THE BIBLE FOR KIDS

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ABRAMO ENRICO GALBIATI ANTONIO MOLINO

LA BIBBIA


1. I nomadi vivono nel deserto, ma hanno frequenti contatti con gli abitanti delle città. A loro vendono i prodotti della pastorizia, acquistando in cambio grano, orzo, olio. Quando nella Bibbia leggiamo che Abramo proveniva da Ur, non dobbiamo pensare che egli fosse un cittadino sumero o accado inserito o rinchiuso nell’amministrazione centralizzata di una grande città. La sua famiglia era estranea alla cittadinanza di Ur. II suo stile di vita esigeva spostamenti periodici con le pecore e le capre, secondo le disponibilità stagionali della steppa. La città era però il punto di riferimento per vendere i prodotti della pastorizia e acquistare il grano, l’orzo, l’olio, i recipienti di ceramica e altri prodotti dell’artigianato cittadino.

I nomadi avevano un’organizzazione autonoma, basata sulla famiglia patriarcale. Il più anziano, che noi chiamiamo patriarca, cioè capofamiglia, aveva piena autorità sulle famiglie dei figli e dei nipoti e sugli schiavi, appartenenti alla famiglia e indispensabili, come tutti i figli, per condurre il bestiame al pascolo. Era questa la loro unica ricchezza, oltre a qualche cammello e a molti asini, forti animali necessari ai trasporti, nei frequenti spostamenti delle tende e delle masserizie.

Più famiglie patriarcali, solidali per vincoli di sangue o per alleanza, formavano un raggruppamento più ampio. Di solito, all’interno di questo vasto parentado si concludevano i matrimoni, senza ricorrere a donne di altre stirpi. Possiamo così immaginare il piccolo Abramo mentre accompagna i pastori nella steppa o il padre al mercato di Ur, oppure nelle sere d’estate, seduto accanto alla sua tenda, intento ad ascoltare le storie degli anziani. Era una vita serena, a contatto con la natura della sterminata pianura, sotto il sole bruciante della lunga estate o sotto le rare piogge ristoratrici di fine inverno, quando tutta la steppa ritornava verde e miriadi di fiorellini gialli, violetti o scarlatti rivestivano di un abito fantastico quello che pochi mesi prima sembrava un deserto.

Era quindi più facile pensare a Dio, e pensarlo al di là del cielo, nelle notti stellate, immenso e senza volto, ben diverso dagli idoli che si adoravano nei templi di Ur, che talvolta venivano portati in processione per le vie della città. Abramo era predestinato a diventare “l’amico di Dio”, un uomo scelto da Dio per collaborare al suo disegno di salvezza. Forse, ancora giovane, aveva incontrato Dio in qualche modo. Forse aveva sentito una voce, diversa dal sibilo del vento, una voce che risuonava dal di dentro, la voce del Dio senza volto. O forse nella sua mente a poco a poco era maturata la domanda: “Chi è Dio?”, con il desiderio crescente di conoscere qualcosa di questo immenso mistero. E a suo tempo il Dio tanto cercato si fece conoscere.


2. Ur è il centro di una fiorente civiltà. Il commercio è molto florido e ancora oggi si può vedere la ziggurat, la grande torre costruita in onore del dio Luna. Da Ur la famiglia di Abramo si sposta a nord, verso la città di Carran.

Ur esisteva da duemila anni quando Abramo vide la luce, verso il 1800 prima di Cristo. Già tre dinastie avevano esercitato la loro supremazia sulle città circostanti. Bastava alzare gli occhi verso Ur, anche da lontano, per vedere profilarsi all’orizzonte l’enorme mole della torre a gradini, ancora oggi in piedi dopo quattromila anni a rievocare la potenza del re Ur-Nammu, che l’aveva fatta costruire in onore del dio Luna, il dio tutelare della città. Per questo motivo Ur era considerata una città santa, anche se la supremazia politica era ormai in mano ad altre città. La sua struttura urbana è meravigliosa: si elevavano grandi templi; il palazzo reale, gli edifici amministrativi e le case private erano tutti costruiti in pietra solida e a due piani; le strade erano dritte e ben tenute. Il commercio si esercitava perlopiù nei templi, dove affluivano i prodotti dell’agricoltura, favorita da una ricca rete di canali. L’Eufrate bagnava la città e vi portava imbarcazioni cariche di mercanzie provenienti fin dal golfo Persico.

La scrittura, su migliaia di tavolette di argilla, riguardava soprattutto le transazioni commerciali, perché i contratti venivano scritti e sigillati e si tenevano gli elenchi delle entrate e delle spese. Vi erano però anche testi scritti con racconti mitologici, inni e preghiere agli dei. La religione sumerica supponeva l’esistenza di moltissimi dei, rappresentati in forma umana. I principali erano: An, la personificazione del cielo; Enlil, il dio dell’aria; Enki, il dio dell’acqua e della sapienza. Altri dei erano gli astri divinizzati, il dio Luna e suo figlio il Sole, Venere, l’astro del mattino, Inanna. Vi erano poi gli dei tutelari delle diverse città, anzi ogni famiglia venerava i propri dei domestici e personali. Non esisteva invece il culto dei morti.

La famiglia di Abramo, con a capo il padre Terach, piantò le tende di tappa in tappa, accompagnata dalle greggi e dagli schiavi. Dopo aver abbandonato Ur, giunse fino a Carran. Fu un viaggio di oltre mille chilometri lungo le steppe che fiancheggiavano l’Eufrate, percorsi in uno o forse più anni di peregrinazione, senza mai interrompere il pascolo del bestiame.

Carran si trovava in un importante nodo stradale e i suoi rapporti con Ur risultano dal fatto che il dio Luna era il nume tutelare anche di Carran. Qui la famiglia di Abramo viveva ai margini della città, pascolando il bestiame nelle steppe che si estendono tra l’Eufrate e l’affluente Balich. Gli abitanti di Carran erano Amorriti, cioè della stessa gente da cui proveniva la famiglia di Abramo.


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Carran

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Egitto

3. Quando inizia la storia di Abramo, verso il 1800 a.C., in Medio Oriente vivono importanti civiltà. Ur, Carran, il paese di Canaan, l’Egitto: sono queste le tappe del lungo peregrinare di Abramo sulle strade carovaniere e le piste della steppa dove pascolavano le sue greggi. Diamo uno sguardo a questi nomi sulla carta geografica e congiungiamoli idealmente con una linea: si disegnerà una curva immaginaria, come la lama di una falce o una mezzaluna. È quella che viene chiamata la “Mezzaluna fertile”, la culla della civiltà.

Ebron

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La Mezzaluna fertile si estende tra le montagne e il deserto siro-arabico. Da una parte, troviamo la Mesopotamia, il “paese tra i due fiumi”. Questa immensa pianura, percorsa dal Tigri e dall’Eufrate, ha visto sorgere e poi fiorire i primi centri urbani, tra i quali Ur, fin dagli inizi del quarto millennio, cioè 4.000 anni prima di Cristo, seimila anni fa. Dall’altra parte, troviamo il delta del Nilo e lo stretto e lungo nastro di terra fertile, incassato tra aride alture, percorso e reso fecondo dalle piene del Nilo, che formavano l’Egitto e con esso la civiltà delle piramidi e dei grandi templi di pietra. In Mesopotamia, proprio nel paese dei Sumeri dove primeggiava Ur e dove più tardi gli Accadi ne erediteranno la cultura, 3.000 anni prima di Cristo gli uomini inventarono la scrittura, quella che noi chiamiamo cuneiforme, impressa su tavolette di argilla o su steli. Poco dopo, in Egitto fu inventata la scrittura geroglifica, scolpita sui monumenti e tracciata sul papiro. In mezzo, lungo la costa del Mediterraneo, si estendeva la terra di Canaan, cioè la Palestina e la Fenicia, il paese dove circa 1.500 anni prima di Cristo fu inventato l’alfabeto, la scrittura semplice e chiara che i Fenici insegnarono ai Greci, e questi poi a tutto il mondo occidentale. Con la scrittura nacque la possibilità di scrivere la storia: è così che noi possiamo farci un’idea del mondo in cui visse Abramo e dei paesi che questi attraversò.

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Babilonia

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Ur era stata la capitale di un grande impero dominato dall’antico popolo dei Sumeri. Al tempo di Abramo, però, altre città si disputavano il primato: Babilonia, più a nord di Ur, e poi Mari, sul corso medio dell’Eufrate, e più a est sul Tigri Assur, la città che diede il nome all’Assiria. Gli Ittiti si erano già stanziati nel centro dell’Asia Minore, ma ancora non era venuto il tempo della loro massima potenza. All’epoca già fiorivano le città costiere della Fenicia, in primo luogo Biblos, che forniva all’Egitto il legname dei cedri del Libano. In Canaan, l’ultima meta di Abramo, piccole città fortificate, tra cui Sichem, Ebron e Gerusalemme, regnavano sui territori circostanti, mentre ampio spazio restava per i nomadi, tra i quali Abramo pianterà le sue tende. Anche il deserto siro-arabico era percorso da nomadi, che gli abitanti di Ur e di Babilonia chiamavano Amurru, cioè gli Occidentali, perché li vedevano arrivare dalle steppe a ovest dell’Eufrate. Noi li chiamiamo Amorriti o, come la Bibbia, Amorrei.

Poco prima di Abramo, gruppi armati e bellicosi di Amorriti avevano conquistato le città dei Sumeri e degli Accadi e avevano costituito potenti dinastie, prima tra tutte quella di Babilonia. Qui regnerà il famoso Hammurabi, che estenderà il suo regno su tutta la Mesopotamia e farà incidere sulla pietra uno dei più antichi codici dell’umanità. Altri gruppi di questi nomadi erano invece pacifici: tra questi vi era anche la famiglia di Abramo.


Genesi 11, 27-32; 12, 1-3

4. A Carran la famiglia di Abramo si ferma per alcuni anni. Un giorno Abramo sente la voce di Dio che gli ordina: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria…». Egli obbedisce e ha inizio la storia della salvezza. Dopo mesi e mesi di viaggio, la famiglia di Abramo era giunta a Carran. La città era più piccola di Ur, ma si trovava in un incrocio di strade importanti tra la Mesopotamia e l’Asia Minore. Anche qui immense distese di prati,

o meglio di steppe, l’ideale per una famiglia di pastori. Abramo si stabilì lì con la sua famiglia, pensando di rimanervi per sempre. Dopo diversi anni, però, la voce del Signore venne a scuoterlo dalla sua quiete e a rimetterlo in cammino.

Ma prima di scoprire che cosa accadde, facciamo la conoscenza della sua famiglia. Il vecchio padre si chiamava Terach e aveva avuto tre figli: Nacor, Abramo e Aran. Questi, dopo la nascita del figlio Lot, era morto. La moglie di Nacor si chiamava Milca, cioè Regina, e la moglie di Abramo si chiamava Sarai, cioè Principessa: in seguito si chiamerà Sara.

Abramo obbedì, disponendosi al distacco dai suoi e a una partenza senza ritorno. Prestò fede alla sua promessa, ebbe fiducia in quel Dio che lo faceva partire senza dirgli dove sarebbe arrivato, credendo che quella promessa tanto grande e tanto misteriosa prima o poi si sarebbe realizzata.

A Carran, la vita dei pastori era piuttosto monotona. Due volte all’anno nasceva un agnello o un capretto e l’avvenimento più importante era la nascita dei bambini, che venivano ad allietare le tende e le baracche dei servitori. Sarai però non aveva la gioia di avere un figlio; Abramo, che avrebbe tanto desiderato un erede, ne era dispiaciuto, ma voleva ugualmente bene alla moglie.

La promessa contiene cinque punti:

Intanto il vecchio Terach era morto. Abramo viveva in armonia con il fratello e non aveva alcun motivo per separarsene. Un giorno accadde però un fatto inatteso, che cambiò completamente la sua vita. Dio chiamò Abramo e gli ordinò di lasciare il paese. In cambio gli prometteva una lunga discendenza e la sua benedizione.

Dio chiama Abramo «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».

1) Da Abramo avrà origine una discendenza numerosa che costituirà un grande popolo. 2) Abramo e i suoi discendenti avranno un particolare rapporto di amicizia con Dio. 3) Per questo rapporto Dio li benedirà. 4) Tutti i popoli avranno motivo di ritenersi felici, grazie ad Abramo e alla sua discendenza; Dio renderà cioè felici tutte le stirpi del mondo servendosi del Messia, discendente di Abramo. 5) Il popolo dei discendenti di Abramo avrà il possesso della terra dove Abramo è diretto. In questo momento solenne della storia umana Dio, con Abramo, compie il primo passo verso la salvezza e verso il Salvatore.


Genesi 12, 4-13

5. Abramo arriva nella terra di Canaan e Dio gli promette in eredità questo paese. Il patriarca costruisce un altare, ma poi è costretto a proseguire per l’Egitto, dove il faraone s’innamora di Sarai. Tornato in Canaan, Abramo si separa dal nipote Lot.

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Abramo radunò tutto il bestiame, caricò sugli asini la sua roba e le tende per il viaggio, prese con sé la moglie Sarai, i servitori con le mogli e i bambini, salutò il fratello Nacor e partì. Anche Lot, con le sue greggi e i suoi uomini, partì con lo zio, forse alla ricerca di pascoli migliori. La carovana passò a guado l’Eufrate, s’inoltrò nella pianura che oggi si chiama Siria e arrivò nella valle del fiume Giordano. Intanto Abramo aveva saputo che la sua meta era la terra di Canaan, quella che poi si chiamerà la Palestina, a ovest del Giordano. Passato a guado il fiume, Abramo infilò una strada che seguiva il corso di un torrente e s’inoltrava tra le montagne. Cominciò a salire: il Canaan è un paese montagnoso! Dopo aver sostato la notte e abbeverato il bestiame, arrivò in alto e si trovò davanti, incassata tra due montagne, l’antichissima Sichem. Nei pressi della città, stabilì il suo accampamento accanto a una quercia ed ebbe una nuova rivelazione dal Signore: «Alla tua discendenza io darò questo paese». Allora Abramo costruì un altare con un mucchio di pietre e ringraziò Dio per averlo fatto giungere alla terra promessa. Il paese era abitato dai Cananei, che occupavano le città fortificate, ma larghe zone montagnose, coperte di boschi e pascoli, erano a disposizione dei nomadi di passaggio. Abramo si spostò più a sud, sempre sulle montagne, e si fermò nella città di Betel, dove costruì un altro altare. Ma l’erba era diventata scarsa, così Abramo si spostò ancora più a sud in cerca di pascoli, nell’immensa steppa che oggi chiamiamo Negheb. Sopravvenne però la siccità. Né la pioggia di autunno né quella di primavera erano riuscite a rinfrescare la steppa e a riempire i torrenti: impossibile trovare foraggio per il bestiame. In questi casi i pastori del Negheb si spostavano verso il vicino Egitto, al riparo dalla siccità grazie alle acque del Nilo. Così fece Abramo, che fu accolto con tutti i suoi dalle guardie di frontiera. Sarai, però, fu scambiata per sua sorella; non più giovane, era ancora molto bella, come in genere le donne siriane. Perciò fu rispettosamente sequestrata e portata dal faraone, che la accolse con onore tra le sue donne. Ma il Signore decise di proteggere Sarai: il suo arrivo presso il faraone provocò una serie di malattie, tanto che il re capì che quella era la moglie di Abramo e la lasciò andare con molti doni.

Abramo tornò nel Negheb e si stabilì a Betel. Qui i pastori di Lot cominciarono a litigare con quelli di Abramo, disputandosi gli scarsi pascoli disponibili. Allora Abramo disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, perché noi siamo fratelli (cioè parenti stretti). Non sta forse davanti a te tutto il paese? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra». Lot si separò e piantò le sue tende a sud del mar Morto, dove i torrenti che vi si gettavano creavano un’oasi di grande bellezza. Lì sorgeva la città di Sodoma, famosa per i vizi dei suoi abitanti. Abramo stabilì invece le sue tende a Mamre, presso la città di Ebron.


Genesi 14

6. Una banda di uomini armati attacca Sodoma e fa prigioniero Lot. Abramo organizza un piccolo esercito, con cui insegue e sconfigge i predatori. Al suo ritorno, il sacerdote Melchisedek benedice Abramo, mentre questi gli offre dei doni. Quando Abramo si stabilì a Mamre, per mettersi al sicuro si era alleato con tre famiglie di Amorrei, di gente diversa dai Cananei e arrivata sul posto prima di Abramo. I nomi dei tre capifamiglia erano appunto Mamre, da cui prendeva nome la località, Escol e Aner.

Un giorno, mentre Abramo si trovava con i suoi alleati, dalla regione di Sodoma giunse un fuggiasco ad avvertire che laggiù vi era stata una battaglia e Lot era stato portato via con tutto il bottino di Sodoma e delle città vicine: uomini, donne, ragazzi, bestiame e oggetti preziosi. Che cosa era successo?

Al comando di Chedorlaomer, re dell’Elam, e di altri tre sovrani della Mesopotamia, una grossa banda armata aveva percorso la “via regia” da Damasco al mar Rosso, e poi si era rivolta contro Sodoma e le altre quattro città a sud del mar Morto. Aveva messo in fuga i difensori improvvisati e razziato le città indifese, portando via uomini e cose.

Abramo si sentì in dovere di soccorrere Lot. Insieme ai servitori e agli uomini dei suoi tre amici, radunò un piccolo esercito di trecentodiciotto uomini, inseguì i razziatori, appesantiti dal bottino, piombò sulla retroguardia, recuperò tutto il bottino

e, dopo un inseguimento per assicurarsi le spalle nella ritirata, ritornò vittorioso con Lot, la gente liberata e le ricchezze recuperate.

Giunto a Gerusalemme, gli andò incontro il re della città, chiamato Melchisedek, cioè “il mio re è giustizia”, portando pane e vino per un convito sacrificale dopo una cerimonia di ringraziamento a Dio per la vittoria di Abramo. Essendo anche sacerdote, benedisse Abramo con queste parole: «Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra; e benedetto sia il Dio altissimo che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Allora Abramo offrì al re-sacerdote la decima parte della ricchezza recuperata.

Poi arrivò il re di Sodoma, lieto di aver recuperato i suoi cittadini, e volendo riconoscere ad Abramo il diritto di conquista gli disse: «Dammi le persone; i beni prendili per te». Ma Abramo non volle approfittare dell’occasione e mostrò grande disinteresse. Volle però che i suoi alleati avessero la loro parte.

Quando Davide conquistò Gerusalemme, circa mille anni prima di Gesù Cristo, vi trovò la tradizione di questo fatto, che gli indigeni avevano tramandato e forse scritto (nelle città si scriveva!), e se ne appropriò con gioia. Quell’episodio dimostrava che anche Gerusalemme aveva avuto rapporti con Abramo e poteva quindi rivendicare il titolo di città santa, come Sichem, Betel ed Ebron. Come predecessore di Davide, il misterioso personaggio di Melchisedek fu considerato una figura profetica del figlio di Davide, cioè del Re Messia. Il Re Messia doveva essere come Melchisedek, re e sacerdote in eterno: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek» dice l’oracolo del Salmo 109, rivolgendosi al re messianico.


Genesi 15

7. Dio chiede un atto di fede ad Abramo, poi stringe un’alleanza con lui. Abramo prepara le vittime del sacrificio, Dio vi passa in mezzo sotto forma di fuoco. Viene così sancita la promessa della discendenza e della terra. Abramo si era mostrato due volte disinteressato: quando aveva lasciato a Lot la parte migliore e quando aveva rifiutato la ricchezza offertagli dal re di Sodoma come riconoscimento del suo diritto di conquista. Allora il Signore gli si manifestò in una visione misteriosa e gli rivolse parole consolanti: «Non temere, Abramo. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».

Ma Abramo in fondo al cuore aveva un dispiacere che non rivelava a nessuno. Neanche a Sarai, per non farla piangere. Era il dispiacere di non avere figli. Fu così che si fece coraggio e aprì il suo cuore al Signore, a Colui che già conosce ciò che sta nel più profondo di ogni uomo: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa sarà un domestico». Al che il Signore rispose con la promessa concreta di un figlio: «Uno nato da te sarà il tuo erede».

Dio condusse Abramo nella notte e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza». A questo punto la Bibbia fa un’osservazione che diventerà il punto di riferimento per tutti i credenti: «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia». Era il secondo atto di fede dopo quello che anni prima lo aveva portato ad abbandonare la casa paterna. Abramo si fida di Dio e Dio lo fa diventare “un giusto”.

Ora Dio vuole legarsi a questo giusto con un patto di alleanza. Finora si è trattato di promesse, e Abramo ha creduto. D’ora in avanti vi sarà una specie di impegno giurato, come avviene tra gli uomini quando stabiliscono tra di loro un’alleanza,

un patto di mutuo sostegno, un legame che li fa diventare solidali come membri della stessa famiglia. Dietro ordine divino, Abramo prepara il rito dell’alleanza.

Prende una giovenca, una capra e un ariete. Li immola e li divide a metà, una metà da una parte e una metà dall’altra. Immola poi una tortora e un piccione e li mette uno di qua e l’altro di là. Quindi resta in attesa, ma al calare della sera lo assale una misteriosa angoscia. È il presentimento, confermato dalla voce del Signore, che i suoi discendenti dovranno soffrire la schiavitù in Egitto. Ma è anche la promessa di una liberazione.

Ed ecco che nel buio della notte appare un globo di fuoco sospeso a mezz’aria: era il segno della presenza di Dio. Quel globo di fuoco passa in mezzo ai corpi degli animali divisi e poi scompare. Dio stesso, con quel segno, si era compiaciuto di eseguire il rito dell’alleanza.

Quella notte Abramo capì che Dio lo accompagnava e che non lo avrebbe mai abbandonato. Era un altro passo verso la salvezza: un anticipo dell’alleanza del popolo di Dio presso il Sinai al tempo di Mosè, la figura profetica della “nuova alleanza” con cui Dio avrebbe chiamato alla salvezza tutti i credenti come Abramo di ogni nazione e cultura.


Genesi 16

8. Abramo invecchia senza avere figli, perché Sarai è sterile. Tenta allora di far realizzare la promessa di Dio prendendo come seconda moglie Agar, la schiava di Sarai. Nasce Ismaele, bambino protetto da Dio. Ma non è il figlio della promessa. Come già sappiamo, Abramo aveva ricevuto da Dio la promessa di un figlio che gli avrebbe assicurato una numerosissima discendenza. Ma erano passati dieci anni da quando abitava nel paese di Canaan e la moglie Sarai non gli aveva ancora dato un figlio. Intanto i due sposi invecchiavano sempre di più, e spesso erano molto preoccupati, perché non riuscivano a capire come si sarebbe potuta avverare la promessa.

E così avvenne. Agar diventò la seconda moglie di Abramo e restò incinta. Nel clan di Abramo c’era festa e gioia, perché tutti sapevano che finalmente sarebbe nato l’erede. Ma presto cominciarono i primi malintesi e i litigi tra Sarai e Agar: da un lato, la schiava disprezzava la padrona che non aveva potuto dare figli ad Abramo; dall’altro, Sarai per rivincita maltrattava Agar. Un giorno perciò Agar ancora incinta tentò di fuggire.

Un giorno Sarai tentò di risolvere il problema. All’epoca, se una donna sposata non riusciva ad avere dei bambini, poteva offrire al marito una delle sue schiave come seconda moglie. In questo caso, quando nasceva il bambino, veniva considerato figlio della padrona, la quale lo adottava. Fu Sarai stessa che condusse da Abramo la sua schiava egiziana, Agar, dicendogli: «Forse da lei potrò avere un figlio!».

Ma un angelo del Signore le apparve e la riportò da Sarai, promettendole che Dio avrebbe protetto il bambino. Quando il piccolo nacque, nel clan vi fu una grande festa e Abramo lo chiamò Ismaele, che significa “Dio mi ha ascoltato”. Si era infatti convinto che la promessa di Dio s’era compiuta, e quando pregava diceva al Signore: «Possa Ismaele vivere davanti a te!». Ma Dio insisteva: il figlio della promessa sarebbe nato da Sarai.


Genesi 17

9. Dio ripete la sua promessa: Abramo sarà il padre di una grande discendenza. Un giorno Abramo, ormai vecchio, se ne stava solo nella sua tenda, quando sentì la voce del Signore che lo chiamava, e subito si prostrò con il viso a terra in adorazione e in ascolto. È a questo punto della storia di Abramo che appare la promessa della nascita di un figlio di Sara ormai vecchia e senza speranza.

A differenza d’Ismaele, questi sarà il figlio della promessa, nato per un intervento di Dio che ridona a Sara il suo vigore giovanile. E ancora, a differenza d’Ismaele, sarà lui l’erede delle grandi promesse fatte ad Abramo, lui che avrà come discendente il popolo di Dio. Di fronte a questa promessa, Abramo ha un momento di esitazione: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». Come a dire: “Non pretendo tanto, mi accontento di sapere che tu benedirai la discendenza d’Ismaele”.

Ma il Signore ribadisce la sua promessa e Abramo anche questa volta crede al Signore, sapendo che niente è impossibile a Dio. Questa alleanza avrà un segno impresso nella carne di ogni maschio: la circoncisione, una pratica conosciuta da diversi popoli, che consiste nel recidere una parte della pelle che copre l’estremità del membro maschile.

Nell’istituzione voluta da Dio per Abramo e per il popolo di Dio dell’Antico Testamento, la circoncisione assume un nuovo significato: quello di una consacrazione a Dio fin dai primi giorni di vita (all’età di otto giorni). A suo tempo nascerà Gesù “figlio di Abramo” e riceverà anche lui il segno della circoncisione. Ma in lui il Signore realizzerà le sue promesse. Ormai la salvezza portata da Gesù per tutti i popoli renderà inutile il segno distintivo dell’antica Alleanza.


Genesi 17

10. La promessa ad Abramo «Dio gli disse: ’Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli.

Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò… Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te…

Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovrete osservare… Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio…

Così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne… Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei‘».


Genesi 18, 1-17

11. Alle “Querce di Mamre” Abramo riceve la visita di tre viandanti e offre loro un’ospitalità generosa. È il Signore con due suoi angeli, venuto ad annunciargli il compimento della promessa. Malgrado l’età avanzata, Abramo avrà un figlio da Sara che, incredula, ride ma viene rimproverata. Dopo pranzo, i tre, accompagnati da Abramo, si dirigono verso Sodoma e Gomorra. Un giorno, mentre Abramo sedeva all’ingresso della sua tenda, in una località chiamata “Querce di Mamre”, gli si avvicinarono tre viandanti. Secondo l’uso del tempo, Abramo offrì loro un’ospitalità generosa: portò dell’acqua perché si lavassero i piedi stanchi e impolverati, li fece accomodare sotto la quercia e pregò Sara di preparare in fretta delle focacce. Poi si affrettò a far uccidere e arrostire un vitello tenero e buono. Servì loro il tutto, insieme a latte fresco e latte acido.

Al termine del pranzo, mentre Abramo stava in piedi accanto a loro, uno dei tre, che sembrava la persona più importante del gruppo, improvvisamente gli chiese: «Dov’è Sara, tua moglie?». Abramo rispose che, secondo l’uso, Sara era rimasta nella tenda per preparare il necessario per gli ospiti. L’altro allora continuò, facendogli un’inattesa promessa: «Tornerò da te fra un anno, e allora Sara avrà un figlio».

Intanto Sara, dalla tenda, stava ascoltando. Non poté trattenersi dal ridere, poiché pensava: “Ormai sono troppo vecchia per avere figli, e anche Abramo è vecchio!”. Ma il Signore – era Lui l’ospite di Abramo, nelle vesti di un pellegrino – rimproverò Sara, dicendo ad Abramo: «Perché Sara ha riso? C’è forse qualche cosa di impossibile per Dio?».

Da allora il “riso di Sara” è il simbolo della fatica dell’uomo a credere nelle promesse di Dio, quando la loro realizzazione sembra umanamente impossibile. Il rimprovero del Signore e la sua domanda «C’è forse qualche cosa di impossibile per Dio?» sono all’origine dell’umile atto di fede dell’uomo.

Dopo il pranzo offerto da Abramo, i tre viandanti si alzarono da tavola. In segno di rispetto, Abramo si offrì di accompagnarli per un tratto di strada, finché non giunsero tutti sull’alto di un colle, da dove si vedeva la valle con le città di Sodoma e Gomorra.


Genesi 18, 17-33 La preghiera di Abramo «Abramo gli si avvicinò e gli disse: ‘Davvero sterminerai il giusto assieme con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?’. Rispose il Signore: ‘Se a Sodoma troverò cinquanta giusti, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città’.

Abramo riprese e disse: ‘Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?’. Rispose: ‘Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque’. Abramo riprese ancora a parlargli e disse: ’Forse là se ne troveranno quaranta’. Rispose: ‘Non lo farò, per riguardo a quei quaranta’.

Riprese: ‘Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta’. Rispose: ‘Non lo farò, se ve ne troverò trenta’.

12. Sodoma e Gomorra sono corrotte e Dio vuole distruggerle. Prima però avverte Abramo, il quale intercede per le due città. Dio accetta di salvarle, a patto che vi si trovino cinquanta giusti, riducendo via via il numero fino a dieci. Sodoma e Gomorra erano città corrotte, dove gli uomini commettevano ogni sorta di male. Dio perciò aveva deciso di distruggerle. Mentre le contemplava dall’alto, però, pensava: “Come posso abbandonarle alla distruzione, senza dirlo prima ad Abramo, dato che gli ho promesso di farlo padre e responsabile di tutti i popoli?”. Fu così che Dio spiegò ad Abramo: «Il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave!». Abramo capì che Dio aveva deciso di distruggere le due città e che, nello stesso tempo, si aspettava qualcosa da lui. Che cosa? Che Abramo intercedesse per i peccatori. Iniziò così un bellissimo dialogo tra Dio e Abramo, una delle preghiere più antiche e commoventi.

Riprese: ‘Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti’. Rispose: ‘Non la distruggerò, per riguardo a quei venti!’.

Riprese: ‘Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci’. Rispose: ‘Non la distruggerò, per riguardo a quei dieci’. Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò».


Genesi 19, 1-29

13. A Sodoma, dove la gente è dedita al vizio, non ci sono neppure dieci giusti. La città viene perciò distrutta. Si salva soltanto la famiglia di Lot, tranne la moglie, che indugia e per questo viene trasformata in una statua di sale.

La Bibbia racconta che la moglie di Lot, contro il comando dell’angelo, si voltò a guardare la distruzione della città. Venne tramutata in una statua di sale. Questo probabilmente accadde perché la donna non si fidò dell’avvertimento di Dio e non volle abbandonare la città maledetta, finendo così per essere coinvolta nella sua distruzione.

Al termine del suo dialogo-preghiera con Dio, Abramo capì che non c’era nulla da fare. A Sodoma e Gomorra non c’erano nemmeno dieci giusti con i quali poter ricominciare. Così se ne tornò indietro, mentre i due angeli di Dio scendevano verso le città. Giunsero come pellegrini in cerca di ospitalità, ma subito gli abitanti del luogo tentarono di far loro violenza.

Li difese soltanto Lot, nipote di Abramo, che li ospitò nella sua casa. Per questo i due angeli concessero la salvezza a Lot e alla sua famiglia. Spingendolo a fuggire in fretta dalla città, gli dissero: «Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti!».

Quando il vecchio Lot fu arrivato nella vicina città di Zoar, un cataclisma accompagnato da eruzioni vulcaniche sconvolse tutta la regione. Sodoma e Gomorra, celebri per la vita gaudente e dissoluta dei loro abitanti, s’inabissarono in una profonda depressione del terreno, ancora oggi ricoperta dalle acque meridionali del mar Morto: un lago salato e senza vita, le cui sponde sono ricoperte da depositi salini.

Ancora oggi, sulle rive del lago, ci sono dei blocchi di salgemma che vengono chiamati popolarmente “moglie di Lot”. I nomi di Sodoma e Gomorra arrivano invece fino ai nostri giorni, a indicare il legame che c’è tra la corruzione e la distruzione.


Genesi 21, 1-21

14. Nasce Isacco, figlio di Abramo e di Sara ed erede della promessa. I primi litigi tra i bambini e le gelosie delle due madri obbligano Abramo ad allontanare dal clan Agar e Ismaele. Dio però protegge anche i due fuggiaschi e farà di Ismaele il capostipite di un popolo grande e valoroso. Un anno dopo, secondo la promessa di Dio, Sara partorì un figlio: Isacco. Quando questi fu svezzato, Abramo organizzò una bella festa e preparò un ricco banchetto. Intanto il bambino cresceva e spesso giocava con Ismaele, più grandicello. I normali litigi tra i ragazzi fecero però rinascere l’antica antipatia tra Sara e Agar. Tanto più che Sara temeva che con il tempo Ismaele potesse contrastare il diritto di Isacco di essere considerato l’erede e il figlio della promessa.

Sara pretese allora che Abramo scacciasse dal clan sia Ismaele che Agar. Abramo ne fu molto contrariato, perché voleva loro bene, ma un angelo del Signore lo convinse che era meglio rimandare Agar con il bambino nella sua tribù originaria, ridandole la libertà.

Malgrado la gelosia e la cattiveria umane, venivano chiarite due cose: la prima era che la promessa di Dio riguardava Isacco, il figlio nato per un miracolo e per un intervento diretto del Signore; la seconda era che il Signore avrebbe assicurato la sua benedizione anche a Ismaele. Questi infatti sarebbe divenuto padre di un altro popolo numeroso, caro a Dio e protetto da Dio.

Era ormai chiaro che anche attraverso gli avvenimenti più banali Dio svolgeva un suo disegno provvidenziale: è per questo motivo che la storia è “sacra”. Così Agar riacquistò la sua libertà e s’incamminò nel deserto, verso l’Egitto. Ma presto si smarrì.

Ed ecco che le apparve un angelo di Dio per confortarla e le disse: «Non avere paura, Agar, perché io farò del fanciullo il capostipite di una grande nazione!». Poi la guidò a un pozzo d’acqua. Ismaele crebbe e si stabilì nel deserto di Paran, divenendo un valente tiratore d’arco. Sposò un’egiziana ed ebbe dodici figli che diverranno i principi delle dodici tribù dell’Arabia del nord.


Genesi 22, 1-19

15. Il sacrificio dei bambini è un uso dei popoli cananei. Dio sottopone Abramo a una grande prova, chiedendogli di sacrificare Isacco. Abramo soffre e non capisce, eppure si mette in cammino verso il monte Moria per obbedire. Ma il Dio provvidente libera il bambino e loda Abramo per la sua grande fede.

Un giorno Dio decise di sottoporre Abramo a una grande prova di fede: gli chiese di sacrificargli il figlio Isacco. Occorre sapere che presso i popoli cananei, tra i quali era venuto ad abitare Abramo, nei momenti più gravi o più importanti della vita sociale (per esempio, quando si fondava una nuova città), per assicurarsi la protezione degli dei si offriva in sacrificio qualche primogenito.

Giunto sul monte, Abramo preparò la legna, vi distese sopra il bambino, ed ecco che, quando ormai stava per sacrificarlo, un angelo di Dio gli fermò il braccio e gli disse: «Non fare alcun male al ragazzo! Ora so che tu temi Dio… Poiché tu hai fatto questo, ti benedirò con ogni benedizione, e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo».

Ad Abramo perciò non dovette sembrare strano che Dio gli proponesse lo stesso tipo di sacrificio. Ma la sua prova era ancora più profonda e terribile: non si trattava soltanto di uccidere l’amato figlio, ma anche di far morire quel figlio su cui poggiavano tutte le promesse di Dio. Più che crudele, Dio appariva contraddittorio e beffardo. E l’avvenire diventava oscuro e incomprensibile. Ma Abramo decise comunque di obbedire.

Poi Abramo vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio e lo offrì a Dio in sacrificio. La richiesta di Dio aveva quindi lo scopo di abituare Abramo e i suoi discendenti ad avere fiducia in lui in qualsiasi circostanza, anche in quelle più strane e più dure. E con il suo intervento liberatore Dio aveva mostrato ad Abramo, e a tutti gli uomini, di non gradire affatto i sacrifici umani.

Iniziò con il figlio il lungo viaggio verso il monte Moria. Era lo stesso Isacco a portare la legna del sacrificio e Abramo lo conduceva tenendolo per mano. Il bambino sapeva che di solito si usava sacrificare un agnello, perciò ogni tanto domandava: «Dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo si sentiva piangere il cuore. Poi la sua grande fede nel Signore gli fece trovare la risposta giusta e disse: «Dio stesso provvederà l’agnello, figlio mio!».


Genesi 24

16. Abramo invia il servo più fidato a Carran, a cercare una sposa per Isacco. Vicino al pozzo, fuori dalla città, una fanciulla offre da bere al servo. Poi lo invita in casa, dove lui la chiede in moglie per il figlio del suo padrone. Avuto il consenso, la carovana riprende la strada del ritorno. È lì che avviene il primo incontro tra Isacco e Rebecca.

Isacco si ormai era fatto grande: era tempo per lui di prendere moglie. Secondo le leggi del clan, avrebbe potuto sposare soltanto una fanciulla del suo parentado. Ma Abramo, come sappiamo, aveva abbandonato la sua patria e viveva tra i Cananei.

Un giorno, perciò, chiamò il suo servo più fidato e lo inviò nel paese da cui un tempo era uscito, a cercare una sposa degna di suo figlio. Il servo prese dieci cammelli e ogni sorta di cose preziose e si mise in viaggio verso Carran, la città in cui viveva Nacor, il fratello di Abramo, con altri parenti.

Allora il servo di Abramo le offrì un pendente d’oro e due braccialetti, poi l’accompagnò fino a casa, dove si presentò a Labano, fratello di Rebecca e responsabile della famiglia.

Dopo aver raccontato del segno concessogli da Dio, la chiese in moglie per Isacco. Labano accettò ben volentieri, ma avrebbe voluto trattenerli un po’.

Fu Rebecca a rompere ogni indugio e a chiedere di partire. Accompagnata dalle sue ancelle, sui cammelli portati dal servo, iniziò il lungo viaggio verso il clan di Abramo. Giunse dopo un lungo viaggio e si fermò vicino a un pozzo che stava fuori dalle mura della città: era l’ora in cui le donne uscivano per attingere acqua. Il servo pregò Dio: «Signore, concedimi un felice incontro. Ecco, la ragazza alla quale io dirò: ‘Abbassa l’anfora e lasciami bere!’ e che mi risponderà: ‘Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere!’ sia quella che tu hai destinata a Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà al mio padrone».

Usciva allora dalla città Rebecca, nipote di Nacor e cugina di Isacco. Era molto bella e dolce di aspetto. Scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo le chiese da bere e lei gentilmente piegò verso di lui la sua anfora. Poi gli disse: «Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere». Intanto Isacco rientrava nella regione del Negheb. Uscito per svagarsi in campagna, vide arrivare Rebecca. Subito la donna chiese al servo: «Chi è quell'uomo che ci viene incontro?». «Il mio padrone» rispose il servo.

Insieme tornarono a casa, dove Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara e la prese in moglie.


17. Le piccole tribù da cui avrà origine Israele, il popolo di Dio, sono nomadi. Nei loro accampamenti, nei loro viaggi, e più tardi nella prigionia in Egitto, i capifamiglia raccontano la storia di Abramo, il loro capostipite, scelto da Dio come padre del suo popolo. I popoli pastori non usavano scrivere. Al tempo di Abramo e dei suoi primi discendenti la scrittura era stata inventata da più di mille anni, ma era usata soltanto nei templi e nei palazzi reali, per registrare costruzioni e guerre, inni agli dei e documenti amministrativi. La scrittura cuneiforme usata in Mesopotamia e la scrittura dei geroglifici egiziani erano molto difficili: una classe speciale, quella degli scribi, studiava per anni e anni per poter redigere questi documenti. Ma i bambini delle tribù di pastori non potevano andare a scuola: le ragazzine erano impegnate a curare i più piccoli e i ragazzi uscivano ben presto nella steppa con le pecore e le capre. Certamente imparavano molte cose utili per la loro vita, ma non a scrivere. Conoscevano anche delle storie. Non quelle delle città dove passavano di tanto in tanto, ma le storie della loro famiglia.

Quando la stagione delle piogge costringeva a stare raccolti all’interno delle tende, il più anziano raccontava quello che aveva sentito narrare dal padre o dal nonno. Era la storia di un grande antenato che si chiamava Abramo ed era amico di Dio. Il Signore gli aveva promesso una discendenza numerosa… “Che siamo noi!” aggiungeva con orgoglio. Non era difficile ricordare quelle storie. Quando dopo mesi o anni la carovana, sempre più numerosa per la nascita di qualche bambino, passava per gli stessi luoghi dov’erano passati i nonni e i bisnonni, i più vecchi segnavano a dito un pozzo, una grande quercia o un picco di roccia sporgente

dal suolo come un altare, e dicevano: “Di qui è passato Abramo quando andava in Egitto”. E i bambini ascoltavano a bocca aperta la storia, che avrebbero poi raccontato ai figli e ai nipoti. A raccontare le storie su Abramo non erano soltanto le tribù che poi diventeranno il popolo degli Ebrei. Anche altri popoli lo riconoscevano come un loro antenato. Gli Ismaeliti, per esempio, che attraversando il deserto incontravano il pozzo chiamato Il-vivente-che-vede e ai “perché?” dei bambini rispondevano raccontando la storia di Agar sperduta nel deserto vicino a quel pozzo, dove un angelo le aveva predetto la gloria futura di Ismaele, il bambino che Abramo aveva avuto da Agar.


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