THE VATICAN LIBRARY

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MONUMENTA VATICANA SELECTA


DALMA FRASCARELLI, ANTONIO MANFREDI, AMBROGIO M. PIAZZONI PAOLO VIAN, ALESSANDRO ZUCCARI

LA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA Introduzione di Mons. cesare pasini

Con un contributo di paolo portoghesi

Fabbrica di San Pietro in Vaticano

Musei Vaticani


Sommario

Ristampa marzo 2021 Copyright © 2015 by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Musei Vaticani, Città del Vaticano All rights reserved International copyright handled by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Prima edizione italiana settembre 2015

Redazione dei testi Jaca Book / Elisabetta Gioanola La carta alla pagina 40 è di Manuela Viscontini La carta alla pagina 305 è di Daniela Blandino

Copertina e grafica Jaca Book / Paola Forini Selezione delle immagini The Good Company, Milano

Introduzione Cesare Pasini Pag. 6

Il Salone Sistino oggi Paolo Portoghesi Pag. 308

Capitolo primo Cenni storici sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana Ambrogio M. Piazzoni Pag. 9

Capitolo quinto Da Leone xiii a Benedetto xvi: la sede attuale della Biblioteca Vaticana Paolo Vian Pag. 311

Capitolo secondo L’antica sede della Biblioteca Vaticana Antonio Manfredi Pag. 149

Note Pag. 337

Capitolo terzo Gli affreschi sistini: Stampa e legatura Grafiche Stella Srl San Pietro di Legnago (VR) marzo 2021

il programma iconografico

Dalma Frascarelli Pag. 179 Capitolo quarto Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana Alessandro Zuccari Pag. 267

ISBN 978-88-16-60647-0 Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

Indice dei nomi Pag. 347 Indice dei manoscritti, degli oggetti e degli stampati della Biblioteca Apostolica Vaticana citati Pag. 352


Introduzione Cesare Pasini

Cinquecentosettant’anni di storia: ecco il lungo percorso della Biblioteca Apostolica Vaticana attraverso i secoli, dal 1451 sino a oggi. Un periodo tuttavia breve, se paragonato all’antichità di molti fra i materiali che la Biblioteca conserva: manoscritti del primo millennio, alcuni antichi di millecinquecento o anche milleottocento anni, e monete romane o cinesi che risalgono ancora più indietro! Questo sontuoso volume, ripercorrendo la storia della Biblioteca, nel contributo di Ambrogio Piazzoni, ci permette di conoscere la lunga trama di eventi che l’hanno condotta sino a noi e i tesori di cultura che è venuta raccogliendo e che essa conserva: autentici «tesori dell’umanità», custoditi lungo i secoli a beneficio della stessa, che ancora li può conoscere, studiare, valutare e valorizzare. La sede della Biblioteca sul colle Vaticano lungo la sua storia non è sempre stata ubicata nello stesso palazzo e nelle stesse sale, anche se si è mossa in spazi fra loro vicini: ecco allora che nel volume, come a meglio specificare e conoscere quella storia, vengono scandite tre tappe e tre ambienti. Anzitutto, nel contributo di Antonio Manfredi, viene presentata la prima sede, legata ai nomi di papa Niccolò v Parentucelli (1447-1455) e di papa Sisto iv della Rovere (1471-1484), ubicata nell’antico palazzo quattrocentesco dei Papi, accessibile dal Cortile del Pappagallo e affacciata, dall’altra parte, sul lato sud del Cortile del Belvedere. È la biblioteca degli inizi, quella che, a partire dall’ambito umanistico in cui affonda le radici, imposta la sua stessa identità e la sua missione, che la caratterizzeranno sino a oggi. Segue la solenne sede del Salone Sistino, voluta da papa Sisto v Peretti (1585-1590) al piano superiore di un nuovo edificio costruito a delimitare a nord lo stesso Cortile del Belvedere. Affacciato sul Cortile ma raggiungibile dal palazzo cinquecentesco dei Papi attraverso il Cortile di S. Damaso, salendo alla prima Loggia e passando per l’attuale Galleria Lapidaria, il Salone Sistino con il suo Vestibolo e le adiacenti gallerie è rimasto continuativamente per tre secoli sede della Biblioteca, luogo di conservazione dei manoscritti e degli altri materiali e ambiente di studio per gli studiosi: un luogo in cui – come era proprio di quelle tipologie di biblioteca – il monumento, nella sua grandezza e bellezza, dovesse solennizzare il suo prezioso contenuto, essere cioè significativo anche a livello estetico. Allo splendore di questa sede sono consacrati i due contributi di Dalma Frascarelli e di Alessandro Zuccari, rispettivamente dedicati al programma iconografico degli affreschi del Salone e alla loro analisi stilistica.

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Quale terza tappa, infine, nel contributo conclusivo di Paolo Vian viene illustrata la sede attuale, dal pontificato di Leone xiii Pecci (1878-1903) sino a oggi, ubicata sia nei vari livelli dell’edificio che culmina nel Salone Sistino sia, in parte, nei due lati lunghi, orientale e occidentale, del Cortile del Belvedere. È l’ultima fase, che ha conosciuto il poderoso impulso del «papa bibliotecario», Pio xi (1922-1939), e i più recenti lavori straordinari di ristrutturazione (2007-2010) – sostenuti dal bibliotecario e archivista cardinale Raffaele Farina – sotto l’attuale pontefice, Benedetto xvi (2005-). Che cosa vogliamo lasciare al lettore che si accosta a queste pagine e, attraverso esse, alla Biblioteca Apostolica Vaticana? Anzitutto lo stupore: stupore per tutti i frammenti di verità e bellezza che sono racchiusi nei manoscritti e nei documenti d’archivio, nei volumi a stampa, nei disegni e nelle incisioni, nelle monete e nelle medaglie, e ugualmente stupore per lo splendore dell’ambiente stesso in cui questi materiali sono conservati. Fra l’altro, proprio il Salone Sistino, entrato a far parte del percorso museale durante il secolo scorso, è ultimamente tornato a uso della Biblioteca, che lo sta predisponendo, sotto la guida progettuale dell’architetto Paolo Portoghesi, quale Sala di Consultazione per gli studiosi. È una scelta coraggiosa in felice controtendenza, che consente di mettere a diretta disposizione degli studiosi nuovi spazi di consultazione a scaffalatura aperta, proprio mentre si nota la propensione – dovuta essenzialmente a motivi di risparmio sui costi di gestione – a ridurre tali spazi. Si tratta, in aggiunta, di una decisione simbolicamente significativa, con la quale si restituisce al Salone Sistino la sua originaria vocazione a essere sala della Biblioteca a effettivo servizio degli studiosi, come esprime visibilmente l’ornamentazione pittorica del Salone con i suoi riferimenti agli alfabeti, alle biblioteche, al libro delle Scritture intronizzato nei concili. Il richiamo agli studiosi e alla loro attività di ricerca mi permette di affidare a questo volume anche lo scopo di comunicare ai lettori il significato precipuo della missione e dello spirito della Biblioteca Apostolica Vaticana, che segnalavo radicato nelle sue stesse origini. E forse anche al grande significato di questa missione può estendersi lo stupore dei lettori… È, certo, una missione di servizio a quanti frequentano la Biblioteca, perché il primo nostro impegno è quello di fornire agli studiosi tutto l’aiuto e la disponibilità, che li mettano a loro agio e li favoriscano di tutte le strumentazioni adeguate e aggiornate per le loro ricerche. Ma, prima

ancora e più in profondità, come ricordavo in riferimento alla fase iniziale di vita della Biblioteca, è una missione di «umanesimo». Con questa parola indichiamo un valore non rinchiuso in un’epoca, quella umanistica, che pure ci ha aiutato a meglio identificarlo e svilupparlo. Affermiamo piuttosto due aspetti perenni della ricerca. Anzitutto facciamo presente che il punto di riferimento irrinunciabile di ogni ricerca è l’uomo, la sua razionalità, la sua realtà spirituale, la sua dignità, il suo bisogno profondo di risposte, non per restringere e limitare le tematiche e gli spazi di indagine, ma per rammentarne il punto di riferimento imprescindibile e per dare a ogni contenuto quello «spessore umano» che gli è necessario. Anzi, lo spirito umanistico si fonde con lo spirito di universalità, che apre a studiare con atteggiamento sanamente critico le differenti discipline in cui si articola il sapere – le antiche facultates in cui veniva distribuito lo studio nelle università – nelle varie lingue che ce ne hanno tramandato testimonianza. In secondo luogo la missione di «umanesimo» segnala e richiama che non può darsi autentica ricerca – qualsiasi ricerca in qualsiasi ambito – se essa non venga compiuta con pazienza e pacatezza, con la serietà di chi documenta le proprie affermazioni, verifica i dati e si rifà adeguatamente alle fonti, e con la rettitudine di chi sa umilmente mettere a confronto le proprie conquiste e sa renderle relative rispetto all’ampiezza e alla complessità dei temi affrontati. Troviamo confermata questa vocazione umanistica e universale della Biblioteca Apostolica Vaticana nelle espressioni indirizzate il 9 novembre 2010 da papa Benedetto xvi nella lettera al cardinale bibliotecario Raffaele Farina in occasione della riapertura della Biblioteca. Questa – osservava il Pontefice – «conserva, fin dalle sue origini, l’inconfondibile apertura, veramente “cattolica”, universale, a tutto ciò che di bello, di buono, di nobile, di degno (cfr. Fil 4,8) l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli; di qui la larghezza con la quale nel tempo ha raccolto i frutti più elevati del pensiero e della cultura umana, dall’antichità al Medioevo, dall’epoca moderna al xxi secolo. Nulla di quanto è veramente umano è estraneo alla Chiesa, che per questo ha sempre cercato, raccolto, conservato, con una continuità che ha pochi paragoni, gli esiti migliori degli sforzi degli uomini di elevarsi al di sopra della pura materialità verso la ricerca, consapevole o inconsapevole, della Verità». La Vaticana infatti – precisava Benedetto xvi – non è «una biblioteca teologica o prevalentemente di carattere religioso; fedele alle sue origini umanistiche, essa è per vocazione

aperta all’umano; e così serve la cultura». E proseguiva: «Tale apertura all’umano non è rivolta solo al passato ma guarda anche al presente. Nella Biblioteca Vaticana tutti i ricercatori della verità sono sempre stati accolti con attenzione e riguardo, senza alcuna discriminazione confessionale o ideologica; ad essi è richiesta solo la buona fede di una ricerca seria, disinteressata e qualificata. In questa ricerca la Chiesa e i miei predecessori hanno sempre voluto riconoscere e valorizzare un movente, spesso inconsapevole, religioso, perché ogni parziale verità partecipa della Somma Verità di Dio e ogni indagine approfondita, rigorosa, per accertarla è un sentiero per raggiungerla». Auguro a chi sfoglierà le pagine di questo volume di riconoscere e ammirare anche la «nobiltà» della ricerca che molti – studiosi che frequentano le sale della Biblioteca o ricercatori interni all’Istituzione – da secoli vi conducono.

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Capitolo primo

Cenni storici sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana Ambrogio M. Piazzoni

Gli antefatti Varie furono le raccolte di libri pontificie precedenti l’attuale Biblioteca Apostolica Vaticana e, se si precisano bene i termini, si può affermare che i papi, una biblioteca, l’abbiano sempre avuta1. La prima comunità cristiana formatasi a Roma con la predicazione di Pietro e di Paolo a partire dall’ambiente della colonia ebraica da tempo istallata nella capitale dell’Impero, così come in tante altre comunità giudeo-cristiane che costituirono la prima generazione dei credenti in Gesù di Nazareth in molte città del Mediterraneo2, aveva interesse per i libri, in particolare per quell’insieme di libri che raccoglieva la testimonianza dell’azione di Dio per il suo popolo, patrimonio della tradizione giudaica, cui vennero presto ad aggiungersi i nuovi scritti che derivavano dalla predicazione degli apostoli. Quell’interesse per la conservazione delle Sacre Scritture si accompagnò abbastanza rapidamente alla raccolta dei sempre più numerosi scritti che autori cristiani si scambiavano gli uni con gli altri, indirizzavano alle comunità sorelle, diffondevano per sostenere i credenti o per presentare ai non credenti la Buona Novella. Quei testi non circolavano nella forma allora abituale del libro, i sontuosi rotoli di papiro; si trattava di prodotti più modesti, i codici, sempre confezionati con il papiro: erano più economici, certo (e le prime generazioni cristiane non avevano grandi disponibilità di denaro), ma anche diversi, forse volutamente diversi, per differenziare il nuovo messaggio sia rispetto alla tradizione dei rotoli di cuoio della Legge mosaica sia rispetto alla letteratura pagana contemporanea3.

Tracce labili, ma non assenti, consentono di seguire questo interesse alla custodia delle testimonianze scritte che accompagnò la comunità cristiana di Roma dei primi secoli nel lento processo di strutturazione dottrinale e pastorale, nel percorso della vita cultuale e liturgica, nel desiderio di conservare la memoria storica e infine nella necessità di organizzazione anche giuridica. Con l’epoca costantiniana, all’inizio del iv secolo, e con la nuova situazione di tolleranza e libertà di cui cominciarono a godere le comunità cristiane, il vescovo di Roma Silvestro i (314-335) poté dotarsi di una specie di sede stabile, una domus situata accanto alla basilica, fatta costruire dallo stesso Costantino, dedicata al Salvatore, nucleo originario del complesso lateranense che presto si articolò con ulteriori costruzioni, oratori e monasteri, e che lungo tutto il Medioevo sarà la principale sede dei papi4. Proprio in Laterano, secondo una tradizione consolidata, a partire dalla metà del iv secolo si venne a costituire uno scrinium sanctum, una raccolta di materiale librario che aveva la duplice funzione di biblioteca (per i libri) e di archivio (per i documenti); le attestazioni in questa direzione sono certe, anche se non ancora definitivamente risolta è la questione del luogo preciso in cui avesse sede. Nei secoli successivi, si moltiplicano le testimonianze circa l’esistenza di vere e proprie biblioteche dei pontefici, che conservavano libri ma che anche ne copiavano e producevano5. Si inseguono, si completano, si intersecano, talvolta si confondono, notizie di centri scrittori e di raccolte librarie: la cosiddetta biblioteca di papa Agapito (535-536), quelle dei tempi di Gregorio Magno (590-604) e di Adriano i (772-795), con informazioni sulle loro diverse localizzazioni, mutate a seguito di crolli o

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La Biblioteca Apostolica Vaticana A pagina 8: 1. Papa Niccolò v, fondatore della Biblioteca Vaticana, circondato da libri e rappresentato, in un codice per lui realizzato, a personificare l’autore del Corpus Dionysianum, sec. xv (Vaticano latino 171, f. 138v).

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incendi con relativa perdita di documentazione, via via fino al xiii secolo, quando le prolungate assenze dei papi da Roma ebbero immediata conseguenza anche sulla mobilità dello scrinium, un tesoro che comprendeva i libri, i documenti e gli oggetti preziosi6. Spesso in occasione di tali numerosi spostamenti vennero eseguiti inventari, dei quali si hanno tracce precise ma che non ci sono pervenuti. Il più antico inventario dei libri della biblioteca papale che sia giunto a noi risale infatti al 1295, realizzato per incarico di Bonifacio viii nel primo anno del suo pontificato, e probabilmente legato al progettato, e poi realizzato, trasferimento del tesoro da Napoli, dove il papa era stato eletto, a Roma. Vi si contano molte centinaia di libri, tutti relativamente recenti (così da far supporre che l’antica raccolta di libri e documenti fosse andata in gran parte perduta all’inizio del Duecento), suddivisi in varie sezioni per argomento, e alcuni di essi sono stati individuati con precisione nell’attuale posseduto della Biblioteca Apostolica Vaticana7, come un bel De sphaera di Teodosio di Bitinia (Vaticano greco 204). I noti fatti dell’attentato di Anagni (1303), un nuovo trasferimento del tesoro a Perugia (di cui venne realizzato un inventario nel 1311, nel quale compare per esempio un manoscritto con il Trattato sulle macchine da guerra di Erone di Bisanzio, sottratto alla Biblioteca e poi rientratovi all’inizio del Seicento, Vaticano greco 1605) e soprattutto la decisione di papa Clemente v (1305-1314) di stabilirsi ad Avignone furono le cause che condussero a una parziale perdita del materiale librario, in parte trasportato ad Assisi e in parte trasferito ad Avignone nei decenni successivi8. Nella città che fu sede della curia papale fino al 1377, venne ricostituita una biblioteca, sistemata nel nuovo palazzo pontificio fatto costruire da Benedetto xii (1335-1342). Arrivò a contare 1677 codici (tutti latini), diventando una delle più grandi raccolte d’Europa. Dopo il ritorno del papato a Roma, il lunghissimo scisma d’Occidente, che per quasi quarant’anni vide papi e antipapi, anche tre contemporaneamente, contendersi il titolo e l’obbedienza della Chiesa, fece sì che anche la biblioteca avignonese andasse dispersa: parte prese le strade del castello di Peñíscola, in Spagna, insieme al papa dell’obbedienza avignonese Benedetto xiii, parte rimase ad Avignone. Solo secoli più tardi alcune centinaia di superstiti codici avignonesi, recuperati in diverse regioni d’Europa, sarebbero arrivati alla Biblioteca Vaticana. I primi pontefici eletti dopo la conclusione dello scisma, Martino v Colonna (1417-1431) ed Eugenio iv Condulmer (1431-1447), misero insieme alcuni libri che furono i soli,

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2. Teodosio di Bitinia, De sphaera, sec. x, manoscritto presente nell’inventario della Biblioteca del 1295 (Vaticano greco 204, f. 147r).

pochi, circa 350, che papa Niccolò v Parentucelli (14471455) trovò a disposizione della curia romana al momento della sua elezione. Con lui ebbe inizio la moderna Biblioteca Vaticana di cui qui ci si occupa, che dunque rappresenta solo la fase più recente di una lunga storia.

La nascita della Biblioteca Vaticana Prima di essere eletto papa, Tommaso Parentucelli, un sarzanese che aveva avuto grandi maestri, era ben noto nel mondo degli umanisti che in quei decenni stavano lasciando il loro segno profondo e indelebile nella storia della cultura occidentale. Teologo e studioso, non solo conosceva l’importanza dei libri ma aveva anche avuto una singolare esperienza, quasi di bibliotecario. A lui era infatti stato chiesto di preparare un elenco di libri che avrebbero dovuto essere raccolti per completare la dotazione di partenza della prima biblioteca pubblica moderna che Cosimo de’ Medici aveva aperto a Firenze, attorno al 1440, nel convento domenicano di S. Marco. Tale biblioteca, nucleo dell’odierna Medicea Laurenziana, si era formata a partire da un lascito dell’umanista e antiquario Niccolò Niccoli, di cui Tommaso Parentucelli era stato amico e allievo9. Nacque così il suo famoso Canone bibliografico10, una lista divisa per argomenti nella quale egli trasfuse la sua conoscenza diretta dei libri e la sua ampia cultura, non solo teologica o giuridica, ma anche letteraria e scientifica, e quegli stessi criteri saranno in seguito presi a modello anche per la costituzione di altre biblioteche in Italia, come quella del duca di Urbino o dei signori di Milano. Motivato era dunque il particolare interesse dimostrato da Parentucelli, una volta eletto Niccolò v, per la biblioteca papale. Ai 350 libri che trovò in dotazione alla curia romana, unì i circa 50 codici che costituivano la sua personale e ben curata raccolta, molto consistente allora per un privato. E decise, anzi decise formalmente per decreto, di trasformare la collezione di libri fino allora a esclusivo uso degli uffici della curia pontificia in una biblioteca che avesse come scopo «la comune utilità degli uomini di scienza», rendendola accessibile anche a lettori esterni. Non si conosce la data esatta di quella decisione, probabilmente maturata fin dal momento dell’elezione, e non ci è pervenuto un vero atto di fondazione, ma da un documento, il breve Iamdiu decrevimus11, risulta che la Biblioteca esisteva già alla data del 30 aprile 1451. La discussione sulla sua precisa data di nascita non è ancora giunta a termine, e forse non

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3. Erone di Bisanzio, Trattato sulle macchine da guerra, sec. xi, manoscritto presente nell’inventario del 1311 (Vaticano greco 1605, f.8r).

lo sarà mai perché, come spesso succede nella storia, ci sono processi in cui alcuni fatti si susseguono nella stessa direzione ed è difficile stabilire in quale preciso momento si collochi ciò che «fa la differenza», ciò che davvero «è nuovo». Nel nostro caso, si può tuttavia affermare che il processo di nascita della Biblioteca Vaticana ebbe inizio con l’elezione al pontificato di Niccolò v12. Niccolò fece preparare un luogo adatto, composto di tre ambienti realizzati al piano terreno di una nuova ala del Palazzo Apostolico che lo prolungava verso occidente, con ingresso nell’odierno Cortile del Pappagallo. Cominciò poi a raccogliere libri secondo un vasto piano che doveva permettere di costruire una vera biblioteca universale, secondo i criteri umanistici e i parametri ch’egli aveva già indicato nel suo Canone. La «universalità» doveva essere realizzata in due direzioni. Anzitutto raccogliendo libri scritti in entrambe le lingue degli studi e della cultura, cioè il greco e il latino, decisione già molto innovativa, se si ricorda che la biblioteca papale di Avignone non comprendeva nemmeno un manoscritto greco. E la seconda direzione era quella delle discipline di cui i libri si occupavano; la parola usata era facultates, lo stesso termine che indicava, ad esempio, l’organizzazione delle università, ma che venne utilizzato anche per gli argomenti dei libri. La biblioteca che Niccolò sognava avrebbe dovuto coprire «tutte le facoltà»: non doveva dunque essere una biblioteca specializzata ad esempio nella teologia o nel diritto, come erano allora le grandi biblioteche delle università, ma avrebbe dovuto riguardare tutti gli ambiti del sapere, compreso quello letterario (ad esempio con la raccolta dei classici latini e greci non cristiani) e quello scientifico (ad esempio medicina, astronomia, matematica). Per far questo il papa ordinò l’acquisizione di libri in tutti i mercati d’Oriente e d’Occidente, inviò suoi uomini di fiducia anche in lontane contrade con l’incarico di trascrivere a sue spese i libri importanti che non potevano essere acquistati, in modo che una copia potesse raggiungere Roma. Una di queste lettere di incarico è il documento datato 30 aprile 1451 cui si è già fatto cenno, ed è la lettera con cui Niccolò v presentava il suo fiduciario Enoch d’Ascoli; è stata ritrovata a Kaliningrad (l’antica Königsberg), nella Federazione Russa, ai confini dell’Europa di allora. È molto interessante per comprendere il progetto della nuova biblioteca vaticana voluta da Niccolò. «Iamdiu decrevimus – queste sono le parole d’inizio ­­–, già da tempo abbiamo deciso per decreto e ci sforziamo con grandissimo impegno affinché, per la comune utilità degli uomini di scienza (pro communi doctorum virorum commodo), ci sia

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presso di noi una biblioteca di testi latini e greci confacente all’autorità del pontefice e della sede apostolica. Possediamo ormai la maggior parte di ogni genere degli scritti in circolazione. Mancano però molti testi antichi, dispersi a causa della negligenza dei tempi che ci hanno preceduto, e per questo inviamo il nostro collaboratore con l’incarico di fare ricerche e di trascrivere i libri di ogni genere che vengano ritrovati». Il documento continua poi chiedendo che vengano mostrati tutti i libri che si posseggono in quel luogo e assicurando che tutte le spese sarebbero state a carico del pontefice. Gli sforzi di Niccolò ebbero successo: dall’inventario realizzato al momento della sua morte nel 1455 e da altre liste si contano circa 1.300 manoscritti, un terzo dei quali greci. Si trattava, in quel momento, di una delle più ricche biblioteche per qualità dei testi e della più grande d’Europa per quantità (quella dei signori di Milano a Pavia e quella dei re di Francia a Parigi avevano, ad esempio, circa 1.000 codici). Non meraviglia dunque che i dotti umanisti del tempo abbiano esaltato l’opera di Niccolò paragonandolo al re greco d’Egitto Tolomeo ii Filadelfo, fondatore della Biblioteca di Alessandria nel iii secolo prima dell’era cristiana13. Il biografo Vespasiano da Bisticci, che nell’entusiasmo esagerò i numeri, scrisse che Niccolò v aveva raccolto cinquemila volumi di tutte le facoltà, sia greci sia latini, e che dai tempi di Tolomeo non si era mai raggiunta nemmeno la metà di quel numero14. Un umanista del tempo, Teodoro Gaza, paragonò i due uomini, anche se per sostenere l’assoluta superiorità della biblioteca pontificia rispetto a quella alessandrina15. Giovanni Tortelli, che era il bibliotecario di Niccolò e insieme a lui direttamente coinvolto nel progetto di costituzione della nuova biblioteca, sottolineò sia la varietà e il crescente numero delle discipline rappresentate sia la presenza di manoscritti significativi di entrambe le grandi culture classiche come segni di una biblioteca davvero universale16. Un altro biografo, Giannozzo Manetti, scrisse che «in questo egli imitò egregiamente Tolomeo Filadelfo»17; e frequentemente, nell’ambiente degli studi della metà del Quattrocento italiano, l’iniziativa del pontefice venne lodata con entusiasmo e con richiami alle grandezze del passato classico. Questo tema letterario, nato nell’ambiente umanistico italiano, ebbe grande fortuna; venne ripreso alla metà dell’Ottocento da Georg Voigt, che attribuì allo stesso papa il desiderio «che il suo nome splendesse presso i posteri accanto a quello di Tolomeo Filadelfo e di Traiano»18; e ancora recentemente l’attività di Niccolò v è stata interpretata nella chiave di una riproposizione esplicita degli ideali di Tolomeo19.

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4. Raccolta di storici antichi (Floro, Eutropio, Ditti Cretese, Sallustio, Svetonio e altri), utilizzata da Niccolò v, sec. xiv (Vaticano latino 1860, f. 134r).

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Oltre a far raccogliere libri, Niccolò v si dedicò anche a far tradurre in latino numerose opere greche, attività questa che ancora una volta lo avvicinava, agli occhi dei contemporanei, a Tolomeo che aveva commissionato la grande traduzione in greco dell’Antico Testamento detta «dei Settanta». Anche in questo caso venne sottolineata l’importanza di quella che oggi chiameremmo la «politica culturale» del pontefice, che gli umanisti contemporanei ponevano sulla stessa strada di Tolomeo, così come lo conoscevano attraverso la Lettera di Aristea a Filocrate20, nella quale il sovrano d’Egitto era presentato con entusiasmo e rispetto come esempio di buon sovrano, saggio e amico dei saggi, capace di sognare un mondo di pace in cui le diverse culture avrebbero dovuto non solo convivere, ma partecipare insieme alla costruzione del futuro. Fra i manoscritti presenti in Biblioteca alla morte di Niccolò v, numerosi sono quelli notevoli, ma vorrei richiamare l’attenzione su tre codici, che mi sembrano significativi di altrettanti aspetti dell’attività e degli interessi di un pontefice amante degli studi, interessato allo scambio fra le culture e alla loro pacifica convivenza. Fra le moltissime tracce da lui lasciate, interessanti sono ad esempio alcune correzioni al De vita Caesarum di Svetonio nel Vaticano latino 1860, una raccolta trecentesca di testimoni importanti per la tradizione letteraria degli Epitoma de Tito Livio di Floro, del Breviarium di Eutropio e di altri classici, tra cui Ditti Cretese e Sallustio. A testimonianza dell’impegno del pontefice per la traduzione di testi greci in latino, di grande rilievo è la traduzione del De bello Peloponnesiaco di Tucidide, realizzata da Lorenzo Valla per incarico dello stesso Niccolò v, che lo aveva assunto al proprio servizio (Vaticano latino 1801)21. E infine ricordo il Vaticano latino 4071, che contiene la documentazione fatta raccogliere dall’abate Pietro il Venerabile di Cluny quando, nel secolo xii, convinto che si dovesse studiare il mondo musulmano invece che organizzare spedizioni militari, aveva commissionato la traduzione latina del Corano, che venne realizzata a Toledo22.

La riorganizzazione della Biblioteca L’interesse per la Biblioteca seguitò, anche se in modo discontinuo, fra gli immediati successori di Niccolò v, Callisto iii Borja (1455-1458), Pio ii Piccolomini (1458-1464) e Paolo ii Barbo (1464-1471), che contribuirono ad allargare la già cospicua raccolta libraria. Almeno un cenno si deve a due manoscritti fatti arrivare da Pio ii: la Geographia di Strabone

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nella traduzione latina di Gregorio Tifernate, il Vaticano latino 2051, ampiamente annotato dallo stesso pontefice mentre preparava la sua opera sull’Asia, e la traduzione latina di Iacopo di S. Cassiano della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo, il Vaticano latino 1816; entrambe erano traduzioni precedentemente commissionate da Niccolò v. Nei primi anni del pontificato di Sisto iv della Rovere (1471-1484), il pontefice francescano cui si deve la costruzione della Cappella Sistina, arrivò, tra l’altro, un’importante raccolta proveniente dal cardinale umanista francese Jean Jouffroy. L’accrescimento delle collezioni richiedeva un riordinamento e una riorganizzazione della Biblioteca, cui il papa si accinse presto con l’aiuto dell’umanista lombardo Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, riabilitato dopo alterne vicende occorse durante il precedente pontificato. Questi completò nel 1475 un inventario che registra 2545 manoscritti (1775 latini e 770 greci), un numero raddoppiato rispetto al precedente conteggio, risalente a soli vent’anni prima23. Fra di essi va anzitutto presentato uno dei codici più venerabili e importanti della Biblioteca Vaticana, il Vaticano greco 1209, il celeberrimo Codex Vaticanus o Codice B24. È il più antico codice completo della Bibbia in greco (alcune brevi parti mancanti, all’inizio e alla fine, vennero ripristinate nel xv secolo) e insieme al Sinaiticus (S) e all’Alexandrinus (A) costituisce uno dei testimoni più importanti della tradizione manoscritta biblica. Realizzato nella prima metà del iv secolo, gli specialisti discutono se in Egitto o a Cesarea di Palestina (ma questa seconda è l’ipotesi più accreditata), faceva probabilmente parte del gruppo di 50 Bibbie ordinate dall’imperatore Costantino a Eusebio di Cesarea per farne dono alle chiese di Costantinopoli, attorno al 330, impresa mai completata. Non si sa con certezza quando dall’Oriente arrivò in Occidente, ma l’ipotesi più probabile è che sia stato portato in Italia dalla delegazione greca (tra cui erano, con l’imperatore Giovanni viii Paleologo, i cardinali Bessarione e Isidoro Ruteno) al Concilio di Firenze del 1438-1439 per farne dono al pontefice Eugenio iv; è possibile che abbia dunque fatto parte della dotazione originaria della Biblioteca, ma la prima attestazione esplicita in positivo della sua presenza è del 1475. Faceva parte della Biblioteca anche la collezione di libri classici che Jean Jouffroy aveva recuperato nei monasteri francesi, in particolare a Corbie, e che comprendeva alcuni codici di età carolingia come il Vaticano latino 3864, uno fra i più importanti testimoni del De bello Gallico di Giulio Cesare, contenente anche testi di Plinio e una silloge dei discorsi di

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Alle pagine precedenti: 5. Tucidide, De bello Peloponnesiaco, tradotto in latino da Lorenzo Valla per incarico di Niccolò v, con sottoscrizione autografa del traduttore, sec. xv (Vaticano latino 1801, f. 184r). 6. Inizio della traduzione in latino del Corano, testo preparatorio raccolto da Pietro il Venerabile di Cluny, sec. xii (Vaticano latino 4071, f. 23v).

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7. Inizio della Genesi nel Codex Vaticanus (B), sec. iv, presente in Biblioteca Vaticana almeno dal 1475; questa, e altre fra le prime pagine del volume andate perdute, furono ripristinate nel sec. xv (Vaticano greco 1209, p. 1). 8. Prologo del Vangelo secondo Giovanni nel Codex Vaticanus (Vaticano greco 1209, p. 1349).

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9. Fine della Lettera ai Romani e inizio della Prima lettera ai Corinzi nel Codex Vaticanus (Vaticano greco 1209, p. 1461).

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Sallustio dalle Historiae, che come si sa sono andate quasi del tutto perdute; il Vaticano latino 3872, che trasmette le Declamationes di Seneca il retore, meno diffuso del più illustre figlio Seneca, il filosofo e drammaturgo; il Vaticano latino 266, bella silloge teologica di testi di sant’Ambrogio. Non si può poi dimenticare la presenza, nell’inventario del 1475, del Vaticano latino 3867, il celebre «Virgilio romano» realizzato a Roma alla fine del v secolo, che raccoglie Ecloghe, Georgiche ed Eneide con 19 illustrazioni (erano 42 in origine) molte delle quali a piena pagina25, né del Vaticano latino 3868, che riporta le Commedie di Terenzio, realizzato attorno all’835 nell’abbazia di Corvey in Westfalia per la corte di Ludovico il Pio, con 150 illustrazioni che si richiamano a modelli antichi26. Fra i codici medievali che si trovavano allora in Biblioteca, di particolare momento è il Vaticano latino 39, un Nuovo Testamento della metà del secolo xiii, realizzato probabilmente in Italia meridionale nell’ambiente culturale che faceva capo a Federico ii, abbondantemente miniato con uno stile vivace ed espressivo27. Fra i codici non antichi ma realizzati allora, è da ricordare un bellissimo Aristotele latino, il Vaticano latino 2094, autografo di Teodoro Gaza che traduce e dedica a Sisto iv alcune opere del filosofo greco (De historia animalium, De partibus animalium, De generatione animalium) e uno splendido manoscritto, quasi emblematico della Vaticana del momento, il Vaticano latino 2044, con le Vite dei romani pontefici, opera di Bartolomeo Platina, scritto e ornato dal migliore dei copisti e miniatori allora a servizio della Biblioteca, Bartolomeo Sanvito. Era da poco terminata la redazione dell’inventario (ma se ne trova traccia in una aggiunta successiva), quando fece il suo ingresso in Vaticana uno dei codici più noti fra quelli prodotti nello scriptorium dell’abbazia di Montecassino sotto l’abate Desiderio, futuro papa Vittore iii, nel secolo xi: un Lezionario delle feste dei santi Benedetto, Mauro e Scolastica, riccamente illustrato e realizzato in elegante e regolare scrittura beneventana (Vaticano latino 1202)28. Nel medesimo anno in cui veniva completato l’inventario, Sisto iv diede corpo al suo progetto di riorganizzazione della Biblioteca con un documento ufficiale, la Bolla Ad decorem militantis ecclesiae29 (datata 15 giugno 1475, ma che ebbe anche una seconda redazione nel 1477), con cui decretò rendite stabili e personale adeguato, confermando nel ruolo di bibliotecario il Platina, al quale si affiancavano tre assistenti e un legatore. A lungo si è ritenuto questo come il documento ufficiale di fondazione ma si trattava solo di una riorganiz-

zazione, anche se molto significativa, di un’istituzione già esistente, che entrava nel programma di rinnovamento che il papa stava applicando anche ad altri uffici della curia romana: il bibliotecario succedeva ad altri che lo avevano preceduto anche se con un titolo meno formale, e il gruppo che gli venne messo accanto costituì certo un miglioramento importante per il funzionamento della Biblioteca, ma di una biblioteca che già esisteva30. Il documento ne esprime bene, riprendendo anche il pensiero di Niccolò v, le finalità: «A decorem militantis Ecclesiae, fidei catholicae augmentum, eruditorum quoque ac litterarum studiis insistentium virorum commodum et honorem». Anche la sede venne ampliata, con l’aggiunta di un’ulteriore sala, e dall’inventario topografico realizzato sei anni più tardi risulta che i libri erano disposti, con uno schema analogo a quello già in uso ai tempi di Niccolò v, per facultates e per auctores, cioè per materie e per autori. Il medesimo inventario del 1481 indica che i volumi erano cresciuti di ulteriori 1.000 unità (fra cui si segnala il Vaticano ebraico 21, un Pentateuco in 5 tomi), raggiungendo il numero di 3.500 manoscritti, indubbiamente la più grande collezione allora esistente; particolare non di scarsa importanza è il fatto che la Biblioteca era aperta al prestito dei libri, e sono ancora conservati i registri per gli anni dal 1475 al 154731. Agli ultimi anni del pontificato di Sisto iv risalgono anche le prime notizie dell’arrivo in Vaticana di libri a stampa, originariamente conservati insieme ai manoscritti ma guardati con un certo distacco, se non addirittura con sospetto; documentati sono gli incunaboli del cardinale Ferry de Clugny, già vescovo di Tournai, giunti – insieme ai suoi manoscritti – subito dopo il 148332. Esistono anche indizi circa qualche stampato che non venne conservato in Biblioteca dopo essere stato utilizzato per trarne una copia manoscritta, ritenuta di maggior pregio e più degna della raccolta33.

Il consolidamento e la nuova sede Nel ventennio successivo alla morte di Sisto iv, i papi si interessarono della raccolta libraria piuttosto indirettamente, nominando bibliotecari di loro fiducia. Innocenzo viii Cibo (1484-1492) incaricò della guida della Biblioteca Cristoforo Persona e poi Giovanni Lorenzi, entrambi rappresentanti del mondo degli studi umanistici, confermando la continuità con gli orientamenti culturali dei predecessori, mentre il pontefice spagnolo Alessandro vi Borja (1492-1503) nominò

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10 a-b. Titiro e Melibeo, Ecloga i delle Bucoliche nel Virgilio romano, sec. v (Vaticano latino 3867, f. 1r), totale e particolare.

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11 a-b. Immagine dell’autore nel Virgilio romano (Vaticano latino 3867, f. 14r), particolare e totale.

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12. Scene di vita campestre nel Virgilio romano (Vaticano latino 3867, ff. 44v-45r).

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13. Immagine di Terenzio all’inizio del volume che raccoglie le sue Commedie, sec. ix (Vaticano latino 3868, f. 2r).

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14. Maschere per il teatro (Vaticano latino 3868, f. 3r).

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15. Gesù accanto e sulla croce illustra il Vangelo secondo Luca nel Nuovo Testamento del sec. xiii (Vaticano latino 39, ff. 64v-65r).

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16. L’inizio della conversione, sulla via di Damasco, di Saulo che viene poi condotto in città, e il suo battesimo, episodi che ornano gli Atti degli Apostoli (Vaticano latino 39, ff. 91v-92r).

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Alle pagine seguenti: 17. Pagine di apertura del Codex Benedictus: ai piedi dell’abate Desiderio che offre il volume a san Benedetto sono ammassati i libri fatti realizzare per dotare le chiese e la biblioteca dell’abbazia di Montecassino (Vaticano latino 1202, ff. 1v-2r).

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18. Scene della vita di san Benedetto nel Codex Benedictus realizzato a Montecassino nella seconda metà del sec. xi (Vaticano latino 1202, f. 72r). 19. Levitico, da un Pentateuco ebraico presente in Biblioteca fra le prime collezioni orientali, sec. xiv (Vaticano ebraico 21, f. 143r).

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20. Raccolta di scritti matematici realizzata in area bizantina, sec. ix-x (Vaticano greco 218, f. 196r). Alle pagine seguenti: 21. Plauto, Commedie, sec. x, con inserti del sec. xvi realizzati e incollati in omaggio a Leone x (Vaticano latino 3870, ff. 1v-2r).

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tre suoi conterranei, Pere García, Juan Fuensalida e Gaspar Torrella, che avevano una preparazione di tipo universitario più tradizionale34. Al nipote di Sisto iv, Giulio ii della Rovere (1503-1513), si deve l’avvio del progetto architettonico del Belvedere, su cui affacciavano le finestre della Biblioteca, che avrebbe reso monumentali i terrazzamenti del colle di S. Egidio, a nord del Palazzo Apostolico. L’architetto urbinate Donato Bramante fu incaricato della progettazione, oltre che della nuova basilica di S. Pietro, del collegamento tra il complesso del Palazzo Apostolico, che comprendeva ormai anche la Torre Borgia e la Cappella Sistina, e il palazzetto del Belvedere fatto costruire da Innocenzo viii all’estremità settentrionale del colle. In uno spazio largo 90 metri e lungo oltre 300, con un dislivello di circa 25 metri, Bramante progettò un cortile su tre livelli, fra loro raccordati da scalinate, chiuso da una cornice monumentale con logge e porticati e da due lunghi bracci. Il livello più basso (oggi Cortile del Belvedere), chiuso nel lato meridionale da un emiciclo, fungeva da ingresso ed era utilizzato – secondo l’uso delle corti rinascimentali – come luogo di feste e di tornei; a quello intermedio (oggi Cortile della Biblioteca) si accedeva attraverso una grande scalea a gradoni bassi e da lì si proseguiva, salendo una scalinata ancora esistente, al terzo livello (oggi Cortile della Pigna) disposto a giardino. Il progetto fu realizzato solo in parte da Bramante; il completamento avverrà, con la costruzione del braccio occidentale e con altri interventi, a opera di Pirro Logorio, durante il pontificato di Pio iv Medici (1559-1565). Giulio ii accrebbe anche la dotazione di libri della Biblioteca, così come fece il successore Leone x de’ Medici (1513-1521), durante il cui pontificato un nuovo inventario venne realizzato da Zanobi Acciaioli, che contò circa 4.100 volumi35. Lo stesso pontefice (anche prima di essere eletto) aveva portato da Firenze a Roma alcuni suoi manoscritti, fra cui di grande importanza è il Vaticano greco 218, realizzato in area bizantina nel secolo ix-x, l’unico manoscritto anteriore alla metà del Cinquecento che ci abbia tramandato la Collectio mathematica di Pappo, un matematico greco di Alessandria del tempo di Diocleziano, il cui valore venne riconosciuto solo alla fine del xvi secolo dopo che il testo venne tradotto in latino. L’opera di Pappo fu studiata da matematici come Pierre de Fermat e risultò fondamentale per la scoperta del metodo analitico che sarà alla base della geometria di Descartes. Fra gli ultimi arrivati compaiono anche codici interessanti, come il Vaticano latino 3870 del secolo x, proveniente dalla Germania, contenente 16 Commedie di Plauto, che in età ottoniana erano

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state raccolte insieme a mo’ di corpus. Il codice, scoperto a Colonia nella prima metà del Quattrocento da Nicola Cusano, incaricato dal cardinale Giordano Orsini, gran collezionista di libri, a Roma venne visto da Poggio Bracciolini che ne compì una revisione e servì da esemplare per tutti i successivi codici plautini. Dopo complicate vicende testamentarie, il libro arrivò ai Canonici di S. Pietro, i quali ne fecero omaggio a Leone x, conoscendo la sua passione per i manoscritti e per il teatro antico. In quell’occasione il volume, che aveva l’aspetto austero dei codici della sua epoca, venne abbellito con una ricca decorazione rinascimentale, che comprende anche lo stemma del papa, realizzata su strisce di pergamena poi incollate sui margini di due fogli iniziali. Entrò in quegli anni in biblioteca anche un notevole Pentateuco manoscritto in tre lingue (ebraico, aramaico, arabo) in scrittura samaritana, del xiv secolo, oggi Vaticano samaritano 1, che era stato da qualche anno preceduto da un interessante stampato del 1516, un Salterio in cinque lingue (ebraico, greco, arabo, caldeo, latino), esemplare di dedica alla Vaticana tirato a Genova su pergamena. Nel 1527 Roma subì un terribile e sanguinoso saccheggio a opera delle milizie imperiali lanzichenecche di Carlo v, in quel momento in guerra contro papa Clemente vii de’ Medici (1523-1534). Dal confronto tra l’inventario fatto realizzare dal pontefice nel 1533 a Fausto Sabeo e Niccolò Maiorano con il precedente del 1521, risulta che la biblioteca subì solo lievi danni, anche se alcuni codici andarono perduti e tutte le legature pregiate vennero tolte dai libri per recuperarne pietre preziose e decorazioni in argento36. Nel corso del Cinquecento la raccolta continuò ad essere incrementata con manoscritti e anche con molti libri a stampa, che ormai costituivano il modo normale di diffusione della cultura in Occidente. Questi ultimi entrarono tuttavia lentamente in Biblioteca; considerati come libri di minor pregio, forse non tutti vennero originariamente registrati negli inventari e si è calcolato che prima del Sacco di Roma i libri a stampa non costituissero più del 3% della collezione37. La quantità sempre maggiore di volumi richiese l’adozione di un nuovo sistema che ne rendesse più agevole l’identificazione e il reperimento; e ciò trovò riscontro in un nuovo inventario in cui compare anche l’indicazione delle collocazioni dei libri, realizzato da Ferdinando Ruano tra il 1549 e il 155538 mentre responsabile della Biblioteca era Marcello Cervini, che ebbe per primo il titolo di cardinale bibliotecario e che poi divenne papa Marcello ii (1555), assistito da custodes e scriptores.

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Alle pagg. 40-41: 22. Salterio in cinque lingue (ebraico, greco, arabo, caldeo, latino) pubblicato a Genova nel 1516 (Membranacei.ii.5, antiporta e frontespizio.

23. Pentateuco in tre lingue (ebraico, aramaico, arabo) in caratteri samaritani, sec. xiv (Vaticano samaritano 1, f. 20r).

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In quel periodo, il Vaticano greco 190, un codice del secolo ix, realizzato probabilmente a Costantinopoli e contenente gli Elementa e i Data di Euclide e il Commento alle Tavole astronomiche facili di Tolomeo di Teone, si trovava alla Vaticana, dove venne aggiunto un indice redatto da Giovanni Onorio da Maglie che appunto alla Vaticana lavorava. Negli stessi anni arrivò anche il Vaticano arabo 368, del secolo xiii, uno dei rari esempi di manoscritto islamico illustrato, che narra la storia del contrastato amore del mercante Bayad e della bella schiava Riyad, e poco più tardi, nel 1558, arrivarono anche i manoscritti e gli stampati appartenuti all’umanista marchigiano Angelo Colocci. I libri a stampa cominciarono ad essere separati dai manoscritti e già nel 1574 il custode Federico Ranaldi accennava a una «cameretta delli libri stampati»39. Di particolare interesse per comprendere l’atteggiamento dei bibliotecari della Vaticana nei confronti dei libri a stampa è una memoria anonima del 1580, redatta durante il pontificato di Gregorio xiii Boncompagni (15721585), con il progetto di un trasferimento della Biblioteca: vi si prevedeva che i manoscritti fossero conservati in armadi chiusi e trattati come «reliquie», e gli stampati in scaffali aperti, posti alla libera consultazione dei frequentatori40. Questi ultimi erano, nel 1585, circa 3.500 volumi. Nella seconda metà del secolo xvi, la Biblioteca aveva raggiunto un’invidiabile stabilità: era una delle poche istituzioni della curia romana ad avere la guida permanente di un cardinale, godeva di ampio prestigio come luogo di studio e di ricerca, di cui si era potuta sperimentare l’importanza nelle grandi imprese di edizione di testi antichi e anche in occasione dei dibattiti che avevano accompagnato la riforma cattolica e il Concilio di Trento e infine era la raccolta di libri più imponente e importante del mondo. Lo spazio destinato alla Biblioteca Vaticana non era più sufficiente e alcuni progetti vennero messi allo studio. Si concretizzarono con Sisto v Peretti (1585-1590) che, riprendendo idee elaborate durante i pontificati precedenti, incaricò l’architetto ticinese Domenico Fontana di disegnare e realizzare una nuova e più ampia sede per la Biblioteca. Nel nuovo edificio, rapidamente costruito tra il 1587 e il 1589 sulla grande scalea bramantesca che divideva i due livelli inferiori del Belvedere, ha sede ancora oggi la Biblioteca Apostolica Vaticana.

L’arrivo delle grandi collezioni Con la nuova sede, venne avviata anche la grande opera di catalogazione sistematica condotta dai Ranaldi, una vera dina-

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stia di scriptores e di custodes che operarono nella Biblioteca per quasi un secolo. Nel frattempo altri manoscritti vennero ad accrescere il patrimonio della Vaticana, e talvolta furono acquisite intere raccolte, come quelle personali dei cardinali Guglielmo Sirleto (arrivata in parte nel 1585) e Antonio Carafa (arrivata nel 1591), che comprendeva anche una notevole Bibbia illustrata, detta di Matteo Planisio, realizzata nella prima metà del Trecento nella Napoli della corte angioina e già appartenuta al cardinale bibliotecario Alfonso Carafa (Vaticano latino 3550). Particolarmente interessante fu il lascito testamentario di Fulvio Orsini, arrivato nel 1602, perché il testatore, bibliotecario dei Farnese e dotto erudito di antichità, aveva raccolto una straordinaria biblioteca personale, che comprendeva anche, ad esempio, il notissimo autografo del Canzoniere di Francesco Petrarca (Vaticano latino 3195), che documenta il lavoro di rifinitura che l’autore dedicò fino alla vigilia della morte alle sue rime in volgare e contiene, alternate, la scrittura del poeta e quella di Giovanni Malpaghini, incaricato di alcune trascrizioni. Tra i manoscritti lasciati da Fulvio Orsini era anche un lussuoso codice prodotto a Roma attorno all’anno 400 in bella scrittura capitale rustica e con una cinquantina di miniature che illustrano opere di Virgilio. Si tratta del noto «Virgilio vaticano», oggi Vaticano latino 322541, che originariamente doveva contenere le Ecloghe, le Georgiche e l’Eneide ma che nei 75 fogli superstiti conservati riporta frammenti sparsi (tra Georg. 3, 1 ed En. 9, 895). L’Orsini lo aveva acquistato da Pietro Bembo (1579), il codice era prima stato visto e studiato da Raffaello e dalla sua cerchia (1514) e le sue tracce risalgono fino a Tours, dove si trovava in epoca carolingia. È un manoscritto giustamente celeberrimo perché costituisce il miglior esempio superstite di illustrazione tardoantica di un’opera classica e uno dei più antichi testimoni del testo virgiliano. Sempre per rimanere con il poeta di Mantova, si deve ricordare il Vaticano latino 3255, un piccolo codice realizzato nella cerchia di Pomponio Leto che contiene le Georgiche e altri testi virgiliani accompagnati da annotazioni di carattere esegetico, antiquario, storico, geografico, per lo più tratte da fonti antiche, e che rappresenta un buon esempio dell’erudizione romana tra Quattro e Cinquecento. Ancora fra i codici di Orsini non si può infine dimenticare il cosiddetto «Terenzio bembino», il Vaticano latino 3226, scritto in capitale rustica nei secoli iv o v, di piccolo formato ma di grande importanza, poiché contiene il più attendibile testo delle Commedie di Terenzio. Oltre ai manoscritti, la biblioteca di Fulvio Orsini comprendeva anche un cospicuo numero di libri a stampa, che andarono ad aggiungersi ai circa 4.000

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24. La dimostrazione del teorema di Pitagora in Euclide, Elementa, sec. ix (Vaticano greco 190, f. 39r). 25. Il narratore e gli ascoltatori della novella Gli amori di Bayad e Riyad, raro manoscritto arabo illustrato, sec. xiii (Vaticano arabo 368, f. 10r).

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26. La creazione del mondo e l’inizio della storia dell’umanità miniate da Cristoforo Orimina nella Bibbia di Matteo Planisio, sec. xiv (Vaticano latino 3550, f. 5r). 27. Autografo del Canzoniere di Francesco Petrarca, con scrittura dell’autore (linee 15-28) e del copista Malpaghini (linee 1-14), sec. xiv (Vaticano latino 3195, f. 62r).

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28. Didone sul letto di morte mentre pronuncia le sue ultime parole, episodio dell’Eneide nel Virgilio vaticano, sec. iv (Vaticano latino 3225, f. 40r).

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29. Creusa cerca di trattenere Enea dalla battaglia nel Virgilio vaticano (Vaticano latino 3225, f. 22r).

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30. La visita di Maria a santa Elisabetta nell’“Ufficio della Vergine” decorato da Jean Bourdichon e dalla sua scuola, sec. xv (Vaticano latino 3781, ff. 30v-31r).

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che già si trovavano alla Vaticana. Negli stessi anni, durante il pontificato di Clemente viii Aldobrandini (1592-1605), venne anche acquisito il fondo delle Aldine, circa 1.500 libri stampati, a partire dal 1494, dalla tipografia di Aldo Manuzio e dai continuatori della sua officina a Venezia: appartenevano ad Aldo Manuzio il Giovane, direttore della Tipografia Vaticana e impiegato della Biblioteca, e furono confiscati dopo la sua morte a motivo di debiti insoluti. Nei decenni successivi, mentre ferveva l’attività inventariale e catalografica, arrivarono altri libri famosi, come uno splendido «Ufficio della Vergine» regalato a papa Paolo v Borghese (1605-1621), poco dopo il 1605, dalla elegantissima decorazione francese con miniature di grande finezza attribuite a Jean Bourdichon e alla sua scuola, realizzate a Tours attorno al 1475 (Vaticano latino 3781)42, e nel 1615 il cosiddetto «Menologio di Basilio ii», oggi Vaticano greco 1613, un prezioso sinassario, raccolta di testi agiografici per uso liturgico, indiscusso capolavoro della miniatura bizantina realizzato attorno all’anno Mille43. Ma soprattutto cominciarono a entrare nuove raccolte di grande consistenza, spesso intere biblioteche di origine principesca o privata, le quali mantennero la loro unità e il loro nome venendo a costituire quei fondi storici che oggi sono detti «chiusi», poiché non sono più, ovviamente, incrementati. Anzitutto arrivarono i manoscritti e gli stampati Palatini, provenienti dalla biblioteca che i principi elettori del Palatinato avevano fatto raccogliere a Heidelberg in Germania e che nel 1622 fu donata a papa Gregorio xv Ludovisi (1621-1623) dal duca di Baviera Massimiliano i, che aveva conquistato la regione. Fra i circa 2.500 manoscritti Palatini (latini e greci), circa 320 riportano testi classici latini, come il Palatino latino 1564 che contiene l’insieme degli opuscoli dedicati all’arte dell’agrimensura (Corpus agrimensorum Romanorum): realizzato nella Bassa Renania nei primi decenni del secolo ix, è ricchissimo di illustrazioni (sono circa 300) che spesso risalgono a modelli tardoantichi e fanno parte di quel corredo necessario per insegnare la tecnica dei mensores (o agrimensores), per impostare incroci e allineamenti di linee sul terreno, suddivisioni di proprietà e costituzione di catasti. Molto noto è il trattato di falconeria De arte venandi cum avibus dell’imperatore Federico ii, che introdusse in Occidente, traendole dalla tradizione araba della caccia con gli uccelli da preda, diverse novità, come l’uso del cappuccio in sostituzione della barbara usanza della «cigliatura»; il manoscritto in questione, Palatino latino 1071, fu riccamente illustrato e realizzato negli ultimi anni di vita dell’imperatore

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o immediatamente dopo la sua morte. Proviene da Heidelberg anche il Palatino latino 50 che è la metà di un codice fra i più belli e celebri dell’epoca carolingia, l’«Evangeliario di Lorsch», scritto in lettere onciali d’oro su pagine decorate ciascuna in un modo diverso: la prima metà del codice si trova ad Alba Julia in Romania e la prima metà della coperta in avorio si trova al Victoria and Albert Museum di Londra44. Di grande interesse anche una Biblia pauperum (Bibbia dei poveri) del secolo xiv, in latino e tedesco, espressione di un genere diffusosi alla fine del Medioevo e che continuerà anche nei libri a stampa: presenta una sorta di riassunto commentato della Bibbia, organizzato a fini didascalici per la predicazione con l’accostamento di vari passi e corredato da immagini che ne aiutano la comprensione anche per persone non istruite (Palatino latino 871)45. Fra i manoscritti greci provenienti da Heidelberg, celebre è il «Salterio di Costantinopoli», fine esempio dell’arte miniaturistica sviluppata nella capitale dell’Impero d’Oriente alla fine del Duecento (Palatino greco 381). La biblioteca Palatina comprendeva anche circa 5.000 libri a stampa, spesso con legature molto elaborate e raffinate come nel caso del trattato di medicina popolare di Christoph Wirsung, Artzney Buch (Stampati Palatini ii.491)46, che per secoli fu il manuale per le cure praticate nelle famiglie in Germania. Il loro arrivo in pratica raddoppiò la dotazione dei libri a stampa della Vaticana, che da note coeve risultava essere di circa 6.000 volumi, e che in ogni caso continuò a crescere, come si rileva dal moltiplicarsi della corrispondenza relativa a forniture di stampati che la Vaticana intratteneva con tipografi e librai a Roma in Italia e in Europa. Nel 1657, papa Alessandro vii Chigi (1655-1667) comperò la ricchissima collezione di manoscritti della biblioteca Urbinate, iniziata dal conte e poi duca di Urbino, Federico di Montefeltro, nella seconda metà del xv secolo, e continuata dai suoi successori: si tratta di circa 2.000 manoscritti, latini, greci, ebraici, fra i quali non si contano quelli annoverati fra i capolavori della storia dell’arte. I primi due numeri della collezione costituiscono la notissima «Bibbia Urbinate» (Urbinate latino 1-2), per realizzare la quale Federico scelse i migliori miniaturisti del momento spendendo una somma di denaro enorme, secondo la testimonianza di Vespasiano da Bisticci, titolare della bottega fiorentina cui il lavoro era stato affidato, che resero quei volumi incomparabili47. Altrettanto famosi il bellissimo «Dante Urbinate», capolavoro della scuola ferrarese con la Divina Commedia illustrata (Urbinate latino 365)48, e i grandi codici della Geographia di Tolomeo, sia latini (274, 275 e 277) sia greci (82 e 83)49, e anche libri più antichi, come

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Qui e alle pagine seguenti: 31. Sant’Eustachio, santa Teopista e i loro figli martiri, nel “Menologio di Basilio ii”, realizzato attorno all’anno Mille (Vaticano greco 1613, p. 53). 32. San Callistrato e compagni martiri, nel “Menologio di Basilio ii” (Vaticano greco 1613, p. 70). 33. Santi Antonino, Niceforo, Germano, Zebina e Manatha, nel “Menologio di Basilio ii” (Vaticano greco 1613, p. 180). 34. San Vittorino e compagni martiri, nel “Menologio di Basilio ii” (Vaticano greco 1613, p. 361).

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Alle pagine seguenti: 35. Esempi di descrizioni grafiche per gli archivi catastali nel Corpus agrimensorum Romanorum, (Palatino latino 1564, f. 140r). 36. Immagine di Federico ii nella copia del suo trattato De arte venandi cum avibus, sec. xiii (Palatino latino 1071, f. 1v).

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37 a-b. Scene di addestramento del falco per la caccia (Palatino latino 1071, f. 79r). Alle pagine seguenti: 38. L’evangelista Giovanni nell’“Evangeliario di Lorsch” (Palatino latino 50, f. 67v). 39. Introduzione al Vangelo secondo Giovanni nell’“Evangeliario di Lorsch” (Palatino latino 50, f. 68r).

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Alle pagine precedenti: 40. L’evangelista Luca nell’“Evangeliario di Lorsch”, sec. ix (Palatino latino 50, f. iv).

42. Episodi biblici accostati con intento didascalico, sul tema della Via Crucis, chiarito dalle iscrizioni nelle cornici che circondano alcune figure, nella Biblia pauperum (Palatino latino 871, f. 13r).

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43. La splendida copertina del trattato di medicina di Christoph Wirsung, Artzney Buch (Stampati Palatini ii.491).

41. Pagina illustrata di una Biblia pauperum, con testo in latino e in tedesco, sulle tentazioni di Gesù. (Palatino latino 871, f. 8r).

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Alle pagine precedenti: 44. Mosè riceve da Dio le tavole della legge nel “Salterio di Costantinopoli”, sec. xiii (Palatino greco 381, f. 2r). 45. Il re Davide, vestito come un imperatore bizantino, tra le raffigurazioni della Sapienza e della Profezia nel “Salterio di Costantinopoli” (Palatino greco 381, f. 169v). 46 a-b. Natività, attribuita a Francesco d’Antonio del Chierico, nella “Bibbia Urbinate”, sec. xv (Urbinate latino 2, f. 239r, particolare).

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Alle pagine precedenti: 47. Pagina di intitolazione della Bibbia Urbinate (Urbinate latino 1, f. 1v). 48. Introduzione al Salterio nella Bibbia Urbinate (Urbinate latino 2, f. 2r).

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Alle pagine seguenti: 50. “Nel mezo del camin di nostra uita…”: l’inizio della Divina Commedia nel “Dante Urbinate” (Urbinate latino 365, f. 1r). 51. Inizio del Purgatorio nel “Dante Urbinate” (Urbinate latino 365, f. 97r).

49. Il popolo ebraico verso la terra promessa con la guida di Mosè nella Bibbia Urbinate (Urbinate latino 1, f. 27r). 54, 55

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l’Urbinate latino 1146 del secolo ix, uno dei due soli testimoni del libro di ricette di cucina De re coquinaria di Apicio prima del secolo xv, realizzato al monastero di S. Martino di Tours per essere donato a Carlo il Calvo, e l’Urbinate ebraico 1, un monumentale codice scritto in Germania nel xiii secolo con il testo della Bibbia in ebraico e aramaico. I volumi commissionati e raccolti dal duca Federico erano tutti rigorosamente manoscritti poiché egli riteneva che i libri a stampa, per la loro natura di multipli, non fossero degni di una biblioteca che doveva anche celebrare con fasto la ricchezza e il successo del principe e doveva dunque essere composta solo da pezzi unici, come sono per loro natura i manoscritti. Un’altra importante raccolta acquistata dalla Vaticana nel xvii secolo è quella dei circa 2.300 manoscritti Reginensi (latini e greci), che prendono il nome da Cristina, regina di Svezia, la quale aveva rinunciato al trono, si era convertita al cattolicesimo e trasferita a Roma portando con sé una ricchissima biblioteca, frutto dei suoi esuberanti e poliedrici interessi cui alcuni ottimi bibliotecari avevano negli anni fornito con competenza il necessario supporto, favorendo l’acquisto di importanti collezioni. Nonostante alcune perdite avvenute al momento dell’abdicazione di Cristina nel 1654, e nonostante l’avventuroso e in parte clandestino trasferimento da Stoccolma a Roma attraverso Anversa, la biblioteca venne infine resa di nuovo disponibile e fu ampiamente consultata, specie dai Benedettini della congregazione Maurina. Alla morte di Cristina (1689) i suoi esecutori testamentari misero in vendita la raccolta che, per la parte manoscritta, trovò un interessato acquirente nel cardinale Pietro Ottoboni Sr., il quale, diventato in quei mesi papa Alessandro viii (16891691), incaricò il cardinale bibliotecario Girolamo Casanate di condurre a termine le trattative per l’acquisto, che fu dunque indirizzato quasi per intero alla Vaticana invece che alla biblioteca familiare degli Ottoboni. Fra i Reginensi, molti sono i manoscritti importanti per il testo che trasmettono, come uno fra i principali testimoni dell’opera completa di Orazio, il Reginense latino 1708, realizzato nella Germania dell’xi secolo e utilizzato in una scuola bavarese del tempo, come testimoniano alcune postille e un glossario alto-tedesco che ha trovato posto nei primi fogli, o il Reginense latino 31650, che tramanda l’importantissimo testo liturgico del Sacramentario Gelasiano (che comprende anche passi antichissimi della liturgia romana, risalenti al v secolo) ed è nel contempo un monumento per la storia del libro manoscritto: copiato alla metà del secolo viii nella Francia settentrionale, offre esempi straordinari dell’ornamentazione libraria altomedievale. Altri

codici Reginensi sono ben noti per la loro rilevanza artistica, come la Commedia di Dante finemente e straordinariamente illustrata da Sandro Botticelli alla fine del Quattrocento (Reginense latino 1896)51; altri infine trattano materie che suscitavano molta curiosità nella regina Cristina e nel suo entourage, come una raccolta di opere di astronomia e di alchimia messe insieme alla metà del ix secolo vicino a Parigi (Reginense latino 309) o un trattato astrologico proveniente dall’ambiente di re Alfonso x il Saggio di Castiglia della fine del Duecento (Reginense latino 1283)52. Nello stesso anno (1690) dell’arrivo della biblioteca della regina Cristina, in Vaticana veniva completato dallo scriptor Giorgio Grippari un inventario generale degli stampati che registrava oltre 12.500 numeri di segnatura (per un numero maggiore di titoli, a motivo di volumi spesso rilegati insieme); e dall’inventario erano esclusi gli stampati Palatini e gli incunaboli. L’accrescimento di libri a stampa e manoscritti proseguì anche nel secolo successivo. Durante il pontificato di Clemente xi Albani (1700-1721), ad esempio, notevole incremento ebbe la collezione dei manoscritti orientali, attraverso doni e soprattutto attraverso apposite missioni in Siria e in Palestina, di cui vennero incaricati lo scriptor Giuseppe Simonio Assemani e il prete maronita Andrea Scandar. Il medesimo pontefice dispose anche che una copia di ogni libro stampato a Roma venisse donata dagli stampatori e dai librai alla Vaticana. Negli anni successivi giunsero altri libri trasferiti dalla biblioteca della Congregazione de Propaganda Fide e questo processo di arricchimento delle collezioni orientali troverà una sua sistematizzazione nel celebre catalogo pubblicato fra il 1756 e il 1759 dal già ricordato Giu­seppe Simonio Assemani, divenuto primo custode della Vaticana, e dal nipote e coadiutore Stefano Evodio Assemani53. Quest’ultimo consegnò poi alla Biblioteca i manoscritti lasciati in eredità dallo zio (morto nel 1768) fra i quali il celebre Evangeliario, fra i maggiori testimoni della scrittura glagolitica, il primo alfabeto slavo creato dai monaci bizantini Cirillo e Metodio, realizzato nei Balcani occidentali tra x e xi secolo e rinvenuto a Gerusalemme nel 1736 (Vaticano slavo 3)54. Erano intanto giunti, nel 1746, la biblioteca del bibliofilo e archeologo Alessandro Gregorio Capponi, composta da circa 300 manoscritti, un centinaio di incunaboli e oltre 3.000 libri a stampa, e nel 1748 i circa 4.000 codici Ottoboniani (latini e greci) che appartenevano alla famiglia del cardinale Pietro Ottoboni Jr. e che a loro volta erano il frutto di una pluridecennale politica di acquisti di manoscritti. Fra questi anche

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Alle pagine precedenti: 52. Planisfero del mondo conosciuto, realizzato ca. nel 1406, per la Geographia di Tolomeo, sec. xv (Urbinate latino 274, ff. 74v-75r). 53. Planisfero aggiunto nel 1530 in due pagine rimaste bianche, con le nuove scoperte geografiche (Urbinate latino 274, ff. 73v-74r).

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54. La città di Alessandria d’Egitto (Urbinate latino 277, f. 130r). 55. La città di Venezia in una copia della Geographia di Tolomeo, sec. xv (Urbinate latino 277, f. 133r).

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56. Incipit del primo libro del De re coquinaria di Apicio, sec. ix (Urbinate latino 1146, f. 3v). 57. Incipit del Sacramentario gelasiano, sec. viii (Reginense latino 316, f. 4r).

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58-61. Didascalie a p. 94. 62. Libro dei Vangeli, impropriamente noto come “Evangeliario di Enrico ii”, donato dall’imperatore all’abbazia di Montecassino nel 1022 (Ottoboniano latino 74, f. 193v).

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una raccolta di lettere autografe di Martin Lutero (Ottoboniano latino 3029)55 e la prima copia elegante, realizzata nel xv secolo, delle opere retoriche «nuove» di Cicerone, scoperte nel 1421 in un antico codice di Lodi dal vescovo Gerardo Mandriani: il Brutus, fino ad allora ignoto, e i testi integri del De oratore e dell’Orator, precedentemente conosciuti solo in parte (Ottoboniano latino 2057). Della collezione faceva anche parte un libro dei Vangeli testimonianza fra le più interessanti della scuola grafica di età ottoniana di Ratisbona realizzato nel locale monastero benedettino di S. Emmeram e donato dall’imperatore Enrico ii all’abbazia di Montecassino durante una sua visita e dopo una prodigiosa sua guarigione nel giugno 1022; quel manoscritto avrebbe a lungo influenzato anche i miniatori dello scriptorium cassinese (Ottoboniano latino 74). Nel 1785, per interessamento del cardinale bibliotecario Francesco Saverio de Zelada, arrivò il celebre Codex Marchalianus, importante manoscritto biblico del vi secolo (Vaticano greco 2125), e nel 1786 furono acquistati dal Collegio di S. Basilio di Roma 162 codici, quasi tutti greci, con numerosi manoscritti provenienti dai monasteri basiliani dell’Italia meridionale, specialmente calabresi.

Non solo libri in Biblioteca Il Settecento vide alcune importanti novità nella vita della Biblioteca, che fu coinvolta dall’interesse antiquario caratteristico del secolo e si arricchì anche di materiali diversi dai libri manoscritti o a stampa che fino a quel momento avevano costituito il suo patrimonio; in meno di cinquant’anni vennero istituiti, arricchiti e organizzati un Gabinetto Numismatico, due Musei e un Gabinetto delle Stampe. Cominciò Clemente xii Corsini (1730-1740), che nel 1738 acquistò dal cardinale Alessandro Albani un’importante raccolta di 328 medaglioni imperiali greci e romani, con numerosi esemplari di particolare bellezza e rarità, la cui fama si era da tempo estesa in Europa, tanto che l’antiquario tedesco Philipp von Stosch aveva più volte tentato di ottenerne la vendita al re di Prussia. Dall’unione di questa collezione con alcuni sporadici lasciti dei secoli precedenti, che erano rimasti semplicemente depositati in biblioteca senza suscitare particolare interesse, come le 610 monete d’argento imperiali date da Urbano viii Barberini nel 1628, nacque la prima raccolta numismatica «pubblica», il nucleo di quel che sarà il Gabinetto Numismatico o Medagliere Vaticano56. Tre anni più tardi, nel 1741, Benedetto xiv Lambertini (1740-1758),

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dotto pontefice particolarmente attento agli sviluppi della cultura del suo tempo, amico di Ludovico Antonio Muratori e in contatto con Voltaire, acquistò la collezione del cardinale Gaspare Carpegna, che comprendeva oltre 4.000 pezzi, tra cui un centinaio di aurei romani e oltre 500 medaglie papali, molte anche in oro; questa venne disposta nel braccio settentrionale della Biblioteca, costruito da Clemente xii nel 1732. Arrivarono poi la raccolta delle bolle e dei piombi pontifici venduta dall’antiquario Francesco Ficoroni e oltre 6.000 zolfi di cammei e d’intagli antichi realizzati da Pier Leone Ghezzi. Il Medagliere Vaticano, già prestigioso, si arricchì ulteriormente nel 1746 con l’acquisto dell’ampia, probabilmente la più completa all’epoca, collezione di monete pontificie di Saverio Scilla, valente numismatico e autore di una storia della monetazione pontificia, che contava oltre 5.000 pezzi, cui si aggiungevano circa 4.100 impronte in carta. A papa Lambertini si deve anche l’acquisto di un manoscritto molto famoso, il cosiddetto «Leggendario ungherese», realizzato nella prima metà del Trecento per il re Carlo d’Angiò (Vaticano latino 8541)57; si tratta di una raccolta di Vite di santi ispirate alla Legenda aurea di Giacomo da Varagine, riportate in un codice molto particolare, con quattro scene miniate su fondo d’oro in ogni pagina e didascalie che descrivono gli episodi raffigurati. Venne considerato un oggetto museale e come tale posto nella prima raccolta di questo tipo istituita dal pontefice. Ulteriori incrementi nell’ambito numismatico continuarono per tutto il Settecento. In occasione di una grave carestia, Clemente xiii Rezzonico (1758-1769) fece aprire nel 1764 l’«erario sanctiore» creato da Sisto v per eventuali emergenze della popolazione: nei tre forzieri, tuttora conservati in Castel Sant’Angelo, furono trovate anche monete ormai fuori corso ma preziose sotto il profilo numismatico. Clemente xiv Ganganelli (1769-1774), appassionato di numismatica, fece riordinare le raccolte di medaglie e di monete affidandole a Giovanni Elia Baldi, che le arricchì attraverso acquisti e scambi e compilò anche accurati inventari. Il pontefice dispose inoltre che ogni anno un esemplare in ciascuno dei tre metalli − oro, argento, bronzo − della medaglia che si soleva battere per la festività di san Pietro, e di ciascuna moneta pontificia che si fosse coniata, venissero consegnati alla Biblioteca per essere conservati nel Medagliere. Molti furono anche i doni al papa da parte di sovrani europei, come la serie di 126 medaglie in oro donate nel 1772 da Luigi xv di Francia o le 87 medaglie in oro inviate lo stesso anno dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria.

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Alle pagg. 86 e 88: 58. Sandro Botticelli, Inferno, nella Divina Commedia di Dante, sec. xv (Reginense latino 1896, f. 101r). 59. Sandro Botticelli, illustrazione per il Canto x dell’Inferno (Reginense latino 1896, f.100r).

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Alle pagg. 90 e 91: 60. Il segno zodiacale dei Gemelli circondato dalle costellazioni che lo accompagnano, nel trattato di astrologia di Alfonso x il Saggio, sec. xiii (Reginense latino 1283, f. 2v).

63 a-b. Medaglia in argento di Clemente xii commemorativa della costruzione della nuova facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano, realizzata nel 1733 da Ottone Hamerani, mm 71,35; g 170,66 (Medaglie Pontificie, 2574).

61. Immagini di Gesù e della Samaritana in una iniziale dell’“Evangeliario Assemani” in scrittura glagolitica, sec. x-xi (Vaticano slavo 3, f. 18v).

64 a-b. Ducato di Leone x (1513-1521) battuto nella Zecca di Modena, appartenente alla collezione di Saverio Scilla, acquistata nel 1746 da Benedetto xiv (Monete Pontificie, Leo x, 202).

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65. Episodi della vita di san Gerardo nel Leggendario ungherese, sec. xiv (Vaticano latino 8541, f. 68r).

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Con Pio vi Braschi (1775-1799) la raccolta venne arricchita di numerosi esemplari rari e molte altre monete giunsero dagli scavi archeologici che fervevano in quel periodo nel Lazio: celebre il ritrovamento, presso Civitavecchia, di un tesoretto di 122 monete imperiali d’oro; altri esemplari vennero ritrovati durante la bonifica delle paludi pontine. I ripetuti accrescimenti resero necessaria per il Medagliere una più adatta collocazione, individuata nel vestibolo dell’ala settentrionale della Biblioteca, dove le raccolte furono sistemate in modo da poter esser meglio conservate e ancora arricchite (1794) dalla collezione Odescalchi, tra le più celebri raccolte numismatiche allora esistenti in Roma, e dai conii delle medaglie pontificie degli Hamerani, incisori camerali ininterrottamente fin dal 1676; tali conii sarebbero stati utilizzati nel xix secolo per realizzare alcune famose serie di «riconiazioni» delle medaglie papali. Il collezionismo pontificio si espresse anche nella formazione di raccolte museali che, secondo un modello tipico del tempo, vennero a costituire un corpo unico con la Biblioteca. Durante il pontificato di Benedetto xiv, nel 1755, fu aperta al pubblico la prima sala del Museo Sacro, con reperti provenienti soprattutto dagli scavi archeologici nelle catacombe e da cui successivamente furono separati i manufatti non religiosi che dettero origine al Museo Profano. Le collezioni museali furono sistemate nelle scenografiche Gallerie del corridoio occidentale del Belvedere, detto del Ligorio o di Pio iv, e più tardi, nel 1999, uscirono dalla storia della Biblioteca, affidate ai Musei Vaticani. Con Clemente xiv ebbero inizio anche i lavori preparatori di Gaetano Marini, futuro primo custode della Biblioteca, per la realizzazione nel corridoio orientale del Belvedere, detto del Bramante o di Giulio ii, che costituiva allora il percorso di accesso al Salone Sistino, della «Galleria Lapidaria», ove nel corso dei decenni successivi trovarono ordinatamente posto circa 3.500 epigrafi provenienti da scavi archeologici, suddivise in due serie speculari, sacra e profana, a costituire una vera e propria biblioteca di pietre accanto alla biblioteca di libri58. Per la Biblioteca Vaticana, Clemente xiv acquistò anche, nel 1773, due raccolte di stampe, per un totale di circa 30.000 pezzi, ed è questa la prima notizia della presenza di materiale grafico. Fu poi il suo successore Pio vi a fare realizzare, nel 1779, una raccolta sistematica, il cosiddetto «Fondo Antico», con oltre 17.000 incisioni di autori diversi dal xv al xviii secolo, divise in 161 grandi volumi organizzati per autore e per soggetto, fra cui ricordo una della Madonna di Andrea Mantegna. La raccolta fu collocata in un ambiente specifi-

camente allestito, la «Stanza delle Stampe», posta al livello del Salone Sistino verso il Cortile della Pigna e affrescata da Bernardino Nocchi fra il 1784 e il 1786. Lì il materiale grafico della Biblioteca fu conservato fino al 1820, quando l’ambiente venne demolito per far posto alla costruzione del cosiddetto «Braccio Nuovo» dei Musei Vaticani59, che oggi ospita la collezione Chiaramonti.

Tempi difficili Il secolo xviii si chiuse in modo molto traumatico per la Biblioteca Vaticana. Gli eventi seguiti alla Rivoluzione Francese videro il generale Napoleone Bonaparte, sceso in Italia nel 1796, imporre a Pio vi, con il Trattato di Tolentino del 19 febbraio 1797, la rinuncia ad ampie porzioni dello Stato della Chiesa e il versamento di un consistente tributo (per pagare il quale furono fatti fondere anche arredi sacri in oro e in argento), che comprendeva pure la cessione di opere d’arte e di 500 manoscritti scelti dalla Vaticana, che vennero inviati in Francia. L’esistenza stessa di uno stato monarchico, per di più governato dal capo della Chiesa, rappresentava tuttavia una sfida ai rivoluzionari repubblicani e costituiva un obiettivo da abbattere. Un anno più tardi si giunse così, dopo disordini provocati dai giacobini romani, a un fatto epocale: il 15 febbraio 1798 Roma fu occupata dall’esercito francese, venne proclamata la Repubblica Romana e il papa dichiarato deposto. Era la fine, anche se provvisoria, dello Stato della Chiesa. Nei giorni successivi, gruppi di soldati entrati nella Biblioteca si diedero alla razzia, particolarmente delle collezioni numismatiche, di più facile asporto e di più immediata realizzazione in termini economici. Il saccheggio ebbe fine solo con l’arrivo dei commissari civili del Direttorio Joseph-Antoine Florent, Pierre-Claude-François Daunou e Gaspard Monge, ma con esso non terminò la spoliazione: gli incaricati parigini si occuparono infatti del prelevamento dai Musei Vaticani delle opere più famose e dalla Biblioteca di altri manoscritti celebri (tra cui anche il Codice B) e dei pezzi di valore rimasti ancora al Medagliere, come le collezioni Albani, Carpegna e Odescalchi, che furono interamente asportate con molte altre monete e medaglie. Tutto fu consegnato, insieme anche a un buon numero di incunaboli e di cinquecentine e alle migliori incisioni del Gabinetto delle Stampe, a Jean-Baptiste Wicar, delegato dei commissari incaricato delle requisizioni, e prese la via di Parigi60.

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66 a-b. Una delle 87 medaglie commemorative in oro, coniate in Austria tra il 1717 e il 1771 e inviate in dono dall’imperatrice Maria Teresa nel 1772 a Clemente xiv (Medaglie Straniere, Austria, xxv, 1).

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67. Andrea Mantegna, Madonna con bambino, sec. xv, stampa a bulino che fa parte del fondo antico della Biblioteca (Stampe v.46.4).

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68. Timbro rosso della Bibliothèque Nationale di Parigi sul “Virgilio palatino”, sec. iii-iv (Palatino latino 1631, f. 1r).

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Verso la Francia non erano partiti tuttavia solo i tesori della Biblioteca Vaticana: l’ottantenne papa Pio vi, che nel 1798 era riparato nell’ancora indipendente Granducato di Toscana, fu condotto prigioniero dalle truppe francesi, che nel frattempo avevano occupato la regione, prima a Grenoble e poi a Valence dove giunse stremato nel luglio 1799 morendovi qualche settimana più tardi. Non pochi pronosticarono allora che non ci sarebbe stato alcun papa dopo quello che veniva chiamato «Pio vi e ultimo». L’aprirsi del secolo xix non fu meno drammatico. Un nuovo papa venne eletto a Venezia, il monaco benedettino Pio vii Chiaramonti (1800-1823), ma anch’egli, dopo un periodo di pragmatici tentativi di convivenza con il nuovo regime francese (concordato con la Francia nel 1801, presenza all’autoincoronazione imperiale di Napoleone nel 1804), venne arrestato e trasferito in Francia nel 1809, mentre Roma veniva annessa all’Impero francese. Durante il governo francese, che durò fino al 1814, la Biblioteca Vaticana fu di nuovo spogliata di manoscritti, stampati e incisioni inviati a Parigi, venne dichiarata nel 1811 proprietà della Corona imperiale e affidata ad amministratori di fiducia dell’imperatore. Fra questi, Martial-Noël-Pierre Daru, soprintendente della Biblioteca, si adoperò per ricostituire la sezione numismatica raccogliendo il materiale proveniente soprattutto da scavi effettuati a Roma o nelle vicinanze, e fece convogliare alla Vaticana i libri provenienti dalle case degli ordini religiosi maschili che erano stati soppressi: stampati e manoscritti, nel complesso circa 20.000 volumi (parzialmente restituiti in seguito), arrivarono fra il 1812 e il 1814 da 58 biblioteche romane61. Dopo il ritorno di Pio vii a Roma nel 1814 e la caduta di Napoleone, al Congresso di Vienna del 1815 si stabilì l’impegno alla restituzione dei bottini di guerra. Le operazioni di recupero delle statue e dei dipinti sottratti ai Musei furono affidate allo scultore Antonio Canova, che riuscì nel suo intento; della restituzione di codici, documenti, stampe e materiale numismatico si occupò Marino Marini. I manoscritti furono quasi integralmente recuperati, e ancora oggi su molti di essi si può vedere il timbro rosso della Bibliothèque Nationale, posto durante la loro forzata permanenza in Francia. Anche i documenti sottratti all’Archivio Segreto Vaticano fecero in gran parte ritorno, così come i materiali trafugati dal Gabinetto delle Stampe e gli incunaboli. Non ebbe invece successo il recupero di medaglie, monete e cammei, sia per ragioni politiche sia per la mancata trasmissione della lista dei pezzi sottratti. Non potendosi individuare con precisione gli esemplari provenienti dalle collezioni vaticane, si arrivò a un

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accordo rovinoso per il Medagliere: si stabilì infatti di compensare genericamente la sottrazione con duplicati di monete possedute dal medagliere parigino, che risultarono poi di ben minor valore e rarità; i medaglioni delle collezioni Albani e Carpegna restarono, ad esempio, a Parigi e a esser resa non fu che una piccola parte degli esemplari originari.

Restaurazione e ricostruzione Con il ritorno alla situazione precedente quella che veniva definita la «parentesi napoleonica», i fondi della Biblioteca ricominciarono rapidamente ad ampliarsi. Numerosi inventari permettono di ricostruire le consistenze delle raccolte a stampa e talvolta anche i dettagli relativi alla loro collocazione. Si sa così che il numero dei volumi stampati era calcolato nel 1817 in circa 100.000. Anche i fondi manoscritti ricominciarono a crescere, ricevendo i codici provenienti dagli enti religiosi soppressi e di cui i custodi vaticani ottennero la non restituzione. Personaggio di rilievo fu Angelo Mai, primo custode della Vaticana dal 1819 al 1833 (e più tardi cardinale bibliotecario dal 1853 al 1854), cui venne affidata la ricostruzione del patrimonio. Egli acquistò ad esempio 95 codici greci, provenienti dalla biblioteca dei Colonna, nel giugno 1821, e presto arrivarono altre nuove accessioni come i manoscritti della biblioteca personale del cardinale bibliotecario Francesco Saverio de Zelada e quelli della collezione dell’erudito romano Francesco Cancellieri. Fra gli stampati arrivarono decine di preziosi stampati ebraici, i «libri di S. Pudenziana», e l’intera biblioteca di Francesco Leopoldo Cicognara nel 1824, ricca di circa 5.000 volumi relativi alla storia dell’arte, tra cui una copia della celebre Apocalisse di Albrecht Dürer. Per il Medagliere, affidato alle cure del secondo custode della Biblioteca Giuseppe Baldi (1818-1831), fu acquistata nel 1819 parte della collezione di Agostino Mariotti, che comprendeva fra l’altro 108 piombi pontifici e numerose monete, di cui varie imperiali romane; nel 1821 giunsero rare monete del primo Triumvirato trovate durante alcuni scavi eseguiti nelle vicinanze di Rieti; per il Giubileo del 1825 venne donata a Leone xii della Genga (1823-1829) una celebre serie delle medaglie del Granducato di Toscana; nel 1829 vennero acquistate circa 3.000 monete medievali e moderne della raccolta di Luigi Tomassini. Oltre che dal graduale ripristino delle collezioni e dal loro ampliamento, la presenza di Angelo Mai nella Biblioteca Vaticana fu caratterizzata dai notevoli studi da lui stesso

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69. Albrecht Dürer, I quattro cavalieri dell’Apocalisse, una delle 15 tavole xilografiche del volume Apocalipsis cum figuris, pubblicato a Norimberga nel 1498 (Cicognara ix.1022.3).

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condotti sui codici palinsesti. Utilizzando reagenti chimici (acido gallico), da lui già sperimentati negli anni precedenti quando si trovava alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, che consentivano di leggere i testi cancellati nei codici palinsesti, egli fece importantissime scoperte, come le opere giuridiche dei Fragmenta Vaticana; ma soprattutto nel 1819 scoprì nel Vaticano latino 5757 una cospicua parte del testo del De republica di Cicerone, risalente al iv secolo ma nascosto sotto i Commenti ai Salmi di sant’Agostino che nel secolo vii, all’abbazia di Bobbio, erano stati copiati dopo che era stato lavato e cancellato il precedente testo ciceroniano62. La scoperta suscitò l’entusiasmo dei dotti del tempo, e molto nota è la canzone che gli fu dedicata nell’occasione da Giacomo Leopardi63. Ad Angelo Mai si deve anche la decisione di trasportare i volumi stampati che si trovavano nelle Gallerie occidentali in alcune stanze dell’Appartamento Borgia, operazione conclusasi negli anni Trenta del secolo, quando anche il Gabinetto delle Stampe, spostato per consentire la costruzione del Braccio Nuovo dei Musei, occupava una stanza del medesimo appartamento e il Medagliere si trovava nella Cappella di Pio v, mentre i manoscritti continuarono a essere conservati nel Salone Sistino e nelle annesse Gallerie. Numerosi furono ancora, nel corso del primo Ottocento, gli incrementi dovuti all’entrata, per lascito o per acquisto, di intere collezioni personali che non mantennero la loro originaria struttura ma furono inserite nelle raccolte generali, come, nel 1838, i libri del marchese Luigi Marini (alcuni manoscritti e circa 1.200 stampati) che riguardavano Roma e lo Stato pontificio. Durante il lunghissimo pontificato di Pio ix Mastai Ferretti (1846-1878) la Biblioteca continuò il suo lento percorso di ricostituzione e riorganizzazione, preludio alle straordinarie novità del periodo seguente. Tra il 1848 e il 1850 vennero sottratti dalla collezione numismatica alcuni esemplari preziosi da parte di Demetrio Diamilla, incaricato di stilare un inventario del Medagliere; dopo la scoperta del furto, il processo e la condanna, e il mancato recupero di gran parte degli elementi trafugati, la direzione del Medagliere venne affidata al gesuita Pietro Tessieri. Nel 1853 le collezioni furono spostate dalla Cappella di Pio v (ambiente piccolo e di passaggio) a una sala del braccio occidentale contigua all’Appartamento Borgia, ove già si trovavano il Gabinetto delle Stampe e le collezioni dei libri a stampa. Tessieri si sforzò di ricostituire una raccolta di monete pontificie (dopo la perdita, durante l’occupazione francese,

di quelle provenienti da Saverio Scilla) acquistando la serie di monete papali di Andrea Belli, con oltre 2.800 esemplari, alcuni dei quali antichi e rari. Furono anche acquisite, per acquisto, scambio o dono, monete antiche greche e romane, soprattutto quelle consolari, e medaglie, tra le quali alcune coniate per volere di Pio ix; un esempio sono le 25 medaglie «di Gaeta», tra le più belle realizzazioni ottocentesche nel campo medaglistico, di grande modulo, riconiate in bronzo nel 1853, copia di quelle che, in oro, erano state donate ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede che nel novembre 1848 avevano seguito il pontefice nel suo volontario esilio a Gaeta. Nel medesimo periodo giunsero alla Vaticana anche i manoscritti della biblioteca di Andrea Molza, primo custode, tra i quali molti codici ebraici, arabi, copti, latini, siriaci e turchi. Alla morte del cardinale bibliotecario Angelo Mai, nel 1854, la sua ampia raccolta personale fu, secondo il suo volere, acquistata dal pontefice per metà del prezzo stimato dei volumi, somma da devolversi in beneficenza ai poveri di Schilpario, paese natale del Mai; si trattava di 292 manoscritti e 14.454 stampati, tra i quali 110 incunaboli. L’anno successivo giunse la raccolta orientalistica dello scozzese Robert Watson, composta di oltre 6.000 volumi, tra cui circa 80 arabi e cinesi, ma è dubbio se siano rimasti alla Vaticana, poiché pare siano poi stati destinati alla Biblioteca Alessandrina nell’Università di Roma. Nel 1860 il capitolo della cattedrale di Todi donò a Pio ix una Bibbia atlantica, così detta per le grandi dimensioni, scritta alla fine del secolo xi e illustrata da un solo artista (Vaticano latino 10405). Nel 1869, il console di Francia a Tientsin donò a Pio ix una raccolta di 492 monete cinesi, datate a partire dal secolo viii-vii a.C., che costituiscono oggi i materiali più antichi conservati in Biblioteca. Di rilievo fu anche, nel 1874-1875, l’arrivo per lascito testamentario della raccolta del sacerdote Anton Ruland, deputato al Landtag di Baviera e bibliotecario dell’Università di Würzburg: constava di numerosi manoscritti e di circa 10.000 volumi a carattere teologico, filosofico, storico, medico, con molti incunaboli. Nel 1876 giunsero in Vaticana, ancora per disposizione testamentaria, i libri, le carte e alcuni oggetti di Alessandro Asinari di San Marzano, primo custode della Vaticana dal 1853 al 1876, con oltre 3.000 volumi; faceva parte della collezione anche un dipinto a olio su tavola di Giorgio Vasari, che rappresenta Pio v in preghiera accanto alla Deposizione. Nel medesimo anno, la diocesi di Bergamo donò al pontefice un prezioso autografo di san Tommaso d’Aquino (Vaticano latino 9850) che raccoglie gli originali, parziali, di

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70. Codice palinsesto. Scriptio inferior: Cicerone, De republica, sec. iv. Scriptio superior: Agostino, Enarrationes in Psalmos, sec. vii (Vaticano latino 5757, f. 277r). 71 a-b. Esemplare della serie unica di 25 medaglie in bronzo (1853) distribuite, in oro, ai membri del corpo diplomatico che seguirono Pio ix nell’esilio di Gaeta nel 1849 (Medaglie Pontificie, 3928).

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72. Uno dei cassetti contenenti la raccolta di 492 monete cinesi, datate a partire dal sec. viii-vii a.C., donata nel 1869 dal console di Francia a Tientsin, fra i pezzi più antichi conservati oggi in Biblioteca (Monete Straniere, Cina, cs. 2). 73. Scene della Genesi dalla creazione dell’uomo alla cacciata dall’Eden nella Bibbia di Todi, sec. xi (Vaticano latino 10405, f. 4v).

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74. Giorgio Vasari, Deposizione dalla croce, con san Pio v, olio su tavola, sec. xvi (Oggetti d’arte 33).

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alcune sue opere, scritte in una calligrafia di molto difficile lettura, con alcuni interventi di assistenti.

Una biblioteca moderna Con l’approssimarsi della fine dell’Ottocento, in una situazione politica internazionale profondamente mutata, che aveva visto nel 1870 l’occupazione di Roma, diventata capitale del Regno d’Italia, e la definitiva scomparsa dello Stato pontificio e del potere temporale del papa, durante il pontificato di Leone xiii Pecci (1878-1903) si ebbe un grande impulso alla modernizzazione della Biblioteca Vaticana. Dopo averne riorganizzata la struttura amministrativa, il papa ne volle anzitutto ampliare la sede. La sua decisione di aprire alla consultazione, nel 1883-1884, i fondi all’Archivio Segreto Vaticano, aveva infatti richiamato a Roma studiosi di tutto il mondo, partecipi di quella grande stagione di studi storici, critici e filologici che aveva da tempo soppiantato l’erudizione settecentesca, si era dotata di nuovi strumenti e avvertiva la necessità di nuovi sviluppi. Anche per venire incontro alle mutate esigenze degli studi, nel 1891 la grande Sala dell’Armeria, sottostante il Salone Sistino, fu attrezzata per diventare una sala di consultazione per i libri stampati, calcolati in circa 200.000, che vi furono trasferiti (in sole due settimane) dall’Appartamento Borgia, e collocati per argomenti e serie secondo criteri utili ai ricercatori. Il trasferimento fu organizzato dal gesuita tedesco padre Franz Ehrle, che poi sarebbe stato per quasi un ventennio, dal 1895 al 1914, prefetto della Biblioteca conducendola decisamente sulla strada della modernità. Di particolare importanza fu la costituzione di un Laboratorio interno per il restauro librario, nel 1890; quella prima esperienza fornì qualche anno più tardi a padre Ehrle il punto di partenza per una serie di riflessioni sulla necessità di un approccio scientifico alla conservazione fisica del materiale librario, che lo condussero a organizzare la storica Conferenza internazionale di San Gallo, considerata l’inizio della moderna disciplina del restauro64. Nel medesimo periodo, dopo un timido inizio negli anni precedenti, prese deciso avvio anche l’attività editoriale della Biblioteca, e nel 1900 fu pubblicato il primo volume della collana «Studi e testi», oggi ne conta più di 470 volumi ed è ritenuta fra le più prestigiose collane scientifiche nel mondo degli studi umanistici. Anche la serie dei nuovi cataloghi sistematici dei manoscritti, iniziata nel 1902 e tuttora attiva, costituisce ancora oggi un modello ineguagliato65.

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In quel clima di rinnovamento riprese con molto vigore anche la crescita dei fondi. Nel 1891 vennero acquistati il fondo Borghese (390 manoscritti), che comprende molti codici provenienti dalla dispersa biblioteca papale di Avignone, e il fondo dei Neofiti, proveniente dalla Pia Casa dei Catecumeni di Roma, ricco di manoscritti ebraici. Poco più tardi giunsero in biblioteca i 1.200 manoscritti e stampati della Cappella Sistina, importantissimi per la storia della musica occidentale. Notevoli fra i manoscritti un libro di coro con una raccolta di Inni polifonici (Cappella Sistina 18) e fra gli stampati il Liber primus missarum di Josquin des Prez, pubblicato a Venezia nel 1516 (Cappella Sistina 235-238). Nel 1902 entrò in Vaticana la parte più preziosa della biblioteca della Congregazione de Propaganda Fide, con monete, molti stampati antichi, fra cui oltre 750 incunaboli, e soprattutto con i 2.500 libri oggi conservati nel fondo Borgiano (circa 2.000 manoscritti, in oltre 20 lingue diverse, e 500 stampati antichi, soprattutto cinesi). La raccolta si era formata a partire dal Seicento ed era stata notevolmente arricchita dai manoscritti provenienti dall’eredità lasciata all’inizio del xix secolo dal cardinale Stefano Borgia, letterato e collezionista di manoscritti e oggetti, poi prefetto della Congregazione. Sono soprattutto utili per la conoscenza del Vicino e dell’Estremo Oriente, ma importanti anche per altri pezzi particolari, come il Borgiano messicano 166, rarissimo esempio di manoscritto in lingua nahuatl realizzato nelle Americhe prima del viaggio di Cristoforo Colombo, costituito da una striscia di pelle di cervo lunga oltre dieci metri, scritta con pittogrammi su entrambi i lati e ripiegata in trentanove parti uguali chiuse «a fisarmonica» una sull’altra; o come il «Messale di papa Alessandro vi» (Borgiano latino 425)67, un sontuoso codice, preparato a Roma nel 1494 da un copista di nome Luca in un’elegante scrittura gotica «rotonda» e con una ornamentazione di grande qualità, che riporta i testi per la messa celebrata dal pontefice nel giorno di Natale; il medesimo copista preparò anche due altri libri di questo genere, per la Pasqua e per la festa dei santi Pietro e Paolo, ma sono andati perduti. Ancora nel 1902 venne acquistata la grande biblioteca dei Barberini, una delle maggiori famiglie romane. Aveva cominciato ad essere raccolta durante il secolo xvii dal nipote di papa Urbano viii, Francesco Barberini, che fu tra l’altro cardinale bibliotecario, ed era stata accresciuta, oltre che dai suoi acquisti, anche da doni o lasciti a Urbano viii o alla Biblioteca Vaticana, destinati dal pontefice alla famiglia; aveva poi avuto l’attenta cura di alcuni bibliotecari come Leone Allacci e Lucas Holste, più tardi passati a essere primi custodi

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Alle pagg. 110-111: 75. Autografo della Summa contra Gentiles di san Tommaso d’Aquino, sec. xiii (Vaticano latino 9850, ff. 7v-8r).

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77. Josquin des Prez, Missa, L’homme armé super voces musicales, Bassus, nel Liber primus missarum (Cappella Sistina 238, ff. 1v-2r).

Alle pagg. 112-113: 76. Libro di coro con una raccolta di Inni polifonici, sec. xv (Cappella Sistina 18, ff. 3v-4r).

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78. Manoscritto rituale con pittogrammi in lingua nahuatl, realizzato a Puebla (Messico) nel sec. xv (Borgiano messicano 1, f. 53).

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79. Un’altra “pagina” del manoscritto rituale mesoamericano (Borgiano messicano 1, f. 14).

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80. Crocifissione nel Messale di Alessandro vi per il Natale, sec. xv (Borgiano latino 425, ff. 38v).

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della Vaticana, e alla fine del xvii secolo era ritenuta per le sue ricchezze librarie la seconda biblioteca di Roma, dopo la Vaticana. Insieme ai quasi 12.000 manoscritti (per lo più latini, circa 600 greci e 165 orientali) arrivarono anche gli stampati (oltre 36.000, e fra di essi 320 incunaboli) e l’archivio, che oggi costituisce uno dei fondi più importanti fra quelli archivistici conservati alla Vaticana68. Vennero acquistati anche i mobili di legno che li contenevano, realizzati dall’architetto-falegname Giovanni Battista Soria e il cui disegno è da taluni attribuito a Gian Lorenzo Bernini, oggi restaurati e rimontati in un’apposita sala della Biblioteca, ove troneggia il busto bronzeo di Urbano viii, opera del medesimo Bernini. Fra gli incunaboli, non si possono non menzionare i due volumi membranacei della Bibbia di Gutenberg (Stampato Barberini aaa.vi.16-17), la famosa Bibbia a 42 linee che fu il primo libro stampato in Occidente con la rivoluzionaria tecnica della stampa a caratteri mobili. Fra i manoscritti si trovano uno dei capolavori della miniatura quattrocentesca, la Bibbia che Belbello da Pavia realizzò per Niccolò d’Este (Barberiniano latino 613), e un bel rotolo di Exultet realizzato a Montecassino nel secolo xi: le illustrazioni sono poste, come caratteristico in questo genere di manoscritti, in senso contrario alla scrittura, così da poter essere viste correttamente quando il rotolo veniva svolto dall’ambone durante la lettura nella veglia pasquale. L’archivio è notevole, oltre che per i documenti sulla storia della famiglia, anche per le carte relative alle numerose abbazie di cui i cardinali Barberini furono commendatari e per le raccolte di famiglie strettamente associate. Con la fine del pontificato di Leone xiii, il movimento di modernizzazione e di arricchimento della Biblioteca che con lui aveva avuto inizio e slancio non si arrestò, anche se il prefetto Ehrle dovette da allora lamentare ripetutamente la mancanza di sostegno e di fondi che non gli consentiva di portare a termine vari progetti e iniziative nei tempi che avrebbe voluto. Pio x Sarto (1903-1914) fece aprire l’attuale sala di consultazione dei manoscritti, sullo stesso piano e comunicante con quella degli stampati; negli ambienti adiacenti e sovrastanti fu collocata la maggior parte dei codici conservati in precedenza nel Salone Sistino. Con Benedetto xv Della Chiesa (19141922) venne a far parte della Biblioteca anche il patrimonio librario raccolto nell’Ottocento da Giovanni Francesco de’ Rossi, oggi nei fondi da lui detti Rossiani. Di proprietà della sua vedova, principessa Luisa Carlotta di Borbone-Parma, che lo donò ai Gesuiti di Roma, trasferito ripetutamente in città e a Vienna, pervenne alla Vaticana alla fine del 1921, dopo

complesse trattative e il trasporto dall’Austria, curato da p. Carlos da Silva Tarouca69. Si tratta di circa 8.000 stampati e 1.200 manoscritti. Vi si trovano alcuni incunaboli straordinari come l’Hypnerotomachia Poliphili pubblicato da Aldo Manuzio nel 1499, arricchito da 172 xilografie, pietra miliare nella storia del libro a stampa illustrato (Stampato Rossiano 589), e molte rare edizioni come l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto del 1556 (Stampato Rossiano 3529) o la Keter Torah di David ben Solomon Vital del 1536 (Stampato Rossiano 5320); fra i manoscritti, numerosi sono i Libri d’ore provenienti specialmente dall’Europa centro-settentrionale e altri codici finemente miniati, fra cui il «Sacramentario di Ellinger», da questi, futuro abate di Tegernsee, scritto probabilmente a Niederaltaich attorno alla metà del secolo xi (Rossiano 204), e diversi volumi ebraici, come il manoscritto contenente una parte della Mishneh Torah di Maimonide (Rossiano 498). Nel 1922 divenne papa Pio xi Ratti (1922-1939) che della Vaticana era stato viceprefetto e poi prefetto, subito dopo padre Ehrle. La sua esperienza di bibliotecario (lo era stato per un quarto di secolo anche alla Biblioteca Ambrosiana di Milano) lo rendeva ben consapevole delle necessità dell’istituzione e non lesinò il suo aiuto, anche economico, mentre prefetto era Giovanni Mercati, uno dei maggiori eruditi del Novecento, assistito da Eugène Tisserant, prima scriptor orientalis e poi pro-prefetto. Questi tre uomini, in felice e simbiotica intesa, furono i propulsori di una fase particolarmente positiva della storia della Biblioteca. Gli interventi strutturali furono massicci. Un nuovo capiente e innovativo magazzino per i libri a stampa fu realizzato in diverse fasi a partire dal 1927 occupando i locali delle antiche scuderie che si trovavano nel corridoio orientale del Cortile del Belvedere, e proseguendo poi per tutto il corridoio superiore; si tratta di una struttura di scaffali in acciaio, autoportanti, per sette livelli, con una capienza totale di circa 800.000 volumi70. Un più agile accesso alla Biblioteca venne realizzato con l’apertura di un nuovo ingresso dal Cortile del Belvedere, inaugurato nel dicembre 1928; una nuova sede per il Gabinetto delle Stampe fu realizzata nel 1932, occupando un grande ambiente, prima destinato alla Scuola del Mosaico, contiguo all’Appartamento Borgia. Fu anche necessario provvedere alla ricostruzione di una parte del Salone Sistino, ove il cedimento di un pilastro nel dicembre 1931 aveva causato un rovinoso anche se parziale crollo, nel quale morirono cinque persone. L’immediato risanamento statico di tutto l’edificio e il restauro del Salone furono conclusi nel 1933. Importanti scambi culturali di livello internazionale e nuove iniziative

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Alle pagine precedenti: 81. Introduzione alla Bibbia a 42 linee di Gutenberg, il primo libro stampato, sec. xv (Stampato Barberini AAA. vi.16-17, f. 1r). 82. San Girolamo nella Bibbia di Niccolò d’Este (Barberiniano latino 613, f. 1r). 83 a-b. Genealogia di Gesù, illustrata da Belbello da Pavia nella Bibbia di Niccolò d’Este in francese, sec. xv (Barberiniano latino 613, f. 514r).

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84 a. Un rotolo di Exultet; particolare con un diacono che svolge il rotolo dall’ambone, sec. xi (Barberiniano latino 592, f. 3r).

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84 b. Un rotolo di Exultet; particolare con Gesù risorto che appare alla Maddalena, sec. xi (Barberiniano latino 592, f. 3r).

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85. Hypnerotomachia Poliphili, incunabolo pubblicato nel 1499 da Aldo Manuzio (Stampato Rossiano 589, f. 61r). 86. Pagina illustrata nella Hypnerotomachia Poliphili (Stampato Rossiano 589, f. 68r).

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Capitolo primo Alle pagine precedenti: 87. Ludovico Ariosto, Orlando furioso, edizione pubblicata a Venezia nel 1556 (Stampato Rossiano 3529, frontespizio). 88. Crocifissione, con i simboli degli evangelisti ai quattro angoli, illustrata alla metà del sec. xi nel Sacramentario di Ellinger (Rossiano 204, f. 10r). 89 a-b. Raffigurazione di una lezione universitaria, nella raccolta canonistica Mishneh Torah di Maimonide, sec. xv (Rossiano 498, f. 2v).

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90. La fondazione della nuova chiesa di Santa Croce a Firenze, illustrata nella Chronica di Giovanni Villani, sec. xiv (Chigiano l.viii.296, f. 155r).

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all’avanguardia (come la normativa catalografica per i libri a stampa, l’istituzione nel 1934 della Scuola di Biblioteconomia71 e nel 1937 di un laboratorio fotografico interno)72 si affiancarono a una politica di ulteriore arricchimento delle collezioni. I libri a stampa, calcolati in 300.000 all’inizio del pontificato di Pio xi, erano più che raddoppiati alla fine, quando raggiunsero il numero di circa 700.000. I manoscritti crebbero di circa 8.000 unità. In questa enorme quantità di materiale, alcune collezioni si distinguono per la loro importanza. Nel 1922 arrivarono le Bibbie manoscritte e a stampa raccolte dal barnabita Carlo Vercellone e i circa 270 manoscritti yemeniti di Giuseppe Caprotti. Fu donata dal governo italiano nel 1923 la biblioteca della famiglia Chigi, raccolta nel secolo xvii per la gran parte da Fabio Chigi (che sarebbe poi diventato papa Alessandro vii): oltre 3.500 manoscritti (fra di essi anche un codice della Cronica di Giovanni Villani scritto con raffinatezza e ampiamente illustrato, (Chigiano l.viii.296), e un erbario di Dioscoride Pedanio in latino, del secolo xv, (Chigiano f.vii.158)73 e circa 30.000 libri a stampa, fra cui 232 incunaboli; più tardi (1944) arrivò anche l’archivio storico dei Chigi, ricco, fra l’altro, di disegni di Gian Lorenzo Bernini. Fra il 1923 e il 1926 vennero acquisite diverse migliaia di manoscritti e stampati orientali nel corso di missioni nei Paesi balcanici e medioorientali, disposte allo scopo dallo stesso Pio xi e affidate a Eugène Tisserant e a Cirillo Korolewskij. Nel 1926 arrivò il fondo Ferrajoli, con decine di migliaia di autografi, circa 35.000 stampati e oltre 1.000 manoscritti, fra cui un Livio, Ab Urbe condita, Decade iv (Ferrajoli 562), realizzato all’inizio del Quattrocento a Firenze nello scriptorium del convento agostiniano di S. Spirito, istituzione che aveva ereditato la biblioteca di Giovanni Boccaccio. Nel 1927 fecero il loro ingresso gli oltre 700 manoscritti, per lo più arabi, appartenuti al sacerdote aleppino Paul Sbath; nel 1929 i libri di Francesco Brandileone, filologo e giurista, e la biblioteca della famiglia Rospigliosi; nel 1931 la parte antica dell’archivio della basilica di S. Maria Maggiore, con documenti manoscritti, incunaboli e stampati; nel 1933, la collezione dell’archeologo inglese Thomas Ashby, composta da 1.000 disegni e 7.000 stampe particolarmente importanti per il vedutismo e la topografia di Roma, andò ad arricchire la dotazione del Gabinetto delle Stampe, che oggi conserva anche la più rilevante raccolta dell’incisore veneziano Giovanni Battista Piranesi. Fra i manoscritti arrivati nel periodo, si segnala anche un Salterio del secolo xiv già appartenuto a papa Urbano v, decorato nella Francia orientale (Vaticano latino 13125).

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Durante il pontificato di Pio xii Pacelli (1939-1958), nel 1940, avvenne il trasferimento, già deciso da Pio xi, della collezione libraria antica del Capitolo di S. Pietro, comprendente 500 stampati antichi, parte del materiale d’archivio con libri mastri, mappe e pergamene, e oltre 400 manoscritti. Tra questi ultimi è da segnalare il trecentesco «Codice di san Giorgio» (Archivio del Capitolo di S. Pietro c. 129) eseguito ad Avignone per Jacopo Stefaneschi, cardinale titolare della chiesa di S. Giorgio al Velabro, autore di una leggenda del santo e di alcuni inni contenuti nel volume; la decorazione, alto esempio di miniatura gotica, è opera di un artista non identificato e noto come «Maestro del codice di san Giorgio». Non si possono poi dimenticare due classici provenienti dalla collezione che il cardinale Giordano Orsini aveva legato al Capitolo nel 1434: un volume con le Commedie di Terenzio (Archivio del Capitolo di S. Pietro h. 19) realizzato in Francia fra x e xi secolo e un Tito Livio con tre decadi di Ab urbe condita (Archivio del Capitolo di S. Pietro C. 132) realizzato a Padova alla fine del Trecento con illustrazioni tratte dal miglior repertorio dei romanzi epici e cavallereschi. Negli anni successivi arrivarono i quasi 1.300 codici musicali della Cappella Giulia (1941), il fondo degli stampati del Duca di York (1944), i circa 4.700 manoscritti e le cospicue raccolte di pergamene e di autografi dal xv al xix secolo donati da Federico Patetta (1945), il prezioso foglio di un codice coranico del i secolo dell’Ègira (vii secolo), nel Vaticano arabo 1605, donato da Tàmmaro De Marinis (1946), e la biblioteca della famiglia Boncompagni Ludovisi (1948).

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Gli ultimi decenni Il pontificato di Paolo vi Montini (1963-1978) ha visto l’acquisizione di ulteriori importanti collezioni: fra gli stampati si segnalano i circa 100.000 volumi della biblioteca personale di don Giuseppe De Luca; fra i manoscritti i fondi Cerulli (persiani ed etiopici), il Papiro Bodmer viii, del secolo ii-iii, contenente le due Lettere di Pietro74, e molto altro ancora. Nello stesso periodo la Biblioteca si dotò di un ulteriore grande magazzino per gli stampati, capace di circa 400.000 volumi e situato nell’ala occidentale del Cortile del Belvedere75 e, sopra la Galleria Lapidaria, di una nuova sede per il Medagliere che pure fu arricchito di monete e medaglie particolarmente importanti, in seguito ad acquisti, cambi e lasciti, come quello, nel 1974, del diplomatico francese Jean Pozzi, con oltre 700 esemplari tra monete greche, romane, bizantine, di cui quasi

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Alle pagg. 134-135: 91. Dioscoride Pedanio, De materia medica, con relativo erbario, uno dei più diffusi testi di farmacopea antica, sec. xv (Chigiano f.vii.158, f. 1r). 92. Autoritratto di Gian Lorenzo Bernini (Arch. Chig. 24901).

Alle pagg. 138-139: 94. Tito Livio, Ab Urbe condita, Decade iv, inizio del De bello Macedonico, sec. xv (Ferrajoli 562, f. 1v).

96. Jakob Philipp Hackert, Veduta del Colosseo e del tempio di Venere a Roma, disegno ad acquerello colorato, penna e matita nera, sec. xviii (Ashby Disegni 149).

95. Federico Barocci, Visitazione, disegno a matita, sanguigna e gesso, sec. xvi (Ashby Disegni 9).

97. Giovanni Battista Piranesi, Vedute di Roma, frontespizio, stampa ad acquaforte, ca. 1745 (R. G. Arte.Arch.s.310, int.2).

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Alle pagine seguenti: 98. Il miracolo di Cana e il battesimo di Gesù nel “Salterio di Urbano v”, sec. xiv (Vaticano latino 13125, f. 15v). 99. “Maestro del Codice di san Giorgio”, episodi della vita del santo nel manoscritto che ha dato il nome al suo miniatore, sec. xiv (Archivio del Capitolo di S. Pietro c.129, f. 85r).

Alle pagg. 136-137: 93. Leiturgiarion in slavo ecclesiastico, pubblicato nel 1666; il timbro che riporta le lettere “T.K.” indica la provenienza del volume dalle campagne di ricerca di libri svolte in Oriente da Eugène Tisserant e Cirillo Korolewskij (R. G. Liturgia iv.296, pp. 2-3).

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100. Frammento di Corano, sec. i Ègira = sec. vii d.C. (Vaticano arabo 1605, f. 1r).

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150 in oro. Lo spazio fino ad allora occupato dalle collezioni numismatiche fu reso idoneo ad accogliere l’Archivio Barberini e altri fondi archivistici che si conservavano negli armadi del Salone Sistino e delle Gallerie attigue. Al pontificato di Giovanni Paolo ii Wojtyła (1978-2005) si ascrivono iniziative che hanno contribuito non solo a mantenere la Vaticana al passo con i tempi, ma in taluni casi addirittura di precorrerli. Interventi strutturali importanti furono realizzati durante la prefettura del salesiano austriaco Alfons M. Stickler, come il nuovo deposito sotterraneo di sicurezza per i manoscritti, scavato sotto il cortile della Biblioteca, costruito in cemento armato, con oltre sei chilometri di scaffalature in una superficie di circa 700 metri quadrati, con sistemi all’avanguardia che lo pongono oggi fra i migliori al mondo76; gli ambienti attigui alla sala di consultazione dei manoscritti, fino a quel momento adibiti allo scopo, erano infatti insufficienti e poco idonei alla conservazione dei codici. Con la prefettura del domenicano irlandese Leonard E. Boyle venne avviata l’automazione e l’informatizzazione del catalogo degli stampati, e la Vaticana fu tra le prime grandi biblioteche al mondo a intraprendere con decisione quel «nuovo» percorso che consente un più facile accesso alle informazioni catalografiche e dunque allo studio di ciò che conserva. Oggi il catalogo, insieme a molti altri servizi, è consultabile in internet77. Nello stesso periodo ebbe grande incremento anche l’attività espositiva della Biblioteca78. La prefettura del salesiano Raffaele Farina si è contraddistinta per il recupero, la razionalizzazione e l’acquisizione di ulteriori spazi, anche fuori dalle mura vaticane, per il miglioramento della struttura e per l’introduzione di innovative tecnologie, come quella che consente la rilevazione dei volumi con un sistema di identificazione attraverso la radio frequenza (rfid)79, tutto finalizzato a una migliore organizzazione del lavoro e al conseguente miglior servizio da rendere a un pubblico di studiosi sempre più attento ed esigente. Nel frattempo, la Biblioteca Vaticana non ha smesso di crescere. Il nostro secolo, con il pontificato di Benedetto xvi Ratzinger (2005-), mentre cardinale bibliotecario era Jean-Louis Tauran e prefetto Raffaele Farina, si è aperto con una straordinaria acquisizione, l’antichissimo Papiro Bodmer xiv-xv, scritto fra il 180 e il 220, regalato dal benefattore statunitense Frank Hanna iii dopo che era stato messo in vendita all’asta dalla Fondazione Bodmer di Cologny, in Svizzera, nel 2006. Ritrovato in una località egiziana verso la metà del secolo scorso, contiene quasi integri i Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni ed è non solo il più antico codice manoscritto che

testimonia l’esistenza di una raccolta dei Vangeli (probabilmente per uso liturgico), ma soprattutto il più antico testimone conosciuto, a parte qualche frammento, di questi due testi. Negli anni successivi, gli importanti interventi logistici in diversi settori sono culminati, con lo stesso Raffaele Farina cardinale bibliotecario, mons. Cesare Pasini prefetto e chi scrive vice prefetto, nel triennio 2007-2010, durante il quale la Biblioteca è stata chiusa agli studiosi, con la realizzazione di nuove strutture: l’ingresso ridisegnato, nuovi ascensori, la «Torre dei manoscritti» nel cortile, i ristrutturati laboratori di restauro e di fotografia, una sala papiri annessa al rinnovato e ampliato deposito sotterraneo dei manoscritti80. E intanto sono giunti alla Vaticana un importante gruppo di oltre 100 codici ebraici, acquisiti sul mercato antiquario, una splendida collezione di medaglie pontificie e numerosi disegni e incisioni per il Gabinetto delle Stampe, mentre cresce la collezione dei libri a stampa.

Oggi: il futuro di ieri e il passato di domani Rinnovata nelle strutture e nelle attrezzature, la Biblioteca continua oggi a mettere a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo i tesori che conserva, e che costituiscono un importante patrimonio dell’umanità, nello stesso spirito di servizio agli studi che ha sempre contraddistinto la sua storia. I materiali custoditi oggi dalla Biblioteca Apostolica Vaticana coprono un arco temporale di oltre 2.500 anni e numerosi campi dello scibile umano: la letteratura e la storia, l’arte e il diritto, l’astronomia e la matematica, le scienze naturali e la medicina, la liturgia e la patristica, la filosofia e la teologia. I numeri sono impressionanti. Circa 80.000 i manoscritti, per la gran parte dei periodi medievale e umanistico, con alcuni importanti testimoni dell’antichità e numerosi altri dell’epoca moderna; i cosiddetti «latini» (scritti in alfabeto latino e in numerose lingue: latino, italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco, provenzale, ecc.) sono circa 63.000, i greci circa 5.000, gli ebraici circa 920, in altri alfabeti orientali oltre 9.000, fra cui arabi, copti, siriaci, armeni, etiopici e circa 2.000 opere rare dell’Estremo Oriente in cinese, coreano e giapponese. Ad essi si aggiungono circa 100.000 unità archivistiche, 8.400 incunaboli, decine di migliaia di cinquecentine e ancor più seicentine, 150.000 fra stampe, disegni e matrici, oltre 150.000 fotografie, 300.000 tra monete e medaglie, 1.500.000 stampati moderni. Che cosa fare di tutto questo materiale, frutto della lunga storia che si è raccontata e che non si è esaurita? La Biblioteca

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La Biblioteca Apostolica Vaticana 101. Fine del Vangelo secondo Luca e inizio del Vangelo secondo Giovanni, ca. 180-200 (Papiro Bodmer xiv-xv, f. 2A8r).

Vaticana vuole essere insieme un sicuro deposito delle preziosissime testimonianze del passato che ha raccolto e un luogo di ricerca e di sviluppo delle conoscenze, e la sua missione è duplice anche oggi, esattamente come per Niccolò v che la fondò e per tutti coloro che si sono nei secoli avvicendati alla sua guida: da una parte quella di raccogliere e custodire nel migliore dei modi le testimonianze dell’ingegno, del lavoro, della fede, della passione, della fantasia delle generazioni che ci hanno preceduto affinché anche le generazioni future possano beneficiarne; e dall’altra quella di metterle anche oggi a disposizione della comunità scientifica di tutto il mondo. Questi due compiti sono però spesso in contraddizione fra loro: semplicemente aprire un manoscritto o un libro antico, esporlo alla luce, toccarlo, sfogliarlo, significa consumarlo e, alla lunga, distruggerlo; d’altra parte, tenerlo nelle migliori condizioni, a temperatura e umidità costanti, chiuso in un deposito ben protetto, significa conservarlo per lungo tempo, ma senza utilizzarlo. Da qui nasce il costante dilemma che si pone alla Biblioteca Vaticana ma che è lo stesso di ogni biblioteca: come unire il passato e il futuro? La Biblioteca ha il dovere di conservare il patrimonio culturale delle sue collezioni in modo che sia disponibile anche per le future generazioni: il presente di oggi sarà infatti il passato di domani. Ma i libri sono vivi solo se vengono letti e, se così non è, una biblioteca si trasforma in un cimitero di libri, in un deposito di cadaveri. Il presente di oggi è infatti anche il futuro di ieri, e la nostra generazione è già una futura generazione e deve avere la possibilità di studiare il patrimonio che le è stato trasmesso dal passato, senza distruggerlo. Si tratta, insomma, di cercare il

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giusto equilibrio tra uso/consumo e conservazione. In questa ricerca di equilibrio, le moderne tecnologie – catalografiche, fotografiche, di prevenzione e di restauro – possono contribuire a indicare una strada percorribile, migliorando l’accesso alle informazioni relative ai documenti, la possibilità del loro studio scientifico e la loro conservazione nel tempo. Tanti problemi potranno essere risolti, e tanti altri si porranno, come quelli che derivano dall’enorme quantità di dati che si possono immagazzinare, dai costi, dai tempi, dalla durata dei loro supporti, e altro ancora; ma queste difficoltà «pratiche», prima o poi, saranno risolte dallo sviluppo tecnologico: quello che fu il sogno di una biblioteca universale, impossibile per Tolomeo che costruì l’Alessandrina, o per Niccolò v che fondò la Vaticana, sarà forse realizzabile in forma digitale, con supporti elettronici. Ma il problema di fondo non è di tipo tecnico. Il prestigio e l’autorevolezza di cui gode, e che le derivano proprio dalle sue raccolte uniche, richiedono alla Biblioteca Vaticana di fare ogni sforzo per essere sempre all’altezza della sua missione. Così ha fatto nel passato e su questa strada sta continuando anche oggi, accettando la sfida di costruire il futuro, ben consapevole tuttavia che «la comune utilità degli uomini di scienza» deve rimanere al centro dei suoi scopi: lo può essere oggi e lo potrà essere ancor più domani solo se verrà mantenuta salda la coscienza che, alla fine, sono l’intelligenza e le capacità dell’uomo, e non la quantità di dati di cui dispone o la tecnologia con cui li può manovrare, a renderlo in grado di contribuire davvero alla crescita della cultura dell’umanità.

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Cortile della Pigna

Cortile della Biblioteca

Capitolo Secondo

Antica sede della Biblioteca Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana

Cortile del Belvedere

Antonio Manfredi

Cortile di S. Damaso e d c b 1.

SALA LATINA

2.

SALA GRECA

3.

SALA SECRETA (parva secreta)

4.

SALA PONTIFICIA (magna secreta)

5.

Probabili locali della cosiddetta Camera Parva Secreta aggiunta durante il pontificato di Leone X

Torre Borgia

4 3

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2 i

1

5 l Cortile del Pappagallo

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a-e Finestre aperte sul “giardino”. Ora affacciate sul Cortile del Belvedere. Attualmente la e è utilizzata come ingresso. f-g Porte interne di comunicazione tra le sale della Biblioteca, le due pubbliche e la secreta. h

Porta di comunicazione con rialzo tra la Sala secreta e la Sala pontificia, aggiunta tra il 1477 e il 1481.

i

Porta tuttora esistente tra la Sala Secreta e la Camera parva secreta

l

Porta di Sisto IV per l’ingresso alla biblioteca a piano terra, dal Cortile del Pappagallo

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La rinascita della biblioteca papale a Roma, presso il Vaticano, in età umanistica è uno degli avvenimenti culturali più significativi del Quattrocento italiano. Chiuso lo scisma d’Occidente, ciò che rimaneva della grande raccolta di libri di Avignone fu abbandonato al proprio destino e la nuova biblioteca papale a Roma si modellò secondo le istanze dell’Umanesimo. Seguendo da vicino le prospettive intuite dal Petrarca e compiute a Firenze da Niccolò Niccoli e da Cosimo de’ Medici, la raccolta libraria pontificia si inserì nella tipologia delle raccolte pubbliche e ne divenne una delle più significative per qualità e quantità di testi e volumi raccolti e per la loro organizzazione e fruizione. Ne fu promotore il primo papa di formazione umanistica, Niccolò v Parentucelli da Sarzana (1447-1455), teologo e filologo insieme, uomo di studi e di Chiesa, allievo del Niccoli e collaboratore di Cosimo de’ Medici a Firenze nell’allestimento della biblioteca di S. Marco. Subito dopo l’elezione, egli, mettendo in gioco la sua già corposa collezione libraria personale, rilanciò l’istituzione libraria, che alla sua morte arrivò ad avere un patrimonio di oltre 1.200 manoscritti, di cui un terzo in greco. Il grandioso progetto, concepito ma non concluso in poco più di sette anni di pontificato, fu portato a termine, a tempi ormai più che maturi, da Sisto iv della Rovere (1471-1484), teologo di formazione scolastica, ma attento alle correnti culturali umanistiche. Egli sostenne una decisiva ristrutturazione della giovane istituzione nel quadro della riforma globale della curia. Alla Biblioteca, che si era nel frattempo allargata con nuove e cospicue acquisizioni, fu concessa la bolla Ad decorem militantis ecclesiae (1475-1477), che stabilisce l’attribuzione di mezzi autonomi di sussistenza e indica prerogative e incarichi principali del personale addetto e appositamente nominato. Così, per

volere di Niccolò v e con il contributo fondamentale di Sisto nacque l’istituzione che allora era chiamata la bibliotheca palatii ed è il nucleo fondativo di quella che oggi chiamiamo Biblioteca Apostolica Vaticana. L’allestimento occupò una parabola cronologica di circa un trentennio e si consolidò nei cento anni successivi. Il primo documento che ne descrive sommariamente i termini giuridici risale al 1451 ed è il breve pontificato di Niccolò v a Enoch d’Ascoli. Porta la data del 1481 il dettagliato inventario topografico che certifica la chiusura della ristrutturazione sistina ed elenca oltre tremila manoscritti collocati in una serie di ambienti, in parte aperti al pubblico. Furono anche predisposti spazi appropriati nella nuova ala del palazzo pontificio, anch’essa voluta da papa Parentucelli e completata a più riprese dai successori, fino agli affreschi di Raffaello e della sua scuola, e all’apertura del grandioso cortile bramantesco del Belvedere. Qui, come documenta questo volume, dal 1590 la raccolta libraria papale fu ricollocata in un nuovo, apposito «contenitore»: un’aula magnifica, successiva al Concilio di Trento, concepita secondo un’idea di biblioteca diversa da quella su cui si strutturò la Vaticana delle origini. È ormai ricca la bibliografia scientifica su queste vicende: essa si basa su un’ampia messe di documenti che testimoniano la complessità dell’allestimento, guidato alle origini dallo stesso Niccolò v e dal primo bibliotecario, il grecista Giovanni Tortelli, e proseguita, sotto Sisto iv, dallo straordinario impegno del responsabile di allora, l’umanista lombardo Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che compì l’opera in poco più di sei anni, tra il 1475 e il 1481. La documentazione, che si polarizza in particolare attorno ai due pontefici che maggiormente operarono per la nuova fondazione, Niccolò e Sisto, costituisce un unicum per iv

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana A pagina 148: 102. Pianta dell’antica Sede delle Biblioteca.

103. Maestro di Niccolò v, Niccolò v in figura di Gregorio Magno predica ai cardinali (Vaticano latino 541, f. 75r) particolare. 104. Miniatore sistino, ritratto di Sisto iv (Vaticano latino 2044, f. 2v).

abbondanza e varietà: inventari frequenti, documenti contabili, atti sovrani di nomina e di indirizzo, registri e note di prestito, di acquisizione, di committenza libraria, relazioni di visitatori e notizie di contemporanei. Nessun’altra biblioteca di antica tradizione e ancora in funzione credo possa vantare per le proprie origini una così abbondante serie di testimonianze, direttamente confrontabili con i fondi librari antichi tuttora conservati, che diventano essi stessi – i singoli libri e le raccolte in cui si connettono – documenti della storia della Vaticana. Tra questi moltissimi dati, non sono poche le indicazioni che rimandano agli spazi originari occupati dalla Biblioteca, e un affresco conservato a S. Spirito in Sassia ne propone una descrizione visiva che è forse l’unica rimasta a rappresentarci dal vivo una sala pubblica di biblioteca umanistica in piena attività. La raccolta documentaria che si riferisce alla fondazione della Vaticana è pari per importanza e mole a quella prodotta per la collezione papale avignonese che, tanto diversa e diversamente cresciuta, fornisce però un termine di paragone per misurare la profondità del rinnovamento culturale promosso dall’Umanesimo in questo settore di studi e attuato in Vaticana. Proprio il Petrarca, che frequentò la raccolta del grande palazzo dei papi in terra di Francia, dapprima trovandovi un libro che in un secondo tempo non ebbe più modo di recuperare, aveva

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già intuito e sperimentato ciò che sarebbe successo. Quella avignonese era infatti una biblioteca chiusa: non comunicante direttamente con l’esterno, né facilmente accessibile. La sua sede principale era collocata nella sala detta del cervo volante, al terzo piano della poderosa Torre della Guardaroba, costruita a difesa dei beni mobili più preziosi custoditi nei palazzi, vicino allo studio personale del pontefice. I libri erano rinserrati in armadi, in un luogo non adatto alla consultazione, ma strutturato a difesa di una collezione ordinatamente conservata e scrupolosamente catalogata. Una biblioteca, quindi, di conservazione nel senso più proprio del termine. Invece la prima sede della Vaticana assunse una concezione spaziale opposta: a Roma, nel nuovo Palazzo Apostolico – non più turrito e verticale, ma concepito con sviluppo orizzontale – la Biblioteca fu collocata al piano terreno, in sale collegate sia dalle sovrastanti stanze della residenza pontificia vera e propria, sia a un accesso sul Cortile del Pappagallo, allora abbastanza esterno rispetto alla serie dei cortili per chi saliva dall’abside di S. Pietro. Inoltre le finestre della raccolta libraria davano direttamente sull’hortus dei papi, giardino di ispirazione classica e spazio verde del nuovo palazzo affacciato sul digradare della collina. Mutava dunque il modello architettonico della residenza pontificia e, di conseguenza, la collocazione e

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 105. Avignone, Palazzo papale, Torre della Guardaroba. 106. Avignone, Palazzo papale, Camera cosiddetta del Cervo volante, particolare della decorazione parietale.

la stessa concezione della raccolta libraria, raggiungibile ora senza passare necessariamente per le inevitabili clausure che difendevano i luoghi destinati alla vita quotidiana dei pontifici. Gli inventari e le notizie contabili quattrocentesche fanno riferimento a una pluralità di spazi in cui i libri erano collocati. Nell’inventario generale dei codici latini redatto nel 1455 i volumi risultano collocati in otto armadi, sei a sinistra e due a destra, situati in un’unica sala con una sola finestra, di cui è stata proposta l’individuazione in quella che sarebbe poi diventata la sala graeca della Vaticana di Sisto iv. La collocazione ha l’aspetto provvisorio di un lavoro appena avviato, con alcune sezioni già dotate di ordine rigoroso e altre ancora precariamente allestite, ma tutte già di notevole consistenza. Nel catalogo generale dei codici greci della Vaticana di Niccolò v, parallelo e coevo a quello latino, la disposizione interna dei volumi corrisponde a un ordine maggiore e a un canone culturale che distingue, senza

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separarle, una sezione sacra e una profana. All’interno della sezione sacra si susseguono in rigorosa ripartizione i principali Padri della Chiesa greca, distinti dagli scrittori considerati meno noti; sezioni a parte sono assegnate ai testi biblici, a quelli liturgici e a quelli di diritto, che rappresentano con la filosofia la cerniera cui s’aggancia la sequenza degli scritti profani. Il catalogo generale greco non fa però cenno né all’ubicazione della non piccola raccolta né al mobilio in cui essa era custodita. Ben più ampie sono le notizie riguardanti gli ambienti che si ricavano dagli inventari e dalla documentazione contabile prodotta durante la ristrutturazione sistina. Il primo inventario di questo periodo, redatto nel 1475 per volere del Platina, distingue ancora i manoscritti in due ampie sezioni: una latina e una greca. Compilato dal Platina e dai suoi collaboratori tra il febbraio e il luglio del 1475, esso ripartisce con grande rigore quasi tremila volumi nelle due sezioni parallele, mantenendo la divisione tra testi sacri e profani, rubricando i volumi, all’inter-

no delle due grandi aree, per autori e argomenti. L’inventario del 1475 riflette almeno due operazioni previe: il riordino generale e minuzioso di un numero notevole di libri e la compilazione di un elenco secondo criteri standardizzati. La rapidità e la precisione nell’operato del Platina e dei suoi collaboratori prevedono una certa disponibilità di spazi già dedicati all’istituzione. Non è detto esplicitamente nel ’75 se alla bipartizione generale dell’inventario ne corrispondesse anche una spaziale: non è tuttavia improbabile che in un primo tempo, in continuità con gli inventari del 1455, la raccolta fosse materialmente conservata in due stanze contigue, una più grande con i libri latini e una più piccola con quelli greci. È invece certo che alla fine di una prima radicale ristrutturazione (1475-1477) la raccolta era disposta in tre sale, due pubbliche, una riservata ai codici latini e una a quelli greci, e una «secreta», particolarmente ingombra di volumi: così la descrive l’inventario in versi di Antonio de Thomeis, databile attorno al 1477. In una seconda fase le sale divennero quattro, come risulta evidente dall’inventario conclusivo del 1481 che ha un preciso andamento topografico, descrive cioè esplicitamente i volumi nella loro collocazione spaziale, disposti in quattro sale. Da qui risulta che alle tre sale, viste nel 1477 dal de Thomeis, si era aggiunto nel frattempo un quarto spazio contenente codici latini e greci e registri d’archivio. Di questa evoluzione da una/due a tre/ quattro sale dà conto la minuziosa contabilità tenuta dal Platina per giustificare le spese condotte per la ristrutturazione sistina. In un primo tempo si sistemarono con minimi lavori di ristrutturazione tre aule già esistenti, per giungere entro il 1477, in coincidenza con l’inventario del de Thomeis, alle tre sale parallele, tra loro comunicanti e tutte ammobiliate con banchi: solo la secreta oltre ai banchi, definiti vecchi rispetto ai nuovi fatti fare apposta per le altre due sale, era arredata con armadi e casse. La massima parte delle spese di questa fase fu destinata al mobilio e alle forniture di catene per assicurare i libri ai plutei, soprattutto a quelli delle due sale di consultazione pubblica, cioè la latina e la greca, mentre armadi, casse e vecchi banchi furono ammassati in una sola sala secreta. Dal 1478 al 1480 si provvide a far preparare, con significativi e costosi lavori di muratura oltre che di mobilio, un’ulteriore quarta sala detta da principio bibliotheca nova, per distinguerla dalla serie di sale precedenti indicate, tutte insieme, come bibliotheca vetus; a partire dall’inventario del 1481 la sala nova fu chiamata bibliotheca pontificia. Corrispondenza perfetta si ha quindi tra contabilità e documentazione inventariale: quest’ultima risulta decisiva per seguire l’allestimento e costituisce uno dei punti di forza della biblioteca papale umanistica.

L’ampio corredo di libri, ormai accumulatosi dal nucleo iniziale di Niccolò v e fin da allora demarcato in due grandi sezioni, una latina e una greca, si dispose così in quattro ambienti, di cui almeno uno già pronto alla fine del pontificato di papa Parentucelli; altri due, forse compresi nel progetto niccolino ma non portati a termine, furono completati entro il 1477. L’aggiunta di un’altra grande aula, forse assente nel progetto originario, si era resa necessaria a smaltire l’eccesso di volumi della sola sala secreta: essa però nacque strutturata con una propria originalità. Si giunse così alla condizione descritta nel 1481 di una biblioteca complessa e ben articolata, distribuita in quattro sale comunicanti: due pubbliche e due riservate. Tale condizione rimase stabile in seguito per molti anni. I libri erano collocati secondo una suddivisione che distingueva le discipline sacre dalle profane, i codici latini dai greci, suddivisi però secondo gli stessi criteri, così da giungere a una serie di strutture parallele e gerarchicamente organizzate, ognuna in relazione all’altra. Lo studioso ammesso alle sale pubbliche ritrovava, passando di sala in sala, i libri disposti sui banchi per materie di studio, secondo una scansione analoga, evidenziata da tavole agganciate ai plutei. Una struttura estremamente funzionale: una sorta di architettura libraria in quattro ambienti, comunicanti e rispondenti a un unico modello e a criteri uniformi di collocazione. Non è quindi possibile studiare gli spazi della vecchia sede prescindendo dal mobilio, funzionale ai libri e all’architettura culturale che il loro ordinamento, reale e catalografico, intendeva esprimere. Spazi, mobilio e libri si sono dunque evoluti insieme, in una dinamica complessa e affascinante, in parte ancora da conoscere, ma di cui è possibile indicare le linee sommarie. A che cosa corrispondono oggi i quattro ambienti del Platina e di Sisto iv? Un recente restauro ha rimesso in luce le stanze del piano terreno del palazzo pontificio quattrocentesco, dopo un periodo di abbandono, a seguito del trasferimento della Biblioteca nel palazzo che per volere di Sisto v fu costruito per dividere il livello più basso da quello intermedio del Belvedere bramantesco. La vecchia sede nel frattempo era stata adibita a deposito, reso in tempi relativamente recenti disponibile sia per i musei che per la Floreria vaticana, l’ufficio che si occupava e si occupa degli allestimenti soprattutto mobili connessi con le necessità del papa e della corte, un ufficio bisognoso di locali e rimesse. Il restauro moderno di quegli spazi risale agli anni Settanta del secolo scorso: curato dai Servizi tecnici della Città del Vaticano, si avvalse allora della collaborazione scientifica di due

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 107. Veduta aerea del Cortile del Belvedere; in fondo al Cortile, a sinistra l’ala di Niccolò v del palazzo pontificio, a destra la Torre Borgia.

specialisti della storia dei palazzi pontifici e della Vaticana, l’allora viceprefetto José Ruysschaert e il direttore dei Musei Deoclecio Redig de Campos. I locali restaurati avrebbero dovuto ospitare, insieme ad altre strutture connesse, le riunioni periodiche del sinodo dei vescovi, voluto da Paolo vi in ottemperanza alle indicazioni del Concilio ecumenico Vaticano ii. Le sale della vecchia biblioteca sarebbero diventate cornice significativa di uno strumento ecclesiale tanto importante per il cammino della Chiesa nei tempi nuovi. Il restauro fu pari alle aspettative e mise in luce ambienti di notevole importanza storica e bellezza architettonica, anche se in parte soffocati dal crescere successivo e stratificato dei palazzi pontifici. Il sinodo dei vescovi trovò però in seguito sede più comoda entro gli spazi della nuova sala delle udienze, e queste belle aule un po’ umbratili, dove ancora si respira l’equilibrata maestosità con cui venivano pensate le biblioteche quattrocentesche, ora sono aperte solo per occasioni particolari.

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I dati emersi dal raffronto fra la documentazione coeva, i libri e gli spazi restaurati mostrano piena coerenza e permettono di ricostruire per grandi linee le condizioni originarie dell’antica sede della Vaticana: un allestimento impegnativo anche a livello architettonico. La ricostruzione ideale di questi ambienti dovrà dunque tenere conto, secondo i caratteri propri di una biblioteca di consultazione di quei tempi, di almeno tre elementi: la pluralità degli spazi, aule o stanze, in cui la Biblioteca era organizzata, il mobilio specifico che arredava gli ambienti e su cui erano collocati i volumi, i libri allora presenti e ordinati nella raccolta. L’interazione tra mobilio arredato di libri e spazi arredati di mobili formava, per così dire, il contenuto architettonico della Biblioteca. Un contenuto strettamente legato alla fisionomia culturale che alla raccolta si intendeva dare, guidando gli studiosi alla consultazione. Immaginiamo dunque una visita che ricostruisca gli ambienti, oggi arredati come sale di conferenze e ricevimento, con il loro mobilio originale, solo in minima parte conservato, e la disposizione dei volumi. L’architettura libraria e culturale è quella che i cataloghi minuziosamente documentano soprattutto a partire dal 1481, e dall’inventario che chiuse il riordino sistino. Si tratta infatti di quattro ambienti posti al piano terreno del palazzo pontificio quattrocentesco, quello voluto da Niccolò v, che verso sud si affaccia sullo stretto Cortile del Pappagallo e verso nord sull’ampio e più recente Cortile del Belvedere, che prima scendeva con parete a schifo, cioè a pendenza digradante, verso gli orti papali, forse delimitati da un muro che il Bramante dovette far abbattere per allargare e spianare la nuova grande corte pontifica.

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La facciata verso nord oggi si presenta piuttosto alterata: essa è tuttora decorata con bugnati alla toscana, ben visibili da pochi mesi, dopo un’attenta ripulitura esterna che ha coinvolto tutto il grande cortile. Questa bella facciata già a prima vista rimanda all’armoniosa veste esterna di certi palazzi fiorentini coevi e diviene entro il progetto del Belvedere bramantesco una specie di quinta scenografica di carattere un po’ arcaico, appena più profonda rispetto alla larga vista dei portici, leggermente di sbieco, delimitata a destra dalla Torre Borgia; un’esedra scandita da lesene tuscaniche in laterizi, decorate con profili e capitelli marmorei, fa da collegamento con il grande, nuovo cortile. Il vecchio palazzo massiccio ed elegante, riparato dalla pesante torre merlata, e appena smosso da belle finestre quadrate e crociate, proponeva davvero un nobile contrasto con il ritmo nuovo e ben scandito dei portici e delle arcate a tutto sesto che costituiscono la cifra stilistica del nuovo cortile. Questa facciata si sviluppava originariamente su tre piani terminanti in una loggia, sopraelevata nel secolo scorso per far posto alla Segreteria di Stato. In origine il primo e il secondo piano erano marcati da due ordini di cinque finestre a crociera: quelle del secondo piano danno luce alle cosiddette «stanze» decorate da Raffaello e dalla sua scuola, stanze che ancora conservano i pavimenti di imitazione cosmatesca con lo stemma di papa Parentucelli. In corrispondenza alle due serie di finestre, anch’esse candide e adatte a dar movimento orizzontale al forte fronte murario, Leone x, proseguendo in qualche modo il gusto toscano, volle aggiungere due robusti balconi in tutta lunghezza, alleggeriti da sostegni marmorei scolpiti a volute. Il piano inferiore dell’edificio quattrocentesco è a livello del terreno sul versante del Cortile del Pappagallo: tutto l’edificio dà infatti su uno spazio angusto, modestamente decorato, che piuttosto ricorda le corti strette e alte di un castello, non molto più largo di un moderno cavedio. Invece la facciata nuova sul versante del Belvedere, per effetto dell’andamento collinare, risulta più in alto rispetto al piano: da qui la funzione di raccordo dell’esedra bramantesca, dietro cui si distinguono quattro finestre strombate, chiuse in alto da un semplice archetto appena decorato in cotto, senza uso di marmi. Esse danno luce a quattro stanze in parte illuminate anche da finestre aperte sul lato del cortile interno; dalla prima sala, illuminata da due finestre sul Belvedere, si apre una porta verso il Pappagallo: decorata con cornici marmoree e sormontata da una finestra, porta scolpito nel marmo il nome di Sisto iv. Questa è, con sicurezza, l’unica entrata della vecchia biblioteca di palazzo: dava accesso diretto alle quattro aule in infilata, ritmate, en-

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 108. L’ala di Niccolò v dei palazzi pontifici con la Torre Borgia; le quattro finestre nel piano inferiore danno luce alle sale della vecchia biblioteca.

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109. Palazzo pontificio, particolare delle due finestre che danno luce alla prima sala della vecchia biblioteca; sopra le finestre il primo dei due balconi voluti da Leone x, sotto le lesene superiori dell’esedra del Belvedere.

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L’antica sede della Biblioteca Vaticana 110. Palazzi pontifici, Cortile del Pappagallo, porta d’entrata della vecchia biblioteca; sull’architrave lo stemma di Sisto iv.

trando a sinistra, dalla serie delle porte ad architrave e cornici marmoree con stemma sistino, tre allo stesso livello, a mettere in comunicazione tre spazi di ampiezza dissimile ma perfettamente in linea tra loro; la quarta, l’ultima, appena rilevata da gradini che si aprono su uno spazio pressoché quadrato e più arioso dei primi tre: dotato, quest’ultimo, un tempo anch’esso di un’unica finestra sul Belvedere, oggi completamente aperta ad arco verso i locali interni di un basso edificio, addossato successivamente e collegato con il cortile bramantesco. Quattro sale di ampiezza diversa e diversa decorazione: la prima, al di là della porta del Pappagallo, è voltata a vele e marcata da un forte pilastro centrale che la divide in due metà. Le vele del soffitto sono a lesene di finto marmo chiuse al centro con gli stemmi di Sisto iv, dipinti entro corone d’alloro e di quercia, come appesi al soffitto, decorate con nastri di stoffa che si prolungano svolgendosi sul bianco delle volte. Le otto lunette, delimitate dalle vele, contengono dodici ritratti di saggi, opera dei fratelli Davide e Domenico Ghirlandaio, che risultano pagati dal Platina. Essi sono denominati con grandi lettere capitali e collocati a due a due sulle lunette di ampiezza

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maggiore, singolarmente sulle minori. I sei di destra, entrando dal Pappagallo, sono «saggi» cristiani: i quattro Padri della Chiesa occidentale, Agostino e Ambrogio in abito vescovile, Girolamo con manto cardinalizio, Gregorio Magno con la tiara pontificia; ad essi si aggiungono i due Dottori «moderni» per eccellenza: Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio, il cui nome è preceduto da una B., segno della recente beatificazione, e dal cappello cardinalizio, essendo egli stato vescovo di Albano. I sei di sinistra sono filosofi antichi: Socrate, Platone, Antistene, Cleobolo, Aristotele e Diogene. Identica per tutti la posa: posti a tre quarti dietro una finta balaustra di cotto lavorato a palmette e grottesche e delimitata da cornici classicheggianti, sventolano verso la sala cartigli con motti latini collegati a ciascuno e alla funzione del leggere e dello scrivere. Per esempio Agostino dichiara: «Nihil beatius est quam semper aliquid legere aut scrivere»; di fianco Ambrogio quasi gli risponde: «Diligentiam circa scripturas inter officia sanctorum posui». Sulle balaustre ai dodici personaggi si intervallano vasi di piante e cesti di fiori; sullo sfondo un cielo azzurro digrada al chiaro ed è solcato da rari uccelli. Al lato inferiore delle ba-

111. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, sala latina della vecchia biblioteca.

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laustre si notano finti attacchi di cortina, di cui probabilmente i muri dovevano essere ricoperti per tutti i lati, tranne che per quello dirimpetto all’entrata, su cui campeggiava lo splendido affresco di Melozzo da Forlì. La buona conservazione della decorazione superiore permette quasi di interpretare la sala anche sul piano architettonico: essa si presenta come una stanza con alti loggiati, finita da balaustra e aperta sulle lunette da dove si affacciano i dodici saggi. Questa prima grande sala, dall’inventario del 1481 fino al trasferimento nella nuova sede di Sisto v, conteneva solamente codici latini. Il pilastro centrale costrinse a suddividere il mobilio in due blocchi di banchi: nove a sinistra e sette a destra, rispetto alla porta d’ingresso. La disposizione delle materie sui plutei corrisponde alla suddivisione tra raccolta sacra e profana, come mostra lo schema delle facultates ricavato dall’inventario del 1481. Il primo blocco era quello dei libri sacri, cui appunto corrispondevano nella decorazione le otto figure di teologi, il secondo blocco di banchi conteneva la raccolta profana, testi classici e umanistici, suddivisi per facultates e simbolicamente rappresentati dai filosofi dell’antichità. La prima sala pubblica,

quella latina, risponde a una precisa unità di intenti. La presenza delle otto immagini evocata dagli affreschi dei Ghirlandaio si ispirava direttamente alla classicità: gli umanisti avevano imparato che le grandi biblioteche pubbliche romane erano arredate non solo con armadi di libri, ma anche con busti di scrittori e filosofi. L’antichità qui non è ovviamente solo classica, ma anche cristiana, e si appella alle quattro grandi figure dei maestri d’Occidente, prolungandosi fino alla teologia «moderna», esattamente come le facultates teologiche sui banchi dalla Scrittura. Chi entrava dalla porta principale in questa stanza si trovava di fronte, rilevato ad altezza delle finestre sul Belvedere, l’affresco del Melozzo che rappresenta Sisto iv mentre riceve con la sua corte l’omaggio del Platina. Il bibliotecario ne indica le ragioni in tre distici su un’epigrafe, dipinta sul gradino: il papa, dopo aver promosso il restauro dell’Urbe, sostenne anche la ristrutturazione della Biblioteca (nam quae squalore latebra cernitur in celebri biblioteca loco). Libri di carta e monumenti di pietra sono i monumenta coinvolti nella renovatio Urbis promossa dal papa ligure. Dal punto di vista prospettico l’affresco spalanca sulla sala uno stupendo portico posto esattamente di fronte

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Cortile del Belvedere

Bibliotheca graeca (SALA PUBBLICA GRECA)

Bibliotheca latina (SALA PUBBLICA LATINA)

Bibliotheca secreta

Bibliotheca pontifica

poi Bibliotheca parva secreta

poi Bibliotheca magna secreta

Disposizione delle materie nel mobilio della sala pontificia della Vaticana del 1481

Disposizione delle materie nel mobilio della sala secreta della Vaticana del 1481 a. Banchi

Probabili ambienti destinati ai bibliotecari

AD DEXTERAM INGREDIENTIBUS

I

TESTAMENTUM VETUS ET NOVUM

I

IN PHILOSOPHIA

II

AUCTORES CLARIORES

IIII

HIERONYMUS, AUGUSTINUS

IN ASTROLOGIA ET MATHEMATICA

AUCTORES CLARIORES

II

AUGUSTINUS, AMBROSIUS, GREGORIUS

III

POETAE

AD SINISTRAM INGREDIENTIBUS I

Schema della disposizione delle materie sui banchi della sala pubblica greca nella Vaticana del 1481

TESTAMENTUM VETUS ET NOVUM

b. Armadi

Schema della disposizione delle materie sui banchi della sala pubblica latina nella Vaticana del 1481

I BANCO

TESTAMENTUM VETUS ET NOVUM

I BANCO

II BANCO

IN THEOLOGIA ET IN SENTENTIIS

II BANCO

IN PHILOSOPHIA

IV BANCO

IN IURE CANONICO ET CIVILI

V BANCO

CANONES, CONCILIA ET HISTORIA ECCLESIASTICA

VI BANCO

ASTROLOGIA

IV V VI VII

VIII IX

IO. CHRISOSTOMUS, EUSEBIUS, BERNARDUS IN SENTENTIIS IN THEOLOGIA, IN DIVINO OFFICIO IN IURE CANONICO, CANONES, SYNODUS, CONCILIA PATRUM IN IURE CANONICO

IV V VI VII

GRAMMATICI ET VARII AUCTORES

HIERONYMUS

V BANCO

IN THEOLOGIA

VI BANCO

IN THEOLOGIA IN THEOLOGIA, B. THOMAS

II ARMADIO

IUS CANONICUM - IUS CIVILE

VIII BANCO

IN PHILOSOPHIA

IIII ARMADIO

EXPOSITORES IN SENTENTIIS

IX BANCO

(MANOSCRITTI GRECI)

V

IUS CIVILE ET CANONICUM

V ARMADIO

(MANOSCRITTI GRECI)

VI

IN PHILOSOPHIA

VII

ORATORES ET RHETORES

VIII

HISTORICI, POETAE ET GRAMMATICI

HISTORICI ECCLESIASTICI

IV BANCO

VII BANCO

IV ARMADIO

HISTORICI

AUGUSTINUS

RES SACRAE

AUCTORES CLARIORES

ORATORES ET RHETORES

III BANCO

I ARMADIO

IV

c. Casse

IIII

EXPOSITORES IN VETERI ET NOVO TESTAMENTO

IIII BANCO

CUM EXPOSITIONIBUS II

TESTAMENTUM VETUS ET NOVUM

I CAPSA I BANCHI

IN THEOLOGIA

II CAPSA II BANCHI

«LIBELLI DONO DATI»

I CAPSA II BANCHI

PRIVILEGIA

II CAPSA V BANCHI

IN ARABICO

I CAPSA III BANCHI

IN PHILOSOPHIA

II CAPSA VI BANCHI

MEDICINA

I CAPSA IV BANCHI

HISTORICI

I CAPSA SPALERAE

POETAE

FORMULAE, TAXAE,

II CAPSA SPALERAE

IN DIVINO OFFICIO

III CAPSA SPALERAE

CONCILIA ET CANONES

IV CAPSA SPALERAE

IN MEDICINA IN ASTROLOGIA

I CAPSA V BANCHI

COSMOGRAPHI, ORATORES, RHETORES, HISTORICI, POETAE ET GRAMMATICI

X BANCO

IN IURE CANONICO

XI BANCO

IN IURE CIVILI

XII BANCO

IN GRECO

I CAPSA SPALERAE

REGESTRA RECONDITA

II CAPSA SPALERAE

REGESTRA RECONDITA

CONSTITUTIONES

IN IURE CIVILI I CAPSA VI BANCHI

HISTORICI ECCLESIASTICI, CERIMONIALIA

II CAPSA I BANCHI

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VARIAE FACULTATES

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 112. Domenico e Davide Ghirlandaio, lunetta con san Tommaso e san Bonaventura, sala latina della vecchia biblioteca, ala di Niccolò v.

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113. Domenico e Davide Ghirlandaio, lunetta con Platone, sala latina della vecchia biblioteca, ala di Niccolò v.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 114. Domenico e Davide Ghirlandaio, lunetta con sant’Agostino, sala latina della vecchia biblioteca, ala di Niccolò v.

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115. Domenico e Davide Ghirlandaio, lunetta con sant’Ambrogio, sala latina della vecchia biblioteca, ala di Niccolò v.

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L’antica sede della Biblioteca Vaticana 116. Melozzo da Forlì, Sisto iv riceve l’omaggio del Platina, Pinacoteca, Musei Vaticani. 117. Anonimo romano del sec. xv, Sisto iv visita la biblioteca, Ospedale di S. Spirito in Sassia, Corsia sistina.

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all’ingresso, ad allargare l’impatto visivo e a rendere costante la presenza del papa nella sua biblioteca. È con tutta probabilità questa la sala a due file di banchi rappresentata nella corsia sistina dell’Ospedale di S. Spirito: le doppie file di plutei sono affollate di libri e frequentate da studiosi, mentre il papa e la sua corte, guidati dal Platina, vi compiono una visita. Superata la prima porta dell’infilata, a sinistra il visitatore trovava un ambiente in parte diverso: una sala con grande volta a vela, quasi quadrata e più piccola della precedente. All’incrocio delle lesene del soffitto non più lo stemma di Sisto iv, ma quello di Niccolò v, anch’esso dentro una corona laurea, accompagnato dal monogramma papale (NppV). La

decorazione parietale copre tutta la stanza e oltre alle volte si può suddividere in due grandi fasce. Le pareti sono decorate con un trompe-l’œil che rappresenta un portico di colonne corinzie dal capitello dorato e fastoso, con fusti alternativamente colorati di rosso e azzurro. La bellissima trabeazione, costruita in un ricco movimento di angoli, è splendidamente modellata sull’antico: presenta un bassorilievo di festoni, patere e bucrani dipinti con effetto a rilievo su fondo rosso mattone in alto. Un soffitto a lacunari e finti pavimenti a tessere e mattonelle di colori alternati completano questo bellissimo finto portico che allarga notevolmente la prospettiva della stanza e la trasforma in un chiostro, il cui piano superiore è rappresentato, all’interno delle lunette delle volte, da una balaustra di marmi:

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 118. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, visione d’insieme delle volte della sala greca della vecchia biblioteca.

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119. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, visione d’insieme della sala greca della vecchia biblioteca.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 120. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, sala greca della vecchia biblioteca: particolari della trabeazione, della balaustra e delle colonne del finto portico.

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il muretto è composto da lastre alternativamente rosse e verdi, incorniciate di bianco e sormontato da una bella traforatura di marmo bianco, su cui poggiano vasi e piatti di fiori e rami verdi per tre lati; sul lato nord alla balaustra si affacciano due enigmatici personaggi: uno evidentemente più adulto con un gran copricapo in testa, uno più giovane. Tutto l’insieme offre un impatto visivo davvero sorprendente. La decorazione parietale di questa sala, ben più dotta e complessa della precedente, anche per le citazioni di derivazione archeologica, è stata attribuita all’età di Niccolò v, come conferma la presenza sulle volte dello stemma e del monogramma di papa Parentucelli. Se così fosse, ed è assai probabile che lo sia, ci si troverebbe di fronte a un luogo davvero prezioso per ricostruire la linea incline al Classicismo cui si ispirò il papa umanista: gli interventi successivi sui palazzi pontifici hanno infatti, come è noto, in gran parte distrutto le decorazioni di età niccolina. Un unico ambiente di grande livello riconosciuto come pressoché integralmente conservato è solo la piccola ma stupenda cappella privata del papa, ben nota per gli affreschi dell’Angelico. Ad essa si potrà oggi affiancare anche questo altro luogo, non meno significativo. E infatti si è proposto qualche anno fa di collegare la seconda sala della Biblioteca a un altro artista del primo rinascimento toscano, indicando l’attribuzione degli affreschi ad Andrea del Castagno, anch’egli attivo presso la corte niccolina, collocando sotto l’influenza dell’Alberti, amico e attivo presso il papa umanista, la concezione di una «biblioteca portico», secondo un gusto fortemente classicista. Sarebbe dunque questa, secondo Leonard E. Boyle, la sola sala con finestra già terminata (la seconda che guarda verso il Pappagallo probabilmente è frutto di un’aggiunta successiva), nella quale erano contenuti gli armadi dei libri latini descritti nel 1455. Ad essa si ispirarono forse per alcuni elementi i fratelli Ghirlandaio: compaiono infatti dall’una e dall’altra parte elementi decorativi comuni, come le grandi balaustre che demarcano il giro delle lunette e, sulle balconate, i grandi vasi floreali, più ricchi e vari nella seconda sala, più uniformi nella prima. Pare infatti siano un’aggiunta successiva i grandi festoni di rami di quercia che profilano le lunette della seconda sala e che compaiono identici con la medesima funzione nella prima aula. L’intento era di dare uniformità decorativa alle due sale pubbliche: un’uniformità che doveva essere assai evidente anche nel mobilio che, come risulta dai conti del Platina, fu commissionato a un legnaiolo lombardo. Purtroppo esso è andato perduto e si è smarrito così un aspetto determinante del restauro sistino.

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Sotto Sisto iv infatti la seconda aula divenne sala pubblica greca: in questo caso nessun legame diretto collega la decorazione con il contenuto dei libri custoditi nella sala che, come risulta dagli inventari, era anch’essa arredata solo con banchi, disposti su un’unica fila a partire dalle sezioni sacre per chiudersi con quelle profane, secondo un ordine analogo a quello della sala latina. Anche qui i libri erano incatenati ai plutei, a loro volta suddivisi, ciascuno destinato a una specifica sezione. Le due grandi raccolte pubbliche, collocate in due sale affrescate, costituivano un vero unicum. Oltre mille e duecento i manoscritti disponibili alla consultazione, ordinati parallelamente e fruibili direttamente dai banchi. La consultazione era facilitata dall’inventario e da tavole esplicative per la ricerca dei testi contenuti nelle sezioni disposte nel mobilio. Dall’inventario si apprende che la struttura del banco era costituita da due parti: il pluteo inclinato vero e proprio e un vano sottostante in cui per tutta lunghezza era custodita una seconda serie di codici, così che da una stessa postazione si potevano consultare due volumi, aprendo sul piano inclinato quello da leggere e riponendo l’altro nel vano sottostante. Soprattutto la sala greca costituì un vero gioiello e un grande segno di modernità: certamente la più grande «biblioteca» di libri greci del tempo. Oltre la doppia bibliotheca publica, al di là della seconda porta dell’infilata, si apre uno spazio più piccolo che, nell’inventario in versi del de Thomeis, risulta affollato di materiali. Esso costituì la prima sala secreta della biblioteca papale quattrocentesca. Con questo termine non si intendeva allora necessariamente un luogo inaccessibile per cautela rispetto al contenuto librario ivi custodito, ma piuttosto una stanza riservata al personale, in cui erano collocati i libri che non entravano nella biblioteca di consultazione pubblica, ma che potevano essere dati in prestito, senza depauperare, seppure temporaneamente, la disponibilità al pubblico. Anche in Vaticana esisteva allora un sistema di prestito, che il Platina volle regolato da registri d’uscita, compilati a partire dal 1475 e controllati da bibliotecario e custodi: una scorsa delle voci mostra infatti che i volumi concessi all’esterno erano in grande maggioranza prelevati dalla sezione secreta della raccolta libraria, in prevalenza dagli armadi e dalle casse. In effetti già dal 1481 questa sala risulta arredata con tre tipi di mobili: una fila semplice di otto banchi, probabilmente collocata, come per la sala greca, al centro dello spazio, due serie di casse, poste una a destra e una a sinistra di ciascun banco, e sette armadi, probabilmente quelli già presenti sotto Niccolò v e qui riutilizzati sotto Sisto iv. I banchi contenevano solo libri latini e inizialmente furono ordinati per materie secondo il solito andamento serie sacra/serie profana. In aggiunta ai codici

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 121. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, sala greca della vecchia biblioteca. Lato nord: visibili sul soffitto lo stemma di Niccolò v e, sopra la balaustra, i due personaggi e le fioriere.

sui banchi furono sistemate all’estremità di ciascun pluteo due casse, una per parte, a destra e a sinistra, contenenti materiale d’argomento affine a quello del relativo pluteo. Come ulteriore spazio di deposito furono utilizzati gli armadi che, secondo l’inventario del 1481, contenevano ciascuno una media di cento volumi; gli ultimi tre armadi furono adibiti a deposito dei libri greci non collocati nei banchi della seconda sala. Risulta così evidente dall’inventariazione la scelta di creare una biblioteca/ deposito parallela in tutto e per tutto alle sale pubbliche. Purtroppo questo ambiente si presenta oggi completamente spoglio. Non solo sono stati prelevati libri e mobilio, come del resto negli altri locali, ma sono andate perdute anche le decorazioni parietali: non abbiamo quindi assolutamente idea di come questo spazio si presentasse alla fine del secolo xv. Possiamo solo ipotizzare che le pareti, quasi completamente ingombre di mobilio addossato al muro, non avessero ricevuto particolare cura decorativa, riservata forse solo alle vele del soffitto e forse in termini molto sommari, al punto che nel tempo non se ne ebbe mai cura. La sala era arredata anche con quattro casse appoggiate a spalliere decorate: forse ancora conservate nella dotazione di cui tra poco parleremo. Oggi l’ambiente, più piccolo delle altre due sale, è decorato con una piccola esposizione di quadri di artisti del Novecento, con tema centrato sulla figura di papa Paolo vi, quasi un’appendice alla sezione moderna dei Musei Vaticani, fortemente voluta dal pontefice lombardo.

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L’ultima porta dell’infilata conduce, come abbiamo detto, a un ambiente dal pavimento a un livello leggermente più alto dei tre precedenti: esso costituisce l’aggiunta voluta da Sisto iv e allestita tra il 1478 e il 1481. Inizialmente, cioè nel catalogo del 1481, fu designato come bibliotheca pontificia, poi, soprattutto dopo Leone x, come bibliotheca magna secreta. Gli spazi attuali risultano di nuovo manomessi, ma meglio conservati di quelli, completamente perduti, della sala precedente. La finestra verso il Cortile del Belvedere è stata inglobata in un edificio recente e serve ora da accesso esterno alla sala e a tutta la struttura restaurata; sul muro verso est è stata aperta una serie di vani che conducono al Cortile di S. Damaso. Tuttavia la decorazione del soffitto non sembra così distante dallo stato originario: le vele sono più fitte e decorate a fiori monocromi, come se si trattasse di un tendaggio damascato, appoggiato su pilastrini di pietra, non sappiamo però se corrispondenti a lesene. Al centro campeggiava probabilmente lo stemma sistino, sostituito nel secolo xvii con quello di Paolo v. Tutto l’insieme mostra una maggiore leggerezza rispetto alle altre stanze, soprattutto le due pubbliche. Manca qualsiasi notizia su

un’eventuale decorazione delle pareti; è tuttavia rimasta parte delle tarsie lignee attribuite al fiorentino Giovannino Dolci. L’artista toscano risulta pagato dal Platina esplicitamente per lavori solo in questa sala ed è dunque assai probabile che ad essa fossero destinate, se non tutte, almeno alcune delle belle spalliere lignee munite di cassepanche e intarsiate a quadri alternativamente decorati a disegni geometrici, a portelle contenenti libri e strutture architettoniche, oggi conservate nella sala degli scriptores della Vaticana. Anche qui la descrizione sommaria del mobilio, contenuta nell’inventario del 1481, aiuta a ricostruire un’immagine dell’ambiente. La sala risulta arredata con dodici banchi: undici per i libri latini e l’ultimo per i greci, disposti tutti secondo il solito ordine delle facultates; accanto alla spalliera erano poste cinque casse contenenti anche registri d’archivio. È dunque probabile che nella terza, ma soprattutto nella quarta sala – per certi versi quella di concezione più recente delle altre tre – la presenza di mobilio costituisse l’aspetto architettonico più evidente. È significativa anche la collocazione in questa sede dei registri d’archivio. Essi costituiscono un embrione della collezione archivistica papale, conservata allora in Vaticana e quindi trasferita quando fu aperto, al principio del Seicento, un vero e proprio archivio di curia con carattere unitario, l’Archivio Segreto Vaticano. L’aggiunta documentaria, custodita nelle belle tarsie lignee appositamente allestite, è l’elemento che maggiormente differenzia questo nuovo ambiente non solo dalle altre sale, ma più in generale dalla concezione biblioteconomica niccolina, che prevedeva una raccolta di libri e non di libri e documenti. Il modello di biblioteca iniziale a tre sale adottato dal Platina si avvicina, pur con significative differenze, alla disposizione della prima biblioteca pubblica d’età moderna, quella di S. Marco a Firenze, e non è poi così distante dalla struttura rimasta incompiuta che si intravvede nella Vaticana di Niccolò v. A partire dalla disposizione generale che tiene conto del bilinguismo classico greco-latino e delle aree sacra e profana, distinte ma comunicanti, in cui si dividevano gli argomenti, si rileva una linea di continuità che raccorda da vicino l’architettura culturale delle due nuove grandi biblioteche d’età umanistica, sorte a Firenze e a Roma. Il legame sembra rappresentato proprio dal Canone che Parentucelli, prima di essere eletto papa, stilò su commissione di Cosimo de’ Medici per completare l’allestimento della biblioteca pubblica fiorentina di S. Marco. Il Canone di Parentucelli è un documento importante, forse il primo di questo tipo in età moderna: va letto non solo per verificarvi l’aderenza o meno alle nuove prospettive di studio, ma anche, in chiave bibliografica o biblioteconomica, perché fu modellato

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 122. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, visione d’insieme della sala secreta della vecchia biblioteca.

secondo criteri che compenetrassero con equilibrio le esigenze della scuola umanistica con gli studi propri delle facultates, delle discipline di studio universitario, e presso la Santa Sede in particolare quelli teologici e quelli di diritto. L’impulso dato alla biblioteca papale da Parentucelli, una volta divenuto pontefice, diede ulteriore fama al Canone, che è di fatto considerato l’unico scritto a noi giunto dall’umanista Tommaso da Sarzana. E proprio nel Canone troviamo riportata, nelle linee essenziali, la struttura a impianto cronologico della collezione sacra, così come applicata, pur con differenze di collocazione, prima a S. Marco, poi nella Vaticana di Niccolò v e poi nello sviluppo in quattro sale allestito dal Platina. Questo tipo di biblioteca a uso pubblico veniva formandosi tra la Firenze del Concilio per l’Unione e di Cosimo de’ Medici e la Roma di Niccolò v e Sisto iv, e proponeva una collezione libraria aperta a dotti con gusti

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e interessi differenti, non solo per le aree di interesse profano, ma anche per gli studi sulla teologia e la Scrittura. Dal punto di vista architettonico, S. Marco, la Malatestiana e la Vaticana delle origini si ispirarono chiaramente alle biblioteche di consultazione, nate due secoli prima all’interno dei collegi e soprattutto dei conventi in età gotica, per venire incontro alle necessità degli studi universitari. È qui infatti che ci si trova di fronte alla differenziazione tra sala pubblica e sala secreta, tra luoghi di consultazione diretta, in cui i libri erano ancorati ai banchi con catene, per garantirne la conservazione ordinata, e depositi arredati anche con casse e armadi in cui i libri venissero posti sotto chiave, ma fossero anche, previo permesso dei responsabili, oggetto di prestito a singoli lettori interni o esterni all’istituzione. Ciò che cambia in questo modello di biblioteca pubblica umanistica è il contenuto dei banchi e l’architettura culturale delle

123. Palazzi pontifici, ala di Niccolò v, visione d’insieme della sala pontificia della vecchia biblioteca; a destra l’infilata di porte che congiungeva le quattro aule.

materie, ma anche il necessario ampliarsi e moltiplicarsi degli spazi. È il caso della Vaticana delle origini che si propone come biblioteca quadriforme costruita sia architettonicamente che culturalmente per linee parallele e per spazi complessi. Da un lato lo spazio «pubblico», di consultazione diretta, si allarga e diviene bilingue, dall’altro si specializza e si precisa il ruolo di deposito svolto dalle sale secretae, fino all’ultima sala, la pontificia, dove fu dislocata una sezione d’archivio. Il massiccio arrivo degli stampati in Vaticana amplierà questi fenomeni: la necessità di spazi porterà infatti ad aggiungere nel primo Cinquecento un’ulteriore quinta stanza, aperta sulla parva secreta e destinata ai custodi, per collocarvi i manoscritti in attesa di restauro e i sempre più numerosi libri a stampa. Risulta così davvero evidente la differenza tra la concezione di spiccato carattere conservativo della biblioteca avignonese,

chiusa nella sua torre o ben preservata nel castello di Peñíscola, e la nuova dimensione pubblica che la concezione umanistica impresse da subito alla Vaticana, che anche fisicamente si collocò al piano terreno del nuovo palazzo e assunse da subito l’organizzazione di una biblioteca di consultazione e di studio, dove il pubblico fosse immediatamente e facilmente accolto e guidato. Il trasferimento dei materiali librari nella nuova sala di Sisto v, divenuta necessità impellente, rinunciò a questa concezione quadriforme: un solo grande salone avrebbe accolto tutta la collezione libraria, riordinata non più sala per sala, ma secondo criteri generali unificanti. Un nuovo spazio nasceva in tempi molto diversi e in qualche modo a prescindere dai libri che avrebbe contenuto. I manoscritti, di cui la raccolta umanistica era meravigliosamente e accuratamente fornita, erano ormai considerati libri «archeologici», riservati ai dotti e ai filologi,

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica sede della Biblioteca Vaticana 124. Particolari delle tarsie lignee attribuite a Giovannino Dolci, parte dell’arredamento della vecchia biblioteca al momento della ristrutturazione di Sisto iv, Sala degli scriptores.

gli stampati invece si erano imposti come principale strumento di studio, richiedendo sempre più posto nelle raccolte librarie; l’approccio culturale dettato dalla controversistica, soprattutto in materia teologica, imponeva un modo diverso di «conservare» la tradizione. Una forte e agile concorrenza alla Vaticana fu procurata dalla nascita e dalla crescita in Roma di biblioteche pubbliche di studio più direttamente legate al mondo universitario, al rinnovamento culturale post tridentino e ai grandi studentati teologici di ordini religiosi vecchi e nuovi. Non si trattava infatti più di contrapporre una biblioteca a un’altra, ma di collocarsi in un sistema, in una rete, seppur rudimentale, di raccolte librarie tra loro necessariamente collegate e attentamente controllate e orientate dal punto di vista culturale. La struttura umanistica della prima Vaticana era del tutto obsoleta, e non solo per ragioni di spa-

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zio. La sala di Sisto v fu infatti costruita al piano superiore di un nuovo edificio che tagliava un cortile divenuto troppo fastoso. Per raggiungerla occorreva salire al terzo cortile della curia, quello di S. Damaso e attraversare una teoria di scale, logge e corridoi, e giungere a un grave portone di bronzo. Dopo averlo varcato, ci si trovava di fronte a una sala, quella degli scriptores, e a un nuovo varco, armato di minacciose epigrafi. Le iscrizioni, poste a difesa del ricchissimo patrimonio, mostravano da sé che era stata inaugurata una nuova stagione, fortemente impegnata nella preservazione del patrimonio accumulato. Così i «vecchi libri», preziosi per età, contenuto e tipologia di raccolta, furono perfettamente conservati e divennero la principale attrattiva, la «specializzazione» della biblioteca dei papi.

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Capitolo primo

Capitolo Terzo

Gli affreschi sistini: il programma iconografico Dalma Frascarelli

«[…] vel ad haereticorum execrabiles errores detergendos et conculcandos vel ad religionem latius propagandam locum opportunum patefieri posse agnoscerimus» [Bullarium Romanum, lxxxiv, 27 aprile 1587].

Con la bolla del 27 aprile 1587 Sisto v stabiliva i finanziamenti per l’istituzione della Tipografia Vaticana, concepita come complemento della nuova Biblioteca che proprio in quei giorni si iniziava a costruire, secondo un progetto unitario i cui fini sono chiaramente espressi nel documento papale1. La realizzazione della Biblioteca Vaticana e l’allestimento della Tipografia rispondevano alla necessità di reagire all’attacco sferzato dal movimento protestante che si era avvalso proprio della stampa per diffondere la nuova dottrina. Alle parole dello scrittore John Foxe (1516-1587) che esaltavano l’arte tipografica come arma usata dai riformati nella lotta contro la Chiesa di Roma2, Sisto v rispondeva apprestando il più grande tempio dedicato al culto del libro nell’era cristiana, capace di fornire gli strumenti intellettuali per confutare i vecchi e i nuovi errori. La finalità dell’importante impresa promossa da papa Peretti veniva sottolineata anche da Federico Ranaldi, allora custode della Biblioteca, che in una lettera indirizzata al pontefice, affermava: «Quel che fanno gli heretici de’ nostri tempi in guastare et corrompere li libri. Che però per contendere la malignità di questi nemici di Dio che levano et agiongono alli libri a modo loro et per rimediare agli errori che fanno ordinariamente li stampatori sua Beatitudine fa opera di optimo Principe Pontefice a far questa libraria dove oltra che sarà numerosità d’ogni sorta de libri ci si conserveranno li originali et esemplari antichi alli quali si potrà haver ricorso come a chiare fonti delle vere lettioni siccome d’ogni tempo si è fatto et si fa hora più che mai: per mezzo de i buoni libri la religion si stende, et dilata, fioriscono le arti, et le discipline, et si da, et trasporta a i posteri chiarissimo lume di tutte le cose […]»3.

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Nei nuovi locali della libreria, aperta agli studiosi di tutto il mondo, veniva celebrata l’importanza non solo della parola, ma anche delle immagini che rivestirono integralmente l’esterno e l’interno dell’edificio. In tal modo, proprio nella Biblioteca, la Chiesa cattolica rivendicava il valore delle arti visive, indispensabile complemento della scrittura, secondo i decreti già stabiliti dal Concilio Niceno ii, confermati dal Concilio di Trento e diffusi dai trattati della Controriforma. Nel testo pedagogico, Dell’educazione cristiana e politica dei figlioli, scritto da Silvio Antoniano, il curatore della decorazione della Biblioteca, le pitture sono considerate di grande utilità poiché, «a guisa di un libro», consentono a tutti, anche ai «semplici», l’apprendimento di «bellissime istorie delle grandi opere di Dio e dei Santi, le quali in molti libri sono state descritte». Esse, inoltre, commuovono «ancor più efficacemente di quello che non facciano i libri, ed i racconti; imperciocché con tal mezzo ci si propone il fatto non come passato ma come presente»4. Negli affreschi vaticani la storia della conoscenza rivive alla luce di un pensiero che vede la Chiesa di Roma al centro del disegno divino. Alle immagini, condannate dagli scismatici come strumenti di idolatria, veniva dunque affidato lo straordinario compito di ribadire il primato religioso e politico della Chiesa cattolica, negato e rifiutato dalla riforma protestante.

La costruzione della nuova Biblioteca Vaticana Già da tempo era stata considerata l’idea di trasferire la Biblioteca Vaticana in nuovi locali che fossero più adatti e funzionali rispetto a quelli assegnati a questo istituto da Sisto

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico A pagina 178: 125. Veduta del Salone Sistino. 126. Mario Cartaro, Il Cortile del Belvedere, 1574, incisione. 127. Antonio Tempesta, Pianta di Roma, Cortile del Belvedere, 1593, incisione.

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iv , collocati al pian terreno del palazzo pontificio e perciò umidi e bui5. Fu, tuttavia, un ennesimo papa francescano a metter mano alla sistemazione dell’immenso patrimonio librario della Chiesa cattolica, ordinando la costruzione di una nuova sede affidata a Domenico Fontana, architetto della Roma sistina. La scelta della zona in cui erigere l’edificio fu difficile e piuttosto complessa. Dopo l’analisi di varie proposte, Sisto v decise di optare per il Cortile del Belvedere, come già suggerito in una lettera inviata a Gregorio xiii, in cui si consigliava di trasportare la prestigiosa raccolta libraria nel piano sottostante il corridoio eseguito da Pirro Ligorio, sovrastato, a sua volta, dalla Galleria delle Carte Geografiche, allora appena costruita6. Incurante delle ragioni addotte da Federico Ranaldi, secondo il quale il celebre cortile era «scomodissimo in tutto e per tutto»7, papa Peretti ordinò, dunque, la distruzione delle scale del famoso Teatro per avviare la nuova fabbrica «con dolore di tutta la Corte p[er]ché erano le più segnalate scale et il più bel teatro di tutto il mondo»8. La tenace decisione di installare nel Belvedere la Biblioteca, ora chiamata ad essere il nuovo perno culturale e religioso del mondo cattolico, rispondeva all’intento di valorizzare nei termini dell’ortodossia un luogo intriso della classicità, che aveva avuto delle funzioni ludiche e che ora andava mondato dalla cultura dei gentili che lo aveva contaminato. Contro l’aspetto pagano del Cortile si era già scagliato Pio

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v,

protettore e importante guida spirituale di Felice Peretti, come ci informa un avviso del 2 aprile 15969. Pochi giorni dopo, in un altro dispaccio, si annota: «La distruzione del Theatro di Belvedere si ridurrà a questo, che quelle scale si levino via tutte e vi si faccino stanza habitabili acciò non ci resta comodità di far spettacoli pubblici»10. Sisto v, dunque, decise di riprendere il progetto del suo importante predecessore ma non si limitò a far costruire semplici «stanze habitabili»; stabilì che i resti delle scale del teatro divenissero le fondamenta dell’edificio che doveva conservare le armi della fede cattolica contro le vecchie e le nuove eresie. Come gli obelischi dominati dalle croci e le colonne coclidi sormontate dalle statue di Pietro e Paolo – le due «colonne spirituali» del cattolicesimo –, il Cortile del Belvedere diveniva ricettacolo della dottrina cristiana, i cui simboli sostituivano per sempre i pericolosi «idola antiquorum»11. D’altro canto motivazioni economiche e funzionali si univano a quelle ideologiche: lo sfruttamento delle precedenti strutture architettoniche avrebbe consentito un notevole risparmio delle spese e del tempo. Inoltre, il sito si rivelava perfettamente adatto a consentire la costruzione di un edificio rispondente ai requisiti richiesti da Vitruvio per le librerie12, come annota Muzio Pansa che scrive: «Et, in vero, come dice Vitruvio, le librarie non vogliono essere in stanze terrene, ne volte all’occidente, ne al mezzogiorno, perciòche in queste dall’humidità, e dalle tignole, che generano i venti,

che spirano da queste due parti si corrompono le scritture, e vitiano i volumi intieri: ma il sito loro deve essere elevato e volto all’oriente; perciòche l’uso di esse ricerca il lume del mattino, il quale le conserva dalla putrefattione, e per questo saggia e accuratamente Sisto v fece fare in loco alto, e elevato sopra due solari la nuova Libreria Vaticana […]»13. Il nuovo fabbricato saldò i due corridoi del Belvedere e divise in due parti il Cortile, utilizzando i risalti che fiancheggiavano la scalinata di collegamento con la prima terrazza. Due incisioni contenute rispettivamente nel testo di Pansa14 e in quello di Domenico Fontana15 documentano la facciata originaria, alterata nel corso di lavori successivi. Al piano terreno il prospetto presentava un portico, poi soppresso, che proseguiva i loggiati del Cortile. La sua presenza, se da un lato rispondeva alla volontà di mantenere l’unità stilistica dell’intero complesso, dall’altro costituiva una consapevole ripresa del modello classico, poiché la biblioteca antica era sempre congiunta a un portico16. Secondo quanto sostiene Fontana, al secondo piano c’erano quattordici stanze destinate a funzioni amministrative, mentre al terzo, che ospitava la Biblioteca vera e propria, c’erano otto locali adibiti a residenza dei custodi e dei funzionari17. La prima sala, attualmente nota come Sala degli Scrittori e definita vestibulum nel contemporaneo volume celebrativo scritto da Rocca18, costituiva l’ingresso principale. Da questo vano si accedeva al Salone Sistino, che era la sala di consultazione aperta al pubblico, contenente libri destinati anche al prestito, cioè la cosiddetta «biblioteca pubblica o comune», distinta da quella secreta che custodiva i volumi più rari ed esclusi dal prestito, secondo una terminologia usata nel sistema bibliotecario fin dal Medioevo e, in particolare, nei complessi conventuali francescani19. Il Salone, diviso in due navate da sei pilastri, si apre attraverso grandi arcate su due vani comunicanti che, secondo Jacob Hess, erano originariamente chiusi ed erano destinati ad essere la «biblioteca secreta»20. Un primo progetto, dunque, prevedeva che la libreria dovesse occupare quattro ambienti, come quella di Sisto iv. Secondo lo studioso, la decisione di aprire le grandi arcate e di realizzare altre due grandi stanze per la biblioteca segreta sarebbe stata successiva. L’ipotesi trova conferma nei documenti di pagamento dove, infatti, le due nuove sale destinate alla Libreria segreta sono dette «stantie acresiute» e figurano come l’ultima parte della costruzione21, essendo stimate il 14 aprile 1589 e pagate il 4 maggio dello stesso anno, mentre tutta la fabbrica era stata saldata il 16 settembre dell’anno precedente 22.

L’identificazione dei locali aggiunti è confermata anche dalla stima che compare nel Libro di tutta la spesa fatta da N. S. Sisto v nella libra. nova in vaticano23. Resta da accertare quale funzione svolgessero, dopo il cambiamento, i locali annessi al Salone e l’altro ambiente su cui si aprono, la cosiddetta Galleria di Sisto v. La definizione che di queste stanze dà il Rocca, e cioè «cubicula fornicata bibliothecae annexa»24, sembra escludere un uso pubblico, poiché il termine cubiculum, che propriamente indica la camera da letto, ha sempre indicato un luogo intimo e privato, anche quando è stato usato in senso più ampio25. Si trattava molto probabilmente di ambienti destinati a un uso riservato, che dovevano separare la biblioteca «comune» da quella secreta, consentendo ai funzionari di controllare entrambe le sezioni. Del resto, come ha notato Petitmengin26, è improbabile che la trasformazione avvenne perché il Salone si rivelò non sufficientemente grande, visto che i libri vi furono trasportati solo tra la fine del 1590 e gli inizi del 1591, quando ormai il cambiamento era avvenuto.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

I lavori per la costruzione della nuova biblioteca vennero, dunque, eseguiti in tempi da record. Iniziati qualche giorno prima del 13 maggio 158727, erano già sostanzialmente compiuti entro il 16 settembre del 1588, ad eccezione delle sale della biblioteca segreta e di pochi altri lavori aggiunti entro il maggio successivo. Le due epigrafi originariamente collocate sopra l’ingresso della Biblioteca e riportate da Pansa28 e Fontana29 confermano il 1588 come l’anno in cui fu compiuta l’importante impresa30. Anche la decorazione fu portata a termine velocemente, grazie a una perfetta organizzazione del cantiere, la cui direzione fu affidata a Giovanni Guerra e Cesare Nebbia che si avvalsero di un folto numero di artisti e collaboratori31, come di consueto nelle fabbriche sistine. Il 21 febbraio 1588 veniva versato un primo pagamento in favore dei due pittori per i lavori svolti nella Biblioteca32 che dunque, a quella data, dovevano essere già stati iniziati. Nel 15 gennaio 1589 veniva effettuata una stima ed era ordinato un primo saldo per lavori pittorici eseguiti in diversi cantieri, fra cui anche quello vaticano in riferimento al quale si pagavano 4.582 scudi per gli affreschi dipinti sopra le imposte della volta e cioè: i diciotto riquadri con le Opere Sistine nel Salone; la volta della Galleria di Sisto v («la stanza verso il Boschetto»); le volte delle due stanze annesse al Salone e quella del Vestibolo (attuale Sala degli Scrittori); la nuova scala e, infine, le decorazioni a monocromo delle facciate, tutti liquidati il successivo 1° febbraio33. Dopo circa quattro mesi, il 20 maggio 158934, fu emesso un ulteriore ordine di pagamento riguardante gli affreschi delle pareti e dei pilastri del Salone, dei vani annessi e della Galleria di Sisto v; il ritratto del Pontefice; alcuni fregi nelle camere dei custodi e, infine, la decorazione delle nuove stanze della Libreria segreta che, come abbiamo visto, erano state aggiunte successivamente35. Nel giro di poco più di un anno, quindi, veniva conclusa la complessa opera di decorazione.

Elaborazione del programma iconografico Per celebrare la realizzazione della nuova Biblioteca Vaticana furono composti due volumi che contengono una dettagliata descrizione dei dipinti. Si tratta del testo intitolato Della Libraria Vaticana, scritto dal medico Muzio Pansa e pubblicato nel 1590, e del libro redatto da Angelo Rocca, edito nel 1591, ma iniziato già due anni prima di essere dato alla stampa36. Di maggiore interesse per noi è senz’altro l’o-

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

pera del Rocca poiché, secondo le affermazioni dell’autore, egli stesso prese parte all’ideazione degli affreschi, collaborando con gli intellettuali che si occuparono della stesura dell’articolato programma iconografico37. L’intera decorazione fu concepita come un vero e proprio «discorso per immagini», all’interno del quale parole e figure furono chiamate ad assolvere un identico compito. Non a caso Rocca usa la terminologia impiegata nell’ambito della retorica per spiegare i ruoli esercitati dai singoli membri della commissione: Federico Ranaldi, allora custode della Biblioteca, «inventionem […] obtulit», cioè fornì l’invenzione, mentre Silvio Antoniano «easdem res diposuit», ovvero curò la disposizione degli affreschi38. Per capire i compiti svolti dai due personaggi occorre tener presente che, secondo l’arte oratoria, l’inventio costituisce il primo momento dell’elaborazione di un discorso e riguarda l’ideazione degli argomenti utili a illustrare un tema. La dispositio rappresenta la fase successiva, quella durante la quale si costruisce un pensiero organico che usa i vari temi forniti dall’inventio, unendoli tra loro in modo logico e armonico39. Seguendo il lessico della retorica, dunque, Ranaldi escogitò diversi soggetti iconografici, ma fu l’Antoniano a ordire la trama della decorazione, adottando alcuni motivi e scartandone altri, secondo il tema centrale prescelto40. Questa interpretazione delle informazioni fornite da Rocca trova conferma in una lettera conservata presso la Biblioteca Vaticana, attribuita a Ranaldi e inviata a Sisto v41. Si tratta di una specie di zibaldone, probabilmente il primo abbozzo di un testo in cui il custode elenca numerosi soggetti adatti a decorare le nuove sale. Le indicazioni suggerite dal Ranaldi, come previsto dall’inventio, costituiscono una sorta di catalogo che raccoglie, in modo non organico, possibili argomenti congrui alla funzione del luogo. Solo alcuni di questi furono scelti, mentre molti altri vennero eliminati, secondo un principio ordinatore che, stando alla corretta lettura del Rocca, venne impresso dall’Antoniano, coordinatore, dunque, della commissione di intellettuali che lavorò all’impresa. Nella sua lettera Ranaldi ripropone alcuni soggetti impiegati nella decorazione della vecchia Biblioteca di Sisto iv, i Dottori della Chiesa e i Filosofi Antichi, accanto ad altri suggeriti in precedenti progetti. Consiglia, infatti, di illustrare le «Accademie de’ filosofi» e le «librarie antiche», proposte in una missiva inviata a Gregorio xiii per l’allestimento della nuova biblioteca che già si pensava di dover costruire42. Accanto a temi più tradizionali, citati brevemente, come «le Discipline et Arti et simili cose», Ranaldi fa un ricco elenco

di motivi decorativi meno consueti e adatti, tuttavia, alla libreria, indicando: i «sacri scrittori», a cominciare dagli evangelisti e dagli autori del Vecchio Testamento, come Mosè; i pontefici che si adoperarono nella cura dei libri e che fecero bruciare i testi eretici; le opere promosse da Sisto v; i concili ecclesiastici; gli inventori degli alfabeti e gli «amatori» delle lettere; l’uso dei diversi supporti per la scrittura; le Muse; le Sibille; i «sette savij della Grecia»; i «Legislatori» antichi, come Licurgo, Numa Pompilio o Solone; i «principi litterati», ovvero i regnanti e gli imperatori che favorirono la diffusione della parola scritta, quali Alessandro Magno, Augusto, Giulio Cesare fino a Carlo Magno e, infine, «gli inimici delle lettere», come Antioco, Giuliano l’Apostata o «gli Arriani». È facile notare che nella realizzazione dell’impresa sono stati eliminati i temi più squisitamente pagani e «laici», come le Muse, i legislatori o gli imperatori antichi, per dare maggior risalto al ruolo decisivo svolto dalla Chiesa nella cura della vera dottrina tramandata per volere di Dio stesso, attraverso il suo Figlio e i suoi rappresentanti terreni, cioè i pontefici. Scartati gli episodi che avrebbero potuto avere ambigue letture, come quelli relativi agli eretici «inimici delle lettere», furono scelti quattro soggetti principali: le Biblioteche dell’antichità; i Concili ecumenici; gli Inventori degli Alfabeti e le Opere sistine. Questi quattro cicli furono organizzati secondo un’unica idea dominante che persegue un identico fine: difendere la legittimità del primato della Chiesa romana e del potere spirituale e temporale esercitato dal papa. I pur numerosi personaggi antichi (Cecrope, Pitagora o Augusto) e le diverse figure mitologiche (Sibille, Iside o Mercurio Trismegisto) rappresentati negli affreschi della Biblioteca trovano la motivazione della loro presenza nello specifico ruolo che viene loro assegnato: anticipare e prefigurare l’avvento dell’era cristiana. L’intera storia culturale dell’umanità è ridotta a fondamento su cui poggia la rivelazione. La produzione intellettuale della civiltà egizia, greca o romana non è che un momento, una fase, all’interno di un unico disegno divino volto a guidare la salvezza dell’uomo che passa attraverso la venuta di Cristo e la sua Chiesa, quella cattolica. Tale considerazione del sapere antico, che non trapela dall’elenco dei suggerimenti iconografici formulati dal Ranaldi, trova piena corrispondenza nel pensiero di Silvio Antoniano che nel suo trattato pedagogico affermava: «Dobbiamo convertire in servizio di Dio, ed in utilità dei prossimi, l’oro delle dottrine e l’argento dell’eloquenza de’

gentili, e tutto quello che di bello e di prezioso, a guisa di gemma, è sparso ne’ loro libri», tenendo presente che «il lume della ragione naturale e dell’intelletto è dono di Dio, ed ogni verità che i poeti, i filosofi e gli altri scrittori pagani scrissero […] tutto è da Dio»43. Un pensiero che, diffuso soprattutto nell’area più aggiornata della riforma cattolica, si rivelava dissenziente e lontano da quello espresso da altri illustri ecclesiastici, come ad esempio il Paleotti. Il noto cardinale bolognese, infatti, condannava senza appello tutto ciò che proveniva dagli antichi «havendo Cristo nostro signore sparso il suo sangue per spegnere totalmente la memoria loro»44. Per questo, secondo il Paleotti, dovevano essere bandite le immagini dei «falsi dei» che non dovevano mai essere esposte, nemmeno «sotto nome di studio di antichità, o di polite lettere, et ornamento di librarie»45. Seguendo coerentemente tale principio, il cardinale in un suo memoriale scritto nel 1596 e intitolato De tollendis imaginum abusibus novissima consideratio, strettamente riservato alle autorità ecclesiastiche, ammetteva implicitamente l’errore compiuto dalla Chiesa che aveva abbracciato la cultura umanistica, tollerando in ambito artistico abusi che ora andavano disapprovati ed espurgati46. La grave condanna espressa dal Paleotti veniva prontamente respinta dall’Antoniano il quale, in una lettera, affermava con forza che nessuna immagine corrotta o impura era stata mai accettata dalla Chiesa e negare questa affermazione avrebbe significato fornire una nuova arma al movimento protestante47. Secondo l’Antoniano, quindi, la tradizione rinascimentale assorbita dalla cultura ecclesiastica non andava rinnegata, non solo per non cedere alle accuse mosse dagli scismatici, ma anche perché proprio attraverso di essa si vedeva la possibilità di collegare il mondo pagano al cristianesimo, secondo una visione escatologica e provvidenzialistica che mirava a rivendicare il primato universale della Chiesa cattolica. Simili convinzioni trovavano posto all’interno di un rinnovato umanesimo che l’Antoniano aveva avuto modo di approfondire fin dagli anni della sua formazione, avvenuta a contatto di illustri umanisti, quali Annibal Caro, Castelvetro, Benedetto Varchi48. Particolarmente significativa era stata, inoltre, la sua partecipazione all’Accademia delle Notti Vaticane, fondata nel 1562 dal cardinale Carlo Borromeo, di cui l’Antoniano era divenuto segretario49. Ispirata al modello dei circoli umanistici, l’Accademia aveva avuto inizialmente un indirizzo spiccatamente classicistico. Nel corso delle riunioni frequentate da eminenti intellettuali e prelati, tra cui Sperone Speroni, Guglielmo Sirleto, il Valier e il futuro Gegorio xiii,

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico Alle pagine successive: 128. Cortile della Biblioteca. 129. Pianta della Biblioteca. A fronte: 130. Veduta aerea del Cortile del Belvedere, Cortile della Biblioteca e Cortile della Pigna.

venivano discussi testi antichi, come le Orazioni di Cicerone, le Georgiche di Virgilio, il De Rerum Natura di Lucrezio, le Decadi di Tito Livio, il De Rustica di Varrone. L’interesse rinascimentale verso la storia e la filosofia platonica veniva poi approfondito dall’Antoniano presso l’ambiente oratoriano di cui fu un assiduo frequentatore, tanto da essere considerato un membro dell’ordine filippino, dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta il 12 giugno 1568. All’incontro emozionale e mistico con la Divinità sostenuto dai Gesuiti, gli Oratoriani opponevano ciò che Dupront ha definito un «umanesimo cristiano»50, un’azione culturale che, nel solco del platonismo agostiniano, proponeva di leggere l’esperienza del divino nella storia. Scaturiva da una simile concezione l’interesse per la storia ecclesiastica che connotava le discussioni affrontate nell’Oratorio e spingeva Baronio a redigere gli Annales Ecclesiastici. D’altro canto, all’area più aggiornata della Controriforma, guidata da Carlo Borromeo e Filippo Neri, di cui l’Antoniano fu stretto collaboratore e amico, erano collegati anche altri intellettuali che parteciparono alla stesura del programma iconografico degli affreschi sistini della Biblioteca Vaticana. Federico Ranaldi51 fu per diversi anni segretario di Guglielmo Sirleto52 molto legato a Filippo Neri53 e amico fraterno di Carlo Borromeo con il quale aveva fondato l’Accademia delle Notti Vaticane. Collaboratore e familiare del vescovo di Milano fu anche il sacerdote anconetano Pietro Galesino, a cui Rocca attribuisce le didascalie degli affreschi che illustrano i Concili ecumenici54. Protonotaro apostolico a Milano, il Galesino partecipò attivamente all’opera di riforma promossa da san Carlo per il quale redasse diversi testi, tra cui l’Omiliario Ambrosiano e il primo volume degli Acta Ecclesiae Mediolanensis55. Nel 1574 lavorò con Baronio e Bellarmino al Martirologium Romanum56, emendato dallo stesso Antoniano, mentre durante il pontificato sistino si dedicò alla stesura di diversi testi celebrativi composti in onore delle maggiori iniziative promosse dal papa. Possiamo dunque sostenere che la matrice ideologica che informa di sé gli affreschi della Biblioteca va ricercata nell’ambito di quella frangia della Controriforma che reputò necessario osteggiare l’avanzata protestante percorrendo due strade parallele: da un lato, combattendo sul fronte storico e culturale le accuse mosse dagli scismatici; dall’altro, attuando un piano di riforma interna alla Chiesa che mirava a ripristinare i valori evangelici che connotavano l’ecclesia delle origini. L’Antoniano svolse senz’altro un ruolo determinante nell’elaborazione del programma iconografico imprimendo

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i princìpi ordinatori, tuttavia, all’interno della commissione guidata dal prelato, ciascuna personalità ebbe modo di apportare le sue specifiche e dettagliate conoscenze, come sembra indicare anche Rocca, distinguendo puntualmente le singole responsabilità. Accanto agli intellettuali nominati, tra cui Guglielmo Bianchi, cameriere segreto del papa, a cui vengono attribuite le didascalie degli affreschi che illustrano le Opere sistine57, non va trascurato il peso esercitato dallo stesso Sisto v che, come vedremo, fornì probabilmente indicazioni per il ciclo dei Concili ecumenici. Rocca, esperto di erudizione linguistica, coinvolto in più modi in altri cantieri pittorici sistini, tra cui quello della Scala Santa58, prese parte sicuramente alla formulazione della serie che rappresenta gli Inventori degli Alfabeti, mentre Giovanni Guerra si occupò delle numerose figure allegoriche e degli emblemi.

La perduta decorazione delle facciate Le dettagliate descrizioni redatte da Muzio Pansa e da Domenico Fontana59 ci informano riguardo alle pitture a monocromo che decoravano originariamente le facciate della Biblioteca, secondo una moda che si era diffusa a Roma fin dai primi anni del Cinquecento e che era ancora in uso alla fine del secolo60. Sul prospetto che si affaccia verso il Cortile del Belvedere, i dipinti eseguiti con calce nera e bianca, oggi completamente perduti, proponevano le Arti Liberali e Meccaniche rispettivamente accompagnate da Uomini Illustri, entrambi identificati da iscrizioni, secondo le seguenti concordanze: rethorica – m. tullius; historia – t. livius; arithmetica – pythagoras; geometria – euclides; physica – aristoteles; politica – iustinianus imp.; theologia – magister sentent . (cioè Pietro Lombardo); ethica – plato ; oeconomia – xenophon; astrologia – ptholomaeus; poesis – virgilius; musica – boethius; logica – zeno; grammatica – donatus. Alle discipline erano aggiunte altre personificazioni e cioè l’Onore – Giulio Cesare; l’Ozio Buono – Scipione; il Genio – Socrate e, infine, l’Immortalità – Ercole. Le Arti, suggerite sbrigativamente dal Ranaldi, come abbiamo visto, erano uno dei principali temi del sistema decorativo delle biblioteche medievali61, nelle quali la raffigurazione delle diverse discipline era spesso funzionale all’ordinamento stesso dei libri, secondo un uso che si trova già codificato nel testo Biblionomia scritto da Richard de Fournival (1201-1260?)62. Secondo la tradizione enciclope-

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dica, che proprio nelle librerie trovò uno dei massimi campi di affermazione e diffusione63, alle Arti erano solitamente associate le Virtù, agli Evangelisti i Padri della Chiesa, alle Stagioni i Quattro elementi. Anche nella Biblioteca Vaticana venne rispettato un simile impianto: sulla facciata verso il Cortile della Biblioteca, dove ancora restano dei frammenti pittorici, erano raffigurate, tra emblemi sistini, le Virtù (la Religio – Salus Generis Humani; la Lex Canonica – Charitas; la Lex Gratiae – Fides; la Lex Timoris – Oboedientia; la Lex Civilis – Pax; la Prophetia – Spes), mentre sul lato ovest apparivano i Cinque Sensi (Auditus; Visu; Odoratus; Tactus; Gustus) e le figure dell’Ecclesia, della Veritas, della Custodia, della Providentia, della Vita Activa e della Vita Contemplativa. Le decorazioni esterne riproponevano, dunque, il sistema medievale unendolo, tuttavia, a quello classico, basato sull’uso dei ritratti, come ci informano le fonti antiche, tra cui Plinio (Nat. Hist., vii, 31; xxxv, 2). La compresenza delle due tradizioni trova un preciso riscontro nel trattato De’ veri principi della pittura, scritto dall’Armenini ed edito nel 1587, in cui, nel capitolo interamente dedicato alla decorazione delle biblioteche, si legge: «[…] Tiberio Cesare poi vi fece porre le vere imagini de’ poeti antichi, con altre effigie di grand’huomini, per commovere con tali esempi, ed infiammar quelli, i quali esercitano gl’ingegni loro circa alla cognizione delle cose umane e divine. Ma di poi illuminato il mondo col lume della Santa fede nostra, ancorché stia bene, che siano congiunte conla nostra religione gli studij delle buone arti, nondimeno di altri lumi e di altre dimostrazioni di verità al presente dipinger si devono […]. Io dunque vorrei che in questa facciata […] ci fosse dipinto una figura di donna bellissima, la quale figurasse la Santa Chiesa, che […] tenesse dal destro lato un candidissimo agnello […] e dall’altra tenesse un bel tempietto di forma circolare […] e si tenesse sotto i piedi i sette peccati mortali […]. Io di poi vorrei che fosse bene, che […] si vedessero dipinte di quelle virtù che sono più aderenti ad essa [la Santissima Fede], siccome la Povertà, l’Obbedienza, la Castità, l’Umiltà, la Perseveranza, con quelle altre insieme che pure ci sono manifeste […]» 64. Tali indicazioni iconografiche, molto vicine ai monocromi vaticani, poggiano su un medesimo orientamento ideologico, proponendo una sorta di discordia concors che sottopone l’umano al divino, il pensiero antico alla rivelazione cristiana, con l’obiettivo di assicurare alla Chiesa cattolica non solo il primato spirituale, ma anche quello storico-politico. La Biblioteca Vaticana, dunque,

presentava anche all’esterno un sistema decorativo pervaso da una visione sincretista, di ascendenza rinascimentale, che attraverso il neoplatonismo e la cultura cabalistica ed ermetica collegava l’antichità classica e il mondo orientale alla civiltà cristiana ed europea65.

La Sala degli Scrittori, le grottesche e gli elementi araldici sistini L’ambiente attualmente definito Sala degli Scrittori, menzionato dal Rocca come vestibulum, costituiva l’ingresso della Biblioteca Sistina. La decorazione interessa unicamente le volte e si adatta perfettamente alla funzione del luogo. Gli affreschi, infatti, sono finalizzati alla celebrazione dei libri, delle biblioteche nonché dello straordinario committente. Questo ruolo è sottolineato dalle due tavole marmoree che fiancheggiano la porta di accesso al Salone. L’iscrizione di sinistra glorifica la biblioteca pontificia e l’impresa sistina66, mentre quella di destra elenca le regole di consultazione che includono la minaccia di scomunica per chiunque avesse danneggiato i libri67, riproponendo una pratica molto diffusa nelle biblioteche monastiche medievali, formalmente condannata nel Concilio di Parigi del 121268, ma caldeggiata ancora nel 1345, quando Riccardo di Bury, monaco benedettino e noto bibliofilo inglese, nel suo Philobiblon scriveva: «Ci sono inoltre certi ladri che sconciano enormemente i libri […] genere di sacrilegio che bisognerebbe proibire con la minaccia della scomunica»69. I dipinti, come l’exordium di un discorso, anticipano e introducono alcuni dei concetti generali che sottendono alle illustrazioni delle altre sale. Le scene che raffigurano la Preparazione della carta, l’invenzione e la diffusione del libro, presentano, infatti, uno degli argomenti dominanti nell’intera impresa pittorica e cioè l’esaltazione della parola scritta. Allo stesso modo le Sibille, anch’esse contenute nella lettera del Ranaldi, alludono allegoricamente all’importante ruolo attribuito alla sapienza antica, interpretata come imperfetta prefigurazione che annuncia la rivelazione cristiana. L’intento encomiastico è ben espresso dai monumentali emblemi sistini, fiancheggiati dalle personificazioni di Giustizia, Temperanza, Fortezza e Fede Cristiana, ciascuna accompagnata dai suoi specifici attributi. Lo scopo è sottolineato anche da figure secondarie e marginali che notoriamente rivestono un significato celebrativo, come le farfalle e gli uccelli che ricorrono nelle volte e svolazzano tra le immagini principali.

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133-136 a-b 137-140

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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Cortile del Belvedere f

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Cortile della Biblioteca

Cortile della Pigna

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a. Sala degli Scrittori b. Salone Sistino c-e. Vani annessi al Salone Sistino f. Prima stanza della Libreria Segreta g. Seconda stanza della Libreria Segreta

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico 131, 132. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, due vedute della volta.

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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La Biblioteca Apostolica Vaticana Alle pagine precedenti: 133.Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, paesaggio con scena di preparazione della carta e stampa.

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico 134. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, paesaggio con scena di lettura di libri.

135. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, paesaggio con scena di lettura di libri.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana 136 a-b. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, paesaggio con preparazione della carta, totale e particolare.

Alle pagine seguenti: 137. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Sibilla Cumana e Sibilla Delfica. 138. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Sibilla Cimmeria e Sibilla Tiburtina.

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico 139. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Sibilla Eritrea e Sibilla Frigia.

140. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Sibilla Samia e Sibilla Persica.

Alle pagine seguenti: 141.Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Emblema Sistino tra la Giustizia e la Fede. 142. Vestibolo, attuale Sala degli Scrittori, Grottesche.

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Capitolo primo

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico 143. Salone Sistino, Cristo in trono.

L’elemento di raccordo delle pitture è costituito dalla particolare decorazione a grottesca70 che si presenta come il principale motivo ornamentale delle volte di tutte le sale. Si tratta di una versione per così dire «cristianizzata» del noto genere artistico, in cui gli esserini ibridi e fantastici che lo caratterizzano sono sostituiti da una miriade di personaggi celesti e personificazioni allegoriche, distribuiti entro cornici cruciformi. Tale interpretazione della grottesca, liberata dalle reminiscenze pagane, emendata e adattata alla cultura cristiana, è il frutto della condanna formulata dalla trattatistica controriformata. Così, ad esempio, nel noto trattato scritto da Gabriele Paleotti, che dedica ben sei capitoli all’argomento, le figurine antiche, mostruose e spesso audaci, sono biasimate come «ingannevoli» e «pagane»71. La grottesca rinascimentale viene considerata come una sopravvivenza di culti infernali e per questo è fortemente disapprovata dal celebre cardinale bolognese. Non è forse un caso, dunque, che il Rocca attribuisca alle decorazioni che coprono a tappeto i soffitti della Biblioteca, definite «ingeniose» e «artificiose», il compito di suggerire all’immaginazione degli spettatori una visione del Paradiso 72. In tal modo il prelato agostiniano indicava il radicale rovesciamento di significato proposto dalla nuova versione della grottesca. Privata del suo carattere originario, essa continuava ad essere usata nei limiti e secondo le modalità previste dal principio del decorum, contribuendo a conferire l’aspetto piacevole richiesto agli ornamenti delle biblioteche dai trattati dell’epoca. Nel volume dell’Armenini, ad esempio, dopo aver rilevato lo scorretto uso del genere artistico operato dai moderni, l’autore ne sottolineava il carattere «dilettevole» che lo rendeva adatto a specifici ambienti, come gli studi73. D’altra parte, il largo impiego delle grottesche all’interno dei cantieri sistini era motivato anche dal notevole risparmio di tempo e di denaro da esse consentito, risparmio a cui era ovviamente molto interessato Sisto v, costretto a finanziare contemporaneamente numerose imprese. Nelle grottesche della Biblioteca ricorrono spesso i libri, accanto a strumenti liturgici e figure allegoriche, ma i veri protagonisti della decorazione sono gli elementi araldici sistini, usati non solo come attributi delle più disparate figure e negli emblemi 74, ma anche come modulo con il quale sono costruite cornici, fasce, bordure. Leoni, stelle, pere e trimonzi, partendo dalle volte, ritornano all’interno delle scene principali affrescate sulle pareti, come dettagli dei costumi o degli arredi, costituendo una sorta di tessuto

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Alle pagine seguenti: 144. Veduta del Salone Sistino.

connettivo che collega tutte le parti e assicura unità alla complessa macchina del sistema decorativo75.

Il Salone Sistino L’aspetto monumentale e austero del Salone Sistino evoca, come ha osservato Clark76, le biblioteche classiche a cui rimandano alcuni specifici motivi decorativi. Così, i ritratti dei letterati e dei poeti, tipici delle librerie antiche, sono sostituiti dagli Inventori degli Alfabeti, mentre l’immagine di Cristo, posta in fondo al Salone, di fronte all’ingresso pubblico, prende il posto della statua di Minerva. Si tratta, con ogni evidenza, di una rivisitazione profonda del modello fornito dal mondo classico, alla luce del pensiero cattolico che qui si rivela attraverso il dispiegamento dell’intero apparato dogmatico. Seguendo un uso tradizionale nelle biblioteche, le numerose iscrizioni sono parte integrante dell’ornamentazione, a indicare l’armonica collaborazione tra parola e immagine, accomunate da un’identica funzione didattica. Tuttavia, nel Salone, che «suggest a place for show rather than for use»77, le immagini non sembrano svolgere il consueto ruolo di biblia pauperum. Complesse nei contenuti e ricche di rimandi ai testi sacri e alla letteratura filosofica e religiosa, esse richiedono un ricchissimo bagaglio di conoscenze, senza il quale restano impenetrabili e mute. Il Salone è concepito come un immenso libro illustrato che, nel raffigurare l’evoluzione storica della conoscenza, intende sottolineare i limiti imposti al sapere dalla fede. Obiettivo straordinariamente significativo, se si considera il pubblico cui l’importante luogo è destinato. Le pitture si rivolgono, infatti, all’esigua cerchia degli intellettuali e degli eruditi, impegnati nella ricerca e nello studio. La ristrettissima destinazione di questi straordinari ambienti spiega verosimilmente la necessità di far scrivere ben due volumi, il testo di Rocca e quello di Pansa, l’uno in latino e l’altro in italiano, che, attraverso una descrizione dettagliata e minuta, dovevano svolgere l’importante compito divulgativo. È evidente che, considerando una simile fruizione, le immagini non sono certamente chiamate a semplificare i contenuti, quanto piuttosto a veicolare in uno stesso e immediato momento molteplici significati, grazie al loro intrinseco valore polisemico. Di fatto, i dipinti della Biblioteca Sistina rimasero sostanzialmente sconosciuti al grande pubblico e agli stessi artisti, come sembrerebbe indicare la loro scarsa fortuna iconografica.

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro e

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SALA DEGLI SCRITTORI

SALONE SISTINO

Virtù, ai lati degli stemmi sistini (e): a. Temperanza b. Fortezza c. Fede cristiana d. Giustizia

Gli affreschi della volta Ogni volta a crociera ripropone il medesimo tessuto decorativo a grottesche, nel quale sono individuabili i seguenti soggetti: a. Quadrilobo con insegne papali (in ogni chiave di volta) b. Figura femminile con libro all’interno di una caròla di angioletti, entro cornice cruciforme (tra una crociera e l’altra) c. Due figure femminili con libri al centro di una corona di angioletti (tra i pilastri, in ogni chiave d’arco) d. Donne a monocromo con insegne sistine, sotto un angelo a sua volta sovrastato da una coppia di angioletti (sopra i pilastri, in ogni estremità d’arco) e. Angeli reggenti libri incoronati di alloro da una coppia di angioletti (tra le opere sistine, adiacenti alle pareti lunghe)

Sibille, agli angoli della volta: f. Sibilla Samia g. Sibilla Persica h. Sibilla Cumana i. Sibilla Delfica l. Sibilla Cimmeria m. Sibilla Tiburtina n. Sibilla Eritrea o. Sibilla Frigia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Paesaggio con scene di fabbricazione ed essicazione della carta Piccolo paesaggio fluviale Paesaggio con scene di stampa dei libri, piegatura e legatura Paesaggio con personaggi in lettura in un loggiato su un belvedere Trasporto di libri in un palazzo presso un fiume Piccolo paesaggio fluviale Paesaggio con personaggi assorti in studio presso una villa Paesaggio con scene di educazione dei fanciulli Caròla di angioletti con cartiglio

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Gli affreschi sulle pareti Le grandi biblioteche dell’antichità A partire dall’adiacente alla Sala degli Scrittori, lungo la parete sud A. Mosè e i Leviti B. Biblioteca ebraica C. Biblioteca di Babilonia D. Biblioteca di Atene E. Biblioteca di Alessandria F. Biblioteca dei Romani G. Biblioteca di Gerusalemme H. Biblioteca di Cesarea J. Biblioteca Apostolica K. Biblioteca dei Pontefici L. Domenico Fontana presenta la pianta della biblioteca a Sisto v

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I concili ecumenici A partire dall’adiacente alla Sala degli Scrittori, lungo la parete nord: M. Primo Concilio di Nicea N. Rogo dei libri ariani O. Primo Concilio di Costantinopoli P. Concilio di Efeso Q. Concilio di Calcedonia R. Secondo Concilio di Costantinopoli S. Terzo Concilio di Costantinopoli T. Secondo Concilio di Nicea U. Quarto Concilio di Costantinopoli V. Rogo dei libri di Fozio W. L’imperatore Costantino Z. San Silvestro, papa Gli inventori degli alfabeti A partire dalla lesena addossata alla parete adiacente alla Sala degli Scrittori, su ciascuna faccia dei pilastri. 1. Adamo 14. Palamede 2. Figli di Seth 15. Pitagora 3. Abramo 16. Epicarmo 4. Mosè 17. Simonide Melico 5. Esdra 18. Nicostrata Carmenta 6. Iside 19. Evandro 7. Mercurio egizio 20. L’imperatore Claudio 8. Ercole egizio 21. Demarato Corinzio 9. Memnone 22. Ulfila 10. Cecrope 23. San Crisostomo 11. Fenice 24. San Girolamo 12. Cadmo 25. San Cirillo 13. Lino Tebano 26. Cristo

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Le opere di Sisto v Sopra le finestre, all’altezza dell’innesto della volta, ai lati di ciascuno piccole figure allegoriche a commento delle opere illustrate: i. Incoronazione papale di Felice Peretti (ai lati: Electio Sacra e Manifestatio) ii. Presa di possesso del Laterano (ai lati: Honor e Dignitas) iii. Cacciata dei banditi dallo Stato della Chiesa (ai lati: Justitia e Castigatio) iv. Obelisco vaticano (ai lati: Religio e Magnificentia) v. Allegoria dell’abbondanza (ai lati: Charitas e Liberalitas) vi. Colonna traiana (ai lati: Sublimatio e Mutatio) vii. Giubileo in S. Maria Maggiore (ai lati: Salus Generis Humani e Pietas Religionis) viii. Obelisco laterano (ai lati: Senatio e Purgatio) ix. Fontana del Mosè (ai lati: Miseratio e Benignitas) x. Il piano sistino con le strade di Roma (ai lati: Laetificatio e Nobilitatio) xi. Allegoria del castigo degli adulteri (ai lati: Castitas e Defensio) xii. Cappella del Presepe (ai lati: Equiparatio e Potestas) xiii. Obelisco flaminio (ai lati: Raedificatio e Cognitio veri dei) xiv. Ospizio dei mendicanti (ai lati: Clementia e Operatio bona) xv. Colonna antonina (ai lati: Electio Sacra e Vera gloria) xvi. Traslazione del corpo di Pio v a S. Maria Maggiore (ai lati: Recognitio e Gratitudo) xvii. Obelisco esquilino (ai lati: Oblatio e Devotio) xviii. Flotta papale (ai lati: Providentia e Securitas) Negli sguinci delle finestre Gli elementi parete ovest f. Aria g. Fuoco h. Terra i. Acqua

Le stagioni parete sud l. Inverno m. Autunno n. Estate o. Primavera

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Capitolo primo

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

vano annesso minore

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Alla seconda stanza della libreria segreta

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Alla prima stanza della Libreria segreta 7 D 5

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Alla prima stanza della libreria segreta

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VANO ANNESSO MAGGIORE

GALLERIA ANNESSA

Gli affreschi sulle pareti A. Terzo Concilio Lateranense A1. La Roma cristiana di Sisto v A2. Proibizione dei Tornei Ai lati dell’arco di comunicazione tra vano annesso maggiore e minore: B. Concilio di Trento

Gli affreschi sulle pareti A. Quarto Concilio Lateranense A1. San Francesco appare in sogno a Innocenzo iii A2. San Domenico invia Simone di Montfort a combattere gli Albigesi B. Il complesso lateranense prima di Sisto v C. Primo Concilio di Lione D. Secondo Concilio di Lione D1. Il battesimo di un re tartaro D2. Gregorio x si riconcilia con i Greci E. Il complesso lateranense dopo le trasformazioni sistine F. Concilio di Vienne

Gli affreschi sulla volta a. Corona sostenuta da due donne e due angioletti 1. Cappella papale in S. Croce in Gerusalemme 2. Cappella papale in Ss. Apostoli 3. Cappella papale in S. Maria del Popolo 4. Cappella papale in S. Maria Maggiore VANO ANNESSO MINORE Gli affreschi sulle pareti Ai lati dell’arco di comunicazione tra vano annesso maggiore e minore: C. Quinto Concilio Lateranense D. Concilio di Firenze Gli affreschi sulla volta b. Donna circondata da angioletti con libri 5. Cappella papale in S. Giovanni in Laterano 6. Cappella papale in S. Paolo fuori le mura 7. Cappella papale in S. Sabina 8. Cappella papale in S. Lorenzo fuori le mura

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Gli affreschi sulla volta Negli spazi di risulta tra le cornici, 12 allegorie, 6 per lato, tra le quali le Virtù Teologali e alcune Virtù Cardinali: a. Due stemmi sistini b. Donne e angioletti recanti iscrizioni 1. Filosofia 2. Giurisprudenza 3. Teologia 4. Poesia

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PRIMA STANZA DELLA LIBRERIA SEGRETA

SECONDA STANZA DELLA LIBRERIA SEGRETA

Gli affreschi sulle pareti Nelle lunette alla sommità delle pareti, partendo dalla parete adiacente al Galleria annessa, la prima parte delle opere di Sisto v: A. San Bonaventura proclamato Dottore della chiesa B. Bonifica delle paludi pontine C. Pace ristabilita da Sisto v nella Lega Santa D. Restauri promossi da Sisto v nella chiesa di S. Girolamo E. Canonizzazione di san Diego F. Restauri della Scala Santa G. Tesoro di Castel Sant’Angelo H. Il porto di Civitavecchia

Gli affreschi sulle pareti Nelle lunette alla sommità delle pareti, partendo dalla parete adiacente alla prima stanza, la seconda parte delle opere di Sisto v: I. Traslazione dell’Obelisco vaticano L. Ampliamento della città di Loreto M. Piazza di Montecavallo con i Dioscuri N. Progetto della Piazza di S. Pietro e della cupola della Basilica O. Città di Montalto L. Colle del Campidoglio dopo l’arrivo dell’Acqua Felice

Gli affreschi sulla volta Negli scomparti cruciformi della volta, ciascuno accompagnato dall’illustrazione di una scena della sua vita: 1. Sant’Ambrogio 7. San Basilio 2. San Girolamo 8. Sant’Atanasio 3. San Tommaso 9. San Gregorio di Nissa 4. San Giovanni Crisostomo 10. San Bonaventura 5. San Cirillo 11. Sant’Agostino 6. San Giovanni Damaso 12. San Gregorio a. b. c.

Gli affreschi sulla volta Negli spazi di risulta tra le cornici, grottesche e nervature a ghirlanda: a. Grandi riquadri con leone con ramo di pero e cartiglio b. Coppia di angeli con trimonzio, sotto un baldacchino c. Donne con libri

Due imprese papali Corona di sette angioletti con cartiglio Coppie di angeli in volo con libri (ai lati di ciascuna unghiatura, angeli con tube e corone vegetali)

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico

145. Salone Sistino, Primavera. 146. Salone Sistino, Fuoco.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 147. Salone Sistino, Mosè ordina ai Leviti di custodire il Libro della Legge.

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Nelle parti meno visibili del Salone furono rappresentate figure e motivi comuni nel sistema decorativo delle biblioteche medievali e umanistiche, dove, come abbiamo ricordato, la tradizione enciclopedica trovò un particolare campo di applicazione. Così, nei fornici delle finestre vennero affrescati i Quattro elementi, alternati agli stemmi sistini e, come di consueto, associati alle Quattro Stagioni78. Le immagini sono accompagnate da iscrizioni desunte dai testi classici, come le Metamorfosi di Ovidio o gli scritti di Aristotele. Si inizia a nord con la raffigurazione dell’Acqua attraverso una donna con tridente, seduta su un delfino (l’iscrizione è: origo procreationum). Si prosegue con la Terra, simboleggiata da una donna seduta a terra con animali e un leone, tradizionale attributo di Cibele (l’iscrizione è: mater omnium). Nel fornice della quinta finestra è effigiata l’Aria, indicata da una donna seduta su una nube, con i capelli al vento (l’iscrizione è: inanitates impatiens). Infine, la serie si conclude con il Fuoco, rappresentato attraverso una donna che ha fiamme in mano e sulla testa, tra le quali si intravede la Fenice, che si rigenera proprio nel fuoco (l’iscrizione è: procreazionis expers , ed è tratta da Aristotele, De Hist. Anim., 1, 5, 19). La descrizione delle Quattro Stagioni è tratta da alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio (libro ii, vv. 27-30)79 che vengono impiegati anche nelle iscrizioni. La Primavera ha una corona di fiori e una cornucopia (cinctum fiorente corona); l’Estate è ornata di spighe e ha una falce (spicca serta gerit); l’Autunno ha il capo incoronato di uva (calcatis sordidus uvis) e, infine, l’Inverno è un vecchio con barba e capelli bianchi che si scalda al fuoco (canos irsuta capillos). Altri due soggetti piuttosto convenzionali, le Virtù associate alle Arti, citate nella sua lettera da Ranaldi e già rappresentate nelle facciate, trovano posto negli spazi sottostanti alle quattordici finestre del Salone. Tra di esse, a sud, si possono riconoscere: la Prudenza (seconda finestra); la Giustizia (terza finestra); la Fortezza (quinta finestra); la Fede (sesta finestra); la Speranza (settima finestra). A nord, con l’ausilio dell’Iconologia di Ripa80, si possono individuare: la Retorica (la settima finestra, con l’iscrizione ornatus persuasio); la Matematica (terza finestra), la Dialettica (seconda finestra). Gli spazi del Salone più ampi e visibili sono riservati a temi decisamente meno convenzionali, trattati più raramente nelle arti visive: le Biblioteche dell’antichità; i Concili ecumenici; gli Inventori degli Alfabeti e le Opere sistine. A questi cicli di affreschi è affidato il compito di illustrare le teorie portanti del sistema iconografico.

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Le Biblioteche dell’antichità Sulla parete meridionale del Salone è affrescata la serie di dipinti che raffigura le Biblioteche dell’antichità, un tema suggerito dal Ranaldi, che nella sua missiva indica anche alcuni dettagli iconografici, rispettati poi nei dipinti. L’importanza del ruolo svolto dal custode nell’elaborazione di questa serie è sottolineata dal Rocca, che annota: «De bibliothecis ad laevam Bibliothecae Vaticanae per Federicum Ranaldum Valuen. Bibliothecae custodem excogitatis […]»81. In realtà, il tema era stato già evocato al tempo di Sisto iv, quando l’umanista agostiniano Aurelio Brandolini aveva scritto De bibliotheca a Sixto condita epigramma xii, un componimento poetico che celebrava la sistemazione della biblioteca voluta dal della Rovere, inneggiando alla gloria impareggiabile del papa per aver promosso la realizzazione della nuova libreria pontificia, dopo aver ricordato i fondatori delle biblioteche antiche82. L’argomento era stato poi proposto anche da un programma decorativo precedente a quello del Ranaldi83, menzionato da Pastor84 e pubblicato da Petitmengin che lo ha datato al 1580 85. Accanto a interessanti indicazioni di biblioteconomia, l’anonimo autore della lettera consigliava di decorare la parte alta delle pareti con i ritratti dei Dottori della Chiesa, riprendendo la decorazione della vecchia Libreria di Sisto iv, mentre menzionava i fondatori delle biblioteche più antiche e famose come un nuovo tema adatto alla funzione del luogo. Il particolare soggetto, che non ha significativi precedenti nelle arti visive, a partire dal xiv secolo era stato affrontato in diversi testi che, recuperando le notizie contenute nelle varie fonti letterarie classiche, intendevano fornire una storia delle principali raccolte librarie antiche, basata sulla loro successione cronologica86. Tra questi scritti figura la lettera redatta dal Petrarca, destinata a Giovanni Anchiseo (Familiari, iii, 18), e la Prefazione che apparve nel De vero iudicio et providentia Dei di Salviano, pubblicata nel 1530 da Johann Alexander Kohlburger, noto come Brassicano (1500-1539). Naturalmente, l’argomento non era sfuggito agli eruditi protestanti, che non avevano mancato di usarlo nella polemica anticattolica. Una delle opere più complete a riguardo venne, infatti, compilata da Michael Neumann, detto Neander (1525-1595), tra i massimi esperti protestanti di studi umanistici, nonché autore del catechismo luterano. Nella Prefazione al suo volume intitolato Graecae Linguae Erotemata, pubblicato a Basilea87, egli fa un ampio excursus che, partendo dalle antichissime biblioteche di Ectabana e

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 148. Salone Sistino, Esdra sacerdote e scriba ripristina la sacra biblioteca. Alle pagine 216-217 149. Salone Sistino, Biblioteca di Babilonia. Alle pagine 218-219 150. Salone Sistino, Biblioteca di Atene.

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Susa, dopo aver trattato le raccolte librarie classiche e quelle cristiane, giunge alla raccolta pontificia di Niccolò v, lamentando la distruzione di ricchi tesori, imputata all’incuria dei monaci intenti a trascrivere solo «rosaria Sathanalia et Diabolica mera»88. Gli affreschi del Salone Sistino si offrono agli occhi dello spettatore come uno di questi trattati, una sorta di de bibliothecis illustrato che si basa sulla lettura comparata di numerose fonti letterarie, citate scrupolosamente dal Rocca a margine del suo testo descrittivo, soprattutto nell’esemplare con chiose autografe, conservato presso la Biblioteca Angelica di Roma89. Il ciclo, che presenta le biblioteche divise per lo più in due scene da un tendaggio, inizia con la raffigurazione di Mosè intento ad affidare un grande libro a un levita, mentre indica l’Arca dell’Alleanza (sotto è l’iscrizione: moyses librum legis levitis in tabernacolo reponendum tradit). La scena è tratta dal seguente passo del Deuteronomio (31,2426): «E quando Mosè ebbe terminato di scrivere in un libro le prescrizioni di questa legge sino alla fine, dette ordine ai leviti che dovevano portare l’arca del patto del Signore, e disse loro: “Prendete questo libro della Legge e mettetelo a fianco dell’Arca dell’Alleanza del Signore, Iddio vostro, e ivi rimanga in testimonio contro di te” […]». La citazione del brano del Deuteronomio in riferimento alla cura dei libri e delle biblioteche, in ambito ecclesiastico, costituiva probabilmente una sorta di topos, se già Riccardo di Bury, monaco benedettino, nonché noto bibliofilo inglese, nel xvii capitolo, intitolato De debita honestate circa librorum custodiam adhibenda, del suo famoso Philobiblon, scritto nel 1345, sosteneva: «Intorno al dovere di lavorare con tutta finezza agli scaffali, dove i libri siano sicuri da ogni guasto, c’informa Mosè con la sua grande bontà, nel xxxi del Deuteronomio, “Prendete” dice “codesto libro e riponetelo a fianco dell’Arca dell’Alleanza di Dio, vostro Signore”. Quella sì era sede adatta e conveniente alla biblioteca, essendo costruita nell’immarcescente legno di Sethim e tutta rivestita di dentro e di fuori di lamine d’oro!». L’affresco che inizia la serie delle biblioteche antiche conferma l’importanza affidata alla figura di Mosè all’interno della politica culturale sistina. L’illustre patriarca, che compare in moltissime imprese decorative promosse da Sisto v ed è celebrato nella famosa fontana di largo S. Susanna, venne scelto frequentemente come proprio modello da papa Peretti che, seguendo il metodo esegetico applicato già da Sisto iv nella Cappella Sistina, interpretò l’eroe biblico come prefigu-

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razione veterotestamentaria del Cristo90. Tale considerazione contribuiva ovviamente a sottolineare l’autorità che derivava alla figura del papa in quanto successore di Gesù e dunque anche dei suoi «tipi» veterotestamentari. Inoltre, l’importanza attribuita alla cultura ebraica, vista come anticipazione di quella cattolica, si rivelava particolarmente funzionale alla difesa del primato della Chiesa romana. L’occhio di riguardo mostrato da Sisto v verso la comunità ebraica trovava eco, del resto, in occasioni e contesti diversi, come quello della censura. Infatti, il pontefice, inflessibile nella condanna di testi eterodossi, dimostrò stranamente un atteggiamento di tolleranza nei confronti del Talmud. A tale comportamento, volto evidentemente a rimarcare il carattere di continuità tra ebraismo e cristianesimo, non dovevano comunque essere estranei motivi di carattere politico ed economico, sempre molto importanti per Sisto v91. La seconda scena, su cui compare l’intestazione bibliotheca hebrea , presenta al centro la figura di Esdra che mostra la nuova costruzione della biblioteca ebrea, dopo la distruzione operata dai Caldei (sotto è l’iscrizione: esdras sacerdos et scriba bibliothecam sacram restituit), secondo l’indicazione fornita da Ranaldi che propone «Esdra che restituisce agli Hebrei la Legge abbrusciata da Caldei» tra le storie «notabili» del Vecchio Testamento, adatte alla decorazione della nuova libreria. Segue la bibliotheca babylonica, che nel primo riquadro si ispira al prologo del Libro di Daniele (1,1-7) e illustra il re babilonese Nabucodonosor seduto in trono che ordina ad Asfenez, capo dei suoi eunuchi, di insegnare la scrittura e la lingua dei Caldei al giovane Daniele, rapito a Gerusalemme insieme ad altri coetanei, raffigurati a destra, mentre apprendono gli insegnamenti (sotto l’iscrizione è: daniel et socii linguam scientiamque chaldeorum ediscunt). Nella seconda sezione, che segue il racconto contenuto nel Libro di Esdra (6,1-12), si vede Dario i, re dei Persiani, che ingiunge ai suoi uomini di cercare negli archivi il documento redatto dal suo predecessore, Ciro, che sanciva la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ostacolata dai nemici di Israele. In secondo piano alcuni personaggi cercano tra i faldoni l’editto di Ciro, mentre sullo sfondo compare la Torre di Babele che, collocata accanto ad altri monumenti evocativi dell’antico, come piramidi e obelischi, serve a connotare il luogo (sotto è l’iscrizione: cyri decretum de templi instauratione darii iussu perquiritur). La rappresentazione della bibliotheca atheniensis segue un passo delle Noctes Atticae (vii, 17) del Gellio da cui è

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direttamente tratta l’iscrizione che compare sotto al secondo riquadro dell’affresco92. La descrizione di Gellio è ripresa nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, che dedica i capitoli del sesto libro della celebre opera enciclopedica alla storia delle biblioteche. Secondo questi testi la prima libreria pubblica ateniese fu fondata da Pisistrato e fu successivamente trasferita in Persia da Serse, in seguito all’incendio di Atene, città alla quale venne restituita solo molto tempo dopo, per volontà di Seleuco Nicanore. La prima scena illustra,

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

infatti, Pisistrato, armato, all’interno della biblioteca la cui identificazione è affidata alla statua di Atena che occupa lo sfondo. Di seguito si vede la restituzione della libreria voluta da Seleuco, dipinto a destra, di spalle, mentre ordina ad alcuni attendenti di portar fuori da una nave dei libri chiusi in alcune casse e di portarli in città. L’argomento è tra quelli suggeriti dal Ranaldi che indica anche il «caricare et imbarcare in mare», riferendolo però alla biblioteca portata a Roma da Silla.

Per raffigurare la bibliotheca alexandrina venne utilizzato un particolare episodio legato alla notissima istituzione culturale: la storia della redazione della cosiddetta Bibbia dei Settanta, ovvero la traduzione greca del Vecchio Testamento. La scelta fu sicuramente motivata dalla volontà di celebrare una delle imprese tipografiche più importanti promosse da Sisto v, l’edizione romana della Bibbia dei Settanta curata dal cardinale Antonio Carafa e data alle stampe nel 1586, solo poco tempo prima della costruzione della nuova biblioteca

vaticana. L’episodio, inoltre, consentiva di passare sotto silenzio il ruolo strategico esercitato dall’Alessandrina nel campo degli studi scientifici e filosofici, esaltato non a caso dal luterano Neander. L’importanza della più famosa biblioteca dell’antichità veniva così ridotta unicamente al merito di aver consentito il passaggio e la diffusione della Parola di Dio, come preparazione all’avvento dell’era cristiana. Ancora una volta «l’oro delle dottrine e l’argento dell’eloquenza de’ gentili» veniva convertito in «servizio di Dio»93. La Lettera

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di Aristea a Filocrate, il noto scritto che esalta l’impresa voluta da Tolomeo ii, venne assunta come principale fonte di riferimento, anche se furono inserite delle varianti. Ulteriori testi consultati furono le Antichità giudaiche (xii, 2), le Noctes Atticae (vii, 17), il De Civitate Dei di sant’Agostino (18, 42)94. Nella prima sezione compare il re Tolomeo rivolto verso un personaggio armato, Demetrio Falereo, l’uomo che, cacciato da Atene, dove aveva regnato per dieci anni, si era

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rifugiato ad Alessandria, divenendo il consigliere del re. L’affresco visualizza il momento in cui Demetrio suggerisce a Tolomeo di acquisire nella sua nuova biblioteca i testi della legge giudaica (sotto è l’iscrizione: ptolemaeus ingenti bibliotheca instructa hebraeorum libros concupiscit). Nell’immagine successiva compare Tolomeo, assiso in trono, che riceve la traduzione elaborata dai settantadue saggi ebrei nominati da Eleazaro, il sommo sacerdote del Tempio di

Gerusalemme incaricato dal re di coordinare i lavori (sotto è l’iscrizione: lxxii interpretes ab eleazaro missi libros ptolemaeo reddunt). Come è stato notato da Canfora, sull’armatura del soldato in primo piano compare una protome leonina, simbolo araldico di Sisto v. Tale presenza riveste un sicuro valore simbolico: «La tesi sottintesa è che quella traduzione [dei Settanta] avvenne provvidenzialmente come preparazione all’avvento

di Cristo»95. Più complesso appare invece, come vedremo, il significato alluso dalla presenza del leone sistino nell’affresco successivo, quello che illustra la bibliotheca romanorum, anch’essa divisa in due scene. Nella prima parte è dipinto un soggetto descritto dal Ranaldi, «la Sibilla che vende li libri a Tarquinio con tutta quella historia» (sotto è l’iscrizione: tarquinius superbus libros sybillinos tres aliis a muliebre incensis tantidem emit).

Si tratta di un evento mitico narrato

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

151. Salone Sistino, Biblioteca di Alessandria.

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico 152. Salone Sistino, Biblioteca di Gerusalemme, particolare. 153. Cappella Sistina, Perugino, Consegna delle chiavi, 1481-82, affresco, particolare.

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da numerosi autori latini, tra cui Gellio e Livio, che vede il re Tarquinio alle prese con una vecchia che gli offre la vendita di nove libri, i cosiddetti Libri Sibillini, contenenti responsi oracolari. Ma il re, stupefatto dall’ingente somma richiesta, rifiuta l’acquisto per ben due volte e solo dopo l’incendio di sei dei nove tomi, si decide a comprare gli ultimi tre volumi, pagando però il prezzo iniziale. L’iscrizione riprende un passo di Gellio (i, 19)96. La sezione seguente mostra la celebre Biblioteca Palatina istituita da Augusto nei propilei del tempio di Apollo fatto costruire dallo stesso imperatore sulla sommità del Palatino (sotto l’iscrizione è: augustus caes. palatina bibliotheca magnifice ornata viros litteratos fovet). La ricostruzione dell’ambiente è molto precisa e segue piuttosto fedelmente le descrizioni del luogo che compaiono nei testi antichi. Così, sullo sfondo a sinistra si vede la famosa statua colossale di Apollo che si trovava all’interno del tempio e che veniva comunemente paragonata al Colosso di Rodi. Alle sue spalle si scorge un edificio a pianta circolare e che con ogni probabilità raffigura il tempio di Vesta, costruito per volontà di Augusto, accanto a quello di Apollo e ricordato, tra gli altri, da Plinio (Nat. Hist., xxxiv, 7). Tra i personaggi presenti possiamo riconoscere Orazio e Virgilio nei due uomini coronati d’alloro e, probabilmente, Igino, direttore della Palatina, nell’anziano a cui si rivolge Augusto. Ma l’aspetto più rilevante e significativo rivelato dall’affresco è senza dubbio l’identificazione della Biblioteca Vaticana con quella Palatina, suggerita dalle teste di leone, simboli araldici sistini, che decorano i banchi su cui sono poggiati i volumi e anche la corazza indossata da Augusto, quasi a mostrare un’assimilazione del pontefice alla figura imperiale romana. Viene indicata in tal modo la continuità tra la Roma pagana e quella cristiana, con l’evidente intento di rivendicare l’autorità politica esercitata dal papa sulla città, splendidamente rappresentata sullo sfondo a destra, con tanto di Lupa che allatta i famosi gemelli. L’appropriazione del modello classico è, inoltre, sottolineata dalla presenza dei banchi che raffigurano sicuramente quelli impiegati nella Libreria Vecchia di Sisto iv, poi riutilizzati da Sisto v, essendo identici, per foggia e disposizione, a quelli dipinti nell’affresco che celebra la visita di Sisto iv alla nuova Biblioteca Apostolica nel noto ciclo decorativo dell’Ospedale di S. Spirito97. L’Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea è una delle principali fonti letterarie seguite nella raffigurazione delle due successive librerie cristiane, a cui viene dato maggior risalto

grazie all’assenza di divisioni interne. Nella bibliotheca hierosolymitana appare al centro, seduto, il vescovo Alessandro, fondatore della nota libreria, come è ricordato da Eusebio (vi, 1) e, accanto, l’anziano vescovo Narciso che riceve un volume (sotto l’iscrizione è: s. alexander episc. et mart. decio imp. in magna temporum acerbitate sacrorum scriptorum libros hierosolymis congregat).

A destra è dipinto l’edificio più rappresentativo e connotativo della città ebraica. La costruzione a pianta centrale è, infatti, caratterizzata da elementi strutturali – la pianta centrale, la cupola, il tiburio forato da finestre e i portici di accesso – che consentono di riconoscere in essa il Tempio di Gerusalemme che si ergeva sulla piazza del Tempio di Salomone, così come venne raffigurato a partire dal xv secolo, quando fu identificato nella cosiddetta Moschea di Omar, chiamata dai musulmani Cupola della Roccia (Qubbat As-Sakra), costruita durante il califfato

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Capitolo primo

Gli affreschi sistini: il programma iconografico 154. Salone Sistino, Tarquinio acquista i libri dalla Sibilla. Alla pagina seguente: 155. Salone Sistino, Biblioteca Apostolica.

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di Abd al Malik. L’edificio è, tra l’altro, molto simile al tempio che appare sullo sfondo dell’affresco con La consegna delle chiavi realizzato da Perugino nella Cappella Sistina e a quello raffigurato dallo stesso artista nello Sposalizio della Vergine, entrambi riferibili al Tempio di Gerusalemme98. La bibliotheca caesariensis, illustrata nell’affresco seguente, fu la più importante tra quelle realizzate nei primi secoli del cristianesimo99. Fondata da Panfilo, che compare al centro della scena, vestito di nero, custodiva più di 30.000 manoscritti di cui si avvalsero i primi Padri della Chiesa, tra cui soprattutto san Girolamo che appare nel dipinto, a destra, secondo la consueta iconografia. Il personaggio più anziano, intento a scrivere, è probabilmente da identificare nel famoso Origene che a Cesarea aveva istituito una nota scuola di teologia presso la quale si era formato anche Panfilo (sotto l’iscrizione è: pamphilus presb. et mart. admirandae sanctitatis et doctrinae caesareae sacram bibliothecam conficit multos libros sua manu scribit).

I numerosi testi sulle Sacre Scritture, raccolti da Origene e donati alla comunità cristiana della città, costituirono il primo nucleo della biblioteca allestita da Panfilo. Le fonti letterarie utilizzate sono soprattutto gli scritti di san Girolamo, che in più occasioni fornì notizie sulla famosa biblioteca (Lettere, 34; De viris illustribus, 3, 2). Anche in questo caso il paesaggio contribuisce a connotare il luogo, seppure con la presenza arbitraria di monumenti romani. Sullo sfondo si apre, infatti, una veduta del porto di Cesarea, uno dei maggiori della Palestina, caratterizzato da una fortezza che appare a destra, chiaramente ispirata a Castel Sant’Angelo. La bibliotheca apostolorum (l’iscrizione è: s. petrus sacro-

rum librorum thesaurus in romana ecclesia perpetuo asservari

155, 156 iubet) e la bibliotheca pontificum (l’iscrizione è: romani pontifices apostolicam bibliothecam magno studio amplificant atque illustrant) chiudono la serie di affreschi, sottolineando natural-

mente la continuità dell’azione di tutela dei testi sacri svolta da san Pietro e dai pontefici, suoi successori, tra i quali vengono qui ritratti Sisto iv e Sisto v, i due papi che si preoccuparono di costruire sedi adatte alla conservazione dell’importante patrimonio librario apostolico100. La volontà di mettere in risalto la legittimità del potere pontificio, attraverso il legame con l’apostolo Pietro, spiega l’incongruente collocazione cronologica della Biblioteca Apostolica dopo quella di Cesarea.

I Concili ecumenici Sulla parete nord del Salone è dipinta la serie di affreschi che illustra gli otto Concili ecumenici orientali. Il ciclo pro-

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segue con gli otto Concili ecumenici occidentali raffigurati nei vani annessi alla sala destinata alla pubblica consultazione e nella cosiddetta Galleria di Sisto v, che funge da collegamento con i due ambienti della biblioteca segreta. I dipinti sviluppano il tema suggerito da Ranaldi, che viene però arricchito da dettagli figurativi e indicazioni dottrinali quasi certamente formulati, come vedremo, dallo stesso papa Peretti. Le assise ecumeniche furono individuate in maniera definitiva dall’autorità ecclesiastica con l’opera intitolata Concilia Generalia Ecclesiae Catholicae, una raccolta in quattro volumi dei decreti conciliari, pubblicata a Roma tra il 1608 e il 1612 e nota come Editio Romana101. La pubblicazione metteva fine alla confusione che aveva regnato in questo ambito. Se, infatti, si era ormai giunti a un’opinione unanime e consolidata su quali fossero i primi concili che ebbero luogo in area orientale, la definizione di quelli successivi, che si svolsero in Occidente, rimaneva ancora vaga. La mancanza dell’unanimità di giudizio si era fatta più evidente verso la fine del xvi secolo, con la stampa di tre importanti opere che trattavano come generali concili diversi tra loro. Così accadeva, infatti, nel famoso De Controversiis del Bellarmino, negli Annales del Baronio e nel testo Conciliorum omnium tam generalium quam provincialium […], edito a Venezia nel 1587 da Bollani e Nicolini. Gli affreschi della Biblioteca non seguono nessuna di queste fonti, dimostrando una totale autonomia nella scelta delle assise ecumeniche illustrate. Nel ciclo sistino non furono contemplati il Concilio di Costanza, il Primo e il Secondo Concilio Lateranense102. Questi ultimi, considerati da Bellarmino, erano stati eliminati anche dall’edizione Bollani-Nicolini e da Baronio, che però avevano escluso anche il Terzo Lateranense, presente invece nella serie vaticana. Se la riduzione dei sinodi occidentali può trovare una prima e generica motivazione nella volontà di eguagliare numericamente quelli orientali, c’è da chiedersi se la selezione risponda anche a criteri ideologici e funzionali. In particolare, per quanto riguarda il Concilio di Costanza si può osservare che il ruolo svolto al suo interno dall’autorità imperiale superò di gran lunga quella esercitata dalla figura del pontefice103. Fu, infatti, l’imperatore Sigismondo a far convocare il concilio per risolvere lo scisma d’Occidente e a sostenere le teorie conciliariste espresse dall’assemblea che il 6 aprile 1415 promulgò il decreto Haec Sancta in cui si affermava la supremazia del concilio sul potere pontificio. Le linee politiche seguite dal Concilio di Costanza e le conse-

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro Pagina precedente: 156. Salone Sistino, Biblioteca dei pontefici. 157. Biblioteca Vaticana, Cronaca figurata di Giovanni Villani, Concilio di Vienne (Chigiano l.viii.296).

guenti decisioni risultavano evidentemente opposte a quelle sostenute nella serie degli affreschi vaticani che rivendicano il riconoscimento universale del primato papale e limitano il potere laico al ruolo di ecclesiae defensor. Nelle diverse scene sinodali, infatti, la presenza dei pontefici, o dei loro legati, appare come centrale ed è sempre evocata dalle iscrizioni, mentre la figura imperiale compare come il braccio armato dei concili garantendo, attraverso i suoi rappresentanti, il regolare svolgimento dei lavori e rendendo esecutive le decisioni conciliari. Quest’ultimo compito è ben evidenziato nelle due scene che aprono e chiudono il ciclo delle assise orientali, raffiguranti rispettivamente gli imperatori Costantino e Basilio che fanno bruciare i libri di Ario e Fozio, ex decreto concilii, cioè in osservanza dei decreti conciliari, come recitano le epigrafi104. L’esclusione del Concilio Lateranense i, di cui mancano gli atti e si hanno informazioni relativamente scarse, potrebbe rispondere alla volontà di rimarcare l’unità della Chiesa cristiana nel momento in cui questa veniva fortemente compromessa dalla riforma protestante. Il Concilio Lateranense i del 1123, infatti, fu quello in cui per la prima volta venne sancito di fatto il Grande Scisma d’Oriente, poiché ad esso parteciparono solo i vescovi e gli arcivescovi dell’Occidente. Eliminare questo concilio che evidenziava la divisione interna all’ecumene cristiana poteva essere d’aiuto nella presentazione di una Chiesa chiamata ad essere unita e forte per fronteggiare l’insorgere del protestantesimo. Il tema dei concili ecclesiastici, affrontato piuttosto raramente e in maniera abbastanza occasionale dall’arte occidentale, ha trovato la sua definizione iconografica in ambito bizantino e ortodosso, dove venne frequentemente rappresentato. Le immagini conciliari più antiche giunte sino a noi risalgono al ix secolo, ma sappiamo che già agli inizi dell’viii l’imperatore Filippo Bardane (711-713) commissionò la raffigurazione dei primi cinque concili ecumenici nell’intradosso del Milion, il doppio arco trionfale che si trovava al centro di Costantinopoli105. Verosimilmente le prime raffigurazioni apparvero nelle sinossi che riassumevano i dati essenziali concernenti ciascun concilio, quali la sede, il nome dell’imperatore presente, il numero dei vescovi, i pronunciamenti dottrinali, il nome degli eretici condannati. Tra le miniature conservate, figura quella contenuta nelle Omelie di Gregorio Nazianzieno106, che illustra il Primo Concilio di Costantinopoli, in cui sono già fissati i caratteri essenziali dell’iconografia che si diffonde in Oriente e, con qualche variante, in Occidente. In particolare compare la

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disposizione semicircolare, la figura dell’imperatore in posizione preminente e il Vangelo aperto collocato sul trono, un elemento molto importante, come vedremo, negli affreschi vaticani107. Il modello è fornito dall’arte tardoantica e particolarmente da raffigurazioni che esaltano l’autorità imperiale, adattate a illustrare i nuovi contenuti cristiani108. La presenza di simili immagini nelle sinossi dei decreti conciliari determinò la rapida circolazione della nuova iconografia bizantina. Tuttavia, mentre in Oriente la figura dell’imperatore divenne sempre più centrale fino a dominare interamente la scena, come avviene nelle miniature dei Trattati teologici di Giovanni Cantacuzeno109, in Occidente essa perse gradualmente la sua importanza. Se le illustrazioni dei Testi conciliari conservati a Vercelli110, ancora molto legate al modello bizantino, presentano l’imperatore sempre al centro della composizione, tale collocazione è riservata al papa nell’immagine del Concilio di Vienne111, contenuta nella Cronaca figurata di Giovanni Villani. Ed è presumibile che la centralità della figura pontificia, considerando il luogo e il committente, fosse ribadita anche nell’unico ciclo monumentale che raffigurava a Roma i concili ecumenici, quello commissionato intorno al 712 da papa Costantino per il portico di S. Pietro112. Durante il xvi secolo, in occasione dello svolgimento del Concilio di Trento, singole scene sinodali furono dipinte con maggiore frequenza. Per citare alcuni dei dipinti più noti ricordiamo l’affresco realizzato da Taddeo Zuccari nella Sala del Concilio di Trento, nel Palazzo Farnese di Caprarola, raffigurante la Convocazione del Concilio da parte di Paolo iii e quello eseguito intorno al 1587 da Pasquale Cati nella Cappella Altemps, in S. Maria in Trastevere. L’utilizzazione del tema, inoltre, è attestata anche all’interno del sistema decorativo delle biblioteche. Infatti, nella Libreria dell’Eton College di Windsor (attuale Sala delle Elezioni) fu dipinto, intorno al 1517, un concilio ecclesiastico entro un medaglione, con lo scopo di indicare la sezione della biblioteca in cui erano conservati i testi di diritto canonico113. Nell’età precedente alla Controriforma, dunque, la rappresentazione di scene sinodali era presente nella decorazione delle biblioteche con un valore sostanzialmente funzionale. Negli anni post-tridentini il soggetto acquista una valenza molto più ampia e complessa, come si può notare nella Biblioteca dell’Escorial, pressoché contemporanea di quella Vaticana114. Qui il programma iconografico, ideato da Josè de Siguenza, collaboratore di Benito Arias Montano, ha come soggetto la relazione tra Filosofia e Teologia, cioè tra

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 158. Biblioteca Vaticana, Menologio di Basilio ii, Terzo Concilio di Costantinopoli (Vaticano greco 1613).

le due forme principali del sapere, quella naturale e quella spirituale. Contrapposte sui lati brevi del vasto salone sono la personificazione della Filosofia, sotto la quale è affrescata la Scuola di Atene, e l’allegoria della Teologia che sovrasta il Primo Concilio Niceno, in cui si nota la condanna di Ario e la distruzione dei suoi scritti eseguita da Costantino. Così come avviene nella Stanza della Segnatura di Raffaello, la Scuola di Atene è considerata l’incarnazione storica della Filosofia, intesa come idea eterna e immutabile115. Secondo la stessa interpretazione neoplatonica, il Primo Concilio Niceno – primo e perciò rappresentativo di tutti i concili ecumenici – va interpretato come materializzazione terrena della Teologia. In modo straordinariamente significativo esso sostituisce la Disputa sul Santissimo Sacramento, rappresentato nella Stanza della Segnatura, sotto alla Teologia, come una sorta di sinodo simbolico e universale che vede riunite la Chiesa Trionfante e la Chiesa Militante per affermare il dogma della transustanziazione, fondamento della fede cattolica. Nel clima della Controriforma e nell’urgenza di sostenere il valore dei decreti tridentini, il tema iconografico del sinodo è, dunque, affrontato nella Biblioteca dell’Escorial con l’obiettivo di riconoscere e confermare la validità teologica delle decisioni conciliari, emblematicamente alluse dal Concilio Niceno i. Un analogo significato è espresso dalla serie dei Concili affrescata nel Salone Sistino in cui la Chiesa rivendica il valore dei dogmi stabiliti nei diversi sinodi, voluti e guidati da Dio stesso attraverso la figura del pontefice e con la collaborazione dell’autorità civile. Allo stesso tempo il ciclo si propone come un vero e proprio Credo per immagini, all’interno del quale sono ribaditi e difesi i princìpi cardinali della fede cattolica, grazie anche all’ausilio delle iscrizioni. In questo senso gli affreschi vaticani sono «une iconographie de l’orthodoxie»116, proprio come le rappresentazioni dei concili in area bizantina, dove questo tipo di immagini, spesso collocate in luoghi pubblici, assumevano il carattere di documenti legali. L’inserimento del tema all’interno della più grande Biblioteca dell’Occidente cristiano assume dunque un fortissimo valore ideologico, facendo implicito riferimento ai limiti imposti alla conoscenza dalla fede. Il ciclo dei Concili costituisce, così, una sorta di monito imperituro rivolto agli intellettuali che, alzando appena gli occhi dai libri, si trovavano immediatamente e scenograficamente sciorinati tutti i fondamenti della dottrina cristiana, rispetto ai quali non poteva essere ammesso alcun tipo di deroga.

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La straordinaria importanza dottrinaria e politica rivestita dall’argomento spinse sicuramente gli ideatori del sistema decorativo ad avvalersi del parere del pontefice che, oltretutto, possedeva conoscenze e competenze specifiche a riguardo. L’inventario della biblioteca privata di Felice Peretti117 documenta, infatti, l’interesse nutrito dal futuro pontefice verso la storia della Chiesa e dei concili che trovò espressione nel Tractatus de Concilio Provinciali, una breve opera scritta dal prelato francescano nel 1565 e inviata a Carlo Borromeo, all’epoca impegnato nell’organizzazione del primo sinodo provinciale di Milano118. Il trattatello affronta lo studio del concilio, indagando sull’etimologia del termine, sulla sua origine e sui suoi scopi. Fornisce, inoltre, i criteri che distinguono i concili ecumenici dagli altri, individuando nella presenza del pontefice o dei suoi legati la condizione necessaria. Secondo il Peretti l’obiettivo dell’assemblea universale consiste nell’estirpare le eresie e correggere atteggiamenti immorali per confermare i princìpi della fede, affinché nella Chiesa regni la conciliazione, ovvero la pace. Tali fini trovano riscontro negli affreschi vaticani e nelle relative iscrizioni che li accompagnano, in cui sono sempre citate le eresie condannate e i divieti promulgati, come nelle sinossi bizantine, dove però compare sempre il nome dell’imperatore ma non quello del pontefice. Inoltre, lo stesso cerimoniale liturgico rappresentato in tutte le scene segue molto fedelmente le prescrizioni sistine che compaiono nel xiv capitolo del De Concilio, in cui si legge: «Concilii locus ornetur honeste prout rei dignitate […]. Parentur a dextris et a sinistris subsellia pro Episcopis, et aliis qui sedere debent, justa eorum gradus. Ponantur in loco opportuni scabellum competenter ornatum, super quo ponatur Evangeliorum liber apertus, quo intelligant singuli se ad Concililum convenisse pro observatione Legis Evangelicae, et illam semper habere prae oculis in his quae dicturi sunt. Sit etiam pulpitum elevatum, ubi et conciones ad patres, et concilii gesta legantur […]. Episcopi et alii Patres […] vestibus sacris juxta eorum gradus eis competentibus induti […]». Nei dipinti, infatti, torna insistentemente la presenza tanto del pulpito per la lettura, quanto del Vangelo posto sullo scranno ornato, entrambi ritenuti essenziali da Felice Peretti nello svolgimento dell’assemblea conciliare. Quest’ultimo elemento, molto importante in termini simbolici, ha origine nell’iconografia bizantina, ma non viene quasi mai raffigurato in area occidentale. Nel rituale conciliare è documentato per la prima volta nella relazione del Concilio di Efeso inviata a Teodosio ii da san Cirillo che ne spiega il

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 159. Salone Sistino, Primo Concilio niceno, Spiridione converte un filosofo pagano, particolare.

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significato affermando che esso esprime simbolicamente la presenza di Cristo, guida dell’assemblea ecumenica119. L’origine del modello è probabilmente legata all’uso di esporre il ritratto dell’imperatore su un trono, all’interno dei tribunali, per indicare la presenza simbolica del sovrano. Inoltre, un libro del Vangelo era stato imposto da Giustiniano in ogni aula giudiziaria con lo scopo di alludere allegoricamente all’imparzialità delle sentenze120. Nelle raffigurazioni delle assemblee ecumeniche in area bizantina compare in maniera saltuaria. Se nella Chiesa della Natività a Betlemme domina come unico elemento figurativo presente nella decorazione aniconica121, esso non compare in numerose miniature, come ad esempio nel Terzo Concilio di Costantinopoli, illustrato nel Menologio di Basilio ii, in cui è sostituito da una croce122o nel Concilio Niceno ii del Salterio Cludov123. In Occidente, poi, è per lo più estraneo all’iconografia delle assisi ecumeniche, come si può osservare nelle opere già ricordate e in molte altre, come, ad esempio, nel Concilio di Firenze scolpito su una bandella bronzea posta nel battente destro della porta di S. Pietro, realizzata dal Filarete nel 1445. La sua presenza negli affreschi vaticani rimanda con ogni evidenza al rituale conciliare descritto nel De Concilio da Felice Peretti, che ne illustra l’importante significato: il Vangelo aperto, secondo il pensiero del futuro pontefice, oltre a costituire la guida che deve dirigere i lavori svolti dall’assemblea, indica il carattere di continuità che lega ai sacri testi le decisioni prese dalla Chiesa riunita nei sinodi ecumenici. Un’indiretta conferma dell’intervento personale di Sisto v nelle scelte iconografiche riguardanti la serie dei Concili è fornita dalla lettera del Ranaldi in cui l’autore, subito dopo aver suggerito il tema, dichiara: «Ma essendo la S.tà di N.ro Sig.re intelligentissima di queste historie et di tutte le cose notate et del modo di disegnarsi a me è bastato scriver un semplice ricordo al pittore di quel che ho potuto raccorre in questa brevità di tempo che mi ha dato». A differenza delle raffigurazioni bizantine, che si propongono sostanzialmente come generici ritratti di gruppo e non hanno un carattere narrativo, i dipinti della Biblioteca Vaticana descrivono gli specifici procedimenti adottati dai singoli sinodi e presentano i protagonisti di ciascuna assise. La serie inizia con il Primo Concilio di Nicea in cui è raffigurato l’eretico Ario, scarno ed emaciato, sotto il pulpito da cui un diacono sta leggendo la condanna delle sue tesi. In alto, a sinistra, appaiono Dio Padre e Gesù in gloria a indicare il dogma della consustanzialità delle due persone

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trinitarie, stabilito dal concilio e ricordato nell’iscrizione che accompagna l’affresco, fiancheggiato dal Rogo dei libri ariani (l’iscrizione è: s. silvestro papa fl. constantino magno imp. christus dei f. patri consubstanzialis declaratur, arii impietas condemnatur. ex decreto concilii constantinus imp. libros arrianorum comburi iubet). Sullo sfondo, a sinistra, si scorge un paesaggio lacustre che evoca la cittadina fortificata di Nicea, affacciata sull’estremità orientale del Lago di Iznik, mentre in primo piano, a destra, è dato particolare risalto a una figura che sta colloquiando con un uomo in vesti orientali. Tale personaggio non è identificabile in san Paolo, come è stato proposto124, ma nel beato Spiridione, vescovo di Trimithonte, citato dal Rocca. Il patriarca, che non presenta i consueti attributi di san Paolo, bensì un bastone e uno sguardo fisso a indicare la cecità, propone un’iconografia desunta fedelmente dalla breve biografia dedicata a Spiridione all’interno del Martyrologium Romanum redatto da Cesare Baronio che, sotto il giorno del 14 dicembre, così scrive: «In Cipro il natale del beato Spiridione Vescovo, il quale fu uno di quei confessori che Massimiano, dopo aver loro fatto cavare l’occhio destro e tagliare i nervi sotto il ginocchio sinistro, aveva condannato alle miniere. Egli fu insigne per il dono di profezia e per la gloria dei miracoli, e nel Concilio Niceno convinse un filosofo pagano, che insultava la religione cristiana, e lo convertì alla fede»125. Il racconto spiega, dunque, anche la presenza e l’azione svolta da Spiridione nell’affresco. Molto probabilmente fu l’Antoniano a suggerire la raffigurazione del vescovo cipriota nel dipinto che illustra il Concilio Niceno i. L’Antoniano, infatti, fu un membro della commissione incaricata di revisionare il Martyrologium; inoltre egli intese forse celebrare un beato molto venerato all’interno dell’ordine filippino. Nella chiesa di S. Maria in Vallicella, infatti, era conservata una sua importantissima reliquia, un braccio, che veniva esposta tutti gli anni in occasione della festa del beato126. Tutto ciò conferma l’importante ruolo esercitato dall’Antoniano e dalla cultura filippina nella formulazione del programma iconografico, agendo anche nella definizione di alcuni particolari che appaiono negli affreschi della Biblioteca. Segue il Primo Concilio di Costantinopoli, in cui si vede a destra Macedonio, vescovo della città, mentre viene spogliato dei suoi abiti episcopali, in seguito alla condanna delle sue teorie sullo Spirito Santo. A sinistra, un vescovo sta leggendo i decreti conciliari che riconoscono lo Spirito Santo come terza persona trinitaria, rappresentata simbolicamente

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Capitolo primo

Gli affreschi sistini: il programma iconografico 160. Salone Sistino, Primo Concilio di Costantinopoli, particolare. 161. Salone Sistino, Concilio di Efeso, particolare.

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico 162. Salone Sistino, Concilio di Calcedonia. 163. Salone Sistino, Secondo Concilio di Costantinopoli. Alla pagina seguente: 164. Salone Sistino, Terzo Concilio di Costantinopoli.

attraverso una fulgida luce che cala dal cielo, sopra l’altare. In fondo, a destra, è una piccola veduta del celebre porto sul Bosforo, che compare in tutti i concili costantinopolitani (l’iscrizione recita: s. damaso pp. et theodosio sen. imp. spiritus sancti divinitas propugnatur nefaria macedonii haeresis extinguitur).

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L’affresco successivo rappresenta il Concilio di Efeso in cui lo spazio dedicato alla raffigurazione del centro urbano è più ampio, forse perché si intende qui illustrare il celebre Tempio di Artemide, attraverso un edificio che, molto simile alla chiesa romana di S. Girolamo degli Schiavoni127, sembra ispirarsi in parte anche alla fantasiosa ricostruzione del tempio fornita da Marten van Heemskerck in una stampa appartenente alla nota serie che raffigura le Sette Meraviglie del Mondo, edita da Philips Galle. Tra le vie della cittadina, apparate a festa, si snoda la processione dei vescovi, a chiusura del concilio, raffigurato a destra. Tra i personaggi in primo piano, Rocca cita Arcadio, Filippo, legato di papa Celestino v, e Cirillo di Alessandria, principale oppositore dell’eretico Nestorio. In alto, al centro, appare la Madonna in gloria con il Bambino, che allude alla definizione di Maria Vergine come Madre di Dio, stabilita a Efeso in contrasto con il nestorianesimo (l’iscrizione è: s. celestino papa, et theodosio iun. imp. nestorius christum dividens damnatur b. maria virgo dei genetrix praedicatur). La presenza del mendicante, in primo piano a sinistra, è spiegata da Rocca che racconta di come un pellegrino avesse portato ai vescovi riuniti a Nicea una lettera inviata da san Cirillo, nascosta in un bastone per evitare che i Nestoriani la distruggessero128. Nel Concilio seguente, quello di Calcedonia, Dioscoro, patriarca monofisita di Alessandria d’Egitto, viene deposto, mentre Eutiche, fondatore del monofisismo, si presenta davanti all’imperatore Marciano. Al centro, sopra il diacono che legge le lettere inviate da papa Leone Magno, Cristo in gloria, con il globo e la croce, ribadisce la sua duplice natura, umana e divina, sancita dall’assise ecumenica. A destra è una veduta marina che allude a Calcedonia, piccola città posta sul Mar di Marmara, di fronte a Costantinopoli (l’iscrizione recita: s. leone magno pp. et marciano imp. infoelix eutiches, una tantum in cristo naturam asserens confutatur). Il Secondo Concilio di Costantinopoli presenta l’imperatore Giustiniano e Menna, patriarca di Costantinopoli, circondati dai monaci basiliani che denunciano i discepoli di Origene. Il diacono legge la sentenza contro gli scritti nestoriani di Iba di Edessa, Teodoro di Mopsuestia e Teodoreto di Ciro, noti con il titolo di Tre Capitoli (l’iscrizione

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afferma:

virgilio papa, et iustiniano imp. contentiones de

tribus capitibus sedantur origenis errores refelluntur).

Nel Terzo Concilio di Costantinopoli appaiono dei vescovi intenti nella lettura dei testi dei Padri della Chiesa per trovare i capi d’accusa contro Macario di Antiochia che si vede qui privato delle sue insegne vescovili come Stefano, suo discepolo. A destra, in uno spazio separato da un colonnato, Giovanni patriarca di Porto celebra la messa in latino nella chiesa di S. Sofia, nel giorno di Pasqua, davanti all’imperatore e ai legati pontifici (l’iscrizione recita: s. agathone papa, constantino paginato imp. monothelitae haeretici, unam tantum in cristo voluntatem dicentes exploduntur). L’affresco successivo illustra il Secondo Concilio Niceno che condannò l’iconoclastia. L’arazzo raffigurato a sinistra dell’assemblea riassume emblematicamente le argomentazioni usate dai trattatisti cattolici in difesa della liceità delle immagini sacre, rappresentando San Luca che ritrae la Vergine, alcuni fedeli inginocchiati davanti a una Crocifissione e, infine, il gruppo bronzeo con La guarigione dell’emorroissa, eseguito in età apostolica e venerato a Cesarea (l’iscrizione è: adriano papa, costantino irenes f. imp. impii iconomachi reijciuntur, sacram imaginum veneratio confirmatur)129. La serie dei Concili ecumenici orientali si conclude con il Quarto Concilio di Costantinopoli in cui compare a sinistra il vecchio patriarca Fozio, che ascolta la sentenza di condanna, mentre i suoi prelati inginocchiati fanno atto di penitenza e il vescovo Ignazio viene restituito alla sede di Costantinopoli. Accanto è dipinto l’affresco dedicato al Rogo dei libri di Fozio (l’iscrizione è: ex decreto concilii basilius imp. chirographa photii, eiusq. conciliab. acta comburi iusset). Nei due ambienti annessi al Salone Sistino le pareti sono decorate da affreschi che illustrano i Concili ecumenici occidentali. Si inizia nel vano settentrionale con il Primo Concilio Lateranense130, sulla parete destra, in cui è effigiato papa Alessandro iii che pronuncia la condanna dei Valdesi e dei Catari. A sinistra, è raffigurata la proibizione dei tornei (le iscrizioni sono: alexandro iii pont. federico i imp. valduenses et catari haeretici damnantur, laicorum et clericorum mores ad veterem disciplinam restituuntur. torneamenta vetantur), mentre la paretina di destra è dedicata a una magnifica veduta di Roma. In primo piano, accanto al Tevere, appare la personificazione della città, una donna armata che regge una grande croce e una piccola statua che reca il modellino di una chiesa e che è identificabile nell’allegoria della Religione, così come è rappresentata nel Salone Sistino, accanto alla lunetta che celebra l’erezione dell’obelisco

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 165. Salone Sistino, Secondo Concilio Niceno, particolare. 166. Salone Sistino, Quarto Concilio di Costantinopoli.

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 167. Galleria di Sisto v, Sogno di Innocenzo iii.

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vaticano. Tale personificazione di Roma, ripetuta all’interno della Biblioteca nell’affresco che illustra l’Allestimento della flotta pontificia contro i Turchi, viene definita come Roma Religiosa in una stima economica delle pitture131. La figura mantiene l’aspetto con cui compare la Dea Roma nell’arte classica e che si può ammirare in diversi manufatti antichi, ma con una significativa sostituzione degli attributi: il globo o la figura della Nike sono soppiantati dalla statuetta della Religione, mentre la lancia lascia il posto alla croce, simbolo non della sconfitta, ma della vittoria di Cristo, come è ben espresso nell’iscrizione dell’Obelisco vaticano, riqualificato proprio dalla presenza della croce. Del resto, in quegli anni si era iniziato a discutere sull’aspetto da conferire alla personificazione della città, in occasione della rimozione dal Campidoglio delle statue classiche, ordinata da Sisto v, già prima della sua elezione a pontefice132. In pieno rigore controriformistico, Felice Peretti giudicò assolutamente inopportuna la statua di Giove tonante e di Apollo che furono eliminate per lasciare solo quella di Minerva, trasformata però nella Roma cristiana, sostituendo la lancia con una croce. Tali vicende testimoniano in modo davvero esemplare il ruolo che il mondo classico venne chiamato a svolgere nella politica culturale sistina. Nello stesso vano, sulla parete sinistra, è affrescato l’ultimo concilio della serie, quello Tridentino che, in tal modo, viene a trovarsi significativamente vicino al primo occidentale, a indicare la similarità tra i due sinodi, attraverso l’assimilazione dell’eresia luterana a quella valdese e catara che spesso compare nella trattatistica della Controriforma. L’analogia tra i due concili, rintracciata anche nella comune promozione di una riforma morale e dei costumi, viene sottolineata dalle iscrizioni che si ripetono pressoché identiche (l’iscrizione recita: paulo iii iulio iii pio iv pontificibus luterani, et alij haeretici damnantur. cleri, populiq., disciplina ad pristinos mores restituitur). Nel vano meridionale sono collocati il Concilio di Firenze e il Terzo Concilio Lateranense (l’iscrizone recita: iulio ii et leone x pont. max. bellum contra turcam, qui syriam, et aegyptum , proxime , sultano victo , occuparat , decerni tur. maximilianus caesar et franciscus rex galline bello turcico duces praeficiuntur)133. Il primo affresco propone papa Eugenio iv e l’imperatore Giovanni viii Paleologo, a destra, presso l’altare, intenti a riportare l’unità tra i Greci, gli Armeni e gli Etiopi. Sullo sfondo è una veduta della città in cui è possibile riconoscere la cupola del Duomo e il vicino campanile giottesco (l’iscrizione è: eugenio iiii pontefice, greci, armeni, aethyopes ad fidei unitatem redeunt).

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I rimanenti concili occidentali decorano le pareti della Galleria di Sisto v. Si inizia, a nord, con il Secondo Concilio Lateranense134 (l’iscrizione è: innocentio iii pont. federico ii imp. abbatis ioachim errores damnantur. bellum sacrum de hierosolyma recuperando decernitur. crucesignati insituuntur) ai lati del quale sono raffigurati Il Sogno di Innocenzo iii, a destra (l’iscrizione è: innocentio iii pont. per quietem s . franciscus ecclesiam lateranen . substinere visus est ), e San Domenico convince il conte di Montfort a organizzare la crociata contro gli Albigesi, a sinistra (l’iscrizione è: s.

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domenico suadente contra albigenses haereticos simon comes montiforten. pugnam suscipit, egregieq. conficit).

Nella Legenda Maior (iii, 10) si legge che san Francesco apparve in sogno a Innocenzo iii nell’atto di sorreggere il Laterano pericolante. Il pontefice, interpretando l’accaduto come la prefigurazione del ruolo che avrebbero svolto i Francescani a sostegno della Chiesa contro la diffusione delle eresie, approvò il nuovo ordine. Se, dunque, il Sogno di Innocenzo iii è collegato alla scena conciliare dalla figura del pontefice e dalla presenza del Laterano, visto in sogno dal papa ma anche sede del concilio, come osserva Rocca, è tuttavia chiaro che esso intende esaltare indirettamente lo stesso Sisto v, francescano e inquisitore. La scena, infatti, celebra non solo la fondazione dell’ordine religioso da cui proveniva papa Peretti, ma anche l’importanza del ruolo svolto dall’inquisizione a cui rimanda il vicino affresco con San Domenico. Furono, infatti, proprio i due ordini mendicanti riconosciuti da Innocenzo iii ad essere impiegati nella lotta alle eresie all’interno dei tribunali che vennero perfezionati e potenziati dallo stesso pontefice. I tre dipinti costituiscono insieme, dunque, un implicito omaggio all’attività in difesa dell’ortodossia sostenuta da Francescani e Domenicani, ma anche da Felice Peretti, inquisitore, prima, e capo della Chiesa cattolica, poi. Si prosegue a ovest con il Primo Concilio di Lione, in cui è raffigurato il momento dell’imposizione della porpora ai nuovi cardinali. Particolare risalto è dato alla figura di Ludovico re di Francia, che offrì il suo regno in difesa della Chiesa (l’iscrizione afferma: innocentio iiii pont. max. imp. federicus ii hostis ecclesiae declaratur, imperioq. privatur. de terrae sanctae recuperatione constituitur: hierosolymitanae expeditionis dux ludovicus francorum rex designatur: galero rubro, et purpura cardinales donantur). La parete sud è dedicata al Secondo Concilio di Lione e alla riconciliazione tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. In primo piano due chierici cantano le

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico 168. Vano annesso al Salone Sistino, Concilio di Trento.

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169. Vano annesso al Salone Sistino, Concilio di Trento.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico Alle pagine seguenti: 170. Salone Sistino, Adamo. 171. Salone Sistino, Mosè.

seguenti parole scritte su uno spartito: Qui a Patre Filioq. P rocedit , e cioè l’articolo di fede sullo Spirito Santo, sancito nel concilio. Tale scena è ripetuta a destra, dove le stesse parole dello spartito sono scritte in greco, a indicare l’accordo con la Chiesa ortodossa. La riconciliazione tra le due Chiese è sottolineata nell’affresco collocato a sud-est, in cui si vedono due figure femminili in vesti ecclesiastiche, rappresentate nell’atto di salutarsi. A sud-ovest appare il frate ascolano Girolamo Masci, futuro Niccolò iv, mentre battezza il re dei Tartari (le iscrizioni sono: rex tartarorum solemniter baptizatur. fr. hieronymus asculanus ord. min. ad concilium regis tartarorum legatos deducit . in hoc concilio s. bonaventura egregia virtutum officia ecclesiae dei praestit. gregorio x pont. greci ad sanctae ecclesiae romanae unionem redeunt). Infine, nella parete est della Galleria è dipinto il Concilio di Vienne in cui campeggia la figura di Clemente v che promulga la Costituzione clementina. Dalle finestre dell’edificio che ospita il sinodo si scorge la processione del Corpus Domini, festività confermata dal concilio (le iscrizioni sono: clemente v pontifice clementinarum decretalium constitutionum codex promulgatur. processio solemnitatis corporis domini institutur. hebraicae, chaldaicae, arabicae, et graecae linguarum studium propaganda fidei ergo in nobilissimis quattuor europae academiis instituitur).

Nelle due serie dei Concili ecumenici prevale senza dubbio un’esigenza narrativa che si rivela nella presenza dei protagonisti, nell’indicazione dei provvedimenti adottati e nel tentativo di identificare in modo più o meno fantastico e simbolico i luoghi. Tuttavia, nonostante il criterio adottato sia quello della successione cronologica, non è perseguito un intento storico. I concili orientali non differiscono da quelli occidentali; le autorità civili vestono sempre le armature antiche e la figura imperiale resta identica nel corso dei secoli, fedele al prototipo costantiniano, a indicare il modello che i regnanti di tutti i tempi devono seguire. Il fine è evidentemente quello di celebrare il primato universale della Chiesa di Roma, attraverso un racconto fitto di riferimenti simbolici e caratterizzato dalla costante presenza divina a guidare gli eventi.

Gli Inventori degli Alfabeti Conformemente a un uso delle immagini che potremmo definire concettuale, caratteristico dell’arte in età sistina,

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gli Inventori degli Alfabeti sono affrescati sui quattro lati di ognuno dei sei pilastri che sostengono le volte del Salone, a indicare, quasi fisicamente, che la conoscenza «poggia» sulla parola. Gli Inventori sostituiscono i ritratti dei poeti, dei letterati e dei filosofi su cui si basava il sistema decorativo delle biblioteche antiche. Al termine della serie è rappresentata la figura di Cristo che, collocata in fondo al Salone, di fronte all’entrata, prende il posto della statua di Minerva, spesso presente in una posizione analoga nelle librerie del mondo classico. La consapevolezza del recupero antiquario emerge dalla descrizione di Pansa che, riferendosi agli affreschi dei pilastri, così afferma: «Fu antichissimo il costume di tener nelle Librarie figure o statue, o immagini di huomini, che fossero stati eccellentissimi nelle lettere […]. Questo costume passato da gli antichi ne tempi nostri, è stato sempre in grande osservanza, e massimamente fra Principi. Onde nella Libraria Vaticana fu anco da Sisto ritenuto; percioche nelle colonne di essa fece dipinger l’imagini di tutti quelli, che furono celebri nel mondo per l’inventione delle lettere, cominciando da Adamo fino a Nostro Signore Gesù Cristo»135. È in questo tema, suggerito dal Ranaldi, che si fa più evidente la vastissima e complessa erudizione degli ideatori della decorazione. Non a caso è proprio agli Inventori degli Alfabeti che Rocca dedica il maggior spazio nella descrizione degli affreschi136. D’altro canto, proprio a questo soggetto è affidato il compito fondamentale di enucleare la visione finalistica ed escatologica della storia che si trova in forma più allusiva anche nelle altre serie di affreschi e caratterizza l’intero programma iconografico della Biblioteca. Molteplici furono i libri – cristiani e non – consultati per la realizzazione di queste figure, citati con precisione dal Rocca, tra cui soprattutto l’Introductio in chaldaicam linguam, syriacam atque armenicam et deces alias linguas137, un volume pubblicato nel 1539 e scritto dall’agostiniano Teseo Ambrogio degli Albonesi (1469-1540 c.), uno dei più famosi orientalisti dell’epoca. Il testo, considerato tra le prime e importanti ricerche occidentali sulla grammatica e linguistica comparata delle lingue orientali, aveva introdotto lo studio del siriaco in Europa e aveva individuato più di quaranta alfabeti, oltre a numerose osservazioni riguardanti altre lingue orientali, tra cui quella araba, copta, caldea e babilonese. Il problema della lingua e delle sue origini, se affondava le proprie radici nella cultura umanistica, acquistò un valore e una diffusione particolari nell’età della Controriforma.

Infatti, l’analisi e la revisione degli scritti ecclesiastici e delle Sacre Scritture sostenuti nel Concilio Tridentino per risolvere le questioni teologiche e dottrinali e per confutare le versioni diffuse dai protestanti avevano reso necessario lo studio delle lingue in cui erano stati redatti i presunti testi originali. A questo scopo furono date alla stampa diverse opere come, ad esempio, il libro Regulis Hebraicis pro Lingua Sancta Intelligenda del gesuita cordovano Francesco Toleto, in cui venivano sottolineati gli aspetti particolari della lingua ebraica che potevano aver favorito eventuali alterazioni138. Del resto, Sisto v promosse iniziative editoriali – come la famosa Vulgata o la pubblicazione delle opere di san Bonaventura e di altri Padri della Chiesa – che contribuirono a incrementare gli studi linguistici a cui si applicarono anche gli ideatori della decorazione della nuova biblioteca. Rocca, infatti, funzionario e poi direttore delle stamperie vaticane139, fu grande esperto di lingua ebraica, caldea, greca e latina, come si può facilmente desumere anche dal testo che descrive gli affreschi della Biblioteca, corredato di una corposa appendice in cui il tema linguistico è affrontato tanto estesamente da far pensare che il Rocca abbia fornito fondamentali indicazioni per la realizzazione degli Inventori140. Ranaldi, in qualità di segretario del cardinale Guglielmo Sirleto, lavorò a lungo a traduzioni di testi ecclesiastici dal greco, dal latino e dall’ebraico, utilizzate dal cardinale all’interno dei lavori conciliari141. Anche Pietro Galesino intervenne nel dibattito concernente la lingua delle Sacre Scritture, pubblicando nel 1587 il volume De Biblis graecis. Interpretum lxxii editis, commentarius brevis, ac dilucidus in cui lo studioso si scagliava contro la concessione di leggere la Bibbia in volgare sostenendo: «[…] mai è stato costume di tradurre la Bibbia: né dalla lingua ebraica, nella quale è stata scritta, nell’ebreo parlato, né dalla lingua greca, nella quale è stata volta dai Settanta, nel greco comune, né infine dal latino nelle lingue volgari. Il costume di tradurre è recente e ha arrecato un danno enorme come può ricavarsi dalla testimonianza degli scrittori cattolici»142. La storia degli alfabeti, che vuole essere in ultima analisi la storia della cultura, fornisce una sintesi dell’erudizione rinascimentale, utilizzando l’ermetismo, la cabala e il neoplatonismo come ponte di collegamento tra la cultura antica e la rivelazione cristiana. Il ciclo di affreschi segue, infatti, la tradizione neoplatonica presente in sant’Agostino e nelle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio, secondo la quale le conoscenze infuse da Dio ad Adamo, prima del diluvio universale, furono fissate dai figli di Seth su due

colonne indeperibili da cui gli Egizi appresero la scienza che tramandarono poi ai Greci. In tal modo si sarebbe attuata la rivelazione, non solo sul piano della natura, ma anche su quello della storia, fino al suo completamento con la venuta di Cristo. La serie inizia, infatti, con Adamo, affrescato nel risalto del muro est, e prosegue con la rappresentazione del momento culturale ebraico, affidata alle figure di Abramo, dei figli di Seth che compaiono con le due famose colonne, di Esdra e, infine, di Mosè, qui raffigurato seguendo molto fedelmente la descrizione fatta dal Ranaldi e cioè «con le due tavole non quando le prende ma quando le da al populo hebreo ma che l’habbia da una banda da l’altra siano libri già composti et altri che ne stia scrivendo», a indicare evidentemente il Pentateuco. Il ciclo prosegue con la cultura egiziana evocata da Iside, Memnone, l’Ercole Egizio, e il mitico Ermete Trismegisto, ritenuto autore del famoso Corpus Hermeticum e padre dell’ermetismo, secondo il pensiero rinascimentale. Il terzo pilastro presenta gli esponenti della cultura fenicia e di quella della Grecia arcaica: Cecrope, Fenice, Cadmo e Lino Tebano. Palamede, Pitagora, Epicarmo e Simonide Melico, affrescati nel quarto pilastro, rappresentano la speculazione prodotta dalla Grecia classica, mentre Nicostrata Carmenta, Evandro, l’imperatore Claudio e Demarato Corinzio, nel quinto pilastro, simboleggiano il momento culturale etrusco e romano. Infine, l’ultimo sostegno della volta propone il vescovo Ulfila, san Crisostomo, san Girolamo e san Cirillo come emblematici rappresentanti della cultura cristiana. La serie si conclude nella parete di fondo del Salone con la figura di Cristo, Verbo di Dio e nuovo Adamo (1 Cor 15,2122), affrescato con un globo e un libro in cui sono incise le lettere a e W. In basso l’iscrizione recita: jesus christus, summus magister, coelestis doctrinae auctor. Alla sua destra appare un pontefice, accompagnato dall’iscrizione christi domini vicarius, definito nel testo di Rocca come papa Silvestro, e, a sinistra, da un imperatore che Rocca identifica in Costantino, sotto al quale è posta l’iscrizione ecclesiae defensor. Le tre figure si ispirano significativamente al modello iconografico e tematico fornito dai mosaici che decoravano il Triclinio Lateranense, scampati ai lavori che sancirono la distruzione del fatiscente Patriarchio medievale, condotti in quegli stessi anni da Domenico Fontana, per volontà di Sisto v143. Se la scala di accesso al complesso residenziale e la Cappella di S. Lorenzo vennero risparmiati per il loro straordinario valore spirituale e devozionale, i mosaici ca-

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 172. Salone Sistino, Figli di Seth. 173. Salone Sistino, Ermete Trismegisto.

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico 174. Salone Sistino, Imperatore Claudio.

Alle pagine seguenti: 176. Salone Sistino, Veduta di Roma con le nuove strade sistine.

175. Salone Sistino, San Girolamo.

rolingi furono conservati per l’eccezionale importanza del loro significato politico e storico. Il ciclo musivo era infatti considerato un monumento celebrativo dell’autorità papale e, come una vera e propria testimonianza documentaria, venne dapprima mantenuto e poi, nel corso dei secoli successivi, ripristinato e conservato144. Nel rimando ai mosaici carolingi, l’affresco del Salone Sistino insiste con ogni evidenza sulla volontà di legittimare l’autorità spirituale e il primato della Chiesa cattolica, attraverso il mandato conferito ad essa, mediante la figura del pontefice, da Cristo stesso, principio e fine dell’evoluzione storica e culturale. Allo stesso tempo viene negata al potere civile ogni possibilità di intervento che non sia quello volto a garantire la supremazia papale. Tanto la decorazione del Triclinio quanto gli affreschi della Biblioteca riprendono i temi centrali della Donazione di Costantino, a cui sembrano fare esplicito riferimento le iscrizioni che compaiono sotto le figure vaticane145. Infatti, nel celebre e discusso documento Cristo è definito proprio «bonus Magister et Dominus»146; il papa Silvestro è chiamato «in terris vicarius Filii Dei»147, mentre è ben spiegato il compito affidato da Gesù a Costantino di onorare con venerazione e difendere la Chiesa di Roma148. Non a caso al termine della discussione sugli Inventori degli Alfabeti Rocca, nel volume dedicato alla descrizione degli affreschi, cita espressamente la Donazione di Costantino, inserendo un’estesa e puntuale difesa dell’autenticità del famoso testo149.

Le Opere sistine

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Nel Salone, alla base delle volte, sono affrescate diciotto lunette all’interno delle quali appaiono altrettanti riquadri, concepiti come finte aperture, fiancheggiati da figure allegoriche e sormontati da cartigli illustrativi. All’interno delle cornici composte da elementi araldici sistini, sono raffigurati gli interventi architettonici e urbanistici promossi a Roma da Sisto v, alcune importanti celebrazioni che si svolsero durante il suo pontificato e quattro allegorie che illustrano il suo buon governo. Tali affreschi rivestono uno straordinario valore non solo per la ricostruzione topografica della Roma sistina, ma anche per l’individuazione della politica culturale perseguita da papa Peretti, come è stato più volte sottolineato dalla critica150. La serie, che inizia a est, sopra la porta di ingresso, con L’incoronazione papale di Sisto v, commentata da electio

sacra

e

manifestatio

(l’iscrizione è:

hic tria siste tuo ca-

piti diademata dantur: sed quartum in coelis te diadema 178 manet)

e termina con l’Allestimento della flotta pontificia, fiancheggiata da providentia e securitas (l’iscrizione è: instruit hic sixtus classes, quibus aequora purget, et solymos victos sub sua iura trahat), si propone come una sorta di De Pontificatu per immagini, il racconto storico delle iniziative promosse da Sisto v durante gli anni del suo regno che di lì a poco si sarebbe concluso. Se i riquadri elencano le res gestae di papa Peretti, cioè le sue imprese oggettive e storiche, le personificazioni poste ai lati di ogni scena intendono raccontare l’historia rerum gestarum, ovvero l’interpretazione di quei fatti, il significato soggettivo affidato a quegli eventi151. Il suggerimento di questo soggetto compare nella lettera inviata a Sisto v, nella quale Ranaldi afferma di aver tratto ispirazione dalla decorazione della precedente Biblioteca Vaticana152 dove, sotto l’effige di Sisto iv, era collocata un’iscrizione che celebrava le opere promosse dal pontefice153. Nella minuta, infatti, si legge: «Et perché sotto il ritratto, qual è in libraria di Sisto quarto ci sonno quei versi che cominciano Templa, domum expositis etc. dove si narrano tutte le cose fatte da quel Pontefice ho per cosa necessaria, che in questa libraria di tanta spesa, et magnificenti si depingessero tutte le opere fatte da N. S.re perché nelle librarie è solito conservarsi tutti li fatti del Principe […]». Cicli analoghi furono dipinti in altre fabbriche sistine: il Salone dei Papi, nel Palazzo Laterano e il Salone Sistino della Villa Montalto. Il modello iconografico seguito fu desunto da un’altra commissione dello stesso Sisto iv: la serie di lunette che illustrano gli eventi salienti della vita e del pontificato del della Rovere, nella corsia dell’Ospedale di S. Spirito154. Tuttavia, le differenze tra questi ultimi affreschi e quelli commissionati da papa Peretti sono straordinariamente indicative del mutato clima spirituale e culturale. Negli affreschi vaticani sono eliminate tutte le scene strettamente biografiche, mentre sono mantenute unicamente quelle che rappresentano le iniziative volute dal papa. Inoltre, come abbiamo detto, vengono inserite ai lati di ogni riquadro due figure allegoriche, con il compito di rendere evidenti le virtù di cui ciascuna impresa è considerata manifestazione e quasi «incarnazione». La celebrazione dei valori individuali e personali del committente, presente nella corsia del S. Spirito e tipica dell’Umanesimo, cede il passo all’esaltazione delle opere realizzate dal buon cristiano, caratteristica dell’età della Controriforma. Le variazioni iconografiche indicano, dunque, che l’attenzione viene spostata sulle azioni alle quali viene at-

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Gli affreschi sistini: il programma iconografico

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Gli affreschi sistini: il programma iconografico Pagine precedenti: 177. Salone Sistino, Incoronazione di Sisto v.

179. Salone Sistino, Aequiparatio. 180.Salone Sistino, Mutatio.

178. Salone Sistino, Allestimento della flotta pontificia.

tribuita un’importanza fondamentale, in evidente contrasto e polemica con la teoria luterana della salvezza per la sola fede. L’intento encomiastico risulta comunque rafforzato poiché l’enumerazione dei molteplici meriti conquistati dal papa nello svolgimento delle sue funzioni prospetta implicitamente la ricompensa eterna che attende coloro che hanno ben operato. Il ciclo assume, inoltre, un forte significato politico poiché, presentando la Renovatio Romae voluta da Sisto v, ribadisce la legittimità del potere temporale esercitato dai pontefici e garantito dalla Donazione di Costantino. Allo stesso tempo le Opere sistine rilanciano il tema di Roma come caput mundi, città ideale governata dal papa che si propone come principe della cristianità e rivendica l’universalità della Chiesa romana, negata dalla riforma protestante. Il pittore Giovanni Guerra 155 esercitò, molto probabilmente, un ruolo importante nella formulazione delle numerose figure allegoriche che accompagnano ciascuna scena e interpretano i fatti, orientando la comprensione del significato profondo delle imprese sistine. Rocca, infatti, sottolinea la capacità dimostrata dall’artista nella realizzazione di emblemi156, capacità che trova conferma in un volumetto encomiastico pubblicato nel 1589 157 e contenente quindici incisioni a bulino, raffiguranti stemmi e imprese araldiche sistine, eseguite dal Guerra che si firma, oltre che come «Pittore», anche come «Inventore»158. D’altro canto, gli umanisti hanno spesso delegato la creazione di simili figure, che esprimono concetti attraverso specifici attributi, agli artisti che, proprio in questo campo, dunque, vedevano riconosciuta la possibilità di esprimere più liberamente le loro capacità inventive159. Due taccuini di disegni conservati a Parigi160 e illustranti figure allegoriche, attribuiti all’artista modenese, documentano ulteriormente la competenza acquisita dal Guerra nell’ambito di un genere artistico che ebbe straordinario successo in età gregoriana e sistina. L’eccezionale fortuna di tali rappresentazioni spinse Cesare Ripa a pubblicare la sua celebre Iconologia nel 1593, ampliata e corredata da incisioni nell’edizione del 1603 161. Il testo rispondeva alle necessità imposte da una concezione didascalica dell’arte, fornendo una proposta di codificazione e riordino del pantheon delle personificazioni, richiesta anche dalla trattatistica ecclesiastica che insisteva sulla chiarezza e univocità di lettura delle immagini. Finiti i tempi in cui l’allegoria aveva rivestito un carattere ingegnoso, dando vita a complesse scene narrative, nell’epoca post-tridentina essa è chiamata a illustrare concetti in maniera convenzio-

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nale, secondo un metodo simbolico che fa corrispondere determinati significati a specifici oggetti e colori162. Le fonti utilizzate furono numerosissime e provenienti da tradizioni culturali molto eterogenee: dagli Hieroglyphica di Valeriano ai testi dei Padri della Chiesa; dalle opere di erudizione antiquaria ai proverbi popolari; dalla mitologia classica a quella orientale; né mancarono le descrizioni di apparati effimeri, come il Discorso sopra la Mascherata della Genealogia degl’Iddei de’ Gentili, scritto da Baccio Baldini per celebrare le manifestazioni carnascialesche che si svolsero a Firenze nel 1565163. Eterogenea fu anche la natura delle fonti: non solo quelle letterarie, ma anche quelle visive come sottolinea Ripa che, nel proemio del suo libro, afferma: «Le immagini fatte per significare una diversa cosa da quella, che si vede con l’occhio non hanno altra più certa né più universale regola, che l’imitatione delle memorie, che si trovano ne’ Libri, nelle Medaglie, e ne’ Marmi intagliate per industria de’ Latini, et de’ Greci, ò di quei più antichi, che furono inventori di questo artifitio». Gli elaborati cicli decorativi di età gregoriana e sistina costituirono un ulteriore e ricco bacino di immagini a cui attingere. In particolare, dalla serie delle Opere sistine, affrescata nella Biblioteca Vaticana, Ripa trasse due figure allegoriche aggiunte nell’edizione del 1603. Si tratta dell’Equalità «come dipinta nella Libraria Vaticana. Donna, che tiene in ciascuna mano una torcia, accendendo l’una con l’altra». Nel dipinto vaticano la personificazione, definita Aequiparatio, è posta accanto al riquadro che rappresenta La costruzione della cappella del presepe in S. Maria Maggiore e trova la motivazione della sua presenza nell’iscrizione che celebra la sostituzione del culto di Diana Vergine con quello di Maria Vergine (virginis absistit mirari templa dianae, qui fanum hoc intrato virgo maria tuum). Il gesto compiuto dalla donna che sta accendendo una candela avvicinandola a un’altra sottolinea il collegamento della cultura pagana con quella cristiana, all’interno del disegno divino in cui la prima è considerata prefigurazione imperfetta della seconda. Nell’edizione dell’Iconologia del 1603, Cesare Ripa introdusse un’altra allegoria tratta dalla decorazione della Biblioteca Vaticana, la Profezia, raffigurata sulla facciata e sulla volta di uno dei due ambienti annessi al Salone. Essa è rappresentata coma una «donna con il viso velato, con la mano tiene una spada nuda, et una tromba et con la sinistra piglia una catena, la quale esce, è pende da un sole, che gli stà sopra dalla parte sinistra et sopra la testa di detta figura vi è una colomba». La catena che unisce una figura umana a

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 181 a-b. Salone Sistino, Sanatio, generale e particolare. 182. Salone Sistino, Purgatio.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 183. Vano annesso al Salone Sistino, Profezia.

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un astro appare anche nella personificazione della Congiunzione delle cose humane con le divine che è così spiegata dal Ripa: «Non è alcun dubbio, con il testimonio di Macrobio et di Luciano, che la sopradetta catena non significhi un congiungimento delle cose humane con le divine, et un certo vincolo comune con il quale Iddio quando gli piace ci tira a se, et leva le menti nostre al cielo dove noi con le proprie forze, et tutto il poter nostro non potemo salire»165. Questi sono solo due esempi che aiutano a capire il funzionamento del metodo simbolico utilizzato e il ruolo affidato alle numerosissime immagini allegoriche presenti nella decorazione della Biblioteca. Esse sembrano insistere su due temi fondamentali: la celebrazione della duplice autorità spirituale e temporale esercitata dal papa, e il compito svolto dall’antichità classica di «erigere il basamento su cui si sarebbe innalzata la struttura del cristianesimo» 166. Al primo tema alludono personificazioni come l’Honor, la Dignitas, la Magnificentia, la Potestas che esaltano l’aspetto politico del potere papale, mentre la Providentia, la Devotio, l’Electio sacra, la Benignitas o l’Operatio bona ne evidenziano l’aspetto spirituale. Figure di straordinario interesse come la Sublimatio, la Mutatio, la Sanatio, la Purgatio, la Nobilitatio, l’Aequiparatio, la Reaedificatio, la Cognitio veri Dei e la Vera Gloria sottolineano la continuità che lega la cultura cristiana a quella antica, intesa come imperfetta anticipazione. Il ciclo delle Opere Sistine prosegue sulla parte alta delle pareti delle due stanze destinate alla Libreria segreta, dove le scene, che si alternano a temi decorativi di carattere preva-

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lentemente encomiastico, non riguardano unicamente la città di Roma, come nel Salone Sistino, bensì l’intero territorio dello Stato Pontificio. Nel primo ambiente la raffigurazione delle imprese di Sisto v accompagna i Santi e Dottori della Chiesa, illustrati attraverso dodici figure, sotto ciascuna delle quali è posto un medaglione a grisaglia in cui sono rappresentati Episodi della loro vita. Questi dipinti sviluppano, quindi, un tema già presente nella Libreria di Sisto iv, caratteristico del sistema decorativo delle biblioteche fin dall’età tardoantica. Nella seconda stanza, accanto alle imprese sistine, troviamo diversi emblemi la cui invenzione spetta sicuramente al Guerra, che li aveva proposti nel volumetto pubblicato nel 1589167. Il complesso programma iconografico della nuova Biblioteca Vaticana fatta costruire e decorare da Sisto v esprime, attraverso i diversi e principali soggetti fin qui analizzati, la conferma del primato spirituale, culturale e politico della Chiesa di Roma. Se la cura e la salvaguardia del patrimonio librario pontificio costituiva per così dire la pars construens dell’azione intellettuale svolta contro la diffusione delle eresie, la pars destruens consisteva nella condanna all’oblio inferta ai testi che, a vario titolo, potevano rappresentare un pericolo per l’ortodossia. Il 27 agosto 1590, data di morte di papa Peretti, mentre si stavano per trasportare i preziosi volumi nei nuovi locali della Biblioteca, Marc’Antonio Colonna, Girolamo della Rovere, Guglielmo Allen, Ascanio Colonna e Federico Borromeo sottoscrivevano il nuovo Indice dei libri proibiti voluto da Sisto v, il più severo della storia della Chiesa168.

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Capitolo Quarto

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana Alessandro Zuccari

La decorazione della Biblioteca Apostolica Vaticana è stata oggetto di numerose ricerche che hanno preso in esame le questioni relative all’intero ciclo pittorico e ricostruito la genesi del programma iconografico, documentato puntualmente dalle fonti. Più complessa si è rivelata la risoluzione dei problemi attributivi considerando la varietà delle presenze artistiche e delle provenienze regionali delle numerose maestranze, nonostante la supervisione da parte di autorevoli personalità del mondo artistico romano del secondo Cinquecento. L’analisi particolareggiata delle diverse mani impegnate nel cantiere vaticano conferma l’assenza nei cicli di Sisto v di un unico linguaggio formale e offre la possibilità di aggiornare quanto proposto, ormai vent’anni fa, quando ebbi modo di definire gli affreschi della Biblioteca una sorta di “Babele pittorica” ben composta. Quando il pontefice Sisto v dette avvio alla decorazione della nuova Biblioteca Apostolica non era trascorso nemmeno un triennio dalla sua elezione al pontificato, eppure molti dei cantieri pittorici da lui commissionati erano già conclusi o in via di realizzazione1. Già negli anni del suo cardinalato, Felice Peretti aveva edificato una villa all’Esquilino su progetto dell’architetto ticinese Domenico Fontana (1543-1607), responsabile di un’équipe di pittori chiamati a decorare il Casino Felice (1580-81): tra gli artisti le fonti ricordano il giovane Domenico Cresti detto il Passignano (1559-1638), già assistente di Federico Zuccari, il pesarese Giovanni Paolo Severi, attivo nel 1568 a Villa d’Este a Tivoli alle dipendenze di Livio Agresti e per il cardinale Ferdinando de’ Medici nel soffitto di S. Maria in Domnica, e uno sconosciuto Francesco Rosselli2. Eletto il 24 aprile 1585, potendo contare sull’aiuto del suo fidato architetto, Sisto v diede inizio alle sue imprese

più memorabili, partendo dalla Cappella del Presepe che già dal 1581, lo stesso anno in cui prese a risiedere nella vicina Villa alle Terme, i canonici di S. Maria Maggiore gli avevano consentito di edificare nella navata destra della basilica liberiana. La direzione per le pitture che decorano i due sacelli dedicati a santa Lucia e a san Girolamo, che affiancano l’ingresso della cappella vera e propria, come segnalano i pagamenti effettuati dall’ottobre 1586 al febbraio 1587, fu compito esclusivo dell’orvietano Cesare Nebbia (1537-1614). Questi ebbe a disposizione un folto gruppo di aiutanti3 (Baglione parla più nello specifico di «allievi») i quali, pur con le dovute distinzioni, restarono fedeli a uno stile monumentale e piano di matrice muzianesca, fatto proprio da Cesare Nebbia e ampiamente sperimentato nelle imprese decorative di Villa d’Este a Tivoli, del Duomo di Orvieto, dell’Oratorio del Gonfalone, della Galleria delle Carte Geografiche, espressioni mature del manierismo riformato affermatosi negli anni di pontificato di papa Boncompagni. Solo nel 1587, come è stato già notato4, l’inaugurazione di nuovi cantieri impose a Nebbia l’affiancamento nella direzione dei lavori del modenese Giovanni Guerra (1544-1618), un artista dalle spiccate doti organizzative anche se sprovvisto dell’esperienza che l’orvietano poteva vantare5. Seguirono le commissioni destinate a caratterizzare in maniera indelebile l’aspetto degli edifici riqualificati o riedificati da Domenico Fontana al Laterano. Al Severi, nell’autunno del 1586, l’architetto ticinese dovette rinnovare la fiducia, mettendolo a capo della decorazione del nuovo scalone pontificale del Palazzo Lateranense, dipinto contemporaneamente alla scala in Vaticano che collega la basilica di S. Pietro con la Cappella Sistina (impresa quest’ultima affidata alla supervisione esclusiva del modenese). A seguire,

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

l’8 gennaio 1588, Cesare Nebbia e Giovanni Guerra stimarono le pitture di Annibale Corradini e Matteo Neroni nell’Ospedale dei Mendicanti6, mentre il 4 marzo successivo ricevettero 200 scudi per «la pittura della loggia di San Giovanni in Laterano» (la Loggia delle Benedizioni), e «per la Libraria» (la Biblioteca Vaticana); il 28 luglio dell’anno 1590, infine, Nebbia e Guerra ottennero il saldo finale per «tutti i lavori di pittura fatti de ordine di S.S. alla fabbrica del Santissimo Salvatore de S. Gio Laterano»7 che comprendevano, oltre alle numerose sale del Palazzo Lateranense, anche la Scala Santa. Nel cantiere che decorava il nuovo contenitore progettato da Domenico Fontana per la celebre “reliquia” della Passione di Cristo, Giovanni Guerra dovette avere un ruolo fondamentale come dimostra il programma iconografico disegnato su un foglio della Biblioteca Angelica a lui attribuito8. I pagamenti per gli affreschi di S. Girolamo degli Illirici, chiesa ricostruita da Martino Longhi per volere di Sisto v, vennero versati nell’estate del 1590 al solo Guerra, unico responsabile dei lavori ad affresco e probabile autore della finta cupola, una prova di quadratura prospettica quasi prebarocca9. Il modenese ebbe un ruolo preminente anche nella decorazione di alcune lunette del convento dei Ss. xii Apostoli, portate a termine entro il 159110. Ultima tra le imprese sistine a cui partecipò il modenese, ormai privato di ogni esclusiva nella direzione, fu la decorazione perduta delle stanze «del cantone» del Palazzo Apostolico al Quirinale, a fianco del poco noto Ventura Pallotta da Liano e del novarese Giovanni Battista Ricci11 che, come si dirà a breve, aveva ricoperto un ruolo comprimario anche nella direzione dei lavori alla Biblioteca Sistina. Se la scelta di Nebbia confermava la predilezione per un linguaggio figurativo già collaudato, suscettibile di aggiornamenti e nuovi apporti da parte delle maestranze più talentuose (Lilio, Fenzoni, Mainardi, Pozzo, Ricci, Viviani), l’ingaggio di Severi e Guerra lascia trasparire la volontà e il tentativo, non sempre riuscito, di formare nuove figure di direttori artistici e di cercare capomastri, seppur meno autorevoli di Muziano, certamente ben gestibili sul piano operativo. Un orientamento, quest’ultimo, che trova conferma nel momentaneo allontanamento dalla corte pontificia di Ottaviano Mascarino, architetto pontificio di Gregorio xiii esautorato dai suoi incarichi in favore di Domenico Fontana12. In meno di cinque anni Sisto v raggiunse quindi l’ambizioso obiettivo di portare a compimento un insieme di cicli pittorici che risulta essere uno dei più vasti mai concepiti da un unico committente. Non si può negare che la qualità delle pitture – com’è stato spesso ribadito – sia discontinua e non

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana

sempre eccellente; tuttavia è indubbio che tali imprese abbiano dato uno specifico contributo alla pittura tardomanierista, inserendosi a pieno titolo in quella «civiltà dell’affresco» di cui Roma nel Cinquecento è stata, con Firenze, la capitale. La decorazione della nuova biblioteca pontificia si inserisce, dunque, nella febbrile attività artistica promossa da Sisto v (Voss parlò addirittura di «un’ansia di costruire quasi patologica»)13 rappresentandone una delle realizzazioni di maggior interesse. L’edificio, ornato all’esterno da pitture a graffito in gran parte perdute, conserva quasi integralmente gli affreschi degli ambienti disposti all’ultimo livello, destinati alla custodia dell’ingente patrimonio librario, alla sua consultazione e agli uffici dei funzionari. Ordinata secondo un meticoloso programma iconografico14, la policroma e gaia decorazione riveste (al di sopra degli armadi per i libri) tutti gli spazi disponibili dell’ampio e luminoso Salone Sistino e dei vani circostanti (le due camere e la Galleria che prolungano il Salone, i due locali oblunghi della Libreria segreta) e l’ampia volta della Sala degli Scrittori. Considerando la vastità dell’impresa, i lavori furono compiuti in tempi piuttosto rapidi: partiti all’inizio del 1588 – come indica il primo pagamento effettuato nel mese di febbraio – si conclusero nel corso dell’anno seguente. Il riepilogo generale delle spese, nel registrare il 15 gennaio 1589 il saldo di 4.582 scudi «per pitture dalla cornice in su»15, chiarisce che nell’anno precedente erano state affrescate le volte del Salone Sistino e di altri quattro ambienti (ma non i due locali della Libreria segreta, la cui volta è datata 1589). Il rapido avanzamento dell’opera è indicata dal mandato di 1.500 scudi «per pitture dalla cornice a basso», emesso il 20 maggio del 1589, e l’ultimazione è attestata, a pochi mesi di distanza, dal saldo finale registrato il 16 novembre di quell’anno16. Alla stesura del complesso programma iconografico, come noto, partecipò una folta schiera di umanisti eruditi menzionati dalle fonti (mons. Silvio Antoniano, futuro cardinale, il bibliotecario Federico Ranaldi, l’agostiniano Angelo Rocca e altre figure minori suggerite dalla critica)17, mentre la responsabilità ultimativa del cantiere fu di Domenico Fontana, architetto e amministratore generale del papa per tutte le attività artistiche da lui predisposte. Come hanno dimostrato studi recenti, infatti, l’architetto ticinese ebbe, con probabilità, voce in capitolo anche nella scelta dei pittori18. Con il pontificato di Sisto v sembra rafforzarsi, come intuì già il Voss, una «maggiore dipendenza del pittore dall’architetto, non solo per quanto riguarda l’intera natura della sua creazione,

ma anche per la determinazione sempre più specialistica dei singoli compiti che gli affidavano in occasione delle imprese monumentali volute dai papi» del tardo Rinascimento19. Altro aspetto, come si è già accennato, è la vera e propria direzione del cantiere pittorico della Biblioteca affidata a Giovanni Guerra e a Cesare Nebbia. Quest’ultimo era senza dubbio il pittore che aveva maturato la più notevole esperienza nella conduzione di vasti cicli decorativi come quelli messi in opera da Gregorio xiii20. Secondo la testimonianza di Baglione, Guerra aveva la mansione di ripartire il lavoro tra i numerosi collaboratori e di ideare i soggetti allegorici ed emblematici, mentre Nebbia aveva l’incarico di progettare le immagini di carattere storico e narrativo e di sorvegliarne la traduzione a buon fresco, nel rispetto delle indicazioni ricevute dai dotti estensori del programma figurativo21. L’artista modenese «era gran prattico ne’ lavori grandi, e con molta facilità scompartiva a ciascheduno la sua fatica»: con l’aiuto del fratello Gaspare, che «havea cura delli giovani»22, si occupava sia degli aspetti strettamente organizzativi, sia dell’impaginazione dell’insieme. La sua brillante vena inventiva è rintracciabile nella trama degli ornamenti, come conferma la sua produzione grafica23, e negli originalissimi emblemi sistini, composti dagli elementi araldici e dalle «buone opere» di Sisto v24. Le doti inventive di Guerra, riconosciute da Angelo Rocca che lo definì «ingenio praestans, et ex arte non ignobilis Emblemata omnia», consentono di attribuire al modenese la formulazione di questi «Emblemi Hieroglifici», come li chiamerà nella sua raccolta del 1589 stampata in collaborazione con l’incisore Natale Bonifacio25. Tuttavia, considerando la complessità e l’erudizione necessaria alla elaborazione del programma iconografico della Biblioteca Vaticana, come confermano Angelo Rocca e Giovanni Baglione, a Guerra fu riservato soprattutto il progetto delle cornici decorative e la gestione delle maestranze, affidandosi per la scelta dei soggetti ai teologi e agli eruditi della corte papale, tra i quali appunto l’umanista agostiniano Angelo Rocca che rimarrà celebre per aver fondato a Roma, forse sulla scorta dell’esperienza sistina, una delle prime biblioteche pubbliche, ovvero l’Angelica26. Se si escludono due disegni berlinesi per una lunetta del complesso della Scala Santa e per una vela della Loggia delle Benedizioni del Palazzo Lateranense27 e pochi altri fogli, le testimonianze grafiche del modenese sono assai più esigue di quelle al momento ricondotte all’altro direttore dei lavori. È plausibile che Guerra abbia eseguito progetti per l’insieme delle decorazioni sistine, per le figure allegoriche e per gli

emblemi e che a Nebbia sia stato affidato il compito di elaborare i disegni preparatori, per le figurazioni storico-narrative, come efficacemente segnala l’intestazione di un fascicolo delle Giustificazioni di tesoreria conservato presso l’Archivio di Stato di Roma28. A Nebbia e a Guerra – lo testimonia Rocca nel suo volume dedicato alla Bibliotheca Apostolica Vaticana (1591), – si aggiunse nella direzione dei lavori anche Giovanni Battista Ricci da Novara (1537/45-1627)29. Il ruolo non secondario gli fu garantito probabilmente dalla velocità esecutiva, capacità certamente apprezzata nell’economia dei cantieri sistini e ampiamente attestata dalle innumerevoli commissioni che il pittore piemontese ricevette e portò a termine a Roma nei decenni successivi30. Considerando i buoni rapporti intrattenuti in seguito con gli Agostiniani di Roma31, è possibile che Giovanni Battista si fosse avvantaggiato dell’amicizia con il Rocca che, peraltro, è l’unico a rimarcare il ruolo direttivo di Ricci nella Biblioteca Vaticana. Baglione scrive che Guerra «gran prattico ne’ lavori grandi […] poche opere colorì da se, co’l suo pennello condusse; poiche in questo et in quell’altro lavoro era, tutto di, impiegato»32. Egli, dunque, ebbe un ruolo principalmente organizzativo, a differenza di Nebbia, personalità che segnala un elemento di continuità tra le imprese di Gregorio xiii e Sisto v. Il suo esordio come capo cantiere risaliva agli affreschi di Villa d’Este a Tivoli nel 1569, ai quali seguirono le grandi imprese del Duomo di Orvieto, della Galleria del Belvedere in Vaticano e dei due oratori del Gonfalone e del SS. Crocifisso presso S. Marcello. Guerra, anche se più giovane, si poteva considerare comunque un artista d’esperienza, avendo già lavorato nei primi anni Sessanta del Cinquecento, a seguito del suo arrivo a Roma, nella villa di Ippolito d’Este a Montecavallo a fianco di Nebbia, e nel 1573 sotto la direzione di Giorgio Vasari, nel progetto per completare la decorazione della Sala Regia in Vaticano e della Cappella Gregoriana in S. Pietro. Cesare Nebbia che da Resta a Venturi, da Wittkower a Freedberg viene additato come un pittore della decadenza dalle scarse doti artistiche33, è stato rivalutato dalla critica più recente per la sua abilità nella progettazione grafica ricordata anche da Baglione: «faceva li disegni» e veramente «in simil genere era valent’huomo, e versato nelle storie, e buon prattico; e de’ suoi soggetti, e disegni arricchì in s. Gio. Laterano la Loggia, il Palazzo e le Scale Sante»34. Del suo ruolo di progettista svolto nel cantiere della Biblioteca Vaticana si parlerà a più riprese esaminando i dipinti dei quali è stato possibile rintracciare un disegno preparatorio.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana

A pag. 266: 184. Ferrau Fenzoni, Biblioteca di Atene, particolare.

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Nel concepire l’impianto complessivo della decorazione, i due direttori recepirono certamente la volontà del committente di richiamare l’operato di Sisto iv, fondatore della Biblioteca Vaticana e, come Felice Peretti, francescano del ramo conventuale. Alcuni caratteri della vecchia biblioteca di papa della Rovere risultano infatti rielaborati in forma più ingegnosa e amplificata nella nuova. Questa è ricolma dei simboli araldici perettiani (il trimonzio, la stella, il leone e le pere) così come i festoni e le cornici della precedente sono composti da rami e ghiande rovereschi. Un’affinità più rilevante riguarda i temi e i personaggi raffigurati, che rimandano intenzionalmente sia alla cultura cristiana sia a quella classica e sono inquadrati da illusionistiche aperture, che intendono recuperarli dal passato per immetterli nel presente35. Anche l’impostazione dei soggetti principali sembra evocare quella utilizzata negli affreschi di Sisto iv nella Cappella Sistina, dove le ampie specchiature delle pareti mostrano una serrata sequenza di episodi biblici messi in parallelo attraverso una studiata successione, per suggerire l’attualità del messaggio affidatogli. Un neoquattrocentismo di sottofondo è poi rilevabile nell’uso di schemi iconografici arcaicizzanti, per lo più ispirati a criteri di simmetria e di immediata leggibilità dell’immagine. L’esigenza di chiarezza espositiva delle immagini, incarnata a suo tempo dal Perugino e poi da Raffaello, riemerge in queste pitture come per riproporre in chiave tardomanierista quella «serenità della linea urbinate, umbra e romana» di cui il Sanzio era il massimo interprete e che la Chiesa di Roma aveva a lungo privilegiato36. Non per nulla, quasi a preludere la lenta gestazione che condurrà verso il classicismo dei Carracci, Raffaello appare tra gli ideali referenti di queste decorazioni37. Lo rivelano il sistema unitario del vasto lavoro collettivo (impostato centralisticamente come nelle Logge di Leone x), la volontà di accostare e armonizzare soggetti tutt’altro che omogenei e la gaia intonazione classicheggiante di molte componenti, finalizzata ad esprimere una letizia cristiana rasserenante e conciliativa. Anche da un punto di vista compositivo, non sono rari gli spunti desunti dalle Stanze di Raffaello, e in particolare da quella della Segnatura, notoriamente concepita come Biblioteca di Giulio ii, e dalla Sala di Costantino. Ciò nonostante, il linguaggio figurativo della Biblioteca di Sisto v attinge ai più vari modelli della produzione manierista e ha i suoi presupposti nei cicli farnesiani del Palazzo di Caprarola, nella dispersa decorazione cinquecentesca del Duomo di Orvieto e nei cantieri romani del pontificato di

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185. Paolo Guidotti, Concilio di Firenze.

Gregorio xiii38. Le scelte estetiche di Girolamo Muziano, di Taddeo e Federico Zuccari, private di certi intellettualismi, costituiscono un riferimento costante ma non univoco: vi si rintracciano apporti dal senese Beccafumi, dall’urbinate Barocci, dai lombardi, dagli emiliani o dalla tradizione fiamminga. Pertanto, l’unità linguistica raggiunta da Raffaello e da altri tentata (fino all’estremo sforzo compiuto da Muziano), non interessa più di tanto o non sembra ormai raggiungibile. Il pragmatismo di Sisto v, che fa della velocità di esecuzione una condizione imprescindibile, si adatta all’utilizzo dei differenti linguaggi «regionali», accordati soltanto dalla concezione unitaria dei programmi iconografici, questi sì, carichi di rimandi intellettualistici e di frequenti citazioni erudite. I due cicli più estesi del Salone Sistino, dedicati alle biblioteche dell’antichità e ai concili ecumenici orientali e occidentali, evocano la celebrazione storicizzante dei Fasti farnesiani realizzati da Taddeo Zuccari nel Palazzo di Caprarola. Sisto v, infatti, intendeva illustrare i «fasti» della Chiesa cattolica e la centralità del pontificato romano quale erede della sapienza antica e garante dell’ortodossia e dei retti costumi. Le grandi figurazioni sono corredate da cartelle esplicative che permettono di decifrare le scene e di entrare in comunicazione con esse. Laddove non era possibile rappresentare immagini unitarie per le interruzioni delle pareti create da varchi o finestre si è preferito imitare l’arazzo: è il caso degli ultimi tre concili, dipinti nelle due camere che prolungano il Salone Sistino. Ma anche nella serie delle biblioteche antiche, per abbinare due episodi in uno stesso riquadro, è simulato un tendaggio che si arrotola nel mezzo del dipinto in modo che le due scene complementari risultino tra loro distinte39. Vedute urbane, imponenti architetture e scorci naturalistici costituiscono lo scenario in cui si muovono i protagonisti e le comparse dei vari eventi rappresentati. Episodi secondari, strettamente correlati all’azione principale, sono collocati ai bordi delle quinte architettoniche o dietro apposite finestre, concepite come visori che permettono di leggere in simultanea fatti svoltisi in tempi differenti. Nelle scene dei concili, inoltre, è resa visibile la «verticalità» degli interventi soprannaturali, resi riconoscibili da aloni di nuvole e di luce, in dialettica con l’orizzontalità delle azioni terrene, che sono ben rappresentate nello snodarsi delle processioni. Un espediente che permette di inserire ulteriori rimandi di carattere storico e teologico è l’uso del «quadro nel quadro»: in sei figurazioni dei concili si nota la presenza di arazzi, pale d’altare o altri dipinti per illustrare fatti e questioni dottrinali inerenti ciascuna assise. Allo stesso modo, la fedele raffigura-

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 186. Cesare Conti, Canonizzazione di san Diego, Libreria segreta, prima stanza. 187. Cesare e Vincenzo Conti, Sisto v proclama san Bonaventura dottore della Chiesa, Libreria segreta, prima stanza.

186 187

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zione di luoghi reali contempla la riproduzione delle immagini che vi si trovano, come si nota nell’interno di S. Sabina, puntualmente riprodotto nel San Bonaventura proclamato Dottore della Chiesa, e quella della navata del vecchio S. Pietro parata con una cospicua serie di arazzi, nella Canonizzazione di san Diego. Naturalmente, l’idea di base non è nuova ma deriva da prototipi medievali e rinascimentali40 e sembra fondere una tipologia quattrocentesca, frontale e rigidamente prospettica, con certi dinamismi della pittura manierista, soprattutto zuccaresca. Illustri precedenti sono ravvisabili nell’Ultima cena dipinta da Cosimo Rosselli nella Cappella Sistina e l’Indizione del Concilio di Trento raffigurato da Taddeo Zuccari a Caprarola. Del primo sono riprese la struttura semicircolare del convito e le tre finestre che permettono di vedere sul fondo gli episodi della Passione, del secondo è riproposto l’impianto frontale, vivacizzato però dalle animate dispute dei vescovi e dei teologi. Si può osservare che quest’ultimo affresco, nel combinare alcuni elementi della Disputa del Sacramento di Raffaello con lo schema semplificato della vignetta di corredo al motu proprio che istituiva la Congregazione del Concilio (emanato da Pio iv nel 1564)41, non fa che adattare le formulazioni dell’urbinate alle nuove istanze della Controriforma. Un’operazione, questa, che Guerra e Nebbia, nel progettare i diversi soggetti, riproposero nei cantieri sistini, attingendo di frequente alle espressioni figurative del pontificato romano. I due direttori erano incaricati di rispondere alle richieste della committenza con rapidità e intelligenza organizzativa, ma soprattutto con quella chiarezza da «illustratori» che ben si addice al carattere didattico e celebrativo dell’impresa pittorica più rilevante del pontificato di Sisto v. Ma quanti e quali furono gli artisti impegnati in questo vasto cantiere pittorico? Angelo Rocca nel 1591 e Luigi Lanzi nel 1808 hanno sostenuto che nella Biblioteca Sistina intervennero oltre cento pittori42. Ed è probabile che tale stima non si allontani dal vero se si considerano i frescanti che eseguirono le parti strettamente ornamentali (le numerosissime cornici, grottesche e zone marginali) e i doratori che concorsero a decorare centinaia e centinaia di metri quadri di intonaci. Non esistono dati documentari che permettono di identificare con certezza tutti gli artisti coinvolti43, tuttavia è possibile risalire agli autori dei soggetti principali (soprattutto della serie delle biblioteche e di quella dei concili) e di alcuni elementi secondari attraverso raffronti stilistici basati sulle indicazioni fornite da Giovanni Baglione nelle sue Vite. Egli, infatti, ricorda esplicitamente la partecipazione di quindici

pittori a questa impresa: Arrigo Fiammingo (Hendrick van den Broeck), Giuseppe Franco, Orazio Gentileschi, Paolo Guidotti, Andrea Lilio, Paris Nogari, Prospero Orsi, Giovan Battista Pozzo, Giovanni Battista Ricci, Ventura Salimbeni, Antonio Scalvati, Giacomo Stella, Cesare Torelli, Antonio Viviani e se stesso. Ad essi vanno aggiunti probabilmente Paul Bril, Cesare e Vincenzo Conti, Baldassarre Croce, Girolamo Nanni, Avanzino Nucci, ricordati da Baglione per il loro coinvolgimento nelle campagne decorative di Sisto v, e Ferraù Fenzoni, che «nella libraria in Vaticano dipinse molte cose»44, come attesta la biografia rimasta inedita fino a tempi recenti. È possibile che anche Lattanzio Mainardi, che «nel Palagio Vaticano lavorò molte cose»45, possa avervi dato il suo apporto (almeno nella decorazione delle volte) e con lui Ferdinando Sermei, amico di Nebbia e suo collaboratore in S. Maria Maggiore. Altri due nomi sono deducibili dalla notizia fornita da Angelo Rocca su Pietro Facchetti, quale autore del dipinto dedicatorio con Sisto v che riceve da Domenico Fontana il progetto della nuova biblioteca, e da quella registrata nelle carte di un processo del 1601, da cui si ricava che Giorgio Picchi dipinse due o tre opere nella Biblioteca Sistina46. Se a questi si assomma il ruolo direttivo svolto da Cesare Nebbia, da Giovanni Guerra e dal fratello Gaspare, si giunge a 29 artisti, che salgono a 31 con Bernard van Rantwijck – la cui presenza è rintracciabile attraverso raffronti stilistici – e con l’insospettabile partecipazione di una donna pittrice, individuata da chi scrive grazie alla firma apposta al dipinto che raffigura il Concilio di Trento47.

Il ciclo delle antiche biblioteche Gli affreschi che rappresentano le celebri biblioteche dell’antichità, come si è accennato, sono spesso ripartiti in due scene che si affiancano come fondali di teatro o si sovrappongono come volumina srotolati, giocando sull’ormai tradizionale equivalenza tra libro e dipinto che i trattati cinquecenteschi sulle immagini avevano ribadito48. Il libro, infatti, risulta essere il protagonista di tutta la decorazione: se ne vedono i processi di fabbricazione sulla volta della Sala degli Scrittori, appare in varie fogge e grandezze sugli scaffali e sui banchi delle biblioteche, domina con il testo dei Vangeli molte delle sedici assise conciliari e viene arso nei roghi antieretici (in quattro scene). Il libro è oggetto di ostensione da parte di angioletti disposti a cerchio nelle volte del Salone e attornia

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 188. Pietro Facchetti, Sisto v riceve da Domenico Fontana il progetto della nuova biblioteca, olio su tela.

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le allegorie della Teologia, della Filosofia, della Poesia e della Giurisprudenza, sul soffitto della Galleria. Ed è interessante notare che queste quattro figure allegoriche ricalcano quelle realizzate da Raffaello nella Stanza della Segnatura. Il ciclo delle antiche biblioteche si dispiega sulle pareti esposte a sud del Salone Sistino. La serie, in realtà, si apre con il dipinto dedicatorio – alla destra di chi entra dalla Sala degli Scrittori – eseguito dal mantovano Pietro Facchetti, un ritrattista elogiato da Baglione per questa sua specialità: «In quella sorte di pittura molto valse, e ne fece di quelli, che potevano stare al paragon di Scipione da Gaeta»49. Si tratta dell’unico dipinto su tela dell’intera decorazione e raffigura Sisto v che riceve da Domenico Fontana il progetto della nuova biblioteca. La scelta di un supporto mobile fu probabilmente dettata dalla necessità di ritrarre dal vivo il papa e ciascuno degli altri personaggi, oltre che dalla necessità di perseguire con la più duttile tecnica a olio la verosimiglianza dei soggetti ritratti. Il quadro, pur essendo caratterizzato da un clima colloquiale, non si discosta dal criterio di aulica ufficialità dei celebri modelli a cui si ispira: l’affresco eseguito da Melozzo da Forlì per la vecchia biblioteca, ora nella Pinacoteca Vaticana, nel quale Sisto iv nomina Bartolomeo Platina primo custode della Biblioteca Vaticana (papa della Rovere impugna il pomo della sedia come il suo successore); la Consegna delle Decretali realizzata da Raffaello nella Biblioteca di Giulio ii (la posa di Gregorio ix è riproposta per Sisto v); nonché i Ritratti di Paolo iii dipinti da Tiziano e conservati al Museo di Capodimonte. La tecnica a olio era motivata anche dall’esigenza di differenziare quest’opera dal resto della decorazione: gli affreschi, più fluidi e immateriali, potevano evocare una realtà del passato, mentre i vividi colori sulla tela permettevano di percepire i personaggi come vivi e presenti. Motivazioni analoghe, probabilmente, ispirarono il diffondersi della pittura a olio nelle pale d’altare, scelta che a Roma si andò estendendo anche ai dipinti laterali delle cappelle, soprattutto dopo gli straordinari effetti ottenuti dal Caravaggio in S. Luigi dei Francesi. Speculare al quadro dedicatorio, alla sinistra di chi entra, è la prima parte della Biblioteca degli Ebrei, il cui soggetto – Mosè ordina ai Leviti di custodire il Libro della Legge nel Tabernacolo – istituisce un raffronto tra la figura di Mosè e quella di Sisto v. Tale parallelismo è presente anche in altre decorazioni e la sua espressione più vistosa è nella Fontana del Mosè (raffigurata nella volta del Salone Sistino tra le «opere buone» di papa Peretti) ovvero la «mostra» dell’Acquedotto Felice presso S. Susanna. L’affresco prosegue sulla spalla di

muro contigua, con Esdra sacerdote e scriba ripristina la sacra biblioteca, che mostra una raccolta di testi ordinatamente disposti nelle scansie di una vera e propria biblioteca. Nonostante l’intento storicistico, la ricostruzione è di fantasia: gli scritti non sono su tavolette, né su rotoli, ma sono raccolti in tomi dalle robuste rilegature. L’insistenza sui libri ben disposti entro un armadio richiama anche l’Aron sinagogale, l’armadio sacro deputato a conservare il Sefer Torah. La scena, di tutt’altro segno rispetto al Rogo dei Libri Ariani dipinto a riscontro da Andrea Lilio, fa eco ai provvedimenti adottati da Sisto v con la bolla Christiana pietas, che accordava una maggiore libertà agli ebrei: ad essi furono restituiti i diritti di abitare in tutte le città dello Stato Pontificio, di professare la propria religione in appositi edifici, di istituire e conservare proprie biblioteche. L’attualizzazione del soggetto, d’altra parte, fu con evidenza ricercata attraverso l’abbigliamento degli ebrei, rappresentati con i cappelli frigi, o con cuffie dai tipici colori giallo, rosso, o violetto chiaro, un colore aspirante all’indefinito «glauco» richiamato nella celebre bolla di Paolo iv Cum nimis absurdum del 155550. L’autore di entrambe le scene è probabilmente Giacomo Stella, pittore bresciano che aveva dato miglior prova di sé alla Scala Santa. Una certa disinvoltura si nota nello sfondo panoramico animato da agili figurette, mentre i personaggi in primo piano ripropongono le maschere un po’ grottesche degli Antenati di Cristo, eseguiti un paio d’anni prima nella Cappella del Presepe di S. Maria Maggiore. Per il Mosè ordina ai Leviti di custodire il Libro della Legge nel Tabernacolo, si conosce un disegno preparatorio, conservato a Darmstadt51. Si tratta quasi certamente dello studio definitivo che Cesare Nebbia fornì al pittore designato: lo confermano l’aderenza dell’affresco al progetto grafico, la corrispondenza dell’iscrizione vergata a penna sul margine inferiore del foglio e la quadrettatura a matita, destinata a trasferire l’immagine sul cartone (il grande supporto cartaceo che, applicato sull’intonaco fresco, permetteva di tracciarvi i contorni delle figure e dell’intera composizione). Questi caratteristici elementi del disegno e l’indubbia autografia di Nebbia (e non dell’autore del dipinto) danno conferma di una netta separazione tra i procedimenti di ideazione e di esecuzione di ciascuna scena, ma permettono anche di rilevare la precisione con cui il pittore orvietano trasmetteva l’immagine da tradurre a «buon fresco». In questo caso l’esecutore dell’affresco (Giacomo Stella) si attenne scrupolosamente agli elementi dati, ma non riuscì a eguagliare la scioltezza del segno e i rapporti proporzionali della prova grafica di Nebbia: nelle

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La Biblioteca Apostolica Vaticana 189. Giovanni Baglione, Biblioteca di Babilonia, particolare. 190. Giovanni Baglione o Francesco Morelli, disegno preparatorio per la Biblioteca di Babilonia. Haarlem, Teylers Museum.

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intenzioni del committente, infatti, la priorità non consisteva nella qualità estetica delle pitture, ma nella fedeltà ai contenuti prescelti dai dotti programmatori dei temi figurativi52. Il dipinto successivo rappresenta la celebre Biblioteca di Babilonia: la città biblica è riconoscibile dalla leggendaria torre spiraliforme e dai giardini pensili, ma risulta «romanizzata» dalla presenza di un obelisco sovrastato da una sfera, sul modello di quello vaticano. Lo stile «fiammeggiante», chiaramente derivato dal Beccafumi, imprime all’immagine un suggestivo tono da favola orientale, popolata da sapienti col turbante e lunghe barbe e da paggetti dall’aria trasognata. Il suo autore è stato riconosciuto in Giovanni Baglione53, valente e fecondo pittore spesso ricordato soltanto come biografo di artisti, il quale dichiara che Nebbia e Guerra «gli diedero nelle facciate da basso a dipingere due storie grandi con figure dal naturale, e sì franche, e vaghe le condusse, che Papa Sisto, vedendo quest’opera fatta da un giovinetto di 15 anni, n’ebbe assai compiacimento»54. Tale informazione corrisponde al vero per ciò che riguarda le due «storie» di Giovanni nel Salone Sistino (l’altra è la scena di sinistra della Biblioteca dei Romani) e, forse, per l’apprezzamento del papa, ma è decisamente forzata per ciò che riguarda la sua età: nel 1588-89 egli aveva già compiuto 22 anni, essendo nato nel 1566. L’artista romano, dunque, per mettere in luce la sua precocità e la sua bravura, ha orchestrato una forzatura cronologica. Ma c’è di più. Nell’autobiografia, Baglione ha relativizzato il suo apprendistato presso il pittore fiorentino Francesco Morelli, fino a dichiararlo insufficiente per il suo talento, e non ha citato un prestigioso lavoro compiuto fuori Roma prima degli incarichi sistini – gli affreschi del Palazzo Santacroce a Oriolo Romano –, di cui non poteva assumere la paternità perché vi aveva partecipato come collaboratore del suo maestro. Inoltre, egli ha inspiegabilmente omesso nelle Vite la biografia di Morelli, pittore poco conosciuto che lavorò a più riprese per i Santacroce e fu in rapporto con lo stesso Baglione anche in prossimità della sua morte55. Tra silenzi e forzature, appare chiaro che il pittore-biografo manipolò le informazioni per mettere in risalto le proprie virtù: anche l’oblio del suo maestro giovava all’immagine di sé che egli intendeva trasmettere. Analoghe considerazioni possono essere fatte per il disegno preparatorio della prima scena della Biblioteca di Babilonia, che raffigura Daniele e i suoi compagni apprendono la lingua e il sapere dei Caldei56. Notando che lo studio grafico, conservato a Haarlem, è più sciolto e raffinato di alcune parti del relativo affresco (come il giovane in primo piano la cui

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torsione è impacciata), ho avanzato l’ipotesi che possano spettare a Francesco Morelli sia il disegno sia alcuni brani del dipinto e a Giovanni Baglione soprattutto le parti più incerte57. In tal caso l’opera sarebbe frutto di una collaborazione tra i due. Questa ipotesi è stata accolta con interesse58, tuttavia Giovanni Morello e Carel van Tuyll, data l’assenza di opere certe di Morelli, hanno suggerito per il momento di lasciare il disegno sotto il nome di Baglione. Il suggerimento va senz’altro accolto e la questione non può che restare aperta, nella speranza che nuove indagini possano offrire dati più circostanziati sull’opera e sulla personalità del pittore fiorentino e sulla formazione del suo valente e ambizioso discepolo59. Il disegno di Haarlem presenta una particolarità rispetto agli altri progetti e studi preparatori (sono undici quelli finora rintracciati) che hanno una sicura relazione con gli affreschi della Biblioteca di Sisto v: risulta eseguito dallo stesso autore del relativo dipinto al pari di un foglio assegnato a Giovan Battista Pozzo. Altri sette – come si vedrà – mostrano l’agile stile grafico di Cesare Nebbia, uno di essi è probabilmente una copia di bottega e uno studio per una coppia di figure è di attribuzione incerta. Si tratta di tre progetti per le raffigurazioni delle antiche biblioteche (compreso quello già esaminato) e di cinque disegni relativi alle immagini delle assise conciliari e di alcuni eventi ad esse correlati60. Tale particolarità si spiega con il fatto che Nebbia e Guerra, sovraccarichi di lavoro, talvolta affidavano a collaboratori più dotati anche la messa a punto dei progetti definitivi, come era avvenuto con Ferraù Fenzoni e Paul Bril alla Scala Santa61. Ciò non significa che Baglione ideò autonomamente l’immagine della Biblioteca di Babilonia, ma che la elaborò sulla base di un primo abbozzo fornitogli da Nebbia. Lo può confermare la prassi seguita da Fenzoni alla Scala Santa: per dipingere il grande affresco con Mosè e il serpente di bronzo egli fece almeno quattro studi a partire da una «prima idea» fornitagli dal pittore orvietano62. In ogni caso, il foglio di Haarlem dimostra che Baglione (o forse Francesco Morelli) non era considerato un semplice esecutore, ma un professionista maturo: lo stile disinvolto del disegno – che rivela un’ascendenza toscana aggiornata alle novità del tardo manierismo romano – non sembra appartenere a un esordiente, ma a una mano estrosa e ricercata. Il medesimo stile della Biblioteca di Babilonia è rintracciabile anche negli ornamenti marginali: infatti è stata attribuita a Giovanni Baglione l’allegoria dell’Obbedienza, con il giogo in mano, dipinta su un piedritto nel passaggio dal Salone alla camera nord63. La stessa inconfondibile cifra caratterizza pure l’angelo con tromba collocato nella prima stanza della

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La Biblioteca Apostolica Vaticana 191. Ferraù Fenzoni, Allegoria del diritto. 192. Andrea Lilio, Allegoria della poesia.

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Libreria segreta, sopra a una finestra verso i giardini vaticani e numerose figurette costruite con pennellate rapide e fluide poste negli strombi delle finestre, soprattutto nella parete nord del Salone Sistino64. Seguendo l’ordine dei dipinti, dopo la babilonese, si incontra la Biblioteca di Atene, che è senza dubbio uno dei migliori brani dei cicli sistini per potenza e raffinatezza del disegno. La sua attribuzione a Ferraù Fenzoni da Faenza, da tempo segnalata da Adolfo Venturi, è confermata dagli studi più recenti65. È il prodotto della ricerca matura del faentino che fa ancora vibrare l’ironica espressività, densa di michelangiolismi, profusa nei suoi interventi alla Scala Santa, ma ne frena l’impeto con una vena di contenuto classicismo. La sua perizia si nota nel realismo di elementi quali il telo che separa le due scene, inchiodato e legato da corde marinare, il giovane ricurvo, la cui tensione muscolare evidenzia il peso dei volumi che deve trasportare66, e le diafane figure dei copisti che appaiono verso il centro in una sapiente veduta dall’alto. Si può osservare che la superficie dell’affresco è granulosa: l’aggiunta di materia sabbiosa può essere dovuta alla volontà di accentuare la freddezza dei colori e dare risalto al segno incisivo e agli effetti chiaroscurali ottenuti con pennellate rapide e incrociate. A Fenzoni si deve certamente anche l’Allegoria del Diritto (o Giurisprudenza) sulla volta della Galleria67. Il confronto con la medesima immagine della Stanza della Segnatura offre una possibile spiegazione della virata in senso classicistico che Ferraù imprime alla sua pittura, con un chiaro omaggio a Raffaello. La figura femminile ne ricalca puntualmente l’iconografia adottandone la forma ovale del volto. Alcune divergenze si notano, invece, nella resa sfaccettata e riflettente del mantello e l’aspetto da folletto dei puttini: indizi, questi, di un retroterra culturale che da un lato sembra evocare la pittura ferrarese del Quattrocento, con egli effetti «metallici» di Cosmè Tura, e dall’altro rivela l’interesse per l’arte nordeuropea, in particolare di Hendrick Goltzius. Non è improbabile che la formazione di Fenzoni, oggi difficilmente ricostruibile, vada cercata in quest’area di interessi68. La Biblioteca di Alessandria, quarta della serie, mostra la consueta bipartizione: la scena di destra, I Settanta presentano a Tolomeo la Bibbia ebraica tradotta in greco, è come un drappo dal bordo arrotolato che si sovrappone a quella precedente. In questo caso viene sottolineato il valore della traduzione come trasmissione e divulgazione dei testi sacri, alludendo all’operato dello stesso Sisto v per l’edizione della cosiddetta Vulgata sistina. Si tratta di un dipinto delicato e ben compo-

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sto che appartiene a Paris Nogari69. Il pittore romano, che trae esperienza in particolare da Raffaellino da Reggio e da Federico Zuccari, rivela nella raffinatezza del disegno e della cromia la sua attitudine per la miniatura, «nel cui genio assai bene si portava»70: accantonata la monumentalità dei suoi interventi nella Cappella del Presepe di S. Maria Maggiore, Nogari propone una sorta di neoquattrocentismo, evocatore dei moduli espressivi della Cappella di Sisto iv. Sono di Paris anche la solenne figura del Cristo seduto e benedicente, sul semipilastro in fondo al Salone Sistino, e quella contigua dell’Ecclesiae Defensor, l’imperatore Costantino 71. Nella prima, aggraziata e al tempo stesso severa, il pittore romano stempera lo stile mosso di matrice zuccaresca avvicinandosi alla comunicatività rasserenante della tornita accademia di Nebbia, che sa farsi interprete delle istanze di chiarezza espositiva del committente. L’intesa raggiunta tra i due artisti sembra ottimale e rafforza un rapporto destinato a continuare anche oltre l’età sistina72. Il quinto dipinto di questo ciclo, la Biblioteca dei Romani, presenta due scene stilisticamente ben distinte. Tale divergenza offre una conferma della grande varietà delle mani presenti nella Biblioteca e della rapidità di esecuzione, che giunge ad affiancare artisti di sensibilità molto diversa senza celare l’effetto disarmonico che se ne trae. Tuttavia non è da escludere anche l’ipotesi che si volesse sottolineare la diversa valenza delle due scene. Un’intonazione da favola anima un episodio che appartiene al mito più che alla storia, cioè Tarquinio il Superbo compra tre libri sibillini, avendo la sibilla Amaltea bruciato gli altri; mentre una rappresentazione più realistica e prospetticamente studiata caratterizza la scena contigua: Augusto, allestita splendidamente la Biblioteca Palatina, favorisce i letterati. È interessante notare la sottile identificazione della celebre biblioteca imperiale con quella pontificia: le quattro file di banchi su cui sono ben allineati i volumi riproducono quelle raffigurate nell’affresco quattrocentesco dell’Ospedale di S. Spirito con la Visita di Sisto iv alla Biblioteca Apostolica73. Il brano di sinistra della Biblioteca dei Romani, per quel caratteristico stile estroso e vibrante, appartiene senza dubbio alla stessa mano della Biblioteca di Babilonia – che Carla Guglielmi ha ricondotto a Giovanni Baglione e chi scrive, anche a motivo delle notizie incongruenti fornite dal pittorebiografo, alla collaborazione Morelli-Baglione74 – facilmente riconoscibili anche nei Figli di Seth, appartenenti alla serie degli Inventori degli Alfabeti e rappresentati sul lato nord del primo pilastro del Salone Sistino75. L’altra porzione del dipinto, Augusto, allestita splendidamente la Biblioteca Palatina,

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana

193. Giovanni Baglione e Ferdinando Sermei, Biblioteca dei Romani. 194. Attribuito a Ventura Salimbeni, Biblioteca di Gerusalemme.

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favorisce i letterati, è più misurato e accademico e si differenzia dall’altro anche per una prospettica definizione degli spazi e per le tinte delicate delle cromie. Probabilmente è opera del poco conosciuto Ferdinando Sermei, conterraneo e allievo di Cesare Nebbia, che aveva collaborato per i mosaici della facciata del Duomo di Orvieto e condivideva con lui interessi patrimoniali76. Sermei fa parte del gruppo di pittori legati a Nebbia, come rivelano sia la conduzione stilistica dell’affresco sia il fatto che l’immagine corrisponde pienamente a quella progettata da quest’ultimo: lo si osserva nel disegno di Chicago, studiato da Rhoda Eitel-Porter, che si rispecchia quasi totalmente nell’affresco77. Le differenze che si notano nella parte destra non sono dovute a variazioni compiute da Sermei, ma alla necessità di colmare lo spazio restante del riquadro che, in proporzione, ha una larghezza maggiore rispetto a quella del progetto grafico. Ed è assai probabile che la dilatazione dei banchi con i libri, ispirati alla Biblioteca di Sisto iv, e dell’ariosa veduta di Roma con l’allegoria del Tevere sia stata proposta da Nebbia su suggerimento dei programmatori dei soggetti. Va infatti notato che il foglio di Chicago reca già una rettifica nella figura di Augusto che, da seduta, è stata posta in piedi, probabilmente per renderla più visibile e autorevole78. È inoltre significativo che Nebbia, per accelerare i tempi di esecuzione, non abbia rifatto il disegno, ma sovrapposto un piccolo lembo di carta con le opportune correzioni; una prassi, questa, invalsa da tempo, ma che rispecchia la proverbiale volontà di Sisto v nel velocizzare il più possibile il lavoro. D’altra parte, l’ottimizzazione delle varie fasi operative è indicata anche dalle modalità con cui venivano elaborati i progetti grafici: Nebbia, o un pittore di sua fiducia, solitamente forniva progetti separati per ciascuna delle scene da rappresentare, anche quando appartenevano a un medesimo soggetto. Lo dimostrano i fogli fin qui esaminati, che riguardano una sola metà della Biblioteca degli Ebrei, della Biblioteca di Babilonia e della Biblioteca dei Romani, ma anche gli abbozzi per Costantino che ordina il rogo dei libri ariani e Gregorio x che si riconcilia con i Greci al Concilio Lionese ii, due scene correlate a raffigurazioni dei concili79. In tal modo era più agevole organizzare il lavoro ed evitare di assegnare a un singolo artista porzioni di affresco troppo estese. Il dipinto che segue non è bipartito come i precedenti e raffigura in modo unitario la Biblioteca di Gerusalemme. Lo scenario è ancora una volta «romanizzato»: sul fondo si nota l’inconfondibile sagoma del Settizonio, celebre rudere d’età severiana demolito da Sisto v, mentre la «rotonda» del

S. Sepolcro, meta dei pellegrini, è un edificio che fonde la struttura del Pantheon con quella del nuovo S. Pietro, quasi per alludere a Roma quale nuova Gerusalemme. Per l’autore di questo dipinto ho proposto il nome di Ventura Salimbeni, che «dipinse nel tempo di Sisto v all’ora giovinetto in diversi luoghi da quel Papa fabbricati, come nella Libreria Vaticana […]»80. Il giovane senese, figlio del pittore Arcangelo Salimbeni e fratellastro di Francesco Vanni, non aveva vent’anni quando iniziò a lavorare nei cantieri sistini: qui mostra l’ingenuità di un animo fanciullesco, quasi rispecchiato nelle dolci e patetiche espressioni dei suoi personaggi. Una certa durezza che compare nei panneggi, risolti per pieghettature spigolose, sembra accentuata da alcuni ritocchi maldestri (l’affresco ha sofferto in più punti). Quest’opera è probabilmente la più impegnativa svolta da Ventura fino a quel momento, dato che i suoi interventi nel complesso lateranense e nella chiesa del Gesù furono di dimensioni inferiori. Alla stessa mano è riconducibile l’Evandro, uno degli inventori degli alfabeti, raffigurato sul quinto pilastro del Salone Sistino81. La figura agile e tornita è molto vicina all’Allegoria della Pace del catafalco per Sisto v, riprodotta in una incisione del 1591, e appare più rifinita della Biblioteca di Gerusalemme anche per il suo migliore stato di conservazione. Nella Biblioteca di Cesarea di Palestina, il settimo affresco della parete meridionale del Salone, si celebrano san Panfilo, che creò in essa una celebre raccolta di testi teologici, Eusebio di Cesarea, suo discepolo e autore della Storia Ecclesiastica, e san Girolamo, che dopo approfonditi studi si dedicò alla traduzione latina della Bibbia. Con essi probabilmente si allude all’incremento dei libri teologici promosso da Sisto v, alla redazione degli Annales Ecclesiastici, avviata da Cesare Baronio e ufficializzata dalla pubblicazione del primo tomo nel 1588, all’edizione sistina della Vulgata e, con il gruppo di persone intente a rilegare volumi, alla Tipografia Vaticana voluta da papa Peretti. Il dipinto può corrispondere a uno degli interventi del bolognese Baldassarre Croce (del quale si conoscono alcuni brani eseguiti nella Scala Santa), che qui sembra approssimarsi ai modi di Ferraù Fenzoni82. L’attrazione esercitata dal faentino è riscontrabile soprattutto nell’espressione quasi arcigna dei personaggi, che contrasta con quella ingenuamente patetica delle figure che animano la contigua Biblioteca di Gerusalemme. Il disegno preparatorio, passato per un’asta londinese nel 1970 e oggi in una collezione privata inglese, presenta l’immagine così come appare nell’affresco, ad eccezione di qualche dettaglio83. In questo caso l’esecutore del dipinto

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana

195. Attribuito a Baldassarre Croce, Biblioteca di Cesarea di Palestina.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 196. Hendrick van den Broeck detto Arrigo Fiammingo, Concilio Niceno i. 197. Giovanni Battista Ricci, Primo Concilio di Costantinopoli.

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si è in sostanza limitato a definire la sommaria veduta del porto di Cesarea, a distanziare le due figure centrali, troppo ravvicinate, e a mutare la forma del tavolo dei rilegatori e lo sgabello davanti alla scrivania di Eusebio, rendendo circolare il piano del primo e trasformando in quadrangolare il secondo. Chiudono il ciclo, nelle due pareti d’angolo del Salone Sistino, la Biblioteca Apostolica e la Biblioteca dei pontefici. Con queste due brevi immagini si intende ricordare come la Chiesa, sin dall’età apostolica, abbia conservato e promosso la cultura cristiana, innestandola nel ceppo della sapienza antica. L’esempio di san Pietro, raffigurato nell’atto di ordinare la custodia e la riproduzione dei sacri codici, è seguito da vari successori, tra i quali appaiono naturalmente Sisto iv e Sisto v. La parte sinistra appartiene allo stesso artista che ha realizzato la Biblioteca degli Ebrei, identificato in Giacomo Stella: sembra confermarlo anche il confronto con il San Girolamo che Baglione gli attribuisce nella Loggia delle Benedizioni in Laterano84. Ed è possibile assegnare a Stella anche la figura di Abramo sul primo pilastro del Salone. La Biblioteca dei pontefici presenta una cifra stilistica affine a quella del pittore bresciano, ma probabilmente è opera di Angelo Righi da Orvieto, allievo di Cesare Nebbia e suo stretto collaboratore85. Sembrano risalire alle sue un po’ enfatiche formulazioni nebbiesche la figura del Vicario di Cristo, che è speculare al dipinto precedente e fiancheggia il Gesù di Nogari, nonché le immagini di Mosè e di Ercole, sul lato nord del primo e del secondo pilastro del Salone Sistino.

Il ciclo dei concili orientali

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Le immagini dedicate ai concili ecumenici sono decisamente più numerose di quelle riguardanti le biblioteche dell’antichità: gli affreschi illustrano otto assise ecumeniche tenutesi in Oriente e otto di quelle celebrate in Occidente. La prima – che riveste la parete parallela all’ingresso del Salone Sistino, la più ampia del ciclo, e il brano di muro contiguo – rappresenta il Concilio Niceno i e Costantino che ordina il rogo dei libri ariani. In un’assise di forma circolare, con al centro il libro dei Vangeli, si vede una nutrita schiera di vescovi alla presenza dell’imperatore cristiano, Costantino il Grande, e dei legati pontifici in abito cardinalizio. Sulla destra si riconoscono Ario, spogliato delle insegne, che ascolta contrariato la lettura dei canoni che condannano le sue tesi eretiche e san Spiridione che discute con un personaggio dal capo coperto da un turbante. Il concilio gode dell’assistenza di san Pietro e della Trinità, sulla sinistra,

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anche per sottolineare che il Figlio è consustanziale al Padre. L’impaginazione della scena è frontale e semplificata e mette in risalto la caratterizzazione dei vari personaggi. Si tratta probabilmente dell’ultima grande opera romana di Hendrick van den Broeck detto Arrigo Fiammingo, identificata da chi scrive grazie a raffronti stilistici e all’indicazione di Baglione che afferma: «Nella Libreria Vaticana diverse cose, e tra le altre un’historia grande che occupa una faciata, un Concilio con quantità di Vescovi, di Prelati e di gran Personaggi, con buon gusto a fresco condotto, e terminato»86. In essa Arrigo recupera quell’abilità da ritrattista che più efficacemente aveva manifestato nell’Adorazione dei Magi di Perugia87. L’insieme denota una cromia fredda e chiara che sembra in parte alterata dai ritocchi compiuti per nascondere alcune crepe dell’intonaco. È interessante osservare che un disegno preparatorio di Nebbia, oggi conservato a Cambridge88, non prevedeva (assieme alla veduta del porto turrito di Nicea, con le carrozze che portano i padri conciliari e l’eretico) la figura dell’apostolo Pietro e la nube in cui appare la Santissima Trinità. Il loro inserimento nella redazione definitiva indica la volontà di ribadire la centralità del successore di Pietro e di legittimare l’assise conciliare attraverso la presenza divina. Un aggiornamento, questo, che rivela come il progettista operasse in stretto rapporto con i programmatori del ciclo, incaricati di suggerire e di verificare costantemente i contenuti delle immagini89. Evidentemente Nebbia, dopo aver ricevuto le indicazioni sul soggetto da rappresentare, formulava una prima idea che poi veniva approvata o modificata. Un’indiretta conferma è data da un altro e più rapido abbozzo, conservato a Orléans, che costituisce probabilmente un primo studio per Costantino che ordina il rogo dei libri ariani90. Il disegno non ha la stessa impostazione del dipinto, ma ne contiene gli elementi: il rogo, gli inservienti che trasportano i volumi e la figura ammantata che con gesto imperioso ordina di gettarli nel fuoco. Le modifiche possono essere state compiute per un semplice motivo compositivo, ma è probabile che Nebbia abbia ricevuto l’indicazione di migliorare la leggibilità del soggetto rendendo più evidente e riconoscibile la figura dell’imperatore. Questa, infatti, nell’affresco viene posta in primo piano e reca sulla testa la corona91. Il relativo affresco, nel quale Costantino dispone ex decreto concilii la distruzione degli scritti di Ario, è collocato sulla spalla di muro contigua al Concilio Niceno i, di cui costituisce un corollario. La vigorosa scena è stata riconosciuta da Scavizzi come opera dell’anconetano Andrea Lilio92 che ha

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 198. Andrea Lilio, Costantino che ordina il rogo dei libri ariani.

199. Giovanni Battista Pozzo, disegno preparatorio per il Concilio di Efeso. Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins.

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plasmato i personaggi aderendo profondamente all’inquieta lezione di Fenzoni e ha creato violenti sbattimenti di luce, ottenendo così uno dei brani più potenti dell’intera decorazione. Dall’artista faentino sono desunti anche elementi della tecnica pittorica, come le disinvolte pennellate brune intrecciate a piccoli tratti che si sovrappongono al colore per accentuare il modellato. Tale vibrante stile “espressionistico”, già adombrato negli interventi della Scala Santa, è riscontrabile anche nella bella Allegoria della Poesia93. Con questo primo lavoro della Biblioteca Sistina, realizzato sulla volta della Galleria, Lilio sembra giungere alla piena maturità e diviene una delle personalità di spicco tra le giovani leve che parteciparono ai cantieri pittorici di Sisto v. Egli fu senz’altro favorito dall’essere conterraneo del papa, tuttavia è evidente che riuscì ad affermarsi grazie al suo estroso talento. Il Primo Concilio di Costantinopoli, secondo affresco della serie, apre la successione ininterrotta dei sinodi collocati nelle chiese: sull’altare centrale scende la luce dello Spirito Santo, la cui divinità era negata da Macedonio, l’eretico che viene spogliato delle insegne episcopali. È un’opera garbata, dai dettagli meticolosamente ornati e definiti. Nella sua matrice proto-cinquecentesca si coglie il retroterra culturale di Giovanni Battista Ricci da Novara, un pittore assai prolifico94. Gaudenzio Ferrari e Bernardino Lanino costituiscono le fonti facilmente reperibili di quell’addensarsi di delicate figure dalle chiome ricciolute e dallo sguardo tenero. L’esecuzione è molto accurata e il colore è steso con notevole spessore, tanto da occultare le tracce del cartone: si nota l’uso del puntinato per creare effetti chiaroscurali, com’è evidente nel volto del chierico sulla sinistra. La figura dell’armigero seduto sulla destra permette di attribuire a Ricci il Sant’Agostino, dall’aspetto mite, che fa parte dei Dottori della Chiesa raffigurati sulla volta della Loggia delle Benedizioni in Laterano95. Ricci, nel corso della decorazione della Biblioteca Sistina, non sembra essersi limitato a eseguire alcuni brani di affresco ma, come dichiara Angelo Rocca, ricoprì anche un ruolo da assistente dei due capocantiere. Tale indicazione può trovare conferma nel fatto che egli coordinò, in quegli anni, la decorazione della Galleria di Palazzo Giustiniani e divenne «sopra intendente d’alcuni lavori di pitture operate» per Sisto v96. Tuttavia non sono ancora emersi, nel cantiere vaticano, elementi sufficienti per l’individuazione di tale ruolo, forse perché Giovanni Battista curò degli aspetti organizzativi oggi non facilmente ricostruibili. Contiguo all’affresco del pittore novarese è il Concilio di Efeso. L’assemblea si svolge in una vasta chiesa absidata, men-

tre all’esterno compaiono il pellegrino che portò, nascosta in un bastone per timore dei nestoriani, la lettera che san Cirillo d’Alessandria indirizzò ai vescovi e la processione conclusiva che si snoda in un ambiente urbano «romanizzato» dalla presenza di edifici somiglianti al Pantheon e alla chiesa di S. Girolamo degli Illirici appena ricostruita da Sisto v. Che l’autore sia il ticinese Giovan Battista Pozzo è provato dal raffronto con il Martirio di santa Caterina d’Alessandria, eseguito per Colle Val d’Elsa nel 1588-89, e con gli affreschi della Cappella Peretti in S. Susanna, iniziati dal pittore nel 1590 e terminati dopo la sua morte precoce, avvenuta nel 159197. Il Concilio di Efeso è un’opera condotta con perizia ed equilibrio compositivo, che denota un marcato interesse per Raffaello (l’ispirazione è tratta soprattutto dall’Incoronazione di Carlo Magno della Stanza dell’Incendio) e l’avviarsi di Pozzo verso quel vivace naturalismo che caratterizza i magistrali affreschi di S. Susanna98. Anche il grande progetto grafico del dipinto, conservato al Louvre, sembra corrispondere allo stile del pittore milanese. Lo confermano il confronto con uno studio per la Cappella Peretti, all’Albertina di Vienna, nonché le tracce del cartone sull’intonaco: queste mostrano precisi riscontri con l’andamento del disegno, come l’abbreviazione del piede del vescovo in primo piano sulla destra, poi corretta nella stesura dell’affresco99. Come di consueto, anche Pozzo probabilmente lo eseguì sulla base di un abbozzo presentatogli da Nebbia,

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 200. Giovanni Battista Pozzo, Concilio di Efeso. 201. Andrea Lilio, Terzo Concilio di Costantinopoli, particolare.

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forse separando l’elaborazione dell’immagine sinodale da quella riguardante l’esterno dell’assise (nel disegno non è raffigurata la breve scena sulla sinistra)100. Il dipinto che segue, il Concilio di Calcedonia, torna ad avere una struttura circolare che crea un’alternanza di schemi (il seguente ha un andamento rettilineo). È una scena molto compatta e ordinata forse anche per alludere alla forte sintonia che vi fu tra i padri conciliari. Alla presenza dell’imperatore Marciano avvengono, in contemporanea, la lettura della celebre lettera di papa Leone Magno e la spogliazione di Dioscoro d’Alessandria. Quest’ultimo aveva aderito al monofisismo di Eutiche, che riteneva la natura umana di Cristo assorbita da quella divina (Gesù appare sopra l’altare con il mondo e la croce, simboli delle due nature). L’affresco non presenta caratteri di originalità, concentrato com’è nel rappresentare l’affollatissima assise (i vescovi furono oltre 500), tuttavia Paris Nogari, autore della Biblioteca di Alessandria, lo ha realizzato con la sua tipica cifra stilistica, meticolosa e garbata101. L’immagine del Secondo Concilio di Costantinopoli, in modo simile a quella del Concilio di Efeso, vede uno scorcio paesaggistico affiancarsi alla grande porzione dedicata all’assemblea sinodale. Sulla sinistra, infatti, compare una veduta del Bosforo e degli edifici di Costantinopoli, tra i quali l’imponente struttura ispirata al tamburo della cupola di S. Pietro. Alle spalle di un vigoroso gruppo di soldati è appeso un arazzo che illustra il disseppellimento del corpo di Teodoro di Mopsuestia, condannato post mortem per i suoi Tre Capitoli. La scena tenta di combinare il taglio in diagonale con la frontalità delle scene precedenti. L’autore è probabilmente il romano Girolamo Nanni, che sembra seguire la maniera mossa di Federico Zuccari, aggiornata però ai recenti esiti della pittura di Andrea Lilio102. Baglione, ricordandone la partecipazione a tutte le campagne decorative promosse da Sisto v, sostiene che il pittore «era un poco adagiato, e tardo nel dipingere», tanto che Giovanni Guerra lo sollecitava; ma Nanni «solea rispondere, ch’egli facea poco e buono, talche restovvi il soprannome di sempre appellato poco e buono»103. Il Terzo Concilio di Costantinopoli presenta ancora una volta un’asimmetrica bipartizione dell’immagine, ma è composto in modo più armonico e sapiente. La condanna del monotelismo, indicata nella spogliazione di Macario di Antiochia e di un altro vescovo, è illustrata anche da una citazione biblica per immagini: la pala d’altare, infatti, rappresenta l’Orazione nell’orto degli ulivi in ricordo delle parole pronunciate da Gesù: «Verumtamen non mea voluntas, sed tua fiat» (Luca 22, 42) e a dimostrazione delle due volontà, umana e divina,

del Cristo. Si tratta di una sottolineatura del valore delle immagini, poi dettagliatamente illustrato nel Secondo Concilio Niceno. Sulla destra è raffigurata la messa di Pasqua che Giovanni, vescovo di Porto, celebrò col rito latino in S. Sofia, alla presenza dell’imperatore Costantino iv Pogonato. In questa erudita figurazione è stato riconosciuto il più vasto e impegnativo intervento di Andrea Lilio104, che sembra proporre una mediazione tra l’austera classicità dell’Allegoria della Poesia e la convulsione drammatica del Rogo dei libri ariani. Se ne conosce il disegno preparatorio, conservato a Stoccolma, ora ricondotto con certezza a Cesare Nebbia105. Il grande foglio, purtroppo danneggiato, reca la quadrettatura per l’esecuzione del cartone e rivela che nel dipinto fu introdotta qualche variante, nella posa delle figure al centro e in quelle dei vescovi sulla destra. Ciò dimostra che Lilio, pur dipendendo da un’invenzione non sua, riuscì a esprimersi brillantemente nella traduzione a fresco. Il Secondo Concilio Niceno compone l’assemblea in una semplificata struttura a cerchio inserita in un contesto architettonico disarticolato, che non riesce a rispettare i criteri prospettici. Un elemento di interesse è l’arazzo sulla sinistra, la cui immagine intende riaffermare la liceità delle immagini sacre a condanna dell’iconoclastia106. È un elogio che ricalca le argomentazioni utilizzate da vari trattatisti cattolici e confermato dagli studi storici di Baronio. Vi sono raffigurati: san Luca che ritrae la Vergine, un gruppo di fedeli inginocchiati davanti a una pala d’altare con la Crocifissione e la statua bronzea con Cristo che guarisce l’emorroissa, fusa in età apostolica e venerata a Cesarea fino al tempo di Giuliano l’Apostata107. Questo dipinto si deve, probabilmente, a Giorgio Picchi, un prolifico pittore di Castel Durante che – stando a una testimonianza del 1601 – aveva dipinto «in Roma nella libraria del papa, dove sono doi o tre opre in circa delle sue»108. Tale ipotesi, avanzata da Massimo Moretti, sostituisce quella proposta da chi scrive in favore di Giuseppe Franco, soprannominato Giuseppe dalle Lodole per l’abitudine di firmare i suoi dipinti con un uccellino. Tuttavia resta valida l’attribuzione a Franco di due autori degli alfabeti, che sembrano portare la sua «firma». Si tratta di Menone Foroneo (sul secondo pilastro del Salone Sistino), affiancato da una piramide e da due piccoli uccelli, e di Palamede (sul quarto pilastro), accompagnato da uno stormo di volatili. Quest’ultima figura è stata ridipinta dopo un crollo avvenuto nel 1931, tuttavia se ne conserva l’immagine. L’ultimo affresco del Salone Sistino rappresenta il Quarto Concilio di Costantinopoli e conclude la serie degli otto sinodi orientali. È distribuito in due scene disposte ad angolo, che

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 202. Giorgio Picchi, Secondo Concilio Niceno, particolare. 203. Giuseppe Franco detto “dalle Lodole”, Palamede. 204. Giorgio Picchi, Concilio Lionese ii, particolare.

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana A fronte: 205. Vincenzo Conti, Rogo dei libri di Fozio. 206. Da Cesare Nebbia (Vincenzo Conti?), disegno preparatorio per il Quarto Concilio di Costantinopoli, collezione privata.

illustrano una sessione sinodale e il Rogo dei libri di Fozio. L’assemblea, compressa in uno spazio assai ridotto, è animata da paludate figure di vescovi, dai piviali vivacemente increspati e multicolori. Il brano minore che l’affianca si apre con una veduta del Bosforo caratterizzata da un grande edificio circolare inequivocabilmente ispirato alla mole di Castel Sant’Angelo. Il dipinto è stato realizzato da Vincenzo Conti, pittore vivace e ironico, sensibilmente attratto dallo stile di Raffaellino da Reggio, come dimostrano anche le quattro storie di Salomone sulla volta della Galleria di Palazzo Giustiniani e l’Apparizione del Risorto nel Cenacolo della Sala degli Apostoli al Laterano109. Per le due scene esiste un progetto grafico unitario, di collezione privata, che Rhoda Eitel-Porter giudica una copia da Nebbia, di cui reca l’impianto generale e la caratterizzazione dei personaggi110. I contorni semplificati e l’abbreviazione di certi dettagli sembrerebbero confermare questa ipotesi. In ogni caso, è interessante notare che si tratta dell’unico tra i progetti finora rintracciati che contempla due scene contigue111.

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Il ciclo dei concili occidentali Seguendo l’ordine delle pitture, sul lato nord della camera attigua al Salone Sistino è raffigurato il Concilio Lateranense iii. La parete grande ha subìto al centro una riduzione per l’inserimento del busto di Paolo v e della cornice di marmo attorno alla porta d’accesso dell’Archivio Segreto. L’assemblea conciliare, folta di prelati, di popolo e di soldati si svolge nel transetto della basilica lateranense (a destra si riconosce il ciborio tardogotico). Il poco raffinato autore del dipinto è probabilmente Orazio Gentileschi, la cui attività «nella bella Libreria Vaticana» è attestata da Baglione112. Il pittore pisano, a giudicare dalla prima opera certa – la Presentazione di Gesù al Tempio della navata di S. Maria Maggiore – iniziò la sua carriera con uno stile piuttosto incerto, ben lontano dai raffinatissimi esiti della fase matura, che ne fecero uno dei protagonisti della pittura europea del primo Seicento113. Alcune analogie sono riscontrabili nel modellato ampio dei panneggi, nelle cromie brillanti e soprattutto in alcuni volti:

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 207. Giorgio Picchi, Proibizione dei tornei cavallereschi.

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il ragazzo sul bordo destro del Concilio e il viso dell’ancella con la gabbia dei colombi nella Presentazione; il profilo del personaggio in piedi a sinistra, nel primo, e quello del giovane con brocca, nella seconda. Il brano alla sinistra del Concilio Lateranense iii rappresenta uno dei provvedimenti di minore rilievo tra quelli presi in quell’occasione: la Proibizione dei tornei cavallereschi. Evidentemente, come recita l’iscrizione (laicorum et clericorum mores ad veterem disciplinam restituuntur), si è voluto sottolineare l’intento moralizzatore di Alessandro iii e dell’imperatore Federico i. L’esecuzione – come per la bella veduta di Roma sul breve muro che gli sta di fronte – si deve a una mano diversa dalla precedente. Sia la dinamica scena di torneo, sia le figure di ecclesiastico e di soldato in primo piano rinviano alla tornita e un po’ ridondante cifra stilistica del marchigiano Giorgio Picchi114. Nella Roma cristiana di Sisto v si può invece rintracciare l’intervento di uno degli specialisti di paesaggio che lavorarono al fianco di Paul Bril nei cantieri sistini. Ed è probabile che si tratti di un fiammingo, dato che l’arioso e idealizzato panorama romano che si apre dietro le personificazioni della Città eterna e del Tevere sembra ispirato ai paesaggi ideati da Mathijs Bril nell’ammezzato della Torre dei Venti in Vaticano115. Passando al lato settentrionale della Galleria, che conclude gli ambienti collegati al Salone e immette nelle Sale di Paolo v, si incontra il Concilio Lateranense iv. L’affresco principale è stato mutilato nel mezzo e in parte ridipinto per l’ingrandimento della porta. La porzione di sinistra, che evoca l’istituzione delle crociate, è stata attribuita a Ferraù Fenzoni da Giuseppe Scavizzi e ripropone i vigorosi caratteri stilistici della Biblioteca di Atene116. La parte destra, invece, non sembra del medesimo tenore, forse a causa di successive ridipinture: potrebbe appartenere allo stesso Fenzoni o a un pittore che gli si approssima. Un analogo problema attributivo si pone per un disegno quadrettato riguardante le figure virili alla destra della scena: si tratta di una porzione del progetto grafico da trasferire sul cartone (lo suggerirebbe la quadrettatura) oppure di una replica? Solo una diretta visione del foglio permetterebbe di dare una risposta117. Nelle porzioni di parete che affiancano il Concilio Lateranense iv compaiono san Domenico e san Francesco, fondatori dei due grandi ordini mendicanti. Nel primo affresco, già attribuito a Bernardino Cesari, fratello del più noto Giuseppe, il Cavalier d’Arpino, il santo di Guzmán, rappresentato nell’atto inquisitorio di ordinare il rogo dei libri eretici tenendo in mano «la scopa», invia Simone di Montfort a combattere

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gli Albigesi. Il santo di Assisi, invece, compare in sogno a Innocenzo iii mentre sostiene con le spalle la basilica lateranense pericolante. Per quel tratto minuto e per i profili quasi disegnati, che richiamano la più nota pala che l’artista dipinse negli stessi anni per la chiesa di S. Silvestro al Quirinale, entrambi i dipinti sono riconducibili all’eugubino Avanzino Nucci, a cui probabilmente appartiene anche la figura di Ulfila, sul sesto pilastro del Salone Sistino118. Tra le due finestre verso i giardini è raffigurato il Concilio Lionese i, colto nel momento della creazione dei nuovi cardinali (ai quali vengono imposti la porpora e il galero). Come nel Concilio di Vienne, che gli è di fronte, l’assise ha una struttura quadrangolare, forse ispirata a immagini come quella che illustra una sessione del Concilio Lateranense nel volume pubblicato nel 1521 da Giacomo Mazzocchi119. La simmetrica composizione è incentrata sull’altare, mentre i banchi sono collocati ad angolo retto sui due lati. Personaggi di corte (come i caudatari seduti a terra dell’Incoronazione di Carlo Magno nella Stanza dell’Incendio di Borgo) sono collocati all’interno e fuori del recinto assembleare. Questo affresco, sia nell’impaginazione prospettica, sia nella resa un po’ caricata dei volti, rivela strette affinità con la Biblioteca di Cesarea di Palestina, attribuita a Baldassarre Croce120. Il lato meridionale della Galleria accoglie le immagini del Concilio Lionese ii e di due episodi ad esso collegati. Per esplicitare che lo Spirito Santo procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio – formula che fu per breve tempo accettata anche dagli orientali – sono raffigurati due libri corali con il relativo passo del Credo, in latino e in greco. La presenza delle note musicali, che per il testo latino corrispondono alla melodia gregoriana, sembra offrire un elogio della musica sacra parallelo a quello espresso per le immagini sacre nel Secondo Concilio Niceno. L’autore della scena principale è lo stesso del concilio appena citato, vale a dire Giorgio Picchi121. Sul tratto di parete a sinistra appare Gregorio x che si riconcilia con i Greci al Concilio Lionese ii, mentre su quello di fronte è rappresentato il Battesimo di un re tartaro. Entrambi i dipinti sono di mano di un allievo di Federico Barocci, Antonio Viviani detto il Sordo di Urbino122. Il primo non è altro che una parodia della Visitazione del Barocci alla Chiesa Nuova, mentre il secondo ricava alcuni spunti da La verga di Mosè trasformata in serpente dipinto da Federico negli ambienti di Pio iv al Belvedere (per la fisionomia del vescovo) e dalla Sepoltura di Cristo di Senigallia: uno studio per la figura di san Giovanni che trasporta il corpo di Cristo mostra un modello vicinissimo al diacono che nel Battesimo si sporge per reggere il piviale del vescovo123.

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 208. Orazio Gentileschi, Concilio Lateranense iii.

Alla pagina seguente: 209. Pittore fiammingo?, Roma cristiana di Sisto v. 210. Attribuito a Baldassarre Croce, Concilio Lionese i. 211. Girolamo Nanni o Baldassarre Croce, Concilio di Vienne.

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 212. Giorgio Picchi, Concilio Lionese ii. 213. Antonio Viviani detto il Sordo di Urbino, Battesimo di un re tartaro.

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 214. Concilio di Trento, particolare con la firma di «Isabella de Arcangelo da Jesci».

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Per il dipinto raffigurante Gregorio x che si riconcilia con i Greci al Concilio Lionese ii esiste un piccolo disegno conservato a Siena124. Si tratta di una «prima idea» di Nebbia che, analogamente all’abbozzo per Costantino ordina il rogo dei libri ariani, subì lievi modifiche: dal raffronto con l’affresco risulta che la figura del papa non era posta sui gradini, ma sullo stesso livello del patriarca orientale. La scelta di evidenziare tale distinzione gerarchica deriva certamente dalle indicazioni dei programmatori delle immagini e rivela l’attenzione con cui questi sorvegliavano l’elaborazione dei progetti. L’ultimo affresco della Galleria illustra il Concilio di Vienne. Al centro siede Clemente v in atto di promulgare le Costituzioni clementine, mentre dalle finestre si vede lo svolgersi della processione per il Corpus Domini, la cui festa era stata confermata in quell’occasione. Riguardo al suo autore sono stati proposti i nomi di Girolamo Nanni, per alcune somiglianze con il Secondo Concilio di Costantinopoli, e di Baldassarre Croce, in particolare per l’espressività dei volti e la densità degli incarnati125. La questione potrà essere sciolta attraverso una migliore conoscenza dei due artisti. Caratteri stilistici affini compaiono, tra l’altro, nel riquadro sulla volta della seconda campata davanti all’ingresso del Salone Sistino. L’allegoria femminile, attorniata da un cerchio di angioletti che mostrano libri aperti, ricorda le figurette dal volto affilato della cappella della Vergine in S. Caterina dei Funari, citata da Baglione126. Il ciclo prosegue con il Concilio di Firenze, sul lato sud della seconda camera di passaggio al Salone Sistino. Il dipinto, interrotto in modo decentrato da una finestra, simula un arazzo che ricopre anche le due paretine perpendicolari. A sinistra, davanti a papa Eugenio iv, si osservano i Greci, gli Armeni e gli Etiopi, tornati all’unità. A destra, presso l’altare, è l’imperatore Giovanni viii Paleologo e, sul fondo, appare una veduta idealizzata di Firenze con la cupola brunelleschiana troppo schiacciata, un massiccio campanile di Giotto e Ponte Vecchio. L’impostazione è originale e riesce a ottenere una certa unità della scena attraverso abili artifici prospettici. Le stesse considerazioni valgono per il Concilio Lateranense v, che gli è di fronte, illustrato nelle ridottissime pareti ad angolo. Chi scrive vi ha rintracciato elementi che riconducono al temperamento bizzarro del lucchese Paolo Guidotti, artista colto e singolare per i suoi interessi eccentrici127. Nel Concilio di Firenze, come nel Concilio Lateranense v, si rileva un misto di tradizione e di novità sperimentale, di gofferia e di raffinato virtuosismo; il tutto venato da uno spirito ironico e amante dei contrasti. Le premesse sono rintracciabili nella pittura del

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tardo Beccafumi: lo provano i faccioni obliqui dall’aspetto tra il mistico e il grottesco, lo scattare dei gesti, la potenza dei fasci luminosi del chiaroscuro. Specialmente il gusto di colori vividi e dissonanti rimanda a opere beccafumiane come l’Incoronazione della Vergine e santi della chiesa senese di S. Spirito (si notino i verdi e i cangiantismi dal rosso al giallo) e gli affreschi dell’abside del Duomo di Siena128. L’invadenza dei personaggi, vigorosi e trasognati, sul proscenio dei due concili, sembra anticipare quella degli estrosi affreschi della Sala del Cavaliere nel Palazzo Odescalchi di Bassano Romano. Chi scrive aveva ipotizzato un intervento di Guidotti nella volta della camera esposta a nord, per l’affinità riscontrata nelle immagini delle quattro Cappelle papali (S. Maria Maggiore, S. Croce in Gerusalemme, S. Maria del Popolo, Ss. Apostoli) animate da stralunati personaggi in pose teatrali. Gli stessi caratteri stilistici compaiono anche in numerose figurette marginali degli strombi delle finestre del Salone Sistino (ad esempio nella quarta e nella quinta finestra verso nord, nella seconda e nella quarta verso sud)129.

Una donna tra i pittori di Sisto v? L’affresco che conclude il ciclo dei concili occidentali, collocato sul lato sud della camera attigua (di fronte al Concilio Lateranense iii) è dedicato al Concilio di Trento. L’immagine, separata nel mezzo dall’arco di passaggio, vuol essere aderente alla realtà: riproduce infatti la forma semicircolare dell’assemblea secondo l’iconografia ormai canonica, diffusa attraverso alcune stampe e riproposta da Pasquale Cati, proprio in quegli anni, nella cappella Altemps di S. Maria in Trastevere. Solo in via ipotetica avevo avanzato un’attribuzione al bolognese Antonio Scalvati, un allievo di Bartolomeo Passerotti specializzatosi come ritrattista e segnalato dalle fonti tra i pittori presenti nella Biblioteca Sistina130. Tuttavia, un attento esame del dipinto mi ha permesso di scorgere una firma, vergata su uno dei volumi disposti sul proscenio della porzione di sinistra, che sembra essere una firma dell’autore. Vi si legge: «Isabella de Arcangelo da Jesci». Il nome, dunque, di una donna pittrice, che sarebbe salita sui ponteggi della nuova biblioteca assieme alla folta schiera, tutta maschile, degli artisti ingaggiati da Guerra e Nebbia. Da una prima ricerca non sono emersi dati su questa ipotetica pittrice, ma solo qualche informazione su Arcangelo Aquilini da Jesi (1560-1611), che negli anni ottanta del Cinquecento si trovava a Roma (nel 1592 fu tra i firmatari

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana 215. Bernard van Rantwijck (?), Trasporto dell’obelisco vaticano. 216. Bernard van Rantwijck (?), Cavalcata di Sisto v per la presa di possesso del Laterano.

per la nuova fondazione dell’Accademia di S. Luca), città nella quale soggiornò fin verso il 1600131. La sua origine marchigiana e qualche contatto con Angelo Righi, allievo di Cesare Nebbia, possono far supporre un suo coinvolgimento nei cantieri sistini, ma non risulta che egli avesse una sorella o una figlia di nome Isabella132. Pertanto la questione resta aperta, nella speranza che ulteriori ricerche possano fornire notizie chiarificatrici. Tuttavia, c’è da chiedersi come mai nell’affresco compaia questa «firma», che è l’unica finora rintracciata nei cicli pittorici sistini. Si potrebbe pensare a un omaggio rivolto dal frescante di turno a una sconosciuta Isabella, ma dato il soggetto del dipinto e il contesto nel quale si colloca, tale ipotesi non sembra credibile. In realtà, il fatto che all’interno delle scritture simulate nelle pagine aperte del libro (simulazioni sempre illeggibili nella Biblioteca Sistina) siano decifrabili solo il nome femminile e il suo probabile patronimico, induce a identificarla con una firma, apposta dall’autrice per evidenziare l’eccezionalità del suo intervento. Se tale ipotesi fosse confermata, se ne ricaverebbe un evento del tutto inedito: già nel Cinquecento c’erano donne pittrici, come le celebri Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, professioniste stimate e affermate, ma non è ancora emersa una partecipazione femminile a un ciclo di affreschi. E c’è da stupirsi che un papa rigoroso come Felice Peretti abbia consentito tale inconsueta inclusione: data la mentalità del tempo, si può immaginare una donna accanto a numerose presenze maschili soltanto in condizioni di separatezza, forse su un ponteggio isolato dagli altri. Si tratterebbe, dunque, di un caso eccezionale, giustificabile forse attraverso qualche legame già da tempo instaurato da Felice Peretti con Arcangelo da Jesi e con Isabella, forse favorito dalla comune origine marchigiana133.

Le «Opere buone» di Sisto v e altri dipinti Oltre ai cicli pittorici già descritti, la Biblioteca Vaticana comprende un consistente numero di immagini relative alle opere intraprese da papa Peretti a Roma e nello Stato pontificio. Nel Salone Sistino, alla base delle volte e nelle quattro lunette di testa, diciotto riquadri, come fossero altrettante finestre, mostrano le imprese urbanistiche e architettoniche promosse da Sisto v, le celebrazioni salienti del suo pontificato e quattro originali figurazioni allegoriche che ne esaltano il buon governo e le istituzioni ad esso finalizzate134. Le volte delle due camere di passaggio contengono le otto Cappelle

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papali, che papa Peretti ripristinò nelle basiliche maggiori secondo l’antica tradizione, mentre le due lunette della Galleria sono dedicate al complesso del Laterano, raffigurato sia nello stato precedente alle ricostruzioni sistine, sia in quello successivo. La serie prosegue nei due locali della Libreria segreta con altre dieci «Opere buone» di Sisto v (nelle lunette) e quattro scene di grandi dimensioni (sulle pareti di testa). Queste ultime rappresentano Sisto v proclama san Bonaventura Dottore della Chiesa, la Canonizzazione di san Diego, il Trasporto dell’obelisco vaticano e, per celebrare il completamento della cupola di Michelangelo, una veduta ideale della Basilica di S. Pietro. Come la gran parte della decorazione della Libreria segreta, realizzata nel 1589, i quattro dipinti in questione sembrano formulati su idee di Giovanni Guerra, che ebbe un ruolo determinante nella progettazione dell’intera decorazione della Biblioteca Sistina, ma del quale non sono stati ancora rintracciati i relativi progetti grafici. Non a caso gli ultimi due affreschi, pur con l’adattamento alle proporzioni delle pareti centinate, riproducono con buona approssimazione due celebri incisioni eseguite da Natale Bonifacio nel 1586 e nel 1587 su disegno del maestro modenese135. L’esecuzione di questa vasta serie di pitture murali è opera di artisti di differente spessore e formazione. Tra gli specialisti del paesaggio, alcuni potrebbero appartenere al gruppo di fiamminghi attivi a Roma e, tra questi, a Paul Bril che, durante il pontificato di Sisto v, «fece i Paesi nelle storie da’ Pittori di quel tempo condotte»136. Sulla base di tale indicazione sono stati fatti vari tentativi di rintracciare la sua mano nelle ambientazioni paesaggistiche di numerosi dipinti della Biblioteca Vaticana. Tuttavia, di recente Francesca Cappelletti ha teso a ridimensionare notevolmente tale presenza, escludendo il suo intervento nelle scene che gli erano riferite nella volta della Sala degli Scrittori: per la studiosa quelle dedicate alla Fabbricazione della carta, alla Lettura e alla Scrittura sono da ricondurre a un collaboratore di Antonio Tempesta137. L’osservazione è condivisibile, per il ricorrere di tipici elementi usati dal pittore fiorentino sia nei brani di paesaggio sia nelle piccole figure che li animano. In ogni caso, è possibile che Bril abbia partecipato a questo cantiere pittorico in qualità di progettista: lo può ad esempio suggerire l’Allestimento della flotta pontificia, scena in cui la tipologia delle navi e dei flutti ricorda la Battaglia in un porto orientale da lui dipinta nella Sala di Costantino del Palazzo Lateranense138. Tra i non pochi specialisti di pitture ornamentali che offrirono il loro contributo nella Biblioteca Sistina, è possibile

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identificare Cesare Conti, pittore marchigiano, ricordato da Baglione come brillante e versatile decoratore139. A partire da ciò che resta della controfacciata di S. Spirito in Sassia e dagli affreschi che fiancheggiano l’altare maggiore del Santuario delle Vergini a Macerata, è possibile riconoscere i suoi corpulenti e giocosi angioletti nella prima stanza della Libreria segreta: nel riquadro al centro della volta compaiono sette figurette in volo che sostengono il cartiglio con la scritta dedicatoria140. Gli affreschi di Macerata con la Caduta della manna e Davide accolto dai sacerdoti, oltre a una certa perizia nel paesaggio, mostrano un’adesione a stilemi del manierismo internazionale (le figure umane sono allungate e mosse, la cromia è chiara e vivace) analoga a quella di Vincenzo Conti, suo più giovane e brillante fratello. Gli stessi elementi sono rintracciabili in Sisto v proclama san Bonaventura Dottore della Chiesa e nella Canonizzazione di san Diego, della prima stanza della biblioteca segreta: le scene sono affollate di vivaci figurette, realizzate con un andamento rapido e talvolta abbreviato, che sembra proporre in modo semplificato gli stessi modelli che Vincenzo Conti realizza con maggior vigore espressivo. E non è da escludere che quest’ultimo abbia eseguito il gruppo di personaggi, dalle tipiche fisionomie corrucciate, che compaiono a sinistra in primo piano del San Bonaventura proclamato Dottore della Chiesa141. L’abilità di Cesare Conti come decoratore è stata messa a frutto anche nelle parti marginali: gli ornati delle finestre presentano numerose figurette di sua mano: ad esempio quelle femminili sedute o erette (sopra la seconda finestra verso sud e a destra della quinta sul lato opposto) che ripropongono il medesimo modello usato in scala maggiore in alcune allegorie della Galleria Giustiniani142. Tra gli artisti stranieri che possono aver partecipato a questa decorazione c’è il pittore di Nimega Bernard van Rantwijck, attivo a Siena nell’ottavo e nono decennio del Cinquecento, che soggiornò anche a Roma, dove risulta documentato nel 1596143. Il termine di confronto più efficace per riconoscere i suoi interventi è rappresentato dalle cinque tele del 1583 che raffigurano la Traslazione della testa di sant’Andrea da Patrasso a Roma, oggi conservate nel museo diocesano di Pienza. Le sue tipiche figurette dai visi aguzzi e dalle movenze un po’ teatrali sono rintracciabili sia nel Salone Sistino, sia nella Libreria segreta. È facile riconoscerle nel grande dipinto con il Trasporto dell’obelisco vaticano, ma anche nella nota Cavalcata di Sisto v per la presa di possesso del Laterano tradizionalmente assegnata ad Antonio Tempe-

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Una Babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana

sta, che si trova sopra all’originaria porta di accesso al Salone (e per questo di meno immediata percezione). Caratteristiche simili sono ravvisabili anche nei personaggi dell’Incoronazione di Sisto v, attigua alla scena precedente, nella lunetta con Sisto v che impartisce la benedizione dal vecchio Patriarchio lateranense, nella parete nord della Galleria, e nelle quattro Cappelle papali già ricordate144. Baglione ricorda espressamente altri due pittori che hanno lavorato nella Biblioteca Sistina: Prospero Orsi, del quale non sono stati ancora identificati gli interventi, e Cesare Torelli, per il quale è stata avanzata una proposta attributiva. Il primo quasi certamente ha lavorato alle grottesche e ad altre parti marginali, data la specializzazione che gli ha procurato il soprannome di Prosperino delle Grottesche145. Il secondo ha probabilmente realizzato Nicostrata, la mitica inventrice dell’alfabeto latino, sul quinto pilastro del Salone Sistino. La figura solenne, avvolta in ampi e morbidi panni, ha una stretta somiglianza con la santa martire velata della pala con Sant’Adriano e santi, l’unica opera certa di Torelli146. Le corrispondono l’aspetto austero del volto, le mani affusolate e, soprattutto, la cura dei contrasti chiaroscurali, forse dovuta alla sua formazione presso il pittore toscano Giovanni de’ Vecchi. Tra i cantieri pittorici sistini, quello della Biblioteca Vaticana, con la sua densa e articolata trama figurativa, è forse il più riuscito. Come avvenne nella monumentale decorazione del Palazzo Lateranense, appaiono di elevata entità sia il numero dei pittori coinvolti (decisamente maggiore ai dati forniti da Baglione) sia la varietà degli orientamenti. La provenienza degli artisti è piuttosto differenziata ed è individuabile per aree regionali. Tra i diversi gruppi si notano gli umbri, sponsorizzati da Nebbia, gli emiliani, probabilmente sostenuti da Guerra, i marchigiani, favoriti dall’essere conterranei di Sisto v, e pittori di area lombarda e ticinese, forse proposti da Domenico Fontana. Le differenze stilistiche, come si è osservato, sono tutt’altro che mascherate e la volontà di ridurle a un unico linguaggio formale non appare molto marcata. All’interno dell’omogenea trama tematica – curata fin nel dettaglio dai collaboratori di Sisto v per raggiungere pienamente le finalità didattiche ed encomiastiche in programma – trova spazio una miscela di tendenze poco amalgamate. Le soluzioni estetiche che sono state adottate sembrano in gran parte quelle messe in atto nei decenni precedenti, in particolare nel cantiere farnesiano di Caprarola e nelle decorazioni

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promosse nel corso del pontificato di Gregorio xiii. Tuttavia, i cicli pittorici della Biblioteca Sistina sembrano offrire un terreno di nuove sperimentazioni che raggiungeranno una compiutezza formale solo negli anni successivi. Un ingrediente non secondario di questa fase di transizione è il recupero di moduli e stilemi classicheggianti. Qualche segnale in questa direzione si manifesta già nelle imprese pittoriche realizzate nel 1587 nella Cappella del Presepe di S. Maria Maggiore e nella Scala Santa; tuttavia nel cantiere vaticano questo orientamento sembra meno timido e sporadico. L’interesse per Raffaello, soprattutto da parte di Fenzoni, Lilio e Pozzo, fu certamente favorito da un diretto confronto con i suoi celebri affreschi nel palazzo pontificio. Altri artisti risentono di questo interesse e in particolare il bolognese Baldassarre Croce che, nei suoi ultimi interventi alla Scala, giunge a una monumentalità venata di classicismo. Non è possibile accertare se questo indirizzo fosse favorito da Guerra e Nebbia, perché in vari brani della Biblioteca si constata anche un disinteresse per l’opera dell’Urbinate; tuttavia è evidente che i modelli raffaelleschi adottati in alcune immagini fossero di loro gradimento. Il pragmatismo di entrambi, congeniale agli intenti di Sisto v, li spinse a privilegiare una logica imprenditoriale che considerava soprattutto la rapidità dell’esecuzione (la scarsa attenzione per la qualità estetica si rivela a più riprese negli affreschi). Tale atteggiamento pragmatico non escludeva un interesse per

opzioni stilistiche originali e innovative – ai pittori più dotati era infatti data l’occasione di manifestare al meglio la loro personalità e la loro ricerca formale – e favoriva le diverse specializzazioni: non a caso l’età sistina contribuì non poco allo sviluppo dei diversi generi pittorici, e in particolare del paesaggio, che di lì a breve otterranno uno statuto autonomo. Dall’insieme di questa impresa decorativa emerge un quadro ordinato e gaio, seppur poco omogeneo dal punto di vista stilistico, all’interno del quale hanno trovato spazio i differenti linguaggi individuali e «regionali». E a Guerra e Nebbia vanno riconosciute, data la complessità e vastità del cantiere, notevoli capacità progettuali e organizzative: lo dimostrano la valorizzazione degli artisti più qualificati, la comprensione delle affinità elettive e, al tempo stesso, lo sforzo non indifferente di governare, contemporaneamente in diversi cantieri, la coabitazione di soggetti abituati a esprimersi nei loro diversi vernacoli. In questa sorta di crogiuolo linguistico, denso di relazioni e di scambi, dentro un amalgama di componenti già ampiamente collaudate del tardo manierismo e di nuove sperimentazioni, sembrano affiorare fermenti qualificati, che raggiungeranno una forma compiuta solo nel decennio successivo. Non è un caso, infatti, che in questa fase di «gestazione» abbiano potuto compiere uno stimolante tirocinio numerosi pittori, ancora giovani, che diverranno protagonisti della pittura europea del primo Seicento.

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217, 218. Paolo Portoghesi, Progetti del tavolo degli studiosi per il Salone Sistino, 2011, disegni a penna.

Il Salone Sistino oggi Paolo Portoghesi

Il compito di progettare la restituzione del Salone Sistino alla sua originaria funzione di biblioteca e sala di lettura non è stato per chi scrive soltanto un alto onore, ma anche la gradita occasione di contribuire all’affermazione di un principio di grande importanza nella tutela e conservazione della eredità culturale del passato: quello della opportunità, dove non ci siano ostacoli insuperabili, che un ambiente continui ad avere la funzione per la quale è stato costruito piuttosto che assumere quella «museale» di esibire se stesso nella sua integrità, privato però di una destinazione specifica. Certamente il Salone Sistino con la sua splendida decorazione e le immagini delle trasformazioni della città di Roma volute dal pontefice Sisto v è un affascinante spettacolo di per sé e documenta un momento singolare della cultura figurativa romana, ma la possibilità di contemplare questa preziosa galleria di immagini da parte degli studiosi all’interno di un organismo vivo, pienamente funzionante, senza che questo privi i visitatori dei musei di una visione sintetica attraverso le ampie vetrate, giustifica in pieno una scelta che sancisce il grande significato di una istituzione come la Biblioteca Apostolica che è forse, tra le più importanti biblioteche del mondo, la più nobile e antica. La Sala Sistina, dato lo splendore della decorazione policroma, potrebbe far pensare ad un ambiente adatto a ogni uso contemplativo e celebrativo, ma costituisce invece un esempio altissimo di ambiente inscindibile dalla destinazione per cui fu costruita. L’apparato decorativo infatti corrisponde a un impianto iconologico mirato, che celebra l’invenzione umana della scrittura e del libro e la presenza del libro nelle vicende storiche della Chiesa. La presenza degli inventori degli alfabeti nella decorazione dei pilastri, delle immagini delle più famose biblioteche dell’antichità e dei concili della Chiesa creano di fatto,

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intorno agli studiosi che consultano codici e libri, un’atmosfera unica, di carattere gioioso, che porta serenamente a vedere il proprio lavoro come qualcosa che si unisce a una grande costruzione umana, quella della conoscenza, priva di limiti temporali e qualitativi. Non è escluso che in un primo tempo la sistemazione sistina, realizzata costruendo un corpo di fabbrica ortogonale alle due gallerie del Cortile del Belvedere, prevedesse la collocazione fissa dei codici nei banchi, come nella sala della Biblioteca Laurenziana di Firenze progettata da Michelangelo, ma presto vennero costruiti, lungo tutte le pareti e intorno ai pilastri, degli scaffali che, restaurati e rinnovati, sono giunti fino a noi. Durante il pontificato di Pio ix, gli sportelli delle librerie sono stati decorati nel gusto dell’epoca con motivi floreali che poco si armonizzano con la tavolozza dei dipinti cinquecenteschi. Il progetto di trasformazione della destinazione d’uso prevede l’eliminazione parziale di questi sportelli per poter collocare all’interno delle preesistenti librerie i libri necessari per la consultazione diretta. Librerie supplementari della stessa altezza si aggiungeranno a quelle esistenti in modo da poter accogliere circa 30.000 volumi. Si avrà così, al posto dell’insistente e monotona veste decorativa dei vecchi sportelli, l’immagine dei libri che nella ricchezza e nell’accostamento casuale dei colori ben rappresenta l’infinita varietà delle conoscenze rese possibili dalla loro presenza. Particolare attenzione è stata rivolta alla progettazione dei tavoli per la consultazione, optando, dopo aver analizzato l’ipotesi di quattro posti per ciascun tavolo, per una soluzione a due posti con leggii incorporati, progettati in modo da potersi aprire in caso di necessità e inclinare secondo le preferenze dello studioso. L’iter progettuale, seguito con particolare interesse da Sua Eminenza il cardinale Raffaele Farina archivista bibliotecario,

che lo ha indirizzato costantemente nella direzione voluta dal prefetto mons. Cesare Pasini, dal vice prefetto dott. Ambrogio M. Piazzoni e dalla responsabile del Gabinetto delle Stampe dottoressa Barbara Jatta, ha reso possibile un continuo scambio di proposte, suggerimenti, perfezionamenti, che ha occupato un lungo periodo di tempo, consentendo di raggiungere un risultato attentamente collaudato nei suoi esiti funzionali ed estetici. Il problema dell’inserimento di un nuovo arredo all’interno di un ambiente di grande valore architettonico e artistico ha influenzato tutte le scelte con l’intento, pienamente condiviso da committente e architetto, di minimizzare l’impatto visivo e nello stesso tempo dare all’inserimento un carattere di armoniosa consonanza con l’esistente. Obiettivi nel disegno di tavoli, sedute e librerie sono stati perciò la leggerezza, la linearità, l’accordo proporzionale con i partiti architettonici. Come materiale è stato scelto il noce nostrano, l’essenza più usata e apprezzata nel periodo in cui il Salone Sistino venne realizzato. Nelle fiancate dei tavoli di lettura il compito statico di sorreggere il piano è scomposto in due ruoli differenziati: un elemento centrale rettilineo che scarica il peso su un sostegno orizzontale e due volute che rafforzano il sostegno e lo irrigidiscono. Viene così a crearsi, attraverso l’unione di quattro elementi distinti – il ritto, le due volute e il “dormiente” orizzontale (usiamo qui la nomenclatura suggerita da Mastro Zabaglia nel suo trattato sulle opere provvisionali) – una sagoma mistilinea che ricorda quella del cuore.

Prima di arrivare alla soluzione finale sono state individuate altre ipotesi, tutte verificate nel loro rapporto con la sala e i suoi colori, attraverso simulazioni della veduta d’insieme realizzate con il supporto dell’ordinatore e di una stampante. È stato così possibile valutare il diverso grado d’impatto visivo, i rapporti proporzionali e i valori cromatici e operare, insieme al committente, le scelte più idonee al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Per accentuare la leggerezza dei nuovi inserti si è sperimentato il ricorso a materiali diversi, fino alla trasparenza assoluta ottenibile attraverso l’uso del vetro e del perspex, scegliendo poi un tipo di leggerezza non legata all’uso di materie particolari, ma dipendente dalle forme adottate, e quindi più adatta a creare un dialogo con le forme dell’ambiente architettonico e le sue smaglianti decorazioni pittoriche. Anche la forma dei banchi ha subìto continue metamorfosi che hanno puntualmente seguito critiche e suggerimenti del committente. Per l’illuminazione dei banchi si è suggerita la realizzazione di lampade spostabili in struttura lignea con un paralume cubico di pergamena. Uno o due banchi di forma diversa saranno a disposizione degli studiosi per la consultazione dei codici di dimensione eccezionale che debbono essere consultati rimanendo in piedi. Per le sedute si dovrà scegliere tra una seggiola imbottita che ripete nello schienale il motivo delle volute contrapposte e una soluzione più semplice con seduta e schienale in legno che reinterpreta un modello assai diffuso nel Cinquecento.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana

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Capitolo Quinto

Da Leone xiii a Benedetto xvi: la sede attuale della Biblioteca Vaticana Paolo Vian

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Nuovi spazi per una nuova Biblioteca

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Cortile della Pigna

Cortile della Biblioteca

Nuova sede della Biblioteca Vaticana Cortile del Belvedere

Cortile di S. Damaso

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a. Sala Leonina Minore b. Torre dei Venti c. Salone Sistino, 1587 d. Sala Leonina, 1892 e. Deposito degli stampati, su più piani, nel braccio di Giulio ii, dal 1927 f. Ingresso attuale della Biblioteca, dal 1928 g. Sala di consultazione dei periodici, 2002 h. Deposito dei periodici, su più piani, nel braccio di Pio iv, 1971 i. Ingresso dell’Archivio Segreto Vaticano

Nel 1785, in una lettera al fratello Carlos, l’ex gesuita spagnolo Juan Andrés y Morell aveva descritto la Vaticana, ancora centrata sul Salone Sistino e sulle lunghe gallerie che da esso si dipartono, come una biblioteca senza libri, un luogo in cui manoscritti e stampati erano gelosamente chiusi negli armadi lungo le pareti e sfuggivano così alla vista del visitatore al punto di dargli l’impressione di non essere in una biblioteca ma in un «bibliotaphio», in una «tomba di libri». Se lo stesso personaggio fosse stato magicamente trasferito con la macchina del tempo agli inizi degli anni Novanta dell’Ottocento, negli ambienti rinnovati della Biblioteca Vaticana di Leone xiii, avrebbe sicuramente dubitato di trovarsi nella stessa biblioteca visitata un secolo prima. La svolta impressa alla vita dell’istituzione da papa Pecci fu infatti radicale e profonda («the awakening […] after a long sleep – almost a resurrection», come si espresse in modo forse troppo perentorio un protagonista della Vaticana del xx secolo, Eugène Tisserant) e si tradusse in una politica biblioteconomica e spaziale del tutto nuova rispetto ai secoli precedenti. Essa in pochi anni rinnovò volto e ambienti della Vaticana costituendo il primo passo di un processo proseguito con coerenza e continuità nei pontificati successivi. La Vaticana di Leone xiii (1878-1903) cerca dunque nuovi ambienti nei quali il libro divenga familiare strumento di lavoro messo a disposizione degli studiosi in scaffali aperti alla consultazione, esibito a un contatto costante e funzionale. Quasi al termine del «secolo della storia», dopo avere traumaticamente perduto il potere temporale, il pontificato romano apre con coraggio e lungimiranza il suo Archivio e la

sua Biblioteca a una più ampia consultazione degli studiosi. Fu allora che una biblioteca di palazzo di difficile (ma non impossibile) accesso incominciò a trasformarsi in un centro di ricerche per studiosi di ogni confessione e ideologia, nella certezza che la Chiesa non avrebbe avuto nulla da temere dall’onesta e disinteressata ricerca del vero. Così, mentre la città di Roma si riempiva di monumenti che esaltavano polemicamente il libero pensiero contro l’oscurantismo ecclesiastico, la Chiesa di Roma, non senza interne resistenze e sofferenze, apriva i suoi tesori eruditi e letterari ai ricercatori di tutto il mondo. Il problema di una nuova organizzazione degli spazi non era posto con insistenza solo dalla riconversione di ruolo e di indirizzo della biblioteca papale; alla ricerca di nuove soluzioni spingeva l’accumulo degli stampati che progressivamente si erano estesi a occupare le gallerie, con una particolare accelerazione a partire dalla prima Repubblica Romana (1798-1799) e nell’epoca delle requisizioni napoleoniche che, nei primi anni dell’Ottocento, convogliarono in Biblioteca cospicue raccolte di manoscritti e stampati di monasteri e conventi soppressi che finirono per contendere gli spazi ai Musei Sacro e Profano pertinenti alla Biblioteca, di origine settecentesca. Alla ricerca di altri ambienti, negli anni Trenta del xix secolo Gregorio xvi (1831-1846) aveva deciso di spostare buona parte degli stampati nell’Appartamento Borgia, all’estremità meridionale del Cortile del Belvedere, accanto alla Torre Borgia, a non grande distanza dalla prima sede niccolino-sistina della Vaticana. Si trattava di un’ulteriore estensione che occupava gli ultimi spazi ancora disponibili al livello del Salone Sistino. Ma la soluzione era avvertita come infelice e precaria per una molteplicità di ragioni: perché

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Da Leone xiii a Benedetto xvi: Biblioteca Vaticana

la sede attuale della

A pagina 310: 219. Pianta e alzato della Biblioteca attuale.

impediva la fruizione artistica degli ambienti affrescati dal Pinturicchio, perché allontanava gli stampati dal luogo di consultazione dei manoscritti (allora localizzato nel Vestibolo del Salone Sistino, in un ambiente illuminato da una sola finestra intorno alla quale si accalcavano, alla ricerca di luce, gli studiosi ammessi) e infine perché lo spazio era ridotto e l’ulteriore aumento degli stampati lo avrebbe presto esaurito. Era poi diffusa la consapevolezza che questi continui spostamenti degli stampati, che comportavano cambiamenti di segnature condizionate dagli ambienti di deposito dei volumi, erano esiziali per l’ordine e l’amministrazione del patrimonio degli stampati, a differenza di quanto accadeva nell’ambito dei manoscritti, contraddistinti da accessioni meno numerose e soprattutto legati a collocazioni stabili, negli armadi del Salone Sistino e delle gallerie adiacenti, che non ne modificavano periodicamente le segnature, e quindi con indici e inventari in qualche modo definitivi. Certo spinto da queste riflessioni Giovanni Battista De Rossi, il pioniere dell’archeologia cristiana, l’esponente più rappresentativo della Vaticana di Pio ix (1846-1878), stese nel maggio 1885 un progetto per la costruzione di un nuovo edificio, al di là del cosiddetto Stradone dei Musei, «dal lato del giardino pontificio», all’altezza del Salone Sistino e a esso collegato da un «ponte o cavalcavia» che avrebbe ospitato anche una sala di studio. La proposta di De Rossi, che si diceva interprete anche delle vedute del cardinale bibliotecario Jean-Baptiste Pitra (notoriamente in difficoltà nei suoi rapporti con Leone xiii anche in merito al nuovo indirizzo impresso alla Vaticana), ci appare oggi l’espressione di un partito perdente nella più o meno sotterranea lotta tra i fautori del nuovo corso e gli eredi della Vaticana ottocentesca, la «vecchia guardia» destinata a soccombere nelle grandi trasformazioni innescate dalle decisioni di Leone xiii. Di fatto la proposta di De Rossi non ebbe seguito e, per quanto promuovesse princìpi che sarebbero stati in seguito applicati a proposito dell’integrità dei fondi e della necessità di conservare il nesso fra la consultazione dei manoscritti e la disponibilità degli stampati, le scelte immediatamente successive si mossero in direzione diversa. Il 20 aprile 1889, a poche settimane dalla morte di Pitra, dopo un sopralluogo del segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro e del nuovo cardinale bibliotecario Placido Schiaffino, si decise di occupare gli ampi spazi dell’armeria sottostante al Salone Sistino per trasferirvi gli stampati dalla sede dell’Appartamento Borgia. La scelta compiuta fu decisiva per i futuri sviluppi dell’occupazione degli spazi della

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220. Estremità occidentale della sala di consultazione della Sala Leonina, con gli scaffali che coprivano interamente le pareti e scale mobili per raggiungere i palchetti più alti; sul fondo il busto di Leone xiii (1878-1903), opera di Giuseppe Ugolini.

Biblioteca Apostolica: per la prima volta, dal Cinquecento, l’estensione non avveniva più allo stesso livello del Salone Sistino ma nei livelli inferiori, verso il basso e verso il già esistente, scartando l’ipotesi di nuovi edifici. Si inaugurava così la terza fase della storia della Vaticana, quella «Leonina» appunto (dopo la «prima Sistina», di Niccolò v e di Sisto iv, e la «seconda Sistina», di Sisto v), caratterizzata dalla progressiva occupazione, proseguita lungo tutto il xx secolo, dei piani inferiori dell’edificio costruito da Domenico Fontana negli anni 1587-1589.

La Sala Leonina (1892) La nuova sede degli stampati della Vaticana era costituita da due grandissime aule con volta a botte, lunghe 56 m e insieme larghe quasi 14 m, alle quali si aggiunsero alle estremità due sale poste trasversalmente con volte a scafo, lunghe 15,50 m e rispettivamente larghe 8 e 7 m. L’individuazione apparve la scelta più plausibile anche perché i nuovi spazi rappresentavano un tratto di unione tra la sala di consultazione dell’Archivio Vaticano, allestita verso la fine degli anni Settanta, e quella della Biblioteca, collocata al piano superiore. Ma era proprio questo dislivello a creare un problema funzionale non di poco conto. Per risolverlo, dal maggio 1889, si costruì un piccolo edificio cubico nell’angolo sudorientale del Cortile della Stamperia (o Cortile della Biblioteca), con una scala di collegamento intercalata da pianerottoli. L’intenzione evidente era quella di garantire continuità spaziale, ma anche estetica e visiva, fra gli ambienti superiori e inferiori. Le volte dei diversi locali nel livello inferiore furono decorate, per opera di Ettore Cretoni, Giuseppe Aloisi e Tito Troia, «alla maniera degli Zuccari», con il deliberato intento di richiamare le grottesche cinquecentesche delle sale superiori. Il necessario aggiornamento fu garantito dall’introduzione nella decorazione delle sale – accanto agli stemmi pontifici e alle immagini del padiglione basilicale e di geni recanti libri e strumenti del sapere, con altri motivi ornamentali – delle armi gentilizie di papa Pecci (il cipresso e la cometa), accompagnate da targhette con l’indicazione: leo xiii – mdcccxc – a.s.p. xiii. Non fu invece decorata (e così è rimasta) la sala più orientale, una delle due sale poste trasversalmente rispetto alle aule principali, l’antica sala dello studio dei mosaici ora divenuta seconda sala di consultazione dei manoscritti, ma che al tempo di Leone xiii fu destinata a ospitare la «raccolta terza», la collezione

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Ruland e gli acquisti più recenti, in quanto, appunto, adibita a deposito. Le nuove sale furono riempite di scaffalature in ferro con palchetti di legno di pino collocate non solo alle pareti, ma anche perpendicolarmente a esse, per suddividere in varie sezioni lo spazio di quasi 1.000 m2, che alla fine risultò articolato in otto ambienti. Dopo un sopralluogo del papa (16 giugno 1890), accompagnato dall’architetto dei Sacri Palazzi Apostolici Francesco Vespignani, si decise di collocare all’estremità orientale della nuova sala una grande statua di san Tommaso d’Aquino, opera di Cesare Aureli, offerta dai seminari dell’orbe cattolico a papa Leone per il suo giubileo sacerdotale (1887); a ovest, dalla parte verso l’Archivio, fu invece sistemato un busto di Leone xiii opera di Giuseppe Ugolini. Il trasferimento dei volumi dall’Appartamento Borgia avvenne fra il 25 maggio e l’11 giugno 1891, in quattordici intense giornate di lavoro

di quindici operai. I 250.000-300.000 volumi furono disposti non per materia o formato ma cercando di rispettarne le provenienze storiche: la biblioteca di Angelo Mai, gli stampati delle cosiddette «prima», «seconda» e «terza raccolta», quelli di Heidelberg, del cardinale Zelada, dell’Aracoeli, sino ad arrivare a quelli, allora da poco pervenuti (1874-1875), dal bibliotecario di Würzburg Anton Ruland. Fra questi volumi Franz Ehrle, il gesuita protagonista dell’operazione, destinato a divenire il primo grande interprete della modernizzazione leonina, ne scelse circa 30.000, collocati nelle tre sale del lato di mezzogiorno (le più luminose), che divennero la sala di consultazione, la vera novità del nuovo allestimento, come puntualmente colse il resoconto de «La Civiltà Cattolica». In questa sala di consultazione i volumi vennero suddivisi in quaranta sezioni articolate in due grandi partizioni che riflettevano i bisogni della Biblio-

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la sede attuale della

221. Pianta della Biblioteca Leonina, articolata in quaranta sezioni. 222. La sala di consultazione degli stampati nell’attuale assetto; sul fondo la statua di san Tommaso d’Aquino, opera di Cesare Aureli, offerta dai seminari dell’Orbe Cattolico a Leone xiii per il suo giubileo sacerdotale (1887).

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 223. Altra prospettiva della sala di consultazione degli stampati nell’attuale assetto. 224. Giuseppe Ugolini, Busto di Leone xiii, posto all’estremità occidentale della sala di consultazione degli stampati.

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teca e dell’Archivio: la prima, dalla parte della Biblioteca, suddivideva i volumi secondo le materie e le scienze rappresentate dai codici della Biblioteca (S. Scrittura, Liturgia, Ss. Padri, Concili e così via); la seconda, dalla parte dell’Archivio, ripartiva gli stampati secondo i paesi e i soggetti la cui storia ha relazione con i manoscritti dell’Archivio (Spagna, Francia, Italia, Germania, ma anche Papi, Cardinali, Roma, Vescovati e monasteri, Cronologia e paleografia e così via). La bipartizione rispecchia un assetto in cui gli stampati della Biblioteca Apostolica erano posti a libera disposizione, non solo degli studiosi che frequentavano la Biblioteca per consultare i suoi manoscritti, ma anche dei ricercatori impegnati nell’Archivio Segreto, facilmente raggiungibile attraverso la porta di collegamento nella cosiddetta Sala Leonina Minore (la sala trasversale alla principale verso occidente). Ehrle, non ancora divenuto primo custode (ebbe la nomina definitiva solo nel giugno 1895, ma era allora già membro del Congresso della Biblioteca), dedicò più di un anno (dal

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maggio-giugno 1891 al novembre 1892) alla sistemazione dei volumi, mentre la raccolta di consultazione si incrementava per via di doni, scambi, suggerimenti provenienti da tutto il mondo dotto. Finalmente il 23 novembre 1892 le nuove sale vennero inaugurate dal cardinale bibliotecario Alfonso Capecelatro, con tutti gli officiali della Biblioteca e dell’Archivio, alla presenza degli ambasciatori di Spagna e Portogallo e di tutti i direttori degli istituti scientifici non italiani di Roma. Come ai tempi di Sisto v, la Vaticana tornava a essere organicamente inserita in un progetto culturale di ampio respiro con intenti apologetici, le cui grandi linee erano state definite dall’enciclica Aeterni Patris (1879) e dalla lettera del papa Saepenumero considerantes (18 agosto 1883) indirizzata ai cardinali Antonino De Luca, Joseph Hergenröther e Pitra. Nonostante le cure prestate, nelle sale non mancarono però marchiani errori di progettazione, deprecati dai manuali di biblioteconomia. Gli scaffali troppo alti, per esempio, voluti

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Da Leone xiii a Benedetto xvi: Biblioteca Vaticana

la sede attuale della

225. Guarino Roscioli, Busto di Pio xi (1922-1939), sulla parete di fondo della sala di consultazione dei manoscritti.

226. Busto di Franz Ehrle nella prima nicchia della parete destra della sala di consultazione dei manoscritti.

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per sfruttare più intensivamente lo spazio, comportarono l’uso di macchinose e rumorose scale, alcune spostate a mano, altre su castelli di legno scorrevoli e rulli di ferro. Si trattava in realtà del primo passo di un processo che comportò continui e costanti perfezionamenti. Il rovinoso crollo di parte del pavimento del sovrastante Salone Sistino (22 dicembre 1931) fu l’occasione di una ristrutturazione anche della Sala Leonina, che progressivamente perse l’articolazione in diversi ambienti finendo per assumere l’aspetto attuale di un’unica, grandiosa sala divisa in due navate dai pilastri di sostegno. Anche oggi la Sala Leonina costituisce per ampiezza e ricchezza dei volumi offerti alla consultazione a scaffale aperto il cuore, il fulcro della Vaticana. Illuminata da sei grandi finestre (più una nella Sala Leonina Minore) che si affacciano sul Cortile del Belvedere, essa dispone di 104 posti; i volumi in consultazione a scaffale aperto, accessibili utilizzando anche un piano rialzato di ballatoio, sono circa 75.000, ai quali si aggiungono i 15.000 della Sala Leonina Minore.

grande vantaggio di essere a pochi passi dalla Sala Leonina, da essa separata soltanto da una delle due sale con la volta a scafo perpendicolari alla Sala Leonina (l’attuale seconda sala di consultazione dei manoscritti). Come accennato, nel primo assetto degli anni Novanta dell’Ottocento, questa sala era adibita a magazzino di stampati; in seguito, prima della nascita del Pontificio Istituto Biblico (1909) con sede a piazza della Pilotta, vi fu sistemata la «biblioteca biblica» che però Ehrle constatò essere poco frequentata (in Italia, a suo avviso, solo Antonio Ceriani e Giovanni Mercati erano preparati per utilizzarla). Visitando la sala di consultazione dei manoscritti nel 1927 il bibliotecario americano William Warner Bishop la ritenne adeguata quanto a misure e luminosità, per il presente e per il probabile uso futuro. Nel 1935 alla sala – dominata da uno stemma di Sisto v sul soffitto, con copie di statue classiche in alcune nicchie e con un

La sala di consultazione (1912) e il deposito dei manoscritti L’inaugurazione del 1892 aveva per la prima volta dato vita a una Biblioteca articolata su due livelli: quello superiore, storico, al piano del Salone Sistino, per la consultazione dei manoscritti nel cosiddetto Vestibolo del Salone Sistino o «Sala degli Scrittori» (ma dal 1885 al suo posto fu utilizzata una sala più ampia e luminosa, con finestre sul Cortile della Biblioteca), e quello inferiore, per la consultazione degli stampati, sia quelli che oggi definiremmo di magazzino sia quelli utilizzabili a scaffale aperto. La già ricordata soluzione dell’edificio cubico con scala di collegamento dei due livelli, per quanto funzionalmente soddisfacente, non era però comoda né ideale per chi volesse consultare contemporaneamente manoscritti e stampati. Così, nel 1912 fu inaugurata una nuova sala (l’attuale) per la consultazione dei manoscritti (lunga ca. 25 m e larga quasi 7), in un locale prima occupato dai compositori della Tipografia Vaticana che Pio x (1903-1914) aveva trasferito (1909) nell’edificio della Cavallerizza delle Guardie Nobili, in uno spazio antistante al torrione di Niccolò v, a pochi metri dalla chiesa di S. Anna dei Palafrenieri. Illuminata da quattro grandi finestre sul Cortile della Biblioteca, la nuova sala manoscritti, parallela a quella dell’Archivio Vaticano, presentava il

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A fronte: 227. La sala di consultazione dei manoscritti nel 1936, dopo i miglioramenti apportati nel 1935. 228. Il catalogo degli stampati (1928) nel piano sottostante alla Sala Leonina. 229. Il piano più elevato del deposito degli stampati.

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busto bronzeo di Pio xi di Guarino Roscioli, sotto la copia di un crocifisso trecentesco sulla parete di fondo – vennero apportati alcuni miglioramenti, abbassando il pavimento e allargando le finestre. La nuova localizzazione della sala di consultazione dei manoscritti comportò necessariamente lo spostamento del deposito dei manoscritti, sino agli inizi del Novecento, ancora negli armadi del Salone Sistino e delle gallerie adiacenti. Si trattava di individuare un deposito prossimo alla sala per permettere un agevole spostamento dei manoscritti richiesti in consultazione. La scelta cadde naturalmente sull’edificio che chiudeva a oriente il Cortile della Biblioteca, facendo angolo a meridione con l’edificio di Sisto v e a settentrione col cosiddetto «Braccio Nuovo» eretto da Pio vii (1800-1823) fra il 1817 e il 1822 su progetto di Raffaele Stern per ospitarvi gli sviluppi dei Musei Vaticani. Articolato su quattro piani e sovrastante alla sala manoscritti, il nuovo deposito era collegato alla sala da un montacarichi idraulico adibito solo al trasporto dei manoscritti che l’addetto prelevava e inseriva a seconda delle richieste, spostandosi da un piano all’altro per mezzo di una scala a chiocciola metallica. Privo di luce elettrica per timore degli incendi (un principio di incendio era scoppiato nel novembre 1903, provocando animate polemiche fra le due Rome ancora fieramente contrapposte e lasciando un vivo senso di allarme e severissime precauzioni), il deposito apparve nel 1927 a Bishop comodo (per la contiguità con la sala di consultazione) ma antiquato; il custode preposto al prelievo dei manoscritti si muoveva al suo interno utilizzando torce elettriche. Nel 1929 il montacarichi fu sostituito da un ascensore. Ma le guerre mondiali novecentesche, con i pericoli dei bombardamenti aerei, misero in luce altri limiti del deposito multi-piano dei manoscritti, esposto a minacce dall’alto che agli inizi del secondo conflitto indussero a sgomberare gli ultimi due piani, mentre nel 1942 i manoscritti più preziosi furono trasferiti in un locale sottostante alla Sala, ora dei Musei Vaticani, detta delle Nozze Aldobrandini.

secoli trascurati a vantaggio di uno sviluppo naturalmente lineare lungo le «gallerie» del «braccio di Pio iv» del Cortile del Belvedere (o «corridore di ponente»). L’ubicazione delle nuove sale aprì naturalmente nuove prospettive inducendo alla scelta di collocare il deposito degli stampati (per necessità funzionalmente vicino al luogo di consultazione degli stampati) nel «braccio di Giulio ii » (o «corridore di levante»). Essa avvenne durante il pontificato di Pio xi (1922-1939), l’antico prefetto della Vaticana, il bibliotecario divenuto papa ma rimasto nel cuore un bibliotecario, sempre prodigo di attenzioni per la sua Biblioteca, nel momento in cui la Vaticana, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, affrontava la seconda fase della modernizzazione intrapresa da Leone xiii con un privilegiato rapporto col mondo della biblioteconomia statunitense. Un orientamento assolutamente originale nel panorama contemporaneo delle biblioteche non solo italiane ma europee. Così, mentre per la realizzazione dell’antico desideratum di un catalogo

Il deposito degli stampati (1927) e gli sviluppi degli anni Trenta Con la collocazione delle due sale di consultazione nella Sala Leonina e in quella, contigua, dei manoscritti, la Vaticana aveva intrapreso l’occupazione progressiva e lo sfruttamento degli spazi sottostanti al Salone Sistino, in livelli per

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230. Pio xi inaugura la nuova sede del Gabinetto delle Stampe (15 novembre 1931).

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unico degli stampati, sette bibliotecari furono inviati fra il 1927 e il 1933 a prepararsi negli Stati Uniti nelle pratiche catalografiche e biblioteconomiche delle università e delle biblioteche americane, papa Ratti decise di dedicare al nuovo deposito degli stampati i locali delle antiche scuderie (in basso) e dell’officina dei mosaici (in alto). Un grandioso castello autoportante (che dunque non gravava sull’edificio ma scaricava direttamente sul terreno il peso immane della struttura e del patrimonio librario a stampa) di scaffalature in acciaio e ghisa (standard stacks), fornite dalla ditta Snead del New Jersey (che delle stesse aveva provveduto la Library of Congress di Washington), fu allestito prima su tre, poi quattro (1931), in seguito sei piani, con una lunghezza che, se per i primi tre piani arrivava all’altezza della porta d’ingresso al Cortile del Belvedere, per i piani superiori (dal quarto al

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sesto) si sarebbe in seguito estesa all’intera lunghezza del Cortile. Da allora, per oltre ottant’anni e ancora oggi, quel deposito è stato l’alloggio della parte più consistente degli stampati della Vaticana (circa 800.000 volumi), articolato su diversi piani comunicanti con scale interne ma collegati anche da un ascensore (il primo nella storia dell’istituzione). In fondo al quarto piano, il 15 novembre 1931, Pio xi inaugurò la nuova sede del Gabinetto delle Stampe, mentre in altri ambienti visitò le sedi rinnovate dei laboratori fotografico e di restauro. Nel piano sottostante alla Sala Leonina, nel grande spazio diviso anch’esso in due grandi navate, venne invece collocata a partire dagli anni Trenta la sede del catalogo degli stampati, con gli strumenti bibliografici necessari al lavoro, ma anche con una seconda copia del catalogo cartaceo a schede mobili che progressivamente andava

231. Navata settentrionale della sala di consultazione degli stampati, con il catalogo «a dizionario» su schede mobili.

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232. Pio xi inaugura il nuovo ingresso della Biblioteca Vaticana (20 dicembre 1928).

234. Scalone monumentale di accesso alla Biblioteca nell’assetto assunto nel 1959.

233. Scalone monumentale di accesso alla Biblioteca, nell’assetto assunto sotto il pontificato di Pio xii (1939-1958).

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formandosi ed era messo a disposizione del pubblico degli studiosi al piano superiore, nella navata settentrionale della Sala Leonina. Negli spazi degli uffici del catalogo, fra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Ottanta del Novecento fu realizzato il catalogo «a dizionario» degli stampati vaticani su schede mobili, oggi contenuto in dieci blocchi, con 1.680 cassetti e circa 5.000.000 schede (fra queste si riconoscono ancora quelle manoscritte, con la caratteristica scrittura goticheggiante, del trentino Alcide De Gasperi). Reso in qualche modo obsoleto dall’informatizzazione degli anni Novanta del xx secolo, l’imponente schedario rimane ancora a testimonianza di un gigantesco sforzo di generazioni di bibliotecari vaticani.

Il nuovo ingresso (1928): la separazione dal Palazzo La decisa conversione verso i livelli inferiori dell’edificio sistino intrapresa dall’istituzione negli anni Venti del Novecento avveniva nell’ambito di una più vasta pianificazione e riorganizzazione urbanistica di quella che con i Patti Lateranensi del 1929 era divenuta la Città del Vaticano. In quegli anni Giuseppe Momo allestì, quale principale accesso alla Città, l’ingresso di S. Anna, ancora oggi dominato dalle aqui-

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235. Costruzione del deposito manoscritti nel Cortile della Biblioteca (1982-1983).

le dello stemma di papa Ratti, e si incominciarono a occupare poco per volta con nuovi edifici (la Tipografia, il Palazzo delle Poste, l’Autoparco) gli spazi che lungo una lieve salita lo separano dal Cortile del Belvedere, contemporaneamente riscattato dall’architetto Luca Beltrami e assurto da «vasta corte di campagna» a centro nevralgico dei quartieri della neonata Città a settentrione della basilica e della piazza S. Pietro. Lo stato del Cortile alla metà degli anni Venti, prima dei radicali interventi del volitivo pontefice lombardo, è efficacemente descritto da un testimone di quegli anni, Eugène Tisserant: «Al pianterreno della galleria bramantesca orientale si trovava la scuderia dei cavalli, mentre le carrozze occupavano il locale simmetrico della galleria occidentale, e nel pianterreno del Braccio Vecchio si trovano camere per i palafrenieri di servizio e riserve di fieno, di paglia, di biada. Nel cortile con riquadri di selci a mezzo coperti dall’erba, erano a spasso galline, anitre e pecore». Da quel Cortile rinobilitato, nel cui emiciclo meridionale avrebbe fatto collocare una copia della statua seicentesca della «Mater Sapientiae» di Marco Antonio Prestinari conservata nella Biblioteca Ambrosiana, papa Ratti decise di dare accesso alla Biblioteca Vaticana, con l’inaugurazione solenne del nuovo ingresso (20 dicembre 1928). Si trattò davvero di una svolta, per taluni versi un evento simbolico, il compimento del processo inaugurato dall’apertura leonina. Per quanto già

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Pio x nel 1911 e il Regolamento della Biblioteca Vaticana del 1923 avessero previsto l’ingresso dallo Stradone dei Giardini e quindi dal Cortile della Biblioteca, sino allora l’accesso alla Vaticana era sostanzialmente quello descritto con umoristica precisione da Pierre de Nolhac in un articolo del 1921 (ma i suoi Souvenirs si riferiscono agli anni Ottanta dell’Ottocento) attraverso un percorso tutto interno ai Palazzi Apostolici: dal portone di bronzo attraverso la Scala Regia sino al Cortile di S. Damaso e poi dalle logge affrescate da Giovanni da Udine alla Galleria Lapidaria allestita da Gaetano Marini, sino alla porta bronzea di Sisto v (ma con le api barberiniane di Urbano viii). Il nuovo ingresso di fatto allentava il rapporto della Biblioteca col Palazzo Apostolico, rendendo la prima autonoma dal secondo: non è forse un caso che due cardinali bibliotecari, il cardinale Franz Ehrle incontrando il giovanissimo don Giuseppe De Luca nella prima metà degli anni Venti del Novecento e il cardinale Giovanni Mercati parlando con mons. Giovanni Antonazzi all’inizio degli anni Cinquanta, abbiano stigmatizzato il modesto afflusso di ecclesiastici, romani e di Curia, nelle sale della Biblioteca. Stimolo o espressione di questa progressiva laicizzazione e di questa disaffezione del Palazzo per una Vaticana ormai non più solo domestica, anche il nuovo ingresso della Biblioteca del 1928 fu un primo passo perfezionato successivamente. Sotto Pio xii fu completato lo scalone di collegamento con

l’edificio cubico di Leone xiii, mentre fu sotto il pontificato di Giovanni xxiii (1959) che l’ingresso assunse l’aspetto che avrebbe conservato sino ai lavori degli anni 2007-2010, con la collocazione in dominante posizione centrale della cosiddetta «statua di Ippolito» riportata in Vaticana (dove era stata dal ritrovamento cinquecentesco sulla via Tiburtina sino a Pio ix) dal Museo Lateranense. Dall’atrio partiva uno scalone in travertino articolato in due rampe che si ricongiungevano nell’unico tratto finale della scala a quella leonina all’interno dell’edificio cubico nell’angolo meridionale del Cortile della Biblioteca.

Il deposito dei periodici (1971), il nuovo deposito dei manoscritti (1983) e le innovazioni degli anni Settanta-Ottanta Le scelte decisive ormai sono fatte e nei decenni successivi la Vaticana perfeziona gli orientamenti intrapresi. Dopo la stasi dei pontificati di Pio xii (1939-1958, impegnato sul fronte della guerra e della ricostruzione) e di Giovanni xxiii (1958-1963, troppo breve per lasciare un segno nella politica dell’occupazione degli spazi), è con Paolo vi (1963-1978) che si torna fattivamente a pensare alle esigenze di sviluppo degli ambienti ove ospitare le sempre crescenti collezioni. Mentre

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 236. La nuova «Torre dei manoscritti» (a sinistra) e l’edificio cubico di Leone xiii ora sopraelevato (a destra) nel Cortile della Biblioteca.

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l’Archivio Segreto intraprende i primi passi dell’impresa del suo nuovo deposito sotto il Cortile della Pigna, inaugurato nel giugno 1980 da Giovanni Paolo ii (1978-2005), la Biblioteca Apostolica nel marzo 1966 ottiene (in cambio dei locali della primitiva biblioteca niccolino-sistina, poi passati alla Floreria Apostolica e infine assegnati al neocostituito sinodo dei vescovi) larghi spazi nel «braccio di Pio iv» del Cortile del Belvedere, nel «corridore di ponente», ove, a livelli diversi, convivono (e il fatto è significativo) i Musei Vaticani (anche con la Galleria delle Carte geografiche), l’Archivio Segreto e la Biblioteca. Nei locali già dell’Autorimessa Nobile (Locale delle Carrozze) fra il 1968 e il 1971 viene allestito un deposito di quattro piani per i periodici della Biblioteca in continua crescita, che per la prima volta ricevono uno spazio esclusivo loro dedicato (il deposito ospita oggi circa 10.400 riviste, per circa 400.000 volumi). L’inaugurazione sostanzialmente coincide con l’inizio della prefettura (19711984) del salesiano austriaco Alfons M. Stickler, col quale si apre una fase particolarmente intensa per la storia edilizia della Vaticana contemporanea, che continua a intrecciarsi con la complessa partita di assegnazione di spazi contesi fra istituzioni diverse nell’angusto spazio dei palazzi vaticani. Alla fine degli anni Sessanta, la Vaticana perde l’Appartamento Borgia, destinato a sede della nuova collezione di arte religiosa moderna dei Musei Vaticani, ma ottiene quale risarcimento ampi spazi al di sopra della Galleria Lapidaria, nei piani più alti del «corridore di levante». In essi, negli anni 1974-1976, viene trasferito il Gabinetto Numismatico, che libera spazi in fondo al quarto piano del deposito stampati, ove dal 1978 vengono concentrati i fondi archivistici della Biblioteca, sino allora sistemati negli armadi del Salone Sistino e delle gallerie adiacenti. Le realizzazioni più rilevanti della prefettura Stickler furono però altre. Anche con l’aiuto della Conferenza Episcopale Tedesca, negli anni 1982-1983 sotto il Cortile della Biblioteca viene scavato un vasto deposito in cemento armato di 700 m2, con una volumetria di 3.700 m3 e una scaffalatura metallica di 6.500 m lineari (in un primo momento si era pensato a un deposito su due piani sotto il Museo Chiaramonti dei Musei Vaticani, nella prosecuzione del «corridore di levante»). Quasi contemporanemente, negli anni 1981-1983, viene allestita una nuova sede del catalogo degli stampati, dell’Ufficio Accessioni e di altri uffici, nello spazio ortivo all’esterno del cosiddetto Muro di Michelangelo, sopra il tunnel di salita alla fontana del Galeone. Per agevolare la mobilità interna due nuovi ascensori (uno per il pubblico, uno per il personale) si aggiungono a quelli

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già esistenti (e il fattivo prefetto si conquistò dalla salace fantasia dei dipendenti l’appellativo di «don Stickler-Otis», che riecheggiava il nome della celebre ditta americana di ascensori Stigler-Otis). L’ultimo scorcio degli anni Ottanta, quasi totalmente coincidente con la prefettura (1984-1997) del domenicano irlandese Leonard E. Boyle, si caratterizzò per i pionieristici passi nella direzione dell’informatizzazione del catalogo degli stampati ma non rappresentò novità nella storia spaziale e architettonica della Vaticana. Sarà la prefettura (1997-2007) di un altro salesiano, l’italiano Raffaele Farina, a segnare la ripresa del processo di ammodernamento e di razionalizzazione degli spazi intrapreso da Leone xiii. Se dal 1° ottobre 1999 la Vaticana perdeva la storica sede cinquecentesca del Salone Sistino e delle adiacenti gallerie (dall’Appartamento Borgia all’ingresso dei Quattro Cancelli), passati all’amministrazione dei Musei Vaticani, già nel 2002 la Biblioteca poteva spostare nell’extraterritoriale Palazzo S. Paolo, all’inizio di via della Conciliazione, la sede della Scuola di Biblioteconomia, liberando al piano terreno dell’edificio sistino (ove si trovava dall’inizio degli anni Quaranta) spazi ora occupati dall’Economato e dal Centro Elaborazione Dati (ced), facilmente raggiungibili attraverso autonomi ingressi sul Cortile del Belvedere. Nello stesso 2002, nel mese di ottobre, veniva finalmente aperta agli studiosi la nuova sala di consultazione dei periodici, attesa da anni (i lavori erano incominciati nel 1974). Nella nuova sala, sottostante alla navata meridionale della Sala Leonina, con la metà superiore di tre grandi finestroni condivisi col livello inferiore e tre «oculi» sul Cortile del Belvedere, venivano così messi a disposizione degli studiosi (32 posti per la consultazione) 950 riviste a scaffale aperto, con circa 30.000 volumi disposti su tre livelli con ballatoi prospicienti sulla sala. La sala contiene così tutti quei periodici che, precedentemente in coda alle varie sezioni della sala di consultazione degli stampati, erano andati progressivamente crescendo, risultando alla fine incontenibili nella Sala Leonina, dalla quale erano stati «scorporati» nel corso degli anni Ottanta. Una sala più piccola, sormontata dallo stemma di Niccolò v sul soffitto (un postumo, ma storicamente e spazialmente poco sensato tributo al fondatore della Vaticana), articolata su due livelli con ballatoio, conduce al deposito dei periodici. Contemporaneamente, nella navata settentrionale della sala sottostante alla Sala Leonina veniva ricomposta la seicentesca scaffalatura lignea della Biblioteca Barberini, opera di Giovanni Battista Soria, entrata in Biblioteca Vaticana nel

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237. Il laboratorio di restauro dopo i lavori degli anni 2007-2010.

241. Strumenti di lavoro nel laboratorio fotografico.

238. Il laboratorio fotografico dopo i lavori degli anni 2007-2010.

242. Strumenti di lavoro nel laboratorio di restauro.

239. Il deposito manoscritti dopo i lavori degli anni 2007-2010. 240. Il deposito periodici dopo i lavori degli anni 2007-2010.

1902 con la biblioteca e l’archivio familiari, ma sino a quel momento malamente smembrata in ambienti diversi. Lo spostamento della Scuola di Biblioteconomia costituisce il primo passo di una vasta delocalizzazione di uffici che, col loro spostamento, liberano altri ambienti. Nel faticoso sforzo di dislocazioni si gioca la battaglia ancora in corso per guadagnare spazi, sempre più preziosi in quello che ai tempi di Sisto v sembrava un edificio sin troppo grande per le esigenze della Biblioteca.

I lavori di ristrutturazione degli anni 2007-2010 I lavori di ristrutturazione del triennio 2007-2010 (che hanno comportato una chiusura della Biblioteca senza precedenti nella sua storia, almeno da Leone xiii a oggi) hanno

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profondamente mutato il backstage della Vaticana, ma solo in misura limitata ne hanno modificato l’aspetto esterno e pubblico, finendo per rimanere così largamente inavvertiti dagli studiosi che frequentano le sale di consultazione. Sono stati ristrutturati e riqualificati il deposito dei manoscritti (che si è arricchito di una saletta per i papiri) e quello dei periodici (con un radicale rifacimento edilizio e una più ampia adozione di scaffali compact); i piani totalmente liberati dell’antico deposito multi-piano dei manoscritti (ove nel corso degli anni si erano accumulati numerosi stampati in attesa di migliori sistemazioni) sono stati completamente dedicati a una più razionale disposizione dei laboratori fotografico e di restauro e dell’archivio fotografico. I due ascensori principali (per gli studiosi e per il personale) sono stati rinnovati e la corsa del primo è stata prolungata sino al livello del Salone Sistino, alzando l’edificio cubico costrui-

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Alle pagine precedenti: 243. La nuova sala di consultazione dei periodici, inaugurata nel 2002. 244. L’ingresso del «vaso» ligneo seicentesco della Biblioteca Barberini; nella nicchia centrale in alto il busto di Urbano viii (1623-1644).

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to sotto Leone xiii nell’angolo meridionale del Cortile della Biblioteca. Nel Cortile è stato aggiunto un altro edificio, la cosiddetta «Torre dei manoscritti», addossato e collegato all’edificio che chiude a oriente il Cortile della Biblioteca e ospita i laboratori, con un ascensore che ora collega direttamente il deposito manoscritti al livello della sala di consultazione dei manoscritti, ai due laboratori e all’archivio fotografico. Se la sala di consultazione dei manoscritti ha perso, proprio a causa dello «sbarco» del nuovo ascensore, una porzione di circa 5 m di lunghezza (e una finestra), le sale sono state dotate di sistemi wi-fi, mentre esternamente, all’altezza della fontana del Galeone, è stato aperto un nuovo ingresso di servizio alla Biblioteca per i trasporti più ingombranti. I lavori di ristrutturazione consegnano dunque al futuro una Vaticana profondamente rinnovata non solo nelle strumentazioni informatiche, entrate massicciamente nella prassi, nei percorsi e

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245. La sala di consultazione dei manoscritti dopo i lavori degli anni 2007-2010. 246. Scalone monumentale di accesso alla Biblioteca dopo i lavori degli anni 2007-2010.

nella vita quotidiana degli studiosi e del personale, ma anche razionalizzata nelle più fluide vie di mobilità interna e degli accessi esterni, una Biblioteca aperta a scenari che vedranno svilupparsi le consultazioni su una pluralità di livelli.

Prospettive di inizio millennio A centovent’anni dall’inaugurazione della Sala Leonina, all’inizio del terzo millennio la Vaticana si trova in una situazione inedita per la sua storia. Frutto della secolare passione dei vescovi di Roma per i libri e per lo studio, la biblioteca dei papi, con i suoi 50 km di scaffalature (fra sale e depositi), appare afflitta da un gigantismo che confligge sempre più con spazi spesso splendidi ma limitati. L’aumento, contenuto ma inarrestabile, delle collezioni di stampati e (in misura minore) dei manoscritti e, al tempo stesso, la costrizione spaziale di edifici storici non modificabili ad libitum la costringono a cercare nuove sedi all’esterno delle mura leonine. Così, anche se progressivamente aumenta il ricorso a risorse digitali, si organizzano sedi e depositi a via della Conciliazione 1 e 5, lungo la strada che dal Tevere conduce a piazza S. Pietro. Ma proprio mentre accentua la sua caratteristica di biblioteca delocalizzata e policentrica (le consultazioni di manoscritti e stampati avvengono però sempre nell’edificio sistino costruito da Domenico Fontana), quasi per ritrovare se stessa, la Vaticana torna alle origini e, col recupero (2009) del Salone Sistino, che dal 1999 era passato all’amministrazione dei Musei Vaticani, riacquista la sua seconda sede storica, che già pare destinata a divenire in un prossimo futuro un’altra sala di consultazione di stampati. Dalla consultazione su un solo livello (quello del Salone Sistino, poi a partire dal 1892 e dal 1912 quello della Sala Leonina e della sala di consultazione prevalentemente dei manoscritti), la Vaticana del xxi secolo si avvia così a organizzare una consultazione su tre livelli diversi: al primo piano per i periodici; al secondo piano, nella Sala Leonina, per gli stampati, e, nella sala di consultazione dei manoscritti, per i manoscritti; e al terzo piano, nel Salone Sistino, per altri stampati. Mentre qualcuno audacemente già auspica la riacquisizione della prima sede storica, quella degli ambienti niccolino-sistini, all’estremità meridionale del Cortile del Belvedere; e altri sognano di ricavare ulteriori spazi con scavi sotto lo stesso Cortile, il più vasto del piccolo Stato. Assecondando una legge secolare nella storia della Vaticana, che vive di una tradizione sempre aperta al futuro.

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Note

Capitolo primo A. Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (14471534), Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1), riserva più di ottanta pagine alle biblioteche pontificie dalle origini alla vigilia dell’epoca umanistica. Della serie dedicata alla storia della Vaticana sono previsti altri sei volumi, con cadenza biennale. Di grande utilità per seguire la formazione delle collezioni della Biblioteca sono il classico volume di J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte iv à Pie xi. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. Ruysschaert, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), e soprattutto la più recente Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di F. D’Aiuto e P. Vian, 2 voll., Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466467), ricchissima di informazioni e di indicazioni bibliografiche. Il rinvio generale alla Guida, opera collettiva magistralmente orchestrata dai curatori, mi esime dall’intervenire con note puntuali per dar conto delle informazioni relative all’arrivo in Biblioteca di manoscritti, stampati e altri materiali. 2 Cfr. B. Bagatti, Alle origini della Chiesa, i, Le comunità giudeo-cristiane, Città del Vaticano 19852; S.-C. Mimouni, Les Chrétiens d’origine juive dans l’Antiquité, Paris 2004. 3 Fin dal ii secolo si verifica l’assoluta preponderanza dei testi cristiani trasmessi in codice e la quasi totalità dei testi pagani trasmessi in rotolo. Cfr. C.H. Roberts, T.C. Skeat, The Birth of the Codex, London 1983; M. McCormick, The Birth of the Codex and the Apostolic Life-Style, in «Scriptorium», 39 (1985), pp. 150-158. 4 Cfr. M. Buonocore, La biblioteca dei pontefici dall’età antica all’alto Medioevo, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 23-71. 5 Cfr. M.A. Bilotta, I libri dei papi; la curia, il Laterano e la produzione manoscritta ad uso del papato nel Medioevo (secoli vi-xiii), Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 465). 6 Cfr. A. Paravicini Bagliani, La mobilità della curia romana nel Duecento: riflessi sociali, in Società e istituzioni nell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secolo xii-xiv), Congresso Storico Internazionale, Perugia, 6-9 novembre 1985, i, Perugia 1988, pp. 155-278. 7 Cfr. Id., La biblioteca papale nel Duecento e nel Trecento, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 79-84. 8 Ibid., p. 94, ricorda gli inventari realizzati negli anni 1322, 1337 e 1339 in occasione dei relativi trasferimenti. 9 Cfr. A. Manfredi, La nascita della Vaticana in età umanistica da Niccolò v a Sisto iv, in Id., a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., p. 155. 10 Pubblicato da M.G. Blasio, C. Lelj, G. Roselli, Un contributo alla lettura del canone bibliografico di Tommaso Parentucelli, in Le chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del i centenario della Scuola vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica, Città del Vaticano 1984, pp. 132-155. 11 Pubblicato in G. Voigt, Die Wiederbelebung des Classichen Altertums, Berlin 1859, p. 361; cfr. Manfredi, La nascita della Vaticana…, cit., pp. 159, 162; M.G. Cerri, I documenti pontifici per la nuova istituzione, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 368, 372. Dopo varie traversie, il documento originale si trova oggi a Berlino nel Geheimes Staatsarchiv della Stiftung Preußischer Kulturbesitz (467.Sch.13,27). 12 Il procedere delle ricerche sulle origini della Vati1

cana, in particolare i contributi di Giovanni Battista De Rossi nell’Ottocento, di José Ruysschaert e Leonard E. Boyle nel Novecento, è ben delineato da M. Ceresa, Le origini della Vaticana nella bibliografia, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 489-490. 13 Cfr. A.M. Piazzoni, The Library of Alexandria and the Vatican Library, in M. Zahran (ed.), Realization of the Future United with the Past: the Bibliotheca Alexandrina Continuum. First Annual International Bibliotheca Alexandrina Symposium, 17-19 October 1998, Alexandria of Egypt 1999, pp. 15-22; A. Manfredi, The Vatican Library of Pope Nicholas v: The Project of a Universal Library in the Age of Humanism, in «Library History», 14 (1998), pp. 103-110. 14 Vespasiano da Bisticci, Le Vite, a cura di A. Greco, i, Firenze 1970, pp. 63-64: «Congregò grandissima quantità di libri di ogni facultà, così greci come latini, in numero di volumi cinquemila. Così nella fine sua si trovò per inventario che da Tolomeo in qua non si vene mai alla metà di tanta copia di libri d’ogni facultà. Tutti gli fece iscrivere, non avendo rispetto a pregio costassino, et pochi luoghi erano, dove la sua Sanctità non avessi iscrittori». 15 Cfr. D. Gionta, Il codice di dedica del Teofrasto latino di Teodoro Gaza, in «Studi medievali e umanistici», 2 (2004), p. 179. 16 Cfr. I. Tortelli, De orthographia, Prohoemium ad sanctissimum patrem Nicolaum v pontificem maximum, in S. Rizzo, Per una tipologia delle tradizioni manoscritte di classici latini in età umanistica, in O. Pecere e M.D. Reeve, a cura di, Formative Stages of Classical Traditions: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance, Spoleto 1995, p. 403. 17 I. Manetti, De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis, a cura di A. Modigliani, Roma 2005, pp. 56 (testo latino), 178-179 (traduzione italiana). 18 Voigt, Die Wiederbelebung des Classichen Altertums…, cit., ii, p. 203: «Sein Name sollte einst neben eines Ptolemaios Philadelphos und eines Trajanus glänzen». 19 Cfr. L. Canfora, Il viaggio di Aristea, Roma-Bari 1996, pp. 61-70. 20 La Lettera di Aristea a Filocrate, scritta in greco da un ebreo di Alessandria d’Egitto, è il racconto immaginario dell’iniziativa del re Tolomeo Filadelfo di tradurre in greco la Bibbia per arricchire il prezioso patrimonio della biblioteca di Alessandria. Cfr. Lettre d’Aristée à Philocrate, ed. A. Pelletier, Paris 1962 (Sources chrétiennes, 89); la considerevole diffusione del testo in età umanistica è testimoniata dai numerosi manoscritti e anche da un’edizione a stampa della traduzione latina, pubblicata a Roma nel 1471. 21 Il manoscritto è interamente riprodotto in M. Chambers, Valla’s Translation of Thucydides in Vat. Lat. 1801 with the Reproduction of the Codex, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 445). 22 Cfr. J. Kritzeck, Peter the Venerable and Islam, Princeton 1964; di diversa tendenza interpretativa D. Iogna-Prat, Ordonner et exclure, Paris 1998. 23 Cfr. Manfredi, La nascita della Vaticana…, cit., pp. 167; A. Di Sante, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., p. 313. 24 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Roma (Istituto Poligrafico dello Stato) nel 1999. Si darà l’indicazione dei manoscritti pubblicati in facsimile poiché abitualmente la riproduzione fotografica è accompagnata da studi approfonditi e aggiornati. 25 Riproduzioni di immagini del «Virgilio romano» sono state pubblicate dalla Biblioteca già nel 1902; un’edizione fotografica completa in bianco e nero

e parzialmente facsimile a colori è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1986. 26 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Leida-Lipsia (Brill-Harrassowitz) nel 1929; uno studio importante è quello di D.H. Wright, The Lost Late Antique Illustrated Terence, Città del Vaticano 2005 (Documenti e riproduzioni, 6). 27 Un’edizione facsimile è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1984. 28 Un’edizione facsimile del manoscritto, noto anche come «Codex Benedictus», è stata pubblicata a Zurigo (Belser) nel 1981. 29 Pubblicato in J. Ruysschaert, Sixte iv, fondateur de la Bibliothèque Vaticane (15 juin 1475), in «Archivum historiae pontificiae», 7 (1969) pp. 513-524. 30 L.E. Boyle, Per la fondazione della Biblioteca Vaticana, Prefazione a cura di A. Manfredi, I codici latini di Niccolò v. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359), pp. xiii-xxii. 31 Pubblicati in M. Bertola (ed.), I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana, codici Vaticani Latini 3964, 3966; pubblicati in fototipia e in trascrizione con note e indici, Città del Vaticano 1932 (Codices e Vaticanis selecti, 27). 32 Cfr. Di Sante, La biblioteca rinascimentale…, cit., p. 333 e relative note. 33 Cfr. A. Rita, Libri stampati nella biblioteca di Sisto iv, in La stampa romana nella città dei papi e in Europa (Studi e testi), in corso di stampa. 34 Cfr. A. Rita, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 250-260. 35 Cfr. Di Sante, La biblioteca rinascimentale, cit., pp. 320-324; l’inventario della sezione greca è edito in M. L. Sosower, D. F. Jackson, A. Manfredi, Index seu Inventarium Bibliothecae Vaticanae divi Leonis pontificis optimi anno 1518c., Series Graeca, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 427). 36 L’inventario è pubblicato in M.R. Dilts, M.L. Sosower, A. Manfredi, Librorum Graecorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno mdxxxiii, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 384) per la sezione greca e in A. Di Sante, A. Manfredi, Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno mdxxxiii, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 457) per la sezione latina. 37 Cfr. Di Sante, La biblioteca rinascimentale…, cit., p. 336. 38 Cfr. Ibid., pp. 325-328. 39 M. Ceresa, a cura di, Sezione stampati, in D’Aiuto, Vian, a cura di, Guida ai fondi manoscritti, cit., pp. 744. 40 Cfr. Ibidem. 41 Una riproduzione fotografica in bianco e nero del «Virgilio vaticano» fu pubblicata dalla Biblioteca già nel 1899; un’edizione facsimile è stata pubblicata a Graz (Akademische Druck- und Verlagsanstalt) nel 1980. 42 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1984. 43 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Madrid (Testimonio Compañía Editorial) nel 2005. 44 L’aspetto originario del Lezionario è stato ricostituito pubblicandone insieme le parti ora disperse in diversi luoghi, nell’edizione facsimile pubblicata a Lucerna (Faksimile Verlag Luzern) nel 2000. 45 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1982. 46 Un’edizione facsimile è stata pubblicata a Knittlingen (Bibliotheca Palatina Faksimile Verlag) nel 2009. 47 Cfr. Vespasiano da Bisticci, Le Vite, cit., p. 390:

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La Biblioteca Apostolica Vaticana «Questo è libro che in questa età non s’è facto il simile». L’edizione facsimile dei due codici è stata pubblicata a Modena (Franco Cosimo Panini Editore) nel 2004-2005. 48 Si veda l’edizione facsimile del codice eseguita a Castelvetro di Modena (Artcodex). 49 Edizioni facsimili esistono per i latini 274 (Testimonio Compañia Editorial, Madrid 2005) e 277 (Belser Verlag, Zürich 1983) e per il greco 82 (Brill-Harrassowitz, Leiden-Leipzig 1932). 50 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata dalla Biblioteca Vaticana nel 1975. 51 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1986. 52 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Valencia (Grial) nel 2000. 53 Bibliothecae apostolicae Vaticanae codicum manuscriptorum catalogus in tres partes distributus. In quarum prima Orientales in altera Graeci in tertia Latini Italici aliorumque Europaeorum idiomatum codices Stephanus Evodius Assemanus archiepiscopus Apamensis et Joseph Simonius Assemanus ejusdem biblioth. praefectus recensuerunt digesserunt animadversionibusque illustrarunt, 3 voll., Romae, 1756-1759. I tre volumi pubblicati comprendono solo la prima parte annunciata dal titolo, relativa ai manoscritti orientali; le successive, dedicate ai manoscritti greci e latini, non videro mai la luce. 54 La straordinaria importanza di questo codice nella ricostruzione dell’antica lingua slava ne determinò un’edizione facsimile con riproduzioni in bianco e nero già nel 1920 a Praga a cura dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Boemia; una più recente riproduzione a colori è stata pubblicata a Sofia (Nauka i izkustvo) nel 1981. 55 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1983. 56 Per la storia del Medagliere Vaticano, oltre al classico S. Le Grelle, Saggio storico delle collezioni numismatiche vaticane, in C. Serafini, Le monete e le bolle plumbee pontificie del Medagliere Vaticano, i, Adeodato (615-618)-Pio v (1566-1572), Milano 1910, pp. xv-lxxix, si veda anche G. Alteri, Il Gabinetto Numismatico, in A.M. Piazzoni, B. Jatta, a cura di, Conoscere la Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 89-98 e Id., Dipartimento del Gabinetto Numismatico, in D’Aiuto, Vian, a cura di, Guida ai fondi manoscritti…, cit., pp. 893-909. 57 Il codice non è completo; a partire dal xvii secolo, molti fogli furono tolti per farne doni, e sono oggi dispersi in varie biblioteche; quel che era rimasto, la gran parte, venne acquistato da Benedetto xiv; ne fu realizzata un’edizione facsimile a Zurigo (Belser Verlag) nel 1990. 58 Per la storia e la descrizione della Galleria Lapidaria, cfr. I. Di Stefano Manzella, Index inscriptionum Musei Vaticani, i, Ambulacrum Iulianum sive “Galleria Lapidaria”, Città del Vaticano 1995 (Inscriptiones Sanctae Sedis, 1). 59 Per una presentazione della storia delle raccolte di stampe, cfr. B. Jatta in D’Aiuto, Vian, a cura di, Guida ai fondi manoscritti…, cit., pp. 877-891; Id., Il Gabinetto delle Stampe, in Piazzoni, Jatta, a cura di, Conoscere la Biblioteca…, cit., pp. 75-87. 60 Cfr. L. Fiorani e D. Rocciolo, Chiesa romana e rivoluzione francese 1789-1799, Rome 2004 (Collection de l’École Française de Rome, 336), pp. 451-454; C.M. Grafinger, Le tre asportazioni francesi di manoscritti e incunaboli vaticani (1797-1813), in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del trattato di Tolentino. Atti del Convegno, Tolentino, 18-21 settembre 1997, Roma 2000, pp. 403-413. 61 Cfr. A. Rita, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica; cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 470), pp. 355-356. 62 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata dalla Biblioteca Vaticana nel 1934, ristampato nel 1983. 63 Canzone Ad Angelo Mai quand’ebbe trovati i libri di Cicerone della Repubblica: «Italo ardito». 64 Cfr. M. Grimaccia, Conservazione e restauro, in La Biblioteca Apostolica Vaticana, luogo di ricerca al servizio degli studi, Atti del Convegno di Roma, 1113 novembre 2010, a cura di M. Buonocore, A.M. Piazzoni, Città del Vaticano (Studi e testi, 468), pp. 503-521.

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Note Cfr. M. Ceresa, L’attività editoriale, in Piazzoni, Jatta, a cura di, Conoscere la Biblioteca…, cit., pp. 115-118; M. Buonocore, Editoria, in La Biblioteca Apostolica Vaticana, luogo di ricerca…, cit., pp. 541-567. 66 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Madrid (Testimonio Compañía Editorial) nel 2008. 67 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Zurigo (Belser Verlag) nel 1986. 68 Per un’introduzione al materiale di tipo archivistico conservato in Biblioteca, oltre a D’Aiuto, Vian, a cura di, Guida ai fondi manoscritti…, cit., pp. 667-728, cfr. M. Buonocore, La Sezione Archivi in Conoscere la Biblioteca Vaticana…, cit., pp. 47-51. 69 Cfr. A.M. Piazzoni, Un collezionista e i suoi libri. Il fondo Rossiano della Biblioteca Apostolica Vaticana, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 110-2 (2008), pp. 157-166; C.M. Grafinger, Eine Bibliothek kehrt an ihren Entstehungsort zurück. Der Rücktransport der Rossiana nach Rom, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae xiv, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 443), pp. 273-289. 70 Cfr. A. Rita, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture. Un disegno storico, in Biblioteca Apostolica Vaticana; libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, pp. 109-110. 71 Cfr. A. Manfredi, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia, in La Biblioteca Apostolica Vaticana, luogo di ricerca…, cit., pp. 429-449. 72 Cfr. I. Schuler, Fotografia, Ibid., pp. 477-502. 73 Un’edizione facsimile del codice è stata pubblicata a Madrid (Testimonio Compañía Editorial) nel 2003. 74 Un’edizione facsimile fu pubblicata dalla Biblioteca nel 1969 e un’altra a Madrid (Testimonio Compañía Editorial) nel 2003. 75 Cfr. Rita, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture…, cit., p. 112. 76 Ibid., pp. 116-118. 77 Cfr. L. Ammenti, P. Manoni, Servizi informatici, in La Biblioteca Apostolica Vaticana, luogo di ricerca…, cit., pp. 523-540. Il sito della Biblioteca è www. vaticanlibrary.va. 78 Cfr. A. D’Alascio, Esposizioni, Ibid., pp. 451-475. 79 Cfr. P. Manoni, Gestire le collezioni in radiofrequenza, in «Biblioteche oggi», 3 (aprile 2007), pp. 43-48. 80 Cfr. G. Facchini, M. Bargellini, Gli ultimi lavori di ristrutturazione (2007-1010), in Biblioteca Apostolica Vaticana; libri e luoghi…, cit., pp. 124-141; G. Guala, La torre dei manoscritti, Ibid., pp. 142-167. 65

Capitolo secondo Nota bibliografica: Vorrei dedicare queste pagine sugli antichi ambienti della Biblioteca Apostolica al cardinale Raffaele Farina, a segno di personale gratitudine, ma anche per il suo impegno instancabile di artefice di nuovi spazi per una Biblioteca che egli ha voluto riqualificare anche sotto questo aspetto così determinante. Rinunzio a dare bibliografia puntuale su un tema tanto vasto e carico di implicazioni: preferisco rimandare i principali contributi su cui ho riflettuto in questi anni. Un recente studio complessivo sull’architettura della Vaticana ha dato: A. Rita, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture. Un disegno storico, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, pp. 76-98. Di questo lavoro, il primo con respiro così ampio, si dovrà necessariamente tenere conto per gli ulteriori approfondimenti. Per quanto riguarda nello specifico il Quattrocento, bibliografia e temi principali si trovano in A. Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1); rimando in particolare ai saggi di A. Paravicini Bagliani, La biblioteca papale tra Duecento e Trecento, pp. 99-105; A. Manfredi, La nascita della Vaticana in età umanistica: libri e inventari da Niccolò v a Sisto iv, pp. 147-236; A. Rita, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, pp. 237-307; A. Di Sante, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, pp. 309-350; F. Cantatore, La Biblioteca Vaticana nel palazzo apostolico di

Niccolò v (1447-1534), pp. 383-412; F. Pasut, Libri, miniatori e artisti alle origini della Vaticana tra Niccolò v e Sisto iv, pp. 413-465. Di seguito qui aggiungo qualche indicazione più specifica. Sulla biblioteca avignonese e sugli spazi nella Torre della Guardaroba si veda anche H. Ragn Jensen, The Presence of Vitruvius in Petrarch’s Avignon, in Avignon & Naples. Italy in France-France in Italy in the Fourteenth Century, ed. by M. Pade, H. Ragn Jensen, L. Waage Petersen, Roma 1997 (Analecta Romana Instituti Danici. Supplementa, 25), pp. 4954. Sulla concezione, sulla tipologia e sui cataloghi della biblioteca avignonese prima dello scisma cfr. A. Manfredi, «Ordinata iuxta serenitatem et aptitudinem intellectus domini nostri pape Gregorii undecimi». Note sugli inventari della biblioteca papale avignonese, in La vie culturelle, intellectuelle et scientifique à la cour des Papes d’Avignon, éd. par J. Hamesse, Turnhout 2006 (Textes et Etudes du Moyen Âge, 28), pp. 87-109. Per l’avvio di questi studi resta fondamentale J.W. Clark, On the Vatican Library of Sixtus iv, in «Proceedings of the Cambridge Antiquarian Society», 10 (1904), pp. 11-61; ripreso poi in Id., The Care of Books. An Essay on the Development of Libraries and Their Fittings, from the Earliest Times to the End of the Eighteenth Century, Cambridge 1902, pp. 195-198: figg. 94-97; p. 229: fig. 102; pp. 232-234: figg. 106-109. Sugli inventari e sulla ristrutturazione della Vaticana di Sisto iv si veda anche A. de Thomeis, Rime. Convivium scientiarum – In laudem Sixti quarti pontificis maximi, a cura di F. Carboni e A. Manfredi, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 394); per l’affresco di S. Spirito, A. Manfredi, “Cernitur in celebri bibliotheca loco”. L’affresco di Santo Spirito e la Biblioteca Vaticana di Sisto iv, in «Il Veltro», 45 (2001), n. 5-6, pp. 125-136. Sullo sviluppo degli ambienti in relazione alla fondazione è ben nota la controversia tra L.E. Boyle e J. Ruysschaert, per molti aspetti risolta a favore del primo. Questi i contributi principali di J. Ruysschaert, Sixte iv, fondateur de la Bibliothèque Vaticane (15 juin 1475), in «Archivum historiae pontificiae», 7 (1969), pp. 513-524; La fondation de la Bibliothèque Vaticane en 1475 et les témoignages contemporains, in B. Maracchi Bigiarelli, D.E. Rhodes, a cura di, Studi offerti a Roberto Ridolfi, Firenze 1973 (Biblioteca di bibliografia italiana, 71), pp. 413-420; Les collaborateurs stables de Platina, premier bibliothécaire de la Vaticane (1475-1481), in Palaeographica diplomatica et archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, ii, Roma 1979 (Storia e letteratura, 140), pp. 575-591; Platina et l’aménagement des locaux de la Vaticane sous Sixte iv, in A. Campana, P. Medioli Masotti, a cura di, Bartolomeo Sacchi il Platina. Atti del Convegno Internazionale di studi per il v centenario, Padova 1981 (Medioevo e Umanesimo, 62), pp. 145-151; La Bibliotèque Vaticane dans les dix premières années du pontificat de Sixte iv, in «Archivum historiae pontificiae», 24 (1986), pp. 71-90; Les trois étapes de l’aménagement de la Bibliothèque Vaticane de 1471 à 1481, in M. Miglio, F. Niutta, D. Quaglioni, C. Ranieri, a cura di, Un pontificato e una città. Sisto iv (1471-1484), Città del Vaticano 1986 (Littera antiqua, 5), pp. 105-114; La fresque de Melozzo de l’ancienne Bibliothèque Vaticane. Réexamen, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, iv, Città del Vaticano 1990 (Studi e testi, 338), pp. 329341; quelle di L.E. Boyle, Per la fondazione della Biblioteca Vaticana, in A. Manfredi, I codici latini di Niccolò v. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359, Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1), pp. xiii-xxii; Niccolò v fondatore della Biblioteca Vaticana, in Niccolò v nel sesto centenario della nascita, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Sarzana 8-10 ott. 1998, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 397), pp. 3-8; Sisto iv e la Biblioteca Vaticana, in I Della Rovere nell’Italia delle corti, i, Urbino 2002, pp. 11-19. Sugli interventi moderni di restauro è stata curata un’utile, ancorché rara pubblicazione: Il restauro delle aule di Niccolò v e di Sisto iv nel Palazzo Apostolico Vaticano, a cura della Direzione generale dei Servizi Tecnici del Governatorato Vaticano, Città del Vaticano 1967.

I registri di conti del Platina sono stati editi di recente: P. Piacentini, La Biblioteca Vaticana e i registri di Introitus ed Exitus. Da una ricerca di Giuseppe Lombardi, Roma 2009 (RR inedita, 42 saggi). Sul concetto di biblioteca pubblica in Salutati, Niccoli e Parentucelli nel quadro della storia delle biblioteche in età umanistica mi permetto di rimandare ancora a due miei contributi A. Manfredi, Gli umanisti e le biblioteche tra Italia e Europa, in G. Belloni e R. Drusi, a cura di, Il Rinascimento italiano e l’Europa, ii, Umanesimo ed educazione, Treviso-Costabissara 2007, pp. 267-286; A. Manfredi, Il Salutati e le biblioteche pubbliche. Per una rilettura di De fato et fortuna ii, 6, di prossima pubblicazione negli Atti del Convegno Coluccio Salutati cancelliere e politico, a cura di R. Cardini e P. Viti. Riguardo ai due principali collaboratori di Niccolò v e Sisto iv, Tortelli e Platina: per il primo rimando anche riguardo alla bibliografia precedente ad A. Manfredi, «Lo misse sopra la libreria che aveva ordinata». Note sul Tortelli cubiculario e bibliotecario di Niccolò v, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 199-228; per il secondo al già citato Campana, Medioli Masotti, a cura di, Bartolomeo Sacchi il Platina. Atti del Convegno Internazionale di studi per il v centenario, Padova 1981 (Medioevo e Umanesimo, 62). Capitolo terzo Bullarium Romanum, Franco-Dalmazzo, Torino 1863, vol. viii, pp. 841ss.: «Eam semper ex omnibus immenso muneri, quod substinemus, incumbentibus curis, potissimam ab oculos, habendam, ac ibi solertius invingilandum et praecipue urgendum esse duximus, ubi, vel ad haereticorum execrabiles errores detergendos et conculcandos, vel ad religionem latius propagandam locum apportunum patefieri posse agoscerimus». 2 «Il Signore si è messo al lavoro per la sua Chiesa, combattendo il suo potente avversario non già con la spada ma con l’arte della stampa, con la scrittura e la lettura […] quante saranno le macchine da stampa nel mondo, tanti saranno i forti contrapposti a Castel Sant’Angelo, cosicché o il papa dovrà abolire il sapere e la stampa oppure quest’ultima avrà infine ragione di lui». Citato da M. Infelise, I libri proibiti. Da Gutenberg all’Encyclopédie, Laterza, Bari 1999, p. 10. 3 Biblioteca Apostolica Vaticana (da ora bav), Archivio Biblioteca, i, ff. 42-51. La lettera è stata pubblicata in V. Frajese, Il popolo fanciullo. Silvio Antoniano e il sistema disciplinare della controriforma, Franco Angeli Libri, Milano 1987, pp. 124-130. 4 S. Antoniano, Dell’educazione cristiana e politica dei figlioli, Sebastiano dalle Donne e Girolamo Stringari, Verona 1584. Queste considerazioni sono contenute nel iii capitolo intitolato Del molto frutto che si puo ricavare dal culto delle Sagre Imagini. 5 Sulla nascita della Biblioteca Vaticana, avviata da Niccolò v e istituita da Sisto iv, vedi A. Manfredi, a cura di, Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). 6 bav, Archivio Boncompagni, D 5, f. 314; pubblicato in P. Petitmengin, Recherches sur l’organisation de le Bibliothèque Vaticane à l’époque des Ranaldi (1547-1645), in «Mélanges de l’École Française de Rome», 1963, pp. 561-628. 7 La lettera è pubblicata in G. Mercati, Per la storia della Biblioteca apostolica: Bibliotecario Casare Baronio: Scritti vari nel terzo centenario della sua morte, Roma 1913 (riedito in G. Mercati, Opere minori, iii, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1937, pp. 240-241). 8 Le parole sono tratte da una memoria del 15 maggio 1587 (bav, Chig. g iv 108, ff. 181v-182r) pubblicata in G. Morello, La Biblioteca Vaticana di Sisto v, in M.L. Madonna, a cura di, Roma di Sisto v. Le arti e la cultura, De Luca, Roma 1993, p. 464. 9 bav, Urb. Lat. 1041, f. 51: «Si ragiona che il Papa voglia guastar il Theatro di Belvedere come cosa di gentilità, e fatto a posta per farvi spettacoli pubblici cosa poco conveniente a’ Pontefici […]». 10 bav, Urb. Lat. 1041, ff. 54v-55r; pubblicato in J. Hess, Kunstgeschichtliche Studien Reinassance und 1

Barock, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1967, p. 163, n. 3. Così papa Adriano vi aveva definito i gruppi statuari antichi raccolti nel Belvedere. Cfr. E. Gombrich, Immagini simboliche. Studi sull’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1978, p. 155. 12 Vitruvio, De Architectura, vi, 7. 13 M. Pansa, Della Libraria Vaticana, Martinelli, Roma 1590, p. 320. 14 Ibidem. 15 D. Fontana, Della Trasportazione dell’Obelisco e delle Fabbriche di S. S. papa Sisto v, Domenico Basa, Roma 1590. 16 Sulla biblioteca in età classica vedi C. Castellani, Le biblioteche nell’antichità, Bologna 1887; H. Grisar, Le biblioteche nell’antichità classica, in Estratto da «La Civiltà Cattolica», 1902; J.W. Clark, The Care of Books, University Press, Cambridge 1902. 17 «Ha loggie grandissime al pian terreno e dietro a quelle una cantina lunghissima, sopra la quale vengono 14 stanze al secondo piano, quali serviranno per otto litterati ch’ivi haveranno a studiar sempre: acciò occorendo bisogno alcuno, sappiano dove siano li libri el proposito per quel che si cercherà: al terzo piano vi sono otto stanze ch’anno da servire per li custodi d’essa, e poi v’è la libreria ch’è un vaso longo di vano palmi 381, largo palmi 69 con un ordine di pilastri nel mezzo, e fatta tutta il volta: ha li lumi da tre bande da tramontana, da meso giorno e da ponente: è tutta dipinta con bellissime pitture con oro con varie historie, […] a canto a questo vaso della libreria publica sono due stanze grandissime per la libreria secreta dipinte ricchissimamente con stucchi, e oro e molti altri adornamenti». Fontana, Della Trasportazione…, cit. 18 A. Rocca, Bibliotheca Vaticana a Sixto v, Pon. Max. in splendidiorem commodioremque locum traslata, Roma 1591, p. 268. 19 Con questa accezione sono usate le due definizioni nella biblioteca di Assisi; in quella del convento di S. Francesco a Bologna; in quella di S. Antonio a Padova e di S. Croce a Firenze, oltre che nella Vaticana di Sisto iv. Cfr. Clark, The Care…, cit. 20 H ess , Kunstgeschichtliche…, cit., vol. i , pp. 143-152. 21 Archivio di Stato di Roma (da ora asr), Fabbriche 1585-1589, b. 1527, Libro vii dei Conti di D. Fontana, f. 3: «adi 14 di aprile 1589. Misura delli lavori fatti nella libraria nova del Palazzo Ap.co di S. Pietro di poi la mesura data et saldata sotto li 16 di settembre 1588 nelle due stantie acresiute sotto la galleria che fece Papa Gregorio, di poi fatta la libraria nova grande, et altri lavori acresiuti per d.a libraria come qui sotto a partita per partita misurati per noi sotto scritti […] li di maggio 1589». 22 asr, Fabbriche 1585-1590, b. 1528, f. 5; Fabbriche 1585-1590, b. 1527, Libro del Cav.re Dom.co Fontana, f. 6; Archivio Segreto Vaticano (da ora asv), A.A. Arm. B, vol. i, f. 42. 23 asv, A.A. Arm. B, vol. i, f. 65v. Nel documento le due stanze della Libreria segreta, di cui vengono menzionati gli affreschi con la relativa stima, sono infatti, dette «sotto la Galleria», proprio come le «due stantie accresiute» che appaiono nel Libro vii dei Conti di D. Fontana, f. 3. Cfr. nota 21. 24 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 198. 25 Thesaurus Linguae Latinae, Teubner, Leipzig 1909, ad vocem. 26 Petitmengin, Recherches…, cit., p. 586. 27 In questo giorno un avviso comunicava: «S’è dato principio a disfare le scale del theatro di Pio iv di Belvedere per fabbricare in questo sito stanze per la libraria del Vaticano et congiungere con quella struttura la Galleria di Gregorio con il corridore di Giulio ii». Cfr. J.A.F. Orbaan, La Roma di Sisto v negli “Avvisi”, in «Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria», 1910, p. 296. Un dispaccio dell’inviato del duca di Mantova datato il 30 maggio dello stesso anno informa: «[…] S. S.tà ha fatto disfare la scalinata di Belvedere verso il giardino che fece fare Pio iv et vi vol fabbricare un loco, dove vuole che si stampino tutti i libri ecclesiastici che si chiamerà la stampa Apostolica, volendo prohibire che in altro loco non se ne stampino. Veramente l’haver guasto questo theatro fatto con tanta spesa è spiacciuto a tutta la corte, massime perché si rovina quella bella vista et quel bel cortile, et in particolare spiace alle i,

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creature di Pio quarto». Cfr. L. Pastor, Storia dei Papi, x, Desclée, Roma 1955, p. 604, n. 27. 28 Pansa, Della Libraria…, cit. 29 Fontana, Della Trasportazione…, cit. 30 sixtvs v pont. bibliothecam aedificavit porticvs conivnxit an. mdlxxxviii pont. iii. 31 Sui pittori che lavorarono al cantiere vedi A. Zuccari, I pittori di Sisto v, Palombi, Roma 1992; Id., La Biblioteca Vaticana e i pittori sistini, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 59-76. 32 asr, Mandati Camerali, b. 936, f. 46. 33 asr, Fabbriche 1585-1590, b. 1528, f. 27; asr, Fabbriche 1585-1590, b. 1527, Libro del Cav.re…, cit., f. 6; asv, A.A. Arm. B, vol. i, ff. 47ss. (in questo documento, ai ff. 71ss., è specificata la somma versata per gli affreschi della Biblioteca Vaticana); asr, Giustificazioni di Tesoreria, b. 16, ff. 13-14; asr, Mandati Camerali, b. 936, f. 92. 34 asv, A.A. Arm. B., vol. i, ff. 63ss. 35 L’attenta lettura dei documenti consente, dunque, di affermare che la decorazione fu iniziata dalle volte, come di consueto, e non dalle pareti come è invece sostenuto in E. Stevenson, Topografia e monumenti di Roma nelle pitture a fresco di Sisto v nella Biblioteca Vaticana, Tipografia Poliglotta della S. C. di Propaganda Fide, Roma 1887 e in G. Morello, La Biblioteca Vaticana di Sisto v, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 463-468. 36 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 268. Sui due volumi vedi A. Serrai, Storia della Bibliografia, Bulzoni, Roma 1993, vol. v, pp. 121-186. 37 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 272. 38 Ibidem. 39 Per il significato dei termini cfr. A. Marchese, Dizionario di Retorica e Stilistica: arte e artificio delle parole. Retorica, Stilistica, Metrica, Teoria della Letteratura, Mondadori, Milano 1987. 40 L’importanza del ruolo svolto da Silvio Antoniano nella formulazione del programma iconografico della Biblioteca Vaticana è sottolineato in Frajese, Il popolo…, cit.; in D. Frascarelli, Nota su Federico Ranaldi e Sivio Antoniano, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 469-470 e in W.J.G.A. Veth, The frescoes of the Ecumenical Councils in the Sistine Salon (1590) and the Catholic Conciliar historiography, in «Annuarium Historiae Conciliorum», 34 (2002), pp. 209-455. D’altro canto Giuseppe Castiglione, biografo dell’Antoniano, sostiene che il prelato elaborò tutti i programmi iconografici degli affreschi sistini, forse esagerando un po’ per evidenti motivi encomiastici. Cfr. G. Castiglione, Silvij Antoniani S.R.E. cardinalis vita, Jacobum Mascardum, Roma 1610, p. 9. 41 bav, Archivio Biblioteca i, ff. 42-51. Vedi sopra nota 3. 42 bav, Archivio Boncompagni, D 5. Il documento è pubblicato in Petitmengin, Recherches…, cit. 43 Antoniano, Dell’educazione…, cit., iii, cap. 37. 44 Paleotti, Discorso intorno le immagini sacre e profane, Alessandro Benacci, Bologna 1582, pp. 121-122. 45 Ibidem. 46 Il memoriale è pubblicato in P. Prodi, Ricerca sulla teorica delle arti figurative nella Riforma Cattolica, in «Archivio italiano per la Storia della Pietà», iv (1962), Appendice ii. 47 Obiezioni di Silvio Antoniano al memoriale “De tollendis imaginum abusibus”, Ibid., Appendice iii. 48 Su Silvio Antoniano vedi Frajese, Il popolo…, cit., e E. Patrizi, Silvio Antoniano: un umanista ed educatore nell’età del rinnovamento cattolico (15401603), ceum, Macerata 2010. 49 Sull’Accademia delle Notti Vaticane vedi L. Berra, L’Accademia delle Notti Vaticane fondata da San Carlo Borromeo: con tre appendici di documenti inediti, M. Bretschneider, Roma 1915. 50 A. Dupront, D’un “Humanisme Chretien” en Italie à la fin du xvi siècle, in «Revue Historique», 175 (1935), pp. 296-307. Sugli Oratoriani e la cultura umanistica vedi anche Id., Autour de saint Filippo Neri: de l’optimisme chrétien, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 49 (1932), pp. 219-259. 51 Su Federico Ranaldi vedi P etitmengin , Recherches…, cit. 52 Sul cardinale Sirleto vedi D. Taccone Gallucci, Monografia del cardinale Guglielmo Sirleto nel secolo decimosesto, Società tipografico-editrice romana,

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La Biblioteca Apostolica Vaticana Roma 1909; G. Denzler, Il Cardinale Guglielmo Sirleto (1514-1585) vita e attività scientifica: un contributo alla riforma Post-Tridentina, Istituto di Scienze Religiose di Catanzaro e Squillace, Catanzaro 1986. 53 Nel 1575 il Sirleto donò un’ingente somma di denaro per la costruzione della Chiesa Nuova, inoltre sua sorella Sulpizia fu penitente di Filippo Neri. 54 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 272. 55 A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, Brasca, Milano 1857, i, pp. 33ss. 56 Taccone Gallucci, Monografia…, cit., p. 37. 57 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 272. 58 M. Bevilacqua, L’organizzazione dei cantieri pittorici sistini: note sul rapporto tra botteghe e committenza, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 35-46. 59 Pansa, Della Libraria…, cit.; Fontana, Della Trasportazione…, cit. 60 Cfr. M. Caputo, Le facciate graffite e dipinte degli edifici romani tra xv e xvi secolo, in L. Cassanelli, a cura di, Le corti rinascimentali: committenti e artisti, Sinnos Editrice, Roma 2004, pp. 147-182. 61 Cfr. Clark, The Care…, cit. 62 L. Delisle, La “Biblionomia” de Richard de Fournival, in Le cabinet des manuscrits de la Bibliothèque impériale, Imprimerie impériale, Paris 1868-1881, ii, pp. 518ss. 63 J. von Schlosser, Giusto’s Fresken in Padue und die Vorlaüfer der Stanza della Segnatura, in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen», 17 (1896), pp. 13-100; J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei, Paolo Boringhieri, Torino 1980, pp. 165-167. 64 G. A rmenini , De’ veri principi della pittura, Francesco Tebaldini, Ravenna 1587, iii, cap. vi. 65 Sulla lettura sincretista della decorazione delle facciate della Biblioteca, in cui è rilevata la presenza di riferimenti al sapere magico, astrologico e alchemico, collegato alla cultura cristiana e, in particolare, francescana, vedi C. Mandel, Magic and Melancholy at the Vatican Library, in «Explorations in Renaissance Culture», 28 (2002), pp. 31-74. 66 sixtus v pont. max. bibliothecam apostolicam as . prioribvs illis pontificibvs , qui beati petri vocem audivervnt, in ipsis adhvc svrgentis ecclesiae primordiis inchoatam. pace ecclesiae reddita laterani institvtam . a posterioribvs deinde in vaticano, vt ad vsvs pontificios paratior esset traslatam, ibiq. a nicolao. v. avctam, a sixto iiii. insigniter excvltam quo fidei nostrae, et vetervm ecclesiasticae disciplinae ritvvm docvmenta

omnibvs lingvis expressa, et aliorvm mvltiplex sacror. copia librorvm conservaretvr, ad cvram, et

incorrvptam fidei veritatem perpetva seccessione in nos derivandam, toto terrarvm orbe celeberrimam, cvm loco depresso obscuro, et insalvbri sita esset, avla perampla, vestibvlo, cvbicvlis circvm,

et infra, schalis, porticibvs totoq. aedificio a

fvndamentis extrvcto, svbseliis, plvteisq. directis, libris dispositis, in hvnc aeditvm perlvcidvm, salvbrem magisq . oportvnvvm locvm extvlit , pictvris illvstribvs vndiqve ornavit, liberalibvsq. doctrinis, et pvblicae stvdiorvm vtilitati dicavit. anno m.dlxxxviii pont. iii. 67

sixti v pont . max . perpetvo hoc decreto de

libris vaticanae bibliothecae conservandis, qvae infra svnt scripta, hvnc in modvm sancita svnto, inviolateq. observanto memini, libros, codices, volvmina hvivs vaticanae bibliothecae , ex ea

avferendi, extrahendi, aliove asportandi, non

bibliothecario, neqve cvstodibvs, scribisq. neqve

qvibvsvis aliis cvivsvis ordinis, et dignitatis, nisi da licentia svmmi rom. pont. scripta manv, facvltas esto. si qvis secvs fecerit, libros, partem ve aliqvam abstvlerit, extraxerit, clepserit rapseritq.

concerpserit, corrvperit, dolo malo, illico a fide-

livm commvnione eiectvs, maledictvs, anathematis

vincvlo colligatvs esto. a qvoqvam praeterqvam rom. pont. ne absolvitor.

J.W. T hompson , The medieval Library, The University of Chicago Press, Chicago 1939, p. 627. Cfr. M. Besso, Il Philobiblon di Riccardo di Bury, vescovo di Dunehmense, Biblioteca Besso, Roma 1914. 70 Sulla decorazione a grottesche vedi N. Dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesque à la Renaissance, The Warburg Institute, 68 69

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Note London 1969; C. Acidini Luchinat, La grottesca, in Storia dell’Arte Italiana, Einaudi, Torino 1981, xi, pp. 161-200; A. Chastel, La Grottesque, Le Promeneur, Paris 1988; P. Morel, Les grotesques: les figures de l’imaginaire dans la peinture italienne de la fin de la Renaissance, Flammarion, Paris 1997. 71 Paleotti, Discorso…, cit. 72 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 2. 73 Armenini, De’ veri…, cit., iii, cap. vi e xi. 74 Sugli emblemi sistini vedi C. Mandel, Sixtus v and the Lateran Palace, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994. 75 Sull’araldica sistina negli affreschi della Biblioteca Vaticana vedi Y. Loskoutoff, Sixte-Quint ou la poire de bon-chrétien: l’héraldique et la grottesca; le décor de la Bibliothèque Vaticane, in «Journal des savants», 1 (2008), pp. 123-175. 76 J.W. Clark, The care…, cit., pp. 49-50. 77 Ibid., p. 50. 78 Queste decorazioni sono descritte in Rocca, Bibliotheca…, cit., pp. 193-197. 79 Ovidio, Metamorfosi, ii, 27-30: «Serque novum stabat cinctum florente corona / Stabat nudas Aestas et spicea serta gerebat / Stabat et Autumnus, calcatis sordidus uvis / Et glacialis Hiems, canos hirsuta capillos». 80 C. Ripa, Iconologia, Gigliotti, Roma 1593. 81 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 41. 82 bav, Vat. Lat. 5008. 83 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Boncompagni, D. 5, f. 314r-v. 84 Pastor, Storia…, cit., ix, p. 132, n. 3. 85 Petitmengin, Recherches…, cit., pp. 561-628. 86 Sui trattati che hanno affrontato la storia delle biblioteche antiche, a partire dalla famosa Lettera di Aristea, vedi L. Canfora, Il viaggio di Aristea, Laterza, Bari 1996. Nel testo sono esaminati anche gli affreschi del Salone Sistino (pp. 89-106). 87 M. Neander, Graecae Linguae Erotemata, Ioannem Oporinum, Basel 1576. 88 Citato da Canfora, Il viaggio…, cit., p. 83. 89 Roma, Biblioteca Angelica, ms. 611, ff. 383-403. Cfr. Serrai, Storia…, cit., v, p. 167, n. 24. 90 Sulla figura di Mosè assunta come modello da Sisto v vedi C. Mandel, Introduzione all’iconologia della pittura a Roma in età sistina, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 3-16. Sui rapporti tra Sisto v e Sisto iv vedi Zuccari, I pittori…, cit., p. 61 e id., Sisto v e l’eredità di Sisto iv papa francescano, in Sisto iv: le Arti a Roma nel Primo Rinascimento, Atti del Convegno Internazionale di Studi a cura di F. Benzi, Shakespeare and Company, Roma 2000, pp. 101-120. 91 V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 127-131. 92 L’iscrizione sotto alla seconda scena recita: seleucus bibliothecam a xerse asportatam referendum curat,

mentre quella sotto alla prima è: pisistratus

primis apud graecos publicam bibliothecam instituit.

Cfr. Canfora, Il viaggio…, cit., p. 96. Antoniano, Dell’educazione…, cit., iii, cap. 37. Cfr. Canfora, Il viaggio…, cit., pp. 96-103. 95 Ibid., pp. 102-103. 96 Ibid., p. 103. 97 D. Frascarelli, Gli affreschi sistini della Biblioteca Vaticana: analisi storica e iconografica, tesi di laurea, Università di Roma La Sapienza, Facoltà di Lettere, A.A. 1986-1987, p. 125. 98 Sul riferimento al Tempio di Gerusalemme nell’affresco di Perugino della Cappella Sistina vedi S. Danesi Squarzina, La Sistina di Sisto iv e l’eredità del pensiero religioso medievale, in Ricerche sul ’400 a Roma: pittura e architettura, Bagatto, Roma 1991. 99 Sulla Biblioteca di Cesarea vedi A. Grafton, Christianity and the transformation oh the book: Origene, Eusebio, and the library of Cesarea, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Mass. 2006. 100 Zuccari, Sisto v…, cit., pp. 101-102. 101 Sui concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica vedi H. Jedin, Breve storia dei Concili. I venti Concili Ecumenici nel quadro della Storia della Chiesa, Herder, Roma 1961. 102 Quello che nella Biblioteca Vaticana compare come il Primo Concilio Lateranense è in realtà il Terzo Concilio Lateranense, proprio perché il primo e il secondo non vennero dipinti. 93 94

Sul Concilio di Costanza vedi J. Wohlmuth, I Concili di Costanza (1414-1418) e Basilea (14311449), in G. Alberigo, a cura di, Storia dei Concili Ecumenici, Queriniana, Brescia 1990, pp. 219-239. 104 Sotto la scena che raffigura il Rogo dei libri ariani è posta l’iscrizione seguente: ex decreto cocilii costantinus imp. libros arianorum comburi iubet. Sotto il Rogo dei libri di Fozio, l’iscrizione recita: ex decreto cocilii basilius imp. chirographa photii, eiusq. conciliab. acta comburi iubet. 105 K. Corrigan, Concilio, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, v, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1994, pp. 253-257. 106 Parigi, Bibliothèque Nationale de France, cod. Gr. 510, f. 355r. Sul codice, datato tra l’879 e l’883, vedi L. Brubaker, Vision and meaning in ninth-century Byzantium: image as exsegesis in the Homilies of Gregory of Nazianzus, University Press, Cambridge 1999 (con bibl. prec.). 107 Sul Vangelo posto su un trono nell’iconografia del concilio ecumenico vedi Ch. Walter, L’iconographie des conciles dans tradition byzantine, Institut français d’études byzantines, Paris 1970, pp. 147-148 e 235-239. 108 A. Grabar, L’Empereur dans l’art byzantin, Variorum Reprints, London 1971, pp. 90 e 169; Ch. Walter, L’iconographie…, cit., pp. 165ss. 109 Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Raccolta di trattati teologici dell’imperatore Giovanni Cantacuzeno, f. 5v. Cfr. Ch. Walter, L’iconographie…, cit., p. 70. 110 Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. clxv, ff. 2v, 3v, 4r-v. Cfr. Ch. Walter, Les dessins carolingiens dans un manuscript de Vercelli, in «Cahiers Archéologiques», 18 (1968), pp. 99-107. 111 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Chig. l.viii.296, f. 201v. 112 Sul ciclo decorativo, documentato in Liber Pontificalis, ed. Duchesse, Paris 1955, i, p. 391, vedi A. Grabar, L’iconoclasme byzantine: dossier archéologique, Flammarion, Paris 1984, pp. 48-49; Ch. Walter, L’iconographie…, cit., pp. 48-49. 113 Clark, The Care…, cit., p. 230. 114 Sulla Biblioteca dell’Escorial vedi M.M. Portuondo, The study of nature, philosophy, and the Royal Library of San Lorenzo of the Escorial, in «Renaissance Quarterly», 63 (2010), pp. 1106-1150; R. Magano, Bartolomè Carducho con Pellegrino Tibaldi nella Real Biblioteca del Monastero di San Lorenzo dell’Escorial, in «Commentari d’arte», 36-37 (2007), pp. 35-44. 115 Sul rapporto tra le diverse immagini che appaiono nella Stanza della Segnatura vedi E. Gombrich, Immagini simboliche…, cit, pp. 121-145. 116 Grabar, L’iconoclasme…, cit, p. 55. 117 Per l’inventario dei libri posseduti da Felice Peretti vedi G. Cugnoni, Documenti Chigiani concernenti Felice Peretti, Sisto v, come privato e come pontefice, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, (1882), pp. 1-132; 210-304; 542-589. 118 bav, Ottob. lat. 659. Il trattatello, scritto nella lettera inviata al Borromeo, è pubblicato in A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, Z. Brasca, Milano 1857, pp. 33ss. 119 Ch. Walter, L’iconographie..., cit., pp. 147-148. 120 Cfr. Ibidem. 121 Sulla chiesa della Natività di Betlemme vedi M.R. Menna, Immagini e scritture nei mosaici della Natività a Betlemme, in Il Cammino di Gerusalemme. Atti del ii Convegno Internazionale di Studio tenuto a Bari-Brindisi-Trani 1999, a cura di M.S. Calò Mariani, M. Adda, Bari 2002, pp. 647-658 (con bibl. prec.). 122 bav, Vat. gr. 1613, f. 108. Sul codice vedi I. Sevcenko, Illuminators of the Menologium of Basil ii, in «Dumbarton Oaks Papers», 16 (1962), pp. 143-276; L. Ventura, A proposito della trasmigrazione del Menologio di Basilio ii (codice vaticano greco 1613), in «Accademie e Biblioteche d’Italia», 55 (1989), pp. 35-39. 123 Mosca, Museo Storico, cod. 129D, f. 23. 124 Veth, The frescoes…, cit., p. 300. Il personaggio che nell’affresco appare sotto a Dio Padre e Gesù potrebbe essere san Pietro, come suggerito dallo stesso studioso e da Zuccari, La Biblioteca Vaticana…, cit., p. 68. La sua presenza, vista anche la particolare collocazione, potrebbe alludere al ruolo esercitato da san Pietro come garante della trasmissione della vera dottrina cristiana. 103

125 Baronio, Martyrologium Romanum, Marcus Antonius Zalterius, Venezia 1597, p. 558: «In Cypro insula natalis beati Spiridionis Episcopi, qui unus fuit ex illis Confessoribus, quos Maximinus dextro oculo affosso et sinistro poplite succiso, ad metalla damnaverat. Hic prophetiae dono et signorum gloria inclytus fuit, et in Niceno Concilio philosophum ethnicum, christianae religioni insultantem, devicit et ad fidem perduxit». 126 Cfr. G. Sicari, Reliquie insigni e “corpi santi” a Roma, Alma Mater, Roma 1998. 127 Zuccari, La Biblioteca Vaticana…, cit., p. 69. 128 Rocca, Biblioteca…, cit., pp. 65-66. 129 Zuccari, La Biblioteca Vaticana…, cit, cit, p. 70. 130 In realtà, come abbiamo visto, si tratta del Terzo Concilio Lateranense. 131 asv, Libro di Spese fatte per la Libreria nuova in Vaticano, A.A. Arm. B, vol. i, f. 64: «Nelle risvolte delle facciate appresso detto concilio sono alla destra La Prohibitione de concilij et dall’altro lato Roma Religiosa con il Tevere e nel lontano la vista de Casamenti in paesi […] s. 35». Frascarelli, Gli affreschi…, cit., pp. 162-163. 132 Sulla sistemazione del Campidoglio in età sistina vedi Il Campidoglio e Sisto v, catalogo della mostra a cura di L. Spezzaferro e M.L. Tittoni, Carte Segrete, Roma 1991. 133 In realtà, si tratta del Quinto Concilio Lateranense, essendo stati eliminati, come abbiamo visto, il Primo e il Secondo, riconosciuti in seguito dalla Chiesa cattolica. 134 Si tratta in realtà del Quarto. Vedi la nota precedente. 135 Pansa, Della Libraria…, cit., pp. 249-250. 136 Rocca, Bibliotheca…, cit., pp. 78-193. Sull’attenzione rivolta dal Rocca alla serie di affreschi vedi Serrai, Storia…, cit., pp. 163-164. 137 Rocca, Bibliotheca…, cit., pp. 83-84. 138 Citato in Rocca, Bibliotheca…, cit., pp. 93-94. 139 Su Angelo Rocca vedi A. Serrai, Angelo Rocca fondatore della prima biblioteca pubblica europea, Silvestre Bonnard, Milano 2004. 140 Serrai, Storia…, cit., pp. 163-164. 141 Taccone Gallucci, Monografia…, cit., pp. 58ss. 142 Citato da Frajese, Nascita…, cit., p. 109. 143 Sul Triclinio Lateranense e le sue complicate vicende conservative vedi A. Iacobini, Il mosaico del Triclinio Lateranense, in Fragmenta picta: affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano, Argos, Roma 1989, pp. 189-196. Desidero ringraziare Antonio Iacobini per l’utile scambio di idee e i preziosi suggerimenti. 144 Curiosamente la scena a cui sembra rimandare l’affresco della Biblioteca è quella che appare nel pennacchio di sinistra dell’Aula Leonina, già completamente perduta intorno al 1580, secondo lo schizzo documentario disegnato da Pompeo Ugonio (bav, cod. Barb. lat. 2160, f. 55r) e ricostruita interamente durante il restauro barberiniano, concluso nel 1625. L’Alemanni nel suo volume celebrativo (N. Alemanni, De Lateranensibus parietinis ab illustr. et Reverendiss. Domino D. Francisco Card. Barberino restitutis dissertatio historica, Roma 1625, pp. 56-57) riporta che l’allora cardinal Barberini si avvalse di una fonte iconografica non meglio specificata, depositata poi nella Biblioteca Vaticana (cfr. Iacobini, Il mosaico…, cit). A questo punto si deve pensare che l’affresco della libreria abbia seguito lo stesso modello iconografico, ancora non rintracciato, oppure che abbia costituito esso stesso la fonte cui si attinse, accompagnato dalla puntuale descrizione del Rocca. Ad avvalorare quest’ipotesi, suggestiva ma non supportata da prove, potrebbe essere il fatto che l’Alemanni identifica nella figura del pontefice non Pietro, come correntemente si crede, ma papa Silvestro, proprio come sostenuto da Rocca nel volume dedicato agli affreschi vaticani. La somiglianza iconografica potrebbe essere spiegata, infine, anche attraverso il comune riferimento alla Donazione di Costantino che potrebbe essere stata usata come fonte letteraria non solo per l’affresco vaticano, ma anche per il restauro barberiniano. 145 Cfr. Veth, The frescoes…, cit., p. 294. 146 I sidorus M ercator , Decretalium Collectio, Edictum Domini Constantini Imperatoris, pl 130, col. 248B. 147 Ibid., col. 248C.

Ibid., col. 248D. Rocca, Bibliotheca…, cit., pp. 164ss. 150 Sull’aspetto topografico vedi E. Stevenson, Topografia e monumenti di Romanelle pitture a fresco di Sisto v della Biblioteca Vaticana, Tipografia Poliglotta di Propaganda Fide, Roma 1887; G. Morello, P. Silvan, Vedute di Roma: dai dipinti della Biblioteca Apostolica Vaticana, Electa, Milano 1997 (con bibl. prec.). Sui significati del ciclo vedi C. Mandel, Felix culpa and Felix Roma: on the program of the Sixtine staircase at the Vatican, in «The Art Bulletin», 1 (1993), pp. 65-90. 151 Sul distinto significato di res gestae e historia rerum gestarum vedi H.-I. Marrou, De la connaissance historique, Éditions du Seuil, Paris 1954, pp. 38-39. 152 Sulla decorazione della Biblioteca di Sisto iv vedi G. Cornini, “Dominico Thomasii fiorentino pro pictura bibliothecae quam incoavit”: il contributo di Domenico e Davide Ghirlandaio nella Biblioteca di Sisto iv, in F. Benzi, a cura di, Sisto iv: le arti a Roma nel primo Rinascimento, Roma 2000, pp. 225-248; A. Manfredi, a cura di, Le origini…, cit. 153 bav, Archivio Biblioteca i, ff. 42-51. Cfr. Frajese, Il popolo…, cit., p. 126. 154 Cfr. Mandel, Introduzione…, cit., pp. 9-12; Zuccari, Sisto v…, cit., pp. 105ss. Sulla decorazione della corsia dell’Ospedale di S. Spirito vedi S. Pasti, Due cicli di affreschi dalla scrittura all’immagine: la chiesa Vecchia di Tor de’ Specchi e la corsia sistina dell’ospedale di Santo Spirito, in Il 400 a Roma: la rinascita delle arti da Donatello a Perugino, catalogo della mostra a cura di G. Bernardini e M. Bussagli, Skira, Roma 2008, pp. 179-187; S. Magrelli, Un’ipotesi sulla datazione degli affreschi della corsia sistina, in L’antico ospedale di Santo Spirito dall’istituzione papale alla sanità del terzo millennio, Atti del Convegno Internazionale di Studi a cura di V. Cappelletti e F. Tagliarini, Il Veltro Editrice, Roma 2002, pp. 25-33; M.A. Cassiani, L’ospedale di Santo Spirito in Sassia: cultura francescana e devozione nel ciclo pittorico della corsia sistina, in F. Benzi, a cura di, Sisto iv…, cit., pp. 167-173; S. Danesi Squarzina, Pauperismo francescano e magnificenza antiquaria nel programma architettonico di Sisto iv, in S. Bottaro, A. Dagnino, G. Rotondi Terminiello, a cura di, Sisto iv e Giulio ii: mecenati e promotori di cultura, Coop. Tipograf., Savona 1989, pp. 7-26. 155 Sul pittore vedi M. B evilacqua , Giovanni Guerra, in Dizionario Biografico degli Italiani, 60, Roma 2003, pp. 611-615; S. Pierguidi, “Dare forma humana all’honore et a la virtù”: Giovanni Guerra (1544-1618) e la fortuna delle figure allegoriche da Mantegna all’Iconologia di Cesare Ripa, Bulzoni, Roma 2008. 156 Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 271 e 291. 157 G. Guerra, Varii Emblemi Hieroglifici usati nelli Abbigliamenti delle Pitture fatte in diversi luochi nelle fabriche del S.mo S.r nostro Papa Sixto v P.O.M., s.n., Roma 1589. 158 Sul volumetto vedi C. Stefani, Giovanni Guerra inventor e l’Iconologia, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 17-34 e particolarmente pp. 32-33. 159 C. Hope, E. McGrath, Artists and humanists, in J. Kraye, a cura di, The Cambridge companion to Renaissance humanism, Cambridge University Press, Cambridge 1998, p. 173. 160 Il primo taccuino è conservato a Parigi, presso il Musée du Louvre (Cabinet des Dessins, Coll. Edmond de Rotschild, inv. Dr. 1078, 1258) e contiene 184 disegni su carta giallina, con titolo a penna, in alto al centro. Il secondo è custodito a Parigi, presso la Bibliothèque de l’École des Beaux-Arts (coll. Masson, inv. 2553) e presenta 148 disegni. Cfr. Stefani, Giovanni…, cit., p. 28. 161 Sul testo vedi A. Tarabochia Canavero, Oriente e Occidente nell’“Iconologia” di Cesare Ripa, in Oriente e Occidente nel Rinascimento. Atti del xix Convegno Internazionale, Chianciano Terme, Pienza, 2007, a cura di L. Secchi Tarugi, Cesati, Firenze 2009, pp. 839-856; G. Zappella, L’“Iconologia” di Cesare Ripa: notizie, confronti e nuove ricerche, Opera Edizioni, Salerno 2009. 162 Sull’allegoria e le personificazioni nel Cinquecento vedi Pierguidi, “Dare forma humana…”, cit., pp. 69-187. 148 149

Ibid., pp. 190ss. C. Ripa, Iconologia, Roma 1603, p. 130. Id., Iconologia, Padova 1618 (ed. cons. Torino 1986), i, pp. 98-99. 166 Pastor, Storia…, cit., x, p. 452. 167 Guerra, Varii…, cit. 168 Frajese, Nascita…, cit., p. 133. 163

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Capitolo quarto Per un resoconto generale sulle imprese sistine si veda M.L. Madonna, a cura di, Roma di Sisto v. Le arti e la cultura, De Luca, Roma 1993, passim; A. Zuccari, I pittori di Sisto v, Palombi, Roma 1992, passim. Sul ciclo di affreschi della Cappella Sistina a S. Maria Maggiore e per la sua lettura iconologica cfr. Ibid., pp. 9-46; F. Ostrow, L’arte dei papi. La politica delle immagini nella Roma della Controriforma, Carocci, Roma 2002, pp. 63-117 (con bibliografia precedente). Sul Palazzo Lateranense e le sue decorazioni C. Mandel, Sixtus v and the Lateran Palace, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994. Desidero ringraziare Massimo Moretti per l’aiuto prestatomi nella redazione e correzione di questo testo. 2 Come noto, la villa è andata distrutta tra il 1886 e il 1888 per far posto al complesso della Stazione Termini. In particolare sulla decorazione di Villa Montalto si veda V. Massimo, Notizie Istoriche della Villa Massimo alle Terme Diocleziane con un’appendice di documenti, Tipografia Salviucci, Roma 1836 (la descrizione completa delle pitture murali è al cap. vi: Delle pitture fatte dal Card. Fr. Felice Mont’Alto nel Palazzo della sua Vigna, pp. 42-58); G. Matthiae, La Villa Montalto alle Terme, in «Capitolium», 14 (1939), pp. 139-47; D.R. Coffin, The Villa in the Life of Renaissance Rome, Princeton University Press, Princeton 1979, pp. 365-369; M. Quast, Die Villa Montalto in Rom: Entstehung und Gestalt im Cinquecento, Tuduv, München 1991; M. Bevilacqua, La decorazione della sala grande del Palazzo alle Terme di Villa Montalto, in M. Fagiolo, M.L. Madonna, a cura di, Sisto v, i, Roma e il Lazio, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp. 717-746; Id., L’organizzazione dei cantieri pittorici sistini: note sul rapporto tra botteghe e committenza, Ibid., p. 40; S.F. Ostrow, L’arte dei papi…, cit., pp. 23-32. Il sodalizio tra Severi e Cavagna è documentato nel 1585. Il 7 giugno 1585 i due artisti ricevono 314 scudi «per aver fatto armi alli stendardi grandi e piccoli e per le trombe della guardia di N. S. e grande bandiera di Castel Sant’Angelo». A. Bertolotti, Artisti urbinati in Roma prima del xviii secolo, Righi, Urbino 1881, p. 24. 3 Si tratta, come noto, di Ferdinando Sermei e Angelo Righi da Orvieto, Giacomo Stella da Brescia, il fiammingo Hendrick van den Broeck, Ercolino bolognese e Lattanzio Mainardi, anch’egli di Bologna, il romano Paris Nogari, il veneziano Salvatore Fontana, il milanese Giovanni Battista Pozzo, l’anconetano Andrea Lilio. 4 S. Pierguidi, “Dare forma humana a l’Honore et a la Virtù”. Giovanni Guerra (1544-1618) e la fortuna delle figure allegoriche da Mantegna all’iconologia di Cesare Ripa, Bulzoni, Roma 2008, p. 47. 5 La decorazione dei due sacelli situati a destra e a sinistra dell’arco di ingresso della Cappella del Presepe iniziò nell’autunno del 1586, mentre la decorazione della Cappella maggiore si svolse entro il 1587 (il 3 gennaio 1588 i direttori dei lavori Giovanni Guerra e Cesare Nebbia ricevevano infatti il saldo finale relativo alle pitture ad affresco). A. Zuccari, I Pittori di Sisto v…, cit., p. 35; Ostrow, L’arte dei papi…, cit., p. 40; Pierguidi, “Dare forma humana…, cit., pp. 46-47, n. 115. 6 E. Milanesi, Ospedale dei Mendicanti. Apparato decorativo, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 162. 7 Roma, asr, Camerale i, Depositeria Generale, vol. 1821, f. 69r. Pierguidi, “Dare forma humana a…”, cit., pp. 50-51. 8 M. Bevilacqua, L’organizzazione dei cantieri pittorici sistini: note sul rapporto tra botteghe e committenza, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 35-36. 9 P. Mangia Renda, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 145. 1

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La Biblioteca Apostolica Vaticana Oltre alla lunetta pubblicata in M. Bevilacqua, Ss. Apostoli. Il convento, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 164, altri lacerti sono emersi nel primo chiostro del convento. 11 Le sale, parte della nuova ala del Palazzo di Montecavallo voluta da Sisto v all’angolo della piazza del Quirinale con via Pia, furono decorate a partire dal 1590 (ma l’ultimo pagamento è posteriore al pontificato sistino essendo datato 1593). I. Menichini, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 162. 12 Mascarino nel suo testamento ricorda di aver perduto nei diciotto anni in cui fu a servizio di mons. Fantino Petrignani (dal 1588 al 1600 ca.) «tutte l’occasioni», riferendosi probabilmente proprio ai cantieri sistini. Cfr. M. Moretti, Caravaggio e Fantino Petrignani committente e protettore di artisti, in M. Calvesi e A. Zuccari, a cura di, Da Caravaggio ai Caravaggeschi, Cam, Roma 2009, pp. 80-81. 13 H. Voss, La pittura del Tardo Rinascimento a Roma e Firenze, Donzelli, Roma 1994, p. 273. 14 Sugli autori del programma figurativo e delle iscrizioni apposte sulle singole scene si veda, in questo volume, il saggio di Dalma Frascarelli. 15 asr, Camerale i, Mandati camerali, vol. 936, f. 24; cfr. A. Dupront, Art et Contre-réforme. Les fresques de la bibliothèque de Sixt-Quint, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 48 (1931), p. 294. 16 A. Lanconelli, I “Libri dei conti” di Domenico Fontana. Riepilogo generale delle spese e Libro i, in «Storia della città», 40 (1986), p. 52; J. Hess, Kunstgeschichtliche Studien zu Renaissance und Barock, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1967, p. 164. 17 M. Bevilacqua, L’organizzazione dei cantieri pittorici sistini: note sul rapporto tra bottega e committenza, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 36. 18 Cfr. S. Pierguidi, Il ruolo di Domenico Fontana nella scelta dei pittori sistini, in M. Fagiolo e G. Bonaccorso, a cura di, Studi sui Fontana, una dinastia di architetti ticinesi a Roma tra Manierismo e Barocco, Gangemi, Roma 2008, pp. 71-80. 19 H. Voss, La pittura del Tardo Rinascimento…, cit., p. 270. 20 G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio xiii del 1572. Infino a’ tempi di Papa Urbano viii nel 1642, Andrea Fei, Roma 1642, pp. 116, 159. 21 «Giovanni inventava li soggetti delle storie, che dipinger si doveano, e Cesare ne faceva i disegni si che amendue a gara in quel servigio impiegavansi»; «Cesare Nebbia faceva li disegni, e Gio. Guerra da Modana compartiva gli uomini, e veramente in simil genere era valent’huomo, e versato nelle storie e buon prattico: e de’ suoi soggetti e disegni arricchì in San Gio. Laterano la Loggia, il Palazzo, e le Scale Sante». Baglione, Le vite…, cit., pp. 159, 116. cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 33-37, 75-71. 22 Baglione, Le vite…, cit., pp. 159-160. 23 La greca con piccole pere che corre sotto la volta del Salone Sistino era già stata proposta nello studio per l’Innalzamento dell’obelisco in piazza San Pietro, tradotto in stampa da Natale Bonifacio nel 1586. Cfr. C. Monbeig Goguel, Giovanni Guerra da Modena, disegnatore e illustratore della fine del Rinascimento, in «Arte illustrata», 58 (1974), p. 166, figg. 3-4. 24 Per la produzione di emblemi da parte di Guerra, cfr. C. Stefani, Giovanni Guerra inventor e l’iconologia, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 17-34. 25 Per le allegorie sistine Guerra prese probabilmente a modello la raccolta Delle Allusioni di Principio Fabrizi, dedicate al pontificato di Gregorio xiii, incise da Natale Bonifacio, già pronte per la stampa nel 1579 anche se pubblicate soltanto nel 1588. Cfr. Pierguidi, “Dare forma humana…”, cit., p. 45. 26 A. Serrai, Angelo Rocca: fondatore della prima biblioteca pubblica europea, nel quarto centenario della Biblioteca Angelica, Barnard, Milano 2004. 27 Berlino, Kunstbibliothek, Hdz 6685; cfr. S. Jacob, Italienische Zeichnungen der Kunstbibliothek Berlin, in Architektur und Dekoration 16. bis 18. Jahrhundert, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Berlin 1975, p. 40, cat. N. 109; Ostrow, L’arte di papi…, cit., p. 73. 28 Il fascicolo riguarda la decorazione della Cappella del Presepe a S. Maria Maggiore: «Nota del prezzo 10

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Note delle opere di pittura fatte nella Cappella del S.mo Presepio a S. Maria Maggiore d’ordine di N. S. re Papa Sisto quinto eseguita, e fatta col’Inventione di M. Cesare Nebbi da Orvieto condotta al fine insieme con li suoi compagni». Roma, Archivio di Stato, Giustificazioni di Tesoreria, b. 17 fasc. 6. In Pierguidi, “Dare forma humana…”, cit., p. 49. 29 «Ioannes vero Mutinensis ingenio praestans, et ex arte non ignobilis Emblemata omnia, necnon cetera Bibliotheca ornamenta ad pictoris arbitrum facta adinvenit, ac delineavit, et ab aliis item pictoribus ad unguem absolvenda studuit. Ad haec autem omnia conficienda non modicam prestiti operam Ioannes Baptista Novariensis, pictor satis clarus, qui ob delineandi, pingendique scientiam apud artis pictoriae peritos maximam fui expectationem concitavucit». A. Rocca, Bibliotheca Apostolica Vaticana a Sixto 5. pont. max. in splendidiorem, commodieremque locum translata..., Ex Typographia Apostolica Vaticana, Roma 1591, p. 271. 30 Sul Ricci si veda la voce di A. Lo Bianco in La pittura in Italia. Il Cinquecento, t. ii, Electa, Milano 1997, p. 820 (con bibliografia precedente); E. Passalacqua, Giovan Battista Ricci da Novara negli affreschi della Scala Santa, in G. Bongiovanni, a cura di, Scritti di storia dell’arte in onore di Teresa Pugliatti, De Luca, Roma 2007, pp. 44-47. 31 P. Tosini, La cappella di San Nicola da Tolentino in Sant’Agostino a Roma: un esempio nicoliano per la Controriforma, in R. Tollo, a cura di, San Nicola da Tolentino nell’arte. Corpus iconografico, vol. ii, Dal Concilio di Trento alla fine del Seicento, Biblioteca Egidiana, Loreto 2006, p. 72. 32 G. Baglione, Le vite…, cit., p. 116. 33 Cfr. F. d’Amico, La pittura a Roma nella seconda metà del Cinqucento, in L’arte in Roma nel secolo xvi, tomo ii, Città di Castello 1992, pp. 245-253. 34 G. Baglione, Le vite…, cit., p. 116. 35 Per il rapporto tra i cicli pittorici rovereschi e quelli di papa Peretti, cfr. A. Zuccari, Sisto v e l’eredità di Sisto iv, papa francescano, in F. Benzi, a cura di, Sisto iv. Le Arti a Roma nel Primo Rinascimento, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma 23-25 ottobre 1997, Edizioni dell’Associazione Culturale Shakespeare and Company, Roma 2000, pp. 98-118. 36 M. Calvesi, Raffaello pittore, in Raffaello in Vaticano, catalogo della mostra, Città del Vaticano, 16 ottobre 1984-16 gennaio 1985, Electa, Milano 1984, pp. 163-178, 166. 37 F. d’Amico, Appunti sulla fortuna di Raffaello nel tardo manierismo romano, in L. Cassanelli, S. Rossi, a cura di, Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del cinquecento romano, catalogo delle mostre di Roma e Trevignano, Multigrafica, Roma 1984, pp. 237-241. 38 Per gli elementi di continuità delle decorazioni di Gregorio xiii e Sisto v, cfr. A. Zuccari, Ideazione ed esecuzione nei cicli pittorici di Gregorio xiii e Sisto v, in Il tardo Manierismo a Roma negli anni 1560-1580, Atti della Giornata di studio promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano e la Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck, Roma 12 dicembre 2003, in «Bollettino d’arte», 132 (2005), pp. 1-22. 39 Lo si nota in particolare nelle raffigurazioni delle Biblioteche di Babilonia, di Atene, di Alessandria e dei Romani. 40 Su questo tema cfr. P. Georgel, A.M. Lecoq, La Pittura nella pittura, Mondadori, Milano 1987. 41 E. Aleandri Barletta, a cura di, Aspetti della Riforma Cattolica e del Concilio di Trento, catalogo della mostra di Roma, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Roma 1964, tav. xxvi. 42 Cfr. A. Rocca, Bibliotheca Apostolica Vaticana…, cit., p. 272; L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del secolo xviii, ed. a cura di M. Capucci, Sansoni, Firenze 1968, vol. i, p. 338. 43 I mandati di pagamento, com’è noto, sono intestati ai due direttori e non citano mai i loro collaboratori. 44 Biografia di Fenzoni (che non fu pubblicata perché il pittore era ancora in vita), in F. Todini, a cura di, Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria. Ferraù Fenzoni, Andrea Polinori, Bartolomeo Barbiani, Ediart, Todi 1990, p. 339. 45 Baglione, Le vite…, cit., p. 38. A Mainardi possono forse risalire la figura allegorica della Fede dipinta

sulla volta della Sala degli Scrittori alla sinistra di uno stemma di Sisto v, il riquadro centrale della volta della camera nord e alcune eleganti figure di una volta della Libreria segreta. 46 Cfr. Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 272. Per la testimonianza di Benedetto Neri su Picchi, cfr. infra. 47 Per la presenza del nederlandese van Rantwijck e per l’affresco firmato da Isabella di Arcangelo da Jesi cfr. infra. 48 V. Frajese, Il popolo fanciullo. Silvio Antoniano e il sistema disciplinare della controriforma, F. Angeli, Milano 1987, p. 72. 49 Baglione, Le vite…, cit., p. 127. Il biografo non cita la tela, ma il nome di Facchetti è segnalato in Rocca, Bibliotheca…, cit., p. 267. 50 Sul pilleum degli ebrei e sul suo colore si rimanda allo studio di M. Moretti, «Glauci coloris». Gli ebrei nell’iconografia sacra di età moderna, in «Roma moderna e contemporanea», xix, 2011, 1, pp. 31-67. 51 Darmstadt, Hessisches Landesmuseum, Inv. ae 1571, 255 x 211 mm. Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 63, 76; G. Morello, scheda in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 357; R. Eitel-Porter, Der Zeichner und Maler Cesare Nebbia 1536-1614, Hirmer, München 2009, p. 167. 52 Per gli estensori del programma figurativo e delle iscrizioni si veda il saggio di Dalma Frascarelli in questo volume. 53 Cfr. C. Guglielmi, Intorno all’opera pittorica di Giovanni Baglione, in «Bollettino d’Arte», 39 (1954), pp. 311-326, 311-313. 54 Baglione, Le vite…, cit., p. 401. 55 Cfr. C. Bon, Una proposta per la cronologia delle opere giovanili di Giovanni Baglione, in «Paragone», 373 (1981), pp. 17-48, 18-21; Zuccari, I pittori…, cit., pp. 81-83. Strinati condivide l’attribuzione a Morelli del ciclo di Oriolo: cfr. C. Strinati, Il Ritrovamento di Mosè di Giovanni Baglione, in S. Macioce, a cura di, Giovanni Baglione (1566-1644). Pittore e biografo di artisti, Lithos, Roma 2002, pp. 7-15, 14 n. 1. 56 Haarlem, Teylers Museum, Inv. k iii 11, 367 x 292 mm. Cfr. C. van Tuyll in B.W. Meijer, C. van Tuyll, a cura di, Disegni italiani del Teylers Museum Haarlem, catalogo della mostra di Firenze e Roma, Silvana, Firenze 1983, pp. 178-179. 57 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 81-83. 58 Cfr. G. Morello, scheda in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 355; S. Macioce, Per una introduzione a Giovanni Baglione, in S. Macioce, a cura di, Giovanni Baglione…, cit., pp. xi-xxxiii, xvi; C. van Tuyll van Serooskerken, The Italian Drawings of the 15th and 16th Centuries in the Teylers Museum, Snoeck-Ducayn, Haarlem 2000, p. 190. 59 Cfr. A. Zuccari, Giovanni Baglione, Study for the Babylonian Library, in From Raphael to Carracci. The Art of Papal Rome, D. Franklin, S. Schütze, a cura di, catalogo della mostra, Ottawa, National Gallery of Canada, 29 maggio-7 settembre 2009, National Gallery of Canada, Ottawa 2009, n. 129, pp. 392-394. 60 Cfr. infra. Cinque dei sette disegni di Nebbia riguardano: due scene piccole che compongono metà della Biblioteca degli Ebrei e della Biblioteca dei Romani (attribuite a Giacomo Stella e a Ferdinando Sermei) e tre scene grandi con la Biblioteca di Cesarea (ricondotta a Baldassarre Croce) e i concili Niceno i e Costantinopolitano ii (dipinti da Arrigo Fiammingo e Andrea Lilio). Altri due sono semplici abbozzi per episodi collaterali: Costantino che ordina il rogo dei libri ariani (dipinto da Andrea Lilio) e Gregorio x che si riconcilia con i Greci al Concilio Lionese ii (l’affresco è di Antonio Viviani). Il foglio con le due scene del Concilio Costantinopolitano iv (l’affresco è di Vincenzo Conti) è una probabile copia da Nebbia. I due disegni eseguiti dallo stesso autore del dipinto riguardano l’episodio di sinistra della Biblioteca di Babilonia (attribuita a Giovanni Baglione) e tre quarti dell’immagine del Concilio di Efeso (di Giovan Battista Pozzo). Problematico è l’undicesimo foglio con due sole figure del Concilio Lateranense iv: non sembra di Nebbia e forse nemmeno di Fenzoni, che ha realizzato almeno la parte sinistra dell’affresco (la parte destra è parzialmente ridipinta e mal giudicabile). Altri due fogli che sono stati collegati ai dipinti della Biblioteca Sistina non sembrano avere attinenza con essi (cfr. infra).

Cfr. A. Zuccari, I disegni per gli affreschi della Scala Santa. Nebbia, Guerra, Fenzoni, Bril e le strategie progettuali di un cantiere ststino, in F. Sorce, a cura di, En Blanc et Noir. Studi in onore di Silvana Macchioni, Campisano, Roma 2007, pp. 29-46, 3839. Alla Scala Santa Fenzoni eseguì anche disegni per alcuni affreschi realizzati da altri pittori. 62 Cfr. R. Eitel-Porter, Artistic co-operation in late sixteenth-century Rome: the Sixtine Chapel in S. Maria Maggiore and the Scala Santa, in «The Burlington Magazine», 139 (1997), pp. 452-462, p. 462 e fig. 23. 63 Cfr. Bon, Una proposta…, cit., p. 29, fig. 43a. 64 Cfr. A. Zuccari, La Biblioteca Vaticana e i pittori sistini, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 59-76, 63. 65 Cfr. A. Venturi, Storia dell’Arte Italiana, vol. ix, parte vii, Hoepli, Milano 1934, p. 1016; Zuccari, I pittori…, cit., p. 84. Il primo ad attribuire a Fenzoni la Biblioteca di Atene fu Voss che poi ebbe un ripensamento in favore di Salimbeni: cfr. G. Scavizzi, N. Schwed, Ferraù Fenzoni. Pittore/Disegnatore, Ediart, Todi 2006, p. 96. Per il contributo di Venturi su Fenzoni si veda A. Zuccari, Adolfo Venturi e il tardo Manierismo, in M. D’Onofrio, a cura di, Adolfo Venturi e la Storia dell’arte oggi, Atti del Convegno Internazionale, Sapienza Università di Roma, 25-28 ottobre 2006, Franco Cosimo Panini, Modena 2008, pp. 297-307, 302-303. 66 Per tali studi dal vero, non dissimili da quelli dei Carracci, cfr. Zuccari, Ideazione ed esecuzione…, cit., pp. 14-16. 67 Cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., p. 64; Scavizzi, Schwed, Ferraù Fenzoni…, cit., p. 95. 68 Scavizzi ipotizza una formazione prevalentemente romana di Fenzoni, interessata anche al naturalismo dei pittori nordici, e non è del tutto convinto dell’ipotesi, formulata da Laura Russo, di un alunnato presso il bolognese Bernardino Baldi. Cfr. Ibid., pp. 10-11. 69 Cfr. J.A. Gere, Ph. Pouncey, Italian Drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum: artists working in Rome c. 1550 to c. 1640, London 1983, voll. i-ii, p. 136; Zuccari, I pittori…, cit., p. 86; B. Haas, Per una identificazione dei maestri dei cicli pittorici sistini, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 52-53. 70 G. Baglione, Le vite…, cit., p. 89. 71 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 87; Haas, Per una identificazione…, cit., p. 47. 72 C. Strinati, Roma nell’anno 1600, in «Ricerche di Storia dell’arte», 10 (1980), pp. 15-48, 27-29. 73 Cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., p. 64, fig. 14. 74 Cfr. supra. 75 Cfr. Ibid., p. 67. 76 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 45 n. 37, 87 e n. 43, 139. Su Ferdinando Sermei si veda la voce biografica di P. Tosini in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 544. 77 Chicago, Goldman Sammlung, 264 x 204 mm. Non conoscevo questo disegno che è stato attentamente esaminato in Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 116, 166; Ead., Cesare Nebbia, Emperor Augustus in the Palatine Library, in From Raphael to Carracci…, cit., n. 124, pp. 380-381. Non è invece condivisibile la proposta (formulata da Linda Hopwood nel 1972 e confermata in Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., p. 117), che considera un disegno di Baglione oggi a Sacramento come «prima idea» per Tarquinio il Superbo compra tre libri sibillini: pur mostrando qualche assonanza, né il soggetto né i personaggi corrispondono a quelli del dipinto. Peraltro, stando ai dati finora emersi, è improbabile che Nebbia delegasse ad altri l’ideazione di base di una scena. 78 La modifica coinvolge anche le figure alle spalle dell’imperatore e il busto del personaggio barbuto in primo piano, mentre sono inalterate quelle dei poeti «laureati», Virgilio e Orazio. La nicchia con una seconda probabile statua di Apollo (la prima è dinanzi al tempio circolare) è trasformata nell’affresco in una scansia ricolma di libri. La differenza cromatica di una porzione del tempio circolare, visibile nell’ansa del tendaggio, indica che fu eseguita dall’autore della scena contigua e conferma che ai pittori era assegnata una determinata superficie senza dar peso all’uniformità stilistica. 61

79 I due ultimi dipinti, come si vedrà, sono attribuiti ad Andrea Lilio e ad Antonio Viviani e sono correlati, rispettivamente, al Concilio Niceno i e al Concilio Lionese ii. L’unico disegno che comprende due scene contigue, è forse la copia di una «prima idea» di Nebbia relativa al Concilio Niceno ii. 80 G. Baglione, Le vite…, cit., p. 119. 81 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 85-86, 136-137 e fig. 57. Sull’artista si veda ora M. Ciampolini, Ventura Salimbeni, in A.M. Ambrosini Massari, M. Cellini, a cura di, Nel segno di Barocci: allievi e seguaci tra Marche, Umbria, Siena, F. Motta, Milano 2005, pp. 370-393. Ciampolini (p. 386 n. 42) non condivide l’attribuzione della Biblioteca di Gerusalemme, ritenendola «pittura puerile, diversa da quelle sicure prodotte dal Salimbeni con ben altro piglio inventivo in quel torno di anni». Tuttavia non tiene conto del fatto che l’affresco non è in buono stato (vi appaiono svelature e ritocchi) e della dipendenza di Salimbeni da un progetto preordinato, che certamente gli fornì Nebbia. E il «piglio inventivo» dell’Abramo e i tre angeli al Gesù (1588) si giustifica anche per le contenute dimensioni del dipinto. Peraltro, sia le tenui cromie venate di cangiantismi, sia le fanciullesche fattezze degli angeli, rinviano alla stessa tipologia. 82 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 87. Tra i vari scritti che trattano di Baldassarre Croce si vedano la scheda biografica di M. Bevilacqua in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 528, e i contributi di M.G. Bonelli, G. Wiedmann e E. Priedl, in M.G. Bonelli, L.P. Bonelli, a cura di, La Sala Regia: Viterbo, palazzo dei Priori, Sette Città, Viterbo 2001, pp. 49-67; 89-108; 109-123. Ancora su Croce e gli altri pittori sistini coinvolti nella cappella del Coro alla Scala Santa cfr. A. Zuccari, Le decorazioni della Scala Santa e alcune novità attributive nella cappella di San Silvestro, in M.A. Schroth, P. Violini, a cura di, La Cappella di San Silvestro. Le indagini, il restauro, la riscoperta, Campisano, Roma 2009, pp. 27-47. 83 Gran Bretagna, collezione privata, 196 x 366 mm. Non conoscevo il disegno, reso noto in Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 116, 168 e fig. 139. La scritta «Jacomo stella», come rivela la grafia, è un’attribuzione di padre Resta, ma il foglio è di Nebbia e il dipinto non corrisponde allo stile di Stella. Il fatto che il foglio non abbia la quadrettatura fa supporre l’esecuzione di una versione successiva, usata per trasferire l’immagine sul cartone, che invece risulta tracciata nei disegni di Nebbia a Darmstadt e Stoccolma, come in quello di Pozzo al Louvre (fig. 200). 84 Cfr. Baglione, Le vite…, cit., p. 336. 85 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 41-43, 87. 86 G. Baglione, Le vite…, cit., p. 77. 87 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 89. 88 Il disegno, ora al Fitzwilliam Museum di Cambridge, 245 x 512 mm, era stato pubblicato in P. Prouté S.A., Catalogue Veronese, Paris 1996, p. 8, n. 3. Ma si veda ora Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 118, 165, che riporta le scritte tracciate sul foglio, riguardanti i personaggi e alcuni elementi inclusi nell’immagine. 89 Cfr. A. Zuccari, The Rome of Orazio Gentileschi, in Orazio and Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra di Roma-New York-Saint Louis, ottobre 2001-settembre 2002, a cura di K. Christiansen, J.W. Mann, Skira, Milano 2001, pp. 39-47, 40; Zuccari, Ideazione…, cit., p. 19. 90 Musée des Beaux-Arts, Inv. 1682, album 3.149. 181 x 189 mm. Cfr. E. Pagliano, Dessins italiens de Venise à Palerme du musée des beaux-arts d’Orléans, xve-xviiie siècle, Somogy Éditions d’Art, Paris-Orléans 2003, p. 99; Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 118, 190. 91 Pagliano ritiene che nel disegno sia assente l’imperatore, ma la figura centrale, pur mancante della corona, ha già nella destra lo scettro imperiale, poi puntato verso il rogo nella redazione a fresco. 92 G. Scavizzi, Note sull’attività romana del Lilio e del Salimbeni, in «Bollettino d’arte», 44 (1959), p. 33; L. Arcangeli, Parte prima. Andrea Lilli, in Andrea Lilli nella pittura delle Marche tra Cinquecento e Seicento, Ancona, Pinacoteca Civica Podesti, 14 luglio-13 ottobre 1985, catalogo della mostra a cura di L. Arcangeli, P. Zampetti, Multigrafica, Roma 1985, p. 41. 93 Zuccari, I pittori…, cit., p. 89; M. Pulini, Andrea

Lilio, F. Motta, Milano 2003, pp. 24, 143. Pulini suppone una collaborazione di Lilio nell’Allegoria del Diritto di Fenzoni, ipotesi non condivisibile, come ritiene anche Scavizzi. 94 A. Dupront, Art et Contre-réforme: les fresques de la bibliothèque de Sixt-Quint, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 48, 1931, p. 297, che riprende l’attribuzione di A. T aja, Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano, Niccolò e Marco Pagliarini, Roma 1750, p. 427. Si vedano inoltre Zuccari, I pittori…, cit., pp. 89-92; Haas, Per una identificazione…, cit., p. 51. 95 Cfr. Zuccari, La Biblioteca Vaticana…, cit., p. 69 e fig. 21. 96 Baglione, Le vite…, cit., p. 148. Cfr. Hess, Kunstgeschichtliche…, cit., p. 166; Gere, Pouncey, Italian Drawings…, cit., p. 150; A. Zuccari, Palazzo Vento-Giustiniani, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 320-323. Per il rapporto di Ricci con Guerra e Fontana e per il ruolo tutt’altro che secondario da lui svolto nel contesto romano, cfr. Pierguidi, Il ruolo…, cit., pp. 75-76, 79-80. 97 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 93; R. Contini, scheda in Colle di Val d’Elsa nell’età dei granduchi medicei: ‘la terra in città e la collegiata in cattedrale’, catalogo della mostra (Colle di Val d’Elsa, 7 giugno-25 ottobre 1992), Centro Di, Firenze 1992, pp. 206-208; M.B. Guerrieri Borsoi, S. Susanna, Cappella Peretti, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 279-283. Sul pittore si veda anche R. Contini, Giovan Battista Pozzo, iperbole del Baglione, in «Nuovi studi», 1 (1996), pp. 95-102. 98 Sulla rilevante figura di Pozzo si dispone ora di nuovi elementi biografici (come la nascita nel 1558) e nuove ipotesi, offerte in particolare in G. Mollisi, I Pozzi di San Rocco, in «Arte & Storia», 26 (2005), pp. 39-40; Id., La Parrocchiale di Melide. Un esempio di decorazione sistina nella chiesa dei Fontana, in «Arte & Storia», 35 (2007), pp. 54-65, Id., I Pozzi di Valsolda e gli Avogadro di Tradate, in «Arte & Storia», 43 (2009), pp. 84-90. 99 Louvre, Cabinet des Dessins, Inv. 2055, 418 x 548 mm. Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 76, 78; G. Morello, scheda in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 357-358. Tale attribuzione è condivisa da Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., p. 119. 100 È possibile che il disegno del Louvre sia stato decurtato, ma non è da escludere che Pozzo abbia elaborato separatamente le due zone dell’immagine a partire da due distinti abbozzi di Nebbia. Le grandi dimensioni e la quadrettatura ne fanno un progetto definitivo, anche se vi è aggiunta a matita la nuvola con la Vergine e il Bambino. Le altre variazioni (il ciborio con colonne tortili, l’ampliamento del fondale architettonico e l’eliminazione degli ornati sugli sgabelli) furono probabilmente effettuate sul cartone. 101 Cfr. Gere, Pouncey, Italian Drawings…, cit., p. 13. Sul pittore romano si vedano la scheda biografica di M.B. Guerrieri Borsoi in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 538, e T. Litteri, Paris Nogari, pittore manierista romano, in «Storia dell’arte», 99 (2000), pp. 23-54. 102 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 94. Su Girolamo Nanni cfr. anche la scheda biografica di A. Melorio in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 537. 103 Baglione, Le vite…, cit., p. 386. La sollecitazione fatta a Nanni conferma che Guerra sorvegliava l’andamento dei lavori. 104 Cfr. Arcangeli, Parte prima…, cit., p. 41; Pulini, Andrea Lilio…, cit., pp. 152-153. Pulini ritiene che la breve porzione di sinistra dell’affresco appartenga al conterraneo Vincenzo Conti; ma l’unità stilistica del dipinto e l’assenza di questo tipo di cooperazione nel cantiere vaticano, portano a escludere la pur suggestiva ipotesi. 105 Stoccolma, Statens Konstmuseer, Inv. nmh 2210/1863, 208 x 426 mm. Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 89; G. Morello, scheda in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 355; Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 117, 205. Il disegno era stato attribuito da Magnus a Hendrick van den Broeck e da chi scrive ad Andrea Lilio per la somiglianza con l’affresco. Tuttavia, dopo un’attenta osservazione (il foglio è rovinato) mi sono convinto dell’autografia di Nebbia.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana 106 Cfr. M.L. Madonna, I cicli pittorici, in Ead., a cura di, Roma di Sisto v. Arte, architettura e città fra Rinascimento e Barocco, catalogo della mostra di Roma, De Luca, Roma 1993, p. 48. 107 C. Baronio, Annales Ecclesiastici auctore Caesare Baronio Sorano Congregationis Oratorii Praesbytero, t. i, Ex Typographia Vaticana, Romae 1588, pp. 120, 460. 108 Il documento e l’attribuzione sono in M. Moretti, Giorgio Picchi da Casteldurante (Casteldurante, 1555 circa-1605), in Ambrosini Massari, Cellini, a cura di, Nel segno di Barocci…, cit, pp. 198-219. Si veda anche infra. 109 Cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., p. 71. Su Vincenzo e Cesare Conti, cfr. la scheda biografica di L. Selvetella e M. Bevilacqua in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 527-528; A. Zuccari, Benedetto Giustiniani e i pittori di S. Prisca, in Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento, catalogo della mostra a cura di S. Danesi Squarzina, Roma, Palazzo Giustiniani, febbraio-maggio 2001, Electa, Milano 2001, pp. 8186; A.M. Pedrocchi, Il Palazzo del Commendatore: restauri e nuove ipotesi attributive, in V. Cappelletti, F. Tagliarini, a cura di, L’antico ospedale di Santo Spirito dall’istituzione papale alla sanità del terzo millennio, Convegno Internazionale di Studi, vol. ii, Il Veltro, Roma 2002, pp. 73-83; Pulini, Andrea Lilio…, cit., pp. 18-20; A.M. Pedrocchi, La cappella di San Nicola da Tolentino in Sant’Agostino a Roma: risvolti di un’annosa diatriba, in «Bollettino d’arte», 135-136 (2006), pp. 97-116; M. Papetti, Due proposte per Cesare e Vincenzo Conti nella prepositura di San Nicolò ad Acquaviva Picena: nuove acquisizioni sulla committenza marchigiana di ambito sistino, in «Studia Picena», 74 (2009), pp. 109-142 (con altri riferimenti bibliografici). 110 Il disegno (171 x 330 mm) era emerso in occasione di un’asta londinese del 1971. Cfr. Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 118-119; 180. 111 In questo caso Nebbia può aver deciso di formulare congiuntamente i due episodi sia per le dimensioni molto contenute del Rogo dei libri di Fozio, sia perché le due scene erano destinate a un singolo artista (anche l’immagine dell’assise è poco estesa). 112 Baglione, Le vite…, cit., p. 359. Per questa attribuzione, condivisa da Christiansen, cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., p. 71; Zuccari, The Rome…, cit., p. 40. 113 Su Gentileschi si vedano il catalogo della grande mostra del 2001-2002, Orazio and Artemisia…, cit. e K. Christiansen, Orazio Gentileschi, in A. Zuccari, a cura di, I Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, ideazione e direzione scientifica di C. Strinati e A. Zuccari, 2 voll., Skira, Milano 2010, pp. 421-433. 114 L’attribuzione a Picchi di questo brano, ipotizzata da chi scrive, è stata accolta in Moretti, Giorgio Picchi…, cit., p. 206. 115 Una questione ancora da chiarire riguarda i paesaggisti impegnati nelle campagne decorative di Sisto v, di cui sono stati individuati soltanto gli interventi di Bril. Cfr. su questo argomento F. Cappelletti, Paul Bril e la pittura di paesaggio a Roma 1580-1630, Roma 2005-2006, in particolare le pp. 70-101. 116 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 85; e, anche per i rimandi bibliografici, la scheda di Scavizzi in Scavizzi, Schwed, Ferraù Fenzoni…, cit., p. 95. 117 Il disegno, 257 x 112 mm, è apparso sul mercato nel 1977 a Monaco di Baviera. La variante che appare nella figura seminascosta (non ha il copricapo raffigurato nell’affresco) mostra che il foglio appartiene a una fase progettuale, e non escluderei del tutto che possa essere di Fenzoni; invece Scavizzi (p. 95), accetta l’assegnazione a Lilio proposta da Eitel-Porter (cfr. R. Eitel-Porter, Andrea Lilio’s early years in Rome. Some newly proposed attributions, in «Apollo», 1998, pp. 17-22, 19-20, figg. 8-9; Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., p. 119). Infatti, la studiosa lo ha messo in relazione con un altro studio di due figure, da lei considerato una copia da Nebbia, e attribuito entrambi i fogli ad Andrea Lilio. Pur suggestive, tali ipotesi non sono del tutto convincenti: il rapporto tra i due disegni non è stringente e l’affinità con la cifra grafica di Lilio è dubbia (Pulini infatti non include i due disegni nel corpus grafico di Lilio). 118 Il nome di Bernardino Cesari è indicato in Haas,

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Note Per una identificazione…, cit., p. 55, ma è da scartare per ragioni stilistiche, e per mancanza di documenti che riferiscano una partecipazione del Cesari ai cantieri sistini. La convincente attribuzione del brano riguardante la lotta contro gli Albigesi al Nucci mi è stata suggerita da Massimo Moretti. Per le altre assegnazioni al pittore eugubino si veda Zuccari, I pittori…, cit., pp. 134-135. Tra i recenti contributi su Avanzino cfr. M.R. Valazzi, Avanzino Nucci, in Le arti nelle Marche al tempo di Sisto v, catalogo della mostra a cura di P. Dal Poggetto, Silvana, Cinisello Balsamo 1992, pp. 452-455; M. Pupillo, Un’ipotesi per Avanzino Nucci nell’ospedale della SS. Trinità dei Pellegrini a Roma, in «Storia dell’arte», 85 (1995), pp. 395-411; O. Melasecchi, Avanzino Nucci ritrattista di San Filippo Neri, in «Storia dell’arte», 85 (1995), pp. 412-415; M.E. D’Imperio, Gli affreschi della cappella Gallucci nel duomo di Lucera: una proposta per Avanzino Nucci, Edizioni del Rosone, Foggia 2007; M. Moretti, Le committenze dei Somaschi di S. Biagio a Montecitorio: Jacques Stella, Avanzino Nucci, Tommaso Salini, in «Storia dell’arte», 189 (2011), pp. 29-48, 145-148. 119 Sanctum Lateranensem Concilium sub Julio ii et Leone x celebratum, f. lxxi, in G. Morello, a cura di, Raffaello e la Roma dei papi, catalogo della mostra nella Città del Vaticano, Palombi, Roma 1985, p. 114. 120 Zuccari, I pittori…, cit., p. 87. 121 Cfr. Moretti, Giorgio Picchi…, cit., p. 206. 122 G. Scavizzi, Gli affreschi della Scala Santa ed alcune aggiunte per il tardo manierismo romano, in «Bollettino d’arte» 45 (1960), pp. 111-122, 325-335, p. 327; Zuccari, I pittori…, cit., p. 96. Per un recente studio sul pittore cfr. M.R. Valazzi, Antonio Viviani detto il Sordo di Urbino (Urbino 1560-6 dicembre 1620), in Ambrosini Massari, Cellini, a cura di, Nel segno…, cit., pp. 114-127. 123 Cfr., A. Emiliani, a cura di, Mostra di Federico Barocci, catalogo della mostra di Bologna, Edizioni Alfa, Bologna 1975, figg. 17, 110, 118. 124 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Inv. E. I. 7, f. 47r (a), 186 x 155 mm. Cfr. A. Zuccari, I Giubilei di Sisto v, 1585-1590, in M. Calvesi, a cura di, Arte a Roma. Pittura, scultura, architettura nella storia dei Giubilei, con la collaborazione di L. Canova, Rizzoli, Milano 1999, pp. 104-113, 112-113. In seguito anche Eitel-Porter, alla quale avevo mostrato il disegno e indicato la provenienza senese, lo ha incluso nel catalogo di Nebbia: cfr. Eitel-Porter, Der Zeichner…, cit., pp. 119, 201. 125 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit, p. 94; Haas, Per una identificazione…, cit., pp. 48-49. Se venisse accertato che Croce è autore del Concilio di Vienne, andrebbe riconsiderata l’attribuzione a lui della Biblioteca di Cesarea di Palestina e del Concilio Lionese i. 126 Baglione, Le vite…, cit., p. 386. 127 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., pp. 98-100. Tra i vari studi relativi a Guidotti si vedano G. Papi, Nuove proposte sull’intervento di Paolo Guidotti nel Palazzo Lateranense, in «Bollettino d’Arte», 100 (1998), pp. 107-112; O. Melasecchi, Guidotti, Paolo, in Dizionario Biografico degli Italiani, lxi, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 462-465. 128 Cfr. F. Sricchia Santoro, a cura di, Domenico Beccafumi e il suo tempo, catalogo della mostra di Siena, Electa, Milano 1990, pp. 194-197; 197, 207. 129 Pur rilevando tali affinità, mi è venuto il dubbio che queste quattro Cappelle papali non possano appartenere al nederlandese Bernard van Rantwijck che, come chiarirò più oltre, potrebbe essere autore di alcune lunette della Biblioteca Sistina con scene di popolo. Altra ipotesi è in Moretti, Giorgio Picchi…, cit., p. 216. 130 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 88; l’unico orientativo confronto riguardava il Ritratto di Leone xi nella chiesa romana di S. Agnese fuori le mura, ma nulla di più. Per le possibili tangenze di Scalvati con Passerotti ricavavo alcuni raffronti da A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti pittore (1529-1592). Catalogo generale, Luisé, Rimini 1990, tavv. vi, xiii, figg. 53, 118. 131 Cfr. A. Pastori, Una famiglia di pittori jesini: gli Aquilini, Arti Grafiche Iesine, Jesi 1989, pp. 75-89, 76. Peraltro, la moglie di Arcangelo si chiamava Geronima (p. 75). Sulla base delle sue opere note non è stato possibile, per il momento, identificare suoi interventi nei cantieri sistini.

Cfr. l’albero genealogico degli Aquilini in Pastori, Una famiglia…, cit., p. 12. Per motivi anagrafici non può trattarsi di una figlia di Arcangelo (nato nel 1560), perché sarebbe stata una bambina o, al massimo, una adolescente. 133 Pur restando nel puro campo delle ipotesi, si può supporre che Felice Peretti avesse un qualche legame o frequentazione con quella famiglia: ad esempio può aver tenuto a battesimo la sconosciuta Isabella. 134 Per le figurazioni allegoriche ideate da Guerra cfr. C. Mandel, Introduzione all’iconologia dell’età sistina, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., pp. 3-16; Stefani, Giovanni Guerra…, cit., pp. 17-33. Un buon numero di queste «vedute» sono riprodotte e commentate in G. Morello, P.L. Silvan, Vedute di Roma dai dipinti della Biblioteca Apostolica Vaticana, Electa, Milano 1997. 135 Cfr. le schede di E. Parma Armani in Libri di immagini, disegni e incisioni di Giovanni Guerra (Modena 1544-Roma 1618), catalogo della mostra a cura di E. Cecchi Gattolin, E. Parma Armani, Tipolito Coptip, Modena 1978, pp. 85-88, tavv. lv-lvii. La contenuta presenza di scene storiche e narrative e la diffusa trama ornamentale fanno supporre, nelle due stanze della Libreria segreta, un ruolo preponderante di Guerra. Nebbia probabilmente ha progettato le figure dei Padri e Dottori della Chiesa e le storiette monocrome che ad essi sono associate. 136 Baglione, Le vite…, cit., p. 296. 137 Cfr. Cappelletti, Paul Bril…, cit., p. 73. 138 Cfr. Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., tav. viiib, e Cappelletti, Paul Bril…, cit., fig. 67 a p. 75. 139 Baglione, Le vite…, cit., p. 167. 140 L. Arcangeli, Il Santuario di Santa Maria delle Vergini a Macerata: un modello d’arte sistina, in P. Dal Poggetto, a cura di, Le Arti nelle Marche…, cit., pp. 143-152, 145-146, 150-151; Zuccari, I pittori…, cit., pp. 78-79. 141 Cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 96. Riguardo a Cesare Conti si vedano, nel presente contributo, i rinvii bibliografici della nota 109. 142 Cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., pp. 72-74 e figg. 36-38. 143 Cfr. S. Padovani, B. Santi, La donazione del vescovo Francesco Maria Piccolomini e la vicenda senese di Bernardo Rantwyck. Parte i, in «Arte cristiana», 696 (1982), pp. 149-165; S. Padovani, La donazione del vescovo Francesco Maria Piccolomini e la vicenda senese di Bernardo Rantwyck. Parte ii, in «Arte cristiana», 697 (1983), pp. 223-236; S. Padovani, Nuovi appunti su Bernardo Rantwyck, in «Prospettiva», 57-60 (1989-1990), pp. 139-145. La Dacos assegna invece ad altro artista i dipinti di Palazzo Chigi alla Postierla: N. Dacos, Dirck de Quade van Ravesteyn avant Prague: des Pays-Bas à Fontainebleau et à Sienne, in Kunst des Cinquecento in der Toskana, Bruckmann, München 1992, pp. 292-307. 144 Per le quattro Cappelle papali della camera nord avevo proposto il nome di Paolo Guidotti, ma il raffronto con le opere certe di Rantwijck mi ha spinto a proporre questa diversa ipotesi. Una ricostruzione dei possibili interventi del pittore olandese nella Biblioteca Sistina (A. Zuccari, Le storie di sant’Andrea e il pittore Bernard van Rantwijck) è stata presentata l’1 ottobre 2005 al Convegno Internazionale di Studi, Pius Secundus Aeneas Silvius Piccolomini, Poeta laureatus, Pontifex Maximus, a cura di A. Antoniutti, Roma, Complesso monumentale di S. Salvatore in Lauro, 29 settembre-1 ottobre 2005. 145 Baglione, Le vite…, cit., p. 299. Per una identificazione delle «grottesche» di Orsi, cfr. Zuccari, I pittori…, cit., p. 135; S. Brevaglieri, Palazzo Verospi al Corso, Scheiwiller, Milano 2001, pp. 83-86, fig. 22 e tavv. 40-54. 146 Cfr. Zuccari, La Biblioteca…, cit., pp. 75-76 e figg. 42-43. Qualche affinità con queste pitture sembra affiorare anche nel Bacio di Giuda, dipinto nella rampa centrale della Scala Santa. Su Torelli cfr. la scheda biografica di P. Tosini, in Madonna, a cura di, Roma di Sisto v…, cit., p. 546. 132

nelle sue architetture. Un disegno storico, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 70-123; precedentemente, Ch. M. Grafinger, Accrescimento della Biblioteca Vaticana e sviluppo dei suoi magazzini, in «Bibliotheca. Rivista di studi bibliografici», 2 (2002), pp. 176-186. La lettera di Juan Andrés al fratello Carlos, Mantova, 8 dicembre 1785, con la definizione della Vaticana come «bibliotaphio» è in Cartas familiares del Abate D. Juan Andrés a su hermano D. Carlos Andrés dandole noticia del viage que hizo á varias ciudades de Italia en el año 1785, publicadas por el mismo D. Carlos, i, en Madrid 1791, pp. 155-191: 166. L’espressione di Tisserant sul «risveglio dopo il lungo sonno» è in The Vatican Library. Two Papers by Monsignor E. Tisserant, T.W. Koch, Snead and Co., New Jersey 1929, pp. 5-14: 7. Sulla politica monumentale nella Roma laica degli anni dell’apertura Leonina: L. Berggren, L. Sjöstedt, L’ombra dei grandi. Monumenti e politica monumentale a Roma (1870-1895), collaborazione per le ricerche archivistiche e iconografiche: A. Landen, Artemide, Roma 1996 (Quaderni dei monumenti). Per il progetto di G.B. De Rossi di un nuovo edificio per la Vaticana: P. Vian, «Una sede conveniente, commoda, definitiva degli stampati». Un progetto di Giovanni Battista De Rossi per l’ampliamento della Biblioteca Vaticana (7 maggio 1885), in Vaticana et mediaevalia. Études en l’honneur de Louis Duval-Arnould, réunies par J.M. Martin, B. Martin-Hisard Paravicini Bagliani, sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2008 (Millennio Medievale, 71; Strumenti e studi, n.s. 16), pp. 472-486. Per la periodizzazione delle «tre Biblioteche Vaticane» (prima Sistina, seconda Sistina, Leonina): J. Ruysschaert, Les trois bibliothèques vaticanes (14751975), in Conservation et reproduction des manuscrits et imprimés anciens. Colloque international organisé par la Bibliothèque Vaticane à l’occasion de son centenaire, 21-24 octobre 1975, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1976 (Studi e testi, 276), pp. 70-79; id., La Bibliothèque Vaticane, document d’histoire, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e

Alto Medioevo. Atti del Convegno tenuto a Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal 12 al 16 novembre 1979, ii, Herder, Roma 1981, pp. 993-999. Per la Sala Leonina: F. Ehrle, Die Überführung der gedruckten Bücher der Vaticana aus dem Appartamento Borgia in die neue Leoninische Bibliothek und ihre Neuordnung, in «Zentralblatt für Bibliothekswesen», 8 (1891), pp. 504-510; L. Dorez, La Bibliothèque Vaticane en 1891, in «Revue des bibliothèques», 2 (1892), pp. 86-89: 86; M. Ugolini, La nuova biblioteca Leonina nel Vaticano, in Nel giubileo episcopale di Leone xiii. Omaggio della Biblioteca Vaticana, xix febbraio anno m dccc xciii, Roma 1893, nr. 5; A. Sacco, Le nuove sale della biblioteca Leonina in Vaticano, Ibid., nr. 10; La nuova biblioteca Leonina, in «La Civiltà Cattolica», 44 (1893), ser. xv, vol. vi, quad. 1027, pp. 37-47; E. Carusi, Le innovazioni nella Biblioteca Vaticana dal 1883, in «Accademie e biblioteche d’Italia», 5 (1931), pp. 208-214: 208211; R. Farina, «Splendore veritatis gaudet Ecclesia». Leone xiii e la Biblioteca Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, xi, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 285-370: 310-320. Per il rapporto con la biblioteconomia americana e per la seconda fase della modernizzazione della Vaticana: N. Mattioli Háry, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace. The History, Impact, and Influence of their Collaboration (1927-1947), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455). Per il nuovo assetto urbanistico della neonata Città del Vaticano: L. Castelli, «…Quel tanto di territorio…». Ricordi di lavori ed opere eseguiti nel Vaticano durante il pontificato di Pio xi (1922-1939), Roma 1940; G. Montanari, La costruzione della nuova Città del Vaticano, in B. Jatta, a cura di, 1929-2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 119-130. L’articolo di Pierre de Nolhac, Souvenirs de la Bibliothèque vaticane, in «La Revue de Paris», 28 année, t. 1, janvier-février 1921, pp. 113-121, già ripreso in id., Souvenirs d’un vieux romain, Plon, Paris 1930, pp. 7-25, è ora ripubblicato in «À l’école de toute

l’Italie». Pour une histoire de l’École française de Rome, Textes réunis par M. Gras, introduction et notes de J.-F. Chauvard, R. Étienne, M. Gras, O. Guyotjeannin, R. Muller, G. Pécout, O. Poncet, S. Rey, J. Scheid, avec le concours de T. Boespflug, École Française de Rome, Rome 2010 (Collection de l’École Française de Rome, 431), pp. 149-158 (pp. 151-152, per il percorso da compiere per giungere in Vaticana). Per il nuovo ingresso (1928) e per l’allestimento del 1959: E. Tisserant, L’ingresso alla Biblioteca Apostolica nel cortile del Belvedere, in Almanacco dei bibliotecari italiani 1959, Palombi, Roma 1959, pp. 13-19; P. Vian, Tra i fratelli Mercati e don Giuseppe De Luca. Note sull’Archivio Segreto e sulla Biblioteca Apostolica durante il pontificato di Giovanni xxiii (1958-1963), in L’ora che il mondo sta attraversando. Giovanni xxiii di fronte alla storia. Atti del Convegno, Bergamo, 20-21 novembre 2008, a cura di G.G. Merlo, F. Mores, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, pp. 165-211: 165-166. Le valutazioni dei cardinali bibliotecari Ehrle e Mercati sull’afflusso del pubblico ecclesiastico in Vaticana sono rispettivamente in G. De Luca, La ragione di questo libro e di queste onoranze, in A. Vaccari, Scritti di erudizione e filologia, i, Filologia biblica e patristica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1952 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 42), pp. vii-xix: ix; e in G. Antonazzi, Dietro il sipario. Sprazzi di vita ecclesiastica romana, prefazione di L.F. Capovilla, Marietti 1820, Genova 1997 (Collana di saggistica, 74), p. 63. Per le innovazioni del pontificato di Pio xi: G. Borghezio, Pio xi e la Biblioteca Vaticana, in «La Bibliofilia», 31 (1929), pp. 210-231. Per i lavori di ristrutturazione del triennio 20072010, cfr. G. Facchini, M. Bargellini, Gli ultimi lavori di ristrutturazione (2007-2010), e G. Guala, La torre dei manoscritti, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi…, cit., pp. 124-141, 142167. Per gli interventi programmati sul deposito dei manoscritti (prima dei lavori), cfr. C. Federici, Il progetto di riqualificazione del Deposito Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, in «Biblioteche oggi», vol. 25, nr. 8 (ottobre 2007), pp. 47-52.

Capitolo Quinto Nota bibliografica: Per una considerazione generale degli spazi della Biblioteca Vaticana: A. Rita, La Biblioteca Vaticana

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Indice dei nomi

Le occorrenze in tondo si riferiscono alle pagine del testo, quelle in corsivo ai numeri delle illustrazioni; tra parentesi i numeri di nota

Abd al Malik 223 Abramo 207, 247 Accademia delle Notti Vaticane 183, 184, 339 (49) Acciaioli, Zanobi 36 Adamo 207, 247 Adriano i, papa, santo 9 Adriano vi (Boeyens), papa 339 (11) Agapito i, papa, santo 9 Agostino di Ippona, santo 103, 159, 209, 219, 247; 70 Agresti, Livio 267 Alba Julia 50 Albani (famiglia) 100 Albani, Alessandro, cardinale 92 Albano 159 Alberti, Leon Battista 170 Albonesi, Teseo Ambrogio degli 246 Alemanni, Nicola 341 (144) Alessandria d’Egitto 13, 36, 146, 206, 219, 232, 236, 278, 287, 289, 337 (20), 342 (39); 55, 151 Alessandro Magno 183 Alessandro iii (Bandinelli), papa 208, 236, 294 Alessandro vi (Borja), papa 36, 108 Alessandro vii (Chigi), papa 50, 132 Alessandro viii (Ottoboni), papa 75 Alessandro, vescovo di Gerusalemme, santo 223 Alfonso x il Saggio, re di Castiglia e León75; 60 Alighieri, Dante 75; 58 Allacci, Leone 119 Allen, Guglielmo 264 Aloisi, Giuseppe 312 Ambrogio di Milano, santo 21, 159, 209 Anagni 10 Anchiseo, Giovanni 212 Andrea del Castagno 170 Andrés y Morell, Carlos 311, 345 (n. bibl.) Andrés y Morell, Juan 311, 345 (n. bibl.) Angelico, Beato, v. Beato Angelico Anguissola, Sofonisba 304 Antioco, re di Siria 183 Antistene 159 Antonazzi, Giovanni 325 Antoniano, Silvio, cardinale 179, 182-184, 232, 268, 339 (40, 48) Antonino di Firenze, santo 33 Anversa 75 Apicio 75; 56 Apollo 219, 343 (78) Aquilini, Arcangelo da Jesi 304, 344 (131, 132) Aquilini, Geronima 344 (131) Arcadio, Flavio, imperatore romano d’Oriente 232 Ario 225, 228, 232, 284, 287 Ariosto, Ludovico 119; 87 Aristotele 21, 159, 212 Armenini, Giovan Battista 185, 202 Arrigo Fiammingo (Hendrick van den Broeck) 273, 284, 341 (3), 343 (60), 344 (105); 196 Asfenez 214 Ashby, Thomas 132 Asinari di San Marzano, Alessandro 108 Assemani, Giuseppe Simonio 75 Assemani, Stefano Evodio 75 Assisi 10, 339 (19) Atanasio, santo 209 Atena 219 Atene 206, 219, 278, 294, 342 (39), 343 (65); 150, 184 Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, imperatore romano 183, 219, 223, 281 Aureli, Cesare 313; 222 Austria 119; 66a-b Avignone 10, 13, 108, 132, 149, 150, 338 (n. bibl.); 105, 106 Babele, torre 214

Babilonia 206, 276, 278, 281, 342 (39), 343 (60); 149, 189, 190 Baglione, Giovanni 267, 269, 273, 275, 276, 278, 281, 284, 289, 294, 302, 306, 307, 343 (60, 77); 189, 190, 193 Balcani 75 Baldi, Bernardino 343 (68) Baldi, Giovanni Elia 92 Baldi, Giuseppe 100 Baldini, Baccio 260 Barberini (famiglia) 119 Barberini, Francesco, cardinale 119, 341 (144) Bardane, Filippo, imperatore bizantino 228 Barocci, Federico 270, 302; 95 Baronio, Cesare, cardinale 184, 225, 232, 284, 293 Bassano Romano, Palazzo Odescalchi 302 Basilea 212 Basilio Magno, santo 209 Basilio ii, imperatore bizantino 225 Baviera 50, 103 Beato Angelico 170 Beccafumi, Domenico 270, 302 Belbello da Pavia 119; 83a-b Bellarmino, Roberto, v. Roberto Bellarmino, cardinale, santo Belli, Andrea 103 Beltrami, Luca 324 Bembo, Pietro, cardinale 43 Benedetto xii (Fournier), papa 10 Benedetto xiii (de Luna), papa dell’obbedienza avignonese 10 Benedetto xiv (Lambertini), papa 92, 97, 338 (57); 64a-b Benedetto xv (Della Chiesa), papa 119 Benedetto xvi (Ratzinger), papa 6, 7, 145 Benedetto da Norcia, santo 21; 17, 18 Bergamo 108 Berlino 337 (11) Bernini, Gian Lorenzo 119, 132; 92 Bessarione, Basilio, cardinale 14 Betlemme, chiesa della Natività 230, 340 (121) Bianchi, Guglielmo 184 Bisanzio, v. Costantinopoli Bishop, William Warner 319, 321 Bobbio, abbazia 103 Boccaccio, Giovanni 132 Bologna 339 (19), 341 (3) Bolognese, Ercolino (Ercole De Mari) 341 (3) Bonaparte, Napoleone, v. Napoleone Bonaparte Bonaventura da Bagnoregio, cardinale, santo 159, 112, 209, 246; Boncompagni Ludovisi (famiglia) 132 Bonifacio viii (Caetani), papa 10 Bonifacio, Natale 269, 306, 342 (23, 25) Borgia, Stefano, cardinale 108 Borromeo, Carlo, v. Carlo Borromeo Borromeo, Federico, cardinale 264 Bosforo 232, 289, 293 Botticelli, Sandro 75; 58, 59 Bourdichon, Jean 50; 30 Boyle, Leonard E. 145, 170, 326, 337 (12), 338 (n. bibl.) Bracciolini, Poggio 36 Bramante, Donato 36, 154 Brandileone, Francesco 132 Brandolini, Aurelio 212 Brassicano, v. Kohlburger, Johann Alexander Brescia 341 (3) Bril, Mathijs 294 Bril, Paul 273, 276, 294, 306, 344 (115) Broeck, Hendrick van den, v. Arrigo Fiammingo Buonarroti, Michelangelo 304, 308 Cadmo 207, 247 Calcedonia 207, 236, 289; 162

Callisto iii (Borja), papa 14 Callistrato, santo 32 Cambridge 284 Cana 98 Cancellieri, Francesco 100 Canfora, Luciano 219 Canova, Antonio 100 Capecelatro, Alfonso, cardinale 316 Cappelletti, Francesca 306 Capponi, Alessandro Gregorio 92 Caprarola 228, 270, 273, 307 Caprotti, Giuseppe 132 Carafa, Antonio, cardinale 43, 219 Caravaggio, v. Merisi, Michelangelo Carlo Borromeo, cardinale, santo 183, 184, 230, 340 (118) Carlo d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli 92 Carlo il Calvo, imperatore del Sacro Romano Impero 75 Carlo Magno, imperatore del Sacro Romano Impero 183 Carlo v d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero 36 Carmenta, Nicostrata 207, 247 Caro, Annibal 183 Carpegna (famiglia) 100 Carpegna, Gaspare 92 Carracci (famiglia) 270 Cartaro, Mario 126 Casanate, Girolamo, cardinale 75 Castel Durante 293 Castelvetro, Lodovico 183 Castelvetro di Modena 338 (48) Castiglione, Giuseppe 339 (40) Cati, Pasquale 228, 304 Cecrope 182, 207, 247 Celestino v (Pietro da Morrone), papa, santo 232 Ceriani, Antonio 319 Cervini, Marcello, v. Marcello ii, papa Cesare, Caio Giulio 21, 183 Cesarea 14, 206, 223, 225, 236, 281, 284, 293, 294, 340 (99), 342 (60), 344 (125); 195 Cesari, Bernardino 294, 344 (118) Cesari, Giuseppe, detto il Cavalier d’Arpino 294 Cesena, Biblioteca Malatestiana 176 Chicago 281 Chigi (famiglia) 132 Christiansen, Keith 344 (112) Ciampolini, Marco 343 (81) Cibele 212 Cicerone, Marco Tullio 92, 103, 184; 70 Cicognara, Francesco Leopoldo 100 Cirillo di Tessalonica, santo 75, 207, 209, 230, 232, 236, 247, 287 Ciro, re di Persia 214 Città del Vaticano 149, 154, 269, 294, 324, 345 (n. bibl.) Archivio Segreto Vaticano 100, 108, 174, 294, 311-313, 316, 319, 326; 219 Autoparco 324 Autorimessa Nobile (Locale delle Carrozze) 326 Basilica di S. Pietro 36, 152, 209, 228, 230, 267, 269, 273, 281, 289 Cappella Gregoriana 269 Biblioteca Apostolica Vaticana Ala di Niccolò v, v. Città del Vaticano, Palazzo Apostolico Archivio fotografico 328, 334 Biblioteca Barberini 119, 326; 244 Biblioteca di Giulio ii 270, 275 Biblioteca di Sisto iv 182, 281, 341 (152), 345 (n. bibl.) Biblioteca Leonina 345 (n. bibl.); 221; v.

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La Biblioteca Apostolica Vaticana anche Sala Leonina Biblioteca Palatina 50 Biblioteca Sistina (di Sisto v) 185, 202, 206, 268, 270, 273, 276, 287, 304, 306, 307, 343 (60), 344 (129), 345 (144, n. bibl.) Braccio Vecchio 324 Centro Elaborazione Dati 326 Cortile della Biblioteca o della Stamperia 36, 185, 312, 319, 312, 325, 326, 328, 334; 128, 129, 130, 219, 235, 236 Deposito manoscritti 319, 321, 325, 328, 334, 345 (n. bibl.); 235, 239 Deposito periodici 325, 326; 219, 240 Deposito stampati 321, 322, 326, 219 Economato 326 Fondo Borghese 108 Fondo Cappella Giulia 132 Fondo Cappella Sistina 108 Fondi Cerulli 145 Fondo Ferrajoli 132 Gabinetto delle Stampe 92, 100, 103, 132, 145, 308, 322; 230 Gabinetto Numismatico 92, 326 Galleria attigua al Salone Sistino, v. Città del Vaticano, Musei Vaticani Galleria di Sisto v, v. Città del Vaticano, Palazzo Apostolico Laboratorio di restauro 108; 237, 242 Laboratorio fotografico 132; 238, 241 Libreria segreta 181, 182, 209, 264, 268, 278, 294, 304, 306, 339 (23), 342 (45), 344 (135); 129, 186, 187 Libreria Vecchia (di Sisto iv) 212, 223, 264 Medagliere Vaticano 92, 97, 100, 103, 145, 338 (56) Sala degli Scrittori (Vestibolo del Salone Sistino) 6, 181, 182, 185, 206, 207, 268, 275, 306, 312, 319, 342 (45); 129, 131-142 Sala Greca (o Bibliotheca graeca) 152, 153, 160, 170, 172, 173; 102, 118, 119, 120 Sala Latina (o Bibliotheca latina) 153, 160, 167, 170; 102, 111, 112, 113, 114, 115 Sala Leonina 312, 319, 321, 322, 326, 334, 341 (144), 345 (n. bibl.); 219, 220, 228; v. anche Biblioteca Leonina Sala Leonina Minore 316, 319; 219 Sala Pontificia (Bibliotheca magna secreta) 153, 161, 173, 176; 102, 123 Sala Secreta (o Bibliotheca parva secreta) 161, 176; 102 Salone Sistino 6, 7, 97, 103, 108, 119, 132, 145, 181, 182, 185, 202, 206, 212, 214, 225, 230, 236, 246, 247, 253, 260, 264, 268, 270, 275, 276, 278, 281, 284, 293, 294, 302, 304, 306, 308, 311, 312, 319, 321, 326, 328, 334, 340 (86), 342 (23); 125, 129, 143, 144-152, 154-156, 159-166, 168-183, 217-218, 219 Scuola di Biblioteconomia 326, 328 Stanza delle Stampe 97 Torre dei manoscritti 145, 328; 236 Vano attiguo al Salone Sistino, v. Città del Vaticano, Musei Vaticani Vestibolo del Salone Sistino, v. Sala degli Scrittori Biblioteca della Congregazione de Propaganda Fide 108 Braccio di Giulio ii (o «corridore di levante») 97, 321, 326; 219 Braccio di Pio iv (o «corridore di ponente») 97, 103, 321, 326; 219 Cappella di Pio v 103 Cappella di Sisto iv 278 Cavallerizza delle Guardie Nobili, edificio della 319 Colle S. Egidio 36 Corridoio del Bramante, v. Braccio di Giulio ii Corridoio del Ligorio, v. Braccio di Pio iv Cortile del Belvedere 6, 36, 43, 132, 145, 149, 154, 158, 160, 167, 173, 180, 181, 184, 308, 311, 319, 321, 322, 324, 334, 326, 339 (11); 102, 107, 109, 129, 130, 219 Cortile del Pappagallo 6, 13, 150, 154, 158,

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Indice dei Nomi 159, 170; 102, 110 Cortile della Pigna 36, 97, 326; 129, 130, 219 Cortile di S. Damaso 6, 173, 176, 325; 102, 219 Floreria Apostolica 154, 326 Fontana del Galeone 326, 334 Fontana del Mosè 207, 275, 340 (90) Galleria di Sisto v 181, 182, 225, 242; 167 [anche questa dovrebbe fare parte delle «Gallerie» nel cosiddetto Braccio di Pio IV] Ingresso di S. Anna 324 Logge di Leone x 270 Muro di Michelangelo 326 Musei Vaticani 92, 97, 173, 321, 326, 334; 116 Appartamento Borgia 103, 108, 132, 311- 313, 326 Braccio Nuovo 97, 103, 321 Cappella Sistina 14, 36, 214, 223, 267, 270, 273, 340 (98), 341 (1); 153 Galleria attigua al Salone Sistino 208, 209, 242, 268, 269, 275, 278, 287, 294, 302, 304, 306 Galleria delle Carte Geografiche 180, 267, 326 Galleria Lapidaria 6, 97, 145, 325, 326, 338 (58) Ingresso dei Quattro Cancelli 326 Museo Chiaramonti 326 Museo Profano 97, 311 Museo Sacro 97, 311 Sala delle Nozze Aldobrandini 321 Stanza della Segnatura 228, 270, 275, 278, 340 (115) Stanza dell’Incendio di Borgo 294 Stanze di Raffaello 270, 273 Vano attiguo al Salone Sistino 208; 129, 168, 169, 183 Obelisco Vaticano 207, 209, 236 Palazzetto del Belvedere 36, 302 Palazzo Apostolico 13, 36, 150, 268, 311, 325 Ala di Niccolò v 107, 108, 111-115, 118-123 Sala di Costantino 270 Sala dell’Armeria 108 Sala Regia 269, 343 (82) Scala Regia 325 Torre Borgia 36, 154, 311; 102, 107, 108 Palazzo delle Poste 324 Piazza S. Pietro 324, 334 Pinacoteca Vaticana 275; 116 S. Anna dei Palafrenieri 319 Stradone dei Giardini o dei Musei 312, 324 Teatro del Belvedere 180 Tipografia Vaticana 50, 179, 284, 319, 324 Torre dei Venti 294; 219 Civitavecchia 97, 209 Clark, John Willis 202 Claudio, Tiberio Cesare Augusto Germanico, imperatore romano 207, 247 Cleobolo, filosofo 159 Clemente v (de Got), papa 10, 242, 32 Clemente vii (Medici), papa 36 Clemente viii (Aldobrandini), papa 50 Clemente xi (Albani), papa 75 Clemente xii (Corsini), papa 92; 63a-b Clemente xiii (Rezzonico), papa 92 Clemente xiv (Ganganelli), papa 97; 66a-b Colle Val d’Elsa 289 Colocci, Angelo 43 Cologny 145 Colombo, Cristoforo 108 Colonia 36 Colonna (famiglia) 100 Colonna, Ascanio 264 Colonna, Marc’Antonio 264 Conti, Cesare 273, 306, 344 (109, 141); 186, 187 Conti, Vincenzo 273, 293, 304, 343 (60), 344 (104, 109); 187, 205, 206 Corbie, monastero 14 Corradini, Annibale 268 Corvey, abbazia 21 Costantino, papa 228 Costantino i il Grande, imperatore romano 9, 14, 207, 225, 228, 247, 253, 270, 278, 284, 287, 306 Costantino iv Pogonato, imperatore bizantino 289 Costantinopoli 14, 43, 207, 228, 230, 232, 236, 242, 287, 289, 293, 302, 342 (60), 343 (60);

158, 160, 162, 164, 166, 197, 201, 206 Costanza 225, 340 (103) Cresti, Domenico, detto il Passignano 267 Cretoni, Ettore 312 Creusa 29 Cristina, regina di Svezia 75 Croce, Baldassarre 273, 284, 294, 302, 307, 342 (60), 343 (82), 344 (125); 195, 210, 211 Cusano, Nicola, cardinale 36 Dacos, Nicole 344 (143) Damasco 16 Daniele, profeta 214 Dario i, re di Persia 214 Darmstadt 275, 343 (83) Daru, Martial-Noël-Pierre 100 Daunou, Pierre-Claude-François 97 Davide, re di Israele 45 De Gasperi, Alcide 324 De Luca, Antonino, cardinale 316 De Luca, Giuseppe 145, 325 De Marinis, Tàmmaro 132 De Rossi, Giovanni Battista 312, 337 (12) Della Rovere, Francesco, v. Sisto iv, papa Della Rovere, Girolamo, cardinale 264 Demarato Corinzio 207, 247 Demetrio Falereo 219 Descartes, René 36 Desiderio, abate di Montecassino (papa Vittore iii), santo 21; 17 Diamilla, Demetrio 103 Diana, personaggio mitologico 260 Didone, regina fenicia 28 Diego, santo 209 Diocleziano, Gaio Aurelio Valerio, imperatore romano 36 Diodoro Siculo 14 Diogene 159 Dioscoride Pedanio 132; 91 Dioscoro, patriarca di Alessandria 236, 289 Ditti Cretese 14; 4 Dolci, Giovannino 173; 124 Domenico di Guzmán, santo 208, 294 Dupront, Alphonse 184 Dürer, Albrecht 100, 69 Ectabana (o Ecbatana, Iran) 214 Efeso 207, 230, 232, 287, 289, 343 (60); 161, 199, 200 Egitto 13, 14, 236 Ehrle, Franz, cardinale 108, 119, 313, 316, 319, 325, 345 (n. bibl.); 226 Eitel-Porter, Rhoda 281, 293, 344 (117) Eleazaro, sacerdote 219 Elisabetta, madre di Giovanni Battista, santa 30 Enea 29 Enoch di Ascoli 13, 149 Enrico ii, imperatore del Sacro Romano Impero 92 Epicarmo 207, 247 Ercole egizio 207, 247 Ermete Trismegisto 247 Erone di Bisanzio 10; 3 Escorial, Real Monasterio del (biblioteca) 228, 230 Esdra 207, 214, 247 Euclide 43; 24 Eugenio iv (Condulmer), papa 10, 14, 242, 302 Europa 50, 92, 246 Eusebio di Cesarea 14, 223, 281, 284 Eustachio, santo 31 Eutiche 236, 289 Eutropio 14; 4 Evandro 207, 247 Fabrizi, Principio 342 (25) Facchetti, Pietro 273, 275, 342 (49); 188 Faenza 278 Farina, Raffaele, cardinale 6, 7, 145, 308, 326, 338 (n. bibl.) Farnese (famiglia) 43 Federico di Montefeltro, duca 50 Federico i Hohenstaufen, imperatore del Sacro Romano Impero 208, 294 Federico ii Hohenstaufen, imperatore del Sacro Romano Impero 21, 50; 36 Fenice 207, 247 Fenzoni, Ferraù 268, 273, 276, 278, 284, 287, 294, 307, 342 (44), 343 (60, 61, 65, 68, 93), 344

(117); 184, 191 Fermat, Pierre de 36 Ferrari, Gaudenzio 287 Ferry de Clugny, cardinale 21 Ficoroni, Francesco 92 Filarete, Antonio Averulino, detto il 230 Filippo, legato pontificio 232 Filippo Neri, santo 184, 340 (53) Firenze 10, 14, 36, 149, 174-176, 208, 230, 242, 260, 268, 302, 308, 339 (19); 185 Biblioteca di S. Marco 149, 174, 175, 176 Biblioteca Medicea Laurenziana 10, 308 Convento di S. Marco 10 Duomo 242 Ponte Vecchio 302 S. Croce 339 (19); 90 Florent, Joseph-Antoine 97 Floro 14; 4 Fontana, Domenico 43, 180-182, 184, 206, 207, 247, 267, 268, 307, 312, 334, 343 (96) Fontana, Lavinia 304 Fontana, Salvatore 341 (3) Fournival, Richard de, v. Richard de Fournival Foxe, John 179 Fozio i il Grande, patriarca di Costantinopoli 207, 225, 236 Francesco d’Antonio del Chierico 46a-b Francesco d’Assisi, santo 208, 242, 294 Francia 75, 97, 100, 103, 132, 242, 316; 72 Franco, Giuseppe, detto “dalle Lodole” 273, 293; 203 Frascarelli, Dalma 6, 342 (14, 52) Freedberg, Sydney Joseph 269 Fuensalida, Juan 36 Gaeta 103; 71a-b Galesino, Pietro 184, 247 Galle, Philips 232 Garcia, Pere 36 Gaza, Teodoro 13, 21 Gellio, Aulo Gellio 219 Genova 36; 22 Gentileschi, Orazio 273, 294, 344 (113); 208 Gerardo, santo 63 Germania 50, 75, 316 Germano, santo 33 Gerusalemme 75, 206, 214, 281, 340 (98) Biblioteca 206, 281, 284, 343 (81); 152, 194 Tempio di Salomone 214, 219, 223, 340 (98) Ghezzi, Pier Leone 92 Ghirlandaio, Davide Bigordi, detto il 159, 167, 170; 112, 113, 114, 115 Ghirlandaio, Domenico Bigordi, detto il 159, 167, 170; 112, 113, 114, 115 Giacomo (Jacopo) da Varagine 92 Giotto di Bondone 302 Giovanni, apostolo ed evangelista, santo 302; 38 Giovanni, vescovo di Porto 236, 289 Giovanni viii Paleologo, imperatore bizantino14, 242, 302 Giovanni xxiii (Roncalli), papa, beato 325 Giovanni Crisostomo, santo 207, 209, 247 Giovanni da Udine 325 Giovanni Paolo ii (Wojty_a), papa, beato 145, 326 Girolamo, santo 159, 207, 209, 223, 247, 267, 281 Giuliano, Flavio Claudio, detto l’Apostata, imperatore romano 183, 293 Giulio ii (della Rovere), papa 36 Giuseppe Flavio 247 Giustiniano i, imperatore bizantino 230, 236 Goltzius, Hendrick 278 Graz 337 (41) Gregorio i Magno, papa, santo 9, 159 Gregorio x (Visconti), papa, beato 208 Gregorio xiii (Boncompagni), papa 43, 180, 183, 184, 267-270, 307, 342 (25, 38) Gregorio xv (Ludovisi), papa 50 Gregorio xvi (Cappellari), papa 311 Gregorio di Nissa, santo 209 Grenoble 100 Grippari, Giorgio 75 Guerra, Gaspare 269, 273 Guerra, Giovanni 182, 184, 260, 264, 267-269, 273, 276, 289, 304, 307, 341 (5), 342 (24, 25), 343 (96), 344 (103, 134, 135) Guglielmi, Carla 281 Guidotti, Paolo 273, 302, 344 (127), 345 (144); 185

Gutenberg, Johann 119; 81 Haarlem 276, 278; 190 Hackert, Jakob Philipp 96 Hamerani (famiglia) 97 Hamerani, Ottone 63a-b Hanna, Frank iii 145 Heemskerck, Marten van 232 Heidelberg 50, 313 Hergenröther, Joseph, cardinale 316 Hess, Jacob 181 Holste, Lucas 119 Hopwood, Linda 343 (77) Iacobini, Antonio 341 (143) Iacopo di S. Cassiano 14 Iba di Edessa 236 Igino, direttore della Biblioteca Palatina augustea 223 Ignazio di Costantinopoli, santo 236 Innocenzo iii (dei conti di Segni), papa 208, 242, 294 Innocenzo viii (Cibo), papa 21, 36 Ippolito d’Este, cardinale 269 Isabella («de Arcangelo da Jesci»), pittrice 304, 342 (47), 344 (133); 214 Iside 183, 207, 247 Isidoro di Kiev (Ruteno), cardinale 14 Isidoro di Siviglia, santo 219 Israele 214 Italia 10, 14, 50, 97, 108, 316 Jatta, Barbara 308 Jesi 304; 214 Jouffroy, Jean, cardinale 14 Kaliningrad (Königsberg) 13 Knittlingen 337 (46) Kohlburger, Johann Alexander, detto Brassicano 212 Korolewskij, Cirillo 132; 93 Lanino, Bernardino 287 Lanzi, Luigi 273 Lazio 97 Leida 337 (26), 338 (49) Leone i Magno, papa, santo 236, 289 Leone x (Medici), papa 36, 158, 173; 21, 64a-b, 102, 109 Leone xii (della Genga), papa 103 Leone xiii (Pecci), papa 6, 108, 119, 311-313, 321, 325, 326, 328; 220, 222, 224, 236 Leopardi, Giacomo 103 Leto, Pomponio 43 Licurgo 183 Ligorio, Pirro 36, 180 Lilio, Andrea 268, 273, 275, 287, 289, 307, 341 (3), 343 (60, 79, 93), 344 (105, 117); 192, 198, 201 Lino Tebano 207, 247 Lione 208, 242, 281, 294, 343 (60, 79), 344 (125); 204, 210, 212 Lipsia 337 (26), 338 (49) Lodi 92 Lombardo, Pietro, v. Pietro Lombardo Londra 50 Longhi, Martino 268 Lorenzi, Giovanni 21 Loreto 209 Luca, copista 108 Luca, evangelista, santo 293; 40 Lucerna 337 (44) Lucia, santa 267 Lucrezio, Tito Caro 184 Ludovico il Pio, imperatore del Sacro Romano Impero 21 Luigi ix (Ludovico), re di Francia, santo 242 Luigi xv, re di Francia 97 Luisa Carlotta, principessa di Borbone-Parma 119 Lutero, Martino 92 Macario, vescovo di Antiochia, santo 236, 289 Macerata, santuario di S. Maria delle Vergini 306 Macedonio, vescovo di Costantinopoli, santo 232, 287 Maddalena, v. Maria di Magdala, santa Madrid 337 (43), 338 (49, 66, 73, 74) Mai, Angelo, cardinale 100, 103, 313 Maimonide, Mosè 119; 89a-b

Mainardi, Lattanzio 268, 273, 341 (3), 342 (45) Maiorano, Niccolò 36 Malpaghini, Giovanni 43; 27 Manatha, santa 33 Mandriani, Gerardo 92 Manetti, Giannozzo 13 Manfredi, Antonio 6 Mantegna, Andrea 97; 67 Mantova 43, 345 (n. bibl.) Manuzio, Aldo il Vecchio 50, 119; 85 Manuzio, Aldo il Giovane 50 Marmara, mare 236 Marcello ii (Cervini), papa 43 Marciano, Flavio, imperatore romano d’Oriente 236, 289 Maria di Magdala, santa 84b Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice d’Austria 97; 66a-b Marini, Gaetano 97, 325 Marini, Luigi 103 Marini, Marino 100 Mariotti, Agostino 100 Martino v (Colonna), papa 10 Mascarino, Ottaviano 268, 342 (32) Massimiliano i, duca di Baviera 50 Mauro, santo 21 Mazzocchi, Giacomo 294 Medici, Cosimo de’ 10, 149, 175, 176 Medici, Ferdinando de’ 267 Melozzo da Forlì 159, 167, 275; 116 Memnone 207, 247 Menna, patriarca di Costantinopoli, santo 236 Mercati, Giovanni, cardinale 119, 319, 325, 345 (n. bibl.) Mercurio egizio 207 Mercurio Trismegisto 183 Merisi, Michelangelo, detto Caravaggio 275 Messico 78 Metodio di Tessalonica, santo 75 Michelangelo, v. Buonarroti, Michelangelo Milano 10, 13, 103, 119, 184, 230 Biblioteca Ambrosiana 103, 119, 324 Minerva 202, 236, 246 Modena 338 (47); 64a-b Molza, Andrea 103 Momo, Giuseppe 324 Monaco di Baviera 344 (117) Monge, Gaspard 97 Montano, Benito Arias 228 Montecassino, abbazia 21, 92, 119; 17, 18, 62 Montfort, v. Simone, conte di Montfort Morelli, Francesco 276, 278, 281, 342 (55); 190 Morello, Giovanni 276 Moretti, Massimo 293, 341 (1), 344 (118) Mosè 183, 207, 214, 247, 275; 44, 49 Muratori, Ludovico Antonio 92 Muziano, Girolamo 268, 270 Nabucodonosor, re di Babilonia 214 Nanni, Girolamo 273, 289, 302, 344 (102, 103); 211 Napoleone Bonaparte, imperatore dei Francesi 97, 100 Napoli 10, 43 Museo di Capodimonte 275 Narciso, vescovo di Gerusalemme, santo 223 Neander, v. Neumann, Michael Nebbia, Cesare 182, 267-269, 273, 275, 276, 278, 281, 284, 287, 289, 293, 302, 304, 307, 341 (5), 342 (60), 344 (105, 111, 117, 124, 135); 206 Neri, Benedetto 342 (46) Neri, Filippo, v. Filippo Neri, santo Neroni, Matteo 268 Nestorio 232 Neumann, Michael, detto Neander 212, 214 New Jersey 322 Niccoli, Niccolò 10, 149, 339 (n. bibl.) Niccolò d’Este, marchese di Ferrara 119 Niccolò iv (Masci), papa 242 Niccolò v (Parentucelli), papa 6, 10, 13, 14, 21, 146, 149, 150, 152, 153, 154, 170, 173, 174-176, 214, 312, 319, 326, 339 (n. bibl.); 1, 5, 103, 107, 108, 111, 112, 113, 114, 115, 118, 119, 120, 121, 122, 123 Nicea 179, 207, 228, 230, 232, 236, 284, 287, 289, 302, 342 (60), 343 (79); 159, 165, 196, 202 Niceforo, patriarca di Costantinopoli, santo 33 Niederaltaich 119

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La Biblioteca Apostolica Vaticana Nimega 306 Nocchi, Bernardino 97 Nogari, Paris 273, 278, 284, 289, 341 (3) Nolhac, Pierre de 325, 345 (n. bibl.) Norimberga 69 Novara 269, 287 Nucci, Avanzino 273, 294, 344 (118) Numa Pompilio, re di Roma 183 Odescalchi (famiglia) 97, 100 Onorio, Giovanni, da Maglie 43 Orazio, Quinto Flacco 75, 219, 343 (78) Origene 223, 236 Orimina, Cristoforo 26 Oriolo Romano 276, 342 (55) Orléans 287 Orsi, Prospero, detto “Prosperino delle Grottesche” 273, 306 Orsini, Alfonso 43 Orsini, Fulvio 43, 50 Orsini, Giordano, cardinale 36, 132 Orvieto 267, 269, 270, 281, 284, 341 (3) Ottoboni, Pietro iunior, cardinale 92 Ottoboni, Pietro senior, cardinale 75 Ovidio, Publio Nasone 212 Padova 132, 339 (19) Pagliano, Eric 343 (91) Palamede 207, 247 Palatinato 50 Paleotti, Gabriele, cardinale 183, 202 Palestina 14, 75, 225, 281, 294, 344 (125); 195 Pallotta, Ventura da Liano 268 Panfilo di Cesarea, santo 223, 281 Pansa, Muzio 180-182, 184, 202, 246 Paolo di Tarso, santo 9, 119, 180, 232; 16 Paolo ii (Barbo), papa 14 Paolo iv (Carafa), papa 275 Paolo v (Borghese), papa 50, 173, 294 Paolo vi (Montini), papa 145, 154, 173, 325 Pappo di Alessandria, matematico 36 Parentucelli, Tommaso, v. Niccolò v, papa Parigi 13, 75, 100, 185, 260, 341 (160); 68, 199 Bibliothèque de l’Ecole des Beaux-Arts 341 (160) Bibliothèque Nationale de France 100; 68 Musée du Louvre 289, 341 (160), 343 (83, 100); 199 Pasini, Cesare 145, 308 Passerotti, Bartolomeo 304, 344 (130) Pastor, Ludwig von 212 Patetta, Federico 132 Pavia 13 Peñiscola, castello 10, 176 Persia 219 Persona, Cristoforo 21 Perugia 10, 284 Perugino, Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il 223, 270, 340 (98); 153 Petitmengin, Pierre 181, 212 Petrarca, Francesco 43, 149, 150, 212; 27 Peretti, Felice, v. Sisto v, papa Petrignani, Fantino, monsignore 342 (12) Piazzoni, Ambrogio M. 308 Picchi, Giorgio 273, 293, 294, 342 (46), 344 (114); 202, 204, 207, 212 Pienza 306 Pietro, apostolo, santo 9, 97, 180, 225, 284, 341 (124, 144) Pietro il Venerabile, abate di Cluny, santo 14; 6 Pietro Lombardo 184 Pinturicchio, Bernardino di Betto Betti, detto il 311 Pio ii (Piccolomini), papa 14 Pio iv (Medici), papa 36, 273, 302 Pio v (Ghislieri), papa, santo 108, 180, 207; 74 Pio vi (Braschi), papa 97, 100 Pio vii (Chiaramonti), papa 100, 321 Pio ix (Mastai Ferretti), papa, beato 103, 308, 312, 325; 71a-b Pio x (Sarto), papa, santo 119, 319, 324 Pio xi (Ratti), papa 6, 119, 132, 312, 321, 322, 324; 230, 232 Pio xii (Pacelli), papa 132, 325; 233 Piranesi, Giovanni Battista 132; 97 Pisistrato, tiranno di Atene 219 Pitagora 183, 207, 247; 24 Pitra, Jean-Baptiste, cardinale 312, 316

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Indice dei Nomi Planisio, Matteo 43 Platina, v. Sacchi, Bartolomeo Platone 159; 113 Plauto, Tito Maccio 36; 21 Plinio, Gaio Secondo, detto il Vecchio 21, 185, 219 Portogallo 316 Portoghesi, Paolo 7; 217, 218 Pozzi, Jean 145 Pozzo, Giovan Battista 268, 273, 276, 289, 307, 341 (3), 343 (60, 83, 98, 100); 199, 200 Praga 338 (54) Prestinari, Marco Antonio 324 Prez, Josquin de 108; 77 Prussia 92 Puebla 78 Pulini, Massimo 344 (117) Raffaellino da Reggio, Raffaello Motta, detto 278, 293 Raffaello, v. Sanzio, Raffello Rampolla, Mariano di Tindaro, cardinale 312 Ranaldi, Federico 43, 179, 180, 182-185, 212, 214, 219, 225, 232, 246, 247, 253, 268, 340 (51) Rantwijck, Bernard van 273, 306, 342 (47), 344 (129), 345 (144); 215, 216 Ratisbona, monastero di S. Emmeram 92 Redig de Campos, Deoclecio 154 Renania 50 Repubblica Romana, v. Roma Resta, Sebastiano 269, 343 (83) Riccardo di Bury 185, 214 Ricci, Giovanni Battista 268, 269, 273, 284, 343 (93); 197 Richard de Fournival 184-185 Rieti 103 Righi, Angelo da Orvieto 284, 304, 341 (3) Ripa, Cesare 212, 260 Roberto Bellarmino, cardinale, santo 184, 225 Rocca, Angelo 181, 182, 184, 185, 202, 212, 214, 232, 236, 242, 246, 247, 253, 260, 268, 269, 273, 287, 341 (144) Rodi 219 Roma 9, 10, 13, 36, 43, 50, 75, 92, 97, 100, 103, 108, 119, 132, 149, 150, 175, 176, 180, 184, 207, 208, 214, 219, 223, 225, 228, 236, 242, 246, 253, 264, 268-270, 275, 276, 281, 294, 304, 306, 308, 311, 316, 334, 337 (20, 24), 345 (n. bibl.); 96 Accademia di S. Luca 304 Acquedotto Felice 275 Biblioteca Alessandrina 103, 219 Biblioteca Angelica 214, 268, 269, 342 (26) Biblioteca Palatina (augustea) 219, 223 Campidoglio 209, 236, 341 (132) Casino Felice (Esquilino)267 Castel S. Angelo 92, 209, 225, 293 Chiesa Nuova, v. S. Maria in Vallicella Collegio di S. Basilio 92 Colonna antonina 207 Colonna traiana 207 Esquilino 267 Fontana di S. Susanna 214, 275 Montalto, villa 209, 253, 341 (2) Obelisco esquilino 207 Obelisco flaminio 207 Obelisco laterano 207 Ospedale dei Mendicanti 207, 268 Ospedale di S. Spirito in Sassia 170, 223, 253, 281, 306, 341 (154); 117 Palazzo Giustiniani 287, 293, 304 Palazzo di Montecavallo 269, 342 (11) Palazzo Laterano 9, 207, 242, 253, 267, 268, 269, 284, 287, 293, 304, 306, 307, 341 (1); 216 Patriarchio 247 Sala degli Apostoli 293 Sala di Costantino 306 Salone dei Papi 253 Scala Santa 184, 209, 268, 269, 275, 276, 278, 281, 287, 307, 343 (61, 82), 345 x(146) Triclinio Lateranense 247, 341 (143) Palazzo S. Paolo 326 Pantheon 281, 287 Pia Casa dei Catecumeni 108 Piazza della Pilotta 319 Pontificio Istituto Biblico 319

Quirinale 268, 294, 342 (11) Repubblica Romana 97, 311, 342 (60) S. Agnese 344 (130) S. Caterina dei Funari 302 S. Croce in Gerusalemme 208, 302 S. Giorgio al Velabro 132 S. Giovanni in Laterano 9, 208; 63a-b Loggia delle Benedizioni 268, 269, 284, 287 S. Girolamo degli Illirici (o degli Schiavoni) 209, 232, 268, 287 S. Lorenzo al Verano 208 S. Luigi dei Francesi 275 S. Marcello 267, 269 S. Maria del Popolo 208, 302 S. Maria in Aracoeli 313 S. Maria in Domnica 267 S. Maria in Trastevere 228, 304 S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) 232, 302, 340 (53) S. Maria Maggiore 132, 207, 208, 267, 273, 275, 278, 294, 302, 307, 341 (1), 342 (28) Cappella del Presepe 207, 267, 275, 278, 307, 341 (5), 342 (28) Cappella maggiore 341 (5) S. Paolo fuori le mura 208 S. Sabina 208, 273 S. Silvestro al Quirinale 294 S. Spirito in Sassia 150; v. anche Ospedale di S. Spirito in Sassia S. Susanna 275, 289 Ss. xii Apostoli 208, 268, 302 Settizonio 281 Stazione Termini 341 (2) Tempio di Vesta 219 Tevere 236, 281, 294, 334 Via della Conciliazione 326, 334 Via Pia 342 (11) Via Tiburtina 325 Villa alle Terme 267 Romania 50 Roscioli, Guarino 319 Rospigliosi (famiglia) 132 Rosselli, Cosimo 273 Rosselli, Francesco 267 Rossi, Giovanni Francesco de’ 119 Ruano, Ferdinando 36 Ruland, Anton 103, 312, 313 Russo, Laura 343 (68) Ruysschaert, José 154, 337 (12), 338 (n. bibl.)

Duomo 302 S. Spirito 302 Sigismondo di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero 225 Sigüenza, José de 228 Silla, Lucio Cornelio 219 Silva Tarouca, Carlos da 119 Silvestro i, papa, santo 9, 207, 247, 341 (144) Simone, conte di Montfort 208, 242, 294 Simonide Melico 207, 247 Siria 75 Sirleto, Guglielmo, cardinale 43, 184, 247, 340 (53) Sirleto, Sulpizia 340 (53) Sisto iv (della Rovere), papa 6, 14, 21, 36, 149, 150, 152, 154, 158, 167, 170, 173, 176, 179, 181, 182, 212, 214, 223, 225, 253, 264, 270, 278, 281, 284, 312, 338 (n. bibl.), 339 (n.bibl., 4, 19), 340 (90), 341 (152); 102, 104, 110, 124 Sisto v (Peretti), papa 6, 43, 92, 154, 159, 176 179- 184, 202, 206-209, 214, 219, 223, 225, 230, 232, 236, 242, 246, 247, 253, 264, 267- 270, 273, 275, 276, 278, 281, 284, 287, 289, 304, 306-308, 312, 316, 319, 321, 325, 328, 340 90, 117), 342 (11, 35, 38, 45), 344 (133, 135); 167, 216 Socrate 159 Sofia (Bulgaria) 338 (54) Solone 183 Soria, Giovanni Battista 119, 326 Spagna 10, 316 Speroni, Sperone 184 Spiridione, vescovo di Trimithonte, beato 232, 284 Stati Uniti d’America 321 Stato della Chiesa 97, 103, 108, 207, 264, 275, 304 Stefaneschi, Jacopo, cardinale 132 Stefano, discepolo di san Macario 236 Stella, Giacomo 273, 275, 276, 284, 341 (3), 342 (60), 343 (83) Stern, Raffaele 321 Stickler, Alfons M., cardinale 145, 326 Stoccolma 75, 289, 343 (83) Stosch, Philipp von 92 Strabone, storico e geografo greco 14 Stuart, Enrico Benedetto Maria Clemente (Duca di York), cardinale 132 Susa (Iran) 214 Svetonio, Gaio Tranquillo 14; 4 Svizzera 145 Tarquinio il Superbo, re di Roma 219 Tauran, Jean-Louis, cardinale 145

Tegernsee, abbazia 119 Tempesta, Antonio 306; 127 Tempesta, Giacomo 273 Teodoreto di Ciro 236 Teodoro di Mopsuestia, santo 236, 289 Teodosio ii, imperatore romano d’Oriente 230 Teodosio di Bitinia 10; 2 Teone di Alessandria 43 Teopista, santa 31 Terenzio, Publio Afro 21, 50, 132; 13 Tessieri, Pietro 103 Thomeis, Antonio de 153, 173 Tientsin 103; 72 Tifernate, Gregorio 14 Tisserant, Eugène, cardinale 119, 132, 311, 324; 93 Tito Livio 132, 184, 219; 94 Tivoli, Villa d’Este 267, 269 Todi 103 Toledo 14 Tolentino 97 Toleto, Francesco 246 Tolomeo ii Filadelfo, re d’Egitto 13, 14, 75, 146, 219, 337 (20); 52, 54 Tomassini, Luigi 103 Tommaso d’Aquino, santo 108, 159, 209, 313; 75, 112, 222 Tommaso da Sarzana, v. Niccolò v, papa Torelli, Cesare 273, 306, 345 (146) Torrella, Gaspar 36 Tortelli, Giovanni 13, 149, 339 (n. bibl.) Toscana, Granducato di 100, 103 Tournai 21 Tours 43, 50, 75 Traiano, Marco Ulpio, imperatore romano 13 Trento 43, 149, 179, 208, 228, 246, 273, 304; 168, 169, 214 Troia, Tito 312 Tucidide 14; 5 Tura, Cosmè 278 Tuyll, Carel van 276 Ugolini, Giuseppe 313; 220, 224 Ugonio, Pompeo 341 (144) Ulfila, vescovo dei Goti 207, 247 Urbano v (Grimoard), papa, beato 132 Urbano viii (Barberini), papa 92, 119, 325; 244 Urbino 10, 50, 294 Valence 100 Valencia 338 (52) Valeriano, Pierio 260

Valier, Agostino, cardinale 184 Valla, Lorenzo 14; 5 Vanni, Francesco 281 Varagine, v. Giacomo da Varagine Varchi, Benedetto 183 Varrone, Marco Terenzio 184 Vasari, Giorgio 108, 269; 74 Vecellio, Tiziano 275 Vecchi, Giovanni de’ 307 Venezia 50, 100, 108, 225; 54, 87 Venturi, Adolfo 269, 278 Vercelli 228 Vercellone, Carlo 132 Vespignani, Francesco 313 Vian, Paolo 6 Vienna 100, 119, 208, 209, 289 Vienne 208, 228, 242, 294, 302, 344 (125); 157, 211 Villani, Giovanni 132; 90 Virgilio, Publio Marone 43, 184, 219, 343 (78) Vital, David ben Solomon 119 Vitruvio, Marco Pollione 180 Vittore iii, papa, santo, v. Desiderio, abate di Montecassino Vittorino martire, santo 34 Viviani, Antonio, detto il Sordo di Urbino 268, 273, 302, 343 (60, 79); 213 Voigt, Georg 13 Voltaire, pseud. di François-Marie Arouet 92 Voss, Hermann 268, 269, 343 (65) Washington dc 322 Watson, Robert 103 Westfalia 21 Wicar, Jean-Baptiste 100 Windsor 228 Wirsung, Christoph 50; 43 Wittkower, Rudolf 269 Würzburg 103, 313 York, Duca di, v. Stuart, Enrico Benedetto Maria Clemente Zabaglia, Mastro 309 Zebina, santa 33 Zelada, Francesco Saverio de, cardinale 92, 100, 313 Zuccari, Alessandro 6 Zuccari, Federico 267, 270, 278, 289 Zuccari, Taddeo 228, 270, 273 Zurigo 337 (25, 27, 28, 42, 45), 338 (49, 51, 55, 57, 67)

Sabeo, Fausto 36 Sacchi, Bartolomeo, detto il Platina 14, 21, 149, 153, 154, 159, 167, 170, 173-175, 339 (n. bibl.) Sacramento (California) 343 (77) Salimbeni, Arcangelo 281 Salimbeni, Ventura 273, 281, 343 (65, 81); 194 Sallustio, Gaio Crispo 14, 21; 4 Salutati, Coluccio 339 (n. bibl.) Salviano di Marsiglia, santo 212 San Gallo, abbazia 108 Santacroce (famiglia) 276 Sanvito, Bartolomeo 21 Sanzio, Raffaello 43, 149, 154, 228, 270, 273, 275, 278, 289, 307 Sarzana 149, 175 Saulo, v. Paolo di Tarso Sbath, Paul 132 Scalvati, Antonio 273, 304, 344 (130) Scandar, Andrea 75 Scavizzi, Giuseppe 287, 294, 343 (68, 93), 344 (116, 117) Schiaffino, Placido, cardinale 312 Schilpario 103 Scilla, Saverio 92, 103; 64a-b Scolastica, santa 21 Seleuco i Nicanore, re di Siria 219 Seneca, Lucio Anneo, detto il Giovane 21 Seneca, Lucio Anneo, detto il Vecchio o il retore 21 Senigallia 302 Sermei, Ferdinando 273, 281, 341 (3), 342 (60), 343 (76); 193 Serse, re di Persia 219 Seth 207, 247 Severi, Giovanni Paolo 267, 268 Siena 302, 306

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Indice dei manoscritti, degli oggetti e degli stampati della Biblioteca Apostolica Vaticana citati Le occorrenze in tondo si riferiscono alle pagine del testo, quelle in corsivo ai numeri delle illustrazioni; tra parentesi i numeri di nota. L’eventuale espressione in corsivo dopo la segnatura di un manoscritto indica il nome con cui il manoscritto è abitualmente conosciuto.

Manoscritti Arch. Boncompagni, D. 5: 340 (83) Arch. Cap. S. Pietro C. 129 (Codice di S. Giorgio): 132; 99 Arch. Cap. S. Pietro C. 132: 132 Arch. Cap. S. Pietro H. 19: 132 Arch. Chig. 24901: 132; 92 Barb. lat. 592: 119; 84a-b Barb. lat. 613 (Bibbia di Belbello): 119; 82, 83a-b Barb. lat. 2160: 341 (144) Borg. lat. 425 (Messale di Alessandro vi per il Natale): 108; 80 Borg. mess. 1 (Codex Borgia): 108; 78, 79 Capp. Sist. 18: 108; 76 Chig. f.vii.158 (Dioscorides latino): 132; 91 Chig. l.viii.296 (Cronaca del Villani): 132, 340 (111); 90, 157 Ferr. 562: 132; 94 Ott. lat. 74 (Evangeliario di Enrico ii): 92; 62 Ott. lat. 659: 340 (118) Ott. lat. 2057: 92 Ott. lat. 3029: 92 Pal. gr. 381 (Salterio di Costantinopoli): 50; 44, 45 Pal. lat. 50 (Evangeliario di Lorsch): 50; 38-40 Pal. lat. 871: 50; 41, 42 Pal. lat. 1071 (De arte venandi cum avibus): 50; 36, 37a-b Pal. lat. 1564 (Agrimensores): 50; 35 Pal. lat. 1631: 68 Pap. Bodmer viii: 145 Pap. Bodmer xiv-xv: 145; 101 Reg. lat. 309: 75 Reg. lat. 316 (Sacramentarium Gelasianum): 75; 57 Reg. lat. 1283: 75; 60 Reg. lat. 1708: 75 Reg. lat. 1896: 75; 58, 59 Ross. 204 (Sacramentario di Ellinger): 119; 88 Ross. 498: 119; 89a-b Urb. ebr. 1 (Bibbia di Volterra): 75

352

Urb. gr. 82: 75 Urb. gr. 83: 75 Urb. lat. 1-2 (Bibbia urbinate): 50; 46a-b, 47-49 Urb. lat. 274: 75; 52, 53 Urb. lat. 275: 75 Urb. lat. 277: 75; 54, 55 Urb. lat. 365 (Dante urbinate): 75; 50, 51 Urb. lat. 1146: 75; 56 Vat. ar. 368 (Bayad e Riyad): 43; 25 Vat. ar. 1605: 132; 100 Vat. ebr. 21: 21; 19 Vat. gr. 190: 43; 24 Vat. gr. 204: 10; 2 Vat. gr. 218: 36; 20 Vat. gr. 1209 (Codex B): 14, 100; 7-9 Vat. gr. 1605: 10; 3 Vat. gr. 1613 (Menologio di Basilio ii): 50, 230, 340 (122); 31-34, 158 Vat. gr. 2125 (Codex Marchalianus): 92 Vat. lat. 39: 21; 15, 16 Vat. lat. 171: 1 Vat. lat. 266: 21 Vat. lat. 541: 103 Vat. lat. 1202 (Codex Benedictus): 21; 17, 18 Vat. lat. 1801: 14; 5 Vat. lat. 1816: 14 Vat. lat. 1860: 14; 4 Vat. lat. 2044: 21; 104 Vat. lat. 2051: 14 Vat. lat. 2094: 21 Vat. lat. 3195 (Canzoniere del Petrarca): 43; 27 Vat. lat. 3225 (Virgilio vaticano): 43; 28, 29 Vat. lat. 3226 (Terenzio bembino): 43 Vat. lat. 3255: 43 Vat. lat. 3550 (Bibbia di Matteo Planisio): 43; 26 Vat. lat. 3781 (Libro d’ore di Jean Bourdichon): 50; 30 Vat. lat. 3864: 14 Vat. lat. 3867 (Virgilio romano): 21; 10a-b, 11a-b, 12

Vat. lat. 3868: 21; 13, 14 Vat. lat. 3870: 36; 21 Vat. lat. 3872: 21 Vat. lat. 3964: 337 (31) Vat. lat. 3966: 337 (31) Vat. lat. 4071: 14; 6 Vat. lat. 5757: 103; 70 Vat. lat. 8541 (Legendarium Hungaricum): 92; 65 Vat. lat. 9850: 108; 75 Vat. lat. 10405: 103; 73 Vat. lat. 13125: 132; 98 Vat. sam. 1: 36; 23 Vat. slav. 3 (Codex Assemanianus): 75; 61 Oggetti Med. pont. 2574: 63a-b Med. pont. 3928: 103; 71a-b Mon. pont., Leo x, 202: 64a-b Med. stran., Austria, xxv, 1: 66a-b Mon. stran., Cina, cs. 2: 103; 72 Ogg. art. 33: 108; 74 Stampati Ashby disegni, 9: 132; 95 Ashby disegni, 149: 132; 96 Capp. Sist. 235-238: 108; 77 Cicognara ix.1022.3: 100; 69 Membr. ii.5: 36; 22 R. G. Arte-Arch. S.310, int. 2: 132; 97 R. G. Liturg. iv.296: 132; 93 Stamp. Barb. aaa.vi.16-17 (Bibbia a 42 linee): 119; 81 Stamp. Pal. ii.491: 50; 43 Stamp. Ross. 589: 119; 85, 86 Stamp. Ross. 3529: 119; 87 Stamp. Ross. 5320: 119 Stampe v.46.4: 67


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