liste alfabetiche di nomi ebraici inizianti con le parole «Aaz apprehendens»; e infine lo standardizzarsi dell’ordine dei libri2. Tutto questo attesta un rinnovato interesse per la comprensione della parola sacra e per la diffusione di tale esegesi fra un pubblico più ampio. In tale contesto, le immagini che accompagnano la maggior parte delle bibbie aggiungono un’ulteriore dimensione di interpretazione e spiegazione al testo3.

Le bibbie glossate Le bibbie glossate del xiii secolo continuano la pratica dei commenti al testo biblico, iniziata negli anni Quaranta dell’xi secolo e messa a punto da Anselmo di Laon (morto nel 1117), suo fratello Rodolfo, e dai suoi discepoli, fra i quali Gilberto Porretano, Pietro Cantore, Pietro Comestore, Zaccaria di Besançon, Pietro Lombardo e Stephen Langton. Manoscritti glossati furono prodotti dapprima nei monasteri settentrionali di Saint-Amand (Benedettini) e Clairvaux (Cistercensi), quindi presso le scuole delle cattedrali di Laon, Poitiers, Chartres e infine di Parigi4. Negli anni Venti del xiii secolo, i Frati predicatori giunsero a Parigi e lasciarono in eredità dei commentari al testo biblico: i Domenicani Ugo di Saint-Cher, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino; e i Francescani Alessandro di Hales, Bonaventura, Giovanni di Galles

194

e Giovanni Pecham. Fra gli studiosi è ancora aperto il dibattito su quale sia l’erudito responsabile delle varie glosse, dal momento che gli autori raramente esplicitavano il proprio nome e i commentatori più tardi attingevano spesso ai loro predecessori, mentre anche altre personalità meno note sono state coinvolte nella questione5. Solo per i Salmi, Morard ha identificato più di settanta differenti commentari6. Una panoramica sugli studi in corso può essere reperita nei contributi di Bataillon, Dahan, Lobrichon, Evans e Zier7. Edizioni di parti della Glossa Ordinaria sono in corso di pubblicazione nel Corpus christianorum continuatio medievalis8. Nei codici glossati il testo biblico è circondato da due strette cornici di commentario, il tutto accuratamente disposto nella pagina rigata a mina di piombo. Ampi margini venivano lasciati per ospitare correzioni e ulteriori annotazioni. I legami fra pagina e pagina sono spesso segnalati da simboli noti come “segni di richiamo”, che permettevano di concatenare le colonne delle glosse da una pagina all’altra. Altri segni mettono in evidenza passaggi testuali o note di particolare interesse, e i loro indicatori potevano prendere la forma di maniculae (piccole mani con un dito teso che punta il testo), teste umane o semplici linee a margine9. Titoli correnti nei margini superiori permettevano al lettore di capire subito a quale libro biblico appartenesse ciascuna doppia pagina di apertura. L’abbellimento delle pagine consiste in iniziali decorate e in iniziali minori in rosso o in blu con motivi filigranati a penna nel colore opposto: blu per un’iniziale rossa e rossi per un’iniziale blu. Nastri di bordi filigranati spesso scendono fino al margine inferiore e aggiungono elementi decorativi agli spazi bianchi. La decorazione a penna era generalmente impiegata nelle iniziali delle glosse. Iniziali composte da volute di fogliame rappresentano un ulteriore livello della decorazione, di norma riservato agli incipit dei prologhi, mentre le iniziali istoriate contenenti figure o scene narrative, gerarchicamente la decorazione più importante, sono usate principalmente per contraddistinguere gli incipit dei libri della Bibbia. Una Bibbia glossata completa poteva occupare tra gli undici e i venti volumi, e la Vaticana conserva numerosi volumi appartenenti a una stessa serie, mentre altri sono sopravvissuti solo come singoli volumi. Il Vat. lat. 139 è una copia glossata delle Epistole paoline prodotta probabilmente in una delle scuole cattedrali prima del 1200. Forse faceva parte di una serie di codici glossati che contenevano il testo biblico nella sua interezza,

99

164

ma oggi appare come un sopravvissuto isolato. Esso è piuttosto piccolo (280 mm di altezza) rispetto alla norma del xiii secolo, quando la maggior parte dei volumi glossati misurava oltre 400 mm in altezza. Le iniziali per le prime due Epistole contengono raffigurazioni di san Paolo: a mezzo busto, inscritto nella pancia della P iniziale nel caso della Lettera ai Romani; in piedi, con il corpo che va a costituire l’asta verticale dell’iniziale, in atto di afferrare la parte circolare costituita da un dragone che gli morde il braccio, per le Lettere ai Corinzi (f. 40v). Le altre iniziali sono realizzate con motivi geometrici o fogliati, talvolta con inserzione di animali e uccelli. Altre figure umane sono quelle dei due giovani nudi fra le volute dei tralci vegetali per le Lettere ai Tessalonicesi, e una figura giovanile vestita, seduta su un trono imbottito e che stringe nella mano sinistra un libro indicandolo con la sua destra, per la Lettera a Timoteo (f. 138r). Le iniziali che aprono il testo occupano la maggior parte della pagina, mentre le piccole iniziali dei prologhi sono decorate con motivi a palmette in inchiostro. Si tratta di una decorazione modesta a confronto di quella dei grandi codici del xii secolo. Più vicina al 1200 è la Bibbia glossata Vat. lat. 113 (352 mm di altezza). Le sue iniziali maggiori contengono tralci di foglie e fiori simili a orchidee, fra i quali spesso si annidano uccelli bianchi e piccoli cani/leoni anch’essi bianchi. Questo repertorio decorativo è assai prossimo a quello della cosiddetta “Scuola di miniatura di Pontigny”, alla quale appartengono i libri posseduti da Thomas Becket e dalla sua cerchia10. In due iniziali del Vat. lat. 113 sono inscritte figure nude in pose contorte, una delle quali cavalca e attacca un enorme uccello (f. 115v.); altre due iniziali sono abitate dai ritratti di profeti che stringono un rotolo di pergamena o un libro, simboli della loro autorità. La presenza di panneggio a pieghe bagnate (damp fold) e la predominanza di pieghe incavate (Muldenfalten) nei drappeggi di queste figure (f. 89v), associate con il motivo del cane/leone e i fiori simili alle orchidee, assegnano questo codice alla produzione del tardo xii-xiii secolo. Ross. 613 e 616 (472 e 474 mm di altezza) sono due volumi di una elegante Bibbia glossata in più volumi degli inizi del xiii secolo, realizzata probabilmente a Parigi, vergata in una scrittura libraria formale di grande modulo, con la glossa ordinaria di Stephen Langton, in una scrittura più piccola, ai due lati, e la glossa di Anselmo di Laon, in una scrittura ancora più minuta, aggiunta in interlinea11. I testi contenuti sono: Re i-iv e

Paralipomeni nel Ross. 613 e Atti e Apocalisse nel Ross. 616. Iniziali filigranate a penna, alcune iniziali campite (in oro su sfondo rosa e blu) e iniziali fogliacee sono utilizzate per i prologhi, mentre modeste iniziali istoriate o iniziali filigranate a penna a barra partita (una sorta di puzzle in rosso e blu) sono riservate ai libri biblici. Inusuale è la presenza in Paralipomeni i della Creazione di Adamo al posto del più comune gruppo di Ebrei che rappresentano la discendenza di Adamo (f. 213v). Il secondo volume presenta solamente un unico soggetto piuttosto generico (quattro figure in piedi) per gli Atti, mentre gli altri libri si aprono con iniziali filigranate a barra partita. L’iniziale per la Lettera di Giuda non è stata completata; una letterina-guida nello spazio che doveva accoglierla indica che essa era stata progettata ma poi tralasciata. Vat. lat. 122 è un manoscritto glossato più piccolo (358 mm di altezza) di Ross. 613 e 616 ma vergato non meno elegantemente e accuratamente, e presenta delle figure monumentali degli evangelisti accompagnati dai loro simboli, fra le quali quelle di Marco e Giovanni colpiscono in particolar modo (ff. 83v, 219r); Matteo e Luca sono protagonisti di piccole scene narrative. Due sono gli artisti responsabili per le illustrazioni del Vat. lat. 79 (445 mm di altezza), che contiene un insieme di libri dell’Antico e del Nuovo Testamento: Giobbe, Atti e Apocalisse. All’artista, fra i due, di minor livello si devono le illustrazioni di Giobbe e degli Atti, mentre assai più dotato è l’autore della figura, imponente ed elegante, di Giacomo, rappresentato con i piedi che poggiano su un drago (f. 160v). Alla fine degli Atti e della Lettera di Giuda, lo scriba ha vergato dei lunghi explicit spaziati, il primo dei due decorato con il disegno a inchiostro delle teste di un uomo e una donna che indossano un cappello nella foggia di moda alla metà del xiii secolo (f. 159v). Analoghi volti disegnati, utilizzati come indicatori testuali, appaiono nel testo del Vat. lat. 99 (435 mm di altezza), un altro codice glossato contenente da Proverbi a Ecclesiaste, e Atti e Apocalisse (f. 198r dettaglio). Le illustrazioni appartengono tutte alla stessa mano (f. 54r) e possono essere attribuite alla bottega chiamata da Branner “atelier di Wenceslas”, dal quale sono usciti anche il manoscritto rbm, 277 Y-50, un Messale per la cattedrale di Rouen realizzato tra il 1235 e il 1245, e il manoscritto di Santa Sabina, di uso liturgico domenicano, del 1254-1256 (css, senza segnatura). Scarsamente illustrato è anche il Vat. lat. 146 (465 mm di altezza), con pochissime fi195


Bibbia. Immagini e scrittura

100

gure: solamente la prima iniziale, dove Paolo stringe una croce e si rivolge agli Ebrei e ai Romani12, e la figura nuda di un suonatore di tromba, con piedi di leone, nella Lettera a Timoteo i (f. 218r). Ci sono numerose teste maschili dipinte a colori, alcune con un cappello, e una testa femminile con cappello, che sbucano dalle aste iniziali delle lettere. Il resto della decorazione è costituito da iniziali fogliacee, con un riempimento di volute vegetali associate a draghi e cani (f. 136v). Le glosse si aprono con iniziali fogliacee più piccole o iniziali filigranate a penna in rosso e in blu. Vat. lat. 119, un Vangelo glossato, è interessante per la I iniziale istoriata del Vangelo di Giovanni che mostra il santo in piedi (f. 213r). Esso presenta diverse note più tarde relative ai possessori: innanzitutto quella di un certo Johannes de Yvitus (Ywit?), canonico di «Camb.» (Cambrai?) al f. 212v; poi l’annotazione che ricorda come il codice fosse stato acquistato nel 1470 dagli eredi di Cristoforus Campanarius, mercante di Genova, da M. Stephani; infine, Urbanus de Flisco (Fieschi) fece aggiungere il suo stemma in una vistosa cornice fogliata nel margine inferiore (entrambe al f. 1r). Forse il più interessante tra i codici del Vangelo glossati vaticani è il Vat. lat. 120 (403 mm di altezza), illustrato da tre artisti13. All’inizio è stato aggiunto un bifoglio preso da un altro codice, probabilmente un Messale, sebbene i soggetti potrebbero essere inusuali nel contesto di questa tipologia testuale, in cui normalmente il Canone della messa è preceduto da miniature a piena pagina della Crocifissione e di Cristo in Maestà. Nel Vat. lat. 120 (f. iiv), sulla sinistra, la Crocifissione e l’Incoronazione della Vergine occupano rispettivamente la parte inferiore e superiore di una grande miniatura su due registri, con i simboli degli evangelisti inseriti in medaglioni ai quattro angoli. Cristo, con la corona di spine, su una croce a campitura piatta verde, occupa, in altezza e larghezza, metà della miniatura, con gli angeli che sostengono il Sole e la Luna al di sopra e Maria e Giovanni che stringono dei libri, entrambi in atteggiamento di lutto con la testa fra le mani, accompagnati sulla sinistra (cioè nella posizione privilegiata alla destra di Cristo) dalla Ecclesia, una figura coronata che stringe un calice e un’asta con uno stendardo attaccato, e sulla destra dalla desolata figura della Synagoga, vestita in arancione (un colore dalla connotazione peccaminosa), che volge le spalle a Cristo e gesticola con la mano destra, appoggiando la sinistra sulla sua lancia spezzata in quattro e il cui pezzo superiore re-

196

II. Area occidentale – Epoca gotica

ca attaccato uno stendardo. Sul bordo, ai piedi della croce, Adamo sorge dalla sua tomba. L’Incoronazione della Vergine è contenuta in una mandorla arancione e verde che simboleggia il regno celeste, sostenuta da quattro angeli. Cristo poggia la sua mano sulla corona della Vergine e gli angeli fanno oscillare i turiboli. Sulla pagina a fronte (f. iiir), anche il Giudizio Universale è strutturato in due parti, ciascuna a sua volta divisa in sezioni, con quattro angeli con la tromba in medaglioni agli angoli della cornice. La metà inferiore è occupata da una mandorla blu e arancio all’interno della quale siede Abramo che tiene le anime dei beati in un fazzoletto, mentre a sinistra e a destra alcuni angeli aiutano una piccola figura nuda a entrare dentro la mandorla; sulla sinistra, un angelo guida un re, un vescovo e degli uomini, volgendo lo sguardo in basso benché essi siano in piedi su una nuvola che muove verso il cielo e l’angelo indichi verso l’alto; sulla destra un diavolo è ritto accanto alla bocca dell’inferno, guidando a sua volta un gruppo di figure: un re, un vescovo e degli uomini legati l’uno all’altro. Al di sotto, delle figure nude, un altro re, due figure con la mitria, due con la tonsura, due uomini e una sola donna, tutti risorti dai propri sepolcri. Nella metà superiore della miniatura Cristo siede in una mandorla arancio e verde e mostra le piaghe della Passione; in alto, quattro angeli portano gli strumenti della Passione di Cristo: la lancia, la corona di spine, i chiodi e la croce; in basso, la Vergine e san Giovanni evangelista intercedono, prostrati, tra due gruppi di sei apostoli. Le illustrazioni restanti sono ascrivibili ad altri due gruppi stilistici, il primo corrispondente alle decorazioni del Vangelo di Matteo e di Marco, caratterizzate dall’uso di alte figure sottili con drappeggi a pieghe incavate (Muldenfalten). Branner attribuiva queste pagine a quello che aveva definito “gruppo Leber”, legato allo stile delle bibbie moralizzate di Toledo e Oxford/ Parigi/Londra, realizzate nel secondo quarto del xiii secolo. Il terzo gruppo delle illustrazioni comprende le iniziali dei Vangeli di Luca e Giovanni, dove le figure sono piccole e le scene, piene di vita, catturano l’attenzione. Branner le assegnava a un atelier indipendente. Il programma nel suo insieme è eccezionale nel contesto delle bibbie glossate, come si può facilmente dedurre dal confronto delle iniziali con quelle descritte in precedenza. Tutte presentano un carattere innovativo, a prescindere da quale artista ne sia stato responsabile, suggerendo così che la scelta dei soggetti fosse stata pia-

nificata nel suo complesso. Al Vangelo di Matteo sono state riservate due iniziali: per il prologo «Mattheus ex iudea», dove Matteo, chiamato da Cristo, è colto in piedi mentre regge una bilancia al suo banco di cambiamonete, e l’Angelo, suo simbolo, è raffigurato in atto di scrivere sull’altra metà della M iniziale (f. 1r); e per il testo, che si apre con uno splendido albero di Jesse, con Matteo che scrive ai piedi del letto di Jesse e una schiera di quattro re, la Vergine Maria e Cristo che si innalza al di sopra di esso, con la Vergine incoronata che stringe un ramo di palma e Cristo benedicente che sorregge un rotolo, affiancato da due angeli in bianco e sette colombe sopra la sua testa. Dodici profeti fiancheggiano la Vergine e i re, ciascuno sovrastato da una colomba e con in mano un rotolo. Si tratta di un albero di Jesse eccezionalmente particolareggiato (f. 2r). Marco è rappresentato come uno scriba ispirato da Dio, e il suo testo si apre con un Trono di Grazia (Gnadenstuhl), con la Trinità in trono fra il sole e la luna, al di sopra di un leone alato che tiene con gli artigli un libro fra le zampe anteriori (f. 103r). Il prologo di Luca, «Lucas Syrus», presenta un’iniziale organizzata su due registri: sullo sfondo un monaco in nero siede a un tavolo su cavalletti su cui poggiano un libro aperto e uno chiuso, e alle sue spalle è collocata una libreria a due ripiani con due libri su ciascuno di essi; il monaco si rivolge verso un medico che siede stringendo un orinale di fronte a un gruppo di uomini e donne, fra i quali due a loro volta tengono in mano un altro orinale (f. 165r), soggetto eccezionale in questo contesto. Il prologo «Quoniam» presenta un angelo che scrive in un libro a un tavolo su cavalletti, ricevendo istruzioni da un altro angelo che si sporge da una nuvola; infine, dietro lo scriba, è collocato un piccolo bue alato, simbolo di san Luca (f. 165v). La F iniziale per il Vangelo di Luca è divisa in quattro parti, con una folla di Ebrei che fronteggiano Zaccaria, con copricapo ebraico, intento a incensare un altare, guidato da un angelo; in basso, Zaccaria scrive su delle tavolette, circondato dagli Ebrei in piedi; nella Nascita di Giovanni, una levatrice porge il bambino in fasce a Elisabetta che giace a letto (f. 166v). La I iniziale per il Vangelo di Giovanni presenta i Giorni della Creazione come per la Genesi, con un angelo che, in basso, è intento a scrivere a un tavolo su cavalletti; l’Annunciazione e la Natività sono dipinte all’interno di medaglioni separati posti a sinistra e a destra di una losanga decorata con un elaborato motivo fogliato a volute (f. 274r).

Una iscrizione più tarda (f. iiir) recita: «Hunc librum emit frater Franciscus de Pereto (nome eraso) pro anima sua et benefactorum suorum et quicumque hunc titulum deleuerit deleatur de libro viuentium», il che suggerisce che il codice fosse utilizzato in un contesto conventuale14.

Le bibbie non glossate A partire dalla metà del xiii secolo si cominciarono a produrre in gran numero delle piccole bibbie tascabili, di altezza spesso inferiore ai 200 mm, destinate allo studio e realizzate con il sistema di copia della “pecia”. L’Università di Parigi promosse la produzione di questi codici su larga scala, e ne sopravvivono esemplari nella maggior parte delle biblioteche europee15. Può risultare sorprendente il fatto che, a dispetto delle loro piccole dimensioni, così tante di queste bibbie siano state illustrate con minuscole iniziali istoriate e decorate ulteriormente con iniziali filigranate a penna. Il Vat. lat. 33 è una tipica Bibbia parigina della metà del xiii secolo destinata allo studio (226 mm di altezza), magnificamente vergata in inchiostro nero, con lettere maiuscole rialzate con tocchi di rosso, e accuratamente rivista nel testo dallo stesso scriba che ha collocato le correzioni in riquadri, contornati in rosso o in blu, posizionati nei margini. La decorazione, costituita da iniziali filigranate e bordure in rosso e blu, è di un tipo piuttosto comune. I titoli correnti sono scritti nei margini superiori all’interno di una rigatura. I prologhi parigini si aprono di norma con delle iniziali fogliacee decorate con dischetti dorati. L’iconografia segue modelli standard: i Giorni della Creazione sono contenuti in mandorle, mentre la Crocifissione è inserita in una cornice quadrata nella parte inferiore; il Cantico dei cantici è illustrato con la Ecclesia che stringe un calice, mentre l’Ecclesiaste presenta la Vergine e il Bambino, semicancellati (da baci di devozione oppure volontariamente erasi perché inappropriati rispetto al testo? Di norma, infatti, la Vergine e il Bambino è il soggetto scelto per il Cantico dei cantici mentre l’Ecclesiaste presenta l’Ecclesia) (f. 207v). Altre iniziali mostrano un soggetto semplificato: così Isaia è segato da un solo uomo, Daniele presenta solo due leoni, i profeti minori sono mostrati come figure in piedi o sedute con Dio, Jesse è raffigurato da solo senza l’usuale corteggio dei re, della Vergine e di Cristo nel suo albero. Il testo, incompleto, si chiude su Atti 13,32 «re[promisso]». È

197


Bibbia. Immagini e scrittura

stato amorevolmente annotato da possessori successivi e dotato, sotto Clemente xi (1700-1721), di una lista elegantemente vergata dei libri e dei relativi numeri di foglio. Reg. lat. 3 (solamente 180 mm di altezza) è stato attribuito da Branner alla bottega da lui denominata “Maturin atelier”, dalla casa dei padri Trinitari a Parigi, situata vicino al luogo dove venivano realizzati i libri universitari fra gli anni Quaranta e Cinquanta del xiii secolo, oggi ricordata da una targa sul muro laterale del Musée de Cluny. L’attività di questo atelier è stata ricostruita a partire da un Breviario realizzato dopo il 1247 (bnf, Lat. 1022). Nella pagina della Genesi del Reg. lat. 3, la figura in grigio di religioso prostrato in venerazione della Crocifissione, l’albero sui cui poggiano i suoi piedi e i leoni rampanti affrontati, forse anche il gallo e il leone affrontati nella parte superiore, sono tutte aggiunte realizzate in epoca più tarda (f. 4v). Non vi è alcun indizio per affermare che la figura religiosa facesse allusione al proprietario del codice (si tratta di un francescano? Il cingulum annodato non è visibile); nel xvi secolo il frate Aygulphus Lambertus, minorita di Provins (nella diocesi di Sens), appone il suo nome, e nel 1656 il libro risulta in possesso di un certo To. Moynat, decano e rettore di Courcerreyo nella diocesi di Sens. Una Bibbia in un unico volume, di dimensioni un po’ maggiori (283 mm di altezza) è il codice Ross. 15316. Di particolare interesse è l’iniziale della Genesi, preceduta da una miniatura che occupa tre quarti di una colonna di testo e che raffigura due scene dalla Tentazione e Caduta di Adamo ed Eva (Dio che li rimprovera e la Cacciata dal Paradiso), seguite da una doppia scena dell’angelo che arresta la mano di Abramo, con il montone nel cespuglio e Isacco sull’altare (f. 1v). Questa organizzazione dell’immagine richiama quella della Bibbia in francese occ, 178), realizzata nel Nord17. Il codice Ross. 153 è stato localizzato in Belgio da Corso18, ma medaglioni quadrilobati a cappi intrecciati che incorniciano i Giorni della Creazione richiamano il disegno del bnf, Lat. 20, donato alla cattedrale di Narbonne dal canonico Hugues Barrot (fl. 1347), e del codice bpl, F. Med.1, entrambi realizzati molto probabilmente a Narbona o a Tolosa19. Altri soggetti inusuali per le iniziali sono l’inclusione della Regina, moglie di Artaserse, nell’incipit di Neemia, dove entrambi ricevono in offerta un calice d’oro (f. 205v), e, nell’Ecclesiaste, di Re Salomone seduto di fronte a un

198

II. Area occidentale – Epoca gotica

disco d’oro montato su un supporto: probabilmente rappresenta una sfera armillare, suggerendo così la conoscenza, da parte dell’artista o del disegnatore, degli strumenti scientifici (f. 285r). Urb. lat 7 è una Bibbia in volume unico di dimensioni maggiori (368 mm di altezza), anch’essa della metà del xiii secolo, elegantemente vergata e corretta con estrema cura. Le iniziali istoriate fanno un uso generoso dell’oro. Numerosi schizzi marginali e lettere capitali a mina di piombo indicano che il miniatore ha avuto bisogno di indicazioni: ha inoltre commesso un errore scegliendo la lettera M al posto della S nel prologo a Giona, che inizia con «Sanctum Ionam» (f. 310r). Se le iniziali per il Pentateuco sono ripetitive e le illustrazioni per i Profeti minori sono estremamente piccole, altri aspetti dell’iconografia sono inusuali, in particolare: Rut raffigurata in atto di stringere un fascio di grano e collocata all’interno di una cornice architettonica in cima alla quale un uomo e una donna si sporgono a guardare da un’apertura; Ester in piedi al di fuori della cornice dell’iniziale mentre riceve lo scettro dal re Assuero; nel Salmo 68, nel quale Dio, che benedice re Davide nelle acque, è affiancato dal Sole e dalla Luna, Amos, con le sue pecore, è intento a cogliere dei frutti da un albero (f. 308). In iii Re, la Sulamita è assente ma è condotta di fronte al letto di Davide nell’iniziale per ii Esdra. Elaborate torri con torrette caratterizzano spesso le iniziali I, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, in cui compare un gallo in cima, mentre l’edificio poggia sulla groppa di un leone. Di particolare interesse sono le illustrazioni per le Epistole paoline20: la Conversione di Paolo, mostrato mentre cade in avanti dal suo cavallo; un exemplum di Superbia; Paolo che fugge superando le mura di Damasco in un cesto; e le scene di Plautilla per i Timoteo ed Ebrei, dove Paolo è mostrato mentre viene condotto di fronte a Nerone, gli occhi bendati con il velo datogli da Plautilla (i Timoteo, f. 394v), e Paolo che glielo restituisce (Ebrei, f. 397r). Questo inusuale episodio è derivato dalla Passio sancti Pauli Apostoli ed è rintracciabile in altre due bibbie: bfa, 3 e bmp, 15, oltre che nella finestra assiale di Chartres e nelle vetrate della cattedrale di Rouen. Eleen21 riteneva che la raffigurazione nelle bibbie derivasse dalla finestra di Chartres piuttosto che direttamente dal testo della Passio. Dal punto di vista stilistico, l’Urb. lat. 7 è un ulteriore manoscritto appartenente al gruppo di alta qualità, identificato da Branner intorno alla Bibbia domenicana in due volumi bnf, Lat. 16719-20.

101-102

I codici Vat. lat. 17 e Vat. lat. 19 sono due bibbie meridionali realizzate nell’ultimo decennio del xiii secolo e sono fra i più grandi dei codici fin qui considerati (rispettivamente 496 e 376 mm di altezza). Entrambe prestano una particolare attenzione alle illustrazioni della Genesi, introducendo, ciascuna in modo differente, innovativi motivi geometrici nell’asse verticale della I iniziale e nella bordura nel margine inferiore. Nel Vat. lat. 19 hanno lavorato due artisti, di cui il primo si caratterizza per l’uso di un giallo stannico con lumeggiature in verde con l’oro, e per il caratteristico modellato delle pieghe affilate dei drappeggi (f. 1r). Lo stile del secondo artista richiama quello dei manoscritti che ruotano intorno alla Legenda aurea del ms. Reg. lat. 534: il secondo pittore della Bibbia bmb, ms. 3 è particolarmente vicino a quest’ultimo, mentre la Bibbia bmp, ms. 29 se ne discosta un po’; nondimeno tutto questo suggerisce che il Vat. lat. 19 provenga da Tolosa22 o in alternativa da Bordeaux23. La corrosione del pigmento bianco utilizzato nei volti di Vat. lat. 19 è notevole e i colori utilizzati dal secondo artista sono piuttosto scuri (f. 154r). Inusuale è, in Vat. lat. 19, la scelta di scene dall’Infanzia e dalla Passione di Cristo per illustrare i Salmi più importanti, e il fatto suggerisce che come modello possa essere stato utilizzato un Salterio settentrionale24. Nel libro di Daniele, Abacuc che riceve uno scrigno da un angelo e Daniele nella fossa dei leoni sono entrambi compressi all’interno della stessa iniziale istoriata; Osea e Gomer lasciano posto, nel libro di Osea, al profeta che si rivolge a un gruppo di Ebrei; in Giona, la città di Ninive è rappresentata come un edificio che racchiude un tabernacolo (f. 304v); i profeti minori sono raffigurati molto semplicemente, seduti con i loro rotoli in mano, mentre Giacomo è presentato come un pellegrino in atto di calpestare un drago (f. 407v). Il Vat. lat. 19 è appartenuto, nel xvi secolo, a Ludovico de Torres, arcivescovo di Monreale (1573-1584), ai cui uffici si attribuisce l’aggiunta della tavola dei contenuti vergata su carta. Il Vat. lat. 17 è stato realizzato in uno scriptorium (Tolosa? Narbona? Barcellona?) dove un artista italiano di alto livello, probabilmente originario di Bologna, nonostante le sue qualità, fu tuttavia sottoimpiegato. Questo artista ha contribuito solo alle illustrazioni ai ff. 296v-298r (Abacuc e Sofonia), riempiendo i bordi con delle figure nude e inserendo carnose foglie d’acanto e ornamenti a voluta. L’artista francese ha lavorato invece dal f. 298v (Aggeo) fino alla fine, e dal

f. 1 al f. 295v. Ha imitato lo stile italiano nei margini del prologo «Frater» alla Genesi (f. 1r), disegnando delle volute con delle cicogne affrontate e addossate, teste che suonano trombe, ma non ha poi inserito in nessun altro punto similari italianismi. Per il resto il suo stile è assai prossimo a quello del primo artista del Vat. lat. 19 e, al pari di questi, utilizza giallo stannico con lumeggiature in verde nei drappeggi, ma i suoi colori sono molto più luminosi e brillanti e non presentano, se non in misura minima, lo sbiadimento del Vat. lat. 19. Il Vat. lat. 17 è assai innovativo nel suo modo di trattare i soggetti, offrendoci, nelle iniziali istoriate e nelle bordure, numerose figure insolite, ibridi, animali e uccelli. Al di sotto dei Giorni della Creazione, inscritti nei loro fregi quadrilobati, troviamo una bordura rettilinea sulla quale si muovono animali e ibridi, un centauro che indossa un velo annodato e un pappagallo su un albero; in fondo alla pagina, la Crocifissione con la Vergine e san Giovanni, affiancata da un compartimento distinto che contiene un Ebreo seduto, nimbato, in atto di scrivere a un tavolo tra due santi, all’interno di cornici ad arco; sul margine, degli uomini con il berretto accademico a sinistra e destra, un unicorno e un leone, addossati, una figura ibrida uomo-scimmia che stringe un cartiglio con la scritta «Je te die singe» di fronte a un cane e a un chierico ibrido (f. 3v). Notevole è anche, nel libro di Rut, la scena in cui Elimelech conduce due ragazzi e Naomi è seguita da Rut, e poi le nozze fra Rut e Boaz (f. 77v); in ii Re l’Amalachita porta a David la testa mozzata di Saul e viene ucciso (f. 90v); Ezra riceve un rotolo dal re Ciro, impartisce ordini ai muratori e colloca due recipienti d’oro su un altare sotto lo sguardo di due uomini (f. 144r). La regina moglie di Artaserse è inserita nel Libro di Neemia. Nel libro di Giuditta, la figura di Amam nel registro inferiore è stata dipinta da una mano più tarda (f. 165r). Nel Cantico dei cantici si legge una nota per il miniatore nel margine inferiore, concernente la Vergine e il Bambino che cerca di afferrare una sfera dorata nella mano della Vergine. La nota, in volgare, è di difficile lettura ma si può all’incirca distinguere: «...dona... pla con fil quell… al col ...» (f. 208v). Giona è rappresentato contemporaneamente sia mentre viene inghiottito dalla balena sia mentre viene espulso dalle sue fauci (f. 293v). Michea porge un rotolo che reca la scritta «Ave Maria gratia plena» alla Vergine a letto nella Natività, con il Bambino in una mangiatoia più in alto (f. 294v).

199


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

99. Iniziale figurata con Paolo morso da un dragone, Epistole di Paolo glossate (Vat. lat. 139, f. 40v).

Pagine seguenti: 100. Incoronazione della Vergine e Crocifissione (f. iiv) e Giudizio Universale, Vangeli glossati (Vat. lat. 120, ff. iiv-iiir).

Per il prologo di Aggeo si è fatto ricorso a una donna che indossa un cappello e stringe in mano un oggetto rotondo. In Zaccaria il profeta tende un cartiglio con su scritto «Zacharias» a Cristo in groppa a un asino rosa (f. 200v). Le Epistole paoline mostrano Paolo che interagisce con una folla: nei Romani mostra una croce agli Ebrei (f. 363v); in ii Corinzi Paolo mostra un’ostia alla folla seduta, in piedi accanto a un altare coperto da un telo con calice e una patena (f. 372v); in i Tessalonicesi, Paolo ha la visione del Cristo del Giudizio finale che siede su un arcobaleno mentre i morti si alzano dai loro sepolcri al suono delle trombe degli angeli (f. 380v); in Tessalonicesi ii, Paolo si rivolge a una folla seduta, fra cui si distingue un individuo con un falcone e il suo logoro (f. 381v). Giacomo, rappresentato come un vescovo nimbato, stringe una croce a doppia traversa e un cartiglio (f. 400v)25.

re Salomone che si rivolge a tre uomini; l’albero di Jesse, nel Vangelo di Matteo, non contempla l’immagine della Vergine Maria (benché questa sia presente nell’Ascensione contenuta negli Atti) ma è accompagnato da un bel pannello decorativo (f. 226r e v). L’epistola a Tito è preceduta da una lunga rubrica sulla lotta contro le eresie, e un poema opera dello scriba segue l’Apocalisse. I colori sono fortemente deteriorati, in particolare i bianchi. Molte delle iniziali istoriate sono accompagnate da schizzi a margine che fanno da guida al miniatore, suggerendo in tal modo che la produzione delle bibbie vernacolari non doveva rappresentare un’attività comune nel centro di produzione di questa copia. Tuttavia, il Reg. lat. 26 può comunque essere attribuito a un grande atelier che realizzava ogni genere di racconti e cicli epici in volgare illustrati29. Nel xvi secolo è appartenuto a Claude d’Urfé (1501-1558), che ha aggiunto il suo stemma su numerosi fogli illustrati (1r, 126v, 173v, 226r, 318v, 326r, 331v, 349v, 376r, 382r). Grazie al suo matrimonio nel 1532 con Jeanne de Balsac, figlia di Anne de Graville e Pierre de Balsac, questo personaggio entrò in contatto con i più insigni bibliofili dell’epoca ed egli stesso possedette una ricca biblioteca30. Per concludere, questa selezione di codici biblici copre l’intera gamma delle tipologie prodotte e utilizzate nel xiii secolo in Francia – bibbie glossate, singoli volumi latini o francesi. Alcuni dei manoscritti contengono note o schizzi che servivano da guida al miniatore. Alcuni presentano soggetti piuttosto comuni, mentre altri risultano estremamente inusuali e innovativi, permettendo di ipotizzare che committenti piuttosto perspicaci abbiano potuto avere voce in capitolo nella scelta. Benché questi codici non offrano nomi di scribi o di miniatori, la loro storia, successiva alla produzione, è talvolta nota nei dettagli, e la loro presenza nelle collezioni vaticane indica che essi sono stati utilizzati, valutati e collezionati lontano dai loro luoghi di origine. Fortunatamente, oggi, grazie alle moderne tecnologie, sono visibili e apprezzabili come mai prima attraverso il sito digi-vat.com.

Le bibbie in francese La Bibbia in francese fa la sua comparsa alla metà del xiii secolo a Parigi. La copia più antica esistente è attualmente a Evora26. Essa era in genere organizzata in due grandi volumi (circa 400 mm di altezza), ma sfortunatamente ad oggi non se ne posseggono testimoni integrali27. Il Reg. lat. 26 contiene la seconda metà di un testo biblico, dai Paralipomeni all’Apocalisse28. Prodotto parigino dei primi anni del xiv secolo, questo codice è interamente illustrato con delle iniziali istoriate influenzate dallo stile del Maître Honoré, che ricevette nel 1296 il pagamento per illustrare un Breviario per il re di Francia ed è conosciuto anche per aver venduto nel 1289 una copia del Decretum di Graziano a un certo Guillaume (il cognome è illegibile), un giurista canonico (Tours, tbm 558). Le vivaci iniziali nella Bibbia del Reg. lat. 26 includono numerosi soggetti inusuali che mostrano un atteggiamento anti-femminista: così il Cantico dei cantici mostra Cristo che benedice il modellino di una chiesa tenuto in mano, una mano velata, da un uomo (f. 21v); il Libro della Sapienza presenta il

200

201


202

203


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

101-102. Girolamo scrive nello studio e drĂ´leries marginali, Bibbia (Vat. lat. 19, f. 1r).

204

205


Bibbia. Immagini e scrittura

103. Iniziali del testo e del commentario della Genesi, Bibbia di Jean de Berry (Vat. lat. 50, f. 5v).

II. Area occidentale – Epoca gotica

Pagine seguenti: 104. Visione di Ezechiele della Gloria del Signore, Bibbia di Jean de Berry (Vat. lat. 51, f. 101r). 105-106. Iniziale con Girolamo e stemmi di Jean de Berry, Clemente vii e Jeanne de Boulogne nel bas-de-page, Bibbia di Jean de Berry (Vat. lat. 50, f. 1r).

BIBBIA DI JEAN DE BERRY PER CLEMENTE VII Vat. lat. 50 e 51 Caroline Zöhl

103

104

Questi grandi manoscritti contengono una Bibbia glossata in due volumi, dove il testo sacro è minuziosamente circondato dai commentari scritti dal francescano Niccolò di Lira tra il 1322 e il 1331. I codici sono noti innanzitutto per la loro origine, che lega il duca Jean de Berry e la moglie Jeanne de Boulogne con il loro medico Simon Aligret e l’antipapa Clemente vii. I manoscritti sono stati realizzati in tre fasi successive. La scrittura e la mise-en-page, modellate su quelle dei codici giuridici, li legano alla cultura libraria italiana, mentre la decorazione è francese. È possibile che la scrittura del testo sia stata realizzata assai prima della decorazione, da scribi bolognesi1 o, in contemporanea, da mani italiane e francesi, il che suggerirebbe un’origine avignonese2. In una seconda fase furono aggiunte delle iniziali istoriate agli incipit della Bibbia e i commentari vennero illustrati con miniature che si rifanno ai disegni originali di Niccolò di Lira. Questa decorazione fu affidata a un miniatore che era in auge fra i membri della corte francese dal 1360 alla fine del secolo ed è stato recentemente identificato con il Maestro del Policratico di Carlo vi (bnf 24287)3. All’inizio della Genesi (Vat. lat. 50, f. 5v) la I dell’incipit del commentario mostra Dio in trono, due serafini con sei ali e un’immagine della Creazione del mondo. L’iniziale del testo vero e proprio, invece, illustra la storia della salvezza attraverso un’Annunciazione dove l’angelo indica verso la Trinità e il sacrificio di Cristo sulla croce. L’iniziale del Salmo 68 (69, Salvum me fac, f. 287r) offre una trasposizione visuale del testo: «Salvami, o Dio, perché le acque sono arrivate fino al mio collo». Il re Davide, in un fiume, volge lo sguardo timidamente verso Cristo, che lo benedice dalla parte superiore della lettera. L’immagine al f. 101r del Vat. lat. 51 illustra il commentario: essa mostra la visione di Ezechiele della Gloria del Signore accompagnata dalle quattro creature viventi con le teste di un leone, un uomo, un bue e

206

un’aquila, nella teologia cristiana interpretate come simboli degli evangelisti. L’incipit «secundum hebreos» fa riferimento alle fonti ebraiche dell’esegesi di Niccolò. Nella fase finale di produzione di questa Bibbia furono infine aggiunte due immagini araldiche sulla prima carta di ciascun volume. La prima presenta le armi di Clemente vii fra quelle di Jean de Berry e di Jeanne de Boulogne. L’immagine araldica è collocata in un paesaggio idilliaco, dove un piccolo cane tiene stretto un rotolo con la scritta «alegret», indirizzandolo, apparentemente, all’antipapa. La seconda immagine rappresenta il papa con due scudi araldici tenuti da angeli e collocati al di sopra di tre scudi più piccoli per Jean de Berry e sua moglie. Il cagnolino è posizionato sotto lo stemma personale del papa. Entrambe queste aggiunte sono testimonianza di uno stile francese della pittura più evoluto, quasi naturalistico. Il miniatore è stato identificato con Jacquemart de Hesdin, al servizio di Jean de Berry già dai primi anni Ottanta del xiv secolo. L’esistenza di differenze stilistiche fra le due coppie di angeli che sorreggono gli scudi hanno spinto a sostenere che un altro artista, chiamato il Maestro della Trinità dalle Ore della Trinità nelle Petites Heures del duca di Berry (bnf, Lat. 18014), ha dipinto i più tradizionali angeli in grisaille.4 Le immagini araldiche suggeriscono di interpretare la scena come la raffigurazione di Simon Aligret che, rappresentato sotto le sembianze del cane come simbolo di fedeltà, offre il manoscritto al duca, le cui armi erano nella prima iniziale (Vat. lat. 50, f. 1r). Il duca poi appose una nota di proprietà al codice: «Ceste bible est au duc de Berry et dauvergne conte de Poitou. Jehan» (Vat. lat. 50, f. 397; Vat. lat. 51, f. 437v). Quando il duca di Berry presentò in dono il manoscritto al pontefice, tra il 1389, anno del suo secondo matrimonio, e il 1394, anno della morte del papa, fece anche aggiungere le immagini araldiche che includevano Aligret, forse come ricordo del primo dono oppure per via di un legame tra il pontefice e lo stesso Aligret, che voleva fosse rappresentato nel manoscritto5. La presenza dei due codici in Vaticana è testimoniata per la prima volta nel 1455 dall’inventario della biblioteca di papa Niccolò v. Le perdute legature avevano fermagli decorati con fleur-de-lis6.

105-106

207


Bibbia. Immagini e scrittura

208

II. Area occidentale – Epoca gotica

209


Bibbia. Immagini e scrittura

210

II. Area occidentale – Epoca gotica

211


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

107. Scene della Creazione, Bibbia avignonese (Vat. lat. 48, f. 5v).

UN’IGNOTA BIBBIA AVIGNONESE DI METÀ TRECENTO Vat. lat. 48-49 Francesca Manzari

110-111

La Bibbia Vat. lat. 48-49 (Antico e Nuovo Testamento), finora non studiata dal punto di vista storico-artistico, costituisce un’importante aggiunta al panorama della produzione miniata avignonese della metà del xiv secolo. L’opera, in due volumi (Gn-Mac e Sal-Ap) di grandi dimensioni (Vat. lat. 48: 445 x 313 mm, 324 ff.; Vat. lat. 49: 455 x 311 mm, 400 ff.), vergata su due colonne in scrittura gotica francese, presenta un corredo miniato sobrio ma consono a un esemplare di lusso, realizzato con ampio uso di oro e con una gamma cromatica estesa, composta da pigmenti preziosi. Gli incipit dei libri biblici sono segnalati da grandi iniziali istoriate, che rappresentano in modo sintetico pochi personaggi senza lasciare spazio a un’illustrazione narrativa, e sono ulteriormente messi in evidenza da cornici composte da barrette rosa e azzurre da cui si dipartono tralci di foglie di vite frequentemente arricchiti da drôleries. La localizzazione e la datazione del corredo miniato ad Avignone intorno alla metà del xiv secolo sono consentite dal riconoscimento di alcuni artisti, oltre che dalle componenti tipiche della miniatura della Francia meridionale, quali ibridi dal volto lunare, cicogne dai lunghi colli che tengono dischetti dorati nel becco, e inchiostro lilla nelle iniziali filigranate, usate anche per i titoli correnti1. Entrambi i volumi sono firmati da Natale de Villa Asperi (Vat. lat. 48, f. 323v: «Expliciunt libri machabeorum per Natalem de villa asperi scripti»; Vat lat. 49, f. 400v: «Expliciunt per manum Natali de villa asperi leonensis dyocesis»), verosimilmente un copista bretone, proveniente dalla diocesi di St-Pol-de-Léon («leonensis dyocesis»). Natale deve dunque aver fatto parte dell’ampia compagine di scribi settentrionali attivi ad Avignone per la curia e per il mercato2. Il corredo miniato è stato realizzato da un gruppo di artisti che hanno collaborato insieme, forse per rendere più rapido il lavoro. Anche tra questi compare un miniatore di cultura settentrionale, individuabile ad esempio all’incipit del Salterio (Vat. lat. 49, f. 1r) e nelle sue partizioni interne, forse da mettere in relazione con altre opere realizzate alla metà del secolo nel contesto internazionale della città papale, come un pontificale

212

conservato a Valencia (acv, ms. 119)3. Tale artista, il più elegante tra i partecipanti al progetto, realizza drôleries raffinate in cui, alle creature ibride e bizzarre, si alternano piccoli volatili dal notevole naturalismo, sebbene frequentemente i disegni preparatori da lui eseguiti siano stati poi completati da mani meno fini. Tra i diversi miniatori meridionali si possono individuare due artisti vicini a personalità già note: nell’iniziale della Genesi (Vat. lat. 48, f. 5v) si può riconoscere un miniatore prossimo al Maestro del Messale Rossell (bnu, d.i.21, ad es. f. 34r), eseguito entro il 13614. In numerosi altri incipit (Vat. lat. 48, f. 258v; Vat. lat. 49, ff. 226r, 241r) compare invece un miniatore molto vicino ad un altro artista attivo ad Avignone, Bernard de Toulouse, identificabile proprio con il calligrafo del Messale Rossell5 e al quale corrisponde un corpus piuttosto ampio di codici miniati a tempera e a penna e inchiostro tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del xiv secolo6. Al Maestro del Messale Rossell è inoltre adesso possibile attribuire anche un altro manoscritto vaticano finora sconosciuto agli studi di questo settore, il Pal. lat. 965, in cui tale miniatore collabora di nuovo con lo stesso calligrafo del Messale, identificabile appunto con Bernard7. La Bibbia Vat. lat. 48-49 non presenta elementi che permettano di fissarne la data con precisione, ma va collocata indubbiamente tra il sesto e il settimo decennio del xiv secolo e potrebbe essere uno dei primi codici in cui Bernard de Toulouse ha operato, affiancando il Maestro del Messale Rossell. Accanto a questi artisti interviene anche un altro miniatore, caratterizzato da volti tondi e dalla fronte sproporzionatamente ampia, forse modellati su prototipi bolognesi (ad es. Vat. lat. 48, f. 34; Vat. lat. 49, ff. 199v, 212v), il quale sembra aver realizzato la maggior parte del progetto illustrativo in entrambi i volumi. Uno di questi fogli, che presenta arpie dal volto lunare (Vat. lat. 49, f. 217v), permette di avvicinare questo artista all’autore di diverse miniature in un codice avignonese già noto (bnf, Lat. 5221, f. 2r)8. Forse lo stesso, o un altro miniatore più raffinato, ha eseguito iniziali con figure piuttosto monumentali, dai volti espressivi e dalle capigliature scomposte (Vat. lat. 49, ff. 219v, 235r, 236r), che potrebbero essere state modellate sugli affreschi eseguiti da Matteo Giovannetti nel Palazzo dei Papi tra gli anni Quaranta e Cinquanta del xiv secolo. Ciò conferma ulteriormente la datazione dell’opera al decennio centrale del secolo o al massimo all’inizio degli anni Sessanta.

107

La Bibbia Vat. lat. 48-49 è purtroppo priva di apparato araldico e di elementi che permettano di riconoscerne la committenza, forse da riferire a un vescovo grazie alla presenza di un pastorale nel bas-de-page dell’incipit; lo scudo sottostante, che avrebbe dovuto contenere lo stemma, è stato tuttavia riempito con una decorazione priva di significato, forse a indicare un’iniziale committenza poi venuta meno. L’opera costituisce un’importante aggiunta al corpus dei manoscritti avignonesi conosciuti, poiché la produzione di codici biblici miniati in tale ambito è testimoniata da un numero piuttosto esiguo di esemplari (ad esempio bma, 6424-6427 e le due serie bnf, mss. 61, 87, 91, 139, 255 e 59, 156) dato che il mercato del libro miniato avignonese del Trecento sembra essersi piuttosto indirizzato verso i libri liturgici e i commentari9.

Pagine seguenti: 108. Girolamo nello studio, Bibbia avignonese (Vat. lat. 48, f. 1r). 109. Profeta Aggeo, Bibbia avignonese (Vat. lat. 49, f. 234v).

213


Bibbia. Immagini e scrittura

214

II. Area occidentale – Epoca gotica

215


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

110-111. Davide come salmista nell’iniziale, Davide affronta Golia nel bas-de-page, Bibbia avignonese (Vat. lat. 49, f. 1r).

216

217


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

112. Scene della Creazione, Bibbia toscana (Pal. lat. 13, f. 4r).

LA BIBBIA IN ITALIA TRA XIII E XIV SECOLO Francesca Manzari

112

Nel xiii secolo, in Italia nord-orientale, si verifica una notevole produzione di codici biblici, spesso realizzati sul modello della Bible parisienne1, specie in Veneto, a Padova e in Emilia Romagna, in particolare a Bologna, dove numerosi esemplari sontuosamente miniati vengono commissionati anche dalle più importanti personalità della curia, come i cardinali Jean Cholet e Jacopo Stefaneschi2. Le aree dell’Italia centrale presentano invece una produzione meno significativa rispetto ai secoli precedenti, quando Lazio, Umbria e Toscana erano stati i centri di diffusione delle bibbie atlantiche3. Seppure non numerosi, gli esemplari superstiti attestano tuttavia una produzione di alto livello, come ad esempio la splendida Bibbia di cultura figurativa umbro-romana un tempo nella biblioteca del convento di Santa Croce a Firenze (bml, Plut. 5 dex. 1)4. Tra i numerosi codici biblici provenienti dal convento fiorentino è anche la celebre Bibbia glossata di Enrico de’ Cerchi, in diciassette volumi, miniati da botteghe italiane diverse (tranne due, di produzione francese) di discussa localizzazione5. L’Italia meridionale è invece tra i più importanti centri di produzione della Bibbia nel Duecento, con il celeberrimo caso delle bibbie manfrediane6. Nel Trecento si assiste a una produzione più episodica, tranne che nel noto caso delle bibbie napoletane7, mentre è del tutto isolata la Bibbia di Filippo de Haya (bct, ms. 33), la cui localizzazione costituisce un problema ancora aperto8. Altri esemplari isolati di rilievo sono la splendida Bibbia siciliana conservata a Genova (bdg, ms. b.i.11)9 e, in Italia centrale, alcune bibbie umbre10, oppure, nelle collezioni vaticane, uno straordinario codice realizzato a Teramo, in Abruzzo (Vat. lat. 10220)11. Tra le novità emerse dalle collezioni vaticane nelle ricerche effettuate per questo volume c’è un’importante Bibbia fiorentina (Pal. lat. 13, 330 x 235 mm, 453 ff.), finora sconosciuta agli studi storico-artistici e assegnabile all’ambito del Maestro Daddesco, uno dei più raffinati miniatori attivi a Firenze nel terzo quarto del xiv secolo.

218

Questo testimone, giunto precocemente a Siena, come attesta una nota di primo Quattrocento sulla seconda carta di guardia («Ista Biblia est ad usum sororum Jacobe et Agnetis Ruggerocti de Ugorogenis Monialium Sancte Petronille. Ordinis Sancte Clare»), si aggiunge alle poche bibbie dello stesso ambito finora note, come quella in tre volumi conservata a Torino (bnu, f.i.9-10-11)12 e quella in un solo volume, splendidamente miniata, conservata a Milano (btm, cod. 2139)13. Un ritrovamento di questo genere mostra come la produzione biblica in Italia nel xiv secolo, sebbene meno significativa rispetto al secolo precedente e meno ampia rispetto a quella dei libri liturgici, prosegua, e come la sua distribuzione nelle differenti aree geografiche della Penisola vada ancora ricostruita. L’illustrazione biblica nel Trecento, tuttavia, si diffonde in Italia anche attraverso testi diversi da quello di Antico e Nuovo Testamento, nelle opere di divulgazione biblica quali le Bible Picture Books come la celebre Bibbia istoriata padovana (bac, ms. 212)14, oppure attraverso testi come lo Speculum Humanae Salvationis (di cui un esemplare bolognese, ora perduto, si conservava nella cattedrale di Toledo15), ma anche nelle cronache universali, come quelle di Paolino Veneto (ad es. il Vat. lat. 1860)16, e nei testi per uso devozionale, come l’Evangelica Historia (vba, L 58 sup.)17 o le Meditationes Vitae Christi, note anche in due versioni in volgare18. In molti di questi casi, l’ampiezza dell’illustrazione narrativa induce a rinunciare alla miniatura come tecnica esecutiva a favore del disegno, più veloce ed economico, ma la destinazione di questo genere di opere alla diffusione presso un pubblico più ampio le rende affini agli strumenti librari miniati elaborati per la devozione privata nel tardo Medioevo19. I volgarizzamenti della Bibbia, infine, sono in genere poco o affatto decorati, come ad esempio un codice in volgare toscano modestamente miniato da una bottega fiorentina e non a caso combinato con il testo delle Meditazioni in volgare (Vat. lat. 7773)20; per le dimensioni e il contenuto miscellaneo il codice è confrontabile con un altro piccolo volume contenente Meditazioni in volgare (bv, A.43), che però comprende un ampio ciclo illustrativo, seppure in dimensioni minute, assegnabile all’ambito del miniatore fiorentino Pacino di Bonaguida21.

219


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

113. Adorazione dei Magi, Nuovo Testamento di Verona (Vat. lat. 39, f. 5v).

NUOVO TESTAMENTO Vat. lat. 39 Monika E. Müller

113

114

Il Nuovo Testamento Vat. lat. 39 è stato splendidamente miniato nell’area veronese nel Duecento. Da altri manoscritti della regione, come il Chigi A. iv. 74, si può supporre che, nel xiii secolo, la produzione di codici del Nuovo Testamento illustrati a uso privato sia stata abbastanza diffusa in Italia, contrariamente a quanto succedeva nei Paesi oltremontani1. L’apparato illustrativo del manoscritto è sontuoso e ricco di costosi materiali, come l’oro in foglia, già a partire dai Vangeli e dagli Atti (ff. 4r-106r), e comprende cinque miniature a pagina intera con enfasi sull’incarnazione e sull’adempimento della promessa cristiana, quarantaquattro miniature di mezza pagina sulla vita di Cristo e quattordici illustrazioni di un quarto di pagina. La decorazione dell’Apocalisse appare ancora più sfarzosa rispetto quella delle sezioni precedenti. Insieme ad altri codici contenenti l’Apocalisse (ad esempio quello di Treviri e il gruppo anglo-francese2), la decorazione dell’ultimo libro del Nuovo Testamento in questo manoscritto appartiene ai cicli più riccamente miniati dell’epoca: ventisette su ventinove pagine sono costellate da illustrazioni disposte ai margini o tra le colonne del testo. Nonostante il diverso rapporto fra testo e immagine nelle varie parti del codice, l’aspetto generale appare omogeneo. Secondo una raffinata strategia illustrativa, che nell’Apocalisse oscilla fra una maggiore o minore densità di motivi iconografici rispetto al testo, può risultare una maggiore enfasi su certi temi, come ad esempio nel capitolo 12, che è accompagnato da ben sei scene singole, fra cui la donna vestita di sole che corrisponde al tipo iconografico della Theotokos. Questa rappresentazione della Madonna, col busto del figlio ritratto in un clipeo posto all’altezza del suo ventre, offre un’interpre-

220

tazione mariana del passo (f. 163r)3. Inoltre, la Resurrezione dei morti e la punizione dei dannati (f. 168v) è rappresentata con quattro scene che sembrano derivare da un’illustrazione bizantina del Giudizio Universale (si veda ad esempio il mosaico del duomo di Torcello). Il manoscritto ha sollecitato l’attenzione degli studiosi per quanto riguarda la datazione, la collocazione geografica e la posizione nella tradizione illustrativa dei cicli apocalittici. Pace ed Eleen4 hanno dimostrato in modo convincente, e sulla scia di Beissel5, che tanti nomi di santi – tra cui Zeno, Fermo, Rustico e Procolo –, citati nel calendario all’inizio del codice, suggeriscono un legame con Verona come luogo di produzione o di utilizzo. Inoltre, Pace ed Eleen hanno evidenziato, con una analisi approfondita dello stile, che il Vat. lat. 39 e il Chigi A. iv. 74 sono stati realizzati a Verona e non nell’Italia meridionale come invece indicato da Morello6. Quanto alla datazione, i pareri oscillano dal primo quarto7 o dalla prima metà del Duecento8 fino all’inizio della seconda metà del secolo9. L’ipotesi di Pace, che il Vat. lat. 39 preceda il Chigi A. iv. 74 e la Bibbia di Manfredi (Vat. lat. 36), è convincente per quanto riguarda lo stile delle miniature. Inoltre, le caratteristiche paleografiche del Vat. lat. 39 sembrano essere piuttosto anteriori a quelle dei manoscritti della seconda metà del secolo10. Il Vat. lat. 39 fu probabilmente commissionato dal personaggio dipinto di fronte alla Madonna col Bambino alla fine del codice (f. 172r). La sua umile rappresentazione, senza accenni al rango ecclesiastico o sociale verosimilmente alto, fa ipotizzare che si tratti di una persona associata a una comunità laica di penitenziari presso S. Fermo di Verona11. Il fatto che l’inferno e le pene eterne siano stati sottolineati nel ciclo apocalittico si accorda non solo con questa ipotesi di committenza ma anche con il fatto che, all’epoca, la risposta ai movimenti ereticali consisteva proprio nell’approfondire la propria fede leggendo la Bibbia. In ogni caso, l’attraente decorazione è un ottimo strumento per richiamare alla memoria il contenuto del testo sfogliandone le pagine.

221


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

114. La donna velata di sole e la lotta del drago della vii tromba dell’Apocalisse, Nuovo Testamento di Verona (Vat. lat. 39, f. 163r).

BIBBIE MANFREDIANE Silvia Maddalo «Princeps Mainfride regali styrpe create / Accipe quod scripsit Johensis scriptor et ipsum / Digneris solita letificare manu». La sottoscrizione, vergata in una elegante cancelleresca a f. 494v del ms. Vat. lat. 36 veniva individuata da Adalbert Erbach-Fürstenau nel 19101. Una testimonianza, tanto rara nel panorama del libro manoscritto medievale quanto quella in figura offerta dalla peculiare immagine di dedica miniata a corredo del codice, che salvava dall’oblio uno dei codici più intriganti del Medioevo meridionale: esemplare splendido per la ricchezza e la raffinatezza dell’apparato figurativo, profuso d’oro e di colori preziosi, che tramanda il testo biblico nella sua interezza, dal Prologo di san Girolamo sino alle Interpretationes nomina hebraicorum. Lo studioso tedesco pubblicava il manoscritto, ne identificava il destinatario nella persona di Manfredi di Svevia, figlio di Federico ii, e in Johensis, che si firma in calce al colophon, lo scriptor responsabile in toto dell’apparato grafico; sempre sulla base del colophon, forniva per la realizzazione dell’opera un range cronologico abbastanza circoscritto, tra il 1250, quando alla morte di Federico ii Manfredi assumeva il titolo di principe di Taranto, e la sua incoronazione a re di Sicilia nel 1258, e ne suggeriva una possibile committenza in un personaggio dell’entourage del principe. Assegnava infine il corredo figurativo, nel suo complesso, a un unico artista di livello non comune, il Maestro della Bibbia di Manfredi (o Maestro di Aronne), figlio di una cultura ancora debitrice nei confronti dei modelli nordici (turingo-sassoni avrebbe poi precisato Bologna2; franco-settentrionali secondo Toubert3), ma nutritosi alle fonti della koiné artistica mediterranea; e la miniatura di dedica al Maestro del De arte venandi, che dell’arte federiciana rappresentava l’ultimo traguardo. Seppure a distanza di anni, il saggio di Erbach-Fürstenau sollevava un interesse non episodico per quello che era stato indicato dallo stesso studioso come un eccezionale fenomeno editoriale e, più in generale, per la produzione libraria tra i due Svevi. Alla Bibbia di Manfredi venivano accostati, oltre all’esemplare angelicano del De balneis Puteolanis (ba, ms. 1474)4, e alla Bibbia bnf, Lat. 40, entrambi sottoscritti da Johensis, altri esemplari biblici, in questo caso sulla base di considerazioni stilistiche: il ms.brs, i.c.13 e il ms. bl, Add. 318305, e uno

222

splendido codice conservato a Torino (bnu, e.iv.146 da attribuire alla stessa bottega scrittoria); fino a giungere ai nostri giorni, quando viene battuta presso Christie’s la Bibbia Foyle7, quasi clone (per quanto è possibile argomentare sulla base delle riproduzioni fotografiche), se pure declinato in toni minori, di un’altra Bibbia, il ms. bnf, Lat. 10428, già riconosciuto come pienamente autografo del Maestro della Bibbia di Manfredi8. L’assegnazione al catalogo del Maestro dell’esemplare parigino, di piccolo formato e connotato da un programma figurativo “ridotto” nei contenuti ma di qualità non inferiore, così come l’individuazione di altri testimoni di quella peculiare tipologia, la cosiddetta bible de poche nata in Francia nella prima metà del Duecento (i mss. bb, ms. 5, bnf, Lat. 217, obl, Canon. Bibl. lat. 59 e il già ricordato bl, Add. 31830), tutti assegnati alla bottega9, delineano l’attività di un centro scrittorio in cui si parlava, insieme a quello aulico (espresso da codici come il Vat. lat. 36, il bnu, e.iv.14 e il bnf, Lat. 40), un linguaggio più corsivo, adatto a soddisfare le richieste di committenze diverse. Una bottega laica quindi che, proprio in ragione di questa varietà di impegno, non poteva che operare in una realtà cittadina ampia e articolata dal punto di vista politico-economico e culturale, come quella della Napoli di metà Duecento, che si avviava a essere riconosciuta come capitale del Regno e dove si giustifica la presenza di un contesto produttivo attivo tra la Corte, lo Studium cittadino e quello dei nuovi Ordini, il ceto aristocratico e il ceto ecclesiastico, al pari di quanto avveniva nella Parigi di Luigi ix10. Queste, in estrema sintesi, le necessarie premesse, a cui è necessario aggiungere che, di questi manoscritti (e comunque di quanti sono da assegnare alla bottega del Maestro di Manfredi), i quali identificano un peculiare sistema di “messa in opera” del testo biblico, la Bibbia Vaticana è senza dubbio il fulcro, per le ragioni stesse che sono alla base del suo concepimento e per il livello delle forze in gioco (dal committente al destinatario, agli artefici, scriptor e rubricatori, miniatori e decoratori), per la complessità e per l’articolazione della proposta figurativa, in una parola per il suo rispecchiare una sorta di editio princeps, prototipo o modello per tutte le altre. Il gruppo, identificato come “Bibbie di Manfredi”, presenta caratteri comuni in primo luogo per ciò che concerne la facies esteriore, che sembra essere quella indicata come caratteristica della Bible de Paris11. Sono tutti volumi di formato medio (la Bibbia Vaticana, 269 x 182 mm; il ms. di Torino, 260 x 160 mm; il Lat. 40 di

223


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

Pagine seguenti: 115. Miracolo della verga fiorita, Bibbia di Manfredi (Vat. lat. 36, f. 58v). 116. Scena di dedica, Bibbia di Manfredi (Vat. lat. 36, f. 522v).

Parigi, 260 x 181 mm, da assegnare tutti e tre all’atelier “manfrediano”) e piccolo (quello della bible de poche per intenderci, le cui misure vanno da un massimo di 230 x 160 mm del Lat. 10428 di Parigi, a un minimo 150 x 110 mm per i mss. di Bourges e di Londra); sono vergati in textualis disposta su due colonne, che lasciano liberi ampi margini soprattutto a bas-de-page; presentano una rigatura alla mina molto leggera che, nella maggior parte dei casi, chiude in alto la colonna di scrittura, e titoli correnti in rosso e in blu distribuiti sul verso e sul recto di ogni foglio; non sono invece omogenei nella struttura fascicolare. L’ornamentazione, da assegnare, con l’esclusione forse di qualcuno degli esemplari elencati, a uno stesso gruppo di miniatori, di diverso livello e variamente impegnati nell’uno o nell’altro manoscritto, è funzionale, come negli esemplari della Bible de Paris, a richiamare le suddivisioni del testo e, in ragione di ciò, gerarchica: per l’incipit dei libri biblici iniziali maggiori istoriate, a illustrarne i contenuti in maniera più o meno diretta, oppure figurate, zoomorfe, fitomorfe; per i prologhi iniziali medie generalmente decorate e solo in via eccezionale istoriate (ad esempio nella Bibbia Vaticana, con il ritratto di Girolamo intento alla scrittura); per i capitoli, indicati da numeri romani, iniziali rubricate alternativamente di rosso o di blu e filigranate nei colori opposti. I vari esemplari non si presentano invece sempre uniformi dal punto di vista dei contenuti testuali e della proposta iconografica, così come per le declinazioni stilistiche. La sequenza dei libri e la divisione in capitoli, infatti, non sempre si modella su quella dei prototipi; in particolare, se ne differenzia con una distribuzione inusuale la Bibbia Vat. lat. 36, diversa sotto quest’aspetto anche dal Lat. 10428 di Parigi, il solo esemplare che si può assegnare sia per l’impianto figurativo sia per l’ornamentazione allo stesso maestro (o agli stessi maestri) del codice vaticano, tanto da poter azzardare che il vaticano e il parigino furono concepiti in momenti molto vicini, quasi valve di uno stesso dittico, a identificare l’uno una destinazione aulica, l’altro un’edizione “minore”. Ancora più rilevanti gli scarti nel corredo iconografico del vaticano rispetto alla tradizione di riferimento e anche rispetto al testimone parigino, connotato peraltro (anche a marcare la differenza di destinazione) da iniziali in prevalenza decorate, antropozoomorfe e fitomorfe; tali differenze sono significative perché possono far luce sulle ragioni che furono all’origine del suo concepimento.

224

Se le scelte che distinguono un programma figurativo dalla tradizione iconografica hanno infatti un senso, è certo degno di nota che nella Bibbia Vaticana siano molto spesso protagonisti del racconto figurato immagini di vescovi da un lato e di principi e sovrani dall’altro, anche in contrasto con la tradizione e con il dettato del testo, consentendo di suggerire nell’una e nell’altra scelta iconografica (e per entrambe proporrò solo un esempio tra i tanti che si potrebbero fare) un rimando alla committenza e alla destinazione. Non è casuale dunque che, in apertura di codice, e dunque in posizione di grande evidenza, nella F di «Frater Ambrosius» (f. 1r) sia effigiato il vescovo Ambrogio mentre consegna a Dio Padre in trono il libro contenente la traduzione del testo biblico, lì dove la tradizione (alla quale si uniformano tutti o quasi i testimoni più prossimi alla Bibbia Vaticana) pone san Girolamo intento alla scrittura. Ed è certo significativo che sia Aronne, principe e condottiero biblico, il protagonista dell’unica miniatura tabellare, raffigurante il Miracolo della verga fiorita a f. 58v, a illustrare Num 18 (peculiarissima perché credo senza precedenti, perlomeno nella tradizione delle bibbie duecentesche), e che in lui si possa riconoscere un riferimento alla lotta per la conquista del regno da parte di Manfredi e al suo trionfo per volontà divina. A conferma, e scoraggiando ipotesi che ne prospettino una diversa destinazione12, che sin nel progetto iniziale il codice era finalizzato alla celebrazione del principe svevo. Ed è lo stesso principe a tenere tra le mani la Bibbia, ricevendola (o consegnandola?) dal personaggio seduto davanti a lui, nella miniatura di dedica (uno straordinario apax che segnala per il manoscritto una vicenda non del tutto chiarita) dipinta dal Maestro del De arte venandi vaticano (Pal. lat. 1071), in una posizione assolutamente stravagante, sul verso di un foglio rigato, quasi al termine del lavoro di copia, tra una pagina e l’altra delle Interpretationes, la cui scrittura viene interrotta al f. 522r per dare spazio all’immagine e ripresa al f. 523r. Realizzata, dunque, quasi al termine dei lavori di allestimento (come peraltro è vergata su rasura la sottoscrizione, e miniata su una precedente decorazione filigranata, ma dallo stesso artefice attivo nel codice, la P decorata di «Princeps»), l’immagine afferma la volontà del committente – che è ancora da individuare ma che potrà essere cercato, in ragione di quanto detto, tra i presuli del Regno – di esaltare con rinnovata enfasi il principe in un momento in cui, alla metà degli anni Cinquanta, furono spenti i focolai di rivolta e riconquistati al potere regio centri come Piazza

115

Armerina. Lo stemma della città siciliana, intessuto sul tappeto che fa da palcoscenico alla rappresentazione, si alterna all’aquila sveva, consentendo di pensare a un suo coinvolgimento nella committenza del codice13 e di assumere la conquista di Piazza (nel 1256) come termine post quem per il completamento dell’opera. Mentre è chiaro che una volontà celebrativa doveva essere presente già nella concezione iniziale se alla pacificazione del Regno si fa riferimento per via di metafora, come si è visto, nei primi fogli del codice in un’immagine in cui Aronne è figura dello stesso Manfredi. Sono tre gli attori protagonisti della miniatura di dedica: in primo piano Johensis, detentore di un ruolo di prestigio come responsabile dell’atelier, scriptor e sovrintendente al programma iconografico (se alla sua mano si possono assegnare, come credo, le eccezionali indicazioni fornite al miniatore, tracciate con grafia minutissima, la stessa dei richiami di fascicolo, e solo raramente visibili perché rifilate, dissimulate all’interno della legatura o coperte dalla miniatura stessa), ma forse anche come notaio di corte, secondo quanto sembrano suggerire l’abbiglia-

mento e il rotolo che tiene tra le mani e come dimostra l’inusitata scrittura di cancelleria con cui è vergata la sottoscrizione; in secondo piano, in posizione preminente, il giovane principe, privo degli attributi regali (anche se le aquile sveve visibili sul copricapo ne certificano la stirpe regale), e, di fronte a lui, appena più in basso ma sovrastante gli altri, seduto all’orientale e rivestito di tunica e di mantello foderato di vaio (l’abito dei magistri, che però è spesso adottato, proprio nell’iconografia biblica duecentesca, per l’immagine dei sovrani: un esempio anche al f. 185v del Lat. 40 di Parigi, nella raffigurazione di Assuero in trono), un personaggio da identificare forse con l’imperatore Federico ii, come proposto nel tempo da parte della letteratura critica. Tra i due un muto colloquio di sguardi; al centro dell’immagine, al convergere dei punti di fuga, stretto nelle mani di entrambi (al punto che è difficile distinguere il donatore dal ricevente) un libro, in questo frangente il Libro sacro, a emblema delle passioni (per la letteratura e l’arte, per le culture orientali, per la scienza e per l’editoria di lusso) che, insieme a quella per la caccia, aveva accomunato i due Svevi14.

116

225


Bibbia. Immagini e scrittura

226

II. Area occidentale – Epoca gotica

227


Bibbia. Immagini e scrittura

BIBBIE BOLOGNESI DEL DUECENTO Massimo Medica Anche a Bologna, sede di una delle più prestigiose e antiche università d’Europa, la produzione di bibbie nel corso del xiii secolo subì profondi mutamenti, dovuti in larga misura al diverso livello di fruizione che questo testo venne ad assumere nel contesto anche non religioso. La Bibbia non veniva infatti più intesa soltanto come strumento di edificazione personale ma anche come libro di studio, «testo cardine di ogni teologia e di ogni scienza», che come tale doveva essere consultato, letto e commentato anche da chi non era religioso. Un mercato, quindi, in continua espansione che venne ad aprirsi anche ai privati laici, a cominciare dagli studenti che allora frequentavano le varie scuole di teologia che nel frattempo erano sorte presso le più importanti sedi degli ordini mendicanti, i Francescani e i Domenicani, che ne promossero, attraverso la predicazione e lo studio, la diffusione1. La Biblia parisiensis in un unico volume (spesso di dimensioni ridotte), secondo la nuova edizione riveduta e corretta a Parigi agli inizi del Duecento, divenne presto l’esempio più diffuso presso le biblioteche conventuali, e questo si può immaginare anche a Bologna, dove peraltro la produzione di bibbie è attestata, oltre che dai documenti, anche dalle numerosissime versioni che ci sono pervenute, alcune delle quali datate. Del resto, la maggior parte dei contratti di scrittura relativi alle bibbie bolognesi risulta essere stata stipulata, alla presenza dei frati, presso i conventi di San Domenico e di San Francesco, per quanto i copisti coinvolti non appaiano il più delle volte appartenere a un ordine specifico, ma essere prevalentemente laici2. Il che costituisce senza dubbio una riprova degli stretti rapporti che dovettero esistere tra le scuole conventuali e lo Studium e questo anche per quanto riguarda la produzione libraria, come paiono confermare le numerose bibbie prodotte in questi anni e confrontabili, a livello di scrittura e di decorazione, con i coevi testi per lo più di carattere giuridico, prodotti per l’università. Del resto, come dimostrano alcuni casi, sembra certo che per realizzare la decorazione delle bibbie venissero talvolta impiegate le medesime maestranze che operavano presso le botteghe laiche attive per l’università.

Le bibbie del “primo stile” Non è quindi un caso che gli esemplari delle bibbie bolognesi duecentesche pervenuteci, essendo talvolta datati,

228

II. Area occidentale – Epoca gotica

abbiano costituito un’importante traccia per ricostruire le fasi più salienti dell’antica produzione del cosiddetto “primo stile” della miniatura locale, le cui caratteristiche ritroviamo ripetute nella stesura rapida e corsiva, giocata su una gamma assai limitata di colori, su cui prevalgono il minio, l’arancio, il verde e il blu. Lo stesso si dica per le figurazioni che in questa prima fase appaiono ancora estremamente semplificate per quanto già animate da un gusto narrativo grottesco e divertito, esibito soprattutto nelle decorazioni marginali, mediate dal repertorio degli ateliers parigini e inglesi, i cui esempi poterono essere accessibili nella stessa Bologna3. È quanto dimostrano alcune scelte decorative come appare ad esempio per l’incipit del libro della Genesi, dove troviamo riproposta la struttura a medaglioni sovrapposti adatta per scandire le varie giornate della Creazione. Così è per alcune delle versioni più antiche a iniziare da quella della bnf, Nouv. Acq. lat. 3184, cui si lega quella conservata alla bnu, ms. d.v.32, nota come Bibbia di san Tommaso d’Aquino, da datare poco dopo la metà del xiii secolo. Entrambe le versioni presentano infatti a livello decorativo andamenti più regolari e compatti, rivelando nel repertorio ornamentale una consuetudine con certi modelli della tradizione romanica che si ritroveranno ripetuti anche in seguito sia pure in una interpretazione che diverrà via via sempre più libera e vivace, come documentano alcune delle bibbie bolognesi realizzate nel corso degli anni Sessanta4. Appartiene a questa serie anche la Bibbia Vat. lat. 31 (239 x 169 mm, 460 ff.) la cui realizzazione si può verosimilmente far risalire al settimo decennio, per quanto non si abbiano elementi precisi per pervenire a una esatta datazione né tanto meno per individuare l’originaria destinazione dell’opera che possiamo ugualmente immaginare sia stata concepita per un ambito strettamente conventuale, anche se nessun indizio preciso consente di confermarlo. Certo, rispetto ad altri esempi consimili, il programma ornamentale appare qui più limitato, riservando le scene figurate e istoriate a pochi capilettera, a iniziare da quello che apre la Genesi con la consueta raffigurazione delle sette giornate della Creazione racchiuse, come era consuetudine, entro altrettanti medaglioni sovrapposti, alla base dei quali appare la raffigurazione della Crocifissione, comune a molte bibbie bolognesi del “primo stile” prodotte in ambito francescano, come attestano anche altri esemplari usciti dalla medesima bottega. Norris riferisce infatti la decorazione del Vat. lat. 31 a un artista principale (detto A) responsabile di una serie di bibbie e di altri codici da lui collegati al gruppo ii5.

Tra questi spiccano le due sontuosissime bibbie di Cracovia (ju, RPS lat. 289), a uso sicuramente francescano, e quella, forse benedettina, di Herzogenburg (hsb, Cod. 223), entrambe contrassegnate dai medesimi caratteri stilistici, come attesta l’uso di una gamma cromatica più vivace e la consuetudine di sottolineare le varie figure e le forme con tratti bianchi e neri. Certo questa bottega, come ben ha dimostrato Norris6, non dovette essere impiegata solamente nella decorazione di bibbie ma anche di altri codici a uso universitario come attesta la copia del Codex di Giustiniano oggi conservata alla önb di Vienna (Cod. 2052) ugualmente riferita al medesimo ambito produttivo del Vat. lat. 317. È probabile che il codice della Vaticana debba essere riferito a una fase leggermente antecedente a quella delle altre due bibbie menzionate, contrassegnate da una maggiore complessità decorativa, anche se ho ragione di ritenere che esso sia successivo alla Bibbia della bml (Plut. 1 dex. 1-3) che, presentando un apparato decorativo più compatto ricco ancora di suggestioni romaniche, può essere datata tra la fine del sesto decennio e gli inizi del settimo8. La decorazione delle bibbie ora menzionate ben illustra quella fase di passaggio verso forme più elaborate e complesse che si registra, tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, nella produzione bolognese del “primo stile”. Rappresentativa in questo senso appare la Bibbia della obl, Canon. Bibl. lat. 56, datata 1265, in cui il miniatore perviene a una libera interpretazione del repertorio figurativo visto nei precedenti codici, arricchendolo di connotazioni grottesche e ironiche, in un susseguirsi di divertite drôleries, slegate dall’argomento del testo, che richiamano chiaramente gli esempi francesi e inglesi9. Il tutto reso con una esuberanza e una ricchezza di invenzioni che testimoniano ormai il radicarsi di una tradizione illustrativa, destinata nei decenni successivi a fare scuola in quasi tutta Italia. Il disporsi elegante dei tralci, sempre più sottili, terminanti nel bas-de-page in elaborate volute arricchite da gustose figurine, sembra alludere alle più eleganti soluzioni proposte da un’altra Bibbia (bnf, Lat. 22), da considerare tra le più alte testimonianze della produzione bolognese del “primo stile”, ormai approdata nella definizione degli ornati a un maggiore equilibrio compositivo accompagnato da una qualità più sottile dei valori cromatici10. In questo senso sembra muoversi anche il miniatore principale della Bibbia Ross. 255 (340 x 230 mm, 559 ff.), il cui straordinario repertorio decorativo trova svolgimento soprattutto lungo gli ornati marginali dove

compare una moltitudine di figure, anche fantastiche, sicuramente mediate dalle drôleries francesi ma anche da altre fonti, quali i testi medici e i fabliaux, come ben documentano le raffigurazioni dei ff. 78v e 415v11. Anche in questo caso, i marginalia non appaiono collegati al testo ma costituiscono una sorta di «racconto parallelo, fatto di ammonimenti morali che si esprimono anche con rappresentazioni del mondo alla rovescia»12. Sulla base di tali osservazioni si è giunti pertanto a ipotizzare che la presente copia della Vulgata possa avere avuto una destinazione francescana, dal momento che le favole erano utilizzate «come esercizio pratico di stile» presso le scuole dell’ordine, fornendo utili spunti per i futuri predicatori. Una considerazione che potrebbe invero valere anche per le comunità dei frati predicatori, considerato che, al f. 73v, nel bas-de-page appare appunto la raffigurazione di un frate domenicano nell’atto di predicare a una folla di laici, mentre al f. 1r, sotto l’iniziale F dell’incipit dell’Epistola sancti Ieronimi presbiteri ad Paulinum episcopum, appare la figura orante di san Domenico (è anche vero che in uno dei medaglioni del bas-de-page appare san Francesco che riceve le stigmate). Come è stato notato, a eseguire la decorazione della parte duecentesca del codice (il volume fu infatti terminato nel xv secolo, presumibilmente in Toscana, come paiono confermare le decorazioni aggiunte) furono probabilmente due diversi miniatori13 del tutto simili dal punto di vista stilistico: al primo, tuttavia, caratterizzato dalle tinte più chiare, può essere attribuito un ruolo principale nella progettazione degli ornati, che a livello compositivo presentano talvolta una certa complessità, pervenendo a esiti davvero innovativi, come dimostra l’inserimento nel bas-de-page di motivi a medaglione che già anticipano certe soluzioni tipiche della miniatura del “secondo stile”. Sono motivi che caratterizzano anche un’altra Bibbia della Vaticana, Ross. 183 (322 x 225 mm, 544 ff.)14, di destinazione sicuramente francescana, come attesta la raffigurazione nella pagina iniziale della Genesi (f. 5v) di san Francesco colto nell’atto di pregare di fronte a una monumentale Madonna col Bambino che affianca la consueta rappresentazione della Crocifissione posta alla base dei sette medaglioni con le scene della Creazione15. La ricchezza dell’apparato decorativo di questo codice, composto da ben settantanove iniziali istoriate e figurate e da almeno cento lettere decorate, attesta inequivocabilmente il prestigio della committenza, che recentemente Neri Lusanna16 ha comunque preferito collegare all’ambito pistoiese per via della raffigurazio-

229

117

118


Bibbia. Immagini e scrittura

117. Girolamo consegna l’epistola a Paolino, San Domenico, Bibbia (Ross. 255, f. 1r).

II. Area occidentale – Epoca gotica

Pagine seguenti: 118. Incipit della Genesi con san Francesco in preghiera davanti alla Madonna col Bambino e scene della Creazione, Bibbia francescana (Ross. 183, f. 5v). 119. Giuditta decapita Oloferne, Bibbia (Vat. lat. 20, f. 152v).

ne nella pagina iniziale di san Jacopo Maggiore, patrono appunto di questa città. Un’ipotesi ripresa in seguito anche da Labriola17 che ha suggerito di identificare il destinatario del volume nella chiesa pistoiese di Santa Maria al Prato dove, a partire dal 1250, si erano stabiliti i frati francescani prima di trasferirsi definitivamente, nel 1289, nella nuova chiesa di San Francesco. Una provenienza che troverebbe conferma anche nella particolare vicenda del miniatore sicuramente formatosi in ambito bolognese ma attivo nella seconda metà del Duecento per lo più in terra toscana, come attestano fra l’altro i due volumi del Graduale provenienti dalla chiesa agostiniana di Sant’Alessio in Bigiano, nei pressi di Pistoia (ma originariamente destinati alla chiesa di San Lorenzo fondata nel 1278), da cui il miniatore prende appunto il nome (Maestro di Sant’Alessio in Bigiano). Del resto, le tracce della prolifica bottega di questo artista conducono chiaramente all’ambito toscano (Firenze, Grosseto, Prato, Pistoia), confermando come la tradizione illustrativa bolognese avesse ormai raggiunto, anche al di fuori dei confini cittadini, un ambito di influenza assai vasto18.

Le bibbie del “secondo stile” Negli ultimi decenni del Duecento, la decorazione libraria bolognese pervenne infatti a esiti anche qualitativi davvero sorprendenti, soprattutto se li si confronta con lo standard dei miniatori del “primo stile”. Tra l’ottavo e il nono decennio del secolo, nell’ambito della miniatura locale si andò infatti affermando una diversa e ben più matura corrente di stile capace di rinnovare, nel ricorso a una sintassi figurativa legata ai modelli della tradizione bizantina, il carattere della decorazione del “primo stile” pervenendo a risultati più colti e pittoricamente evidenziati19. Quello che si è voluto definire “secondo stile” della miniatura bolognese si inserisce pertanto a pieno titolo nel contesto di quella più ampia diffusione di modelli provenienti dall’Oriente bizantino e slavo che caratterizzò, soprattutto dopo la riconquista latina di Costantinopoli nel 1204, l’arte del nostro Duecento, tanto più attenta a recepire le novità che erano maturate all’indomani dell’insediamento

230

della nuova dinastia Paleologa (1261). I segni di questa prima fioritura sono già ravvisabili nella Bibbia Vat. lat. 20 (430 x 280 mm, 422 ff.), il cui apparato ornamentale presenta una inusitata ricchezza e sontuosità tanto da farne uno degli esempi più rilevanti della produzione miniata bolognese della fine del Duecento20. Così è per la complessa elaborazione dei vari motivi decorativi che in parte ripropongono, aggiornandoli, certi repertori della tradizione precedente, arricchiti da aquiloni e patere, contenenti le scene figurate e istoriate. Il tutto reso con una gamma cromatica assai più ricca e varia dai toni caldi e sfumati a rinforzare «l’evidenza... pittorica delle figure» che si stagliano solennemente contro il fondo, seguendo gli esempi della tradizione bizantina impregnati di ellenismo. È quanto dimostra il repertorio antichizzante utilizzato all’interno dei medaglioni e lungo le decorazioni marginali, in parte forse derivato da una conoscenza diretta di certi modelli antichi ma al tempo stesso mediato, si direbbe, anche dagli esempi bizantini del x e dell’xi secolo, forse allora accessibili nella stessa Bologna21. Ne farà tesoro anche il più celebre tra gli artisti attivi in questo periodo, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, nome che gli deriva dall’avere decorato la sontuosissima Bibbia oggi conservata presso la Biblioteca Capitolare della cattedrale di Gerona (bcg, ms. 10) e che si è supposto sia stata commissionata dal cardinale francese Jean Cholet22. Anzi, la possibile identificazione di questo illustre committente ha portato a rivedere le vicende esecutive di altre bibbie consimili, che sovente negli antichi inventari e nei testamenti degli alti prelati vengono ricordate come «de littera Bononiensi», abbinate talvolta agli aggettivi «pulcra» e «ystoriata». Una destinazione forse condivisa dalla Bibbia dell’Escorial (rbe, ms. A.i.5), collegata infatti al cardinale Stefaneschi23 e, non si può escludere, anche dalla Bibbia Vat. lat. 20, per quanto la mancanza di precisi indizi impedisca in questo caso di individuarne l’esatta committenza – anche se la presenza di raffigurazioni di frati e monaci inseriti lungo le decorazioni potrebbe suggerire la pertinenza del volume con qualche comunità di un ordine mendicante o con un alto prelato a esso legato.

119

231


Bibbia. Immagini e scrittura

232

II. Area occidentale – Epoca gotica

233


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

120. Iniziale con Abigail che viene offerta a re David, ii Libro dei Re (i Libro di Samuele), Bibbia (Ross. 254, f. 80v).

BIBBIA VENETA Ross. 254 Federica Toniolo Il Rossiano 254 è un esemplare di grande pregio che, anche agli occhi di un lettore moderno, palesa l’impegno della committenza e l’abilità degli scrittori e dei miniatori nella confezione di manoscritti della Vulgata di Girolamo, una tipologia libraria che proprio nel secondo Duecento divenne, anche nella penisola italiana, luogo di sperimentazione per nuove tipologie di illustrazioni atte a visualizzare la Parola ma anche a esibire, soprattutto nella decorazione dei margini, il mondo della natura e dell’immaginazione di cui l’uomo medievale fu grande indagatore. Il codice è di formato oblungo (360 x 225 mm) composto da ben 330 ff. vergati in scrittura gotica su due colonne in inchiostro bruno con titoli e rubriche in rosso, riccamente illustrato nei prologhi di Girolamo e negli incipit dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento con iniziali decorate, figurate e fregi. Mancano purtroppo notizie precise sulla sua storia sebbene sia stata supposta per la presenza di cesure modulari ovvero di fogli lasciati in bianco prima del Nuovo Testamento (f. 252r) e prima delle Interpretazioni dei nomi biblici (f. 322v), una confezione in una bottega specializzata nella quale l’organizzazione del lavoro prevedeva che le diverse parti venissero realizzate anche simultaneamente, con la possibilità che nel momento in cui i fascicoli venivano legati assieme rimanessero fogli o parti di fogli non scritti. La presenza a incipit di alcuni libri della Bibbia dell’indicazione del contenuto dei singoli capitoli sembra inoltre attestare un uso liturgico del codice. Altre indicazioni sulla data e sul luogo di produzione sono state dedotte dall’analisi dell’apparato illustrativo, per il quale è stata ipotizzata da Giusi Zanichelli1 una localizzazione in area veneta e una datazione attorno agli anni Ottanta del xiii secolo. Se infatti il programma figurativo e ornamentale si avvicina a quello delle bibbie bolognesi di maturo “primo stile”, i due miniatori qui attivi si distinguono dai colleghi di quella scuola rivelando invece consonanze con opere veneziane e padovane di secondo Duecento, nelle quali il linguaggio gotico lascia trasparire tracce del magistero del Maestro del Gaibana, autore nel 1259 delle miniature dell’Epistolario per la cattedrale padovana (bcp, ms. E2). Elementi distintivi sono la narrazione dinamica ed espressiva, il dialogo di gesti e sguardi, il linearismo marcato, le scelte cromatiche luminose – dove predominano i verdi, i rosa e i ros-

234

si aranciati – e gli ornati spesso costruiti con tralci terminanti in ciuffi composti da mezze foglie rialzate a biacca. Al primo maestro vanno ricondotte la pagina del Prologo di san Girolamo al Pentateuco (f. 1r) e quella dell’incipit della Genesi, la pagina più spettacolare del manoscritto (f. 3v). Nella prima, una iniziale con la scena di Girolamo allo scrittoio, interpretata con gusto anticheggiante specie nella figura togata del messaggero, è accompagnata da un fregio ad aquilone che esibisce animali e fantasiose creature ibride. Nella seconda, la lettera I di «In principio», posta su lamina d’oro bordata di un verde luminoso, racchiude, entro trilobi formati da foglie, le scene relative ai sette giorni della Creazione, dove la reiterata figura di Dio Logos ben si confronta con il Cristo dei frammenti di un Antifonario del terzo quarto del xiii secolo attribuibile a Padova o a Venezia, il ms. bnf, Nouv. Acq. lat. 25572. La narrazione continua nel margine inferiore della stessa carta dove, entro e tra i medaglioni formati dai viluppi dei racemi, sono dipinte le storie dei progenitori: il Peccato originale, la Cacciata dal Paradiso, le Offerte di Caino e Abele, l’Uccisione di Abele e l’Arca di Noè. È questa la mano più attiva distinguibile per una narrazione aulica, per l’uso di incarnati chiari con le gote rilevate di rosso, per le cromie luminose e brillanti. Sua è la bellissima iniziale E del ii Libro dei Re dove la giovane Abigail viene offerta all’anziano re Davide (f. 80v), figura femminile da porre a confronto con le eleganti protagoniste dei Canzonieri provenzali veneti. Più vivace e caratterizzato dagli incarnati più scuri e dai profili segnati di nero, è l’altro miniatore, attivo nei fascicoli dal 2 al 9, ad esempio nella miniatura del libro di Rut con Elimelec, la moglie Noemi e i loro due figli che migrano verso Moab (f. 63r). Le sue prove mostrano un maggiore debito verso la maniera bizantina, specie nelle lumeggiature, e trovano confronti di nuovo in area veneta con le figure di un gruppo di bibbie di piccolo formato quali ad esempio il ms. bnf, Lat. 2323. Tra le scelte iconografiche vanno evidenziate le raffigurazioni di Mosè con le corna e degli evangelisti antropozoomorfi. Al f. 331r, una nota di una mano databile al tardo Duecento o inizio Trecento annota la descrizione di un volume miscellaneo, acquistato per il prezzo di 15 libbre da frate Jacopo dei Tolomei e per il quale si attesta l’appartenenza a un convento senese allora sotto la giurisdizione di frate Rainerio, nel quale Cenci4 identifica frate Rainerio Piccolomini da Siena ministro della Tuscia nel 1290. Il collegamento diretto del f. 331 con il codice è suggerito dalla lettura della parola «biblia» proposta da Cenci, ma una più attenta osservazione consente di leggere «libros» e sugge-

121-122

120

risce con forza l’ipotesi che il foglio sia stato aggiunto, come indica anche il formato diverso, benché non abbiamo modo di sapere quando e dove venne incorporato nel manoscritto forse allo scopo di rinforzare una legatura precedente a quella attuale. Questa la trascrizione, che com-

pleta e corregge quella di Cenci: «in hoc volum(in)e co(n) tine(n)t(ur) Isti libri (segue un elenco di opere di Ambrogio e di Agostino) istos lib(r)os emit fr(ater) Jacob(us) de ptolom(eis) a provi(n)cia pro xvcim lib(ris) et sunt conventus sen(ensis) auc(torita)te f. Ranerii minist(ri) Thuscie».

235


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

121-122. Iniziale con la Creazione e storie di Caino e Abele e Noè, Bibbia (Ross. 254, f. 3v).

236

237


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

Pagine seguenti: 123. Storie della Creazione, Crocifissione, Annunciazione e Natività, Bibbia (Vat. lat. 22, f. 4r). 124. San Girolamo e frati, Bibbia (Vat. lat. 26, f. 1r).

BIBBIE DUECENTESCHE IN ROMAGNA Vat. lat. 22 e 26 Fabrizio Lollini Nel volume di Alessandro Conti sulla miniatura bolognese medievale del 1981, lo studioso esaminava due bibbie della Biblioteca Vaticana, i mss. Vat. lat 22 e 26 (già segnalati da Adolfo Venturi), riferendoli all’attività di un miniatore che battezzava Maestro di Imola da una serie di corali realizzati dall’artista attorno al 12701275 per il convento domenicano della città romagnola (ora al locale Museo Diocesano), e riconduceva al cosiddetto “primo stile” della produzione libraria della sede dello Studium1. Questa figura, in seguito, è stata oggetto di numerosi approfondimenti, grazie ai quali è stata progressivamente calata in un contesto produttivo che, pur evidentemente e logicamente dipendente dalla tradizione felsinea, presenta una serie di specificità in qualche modo autonome, che possono essere legate a una caratterizzazione locale. In ogni caso, l’imprinting dominante è quello della matrice giuntesca: il grande pittore toscano era noto in zona sia per l’esempio altissimo della croce autografa realizzata per la basilica di San Domenico, che accoglie le spoglie mortali del fondatore dei Predicatori, sia attraverso una serie di opere di pittori da lui dipendenti (o piuttosto a lui paralleli, secondo alcune voci della critica) in città e appunto nel territorio romagnolo. Le sue forme si distinguono per una esasperazione ora dei corpi, allungati e posti in scorci complessi, ora degli stati emotivi. A favore di una specificità operativa nelle Romagne parlano almeno due indizi. Il primo è una sostanziale continuità tra un altro miniatore anonimo che sappiamo attivo nel territorio, il Maestro di Bagnacavallo, e alcuni numeri del catalogo del nostro artista – quale proprio la Bibbia Vat. lat. 22 – che si pongono in una sorta di parallelo implementato e più “moderno” rispetto al primo (a suggerire, forse, un qualche contatto a livello di discepolato o di comune appartenenza a un contesto operativo di bottega); il secondo è che, oltre appunto al ciclo eponimo, l’altra serie nota dell’artista, senz’altro più tarda, è costituita dai corali per San Francesco di Ravenna (oggi presso l’Archivio Arcivescovile). Come sarà qualche lustro più avanti per il giottesco della prima ora Neri da Rimini, quindi, non è impossibile che il Maestro di Imola abbia preferenzialmente occupato l’ampio mercato delle dotazioni delle nuove sedi degli

238

ordini conventuali della zona, senza ovviamente per questo escludere una operatività bolognese, che anzi è suggerita, oltre che dalla ripresa di suoi modelli in città da parte di miniatori meno scaltri, proprio dalla realizzazione delle due monumentali bibbie vaticane, le quali dovrebbero rimandare a una committenza prestigiosa, che ben si adatta al mercato librario privilegiato felsineo2. La Bibbia Vat. lat. 22, di notevoli dimensioni (305 x 216 mm), è abbastanza prototipica dal punto di vista testuale e iconografico; presenta con una grafia omogenea il testo completo della Vulgata, coi testi accessori geronimiani introduttivi ai singoli libri (la tabula con le interpretazioni dei nomi ebraici dei ff. 469-526 è invece opera di un altro copista, più tardo), e un intervento, quasi sempre figurato (otto iniziali sono solo decorate), a segnare l’incipit di ogni partizione dello scritto, inclusi i prologhi, gli argomenti e gli altri testi accessori della traduzione di Girolamo, compresi quelli apocrifi. Dopo la consueta scena col Padre della Chiesa, iterata con varianti ai ff. 1r e 3v, il debutto di Genesi è magnificamente illustrato con quella tipologia di origine francese che vuole la I di «In principio» ospitare in successione verticale le sette scenette che illustrano le tappe della Creazione, che si espande lungo il margine inferiore con una Crocefissione, un’Annunciazione e una Natività, le quali (in successione non troppo logica, peraltro) esemplificano molto chiaramente il senso soteriologico della figurazione, con la sua immediata lettura in funzione neotestamentaria: l’uomo è creato per essere salvato. Nei singoli libri troviamo scelte di soggetti abbastanza standard nella decorazione di questo genere di bibbie di lusso, che dovevano essere repertorio usuale per i miniatori professionali di un certo livello. Come è noto, alcune dipendono da una iconizzazione che si concentra su una immagine ritenuta chiave, e caratterizzante, in quell’ambito; altre trascrivono visivamente le prime parole del testo che introducono: si tratta dei due approcci canonici nella decorazione del Libro. Da segnalare il vero e proprio “ciclo di Mosè” delle miniature dei ff. 36v, 47r, 62r e 75v; la forte intensità decorativa del Salterio (ff. 206v-228v), con una carta che include un fregio particolarmente ricco e inserzioni figurative esterne al testo, come sul frontespizio degli stessi Salmi (f. 210r); l’inusuale caratterizzazione singola e derivata dal testo delle raffigurazioni dei profeti, maggiori e minori; il bell’albero di Jesse di f. 376r in corrispondenza come sempre alle generazioni del Vangelo di Matteo; e un’altra non comune accelerazione, qualitativa e quan-

123

titativa, degli interventi miniati delle Epistole, paoline e non. Nel codice è da segnalare la presenza di una fitta trama di motivi decorativi a penna: sia veri e propri ramages a inchiostro rossi e blu, in forme tipiche del “primo stile”, sia espansioni esornative (facce e non solo) nella stesura di molte delle annotazioni marginali e dei commenti, che risultano particolarmente abbondanti, dando credito a un impiego continuo e intenso del codice. All’interno del volume, oltre al Maestro di Imola troviamo almeno un’altra mano principale, presente soprattutto all’inizio e comunque legata al contesto romagnolo di cui si diceva; e qualche intervento di aiuti. La cronologia proposta da Conti può forse essere confermata e dunque porre il volume verso la seconda metà degli anni Settanta del xiii secolo; peraltro, le differenti dimensioni degli interventi miniati suggeriscono al maestro forme più espanse in senso “pittorico” nei grandi corali, e al contrario più contratte, anche stilisticamente, nella Bibbia, ciò che rende un po’ difficile certezze cronologiche relative e assolute. Già al f. 1r, nel bas-de-page, nel citato f. 210r, poi ancora a f. 212v, si evidenzia con l’inserzione di figure caratterizzanti, sia nelle iniziali che a sé stanti, collegate ai fregi fogliacei, una committenza domenicana; e pur se talora, nei volumi del periodo tra la metà del xiii e l’inizio del xiv secolo, troviamo rappresentazioni di membri di più famiglie religiose (e talvolta anche generiche raffigurazioni di frati con abiti incongrui: rossi, blu o altro ancora), credo che in questo caso l’insistenza sia del tutto dirimente. I Predicatori incarnano ancora i frati a coro nel Cantate domino di f. 222r, e la stessa denotazione colora infine alcuni interventi nelle Epistole; è probabile dunque che il patron del ricco volume fosse un alto appartenente all’ordine, dato che le dimensio-

ni (ampie ma più ridotte che, ad esempio, nella Bibbia francescana bmc, ms. d.xxi.1) suggeriscono un uso originario privato, cui poi fece seguito la sua donazione a un convento, come sappiamo per altri casi analoghi3. La Bibbia Vat. lat. 26 presenta lo stesso format dimensionale (320 x 219 mm) e testuale; ma scompare quasi del tutto l’apparato decorativo a inchiostro. Soprattutto, gli interventi miniati – tutti figurati tranne uno solo decorato, un’iniziale S a f. 191r – si riducono nel numero, riservati come sono ai soli incipit dei libri biblici (non quindi nei testi accessori), ma in compenso si arricchiscono di un abbondante uso dell’oro, nei fondi e anche in qualche stesura a pennello. Quello che si è già detto dell’altro volume si potrebbe ripetere, specie rispetto alla diversificazione narrativa delle raffigurazioni dei profeti e alla fortissima accentuazione figurativa della sezione delle epistole. Lo stile dominante è ancora quello del Maestro di Imola, ma qui il maestro appare coadiuvato da altre mani, e soprattutto espanso verso una facies più matura che si può scalare senz’altro più avanti rispetto alla Bibbia Vat. lat. 22. I due frati con abito marrone rossastro fittamente lumeggiato in oro che campeggiano a f. 1r sembrano un riferimento abbastanza fantasioso – che come detto non sarebbe un unicum (il colore potrebbe orientare con qualche difficoltà verso i Francescani, ma il trattamento esornativo mi pare escludere questa possibilità); mentre i due più caratterizzati e “mimetici”, al vero incipit del testo al debutto di Genesi (f. 5r), ed evidenziati come santi dai nimbi, vestiti di marrone nerastro (lo stesso della croce) e cappa bianca, sembrano poter alludere all’originaria committenza che a questo punto dovrebbe essere quella dei Carmelitani, anche se il primo possessore noto da un ex libris apparteneva agli Agostiniani4.

239

124


Bibbia. Immagini e scrittura

240

II. Area occidentale – Epoca gotica

241


Bibbia. Immagini e scrittura

BIBBIE DELL’ITALIA MERIDIONALE NEL XIV SECOLO: NAPOLI IN EPOCA ANGIOINA Francesca Manzari La produzione di bibbie a Napoli nei decenni centrali del xiv secolo raggiunge livelli di qualità straordinaria, come dimostrato dalle bibbie sontuose prodotte in stretta relazione con la corte angioina dal più importante miniatore di radice giottesca, Cristoforo Orimina, attivo tra la metà degli anni Trenta e i primi anni Sessanta del secolo1. La più antica è quella in cui l’artista ha lasciato la sua firma in lettere in foglia d’oro, «quam illuminavit de pincello Xrophorus Orimina de Neapoli» (oggi a Lovanio, gbib, ms. 1, f. 309r), al di sotto di una complessa e ancora enigmatica immagine di dedica2. Un’analoga iscrizione, che corre al di sopra della tabella miniata, ricorda il possesso del codice da parte di Nicolò d’Alife, scriba, notaio, segretario e poi cancelliere del regno tra il 1327 e il 1367; i suoi stemmi compaiono pervasivamente nell’apparato decorativo, sebbene siano stati ridipinti sopra quelli di un diverso destinatario, forse il primo marito di Giovanna i, Andrea d’Ungheria, a lei promesso fin dal 1333 e sposato nel 1342. Unica, rispetto alle altre cinque bibbie miniate dalla bottega di Orimina, la Bibbia di Lovanio presenta due miniature a piena pagina preliminari (ff. 3v-4r), l’una raffigurante re Roberto attorniato dalle personificazioni delle Virtù, l’altra la Genealogia della dinastia angioina, in cui è sottolineato il suo ruolo preminente e la sua volontà di investire Giovanna quale erede. Le raffigurazioni del sovrano, forse rappresentato anche altrove nel manoscritto, hanno suscitato l’ipotesi che il progetto sia stato avviato da lui come dono per le nozze tra i due nipoti e che solo in un secondo momento il codice sia passato a Nicolò d’Alife3. Secondo questa ipotesi, e considerando la coerenza delle iscrizioni intorno alla tabella di dedica, si potrebbe immaginare un intervallo nella campagna decorativa dell’opera, certamente avviata prima della morte di Roberto nel 1343 ma forse portata a termine qualche anno dopo per Niccolò d’Alife4. L’ipotesi di più fasi di completamento è supportata dall’identificazione anche di altri artisti, come quello che ha eseguito nei margini volatili fantastici per coprire un precoce intervento di restauro, forse frutto di un periodo di conservazione dei fascicoli senza le-

242

II. Area occidentale – Epoca gotica

gatura5. Non era finora stata notata invece la partecipazione di un miniatore solo recentemente individuato nel contesto napoletano, il Maestro del Salomone della Casanatense6, che interviene aggiungendo immagini isolate nei margini, come il francescano e il domenicano nel bas-de-page a f. 160v, le due suore nei girali a f. 187v e l’ignudo con l’uomo selvaggio che reggono lo stemma a f. 202r. Due delle preziose bibbie eseguite dalla bottega di Orimina sono conservate nella Biblioteca Vaticana: la più antica (Vat. lat. 14430: ca. 1335-1338) e la più tarda (Vat. lat. 3550: ca. 1362). Altre due sono datate agli anni Cinquanta: l’una a Berlino (kb, Hs. 78.D.3), forse commissionata da Giovanna i per papa Clemente vi (1342-1352), i cui stemmi sono presenti nel codice; l’altra a Torino (br, Var. 175), realizzata per un vescovo, forse Giovanni Orsini, in carica a Napoli dal 1327 al 1358. Di datazione controversa finora la Bibbia di Vienna (önb, Cod. 1191), che va invece considerata un’opera realizzata lungo un ampio arco cronologico, tra gli anni Trenta e Settanta; vi compaiono infatti miniatori attivi nel quarto decennio, fogli eseguiti da Cristoforo Orimina alla metà del secolo e un’ampia parte completata dalla bottega del Maestro delle Rivelazioni di santa Brigida negli anni Settanta7. Le sei bibbie in cui interviene la bottega di Orimina sono tutte di grandi dimensioni, spesso in un solo volume, composte da quinioni, scritte su due colonne in gotica rotonda e sontuosamente miniate8. Altre due bibbie napoletane riccamente illustrate (brc, ms. A.72, xiv in.9; bl, Add. 47672, ca. 1320-133010) sono spesso state messe in relazione con il gruppo di Orimina11, sebbene siano più antiche di qualche decennio e legate all’attività napoletana di Pietro Cavallini. Non sono invece state considerate in questo contesto due ulteriori bibbie della prima metà del secolo: un insolito volume del Nuovo Testamento (bnm, ms. Lat.Z.10), con il testo latino impaginato insieme alla sua traduzione francese (miniato da una bottega in cui collaborano artisti napoletani e piccardi12) e due frammenti di Bibbia in francese, recentemente identificati13. Alla cultura francese della corte napoletana e al modello della commitenza libraria della casa regnante parigina è legata la Bibbia moralizzata angioina (bnf, Fr. 9561), eseguita certamente nell’ambito della corte14. Tra le bibbie di Orimina, l’esemplare dotato di un corredo miniato meno esteso è il Vat. lat. 14430, eseguito per Roberto di Taranto, figlio di Filippo di Taranto e Cateri-

128

na di Valois Courtenay, come indicano gli stemmi ancora parzialmente leggibili a f. 11r. Questa Bibbia (i: 340 x 245 mm, ff. 1-286; ii: ff. 287-580), divisa in due volumi in epoca successiva15, dato che l’ultimo foglio del primo volume presenta un richiamo corrispondente all’incipit della seconda parte, è dotata di un progetto illustrativo esclusivamente incentrato sulle iniziali istoriate e figurate, che segnano gli incipit biblici. Fa eccezione quello della Genesi (f. 14r), in cui il ciclo della Creazione comincia nell’iniziale e prosegue, con altre cinque scene, in una fascia nel margine inferiore. La sobrietà della decorazione marginale, talora arricchita da medaglioni, uccelli e altri animali, la sintesi nelle scelte compositive, insieme a caratteri stilistici piuttosto arcaici nella decorazione fitomorfa e nella gamma cromatica, piuttosto cupa, segnalano un’opera precoce nella carriera di Orimina e suggeriscono di accettare la datazione agli anni 1335-133816. Il testo di questa Bibbia è particolare poiché all’inizio raggruppa un’ampia raccolta di prologhi seguita da una lista di capitula indicanti le pericopi per uso liturgico (ff. 1r-7v, 8r-10r17). Questi elementi, insieme alla presenza di numerosi medaglioni con busti di Domenicani nei margini inferiori (ad esempio ai ff. 267r, 280v, 390r e 533r) e ai frati che intonano un salmo nel Salterio (f. 257v), suggeriscono che essa sia stata commissionata per un convento domenicano da Roberto di Taranto, anch’egli raffigurato nel bas-de-page di f. 11r, con il falco in mano e uno sfondo con i gigli angioini. La gamma cromatica utilizzata da Orimina si va schiarendo nel corso dei decenni, fino a prediligere toni chiarissimi e luminosi di rosa, azzurro e giallo nelle opere degli anni Cinquanta, in cui si nota un assottigliamento delle figure, che si allungano sull’esempio della miniatura gotica francese. A questa fase si possono datare i fogli miniati superstiti del piccolo Salterio-Innario Vat. lat. 8183 (186 x 127 mm, 60 ff.), in cui i fregi marginali e la gamma cromatica confermano una datazione a questi anni18. L’altra Bibbia conservata in Vaticana (Vat. lat. 3550, i-iii) costituisce il più ambizioso dei progetti ideati dall’atelier di Orimina, sebbene – forse proprio per questo – non sia stata portata a termine. La Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), addirittura in tre volumi – ma il primo (Ottateuco-Re, 390x263 mm, ff. 206) è il solo a presentare miniature, mentre la decorazione filigranata prosegue nel secondo volume solo fino a f. 313v –, prevedeva un apparato illustrativo estesissimo, come dimostrano gli spazi lasciati vuoti dal copista Giorgio di Napoli, che ha completato la scrittura dei tre volumi nel maggio 1362

(iii, ff. 720v-721r). Il committente menzionato nel colophon è il celestino Matteo Planisio, identificato da Magrini con l’abate di Santo Spirito del Morrone (Sulmona), generale dell’Ordine per tre volte nel terzo quarto del secolo, la seconda (1360-1363) in coincidenza con la data della Bibbia19. Il suo stemma, non altrove testimoniato, ricorre pervasivamente nella decorazione marginale e le sue iniziali M P, insieme a varie combinazioni delle lettere del suo nome, sono presenti nella decorazione filigranata (ad es. ff. 44r, 48r) che in questo codice raggiunge livelli di raffinatezza straordinaria. Oltre alle lettere in inchiostro blu e rosso, arricchite dall’uso della foglia d’oro, in ogni pagina sono inserite fasce filigranate in oro e blu che riempiono l’intercolumnio e i margini superiore e inferiore, mentre in quelli verticali compaiono splendide formelle con motivi decorativi geometrici orientaleggianti20. L’abate celestino Matteo Planisio, del resto, è inserito nelle complesse iconografie che caratterizzano i due primi incipit: a f. 1r (Prologo di Girolamo), compare un monaco identificabile con Matteo, in ginocchio ai piedi di Celestino – con la tiara sospesa sul capo – mentre offre alla Trinità il volume rilegato in rosso. Nell’immagine della Genesi (f. 5v), la Trinità, in alto, porge un libro a un santo barbuto e uno a Celestino incarcerato, mentre Matteo è raffigurato in basso, in adorazione della Trinità, in posizione speculare rispetto ad Adamo ed Eva21. L’incipit della Genesi è il foglio più sontuoso dell’intero codice, poiché le scene, dalla Creazione fino al Lavoro dei Progenitori, incorniciano su quattro lati lo specchio scrittorio, con un’espansione dell’iconografia consueta nelle bibbie di Orimina comparabile solo con quella di Berlino (f. 4r), il cui progetto illustrativo è invece incentrato su grandi tabelle a piena pagina composte da diverse scene. La centralità della Trinità nel progetto illustrativo, evidente anche nella scelta di raffigurare il Creatore come Trinità bicefala e alata, è frequente nella miniatura di questo ambito, come nelle bibbie di Vienna, Berlino e Torino. Il progetto illustrativo del Vat. lat. 3550, solo in parte realizzato, vede una fortissima presenza delle miniature tabellari di forma rettangolare nel margine inferiore, in alternativa a due riquadri appaiati, poste ad arricchire con scene narrative l’episodio prescelto per segnalare l’incipit. Tale corredo non è limitato agli inizi dei libri biblici, come avviene in genere, poiché i riquadri sono posti in più punti all’interno dei libri: ad esempio il solo Libro della Genesi, in aggiunta alle immagini pre-

243

125-126


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

125-126. Scene della Creazione e della Genesi e drôleries, Bibbia di Matteo Planisio (Vat. lat. 3550, f. 5v).

127

senti sui due incipit (ff. 1r, 5r), comprende altri ventitré riquadri miniati (di cui due lunghi quanto lo specchio scrittorio) e altre quattordici iniziali istoriate. Il progetto, che prevedeva dunque centinaia di immagini distribuite nei tre volumi, non venne portato a termine e il manoscritto presenta immagini che mostrano le fasi successive di esecuzione: dal disegno preparatorio (ff. 127r, 128v-129r) all’inserimento della preparazione per l’oro, utilizzata in colore grigio scuro (f. 122r), all’applicazione della foglia d’oro (ff. 123v, 127v, 129v), alla stesura della tempera e delle lumeggiature e profilature (nei ff. 81v, 106r e 109r non sono completate alcune parti delle miniature; dal f. 121v manca del tutto la stesura della tempera; dopo il f. 130v scompaiono anche i disegni). Accanto ad alcuni riquadri Alexander ha notato una numerazione delle scene con numeri romani (ma sono usate anche lettere dell’alfabeto, a seconda dei libri), che indica l’uso di una serie di modelli22. Questi, certamente derivati dai cicli dell’Antico e del Nuovo Testamento affrescati da Giotto a Napoli23, permettono di spiegare la ripresa di formule iconografiche fortemente simili anche a distanza di decenni nelle diverse bibbie di Orimina. La Bibbia di Matteo Planisio è dunque l’ultima delle bibbie prodotte dal miniatore, che scomparve nella prima metà degli anni Sessanta, forse proprio nel corso dell’esecuzione di quest’opera. È tuttavia possibile ipo-

244

tizzare un’interruzione del suo lavoro anche prima della sospensione definitiva: avevo già segnalato la presenza di un collaboratore di Orimina, che sembra subentrare nel corso degli anni Sessanta come miniatore guida nel contesto napoletano, detto Maestro della Resurrezione Cini24. A un esame più accurato è evidente che tale miniatore, chiaramente distinguibile per forme raccorciate, varietà dei volti e vivacità della gamma cromatica, sostituisce Orimina già a partire dal f. 44r ed esegue tutti i successivi fogli miniati, eccetto sei, ancora completati da Cristoforo (ff. 52v-53r, 56v-57r, 67v-68r). Non è chiaro perché il secondo artista non abbia proseguito l’opera, ma forse, con la fine del secondo incarico di Planisio come abate generale nel 1363, vennero meno le condizioni per concludere un progetto così sterminato. Una possibile risposta allo stupore destato dalla committenza da parte di un abate del più sontuoso tra i progetti di illustrazione biblica elaborati presso la corte angioina è, infine, l’ipotesi che la Bibbia fosse stata commissionata come dono per la regina Giovanna i, come potrebbero suggerire le lettere R, I e G (Regina, Iohanna, Giovanna?), alternate a quelle che compongono il nome di Matteo nella decorazione filigranata (ff. 121r, 125r, 136v). L’incompletezza del progetto illustrativo giustificherebbe l’assenza di segnali più chiari di una destinazione regale, forse previsti in immagini di dedica non realizzate.

245


127. Scene dal Libro dei Numeri e drĂ´leries, Bibbia di Matteo Planisio (Vat. lat. 3550, ff. 81v-82r).

246

247


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Epoca gotica

128. Scene della Creazione e della Genesi e drôleries, Bibbia di Roberto di Taranto (Vat. lat. 14430, f. 14r).

Pagine seguenti: 129. Prologo di Girolamo, Bibbia aprutina (Vat. lat. 10220, f. 1r). 130. Battaglia dei Maccabei, Bibbia aprutina (Vat.lat.10220, f. 232r).

BIBBIA TERAMANA Vat. lat. 10220 Lola Massolo

130

248

Il Vat. lat. 10220 (371 x 253 mm; 427 ff.), più noto con il nome di Biblia aprutina, è vergato su due colonne in scrittura gotica rotunda e corredato da un ampio apparato illustrativo, composto da settantacinque miniature tabellari, centosessantaquattro iniziali variamente ornate, figurate e istoriate, e numerose iniziali minori filigranate alternativamente in blu e rosso che in più occasioni presentano, al termine delle code, figurine disegnate a penna che decorano una pergamena ben lavorata. Il manoscritto, prodotto in area teramana e datato al quinto decennio del xiv secolo, contiene i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento racchiusi in un unico volume. Aprendo il codice, l’attenzione del lettore viene subito catturata dai margini affollati, animati da nastri multicolore su cui posano piccoli animali e ibridi, alternati a dischetti in foglia d’oro e testine umane collocate entro gli occhielli che si sviluppano dal tralcio vegetale che corre lungo le bordure. In molti casi il miniatore reinterpreta delle vere e proprie scene di caccia di gusto tipicamente transalpino, una scelta che ben si accorda con la presenza di manoscritti francesi importati dai sovrani angioini nel territorio. Il legame tra gli Angiò e il contesto di produzione della Biblia è inoltre confermato dall’apparato araldico raffigurato sullo stendardo miniato all’interno di una scena di battaglia posta in corrispondenza di 1 Mac (f. 232r), interpretabile come un omaggio alla regina Giovanna i e in particolare come segno di adesione politica nei confronti del secondo marito Luigi di Taranto1. Merita inoltre attenzione il ciclo di immagini dedicate alle Epistole paoline che, poste erroneamente alla fine del Nuovo Testamento, sono organizzate in quindici scene tabellari in cui il miniatore, tramite l’inserimento di differenti elementi architettonici elaborati con consapevolezza prospettica, segnala al lettore i momenti di prigionia alternati a quelli di libertà che hanno contras-

segnato la vita dell’apostolo-martire2. Questa particolare scelta iconografica e il ricorso insistente ai riquadri miniati per introdurre le partizioni testuali, a discapito della più diffusa iniziale istoriata, allontanano il codice teramano da una prassi di costruzione della mise-enpage più comunemente adottata nei manoscritti biblici due-trecenteschi, se si escludono alcuni codici di ambito napoletano3. Il manoscritto Vat. lat. 10220 si presenta come un esemplare di lusso, caratterizzato da un linguaggio giottesco di marca adriatica, vivacizzato dall’impiego di una gamma cromatica ampia e raffinata, e dall’utilizzo di un vasto repertorio di drôleries di chiara derivazione transalpina. Il nome del miniatore che realizza l’apparato illustrativo è noto grazie alla sottoscrizione che corre in lettere d’oro nel margine inferiore del primo foglio: «Mutius Fra(n)cisci ca(m)bij de Teramo fecit». Tale formula viene completata dall’inserimento dell’indicazione topografica del miniatore, come avviene anche in altri manoscritti di area teramana e di cultura affine; si pensi a un codice giuridico conservato a Monaco (bsb, Clm 21505) e ricondotto alla medesima bottega famigliare di Muzio4, e al gruppo di fogli staccati da un Antifonario proveniente dalla chiesa di San Benedetto a Gabiano presso Giulianova e firmati da Berardo da Teramo (Venezia, Fondazione Giorgio Cini)5. Se la sottoscrizione del miniatore costituisce un elemento raro all’interno della produzione manoscritta di età medievale, in area abruzzese è invece una pratica sorprendentemente diffusa, come testimonia anche il Graduale per i canonici della basilica di San Pietro firmato da Guglielmo di Berardo da Gessopalena (Capp. Giulia xvii.2)6. I miniatori abruzzesi sembrano dunque prendere consapevolezza del loro ruolo, sottoscrivendo il loro nome in lettere auree ad apertura del codice; la realizzazione di cicli illustrativi complessi, generalmente riconducibili ai maggiori centri universitari europei specializzati nella diffusione di testi giuridici e biblici, configura l’area teramana come un luogo di produzione manoscritta significativo che attraversa un periodo di particolare fioritura durante il corso della prima metà del xiv secolo.

249

129


Bibbia. Immagini e scrittura

250

II. Area occidentale – Epoca gotica

251


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

AREA OCCIDENTALE IL RINASCIMENTO (XV SEC.)

LA BIBBIA IN ITALIA NEL RINASCIMENTO Federica Toniolo Nella storia dell’illustrazione della Bibbia, il xv secolo rappresentò un periodo di grandi sperimentazioni e innovazioni. La più importante fu la nascita della stampa a caratteri mobili, dalla Bibbia di Gutenberg alle edizioni di bibbie latine e in volgare edite a partire dal 1471 nelle tipografie della penisola italiana. Essa costituì una rivoluzione dal punto di vista della produzione in serie, e dunque della disponibilità dei testi, che comportò grandi novità anche per l’apparato illustrativo. Dopo un primo periodo di miniature realizzate a mano su alcuni esemplari a stampa nell’intento di mantenere l’unicità del libro, nacquero le immagini xilografate. Ma prima e dopo il nuovo processo di produzione, la Bibbia manoscritta continuò a essere realizzata e illustrata in modi molto diversificati1. Lo studio sulla composizione e disposizione dei volumi e dei loro contenuti nelle grandi biblioteche umanistiche, nate in osservanza alle disposizioni del Canone bibliografico di Tommaso Parentucelli, poi papa Niccolò v, ha mostrato l’importanza data al libro dei libri. I volumi dell’Antico e del Nuovo Testamento assieme alle bibbie glossate e ai diversi commenti e scritti a essi relativi erano disposti ai primi banchi della sezione latina dedicati alla teologia: così nella biblioteca vaticana delle origini, da Niccolò v a Sisto iv, nata sul modello di quella di San Marco a Firenze, e così anche nella biblioteca di Federico da Montefeltro2. L’attenzione dell’Umanesimo alla riscoperta del mondo antico classico e cristiano comportò inoltre, anche per il testo biblico, nuovi studi, che si concentrarono soprattutto sul recupero dell’esegesi patristica, come dimostra il lavoro di figure quali Ambrogio Traversari, Niccolò Niccoli e Giannozzo Manetti. Fu anche il secolo della produzione di bibbie in volgare, solitamente poco miniate, i cui testi troveranno grande diffusione con la stampa, che ne produrrà versioni ampiamente illustrate con numerose xilografie3. Manca ancora uno studio complessivo sulla storia dell’illustrazione dei manoscritti della Scrittura nei testimoni superstiti prodotti nella penisola italiana. Stando al materiale edito sembra però che gli apparati illustrativi delle bibbie manoscritte del Rinascimento non siano facilmente codificabili in consuetudini standardizzate e storicizzate come invece accadde per le bibbie atlantiche di età romanica o le duecentesche bibbie parigine e bolognesi4. La situazione risulta variegata e probabilmente assimilabile almeno per certi aspetti alla produzione trecentesca. Da un lato in-

252

fatti, come nel secolo precedente, anche nel Quattrocento alcuni esemplari di Vulgate dimostrano una certa continuità di scelte con la tradizione duecentesca, che prevedeva l’uso di lettere istoriate, figurate e decorate per ognuno dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e dei prologhi di Girolamo. Dall’altro – e anche qui le bibbie del xiv secolo mostrano dei precedenti illustri quali ad es. la Bibbia ricchissima di miniature commissionata dall’abate celestino Matteo Planisio nel 1362 (Vat. lat. 3550)5 o la Bibbia postillata del Duca di Berry miniata da artisti francesi attorno al 1380 (Vat. lat. 50-51)6 –, si sono conservati esemplari di lusso destinati ad abbienti committenze laiche e religiose con numerosissime miniature nelle lettere e nelle vignette, e con ricche figurazioni e decorazioni ai margini, dove viene esibita la magnificenza della committenza. Nella prima metà del xv secolo è possibile suggerire un confronto anche con i ricchi apparati illustrativi dei codici liturgici, quali messali e breviari, o dei libri d’ore realizzati in età tardogotica anche al nord delle Alpi, soprattutto riguardo la ripresa del grande spazio riservato all’illustrazione dei fregi dove, esulando dalla stretta relazione con il contenuto testuale, veniva esibito il mondo naturale e soprattutto veniva esplicitamente richiamata la paternità della committenza. In tal senso non possiamo non citare due codici assai famosi che vengono presi in considerazione per i loro contenuti in altre sezioni: la cosiddetta Bibbia di Nicolò iii d’Este, signore di Ferrara, realizzata dal miniatore Belbello da Pavia (Barb. lat. 613)7 e il Salterio cosiddetto del cardinal Bessarione, miniato dal Maestro del Breviario francescano tra il 1457 e il 1458 (Barb. lat. 585)8. Capolavori dell’età tardogotica ed entrambi realizzati da artisti di formazione lombarda, essi rappresentano, assieme alla Bibbia del cardinale Albergati (ybl, ms. 407), novità illustrative di rilievo. Belbello, ad esempio, apre l’Antico e il Nuovo Testamento con pagine recanti grandi riquadri figurati dedicati a Girolamo e alla Vergine e fregi sui quattro margini, vere e proprie cornici con gli stemmi estensi (f. 514r), mentre nel prosieguo dei libri inserisce le decorazioni nell’intercolunnio e privilegia la tipologia della vignetta, usata anche dall’equipe attiva per il cardinale Albergati nella Bibbia, dove la Genesi è narrata in piccoli riquadri posti in sequenza nella prima pagina. Colpisce in Belbello l’attenzione per gli sfondi o con riquadri alla francese o in lamina d’oro punzonata e incisa a creare ornati o sfondi naturali, ma soprattutto il disegno lineare e sinuoso dei panneggi delle figure, la forte espressività dei volti di Dio, dei santi e dei profeti, che si impongono all’occhio dell’osservatore per la capacità di rendere realistica una visione che è tutta mentale (f. 629r). Il Maestro del Breviario

francescano, nel grande formato del Salterio liturgico, dipinge fregi decorati e figurati che si aprono o in architetture gotiche contenenti personaggi o in spazi naturalistici con animali che ben attestano il debito verso l’ouvrage de Lombardie. Nelle iniziali il miniatore dà prova di una figurazione animata, coinvolgente e ricca di dettagli, anche relativi alla figura della committenza. Quanto queste nuove consuetudini abbiano inciso sulla miniatura del Rinascimento è elemento da verificare, ma il livello qualitativo fu certo modello per imprese successive. Ai miniatori della Bibbia di Borso d’Este, primo esempio di Bibbia rinascimentale in due volumi, realizzata tra il 1455 e il 1461 a Ferrara (beu, ms. Lat. 422-423), fu data come modello proprio una Bibbia francese, che è stata identificata con quella di Belbello9. Il fenomeno realmente peculiare delle bibbie miniate nella seconda metà del xv secolo è però il confronto con il nuovo codice umanistico, nato a Firenze e prontamente diffusosi in tutta la penisola italiana. Da esso i codici biblici derivano l’uso della nuova scrittura umanistica che, nella tradizionale mise-en-page a due colonne o più raramente in quello moderno dell’unica colonna, sostituisce a volte la testuale liturgica. Per quanto concerne l’illustrazione, i nuovi manoscritti dedicati ai Padri della Chiesa, agli autori latini o ai grandi autori italiani quali Petrarca e Dante, sembrano avere trasmesso anche ai manoscritti biblici, in particolari contesti, la nuova consuetudine di dare preminenza alle pagine d’apertura, spesso il prologo e il libro della Genesi. Qui tabulae e oculi sono usati per comprendere i titoli, la miniatura figurata è inserita entro elementi architettonici, e nelle pagine interne sono dipinte iniziali decorate di tipologia all’antica, poste a segnalare i prologhi, gli argomenti o la suddivisione dei capitoli. La costruzione prospettica e luminosa dello spazio, il realismo della narrazione e la memoria dell’antico, vere conquiste della pittura del xv secolo, vennero con felicità di esiti applicate nell’illustrazione delle storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, testimoniando al pari dell’arte monumentale le forti differenze delle culture figurative nelle diverse aree d’Italia, pressappoco corrispondenti a quelle di ciascuna Signoria, sebbene spesso tra loro interferenti per gli spostamenti dei miniatori e per la circolazione dei codici. Si assiste a un fenomeno che vede tra i maggiori committenti della Bibbia proprio i principi delle varie corti. Nella decorazione dei manoscritti si impongono gli stemmi, gli emblemi e le imprese del destinatario le cui virtù si rispecchiavano nei margini per il diletto del possessore ma anche per una esibizione pubblica. Riguardo la Bibbia di Borso d’Este, sappiamo dalla documentazione che era

conservata nelle stanze private dei duchi, veniva mostrata agli ambasciatori in visita alla corte estense e che, nel 1471, fu portata da Borso a Roma, quando si recò dal pontefice Paolo ii per ricevere l’ambito titolo di duca di Ferrara. Alle origini di molti di questi manoscritti, come provano, quando conservati, i documenti di contratto, vi è un impegno progettuale ed economico di grande rilievo che vede protagoniste molte figure: il committente, il concepteur e botteghe specializzate, anche laiche, in cui operano scrittori e miniatori. I maestri della Bibbia di Borso ebbero dal duca una casa nella quale lavorare assieme e furono controllati nei tempi delle consegne ma altresì nello standard qualitativo dai camerlenghi ducali Galeotto e Marco dell’Assassino. Precisissime sono le indicazioni per la Bibbia con Postille di Nicolò di Lira, una sontuosa opera in otto volumi comprensiva anche delle Sentenze di Pietro Lombardo (antt, ms. 161, 1-8) commissionata a Firenze dal principe Emanuele del Portogallo ma destinata al monastero gerosolomitano di Belém, testimoniate nel contratto siglato nel 1493 a Firenze dall’agente del committente Chimenti di Cipriano di Sernigi, cittadino e mercante della città medicea, e dal miniatore Attavante degli Attavanti10. Difficile determinare quanta libertà d’azione spettasse agli artisti che, come per altre tipologie di codici, dovevano essere guidati sia dagli spazi lasciati liberi dalla scrittura sia con indicazioni precise dei soggetti da illustrare. Va detto però che proprio la varietà delle scelte nelle bibbie del Rinascimento indica possibili riprese, per alcune figurazioni, da fonti visive a disposizione degli artisti, dalla pittura monumentale e dalla scultura, specie per le scelte ornamentali, e da taccuini di disegni presenti nelle botteghe. Ognuna delle seicento carte che compongono la Bibbia di Borso reca sul recto e sul verso fregi e vignette che illustrano in dettaglio e in successione le vicende del popolo eletto, seguendo con coerenza i testi e indicando la presenza di un ideatore iconografico. Allo stesso tempo, le scene vengono interpretate secondo uno spirito che si conforma agli ideali di vita della corte estense e che si confronta, nei paesaggi, nella struttura delle figure e nelle composizioni, con la cultura figurativa dei pittori attivi a Ferrara negli stessi anni, quali Cosmè Tura e Michele Pannonio. Le soluzioni illusionistiche adottate nei bas-de-page dei principi, carte d’apertura dei libri della Bibbia, traggono spunti dalla scultura donatelliana così come la fauna dipinta trova stringenti confronti con i disegni dei taccuini del pittore veronese Pisanello e del suo atelier presenti a corte. Così, i trenta grandi riquadri figurati che aprono i libri della Bibbia in due volumi di Federico da Montefel-

253


Bibbia. Immagini e scrittura

tro (Urb. lat. 1-2)11 sono stati letti come riprese dalle composizioni degli affreschi delle pareti della Cappella Sistina o da modelli grafici forniti da Domenico Ghirlandaio. Le figure sono infatti disposte a gruppi, allineate alla stessa altezza, in spazi definiti architettonicamente ma aperti verso lontani orizzonti, chiaramente pensati in parallelo alla pittura monumentale. Alcune delle caratteristiche sopra evidenziate sono testimoniate negli esemplari della Biblioteca Vaticana che qui si descrivono, tutti testimoni della Vulgata di Girolamo, presentata integralmente o solo in una sua parte, in lingua latina. Poco studiata è la Bibbia segnata Vat. lat. 1, un buon esempio di codice ancora legato a consuetudini dei secoli precedenti ma aggiornato alla cultura tardogotica cortese e internazionale. Contiene la Vulgata di Girolamo in un unico volume di medie dimensioni (372 x 260 mm) costituito da 522 fogli vergati su due colonne in testuale da un’unica mano che alla fine del Nuovo Testamento (f. 483v) appone la data 26 giugno 1454, rivelandoci anche il suo nome, quello di «Alexander Valerio quondam domini natali de confinio sancti raphaelis». Lo stesso anno è anche apposto alla fine dei nomi ebraici dove però il giorno è il 20 agosto (f. 520r), indicando come, per la scrittura delle interpretazioni dei nomi ebraici, da f. 484r a f. 520r, dunque 73 pagine, il calligrafo abbia impiegato quasi due mesi di lavoro. L’apparato illustrativo segue con grande coerenza dall’inizio alla fine un programma definito di grande ricchezza che prevede una iniziale figurata o istoriata per incipit di ognuno dei libri della Bibbia, con le sole eccezioni degli incipit di alcuni Libri dei Profeti minori e di alcune iniziali di lettere degli Apostoli che sono grandi ma solo decorate. Iniziali abbellite da fiori, foglie e nodi su campi esterni in oro aprono anche i prologhi e gli argomenti di Girolamo, mentre più piccole lettere in oro su campi alternati in rosso e blu filigranati di pennello, tutte con fregi, indicano i diversi capitoli dei libri. Lamine d’oro sono usate anche per le prime lettere dei libri, mentre i titoli dei capitoli nel margine superiore sono in rosso e blu. La lettera di Girolamo a Paolino e l’incipit della Genesi presentano carte racchiuse in cornici che contengono racemi verdi cosparsi di fiori e foglie su fondo in lamina d’oro o a filigrana di penna. Nei fregi che accompagnano le iniziali figurate, questo ornato a racemi si alterna a un’altra tipologia dove al posto dei racemi troviamo viluppi fogliati intervallati da teste di uccelli. Nella prima carta è miniato, nella F di «Frater», san Girolamo in atto di scrivere, mentre nel bas-de-page appare lo stemma centrale con il mo-

254

II. Area occidentale – Il Rinascimento

nogramma di Cristo ihs dipinto in un momento successivo assieme ai decori fogliacei che lo contornano, e al quale si affiancano le lettere R (?) o A (?) e V, iniziali del nome del committente o di un possessore. Le fotografie a infrarossi realizzate in questa occasione dal laboratorio fotografico della Vaticana hanno mostrato l’assenza di un blasone sottostante e, invece, evidenti segni di rasature sopra, sotto e attorno all’attuale stemma. A livello di ipotesi si potrebbe suggerire che lo stemma fosse stato lasciato vuoto ma che fossero stati realizzati elementi distintivi, ad esempio un cappello sopra, e ai lati delle nappe laterali, forse pensando a una destinazione per un alto prelato, un vescovo o un cardinale. Nel momento in cui venne dipinto lo scudo con il monogramma di Cristo, questi elementi vennero erasi e riempiti emulando i fregi originali. All’incipit della Genesi (f. 5r) l’iniziale I, costruita da cappi che formano sette medaglioni oblunghi, riunendosi all’estremità della lettera in raffinati intrecci, esibisce in ognuno di essi la raffigurazione di un giorno della Creazione: Dio padre benedicente, Dio separa le acque dalla terra, Dio crea le piante, Dio crea gli animali, Dio crea Adamo ed Eva, Dio benedice il creato. Al centro del margine inferiore della stessa pagina è dipinta entro vignetta la Crocifissione con la Vergine e san Giovanni posti ai lati della croce, seduti in paesaggio. Questa prima spia del ricorso a modelli illustrativi già attestati nelle bibbie gotiche viene ribadita dalle scelte iconografiche di tutte le altre quarantanove iniziali figurate o istoriate i cui soggetti visualizzano le prime parole del testo o un episodio saliente del libro. Tra le più significative, anche perché realizzate in più scene, ricordiamo: la partenza da Betlemme di Elimelech e Noemi con i figli raffigurati come viandanti (Rt, f. 99r); Re Ciro che ordina la ricostruzione del tempio (Esd, f. 170r); Ester che invoca Assuero e l’impiccagione di Aman (Est, f. 218r); oppure, tra i profeti, Isaia segato (Is, f. 270v), Ezechiele cui appare il tetramorfo (Ez, f. 317r), Daniele nella fossa dei leoni (Dn, f. 337r). Già presente nelle bibbie duecentesche è la scelta di porre nella lettera incipit del Cantico dei cantici la Madonna con il Bambino (f. 246v). Anche il Nuovo Testamento segue prassi consolidate con le immagini degli evangelisti nell’atto di scrivere accompagnati dai loro simboli (ff. 385v, 397r, 404v, 417v) o ritratti degli autori, quali Paolo con la spada alla lettera ai Romani (f. 428) e Giacomo con il libro alle Epistole Canoniche (f. 471v). La Vergine e gli evangelisti inondati dai raggi dello Spirito Santo sono dipinti agli Atti degli Apostoli (f. 458r), mentre l’Apocalisse si apre con san Giovanni allo scrittoio posto sullo sfondo dell’immagine della Gerusalemme celeste (f. 478r).

131

Lo stile dei fregi e delle iniziali indica un ambito di produzione veneziano e in particolare può essere avvicinato all’operato del Maestro del Pontificale Dandolo, cosiddetto dall’opera principale da lui eseguita, appunto un Pontificale realizzato tra il 1455 e il 1457 per il vescovo di Padova Fantino Dandolo (bcp, ms. C4812). Grazie a un documento di pagamento che cita il saldo per la miniatura del Pontificale «a un capelan de le done del Corpo di Christo», è stato giustamente evidenziato il legame di questo maestro con la miniatura lagunare e con lo scriptorium del Corpus Christi di Venezia, monastero cui Dandolo fu particolarmente legato tanto da contribuire alla costruzione della nuova chiesa e a essere ivi sepolto. Lo stile dell’artista è stato letto a confronto da un lato con la miniatura tardogotica lombarda e dall’altro con l’opera del miniatore veneziano Cristoforo Cortese. Inoltre il Maestro del Pontificale Dandolo dimostra una consuetudine con le opere dello scriptorium di San Michele di Murano, che i documenti testimoniano legato a quello delle suore del Corpus Christi, dove vennero rielaborati in chiave veneta modelli giunti da Firenze e in particolare dalla scuola di Santa Maria degli Angeli. Tra i caratteri che avvicinano la Bibbia Vat. lat. 1 al Pontificale Dandolo e alle altre opere attribuite al maestro o al suo ambito, quali l’Antifonario bcr, 59513 e parte delle miniature dei Corali oggi nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia a Venezia ma eseguiti per il Corpus Christi14, vi è l’apparato decorativo, dove troviamo, oltre alla vivace intonazione cromatica, motivi similissimi quali la filigrana con bottoni d’oro cigliati, le spighe dorate contornate da bozzoli colorati, i tralci terminanti con una T in lamina d’oro da cui si originano foglie tondeggianti, le fantastiche teste di uccelli che con lunghi becchi addentano le foglie o i racemi disegnati a penna, elementi presenti nei fregi delle iniziali figurate ma anche in quelli delle iniziali più piccole solo decorate. Anche le figure trovano confronti, soprattutto negli sguardi poco espressivi, con occhi velocemente delineati, nei gesti aggraziati e nella resa dei panneggi di gusto gotico non sempre coerente con la definizione plastica. Si vedano, ad esempio, gli angeli nel fregio dell’incipit della Genesi, vicini a quelli del fregio al f. 1r del Pontificale, o la figura di san Giacomo a confronto con i bamboleggianti vescovi che nel codice padovano celebrano i sacramenti, come quelli ai ff. 1r, 85v. Non troviamo nelle altre opere del corpus fino a oggi conosciute i fregi a racemi verdi che sembrano indicare una conoscenza della miniatura nordica, olandese e tedesca. Essi potrebbero essere spia o della collaborazione di un altro maestro o, meglio, di una esecu-

zione del Vat. lat. 1 precedente rispetto alle opere fin qui conosciute. Nella stessa Bibbia sembra leggersi un’evoluzione: le iniziali decorate a corpo rosa della seconda parte sono biaccate come in Cortese e appaiono, specie nelle iniziali decorate grandi, motivi vicini a quelli delle iniziali del Pontificale. A volte vi sono elementi che indicano la ripresa veneziana dei modelli toscani, quali punte di diamante, nodi, grandi fiori, composizioni simmetriche di foglie e l’anello interno delle iniziali in oro applicato a pennello. L’appartenenza ad area veneziana delle miniature consente, assieme alla definizione tipicamente veneziana in confinio e alla scrittura caratteristica dell’Italia settentrionale, di suggerire una possibile identità dello scriptor. Potrebbe trattarsi di Alessandro Valier, figlio di Nadal, già membro del Maggior Consiglio nel 1449, appartenente al ramo della famiglia che risiedeva nella parrocchia di San Raffaele o Agnolo Raffaele posta nel Sestriere di Dorsoduro (mcv, Cicogna 250415). Rimane per ora sconosciuta la prima destinazione del codice, presumibilmente appartenuto a un personaggio il cui nome doveva principiare con R (?) o A (?) e V e di cui forse era dipinto anche lo stemma, poi nascosto dalla ridipintura blu con il monogramma di Cristo che deve essere stata eseguita prima dell’arrivo del codice in Vaticana. La segnatura Vat. lat. 1 indicherebbe un ingresso precedente all’inventariazione di Domenico Ranaldi del 1597, avvenuta dopo il passaggio, sotto il pontificato di Sisto v, dalla vecchia biblioteca alla nuova Sistina16. Completamente diversi per tipologia e illustrazione sono l’Evangeliario di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 10), e la cosiddetta Bibbia di Ottaviano Ubaldini (Urb. lat. 548), manoscritti giunti in Vaticana nel 1657. Essi, assieme alla sontuosa Bibbia in due volumi (Urb. lat. 1-2)17, vero manifesto della cristianità del principe, e al Salterio trilingue (Urb. lat. 9)18, testimoniano l’altezza di esiti raggiunta anche nel codice biblico dalla committenza del duca urbinate19. Entrambi sono vergati in antiqua umanistica e su una sola colonna dall’abile mano di Matteo Contugi da Volterra, calligrafo attestato a Urbino nel 1477 ma probabilmente già in città verso il 1475, precedentemente attivo per i Gonzaga di Mantova e per gli Estensi di Ferrara, al quale viene riconosciuto un ruolo di tramite per l’arrivo alla corte urbinate dei miniatori Guglielmo Giraldi, con il nipote Alessandro Leoni, e Franco dei Russi, protagonisti della miniatura ferrarese degli anni di Borso d’Este. Essi miniarono, a partire dal 1474 e fino alla morte del duca d’Urbino avvenuta nel 1482, alcune delle opere più sontuose di Federico quali il prestigioso Dante Urbinate (Urb. lat. 365), la miniatura d’apertura dell’Eneide nel

255


Bibbia. Immagini e scrittura

132

Virgilio (Urb. lat. 350, f. 45v) ma anche gli Urb. lat. 10 e 54820. Nell’illustrazione di questi codici trova la sua più matura manifestazione il linguaggio rinascimentale nella sua accezione ferrarese, attenta alla costruzione dello spazio per via di disegno e di luce, all’espressività, al rovello formale e alla vivezza del colore. I motivi di ornato, come la filigrana a penna con fiori e foglie multicolori, i bianchi girari e i cappi intrecciati, sebbene usati anche nei codici fiorentini acquisiti da Vespasiano da Bisticci, si contraddistinguono nei manoscritti urbinati miniati dagli artisti ferraresi e padani per caratteri precipui nelle scelte cromatiche, nei fiori stilizzati, nella corposità e nel naturalismo dei tralci. Nelle pagine miniate dal mantovano Franco dei Russi appaiono quelle componenti antiquarie e illusionistiche della miniatura veneta che l’artista aveva sperimentato nella sua attività tra Padova e Venezia, successiva agli esordi ferraresi. L’Evangeliario di Federico da Montefeltro, che un tempo aveva una preziosa legatura «In serico aureo, munitum argentum» perduta ma testimoniata dall’Indice Vecchio, primo inventario della biblioteca urbinate (Urb. lat. 1761), sembra aver tratto la sua origine da Vangeli dell’età carolingia realizzati per imperatori e abati su modelli paleocristiani, di cui almeno un esemplare, l’Urb. lat. 3, realizzato nel ix secolo e noto come Evangeliario di Lotario, era conservato nella raccolta di Urbino. Ad attestare l’interesse che ai tempi di Federico venne riservato al vetusto codice carolingio è l’indicazione del contenuto del codice: «Evangelia quatuor evangelistarum cum canonibus Amonii et Eusebii codex antiquus», vergata in superbi caratteri umanistici in un foglio di guardia oggi incollato nel piatto anteriore dell’Urb. lat. 3. La ripresa del modello dai codici antichi è palesata dalla sequenza e dai contenuti del testo, che comprende le tavole dei Canoni, l’Epistola di Girolamo, le prefazioni ai quattro libri dei Vangeli e il Capitulare Evangeliorum. Anche le scelte illustrative sembrano echeggiare, seppure con stile rinascimentale, modelli del passato21. Innanzitutto i Canoni eusebiani, come nei Vangeli paleocristiani e poi carolingi, sono inclusi entro grandi arcate a tutto sesto, alternativamente in numero di tre e di quattro, realizzate in oro, rosso e blu con capitelli ionici stilizzati. Inoltre, a incipit di ogni Vangelo, due pagine si affrontano creando una sorta di dittico: a sinistra appare il titolo entro cornici rettangolari ornate a filigrana con fiori e foglie, mentre a destra, dove principia il testo vero e proprio, una miniatura di formato grande, posta anch’essa entro cornice o entro edicole architettoniche, ritrae a piena figura l’evangelista collocato in un paesaggio

256

II. Area occidentale – Il Rinascimento

e intento a scrivere con a fianco il suo simbolo. Il rilievo dato agli evangelisti e ai loro simboli potrebbe richiamare consuetudini figurative antiche. Più convenzionale, ma pienamente in linea con scelte di codici umanistici, è la carta del Prologo di Girolamo (f. 10r). Qui l’iniziale con Girolamo nello studio e il principio del testo sono inclusi entro una cornice a tralci bianchi ottenuti a risparmio, un ornato usato nei primi codici umanistici fiorentini di inizio Quattrocento e chiamato nei documenti contemporanei “a bianchi girari”, che costituisce una elaborazione delle iniziali a tralci altomedievali e romaniche. Esso è ripetuto anche nelle iniziali poste in apertura dei capitoli dei Vangeli. Nella stessa cornice si aprono tondi con lo stemma comitale di Federico con ai lati le lettere «fe dux» e le imprese del duca tra cui quelle della giarrettiera e dell’ermellino, che indicano una esecuzione posteriore al 1474 e palesano la statura del committente, uomo d’arme e di fede. Da sempre la critica ha giustamente ricondotto le miniature all’officina padana e ferrarese attiva a Urbino. A Guglielmo Giraldi spettano certamente il san Girolamo del prologo, vicinissimo al san Girolamo miniato nella Bibbia della Certosa di Ferrara (mcf, ms. OA 1346, c. 6v), opera documentata dell’artista, il san Matteo, vero omaggio a Cosmè Tura, e il paesaggio, stilisticamente assai prossimo alle opere autografe del miniatore (f. 20r). Forme molto vicine a Giraldi, ma più rilasciate nel panneggio, fanno invece pensare per il san Marco (f. 75r) a un intervento di aiuto, forse di Alessandro Leoni, cui si potrebbe attribuire anche lo sfondo blu stellato e filigranato, una scelta più arcaica e più semplice di quella adottata per gli altri evangelisti, usata molto nei Corali della Certosa ferrarese dove Giraldi è affiancato dalla bottega e dal nipote (mcf, ms. OA 1344, c. 107v). Anche l’aureola piatta, ben diversa da quella in scorcio del san Matteo, concorre ad attenuare l’effetto prospettico. Le pagine dedicate agli evangelisti Luca e Giovanni (f. 114r e 175r), rivelano immediatamente la loro diversità nella rinuncia alla semplice cornice, sostituita da raffinate edicole architettoniche. Si tratta di invenzioni, quali l’uso di tratteggiare in azzurro lo sfondo per accentuare il rilievo delle edicole o scrivere le prime parole del testo su una pergamena arrotolata, che possono essere di mano di Franco dei Russi che, dal 1462, dopo l’esperienza ferrarese, lavorò per molti anni in Veneto. I confronti sono ad esempio con la Gratulatio di Bernardo Bembo a Cristoforo Moro (bl, Add. ms. 14787) e con le Epistolae di Libanio nella traduzione di Francesco Zambeccari in Vaticana (Urb. lat. 336), realizzato da Franco per la bi-

133

134

blioteca di Federico tra il 1474/1475 e il 1482. A Franco è stata attribuita anche la miniatura con san Luca e il toro nel paesaggio, molto vicina invero a Guglielmo Giraldi e al Leoni, nel fare propria la veemenza espressiva mutuata dal pittore Cosmè Tura. Ha invece caratteri diversi, più vicini all’opera di Andrea Mantegna, la miniatura dedicata a Giovanni. La scena è ambientata sull’isola di Patmos e occupata dall’evangelista che, seduto con accanto l’aquila, sta scrivendo il Vangelo. Alle sue spalle è descritta una città arroccata sul monte, che ha rocce erte e dirupate, vero omaggio alle vedute e alle stratigrafiche rocce di Mantegna; sullo sfondo a destra si apre invece una splendida marina con navi e porto e, in alto, il cielo azzurro con i sette candelabri. Vi è dunque una chiara volontà di insistere sul ruolo di Giovanni quale autore del libro dell’Apocalisse. La resa salda e luminosa e sapientemente scorciata della figura dell’evangelista, il paesaggio con rocce erte e dirupate e l’uso di rilevare le forme con oro applicato a pennello hanno indotto la critica a pensare che qui sia attivo un miniatore mantovano, forse quel Pietro Guindaleri che eseguì per Ludovico Gonzaga il manoscritto con la Naturalis Historia di Plinio, vergato da Matteo Contugi e dipinto in un lungo arco di tempo tra il 1463 e il 1506 (bnu, ms. j.i. 22-23). A Guglielmo Giraldi e Franco dei Russi viene attribuita anche la decorazione dell’Urb. lat. 548, un codice di più piccolo formato (245 x 150 mm) contenente i libri biblici di Salomone con le lettere e i prologhi di Girolamo. Sottoscritto dal Contugi al f. 329v, venne miniato, come testimoniano gli stemmi ai ff. 14v e 21r, per Ottaviano Ubaldini della Carda (1422/1423-1498), probabilmente in anni vicini a quelli d’esecuzione dei Vangeli. Ottaviano, vero alter ego di Federico sia nella conduzione del regno che nella cura e nell’allestimento della biblioteca, dimostra in questa committenza di condividere le scelte illustrative di gusto antiquario22. Di chiara matrice veneta, e attribuita alla mano di Franco dei Russi, è la scelta di aprire il manoscritto con un vero e proprio frontespizio architettonico nel quale, entro una stele di colore porpora inserita in festoni a candelabre e poggiante su base in simil scultura con un’aquila e cornucopie in camaieu d’or, sono iscritti in capitale dorata i titoli dei libri contenuti nel volume. Lo sfondo su cui è campito il monumento è, come nelle miniature dei Vangeli di Federico, realizzato a sottile tratteggio di colore blu. Lo stesso vocabolario antiquario è usato nel fregio della pagina d’apertura dei Proverbi dove, al centro, due putti reggono lo stemma Ubaldini, e dove l’iniziale figurata P di «Parabole» mostra, di mano

di Guglielmo Giraldi, la scena di re Davide in trono intento a benedire il giovane Salomone, posti entrambi nel primo piano di un paesaggio che si estende in profondità aprendosi in una veduta marina. Nella stessa carta, inserita entro decori in lamina d’oro, sono dipinti altri quattro angeli musici bambini e nudi, due oculi con animali e due preziose composizioni di gioielli. Quattro grandi iniziali in oro e fregi a bianchi girari che si prolungano lungo un margine aprono gli altri libri contenuti nel codice: Qo (f. 101r), Ct (f. 125v), Sap (f. 139r), Sir (f. 192v). Il ductus dei racemi, la regolarità del loro intreccio, le terminazioni fogliacee a cespo e il timbro cromatico dei lacunari le avvicinano a quelle realizzate dalla stessa équipe nel Dante urbinate. Più piccole iniziali in oro entro riquadri in blu e verde aprono i capitoli dei libri. Raffinata e di modulo grande è la scrittura umanistica di Matteo Contugi, che opera in oro nelle rubriche e nelle cifre romane dei capitoli, e lascia ampi margini ai lati del testo. Purtroppo non sappiamo molto sull’uso di questi codici di lusso, nei quali l’illustrazione non indugia nella narrazione dettagliata della storia sacra ma piuttosto privilegia l’impatto visivo di una grande scena miniata, il richiamo all’antico, il riferimento al possessore e la chiarezza della suddivisione testuale. Vi è inoltre la preferenza per l’immagine dell’autore che, attraverso la sua fede, si fa tramite della verità della parola divina. Per i Vangeli di Federico potremmo supporre, anche per il formato imponente del volume (405 x 256 mm), un uso pubblico in cerimonie solenni, e per la Bibbia di Ubaldino un uso personale. Entrambi i volumi erano però contenuti in una biblioteca e trovavano dunque la loro ragione d’essere in un progetto più ampio di conoscenza e di significato simbolico, del quale i testi biblici erano parte fondante. Altro centro di produzione di interesse è Napoli. Purtroppo non ci sono rimasti i manoscritti di bibbie in latino, francese e volgare che gli inventari documentano essere appartenuti alla biblioteca di Alfonso il Magnanimo ancora prima della sua elezione a duca23. Dei suoi interessi per l’argomento fa fede il fatto che a lui sia dedicata la traduzione del Salterio di Giannozzo Manetti, di cui in Vaticana è conservato un sontuoso esemplare appartenuto al segretario di Ferdinando, l’umanista Antonello Petrucci (Pal. lat. 41)24. Anche in questo caso è palese la ripresa antiquaria: il testo è scritto su tre colonne da Pietro Ursuleo da Capua e miniato con sontuose iniziali a bianchi girari. Il Salterio illustrato da Matteo Felice (Vat. lat. 3467)25 è invece documento del codice di lusso per la preghiera pubblica o privata della committenza.

257


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

131. Iniziale con la Creazione e fregio con angeli e la Crocifissione, Genesi, Bibbia (Vat. lat. 1, f. 5r). 132. Archi dorati e policromi, Tavole Eusebiane, Evangeliario di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 10, f. 1r).

258

259


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

133. Iniziale con Girolamo nello studio e fregio con stemmi ed emblemi, Prologo di Girolamo ai Vangeli, Evangeliario di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 10, f. 10r). 134. Iniziale con Re Davide e Salomone entro cornice a candelabro con stemma, Proverbi, Bibbia di Ottaviano Ubaldini (Urb. lat. 548, f. 21r).

260

261


Bibbia. Immagini e scrittura

MANOSCRITTI BIBLICI FIORENTINI NELLA BIBLIOTECA DI FEDERICO DA MONTEFELTRO A URBINO Ada Labriola La collezione di manoscritti di Federico da Montefeltro (1422-1482) nel Palazzo Ducale di Urbino, una delle più spettacolari raccolte librarie signorili del Quattrocento, riveste un carattere eccezionale sotto molti punti di vista. In primo luogo, è giunta fino a noi sostanzialmente integra: si conserva nel Fondo Urbinate della Biblioteca Vaticana, dove arrivò il 4 dicembre 1657 per volontà di papa Alessandro vii. Frutto della diretta committenza di Federico, la collezione raggiunse la consistenza di circa novecento manoscritti, divisi in tre sezioni linguistiche (latina, greca, ebraica), puntualmente descritte nel primo inventario, il cosiddetto Indice vecchio, compilato dal bibliotecario Agapito da Urbino intorno al 14871. Federico, figlio naturale di Guidantonio da Montefeltro, era divenuto signore di Urbino nel 1444, dopo l’oscura uccisione del fratellastro Oddantonio. I successi militari e diplomatici garantirono le entrate finanziare necessarie per attuare un’importante politica di mecenatismo artistico e culturale, di cui la stessa biblioteca fu una testimonianza prestigiosa. Come dichiarò il suo più celebre biografo, il libraio-imprenditore fiorentino Vespasiano da Bisticci, Federico coniugò l’abilità di condottiero agli interessi in ogni campo del sapere e alla liberalità nei confronti di artisti e letterati: «Tutte le cose che ebbe a fare, le fece fare in superlativo grado, per intendere come egli faceva»2. Il 23 agosto 1474 papa Sisto iv conferì a Federico il titolo ducale e la nomina a Gonfaloniere dello Stato della Chiesa: lo stemma comitale, a fasce alternate azzurre e oro, si fregiò allora della corona e delle insegne papali (tiara e chiavi decussate). Nei frontespizi miniati dei codici urbinati il cambiamento araldico trovò immediata applicazione ed è così possibile dividere la formazione della raccolta in due grandi fasi: la più antica tra il 1447/1448 e il 1474, la seconda tra la fine di quest’ultimo anno e la scomparsa del duca nel settembre 1482. Vespasiano da Bisticci fu il principale fornitore della biblioteca di Urbino e l’organizzatore della sezione fiorentina, a cui lavorò a partire dal 1467-1468. Per l’allestimento della straordinaria raccolta di manoscritti furono impiegati più di cinquanta copisti3 e i maggiori protagonisti della miniatura a Firenze: da Francesco di Anto-

262

II. Area occidentale – Il Rinascimento

nio del Chierico ad Attavante, da Francesco Rosselli ai fratelli Gherardo e Monte di Giovanni4. I manoscritti, prodotti da Vespasiano o acquisiti per suo tramite dal signore di Urbino, sono non meno di trecento, circa un terzo dell’intera collezione. Vespasiano dedicò la Vita di Federico, scritta nel 1482 o poco dopo, al giovane figlio e successore Guidubaldo; l’esemplare di dedica fu miniato nella bottega di Attavante (bgr, Sc-Ms. 94)5. Gran parte della biografia è riservata alla descrizione della biblioteca (costata complessivamente più di 30.000 ducati): Vespasiano elencò tutti gli autori e le materie in essa contenuti, elogiò la sua completezza e perfezione e la sua unicità tra le contemporanee raccolte librarie italiane e straniere. Federico si rivolse a Firenze quando decise di dare un nuovo impulso e una coerente struttura culturale alla sua collezione di manoscritti, caratterizzata fino al settimo decennio del Quattrocento da acquisti occasionali. A Firenze, già da un ventennio Cosimo il Vecchio de’ Medici aveva dotato il convento domenicano di San Marco della prima biblioteca pubblica fiorentina, e per organizzarla aveva affidato a Tommaso Parentucelli, l’umanista vescovo di Sarzana (futuro papa Niccolò v dal 1447 al 1455), il compito di stilare «una nota come aveva a stare una libreria»6. Il “canone bibliografico” di Tommaso Parentucelli divenne esemplare e fu adottato nella stessa biblioteca del signore di Urbino. Questa adozione si deve certamente a Vespasiano, in particolar modo nella più ampia sezione latina (656 manoscritti), che venne così ad acquisire una chiara struttura tematica e cronologica. La serie che apriva la biblioteca (a Urbino come già nel convento di San Marco e nella stessa collezione vaticana di Niccolò v) era quella dei codici sacri e, al suo interno, la gerarchia cronologica prevedeva una triplice divisione: testi biblici, patristici e scolastici (teologi d’età gotica e moderna). La serie dei libri sacri latini contava nel suo complesso 204 manoscritti: i primi venti erano fondamentalmente testi biblici, mentre – in accordo con i prevalenti interessi dell’Umanesimo fiorentino – i testi dei Padri della Chiesa (104) superavano quelli dei teologi più recenti (80). Che Federico partecipasse attivamente al lavoro di Vespasiano è documentato da una lettera del gennaio 1473 in cui chiedeva a Lorenzo de’ Medici di facilitare il prestito dei codici del convento di San Marco al suo libraio di fiducia, affinché questi potesse trarne copie da inviare a Urbino7. La serie sacra si apriva con la splendida Bibbia fiorentina in due volumi (Urb. lat. 1-2), contenente il testo

136

canonico della Vulgata. Sebbene manchi nella raccolta urbinate l’opera che aveva inaugurato a Firenze il metodo filologico applicato alle Sacre Scritture8, Vespasiano riuscì a procurare a Federico le nuove versioni del Salterio e del Nuovo Testamento approntate da Giannozzo Manetti, il principale esponente degli studi biblici fiorentini (Urb. lat. 5; Urb. lat. 6). Era stato proprio papa Niccolò v a promuovere l’impresa di una nuova traduzione della Bibbia, filologicamente corretta perché compiuta direttamente sui testi in lingua originale: un compito che egli affidò a Giannozzo Manetti (conoscitore di greco ed ebraico), ma che fu portato a termine soltanto in parte. Dopo la morte del papa (1455), Manetti ultimò la traduzione latina del Salterio dall’ebraico e quella del Nuovo Testamento dal greco: due testi dalla diffusione limitata, di cui i manoscritti Urb. lat. 5 e Urb. lat. 6 sono testimoni importanti9. Alla traduzione del Salterio Manetti aggiunse un testo in difesa del suo lavoro filologico (Apologeticus), dedicando entrambe le opere ad Alfonso d’Aragona re di Napoli, la città dove egli morì nel 1459. Per la realizzazione dei due codici urbinati, Vespasiano – che di Giannozzo era stato discepolo e amico – potè attingere facilmente alle copie di studio ancora conservate nella biblioteca di casa Manetti, da lui frequentata grazie al legame che lo univa al figlio Agnolo10. La formazione della serie biblica urbinate ebbe dunque una forte impronta fiorentina. In rapporto con gli studi di Giannozzo Manetti si colloca anche il primo manoscritto biblico prodotto da Vespasiano per Federico: il Salterio trilingue datato 1473 (Urb. lat. 9), considerato dal libraio uno dei codici più notevoli della collezione. Il testo (in latino, greco ed ebraico) si dispone su tre colonne di scrittura. La versione latina della Vulgata è vergata in scrittura gotica. La scrittura greca è attribuita a Giovanni Scutariota, un copista che al servizio di Giannozzo Manetti aveva prestato a Firenze la sua opera nel quinto decennio del secolo11. La versione ebraica è firmata nel colophon da Aaron figlio di Gabriele, ed è datata 4 aprile 147312. Nel colophon ebraico (f. 192v), Federico conte di Urbino è citato quale committente dell’opera: una menzione rara nel suo cospicuo gruppo di codici fiorentini (la ritroveremo nelle sottoscrizioni finali dei due volumi della Bibbia Urb. lat. 1-2), spiegabile forse alla luce della preziosità del Salterio, scritto nelle tre lingue che connotavano l’intera raccolta libraria. Il trilinguismo contestualizza le scelte illustrative elaborate nella prima pagina (f. 1r): l’iniziale d’incipit

della versione latina contiene la tradizionale raffigurazione di Davide col Salterio; in stile neobizantino ci appare la raffinata decorazione della lettera greca (come anche quella della fascia ornamentale dipinta tra le due colonne di scrittura); una sobria e aniconica iniziale caratterizza la versione ebraica. Autore delle miniature è il cosiddetto Maestro del Salterio di Federico da Montefeltro, l’artista fiorentino maggiormente coinvolto nella decorazione dei codici urbinati. I manoscritti da lui miniati presentano pagine incorniciate da eleganti bordure floreali, con tipici putti piccoli e paffuti, in rapporto con l’arte di Francesco di Antonio del Chierico. Albinia De la Mare13 lo definiva un miniatore-decoratore, uno “shop illuminator”, cioè un miniatore di bottega al diretto servizio di Vespasiano; in alcuni codici egli tuttavia estese il suo intervento, dipingendo, come nel Salterio, anche iniziali figurate14. Un diverso maestro fu forse responsabile del grande clipeo circondato da un festone floreale (Urb. lat. 9, f. iiv): nella fascia a monocromo spuntano lateralmente due testine, mentre una terza in alto (barbata e con corona) potrebbe essere identificata con re Davide. Il clipeo racchiude il titolo dell’opera, scritto in caratteri epigrafici a righe alternate blu e oro: un vero e proprio “marchio di fabbrica” dei manoscritti fiorentini prodotti per Federico. Anche le già menzionate nuove traduzioni bibliche di Giannozzo Manetti furono miniate dal Maestro del Salterio di Federico, in una fase della sua attività successiva all’agosto 1474. Nella pagina iniziale del Salterio, tradotto in latino «de hebraica veritate» (Urb. lat. 5, f. 7r), ritroviamo le sue tipiche bordure floreali e, ai lati dello stemma ducale, i caratteristici putti, ora connotati da un modellato più morbido e da delicate ombreggiature. Un identico repertorio ornamentale fu adottato dal miniatore in un altro codice appartenente alla serie biblica urbinate (Urb. lat. 8: Gioacchino da Fiore, Liber Concordantiae Novi et Veteris Testamenti), ma anche nel manoscritto manettiano Urb. lat. 387, che contiene una raccolta dei testi di Giannozzo e fu inoltre vergato dallo stesso anonimo copista fiorentino del Salterio Urb. lat. 515. La scrittura del Nuovo Testamento, nella traduzione latina di Giannozzo «de grecanica veritate», fu affidata da Vespasiano a Giovanfrancesco Marzi da San Gimignano (Urb. lat. 6). Nel codice – che presenta un corredo illustrativo più ampio e articolato rispetto ai volumi sin qui esaminati – il Maestro del Salterio di Federico fu prevalentemente responsabile dell’apparato decorativo, mentre a un collaboratore della bottega di France-

263


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

135. Vangelo di Matteo, Nuovo Testamento tradotto in latino da Giannozzo Manetti (Urb. lat. 6, f. 2r).

135

137

138

sco di Antonio del Chierico si devono le immagini degli evangelisti, di san Paolo e il ritratto dello stesso Manetti, dipinto in un medaglione nel frontespizio (ff. 2r, 33r, 53r, 89r, 114r). Furono tuttavia i due volumi della Bibbia (datati rispettivamente 25 febbraio 1477 e 12 giugno 1478) gli esemplari che rappresentarono in sommo grado la magnificenza del signore di Urbino (Urb. lat. 1-2). Il colophon dei due volumi celebra Federico duca nel suo duplice ruolo di uomo d’arme e di virtuoso signore cristiano. Vespasiano eccezionalmente fece includere il suo nome nel colophon del secondo volume; a lui possiamo riferire la regia del ricchissimo apparato illustrativo, ma probabilmente anche quella del complesso programma iconografico, nell’ambito di interessi biblici e patristici maturati in rapporto con Giannozzo e Agnolo Manetti16. Ai modelli romanici delle bibbie atlantiche – riportati in auge dagli umanisti fiorentini – si ispirarono le pagine di apertura dei due tomi (con i titoli in caratteri epigrafici entro tabelle rettangolari) nonché il loro stesso formato monumentale. Grandi riquadri narrativi sono dipinti all’inizio dei vari libri biblici, nella parte superiore delle pagine; altri riquadri di piccole dimensioni, insieme a iniziali istoriate e decorate, illustrano il testo17. Fa eccezione l’incipit della Genesi (Urb. lat. 1, f. 7r), dove la tradizionale raffigurazione degli episodi della Creazione entro medaglioni fu eseguita da Francesco di Antonio del Chierico, l’autore del maggior numero di miniature bibliche. A lui si devono scene pervase da una luminosità tersa e animate da un disegno vibrante, come l’ingresso degli Ebrei in Egitto (Urb. lat. 1, f. 27r), in sintonia con la pit-

264

tura di Alessio Baldovinetti. Anche Attavante svolse un ruolo da protagonista, dipingendo grandi riquadri narrativi e la pagina iniziale del Prologo di san Girolamo al Salterio, con effetti di sontuosa preziosità ornamentale (Urb. lat. 2, f. 2r). Nonostante la presenza di miniatori diversi (tra cui vanno ricordati Francesco Rosselli e il Maestro del Senofonte Hamilton), l’opera rivela una forte coerenza illustrativa che gli studi generalmente propongono di ricondurre all’utilizzo di modelli grafici forniti dalla bottega di Domenico e David Ghirlandaio18. Il loro linguaggio classicheggiante e ornato fu un referente importante sia per lo stesso Attavante che per i miniatori responsabili di numerosi riquadri narrativi, tra cui il Matrimonio di Osea (scena dipinta da un anonimo autore, il Maestro del Matrimonio di Osea, ma già attribuita a Bartolomeo di Giovanni, collaboratore della bottega ghirlandaiesca), una delle più belle raffigurazioni della Bibbia, l’unica a essere racchiusa da un’elaborata cornice in stile classico con paraste marmoree sovrastate da un fregio bronzeo cesellato (Urb. lat. 2, f. 151v). La Bibbia di Federico, scritta dal copista di origine francese Hugo de Comminellis in littera antiqua, fu il modello per la produzione a Firenze di analoghi esemplari di lusso e di destinazione regale, dalla Bibbia per il re ungherese Mattia Corvino (bml, Plut. 15.15-16-17) a quella del re Emanuele i di Portogallo (antt, mss. CF 161/1-7)19. Fu una delle opere più eclatanti realizzate dai miniatori fiorentini nell’ultimo quarto del secolo e l’ultima grande impresa di Vespasiano per il signore di Urbino, prima del ritiro dalla professione che lo aveva reso celebre tra i bibliofili italiani ed europei20.

139

140

265


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

Pagine seguenti: 137. Scene della Creazione, Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 1, f. 7r). 138. Ingresso degli Ebrei in Egitto, Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 1, f. 27r). 139. Prologo di Girolamo al Salterio, Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 2, f. 2r). 136. Clipeo con titolo e frontespizio, Salterio di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 9, ff. IIv-1r).

266

140. Matrimonio di Osea, Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 2, f. 151v).

267


Bibbia. Immagini e scrittura

268

II. Area occidentale – Il Rinascimento

269


Bibbia. Immagini e scrittura

270

II. Area occidentale – Il Rinascimento

271


Bibbia. Immagini e scrittura

II. Area occidentale – Il Rinascimento

141. Crocifissione e Storie della vita di Cristo, Salterio con stemma Carafa (Vat. lat. 3467, ff. 176v-177r), dettaglio.

I SALTERI DI ALFONSO V D’ARAGONA E DIOMEDE CARAFA Pal. lat. 41 e Vat. lat. 3467 Gennaro Toscano Alfonso v d’Aragona (1396-1458), detto il Magnanimo, è stato senza dubbio uno dei più grandi bibliofili del Quattrocento. Negli ultimi anni della sua vita, il monarca organizzò a Napoli, in Castel Nuovo, una prestigiosissima biblioteca di corte, emblema della sua humanitas1. La vita di Alfonso il Magnanimo scritta da Vespasiano da Bisticci, il noto libraio fiorentino, rimane una fonte preziosa per capire le scelte culturali di questo sovranoumanista. Oltre che essere grande collezionista e appassionato lettore di testi classici e umanistici, il monarca aveva infatti una profonda conoscenza delle Sacre Scritture, testimoniata da Vespasiano che scrisse: «Egli fu literato, et molto si dilettò della Scrittura Sancta, et maxime dela Bibia, che l’aveva quasi tutta a mente»2. All’età di soli diciassette anni (viveva allora a Barcellona) possedeva una biblioteca privata formata da ventiquattro libri tra cui un Salterio, un Libro d’ore, una Bibbia in latino, altre due in francese nonché le concordanze della Bibbia3. Nel 1413, chiese a sua zia, Bianca di Sicilia, una Bibbia in francese4. Nel 1417, a Valencia, la sua biblioteca contava già sessantuno titoli. Accanto ai suoi primi strumenti di preghiera, nell’inventario di quell’anno ci si imbatte in numerose bibbie in francese e in latino5. I testi sacri e i libri di devozione, oggetti di uso quotidiano, costituivano infatti il nucleo principale della sua biblioteca ed egli li faceva trasportare addirittura sui campi di battaglia durante le operazioni militari che lo videro impegnato nella conquista del Regno di Napoli. A testimonianza dell’importanza accordata dal sovrano ai libri di devozione rimangono oggi i lussuosi libri d’ore da lui commissionati6. Impadronitosi della città di Napoli nel 1442, Alfonso si circondò di umanisti e letterati. Oltre al Panormita e a Lorenzo Valla, già al suo servizio, il re attirò nella sua nuova capitale Poggio Bracciolini, Pier Candido Decembrio, Flavio Biondo, Enea Silvio Piccolomini, Vespasiano da Bisticci e Giannozzo Manetti. Questi giunse presso la corte alfonsina nel 1455 con una rendita annua di 900 ducati. Secondo la testimonianza di Vespasiano da Bisticci, Manetti, «in questo tempo del re Alfonso, che fu circa anni tre, tradusse il Salterio De Hebraica veritate, e mandollo al re Alfonso»7.

272

L’esemplare appartenuto al sovrano (Pal. lat. 41) fu trascritto nello scriptorium di Castel Nuovo dal celebre calligrafo Pietro Ursuleo e miniato da Matteo Felice8. Un ricco fregio a bianchi girari circonda il testo scritto su tre colonne (f. 2r). La monotonia di questa decorazione è interrotta da putti, animali variopinti e fasce a lamina d’oro che racchiudono lo stemma d’Aragona (d’oro a quattro pali di rosso), nonché gli emblemi adottati dal sovrano: il giglio nel vaso – simbolo dell’Ordine del Giglio o della Giara, fondato dal re Garcia di Navarra e riformato dal padre del Magnanimo nel 1403 –, il libro aperto, il trono ardente, il nodo di Salomone e la gerba di miglio. L’attività napoletana del Manetti non si limitò alla traduzione del Salterio. L’umanista «era – secondo Vespasiano da Bisticci – in tutto volto alle sacre lettere, e da questo nascieva lui essere tanto affezionato alla Scrittura Santa come era. Tradusse ancora a Napoli tutto il Testamento nuovo di greco in latino»9. Un esemplare di questa traduzione è da identificare con la cosiddetta “Bibbia aragonese” della Pontificia Università Lateranense di Roma, anch’essa trascritta da Pietro Ursuleo e miniata da Matteo Felice10. Nel 1456, Manetti scrisse il trattato De terremotu in occasione del terremoto che nel dicembre di quell’anno colpì il Regno di Napoli e lo dedicò al sovrano. L’esemplare appartenuto al Magnanimo fu trascritto dall’Ursuleo e miniato da Matteo Felice (rbe, ms. g.iii.23)11. Seguendo l’esempio della corte, anche gli umanisti a essa legati fecero trascrivere e miniare codici di lusso destinati alle loro biblioteche oppure offerti a illustri personaggi come regali diplomatici. Fra questi va ricordato Diomede Carafa (1406/08-1487), uomo di stato e umanista ma anche bibliofilo raffinato e letterato, autore di numerosi memoriali in volgare destinati ai membri della corte aragonese. In occasione del matrimonio tra Eleonora d’Aragona ed Ercole d’Este, duca di Ferrara (1 novembre 1472), Carafa scrisse il Memoriale sui doveri del principe, operetta il cui successo dovette essere immediato se lo stesso umanista ne richiese una traduzione latina a Colantonio Lentulo. L’esemplare offerto da Carafa alla duchessa di Ferrara, De Regimine principum (gme, ms. o.r.n. 26), composto da una cinquantina di fogli quasi tutti purpurei fu scritto in argento e in oro dal celebre copista di origine parmense Gian Marco Cinico nel 1477 e miniato da Cola Rapicano, all’epoca responsabile dello scriptorium di Castel Nuovo12. Nel settembre del 1476 la celebrazione del matrimonio fra Beatrice d’Aragona e Mattia Corvino offrì al Carafa

144

143

l’occasione per la stesura del Memoriale alla serenissima regina d’Ungheria, tradotto in latino dal Lentulo e offerto alla neo-regina: si tratta del De institutione vivendi (bpp, ms. Parm. 1654), vergato in oro su pergamena colorata dallo stesso Cinico e miniato da Cola Rapicano13. Accanto ai codici destinati a personaggi illustri della corte, Diomede Carafa dovette commissionare allo stesso Cinico e alla bottega dei Rapicano il lussuoso Salterio (Vat. lat. 3467), già considerato dalla critica14 come appartenuto a Pascasio Diaz Garlon (1420-1499), bibliotecario del giovane Ferdinando d’Aragona e poi suo consigliere. In realtà, gli stemmi, di rosso a tre fasce d’argento, presenti sui ff. cv e 1r, benché ossidati, sono ancora chiaramente leggibili e appartengono alla nobile famiglia dei Carafa.

Il codice fu vergato da Gian Marco Cinico (f. 184r), lo stesso calligrafo dei due preziosi Memoriali offerti da Diomede a Eleonora e Beatrice d’Aragona. La decorazione del codice, già attribuita a Matteo Felice, è opera di almeno tre artisti attivi all’interno della bottega di Cola Rapicano15. Ad Angiolillo Arcuccio si deve la splendida rappresentazione dell’Albero di Jesse e di Davide con la lira, mentre la decorazione dei fregi spetta a Cola Rapicano (ff. cv-1r). A Nardo Rapicano, verosimilmente fratello minore di Cola, si devono le miniature tabellari dei ff. 28r, 45r, 61r, 77v, 98r, 136r, 153r, 166v nonché le due miniature a piena pagina con la Crocifissione e Storie della vita di Cristo (f. 176v) e l’incipit della Passione di Cristo secondo Giovanni (f. 177r).

273

141-142


142. Crocifissione e Storie della vita di Cristo, Salterio con stemma Carafa (Vat. lat. 3467, ff. 176v-177r) .

274

Pagine seguenti: 143. Davide suona la lira e fregio con putti, Salterio con stemma Carafa (Vat. lat. 3467, f. 1r). 144. Frontespizio, Salterio di Alfonso il Magnanimo (Pal. lat. 41, f. 2r).

275


Bibbia. Immagini e scrittura

276

II. Area occidentale – Il Rinascimento

277


Parte terza

FORME E USI PARTICOLARI DEL TESTO BIBLICO


Bibbia. Immagini e scrittura

LETTURE BIBLICHE PER USO LITURGICO: EVANGELISTARI, EPISTOLARI E SALTERI LITURGICI Claudia Montuschi La lettura della Sacra Scrittura è da sempre, in continuità con l’uso ebraico, il cuore della liturgia e della preghiera dei cristiani: attraverso la proclamazione della Parola, ciò che Dio ha rivelato in un determinato momento storico diventa vivo e attuale per ogni uomo, in ogni tempo. All’origine dei libri liturgici c’è, dunque, la Bibbia. La scelta delle letture della Messa per i vari tempi dell’anno, inizialmente operata dal celebrante, viene fissata attraverso un processo graduale che nella liturgia occidentale comincia nel iv secolo e termina attorno al vi-vii, come si evince dalle testimonianze dei Padri, parallelamente allo stabilizzarsi del ciclo liturgico. Fino alla fine del Medioevo permangono differenze tra una Chiesa e l’altra, ma la struttura diventa stabile: due erano le letture previste dall’uso romano, tre secondo gli usi gallicano e milanese1. L’uso liturgico del testo della Bibbia durante i secoli conosce diverse fasi che, sulla base delle testimonianze manoscritte analizzate dagli studi, possono essere così sintetizzate: – segni e note marginali nella Bibbia per segnalare le letture per la Messa o per l’Ufficio; – liste delle pericopi da leggere durante la Messa, identificate con incipit (ed explicit) e ordinate secondo l’anno liturgico, collocate all’inizio o alla fine del manoscritto: Capitularia; – raccolte dei testi delle pericopi, riportate per esteso in libri autonomi: Evangelistario, Epistolario o Comes, Lezionario della Messa. Un percorso, dunque, che dal lavoro a margine del testo biblico approda all’estrapolazione di passi della Sacra Scrittura ordinati e trascritti in appositi libri che hanno una propria identità, ovvero un nome che li distingue, e una funzione specificamente liturgica. Tale evoluzione è però solo parzialmente cronologica. Nei codici più antichi sono maggiormente frequenti le note marginali rispetto alle liste delle pericopi, che fu necessario adottare quando crebbe il numero delle letture; ma le diverse forme possono anche coesistere e sono attestate già nel v-vi secolo e fino al xiv: vi sono, per esempio, lezionari anche prima del ix secolo e bibbie con indicazioni liturgiche annotate a margine anche in epoca tarda2. Anche la distribuzione e l’ordine dei libri nel volume possono essere legati all’uso liturgico, come nei manoscritti in beneventana, tra i quali non si trova la Bibbia intera ma gruppi di libri biblici in cinque volumi che corrispondono all’ordine previsto dall’Ufficio, in particolare del Mattutino3.

280

Per offrire una panoramica dei manoscritti vaticani impiegati – nel corso della loro storia (quindi riutilizzati) o da subito (perché prodotti e pensati per questo) – per la liturgia, e dovendo operare una selezione imposta dai limiti di spazio, presento alcuni esempi significativi di bibbie annotate, Capitularia, evangelistari ed epistolari, per concludere con un breve cenno ai salteri.

La Bibbia come Lezionario a. L’annotazione liturgica

La modalità più antica per evidenziare in una Bibbia le parti da leggere durante l’anno liturgico è l’annotazione del testo: un metodo semplice e pratico, considerando che i codici più antichi non avevano la divisione in capitoli e versetti del testo e che inizialmente il numero delle pericopi previsto per la liturgia non era elevato. Nei manoscritti biblici le tracce di tale uso sono riscontrabili in un sistema di segni che individuano una porzione di testo. I più frequenti sono croci, punti e linee, abbreviazioni («K.» o «Kap.[itulum]», «f.[init]», e, in particolare per le letture dell’Ufficio, «l.[ectio»]), o indicazioni esplicite («hic lege», «legendum»), spesso distinte con un colore diverso, collocati a margine o nell’interlinea. Essi possono essere accompagnati da indicazioni relative alla festa liturgica e trovare riscontro, come vedremo, in un Capitulare. Note e segni “animano” liturgicamente il testo, tracciando il passaggio dalla lectio continua alla lectio selecta della Sacra Scrittura. I testi più annotati sono i Vangeli, le Epistole paoline e i Salmi, spesso trascritti in volumi a parte, più maneggevoli rispetto a un’intera Bibbia: l’uno e l’altro fatto confermano il frequente uso liturgico di tali parti della Bibbia4. Uno degli esempi più antichi è costituito da ciò che rimane della scriptio inferior del palinsesto Vat. lat. 5755 (nella scriptio superior, del sec. xi, il De Trinitate di Agostino), con le Epistole paoline del vii secolo; le note marginali sono più chiaramente leggibili con l’ausilio dei raggi ultravioletti. Si deve a Dold la ricostruzione del codice originario che conteneva il testo paolino e la lettura delle annotazioni, nonché, sulla base del confronto con queste ultime, della lista delle pericopi (57 entrate), che si intravede alle pp. 308-309. La lista, disposta su due colonne e redatta secondo il calendario, sembra attestare un uso liturgico differente rispetto a quello che emerge dalle annotazioni a margine5. Oltre che nella scriptio inferior, poi, questo manoscritto contiene testi per la liturgia an-

281


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Letture bibliche per uso liturgico

Pagine precedenti: 145. Capitulare con segni di richiamo, Evangeliario (Arch. Cap. S. Pietro D.153, f. 6r).

11

68

147

che nei fogli di guardia, di epoca ancora diversa: le pp. 1-2, 325-326 sono carte di riuso tratte da un Lezionario della Messa del x secolo e aggiunte nel xv6. Anche in un altro dei più antichi testimoni delle Epistole paoline, il Reg. lat. 9, della prima metà dell’viii secolo, probabilmente di Bobbio7, si vedono croci tracciate a inchiostro o a secco (ad es. al f. 18v), che segnano i confini delle pericopi, e passim qualche nota a margine (ad es. ai ff. 35r, 35v, 41r, 41v, 62v, 63r), di mani diverse, che attesta l’uso liturgico del codice8; esso era inoltre dotato, come vedremo, di Capitulare. Alcune annotazioni sono anche nel lussuoso Evangeliario Barb. lat. 570, dell’viii-ix secolo, vergato in maiuscola insulare da quattro copisti9, su due colonne, riccamente miniato, con gli evangelisti a piena pagina e grandi iniziali negli incipit con intrecci zoomorfi e volti umani tipici del repertorio decorativo insulare; non tutte le note sono di tipo liturgico, ma lo sono sicuramente quelle ai ff. 33v, 42v, 47v, 75r, in minuscola insulare dell’viii-ix secolo10. Anche l’Evangeliario Reg. lat. 4, del ix-x secolo11, con «Breviarium lectionum Evangeliorum» (ff. 234r-247v), è annotato: i confini delle pericopi sono indicati con croci e «f.[init]» in rosso (ad es. ff. 18r-v e 184r-v, che corrispondono al Capitulare, f. 234r, righe 3 e 8). Annotazioni differenti si leggono nel Pal. lat. 57, con le Epistole paoline (ff. 9r-163r), della metà del ix secolo: a margine, oltre alle consuete croci (ad es. ff. 26r-v, 30r-v, 32r-v), sono state apposte le lettere P, T e S (ad es. ff. 31r, 35r, 39r), che potrebbero indicare Prima, Tertia, Sexta, ovvero le parti di testo da usare nelle Ore minori. Alcune indicazioni liturgiche si trovano anche nelle bibbie atlantiche, prodotte inizialmente a Roma, tra la metà dell’xi e la fine del xii secolo, in minuscola carolina; esse si imposero in Europa come modello normativo in seguito alla riforma gregoriana, destinate all’uso liturgico, in particolare alla lectio comunitaria. In molte di esse, infatti, sono intervenute a margine altre mani per indicare la statio o il giorno in cui doveva essere letta la pericope annotata, come in Arch. Cap. S. Pietro A.1 (ff. 140r, 150r); Vat. lat. 4220 (ff. 13r, 23r, 148v, 153v, 146v, 147r, 194v); Vat. lat. 10511 (f. 114v); in Vat. lat. 10405, f. 294r, una lista di libri della Bibbia dai quali trarre le letture durante l’anno liturgico12. Oltre all’annotazione finalizzata a selezionare la pericope da leggere, nei testi biblici si trovano vari altri segni legati alla liturgia, per esempio per l’intonazione dei brani, in particolare per quelli che si cantavano una volta all’anno, come le Lamentationes di Geremia,

282

o il recitativo della Passione, dove si possono trovare le litterae Passionis13. Esse indicano l’altezza della voce dei personaggi, dal tono grave all’acuto: t = tenere (poi sostituita da +), c = celeriter, s = superius, con alcune varianti riconducibili all’uso di determinate aree geografiche (in area beneventana h = humiliter e a Nonantola d = deprimitur, per la tonalità grave delle parole di Gesù; in Toscana sono frequenti +, c, f: Barb. lat. 525, ff. 9r14v, aggiunte successivamente. Tali indicazioni, inizialmente poste a margine, entrano poi nel testo, dove sono rimaste fino ai nostri giorni.

148

b. Il Capitulare

Per utilizzare con sicurezza il testo della Bibbia, o solo dei Vangeli, nella liturgia, dal vi-vii secolo – ma forse già da prima – vengono elaborate liste di pericopi ordinate secondo l’anno liturgico, collocate all’inizio o alla fine del volume: il Capitulare («insieme di capitula», ovvero di pericopi), che testimonia lo stabilizzarsi della ripartizione delle letture nella liturgia della Messa, e può essere Evangeliorum, Lectionum o Lectionum et Evangeliorum14. Le liste non sostituiscono però l’annotazione al testo, dove, in mancanza di capitoli e versetti, non è facile individuare i passi: un sistema uniforme di divisione dei libri della Bibbia in capitoli fu introdotto in ambito universitario parigino, nel xii-xiii secolo, da Stephen Langton, magister di teologia a Parigi e poi cardinale e arcivescovo di Canterbury (1207-1228), e perfezionato nel xiv secolo15, mentre quello dei versetti risale a metà del xvi secolo, a opera del tipografo Robert Estienne (Stephanus). Le più frequenti sono le liste di pericopi dei Vangeli, soprattutto nei secoli ix-xi; tra il xiii e il xv secolo si diffonde il Capitulare Evangeliorum et Lectionum; il Capitulare Lectionum è invece poco attestato: in Vaticana, solamente, a quanto sembra, nei Barb. lat. 580, ff. 328v329r (xii sec.) e Reg. lat. 9 sopra ricordato. I Capitularia contengono dati essenziali, ridotti al minimo, ma hanno l’importante funzione di legare parola e azione liturgica. Solitamente vi si trovano: giorno liturgico (talvolta con la chiesa stazionale); libro (e capitolo, se indicato anche nel testo) della Bibbia; incipit e, talvolta, explicit, che può essere introdotto da «f.[init]». L’ordine dei dati può anche variare (ad es. libro e capitolo alla fine, come nella Bibbia Pal. lat. 23, del xiii secolo con Capitulare del xv, ff. 608r-613v). Klauser identifica quattro tipi di Capitulare, Π, Λ, Σ, Δ, in base ad alcuni elementi quali: la formula «In illo

149

tempore» negli incipit, l’esplicitazione del mese nell’indicazione della festa, la locuzione utilizzata per designare il sabato («feria vii», «sabb.», etc.), l’indicazione della statio16. Il più importante e antico testimone è il Capitulare di Würzburg, ubw, M.p.th.f. 62, della metà dell’viii secolo, che attesta l’uso liturgico del vi-vii secolo (e nel nucleo centrale del iv secolo), con il Capitulare Lectionum (ff. 2v-10v) e il Capitulare Evangeliorum (ff. 10v-16v)17. Con quello di Würzburg concorda uno dei Capitularia più antichi conservati in Vaticana, appartenente a un codice che fu usato, tra l’altro, come modello della Bibbia di Worms-Frankenthal (bl, Harley 2803 e 280418): il Pal. lat. 46, della prima metà del ix secolo, in carolina, con il Capitulare Evangeliorum (tipo Π di Klauser) ai ff. 137v-149r, dopo il colophon del clericus Jonathan. La lista inizia dalla vigilia di Natale, come in tutti gli esemplari più antichi (successivamente dalla prima domenica di Avvento), e prosegue secondo il calendario, con Santorale e Temporale mescolati; ogni giorno è segnato su una nuova riga, con iniziale in evidenza in rosso; seguono incipit ed explicit. Nel testo le pericopi sono segnalate dalle croci19. Le variazioni nei Capitularia riguardano anche la scelta delle parti in evidenza e la mise-en-page. Scritture distintive, colori e sottolineature sono riservati generalmente ai giorni e alle feste, ma anche (o soltanto) ai Vangeli da cui sono tratte le pericopi, come nell’Evangeliario del Reg. lat. 10 (xi sec.), ff. 171r-185v. È scritto tutto di seguito, come in Arch. Cap. S. Pietro D.154 (x sec.), f. 137r-v, oppure, come più spesso, ogni entrata su una nuova riga. Vi sono Capitularia su un’unica colonna, come nei Reg. lat. 10 e Arch. Cap. S. Pietro D.154, e su più colonne, come nel Pal. lat. 9, ff. 225r-227v, del 1345, e nel Pal. lat. 15 (seconda metà del xiii sec.), ff. 441r-443v. Le colonne possono fornire anche la struttura per una tabella, ordinata e ben individuata da margini rigati, talvolta a colore, come nell’Ott. lat. 329 (xii sec.), ff. 335v-336r. Nei secoli xiv e xv, inoltre, si può trovare una sorta di schema (per es. Ott. lat. 512, xiii sec., con Capitulare del xv sec., ff. 456v-469v; Urb. lat. 588, xiv sec., ff. 363v365v), o un sistema combinato, con schema e colonne insieme, come nella Bibbia del Vat. lat. 35 (xiv sec.), con Capitulare del xv secolo ai ff. 1-6. Le indicazioni fornite nel Capitulare possono essere richiamate con esattezza a margine del testo, quando l’uno e l’altro sono coevi e fanno riferimento a un medesimo uso liturgico. In questo caso i brani risultano immediatamente individuabili, oltre che grazie all’u-

so di croci e/o segni di fine («f.[init]»), come nel Reg. lat. 4 (ix-x sec.) citato, anche attraverso un sistema di segni di richiamo tra la lista e le annotazioni al testo, come nell’Evangeliario Arch. Cap. S. Pietro D.153 (xi sec.): nel Capitulare, ff. 3r-7r, compaiono, oltre ai capitoli del Vangelo, anche simboli geometrici stilizzati che trovano corrispondenza nel margine del testo (ad es. ai ff. 6r e 94r, per il giorno dell’Ascensione e relativa pericope). Come segno di raccordo tra Capitulare e testo, nei manoscritti più tardi vi sono anche le maniculae, come nell’Ott. lat. 58 (xiii-xiv sec.) contenente il Nuovo Testamento (ad esempio gli estremi per il primo giorno di Quaresima al f. 104r corrispondono al passo indicato dalla manicula al f. 4r). Il Capitulare non si accorda, invece, con le note marginali quando costituisce un elemento aggiunto. La collocazione – iniziale o finale – nel volume spiega il motivo per cui alcuni Capitularia sono andati perduti o sono stati facilmente separati dal testo cui si riferivano. È il caso di quello del Reg. lat. 9, già citato per le note marginali, che all’inizio del Novecento ha riacquisito il Capitulare precedentemente separato, contenuto nei fogli attualmente numerati 2r-3v, rimossi nel xviii secolo, ritrovati a Sankt Paul im Lavantthal, in Carinzia, e restituiti alla Vaticana nel 190420. Il Capitulare Lectionum, in onciale, originario dell’Italia settentrionale, è disposto su due colonne, riporta l’indicazione del giorno, del libro, dell’incipit; inizia dalla vigilia di Natale ed è in stretto rapporto con le note marginali al testo21. Tra i tanti altri, da ricordare almeno i Capitularia, tutti con Santorale e Temporale mescolati, di due lussuosi evangeliari: quello di Lorsch, Pal. lat. 50, ff. 116r124v (tipo Λ di Klauser), splendido manufatto di scuola palatina donato da Carlo Magno all’abbazia, dell’inizio del ix secolo, vergato con inchiostro aureo, con un prezioso apparato ornamentale e legatura eburnea, oggi smembrato22; l’Evangelium imperatoris, Ott. lat. 74 (xi sec.), ff. 240r-254r, gioiello della scuola ottoniana di Ratisbona, che sarebbe stato donato da Enrico ii a Montecassino come ex voto23. Inoltre, quelli degli evangeliari Vat. lat. 8523 (ix-x sec.), ff. 11r-30r, su una colonna, con in evidenza l’iniziale o tutte le lettere dell’indicazione del giorno, secondo la rilevanza (tipo Δ di Klauser24); Vat. lat. 7016 (viii-ix sec.), ff. 191v-202v, di un’altra mano, con varie annotazioni marginali successive tra le quali una relativa a S. Frediano (f. 201v), che farebbe pensare a un uso lucchese del codice (tipo Λ di Klauser25). 283

147

145

150


Bibbia. Immagini e scrittura

93

95

Una grande iniziale miniata con intrecci e motivi geometrici tipici della beneventana apre il Capitulare Evangeliorum (ff. 1r-14v), disposto su due colonne, dell’Evangeliario Vat. lat. 3741 (fine dell’xi sec.), probabilmente esemplato, con qualche variazione, su un modello più antico. Un codice di lusso, con sette fogli consecutivi miniati (ff. 26r-29r), che precedono il Vangelo di Matteo26, un unicum tra i testimoni dell’Antico e del Nuovo Testamento nel panorama dei libri biblici in beneventana27. I confini delle pericopi sono indicati nel testo con «K.» o «Kap.» e «F.», in rosso; le litterae Passionis sono in verde. Sebbene più raramente, possiamo trovare il Capitulare anche in evangeliari del xv secolo, come nel lussuoso “Evangeliario del Concilio Vaticano ii”, Urb. lat. 10, ff. 220r-242r, magnificamente miniato, esemplato su un modello carolingio, forse l’Urb. lat. 328, e vergato dall’elegante mano di Matteo Contugi. Con l’Urb. lat. 3 ha in comune anche il tipo di divisione in capitoli e la disposizione del Capitulare: in entrambi sono indicati il giorno – con il mese in maiuscola e in ekthesis alla prima occorrenza –, il libro, il capitolo, incipit ed explicit, questi ultimi uniti da usque in rosso, inserito successivamente (nell’Urb. lat. 10 dal f. 231r non è stato riempito lo spazio predisposto per usque). Per i manoscritti di lusso, però, bisogna considerare che la presenza del Capitulare, come delle litterae Passionis cui si è accennato, potrebbe essere dovuta alla meccanica riproduzione del modello, e non costituire necessariamente l’indizio di un uso liturgico29. Nei manoscritti vaticani il Capitulare Lectionum et Evangeliorum si trova in particolare nelle bibbie dei secoli xiii-xv, collocato quasi sempre alla fine. Ad es., nel Pal. lat. 15, ai ff. 441v-443r, disposto su tre colonne, con l’indicazione dei giorni in rosso, libro e capitolo, e incipit; l’individuazione delle pericopi è facilitata dalla presenza di un punto sormontato da una lineetta apposto a margine del testo in corrispondenza dell’incipit. E nel Vat. lat. 32 (xiii sec.), ff. 634r-642r, dove l’Epistola è indicata in rosso e il Vangelo in blu; seguono, separati da segni di paragrafo, incipit, «Finis», explicit, libro e capitolo; a margine del testo, piccole lettere («p» e «f») in rosso individuano le letture30. Vi sono alcune eccezioni, ovvero Capitularia inseriti in codici che contengono solo una parte della Bibbia, come nel Pal. lat. 9 del 1345 (ff. 225r-227v), con alcuni libri dell’Antico Testamento. Questo manoscritto potrebbe essere stato originariamente rilegato insieme al Pal. lat. 1131, dove si trovano gli altri libri della Bibbia;

284

III. Letture bibliche per uso liturgico

il Capitulare potrebbe anche essere estraneo, a giudicare dalla pergamena. Tra gli elementi che accomunano i due manoscritti vi è l’uso di letterine in rosso che indicano una partizione del testo, sebbene non quella che si affermerà come definitiva. Inoltre, il Capitulare può essere annesso anche a testi diversi da quelli biblici, come nel Vat. lat. 903 (xiii sec.), ff. 20r-21v32, e nel Vat. lat. 998 (xv sec.), ff. 161v-162r33. È invece sistematicamente assente in una serie di manoscritti contenenti il Nuovo Testamento, prodotti in Europa meridionale tra xii e xiii secolo, come il Vat. lat. 39 e il Chig. a.iv.74, abbondantemente illustrati: tali volumi non erano infatti destinati all’uso liturgico, ma alla lettura personale del pubblico laico delle confraternite dell’epoca34.

Dalle pericopi alle letture in extenso: l’Epistolario e l’Evangelistario Oltre e contemporaneamente ai Capitularia, vengono redatti i lezionari, dove sono riportate in extenso le pericopi per la liturgia, designati nel Medioevo con una grande varietà di termini35. I lezionari per la Messa sono: l’Epistolario, con le letture che precedono quella del Vangelo (Apostolus, Comes, Epistolarium), letto dal suddiacono; l’Evangelistario per il Vangelo (Evangelistarium, Liber aureus), letto dal diacono36, e il Lezionario plenario (Comes duplex, Lectionarium Epistolarum et Evangeliorum). Quest’ultimo si diffonde soprattutto tra l’xi e il xv secolo, ma è già attestato alla fine dell’viii, come sembra mostrare la scriptio inferior del Reg. lat. 74 (nella scriptio superior, del xii secolo, opere di Prudenzio)37. L’Evangelistario e l’Epistolario prevalgono sull’Evangeliario e sul Capitulare a partire dal xii secolo. L’estrapolazione delle pericopi dal testo biblico comporta l’introduzione di locuzioni come «In illo tempore», «In diebus illis», rese ben individuabili dall’iniziale di modulo maggiore, ornate in modo tanto più ricco quanto più è rilevante il tempo liturgico cui si riferiscono. Sulla base degli studi di W.H. Frere, T. Klauser, R. Hesbert, A. Wilmart e A. Chavasse, sono state riconosciute tre tappe dell’evoluzione del sistema delle letture per la Messa nella liturgia romana38: la prima è nel già ricordato manoscritto di Würzburg (redazione del 645 circa); la seconda è testimoniata, per le epistole, dal Comes ripreso e corretto da Alcuino alla fine dell’viii-inizio del ix secolo (nella versione senza supplemento: cbm,

ms. 553) sulla base di un Lezionario romano del vii secolo, e per il Capitulare Evangeliorum dai gruppi Π, Λ, Σ di Klauser, rispettivamente del 645, del 750 e del 755 circa (cui appartengono alcuni manoscritti vaticani; Π: Pal. lat. 46; Λ: Pal. lat. 50, Vat. lat. 7016; Σ: Ott. lat. 79); la terza è rappresentata dalle due tipologie individuate da Chavasse39 confrontando i lezionari romani con antifonari, omeliari e messali, e indicate come “Famiglia A”, di origine romana, formatasi all’inizio del x secolo, cui appartengono per esempio l’Epistolario della Basilica di S. Pietro, Arch. Cap. S. Pietro F.1 (fine del xiii sec.) e l’Evangelistario della stessa Basilica con a margine l’indicazione delle Epistole, Arch. Cap. S. Pietro F.7 (xii sec.), e “Famiglia B”, romano-franca, cui appartiene il già citato Reg. lat. 74, poi penetrata anche a Roma (ad es. Vat. lat. 8701, Epistolario di Santa Prassede, xiii sec.; Arch. Cap. S. Pietro, F.2, Epistolario della Basilica Vaticana, xv sec.). I due gruppi si distinguono per alcuni elementi come la messa Omnes gentes e la domenica dopo la Pentecoste. Tra i pochi esemplari vaticani di Epistolario, si trovano il frammento del più antico testimone conosciuto, Vat. lat. 4329 (vii-viii sec.), f. 87r-v, in onciale, su due colonne, testimone del Comes di Girolamo, con le letture rubricate e numerate40; e il Pal. lat. 49741, proveniente dal monastero di Luxheim (Metz), con numerose miniature a piena pagina, appartenente alla “Famiglia B” di Chavasse. L’Evangelistario si differenzia dall’Evangeliario perché presenta le pericopi già organizzate liturgicamente piuttosto che secondo l’ordine biblico. Tale distinzione, chiara nelle lingue italiana e tedesca, che usano due termini differenti (in tedesco Evangelistar, Evangeliar), rimane ambigua in altre lingue (in francese, per esempio, si trova Évangéliaire per l’uno e per l’altro42). Può anche essere integrato con il Sacramentario (Arch. Cap. S. Pietro F.12, x-xi sec.43), secondo un uso tipico, ma non esclusivo, del rito ambrosiano. Negli evangelistari le iniziali di modulo maggiore guidano il lettore nell’individuazione del brano. Per esempio, nel Vat. lat. 8892 (xi-xii sec.), sulla cui legatura erano applicate placchette d’argento niellato (oggi Musei Vaticani, Sala degli Indirizzi, inv. n. 62073, 62075, 6208062083, 62086-62089), la grande iniziale rossa I nell’incipit delle pericopi è decorata secondo la rilevanza della festa liturgica (ad es. f. 94v, per la Resurrezione); anche nel Barb. lat. 525 (x-xi sec.), che era rilegato in avorio (i piatti con l’Ascensione e la Pentecoste sono oggi ai Mu-

sei Vaticani, Sala degli Indirizzi, inv. nr. 64627), vergato da diverse mani e con annotazioni marginali più tarde44, le iniziali delle pericopi delle feste principali presentano una decorazione più importante (ad es. ff. 15r-17r, per il Natale). Nel x-xi secolo gli evangelistari vennero prodotti in serie in centri scrittori come Reichenau, dove venivano confezionati codici di lusso. Un esemplare notevole di questo periodo, la cui origine è stata individuata tra Reichenau e San Gallo, è il Barb. lat. 711, in minuscola carolina, impreziosito da grandi iniziali in rosso riempite d’oro, e miniature che occupano mezza o tutta la pagina, talvolta su tre registri, raffiguranti gli episodi evangelici secondo l’anno liturgico, oltre agli evangelisti nella particolare tipologia iconografica di “Atlanti”, con il globo sulle spalle contenente il loro simbolo, i re e i profeti; il Passio presenta (ad es. ff. 59r-68r) le litterae Passionis45, e anche qui si trovano annotazioni di tipo liturgico («hic legitur in tono evangelii»: f. 73v). Nei manoscritti in beneventana – per la maggior parte liturgici –, come il Vat. lat. 5100 (xiii sec.), il Vat. lat. 10644, ff. 28-31 (xi sec.) e l’Ott. lat. 296 (xi sec), del tipo di Bari46, le iniziali delle pericopi possono essere zoomorfe o sormontate da figure umane o animali (ad es. Ott. lat. 296, ff. 8r, 46r, 54r, 84r), che richiamano i simboli degli evangelisti dei passi in cui si trovano. Le pericopi dei manoscritti in beneventana seguono un sistema differente da quello romano47. Gli evangelistari beneventani noti sono una ventina, compresi tra l’xi e il xiii secolo: un numero consistente, se si considera che in quel periodo era già diffuso il Messale. Il motivo è da ricercare probabilmente nel conservatorismo liturgico beneventano48. Il grande numero di manoscritti con il Vangelo conferma il ruolo centrale che questo ricopre da sempre. La preminenza riguarda non solo il testo ma anche il libro che lo contiene e la ritualità che ne precede e accompagna la lettura, come testimoniato fin dal v secolo49, da quando si diffonde l’uso di porre il libro dei Vangeli su un trono durante i concili, simbolo di Cristo che presiede l’assemblea50. È anche una sorta di icona sacra, talvolta conservata come una reliquia. I manoscritti che li contengono sono tra i più sontuosamente miniati e le legature costituiscono spesso autentici capolavori dell’oreficeria medievale51. Tra i manoscritti vaticani si trovano lezionari miniati del x e xii secolo, e qualche esemplare del xiii (Arch. Cap. S. Pietro F.1; Vat. lat. 8701). Tra i lezionari completi, il Pal. lat. 510 (xi sec.), con Temporale e Santorale mescolati, e letture dell’Antico e del Nuovo Testamento52, e il Pal. lat. 502 (xiv sec.),

285

71-72

146

151


Bibbia. Immagini e scrittura

146. Annotazione liturgica, Evangelistario (Barb. lat. 711, f. 73v).

III. Letture bibliche per uso liturgico

Pagine seguenti: 147. Incipit di una pericope evangelica individuata da una croce, Evangeliario (Reg. lat. 4, f. 184r). 148. Litterae Passionis, Evangelistario (Barb. lat. 525, f. 9r).

152

di Ravensberg (Heidelberg), con legatura lignea rifatta nel xv secolo, e applicazioni in avorio e smalto dell’inizio del xiii53.

I Salmi: i testi per la preghiera

153 e 78

Il testo dei Salmi costituisce la base della preghiera delle Ore. Il Salterio è il più antico libro di devozione. Delle varie versioni si trovano nei codici più antichi – e a Roma fino a Pio v – il Salterio romano, poi il Salterio gallicano, frutto della revisione geronimiana sul testo dei Settanta nelle Esaple di Origene, introdotta nella Vulgata da Alcuino54. Nel Salterio biblico i Salmi sono trascritti da 1 a 150, e possono essere ripartiti in cinque sezioni, secondo i libri biblici (Salmi 1, 42 [41], 73 [72], 90 [89], 107 [106]), oppure, soprattutto nell’Alto Medioevo e nei manoscritti insulari e tedeschi, in tre sezioni (Salmi 1, 52 [51], 102 [101]), marcate dalle miniature. Uno splendido esempio tripartito è il Salterio di Bury St. Edmunds, Reg. lat. 12 (prima metà dell’xi sec.), con il Salterio gallicano, i tituli psalmorum55 e talvolta il Gloria tra un salmo e l’altro; pagine decorate e grandi iniziali (ff. 21r, 62r, 104v, quest’ultima predisposta ma non eseguita) individuano le parti; l’apparato decorativo a margine offre l’illustrazione letterale del testo56. Il Salterio liturgico si distingue per la presenza di indicazioni relative alla ripartizione dei Salmi nei giorni della settimana: hanno questa funzione le iniziali ornate, in epoca medievale sistematicamente istoriate secondo uno schema ben preciso, i cui soggetti sono ispirati ai primi versetti del salmo che apre la settimana57. Le sezioni sono otto, le prime sette per il Mattutino di ciascun giorno: Salmi 1, Beatus vir; 27 [26], Dominus illuminatio mea; 39 [38], Dixi custodiam; 53 [52], Salvum me fac; 69 [68], Dixit insipiens; 81 [80], Exultate Deo; 98 [97], Cantate Domino; l’ottava per i Vespri: Salmo 110 [109], Dixit Dominus58. Questo vale per la preghiera dei laici e del clero secolare, mentre i salteri di committenza monastica possono presentare un ordine diverso59. Più tardi vengono annessi – prima a margine, poi integrati nel Salterio – rubriche con l’indicazione esplicita dei giorni, antifone e versetti (dal xii sec.), cantici, inni, orazioni, fino ad arrivare, nel xiv secolo, all’ordinamento dei Salmi secondo l’Ufficio, con l’aggiunta dell’ordinario dell’Ufficio. Anche in questo caso l’adattamento all’uso liturgico avviene attraverso un’evoluzione gra-

286

duale, che non esclude la coesistenza di tipologie differenti nelle diverse epoche. Nel xiii-xiv secolo anche i salteri glossati erano usati per la liturgia60. Preziose legature e ricca ornamentazione caratterizzano questi libri liturgici; le miniature possono trovarsi nel calendario, tra il calendario e il Salterio (ad es. Pal. lat. 26, xiii sec., ff. 7r-13r, e Vat. lat. 13125, xiv sec., ff. 9r-20r, con miniature a tutta pagina affrontate), e nel Salterio stesso. I salteri liturgici conservati sono molti. Il cospicuo numero di libri a sé stanti spiega la mancanza dei Salmi in molte bibbie, in particolare nel xiii-xiv secolo. Viceversa, in manoscritti contenenti la Bibbia si possono trovare integrazioni liturgiche – per esempio i cantici o l’indicazione dei giorni – ai Salmi, come avviene nel Pal. lat. 15 (ad es. al f. 179v: «in prima sabbati») o anche le iniziali miniate secondo la partizione sopra illustrata, come nella lussuosa Bibbia di Manfredi, Vat. lat. 36 (xiii sec., dal f. 181r). I salteri che seguono ancora l’ordine biblico presentano una notevole varietà nella collocazione degli elementi necessari per l’Ufficio. Questi possono essere aggiunti nel testo o a margine, come nei Pal. lat. 29 e 31 (xii-xiii sec.) e Pal. lat. 26 e 32 (xiii sec.); Arch. Cap. S. Pietro D.156 (xii sec.)61, utilizzato nell’edizione del Salterio Romano62; Pal. lat. 36 (xiii sec.), con antifone di mano successiva (ad es. ai ff. 122r, 126v, 144v, 147v), poi cantici, inni e orazioni; o inserite nel testo, come in Arch. Cap. S. Pietro E.15 (xv sec.), Salterio liturgico ma ancora incompleto, o nel Pal. lat. 532 (xv sec.)63, dove si trovano antifone e inni, rubriche che indicano le feriae. L’ordine può anche essere misto, come nel Vat. lat. 10774 (xiv sec.)64. Nel xv secolo, ma con varie eccezioni, i Salmi sono ordinati secondo l’Ufficio, come nel Barb. lat. 482, del 1459, con la «tabula» dei Salmi, cantici e inni per ogni Ufficio del tempo ordinario, il calendario, il Salterio gallicano liturgico (ff. 16v-146r), e otto fogli interamente decorati in corrispondenza delle partizioni (ff. 17r, 62v, 87r, 107, 125r, 149r, 170v, 196v)65. Così anche nel sontuoso e maestoso Salterio del cardinal Bessarione, Barb. lat. 585, con splendide iniziali istoriate per la ripartizione dei Salmi (ff. 43r, 74v, 97r, 116r, 135r, 162r, 182v); seguono le altre ore, Vespri, Compieta, Te Deum, Ufficio dei defunti e litanie66. I salteri di formato minuscolo, come l’Ott. lat. 2921 (fine del xv sec.) e il Vat. lat. 10296 (xv sec.), liturgico ma ancora imperfetto e con i Salmi ancora parzialmente in ordine biblico, erano usati come amuleti67.

155

156

154

157

158-159

Dei libri liturgici qui considerati, quelli presenti in maggior numero in Vaticana sono i salteri, quasi un centinaio e quasi tutti miniati o decorati, specialmente nei secoli xiii-xv. Seguono, per numero di esemplari, i Capitularia, annessi nella maggior parte dei casi ai testi dei Vangeli, e organizzati in diverso modo, dai più semplici a quelli distribuiti in schemi o tabelle, contenenti i dati necessari per l’individuazione delle pericopi, talvolta anche raccordati con il testo attraverso segni di richiamo.

Se i salteri liturgici vaticani sono i più numerosi, i Capitularia sono i più antichi, talvolta leggibili nella scriptio inferior di palinsesti. Gli epistolari sono pochi, e in gran parte miniati, dal xii secolo in avanti. A seconda delle epoche, della tipologia di codici, dei loro destinatari o di chi ne viene in possesso successivamente, l’uso del testo biblico assume forme e modalità diverse, da scoprire nell’interlinea e a margine dei testi, o nella luce delle miniature che guidano la preghiera.

287


Bibbia. Immagini e scrittura

288

III. Letture bibliche per uso liturgico

289


Bibbia. Immagini e scrittura

149. Capitulare, Evangeliario (Pal. lat. 46, ff. 137v-138r). 150. Incipit del Capitulare, Evangeliario (Vat. lat. 8523, f. 11r).

III. Letture bibliche per uso liturgico

Pagine seguenti: 151. Iniziale zoomorfa (aquila) nell’incipit di una pericope tratta dal Vangelo secondo Giovanni, Evangelistario (Ott. lat. 296, f. 46r). 152. Lezionario plenario (Pal. lat. 502, piatto anteriore della legatura).

290

291


Bibbia. Immagini e scrittura

292

III. Letture bibliche per uso liturgico

293


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Letture bibliche per uso liturgico

153. Incipit dei Salmi, Salterio di Bury (Reg. lat. 12, f. 21r).

294

154. Annotazione liturgica, Salterio (Pal. lat. 26, f. 56v).

295


155. Serie di miniature collocate tra il calendario e il testo dei Salmi, Salterio (Vat. lat. 13125, ff. 9v-10r).

296

297


Bibbia. Immagini e scrittura

156. Annotazione liturgica ai Salmi, Bibbia (Pal. lat. 15, f. 179v).

298

III. Letture bibliche per uso liturgico

157. Davide in preghiera, Salterio liturgico (Barb. lat. 482, f. 62v).

299


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

158-159. Iniziale istoriata in un Salterio liturgico, Salterio del cardinal Bessarione (Barb. lat. 585, f. 43r) e particolare.

300

301


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Letture bibliche per uso liturgico

160. Iniziali con Marie al Sepolcro, Evangelistario del cardinale Annibaldo Caetani da Ceccano (Arch. Cap. S. Pietro B.74, f. 88v).

L’EVANGELISTARIO AVIGNONESE DI ANNIBALDO DA CECCANO Arch. Cap. S. Pietro B.74 Francesca Manzari Nonostante la loro maggiore diffusione altomedievale, anche nel Tardo Medioevo e nel Rinascimento vengono prodotti sontuosi evangelistari (libri delle pericopi dei Vangeli), in particolare nel vivace mercato del libro liturgico che fiorisce ad Avignone durante la permanenza del papato (ad es. i mss. bma, 23, 24 e 261). L’Evangelistario Arch. Cap. S. Pietro B.74 (330 x 232 mm, 110 ff.) è stato recentemente riconosciuto come un manoscritto prodotto ad Avignone su commissione del cardinale Annibaldo Caetani da Ceccano, il cui stemma compare sul margine superiore del foglio d’incipit2. Il prezioso codice, tuttavia, scritto su due colonne su pergamena finissima con ampi margini lasciati vuoti, è stato forse progettato fin dall’inizio per l’uso da parte dei Canonici di San Pietro, di cui Annibaldo era diventato arciprete nel 1342. È infatti possibile che egli avesse fatto eseguire il codice ad Avignone, dove risiedeva, e che lo abbia poi inviato a Roma o che lo abbia portato personalmente quando giunse nella città petrina come incaricato di papa Clemente vi per l’apertura del Giubileo del 1350. Il corredo illustrativo è incentrato su iniziali con singole figure e più raramente con scene sintetiche, tra le quali prevalgono le raffigurazioni degli evangelisti stanti con cartiglio, inseriti entro edicole architettoniche. Il manoscritto è stato realizzato da due diversi artisti, l’uno di cultura francese, incaricato del progetto illustrativo, e l’altro di cultura italiana, che lavorano in collaborazione, con una capacità di incorporare elementi linguistici l’uno dell’altro davvero inusuale. Il miniatore francese mostra una formazione radicata nella Francia meridionale, tradendo una cultura prevalentemente tolosana, ma la sua caratteristica più sorprendente è la decorazione vegetale che completa le lettere miniate, costituita da un insolito tralcio di acanto frastagliato eseguito in luminosi toni di azzurro e di bianco. Questo

302

tipo di decorazione, non rintracciabile in ambito francese, è ripreso dal repertorio fitomorfo del Maestro del Codice di San Giorgio, attivo ad Avignone negli anni Venti3; nelle miniature di quest’ultimo trovano inoltre il loro modello anche le particolari architetture raffigurate nell’Evangelistario4. Il miniatore francese, così sensibile al contatto con l’arte toscana, affida l’esecuzione di un fascicolo a un collega italiano, che interviene incorporando in parte anch’egli le stesse formule di acanto frastagliato. Questo artista, tuttavia, non trova la sua collocazione in Toscana, ma in un’area meno nota, quella abruzzese, i cui stretti contatti con il Capitolo di San Pietro e con il papato lungo l’arco del Trecento5 sono forse alla base di una spedizione nella città sul Rodano da parte di un miniatore verosimilmente di formazione teramana. È infatti con la miniatura di quest’area che il secondo artista trova i maggiori confronti, per la struttura delle sue cornici, la gamma cromatica, gli uccellini e le campiture piatte e contrastate delle miniature, come si vede dal confronto con la Bibbia di Muzio di Francesco di Cambio da Teramo (Vat. lat. 10220)6, esemplificativa di una produzione che fin dall’inizio del Trecento è fortemente segnata dai modelli francesi7. L’Evangelistario presenta numerose particolarità iconografiche, come la miniatura all’incipit che mostra un celebrante che eleva l’animula, secondo la tradizionale iconografia della prima domenica dell’Avvento nei Messali e nei Graduali (che iniziano con l’introito Ad te levavi animam meam). Questa insolita scelta da parte del miniatore è forse legata al fatto che il testo utilizzato per tale incipit non corrisponde a quello diffuso nel Trecento, in genere accompagnato dall’immagine dell’Entrata a Gerusalemme qui collocata in un punto diverso, ma sembra derivare da un modello testuale più antico, secondo la tradizione della basilica petrina, e verosimilmente non illustrato8. Tra le altre peculiarità del codice si segnala anche una presenza equilibrata di immagini di santi francescani e domenicani, frequente in altri codici miniati prodotti ad Avignone tra gli anni Trenta e Quaranta del Trecento9.

303


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Lo studio della Bibbia

LO STUDIO DELLA BIBBIA E LA BIBBIA PORTATILE NEI SECOLI XII E XIII Patricia Stirnemann Per un millennio, durante quello che è stato chiamato il Medioevo, la Bibbia ha permeato tutti gli aspetti della civiltà occidentale. Essa ha costituito la sorgente della preghiera, della liturgia, della predicazione, della dottrina e della teologia. La sua sfera di influenza, tuttavia, si estendeva ben oltre l’ambito della religione, nel senso moderno del termine. L’educazione di base nelle arti liberali, dalla grammatica all’astronomia, apriva la strada alla comprensione del testo, alle sue formulazioni letterali e retoriche, alle contraddizioni dialettiche, alle interpretazioni numerologiche, filosofiche, allegoriche e mistiche, e all’autentico ritmo della vita e dell’universo. La Bibbia conteneva il racconto scientifico, accettato, dell’origine del genere umano e raccontava dettagliatamente la storia sacra dell’umanità dalla Creazione all’escatologico Giudizio finale. Gli insegnamenti del Nuovo Testamento, prefigurati dai libri dell’Antico Testamento, dai Profeti e dai Libri della Sapienza dell’Antico Testamento, costituivano il termine ultimo di riferimento per la morale e la legge. Eppure, fin dall’inizio, la conoscenza e lo studio della Bibbia si scontravano principalmente con tre grandi problemi. Il primo era quello di stabilire un testo accettabile in presenza di un compendio che era stato originariamente scritto in ebraico o in greco. Il secondo era la comprensione e l’esegesi dei vari libri della Bibbia, con particolare riguardo ai passaggi testuali discordanti, problematici e oscuri così come alle relazioni tipologiche fra l’Antico e il Nuovo Testamento. Il terzo riguardava l’effettiva disponibilità del libro. Durante il corso del primo millennio, Origene, sant’Ambrogio, san Girolamo, sant’Agostino e Gregorio Magno hanno posto le fondamenta per la ricezione del testo biblico. San Girolamo, con l’aiuto di altri, ha dato all’Occidente un testo latino colto, tradotto dall’ebraico e dal greco in latino, un testo che, in un mondo frammentato, rivaleggiava con la Vetus Latina e che dovette essere rivisto in Francia, nel ix secolo, da Alcuino di York, abate di Saint-Martin a Tours, e dallo spagnolo Teodolfo, vescovo di Orléans. Sant’Agostino ha gettato le basi per l’interpretazione della Bibbia, e il suo lavoro venne ampliato da altri Padri della Chiesa e poi ricompilato e trasmesso dagli eruditi carolingi. Durante questi secoli, le difficoltà maggiori e ricorrenti furono rappresentate dallo sforzo di conservare l’alfabetizzazione e da quello di costituire delle biblioteche, anche se modeste, nei monasteri, dove la Bibbia era letta ad alta voce e fatta oggetto di meditazione quotidiana nella cappella, nel refettorio e in occasione dei sermoni.

304

Lo studio della Bibbia conosce un nuovo punto di svolta alla fine dell’xi secolo nell’ambiente della scuola cattedrale di Laon, vicino Reims, dove Anselmo e suo fratello Rodolfo iniziarono a mettere a punto un nuovo strumento di insegnamento. Essi ricercarono nei commentari di Origene, Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio, Beda ecc., le interpretazioni letterali, morali e allegoriche di ciascuna frase di un libro biblico; trascrissero quindi questi brevi estratti, insieme con delle note personali, su entrambi i lati di ciascun verso di ogni libro della Bibbia, collocando delle note più brevi nell’interlinea del testo sacro. Nelle bibbie glossate come, ad esempio, quella cui appartiene il volume Arch. Cap. S. Pietro B.57, contenente Isaia e realizzata a Sens tra il 1170 e il 1180, il testo biblico è scritto nella colonna centrale in scrittura di modulo maggiore. Le glosse sono trascritte in paragrafi su entrambi i lati e le parti che continuano sul foglio successivo sono collegate da segni posti nel margine inferiore. Le glosse interlineari sono in scrittura di modulo ancora più piccolo. Nel margine esterno il possessore ha aggiunto le proprie annotazioni personali. In mancanza di una grande biblioteca, lo studente poteva così studiare il testo sacro di un libro biblico e le sue interpretazioni in un unico, relativamente piccolo volume. La pratica della glossa aveva interessato tutta l’epoca dell’Alto Medioevo, ma ora essa acquisiva un carattere normativo, di autorità, e assumeva il nome di glossa ordinaria. La realizzazione della glossa ha inizio con i Vangeli, il Salterio, le Epistole paoline, la Genesi, i Libri della Sapienza, i Profeti e l’Apocalisse; la sua applicazione a tutti i libri della Bibbia occupò all’incirca un secolo e fu portata avanti da numerosi eruditi. L’emergere della Bibbia glossata ha avuto delle importanti ripercussioni economiche e sociali. I nuovi testi apparvero decennio dopo decennio vergati in piccoli volumi, mentre contemporaneamente il pubblico dei loro lettori si andava espandendo ad altre scuole cattedrali. La richiesta di questi nuovi testi da parte di maestri, ricchi studenti ed ecclesiastici stimolò una nuova attività di produzione dei manoscritti al di fuori dello scriptorium monastico. Si trattava di una produzione “professionalizzata” che richiedeva degli esperti artigiani produttori della pergamena, oltre che copisti e miniatori a pagamento. Manoscritti realizzati su commissione vennero prodotti in particolare a Laon, Chartres, Parigi (come le bibbie Ross. 131 e Vat. lat. 115). In un volume con le Epistole di Paolo glossate (Vat. lat. 140), probabilmen-

162

161

163-164

te eseguito a Parigi, ca. 1150, la scrittura elegante e le iniziali miniate segnalano una produzione costosa, ma non è stato usato l’oro, che era il principale indicatore di lusso. Volumi prodotti da professionisti cominciano a comparire a Parigi intorno al 1150, realizzati da artigiani che erano attratti in città dalla scuola della cattedrale. L’artista attivo in questo manoscritto sembra essere stato inglese. Codici di questo tipo, eseguiti su committenza, appaiono a Parigi intorno al 1140 e negli anni Cinquanta sono già presenti caratteristiche locali tanto nelle iniziali a tempera che in quelle filigranate a penna e inchiostro. A Sens, ca. 1165-1175, possono essere invece ricondotti due volumi da una stessa Bibbia glossata (Vat. lat. 52 e Vat. lat. 113). Una produzione di codici realizzati per committenti specifici fu avviata a Sens negli anni Sessanta del xii secolo, quando papa Alessandro iii e la sua corte elessero la città quale residenza temporanea e l’arcivescovo Thomas Becket e il suo seguito, in esilio, soggiornarono poco lontano, nella abbazia di Sainte-Colombe. Il mercato librario proseguì a Sens almeno alla fine degli anni Ottanta. A partire dal xiii secolo, tuttavia, Parigi e le sue scuole monopolizzarono il mercato librario che cominciò a offrire prestigiose serie di bibbie glossate, spesso composte da ben quindici volumi, come la Bibbia Vat. lat. 59 e quella dell’Aracoeli, Vat. lat. 7793-7795, 7797-7799, 7801. Lo sviluppo di Parigi come centro per lo studio del testo biblico fu seguito da presso, nella prima metà del xii secolo, dal costituirsi della scuola dei canonici agostiniani presso l’abbazia di San Vittore. A differenza di quanto si faceva a Laon, l’enfasi fu qui posta sull’apprendimento di tutto il possibile nell’ambito delle arti liberali così da essere capaci di leggere la Bibbia in tutte le sue sfaccettature, con una particolare attenzione verso la piena comprensione del testo letterale. I canonici regolari dell’abbazia venivano da tutta Europa e, a differenza dei monaci benedettini e cistercensi le cui vite erano concentrate sulla preghiera individuale, gli Agostiniani dedicavano la loro esistenza allo studio collettivo per l’edificazione spirituale. La personalità più eminente fu quella di Ugo di San Vittore (morto nel 1141), originario della Sassonia, in Germania, e conosciuto come il secondo Agostino. Fra i suoi discepoli più vicini si annoverano gli inglesi Andrea e Riccardo di San Vittore, l’italiano Pietro Lombardo e Pietro Comestore, che veniva da Troyes, in Champagne. Ugo approntò un manuale per l’insegnamento intitolato Didascalicon o L’arte della lettura, e sottolineò nei suoi scritti anche

l’importanza delle fonti ebraiche e della comprensione del significato letterale dei testi biblici come primo passo per la comprensione ultima, teologica e spirituale, dei segni sacri nella Scrittura, prima e dopo l’Incarnazione, i quali a loro volta rivelano i misteri della fede, un tema sviluppato da Ugo nel De sacramentis. L’insegnamento e gli scritti di Ugo ispirarono una rivoluzione pedagogica, un nuovo approccio nell’insegnare e nel leggere, studiare, interrogare e fare ricerche sul testo biblico. Questo nuovo approccio si avvaleva di ausili didattici, nelle classi, come mappe e diagrammi oltre a nuovi testi e libri di riferimento. Costituendo una sorta di discendenza lungo quasi un secolo dopo la sua morte, i suoi discepoli e i loro studenti avrebbero continuato a mettere a punto questi strumenti. Uno dei primi fu il suo contemporaneo Gilberto Porretano (morto nel 1154), cancelliere della scuola di Chartres e uno dei più grandi filosofi e teologi del secolo, che redasse delle glosse estremamente sintetiche ai Salmi e alle Epistole paoline, parafrasando e fondendo insieme autori antichi, selezionando le migliori idee su un programma di tematiche e presentandole in una forma più leggibile come commento continuo, piuttosto che come paragrafi isolati o estratti. Pietro Lombardo (morto nel 1160), che risiedette nell’abbazia di San Vittore e insegnò presso la cattedrale di Parigi fino alla sua nomina a vescovo nel 1158, riprese e ampliò le glosse di Gilberto, e i suoi commentari ai Salmi e alle Epistole di san Paolo divennero i testi correnti nelle scuole e nelle università. Nel suo libro delle Sententiae, Gilberto sintetizza l’insegnamento di Ugo circa i segni teologici e spirituali, dandone una interpretazione più scolastica, agostiniana; questo lavoro divenne rapidamente un libro di testo di riferimento, commentato da centinaia di autori e conservato oggi in oltre 1250 copie manoscritte. In un volume contenente il Commento al Salterio di Pietro Lombardo, eseguito a Parigi intorno al 1210-1220 (Vat. lat. 92), il f. 217v presenta i commenti al Salmo 109. Il testo biblico, in scrittura di modulo maggiore, è inserito nel commentario e occupa metà di ogni colonna; la lettera miniata D di “D(ixit)”
è ripetuta tre volte: la prima annuncia il titolo del salmo e la sua interpretazione; la seconda iniziale, istoriata con Cristo in trono, introduce il salmo; la terza, un po’ più piccola, introduce il commentario. Questo spiega il testo frase per frase, ognuna sottolineata in rosso. Nel margine superiore, le abbreviazioni AG e CA, rispettivamente sormontate da puntini orizzontali e verticali, si riferiscono agli autori Agostino e Cassio-

305

165


Bibbia. Immagini e scrittura

doro: i puntini indicano la localizzazione degli estratti delle loro opere all’interno del testo. Pietro Comestore (morto nel 1179 ca.) fu discepolo di Pietro Lombardo e a lui si deve un altro lavoro fondamentale, conosciuto con il titolo di Historia scolastica, della quale sono sopravvissute più di ottocento copie. In questo lavoro Comestore ha presentato i libri storici della Bibbia (escludendo quindi Profeti, Libri della Sapienza, Epistole e Apocalisse) letteralmente come “storia”, dalla Creazione all’Ascensione, ripercorrendo concisamente le storie bibliche e completandole con gli eventi contemporanei della storia del mondo, attingendo ad autori antichi e leggende, tradizioni cristiane ed ebraiche, così come alle opere dello storico ebreo Flavio Giuseppe, di sant’Agostino e san Girolamo. Come Comestore dichiara nella sua introduzione, «La Sacra Scrittura è la sala da pranzo di Dio, dove gli ospiti sono resi sobriamente ebbri […] La Storia ne costituisce le fondamenta […] l’Allegoria il muro […] la Tropologia il tetto»1. Per termini difficili od oscuri contenuti nella Bibbia, Comestore fornisce definizioni e spiegazioni tratte dal dizionario etimologico di Isidoro di Siviglia (morto nel 636) e dalle opere di Andrea di San Vittore, uno dei pochissimi eruditi del xii secolo ad avere qualche conoscenza dell’ebraico (si veda ad esempio il codice Borgh. 42). Pietro di Poitiers (morto nel 1205) era probabilmente uno studente di Pietro Comestore e succedette al suo maestro come cancelliere della scuola cattedrale di Notre-Dame. Il suo contributo allo studio biblico fu uno strumento di aiuto all’insegnamento, un compendio di storia biblica organizzato in forma di genealogia, dalla Creazione all’Incarnazione, strutturato diagrammaticamente come un albero di famiglia illustrato, con ritratti in medaglioni accompagnati da brevi biografie tratte dalla Historia di Comestore. Il compendio si incontra spesso nella forma di un rotolo ed era probabilmente attaccato al muro della classe. L’accesso alla Bibbia costituiva un problema potenzialmente per chiunque fosse esterno al monastero. Le bibbie monastiche erano veri e propri monumenti, di grandi dimensioni, usate in comune e non mobili, dal momento che misuravano più di mezzo metro in altezza ed erano spesso costituite da quattro o cinque volumi. L’idea di produrre una Bibbia portatile in uno o due volumi, a uso personale, fu un’idea rivoluzionaria e si manifestò per la prima volta intorno al 1150. Le tre più antiche bibbie di piccole dimensioni conservate furono

306

III. Lo studio della Bibbia

realizzate per l’abate san Bernardo di Chiaravalle, per il conte Tibaldo il Grande di Champagne e per il papa Adriano iv, che era di origine inglese. Quelle per san Bernardo e Tibaldo vennero realizzate a Chartres e, per la prima volta, contenevano anche il glossario latino dei nomi ebraici nei libri storici della Bibbia, opera di Girolamo. Bibbie più piccole furono prodotte nell’ultimo quarto del xii secolo in Inghilterra, soprattutto presso l’abbazia di St. Albans. Dal 1200 questa moda si diffuse a Parigi, insieme all’introduzione di più lunghi glossari dei nomi ebraici. Una di queste liste di parole, quella iniziante con l’espressione «Aaz apprehendens vel apprehensio», divenne infine il glossario standard presente alla fine della maggior parte delle bibbie. Molte delle bibbie successivamente realizzate a Parigi presentavano un testo che differiva dalla(e) versione(i) monastiche. Si trattava essenzialmente del testo che si trovava nei codici biblici glossati e che divenne quello utilizzato nelle scuole parigine, dove i maestri necessitavano di un testo che costituisse il punto di riferimento anche se non si trattava necessariamente del più accurato. Nel tardo xii secolo, un maestro inglese che insegnava a Parigi, Stephen Langton, e che sarebbe poi diventato arcivescovo di Canterbury, si rese conto che le divisioni monastiche dei libri della Bibbia, non essendo numerate, erano troppo diseguali e difficili da citare nei commentari, perciò propose un nuovo schema di suddivisione dell’intera Bibbia. In un primo momento, le nuove bibbie realizzate a Parigi mantennero la vecchia divisione non numerata o in capitula, indicati solo da una iniziale colorata, e aggiunsero nei margini l’innovativa ripartizione numerata proposta da Langton. Intorno al 1240 i numerali romani della suddivisione di Langton cominciarono a essere sistematicamente inseriti in interlinea e ciascun capitolo veniva aperto da un’iniziale filigranata di dimensioni maggiori. Accanto ai maestri e agli studenti di teologia, un altro, perfino più ampio, spettro di individui necessitava di bibbie portatili e di strumenti per lo studio biblico. Si trattava dei predicatori, la cui attività era stata fortemente incoraggiata dal quarto concilio Lateranense nel 1215. Per catturare l’attenzione del loro uditorio e variare le tematiche delle proprie prediche, essi avevano bisogno di agili strumenti per individuare i più appropriati passaggi biblici. Furono soprattutto Domenicani e Francescani ad approntare questi nuovi libri di consultazione, e per il loro lavoro trovarono un enorme aiuto nella nuova divisione numerata dei capitoli. A cominciare dalla fine

degli anni Trenta del xiii secolo, la Bibbia in sé divenne oggetto di numerosi correctoria, che presentavano collezioni di varianti testuali compilate da gruppi di studiosi domenicani, fra i quali alcuni conoscevano il greco e l’ebraico arrivando così talvolta a comparare le differenti lezioni in tutte e tre le lingue bibliche2. Intorno al 1240, i Domenicani compilarono le prime concordanze verbali del testo biblico, allineando parole e passaggi similari, localizzandoli nella Bibbia grazie ai numeri di capitolo e alle lettere marginali, da A a G, collocate a eguale distanza fra loro come termini per la ricerca. Il codice Urb. lat. 597, eseguito a Parigi, ca. 1250, è un esempio tipico delle piccole bibbie copiate in centinaia di esemplari a Parigi tra il 1230 e il 1280. Nei margini reca una sorta di ritratto di un possessore del xv secolo: si tratta di un italiano, come indicato dalla scrittura in inchiostro grigio; certamente un predicatore, questi ha numerato i fogli in rosso, accanto ai titoli correnti (ad esempio a f. 448r), e ha diviso i fogli in segmenti uguali con lettere
rosse da “a” a “g”. Ha quindi inserito riferimenti ad altri passi biblici, da una concordanza verbale. Prima e dopo il testo della Bibbia, ha inoltre aggiunto un calendario, un breviario per il monastero di San Girolamo della Cervara, liste di letture dei salmi penitenziali, cantici biblici, litanie,
inni e antifone, rendendo il codice una biblioteca liturgica per la celebrazione dell’ufficio canonico. Il volume contiene più di 1700 pagine ed è stato molto usato, come dimostrano i margini macchiati. Fu solo negli anni Cinquanta del xvi secolo, tuttavia, che Robert Estienne introdusse la divisione in versetti numerati delle bibbie greche, francesi e latine. Glossari e dizionari etimologici venivano redatti sin dall’antichità ma è solo intorno al 1260 che il francescano Guglielmo il Bretone compose il primo dizionario centrato sulla Bibbia. Si trattava inoltre anche della prima opera di questo tipo che poneva le parole in ordine alfabetico secondo tutte le lettere che le componevano e non solo con riferimento alle prime due o tre. Le sue disquisizioni, spesso derivate dai lavori precedenti, erano ad ampio raggio, facendo confluire spiegazioni etimologiche, storiche e grammaticali. Più di cento copie ci sono note. Nelle scuole del xii secolo, testi esegetici e insegnamento erano legati fra loro in modo inestricabile. Il maestro insegnava il testo sacro attraverso la lettura ad alta voce, di fronte alla classe, del testo e delle glosse; a sua volta, la discussione che ne seguiva, e che riguardava le interpretazioni grammaticali, verbali, storiche e morali, forniva materiale per ulteriori commentari e glosse.

Si incoraggiava anche alla ricerca di nuove fonti, come i testi greci recentemente tradotti o l’esegesi ebraica, e si proponeva la compilazione di nuovi “manuali” quali bestiari, lapidari e trattati numerologici. La fondazione delle prime università, come quelle di Bologna, Parigi e Oxford, risale al xii secolo, ma la loro istituzionalizzazione data solo al xiii. Qui l’insegnamento si fece più formalizzato, strutturato e specializzato. Parigi divenne il principale centro per lo studio biblico e teologico, con un cursus che si articolava in due fasi. La prima (sette anni) si concentrava sull’insegnamento esegetico, o critico-esplicativo, del testo biblico e delle Sentenze di Pietro Lombardo da parte dei baccellieri o professori di primo livello (lettori, assistenti ai professori, equivalenti degli attuali “maître de conférence”) che avevano già completato con successo questo primo ciclo. La seconda fase corrispondeva a un periodo di cinque anni e contemplava un’istruzione teologica a opera di un professore più anziano, incentrata su un libro della Bibbia e su complesse questioni di interpretazione teologica. Lo studente difendeva poi oralmente la propria tesi di fronte a degli avversari in una seduta che durava un’intera giornata. Man mano che gli studi teologici si sviluppavano, le opere che assurgevano al rango di autorità erano sempre più quelle degli autori contemporanei, soprattutto di Ugo di Saint-Cher, che lavorò con un piccolo gruppo di Domenicani e sintetizzò la glossa e i contributi degli autori recenti in un commentario (postilla) per ciascun libro della Bibbia. L’immensa impresa fu portata a termine in soli cinque anni, dal 1230 al 1235. Questo lavoro enciclopedico divenne lo strumento di riferimento standard per il resto del Medioevo, ed ebbe perfino influenza su alcune delle illustrazioni nelle bibbie realizzate a Parigi, come nella Bibbia Ross. 314. Negli anni Quaranta del xiii secolo l’illustrazione della Bibbia subì vari cambiamenti e furono adottate diverse nuove scene che non avevano relazione con il testo biblico stesso, ma che riguardavano piuttosto il suo autore. È questo il caso dei libri di Isaia e Geremia, nei quali viene raffigurato il “martirio” dell’autore. Secondo la tradizione, infatti, Isaia fu segato a metà e Geremia venne lapidato. In entrambi i casi la fonte dell’illustrazione è il breve testo, contenente dettagli biografici sull’autore, scritto da Ugo di Saint-Cher come prefazione per la sua postilla a quel libro biblico. Ma proprio nel momento in cui il lavoro di Ugo era in corso di pubblicazione, un nuovo cambiamento si profilò all’orizzonte. La riscoperta di Aristote-

307

166-167


Bibbia. Immagini e scrittura

161. Iniziale decorata all’incipit del Libro di Isaia, Bibbia glossata (Arch. Cap. S. Pietro B.57, f. 3v).

III. Lo studio della Bibbia

Pagine seguenti: 162. Iniziale decorata all’incipit delle Epistole di Paolo, Bibbia glossata di Sens (Vat. lat. 140, f. 95r). 163. Iniziale con scene della Genesi, Bibbia glossata (Vat. lat. 52, f. 2v).

le, della logica antica e delle scienze naturali, così come della letteratura filosofica ebraica, ad esempio la Guida dei Perplessi di Maimonide, tradotta intorno al 1230, cominciarono infatti a trasformare i modelli di pensiero. Il lavoro sui correctoria stimolò l’interesse verso le lingue bibliche, preparando il terreno per l’arrivo di san Tommaso d’Aquino che, nella sua Catena aurea ai Vangeli, arricchì la sua esplicazione con numerose citazioni da fonti greche, in particolare da Giovanni Crisostomo. Questo lo scambio di battute con uno studente di ritorno da una visita a Saint-Denis: «Maestro, come è bella questa città di Parigi! – Si, davvero, è proprio bella. – Volesse Dio che diventi vostra! – E cosa dovrei farci? – La vendereste al re di Francia e con il denaro ricavato potreste costruire conventi per i frati predicatori. – In verità, in questo momento preferirei possedere le omelie di Crisostomo su Matteo». Lo studio della Bibbia non era limitato agli ambienti delle scuole e università e a quelli dei predicatori: a questi si affiancavano anche iniziative locali e individuali. L’Inghilterra è particolarmente interessante da questo punto di vista. Bisognerà innanzitutto ricordare che alcuni dei migliori discepoli di Ugo di San Vittore erano inglesi, e che fra questi va annoverato Andrea l’Ebraista. Inoltre, è all’inglese Stephen Langton che si deve la nuova divisione in capitoli. Oltre a ciò, in generale le bibbie inglesi presentano alcune caratteristiche distintive che mettono in evidenza la fascinazione inglese per la Bibbia e la lingua ebraiche. Per tutto il periodo dal tardo xii al xiii secolo, le bibbie inglesi contengono spesso un doppio Salterio, la Vulgata latina o Salterio Gallicanum e il Salterio ebraico o Hebraicum, vergati, per la comparazione, su colonne parallele. Meno comune, ma anche in questo caso esclusivamente inglese, è l’inclusione di due interpretazioni dell’alfabeto ebraico all’inizio delle Lamentazioni nel Libro di Geremia. La prima si accorda a Girolamo (aleph è doctrina, beth è domus, gimel è plenitude, daleth è tabularium, he è ista, ecc.). La seconda interpretazione fornisce delle equivalenze che si possono ritrovare solo nei manoscritti inglesi (aleph è Deus, beth è Filius, gimel è vox, daleth è timor, he è via salutis, ecc.). Occasionalmente incontriamo una Bibbia come Borgh. 25, copiata nella regione di Lincoln intorno al 1230-1240, la quale lascia trapelare lo spirito indagatore di uno studioso biblico. Fra le sue singolarità ricordiamo

308

il fatto che il proprietario ha incluso estratti dal trattato di Girolamo sopra le questioni ebraiche nella Genesi all’inizio del cap. 49 (Borgh. 25, f. 21). Il libro contiene non solamente i Salteri Gallicanum e Hebraicum, ma anche, riportate nei margini, le varianti della terza versione, il Salterio Romanum, basata sulla traduzione greca dei Settanta eruditi ebrei per Tolomeo (f. 192 e 210). Piuttosto inusuali sono anche le due versioni, quella della Vulgata e quella della Vetus Latina pre-Girolamo, della Preghiera di Abacuc (cap. 3 del libro corrispondente) e del cap. 31 dei Proverbi, in cui si traccia la descrizione della moglie perfetta (ff. 305-6 e 328). I nomi dei re sono annotati nei margini di iv Re, le visioni dei quattro profeti maggiori sono numerate in rosso a margine, e le letture per le feste maggiori sono sottolineate in rosso nelle Epistole di san Paolo. Parimenti sorprendente è l’emergere, presso l’abbazia di Ramsey nel terzo quarto del xiii secolo, di un coltissimo e acuto circolo di ebraisti guidati dal priore Gregorio. Questi si procurarono numerosi strumenti necessari allo studio: manoscritti biblici in ebraico con traduzione latina interlineare, una Bibbia ebraica, un Salterio greco e commentari opera dello studioso franco-ebraico Rashi. Diedero quindi avvio al lavoro redigendo un dizionario biblico trilingue. Le entrate del dizionario erano in ebraico, seguite dall’equivalente o dagli equivalenti latini con il riferimento biblico per confrontare i significati e gli usi. Non di rado è presente anche una traduzione anglo-normanna. Il dizionario, a noi noto attraverso una sola copia oggi conservata presso il castello di Leeds, è un’opera puramente lessicografica e scevra da qualsiasi orientamento teologico o pregiudizio. Si tratta di una delle grandi imprese intellettuali del xiii secolo. Il xiii secolo fissò i termini dello studio biblico nelle università per il resto del Medioevo, ma al tempo stesso sorprende il fatto che rare siano le copie latine della Bibbia realizzate tra il tardo xiii secolo e l’avvento della stampa alla metà del xv. Perfino le bibbie glossate persero di fascino a partire dal xiv secolo. Lo studio si concentrò allora sui commentari piuttosto che sulla lettura continuativa del testo biblico in se stesso, e Niccolò di Lira rinnovò lo studio del testo ebraico e della tradizione ebraica. Nell’ottica di una ricerca di nuove prospettive, l’attenzione si sarebbe allora spostata verso la traduzione volgare, il misticismo e la spiritualità meditativa.

309


Bibbia. Immagini e scrittura

310

III. Lo studio della Bibbia

311


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Lo studio della Bibbia

164. Iniziale con il profeta Michea, Bibbia glossata (Vat. lat. 113, f. 89v). 165. Iniziale con Cristo in trono all’incipit del Salmo 109 e iniziali decorate all’inizio delle glosse,
 Pietro Lombardo, Commento al Salterio (Vat. lat. 92, f. 217v).

312

313


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Lo studio della Bibbia

166. Iniziale con il profeta Isaia segato dai carnefici, Bibbia (Ross. 314, f. 284v). 167. Iniziale con il profeta Geremia lapidato, Bibbia (Ross. 314, f. 303r).

314

315


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

DIVULGAZIONE DEL TESTO BIBLICO: DAL MANOSCRITTO AL LIBRO A STAMPA Maria Theisen Nel corso del xiii secolo lo studio delle Sacre Scritture rappresentò uno dei più importanti oggetti di interesse nelle università europee, determinando da una parte un incremento della domanda di bibbie, dall’altra favorendo un arricchimento senza precedenti della letteratura esegetica. Mentre in una prima fase erano stati principalmente i religiosi a copiare e decorare i codici, ora questa attività coinvolse anche i laici, che rispetto a essa avevano interessi economici, soprattutto nelle città universitarie. Per rispondere alle esigenze del mercato, essi arrivarono perfino a creare una tipologia libraria specifica per gli studenti di Parigi: le piccole “bibbie tascabili” che contenevano l’intero testo della Vulgata in un unico volume, vergate in una scrittura estremamente minuta (“Perliva”) su pergamena di alta qualità. Le bibbie tascabili erano però scarsamente decorate, anche se alcune presentano lettere ornate o minuscole iniziali istoriate. Indipendentemente da questo fenomeno, esegesi bibliche illustrate, estratti e parafrasi guadagnarono sempre più importanza nel corso del Medioevo, rivolgendosi ormai in misura crescente anche a un pubblico di lettori laici, tradizionalmente educati alla fede cristiana e alla morale soprattutto attraverso l’uso delle immagini1.

La Historia scholastica e la Bible Historiale Intorno al 1170-1173, Pietro Comestore (morto nel 1178 ca.), “il Mangiatore” di un’enorme quantità di libri, a uso dei suoi studenti dell’università di Parigi, ripercorse cronologicamente e interpretò la storia del mondo narrata dalla Bibbia, dalla Genesi agli Atti (intessendola con testi tratti da Flavio Giuseppe, dai Padri della Chiesa e altri). La sua Historia scholastica ebbe così tanto successo da essere tradotta in fiammingo dal poeta Jacob van Merlant (morto nel 1288 ca.) già nel secolo successivo. Poco dopo, nel 1297, venne realizzata anche la prima traduzione francese in prosa a opera di Guyart des Moulins (1251-1322 ca.). Combinando parti della cosiddetta Paris Bible (1250 ca.), in volgare, con interpolazioni dalla Historia scholastica, la Bible Historiale di Guyart era destinata a diventare la più comune delle bibbie in francese, soprattutto sotto i regni di Giovanni ii il Buono (1319-1364) e Carlo v (1338-1380)2. Data la sua grande popolarità nel corso del xiv e del xv secolo, ben 144 copie della Bible Historiale sono giunte fino a noi, molte delle quali accompagnate da progetti illustrativi personalizzati. Come nella Historia di Comestore,

316

la storia biblica è raccontata visivamente da scene che sono inserite all’interno del testo sotto forma di miniature a tempera, della larghezza di una colonna, inquadrate da cornici; in alcuni casi, le pagine introduttive mostrano delle immagini che occupano due colonne, e che riflettono gli interessi dei loro committenti. La Historia scholastica costituì anche un punto di riferimento fondamentale per le cronache universali, e ancora nel xv secolo essa restò un testo che non poteva in alcun modo mancare in qualsiasi biblioteca teologica. Il Vat. lat. 5697 è un esemplare straordinario, dedicato all’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (13681437). Le sue pagine introduttive sono incorniciate da una decorazione filigranata in oro a penna che mostra gli stemmi di Sigismondo come re del Sacro Romano Impero e del regno di Boemia. Il codice è inoltre illustrato con 514 miniature che accompagnano la narrazione e con 29 medaglioni, oltre a essere decorato con iniziali filigranate in corrispondenza di ciascun capitolo; tale progetto illustrativo fu realizzato molto verosimilmente in un atelier di Praga durante gli anni Trenta del xv secolo. Almeno sette artisti hanno partecipato alla realizzazione di questa decorazione. Uno di loro è il cosiddetto Maestro dello Krumlov-Speculum, che ha realizzato l’illustrazione dell’introduzione e le più significative miniature della Historia3.

168-169

Biblia pauperum

181

Bibbia moralizzata Una notevole quantità di motivi iconografici, nuovi ed estremamente elaborati, furono forniti dalla tipologia libraria riccamente miniata della Bibbia moralizzata, originariamente creata intorno al 1220-1230 per l’istruzione dei re di Francia. La Bibbia moralizzata (Bible moralisée) offriva parafrasi, commentari e interpretazioni moralizzanti della Bibbia in latino e in francese, corredando ciascuna sezione con un’immagine. A giudicare dalle sette bibbie moralizzate che sono giunte fino a noi, possiamo affermare che devono essere esistite almeno due versioni del testo, le quali differivano l’una dall’altra soprattutto nelle interpretazioni tratte dalla Bibbia. Le immagini giocavano un ruolo cruciale nella comunicazione di quest’ultime, trasformando i concetti in metafore visuali, come dimostrato dalla Bibbia moralizzata parigina del primo terzo del xv secolo (Reg. lat. 25). Il codice è stato illustrato da due miniatori con 76 miniature a tempera incorniciate, tralci di vite in foglia

d’oro e iniziali ornamentali, per un destinatario sconosciuto ma sicuramente altolocato. A differenza degli esemplari più antichi, la pagina di apertura di questo manoscritto non mostra Dio come architetto dell’universo, bensì circondato dal risultato della sua creazione, compresi riferimenti alla creazione degli angeli e all’inferno di Lucifero4.

171

Confrontata al programma pittorico sofisticato e, dal punto di vista artistico, di qualità estremamente elevata della Bibbia moralizzata, la Biblia pauperum rappresenta una forma artistica più misurata, contemplando ad esempio prevalentemente disegni a inchiostro acquarellato. Fondandosi su un’impostazione antica, risalente probabilmente al vescovo Ansgario di Brema, nel ix secolo, questa tipologia di Bibbia spiega la dottrina cristiana attraverso una efficace mise-en-page che consiste in gruppi di immagini ben strutturati, accompagnati da brevi passaggi testuali. Le scene del Nuovo Testamento (“antitipi”) sono sempre mostrate al centro della pagina, molto spesso in un medaglione, combinate con due prefigurazioni dall’Antico Testamento (“tipi”) su ciascun lato e da quattro busti di profeti. Inoltre, ciascuna scena del Nuovo Testamento (sub gratia) corrisponde a una scena dell’Antico Testamento prima della legge mosaica (ante legem) e a una scena in accordo con la legge mosaica (sub lege), facendo passare nel complesso il messaggio che il Nuovo Testamento era stato predetto o prefigurato dall’Antico Testamento. Le copie tardo-medievali generalmente contemplano quaranta scene di questo tipo in ordine cronologico. Due letture in prosa (molto spesso in volgare), tituli e citazioni di profezie bibliche nei cartigli dei profeti aiutano a comprendere il significato tipologico. Il codice Pal. lat. 871, un esemplare tedesco che presenta in aggiunta schemi del macro e del microcosmo, accanto a tavole sul cattivo e buon uso del vino, è stato illustrato con disegni a inchiostro colorato nell’Assia settentrionale o nella Turingia occidentale, intorno al 14255. Manoscritti come questo costituivano degli strumenti didattici molto di grande successo, che aiutavano a divulgare i misteri della fede. La predominanza della Biblia pauperum è dimostrata non solo dai 79 manoscritti ancora esistenti, ma anche dal loro impatto su altri mezzi di espressione artistica come gli affreschi e le antiche edizioni xilografiche (cfr. p. 319). Bisognerà

attendere il xvi secolo, con l’esplosione del fenomeno delle bibbie stampate, perché le Biblia pauperum perdano il loro primato.

Speculum humanae salvationis Il libro di contenuto tipologico più comune nel Medioevo era lo Speculum humanae salvationis, che prevedeva una gamma di scene assai più ampia di quella della Biblia pauperum. Lo Speculum rifletteva in modo complessivo sul mistero del progetto divino, dagli inizi alla fine del mondo. Il suo testo, associato a immagini semplici che rimanevano impresse nella memoria, si rivolgeva a un vasto pubblico di laici e chierici. Se ne sono conservate almeno 350 copie manoscritte, sia in latino che in volgare, e benché solo meno della metà di questi manoscritti siano illustrati, sembra che lo “Specchio della Salvezza” sia stato concepito fin dall’origine come un’edizione illustrata. Ciascuna pagina presenta due colonne di testo di venticinque linee con due immagini, e ogni capitolo consta esattamente di cento linee. I capitoli 1 e 2 mostrano il progetto divino della Salvezza, dalla Caduta di Lucifero all’Arca di Noè; i capitoli dal 3 al 42 sono strutturati secondo un’impostazione tipologica e presentano una scena dal Nuovo e una dall’Antico Testamento su ciascuna pagina di sinistra, seguite da altre due scene tratte dall’Antico Testamento o dalla storia pagana su ciascuna pagina a fronte. Il testo si conclude con le sette Stazioni di Cristo, i sette Dolori e le sette Gioie di Maria. Le immagini devozionali che accompagnavano questi testi erano fortemente influenzate dalle correnti mistiche contemporanee6. La rigida struttura testuale si riflette nella uniformità dei cicli di illustrazioni dello Speculum. Le differenze sono legate piuttosto alla diversità degli stili, come esemplificato dal Pal. lat. 413 e dal Pal. lat. 1806, entrambi originari della Germania. Il manoscritto di Colonia Pal. lat. 413 presenta dei bei disegni a colori acquarellati che datano intorno al 1400-1414. Uno dei miniatori può essere identificato con buona probabilità con Hermann Wynrich von Wesel, discepolo e successore di Wilhelm von Herle (morto nel 1372). Wilhelm, attivo a Colonia dal 1350 circa al 1370, e identificabile forse con Wilhelm di Cologne, era «il miglior pittore delle terre di Germania», secondo l’elogio che ne fa la Cronaca di Limbourg. Hermann, più noto come pittore di pale d’altare piuttosto che di codici miniati, rimase molto fedele allo stile

317


Bibbia. Immagini e scrittura

di Wilhelm, non da ultimo perché aveva rilevato la sua bottega nel 1378. La sua attività è documentata fino al 14137. Il livello artistico del Pal. lat. 1806, molto probabilmente illustrato ad Augusta da due miniatori durante il primo terzo del xv secolo, è assai al di sotto di quello del manoscritto di Colonia. Benché vergato su pergamena e in parte impreziosito con oro e argento, le illustrazioni non lasciano dubbi sul fatto che umiltà e povertà fossero considerate come virtù dal loro destinatario, o dai destinatari. Lo “Specchio della Salvezza” era destinato a diventare uno dei più popolari libri religiosi, dato alle stampe ad Augusta da Günther Zainer già nel 1473. Tuttavia, le origini dello Speculum rimangono sconosciute. Esso fu inizialmente attribuito al domenicano di Strasburgo Ludolfo di Sassonia (1300 ca.-1377/78), che lo avrebbe presumibilmente composto nel 1324, ma ricerche recenti suggeriscono piuttosto un’origine italiana – sempre domenicana – fra la fine del xiii e gli inizi del xiv secolo.

La Vulgata in lingua volgare In seguito all’aumento dell’alfabetizzazione e all’incremento della ricchezza economica che segnano il xiv secolo, si assiste a una crescita della domanda di libri da parte dei laici, anche perché essi erano divenuti più abbordabili grazie all’uso della carta in luogo della costosa pergamena. A partire da questo momento la parola di Dio avrebbe potuto dunque essere letta in casa, senza alcuna guida ecclesiastica. Tuttavia, temendo che le Sacre Scritture potessero essere interpretate in modo non adeguato, nel 1369 l’imperatore Carlo iv (1316-1378) proibì la diffusione delle bibbie in volgare, attenendosi con questa decisione a quanto consigliato dal papa Urbano v (1310-1370). Si trattava tuttavia di un divieto che non era destinato a durare. L’impresa di maggiore rilievo che sfidò questo divieto fu la Bibbia tedesca di grandi dimensioni commissionata dal figlio dell’imperatore Carlo iv, il re Venceslao iv (1363-1419). Sappiamo dal prologo che il lavoro di traduzione fu finanziato da Martin Rotlöw, il direttore della zecca del re. Il lavoro di illustrazione deve essere iniziato intorno al 1385-1390 e proseguito fino al 1400 circa, quando il progetto si arenò a metà del Libro di Esdra. Forse l’interruzione fu dovuta all’abdicazione di Venceslao, nel 1400, come sovrano del Sacro Romano Impero. Anche se il progetto è rimasto incompiuto, questo codi-

318

III. Divulgazione del testo biblico

ce rappresentò comunque, intorno al 1400, la Bibbia in tedesco più riccamente illustrata (önb, Cod 2759-2764), con i suoi 1214 fogli di pergamena vergati e le 654 miniature complete che spesso comportano o rappresentazioni del re in persona o dei suoi emblemi, e che costituirono un modello per altri cicli figurati biblici in Boemia8. Al contrario, la Bibbia vaticana Pal. lat. 1 segue la tradizione antica trasmettendo la Sacra Scrittura in latino. Dal punto di vista stilistico, tuttavia, essa si lega alla Bibbia del re in quanto la sua meravigliosa iniziale della Genesi, con sette scene che raffigurano la creazione di Dio, fu dipinta nell’atelier di Frana, il miniatore di corte sotto Venceslao iv. Le novanta iniziali decorate che seguono furono create intorno al 1410 in collaborazione con altri maestri. Il personaggio che prega nelle bordure costituite da tralci di vite della pagina della Genesi potrebbe essere Mattia, canonico del capitolo della cattedrale di S. Vito e, dal 1409, prevosto del monastero agostiniano di Karlov a Praga, una fondazione regia distrutta dagli Hussiti nel 14209 Malgrado i conflitti che seguirono, noti come guerre hussite (1419-1434), l’arte dell’illustrazione della Bibbia non si estinse nelle terre boeme. Al contrario, dopo la condanna come eretico in occasione del concilio di Costanza e il suo supplizio sul rogo nel 1415, Jan Hus (1369-1415) si era trasformato nella figura portabandiera di un intero movimento. Seguendo i suoi insegnamenti, che fra le altre cose proclamavano che solo le Sacre Scritture rappresentavano la Parola di Dio sulla terra, la Bibbia continuò a essere il libro più importante per gli Hussiti. Oltre a una nuova traduzione in lingua ceca, con introduzione dei segni diacritici, il movimento hussita produsse nuovi concetti visivi e innovazioni iconografiche, di cui possiamo citare qui brevemente solo alcuni esempi10. L’iniziale della Genesi della Bibbia di Martinice, in latino, commissionata da un membro dell’università di Praga nei primi anni Trenta del xv secolo11, introduce un nuovo schema dividendo la I iniziale di «In principio» in fasce e inserendo la Caduta dell’uomo al posto della Creazione di Adamo ed Eva, richiamando così la necessità della redenzione dal peccato attraverso il sacrificio di Cristo. Un’ulteriore miniatura disposta di fianco alla iniziale della Genesi mostra la più antica raffigurazione di Jan Hus, come integerrimo seguace di Cristo, sul rogo. Il suo discepolo – precedentemente identificato con Petr di Mladonovic – diffonde la parola camminando per il mondo con una Bibbia in mano: questa “diffu-

170

172

sione della parola di Dio” era destinata a diventare un importante soggetto iconografico nelle bibbie hussite e nei libri liturgici12. La Bibbia ceca, splendidamente miniata, del capo dei Taboriti, Filip di Pade ov (önb, Cod. 1175), venne prodotta durante gli anni del più acceso conflitto militare (1432-1434) e molte delle miniature di questo manoscritto ci parlano dello spirito radicale del suo committente. L’iniziale istoriata del i Libro dei Maccabei è solo uno degli esempi possibili: essa mostra Alessandro Magno sul suo letto di morte, in atto di consegnare un privilegio al margravio boemo, con il quale si sanciva la sua supremazia sopra tutte le terre dal mar Adriatico al mar Baltico, e su tutti i popoli che lì abitavano. Questo privilegio, una falsificazione che aveva cominciato a circolare intorno al 1350 a Praga, aveva ora assunto una certa importanza per gli Hussiti cechi “guerrieri di Dio”, indicando che a quel tempo il conflitto aveva ormai subito un nuovo orientamento in senso etnico. Le guerre terminarono nel 1434, seguite dal riconoscimento dell’imperatore Sigismondo come sovrano delle terre boeme nel 1436 e dalla concessione agli Hussiti di poter ricevere la comunione sotto le due specie (sub utraque specie)13. L’impressionante Bibbia ceca della regina Cristina di Svezia (Reg. lat. 87/1, 2) trae origine da questo periodo di moderato hussismo a Praga (1440 ca.). Le truppe svedesi si impadronirono probabilmente del manoscritto durante la loro occupazione di Praga nel 1648 e lo trasferirono insieme a molti altri libri a Uppsala, dove la regina (1626-1689) conservò presso di sé gli esemplari più belli. Dopo la sua conversione al cattolicesimo nel 1655, Cristina offrì questa Bibbia a papa Alessandro vii (1655-1667). La Genesi è qui introdotta da sette medaglioni che mostrano Dio in atto di creare il mondo con dei gesti teatrali, simili a quelli di un mago. Di seguito, il manoscritto presenta trentacinque miniature all’interno di cornici quadrate e iniziali ornamentali di notevole qualità artistica ma prive di caratteri iconografici specificamente hussiti14. Si tratta del lavoro di almeno due miniatori, uno dei quali già noto per una Bibbia istoriata (Picture Bible) in ceco, contenente solamente i Vangeli e gli Atti, con un’attenzione particolare alla “diffusione della parola” (önb, Cod. 485)15. I suoi disegni a colori acquarellati, accompagnati da brevi estratti dal Nuovo Testamento in lingua ceca e da didascalie in latino, possono essere spiegati con la volontà di esprimere una certa modestia, come descritto da Nicola da Dresda nella

sua Tabulae veteris et novi coloris intorno al 1410, ma si tratta anche di un carattere distintivo di tutta la letteratura didattica, come già visto nella Biblia pauperum e nello Speculum humanae salvationis. Il maestro del Nuovo Testamento ceco illustrò il Salterio nel secondo volume della Bibbia della regina Cristina16. Le Bibles historiales illustrate con disegni a inchiostri colorati acquarellati divennero molto comuni nell’area di lingua tedesca durante la prima metà del xv secolo. Diepold Lauber (1427 ca.-1471) e la sua bottega, ad Hagenau, “fabbricarono” tali bibbie istoriate in serie, accompagnando i testi – vergati su carta – con numerosi disegni a penna privi di cornici al posto delle miniature a tempera e oro, rendendo le bibbie illustrate disponibili per la prospera borghesia17.

Block Books Diebold Lauber giustamente aveva operato per rispondere a una domanda crescente che, non da ultimo, aveva anche stimolato la nascita del cosiddetto Block Book intorno al 1430. Con questa tecnica, testo e immagini di un’intera pagina erano incisi su blocchi di legno. Sebbene essa non permettesse la riproduzione di testi più lunghi, la stampa a blocchi svolse un ruolo significativo nella diffusione e divulgazione di alcune rappresentazioni figurate della Bibbia nel xv secolo, come ad esempio l’Apocalisse (della quale sono note sei edizioni xilografiche), la Providentia beatae Mariae Virginis-Canticum Canticorum (un’interpretazione del Cantico dei cantici con riferimento alla Vergine Maria come sposa di Cristo), la Biblia pauperum e la storia del re Davide, come mostrato nell’esemplare olandese Pal. lat. 143, del 1465-1470 circa, e, di nuovo, nello Speculum Humanae Salvationis18.

Le prime bibbie a stampa La vera svolta si registrò con l’invenzione della stampa a caratteri mobili a opera di Johannes Gensfleisch, conosciuto come Gutenberg (1400 ca.-1468). La sua innovazione tecnica costituì una vera e propria rottura nella storia del medium librario in generale e, al di là di questo, inaugurò una nuova fase nella diffusione della Bibbia. Il primo libro a uscire dalla pressa di Gutenberg fu la versione autorizzata della Vulgata latina della Bibbia. Stampata in collaborazione con Peter Schöffer e Johannes Fust a Mainz nel 1452-1455 (gw

319

173


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

168. Scena della Creazione, Bible moralisée parigina (Reg. lat. 25, f. 3r), dettaglio. Pagine seguenti: 169. Scena della Creazione, Bible moralisée parigina (Reg. lat. 25, f. 3r).

4201), il suo testo era organizzato in quarantadue linee su due colonne per pagina – da cui anche il nome di “B 42” – ed era fortemente richiesta dagli ambienti religiosi e dagli studiosi di tutta Europa19. Circa 30 bibbie del tipo B 42 furono stampate su pergamena e 150 su carta; Enea Silvio Piccolomini, nella sua lettera al cardinal Juan de Carvajal (datata 12 marzo 1455), parlava di 158 o 180 copie20. Esistono ancora 49 bibbie di Gutenberg, 12 delle quali appartengono all’edizione su pergamena. La Bibbia di Gutenberg vaticana, in due volumi, fu acquistata insieme alla collezione Barberini nel 1902 e appartiene alla più antica edizione su pergamena, decorata con iniziali ornamentali a tempera e oro – 33 nel primo volume, 53 nel secondo –, oltre a numerose iniziali filigranate (Stamp. Barb. AAA.iv.16). Gutenberg cercò di imitare attraverso la stampa le preziose bibbie manoscritte, ma la rubricazione, per non parlare poi della decorazione colorata, doveva essere ancora dipinta a mano. Anche nella più piccola edizione della Bibbia in tedesco, la cosiddetta Bibbia di Mentelin stampata a Strasburgo dal 1466, e in altre edizioni a stampa, le iniziali erano sempre lasciate in bianco per permettere ai miniatori di inserirle successivamente. Talvolta, questi lavoravano per conto dello stampatore, talvolta per conto dell’acquirente. Vent’anni dopo, l’evoluzione delle tecniche di stampa permise di includere xilografie e incisioni. Nel 1475, la Bibbia tedesca stampata da Günther Zainer (morto nel 1478) ad Augusta mostra 73 iniziali istoriate xilografiche in apertura di ciascun libro biblico (gw 4298). La cosiddetta Bibbia di Pflanzmann, pubblicata nello stesso anno ad Augusta, era decorata da 57 miniature in cornici quadrate (gw 4297). Jodocus Pflanzmann fu piuttosto inventivo e incise solo 21 matrici di legno per queste illustrazioni dal momento che si era reso conto di poter riutilizzare singole figure in differenti contesti, tecnica questa che sarebbe stata presto utilizzata da molti altri. Le sue matrici furono ereditate nel 1477 da Anton Sorg (morto nel 1493), che arricchì la serie con altre 25 xilografie (gw 4301). Egli acquistò anche il set delle iniziali di Zainer e le utilizzò per la sua nuova edizione della Bibbia nel 1480 (gw 4302). Come altro esempio delle numerose bibbie illustrate stampate in Germania dovremmo menzionare la Bibbia di Colonia, pubblicata nel 1478 da Heinrich Quentell (morto nel 1501) o Bartholomew di Unckel. Quentell raggiunse una ricchezza nelle illustrazioni xilografiche quasi insuperabile: la sua prima edizione della Bibbia mostra

320

113 xilografie, la seconda addirittura 123, oltre a cornici ornamentali stampate (gw 4307, gw 4308). 109 di queste illustrazioni furono rilevate dallo stampatore di Norimberga Anton Koberger (1440 ca.-1513) e pubblicate nella sua Bibbia del 1483 (gw 4303) – che ispirerà Albrecht Dürer per il suo Ciclo dell’Apocalisse (pubblicato nel 1498). Nel 1490, lo stampatore di Augusta Hans Schönsperger reimpresse la Bibbia di Koberger su carta di minore qualità e di formato ridotto, e fu anche in questo caso un vero successo (gw 4306). Nel complesso possiamo affermare che, su diciotto bibbie tedesche prima di Lutero, quindici erano illustrate. Ma, come nei libri manoscritti, il testo non era mai illustrato in modo omogeneo. In alcune bibbie le immagini sono concentrate quasi esclusivamente nella Genesi. L’illustrazione del Nuovo Testamento era comunque limitata alle raffigurazioni dei quattro evangelisti rappresentati come autori e, occasionalmente, all’Apocalisse21. A partire da questo momento, la stampa produsse anche un “effetto modello” sulle miniature dipinte a mano. Le bibbie illustrate intorno al 1470-1480 dall’artista di Regensburg Berthold Furtmeyr o da quello di Salisburgo Ulrich Schreier possono essere prese come esempi rappresentativi di questa pratica, dal momento che mostrano cicli illustrati che fanno riferimento a modelli stampati, sia da matrici in legno che da matrici in rame. L’idea della superiorità delle miniature dipinte a mano nei libri restò viva per molto tempo ancora dopo il consolidamento della stampa, specialmente nei circoli dei bibliofili di alto livello. In Italia, splendidi lavori furono realizzati a mano, ad es. la Bibbia del duca Borso d’Este di Ferrara (beu, Lat. 422-423), copiata da Pietro Paolo Marone tra il 1455 e il 1461, e la Bibbia del duca Federico da Montefeltro, scritta a Firenze nel 1476-1478 (Urb. lat 1-2)22. Intorno alla stessa epoca, le prime bibbie italiane venivano stampate a Venezia all’interno delle tipografie di stampatori tedeschi23. La bottega di Wendelin von Speyer pubblicò nel 1471 la prima edizione della Bibbia in italiano (gw 4311), tradotta da Niccolò Malermi (1422 ca.-1481). Essa era stata inizialmente progettata per essere accompagnata da illustrazioni, ma gli spazi appositi rimasero vuoti. La Bibbia stampata a Venezia nello stesso anno 1471 da Adam von Ammergau (gw 4314) presentava raffigurazioni solo dei sette giorni della Creazione, e anche l’edizione della Bibbia di Malermi a opera di Octavianus Scotus, dal

1481, mostra solamente una miniatura con la Creazione (gw 4314). Questo aspetto modesto venne trasformato nella Bibbia di Malermi (gw 4317), stampata nel 1490 da Giovanni Ragazzo per Lucantonio di Giunta (1457-1538), il più grande rivale di Aldo Manuzio (1449-1515) nell’ambito della stampa libraria. La bottega veneziana di Giunta era famosa per le sue edizioni economicamente accessibili con numerose piccole illustrazioni che narrano la storia biblica. La Bibbia pub-

170. Scene della Creazione, Bibbia boema (Pal. lat. 1, f. 4r). 171. Allegorie del buon e cattivo uso del vino, Biblia Pauperum tedesca (Pal. lat. 871, ff. 21v-22r).

blicata da Giunta conobbe dieci edizioni in un arco di tempo di circa quarant’anni e il suo ciclo di 384 illustrazioni, originariamente ispirato da Heinrich Quentell24, non subì mai cambiamenti. Le stesse matrici di legno furono utilizzate per la Vulgata di Simon Bevilacqua del 1498. Per tutta la prima metà del xvi secolo, la Bibbia di Giunta del 1490 servì come modello per le bibbie illustrate di tutta Europa e scolpì in questo modo l’immagine della Bibbia e delle sue storie per generazioni.

321


Bibbia. Immagini e scrittura

322

III. Divulgazione del testo biblico

323


Bibbia. Immagini e scrittura

324

III. Divulgazione del testo biblico

325


172. Scene della Creazione, Bibbia ceca della regina Cristina di Svezia (Reg. lat. 87, ff. 2v-3r).

326

Pagine seguenti: 173. Providentia beatae Mariae Virginis / Canticum Canticorum, Block book nederlandese (Pal. lat. 143, ff. 3v-4r).

327


Bibbia. Immagini e scrittura

328

III. Divulgazione del testo biblico

329


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

174. Stemma di Antoine Perrenot de Granvelle, Bible moralisée parigina (Reg. lat. 25, f. 1r).

BIBBIA MORALIZZATA IN LATINO E FRANCESE Reg. lat. 25 Caroline Zöhl Il Reg. lat. 25 costituisce un tardo e insolito esempio di Bibbia moralizzata trascritta da un singolo scriba. L’impostazione della pagina e lo stile delle iniziali, le cornici a barra con foglie d’edera e le miniature realizzate da almeno tre miniatori indicano che questo codice è stato realizzato a Parigi intorno al 1410, probabilmente nella cerchia del re di Francia Carlo vi. La tipologia della Bibbia moralizzata fa la sua apparizione nella prima metà del xiii secolo: essa contiene frammenti del testo della Bibbia associati con interpretazioni morali o allegoriche. Nel modello originale, al quale fanno riferimento quasi tutti i manoscritti che precedono Reg. lat. 25, ciascuna pagina era divisa in quattro colonne, due occupate da otto immagini in coppia e le altre due riservate ai testi di accompagnamento1. In questo tipo di mise-en-page le immagini hanno un ruolo dominante rispetto ai testi, i quali vengono quasi ridotti al ruolo di didascalie esplicative. Gli esempi più ricchi contengono più di cinquemila miniature. Proprio in ragione di questo sfarzo e dell’eccezionale complessità, le bibbie moralizzate sono rimaste piuttosto rare fra il xiii e il xv secolo. I pochi manoscritti esistenti sono tutti collegati alla corte francese (o più tardi borgognona). La presenza di brevi commentari e di un ricco apparato illustrativo mostra come questa tipologia di codice sia stata concepita per un pubblico laico. Tutte le copie fino al Reg. lat. 25 sono strettamente legate fra loro, costituendo uno stemma in cui ciascun esemplare dipende da un manoscritto più antico o da modelli condivisi. In questo contesto il Reg. lat. 25 rappresenta una rottura radicale con la tradizione. Esso contiene molte meno immagini (76), il testo è organizzato su due sole colonne e le miniature presenti sono inserite solo per contrassegnare gli incipit dei testi biblici. In tal modo il codice si avvicina assai più a una Bibbia completa piuttosto che a un libro figurato. Tuttavia, per quel che riguarda il contenuto e la suddivisione del testo, Reg. lat. 25 è una copia pressoché esatta della Bibbia di Giovanni il Buono (bnf, Fr. 167,

330

1350 ca.2) che conteneva già le traduzioni francesi dei testi copiate nel Reg. lat. 25 e nel contemporaneo manoscritto bnf, Fr. 166. Mentre però quest’ultimo, per quel che riguarda il progetto illustrativo, segue il bnf, Fr. 167, le immagini del nostro manoscritto ne differiscono sia per la selezione operata che per l’iconografia. In questo senso la Bibbia di Giovanni il Buono non può essere il suo modello diretto3. Lowden ha suggerito l’ipotesi che il modello impiegato potesse essere un testo contenente solo le descrizioni delle miniature. Il carattere più distintivo della Bibbia moralizzata Reg. lat. 25 è la decorazione della prima pagina che è incorniciata da una caratteristica bordura di stile francese e presenta una miniatura che occupa entrambe le colonne. Questa impostazione della pagina enfatizza in modo inusuale l’incipit del libro, conferendogli un’aurea di lusso in accordo con i coevi manoscritti legati ad altri generi testuali. Il soggetto della miniatura è il Matrimonio di Adamo ed Eva nell’Eden, circondati da angeli e animali selvaggi e con Dio che unisce le loro mani. Questa immagine lega la Bibbia moralizzata ai frontespizi di manoscritti contemporanei contenenti testi differenti, come un Livre de propriétés des choses, cfm, ms. 251 (Parigi, 1415 ca.) o un Flavio Giuseppe, bnf fr. 64464. Un esempio di un tipico incipit è l’inizio del Deuteronomio (f. 43r). Il testo biblico «Hec su[n]t v[er]ba» («Queste sono le parole che Mosè ha indirizzato all’intero popolo di Israele al di là del Giordano»), seguito dalla sua traduzione, è collocato al di sotto della prima immagine che mostra Mosè e gli Israeliti vicino a un fiume colorato di rosso. L’immagine allegorica è collocata sopra il commentario in latino e in francese, e assembla raffigurazioni delle interpretazioni dei singoli elementi del testo: Mosè significa la Legge antica, il Giordano rimanda al battesimo, il deserto alla sterilità del popolo, il mare rosso è figura del sangue di Cristo. Il primo possessore del manoscritto è sconosciuto. Prima del suo arrivo in Vaticana, è appartenuto al cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, che lo ricevette nel 1555 da un certo Jean Martin Corsier, autore di una dedica ai ff. 1-2. In seguito entrò in possesso di Cristina di Svezia. La legatura mostra le armi di Alessandro vii, del cardinale Lorenzo Brancanti di Laurea e della Corona svedese5.

168-169

174

331


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

175-176. Illustrazione e immagine moralizzante per il Deuteronomio, Bible moralisĂŠe parigina (Reg. lat. 25, f. 43r).

332

333


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

177. Girolamo e il leone, Bible di Niccolò d’Este (Barb. lat. 613, f. 1r).

BIBBIA DI BELBELLO Barb. lat. 613 Antonio Manfredi

177 178

Questo famosissimo manoscritto presenta un testo di ispirazione biblica in una veste splendida. Databile circa agli anni 1430-1434, è un membranaceo ben scritto e di ampio formato e costituisce un punto di riferimento imprescindibile per comprendere lo sviluppo della storia della miniatura nel Nord Italia nel Quattrocento. Le definizioni correnti di Bibbia Estense o di Niccolò d’Este, dal committente, o di Bibbia di Belbello, dal principale artista che vi lavorò, non corrispondono esattamente al contenuto, che presenta sì un testo biblico in versione francese, ma nell’alveo delle cosiddette Bibles historiales: sillogi in lingua d’oil composte da sezioni o libri della Scrittura inseriti in una sorta di storia biblica, compilata a partire dall’Historia Scholastica di Pietro Comestore. Ne è venuto un testo ampio per lettori non latinizzati, tramandato in varie redazioni, ma con tipologia libraria piuttosto uniforme. Allestimenti di lusso collegati alla ricca feudalità francese, con apparati illustrativi che costituiscono un commento visivo al testo, questi libri sono una sorta di Biblia divitum, quasi contrapposta alle Bibliae pauperum, diffuse in ambienti coevi più popolari. In questa linea è anche la decorazione del Barb. lat. 613, distinta in due interventi: la prima, quella originaria e maggiore, è composta da due grandi miniature tabellari, una al principio dell’Antico, l’altra del Nuovo Testamento, da moltissime miniature tabellari più piccole, da una serie altrettanto ricca di iniziali minori, decorate con antenne e prolungamenti nei margini. Le due grandi tabelle incipitarie rappresentano la prima il Miracolo di san Girolamo e del leone, interpretato a livello grafico con un espressionismo splendido, la seconda un’affollata e vivacissima Madonna con Bambino attorniata dai progenitori di Cristo: entrambe inserite in cornici sfarzosamente decorate, con a piè di pagina lo stemma estense inquartato con i gigli di Francia. Le miniature tabellari più piccole sono disseminate con ordine nel volume, non solo al principio di ogni libro, ma anche, ad esempio, a scandire – in un meraviglioso di commento visivo – i sette

334

giorni della Creazione. Queste tabelle sono dipinte con straordinaria finezza narrativa e un uso originalissimo dei contrasti e dello sfumato. Le affianca un largo apparato di antenne e drôleries, in gran parte formato da elementi vegetali o animali e da fogliami alla francese, cioè a punte trilobate, è anch’esso di alto livello esecutivo, in oro e colori, perfettamente in linea con la parte più propriamente illustrativa, in modo da conferire alla struttura della pagina un’unità armonica di fondo, costruita attraverso dinamiche di contrasto narrativo e coloristico. Un vero ciclo pittorico su pergamena di qualità straordinaria, eseguito da uno tra i più originali miniatori lombardi, dotato di una personalissima poesia: Belbello da Pavia, che operò con perizia tecnica esasperata, ottenendo risultati stilistici alti nella caratterizzazione dei personaggi, nell’elaborazione degli sfondi e nell’uso dei chiaroscuri. Un documento del 1434, proveniente dalla cancelleria estense, testimonia il pagamento delle lettere a penna e di una sola miniatura, a un artista toscano, trapiantato in Lombardia, Iacopino d’Arezzo, che dipinse una miniatura tabellare omessa da Belbello al f. 281r e tracciò le oltre 1500 lettere di penna, in inchiostro rosso e turchino, il quarto elemento decorativo presente sul codice. Il libro, giunto così a un livello di perfezione notevole, dovette essere da subito considerato un gioiello simbolico di una corte, quella estense, allora in piena espansione, tra gli ultimi anni di Niccolò iii e il periodo di formazione di Leonello. L’esame paleografico e codicologico coincidono con i dati che emergono dall’apparato decorativo e con la documentazione coeva. Non solo la decorazione, ma tutto il codice fu composto almeno in due tempi. L’effetto generale è però di una notevole uniformità per uno stupendo monumento librario tardogotico, cortese e arcaicizzante, un volume per molti aspetti distante dai modelli umanistici che in quegli stessi anni si diffondevano nei centri maggiori d’Italia. Esso compare negli inventari della biblioteca del castello di Ferrara, e presto vi si sarebbe quasi contrapposta la Bibbia latina di Borso, altro capolavoro scrittorio e decorativo, ma del tutto differente. L’attuale Barb. lat. 613 giunse in Vaticana al principio del xx secolo con la Biblioteca Barberini, presso cui era approdato probabilmente al principio del xvii secolo.

335


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

178. Madonna con il Bambino attorniata dai progenitori di Cristo, Bible di Niccolò d’Este (Barb. lat. 613, f. 514r).

336

179. Giovanni evangelista e Giuda, Bible di Niccolò d’Este (Barb. lat. 613, f. 629r).

337


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

180. Racemi di acanto con l’aggiunta di decorazione a penna e inchiostro (Vat. lat. 5697, f. 4r). Pagine seguenti: 181. Dedica all’imperatore Sigismondo di Lussemburgo nella Historia Scholastica di Pietro Comestore (Vat. lat. 5697, f. 4r).

PIETRO COMESTORE, HISTORIA SCHOLASTICA Maria Theisen

Vat. lat. 5697

180-181

Questo manoscritto, sontuosamente miniato a Praga, ante 1437, presenta tre testi vergati in littera textualis, di modulo differente. Esso si apre con le preghiere dedicate alla Vergine Maria e a Gesù Cristo (ff. 1v-3v), seguite dalla Historia scholastica (ff. 4r-442r), e si chiude con gli Atti degli Apostoli (ff. 443r-461r). Questi testi differiscono fra loro non solo nella mise-en-page, ma anche nella composizione dei fascicoli: la prima parte consiste di sei bifogli, la seconda comprende cinquantaquattro fascicoli ognuno di quattro bifogli (quaternioni) e la terza di due fascicoli di cinque bifogli (quinioni). Anche le tipologie di elementi miniati utilizzati nelle tre parti sono differenti. Le preghiere sono decorate con due iniziali ornamentali e con bordure costituite da delicati racemi dorati disegnati a penna con l’inserzione di fiori e stemmi araldici dipinti a tempera. La Historia scholastica mostra bordure dorate sulla prima pagina della Genesi ed è arricchita da 514 miniature incorniciate e della larghezza di una colonna1. Alla terza e ultima parte è stata riservata una sola iniziale ornamentale, in corrispondenza dell’incipit, oltre ad iniziali filigranate a penna e inchiostro. In aggiunta a questo, nel bas-depage di ciascun foglio di questa parte sono state collocate ventinove scene tratte dagli Atti degli Apostoli, inserite in piccoli medaglioni. Il manoscritto non presenta alcuna dedica scritta o colophon che possa fornirci indicazioni dirette sul suo importante destinatario. Tuttavia, la presenza degli stemmi del Sacro Romano Impero e della Boemia rivelano che il dedicatario doveva essere l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437), benché manchi lo scudo ungherese (ff. 1v, 2r, 4r)2. Le miniature possono essere attribuite all’atelier del Maestro della Miscellanea Krumlov (che contiene uno Speculum humanae salvationis e altri testi, incluso il Decalogo di Jan Hus; knm, iii.B.10; 1415/1420 ca.), attivo durante tutto il periodo delle guerre Hussite. Appena dopo la fine delle guerre, con la firma della Compactata di Jihlava nel 1436, l’atelier ottenne di nuovo delle prestigiose commissioni. Fra queste, tra le altre, un Salterio per Hanuš di Kolovrat (nk, Osek 71, 1438) e un Salte-

338

rio a esso stilisticamente affine, oggi conservato nella biblioteca dell’Arcivescovado di Kalocsa, in Ungheria (ms. 382). Entrambi mostrano ricche bordure filigranate in oro a penna e figure assai simili. Il testo di Comestore è stato decorato da sei miniatori che hanno utilizzato i medesimi modelli. Colpisce tuttavia il fatto che la qualità della decorazione nella parte iniziale sia molto più elevata rispetto all’ultima parte del libro. Ai miniatori dell’ultimo terzo della Historia scholastica furono perfino date istruzioni del pittore in lingua ceca3. Il miniatore degli Atti degli Apostoli è stato identificato da Karel Stejskal con un artista attivo a Praga intorno al 1440 (ad es., nk, XB 19 e knm, xviii.B.18)4. Dal momento che questo artista ha partecipato alla decorazione anche dei salteri sopra citati, possiamo concludere che il Maestro della Miscellanea Krumlov e il Maestro degli Atti hanno lavorato insieme più di una volta. Questi ha completato il manoscritto vaticano di Comestore da solo, miniando le ultime due parti del codice e aggiungendo lo stemma di Sigismondo e alcuni fiori all’interno delle delicate bordure del primo fascicolo, il tutto necessariamente prima del dicembre 1437, data della morte dell’imperatore. Forse, questo elegante esemplare venne approntato per Sigismondo in occasione del buon esito dei negoziati di Jihlava nel luglio 1436. Ciò tuttavia non giustifica l’assenza dello stemma d’Ungheria, che Sigismondo, in quanto re ungherese, avrebbe esibito, ma potrebbe mettere in risalto il suo riconoscimento ufficiale come re di Boemia da parte degli Hussiti. Si pensa che il manoscritto sia entrato nella Biblioteca Vaticana all’epoca di papa Clemente viii (1592-1605).

Reg. lat. 87, parte 1 e 2 (Bibbia ceca) Dopo le guerre, a Praga prevalse uno Hussitismo moderato. È in quest’epoca che vede la luce la Bibbia in due volumi, in lingua ceca, databile a Praga, nel 1440 ca., nota attraverso il nome di uno dei suoi possessori precedenti, la regina Cristina di Svezia (1626-1689). La Bibbia entrò in possesso della regina alla fine della guerra dei Trent’anni, e successivamente venne da lei offerta al papa Alessandro vii (1655-1667), in occasione della sua conversione al Cattolicesimo nel 1655. A lungo si è sostenuto che il manoscritto fosse stato prodotto durante le guerre Hussite, nella “più pacifica” Moravia5. Tuttavia, le ricerche di Karel Stejskal hanno definitivamente fugato l’ipotesi che tutti i miniatori avessero abbandonato Praga durante le guerre. Lo studioso

è stato in grado di dimostrare la sua tesi non solo attraverso l’identificazione di numerosi manoscritti ma anche grazie al libro della gilda dei pittori di Praga, che ci rivela una comunità attiva perfino durante la guerra. A questo proposito, un’origine praghese della Bibbia sembra essere più probabile, soprattutto se si considerano i suoi forti legami con lo stile della produzione libraria miniata della città6. Dal momento che la Sacra Scrittura era considerata l’unica legittima parola di Dio, che doveva essere comunicata attraverso il linguaggio del popolo, i teologi della Università Carolina di Praga si impegnarono in un continuo miglioramento della Bibbia in lingua ceca. Lo sviluppo dei segni diacritici è legato proprio a questo sforzo, e attribuito addirittura a Jan Hus (1369-1415) in persona. La Bibbia di Cristina di Svezia segue la terza redazione7, a noi nota attraverso la Bibbia di Filip of Pade ov (önb, Cod. 1175; datata 1432 e 1435). L’apparato decorativo fornisce ulteriori elementi per individuare il periodo a cui la Bibbia risale. Anche se lo stile di quanti sono stati impegnati nella decorazione della Bibbia è indubbiamente basato sul tardo stile

della miniatura di corte, intorno al 1410-1420, notiamo tuttavia una tendenza piuttosto pronunciata a irrigidire le forme, a enfatizzare peso, volume e forza espressiva delle figure, allontanandosi chiaramente dalla dolcezza del bello stile (Schöne Stil). Le pagine introduttive della Genesi riflettono questo cambiamento in modo evidente, mostrando un Dio dai tratti giovanili che crea il mondo con ampi gesti8. Da questo punto di vista il nostro artista va oltre l’analoga composizione della Genesi della cosiddetta Bibbia Schellenberg del 1440 (skp, dg.iii.15). La Creazione di Eva riproduce un modello precedente, utilizzato intorno al 1420 nella Miscellanea Krumlov ma anche nella Historia scholastica (Vat. lat. 5697, p. 316). Le trentacinque miniature, le bordure decorate con tralci di vite e le decorazioni filigranate a penna della Bibbia della regina Cristina non sono state create da una singola persona ma da almeno due miniatori e dai loro assistenti. Uno di questi può essere identificato con l’artista che ha miniato il Nuovo Testamento ceco (önb, Cod. 485): in questa Bibbia ha illustrato il f. 218r (Libro di Ezra) nel primo volume, il f. 295r (Ecclesiasticus) e i ff. 317r-340r nel secondo (Salterio)9.

339

172

182


Bibbia. Immagini e scrittura

III. Divulgazione del testo biblico

182. Iniziale con un sovrano all’incipit del libro dell’Ecclesiastico, Bibbia ceca della regina Cristina di Svezia (Reg. lat. 87, f. 295r).

340

341


Apparati


Note

NOTE

PRESENTAZIONE

VERSIONI IN ALTRE LINGUE

1 Saint John’s Bible = The Saint John’s Bible, Collegeville mo, i-vii, 1998-2012. 2 Holy Bible 2017. 3 Nella sezione dvl – Digital Vatican Library del sito www.vaticanlibrary.va.

LE VERSIONI COPTE 1 Camplani 2015, pp. 129-151. 2 Boud’hors 2012, pp. 224-246; Orlandi 1984, pp. 181203; Orlandi 1990, pp. 93-104; Orlandi 1997, pp. 39-120. 3 Bosson 2016, pp. 49-98. 4 Kasser 2006, pp. 389-492. 5 Takla 2007, pp. 64-71 e 2014, pp. 105-121. 6 Buzi 2017. 7 Wisse 1995, pp. 131-141. 8 Takla 2007. 9 Takla 2014, p. 108. 10 Bosson 2012, pp. 73-94; Kasser 1992, pp. 65-66. 11 Comst 2015, pp. 137-153. 12 Albrecht-Rosenau 2012, pp. 21-32; Feder 2003, pp. 113-131. 13 Luisier 1998, p. 264. 14 Buzi 2012, pp. 21-26. 15 Buzi 2009, pp. 15-75. 16 Zoëga 1810. 17 Buzi 2011, pp. 10-16. 18 Hebbelynck 1924, pp. 53-57.

Parte Prima I PIÙ ANTICHI TESTIMONI E LA DIFFUSIONE DELLA BIBBIA NELLE VARIE CULTURE IL TESTO GRECO 1 Fernández Marcos 2000; Harl et alii 1988. 2 Lim 2013. 3 Roberts-Skeat 1983. 4 Voicu 2008. 5 Testuz 1959. 6 Wasserman 2005. 7 Si veda Gamble 1995, pp. 203-242. 8 Metzger 1987. 9 Trobisch 2000. 10 Si veda infra, Janz, pp. 81-85. 11 Metzger-Ehrman 2005, pp. 62-67. 12 Canart 2009. 13 Cavallo 1967, in particolare pp. 52-56. 14 Skeat 1999. 15 Gamble 1995, pp. 82-143. 16 Perria 2011, p. 97. 17 Metzger-Ehrman 2005, pp. 306-313. 18 Metzger-Ehrman 2005, pp. 279-280. 19 Ep. 22,32 e altrove; cfr. Metzger-Ehrman 2005, p. 11. 20 Lilla 2004, p. 105. 21 Si veda infra, Janz, pp. 81-85. 22 Fernández Marcos 2000, pp. 18-21; Léonas 2007. 23 Fernández Marcos 2000, pp. 174-186. 24 Fernández Marcos 2000, pp. 109-154. 25 Lilla 2004, pp. 80-81. 26 Fernández Marcos 2000, pp. 204-222. 27 Infra, pp. 81-85. 28 Montanari 2011 espone questa ipotesi ma anche le obiezioni a essa. 29 Papadaki-Oekland 2009, pp. 323-330. 30 Situazione poco cambiata da quella descritta in Metzger 1972. 31 Devreesse 1965, pp. 73-74.

VERSIONI LATINE (200-750) 1 Bogaert 2013. 2 Lowe 1964, p. 78. 3 Petit Mengin 1985. 4 Dold 1931. 5 Supino Martini 1980. 6 Vaccari 1958. 7 Troncarelli 1985. 8 Heiming 1924. 9 Cla Suppl. 1766; Nordenfalk 1937. 10 Bogaert 2012 e 2013a; Fischer 1985; Houghton 2016.

344

LE VERSIONI ARABE 1 Corriente 2007; Graf 1944; Griffith 1985 e 2013; Guidi 1888; Kashouh 2012; Levin 1938; Macdonald 2005; Metzger 1977; Monferrer-Sala 2000, 2001, 2013, 2014, 2015 e 2015b; Violet 1901. LE VERSIONI SLAVE 1 Fontes 1960, p. 164. 2 Sadnik 1967, p. 4. 3 Fontes 1960. 4 Thomson 2006. 5 Vondrák 1890. 6 Evangelie ot Ioanna 1998. 7 Džurova-Stantchev-Japuncdži 1985. 8 Speranskij 1927, pp. 66-78. 9 Karaman 1745-1758. 10 Jagi 1911; Sreznevskij 1866. 11 Jagi 1913. 12 Sreznevskij 1867. 13 Stan ev 2000. 14 Ivanova-Mavrodinova-Džurova 1981, pp. 29-60. 15 Capaldo 2000; Harisijadis 1966; Žukovskaja 1976. LE VERSIONI ETIOPICHE 1 Atanasio, Seconda apologia all’imperatore Costanzo, ca. 356/357; Rufino, Storia ecclesiastica, ca. 402/403. 2 Comst 2015, pp. 46-49. 3 Bausi 2012; Grébaut-Tisserant 1935-1936; Guida ai fondi bav. 4 Comst 2015, pp. 154-174. 5 Tra v e vi secolo. Comst 2015, pp. 46-49. 6 Pergamenaceo, 364 x 270 mm, 188 ff., ca. 27-35 ll., Grébaut-Tisserant 1935-1936, i, pp. 782-787 e tav. i, già Tisserant 1914, pp. xlii-xliii e tav. 62. 7 Comst 2015, pp. 287-291. 8 Come sostenuto da Roupp 1902, p. 304 e Tisserant 1914, p. xliii. 9 Grébaut-Tisserant 1935-1936, ii, pp. 21-32. 10 Bausi 2015. 11 Rahlfs 1918, p. 174, Tisserant 1925 e Zanutto 1932, pp. 112-116, nrr. 198-200. 12 Dillmann 1861. 13 Roupp 1902. 14 Francesco da Bassano 1924. 15 Ma bara Hawaryat 1981/1982. LE VERSIONI SIRIACHE 1 Fassberg 2008; Mengozzi-Moriggi 2010.

2 Gzella 2015, p. 47. 3 Taylor 2002, pp. 14-15. 4 Lee 2012. 5 Brock 1979 e 1995; Joosten 1991 e 1992; Lenzi 2005. 6 Lenzi 2009. 7 Weitzman 1999. 8 Album 1946, p. 123. 9 Pasini 2005. 10 Camplani 2016; Lenzi 2006. 11 Joosten 2003. 12 Crawford 2015. 13 Album 1946. 14 King 2010. 15 Yohanna 2015. 16 Juckel 1998. 17 Morgenstern 2011. 18 Bagatti 1979, p. 117ss. 19 Borbone 2015. 20 Filoni 2015, pp. 53-55. 21 Kominko 2010. LA VERSIONE ARMENA 1 Movses Khorenatz‘i, Storia degli Armeni, iii, 53. 2 Koriwn, Vita di Mashtotz‘, i. 3 Sirinian 2000b. 4 Sirinian 2000. 5 Sirinian 2000a. 6 Coulie 2000. 7 Coulie 2000a; si vedano anche Codices Armeni 1927; Nersessian 1987 e 2001; Uluhogian 1986 e 2000. LA VERSIONE GEORGIANA 1 Danelia 1978, pp. 113-115; K’ek’eliʒe 1960, p. 412. 2 Kaǯaia 1984; Molitor 1956, pp. 9-40. 3 Per una bibliografia specifica si veda Shurgaia 2000, p. 166. 4 Kartuli 1945, p. 08. 5 Imnaišvili 1979. 6 Si vedano Shurgaia 2000, pp. 164-165 e Shurghaia 2006 per una dettagliata descrizione. 7 Per una ricostruzione si veda Shurghaia 2006, pp. 158-159. 8 Shurgaia 2000, p. 165. 9 Pubblicati in gran parte da Shurghaia 2006, pp. 161163 e precedentemente tradotti in francese da Tarchnichvili 1962, pp. 62-63. 10 Shurghaia 2006a, pp. 416-418 (per le altre ipotesi di datazione si veda ibid., p. 416). 11 Shurghaia 2006b. 12 Shurghaia 2006c, p. 47; cfr. Tarchnichvili 1962, p. 63; Taq’aišvili 1950, pp. 180-181. 13 Taq’aišvili 1950, p. 181. 14 Cfr. Tarchnichvili 1962, p. 62. 15 Shurghaia 2006c, pp. 40-41. 16 Ciampi 1880, pp. 177-178. 17 Cfr. Dmitrievskij 1917, pp. 1-10; Renoux 1971; Tarchnischvili 1959-1960. 18 Cfr. Arranz 1969; Gregory 1900, pp. 343-386; Typicon 1962-1963. 19 Conybeare 1910, p. 232. 20 Tarchnichvili 1962, p. 63. 21 Shurgaia 2000, p. 167. 22 Shurghaia 2006, p. 161 e 2006a, p. 417. 23 Shurghaia 2006a, p. 417. 24 K’ek’eliʒe 1960, p. 219. 25 Per una minuziosa descrizione della decorazione del codice rimando a Shurghaia 2006d, pp. 342-344. 26 Vangeli dei popoli 2000, pp. 207-209, 242-244. 27 Si veda Shurghaia 2006d, pp. 344-347. 28 Weitzmann-Galavaris 1990, pp. 136-137 e figg. 454-457. 29 Shurghaia 2006d, p. 341. 30 Amiranašvili 1961, p. 291. 31 Šmerling 1979, pp. 153-154. 32 Shurghaia 2006d, p. 342. 33 Shurghaia 2006d, p. 347.

Per approfondimenti sull’argomento si vedano: Abulaʒe 1973; Amiranašvili 1961; Arranz 1969, 1979, p. 34 e 1998, p. 73; Bignami-Odier 1934, pp. 205-239: 237; Birdsall 1983, pp. 306-320, 1995, pp. 173-187 e 1998, pp. 387-391; Blake 1928, pp. 439-574 e 1933, pp. 3-168; Blake-Brière 1950, pp. 455-599; Brière 1954, pp. 277-457; \’ank’ievi 1962, pp. 168-223; Ciampi 1880, pp. 177-178; Conybeare 1910, pp. 232-239; Danelia 1978, pp. 111-141; Dmitrievskij 1917, pp. 1-10; van Esbroeck 1998, pp. 465-480; Gregory 1909, pp. 343-386; Imnaišvili 1949, pp. 211-240 e 1950, pp. 299-344; Kartuli 1945, pp. 05-063; Kaǯaia 1984; K’ek’eliʒe 1960, pp. 412-414 Lake-Blake-New 1928, pp. 207-404; Lyonnet 1950, pp. 144-165; Mai 1831, p. 242; Mateos 1962-1963; Mathews-Sanijan 1991, pp. 166-169; Molitor 1956; Outtier 1988, pp. 173-179; Perria 1987, pp. 85-124; Renoux 1971; Sautel 1995; Shurgaia 2000; Shurghaia 2006, 2006a, 2006b, 2006c e 2006d; Šmerling 1979; Taq’aišvili 1950; Tarchnischvili 1959-1960 e 1962, pp. 61-64; Weitzmann-Galavaris 1990, pp. 136-137. LA VERSIONE GOTICA 1 Bennett 1960; Del Pezzo 1997; Falluomini 2015 e 2016; Ferrari 1976; Massmann 1834; Schäferdiek 1981; Snædal 2013; Voicu 2009; Zironi 2004.

Parte seconda LA BIBBIA NEI CENTRI SCRITTORII AREA BIZANTINA 1 Cfr. supra, Janz, pp. 13-17. 2 Crostini 2012, pp. 44-45. 3 Si veda Wander 2012, con prese di posizione talvolta discutibili ma con ampi rimandi bibliografici. 4 Perria 2009, p. 25. 5 Cfr. Orsini 2013, pp. 49-50. 6 D’Aiuto 2000. 7 Irigoin 1959, pp. 181-195; cfr. Andrist 1998; KavrusHoffmann 2016, p. 139. 8 Sosower et al. 2006, p. 94. 9 Buchthal-Belting 1978; cfr. Nelson-Lowden 1991. 10 (cfr. supra al punto 1.1, Il testo greco) 11 Si veda ad es. Hanhart 2014, p. 44. 12 Canart 2011. 13 Cfr. supra, Janz, pp. 13-17. 14 Cfr. supra, Janz, pp. 13-17. 15 D’Aiuto 2000a. 16 Metzger-Ehrman 2005, pp. 88-89, 310-312. 17 Maxwell 2016. 18 San Girolamo, De viris illustribus, pl xxix, col. 559; cfr. Metzger 1963, pp. 3-7. 19 Janz 2008, pp. 258-260. 20 Rahlfs 1907, pp. 169-182. 21 Metzger 1963, pp. 15-24. 22 Le osservazioni di Pietersma 2000, pp. 15-21, concernono il Salterio ma varrebbero ugualmente, mutatis mutandis, per il Nuovo Testamento. 23 Parpulov 2014, pp. 49-50. 24 Anderson et alii 1989. 25 Reperibile in Vaticana fin dall’inventario del 1481, Devreesse 1965, p. 82. 26 Book of Psalms 2016. 27 Reperibile in Vaticana dal secondo quarto del xvii sec.: Canart 1979, p. 25; Lilla 2004, p. 69. 28 Trahoulia 2016. 29 Parpulov 2014, pp. 76-121. 30 Janz 2008, pp. 260-266. 31 Devreesse 1965, p. 82. 32 Cfr. Cardinali 2014, p. 355. 33 Per il Pentateuco si veda Schäfer 2012, pp. 112-118; per gli altri libri, le introduzioni delle relative edizioni. 34 Cardinali 2015, pp. 136 e 313. 35 Devreesse 1965, p. 82. 36 Weitzmann-Bernabò 1999, p. 157. 37 Lowden 1988, pp. 22-25, 66-67. 38 Devreesse 1965, p. 22. 39 Devreesse 1965, p. 73. 40 Beck 1971, p. 187, con rimandi. 41 Fernandez Marcos 2000, p. 180.

AREA ORIENTALE 1 Bausi 2008; Evelyn-White 1933; Grébaut-Tisserant 1935-1936; Guidi 1988; Horner 1898, pp. lxvii-lxv; Kashouh 2012, pp. 21-22, 29, 205, 253, 274, 546-547; Leroy 1974, pp. 148-153; Marcos Aldón-Monferrer Sala 2000; Metzger 1977; Nau 1913; Proverbio 2000, 2010 e 2012; Tisserant 1914, pp. xlii, 80.

EVANGELIARIO BRETONE 1 Cfr. supra, Brown, pp. 140-143. 2 Cfr. supra, Crivello, pp. 116, 120-123; infra, Montuschi, pp. 283, 285.

ETÀ OTTONIANA

1 Beit-Arié 1993. 2 Lacerenza 2005; Tamani 1980. 3 Secondo altre stime, circa i 2/3: Richler 2013. 4 Assemani 1756, p. 1 n. i; anche Berschin 1992, pp. 154-155 e figg. 123-124. 5 Cassuto 1935, pp. 27, 76-77 e 1956, p. 1. 6 von Pflaumern 1625, p. 205; 2a ed. 1650, p. 329; ivi non detto però di origine palatina, come appare in Montuschi 2014, p. 297. 7 Cfr. la scheda in Hebrew Manuscripts 2008, p. 1. 8 Perani 2013, p. 92. 9 Tietze 1911, p. 66. 10 Gutman 1987; dubitativamente in Hebrew Manuscripts 2008; Mortara Ottolenghi 1983, pp. 218-220. 11 Zanichelli 2008, pp. 236-239, figg. 29-31. 12 Christie’s 2016, lt. 16. 13 Cfr. Hebrew Manuscripts 2008, p. 604. 14 Ms. 77, arma al f. 166v; Perani 2006.

BIBBIE OTTONIANE 1 Cfr. infra, Brown, pp. 160-161. 2 Cfr. Pal. lat. 50, pp. 116, 120-123. 3 von Euw 2008, pp. 505-511 n. 147; Gresly-Rey 2000; Siede 1997, pp. 29 nota 63, 39, 82 nota 72, 117 nota 18, 163 nota 10, 167 nota 54, 198, 205, 268, 270-273. 4 Surmann 1992; Weiner 1993, pp. 29-30 n. 20. 5 Alexander 1985, p. 203; Berg 1962; Siede 1997, pp. 79 nota 45, 198, 203. 6 Kuder 1987; Schramm 1983, p. 219 n. 130; SchrammMütherich 1981, pp. 167, 486 n. 141; Speciale 2000; Surmann 1992c. 7 Eder 1972, pp. 104-105 n. 71; Fachechi 2014. 8 Compagnoni 1997a; Santucci-Paredi 1978. 9 Bertelli 2000; Compagnoni 1997b; Pace 1992a; Santucci-Paredi 1978. 10 Branchi 2003; Branchi 2011, pp. 219-225; Pace 1992b. 11 Per approfondimenti: Bloch-Schnitzler 1967-1970; Brown 2007b; Castelfranchi Vegas 2002; Hoffmann 1986; Klemm 2004; Mayr-Harting 1999; Mütherich 1974; Nordenfalk 2012, pp. 97-181; Schapiro 1982; Temple 1976a; Williams 1977; Wormald 1974.

AREA OCCIDENTALE

IL SALTERIO DI BURY

LE ORIGINI E IL PRIMO MEDIOEVO

1 Fouquet-Amal 2005; C. Fouquet-Amal, Heimann 1966; Rushforth 2005; Temple 1976; Wilmart 1930.

AREA EBRAICA

BIBBIE DALLA TARDA ANTICHITÀ AI CAROLINGI 1 Bierbrauer 1999a; cfr. supra, Bogaert, pp. 29-30, 34-35; Condello 2000a; Mütherich 1980, pp. 383-384; Nordenfalk 1937 e 1938, pp. 168-169, 174, 194 e passim; Surmann 1992b. 2 Cfr. infra, Brown, pp. 140-143. 3 cfr. supra, Bogaert, pp. 29, 31-33; Nees 1999, pp. 158160; Quentin 1922, pp. 432-438. 4 Albarello 2000; Bierbrauer 1999; Koehler 1958, pp. 88-100; Lorscher Evangeliar 2000; Surmann 1992; Williamson 1999. 5 Bischoff 2014, p. 443 n. 6811; Cherubini 2000; Fischer 1991; Koehler-Mütherich 1971, pp. 60-65. 6 Bischoff 2014, p. 406 n. 6450; Nees 2006. 7 Bierbrauer 1992; Bischoff 2014, p. 404 n. 6432; Koehler 1972, pp. 156, 194; Nees 2001. 8 Bischoff 2014, p. 444 n. 6819; Condello 2000b; Weiner 1992, pp. 170-171 n. 45. 9 Bischoff 2014, p. 458 n. 6956; Holter 1959, p. 236 n. xxiii. 10 Bischoff 2014, p. 456 n. 6935; Grafinger 2000; Simader 1998; Wright 1964, pp. 53-54. 11 Bischoff 1960, pp. 182, 222; Bischoff 2014, p. 421 n. 6602. 12 Cfr. infra, Kitzinger, pp. 144-145. 13 Bischoff 2014, p. 403 n. 6425. 14 Bischoff 2014, p. 456 n. 6932; Parodi 2000. 15 Bischoff 2014, p. 453 n. 6905; Longo 2000; Nordenfalk 1938, pp. 175, 193, 218 nota 1. 16 Bischoff 2014, p. 406 n. 6451; Koehler-Mütherich 2009, pp. 314-318. 17 Bischoff 2014, p. 421 n. 6600; Koehler-Mütherich 2009, pp. 333-337. 18 Bischoff 2014, p. 444 n. 6820; Duval-Arnould 2000a. 19 Bischoff 2014, p. 457 n. 6941. 20 Per approfondimenti: Alexander 1978 e 2003; Bischoff 2014, pp. 402-459; De Hamel 1987, pp. 11-75; Denzinger 2001; Fischer 1985; Koehler 1930, 1933, 1958,1960 e 1972; Koehler - Mütherich 1971, 1982, 1994, 1999, 2009, e 2013; Mütherich 2004; Mütherich - Gaehde 1976; Nordenfalk 1938, 1970, 1977, 2013, pp. 5-96; Tewes 2011; Weitzmann 1991. EVANGELIARIO BARBERINI 1 Alexander 1978; Brown 1998, 2001, 2003 e 2007; Henderson 1999.

BIBBIE ROMANICHE 1 Cfr. infra, Orofino, pp. 174-185. 2 Alexander 1985, p. 202; Garrison 1960-1962, pp. 268-269. 3 Berg 1968, p. 78; Condello 2014; Garrison 19551956, pp. 91-92, 94. 4 Cfr. infra, Orofino, pp. 186-189. 5 Berg 1968, pp. 29, 64-67, 255, 277, 287, 316-317 n. 156; Garrison 1974. 6 Berg 1968, pp. 12, 23, 54-55, 175-177, 178, 180, 182, 207-208, 287, 315; Berg 2000; Branchi 2003. 7 Cfr. infra, Loic, pp. 168-173. 8 von Euw 2006; Surmann 1992c. 9 Cfr. infra, Pace, pp. 190, 192-193. 10 Cfr. infra, Pace, pp. 190-191. 11 Per approfondimenti: Alexander 2000; Alexander 2003; Avril 1984; Bertelli 1987; Bibbie atlantiche 2000; Cahn 1982; Cahn 1996; Caillet 1999; De Hamel 1987, pp. 76-105; Fingernagel-Gastgeber 2010; Kauffmann 1975; Koehler 1941; Muratova 2002-2005; Nordenfalk 2012, pp. 185-296; Porcher 1959; Schapiro 1982a; Siede 1997. BIBBIA DI RIPOLL 1 Mundó 1992, pp. 57-59. 2 Beer 1907-1908; Ibarburu 1987; Nicolau d’Olwer 1932. 3 Beer 1907, pp. 18-19, 101-109; Junyent 1992, pp. 6-8, 398-400. 4 Mundó 1992, pp. 109-118. 5 Castiñeiras-Lorés 2008; Contessa 2004; Neuss 1922. LE BIBBIE ATLANTICHE 1 Togni 2016a, pp. 507-517. 2 Lobrichon 2016, pp. 231-265. 3 Bartoli Langeli 2000, pp. 45-46. 4 Condello 2005, p. 360. 5 Larocca 2016, pp. 21-35; Maniaci-Orofino 2010, pp. 199-212. 6 Speciale 2000a, pp. 120-126. 7 Ayres 2000a, pp. 126-131. 8 Speciale 2000b, pp. 158-162. 9 Speciale 2000c, pp. 262-271. 10 Ancidei 2000, pp. 176-181. 11 Bassetti 2000, pp. 108-111. 12 Togni 2016b, pp. 473-477. 13 Togni 2016c, pp. 479-484.

345


Bibbia. Immagini e scrittura

14 Ayres 2000b, pp. 114-120. 15 Mantova, Biblioteca Comunale, 131; Zanichelli 2000, pp. 229-230. 16 Ciardi Dupré 2000, pp. 75-76. 17 Maniaci-Orofino 2012, pp. 389-407. 18 Braga-Orofino-Palma 1999, pp. 437-470. 19 Orofino 2003, pp. 253-264; 2007, pp. 357-379 e 2009, pp. 161-170. 20 Garrison 19932. 21 Maniaci 2000, pp. 47-60. 22 Maniaci-Orofino 2010, pp. 206-208. 23 Supino Martini 1987, pp. 66-68. 24 Zonghetti 2005, pp. 21-36. 25 Ayres 2000c, pp. 30-31. 26 Orofino 2013, pp. 1399-1411. 27 Pace 1995, pp. 111-119. 28 Kessler 2002, pp. 1-14. 29 Pace 2000, pp. 63-64. 30 Bilotta 2016, pp. 129-154. 31 Kitzinger 1972, p. 98. 32 Buchanan 2016, pp. 95-107. ESEMPI DI SCRITTURA BENEVENTANA 1 Crivello 2011, pp. 73-94; bmb, vla 3741. DUE VANGELI FRA TERRASANTA E SICILIA 1 Pace 2000, pp. 270-272. 2 Buchthal 1956; Federico e la Sicilia 1995, pp. 357-378; Pace 1979. 3 Buchthal 1957; Folda 1995; Longo 2000; Pace 1993.

EPOCA GOTICA BIBBIE IN FRANCIA TRA XIII E XIV SECOLO 1 Berger 1884/1893; De Hamel 2001; Loewe 1969; Magrini 2000; Smalley 1969/1983. 2 Branner 1977; Light 1984, 1994, 2011 e 2012; Lobrichon 2004. 3 Tavole riassuntive dell’iconografia biblica possono essere reperite in Branner (1977, pp. 154-155), Eleen (1982) e Stones (2013-2014 soprattutto Parte ii, vol. 2, pp. 35-128). 4 De Hamel 1984; Smith 2009; Stirnemann 1994; Stirnemann in questo volume. 5 Dahan 2000; Evans 2004; Smith 2009; Zier 2004. 6 Morard 2004. 7 Contributi contenuti in La Bibbia del xiii secolo (2004). 8 Glossa ordinaria 1997. 9 De Hamel 1984, pp. 30-33; Rouse 1976. 10 De Hamel 1984, cap. 4; Dodwell 1954. 11 Corso in Maddalo 2014, t. ii, pp. 1032-1034, 10391041, tav. 1726, 1729. 12 Un soggetto analizzato da Eleen 1982. 13 Branner 1977, pp. 61, 81, 89, Cat. 208, 212, 220, 224. 14 Manfredi in Vangeli dei popoli, p. 294. 15 Rouse - Rouse, 1976 e 1988/1991; Stirnemann in questo volume. 16 Corso in Maddalo 2014, t. 1, pp. 260-266, tav. 1454. 17 Stones 2014, pp. 116-127. 18 In Maddalo 2014, p. 260. 19 Stones 2014, pp. 94-104 e 2016. 20 Analizzate da Eleen 1982. 21 Eleen 1982 pp. 80-81, 101-105, 116. 22 Haruna-Czaplicki 2013 (2016). 23 Stones 2014, parte ii, vol. 2, pp. 105-114. 24 Stones 2004 e 2014, parte ii, vol. 2, pp. 210-35. 25 Duval-Arnould 2000b. 26 Stones 2014, parte ii, vol. 2, pp. 115-28. 27 Berger 1884, pp. 109-56; Sneddon 1978/79 e 2011; Stones 2014. 28 Berger, Langlois, Wilmart, Sneddon siglum N cat. no. 25; Vangeli dei popoli cat. 83 di Vian; Stones 2013, parte i, vol. 1, p. 56; vol. 2, p. 108. 29 Stones 2013, parte i, vol. 1, p. 56; vol. 2, p. 108. 30 Vian in Vangeli dei popoli. BIBBIA DI JEAN DE BERRY PER CLEMENTE VII 1 Avril 2004. 2 Durrieu 1910, p. 7; Manzari 2000, p. 362. 3 Avril 2001. 4 Meiss 1967, vol. 1, pp. 196-198. 5 Meiss 1967, p. 290.

346

Note

6 Avril 2004; Delisle 1907; Manfredi 1994; Meiss 1967, vol. 1, p. 342.

1 2 3 4 5 6 7 8 9

UN’IGNOTA BIBBIA AVIGNONESE DI METÀ TRECENTO Per questi elementi, si veda Manzari 2006. Condello 2000; Manzari 2006. Manzari 2006, pp. 162-166. Manzari 2006. Manzari 2014. Manzari 2006, pp. 181-186. Rimando per questo ad altra sede. Manzari 2006, pp. 162-163. Manzari 2006.

LA BIBBIA IN ITALIA TRA XIII E XIV SECOLO 1 Magrini 2007. 2 Su queste aree cfr. infra, Toniolo pp. 234-235, Lollini pp. 238-239 e Medica pp. 228-230. 3 Cfr. supra, Orofino, pp. 174-176. 4 Chiodo 2016a, pp. 96-99; Rapone 2016, pp. 365, 371-372. 5 Alai 2016; Chiodo 2016b. 6 Per il controverso problema della frammentaria Bibbia detta di Corradino e in particolare per la Bibbia Vat. lat. 4195, a essa correlata, si vedano: Corrie 1994; Corrie 2016. Cfr. infra, Maddalo pp. 223-225. 7 Cfr. infra, Manzari pp. 242-244. 8 Perriccioli Saggese 2016. 9 De Floriani 2001. 10 Si veda, ad esempio, bnm, Lat. Z.2 (1977): Lunghi 1982. 11 Cfr. infra, Massolo pp. 249. 12 Quazza 1979. 13 Sciacca 2012. 14 Toniolo 1999. 15 Silber 1980. 16 Roest 1998. 17 Ragusa 1987. 18 Flora 2009. 19 Manzari 2014a, pp. 14-23. 20 Leonardi 2000. 21 Manzari 2014b, p. 279. NUOVO TESTAMENTO 1 Bauer-Eberhardt 2007, p. 95; Berger 1976, p. 79. 2 Klein 1975 e 1983. 3 Cfr. Müller 2015; Vetter 1958-1959, p. 38. 4 Eleen 1987, pp. 227-230; Pace 1984, pp. 71-73. 5 Beissel 1893, pp. 36-38. 6 Morello 1972 e 1984. 7 Eleen 1987; Klein 1979, p. 147. 8 Arslan 1943, pp. 168-170. 9 Pace 1984, pp. 69-71. 10 Cfr. Jemolo 1971, p. 40, tav. xxxviii-xlii. 11 Eleen 1987, p. 230ss.; Pace 1984, p. 74. BIBBIE MANFREDIANE 1 Erbach-Fürstenau 1910. 2 Bologna 1969, pp. 48-50. 3 Toubert 1980, pp. 66-67. 4 Maddalo 2003. 5 Daneu Lattanzi 1955 e 1964. 6 Crivello 2014; Pettenati 1976. 7 Library 2000; Orofino 2010, pp. 474-476. 8 Toubert 1977 e 1980. 9 Toubert 1977. 10 Ayres 1994; Magistrale 1997; Orofino 2010. 11 Ayres 1994; Light 1994; Light 2011; Magrini 2005a. 12 Rullo 2007. 13 Rullo 2007. 14 Per approfondimenti sull’argomento si vedano: AvrilGousset-Zaluska 1984; Ayres 1994; Corrie 1994; Di Natale 1995 e 1995a; Pace 2000a; Perriccioli Saggese 2014; Supino 1980. BIBBIE BOLOGNESI DEL DUECENTO 1 Giovè Marchioli 1999, pp. 51-57; Lollini 2002, pp. 42-44; Mariani Canova 1992, p. 165; Medica 2000, p. 119. 2 Filippini-Zucchini 1947, pp. 26, 40, 190, 238; Medica 2000, p. 119; Norris 1993, pp. 598-606.

3 Conti 1981, p. 21; Medica 2000, p. 119. 4 Gousset 2000, pp. 232-234; Medica 2000, pp. 121-123; Medica 2005, pp. 179-180; Valagussa 2000, pp. 234-237. 5 Norris 1993, pp. 257, 819-821, n. 44. 6 Norris 1993, pp. 270-271. 7 Norris 1993, p. 257. 8 Nicolini 2000, pp. 237-239. 9 Medica 2000, p. 121 e 2005, p. 179. 10 Gousset 2000, pp. 239-244. 11 Zanichelli 2014, pp. 442-458. 12 Zanichelli 2014, p. 455. 13 Secondo Norris 1993, pp. 265, 795-801, n. 41, si tratta invece di un unico artefice da lui denominato Artista B dell’xi gruppo. 14 Cfr. Zanichelli 2014, pp. 317-330. 15 Labriola 2014, pp. 498-500. 16 Neri Lusanna 2011, pp. 113, 116. 17 Labriola 2014, pp. 498-500. 18 Labriola 2004, pp. 199-201 e 2014, p. 498. 19 Hoffmann 2013; Medica 2000, pp. 126-134; 2005, pp. 181-183 e 2009, pp. 31-34. 20 Conti 1981, pp. 26-28, 46-47; Medica 2000, pp. 125126; 2004, pp. 523-524 e 2005, p. 181; Semizzi 1999, pp. 144-145; Torquati 2000, pp. 309-314. 21 Medica 2000, pp. 126-131. 22 Hoffmann 2013, pp. 70-71; Medica 2003, pp. 65-85. 23 Hoffmann 2008, pp. 11-18.

1 2 3 4

BIBBIA VENETA Zanichelli 2014b. Manuscrits Enluminés 1984, pp. 12-13. Manuscrits Enluminés 1984, pp. 5-6. Cenci 1982, p. 406.

1 2 3 4

BIBBIE DUECENTESCHE IN ROMAGNA Conti 1981, pp. 28-30. Sul miniatore: Lollini 2004, con bibliografia. Sulla Bibbia Vat. lat. 22: Nicolini 2002, con bibliografia. Magrini 2000, con bibliografia.

BIBBIE DELL’ITALIA MERIDIONALE NEL XIV SECOLO: NAPOLI IN EPOCA ANGIOINA 1 Perriccioli Saggese 2004 e 2013. 2 Perriccioli Saggese 2014. 3 Anjou Bible 2010, pp. 177-180. 4 Bräm 2007, pp. 404-405. 5 Anjou Bible 2010, pp. 21, 194. 6 Manzari 2010 e 2014. 7 Manzari 2014, pp. 414-415. 8 Magrini 2005. 9 Tomei 2000. 10 Fleck 2010. 11 Magrini 2005; Bräm 2007. 12 Improta 2012. 13 Improta-Zinelli 2014. 14 Besseyre 2011, p. 365; Manzari 2013, p. 175. 15 Duval-Arnould 2000c. 16 Perriccioli Saggese 1984, pp. 253-255. 17 Duval-Arnould 2001, p. 307. 18 Perriccioli Saggese 1984, p. 255. 19 Magrini 2005, pp. 5-7. 20 Manzari 2010, pp. 29-30. 21 Alexander 1992; Corso 2009. 22 Alexander 1992, p. 220. 23 Perriccioli Saggese 2002. 24 Manzari 2008.

1 2 3 4 5 6

BIBBIA TERAMANA Massolo 2015, pp. 271-274. Buonocore 2012, pp. 197-198. Improta 2012, pp. 324-325; Massolo 2015, pp. 259-279. Massolo 2016, pp. 87-102. Manzari 2016, pp. 229-239. Manzari 2005, pp. 181-199.

IL RINASCIMENTO LA BIBBIA IN ITALIA NEL RINASCIMENTO 1 Libro della Bibbia 1972. 2 Manfredi 2005, pp. 459-501; Manfredi 2010, pp. 160-169. 3 Bibbia in Italiano 1998.

4 De Hamel 2001. 5 Cfr. supra, Manzari, pp. 243ss. 6 Cfr. supra, Zöhl, p. 206. 7 Cfr. infra, Manfredi, p. 334. 8 Cfr. infra, Montuschi, pp. 286ss. 9 Toniolo 1997. 10 Alexander 2016, pp. 238-242. 11 Cfr. infra, Labriola, pp. 262-264. 12 Fumian 2014, pp. 429-438. 13 Franco 1996, pp. 68-69. 14 Pandolfo 2013, pp. 156-178. 15 Marco Barbaro, Genealogie e origini di famiglie venete patrizie, vol. vii, ff. 71-7. 16 Petitmengin 2012, p. 78. 17 Cfr. infra, Labriola, pp. 262-264. 18 Cfr. infra, Labriola, p. 263. 19 Peruzzi 2014. 20 Toniolo 2008, pp. 79-89. 21 Manfredi 2005, pp. 459-501; Toniolo 2007, pp. 110119. 22 Peruzzi 2004. 23 Putaturo Murano Donati 2001-2002, pp. 215-223. 24 Cfr. infra, Toscano, pp. 272ss. 25 Cfr. infra, Toscano, pp. 272ss. MANOSCRITTI BIBLICI FIORENTINI NELLA BIBLIOTECA DI FEDERICO DA MONTEFELTRO A URBINO 1 Peruzzi 2010, pp. 265-304. 2 Vespasiano da Bisticci, [c. 1482], ed. 1970, i, p. 385. 3 De la Mare 1996, pp. 193-195, 198-200. 4 Labriola 2008, pp. 53-67 e 2008a, pp. 227-234. 5 Delbianco 2008, pp. 221-224. 6 Vespasiano da Bisticci, ed. 1970, i, pp. 46-47. 7 Manfredi 2005, pp. 31-60 e 2005a, pp. 482-488. 8 Lorenzo Valla, Collatio Novi Testamenti, con dedica a papa Niccolò v nel 1448. 9 den Haan 2016; Manfredi 2000b, pp. 300-303 e 2000a, pp. 391-393. 10 Cagni 1969, pp. 78-80. 11 D’Aiuto 2003, pp. 252-256. 12 Su Aaron ben Gabriel Strasbourg, copista ebreo attivo a Firenze: cfr. Cassuto 1965, p. 189; Hebrew Manuscripts 2008, p. 638. 13 De la Mare 1996, p. 181 n. 49. 14 Labriola 2008b, pp. 138-142. 15 De la Mare 1986, p. 90. 16 Garzelli 1977, pp. 21-22, 34-37. 17 Manzari 2004, pp. 21-126. 18 Labriola 2007, pp. 45-51. 19 Alexander 2016, pp. 16-24. 20 Su questi temi, si vedano inoltre: Fachechi 2001-2002, pp. 103-112; Federico da Montefeltro 2007; Garzelli 1986, pp. 116-130; La biblioteca di Federico da Montefeltro 20042005; Manfredi 2000a e 2005a; Peruzzi 2004; Peruzzi 2008, pp. 21-39. I SALTERI DI ALFONSO V D’ARAGONA E DIOMEDE CARAFA 1 De Marinis 1947-1969; Toscano 1998, 2009 e 2010. 2 Vespasiano da Bisticci 1970-1976, i, p. 84. 3 Gonzalez-Hurtebise 1907. 4 D’Alos 1924, p. 392. 5 D’Alos 1924, pp. 394-406. 6 Toscano 1998, pp. 190-191, 340-347. 7 Commentario 1862, p. 91. 8 De Marinis 1947-1969, ii, pp. 139-140; Toscano 1995, p. 91, fig. 6. 9 Commentario 1862, p. 92. 10 Putaturo Donati Murano 2001-2002, pp. 215-223; Toscano 1995, pp. 94, 116, n. 28. 11 Manetti 2012; Toscano 1998, pp. 538-539. 12 Toscano 2008, p. 394 e 2009a, pp. 520-523. 13 Toscano 2009a, pp. 522-523. 14 De Marinis 1947-1969, Supplemento, i, p. 62; Morello 1988, pp. 24-25. 15 Toscano 1995, pp. 104-107.

Parte terza FORME E USI PARTICOLARI DEL TESTO BIBLICO LETTURE BIBLICHE PER USO LITURGICO: EVANGELISTARI, EPISTOLARI E SALTERI LITURGICI 1 Chavasse 1989, pp. 178-179; Gy 1984; Martimort 1992, pp. 16-20; Righetti 1950-1953, iii, pp. 200-226; Saxer 1985, pp. 170-175; Vogel 1986, pp. 292-314. 2 Godu 1922, coll. 256-257; Vogel 1986, pp. 314-316. 3 Brown 2005, pp. 283, 292; Gyug 2011. 4 Vezin 2005. 5 Dold 1931; Martimort 1992, p. 27; Vogel 1986, p. 323. 6 Scappaticci 2008, pp. 406-408. 7 Tristano 2011, p. 105. 8 McGurk 1994, p. 18; Morin 1898, pp. 104-106. 9 Brown 2007. 10 Longo 2000; Martimort 1992, pp. 24-25; McGurk 1994, p. 21. 11 Salmon 1969, nr. 105. 12 Bibbie atlantiche 2000, ad ind.; Condello 2005; Lobrichon 2016. 13 Bannister 1913, pp. 191-194; Baroffio 1999 e 2000; Huglo 1988, pp. 18-20; Stäblein 1962. 14 Klauser 1935; Vogel 1986, pp. 316, 343. 15 Magrini 2005. 16 Klauser 1935. 17 Martimort 1992, pp. 31-32; Vogel 1986, pp. 339-340. 18 Cohen-Mushlin 1990. 19 Klauser 1927 e 1935, pp. xxxiv, lxv, 4ss. 20 Nota di Franz Ehrle al f. 1v: Wilmart 1937, p. 22. 21 Dold 1944; Godu 1922, coll. 281-284; Martimort 1992, pp. 27, 49; Salmon 1969, 106; Vogel 1986, p. 330. 22 Albarello 2000. 23 Speciale 2000; Surmann 1992a. 24 Martimort 1992, p. 55; Vogel 1986, p. 343. 25 Martimort 1992, pp. 30, 53. 26 Pace 1992c. 27 Brown 2005. 28 Stornajolo 1902, pp. 16-17; Torquati 2000. 29 McGurk 1994. 30 Duval-Arnould 2000d. 31 Steiger 2016. 32 Pelzer 1931, pp. 305-306; Salmon 1969, n. 130. 33 Pelzer 1931, pp. 481-482. 34 Ruzzier 2008. 35 Klauser 1935, p. xix. 36 Righetti 1950-1953, iii, pp. 226-234. 37 Dold 1940; Martimort 1992, p. 39; Salmon 1969, n. 110; Vogel 1986, p. 345. 38 Anàmnesis 2005, pp. 157-159; Martimort 1992, pp. 51-58; Vogel 1986, pp. 339-355. 39 Chavasse 1952. 40 Gamber 1961 e 1968, n. 1006; Salmon 1969, n. 134. 41 Salmon 1969, n. 101. 42 Acolit 2004, s.vv; Salmon, 1969, passim. 43 Salmon 1969, n. 4. 44 Parodi 2000. 45 von Euw, 1991; Gresley-Rey 2000; Salmon 1969, n. 72. 46 Cherubini 2000a; Klauser 1935, p. cx, n. 329. 47 Brown 2005; Rehle 1974, pp. 183-184. 48 Brown 2005, pp. 290-291. 49 Leclercq 1922, coll. 777-778, 837. 50 Libro del Vangelo 1963. 51 Vezin 2005. 52 Salmon 1969, n. 103. 53 Kahsnitz 1986. 54 Anàmnesis 2005, p. 173; Estin 1985; Frutaz-Raes 1953; Leroquais 1940-1941, i, pp. v-lxxxv. 55 Salmon 1959. 56 Alexander 1992a; Bessette 2009, pp. 59-60. 57 Manzari 2000a, pp. 140-142; Pfändter 1996. 58 Leroquais 1934, i, p. xix; Leroquais 1940-1941, i, pp. lxxxvi-xcix; Sandler 1999; Vezin 2005. 59 Hughues 1982, pp. 224-237: p. 230; Leroquais 1934, i, p. xx. 60 Leroquais 1940-1941, i, p. xlix; Vezin 2005, pp. 269270. 61 Salmon 1968, n. 4. 62 Weber 1953, p. xvi.

63 Salmon 1968, n. 38. 64 Salmon 1968, n. 83. 65 Curzi 1995. 66 Melograni 1995. 67 Vezin 1992 e 2005. L’EVANGELISTARIO AVIGNONESE DI ANNIBALDO DA CECCANO 1 Manzari 2006, pp. 342-343. 2 Manzari 2016a, pp. 216-218. 3 Kanter 2004. 4 Manzari 2016a, pp. 218-221. 5 Manzari 2016b, pp. 636-644. 6 Cfr. supra, Massolo, p. 249. 7 Manzari 2016a, pp. 222-224. 8 Manzari 2016a, p. 216. 9 Manzari 2016a, p. 224.

LO STUDIO DELLA BIBBIA E LA BIBBIA PORTATILE NEI SECOLI XII E XIII 1 Smalley, 1985, cap. v, parte iii. 2 Dahan 1992.

DIVULGAZIONE DEL TESTO BIBLICO: DAL MANOSCRITTO AL LIBRO A STAMPA 1 Rouse-Rouse 2000; History of the Bible 2012, pp. 93109, 555-578. 2 History of the Bible 2012, pp. 380-391, 446-482. 3 Schmidt 1989; Studni\ková 2006; Suckale 1990; in questo volume p. 338. 4 Duval-Arnould 2000; Lowden 2005; in questo volume p. 330. 5 Wetzel-Drechsler 1995; Wirth 1982. 6 Wilson-Wilson 1985. 7 Suckale-Suckale Redlefsen 2014. 8 Jenni-Theisen 2014; Krása 1971. 9 Jenni-Theisen 2014, p. 38; Krenn-Steiger 2016, Heidelberg online. 10 Krása 1990, pp. 298-310. 11 Praga, Czech Academy of Sciences, 1 TB 3. 12 Royt 2006; Stejskal-Voit 1991, p. 53. 13 Stejskal-Voit 1991, pp. 55ss. 14 Cfr. anche pp. 338ss. 15 Stejskal 1992; Stejskal-Voit 1991, p. 58. 16 Krása 1990, pp. 318, 326; Stejskal 2001, p. 40. 17 Saurma-Jeltsch 2014. 18 Blockbücher des Mittelalters 1991; Schmidt 2003. 19 Füssel 2003; König 1995. 20 White 2002. 21 Geldner 1968. 22 Cfr. pp. 253-255, 262-264. 23 Geldner 1970. 24 Barbieri 1992, pp. 219-221. BIBBIA MORALIZZATA IN LATINO E FRANCESE 1 Laborde 1927. 2 Avril 1972. 3 Hausherr 1981, p. 162; Lowden 2005, pp. 85-86. 4 Lowden 2005, p. 88. 5 Duval-Arnould 2000, p. 365. PIETRO COMESTORE, HISTORIA SCHOLASTICA 1 Boyle-Leroy-Morello 1987 e 1991. 2 Krása 1974. 3 Studni\ková 2006. 4 Stejskal-Voit 1991, p. 61. 5 Krása 1974, pp. 34-37; Schmidt 1969, pp. 257, 318321. 6 \erny 2000. 7 Stejskal 2001, p. 41. 8 Cfr. pp. 319, 326, 327. 9 Krása 1974.

347


Bibliografia di riferimento

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Abulaʒe 1973 = Il. Abulaʒe, Kartuli c’eris nimušebi, p’aleograpiuli albomi [Specimina di scrittura georgiana, Album Paleografico], Tbilisi 1973. Acolit 2004 = Associazione Bibliotecari Ecclesiastici Italiani, Acolit Autori cattolici e opere liturgiche. Una lista di autorità. Catholic Authors and Liturgical Works. An Authorithy List, ed. M. Guerrini, iii, Opere liturgiche / Liturgical Works, ed. F. Ruggeri, coll. G. Baroffio - M. Guerrini - M. Navoni - P. Pieri - M. Sodi - L. Tempestini, Milano 2004. Alai 2016 = B. Alai, Sulla Bibbia glossata di Enrico de’ Cerchi: qualche considerazione intorno al libro dei Vangeli, in Il libro miniato 2016, pp. 407-425. Albarello 2000 = C. Albarello, Cat. 28, Evangeliario. Latino (“Evangeliario di Lorsch”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 185-189. Albrecht - Rosenau 2012 = F. Albrecht - M. Rosenau, Zum Textwert des Papyrus Vaticanus Copticus 9, in Göttinger Miszellen 234 (2012), pp. 21-32. Album 1946 = An Album of Dated Syriac Manuscripts, ed. W.H.P. Hatch, Boston 1946. Alexander 1978 = J.J.G. Alexander, Cat. 36, Rome, Vatican, Biblioteca Apostolica MS Barberini Lat. 570, in Insular Manuscripts, 6th to the 9th Century, London 1978, pp. 61-62. Alexander 1985 = J.J.G. Alexander, A Manuscript of the Gospels from Santa Maria in Trastevere, Rome, in Studien zur mittelalterlichen Kunst 800-1250. Festschrift für F. Mütherich zum 70. Geburtstag, ed. K. Bierbrauer - P.K. Klein - W. Sauerländer, München 1985, pp. 193-206. Alexander 1992 = J.J.G. Alexander, Erster Band der Bibel des Matteo de Planisio, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 220-225. Alexander 1992a = J.J.G. Alexander, Psalter aus Bury St. Edmunds, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 104-107. Alexander 2000 = J.J.G. Alexander, Scribi e artisti: l’iniziale arabesque nei manoscritti inglesi del xii secolo (1978), in Uomini, Libri e Immagini. Per una storia del libro illustrato dal tardo Antico al Medioevo, ed. L. Speciale, Napoli 2000, pp. 171-202. Alexander 2003 = J.J.G. Alexander, I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro (New Haven-London 1992), Modena 2003. Alexander 2016 = J.J.G. Alexander, The Painted Book in Renaissance Italy. 1450-1600, New HavenLondon 2016. Amiranašvili 1961 = Š. Amiranašvili, Kartuli xelovnebis ist’oria [Storia dell’arte georgiana], Tbilisi 1961. Anàmnesis 2005 = Anàmnesis. Introduzione storicoteologica alla Liturgia, ed. S. Marsili, ii, La liturgia, panorama storico generale, ed. S. Marsili - J. Pinell - A. M. Triacca - T. Federici - A. Nocent - B. Neuheuser, Roma 1978, rist. Genova-Milano 2005, pp. 147-183. Ancidei 2000 = G. Ancidei, Cat. 16, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4220-4221 (Bibbia di San Crisogono), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 176-181. Anderson et al. 1989 = J. Anderson - P. Canart - C. Walter, The Barberini Psalter. Codex Vaticanus Barberinianus Graecus 372. Introduction and Commentary, Zurigo/New York 1989. Andrist 1998 = P. Andrist, Genavensis gr. 30: Un manuscrit d’Ephrem dans la Bibliothèque de Théodose iv Princeps?, in Scriptorium 52 (1998), pp. 12-36. Anjou Bible 2010 = The Anjou Bible. A Royal Manuscript Revealed: Naples, 1340, ed. L. Watteeuw - J. Van den Stock, Paris-Leuven 2010. Arranz 1969 = M. Arranz, Le Typicon du Monastère du saint-Sauveur à Messine, codex messinensis gr. 115 a.D. 1131, Roma 1969. Arranz 1979 = M. Arranz, Les «fêtes théologiques»

348

du calendrier byzantin, in La liturgie expression de la foi. Conférences saint-Serge, xxve semaine d’études liturgiques (Paris, 27-30 juin 1978), ed. A.M. Triacca - A. Pistoia, Roma 1979, pp. 34-37. Arranz 1998 = M. Arranz, «Oko cerkovnoe», Pererabotka opyta Istorija Tipikona, [«Occhio della Chiesa», Elaborazione del saggio Storia del Typikon, Accademia Ecclesiastica di Leningrado lda 1978], Roma 1998. Arslan 1943 = E. Arslan, La pittura e la scultura veronese dal secolo viii al secolo xiii, Milano 1943. Assemani 1756 = S.E. e G. Assemani, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codicum manuscriptorum catalogus in tres partes distributus … Partis primae, codices ebraicos et samaritanos, Roma 1756. Avril 1972 = F. Avril, Un chef-d’oeuvre de l’enluminure sous le règne de Jean le Bon: la Bible moralisée ms. Français 167 de la Bibliothèque nationale, in Fondation Eugène Piot- Monuments et mémoires 58 (1972), pp. 91-125. Avril 1983 = F. Avril, Les arts de la couleur, in F. Avril - X. Barral i Altet - D. Gaborit-Chopin, Le monde roman. 1060-1220, i, Le Temps des Croisades, Paris 1982, pp. 130-225; trad. it. Milano 1983, pp. 130-224. Avril 1984 = F. Avril, Les arts de la couleur, in F. Avril, X. Barral i Altet, D. Gaborit-Chopin, Le monde roman. 1060-1220, ii, Les Royaumes d’Occident, Paris 1983, pp. 158-259; trad. it. Milano 1984, pp. 158-259. Avril 2001 = F. Avril, Le parcours exemplaire d’un enlumineur parisien à la fin du xive siècle. La carrière et l’oeuvre du maître du policratique de Charles vi, in De la sainteté à l’hagiographie. Genèse et usage de la Légende dorée. Actes du colloque de Genève (avril 1999), ed. B. Fleith - F. Morenzoni, Geneva 2001, pp. 267-281. Avril 2004 = F. Avril, Bible avec gloses de Nicolas de Lyre, offerte par Jean de Berry à l’antipape Clément vii, in Paris, 1400: les arts sous Charles vi. Catalogue de l’exposition (Paris, Musée du Louvre, 22 mars-12 juillet 2004), ed. E. Taburet-Delahaye, Paris 2004, p. 109. Avril - Gousset 1984 = F. Avril - M. T. Gousset, Manuscrits enluminés d’origine italienne, ii, xiii siécle, coll. C. Rabel, Paris 1984. Avril - Gousset - Załuska 1984 = Cat. 42, Latin 10428, in F. Avril - M.T. Gousset - Y. Załuska, Dix siècles d’enluminure italienne (viie- xvie siècles). Catalogue de l’exposition (BnF, Galerie Mazarine, 8 mars-30 mai 1984), Paris 1984, p. 53. Ayres 1994 = L. Ayres, Bibbie italiane e bibbie francesi, in Il gotico europeo in Italia, ed. V. Pace - M. Bagnoli, Napoli 1994, pp. 361-374. Ayres 2000a = L. Ayres, Cat. 5, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Barb. lat. 587 (Bibbia di Santa Cecilia), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 126-131. Ayres 2000b = L. Ayres, Cat. 3, München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 13001 (Bibbia di Enrico iv), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 114-120. Ayres 2000c = L. Ayres, Le Bibbie atlantiche. Dalla Riforma alla diffusione in Europa, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 27-37. Bagatti 1979 = B. Bagatti, Antichi villaggi cristiani di Samaria, Gerusalemme 1979, pp. 117-121. Bannister 1913 = E. M. Bannister, Monumenti Vaticani di Paleografia musicale latina, Lipsia 1913. Barbieri 1991-1992 = E. Barbieri, Le Bibbie italiane del Quattrocento e del Cinquecento. Storia e bibliografia regionata delle edizioni in lingua italiana dal 1471 al 1600, 2 voll., Milano 1991-1992. Baroffio 1999 = G. Baroffio, Le litterae passionis nei

libri liturgici italiani, in Aevum 73 (1999), 2, pp. 295-304. Baroffio 2000 = G. Baroffio, Bibbia Liturgia Bibbie. Dalle tradizioni orali alla trasmissione scritta, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 81-85. Bartoli Langeli 2000 = A. Bartoli Langeli, Bibbie atlantiche e carolina “riformata”. Una nota, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 45-46. Bassetti 2000 = M. Bassetti, Cat. 1, Admont, Stiftsbibliothek, C-D (Bibbia di Gebhard di Salisburgo), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 108-111. Bataillon 2004 = L. J. Bataillon, La Bible au xiiie siècle, in Bibbia 2004, pp. 4-11. Bauer-Eberhardt 2007 = U. Bauer-Eberhardt, La Bibbia privata nel Duecento, in Rivista di storia della miniatura 11 (2007), pp. 95-102. Bausi 2008 = A. Bausi, La tradizione scrittoria etiopica, in Segno e Testo 6 (2008). Bausi 2012 = A. Bausi, Ethiopian Manuscripts in the Vatican Library, in Coptic Treasures from the Vatican Library. A Selection of Coptic, Copto-Arabic and Ethiopic Manuscripts. Papers collected on the occasion of the Tenth International Congress of Coptic Studies (Rome, September 17th-22nd, 2012), ed. P. Buzi - D. V. Proverbio, Città del Vaticano 2012, pp. 53-60. Bausi 2014 = A. Bausi, Copying, writing, translating: Ethiopia as a manuscript culture, in Manuscript cultures: mapping the field, ed. J. Quenzer - D. Bondarev - J.-U. Sobisch, Berlin-New York 2014, pp. 37-77. Bausi 2015 = A. Bausi, Johann Michael Wansleben’s Manuscripts and Texts. An Update, in Essays in Ethiopian Manuscript Studies. Proceedings of the International Conference Manuscripts and Texts, Languages and Contexts: the Transmission of Knowledge in the Horn of Africa, Hamburg, 17-19 July 2014, ed. A. Bausi - A. Gori - D. Nosnitsin with assistance from E. Sokolinski, Wiesbaden 2015, pp. 197-243. Beck 1971 = H.-G. Beck, Geschichte der byzantinischen Volksliteratur, München 1971. Beissel 1893 = S. Beissel, Vatikanische Miniaturen, Freiburg / Breisgau 1893. Beit-Arié 1993 = M. Beit-Arié, The Codicological Data-Base of the Hebrew Palaeography Project: A Tool for Localizing and Dating Hebrew Medieval Manuscripts, in Id., The Makings of the Hebrew Medieval Book: Studies in Palaeography and Codicology, London 1993, pp. 41-73. Bennett 1960 = W.H. Bennett, The Gothic Commentary on the Gospel of John: Skeireins aiwaggeljons þairh iohannen. A Decipherment, Edition, and Translation. New York 1960. Beer 1907 = R. Beer, Die Handschriften des Klosters Santa Maria de Ripoll, Wien 1907–1908. Berg 1962 =K. Berg, An Illustrated Evangeliary in the Vatican Library, in Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia 1 (1962), pp. 73-77. Berg 1968 = K. Berg, Studies in Tuscan Twelfth-Century Illumination, Oslo-Bergen-Tromsö 1968. Berg 2000 = K. Berg, Cat. 48. Città del Vaticano. Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4216 (Bibbia di Fonte Avellana), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 281-282. Berger 1884 = S. Berger, La bible française au moyen âge. Étude sur les plus anciennes versions de la Bible écrites en langue d’oïl, Paris 1884. Berger 1893 = S. Berger, Histoire de la Vulgate pendant les premiers siècles du Moyen Age, Paris 1893; rist. Hildesheim - New York 1976. Berschin 1992 = W. Berschin, Die Palatina in der Vaticana: eine deutsche Bibliothek in Rom, Stuttgart et al. 1992.

Bertelli 1987 = C. Bertelli, Miniatura e pittura. Dal monaco al professionista, in Dall’eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di Dante, Milano 1987, pp. 577-699. Bertelli 2000 = C. Bertelli, Cat. 376, Salterio ambrosiano, in Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, catalogo della mostra (Brescia, 18 giugno-19 novembre 2000), ed. C. Bertelli - G. P. Brogiolo, Milano 2000, p. 389. Bessette 2009 = L. Bessette, Bury Saint Edmunds Psalter, in Pen and parchment. Drawing in the Middle Ages. Catalogo di mostra (New York, The Metropolitan Museum of Art, 2 giugno-23 agosto 2009), ed. M. Holcomb, New York-London 2009, pp. 59-61. Besseyre 2011 = M. Besseyre, La Bible moralisée de Naples, chef-d’oeuvre de l’enluminure italienne médiévale et mystère historique; Conclusion, in Bible moralisée de Naples, Barcelona 2011, pp. 15-34; 365. Bibbia 2004 = La Bibbia del xiii secolo: storia del testo, storia dell’esegesi. Convegno della Società internazionale per lo studio del Medioevo latino [sismel] (Firenze, 1-2 giugno 2001), ed. G. Cremascoli - F. Santi, Tavarnuzze (Firenze) 2004. Bibbia di Federico da Montefeltro 2004-2005 = La Bibbia di Federico da Montefeltro. Codici Urbinati Latini 1-2, Biblioteca Apostolica Vaticana. Commentario, ed. A. M. Piazzoni, 2 voll., Modena-Città del Vaticano 2004-2005. Bibbia in italiano = Bibbia in italiano tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale (Firenze, Certosa del Galluzzo, 8-9 novembre 1996), Firenze 1998. Bibbie Atlantiche 2000 = Le Bibbie Atlantiche. Il libro delle Scritture tra monumentalità e rappresentazione. Catalogo della mostra (Cassino, Abbazia di Montecassino, 11 luglio -11 ottobre 2000) ed. M. Maniaci - G. Orofino, Milano 2000. Bibles Atlantiques 2016 = Les Bibles Atlantiques. Le manuscrit biblique à l’époque de la Réforme de l’Eglise du xie siècle, ed. N. Togni, Firenze 2016. Biblioteca Reale 1998 = La Biblioteca Reale di Napoli al tempo della dinastia aragonese. Catalogo della mostra (Napoli, 30 settembre-15 dicembre 1998), ed. G. Toscano, Valencia 1998. Bierbrauer 1992 = K. Bierbrauer, Cat. 7, Evangeliar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 78-81. Bierbrauer 1999 = K. Bierbrauer, Cat. X.10, Evangeliarfragment, in Kunst und Kultur 1999, p. 701. Bierbrauer 1999a = K. Bierbrauer, Cat. X.21, Lorscher Evangeliar, in Kunst und Kultur 1999, pp. 727-733. Bignami-Odier 1934 = J. Bignami-Odier, Guide au département des manuscrits de la Bibliothèque du Vatican, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire 51 (1934), pp. 205-239. Bilotta 2016 = M.A. Bilotta, La Réforme grégorienne et ses programmes iconographiques: le cas des peintures murales de l’ancien palais des papes du Latran à Rome et leur rapport avec l’illustration des Bibles atlantiques, in Bibles Atlantiques 2016, pp. 129154. Birdsall 1983 = J.N. Birdsall, Georgian Studies and the New Testament, in New Testament Studies 29 (1983), pp. 306-320. Birdsall 1995 = J.N. Birdsall, The Georgian Version of the New Testament, in The Text of the New Testament in Contemporary Research: Essays on the Status Quaestionis: A Volume in Honor of Bruce M. Metzger, ed. B.D. Erhman - M.W. Holmes, Grand Rapids, MI, 1995, pp. 173-187. Birdsall 1998 = J.N. Birdsall, Georgian Translations of the Bible, in The Interpretation of the Bible, The International Symposium in Slovenia, ed. J. Krašovec, Ljubljana 1998, pp. 387-391. Bischoff 2014 = B. Bischoff, Katalog der festländischen Handschriften des neunten Jahrhunderts (mit Ausnahme der wisigotischen), iii. Padua-Zwickau, Wiesbaden 2014. Blake 1928 = The Old Georgian Version of the Gospel of Mark from the Adysh Gospels with the Variants of the Opiza and Tbet’ Gospels, ed. R. Blake, Paris 1928.

Blake 1933 = The Old Georgian Version of the Gospel of Matthew from the Adysh Gospels with the Variants of the Opiza and Tbet’ Gospels, ed. R. Blake, Paris 1933. Blake-Brière 1950 = The Old Georgian Version of the Gospel of John from the Adysh Gospels with the Variants of the Opiza and Tbet’ Gospels, ed. R. Blake - M. Brière, 1950. Bloch - Schnitzler 1967-1970 = P. Bloch - H. Schnitzler, Die ottonische Kölner Malerschule, 2 voll., Düsseldorf 1967-1970. Blockbücher des Mittelalters 1991 = Blockbücher des Mittelalters. Bilderfolgen als Lektüre. Gutenberg Museum Freiburg, 22. 6.-1. 9. 1991, ed. S. Mertens, Mainz 1991. BMB = Bibliografia dei manoscritti in scrittura beneventana, Roma 1993-, on-line <http://edu. let. unicas. it/bmb>. Bogaert 2012 = P.-M. Bogaert, The Latin Bible, c. 600 to 900, in The New Cambridge History of the Bible. ii. From 600 to 1450, ed. R. Marsden - E.A. Matter, Cambridge 2012, pp. 69-92. Bogaert 2013 = P.-M. Bogaert, De la vetus latina à l’hébreu pré-massorétique en passant par la plus ancienne Septante: Le livre de Jérémie, exemple privilégié, in Revue théologique de Louvain 44 (2013), pp. 216-243. Bogaert 2013a = P. -M. Bogaert, The Latin Bible, in The New Cambridge History of the Bible. i. From the Beginning to 600, ed. J. Carleton Paget - J. Schaper, Cambridge 2013, pp. 505-526. Bologna 1969 = F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, e un riesame dell’arte nell’età federiciana, Roma 1969. Book of Psalms 2016 = A Book of Psalms from Eleventh-Century Byzantium: The Complex of Texts and Images in Vat. gr. 752, ed. B. Crostini G. Peers, Città del Vaticano 2016. Borbone 2015 = P.G. Borbone, I siri orientali e la loro espansione missionaria dall’Asia centrale al Mar della Cina in L. Vaccaro, Dal Mediterraneo al Mar della Cina, Città del Vaticano 2015. Bosson 2012 = N. Bosson, Le papyrus Vatican copte 9 des Petits Prophètes, in Coptic Treasures from the Vatican Library. A selection of Coptic, Copto-Arabic and Ethiopic manuscripts. Papers collected on the occasion of the Tenth International Congress of Coptic Studies (Rome, September 17th-22nd, 2012), ed. P. Buzi - D.V. Proverbio, Città del Vaticano 2012, pp. 73-94. Bosson 2016 = N. Bosson, Recent Research on the Coptic Bible, in Coptic Society, Literature, and Religion from Late Antiquity to Modern Times, ed. P. Buzi - A. Camplani - F. Contardi, Leuven 2016, pp. 49-98. Boud’hors 2012 = A. Boud’hors, The Coptic Tradition, in The Oxford Handbook of Late Antiquity, ed. S.F. Johnson, Oxford 2012, pp. 224-246. Boyle - Leroy - Morello 1987 = L.E. Boyle - H. Leroy - G. Morello, Die Schöpfung. Ein Meisterwerk gotischer Buchmalerei, Stuttgart-Zürich 1987. Boyle - Leroy - Morello 1991 = L. E. Boyle - H. Leroy - G. Morello, Joseph und seine Brüder. Ein Meisterwerk gotischer Buchmalerei, Stuttgart-Zürich 1991. Bräm 2007 = A. Bräm, Neapolitanische Bilderbibeln des Trecento. Anjou-Buchmalerei von Robert dem Weisen bis zu Johanna I, 2 voll., Wiesbaden 2007. Braga - Orofino - Palma 1999 = G. Braga - G. Orofino - M. Palma, I manoscritti di Guglielmo ii, vescovo di Troia, alla Biblioteca Nazionale di Napoli: primi risultati di una ricerca, in Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale del basso Medioevo (secoli xiii-xv). Atti del Convegno di Studio, ed. G. Avarucci - R.M. Borraccini Verducci - G. Borri, Spoleto 1999, pp. 437-470. Branchi 2003 = M. Branchi, Cat. 23, Salterio, in La sapienza degli angeli. Nonantola e gli scriptoria padani nel Medioevo, catalogo della mostra (Nonantola, 5 aprile-20 giugno 2003), ed. G.Z. Zanichelli - M. Branchi, Modena 2003, pp. 112-115. Branchi 2011 =M. Branchi, Lo scriptorium e la biblioteca di Nonantola, Nonantola-Modena 2011.

Branner 1977 = R. Brannner, Manuscript Painting in Paris during the Reign of Saint Louis: A Study of Styles, Berkeley-Los Angeles-London 1977. Brière 1954 = La version géorgienne ancienne de l’Évangile de Luc, d’après les Évangiles d’Adich avec les variantes des Évangiles d’Opiza et de Tbet’, ed. M. Brière, 1954. Brock 1979 = S. P. Brock, Jewish Traditions in Syriac Sources, in Journal of Jewish Studies 30 (1979), pp. 212-232. Brock 1995 = S. P. Brock, A Palestinian Targum Feature in Syriac, in Journal of Jewish Studies 46 (1995), pp. 271-282. Brown 1998 = M. P. Brown, Embodying Exegesis: Depictions of the Evangelists in Insular Manuscripts, in Le Isole Britanniche e Roma in Età Romanobarbarica, ed. A.M. Luiselli Fadda - E. Ó Carragáin, Roma 1998, pp. 109-128. Brown 2001 = M.P. Brown, Mercian Manuscripts? The “Tiberius Group and its Historical Context”, in Mercia, an Anglo-Saxon Kingdom in Europe, ed. M. P. Brown - C. Farr, Leicester 2001, pp. 278291. Brown 2003 = M.P. Brown, The Lindisfarne Gospels: Society, Spirituality and the Scribe, London-Toronto 2003, monograph and commentary to accompany the facsimile The Lindisfarne Gospels, Luzern 2003. Brown 2005 = V. Brown, I libri della Bibbia nell’Italia meridionale longobarda, in Forme e modelli 2005, pp. 281-307. Brown 2007 = M.P. Brown, The Barberini Gospels: Context and Intertextuality, in Text, Image, Interpretation: Studies in Anglo-Saxon Literature and its Insular Context in honour of Eamonn Ó Carragáin, ed. A. Minnis - J. Roberts, Turnhout 2007, pp. 89116. Brown 2007b = M.P. Brown, Manuscripts from the Anglo-Saxon Age, London 2007. Buchanan 2016 = C.S. Buchanan, The Palatine Bible. A Visual Assault Agains a Two-Headed Monster, in Bibles Atlantiques 2016, pp. 95-107. Buchthal 1956 = H. Buchthal, The Beginnings of Manuscript Illuminations in Norman Sicily, in Papers of the British School at Rome 24 (1956), pp. 78-85. Buchthal 1957 = H. Buchthal, Miniature Painting in the Latin Kingdom of Jerusalem, Oxford 1957. Buchthal - Belting 1978 = H. Buchthal - H. Belting, Patronage in Thirteenth-Century Constantinople: An Atelier of Late Byzantine Book Illumination and Calligraphy, Washington, D. C., 1978. Buonocore 2012 = M. Buonocore, Bibbia, in Illuminare l’Abruzzo. Codici miniati tra Medioevo e Rinascimento. Catalogo della mostra (Chieti, 2013), ed. G. Curzi - F. Manzari - F. Tentarelli - A. Tomei, Pescara 2012, pp. 197-198. Buzi 2009 = P. Buzi, Catalogo dei manoscritti copti Borgiani conservati presso la Biblioteca “Vittorio Emanuele iii” di Napoli, con un profilo scientifico del cardinale Stefano Borgia e Georg Zoega, Roma 2009. Buzi 2011 = P. Buzi, Beyond the Papyrus. The Writing Materials of Christian Egypt Before the x Century: Ostraka, Wooden Tablets and Parchment, in comstt Newsletter 2 (2011), pp. 10-16. Buzi 2012 = P. Buzi, Stefano Borgia’s Coptic Manuscripts Collection and the “Strange Case” of the Borgiano copto fund in the Vatican Library, in Coptic Treasures from the Vatican Library. A Selection of Coptic, Copto-Arabic and Ethiopic Manuscripts. Papers Collected on the Occasion of the Tenth International Congress of Coptic Studies (Rome, September 17th-22nd, 2012), ed. P. Buzi - D.V. Proverbio, Città del Vaticano 2012, pp. 21-26. Buzi 2017 = P. Buzi, Some Notes on Coptic Biblical Titles (3rd-11th Centuries), in Comparative Oriental Manuscripts Studies Bulletin 3.1 (2017), pp. 5-22. \’ank’ievi 1962 = C. \’ank’ievi, Ksnis otxtavis leningraduli pragment’ebi [I frammenti di Leningrado del Tetravangelo di Ksan], in Xelnac’erta inst’it’ut’is šromebi [Annali dell’Istituto dei Manoscritti] 4 (1962), pp. 168-223.

349


Bibbia. Immagini e scrittura

Cagni 1969 = G. M. Cagni, Vespasiano da Bisticci e il suo epistolario, Roma 1969. Cahn 1982 = W. Cahn, Romanesque Bible Illumination, Ithaca, N.Y. 1982. Cahn 1996 = W. Cahn, A Survey of Manuscripts Illuminated in France, Romanesque Manuscripts. The Twelfth Century, 2 voll., London 1996. Caillet 1999 = J.-P. Caillet, La pittura preromanica e romanica, in La pittura francese, i, ed. P. Rosenberg, Milano 1999, pp. 24-57. Calligrafia di Dio 1999 = Calligrafia di Dio. La miniatura celebra la parola. Catalogo della mostra (Praglia, Abbazia, 17 aprile-17 luglio 1999), ed. G. Canova Mariani - P. Ferrero Vettore, Modena 1999. Camplani 2015 = A. Camplani, Il copto e la Chiesa copta. La lenta e inconclusa affermazione della lingua copta nello spazio pubblico della tarda antichità, in L’Africa, l’Oriente mediterraneo e l’Europa. Tradizioni e culture a confronto, ed. P. Nicelli, Roma 2015, pp. 129-151. Camplani 2016 = A. Camplani, Traces de controverse religieuse dans la littérature syriaque des origines: peut-on parler d’une hérésiologie des «hérétiques»?, in Les controverses religieuses en syriaque, ed. F. Ruani, Paris 2016. Canart 1979 = P. Canart, Les Vaticani Graeci 14871962. Notes et documents pour l’histoire d’un fonds de manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1979. Canart 2009 = P. Canart, Le Vaticanus graecus 1209: notice paléographique et codicologique, in P. Andrist, Le manuscrit B de la Bible (Vaticanus graecus 1209), Lausanne 2009, pp. 19-45. Canart 2011 = P. Canart, La Bible du Patrice Léon. Codex Reginensis Graecus 1. Commentaire codicologique, paléographique, philologique et artistique, Città del Vaticano 2011. Canova Mariani 1992 = G. Canova Mariani, La miniatura degli ordini mendicanti nell’arco adriatico all’inizi del Trecento, in Arte e Spiritualità negli ordini mendicanti. Gli Agostiniani e il Cappellone di S. Nicola a Tolentino, Tolentino 1992, pp. 165-184. Capaldo 2000 = M. Capaldo, Il Vangelo slavo ecclesiastico antico, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 71-75. Cardinali 2014 = G. Cardinali, Le vicende vaticane del Codice B della Bibbia dalle carte di Giovanni Mercati. i. La presenza negli inventari, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae xx, Città del Vaticano 2014, pp. 331-424. Cardinali 2015 = G. Cardinali, Inventari di manoscritti greci della Biblioteca Vaticana sotto il pontificato di Giulio ii (1503-1513), Città del Vaticano 2015. Cassuto 1935 = U. Cassuto, I manoscritti palatini ebraici della Biblioteca Apostolica Vaticana e la loro storia, Città del Vaticano 1935. Cassuto 1956 = U. Cassuto, Codices vaticani hebraici: Codices 1-115, Romae 1956. Cassuto 1965 = U. Cassuto, Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze 1918; ristampa 1965. Castelfranchi Vegas 2002 = L. Castelfranchi Vegas, L’arte ottoniana intorno al Mille, Milano 2002. Castiñeiras - Lorés 2008 = M. Castiñeiras - I. Lorés Otzet, Las Biblias de Rodes y Ripoll: una encrucijada del arte románico en Catalunya, in Les fonts de la pintura romànica, Barcelona 2008, pp. 219-60. Catalogo Rossiani 2014 = Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana. i. I manoscritti Rossiani, ed. S. Maddalo, coll. E. Ponzi - M. Torquati, 3 voll., Città del Vaticano 2014. Cavallo 1967 = G. Cavallo, Ricerche sulla Maiuscola Biblica, Firenze 1967. Cenci 1982 = C. Cenci, Costituzioni della Provincia Toscana tra i secoli xiii e xiv, in Studi francescani, 79 (1982), n. 3-4, pp. 369-410. \erny 2000 = P. \erny, Bible of Queen Christina of Sweden, in The Last Flowers of the Middle Ages. From Gothic to Renaissance in Moravia and Silesia, ed. I. Hlobil, Olomouc 2000, pp. 282-285. Chavasse 1952 = A. Chavasse, Les plus anciens types du Lectionnaire et de l’Antiphonaire romains de la Messe. Rapports et date, in Revue Bénédictine 62 (1952), pp. 3-94. Chavasse 1989 = A. Chavasse, Évangéliaire, Épistolier,

350

Bibliografia di riferimento

Antiphonaire et Sacramentaire. Les livres romains de la messe au vie et au viiie siècle, in Ecclesia orans 6 (1989), pp. 177-255. Cherubini 2000 = P. Cherubini, Cat. 32, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 193-195. Cherubini 2000a = P. Cherubini, Cat. 54, Evangelistario. Latino (“Evangeliario di Bari”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 240-242. Chiodo 2016a = S. Chiodo, Cat. 6, Biblia Sacra, in S. Chiodo, Ad usum fratris... Miniature nei manoscritti laurenziani di Santa Croce (secoli xi-xiii). Catalogo della mostra (Firenze, bml, 18 marzo-25 giugno 2016), Firenze 2016, pp. 96-99. Chiodo 2016b = S. Chiodo, Cat. 7a-o, Biblia Sacra, in S. Chiodo, Ad usum fratris... Miniature nei manoscritti laurenziani di Santa Croce (secoli xi-xiii). Catalogo della mostra (Firenze, bml, 18 marzo-25 giugno 2016), Firenze 2016, pp. 101-132. Christie’s 2016 = Christie’s, Valuable Books and Manuscripts. King Street, 1st December 2016, London 2016. Ciampi 1880 = I. Ciampi, Della vita e delle opere di Pietro della Valle il pellegrino, Roma 1880. Ciardi Dupré 2000 = M. G. Ciardi Dupré, Le Bibbie atlantiche toscane, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 73-79. Città e memoria 1997 = La città e la sua memoria. Milano e la tradizione di sant’Ambrogio, catalogo della mostra (Milano, 3 aprile-8 giugno 1997), ed. M. Ricci, Milano 1997. cla = E.A. Lowe, Codices Latini Antiquiores, 11 voll. & Supplement, Oxford 1934-1972. Codices Armeni 1927 = Codices Armeni Bybliothecae Vaticanae. Borgiani, Vaticani, Barberiniani, Chisiani schedis F.C. Conybeare adhibitis recensuit E. Tisserant, Romae 1927. Cohen-Mushlin 1990 = A. Cohen-Mushlin, The Twelfth-Century Scriptorium at Frankenthal, in Medieval Book Production. Assessing the Evidence. Proceedings of the Second Conference of the Seminar in the History of the Book to 1500, Oxford, July 1988, ed. L.L. Brownrigg, Los Altos Hills 1990, pp. 85-101. Commentario 1862 = Commentario della vita di Messer Giannozzo Manetti scritto da Vespasiano Bisticci, Torino 1862. Compagnoni 1997a = G.M. Compagnoni, Cat. 43, Salterio e innario ambrosiano, in Città e memoria 1997, p. 268. Compagnoni 1997b = G.M. Compagnoni, Cat. 44, Salterio e innario ambrosiano, in Città e memoria 1997, pp. 268-269. Comst 2015 = Comparative Oriental Manuscript Studies. An Introduction, ed. A. Bausi (general editor), P. G. Borbone, F. Briquel-Chatonnet, P. Buzi, J. Gippert, C. Macé, M. Maniaci, Z. Melissakis, L. E. Parodi, W. Witakowski, E. Sokolinski (project editor), Hamburg 2015. Condello 2000 = E. Condello, Il libro e la Curia: copisti di codici e scriptores della Cancelleria pontificia tra Roma e Avignone, in Le statut du scripteur au Moyen Age. Actes du xiie Colloque scientifique du cipl (Cluny, 17-20 juillet 1998), Paris 2000, pp. 77-96. Condello 2000a = E. Condello, Cat. 9, Tavole dei canoni eusebiani. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 144-145. Condello 2000b = E. Condello, Cat. 29, Evangeliario. Latino (“Vangeli di S. Lorenzo”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 189-191. Condello 2005 = E. Condello, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana: le Bibbie atlantiche, in Forme e modelli 2005, pp. 347-372. Condello 2014 = E. Condello, Ross. 235, in Catalogo Rossiani 2014, pp. 386-391. Contessa 2004 = A. Contessa, Le Bibbie catalane di Ripoll e di Roda e gli antichi cicli biblici lombardi della Genesi, in Arte Lombarda 140 (2004), pp. 5-24. Conti 1981 = A. Conti, La miniatura bolognese. Scuole e botteghe 1270-1340, Bologna 1981. Conybeare 1910 = F.C. Conybeare, The Georgian Version of the NT, in Zeitschrift für die Neutestament-

liche Wissenschaft und die Kunde des Urchristentums 11 (1910), pp. 232-239. Corrie 1994 = R. Corrie, The Conradin Bible and the Problem of Court Ateliers in Southern Italy in the Thirteenth Century, in Intellectual Life at the Court of Frederick ii Hohenstaufen, ed. W. Tronzo, Washington 1994, pp. 17-40. Corrie 2016 = R.W. Corrie, The Painters of Vienna Cod. 93 and the Conradin Bible: Formulating versions of a Maniera Greca at Rome and Naples, in Il libro miniato a Roma nel Duecento. Riflessioni e proposte, ed. S. Maddalo, coll. E. Ponzi, i, Roma 2016, pp. 209-223. Corriente 2007 = F. Corriente, The Psalter Fragment from the Umayyad Mosque of Damascus: a Birth Certificate of nabati Arabic, in Eastern Crossroads. Essays on Medieval Christian Legacy, ed. J. P. Monferrer-Sala, Piscataway (NJ) 2007, pp. 303-320. Corso 2009 = G. Corso, Cat. 134, in Giotto e il Trecento. “Il più sovrano maestro stato in dipintura”. Le opere. Catalogo della mostra (Roma, Vittoriano, 6 marzo-29 giugno 2009), ed. A. Tomei, Milano 2009, pp. 300-303. Corso 2014 = G. Corso, Cat. Ross. 613 e Ross. 616, in Catalogo Rossiani 2014, ii, pp. 1032-1034; 10391041. Coulie 2000 = B. Coulie, Cat. 110, Tetravangelo. Armeno, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 400-402. Coulie 2000a = B. Coulie, Cat. 125, Tetravangelo. Armeno, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 425-428. Cowley 1988 = R.W. Cowley, Ethiopian Biblical Interpretation. A Study in Exegetical Tradition and Hermeneutics, Cambridge 1988. Crawford 2015 = M. Crawford, The Fourfold Gospel in the writings of Ephrem the Syrian, in Hugoye 18 (2015), pp. 9-51. Crivello 2011= F. Crivello, Der Schmuck, in F. Crivello - C. Denoël - P. Orth, Das GodescalcEvangelistar. Eine Prachthandschrift für Karl den Grossen, München 2011, pp. 73-94. Crivello 2014 = F. Crivello, Due miniature manfrediane poco note. Prime considerazioni, in Il codice miniato in Europa. Libri per la chiesa, per la città, per la corte, ed. G. Mariani Canova - A. Perriccioli Saggese, Padova 2014, pp. 157-167. \rn\i 1878 = I. \rn\i , Assemanovo izborno evangjelje, Rim 1878. Crostini 2012 = B. Crostini, The Greek Christian Bible, in R. Marsden - E. A. Matter, The New Cambridge History of the Bible, ii: From 600 to 1450, Cambridge 2012, pp. 41-55. Curzi 1995 = G. Curzi, Cat. 20, Salterio-Innario, in Liturgia in figura 1995, pp. 141-144. D’Aiuto 2000 = F. D’Aiuto, Cat. 34, Lezionario dei Vangeli. greco, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 199202. D’Aiuto 2000a = F. D’Aiuto, Cat. 58, Tetravangelo. Greco (“Tetravangelo di Giovanni ii e Alessio Comneni”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 260-264. D’Aiuto 2003 = F. D’Aiuto, “Graeca” in codici orientali della Biblioteca Vaticana (con i resti di un manoscritto tardoantico delle Commedie di Menandro), in Tra Oriente e Occidente. Scritture e libri greci fra le regioni orientali di Bisanzio e l’Italia, ed. L. Perria, Roma 2003, pp. 227-296. Dahan 1992 = G. Dahan, La connaissance de l’hébreu dans les correctoires de la Bible du xiie siècle, in Revue théologique de Louvain, 23 (1992), pp. 178190. Dahan 1999 = G. Dahan, L’exégèse chrétienne de la Bible en Occident médiéval, xiie-xive siècle, Paris, 1999. Dahan 2000 = G. Dahan, Les Prologues des commentaires bibliques (xiie-xive siècles), in Les prologues médiévaux. Actes du Colloque international (Rome, 26-28 mars 1998, organisé par l’Academia Belgica et l’École française de Rome avec le concours de la F. I. D. E. M.), ed. J. Hamesse, Turnhout 2000, pp. 427-470. D’Alos 1924 = R. D’Alos, Documenti per la storia della biblioteca d’Alfonso il Magnanimo, in Miscellanea Ehrle, iv, Roma 1924.

Danelia 1978 = K. Danelia, Ramdenime sak’itxi bibliis uʒvelesi kartuli targmanis ist’oriidan [Alcune questioni della storia delle antiche traduzioni georgiane della Bibbia], in Tbilisis saxelmc’ipo universit’et’is šromebi [Annali dell’Università Statale di Tbilisi] 183 (1978), pp. 111-141. Daneu Lattanzi 1955 = A. Daneu Lattanzi, Una Bibbia prossima alla Bibbia di Manfredi, Palermo 1955. Daneu Lattanzi 1964 = A. Daneu Lattanzi, Ancora sulla scuola miniaturistica dell’Italia meridionale sveva: suo contributo allo sviluppo della miniatura bolognese, in La Bibliofilia 66 (1964), pp. 105-162. De Floriani 2001 = A. De Floriani, Una Bibbia siciliana di primo Trecento: Indagini preliminari, in Atti del vi congresso di storia della miniatura. Cicli di immagini bibliche nella miniatura (Urbino, 3-6 ottobre 2002), ed. L. Alidori, in Rivista di Storia della Miniatura 6-7 (2001-2002), pp. 133-144. De Hamel 1984 = C.F.R. De Hamel, Glossed Books of the Bible and the Origins of the Paris Book Trade, Woodbridge 1984. De Hamel 1987 = C.F.R. De Hamel, Manoscritti miniati (1986), Milano 1987. De Hamel 2001 = C.F.R. De Hamel, The Book: A History of the Bible, London-New York 2001. De la Mare 1986 = A.C. de la Mare, Vespasiano da Bisticci e i copisti fiorentini di Federico, in Federico da Montefeltro. Lo stato, le arti, la cultura. iii. La Cultura, ed. G. Cerboni Baiardi - G. Chittolini P. Floriani, Roma 1986, pp. 81-96. De la Mare 1996 = A.C. de la Mare, Vespasiano da Bisticci as Producer of Classical Manuscripts in Fifteenth-Century Florence, in Medieval Manuscripts of the Latin Classics: Production and Use. Proceedings of the Seminar in the History of the Book to 1500, Leiden 1993, ed. C.A. Chavannes-Mazel M. M. Smith, Los Altos Hills 1996, pp. 167-207. De Laborde 1927 = A. De Laborde, Étude sur la Bible moralisée illustrée, v, Paris 1927. de Lubac 1959-1964 = H. de Lubac, Exégèse médiévale: les quatre sens de l’Écriture, 4 voll., Paris 1959-1964. De Marinis 1947-1969 = T. De Marinis, La Biblioteca napoletana dei re d’Aragona, 4 voll., Supplemento, 2 voll., Milano-Verona 1947-1969. Del Pezzo 1997 = R. Del Pezzo, Skeireins. Commento al Vangelo di Giovanni. Napoli 1997. Delbianco 2008 = P. Delbianco, Cat. 18, Vespasiano da Bisticci, Commentario de’ gesti e fatti e detti dello invictissimo signore Federigo duca d’Urbino, in Ornatissimo codice 2008, pp. 221-224. Delisle 1907 = L. Delisle, Recherches sur la librairie de Charles v, roi de France, 1337-1380, 2 voll., Paris 1907, pp. 223-224; n. 2 bis, p. 271. Den Haan 2016 = A. Den Haan, Giannozzo Manetti’s New Testament: Translation Theory and Practice in Fifteenth Century Italy, Leiden 2016. Denzinger 2001 = G. Denzinger, Die Handschriften der Hofschule Karls des Großen. Studien zu ihrer Ornamentik, Langwaden 2001. Devreesse 1965 = R. Devreesse, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul v, Città del Vaticano 1965. Di Natale 1995= M.C. Di Natale, La miniatura d’età sveva tra Napoli e Palermo, in Federico e la Sicilia 1995, pp. 393-396. Di Natale 1995a = M.C. Di Natale, La Bibbia di Manfredi della Biblioteca Vaticana. Cat. 109. Bibbia, in Federico e la Sicilia 1995, pp. 397-403. Dillmann 1861 = A. Dillmann, Biblia Veteris Testamenti Aethiopica, in quinque tomos distributa […] Veteris Testamenti Aethiopici Tomus Secundus sive Libri Regum, Paralipomenon, Esdrae, Esther ad librorum manuscriptorum fidem edidit et apparatu critico instruxit, Lipsiae 1861. Dizionario 2004 = Dizionario biografico dei miniatori italiani, ed. M. Bollati, Milano 2004. Dmitrievskij 1917 = A. Dmitrievskij, Opisanie liturgi/eskich rukopisej chranjaš/ichsja v bibliotekach pravoslavnogo Vostoka [Descrizione dei manoscritti liturgici custoditi nelle biblioteche dell’Oriente cristiano], 3, Tupiká, 2, Petrograd 1917.

Dodwell 1954 = C. R. Dodwell, The Canterbury School of Illumination. 1066-1200, Cambridge 1954. Dold 1931 = A. Dold, Zwei Bobbienser Palimpseste mit frühestem Vulgatatext aus cod. Vat. lat. 5763 u. cod. Carolin. Guelferbytanus, Beuron 1931. Dold 1940 = A. Dold, Ein ausgeschriebenes Perikopenbuch des 8. Jhs., in Ephemerides liturgicae 54 (1940), pp. 12-37. Dold 1944 = A. Dold, Die im Codex Reg. Lat. 9 vorgeheftete Liste Paulinischer Lesungen für die Messfeier, Beuron 1944. Dove 2004 = M. Dove, The Glossa Ordinaria on the Song of Songs, Kalamazoo, MI, 2004. Duecento 2000 = Duecento. Forme e colori del Medieoevo a Bologna. Catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Archeologico, 15 aprile-16 luglio 2000), ed. M. Medica, coll. S. Tumidei, Venezia 2000. Durrieu 1910 = P. Durrieu, La Bible du Duc de Berry conservé au Vatican, in Revue de l’art ancien et moderne 17 (1910), pp. 5-20. Duval-Arnould 2000 = L. Duval-Arnould, Cat. 94, Bibbia moralizzata. Francese, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 362-365. Duval-Arnould 2000a = L. Duval-Arnould, Cat. 31, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 192-193. Duval-Arnould 2000b = L. Duval-Arnould, Cat. 91, Antico e Nuovo Testamento. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 350-353. Duval-Arnould 2000c = L. Duval-Arnould, Cat. 86, Antico e Nuovo Testamento. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 335-337. Duval-Arnould 2000d = L. Duval-Arnould, Cat. 73, Antico e Nuovo Testamento. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 303-305. Duval-Arnould 2001 = L. Duval-Arnould, Cat. 55, Bible d’un prince de Tarente, in L’Europe des Anjou. Aventure des Princes angevins du xiiie au xve siècle. Catalogo della mostra (Fontevraud 2001), ed. G.M. Le Goff, Paris 2001, pp. 307-308. Džurova - Stantchev - Japundži 1985 = A. Džurova - K. Stantchev - M. Japundži , Catalogo dei manoscritti slavi della Biblioteca Vaticana = Opis na slavjanskite rbkopisi vbv Vatikanskata biblioteka, Sofija 1985. EAe = Encyclopaedia Aethiopica. i: A-C, ii: D-Ha, iii: He-N, ed. S. Uhlig; iv: O-X, ed. S. Uhlig in cooperation with A. Bausi; v: Y-Z. Supplementa, Addenda et Corrigenda, Maps, Index, ed. A. Bausi in cooperation with S. Uhlig, Wiesbaden 2003, 2005, 2007, 2010, 2014. Eder 1972 = C.E. Eder, Die Schule des Klosters Tegernsee im frühen Mittelalter im Spiegel der Tegernseer Handschriften, in Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benediktinerordens und seiner Zweige 83 (1972), pp. 6-155. Eleen 1982 = L. Eleen, The Illustration of the Pauline Epistles in French and English Bibles of the Twelfth and Thirteenth Centuries, Oxford 1982. Eleen 1986 = L. Eleen, A Thirteenth-Century Workshop of Miniature Painters in the Veneto, in Arte veneta 39, 1985 (1986), pp. 9-21. Eleen 1987 = L. Eleen, New Testament Manuscripts and their Lay Owners in Verona in the Thirteenth Century, in Scriptorium 41/2 (1987), pp. 221-236. Erbach-Fürstenau 1910 = A. Erbach-Fürstenau, Die Manfredbibel, Leipzig 1910. van Esbroeck 1998 = M. van Esbroeck, Les versions orientales de la Bible: une orientation bibliographique, in The Interpretation of the Bible, The International Symposium in Slovenia, ed. Krašovec, Ljubljana 1998, pp. 393-509. Estin 1985 = C. Estin, Les traductions du Psautier, in Monde latin antique, pp. 67-88. von Euw 1991 = A. von Euw, Evangelistar, in Vor dem Jahr 1000. Abendländische Buchkunst zur Zeit der Kaiserin Theophanu. Catalogo della mostra (Köln, Cäcilienkirche, 12. April-16. Juni 1991), Köln 1991, pp. 107-109. von Euw 2006 = A. von Euw, Cat. 549, in Canossa 1077. Erschütterung der Welt; Geschichte, Kunst

und Kultur am Aufgang der Romanik, ii, Katalog der Ausstellung (Paderborn, 21. Juli-5. November 2006), ed. C. Stiegemann - M. Wemhoff, München 2006, pp. 463-464 von Euw 2008 = A. von Euw, Die St. Galler Buchkunst vom 8. bis zum Ende des 11. Jahrhunderts, 2. voll., St. Gallen 2008. Evangeliarium Assemani 1929-1955 = Evangeliarium Assemani. Codex vaticanus 3, slavicus glagoliticus. Editio phototypica cum prolegomenis, textu litteris cyrillicis transcripto, analysi, annotationibus palaeographicis, variis lectionibus, glossario, ed. J. Vajs - J. Kurz, Pragae, 2 voll., 1929-1955. Evangelie ot Ioanna 1998 = Evangelie ot Ioanna v slavjanskoj tradicii, ed. A.A. Alekseev - A.A. Pi\chadze - M.B. Babickaja - I.V. Azarova - E.L. Alekseeva - E.I. Vaneeva - A.M. Pentkovskij V.A. Romodanovskaja - T.V. Tka\eva, Sankt-Peterburg 1998. Evans 2004 = G. R. Evans, Gloss or Analysis: A Crisis of Exegetical Method in the 13th Century, in La Bibbia 2004, pp. 93-111. Evelyn-White 1932 = H. G. Evelyn-White, The Monasteries of the Wadi’n Natrûn, New York 19321933, 3 voll., i, pp. xxxvii-xxxviii, n. 14. Fachechi 2002 = G.M. Fachechi, Bibbie medievali nella biblioteca che fu di Federico da Montefeltro, in Rivista di Storia della Miniatura 6-7 (2001-2002), pp. 103-112. Fachechi 2014 = G.M. Fachechi, Ross. 184, in Catalogo Rossiani 2014, pp. 330-335. Falluomini 2015 = C. Falluomini, The Gothic Version of the Gospels and Pauline Epistles: Cultural Background, Transmission and Character, Berlin-New York 2015. Falluomini 2016 = C. Falluomini, Biblical Quotations in the Gothic Commentary on the Gospel of John (Skeireins), in Commentaries, Catenae and Biblical Tradition: Papers from the Ninth Birmingham Colloquium on the Textual Criticism of the New Testament, ed. H.A. G. Houghton, Piscataway, NJ, pp. 277-293. Fassberg 2008 = S. Fassberg, The Forms of Son and Daughter in Aramaic, in Aramaic in Its Historical and Linguistic Setting, ed. H. Gzella - M. Folmer, Wiesbaden 2008, pp. 41-53. Feder 2003 = F. Feder, Der Papyrus Vatican Copto 9 und die bohairische Version der Prophetenbücher, in Sprache und Geist. Peter Nagel zum 65. Geburtstag, ed. W. Beltz, U. Pietruschka, J. Tubach, Halle 2003, pp. 113-131. Federico da Montefeltro 2007 = Federico da Montefeltro and his Library. Exhibition catalogue (New York, The Morgan Library and Museum, June 8-September 30 2007), ed. M. Simonetta, Milano 2007. Federico e la Sicilia 1995 = Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, ed. M. Andaloro, Palermo 1995. Fernández Marcos 2000 = N. Fernández Marcos, The Septuagint in Context. Introduction to the Greek Versions of the Bible, Leiden 2000. Ferrari 1976 = M. Ferrari, Libri e maestri tra Verona e Bobbio, in Storia della cultura veneta i: Dalle origini al Trecento, ed. G. Folena, Vicenza 1976, pp. 271-278. Filippini - Zucchini 1947= F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti dei secoli xii e xiv, Firenze 1947. Filoni 2015 = F. Filoni, La Chiesa in Iraq. Storia. sviluppo e missione, dagli inizi ai nostri giorni, Città del Vaticano 2015. Fingernagel - Gastgeber 2010 = A. Fingernagel - C. Gastgeber, Im Anfang war das Wort. Glanz und Pracht illuminierter Bibeln, Köln 2003; trad. it. Köln 2010. Fischer 1985 = B. Fischer, Lateinische Bibelhandschriften im frühen Mittelalter, Freiburg 1985. Fischer 1991 = B. Fischer, Der Text des Quedlinburger Evangeliars, in Das Quedlinburger Evangeliar. Das Samuhel-Evangeliar aus dem Quedlinburger Dom, ed. F. Mütherich, München 1991, pp. 35-41. Fleck 2010 = The Clement Bible at the Medieval Courts

351


Bibbia. Immagini e scrittura

of Naples and Avignon. A Story of Papal Power, Royal Prestige, and Patronage, Farnham 2010. Flora 2009 = H. Flora, The Devout Belief of the Imagination: The Paris “Meditationes vitae Christi” and Female Franciscan Spirituality in Trecento Italy, Turnhout 2009. Folda 1995 = J. Folda, The Art of the Crusaders in the Holy Land 1098-1187, Cambridge 1995. Fontes 1960 = Constantinus et Methodius thessalonicenses. Fontes, ed. F. Grivec – F. Tomši , Radovi staroslavenskog instituta, iv, 1960. Forme e modelli 2005 = Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, ed. P. Cherubini, Città del Vaticano 2005. Fouquet-Amal 2005 = C. Fouquet-Amal, Le Manuscrit Reg. lat. 12 de la Bibliothèque apostolique vaticane et la réforme monastique en Angleterre, Thèse PhD, Universitè de Rennes (2005). Francesco da Bassano 1924 = P. Franciscus a Bassano, Vetus Testamentum cum antiquis codicibus necnon cum versionibus syriaca, graeca et arabica comparatum, ii: Regum, Paralipomenon et Esdrae. Cura missionis catholicae editum, Asmarae 1924. Franco 1996 = T. Franco, Cat. 595, in Biblioteca Classense Ravenna, Fiesole 1996, pp. 68-69. Frutaz - Raes 1953 = A.P. Frutaz - A. Raes, Salterio, in Enciclopedia Cattolica, x, Città del Vaticano 1953, coll. 1702-1707. Fumian 2014 = S. Fumian, Cat. 75-76, in I manoscritti miniati della Biblioteca Capitolare di Padova, ed. G. Mariani Canova - M. Minazzato - F. Toniolo, i, Padova 2014, pp. 429-444. Füssel 2003 = S. Füssel, Johannes Gutenberg, Reinbek 2003. Gamber 1961 = K. Gamber, Das älteste Fragment des Comes des Hl. Hieronymus (Cod. Vat. lat. 4329, fol. 87), in Ephemerides liturgicae 75 (1961), pp. 214-222. Gamber 1968 = K. Gamber, Codices liturgici Latini antiquiores, p. i-ii, Freiburg 1968; Supplementum, ed. G. Baroffio - F. Dell’Oro et al., Freiburg 1988. Gamble 1995 = H.Y. Gamble, Books and Readers in the Early Church: A History of Early Christian Texts, New Haven 1995. Garrison 1955-1956 = E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, ii, Florence 1955-1956. Garrison 1960-1962 = E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, iv, Florence 1960-1962. Garrison 1974 = E.B. Garrison, A Pisan Homilary with Lucca-Influenced Initials (Florence, Riccardiana, 225), in La Bibliofilia 76 (1974), pp. 157-173. Garrison 19932 = E.B. Garrison, Studies in the History of Medieval Italian Painting, London 19932. Garzelli 1977 = A. Garzelli, La Bibbia di Federico da Montefeltro. Un’officina libraria fiorentina 14761478, Roma 1977. Garzelli 1986 = A. Garzelli, I miniatori fiorentini di Federico, in Federico da Montefeltro. Lo stato, le arti, la cultura. iii. La cultura, ed.G. Cerboni Baiardi - G. Chittolini - P. Floriani, Roma 1986, pp. 113-130. Geldner 1968-1970 = F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker. Ein Handbuch der deutschen Buchdrucker des xv. Jahrhunderts nach Druckorten, i: Das deutsche Sprachgebiet, Stuttgart 1968; ii: Die fremden Sprachgebiete, Stuttgart 1970. Giovè Marchioli 1999 = N. Giovè Marchioli, I protagonisti del libro: gli ordini mendicanti, in Calligrafia di Dio 1999, pp. 51-57. Glossa ordinaria 1997 = Glossa ordinaria, pars 22, In canticum canticorum (CCSM 170, 22), ed. M. Dove, Turnhout 1997. Godu 1922 = G. Godu, Épitres, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, v, 1, Paris 1922, coll. 245-344. Gonzalez Hurtebise 1907 = E. Gonzalez Hurtebise, Inventario de los bienes muebles de Alfonso v de Aragón como infante y como rey (1412-1424), in Anuari de l’Institut d’Estudis Catalans 1 (1907), pp. 148-188.

352

Bibliografia di riferimento

Gousset 2000 = M.T. Gousset, Cat. 65 e 68, in Duecento 2000, pp. 232-235; 239-244. Graf 1944 = G. Graf, Geschichte der christlichen arabischen Literatur, Città del Vaticano 1944, i, pp. 138-185. Grafinger 2000 = C.M. Grafinger, Cat. 30, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 191192. Grébaut - Tisserant 1935-1936 = S. Grébaut - E. Tisserant, Bybliothecae apostolicae vaticanae codices manu scripti recensiti iussu Pii xi Pontificis maximi. Codices Aethiopici Vaticani et Borgiani, Barberinianus orientalis 2, Rossianus 865, i. Enarratio codicum, in Bybliotheca Vaticana 1935; ii. Prolegomena, Indices, Tabulae, in Bybliotheca Vaticana 1936. Gregory 1900 = C.-R. Gregory, Textkritik des Neuen Testaments, i, Leipzig 1900. Gresly-Rey 2000 = K. Gresly-Rey, Cat. 42, Evangelistario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 216-219. Griffith 1985 = S.H. Griffith, The Gospel in Arabic: an Inquiry into its Appearance in the First Abbasid Century, in Oriens Christianus 69 (1985), pp. 99-146. Griffith 2013 = S.H. Griffith, The Bible in Arabic: The Scriptures of the “People of the Book” in the Language of Islam, Princeton-Oxford 2013. Guida ai fondi bav = Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, ed. F. D’Aiuto - P. Vian, Città del Vaticano 2012. Guidi 1988 = I. Guidi, Le Traduzioni degli Evangelii in arabo e in etiopico, in Atti della Reale Accademia dei Lincei 4 (1888), pp. 17, 22-24. Gutmann 1987 = J. Gutmann, scheda in Visual Testimony 1987, p. 28. GW = Gesamtkatalog der Wiegendrucke, ed. Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz, <http:// www. gesamtkatalogderwiegendrucke. de>. Gy 1984 = P.-M. Gy, La Bible dans la liturgie au Moyen Age, in Moyen Age 1984, pp. 537-554. Gyug 2011 = R. Gyug, Early Medieval Bibles, Biblical Books, and the Monastic Liturgy in the Beneventan Region, in The Practice of the Bible in the Middle Ages. Production, Reception, and Performance in Western Christianity, ed. S. Boynton - D. J. Reilly, New York 2011, pp. 34-60. Gzella 2015 = H. Gzella, A Cultural History of Aramaic: From the Beginnings to the Advent of Islam, Leiden-Boston 2015. Hanhart 2014 = R. Hanhart, Paralipomenon liber ii, Gottingen 2014. Harisijadis 1966 = M. Harisijadis, Gr/ko-slovenski vrski na podra/jeto na makedonskata rakopisna ornamentika, in Slovenska pismenost: 1050-godišnina na Kliment Ohridski, Ohrid 1966, pp. 114-115. Harl et alii 1988: M. Harl - G. Dorival - O. Munnich, La Bible grecque des Septante, Paris 1988. Haruna-Czaplicki - Cabau 2013 = H. Haruna-Czaplicki - P. Cabau (coll.), Trois manuscrits enluminés de la bible à Toulouse vers 1300, in Mémoires de la Société Archéologique du Midi de la France, 73 (2013). Haussherr 1981 = R. Haussherr, Drei Texthandschriften der Bible moralisée, in Festschrift für Eduard Trier zum 60. Geburtstag, ed. J. Müller Hofstede - W. Spies, Berlin 1981, pp. 35-65. Hebbelynck 1924 = A. Hebbelynck, Inventaire sommaire des manuscrits coptes de la Bibliotheque Vaticane, Miscellanea E. Ehrle, Città del Vaticano 1924. Hebrew Manuscripts 2008 = Hebrew Manuscripts in the Vatican Library: Catalogue. Compiled by the Staff of the Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts, Jewish National and University Library, Jerusalem. Ed. B. Richler. Palaeographical and Codicological Descriptions by M. Beit-Arié and N. Pasternak, Città del Vaticano 2008. Heimann 1966 = A. Heimann, Three Illustrations from the Bury St. Edmunds Psalter and Their Prototypes. Notes on the Iconography of Some Anglo-Saxon Drawings, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 29 (1966) pp. 39-59. Heiming 1924 = O. Heiming, Zur Heimat des Sakramentars Vat. lat. 3806, in Jahrbuch für Liturgiewissenschaft 4 (1924), pp. 185-187.

Henderson 1999 = G. Henderson, The Barberini Gospels (Rome, Vatican, Biblioteca Apostolica Barberini Lat. 570) as a Paradigm of Insular Art, in Pattern and Purpose in Insular Art, ed. M. Redknap et al., Oxford 1999, pp. 157-167. History of the Bible 2012 = The Cambridge History of the Bible from 600 to 1450, ed. R. Marsden - E.A. Matter, 2 voll., Cambridge 2012. Hoffmann 1986 = H. Hoffmann, Buchkunst und Königtum im ottonischen und frühsalischen Reich, Stuttgart 1986. Hoffmann 2008 = A. Hoffmann, La Bibbia bolognese dell’Escorial e il “Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus”. Ipotesi su un incontro, in Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici d’Arte Antica 6 (20072008), pp.11-18. Hoffmann 2013 = A. Hoffmann, Die Bibel von Gerona und ihr Meister, Berlin-München 2013. Holter 1959 = K. Holter, Die Handschriften und Inkunabeln, in E. Hainisch, Die Kunstdenkmäler des Gerichtsbezirkes Lambach, Wien 1959, pp. 213270. Holy Bible = Holy Bible Preserved for Eternity, Optoelectronics Research Centre, University of Southampton, 2017; sito www.orc.soton.ac.uk/phyopt. html. Horner 1898 = G.W. Horner, The Coptic Version of the New Testament in the Northern Dialect, Oxford 1898. Houghton 2016 = H.A.G. Houghton, The Latin New Testament. A Guide to its Early History, Texts and Manuscripts, Oxford 2016. Hughes 1982 = A. Hughes, Medieval Manuscripts for Mass and Office. A Guide to their Organization and Terminology, Toronto 1982. Huglo 1988 = M. Huglo, Les livres de chant liturgique, Turnhout 1988. Ibarburu 1987 = M.E. Ibarburu Asurmendi, L’escriptori de Santa Maria de Ripoll i els seus manuscrits, in Catalunya Romànica, vol. 10, Barcelona 1987, pp. 276-334. Imnaišvili 1949 = I. Imnaišvili, Ksnis otxtavis taviseburebani Mark’ozis tavis magalitze [Peculiarità del Tetravangelo di Ksan nel Vangelo secondo Marco], in Tbilisis p’edagogiuri inst’it’ut’is šromebi [Annali dell’Istituto Pedagogico di Tbilisi] 6 (1949), pp. 211-240. Imnaišvili 1950 = I. Imnaišvili, Ksnis otxtavis taviseburebani Mates da Iovanes tavebis magalitze [Peculiarità del Tetravangelo di Ksan nei Vangeli secondo Matteo e Giovanni], in Tbilisis p’edagogiuri inst’it’ut’is šromebi [Annali dell’Istituto Pedagogico di Tbilisi] 8 (1950), pp. 299-344. Imnaišvili 1979 = Kartuli otxtavis ori bolo redakcia [Le ultime due redazioni del Tetravangelo georgiano], ed. Iv. Imnaišvili, Tbilisi 1979. Improta 2012 = A. Improta, Per la miniatura a Napoli al tempo di Boccaccio: il ms. Lat. Z 10 della Biblioteca Marciana, in Boccaccio angioino. Materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, ed. G. Alfano - T. D’Urso - A. Perriccioli Saggese, Bruxelles 2012, pp. 317-328. Improta - Zinelli 2014 = A. Improta - F. Zinelli, Frammenti di una nuova Bibbia napoletana, con alcune riflessioni sul ms. fr. 688 della Bibliothèque Nationale de France, in Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento. Atti del Convegno Boccaccio angioino. Per il iv Centenario della nascita di Giovanni Boccaccio (Napoli-Salerno, 23-25 ottobre 2013), Firenze 2014, pp. 81-106. Irigoin 1959 = J. Irigoin, Pour une étude des centres de copie byzantins, ii. Quelques groupes de manuscrits, in Scriptorium 13 (1959), pp. 177-209. Ivanova-Mavrodinova - Džurova 1981 = V. IvanovaMavrodinova - A. Džurova, Il vangelo Assemani: edizione in facsimile corredata di uno studio artistico-storico, , 2 voll., Sofia 1981. Jagi\ 1911 = V. Jagi\, Glagoli/eskoe pis’mo, SanktPeterburg 1911. Jagi\ 1913 = V. Jagi\, Entstehungsgeschichte der kirchenslavischen Sprache, Berlin 1913.

Janz 2008 = T. Janz, Le Vat. gr. 330 et la nature du texte «Lucianique» de la Septante, in J.-M. Martin et al., Vaticana et Medievalia. Études en l’honneur de Louis Duval-Arnould, Firenze 2008, pp. 253-269. Jemolo 1971 = V. Jemolo, Catalogo dei manoscritti in scrittura latina datati o databili per indicazione di anno, di luogo o di copista, i: Biblioteca nazionale centrale di Roma, Torino 1971. Jenni - Theisen 2014 = U. Jenni - M. Theisen, Mitteleuropäische Schulen, iv. Hofwerkstätten König Wenzels iv. und deren Umkreis, Wien 2014. Joosten 1991 = J. Joosten, West Aramaic Elements in the Old Syriac and Peshitta Gospels, in Journal of Biblical Literature 110 (1991), pp. 271-289. Joosten 1992 = J. Joosten, Two West Aramaic Elements in the Old Syriac and Peshitta Gospels, in Biblische Notizen 61 (1992), pp. 17-21. Joosten 2003 = J. Joosten, The Dura Parchment and the Diatessaron, in Vigiliae Christianae 57, 2 (2003), pp. 159-175. Juckel 1998 = A. Juckel, Ms Vat. Syr. 268 and the Revisional Development of the Harklean Margin, in Hugoye 1 (1998), pp. 1-14. Junyent 1992 = E. Junyent i Subirà, Diplomatari i escrits literaris de l’abat i bisbe Oliba, Barcelona 1992. Kaǯaia 1984 = L. Kaǯaia, Xanmet’i t’ekst’ebi [I testi Xanmet’i], Tbilisi 1984. Kahsnitz 1986 = R. Kahsnitz, Kirchlicher Prachteinband, in Bibliotheca Palatina. Katalog zur Ausstellung vom 8. Juli bis 2. November 1986, Heiliggeistkirche Heidelberg, ed. E. Mittler, coll. W. Berschin [et al.], i-ii, Heidelberg [1986], pp. 510-512. Kanter 2004 = L.B. Kanter, Maestro del Codice di San Giorgio, in Dizionario 2004, pp. 498-500. Karaman [1745-1758] = M. Karaman, Identità della lingua litterale slava e necessità di conservarla ne’ Libri Sacri. Considerazioni che si umiliano alla Santità di N. S. Papa Benedetto xiv da Matteo Caraman arcivescovo di Zara sopra l’Annotazione del Sacerdote Stefano Rosa in ordine alla Versione Slava del Messale Romano stampato in Roma l’anno 1741 (manoscritto inedito, Archivio storico della Sacra Congregazione de Propaganda Fide, Bosnia Miscellanee t. 7), databile tra il 1745 e il 1758. Kartuli 1945 = Kartuli otxtavis ori ʒveli redakcia sami šat’berduli xelnac’eris mixedvit (897, 936 da 973 c’c’.) [Le due più antiche redazioni del Tetravangelo georgiano secondo tre manoscritti di Šat’berdi (aa. 897, 936 e 973)], ed. A. Šaniʒe, Tbilisi 1945, pp. 05-063. Kashouh 2012 = H. Kashouh, The Arabic Versions of the Gospels: The Manuscripts and Their Families, Berlin-Boston 2012. Kasser 1992 = R. Kasser, Le Pap. Vat. Copto 9, codex des Petits Prophètes (note préliminaire sur la variété subdialectale B74 de ce témoin «bohaïrique ancien», ive s.), in Actes du ive Congrès copte, Louvain-laNeuve, 5-10 septembre 1988, ed. M. Rassart-Debergh, J. Ries, ii, De la linguistique au gnosticisme, Louvain-la-Neuve 1992, pp. 65-66 et n. 5. Kasser 2006 = R. Kasser, KAT’ASPE ASPE. Constellations d’idiomes coptes plus ou moins bien connus et scientifiquement reçus, aperçus, pressentis, enregistrés en une terminologie jugée utile, scintillant dans le firmament égyptien à l’aube de notre troisième millénaire, in Coptica - Gnostica - Manichaica. Mélanges offerts à Wolf-Peter Funk, ed. L. Painchaud - P.-H. Poirier, Québec 2006, pp. 389-492. Kauffmann 1975 = C.M. Kauffmann, Survey of Manuscripts Illuminated in the British Isles, iii. Romanesque Manuscripts. 1066-1190, London 1975. Kavrus-Hoffmann 2016 = N. Kavrus-Hoffmann, Producing New Testament Manuscripts in Byzantium. Scribes, Scriptoria, and Patrons, in D. Krueger R. S. Nelson, The New Testament in Byzantium, Washington, D.C., 2016, pp. 117-143. K’ek’eliʒe 1960 = K’. K’ek’eliʒe, Kartuli lit’erat’uris ist’oria [Storia della letteratura georgiana], 1, Tbilisi 1960. Kessler 2002 = H.L. Kessler, L’apparato decorativo di S. Pietro, in H. L. Kessler, Old St. Peter’s and

Church Decoration in Medieval Italy, Spoleto 2002, pp. 1-14. King 2010 = D. King, New Evidence on the Philoxenian Versions of the New Testament and Nicene Creed, in Hugoye 13 (2010), pp. 9–30. Kitzinger 1962 = E. Kitzinger, The Gregorian Reform and the Visual Arts: A Problem of Method, in Transactions of the Royal Historical Society, 5th s., 22 (1972), pp. 87-102. Klauser 1927 = T. Klauser, Ein vollständiges Evangelienverzeichnis der römischen Kirche aus dem 7. Jahrhundert, erhalten im Cod. Vat. Pal. lat. 46, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte 35 (1927), pp. 113-134. Klauser 1935 = T. Klauser, Das Römische Capitulare Evangeliorum. Texte und Untersuchungen zu seiner ältesten Geschichte, i, Typen, Münster i. W. 1935. Klein 1975 = P.K. Klein, Der Kodex und sein Bildschmuck, in Trierer Apokalypse. Kommentarband, Graz 1975. Klein 1979 = P.K. Klein, Les cycles de l’Apocalypse du Haut Moyen Age (IXe–XIIIe s.), in L’Apocalypse de Jean. Traditions exégétiques et iconographiques iiie-xiiie siècles. Actes du Colloque de la Fondation Hardt (29 février-3 mars 1976), ed. Y. Christe, Genève 1979, pp. 135-186. Klein 1983 = P.K. Klein, Endzeiterwartung und Ritterideologie. Die englischen Bilderapokalypsen der Frühgotik und MS Douce 180, Graz 1983. Klemm 2004 = E. Klemm, Die ottonischen und frühromanischen Handschriften der Bayerischen Staatsbibliothek, Wiesbaden 2004. Knibb 1995 = M.A. Knibb, Translating the Bible. The Ethiopic Version of the Old Testament, Oxford 1999. Koehler 1930 = W. Koehler, Die karolingischen Miniaturen, i. Die Schule von Tours, 1. Die Ornamentik, Berlin 1930. Koehler 1933 = W. Koehler, Die karolingischen Miniaturen, i. Die Schule von Tours, 2. Die Bilder, Berlin 1933. Koehler 1941 = W. Koehler, Byzantine Art in the West, in Dumbarton Oaks Papers 1 (1941), pp. 6187. Koehler 1958 = W. Koehler, Die karolingischen Miniaturen, ii. Die Hofschule Karls des Großen, Berlin 1958. Koehler 1960 = W. Koehler, Die karolingischen Miniaturen, iii. Die Gruppe des Wiener KrönungsEvangeliars. – Metzer Handschriften, Berlin 1960. Koehler 1972 = W. Koehler, Buchmalerei des frühen Mittelalters. Entwürfe und Fragmente aus dem Nachlaß, ed. E. Kitzinger - F. Mütherich, München 1972. Koehler - Mütherich 1971 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, iv. Die Hofschule Kaiser Lothars – Einzelhandschriften aus Lotharingien, Berlin 1971. Koehler - Mütherich 1982 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, v. Die Hofschule Karls des Kahlen, Berlin 1982. Koehler - Mütherich 1994 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, vi. Die Schule von Reims, 1. Von den Anfängen bis zur Mitte des 9. Jahrhunderts, Berlin 1994. Koehler - Mütherich 1999 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, vi. Die Schule von Reims, 2. Von der Mitte bis zum Ende des 9. Jahrhunderts, Berlin 1999. Koehler - Mütherich 2009 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, vii. Die frankosächsische Schule, coll. K. Bierbrauer - F. Crivello, Wiesbaden 2009. Koehler - Mütherich 2013 = W. Koehler - F. Mütherich, Die karolingischen Miniaturen, viii. 1. Nachträge, 2. Gesamtregister, Wiesbaden 2013. Kominko 2010 = M. Kominko, Constantine’s Eastern Looks: The Elevation of the Cross in a Medieval Syriac Lectionary, in P.Ł. Grotowski e S. Skrzyniarz, Towards Rewriting?: New Approaches to Byzantine Archaeology and Art, Warsaw 2010, pp. 177-196. König 1995 = E. König, Gutenberg-Bibel. Handbuch

zur B42. Zur Situation der Gutenberg-Forschung. Ein Supplement, Münster 1995. Krása 1971 = J. Krása, Die Handschriften König Wenzels iv, Praha 1971. Krása 1974 = J. Krása, Studie o rukopisech husitské doby, in Um ní 22 (1974), pp. 37-39. Krása 1990 = J. Krása, Husitský Biblicismus, in \eské iluminované rukopisy 13-16. Století, Praha 1990, pp. 298-310. Krása 1990b = J. Krása, Knižní malba 1420-1526, in \eské iluminované rukopisy 13.-16. Století, Praha 1990, pp. 311-374. Krenn - Steiger 2016 = M. Krenn - U. Steiger, Vatikan, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1 (Heidelberg online, 2016: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bav_pal_lat_1). Kuder 1987 = U. Kuder, Cat. 18. Evangeliar Heinrichs ii. aus Monte Cassino, in Regensburger Buchmalerei. Von frühkarolingischer Zeit bis zum Ausgang des Mittelalters, catalogo della mostra (Regensburg, 16. Mai - 9. August 1987), München 1987, p. 34. Kunst und Kultur 1999 = 799 - Kunst und Kultur der Karolingerzeit. Karl der Große und Papst Leo iii. in Paderborn, ii. Ausstellungskatalog (Paderborn, 23. Juli-1. November 1999), ed. C. Stiegemann - M. Wemhoff, Mainz 1999. Labriola 2004 = A. Labriola, Maestro dei Corali del Duomo di Siena, Primo, in Dizionario 2004, pp. 451-453. Labriola 2007 = A. Labriola, Le miniature fiorentine della biblioteca di Federico di Montefeltro, in Marche e Toscana. Terre di grandi maestri tra Quattro e Seicento, ed. S. Blasio, Ospedaletto (Pisa) 2007, pp. 35-60. Labriola 2008 = A. Labriola, I miniatori fiorentini, in Ornatissimo codice 2008, pp. 53-67. Labriola 2008a = A. Labriola, Repertorio dei miniatori fiorentini, in Ornatissimo codice 2008, pp. 227234. Labriola 2008b = A. Labriola, Cat. 1, Salterio ebraico, greco e latino, in Ornatissimo codice 2008, pp. 138-142. Labriola 2014 = A. Labriola, Cat. 96, Bibbia francescana, in La fortuna dei Primitivi. Tesori d’Arte dalle collezioni italiane fra Sette e Ottocento. Catalogo della mostra (Firenze, Galleria dell’Accademia, 24 giugno-8 dicembre 2014), ed. A. Tartuferi - G. Tormen, Firenze 2014, pp. 498-500. Lacerenza 2005 = G. Lacerenza, Lo studio del manoscritto ebraico medievale, in Litterae Caelestes, 1 (2005), pp. 89-103. Lake-Blake-New 1928 = K. Lake - R. Blake - S. New, The Caesarean Text of the Gospel of Mark, in Harvard Theological Review 21 (1928), 4, pp. 207-404. Languages 2012 = Languages and Cultures of Eastern Christianity: Ethiopian, ed. A. Bausi, Farnham 2012. Larocca 2016 = N. Larocca, Linee di una ricerca paleografica sulle “Bibbie atlantiche” più antiche, in Bibles Atlantiques 2016, pp. 21-35. Leclercq 1922 = H. Leclercq, Évangéliaire, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, v, 1, Paris 1922, coll. 775-845. Lee 2012 = S. Lee, Jesus and Gospel Traditions in Bilingual Context: a Study in the Interdirectionality of Language, Berlin-Boston 2012. Lenzi 2005 = G. Lenzi, Note sul lessico della Vetus Syra, in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli 65 (2005), pp. 51-73. Lenzi 2006 =G. Lenzi, Differenze teologiche tra la Vetus Syra e il Diatessaron, in Liber Annuus 56 (2006), pp. 133-178. Lenzi 2009 = G. Lenzi, The Johannine Origin of the Syriac Usage of the Term Life for Salvation, in Sacred Text, ed. J.P. Monferrer-Sala - Á. Urbán, Bern 2009, pp. 145-166. Leonardi 2000 = L. Leonardi, Cat. 85, Nuovo Testamento. Italiano, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 334-335. Léonas 2007 = A. Léonas, L’Aube des traducteurs. De l’hébreu au grec: traducteurs et lecteurs de la Bible des Septante, Paris 2007.

353


Bibbia. Immagini e scrittura

Leroquais 1934 = V. Leroquais, Les bréviaires manuscrits des bibliothèques publiques de France, 3 voll., Paris 1934. Leroquais 1940-1941 = V. Leroquais, Les psautiers manuscrits latins des bibliothèques publiques de France, 4 voll., Macon 1940-1941. Leroy 1974 = J. Leroy, Les manuscrits coptes et coptesarabes illustrés, Paris 1974, pp. 148-153. Levin 1938 = B. Levin, Die griechisch-arabische Evangelien-Übersetzung, Uppsala 1938. Library 2000 = The Library of William Foyle, i: Medieval and Renaissance Manuscripts, London 2000. Libro del Vangelo 1963 = Il Libro del Vangelo nei Concili Ecumenici, ed. R. De Maio, Città del Vaticano 1963. Libro della Bibbia 1972 = Il libro della Bibbia. Esposizione di manoscritti e di edizioni a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana dal Secolo iii al Secolo xvi, Città del Vaticano 1972. Libro miniato 2016 = Il libro miniato e il suo committente. Per la ricostruzione delle biblioteche ecclesiastiche del Medioevo italiano (secoli xi-xiv), ed. T. D’Urso - A. Perriccioli Saggese - G.Z. Zanichelli, Padova 2016. Light 1984 = L. Light, Versions et révisions du texte biblique, in Moyen Age 1984, pp. 55-95. Light 1994 = L. Light, French Bibles c. 1200-30. A New Look at the Origin of the Paris Bible, in The Early Medieval Bible. Its Production, Decoration and Use, ed. R. Gameson, Cambridge 1994, pp. 155-176. Light 2011 = L. Light, The Bible and the Individual: The Thirteenth- Century Paris Bible, in The Practice of the Bible in the Middle Ages: Production, Reception, and Performance in Western Christianity, ed. S. Boynton - D. Reilly, New York 2011, pp. 228-246. Light 2011 = L. Light, Non-biblical Texts in Thirteenth-Century Bibles, in Medieval Manuscripts, their Makers and Users, A Special Issue of Viator in Honor of Richard and Mary Rouse, Turnhout 2011, pp. 169-184. Light 2012 = L. Light, The Thirteenth-Century Bible: The Paris Bible and Beyond, in The New Cambridge History of the Bible, ii, c. 600-1450, ed. R. Marsden - E.A. Matter, Cambridge 2012, pp. 380-391. Lilla 2004 = S. Lilla, I manoscritti Vaticani greci, Città del Vaticano 2004. Lim 2013 = T.H. Lim, The Formation of the Jewish Canon, New Haven 2013. Liturgia in figura 1995 = Liturgia in figura. Codici liturgici rinascimentali della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra (Biblioteca Apostolica Vaticana, Salone Sistino, 29 marzo - 10 novembre 1995), ed. G. Morello - S. Maddalo, Roma 1995. Liturgie und Andacht 1992 = Biblioteca Apostolica Vaticana. Liturgie und Andacht im Mittelalter. Catalogo di mostra (Köln, Erzbischöfliches Diözesanmuseum, 9 ottobre 1992-10 gennaio 1993), ed. J.M. Plotzek - U. Surmann, Stuttgart-Zurich 1992. Lobrichon 2004 = G. Lobrichon, Les éditions de la bible latine dans les universités, in La Bibbia 2004, pp. 15-34. Lobrichon 2016 = G. Lobrichon, Le succès ambigu des Bibles “atlantiques”. Triomphes et résistance dans l’Ouest européen, xi e-xii e siècle, in Bibles Atlantiques 2016, pp. 231-265. Loewe 1969 = R. Loewe, The Medieval History of the Latin Vulgate, in The Cambridge History of the Bible, ii. The West from the Fathers to the Reformation, ed. G.W.H. Lampe, Cambridge 1969, pp. 102-54. Lollini 2002 = F. Lollini, Considerazioni sparse sul tema della Bibbia dipinta, in Scritte dal dito di Dio. Testi biblici e liturgici manoscritti e a stampa della Biblioteca Malatestiana. Catalogo della mostra (Cesena, Biblioteca Malatestiana, 13 aprile-30 giugno 2002), ed. P. Errani - F. Lollini, Cesena 2002, pp. 39-59. Lollini 2004 = F. Lollini, Maestro di Imola, in Dizionario 2004, pp. 684-686. Longo 2000 = V. Longo, Cat. 27, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 183-185.

354

Bibliografia di riferimento

Longo 2000a = V. Longo, Cat. 63, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei Popoli 2000, pp. 272-274. Longo 2000b = V. Longo, Cat. 24, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 179-180. Lorscher Evangeliar 2000 = Das Lorscher Evangeliar. Biblioteca Documentarb Batthyáneum, Alba Iulia, Ms R II 1, Biblioteca Apostolica Vaticana, Codex Vaticanus Palatinus Latinus 50, iii. Faksimilekommentar, ed. H. Schefers, Luzern 2000. Lowden 1988 = J. Lowden, Illuminated Prophet Books. A Study of Byzantine Manuscripts of the Major and Minor Prophets, University Park, PA-London 1988. Lowden 2005 = J. Lowden, The Bible Moralisée in the Fifteenth Century and the Challenge of the Bible Historiale, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 68 (2005), pp. 73-136. Lowe 1964 = E.A. Lowe, Codices rescripti. A List of the Oldest Latin Palimpsests with Stray Observations on their Origin, in Mélanges Eugène Tisserant, 5, Città del Vaticano 1964, pp. 67-114. Luscombe 1985 = D. Luscombe, Peter Comestor: the Bible in the Medieval World, in Essays in Memory of Beryl Smalley, ed. K. Walsh - D. Wood, Oxford 1985, pp. 109-129. Luisier 1998 = Ph. Luisier, Les citations vétéro-testamentaires dans les versions coptes des Évangiles. Recueil et analyse critique, Genève 1998. Lunghi 1982 = E. Lunghi, Cat. 52, Biblia sacra, in Francesco d’Assisi. Documenti e Archivi. Codici e Biblioteche. Miniature. Catalogo della mostra (Assisi, Foligno, Narni, Perugia e Todi, luglio-novembre 1982), Milano 1982, pp. 258-259. Lyonnet 1950 = S. Lyonnet, Les origines de la version arménienne et le Diatessaron, Roma 1950. Macdonald 2005 =, M.C.A. Macdonald, Literacy in an Oral Environment, in Writing and Ancient Near Eastern Society: Papers in Honour of Alan R. Millard, ed. P. Bienkowski - C. Mee - E. Slater, New York-London 2005, pp. 101-103. McGurk 1961 = P. McGurk, Latin Gospel Books from A. D. 400 to A. D. 800, Bruxelles-Anvers 1961. McGurk 1994 = P. McGurk, The Oldest Manuscripts of the Latin Bible, in The Early Medieval Bible. Its Production, Decoration and Use, ed. R. Gameson, Cambridge 1994, pp. 1-23. McKendrick - Doyle 2007 = S. McKendrick - K. Doyle, Bible Manuscripts. 1400 Years of Scribes and Scripture, London 2007. McKendrick - Doyle 2016 = S. McKendrick-K. Doyle, L’arte della Bibbia. Manoscritti miniati del Medioevo, Torino 2016. Maddalo 2003 = S. Maddalo, Il De balneis Puteolanis di Pietro da Eboli. Realtà e simbolo nella tradizione figurata, Città del Vaticano 2003. Magistrale 1997 = F. Magistrale, I centri di produzione libraria, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle dodicesime Giornate Normanno-Sveve (Bari, 17 - 20 ottobre 1995), ed. G. Musca, Bari 1997, pp. 247-273. Magrini 2000 = S. Magrini, La “Bible Parisienne” e i Vangeli, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 99-105. Magrini 2000a = S. Magrini, Cat. 74, Vat. Lat. 26, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 305-307. Magrini 2005 = S. Magrini, La Bibbia di Matheus de Planisius (Vat. lat. 3550, i-iii): documenti e modelli per lo studio della produzione scritturale in età angioina, in Codices Manuscripti, 50/51 (2005), pp. 1-16. Magrini 2005a = S. Magrini, La Bibbia all’Università (secoli xii-xiv): la “Bible de Paris” e la sua influenza sulla produzione scritturale coeva, in Forme e modelli 2005, pp. 407-421. Magrini 2007 = S. Magrini, Production and Use of Latin Bible Manuscripts in Italy during the Thirteenth and Fourteenth Centuries, in Manuscripta 51 (2007), 1, pp. 209-257. MA bara HawAryAt 1981/1982 = MA bara HawAryAt FerE HaymAnot, Mashafa nagavt, Asmara 1981/1982. Mai 1831 = A. Mai, Scriptorum veterum nova collectio e Vaticanis codicibus edita, 5:2, Romae 1831. Manetti 2012 = Giannozzo Manetti, De terremotu, ed. D. Pagliara, Impruneta 2012.

Manfredi 1994 = A. Manfredi, I codici latini di Niccolò v. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994, pp. lxxvi, 6*-7*. Manfredi 2000 = A. Manfredi, Cat. 69, Vangeli con glossa ordinaria. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 293-295. Manfredi 2000a = A. Manfredi, Cat. 106, Nuovo Testamento Latino (versione latina di Giannozzo Manetti), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 391-393. Manfredi 2000b = A. Manfredi, Cat. 72, Antico e Nuovo Testamento latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 300-303. Manfredi 2005 = A. Manfredi, “Che lettere! Che libri! E come degni!” Appunti sulla biblioteca di Federico in relazione alla Bibbia Urbinate, in La Bibbia di Federico da Montefeltro. Codici Urbinati Latini 1-2, Biblioteca Apostolica Vaticana. Commentario, ed. A.M. Piazzoni, Modena - Città del Vaticano 2005, pp. 31-60. Manfredi 2005a = A. Manfredi, Manoscritti biblici nelle biblioteche umanistiche tra Firenze e Roma. Una prima ricognizione, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, Città del Vaticano 2005, pp. 459-501. Manfredi 2010 = A. Manfredi, La Nascita della Vaticana in età umanistica da Niccolò v a Sisto iv, in Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), ed. A. Manfredi, Città del Vaticano 2010, pp. 149-236. Maniaci 2000 = M. Maniaci, La struttura delle Bibbie atlantiche, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 47-60. Maniaci - Orofino 2010 = M. Maniaci - G. Orofino, L’officina delle Bibbie atlantiche: artigiani, scribi, miniatori, in Come nasce un manoscritto miniato. Scriptoria, tecniche, modelli e materiali, ed. F. Flores D’Arcais - F. Crivello, Modena 2010, pp. 197-212. Maniaci - Orofino 2012 = M. Maniaci - G. Orofino, Montecassino, Bibbia, Riforma, in La Reliquia del Sangue di Cristo: Mantova, l’Italia, l’Europa al tempo di Leone ix, ed. G.M. Cantarella - A. Calzona, Verona 2012, pp. 389-407. Manzari 2000 = F. Manzari, Cat. 93, Bibbia del duca Jean de Berry, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 356-362. Manzari 2000a = F. Manzari, Illustrazione e decorazione dei manoscritti liturgici, in Jubilate Deo. Miniature e melodie gregoriane: testimonianze della Biblioteca L. Feininger. Catalogo di mostra (Trento, 15 luglio - 31 ottobre 2000), ed. G. Baroffio - D. Curti - M. Gozzi, Trento 2000, pp. 140-142. Manzari 2004 = F. Manzari, Descrizione delle miniature della Bibbia di Federico da Montefeltro, in La Bibbia di Federico da Montefeltro. Codici Urbinati Latini 1-2, Biblioteca Apostolica Vaticana. Commentario, ed. A.M. Piazzoni, Modena-Città del Vaticano 2004, pp. 19-126. Manzari 2005 = F. Manzari, Contributi sulla miniatura abruzzese del Trecento: il Graduale miniato da Guglielmo di Berardo da Gessopalena e la produzione della prima metà del secolo, in L’Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi (Chieti, Università G. d’Annunzio, 1-2 aprile 2004), ed. D. Benati - A. Tomei, Cinisello Balsamo 2005, pp. 181-199. Manzari 2006 = F. Manzari, La miniatura ad Avignone al tempo dei Papi. 1310-1410, Modena 2006. Manzari 2008 = F. Manzari, Un nuovo foglio miniato della bottega Orimina, un Graduale smembrato e la figura di un anonimo miniatore napoletano del Trecento, in Storie di artisti. Storie di libri. L’Editore che inseguiva la Bellezza. Scritti in onore di Franco Cosimo Panini, Roma 2008, pp. 293-312. Manzari 2010 = F. Manzari, Miniatori napoletani e dell’Italia centrale del Trecento nei frammenti di corali certosini raccolti da Vittorio Giovardi (Veroli, Bibl. Giovardiana, Ms. 10), in Rivista di storia della miniatura, 14 (2010), pp. 116-138. Manzari 2013 = F. Manzari, Italian Books of Hours and Prayer Books in the Fourteenth Century, in Books of Hours Reconsidered, ed. S. Hindman, J. H. Marrow, London 2013, pp. 153-209. Manzari 2014 = F. Manzari, Animals and Funny

Faces in the Pen-work Decoration from the Avignon Workshop of Bernard de Toulouse (1360-1390), in Le Manuscrit enluminé. Études réunies en hommage à Patricia Stirnemann, ed. C. Rabel, Paris 2014, pp. 235-255. Manzari 2014a = F. Manzari, Funzione delle immagini nel libro miniato: didattica, divulgazione e devozione attraverso i cicli biblici nel Tardo Medioevo / Funkcje obrazow w ksiązce iluminowanej: bibliijne cykle ikonograficzne jako pomoc w nauczaniu i upowszechnianiu Biblii oraz narzedzie praktyk religijnych w poznym sredniowieczu, trad. J. Kujawi ski, Pozna 2014. Manzari 2014b = F. Manzari, Migration de textes et images entre livres d’heures et livres de dévotion en Italie (xiii-xiv siècles), in Des Heures pour prier. Les Livres d’heures en Europe méridionale du Moyen Age à la Renaissance, ed. C. Raynaud, Paris 2014, pp. 269-299. Manzari 2016 = F. Manzari, Cat. 67a-h, in Le miniature della Fondazione Giorgio Cini. Pagine, ritagli, manoscritti, ed. M. Medica - F. Toniolo, coll. A. Martoni, Cinisello Balsamo 2016, pp. 229-239. Manzari 2016a = F. Manzari, Manuscrits liturgiques réalisés à Avignon dans la première moitié du xive siècle. Nouvelles découvertes dans les collections du Vatican, in Culture religieuse méridionale. Les manuscrits et leur contexte artistique, ed. M. Fournié - D. Le Blévec - A. Stones, Toulouse 2016, pp. 215-245. Manzari 2016b = F. Manzari, Presenze di miniatori e codici miniati nella Roma del Trecento, in Il libro miniato a Roma nel Duecento. Riflessioni e proposte, ed. S. Maddalo, coll. E. Ponzi, Roma 2016, I, pp. 615-646. Marcos Aldón - Monferrer-Sala 2000 = M. Marcos Aldón - J.P. Monferrer-Sala, Notas sobre un manuscrito iluminado copto-árabe del siglo xiii, in Alfinge 12 (2000), pp. 133-149. Marrassini 2014 = P. Marrassini, Storia e leggenda dell’Etiopia tardoantica. Le iscrizioni reali aksumite, con un’appendice di R. Fattovich su La civiltà aksumita: aspetti archeologici e una nota editoriale di A. Bausi, Brescia 2014. Martimort 1992 = A.G. Martimort, Les lectures liturgiques et leurs livres, Turnhout 1992. Massmann 1834 = H.F. Massmann, Skeireins aiwaggeljons þairh Iohannen. Auslegung des Evangelii Johannis in gothischer Sprache. Aus römischen und mailändischen Schriften, nebst lateinischer Übersetzung, belegenden Anmerkungen, geschichtlicher Untersuchung, gothisch-lateinischem Wörterbuche und Schriftproben, München 1834. Massolo 2015 = L. Massolo, Il ciclo illustrativo della Biblia aprutina (Vat. lat. 10220): una proposta di lettura iconografica contestuale, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 21 (2015), pp. 259-279. Massolo 2016 = L. Massolo, Nuovi materiali per la miniatura teramana del Trecento. Il progetto illustrativo delle Decretali di Monaco, in Rivista di storia della miniatura 20 (2016), pp. 87-102. Mathews-Sanijan 1991 = T.F. Mathews - A.K. Sanijan, Armenian Gospel Iconography, The Tradition of the Glajor Gospel, Washington 1991. Maxwell 2016 = K. Maxwell, The Textual Affiliation of Deluxe Byzantine Gospel Books, in D. Krueger - R.S. Nelson, The New Testament in Byzantium, Washington, D.C., 2016, pp. 33-85. Mayr-Harting 1999 = H. Mayr-Harting, Ottonian Book Illumination. An Historical Study, London (1991), 2a ed. riv. 1999. Medica 2000 = M. Medica, La città dei libri e dei miniatori, in Duecento 2000, pp. 109-140. Medica 2003 = M. Medica, La Bibbia di Gerona e il suo committente: una proposta per il cardinale Jean Cholet, in Arte Medievale 2 (2003), pp. 65-85. Medica 2004 = Maestro della Bibbia Latina 20, in Dizionario 2004, pp. 523-524. Medica 2005 = M. Medica, La miniatura a Bologna, in La miniatura in Italia. Dal tardoantico al Trecento con riferimenti al Medio Oriente e all’Occidente europeo, ed. A. Putaturo Donati Murano - A. Per-

riccioli Saggese, Napoli-Città del Vaticano 2005, pp. 177-193. Medica 2009 = M. Medica, Il Maestro della Leggenda di Santa Margherita e la miniatura bolognese del “secondo stile”, in Le Leggende di Santa Margherita e Sant’Agnese. Commento al Manoscritto Riccardiano 453, ed. G. Lazzi, Castelvetro di Modena 2009, pp. 29-48. Meiss 1967 = M. Meiss, French Painting in the Time of Jean de Berry, Part i: The Late Fourteenth Century and the Patronage of the Duke, London 1967. Melograni 1995 = A. Melograni, Cat. 19, Salterio del cardinale Bessarione, in Liturgia in figura 1995, pp. 136-141. Mengozzi - Moriggi 2010 = A. Mengozzi - M. Moriggi, Aramaic in the Plural: Notes on “Aramaic in its Historical and Linguistic Setting”, in Scritture e interpretazioni, ed. A. Monti - F. Gallucci, Alexandria 2010, pp. 105-124. Metzger 1963 = B.M. Metzger, The Lucianic Recension of the Greek Bible, in Id., Chapters in the History of New Testament Textual Criticism, Leiden 1963, pp. 1-41. Metzger 1972 = B.M. Metzger, Greek Lectionaries and a Critical Edition of the Greek New Testament, in K. Aland, Die alten Übersetzungen des Neuen Testaments, die Kirchenväterzitate und Lektionare, Berlin 1972, pp. 479-497. Metzger 1977 = B.M. Metzger, The Early Versions of the New Testament: Their Origin, Transmission, and Limitations, Oxford 1977, pp. 264-265. Metzger 1987 = B.M. Metzger, The Canon of the New Testament: Its Origin, Development, and Significance, New York 1987. Metzger - Ehrman 2005 = B.M. Metzger - B.D. Ehrman, The Text of the New Testament. Its Transmission, Corruption and Restoration, 4th ed., New York-Oxford 2005. Miller 1987 = P.E. Miller, scheda in Visual Testimony 1987, n. 43. Molitor 1956 = Monumenta iberica antiquiora, Textus chanmeti et haemeti ex inscriptionibus, S. Bibliis et Patribus, ed. J. Molitor, Louvain 1956. Monde latin antique 1985 = Bible de tous les temps, ii. Le monde latin antique et la Bible, ed. J. Fontaine - C. Pietri, Paris 1985. Monferrer-Sala 2000 = J.P. Monferrer-Sala, Dos antiguas versiones neotestamentarias árabes surpalestinenses: Sin. Ar. 72, Vat. Ar. 13 y sus posibles Vorlagen respectivas greco-alejandrina y siriaca de la Pešitta, in La Ciudad de Dios, 213/2 (2000), pp. 363-387. Monferrer-Sala 2001 = J.P. Monferrer-Sala, Una traducción árabe con “pseudoescolio exegético anónimo”. Una nota de crítica textual interna a propósito del ms. sabaítico Vaticano arabo 13, in Boletín de la Asociación Española de Orientalistas 37 (2001), pp. 67-82. Monferrer-Sala 2013 = J.P. Monferrer-Sala, An early Fragmentary Christian Palestinian Rendition of the Gospels into Arabic from Mar Saba (MS Vat. Ar. 13, 9th c.), in Intellectual History of the Islamicate World 1 (2013), pp. 69-113. Monferrer-Sala 2014 = J.P. Monferrer-Sala, Estrategias e interferencias en una traducción árabe cristiana surpalestinense (Vat. Ar. 13, s. ix), in Vivir de tal suerte. Homenaje a Juan Antonio Souto Lasala, ed. M. Meouak - C. de la Puente, Córdoba 2014, pp. 349-365. Monferrer-Sala 2015 = J.P. Monferrer-Sala, The Pauline Epistle to Philemon from Codex Vatican Arabic 13 (Ninth Century CE). Transcription and Study, in Journal of Semitic Studies 60/2 (2015), pp. 341-371. Monferrer-Sala 2015b = J.P. Monferrer-Sala, Translating the Gospels into Arabic from Syriac: Vatican Arabic 13 Restored Section, Strategies and Goals, in Arabica 62 (2015), pp. 435-458. Montanari 2011 = F. Montanari, The Making of Greek Scholiastic Corpora, in id. - L. Pagani, From Scholars to Scholia. Chapters in the History of Ancient Greek Scholarship, Berlin 2011, pp. 105-189. Montuschi 2014 = C. Montuschi, Le biblioteche di

Heidelberg in Vaticana: i fondi palatini, in La Vaticana nel Seicento (1590-1700): una biblioteca di biblioteche, ed. C. Montuschi, Città del Vaticano 2014, pp. 280-336. Morard 2004 = M. Morard, Les commentaires des Psaumes de 1160 à 1350, in La Bibbia 2004, pp. 323-352. Morello 1972 = G. Morello, Cat. 74, Nuovo Testamento. Latino, in Libro della Bibbia, pp. 39-40. Morello 1984 = G. Morello, Il manoscritto Vat. lat. 39, in G. Morello - V. Pace, Ricchezza iconografica e committenza laica. Volume di commento all’edizione in facsimile del Cod. Vat. lat. 39 della Biblioteca Vaticana, Milano 1984, pp. 11-49. Morello 1988 = G. Morello, Libri d’ore della Biblioteca Apostolica Vaticana, catalogo della mostra, Zürich 1988. Morgenstern 2011 = M. Morgenstern, Christian Palestinian Aramaic, in S. Weninger, The Semitic Languages. An International Handbook, BerlinBoston 2011, pp. 628-637. Morin 1898 = G. Morin, Les notes liturgiques du manuscrit Vatic. Regin. Lat. 9. Les Épîtres de saint Paul, in Revue Bénédictine 15 (1898), pp. 104-106. Mortara Ottolenghi 1983 = L. Mortara Ottolenghi, Miniature ebraiche italiane, in Italia Judaica. Atti del I Convegno internazionale, Bari 18-22 maggio 1981, Roma 1983, pp. 211-227 e tavv. 1-30. Moyen Age 1984 = Bible de tous les temps, iv. Le Moyen Age et la Bible, ed. P. Riché - G. Lobrichon, Paris 1984. Müller 2015 = M.E. Müller, Die Johannes-Apokalypse in der Buchmalerei des 9.-13. Jahrhunderts – Illustrationsprinzipien im Spiegel von Bildtradition und Geistesgeschichte, in Studien zum Text der Apokalypse, ed. M. Sigismund - M. Karrer - U. Schmid, Berlin-Boston 2015, pp. 443-473. Mundó 2002 = A.M. Mundó, Les Bíblies de Ripoll, Città del Vaticano 2002. Mütherich 1974 = F. Mütherich, Malerei, in L. Grodecki - F. Mütherich - J. Taralon - F. Wormald, Die Zeit der Ottonen und Salier, München 1973, pp. 85-225; trad. it. Milano 1974, pp. 85-225. Mütherich 1980 = F. Mütherich, Die Fuldaer Buchmalerei in der Zeit des Hrabanus Maurus (1980), in Mütherich 2004, pp. 374-416. Mütherich 2004 = F. Mütherich, Studies in Carolingian Manuscript Illumination, London 2004. Mütherich - Gaehde 1976 = F. Mütherich - J.E. Gaehde, Carolingian Painting, München 1976. Muratova 2002-2005 = X. Muratova, L’alto Medioevo, 2 voll., Torino 2002-2005. Nau 1913 = F. Nau, Les ménologes des évangéliaires coptes-arabes, in Patrologia Orientalis X/2 (1913), pp. 167-244. Nees 1999 = L. Nees, Problems of Form and Function in Early Medieval Illustrated Bibles from Northwest Europe, in Imaging the Early Medieval Bible, ed. J. Williams, University Park, PA, 1999, pp. 121-177. Nees 2001 = L. Nees, On Carolingian Book Painters. The Ottoboni Gospels and its Transfiguration Master, in The Art Bulletin 83 (2001), pp. 209-239. Nees 2006 = L. Nees, The Jonathan Gospels (Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Pal. lat. 46), in Tributes to Jonathan J. G. Alexander. The Making and Meaning of Illuminated Medieval and Renaissance Manuscripts, Art and Architecture, ed. S. L’Engle G.B. Guest, London 2006, pp. 85-98. Nelson - Lowden 1991 = R. S. Nelson - J. Lowden, The Palaiologina Group: Additional Manuscripts and New Questions, in Dumbarton Oaks Papers 45 (1991), pp. 59-68. Neri Lusanna 2011 = E. Neri Lusanna, I libri miniati del Duecento a Pistoia, in Pistoia. Un’officina di libri in Toscana dal Medioevo all’Umanesimo, ed. G. Savino, Firenze 2011, pp. 95-134. Nersessian 1987 = V. Nersessian, Armenian Illuminated Gospel Books, London 1987. Nersessian 2001 = V. Nersessian, The Bible in the Armenian Tradition, London 2001. Neuss 1922 = W. Neuss, Die katalanische Bibelillustration um die Wende des ersten Jahrtausends und

355


Bibbia. Immagini e scrittura

die altspanische Buchmalerei, Bonn-Leipzig 1922. Nicolau D’Olwer 1932 = L. Nicolau D’Olwer, La littérature latine au xie siècle, in La Catalogne à l’époque romane, Paris 1932, pp. 197-223. Nicolini 2000 = S. Nicolini, Cat. 67 Miniatori bolognesi. Bibbia vulgata, in Duecento 2000, pp. 237-239. Nicolini 2002 = S. Nicolini, Cat. 10, Vat. lat. 22, in Scritte dal dito di Dio. Testi biblici e liturgici manoscritti e a stampa della Biblioteca Malatestiana. Testi biblici e liturgici manoscritti e a stampa della Biblioteca Malatestiana. Catalogo della mostra (Cesena, Biblioteca Malatestiana, 13 aprile-30 giugno 2002) ed. P. Errani - F. Lollini, Forlì 2002, pp. 88-90. Nordenfalk 1937 = C. Nordenfalk, Vier Kanonestafeln eines spätantiken Evangelienbuches, Göteborg 1937. Nordenfalk 1938 = C. Nordenfalk, Die spätantiken Kanontafeln. Kunstgeschichtliche Studien über die eusebianische Evangelien-Konkordanz in den vier ersten Jahrhunderten ihrer Geschichte, Göteborg 1938. Nordenfalk 1970 = C. Nordenfalk, Die spätantiken Zierbuchstaben, 2 voll., Stockholm 1970. Nordenfalk 1977 = C. Nordenfalk, Celtic and Anglo-Saxon Painting. Book Illustration in the British Isles 600-800, New York 1977. Nordenfalk 2012 = C. Nordenfalk, Storia della miniatura. Dalla tarda antichità alla fine dell’età romanica (1957-1958), ed. F. Crivello, Torino 2012. Norris 1993 = N.B. Norris, Early Gothic Illuminated Bibles at Bologna: the “prima maniera” phase, 12501274, Ph.D. Dissertation (University of California at Santa Barbara), Ann Arbor 1993. Oblak 1896 = V. Oblak, Macedonische Studien, Wien 1896. Olszowy-Schlanger 2008 = J. Olszowy-Schlanger, Dictionnaire hébreu-latin-français de la Bible hébraïque de l’abbaye de Ramsey, xiii e s., Turnhout 2008. Orlandi 1984 = T. Orlandi, Le traduzioni dal greco e lo sviluppo della letteratura copta, in Graeco-Coptica. Griechen und Kopten im byzantinischen Ägypten, ed. P. Nagel, Halle - Saale 1984, pp. 181-203. Orlandi 1990 = T. Orlandi, Traduzioni dal greco al copto: quali e perché, in Autori classici in lingue del Vicino e Medio Oriente, ed. G. Fiaccadori, Roma 1990, pp. 93-104. Orlandi 1997 = T. Orlandi, Letteratura e cristianesimo nazionale egiziano, in Egitto Cristiano. Aspetti e problemi in età tardo antica, ed. A. Camplani, Roma 1997, pp. 39-120. Ornatissimo codice 2008 = Ornatissimo codice. La biblioteca di Federico di Montefeltro. Catalogo della mostra (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 15 marzo-27 luglio 2008), ed. M. Peruzzi, coll. C. Caldari - L. Mochi Onori, Milano 2008. Orofino 2003 = G. Orofino, Bibbie atlantiche. Struttura del testo e del racconto nel Libro “riformato”, in Medioevo: Immagine e racconto. Atti del iv Convegno Internazionale di studi (Parma, 27 - 30 settembre 2000), ed. A.C. Quintavalle, Milano 2003, pp. 253-264. Orofino 2007 = G. Orofino, La decorazione delle Bibbie atlantiche tra Lazio e Toscana nella prima metà del xii secolo, in Roma e la Riforma Gregoriana. Tradizioni e innovazioni artistiche (xi-xii sec.), ed. S. Romano - J. Enckell Juillard, Roma 2007, pp. 357-379. Orofino 2009 = G. Orofino, Pittura e miniatura nell’Italia centro-meridionale al tempo della Riforma Gregoriana, in Les fonts de la pintura romanica. Simposi internacional, ed. M. Guardia - C. Mancho, Barcelona 2009, pp. 161-175. Orofino 2010 = G. Orofino, Incognitae officinae: i problema degli “scriptoria” di età sveva in Italia meridionale, in Medioevo. Le officine. Atti del xii Convegno Internazionale di studi (Parma, 22 - 27 settembre 2009), ed. A.C. Quintavalle, Milano 2010, pp. 468-480. Orofino 2013 = G. Orofino, Le vie delle Bibbie. Da Tours a Roma (e ritorno), in Per Gabriella. Studi in ricordo di Gabriella Braga, ed. M. Palma - C. Vismara, Cassino 2013, pp. 1399-1411.

356

Bibliografia di riferimento

Orsini 2013 = P. Orsini, Scrittura come immagine: morfologia della minuscola liturgica bizantina, Roma 2013. Outtier 1988 = B. Outtier, Essai de répertoire des manuscrits des vieilles versions géorgiennes du Nouveau Testament, in Langues orientales anciennes: Philologie et linguistique, 1, Paris 1988. Pace 1979 = V. Pace, Untersuchungen zur sizilianischen Buchmalerei, in Die Zeit der Staufer. Geschichte Kunst - Kultur. Katalog der Ausstellung (Stuttgart 1977), v. Suppl., ed. R. Haussherr - C. Väterlein, Stuttgart 1979, pp. 431-476. Pace 1984 = V. Pace, Il «Nuovo Testamento» Vat. lat. 39: Modelli europei e presenze locali in un codice del Duecento Veronese, in G. Morello - V. Pace, Ricchezza iconografica e committenza laica. Volume di commento all’edizione in facsimile del Cod. Vat. lat. 39 della Biblioteca Vaticana, Milano 1984, pp. 53-101. Pace 1992 = V. Pace, Cat. 29, Evangeliar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 154-157. Pace 1992a = V. Pace, Cat. 9, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 84-85. Pace 1992b = V. Pace, Cat. 10, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 86-87. Pace 1992c = V. Pace, Cat. 37, Evangeliar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 186-189. Pace 1995 = V. Pace, L’arte di Bisanzio al servizio della Chiesa di Roma: la porta di Bronzo di San Paolo fuori le mura, in Studien zur bizantinischen Kunstgeschichte. Festschrift für Horst Hallensleben zum 65. Geburstag, ed. B. Borkopp - B. Schellewald - L. Teiss, Amsterdam 1995, pp. 111-119 (rist. in V. Pace, Arte a Roma nel medioevo. Committenza, ideologia e cultura figurativa in monumenti e libri, Napoli 2000, pp. 88-103). Pace 2000 = V. Pace, Un percorso storiografico: dalla filologia alla ideologia, in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 61-64. Pace 2000a = V. Pace, Cat. 70, Antico e Nuovo Testamento. Latino (“Bibbia di Manfredi”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 295-299. Pace 2000b = V. Pace, Cat. 62, Evangelario. Latino (“Vangeli di Monreale”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 270-272. Pandolfo 2013 = A. Pandolfo, I libri corali della chiesa dei Santi Geremia e Lucia a Venezia, in Arte Veneta 70 (2013), pp. 156-178. Papadaki-Oekland 2009 = S. Papadaki-Oekland, Byzantine Illuminated Manuscripts of the Book of Job, Athens 2009. Parodi 2000 = P. Parodi, Cat. 44, Evangelistario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 223-225. Parodi 2000a = P. Parodi, Cat. 25, Evangeliario. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 180-181. Parpulov 2014 = G. R. Parpulov, Toward a History of Byzantine Psalters, ca. 850-1350 ad, Plovdiv 2014. Pasini 2005 = La siro-esaplare dell’Ambrosiana (codice C 313 inf.), in Le Chiese sire tra iv e vi secolo. Dibattito dottrinale e ricerca spirituale, Milano 2005, pp. 17-40. Pelzer 1931 = Codices Vaticani Latini, ii, 1, Codices 679-1134, recensuit A. Pelzer, in Bibliotheca Vaticana 1931. Perani 2006 = M. Perani, La Bibbia ebraica della Biblioteca Comunale di Imola, in La comunità ebraica di Imola dal xiv al xvi secolo. Copisti, mercanti e banchieri, ed. A. Ferri - M. Giberti, Firenze 2006, pp. 395-440 e tavv. xvii-xlviii. Perani 2013 = M. Perani, Il più antico rotolo del Pentateuco ebraico integro: una scoperta alla Biblioteca Universitaria di Bologna, in Teca, 4 (2013), pp. 8797. Perria 1987 = L. Perria, Manoscritti miniati in «stile blu» nei secoli x-xi, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n.s., 24 (1987), pp. 85-124. Perria 2009 = L. Perria, Scritture e codici di origine orientale (Palestina, Sinai) dal ix al xiii secolo. Rapporto preliminare, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 36 (1999), pp. 19-33. Perria 2011: L. Perria, Graphis. Per una storia della scrittura greca libraria (secoli iv a.C. - xiv d.C.), Roma-Città del Vaticano 2011.

Perriccioli Saggese 1984 = A. Perriccioli Saggese, Aggiunte a Cristoforo Orimina, in Studi di Storia dell’Arte in memoria di Mario Rotili, Napoli 1984, pp. 251-259. Perriccioli Saggese 2002 = A. Perriccioli Saggese, Modelli giotteschi nella miniatura napoletana del Trecento, in Medioevo. I modelli. Atti del ii convegno internazionale di studi (Parma 27 settembre-1 ottobre 1999), ed. A.C. Quintavalle, Milano 2002, pp. 661-667. Perriccioli Saggese 2004 = A. Perriccioli Saggese, Orimina, Cristoforo, in Dizionario 2004, pp. 838840. Perriccioli Saggese 2013 = A. Perriccioli Saggese, Orimina, Cristoforo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma 2013, lxxix, pp. 494-497. Perriccioli Saggese 2014 = A. Perriccioli Saggese, Un autoritratto di Cristoforo Orimina? Postille alla Bibbia angioina di Lovanio, in L’officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, ed. G. Bordi, Roma 2014, i, pp. 193-199. Perriccioli Saggese 2014a = A. Perriccioli Saggese, Fra la corte e l’università: manoscritti miniati di età manfrediana, in Translating at the Court. Bartholomew of Messina and Cultural Life at the Court of Manfred, King of Sicily, ed. P. Leemans, Leuven 2014, pp. 91-111. Perriccioli Saggese 2016 = A. Perriccioli Saggese, Fra la Badia e la Corte: la committenza libraria di Filippo de Haya, abate di Cava e familiare del re, in Il libro miniato 2016, pp. 181-200. Peruzzi 2004 = M. Peruzzi, Cultura Potere Immagine. La Biblioteca di Federico da Montefeltro, Urbino 2004. Peruzzi 2008 = M. Peruzzi, La formazione della biblioteca e i manoscritti latini, in Ornatissimo codice 2008, pp. 21-39. Peruzzi 2010 = M. Peruzzi, La biblioteca di Federico di Montefeltro, in Principi e signori. Le biblioteche nella seconda metà del Quattrocento. Atti del Convegno (Urbino, 5-6 giugno 2008), ed. G. Arbizzoni - C. Bianca - M. Peruzzi, Urbino 2010, pp. 265-304. Peruzzi 2014 = M. Peruzzi, «Lectissima Politissimaque Volumina»: i Fondi Urbinati, in La Vaticana nel Seicento (1590-1700): una Biblioteca di Biblioteche, ed. C. Montuschi, Città del Vaticano 2014, pp. 337-394. Petitmengin 1985 = P. Petitmengin, Les plus anciens manuscrits de la Bible latine, in Monde latin antique, pp. 89-127. Petitmengin 2012 = P. Petitmengin con coll. J. Fohlen, I manoscritti latini della Vaticana. Uso, acquisizioni, classificazioni, in La Biblioteca Vaticana tra Riforma Cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), ed. M. Ceresa, Città del Vaticano 2012, pp. 44-90. Pettenati 1976 = S. Pettenati, Un’altra «Bibbia di Manfredi», in Prospettiva 4 (1976), pp. 7-15. Pfändter 1996 = K.-G. Pfändter, Die Psalterillustration des 13. und beginnenden 14. Jahrhunderts in Bologna. Herkunft – Entwicklung – Auswirkung, Neuried 1996. von Pflaumern 1625 = Ioannis Henrici à Pflaumern IC Mercurius italicus hospiti fidus per Italiae praecipuas regiones et urbes dux indicans explicans quaecumque in ijs sunt visu ac scitu digna, [Augustae Vindelicorum 1625; Editio secunda, 1650]. Pietersma 2000 = A. Pietersma, The Present State of the Critical Text of the Greek Psalter, in A. Aejmelaeus - U. Quast, Der Septuaginta-Psalter und seine Tochterübersetzungen. Symposium in Göttingen 1997, Gottingen 2000, pp. 12-32. Porcher 1959 = J. Porcher, L’enluminure française, Paris 1959; trad. it. Milano 1959. Proverbio 2000 = D.V. Proverbio, Cat. 66, Tetravangelo. Copto, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 283-286. Proverbio 2010 = D.V. Proverbio, Alle origini delle collezioni librarie orientali, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana. Volume i. Le Origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), ed. A. Manfredi, Città del Vaticano 2010, pp. 471, 480.

Proverbio 2012 = D.V. Proverbio, Barb. or. 2 (Psalterium pentaglottum), in Coptic Treasures from the Vatican Library: A Selection of Coptic, Copto-Arabic and Ethiopic Manuscripts, ed. P. Buzi - D.V. Proverbio, Città del Vaticano 2012, pp. 163-174. Putaturo Murano Donati 2001-2002 = A. Putaturo Murano Donati, La Bibbia aragonese della Biblioteca Lateranense di Roma, in Atti del vi congresso di storia della miniatura. Cicli di immagini bibliche nella miniatura (Urbino, 3-6 ottobre 2002), ed. L. Alidori, in Rivista di storia della miniatura 6-7 (2001-2002), pp. 215-223. Quazza 1979 = A. Quazza, Due codici fiorentini trecenteschi della Biblioteca Nazionale di Torino, in La miniatura italiana in età romanica e gotica. Atti del I congresso di storia della miniatura italiana (Cortona, 1978), Firenze 1979, pp. 343-355. Quentin 1922 = H. Quentin, Mémoire sur l’établissement du texte de la Vulgate, l. Octateuque, Paris 1922. Ra\ki 1865 = F. Ra\ki, Assemanov ili Vatikanski evangelistar, Zagreb 1865. Ragusa 1987 = I. Ragusa, Il manoscritto ambrosiano L.58 sup. L’infanzia di cristo e le fonti apocrife, in Arte Lombarda, n. s. 83 (1987), 4, pp 5-19. Rahlfs 1907 = A. Rahlfs, Septuaginta-Studien, 2. Heft: Der Text des Septuaginta-Psalters, Gottingen 1907. Rahlfs 1918 = A. Rahlfs, Über einige alttestamentliche Handschriften des Abessinierklosters S. Stefano zu Rom, in Nachrichten von der königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, philologisch-historische Klasse (1918), pp. 161-203. Raineri 2000 = O. Raineri, La versione etiopica dei Vangeli, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 61-66. Rapone 2016 = C. Rapone, La Bibbia miniata tra i manoscritti prodotti a Roma nel Duecento, in Il libro miniato 2016, pp. 359-372. Rehle 1974 = S. Rehle, Zwei beneventanische Evangelistare in der Vaticana, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte 69 (1974), pp. 182-191. Renoux 1971 = A. Renoux, Le Codex Arménien Jérusalem 121, 2, Édition comparée du texte et de deux autres manuscrits, Paris 1971. Richler 2013 = B. Richler, Italy, the “Breadbasket” of Hebrew Manuscripts, in The Italia Judaica Jubilee Conference, ed. S. Simonsohn - J. Shatzmiller, Leiden-Boston 2013, pp. 137-141. Righetti 1950-1953 = M. Righetti, Manuale di storia liturgica, i-iv Milano 1950-1953. Roberts - Skeat 1983 = C.H. Roberts - T. C. Skeat, The Birth of the Codex, London 1983. Roest 1998 = B. Roest, A meditative spectacle. Christ’s bodily passion in the “Satirica Ystoria”, in The Broken Body. Passion Devotion in Late Medieval Culture, ed. A.A. Macdonald - H.N.B. Ridderbos - R.M. Schlusemann, Groningen 1998, pp. 55-71. Roupp 1902 = N. Roupp, Die älteste äthiopische Handschrift der vier Bücher der Könige, in Zeitschrift für Assyriologie und verwandte Gebiete 16 (1902), pp. 296-343. Rouse 1976 = R. H. Rouse, The Development of Research Tools in the Thirteenth Century, in Authentic Witnesses. Approaches to Medieval Texts and Manuscripts, ed. M.A. Rouse - R.H. Rouse, Notre Dame, IN, 1991, pp. 221-255 (tr. di La diffusion en Occident au xiiie siècle des outils de travail facilitant l’accès aux textes autoritatifs, in Revue des études islamiques 44 (1976), pp. 114-147). Rouse - Rouse 1988/1991 = R.H. Rouse - M.A. Rouse, The Book Trade at the University of Paris, ca. 1250ca. 1350, in Authentic Witnesses. Approaches to Medieval Texts and Manuscripts, ed. M.A. Rouse - R.H. Rouse, Notre Dame, IN, 1991, pp. 259338 (rist. da La production du libre universitaire au moyen âge. Exemplar et pecia [Actes du symposium tenu au Collegio San Bonaventura de Grottaferrata en mai 1983], ed. L. J. Bataillon - B. G. Guyot - R. H. Rouse, Paris 1988, pp. 41-114). Rouse - Rouse 2000 = R.H. Rouse - M.A. Rouse, Manuscripts and Their Makers: Commercial Book

Producers in Medieval Paris, 1200–1500, 2 voll., Turnhout 2000. Royt 2006 = J. Royt, The Martinice Bible, in Prague. The Crown of Bohemia 1347-1437. Exhibition catalogue (New York, The Metropolitan Museum of Art, 20. 9. 2005-3. 1. 2006), ed. J. Fajt - B. Drake Boehm, New Haven-London 2006, p. 296. Rullo 2007 = A. Rullo, Alcune novità sulla Bibbia di Manfredi della Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Vat. lat. 36), in Arte medievale, n. s., 6 (2007), 2, pp.133-140. Rushforth 2005 = R. Rushforth, The Bury Psalter and the Descendants of Edward the Exile, in AngloSaxon England 34 (2005), pp. 255-261. Ruzzier 2008 = C. Ruzzier, La produzione dei manoscritti neotestamentari in Italia nel xiii secolo. Analisi codicologica, in Segno e testo 6 (2008), pp. 249-294. Sadnik 1967 = L. Sadnik, Des hl. Johannes von Damaskus ”Ekqesij ¢kripb¾j tÁj ÑrqodÒxou p…stewj: in die Übersetzung des Exarchen Johannes,Wiesbaden 1967. Saint John’s Bible = The Saint John’s Bible, Collegeville mo, i- vii, 1998-2012. Salmon 1959 = P. Salmon, Les «Tituli psalmorum» des manuscrits latins, Paris 1959. Salmon 1968 = P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, i. Psautiers, Antiphonaires, Hymnaires, Collectaires, Bréviaires, Città del Vaticano 1968. Salmon 1969 = P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, ii. Sacramentaires, Épistoliers, Évangéliaires, Graduels, Missels, Città del Vaticano 1969. Sandler 1999 = L.F. Sandler, Salterio, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, x Roma 1999, pp. 281-288. Santucci - Paredi 1978 = L. Santucci - A. Paredi, Miniature altomedievali lombarde, Milano 1978. Saurma-Jeltsch 2014 = L.E. Saurma-Jeltsch, Der Einzelne im Verbund: Kooperationsmodelle in der spätmittelalterlichen Buchherstellung, in Wege zum illuminierten Buch. Herstellungsbedingungen für Buchmalerei in Mittelalter und früher Neuzeit, Wien 2014, pp. 148-176. Sautel 1995 = J.-H. Sautel, Répertoire de réglures dans les manuscrits grecs sur parchemin, Trunhout 1995. Saxer 1985 = V. Saxer, Bible et liturgie, in Monde latin antique, pp. 157-183. Scappaticci 2008 = L. Scappaticci, Codici e liturgia a Bobbio: testi, musica e scrittura (secoli x ex.-xii), Città del Vaticano 2008. Schäfer 2012 = C. Schäfer, Benutzerhandbuch zur Göttinger Septuaginta, Band 1: Die Edition des Pentateuch von John William Wevers, Gottingen 2012. Schäferdiek 1981 = K. Schäferdiek, Die Fragmente der “Skeireins” und der Johanneskommentar des Theodor von Herakleia, in Zeitschrift für deutsches Altertum und deutsche Literatur, 110 (1981), pp. 175-193. Schapiro 1982 = M. Schapiro, From Mozarabic to Romanesque in Silos, in The Art Bulletin 21 (1939), pp. 313-374; trad. it. Torino 1982, pp. 34-113. Schapiro 1982a = M. Schapiro, On the Aesthetic Attitude in Romanesque Art, in Art and Thought. Issued in Honor of Dr. Ananda K. Coomaraswamy on the Occasion of His 70th Birthday, ed. K. Bharatha Iyer, London 1947, pp. 130-150; trad. it. Torino 1982, pp. 3-32. Schmidt 1987 = G. Schmidt, Zsigmond császár és a könyvfestészet, in Müvészet Zsigmond király korában 1387-1437. Budapest Történeti Múzeum, ii, Budapest 1987, pp. 509-518. Schmidt 2003 = P. Schmidt, Gedruckte Bilder in handgeschriebenen Büchern. Zum Gebrauch von Druckgraphik im 15. Jahrhundert, Köln u. a. 2003. Schramm 1983 = P. E. Schramm, Die deutschen Kaiser und Könige in Bildern ihrer Zeit, 751-1190, ed. F. Mütherich, coll. P. Berghaus - N. Gussone, München 1983. Schramm - Mütherich 1981 = P. E. Schramm - F. Mütherich, Denkmale der deutschen Könige und

Kaiser, i, Ein Beitrag zur Herrschergeschichte von Karl dem Großen bis Friedrich ii., 768-1250, 2a ed., München 1981. Sciacca 2012 = C. Sciacca, Cat. 30, Bible, in Florence at the Dawn of the Renaissance: Painting and Illumination, 1300-1350. Catalogue of the exhibition (Los Angeles, J. Paul Getty Museum, 13 November 2012-10 February 2013), Los Angeles 2012, pp. 133-135. Semizzi 1999 = R. Semizzi, Cat. 25, Bibbia, in Calligrafia di Dio 1999, pp. 144-145. Shurgaia 2000 = G. Shurgaia, Cat. 17, Tetravangelo. Georgiano [Vat. iber. 1], in Vangeli dei popoli 2000, pp. 164-167. Shurghaia 2006 = T. Shurghaia, Saxarebis erti ʒveli kartuli xelnac’eris šedgenilobis sak’itxisatvis [Sulla questione della struttura di un antico manoscritto giorgiano], in K’avk’asiis macne [Messaggero caucasico] 14 (2006), pp. 157-164. Shurghaia 2006a = T. Shurghaia, On Dating of Vat. iberico 1, in Bulletin of the Georgian National Academy of Sciences 173 (2006), 2, pp. 416-418. Shurghaia 2006b = T. Shurghaia, Šavi mtis otxtavis kartuli xelnac’eri [Un manoscritto georgiano dalla Montagna Nera], in Cisk’ari [Aurora] 2006, 1, pp. 131-135. Shurghaia 2006c = T. Shurghaia, Vat’ik’anis otxtavis tavgadasavali [Storia del Tetravangelo Vaticano], in K’lasik’uri da tanamedrove kartuli mc’erloba [Letteratura georgiana classica e moderna], 11 (2006), pp. 33-49. Shurghaia 2006d = T. Shurghaia, Vat’ik’anis otxtavis mxat’vruli šemk’uloba [Ornamentazione del Tetravangelo Vaticano], in Saenatmecniero ʒiebani [Quaderni di linguistica] 23 (2006), pp. 340-349. Siede 1997 = I. Siede, Zur Rezeption ottonischer Buchmalerei in Italien im 11. und 12. Jahrhundert, St. Ottilien 1997. Silber 1980 = E. Silber, The Reconstructed Toledo “Speculum Humanae Salvationis”: the Italian Connection in the Early Fourteenth Century, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 43 (1980), pp. 32-51. Simader 1998 = F. Simader, Cat. 10, in Geschichte der bildenden Kunst in Österreich, I. Früh- und Hochmittelalter, ed. H. Fillitz, München-New York 1998, pp. 211-212. Sirinian 2000 = A. Sirinian, Cat. 49, Tetravangelo. Armeno, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 233-235. Sirinian 2000a = A. Sirinian, Cat. 90, Tetravangelo. Armeno, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 347-350. Sirinian 2000b = A. Sirinian, Cat. 124, Antico e Nuovo Testamento. Armeno, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 422-425. Skeat 1999 - T. C. Skeat, The Codex Sinaiticus, the Codex Vaticanus and Constantine, in Journal of Theological Studies 50, pp. 583-625. Smalley 1983 = B. Smalley, The Study of the Bible in the Middle Ages, 3ª ed., Oxford 1983. Smalley 1985 = B. Smalley, The Gospels in the Schools, c. 1100-c. 1280, London 1985. Smalley 1989 = B. Smalley, The Study of the Bible in the Middle Ages, 3ª ed. riv., Notre Dame, IN, 1989. Šmerling 1979 = R. Šmerling, Chudožestvennoe oformlenie gruzinskoj rukopisnoj knigi ix-xi vv. [La veste artistica del libro manoscritto georgiano del ix-xi secolo], Tbilisi 1979. Smith 2009 = L. Smith, The Glossa Ordinaria: The Making of a Medieval Bible, Leiden-Boston 2009. Snædal 2013 = M. Snædal, A Concordance to Biblical Gothic, i: Introduction - Texts; ii: Concordance, 3rd rev. ed. Reykjavík 2013. Sneddon 1979 = C. R. Sneddon, A Critical Edition of the Four Gospels in the Thirteenth-Century Old French Translation of the Bible, D. Phil. Oxford University, 1978 (1979). Sneddon 2011 = C. R. Sneddon, The Old French Bible: The First Complete Vernacular Bible in Western Europe, in The Practice of the Bible in the Middle Ages: Production, Reception, and Performance in Western Christianity, ed. S. Boynton - D. J. Reilly, New York 2011, pp. 296-314.

357


Bibbia. Immagini e scrittura

Sosower et al. 2006 = M. L. Sosower - D. F. Jackson - A. Manfredi, Index seu Inventarium Bibliothecae Vaticanae Divi Leonis Pontificis Optimi, Anno 1518 c., Series graeca, Città del Vaticano 2007. Speciale 2000 = L. Speciale, Cat. 45, Evangeliario. Latino (“Evangelium imperatoris”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 225-228. Speciale 2000a = L. Speciale, Cat. 4, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Pal. lat. 3-4-5 (Bibbia Palatina), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 120-126. Speciale 2000b = L. Speciale, Cat. 13, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10405 (Bibbia di Todi), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 158-162. Speciale 2000c = L. Speciale, Cat. 45, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 12958 (Bibbia del Pantheon), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 261-271. Speranskij 1927 = M. N. Speranskij, Slavjanskaja pis’mennost’ xi-xiv vv. na Sinae i Palestine, in Izvestija ORJaS AN SSSR 32 (1927), 43-118. Speranskij 1932 = M. N. Speranskij, Zlye dni v pripiskach Assemanova evangelija, in Makedonski pregled 8 (1932), pp. 41-53. Sreznevskij 1866 = I. I. Sreznevskij, Drevnie glagoli/eskie pamjatniki sravnitel’no s pamjatnikami kirillicy, Sankt-Peterburg 1866. Sreznevskij 1867 = I. I. Sreznevskij, Kalendar iz Vatikanskogo glagoli/eskogo evangelija, Kalendarnye pripiski kirilicej v glagoli/eskich rukopisjach, Ostalnye pripiski kirilicej v Vatikanskom evangelii, in: Svedenija i zametki o maloizvestnych i neizvestnych pamjatnikach, ii, Sankt-Peterburg 1867, pp. 46-69, 77-81. Stäblein 1962 = B. Stäblein, Passion, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, ed. F. Blume, x, Kassel-Basel 1962, coll. 887-898. Stan\ev 2000 = K. Stan\ev, Digrafija i bilingvizbm v naj-starija period na slavjanskata pismenost (vbrhu primeri ot Asemanievoto evangelie), in Glagolitica. Zum Ursprung der slavischen Schriftkultur, ed. H. Miklas, Wien 2000, pp. 88-94. Steiger 2016 = U. Steiger, Vatikan, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 9 (Heidelberg online, 2016: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bav_pal_ lat_9). Stejskal 1992 = K. Stejskal, Die Prager Buchmalerei der Hussitenzeit und ihre Beziehung zu Mähren, in Umàní 40 (1992), pp. 334-343. Stejskal 2001 = K. Stejskal, Problem of Dating and Origin of Illuminated manuscripts from Years 14201450, in The Waning of the Middle Ages. Proceedings of the Symposium, Brno 2001, pp. 33-43. Stejskal - Voit 1991 = K. Stejskal - P. Voit, Iluminované rukopisy doby husitské, Praha 1991. Stirnemann 1985 = P. Stirnemann, rev. C. de Hamel, in Bulletin Monumental 143 (1985) pp. 363-67. Stirnemann 1994 = P. Stirnemann, Où ont été fabriqué les livres de la glose ordinaire?, in Le xii e siècle. Etudes publiés sous la direction de Françoise Gasparri, Paris 1994, pp. 257-301. Stirnemann in corso di stampa = P. Stirnemann, Naissance de la Bible du 13e siècle, à paraître dans Lusitania sacra. Stones 2004 = A. Stones, The Full-Page Miniatures of the Psalter-Hours New York, Morgan Library, M.729: Programme and Patron, in The Illuminated Psalter: Studies in the Content, Purpose and Placement of its Images, ed. F.O. Büttner, Turnhout 2004, pp. 281-307. Stones 2013-2014 = A. Stones, Manuscripts Illuminated in France: Gothic Manuscripts 1260-1320, 4 voll., London-Turnhout 2013-2014. Stones 2016 = A. Stones, Cat. 86, Bible, in Beyond Words. Illuminated Manuscripts in Boston Collections. Exhibition catalogue (Harvard University, The Houghton Library; Boston, Isabella Stewart Gardner Museum; Boston, Boston College Museum, September 2016-January 2017), ed. J. Hamburger - W.P. Stoneman - A.M. Eze - L. Fagin Davis - N. Netzer, Boston 2016, pp. 112-113. Stornajolo 1902 = Codices Urbinati Latini, recensuit C. Stornajolo, i, Codices 1-250, Romae 1902.

358

Bibliografia di riferimento

Stotz 2015 = P. Stotz, La Bible en latin, intangible?, Avignon 2015. Studni\ková 2006 = M. Studni\ková, Petrus Comestor. Historia scholastica, in Sigismundus rex et imperator: Kunst und Kultur zur Zeit Sigismunds von Luxemburg 1387-1437. Exhibition Catalogue (Budapest, Szépmuvészeti Múze m, 18.3.-18.6.2006, and Luxembourg, Musée national d’histoire et d’art, 13.7.-15.10.2006), ed. I. Takács, Augsburg 2006, pp. 402-403. Suckale 1990 = R. Suckale, Die Buchmalerwerkstatt des Prager Examerons. Ein Beitrag zur Kenntnis der Prager Buchmalerei um 1400-1440, in Umàní 38 (1990), pp. 401-418. Suckale - Suckale Redlefsen 2014 = R. Suckale - G. Suckale Redlefsen, Speculum humanae salvationis. Un nouveau chef-d’œuvre de l’enluminure colonaise de la fin du xive siècle conservé à la Bibliothèque du Vatican, in Art de l’enluminure 49 (2014), pp. 2-28. Supino 1980 = P. Supino, Orientamenti per la datazione e la localizzazione delle “litterae textuales” italiane ed iberiche nei secoli xii-xiv, in Scriptorium 54 (2000), pp. 20-34. Supino Martini 1980 = P. Supino Martini, L’Evangeliario di S. Maria in Via Lata, in Scrittura e Civiltà 4 (1980), pp. 279-294. Supino Martini 1987 = P. Supino Martini, Roma e l’area grafica romanesca (secoli x-xii), Alessandria 1987. Surmann 1992 = U. Surmann, Cat. 6, Lorscher Evangeliar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 74-77. Surmann 1992a = U. Surmann, Cat. 11, Evangelistar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 88-89. Surmann 1992b = U. Surmann, Cat. 12, Rocca-Sakramentar, in Liturgie und Andacht 1992, pp. 90-91. Surmann 1992c = U. Surmann, Cat. 13, Evangeliar Kaiser Heinrichs ii., in Liturgie und Andacht 1992, pp. 92-95. Takla 2007 = H.N. Takla, Introduction to the Old Coptic Testament, Los Angeles 2007. Takla 2014 = H.N. Takla, The Coptic Bible, in Coptic Civilization. Two Thousand Years of Christianity in Egypt, ed. G. Gabra, Cairo 2014, pp. 105-121. Tamani 1980 = G. Tamani, Note per la storia del libro ebraico nel medioevo, in Henoch, 2 (1980), pp. 307-325. Taq’aišvili 1950 = E. Taq’aišvili, Vat’ik’anis bibliotek’is ori kartuli xelnac’eri [Due manoscritti georgiani della Biblioteca Vaticana], in Tbilisis saxelmc’ipo universit’et’is šromebi [Annali dell’Università Statale di Tbilisi] 39 (1950). Tarchnischvili 1959-1960 = M. Tarchnischvili, Le Grand Lectionnaire de l’Église de Jérusalem (v-viii Siècle), Louvain 1959-1960. Tarchnichvili 1962 = M. Tarchnichvili, Les manuscrits géorgiens du Vatican, in Bedi Kartlisa 13-14 (1962), pp. 61-64. Taylor 2002 = G.K. Taylor, Bilingualism and Diglossia in Late Antique Syria and Mesopotamia, in Bilingualism in Ancient Society: Language Contact and the Written Word, ed. J. N. Adams - M. Janse - S. Swain, Oxford 2002, pp. 298-331. Temple 1976 = E. Temple, Cat. 84, Rome, Vatican, Biblioteca Apostolica MS Reg. lat. 12, in Anglo-Saxon Manuscripts, 900-1066, London 1976, pp. 100-102. Temple 1976a = E. Temple, A Survey of Manuscripts Illuminated in the British Isles, ii. Anglo-Saxon Manuscripts. 900-1066, London 1976. Testuz 1959 = M. Testuz, Papyrus Bodmer vii-ix, Cologny-Genève 1959. Tewes 2011 = B. Tewes, Die Handschriften der Schule von Luxueil. Kunst und Ikonographie eines frühmittelalterlichen Skriptoriums, Wiesbaden 2011. Thomson 2006 = F. Thomson, Il testo biblico dai libri liturgici alla Bibbia di Ostrog (1581), in Lo spazio letterario del medioevo, 3. Le culture circostanti, iii. Le culture slave, ed. M. Capaldo, Roma 2006, pp. 245-287. Tietze 1911 = H. Tietze, Die illuminierten Handschriften der Raccolta Rossiana in Wien-Lainz, Leipzig 1911. Tisserant 1914 = E. Tisserant, Specimina codicum orientalium, Bonnae 1914.

Tisserant 1925 = E. Tisserant, recensione a Rahlfs 1918, in Revue biblique 34 (1925), pp. 292-296. Togni 2016a = N. Togni, Inventario delle Bibbie Atlantiche, in Bibles Atlantiques 2016, pp. 507-517. Togni 2016b = N. Togni, La Bibbia Atlantica di Ginevra (Bibliothèque de Genéve, lat. 1), in Bibles Atlantiques 2016, pp. 473-477. Togni 2016c = N. Togni, La Bibbia Atlantica di Sion (Archives du Chapitre, 15), in Bibles Atlantiques 2016, pp. 479-484. Tomei 2000 = A. Tomei, Pietro Cavallini, Cinisello Balsamo 2000. Toniolo 1997 = F. Toniolo, La Bibbia di Borso d’Este. Cortesia e magnificenza a Ferrara tra Tardogotico e Rinascimento, Descrizione Codicologica e Descrizione delle miniature del primo e del secondo volume della Bibbia, in La Bibbia di Borso d’Este. Commentario al Codice, 2 voll., Modena 1997, i, pp. 139237, ii, pp. 295-573. Toniolo 1999 = F. Toniolo, Cat. 58, Bibbia istoriata padovana, in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento. Catalogo della mostra (Padova-Rovigo, 21 marzo-27 giugno 1999), ed. G. Baldissin Molli, G. Mariani Canova, F. Toniolo, Modena 1999, pp. 161-165. Toniolo 2007 = F. Toniolo, Gospels, in Federico da Montefeltro 2007, pp. 110-119. Toniolo 2008 = F. Toniolo, I miniatori ferraresi e padani alla corte di Federico da Montefeltro, in Ornatissimo codice 2008, pp. 79-89. Torquati 2000 = M. Torquati, Cat. 76, Antico e Nuovo Testamento. Latino, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 309-314. Torquati 2000a = M. Torquati, Cat 105, Evangeliario. Latino (“Evangeliario di Federico da Montefeltro”), in Vangeli dei popoli 2000, pp. 388-390. Toscano 1995 = G. Toscano, Matteo Felice: un miniatore al servizio dei re d’Aragona di Napoli, in Bollettino d’Arte 93-94 (1995), pp. 87-118. Toscano 2008 = G. Toscano, D’oro, d’argento e di porpora. Codici miniati del Rinascimento padovano, in Storie di artisti. Storie di libri. L’Editore che inseguiva la Bellezza. Studi in onore di Franco Cosimo Panini, Roma 2008, pp. 377-395. Toscano 2009 = G. Toscano, “La biblioteca napoletana dei re d’Aragona” da De Marinis ad oggi: novità e prospettive, in Biblioteche nel Regno tra Tre e Cinquecento. Atti del convegno (Bari, Università di Bari, 6-7 febbraio 2008), ed. M. De Nichilo - C. Corfiati, Lecce 2009, pp. 29-64. Toscano 2009a = G. Toscano, Libri umanistici e codici all’antica tra il Veneto, Roma e Napoli. Note su Andrea Contrario e Bartolomeo Sanvito, in Società, cultura e vita religiosa in età moderna. Studi in onore di Romeo de Maio, ed. L. Gulia - I. Herklotz - S. Zen, Sora 2009, pp. 497-526. Toscano 2010 = G. Toscano, Le biblioteche dei sovrani aragonesi di Napoli, in Principi e signori. Le biblioteche nella seconda metà del Quattrocento. Atti del convegno (Urbino, 5-6 giugno 2008), ed. G. Arbizzoni - C. Bianca - M. Peruzzi, Urbino 2010, pp. 163-216. Toubert 1977 = H. Toubert, Trois nouvelles bibles du Maître de la Bible de Manfred et de son atelier, in Mélanges de l’École française de Rome 89 (1977), pp. 777-810. Toubert 1980 = H. Toubert, Influences gothiques sur l’art frédéricien: le maître de la Bible de Manfred et son atelier, in Federico ii e l’arte del Duecento italiano, Atti della iii settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma (15-20 maggio 1978), ed. A.M. Romanini, Galatina 1980, pp. 59-76. Trahoulia 2016 = N.S. Trahoulia, Vat. gr. 752 and Vat. gr. 1927: Related Manuscripts?, in Book of Psalms 2016, pp. 547-567. Tristano 2011 = C. Tristano, Paleografia e codicologia latina, in La Biblioteca Apostolica Vaticana: luogo di ricerca al servizio degli studi. Atti del Convegno, Roma, 11-13 novembre 2010, ed. M. Buonocore A.M. Piazzoni, Città del Vaticano 2011, pp. 69-116. Trobisch 2000 = D. Trobisch, The First Edition of the New Testament, New York 2000.

Troncarelli 1985 = F. Troncarelli, Decora correctio. Un codice emendato da Cassiodoro, in Scrittura e Civiltà 9 (1985), pp. 147-168. Typicon 1962-1963 = Le Typicon de la Grande Église, Ms Saint-Croix n 40, xe siècle, ed. J. Mateos, 1-2, Roma 1962-1963. Ullendorff 1967 = E. Ullendorff, Ethiopia and the Bible, Oxford 1968. Uluhogian 1986 = G. Uluhogian, Lingua e cultura scritta, in A. Alpago Novello [et al.], Gli Armeni, Milano 1986, pp. 115-130. Uluhogian 2000 = G. Uluhogian, I Vangeli in Armenia, in Vangeli dei popoli 2000, pp. 53-59. Vaccari 1958 = A. Vaccari, Recupero d’un lavoro critico di S. Girolamo, in Id., Scritti di erudizione et di filologia, ii, Roma 1958, pp. 82-146. Valagussa 2000 = G. Valagussa, Cat. 66, in Duecento 2000, pp. 234-237. Vangeli dei popoli 2000 = Vangeli dei popoli: La Parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia. Catalogo della mostra (Città del Vaticano, Palazzo della Cancelleria, 23 giugno-10 dicembre 2000), ed. F. D’Aiuto - G. Morello - A.M. Piazzoni, Città del Vaticano 2000. Vattasso - Franchi de’ Cavalieri 1902 = M. Vattasso - P. Franchi de’ Cavalieri, Codices vaticani latini, I, Codices 1-678, Roma 1902. Vespasiano da Bisticci 1970-1977 = Vespasiano da Bisticci, Le Vite [c. 1482], ed. A. Greco, 2 voll., Firenze 1970-1977. Vetter 1958-1959 = E.M. Vetter, Mulier amicta sole und Mater Salvatoris, in Münchner Jahrbuch für bildende Kunst, iii. F., 9–10 (1958–1959), pp. 32-71. Vezin 1992 = J. Vezin, Les livres utilisés comme amulettes et comme reliques, in Das Buch als magisches und als Repräsentationsobjekt, ed. P. Ganz, Wiesbaden 1992, pp. 101-115. Vezin 2005 = J. Vezin, I libri dei Salmi e dei Vangeli durante l’alto Medioevo, in Forme e modelli 2005, pp. 267-279. Vian 2000 = C. Vian, Cat. 83 (Reg. lat. 26), in Vangeli dei popoli, 2000, pp. 330-332. Violet 1901 = B. Violet, Ein zweisprachiges Psalmfragment aus Damascus, in Orientalistische LiteraturZeitung 4 (1901), coll. 384-403, 425-441, 475-488. Visual Testimony 1987 = A Visual Testimony: Judaica from the Vatican Library, Exhibition catalogue (Center for Fine Arts, Miami FLA, 1987), ed. Ph. Hiat, Miami - New York 1987. VL = R. Gryson - H.J. Frede, Die Altlateinische Handschriften. Manuscrits vieux latin. Répertoire descriptive, Freiburg 1999 e 2004 (Vetus Latina 1/2A e 2B). Vogel 1986 = C. Vogel, Medieval Liturgy. An Introduction to the Sources, tr. W. Storey - N. Rasmussen, coll. J. Brooks-Leonard, Portland, OR, 1986. Voicu 2009 = S.J. Voicu, Note sui palinsesti conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea

Bibliothecae Apostolicae Vaticanae xvi, Città del Vaticano 2009, pp. 445-454. Voicu 2008 = S.J. Voicu, Scheda tecnica: Cenni sulla storia, sul contenuto e sulla finalità del Papiro Bodmer 14-15 (P75), in Un venerabile testimone dei Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni: il Papiro Bodmer 14-15 (P75), Città del Vaticano 2008, pp. 24-39. Vondrák 1890 = V. Vondrák, Altslovenische Studien. Über das gegenseitige Verhältnis der ältesten Evangelientexte, Wien 1890. Wander 2012 = S.H. Wander, The Joshua Roll, Wiesbaden 2012. Wasserman 2005 = T. Wasserman, Papyrus 72 and the Bodmer Miscellaneous Codex, New Testament Studies 51 (2005), pp. 137-54. Weber 1953 = Le Psautier romain et les autres anciens Psautiers latins, edition critique par Dom R. Weber, Roma 1953. Weiner 1992 = A. Weiner, Die Initialornamentik der deutsch-insularen Schulen im Bereich von Fulda, Würzburg und Mainz, Würzburg 1992. Weiner 1993 = A. Weiner, Katalog der Kunstwerke um Erzbischoff Egbert, in Egbert Erzbischof von Trier 977-993. Gedenkschrift der Diözese Trier zum 1000. Todestag, i. Katalog und Tafelband, ed. F.J. Ronig, coll. A. Weiner - R. Heyen, Trier 1993. Weitzman 1999 = M.P. Weitzman, The Syriac Version of the Old Testament: An Introduction, Cambridge 1999. Weitzmann 1977 = K. Weitzmann, Late Antique and Early Christian Book Illumination, London 1977. Weitzmann 1991 = K. Weitzmann, L’illustrazione nel rotolo e nel codice. Studio dell’origine e del metodo della illustrazione dei testi, ed. M. Bernabò, Firenze 1991. Weitzmann - Bernabò 1999 = K. Weitzmann - M. Bernabò, The Byzantine Octateuchs, Princeton 1999. Weitzmann - Galavaris 1990 = K. Weitzmann G. Galavaris, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai, The Illuminated Greek Manuscripts, 1, From the Ninth to the Twelfth Century, Princeton 1990. Wetzel - Drechsler 1995 = C. Wetzel - H. Drechsler, Biblia Pauperum. Armenbibel. Die Bilderhandschrift des Codex Palatinus latinus 871 im Besitz der Biblioteca Apostolica Vaticana, Stuttgart-Zürich 1995. White 2002 = E.M. White, Long Lost Leaves from Gutenberg’s Mons-Trier II Bible, in Gutenberg Jahrbuch 77 (2002), pp. 19-36. Williams 1977 = J. Williams, Early Spanish Manuscript Illumination, London 1977. Williamson 1999 = P. Williamson, Cat. X.22, Einband des Lorscher Evangeliars, in Kunst und Kultur 1999, pp. 733-736. Wilmart 1930 = A. Wilmart, The Prayers of the Bury Psalter, in Downside Review 48 (1930), pp. 198-216. Wilmart 1937 = Codices Reginenses Latini, i, Codices 1-250, recensuit A. Wilmart, in Bibliotheca Vaticana 1937.

Wilson - Wilson 1985 = A. Wilson - J.L. Wilson, A Medieval Mirror. Speculum Humanae Salvationis 1324–1500, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1985. Wirth 1982 = K.-A. Wirth, Die Biblia pauperum im Codex Palatinus Latinus 871 der Biblioteca Apostolica Vaticana, Kommentarbd. zum Faksimile, Zürich 1982. Wisse 1995 = F. Wisse, The Coptic Versions of the New Testament, in The Text of the New Testament in Contemporary Research - Essays on the Status Quaestionis: A Volume in Honor of Bruce M. Metzger, ed. B.D. Ehrman, M.W. Holmes, Grand Rapids, MI, 1995, pp. 131-141. Wormald 1974 = F. Wormald, L’Angleterre, in L. Grodecki - F. Mütherich - J. Taralon - F. Wormald, Le siècle de l’An Mil, Paris 1973, pp. 226-255; trad. it. Milano 1974, pp. 226-255. Wright 1964 = D.H. Wright, The Codex Millenarius and its Model, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, 15 (1964), pp. 37-54. Yohanna 2015 = S. S. Yohanna, The Gospel of Mark in the Syriac Harklean Version: An edition based upon the earliest witnesses, Roma 2015. Zanichelli 2000 = G.Z. Zanichelli, Cat. 34. Mantova, Biblioteca comunale, 131 (A V 1), in Bibbie Atlantiche 2000, pp. 229-230. Zanichelli 2008 = G.Z. Zanichelli, Manoscritti ebraici: committenti e centri di produzione, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 110/2 (2008), pp. 233-240. Zanichelli 2014 = G.Z. Zanichelli, Cat. Ross. 183, in Catalogo Rossiani 2014, pp. 317-330. Zanichelli 2014a = G.Z. Zanichelli, Cat. Ross. 255, in Catalogo Rossiani 2014, pp. 442-458. Zanichelli 2014b = G.Z. Zanichelli, Cat. Ross.254, in Catalogo Rossiani 2014, pp. 466-469. Zanutto 1932 = S. Zanutto, Bibliografia etiopica. In continuazione alla «bibliografia etiopica» di G. Fumagalli, Secondo contributo: Manoscritti etiopici, Roma 1932. Zier 2004 = M. Zier, The Development of the Glossa Ordinaria to the Bible in the 13th Century. The Evidence from the Bibliothèque Nationale, Paris, in Bibbia 2004, pp. 155-184. Zironi 2004 = A. Zironi, Il monastero longobardo di Bobbio: crocevia di codici, uomini, culture. Spoleto 2004. Zoëga 1810 = G. Zoëga, Catalogus codicum copticorum manu scriptorum, qui in museo Borgiano Velitris adservantur, Romae 1810. Zonghetti 2005 = A. Zonghetti, Il codice di Gioveniano, in Arte medievale n.s., iv (2005), 1, pp. 21-36. Žukovskaja 1976 = L.P. Žukovskaja, Tekstologija i jazyk drevnejšich pamjatnikov, Moskva 1976. Zuurmond 1989 = R. Zuurmond, Novum Testamentum Aethiopice: The synoptic gospels. General introduction. Edition of the Gospel of Mark, Stuttgart 1989.

359


INDICE DEI MANOSCRITTI CITATI

ABBREVIAZIONI E SIGLE

aam

= Archivio dell’Abbazia, Montecassino

acs

= Archives du Chapitre, Sion

acv

= Archivo de la Catedral, Valencia

adk

= Domschatzkammer, Aquisgrana

= Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Lisbona

antt

= Stiftsbibliothek, Admont

asb

= Antico Testamento

at

AtMI

= Mon» Ib»rwn, Monte Athos

= Biblioteca Angelica, Roma

ba

= Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele iii, Napoli

bnn

bnu = Biblioteca Nazionale Universitaria, Torino bpl

= Public Library, Boston

bpp

= Biblioteca Palatina, Parma

= Bibliothèque Publique et Universitaire (oggi Bibliothèque de Genève), Ginevra

bpu

= Biblioteca Reale, Torino

br

= Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero, Catania

brc

= Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Palermo

bac

= Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, Rovigo

brs

bav = Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano

bsb

= Bayerische Staatsbibliothek, München

bsg

= Bibliothèque Sainte-Geneviève, Parigi

bb

= Bibliothèque Municipale, Bourges

= Bibliothèque Municipale, Boulogne-sur-Mer bbm

bca

= Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara

= Biblioteca Capitolare della Cattedrale, Gerona bcg

= Biblioteca Trivulziana, Milano

btm

= Biblioteca Vallicelliana, Roma

bv

ca. = circa cbm

= Bibliothèque Municipale, Cambrai

ccc

= Corpus Christi College, Canterbury = Fitzwilliam Museum, Cambridge

bcp

= Biblioteca Capitolare, Padova

cfm

bcr

= Biblioteca Classense, Ravenna

cnmg

bct

= Biblioteca della Badia, Cava dei Tirreni

= Biblioteca Documentarb Batthyáneum, Alba Iulia (Romania)

bdb

= Centro Nazionale dei Manoscritti di Georgia “K’orneli K’ek’eliʒe”, Tbilisi = Convento di Santa Sabina, Roma

css

= Klementinum Knihovna (Biblioteca del Klementinum), Praga

knm

m

= Musée Condé, Chantilly

mcf

= Musei Civici di Arte Antica, Ferrara

mcg

= Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona

mcv

= Biblioteca del Museo Correr, Venezia

mm = millimetri ms. = manoscritto

Cesena, Biblioteca Malatestiana D.XXI.1: 239

Avignone, Bibliothèque Municipale 23: 302 24: 302 26: 302 6424: 213 6425: 213 6426: 213 6427: 213

Chantilly, Musée Condé 9: 163

nt

= Nuovo Testamento

= Museo del Newton Theological Seminary, Andover (Massachusetts)

nts

obl

= Bodleian Library, Oxford

occ

= Christ Church College, Oxford

= Österreichische Nationalbibliothek, Vienna

önb

p./pp. = pagina/pagine

= Biblioteca Estense Universitaria, Modena

dul

= Universitäts- und Landesbibliothek,

Darmstadt

rbm

= Bibliothèque du Fonds Ancien, Avranches

es. = esempio

rnb

= Biblioteca Civica Gambalunga, Rimini

bgr bl

= British Library, Londra

ex. = exeunte f./ff. = foglio/ fogli = Katholiek Universitet, Maurits Sabbebibliotheek, Lovanio

gbib

bma

= Bibliothèque Municipale, Avignone

bmb

= Bibliothèque Municipale, Bordeaux

gim

bmc

= Biblioteca Malatestiana, Cesena

bml

= Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze

gme = Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo

bmm = Médiathèque de Moulins Communauté (olim Bibliothèque Municipale), Moulins

= Bibliothèque Mazarine, Parigi

bmp bncr

= Biblioteca Nazionale Centrale, Roma

= Museo storico statale, Mosca

= J. Paul Getty Museum, Los Angeles

= Real Biblioteca del Monasterio, El Escorial

= Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka, San Pietroburgo

sgs

= Stiftsbibliothek, San Gallo

= Strahovská Knihovna (Biblioteca di Strahov), Praga

skp

= Ier£ Mon» Ag…aj Aikater…nhj sto `Oroj Sin£ (Monastero di Santa Caterina), Sinai sma

= Herzog August Bibliothek, Wolfenbüttel

tbm

= Bibliothèque Municipale, Tours

hsb

= Stiftsbibliothek, Herzogenburg

ubw

= Universitätsbibliothek, Würzburg

uub

= Universiteitsbibliotheek, Utrecht

ju

= Biblioteka Jagiello ska, Cracovia

Avranches, Bibliothèque du Fonds Ancien 3: 198

= Bibliothèque Municipale, Rouen

hab

in. = ineunte

bnf

= Bibliothèque nationale de France, Parigi

kb

= Kupferstichkabinett, Berlino

= Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Milano

bnm

= Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia

km

= Kunsthistorisches Museum, Vienna

ybl

vba

= Beinecke Library, Yale

Bari, Museo Diocesano Exultét 1: 186 Benedizionale: 160, 186 Berlino, Kupferstichkabinett Sim. Heb. 70: 111 78.D.3: 242 Bordeaux, Bibliothèque Municipale 3: 199 vot 296: 186 Boston, Public Library F. Med. 1: 198 Boulogne-sur-Mer, Bibliothèque Municipale 11: 160 20: 160 Bourges, Bibliothèque Municipale 5: 223 Cambrai, Bibliothèque Municipale 553: 284 Cambridge, Corpus Christi College 2: 163 286: 115

360

Catania, Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero A.72: 242

Athos, Mon» Ib»rwn Iber. geo. 83: 70

nk

= Dublin Trinity College, Dublino

bfa

Alba Iulia (Romania), Biblioteca Batthyaneum R.II.1: 116

= Narodni Knihovna (Biblioteca Nazionale), Praga

= Museo storico-etnografico di Stato, Mest’ia (Georgia)

dtc

= Biblioteca Durazzo Giustiniani, Genova

Cambridge, University Library Ll.1.10: 140

mses

rbe

beu

Adua (Etiopia, Tegray), Monastero di Abba Garima Evangeli: 52

Cava dei Tirreni, Biblioteca della Badia 33: 218

pgm

bdg

Cambridge, Fitzwilliam Museum 251: 330

Aquisgrana, Domschatzkammer G 25: 147

mss. = manoscritti

= University Library, Cambridge

cul

= metri

mcc

Admont, Stiftsbibliothek C-D: 174

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Cap. S. Pietro A.1: 282 Arch. Cap. S. Pietro B.57: 304, 308 Arch. Cap. S. Pietro B.74: 302, 302 Arch. Cap. S. Pietro C.92: 176 Arch. Cap. S. Pietro D.153: 148, 282, 283 Arch. Cap. S. Pietro D.154: 118, 144, 144, 283 Arch. Cap. S. Pietro D.156: 286 Arch. Cap. S. Pietro E.15: 286 Arch. Cap. S. Pietro F.1: 285 Arch. Cap. S. Pietro F.2: 285 Arch. Cap. S. Pietro F.7: 285 Arch. Cap. S. Pietro F.12: 285 Barb. gr. 372: 84, 99 Barb. gr. 472: 17 Barb. gr. 549: 83, 99 Barb. lat. 482: 286, 298 Barb. lat. 525: 282, 285, 286 Barb. lat. 570: 30, 115, 140, 141, 144 282 Barb. lat. 580: 282 Barb. lat. 585: 252, 286, 300 Barb. lat. 587: 162, 174, 175, 179, 185 Barb. lat. 613: 252, 334, 334, 337 Barb. lat. 637: 118, 132 Barb. lat. 711: 147, 150, 151, 285, 286 Barb. lat. 4406: 176 Barb. or. 2: 104 Borg. ar. 95: 43, 45 Borg. arm. 36: 62 Borg. arm. 68: 63 Borg. arm. 85: 62, 63 Borg. copt. 109 cass. i fasc. 5: 39 Borg. copt. 109 cass. x fasc. 32: 39, 40 Borg. copt. 109 cass. xviii fasc. 64: 39 Borg. et. 3: 52, 52 Borgh. 25: 308

Borgh. 42: 306 Capp. Giulia XVII.2: 249 Chig. A.IV. 74: 284 Chig. A.VI. 164: 162 Chig. R.VI. 38: 84 Chig. R.VI. 44: 62 Chig. R.VII. 45: 83 Ott. lat. 58: 253 Ott. lat. 66: 25, 29, 30, 115 Ott. lat. 74: 148, 151, 283 Ott. lat. 79: 117, 125, 285 Ott. lat. 296: 162, 186, 188, 285, 290 Ott. lat. 329: 283 Ott. lat. 512: 283 Ott. lat. 2921: 286 Pal. gr. 431: 81, 88, 89 Pal. lat. 1: 321 Pal. lat. 3: 162, 174-176, 183, 185 Pal. lat. 4: 162, 174 Pal. lat. 5: 162, 174, 175 Pal. lat. 9: 283, 284 Pal. lat. 11: 284 Pal. lat. 13: 218, 218 Pal. lat. 15: 283, 284, 286, 298 Pal. lat. 23: 282 Pal. lat. 24: 25, 28 Pal. lat. 26: 286, 295 Pal. lat. 29: 286 Pal. lat. 31: 286 Pal. lat. 32: 286 Pal. lat. 36: 286 Pal. lat. 39: 162, 166 Pal. lat. 41: 257, 272, 275 Pal. lat. 46: 117, 125, 283, 285, 290 Pal. lat. 47: 119, 136 Pal. lat. 50: 116, 120, 144, 283, 285 Pal. lat. 57: 282 Pal. lat. 143: 319, 327 Pal. lat. 413: 317 Pal. lat. 497: 285 Pal. lat. 502: 285, 290 Pal. lat. 510: 285 Pal. lat. 532: 286 Pal. lat. 871: 317, 321 Pal. lat. 965: 212 Pal. lat. 1071: 224 Pal. lat. 1806: 317, 318 Pal. lat. 1877: 116 Pap. Bodmer 8: 13, 18 Pap. Hanna 1 (Mater Verbi): 13, 14, 14, 15 Pap. Vat. copt. 9: 38, 40 Reg. gr. 1: 81-83, 86 Reg. lat. 3: 198 Reg. lat. 4: 119, 137, 282, 283, 286 Reg. lat. 9: 25, 30, 36, 282, 283 Reg. lat. 10: 118, 132, 283 Reg. lat. 12: 146, 160, 160, 286, 295 Reg. lat. 15: 148 Reg. lat. 25: 316, 321, 330, 330, 332

Reg. lat. 26: 200 Reg. lat. 74: 284, 285 Reg. lat. 87: 319, 326, 338, 341 Reg. lat. 534: 199 Reg. lat. 1462: 25, 28 Ross. 131: 304 Ross. 153: 198 Ross. 183: 229, 230 Ross. 184: 149, 157 Ross. 235: 162 Ross. 254: 234, 234, 236 Ross. 255: 229, 230 Ross. 314: 307, 314 Ross. 478: 109 Ross. 553: 109, 113 Ross. 556: 109, 110 Ross. 613: 195 Ross. 616: 195 S. Maria in Via Lata, I.45: 26, 28 Stamp. Barb. AAA.IV.16: 320 Urb. ebr. 7: 110, 113 Urb. gr. 2: 83, 99 Urb. lat. 1: 254, 255, 262-264, 267 Urb. lat. 2: 254, 255, 262-264, 267 Urb. lat. 3: 117, 124, 198, 256, 284 Urb. lat. 5: 263 Urb. lat. 6: 263, 264 Urb. lat. 7: 198 Urb. lat. 8: 263 Urb. lat. 9: 255, 263, 266 Urb. lat. 10: 255, 256, 259, 261, 284 Urb. lat. 336: 256 Urb. lat. 350: 256 Urb. lat. 365: 255 Urb. lat. 387: 263 Urb. lat. 548: 255, 257, 261 Urb. lat. 588: 283 Urb. lat. 597: 307 Urb. lat. 1761: 256 Vat. ar. 13: 42, 43, 44 Vat. arm. 1: 62, 64 Vat. arm. 40: 63, 65 Vat. arm. 44: 63 Vat. copt. 9: 38, 40, 104, 105, 105 Vat. ebr. 1: 108 Vat. gr. 330: 81, 84, 85 Vat. gr. 343: 85 Vat. gr. 351: 17, 24 Vat. gr. 354: 81, 94 Vat. gr. 358: 71 Vat. gr. 364: 71, 81, 82, 89 Vat. gr. 746: 85, 99 Vat. gr. 747: 85, 99 Vat. gr. 752: 84, 99 Vat. gr. 755: 82, 85 Vat. gr. 756: 191 Vat. gr. 1158: 82 Vat. gr. 1208: 82, 94 Vat. gr. 1209: 7, 20, 82 Vat. gr. 1522: 82, 96

361


Indice dei manoscritti citati

Bibbia. Immagini e scrittura

Vat. gr. 1927: 84 Vat. gr. 2106: 81 Vat. gr. 2125: 16, 22, 83 Vat. gr. 2305: 16, 21 Vat. iber. 1: 70, 71, 71 Vat. lat. 1: 254, 255, 259 Vat. lat. 17: 199 Vat. lat. 19: 199, 204 Vat. lat. 20: 230, 230 Vat. lat. 22: 238, 239, 239 Vat. lat. 26: 239, 239 Vat. lat. 31: 228, 229 Vat. lat. 32: 284 Vat. lat. 33: 197 Vat. lat. 35: 282 Vat. lat. 36: 220, 223, 224, 225, 286 Vat. lat. 39: 220, 220, 223, 284 Vat. lat. 41: 118, 128 Vat. lat. 42: 163, 190, 193 Vat. lat. 43: 119, 137 Vat. lat. 48: 212, 213, 213 Vat. lat. 49: 212, 213, 213, 216 Vat. lat. 50: 206, 206, 252 Vat. lat. 51: 206, 206, 252 Vat. lat. 52: 305, 308 Vat. lat. 59: 305 Vat. lat. 79: 195 Vat. lat. 82: 149, 157 Vat. lat. 83: 149, 159 Vat. lat. 84: 149, 159 Vat. lat. 92: 305, 312 Vat. lat. 99: 195 Vat. lat. 113: 195, 305, 312 Vat. lat. 115: 304 Vat. lat. 119: 196 Vat. lat. 120: 196, 200 Vat. lat. 122: 195 Vat. lat. 139: 194, 200 Vat. lat. 140: 304, 308 Vat. lat. 146: 195 Vat. lat. 903: 284 Vat. lat. 998: 284 Vat. lat. 1860: 218 Vat. lat. 3281: 28 Vat. lat. 3467: 257, 272, 273, 273-275 Vat. lat. 3550: 242, 243, 244, 246, 252 Vat. lat. 3697: 338 Vat. lat. 3741: 162, 186, 187, 188, 284 Vat. lat. 3806: 25, 29, 36, 114 Vat. lat. 4216: 162 Vat. lat. 4220: 162, 174, 175, 176, 282 Vat. lat. 4221: 162, 174, 175, 180 Vat. lat. 4329: 285 Vat. lat. 5100: 285 Vat. lat. 5465: 118, 135 Vat. lat. 5697: 316, 338, 338, 339 Vat. lat. 5704: 27, 29 Vat. lat. 5729: 162, 168, 168, 170, 171 Vat. lat. 5750: 76, 77 Vat. lat. 5755: 281 Vat. lat. 5763: 25, 27 Vat. lat. 5974: 163, 190, 190, 191 Vat. lat. 6083: 162, 164 Vat. lat. 7016: 118, 134, 283, 285 Vat. lat. 7223: 26, 29 Vat. lat. 7224: 118 Vat. lat. 7225: 130 Vat. lat. 7773: 218

362

Vat. lat. 7793-7795, 7797-7799, 7801: 305 Vat. lat. 8183: 243 Vat. lat. 8523: 119, 283, 290 Vat. lat. 8701: 285 Vat. lat. 8892: 285 Vat. lat. 10220: 218, 249, 249, 302 Vat. lat. 10296: 286 Vat. lat. 10405: 162, 174, 175, 179, 181, 282 Vat. lat. 10511: 282 Vat. lat. 10644: 285 Vat. lat. 10774: 286 Vat. lat. 12958: 162, 174, 175, 183 Vat. lat. 13125: 286, 296 Vat. lat. 13191: 81 Vat. lat. 14008: 118 Vat. lat. 14175: 26, 28 Vat. lat. 14430: 242, 248, 249 Vat. sir. 1: 54, 56 Vat. sir. 13: 55 Vat. sir. 19: 56 Vat. sir. 268: 56, 58 Vat. sir. 470: 56, 61 Vat. sir. 559: 56, 61 Vat. sl. 3: 46-48, 48

Plut. 15.16: 264 Plut. 15.17: 264 Genova, Biblioteca Durazzo Giustiniani

Gerona, Biblioteca capitolare della Cattedrale 10: 230

et Universitaire (oggi Bibliothèque de Genève) Lat. 1: 174

Cod. 223: 229 Imola, Biblioteca Comunale 77: 111

Kalocsa (Ungheria), Arcivescovado

Corali 6-10: 238

382: 338 Lisbona, Arquivo Nacional Torre do Tombo CF 161: 253, 264 Lisbona, Museu Calouste Gulbenkian L.A. 193: 62 Londra, British Library Add. 5463: 140 Add. 7170: 57

El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio A.I.5: 230 G.III.23: 272

Add. 14451: 55

Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea Cl. II, 187: 81

Add. 42025: 141

Ferrara, Musei Civici di Arte Antica OA 1344: 256 OA 1346: 256

Milano, Biblioteca Trivulziana 2139: 218 Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana C 313 inf.: 55 E 147 sup.: 76 L 58 sup.: 218

Herzogenburg, Stiftsbibliothek

Cologny, Svizzera, Bodmer Museum Pap. Bodmer 5: 13 Pap. Bodmer 7: 13 Pap. Bodmer 9: 13 Pap. Bodmer 10: 13

Dublino, Trinity College 57: 115 58: 115, 140

Mest’ia (Georgia), Museo storicoetnografico di Stato 1: 70

Ginevra, Bibliothèque Publique

Imola, Museo Diocesano

Darmstadt, Universitäts-und Landesbibliothek Ms. 1948: 147

Lovanio, Katholiek Universitet, Maurits Sabbebibliotheek 1: 242

B.I.11: 218

Collegeville, Minnesota, Hill Museum and Manuscript Library Saint John’s Bible: 7

Cracovia, Biblioteka Jagiello ska RPS lat. 289: 229

Los Angeles, Paul Getty Museum Ludwig I, 14: 62

Add. 14787: 256 Add. 19352: 84, 160

Modena, Biblioteca Estense Universitaria Lat. 422: 253, 320 Lat. 423: 253, 320 Monaco (Germania), Bayerische Staatsbibliothek Clm 343: 149 Clm 4452: 147 Clm 4453: 147 Clm 4456: 148 Clm 13001: 174 Clm 14000: 148 Clm 21505: 249 Montecassino, Archivio dell’Abbazia Casin. 515: 174 Mosca, Museo storico statale Ms. D.129: 160 Moulins, Médiathèque de Moulins Communauté (olim Bibliothèque Municipale) 1: 163 Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele iii VI.B.2: 186 XV.AA.1-2: 174

Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana I.C.13: 233 Parigi, Bibliothèque Mazarine 15: 198 29: 199 Parigi, Bibliothèque nationale de France Gr. 107ABC: 29 Eth. 2: 53 Fr. 166: 330 Fr. 167: 330 Fr. 6446: 330 Fr. 9561: 242 Lat. 1: 117 Lat. 2: 119 Lat. 6: 162, 168 Lat. 20: 198 Lat. 22: 229 Lat. 40: 223 Lat. 59: 213 Lat. 61: 213 Lat. 87: 213 Lat. 91: 213 Lat. 139: 213 Lat. 156: 213 Lat. 217: 223 Lat. 232: 234 Lat. 255: 213 Lat. 276: 191 Lat. 9428: 160 Lat. 1022: 198 Lat. 5221: 212 Lat. 10428: 223 Lat. 16719-16720: 198 Lat. 16743-16746: 163 Lat. 18014: 206 Lat. 24287: 206 Nouv. Acq. lat. 1203: 116 Nouv. Acq. lat. 2557: 234 Nouv. Acq. lat. 3184: 228 Parigi, Bibliothèque SainteGeneviève 8-10: 163 Parma, Biblioteca Palatina Parm. 1654: 273

Parm. 2897: 111 Parm. 3293: 111 Praga, Klementinum Knihovna (Biblioteca del Klementinum) III.B.10: 338 XVIII.B.18: 338 Praga, Narodni Knihovna (Biblioteca Nazionale) Osek 71: 338 XB 19: 338 Praga, Strahovská Knihovna (Biblioteca di Strahov) DG.III.15: 339 Ravenna, Biblioteca Classense 595: 255 Rimini, Biblioteca Civica Gambalunga 94: 262 Roma, Abbazia di San Paolo fuori le mura Bibbia senza segnatura: 117, 176 Roma, Biblioteca Angelica 1474: 223 Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele ii Or. 55: 111 Roma, Biblioteca Vallicelliana A.43: 218 B.25/2: 176 Roma, Convento di Santa Sabina, Ms. senza segnatura: 195 Rouen, Bibliothèque Municipale 277 (Y-50): 195 Rovigo, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi 212: 218

San Gallo, Stiftsbibliothek 53: 147

Tours, Bibliothèque Municipale 558: 200

San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage O.R.N. 26: 272

Utrecht, Universiteitsbibliotheek 32: 146, 160

San Pietroburgo, Rossijskaja nacional’naja biblioteka Serie nuova, Geo. 12: 70 Sinai (Egitto), Monastero di Santa Caterina Sin. ar. 72: 43 Sin. ar. 151: 42 Sin. gr. 158: 71 Sin. gr. 172: 71 Sin. gr. 205: 71 Sin. gr. 512: 71 Sin. syr. 30: 55

Valencia, Archivo de la Catedral 119: 212 Venezia, Biblioteca del Museo Correr Cicogna 2504: 255 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Lat.Z.10: 242 Marc. gr. 1: 81 Marc. gr. 5: 81 Marc. gr. 6: 81

Sion (Svizzera), Archives du Chapitre 15: 174

Vienna, Kunsthistorisches Museum Weltl. Schatzkam. inv.-nr. XIII 18: 116

Tbilisi, Centro Nazionale dei Manoscritti di Georgia “K’orneli K’ek’eliʒe” A-89: 70 A-484: 71 A-737: 70 A-844: 70 A-1453: 70 H-999: 70 H-1660: 70 S-962: 71

Vienna, Österreichische Nationalbibliothek 485: 319, 339 1175: 319: 339 1191: 242 2052: 229 2759-2764: 318 Oppenheim Ad. 4° 78: 111 Theol. gr. 23: 81 Theol. gr. 31: 16

Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria A.II.13: 110 D.I.21: 212 D.V.32: 228 E.IV.14: 223 F.I.9: 218 F.I.10: 218 F.I.11: 218 J.I.22: 257 J.I.23: 257

Winchester, Cathedral Library s.n. (Bibbia di Winchester): 160, 163

Torino, Biblioteca Reale Var. 175: 242

Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek Weissenburg 64: 27 Würzburg, Universitätsbibliothek M.p.th.f. 62: 283 Yale, Beinecke Library 407: 252

Add. 31830: 223 Add. 47672: 242 Add. 49598: 160 Arundel 155: 160 Cotton Nero D.IV: 115, 140 Cotton Tiberius C.VI: 160

Orléans, Bibliothèque Municipale 19(16): 28 Oxford, Bodleian Library Canon. Bibl. lat. 56: 229 Canon. Bibl. lat. 59: 223 Junius 11: 160

Harley 603: 160 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Amiat. 1: 115 Plut. 1 dex. 1-3: 229 Plut. 5 dex. 1: 218 Plut. 15.15: 264

Harley 2803: 283 Harley 2804: 283 Royal 1.D.II: 84 Royal 1.D.V-VIII: 15 Royal 1.E.VI: 140

Oxford, Christ Church College 178: 198 Padova, Biblioteca Capitolare C48: 255 E2: 234

363


Indice dei nomi di persone

INDICE DEI NOMI DI PERSONE (L’indice non contiene i nomi di persone che compaiono come soggetti iconografici)

Aaron ben Gabriel 263 Abacuc 199, 308 ‘Abbas i 70 ‘Abd Allah ibn Salam 42 Adalardo 117 Adalram, arcivescovo 118 Adam von Ammergau 320 Adriano iv, Nicola Breakspear, papa 306 Aethelnoth, arcivescovo 160 Agapito da Urbino 262 Agathange de Vendôme 104 Agostino di Canterbury, santo 115 Agostino d’Ippona, santo 25, 26, 168, 235, 281, 304-306 Alawich ii, abate 148 Alba Luis de Guzmán 110 Albergati, Niccolò 252 Alberto Magno, santo 194 Alcuino di York 114, 116, 174, 284, 286, 304 Aleksandre ii, re 70 Alessandro iii (Rolando Bandinelli), papa 305 Alessandro vii (Fabio Chigi), papa 262, 319, 330, 338 Alessandro viii (Pietro Vito Ottoboni), papa 160 Alessandro di Hales 194 Alessio Comneno, imperatore 83 Alexander, Jonathan J.G. 244 Alfonso il Magnanimo, vedi Aragona, Alfonso d’ Alife, Nicolò d’ 242 Aligret, Simon 206 Ambricho, vescovo 118 Ambrogio di Milano, santo 25, 224, 235, 304 ‘Amda Seyon 53 Ammonio d’Alessandria 71 Amos 194, 198 Anba Yanus 104 Andrea l’Ebraista 308 Andrea di San Vittore 305, 306 Andrea i d’Ungheria 242 Angiò, famiglia 249 Anselmo di Laon 194, 195, 304 Ansgario di Brema 317 Aquila di Sinope 16, 17, 55, 84 Aragona, Alfonso v di 257, 263, 272 Aragona, Beatrice di 272, 273 Aragona, Ferdinando di 257, 273 Aragona, Eleonora di 272, 273 Arcuccio, Angiolillo 273 Aristotele 307 Assassino, Galeotto dell’ 253 Assassino, Marco dell’ 253 Assemani, famiglia 56 Assemani, Giuseppe 46, 47 Assemani, Stefano Evodio 47

364

Atanasio di Alessandria, santo 15 Atanasio di Frumenzio 52 Attavanti, Attavante degli 253, 262, 264 Aussenzio di Durostorum 76 Aygulphus Lambertus 198 Baldovinetti, Alessio 264 Balsac, Jeanne de 200 Balsac, Pierre de 200 Barberini, Francesco 104, 141 Barrot, Hugues 198 Bartholomew di Unckel 320 Bartolomeo di Giovanni 264 Bataillon, Louis-Jacques 194 Batthyány, Ignác 116 Bausi, Alessandro 8, 52 Beato di Liébana 146, 162 Becket, Thomas, santo 195, 305 Beda il Venerabile 304 Behlmer, Heike 38 Beissel, Stephan 220 Belbello da Pavia 9, 252, 253, 334 Belizo, copista 176 Belting, Hans 82 Bembo, Bernardo 256 Benedetto da Norcia, santo 186 Berardo da Teramo 249 Bernard de Toulouse 212 Bernardo di Chiaravalle, santo 306 Bernoardo, vescovo 148 Bessarione, cardinale 81, 252, 286 Bevilacqua, Simon 321 Bianca di Sicilia 272 Biondo, Flavio 272 Bishr al-Sirri 42 Bobrowski, Michael 47 Bodmer, Martin 13 Bogaert, Pierre-Maurice 8, 25 Bologna, Ferdinando 223 Bonaventura da Bagnoregio, santo 194 Borgia, Stefano 38, 39 Botulf, santo 160 Bracciolini, Poggio 272 Brancanti di Laurea, Lorenzo 330 Branner, Robert 195, 196, 198 Brown, Michelle 8, 30, 140 Bruno di Würzburg 149 Buchthal, Hugo 82, 191 Buzi, Paola 8, 37 Caedmon 160 Caetani da Ceccano, Annibaldo 302 Canart, Paul 84 Canmore, Malcolm 160 Canuto il Grande 160 Carafa, Diomede 272, 273 Carlo il Calvo, imperatore 117, 119, 148, 174, 176

Carlo Magno, imperatore 114-118, 147, 174, 283 Carlo iv, imperatore 318 Carlo v, re 316 Carlo vi, re 206, 330 Carlotta di Lusignano 82 Carvajal, Juan de 320 Cassiodoro 27, 29, 115 Cavallini, Pietro 242 Ceolfrid, santo 27, 141 Cenci, Cesare 234, 235 Cerchi, Enrico de’ 218 Cervini, Marcello vedi Marcello ii, papa Chavasse, Antoine 284, 285 Cipriano di Sernigi, Chimenti di 253 Cholet, Jean 218, 230 Christina, principessa 160 Cinico, Gian Marco 272, 273 Cipriano di Cartagine, santo 25, 26 Cirillo di Alessandria, santo 15 Clemente di Ocrida, santo 15, 47 Clemente vi (Pierre Roger), papa 242, 302 Clemente vii (Roberto di Ginevra), antipapa 206 Clemente viii (Ippolito Aldobrandini), papa 338 Clemente xi (Giovanni Francesco Albani), papa 198 Comminellis, Hugo de 264 Conti, Alessandro 238, 239 Contugi da Volterra, Matteo 255, 257, 284 Corsier, Jean Martin 330 Cortese, Cristoforo 255 Corvino, Mattia 264, 272 Costantino il grande, imperatore 14 Costantino vi, imperatore 42 Cristina di Svezia 25, 82, 160, 319, 330, 338, 339 Cristoforus Campanarius 196 Crivello, Fabrizio 8, 114, 146, 162 \rn/i , Ivan 47 Cureton, William 55 Dahan, Gilbert 194 Damaso i, papa 144, 168 Dandolo, Fantino 255 De la Mare, Albinia 263 Decembrio, Pier Candido 272 Della Valle, Pietro 70 Desiderio, abate 149, 162, 174, 186 Diaz Garlon, Pascasio 273 Didimo il Cieco 15 Dillmann, August 53 Dionigi Bar Salibi 56 Dold, Alban 28, 281 Domenico, presbitero 115

Drogone, vescovo 116 Dürer, Albrecht 320 Džurova, Aksinija 47 Eadui Basan, Eadui il Grasso 160 Ebbone, arcivescovo 116 Eclissi, Antonio 176 Edgar di Scozia 160 Edmund, santo 160 Edoardo l’Esiliato 160 Efrem, copista 81, 82 Efrem, santo 55 Egberto, arcivescovo 148 Eleen, Luba 198, 220 Elia, abate 186 Elia, presbitero 56 Elia, scriba 54 Eliav ben Yehudah dell’Aquila 111 Eli‘ezer ben Avraham 111 Eliyyah ben Ya‘aqov ha-Kohen 109, 110 Emanuele i, re 253, 264 Emma, regina 160 Enrico ii, imperatore 147, 148, 283 Enrico iv, imperatore 174 Enriques, Antonio Francesco 109 Epifanio lo Scolastico 29 Erbach-Fürstenau, Adalbert 223 Ermenfried di Sion 174 Esdra 26, 84, 198, 318 Este, Borso d’ 253, 255, 320 Este, Ercole d’ 272 Este, famiglia 255 Este, Leonello d’ 334 Este, Nicolò iii d’ 252, 334 Estienne, Robert 282, 307 Euripide 85 Eusebio di Cesarea 14, 15, 25, 29, 70, 71, 82, 83, 114, 168 Eustochio, vergine 28 Evans, Craig A. 194 Falluomini, Carla 8, 76 Federico, vescovo 174 Federico da Montefeltro 9, 83, 252, 253, 255-257, 262-264, 320 Federico ii di Svevia 223, 225 Felice, Matteo 257, 272, 273 Fermo, santo 220 Fieschi, Urbano 196 Filemone 56 Filip di Pade ov 319, 339 Filippo di Taranto 242 Filone di Carpasia 29 Filosseno di Mabbug 55 Filostorgio, storico 76 Fischer, Bonifatius 140 Flavio Giuseppe 306, 316, 330 Flisco, Urbanus de, vedi Fieschi, Urbano

Floro di Lione 168 Frana, miniatore 318 Francesco di Antonio del Chierico 262-264 Francesco da Bassano 53 Franciscus de, frate 197 Frere, Walter H. 284 Furtmeyr, Berthold 320 Fust, Johannes 319 Garcia, re 272 Gebhardt, vescovo 174 Gemma, vedova 111 Geremia 42, 255, 282, 307, 308 Gerone, arcivescovo 147 al-Ghazali, Abu Hamid Muhammad Ibn Muhammad At-tusi 105 Gherardo di Giovanni 262 Ghirlandaio, David 264 Ghirlandaio, Domenico 254, 264 Ghubriyal iii, patriarca 105 Gilberto Porretano 194, 305 Gilles de Loche 104 Gioacchino da Fiore 263 Giobbe 17, 27-29, 42, 176, 195 Giorgi, maestro 70 Giorgio di Napoli 243 Giorgis, copista 105 Giosuè 28, 29, 81, 175 Giotto 244 Giovanna i, regina 242, 244, 249 Giovannetti, Matteo 212 Giovanni, santo 7, 13, 15, 26, 29, 39, 70, 76, 116, 118, 144, 148, 186, 187, 190, 195-199, 254, 256, 257, 273 Giovanni, scriba 55 Giovanni ii il Buono 316, 330 Giovanni ii Comneno, imperatore 83 Giovanni Crisostomo, santo 82, 83, 308 Giovanni Damasceno, santo 46 Giovanni Esarca 46 Giovanni di Galles 194 Gioveniano, diacono 176 Giraldi, Guglielmo 255-257 Girolamo, santo 8, 16, 25-29, 83, 84, 114, 140, 141, 144, 168, 175, 223, 224, 234, 238, 243, 252, 254, 256, 257, 264, 285, 304, 306, 308, 334 Giuda 176, 195 Giulio ii (Giuliano della Rovere), papa 85 Giunta, Lucantonio di 321 Giustiniano i, imperatore 27, 229 Giustino 55 Godescalco, famulus 116 Gonzaga, famiglia 255 Gonzaga, Ludovico 257 Graf, Georg 43 Graville, Anne de 200 Graziano 200 Gregorio vii (Ildebrando di Soana), papa 174, 176 Gregorio l’Illuminatore, santo 62 Gregorio i Magno, santo, papa 27, 115, 304

Gregorio Nazianzeno, santo 104 Guglielmo ii, vescovo 174 Guglielmo di Berardo da Gessopalena 249 Guglielmo il Bretone 307 Guidalottis de Perusio, Perusini de 144 Guidantonio da Montefeltro 262 Guidi, Ignazio 43 Guidubaldo da Montefeltro 262 Guillaume, canonista 200 Guindaleri, Pietro 257 Gutenberg, Johannes 7, 9, 252, 319, 320 Guyart des Moulins 316 Hanuš di Kolovrat 338 Harun al-Rashid 42 Haya, Filippo de 218 Herle, Wilhelm von 317 Hesbert, René-Jean 284 Hiram, re 54 Hiurmin, santo 160 Hort, Fenton John Anthony 15 Hus, Jan 318, 338, 339 Iacopino d’Arezzo 334 Ibn al-)Assal, Hibat Allah 105 ibn Ishaq, Hunayn 42 Ibn al-Layth 42 Ibn al-Nadim 42 Ingeborg, regina 163 Innocenzo iii (Lotario dei conti di Segni), papa 149 Innocenzo viii (Giovanni Battista Cybo), papa 82 Ireneo di Lione, santo 15 Isaia 26, 28, 42, 76, 85, 197, 254, 304, 307 Isidoro di Siviglia, santo 27, 28, 168, 306 Ivanova-Mavrodinova, Vera 47 Jackson, Donald 7 Jagi , Vatroslav 47 Janz, Timothy J. 7, 8, 13, 81 Jean de Berry 206 Jeanne de Boulogne 206 Johannes de Yvitus 196 Johensis, scriba 223, 225 Jonatham, scriba 117 Jonathan, clericus 283 Juckel, Andreas 56 Karaman, Matteo 47 Kashouh, Hikmat 105 Ketevan, regina 70 Khadija bint Khuwaylid 42 Khul, Yovhannes 62 Kitzinger, Beatrice 8, 144 Klauser, Theodor 282-285 Koberger, Anton 320 Kurz, Josef 47 Labriola, Ada 9, 230, 262 Lacerenza, Giancarlo 8, 108 Langton, Stephen 194, 195, 282, 306, 308

Lauber, Diepold 319 Lentulo, Colantonio 272, 273 Lenzi, Giovanni 8, 54 Leone i Magno, papa 176 Leone xiii (Vincenzo Gioacchino Pecci), papa 141 Leone Marsicano 148 Leoni, Alessandro 255-257 Libanio 256 Liuthar 147, 148 Lobrichon, Guy 194 Loic, Erika 8, 168 Lollini, Fabrizio 9, 238 Lomagistro, Barbara 8, 46 Lotario, imperatore 117, 256 Lowden, John 330 Lowe, Elias Avery 26, 28 Luca, santo 7, 13, 29, 39, 63, 70, 144, 186, 187, 190, 191, 195-197, 256, 257 Luciano di Antiochia, santo 83, 84 Lucifero da Cagliari 25 Ludolfo di Sassonia 318 Ludovico il Pio, imperatore 174 Luigi ix, re 223 Luigi di Taranto 249 Maddalo, Silvia 8, 223 Maestro degli Atti 338 Maestro di Bagnacavallo 238 Maestro della Bibbia di Gerona 230 Maestro della Bibbia di Manfredi, o Maestro di Aronne 223 Maestro del Breviario francescano 252 Maestro del Codice di San Giorgio 302 Maestro Daddesco 218 Maestro del De arte venandi 223, 224 Maestro del Gaibana 234 Maestro di Imola 238, 239 Maestro di Kokkinobaphos 83 Maestro del Messale Rossell 212 Maestro della Miscellanea Krumlov (o dello Krumlov-Speculum) 316, 338 Maestro del Policratico 206 Maestro del Pontificale Dandolo 255 Maestro del Registrum Gregorii 148 Maestro della Resurrezione Cini 244 Maestro delle Rivelazioni di santa Brigida 242 Maestro del Salomone della Casanatense 242 Maestro del Salterio di Federico di Montefeltro 263 Maestro di Sant’Alessio in Bigiano 230 Maestro del Senofonte Hamilton 264 Maestro della Trinità 206 Magrini, Sabina 243 Mahsanta Maryam 53 Maimonide 308 Maître Honoré 200

Malermi, Niccolò 320, 321 Manetti, Agnolo 263, 264 Manetti, Giannozzo 252, 257, 263, 264, 272 Manfredi, Antonio 9, 334 Manfredi di Svevia 220, 223-225, 286 Mantegna, Andrea 257 Manuzio, Aldo 321 Manzari, Francesca 8, 9, 212, 218, 242, 302 Maometto 42 Marcello ii (Marcello Cervini), papa 29 Marco, santo 16, 26, 29, 37, 56, 63, 70, 82, 140, 144, 186, 187, 190, 191, 195-197, 256 Margherita, santa 160 Marone, Pietro Paolo 320 Marzi da San Gimignano, Giovanfrancesco 263 Massimiliano di Baviera 81 Massmann, Hans Ferdinand 76 Massolo, Lola 9, 249, al-Mas‘udi, Abu al-Hasan ‘Ali 42 Matilde di Canossa 174 Matteo, santo 16, 29, 70, 83, 116118, 144, 148, 186, 187, 190, 194197, 200, 212, 238, 256, 284, 308 Mattia, canonico 318 Medica, Massimo 8, 228 Medici, Cosimo il Vecchio de’ 262 Medici, Lorenzo de’ 262 Mercati, Giovanni 28 Merlant, Jacob van 316 Mesrop Mashtotz‘ 62 Metodio, arcivescovo 46, 47 Michele, monaco 81 Migazzi, Cristoforo, arcivescovo 116 Mikael, diacono 70, 71 Mik‘ayel di T‘okhat‘ 62 Mikha*il Abu Haliqah 105 Miniatore di Imola, vedi Maestro di Imola Monferrer-Sala, Juan Pedro 8, 42, 104 Monte di Giovanni 262 Montuschi, Claudia 9, 281 Morard, Martin 194 Morello, Giovanni 220 Moro, Cristoforo 256 Mosè 85, 108, 109, 168, 234, 238, 330 Mosè, abate 56 Mosè da Modena 111 Mošeh ibn Alragil, o Mosè Arragel di Guadalajara 110 Moynat, To. 198 Mtac’mideli, Eptwme 70 Mtac’mideli, Giorgi 70, 71 Müller, Monika 9, 220 Muzio di Francesco di Cambio da Teramo 249, 302 Natale de Villa Asperi 212 Neri Lusanna, Enrica 229 Neri da Rimini 238 Nicola, santo 83, 186

365


Bibbia. Immagini e scrittura

Nicola da Dresda 319 Niccolò v (Tommaso Parentucelli), papa 25, 85, 206, 252, 262, 263 Niccolò di Lira 206, 308 Niccoli, Niccolò 252 Norris, Michael B. 228, 229 Oblak, Vatroslav Ignacij 47 Octavianus Scotus 320 Odalricus 174 Oddantonio da Montefeltro 262 Ogerio, suddiacono 187 Oliba, abate 168 Origene di Alessandria 15, 17, 26, 29, 55, 83, 84, 104, 286, 304 Orimina, Cristoforo 242-244 Orlandi, Tito 39 Orofino, Giulia 8, 174, 186 Orsini, Fulvio 28 Orsini, Giovanni 242 Osea 199, 264 Otberto 160 Ottoboni, Pietro 160 Ottone ii, imperatore 146 Ottone iii, imperatore 147, 148 Pace, Valentino 8, 190, 220 Pacino di Bonaguida 218 Pannonio, Michele 253 Panormita (Beccadelli, Antonio) 272 Paolino di Nola, santo 254 Paolino Veneto 218 Paolo, santo 13, 42, 55, 187, 195, 196, 198, 200, 254, 264, 304, 305, 308 Paolo ii (Pietro Barbo), papa 253 Paolo v (Camillo Borghese), papa 82 Paolo di Tella 55, 104 Patrizio Leone 82 Pecham, Giovanni 194 Peiresc, Nicolas-Claude Fabri de 104 Peregrinus, vescovo 168 Perrenot de Granvelle, Antoine 330 Petau d’Orléans, Alexandre 160 Petr di Mladonovic 318 Petrucci, Antonello 257 Pflanzmann, Jodocus 320 Piazzoni, Ambrogio M. 7 Piccolomini, Rainerio, ministro della Tuscia 234 Pietro, santo 13, 14, 176 Pietro Cantore 194 Pietro Comestore 9, 194, 305, 306, 316, 334, 338 Pietro Lombardo 194, 253, 305-307 Pietro di Poitiers 306

366

Pio ii (Enea Silvio Piccolomini), papa 272, 320 Pio v (Antonio Ghislieri), papa 286 Pio vi (Giannangelo Braschi), papa 110 Pisanello, Antonio 253 Planisio, Matteo 243, 244, 252 Plinio 257 Policarpo, corepiscopo 55 Procolo, santo 220 Procopio di Gaza 17 Quentell, Heinrich 320, 321 Ra ki, Franjo 47 Rafa’el 111 Ragazzo, Giovanni 321 Rahlfs, Alfred 84 Raimondi, Giovanni Battista 105 Ramwoldo, abate 148 Ranaldi, Domenico 255 Ranaldi, Federico 81 Rapicano, Cola 272, 273 Rapicano, Nardo 273 Rashi ben Eliezer 308 Riccardo di San Vittore 305 Rinaldo del Bufalo, marchese 70 Roberto d’Angiò, re 242 Roberto il Guiscardo 176 Roberto di Taranto 242, 243 Rodolfo, abate 149 Rodolfo di Laon 194, 304 Rondel, Jean Guillaume 17 Rosselli, Francesco 262, 264 Rotlöw, Martin 318 Rufino di Aquileia 26 Ruggerocti de Ugorogenis, Agnese 218 Ruggerocti de Ugorogenis, Jacopa 218 Rushforth, Rebecca 160 Russi, Franco dei 255-257 Rustico, santo 220 Šabbeòay ben Mošeh 111 Šabbeòay ben Šelomoh 109, 110 Sahak catholikos 62 Salomone 13, 54, 198, 200, 257, 272 Schöffer, Peter 319 Schönsperger, Hans 320 Schreier, Ulrich 320 Scutariota, Giovanni 263 Shenute di Atripe 38 Shurgaia, Gaga 8, 70 Sigismondo di Lussemburgo, imperatore 316, 319, 338

Silvestro ii (Gerberto di Aurillac), papa 114 Simmaco l’Ebionita 16, 17, 55, 84 Sirinian, Anna 8, 62 Sisto iv (Francesco della Rovere), papa 17, 85, 252, 262 Sisto v (Felice Peretti), papa 255 Smith, Margaret 55 Smith Lewis, Agnes 55 Socrate, storico 76 Sorg, Anton 320 Sozomeno, storico 76 Speranskij, Michail Michajlovi 47 Stazio, Publio Papinio 28 Stefaneschi, Jacopo, cardinale 218, 230 Stella, Luca, vescovo 82 Stephani, M. 196 Stephanus, vedi Estienne, Robert Stejskal, Karel 338 Stirnemann, Patricia 9, 304 Stones, Alison 8, 194 Streeter, Burnett Hillman 15 Swmeon, Monaco 70 Taq’aišvili, Ekvitime 70 Tattam, Henry 55 Taziano il Siro 55 Teodolfo, vescovo 304 Teodoreto di Cirro 83 Teodoro, copista 160 Teodoro, scriba 84 Teodoro di Eraclea 76 Teodozione 16, 17, 55, 84 Teofano, imperatrice 146 Tertulliano, Quinto Settimio Fiorente 26 Theisen, Maria 9, 316, 338 Tibaldo il Grande di Champagne 306 Timoteo 195, 196 Tischendorf, Konstantin von 14 Tito 200 Toesca, Pietro 194 Tolomei, Jacopo dei 234 Tolomeo Filadelfo 7, 308 Tommaso, santo 54 Tommaso d’Aquino, santo 194, 228, 308 Tommaso Becket, santo vedi Thomas Becket Tommaso di Harqel 55 Toniolo, Federica 9, 234, 252 Torres, Ludovico de, arcivescovo 199 Toscano, Gennaro 9, 272 Toubert, Hélène 223

Traversari, Ambrogio 252 Triclinio, Demetrio 85 Tuotilo, monaco 147 Tura, Cosmè 253, 256, 257 Ubaldini della Carda, Ottaviano 255, 257 Ugo di Saint-Cher 194, 307 Ugo di San Vittore 305, 308 Ulfila, vescovo 28, 76 Urbano v (Guillaume de Grimoard), papa 318 Urbano viii (Maffeo Barberini), papa 62 Urfé, Claude d’ 200 Ursuleo da Capua, Pietro 257, 272 Vaccari, Alberto, padre 29 Vajs, Josef 47 Valier, Alessandro 255 Valier, Nadal 255 Valla, Lorenzo 272 Valois Courtenay, Caterina di 243 Vecchieti, Girolamo 105 Venceslao iv, re 318 Venturi, Adolfo 238 Vespasiano da Bisticci 256, 262264, 272 Viviano 117 Vulfila, vedi Ulfila, vescovo Wahb b. Munabbih 42 Wansleben, Johann Michael 53 Waraqa b. Nawfal 42 Wemmers, Jacob 53 Wendelin von Speyer 320 Westcott, Brooke Foss 15 Wevers, John William 84 Wigbald, prete 140, 141 Willigiso, arcivescovo 148 Wilmart, André 284 Wynrich von Wesel, Hermann 317 Yehudah ben Binyamin 111 Yishaq ben Mošeh ibn Alragil Sefardi 110 Yishaq ben Mošeh Spagnolo 110 Zaccaria di Besançon 194 Zainer, Günther 318, 320 Zambeccari, Francesco 256 Zanichelli, Giusi 234 Zeno, santo 220 Zier, Mark 194 Zoëga, Jörgen 39 Zöhl, Caroline 9, 206, 330



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.