BRAQUE. ATELIERS

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BRAQUE s atelier


BRAQUE s r e i l e t a Jean Leymarie


Titolo originale Braque, les ateliers

Indice

Ristampa © 2020 Editoriale Jaca Book Srl, Milano Tutti i diritti riservati per le opere di Braque riprodotte in questo volume © Georges Braque by SIAE 2020

Introduzione 7

per le opere di Matisse riprodotte in questo volume © Succession H. Matisse, by SIAE 2020

1. Il Tema Dell’Atelier nella Pittura Moderna 9

prima edizione italiana settembre 1995 traduzione dal francese Chiara Formis organizzazione editoriale Caterina Longanesi Copertina e impaginazione Paola Forini / Jaca Book Fotolito Target Color, Milano Stampa e legatura Grafiche Stella San Pietro di Legnago (VR) settembre 2020

ISBN 978-88-16-60593-0

Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

2. Lo Spazio Interno 29 3. Figure al Cavalletto 59 4. Nature Morte con la Tavolozza 99 5. Gli Atelier Isolati 147 6. Gli Ateiler Sinfonici 171 Bibliografia 217 Indice delle tavole 221


Introduzione

N

el novembre del 1961, alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, Braque

è stato il primo artista a beneficiare, da vivo, di una mostra personale al museo del Louvre, galleria Mollien. La mostra, che riuniva opere da lui personalmente scelte, e alla cui presentazione volle che io prendessi parte, comprendeva una cinquantina di tele in funzione dello spazio disponibile e, oltre all’opera grafica, un campo a parte, alcuni esempi delle sue diverse attività, sculture, incisioni su gesso, ceramiche, mosaici, vetrate, tappezzerie. Offriva inoltre, con l’ambientazione e la disposizione dei pezzi, la ricostruzione dell’atelier del pittore ed era significativamente intitolata L’atelier di Braque. Due anni dopo, durante le solenni esequie sotto il colonnato del Louvre, il suo amico Malraux, ministro in carica, pronunciò l’orazione funebre. «Nel suo atelier, egli disse, che non aveva conosciuto altra passione che la pittura, la gloria era entrata in punta di piedi, senza disturbare un nota editoriale

Questa ristampa del volume Braque ateliers vuol essere un omaggio non solo alla somma arte di Georges Braque, ma anche a Jean Leymarie, il grande testimone dei maestri francesi del xx secolo. Jean Leymarie ha avuto con Braque un particolare rapporto di stima condivisa. Studioso e amico del pittore, ha mantenuto rapporti intensi con i Laurens eredi di Braque. Tale legame ha permesso, in occasione della pubblicazione questo volume, che venisse fotografato un “calepino” di disegni preparatori degli «Ateliers sinfonici». Il calepino era posato su un tavolino nell’atelier dell’artista all’ultimo piano della casa di Braque, all’epoca abitata dai Laurens, che generosamente lo fecero fotografare. L’interpretazione che Jean Leymarie dà degli «Ateliers sinfonici» e del percorso che porta Braque a realizzarli è una pietra d’angolo per la storia dell’arte contemporanea.

colore, una linea e nemmeno un mobile». Il genio è un dono che resiste alle difficoltà o fiorisce in un ambiente favorevole. Braque innalza a destino una tradizione familiare di decoratori artigiani che sono anche pittori dilettanti, dai quali eredita la saggezza e il culto del mestiere. «Non ho mai avuto l’intenzione di diventare pittore», confessava svelando il segreto del suo procedere, «come non ho mai pensato a respirare». La pittura era

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BRAQUE ateliers

per lui una funzione naturale e il mezzo della realizzazione di sé. La sua esistenza è indissolubilmente legata all’atelier, cuore della sua casa, verso cui tutto converge, la cui rappresentazione metamorfica occupa nella sua opera il posto essenziale che questo libro vorrebbe evocare attraverso la disposizione sistematica dell’apparato illustrativo, in parte inedito. La sintassi cubista ha permesso l’elaborazione di un nuovo spazio non illusionista, fluido e tattile a un tempo, permeabile agli scambi; il suo espandersi si realizza attraverso il flusso delle nature morte erette sui loro sostegni, tavoli, caminetti, tavolini, prima di riuscire a racchiudere tutta la stanza. Nel 1936 compaiono e si sviluppano contemporaneamente, fino alla guerra, con qualche ripresa successiva, le due serie complementari delle Figure al cavalletto e delle Nature morte con la tavolozza. Queste tele oggi disperse, a volte inaccessibili, di rado o mai esposte, rappresentano un anello decisivo e misconosciuto nell’evoluzione del pittore. Esse annunciano e preparano la serie vera e propria degli Atelier, di cui alcune versioni isolate, splendide, senza personaggi, si susseguono fra il 1938 e il 1942. Infine, dal 1949 al 1956, si snoda, qui sontuosamente riprodotta a piena pagina e accompagnata per la prima volta da tutti i disegni preparatori, l’ultima e più importante sequenza degli otto Atelier sinfonici, summa pittorica di Braque e trasfigurazione poetica del suo universo quotidiano. Per coglierne appieno il valore originale e la portata, è necessaria una breve nota sul Tema dell’atelier nella pittura moderna, a partire da Rembrandt e Vermeer.

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1 Il Tema Dell’Atelier nella Pittura Moderna


L

a ceramica greca e la miniatura medievale racchiudono qualche immagine di

pittori nel loro luogo di lavoro, fra gli strumenti e i materiali della loro arte. Le raffigurazioni dell’atelier, ambiente silenzioso simile allo studio dei teologi, nascono alla fine del xiv secolo e mostrano il pittore circondato dai suoi attrezzi e dagli aiuti che preparano i colori. L’opera in fase di esecuzione è l’icona della Vergine. L’antico tema bizantino di san Luca, evangelista e pittore di Maria, col quale gli artisti, da Roger van der Weyden in poi, via via si identificano prestandogli spesso le proprie fattezze, finisce per testimoniare le successive modalità del dipingere e anche il mutare dello stato sociale dell’artista nel corso del xv secolo e soprattutto nel periodo manierista, sia in Fiandra sia in Italia, in particolare con Martin van Heemskerck e Vasari. L’Olanda democratica del Secolo d’oro sostituisce a questo tema allusivo e religioso la visione reale e profana dell’atelier. I numerosi pittori riuniti in gilde e corporazioni rappresentano sempre più spesso in maniera esplicita il loro atelier, trattato come una scena di genere. Rembrandt e Vermeer, ciascuno a suo modo e secondo il proprio temperamento, tolgono al tema ogni carattere aneddotico consacrandone l’importanza. Constantin Huyghens, segretario del principe di Orange, uomo di grande personalità e fine conoscitore, ci ha lasciato il ricordo della sua visita a Rembrandt, allora al suo esordio a Leida. Fu colpito dalle straordinarie qualità del giovane pittore e dall’incontenibile

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IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

passione con cui si dedicava alla sua arte. Nel piccolo quadro del Museum of Fine Arts

graziosa, ha in una mano la tromba della Fama e nell’altra il libro dei Fasti i cui toni

di Boston (tav. 2), monumentale per concezione, premonitore per la sfida che contiene,

gialli cantano sull’azzurro della veste. Si tratta forse del pittore stesso e di sua figlia,

il pittore, appena ventenne, sta in piedi in fondo all’atelier, occupato dall’immenso e

che posa nei panni di Clio, la musa della storia? L’opera è autobiografica in un senso

drammatico cavalletto, posto di. tre quarti in primo piano a destra, e dalla sua ombra.

più profondo. Infatti svela e nasconde a un tempo il modo di procedere di Vermeer,

I muri bianchi e nudi della stanza vuota, semplice come un fienile, qua e là appaiono

l’operazione di magia, impenetrabile a una semplice analisi, che secerne la forma e

scrostati. Il pittore, vestito in maniera bizzarra, tavolozza e pennello in mano, fissa in-

cristallizza la materia. Al contrario di Rembrandt, il pittore, abbigliato all’antica, na-

tensamente, prima di affrontarla, la superficie del quadro, volta verso di lui e invisibile

sconde il volto e noi vediamo la tela nel momento in cui nasce l’abbozzo: colore, forma

allo spettatore; superficie da coprire di colori più alta di lui e di formato più grande

e luce si equilibrano in un’armonia perfetta, trasparente, priva di qualsiasi tensione.

delle sue opere di quel periodo. Siamo ben lontani dagli artisti del Rinascimento in

Sotto il lampadario di rame derivato dall’interno degli Arnolfini di Jan van Eyck, che

abiti di gala, circondati da musici e da principi. La lotta del pittore indipendente con

creò lo spazio omogeneo bagnato dalla luce, la carta dei Paesi Bassi dispiega l’insieme

la sua creazione autonoma esige ormai una solitudine scontrosa e un’assoluta concen-

delle province e gli stemmi delle città prima dello scisma e della divisione. Nostalgia di

trazione. Nei sublimi autoritratti degli ultimi anni, quelli del Louvre e di Kenwood del

un tempo passato, più felice, favorevole agli artisti? L’alta e splendida tenda ripiegata

1660, il vecchio leone ferito, privato dei suoi beni, di fianco al cavalletto, la tavolozza

scopre, quasi in una rivelazione, l’assetto della stanza dal pavimento a lastre bianche

stretta nella mano, raggiunge l’essenziale, sovrano indomabile del suo regno interiore.

e nere. Sul tavolo che divide il pittore dalla modella, si vedono un libro rilegato in

Vermeer, polo opposto, si cela nella quiete della sua opera. Egli si ispira alla realtà

cuoio, delle sciarpe di seta (il padre di Vermeer era tessitore di seta), una testa o una

quotidiana e ai suoi gesti concreti, scrivere o leggere una lettera, fare musica, versare

maschera di gesso, un quaderno di schizzi e, del più prezioso dei rosa, un foglio isola-

del latte, guardarsi allo specchio, lavorare a un merletto. Quasi tutta la sua pittura si

to. Emblemi delle altre muse, sorelle di Clio, simboli dell’architettura e della scultura,

rifugia in un unico ambiente, la sua camera o il suo atelier, in cui a volte appare solo

sulle quali prevale la pittura? Il miracolo della luce e la malia del colore fanno sparire,

la parete di sinistra, con quella di fondo parallela al piano della visione e le diagonali

per nostro incantamento, senza risolverli, gli enigmi dell’iconografia.

del pavimento di marmo che danno il senso della profondità. I rettangoli delle carte

Geograficamente inseparabile da Delfi, città della luce pura e patria di studiosi

geografiche o dei quadri appesi ai muri, i volumi familiari dei mobili riprendono il

ossessionati dall’ottica, esteticamente Vermeer è più vicino a Piero della Francesca,

tracciato delle linee direttrici, determinano le proporzioni, fissano la posizione esatta

a Giorgione o a Chardin che ai contemporanei appartenenti al suo ambiente. Salvo

delle figure immobili. Le stoffe e i drappeggi con le loro curve fluttuanti attenuano il

Vermeer, allora dimenticato, Chardin ha guardato molto alla pittura olandese. Il suo

rigore geometrico. Il quadro del museo di Vienna, intitolato semplicemente L’atelier

piccolo Disegnatore del museo di Stoccolma è una rappresentazione di atelier diver-

(tav. 2) e spesso considerato il suo capolavoro è, a distanza di pochi anni e con un’am-

sa dalle interpretazioni spirituali e libere date di questo soggetto da Hubert Robert

bientazione diversa, un’allegoria della Pittura dello stesso genere e dello stesso fascino

e Boucher, nella vena intensa e sobria del Rembrandt di Boston; ma la posizione del

delle Meniñas di Velázquez. E ha dato luogo a commenti altrettanto sottili e nume-

giovane scolaro, seduto per terra, col cartone da disegno sulle gambe aperte e visto

rosi. Il pittore misterioso seduto davanti al cavalletto è intento a dipingere le foglie di

di spalle, ricorda piuttosto quella del pittore nel quadro di Vermeer. La forza di que-

alloro che incoronano il capo della modella. La giovinetta, gli occhi bassi, pudica e

sto piccolo pannello di quercia deriva dalla costruzione per linee diritte, dalla ruvida

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IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

precisione del tocco, dall’intensità dei toni rossi e blu. Chardin ha dipinto in diverse

calchi di parti anatomiche dall’aspetto funereo. Necessariamente presente nei quadri

occasioni, come sovrappone in un formato rettangolare allungato che piacerà molto a

che hanno per tema la vanitas, il teschio è un normale accessorio dell’atelier, che ri-

Braque, uno dei motivi normalmente legati al tema dell’atelier, Gli attributi delle arti.

compare anche in Braque. È un motivo che Cézanne usa in molti dipinti ed acquarelli

La versione più bella è quella commissionata da Caterina ii, datata 1766, attualmente

degli ultimi anni. Nell’acquarello qui riprodotto (tav. 7), il teschio ossuto e duro, di un

al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (tav. 3). Essa supera i limiti decorativi del

candore macabro, le cavità ombreggiate di blu, è posato su un panneggio morbido in

genere e permette a Chardin di esaltare i simboli delle arti attraverso il suo amore per

cui i rossi e i verdi evocano l’immagine di fiori. Il contrasto di materia e di tono fra i

la natura morta. La composizione, splendida e complessa, unisce agli attributi della

due oggetti è sconvolgente.

pittura, il coltello, il fascio di pennelli, la tavolozza larga e rotonda su cui splendono i

L’immenso Atelier di Courbet, del 1855, è senza dubbio uno dei vertici della pittura

tre colori primari, rosso, giallo e blu, gli attributi chiaramente identificabili del disegno,

e rappresenta, proprio alla metà del secolo, la sintesi magistrale e la nuova intonazione

dell’incisione, dell’architettura, dell’arte della medaglia e anche dell’oreficeria, indicata

del tema, la celebrazione, in mezzo alla folla fantomatica, dell’attività creatrice come

dall’alto acquamanile. Il gesso del Mercurio che si allaccia i calzari, opera di Pigalle, di cui

fondamento della realtà. Tuttavia la molteplicità dei personaggi in funzione dimostra-

Chardin possedeva un esemplare, rappresenta la scultura e domina l’insieme per le sue

tiva e la superba sicurezza del pittore, la cui tavolozza coperta di colori è il centro lu-

dimensioni, la grazia del gesto, la bellezza delle tonalità grigie. Chardin rende omaggio

minoso della composizione, sono estranee alla visione di Braque.

a Mercurio, nume tutelare delle arti, al suo amico Pigalle, decorato con la croce dell’or-

Daumier che, nelle sue litografie, non si è lasciato sfuggire l’occasione di farsi beffe

dine di San Michele che splende in primo piano, e vuole anche dire che l’arte moder-

dei difetti della commedia artistica, nei dipinti si preoccupa di fissare il raccoglimento

na ha, come quella antica, un suo pieno e chiaro valore. I grossi libri dal taglio rosso

interiore del vero amatore e l’ardore solitario del creatore animato dalla fede. Il suo

sulla sinistra, i larghi cartoni e cartelle sulla destra, rilegati in cuoio porpora e adorni

piccolo pannello di Washington (tav. 4), col medesimo soggetto, ha le stesse dimen-

di nastri azzurri e pergamena gialla, equilibrano e chiudono la composizione. Diderot,

sioni ridotte, ma scambiate, e la stessa intensità espressiva di quello di Boston, opera

a cui forse si deve la transazione fra Chardin e Caterina di Russia, commenta così la

di Rembrandt. Nella penombra bruna dai riflessi verdastri dell’atelier, la luce si con-

versione, con qualche variante, di quest’opera, esposta al Salon del 1765 e in seguito

densa sul breve spazio fra il pittore in piedi, con la tavolozza, e il quadro, non visibile,

scomparsa: «È un’armonia che supera l’immaginazione e il desiderio; un’armonia che

sul cavalletto, avvolgendo i loro contorni di un alone fosforescente.

serpeggia impalpabile nella composizione, effondendosi in ogni parte dell’intera tela».

L’amico fedele e generoso di Daumier, non risparmiato dalle preoccupazioni finan-

Gli atelier romantici, spesso rappresentati dai loro occupanti e descritti da autori

ziarie malgrado il genio e l’enorme mole di lavoro, è stato Corot. A eccezione dell’in-

come Balzac e Gautier, danno l’immagine del pittoresco bric-à-brac in cui si conduce

fimo autoritratto giovanile, ancora goffo, realizzato per i suoi genitori, quest’ultimo

una vita di bohème, del santuario in cui l’arte è glorificata, della cella oscura in cui

ha rappresentato se stesso una volta sola nella vita, negli anni del pieno vigore, con un

l’artista dal temperamento saturnino sprofonda in desolata meditazione, come nel ri-

berretto di velluto in capo. Si tratta del quadro della Galleria degli Uffizi, a Firenze,

tratto del Louvre, per lungo tempo attribuito a Géricault (tav. 6). Il giovane pittore

a mezzobusto, di tre quarti, la tavolozza in mano, un’immagine di struttura classica

in preda alla sua angustia è seduto su una sedia di paglia nella posa della Melanconia.

fra Poussin e Cézanne. Paesaggista itinerante, Corot non ha mai smesso di piantare il

La tavolozza è appesa al muro, sotto la mensola su cui sono disposti un teschio e i

cavalletto all’aperto nel corso dei suoi viaggi attraverso l’Italia, la Svizzera, la Francia

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IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

intera. Dal 1864 al 1870, gli attacchi di gotta limitano i suoi spostamenti obbligandolo a

cavalletto, alla vigilia della mobilitazione, circondato dai suoi amici, fra cui Manet e

rifugiarsi nel suo tranquillo e modesto atelier parigino, in rue de Paradis-Poissonnière.

Monet. Ma gli atelier precedenti, meno conosciuti, appartengono alla categoria dell’a-

In questo periodo, si dedica soprattutto alle figure e realizza una serie di sei varianti

telier senza pittore, la cui discendenza sarà numerosa nel xx secolo. Gli strumenti di

sul tema dell’atelier, considerato non sotto il profilo sociale, come in Courbet, ma in

lavoro sparsi per terra e la profusione di quadri alle pareti rivelano le fonti e gli esiti

maniera intimistica, in linea con lo spirito di Vermeer, unendo, secondo la tradizione,

della nuova tecnica pittorica dai tocchi arditi e vivamente colorati.

le suggestioni della pittura e della musica. Corot esclude se stesso per lasciar aleggiare

Matisse ha dipinto degli Atelier letterali alla maniera di Bazille, prima della prodi-

più liberamente nella stanza intrisa della sua presenza il sogno pieno di nostalgia in cui

giosa serie del 1911 in cui si realizza su vasta scala la trasfigurazione della luce sulla

si culla invecchiando e di cui rende partecipe la modella. Nelle sei varianti, la giova-

superficie piana. L’atelier rosso del Museum of Modern Art di New York (tav. 9), ul-

ne è seduta davanti al cavalletto su cui è appoggiato un quadro con un paesaggio; ma

tima e più compiuta versione del ciclo, raggiunge l’estrema condensazione dei mezzi

ogni volta ella cambia abito, atteggiamento, espressione. In quella che si ritiene sia la

espressivi: frontalità, monocromia, diagrammi lineari, per meglio accrescere la potenza

prima versione, l’impianto è il più scarno e la stanza è nuda, senza arredo. La modella,

della suggestione. Il pittore riassume il proprio universo nel suo flusso bergsoniano e

con una veste rosa e il corpo di profilo, ha un mandolino nella mano destra abbassata

nella sua sospensione temporale (la pendola senza lancette), esalta la costellazione ra-

e indica con la sinistra il paesaggio inclinato sul cavalletto. Nelle versioni successive,

diosa delle diverse forme (composizione, ritratto, paesaggio, natura morta) e tecniche

due delle quali appartengono al Louvre, la modella contempla il paesaggio (tav. 5) o

(pittura, disegno, scultura, ceramica) nel periodo dell’Età dell’oro che egli vuole far

si abbandona ai propri pensieri, i colori si fanno più intensi, corpetto rosso e gonna

rivivere plasticamente. Il ramo d’edera, simbolo di Bacco, inserisce la sua flessuosità

gialla, corpetto verde e gonna d’oro a larghe pieghe, appaiono elementi di arredo come

vegetale nel cuore della chiarezza solare dell’impianto rettilineo.

la stufa, la sedia dalla teppezzeria variopinta, la scatola dei colori, i quadri alle pareti,

Nell’autunno del 1913 Matisse, che viveva a Issy-les-Moulineaux, dove è stato rea-

i calchi sulle mensole. Nella versione datata 1870 e ora al museo di Lione, che sembra

lizzato L’atelier rosso, affitta di nuovo un atelier invernale a Parigi, nel vecchio stabile

concludere il ciclo, la giovane dalla gonna di velluto nero con frangia rossa, dai grandi

del quai Saint-Michel. Qui, nel 1916, dipinge due possenti interni con figure, uno a

occhi malinconici, pensosa e con le spalle al cavalletto, ha sostituito il mandolino col

Washington (Phillips Collection), l’altro a Parigi (Musée National d’Art Moderne),

libro aperto sulle ginocchia. Musica e lettura accompagnano anche le figure di Braque,

in uno stile opposto a quello del 1911, volumetria severa e cromatismo smorzato. La

derivate da Corot, di cui egli ha subito molto presto l’influsso.

finestra è aperta sul cielo pallido, gli alberi spogli, le case della città vecchia, bianche

La guerra del 1870 ha falciato Bazille nel fiore degli anni, non ancora trentenne.

coi tetti blu. Nella versione di Parigi, terminata nel 1917, il pittore con la tavolozza,

Questo pittore originario della Languedoc ha dipinto, nei luoghi nativi intorno a

sagoma bruna, di spalle, guarda la modella italiana, Lauretta, vestita di verde e seduta

Montpellier, composizioni all’aperto in cui le figure s’immergono nell’atmosfera pur

su una poltrona color malva, che sembra un quadro già dipinto, e il suo doppio sul

restando ritratti, e ha lasciato delle vedute d’interni dei suoi diversi atelier parigini:

cavalletto. Sul muro di fondo, nero nell’ombra, chiaro nella luce, un bello specchio

prima in rue de Furstenberg (tav. 8), nello stabile in cui viveva ancora Delacroix, poi

veneziano, con funzione puramente ornamentale, compensa con le sue volute baroc-

in rue Visconti, infine, lasciato Saint-Germain-des-Prés per il quartiere di Batignolles,

che l’austerità geometrica della composizione. C’è tensione fra lo spazio esterno e

in rue de La Condamine. È in quest’ultimo e più vasto atelier che si ritrae davanti al

quello interno, fra il pittore e la modella, equivalenza assoluta fra la modella e il suo

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BRAQUE ateliers

IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

doppio, fra arte e realtà. Uno degli ultimi dipinti a olio di Matisse, prima della stagione semplificatrice e fastosa dei gouaches découpées, è il Grande interno rosso del 1948, ora al Musée National d’Art Moderne di Parigi, rinascita del colore fauve e sintesi di una lunga sperimentazione sul rituale dell’atelier e sul ruolo del quadro nel quadro. Picasso, compagno di Braque, rinnova completamente, in serie ossessive sempre più assillanti, i due temi solidali, trattati prima di lui dal suo rivale Matisse. Le versioni iniziali, dipinte fra il 1925 e il 1928, organizzano su schemi geometrici e prospettive lineari i rapporti mute voli fra l’artista, pittore o scultore, la modella e la sua rappresentazione sulla tela. Le serie di stile classico incise nel 1927 per illustrare Le chef-d’oeuvre inconnu di Balzac e nel 1933 la Suite Vollard trasportano nella sfera autobiografica il mito della creazione e i rapporti ambivalenti fra i sessi. Il famoso ciclo di lavis che, nell’inverno 1953-1954, corrisponde a una terribile crisi personale, gravita anch’esso attorno all’inevitabile ambiente dell’atelier pur denunciando, di fronte al miracolo della giovinezza e allo splendore della realtà, la vanità del fare artistico. Ma per Picasso non c’è altra verità che la vita profonda della pittura attraverso la pittura che trasporta le opere d’arte e le forme della natura nel ritmo perpetuo dell’atelier e delle sue trasformazioni. Quando si stabilisce nella villa di Cannes, arredata, si è detto, in stile “mozarabico”, dà inizio, fra il 1955 e il 1956 (tav. 10), alle sontuose vedute d’atelier che egli chiama “paesaggi interiori”, in omaggio alla sua nuova compagna, Jacqueline, una bellezza di tipo orientale, e a gara con Matisse, morto da poco, di cui vuole recuperare la forza cromatica. Si trasferisce poi nell’ultimo rifugio di Mougins e fra il 1963 e il 1965, quando, come egli afferma, la pittura è più forte di lui, e non segue altra legge che l’esercizio di sé medesima, dà il via al ciclo frenetico del Pittore e la modella (tav. 12), il perpetuo confronto fra l’uomo e la donna, fra l’arte e la vita, attraverso le metamorfosi di una creazione sempre in atto.

18 1. JAN VERMEER, L’atelier, 1665, olio su tela, 130 × 110 cm. Kunsthistorische Museum, Vienna.


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2. REMBRANDT VAN RIJN, Ritratto al cavalletto, 1628, olio su legno, 24,8 × 31,7 cm. Museum of Fine Arts, Boston.

IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

3. JEAN-BAPTISTE CHARDIN, Gli attributi delle arti, 1766, olio su tela, 112 × 140,5 cm. Ermitage, San Pietroburgo.


4. HONORÉ DAUMIER, Il pittore davanti al quadro, 1870 ca., olio su legno 33,3 × 25,7 cm. The Phillips Collection, Washington DC.

5. CAMILLE COROT, L’atelier, 1865-68, olio su tela 63 × 42 cm. Museo del Louvre, Parigi.


IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

6. Ritratto di un artista nell’atelier, scuola francese del xix secolo, attribuito a Théodore Géricault, olio su tela, 147 × 114 cm. Museo del Louvre, Parigi.

7. PAUL CÉZANNE, Teschio su un panno, 1902-1906, matita e acquarello su carta bianca. Collezione privata, New York.


IL TEMA DELL’ATELIER NELLA PITTURA MODERNA

8. FRÉDÉRIC BAZILLE, L’atelier de la rue de Furstenberg, olio su tela, 80 × 65 cm. Musée Fabre, Montpellier.

9. HENRI MATISSE, L’atelier rosso, olio su tela, 181 × 219,1 cm. The Museum of Modern Art, New York, Fondo Mrs. Simon Guggenheim.


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2 Lo Spazio Interno

10. PABLO PICASSO, L’atelier de la Californie a Cannes, 1956, olio su tela, 114 × 146 cm. Musée Picasso, Parigi.


«P

er tutta la vita», affermava Braque, «la mia grande preoccupazione è stata

dipingere lo spazio». Salvo brevi periodi in cui si dedica al paesaggio, all’inizio, a metà e alla fine del suo percorso artistico il pittore si concentra, sull’esempio di Vermeer e di Chardin, sullo spazio interno della stanza, sullo spazio domestico popolato di oggetti, raramente abitato da figure, percepibile al tatto come allo sguardo. La complessa elaborazione e il progressivo sviluppo di tale spazio occupano completamente la prima fase della sua attività. Nato il 13 maggio 1882 ad Argenteuil, vicino a Parigi, ha otto anni quando si trasferisce con la famiglia a Le Havre, l’antico porto della Normandia sull’estuario della Senna. È cresciuto dunque nei luoghi ancora intatti che erano stati pochi anni prima il centro e la culla dell’impressionismo. Suo padre e suo nonno, artisti dilettanti che la domenica dipingevano degli schizzi all’aperto, dirigevano un’impresa di tinteggiatura di edifici. Anch’egli riceve questa rigorosa formazione artigianale che è il fondamento della sua nobiltà di uomo, della sua coscienza di artista e del suo solido mestiere. «Braque», dice giustamente Bissière, «ereditò degli insegnamenti e delle formule che, in fondo, sono forse l’essenza della pittura, o per lo meno la sua più solida base». Nel 1900 si stabilisce a Parigi per completare il suo apprendistato e, una volta conseguito il diploma, che gli consente di ridurre a un anno la durata del servizio mili-

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

tare, il pittore-decoratore diventa naturalmente artista-pittore senza dover sceglie-

del volume. La tavolozza si limita ai contrasti di grigi freddi e ocra caldi interrotti

re il proprio destino. In seguito, Braque ha distrutto, giudicandole convenzionali,

da verdi spenti: i toni locali della terra, della pietra e degli alberi della Provenza.

le sue prime opere; tuttavia alcuni paesaggi e ritratti, donati a parenti e amici, si

Braque giudicò i suoi quadri di un livello abbastanza buono, tanto che li presentò

sono salvati ed egli fu contento di ritrovarli negli ultimi anni di vita perché, nella

alla giuria del Salon d’Automne e, in seguito ad un rifiuto quasi completo, il giova-

loro fattura ancora timida, appaiono già le sue qualità fondamentali: visione lenta e

ne mercante D. H. Kahnweiler organizzò nella sua galleria, dal 9 al 28 novembre,

contemplativa, senso innato della materia pittorica e della sua risonanza.

quella mostra personale il cui catalogo recava la prefazione di Guillaume Apolli-

Nel 1905, Friesz e Dufy, i compagni di Le Havre poco più anziani di lui e tecni-

naire. Ed è proprio nella recensione del critico Louis Vauxcelles, cui si deve anche

camente più avanzati, lo spingono verso il fauvismo, sulla via inondata di luce aperta

la denominazione del fauvismo, che appare per la prima volta la parola “cubi” ri-

da Matisse e Derain. «Visto che non amavo il romanticismo», dice Braque, «questa

ferita inizialmente a Braque: «Egli disprezza la forma, riduce tutto, luoghi, figure

pittura fisica mi piaceva». Nell’estate del 1906 accompagna Friesz ad Anversa, e le

e case, a degli schemi geometrici, a dei cubi». I cubi, la cui disposizione di spigolo

vedute a strapiombo del bacino dell’Escaut segnano per lui l’inizio della vera sta-

scandisce lo spazio espresso sinteticamente, compaiono solo durante la fase inizia-

gione creativa, della sua ricerca e decantazione della luce. Nell’autunno dello stesso

le, cézanniana, del cubismo, durante la quale l’apporto di Braque è fondamentale.

anno si reca a L’Estaque, vicino a Marsiglia, nei luoghi descritti da Cézanne e nella

Nella seconda metà del 1908, Braque comincia a sviluppare il genere della natura

luminosità mediterranea la luce aumenta e s’incendia su orizzonti lineari. L’estate

morta, consustanziale alla sua personale visione, e riprende il tema degli strumenti

successiva, nella stessa regione, a La Ciotat, nei pressi di Tolone, dipinge alcuni gio-

musicali, sul quale torneremo. «Ciò che mi aveva veramente attratto», confidava,

ielli del fauvismo il cui splendore, così nitido e liricamente personale, non si fonda

«era la materializzazione di questo spazio nuovo che sentivo. Allora cominciai a fa-

sui toni puri e sui contrasti violenti, ma su accordi insoliti, sospesi nei loro riflessi

re soprattutto nature morte, perché nella natura morta c’è uno spazio tattile, starei

cangianti, dalle vibrazioni punteggiate. Al termine del soggiorno, passa di nuovo a

per dire manuale... È questo spazio che mi attirava molto, perché era quella la pri-

L’Estaque dove ha inizio il cambiamento, dal colore decorativo verso la forma co-

ma ricerca cubista, la ricerca dello spazio. Il colore aveva un ruolo secondario. Del

struttiva. Al rientro a Parigi lo attendono due avvenimenti importanti, l’incontro

colore ci interessava solo il lato luminoso; la luce e lo spazio sono due cose che si

decisivo con Picasso, suo vicino a Montmartre e di sei mesi più anziano di lui, e la

toccano e noi le realizzavamo insieme».

visita alla retrospettiva di Cézanne, la guida artistica e spirituale a cui si volgerà con tutto il suo essere.

La scomposizione del volume globale nelle sue parti interne segna la fase analitica del cubismo nella quale i cubi esplodono e si scompongono in piani scalari. Non è la

Nel 1908 ritorna per la terza volta a L’Estaque e, scegliendo dei motivi dalla vo-

distruzione della forma, ma la sua riorganizzazione omogenea a livello della superfi-

lumetria semplice, compone una serie di paesaggi di austera e toccante intensità.

cie piana. «Quando gli oggetti frammentati sono comparsi nei miei quadri, intorno

Attraverso i fusti degli alberi inarcati a ogiva, le masse compatte, geometrizzate

al 1909», afferma Braque, «si trattava di un modo per avvicinarmi il più possibile

delle case, senza porte né finestre, si dispongono accanto alle colline come bloc-

all’oggetto stesso nella misura consentita dalla pittura. La scomposizione mi serviva

chi squadrati. Il cielo occupa solo la parte superiore o scompare del tutto per non

per fissare lo spazio ed il movimento nello spazio; perciò non ho potuto introdurre

turbare, con la sua profondità atmosferica, l’unità della superficie e l’espressione

l’oggetto se non dopo aver creato lo spazio». Le case dipinte a La Roche-Guyon,

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

vicino a Mantes, nell’estate del 1909, dalla forma e dalle tonalità più lievi delle case

saggio, spazio visivo... In questo spazio tattile potete misurare la distanza che vi separa

provenzali di L’Estaque, si arrampicano a piramide sotto arcate di fronde verso il

dall’oggetto, mentre in quello visivo misurate la distanza che separa le cose fra loro. È

vecchio mastio feudale che si staglia contro il cielo. I piani ammorbiditi, “sfaccetta-

questo che, già in passato, mi ha condotto dal paesaggio alla natura morta». E, durante

ti”, ravvicinati, sono ora troncati da passaggi, da interruzioni della linea di contorno

l’inverno fra il 1909 e il 1910, mirabili nature morte accelerano la scomposizione dei

che regolano e distribuiscono la luce. Spazio e luce si fondono attenuando il colore.

volumi ed ergono i loro fasci di prismi simili a concrezioni adamantine dello spazio.

Nello stesso periodo Picasso è in Catalogna, vicino a Tarragona, e al loro rientro,

Braque e Picasso si separano nell’estate del 1910. Uno torna a L’Estaque e l’altro

confrontando i rispettivi lavori, i due pionieri riscontrano l’orientamento parallelo delle

in Catalogna, non però all’interno della regione ma sulla costa, a Cadaquès. L’estate

loro ricerche, fondate le une sulla forma e la sua energia plastica, le altre sullo spazio e la

seguente si ritrovano a Céret, un delizioso paesino del Roussillon, ai piedi dei Pirenei,

sua unità pittorica. La loro amicizia si rafforza e si trasforma in fervida collaborazione.

non lontano da Collioure dove Matisse si reca regolarmente dopo il periodo fauve con

La grandezza e la fecondità del cubismo, il cui sviluppo viene studiato sempre meglio,

Derain. È questo il momento in cui più stretta è la consonanza di stile fra i due artisti,

dipendono dalla cooperazione di questi due eccezionali creatori, che si arricchiscono

in cui la cristallizzazione della forma raggiunge il culmine nel cuore di uno spazio ef-

reciprocamente coi loro doni diversi e complementari, legati tra loro, durante la loro

fervescente che splende per trasparenza o per rifrazione. Braque prolunga il soggiorno

eroica avventura, come “una cordata in montagna”, secondo le parole di Braque. Il

dopo la partenza di Picasso e realizza, durante l’estate, Il tavolino (tav. 11) del Musée

cambiamento che essi operano in campo estetico va di pari passo, come succede nelle

National d’Art Moderne di Parigi, una delle prime e splendide versioni di un tema

grandi svolte della storia, con una trasformazione equivalente nell’ambito della lette-

che scandirà la sua opera fino al 1942 e oltre, visto che l’ultima sarà terminata solo nel

ratura, della musica, delle scienze e del pensiero. In tutti i settori, la realtà non è più

1952. Una linea mediana divide in due il tavolino rotondo con gambe rettangolari.

un dato da trasportare nell’opera, ma un processo operativo. Alla vecchia prospetti-

Sulla parte superiore poggia e s’innalza l’intreccio fremente degli oggetti musicali, no-

va, unitaria e fissa, succede un’articolazione dinamica e polivalente dalle molteplici

te e strumenti. La fine armatura dei segmenti curvi o diagonali sostiene l’iridescenza

combinazioni. Braque e Picasso separano l’oggetto dalle sue coordinate imitative per

delle velature beige e grigie intrise di bianco. «Ho scoperto un bianco incorruttibile»,

ricostruirlo secondo le leggi proprie della tela a due dimensioni. Dal momento che

scrive allora Braque al suo mercante e confidente, «un velluto sotto il pennello, e ne

esiste una geometria universale della forma, una metrica che stabilisce anche gli inter-

abuso». La leggerezza del tocco, che nulla ha a che vedere col grafismo, anima e fa

valli fondendo lo spazio con ciò che esso contiene, è possibile una coincidenza fra la

vibrare la superficie luminosa. «Spinto dal desiderio di andare oltre nella resa dello

struttura organica del mondo e il ritmo architettonico del quadro.

spazio», dice Braque, «ho voluto utilizzare il tocco... farne una forma della materia».

Fra il 1909 e il 1928, tranne qualche veduta del 1910 e 1911 di città inquadrata da

Temendo i rischi dell’ermetismo e dell’astrazione, nella primavera del 1912 Braque

una finestra, Braque rinuncia al paesaggio che, celebrato da Ruskin, era stato il genere

ritorna a composizioni meno tese, ravviva con accordi neri o mordoré la monocromia

dominante nella pittura europea dell’Ottocento. La sua sostituzione con la figura e,

beige o grigia, utilizza formati ovali o anche circolari che riducono la dispersione de-

soprattutto, con la natura morta riconduce il pittore nel chiuso dell’atelier e presuppo-

gli angoli. In luglio raggiunge Picasso a Sorgues, vicino ad Avignone. I loro atelier si

ne un mutato atteggiamento che egli spiega così: «Nella natura morta si tratta di uno

trasformano in laboratori. Braque, per sperimentare il rilievo, prova a realizzare delle

spazio tattile e addirittura manuale, che può essere contrapposto allo spazio del pae-

sculture in carta, oggi perdute, che precedono le costruzioni in metallo o in legno di

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

Picasso, giunte invece fino a noi. I loro sforzi mirano a riappropriarsi del colore, prov-

procedere per la sua strada. Picasso, di nazionalità spagnola, sfugge alla mobilitazione.

visoriamente sacrificato alla forma, a superare l’impasse analitica. Riattivando in senso

Braque, gravemente ferito nel maggio del 1915, riprende i pennelli solo nel 1917, dopo

creativo la propria formazione d’artigiano, Braque apporta le innovazioni decisive. Si

lunghi mesi di ospedale e di convalescenza durante i quali medita sul senso della sua

devono a lui i caratteri tipografici, lettere e numeri, realizzati con uno stampino. Oltre

arte e su quella che egli chiama la sua poetica. «Il pittore pensa per forme e colori, non

ad avere un valore allusivo, di cui i due pittori si servono con umorismo, queste su-

si deve imitare ciò che si vuole creare». Mentre Picasso è lontano da Parigi, in tournée

perfici a tinte piatte senza deformazioni servono da punti di riferimento alla scansione

coi Balletti russi, Braque si reinserisce avvicinandosi momentaneamente a Juan Gris e

dello spazio. Egli usa il pettine da imbianchino, imita alcuni materiali, stoffa e legno,

al suo amico scultore Henri Laurens. Ben presto ritrova la padronanza dello stile che

si cimenta nella metamorfosi della materia stessa incorporando ai colori a olio sabbia,

poggia su salde fondamenta. Il rigore interno del cubismo si riconcilia con la mobile

segatura, limatura di ferro. La qualità del colore dipende dalla grana della materia,

freschezza degli oggetti che come per proprio impulso vanno all’appuntamento con le

dalla sua tessitura, ma non è ancora la soluzione desiderata. «La messa a punto del

forme che li suscitano. «Io mi preoccupo», dice Braque, «di mettermi all’unisono con

colore», precisa Braque, «è arrivata coi papiers collés. È una cosa che la critica non ha

la natura ben più che di copiarla». Il processo creativo è così perfettamente coerente

mai capito del tutto. Lì siamo riusciti a separare nettamente il colore dalla forma e a

da rimanere invisibile e i Cahiers di disegni inframmezzati da riflessioni e massime che

vedere l’indipendenza del colore dalla forma, perché era questa la questione fonda-

egli tiene regolarmente, come uno scrittore il suo diario, a partire dal 1918, svelano

mentale: il colore agisce simultaneamente alla forma, ma non ha niente a che vedere

un po’ il suo segreto. E sono anche dei repertori di forme cui spesso Braque ha fatto

con essa». Picasso, genio dalle scoperte subitanee, nel maggio del 1912 reinventa, dato

ricorso. Li abbiamo potuti consultare per questa pubblicazione e ne abbiamo tratto

che ci sono dei precedenti, il collage in senso moderno inserendo un oggetto reale nel

diversi disegni inediti che si riferiscono ai dipinti studiati. Il suo metodo consiste or-

dipinto. Braque, più metodico nella sua evoluzione, messo sulla strada dalle lettere a

mai nel lavorare contemporaneamente a più tele per mesi o anche per anni, con la sua

stampino, dal colore mescolato alla sabbia, dalle sculture in carta, in settembre crea,

pazienza di artigiano e grazie alla persistenza allucinante della sua visione che procede

in circostanze ben note, durante il viaggio di Picasso a Parigi, il primo papier collé,

per «impregnazione e ossessione». La sua opera si divide in due categorie: i quadri

applicando sulla tela delle strisce di carta da parati ruvida come legno, delimitata da

di piccole dimensioni per amatori, di supremo sapore pittorico, e le composizioni di

tratti a carboncino. Questa scoperta di importanza capitale, che sembra casuale, è il

grande formato, singole o legate in sequenze, in cui la possente orchestrazione non è

risultato di una lunga e complessa maturazione. Essa ha consentito il ritorno del colore

inferiore alla sicurezza dell’esecuzione e fa di lui, nel suo proprio registro, un inven-

in armonia con la forma, il ribaltamento della ricerca analitica in ricerca sintetica grazie

tore di forme fecondo come Matisse o Picasso.

all’impiego di segni condensati, evocanti la realtà per metafora e non per imitazione.

La nuova maniera incomincia nell’autunno del 1918 con la triade delle Nature mor-

Prodigioso mezzo per scandire il nuovo spazio e per esaltare il più umile dei materiali,

te con tavolino esposte nel marzo del 1919 presso la Galerie de l’Effort moderne di

per fare miracoli con degli scarti, il papier collé consacra e governa la sintassi cubista,

Léonce Rosemberg, e attualmente divise fra i musei di Filadelfia, Eindhoven e Basilea.

tanto semplice nei mezzi quanto inesauribile nei risultati.

Quella di Basilea, l’ultima in ordine di tempo e la più grande, reca la scritta Café-Bar.

Nell’agosto del 1914 Braque e Picasso sono di nuovo a Sorgues quando scoppia la

Nell’opera di Braque si alternano due tipi di tavolini, cioè quelli rotondi con piede

guerra che separa i loro destini. Ormai compiuta la rivoluzione comune, ognuno può

centrale (in francese guéridon, n.d.t.) e quelli rettangolari con quattro gambe, a volte

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

diritte e altre tortili. Il tema, che egli aveva già affrontato fra il 1911 e il 1913 in stile

Nel novembre del 1922, a quarant’anni, ha l’onore di una sala a lui dedicata al Salon

cubista, prima analitico, poi sintetico, è stato nel frattempo ripreso da Juan Gris e

d’Automne. Uno dei quadri più notati, subito acquistato dal conte Etienne de Beau-

da Picasso, ciascuno dei quali l’ha affrontato a suo modo. Se i due pittori spagno-

mont, famoso collezionista e mecenate, è lo splendido Tavolino (tav. 12) attualmente

li, l’uno fin dal 1915, l’altro dal 1919, collocano il tavolino davanti a una finestra

in deposito al Metropolitan Museum di New York. Più stretto e più alto delle com-

aperta, Braque, a lungo rinchiuso nei suoi interni, come Chardin, non apre finestre

posizioni precedenti sullo stesso tema, mostra una diversa concezione. La luce è più

nella sua pittura prima del 1938, cioè prima di aver progressivamente conquistato

viva, i colori più vari e più chiari, la tessitura più leggera e priva di ornamentazione. Lo

lo spazio della stanza. La luce illumina i suoi tavolini da una finestra invisibile posta

spazio della stanza comincia a farsi più ampio tanto che si vedono il pavimento a scac-

in corrispondenza dello spettatore. In questo gruppo di Tavolini, nel 1918-1919, le

chiera bianca e nera e lo zoccolo bruno del muro a disegni geometrici. Il piede giallo

forme cubiste si ammorbidiscono e il flusso cromatico prende corpo. Piani frasta-

e massiccio del tavolo è reso in modo realistico e tattile. Sul piano rotondo e rialzato,

gliati, curve flessuose e zone punteggiate animano la tessitura, sollevano la massa

la disposizione a embrici dei piani neri e verdi sorregge gli oggetti in cui dominano le

ridondante degli oggetti collegandola al ritmo coinvolgente degli sfondi. La sostanza

tonalità bianche. La parte superiore, verso cui lo sguardo sale dopo aver percorso i

pittorica unisce nella sua splendida fluidità la forma, la materia e il colore. La luce

diversi livelli della composizione, presenta l’elemento ormai caratteristico dei Tavolini,

non proviene da una sorgente esterna ma sembra emanare dagli oggetti come una

una specie di paravento che si ripiega in due pannelli, qui nero contro lo sfondo ocra.

fosforescenza interna, in uno spazio ancora limitato e quasi notturno, dalle tonalità

Come quello del tavolino, il tema del caminetto appare in Braque nel 1911 e si

spente. «I neri, i bruni, tutte le tonalità della fastosa pelliccia degli animali selvaggi

sviluppa dal 1921 al 1927 dapprima nel formato orizzontale, poi secondo lo stesso

splendono nelle tenebre», scrive Jean Grenier, «come le lampade di un santuario».

asse verticale dei tavolini. Il museo di Praga conserva la prima versione orizzontale e

Una fioritura di nature morte in formato orizzontale accompagna i Tavolini ver-

il prototipo verticale, cui seguono due varianti appartenenti a collezioni private e due

ticali. Gli stessi oggetti familiari – strumenti musicali, frutti e relativi recipienti, bic-

esemplari conclusivi, diversi come tipologia, attualmente ai musei di Basilea e di West

chiere e grappolo d’uva, carte da gioco, pipa e tabacco – si dispiegano orizzontal-

Palm Beach. La composizione si organizza in due zone distinte: in alto, la mensola

mente in un formato molto allungato da cui Braque trae effetti straordinari. Artigiano

stretta e sovraccarica su cui una profusione di oggetti colorati si dispone in piani sca-

abilissimo, sa usare le stesure magre e quelle grasse, le opache e le lucide, le lisce e le

lati secondo il principio cubista, sotto, lo spazio vuoto e naturalistico del caminetto

granulose, incorpora al pigmento la sabbia o il gesso, intreccia le lettere delle scritte.

scavato in profondità dal piano di fondo scuro e dallo sguancio chiaro. Questa audace

Dà grandissima importanza alla preparazione dei fondi in cui le forme si radicano

fusione di due sistemi sintattici, che Picasso usa separatamente, consente l’espressione

e, dal 1918 al 1926, prevale il fondo nero che aumenta la profondità dello spazio e

di uno spazio pittorico continuo, a volte vuoto altre pieno, a volte visivo (distanza degli

la brillantezza dei colori mischiati all’intimità dei bianchi. «Preparo il fondo delle

oggetti fra loro suggerita da un progressivo allontanarsi nello spazio), e a volte tattile

mie tele con la massima cura», dice, «perché il fondo è il supporto di tutto il resto,

(distanza fra gli oggetti e lo spettatore ottenuta per ravvicinamento). La celebre Natu-

è come le fondamenta di una casa. Mi sono sempre occupato e preoccupato molto

ra moria del Musée National d’Art Moderne di Parigi, del 1925, detta anche Natura

della materia perché nella tecnica c’è tanta sensibilità quanto nel resto del quadro.

morta con tavolo di marmo, benché in realtà il tavolo sia di legno a finto marmo con

Io stesso mi preparo i colori e pesto i pigmenti».

venature, unisce i diversi elementi dei caminetti e dei tavolini. Il bicchiere, la bottiglia,

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

la fruttiera, l’antica e nobile cetra che ha preso il posto della chitarra, i frutti sparsi

più largo e più basso, non è contro un’unica parete, ma nell’angolo della stanza dove i

sulla tovaglia bianca dai bordi ondulati, risplendono contro i pannelli rettangolari che

due muri s’incontrano, secondo una bisezione verticale estesa sistematicamente a tutta

ne mettono in evidenza la rotondità.

la composizione. L’occhio abbraccia e assapora lo spazio chiaro dilatato dalla pressio-

Dopo aver liberato “l’ampiezza del colore”, Braque ha voluto piegare la materia

ne degli oggetti, sale fino al soffitto che si indovina attraverso lo sfogliarsi dei piani,

attraverso la pastosità del tocco per capire fin dove si poteva arrivare nella fusione di

sosta sul ritmo circolare della natura morta al centro, scende verso il rivestimento di

volume e colore. La reazione si verifica nel 1927 con alcune nature morte più austere

legno con modanature dello zoccolo e le doghe a lisca di pesce del pavimento. Una

in cui le forme, delimitate da contorni netti, ritagliano la loro metà in luce e quella in

specie di capitello sormonta i piedi arcuati del tavolino. La contemporanea Natura

ombra in zone altrettanto ben definite, accostate come piastrelle di maiolica o come

morta della collezione Chester Dale alla National Gallery di Washington, in cui la ta-

mosaici romani, senza sfumature tonali né chiaroscuro. L’anno dopo, Braque rinuncia

vola è rettangolare e il muro di fondo tappezzato, traduce in una struttura orizzontale

allo spessore della materia, alla consistenza del fondo nero e all’effetto del tocco per

lo stesso splendore pittorico. C’è una serie di sei tavolini derivata da queste composi-

stendere su uno strato granuloso, ottenuto mescolando sabbia e gesso, una pellicola

zioni e dipinta fra il 1928 e il 1930, in cui le forme sono più semplici o più elaborate

di colore sottile ed opaco come quello dell’affresco. Dopo gli accordi cupi, grigi, ver-

mentre, fra il muro e gli oggetti, si frappongono degli elementi inattesi, concepiti co-

di e bruni scuri che avevano dominato per dieci anni, appare ora una gamma lieve e

me “rime” figurative. «La rima», dice Braque, «è l’accidentale. Quell’accidentale che,

limpida, perfettamente distribuita, di azzurri, verdi e gialli luminosi, di ocra e di rossi

per me, dà vita, spontaneità al quadro». La versione più complessa dal punto di vista

tanno, animata da contrasti violenti e non più vellutati di neri e bianchi levigati. Gli

compositivo è il Mandolino blu del museo di Saint Louis, mentre in quella del museo

oggetti, invece di scontrarsi con un fondo neutro e angusto, si distendono in uno spazio

di Düsseldorf vediamo una consolle di marmo a due piedi posta nell’angolo di una

più ampio, all’interno della stanza che comincia a rivelarsi, dove circola la luce, dove

stanza dalle tonalità cupe e dall’atmosfera piena di mistero.

dei piccoli intervalli fra tela e pigmento lasciano respirare il colore, dove le pareti si ritraggono sotto la spinta delle masse curve o rettilinee.

Nel 1922 Braque lascia Montmartre per Montparnasse. Nel 1925 si stabilisce nella tranquilla dimora costruita secondo i suoi gusti dall’architetto Perret, ai margini del

Questi cambiamenti si notano in un gruppo omogeneo di quattro grandi compo-

parco Montsouris. Decora la sala da pranzo con due pannelli fortemente sviluppati

sizioni dipinte nel 1928-1929, tre delle quali sono qui riprodotte. La quarta, apparte-

in altezza, la Natura morta con boccale e la Natura morta con fruttiera, che si rifanno

nente al museo di Copenaghen, è la più vicina alle nature morte con tavolino vecchia

al tema dei tavolini. Nel 1928 abbandona la Provenza e ritrova, durante le vacanze,

maniera per l’ambigua struttura del fondo. Due hanno identico formato e si dispon-

la Normandia della sua giovinezza. Si fa sistemare, a Varengeville-sur-Mer, vicino a

gono secondo lo stesso asse, ma il quadro del Museum of Modern Art di New York

Dieppe, una casa di campagna con atelier e giardino, rifugio estivo che viene ad ag-

(tav. 14) rappresenta un tavolino curvo su una base a tre piedi, quello appartenente a

giungersi all’abitazione parigina. È il ritorno al paesaggio e, nel corso di due stagioni,

collezione privata (tav. 13) un tavolo rettangolare con un cassetto e gambe tortili. La

nascono delle piccole marine trattate come nature morte o scenografie, anche se lo-

posizione della chitarra e della fruttiera, oggetti essenziali, è invertita da una compo-

calmente vere: barche tirate in secco sulla spiaggia sassosa, capanni, morbide falesie

sizione all’altra. Il muro di fondo è rivestito in basso, nudo in alto, là dove si apre un

dai bordi che si stagliano fra mare e cielo grigio. Nel 1933, le sue acqueforti per la

paravento bicolore. Il grande tavolino (tav. 15) della Phillips Collection di Washington,

Teogonia di Esiodo vanno di pari passo con la geniale invenzione dei gessi incisi di

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

soggetto mitologico. Dalle une e dagli altri deriva, nello stesso periodo, un ristretto

Francisco Museum, con la tovaglia bruna dagli orli smerlati, presenta, contro il mu-

gruppo di nature morte in cui sottili tratti bianchi incidono delicatamente lo strato di

ro di fondo, la stessa prolissità grafica delle contemporanee nature morte. L’ultima

colore bruno o rosso indiano.

versione, iniziata nel 1939, ripresa e terminata nel 1952, lasciata al Musée National

Dal 1933 al 1938 Braque si abbandona all’estro decorativo in una serie di nature

d’Art Moderne di Parigi, dello stesso tipo e formato, è più spoglia e monumentale, di

morte che si espandono in larghezza su tavole rotonde o rettangolari. Gli oggetti so-

struttura e di colore più limpidi. La fase di saturazione ritmica e decorativa raggiun-

no trascinati in un flusso mobile di accostamenti e collocati in un’inquadratura spa-

ge l’apogeo nel 1938 e contribuisce a mettere in stato di movimento e di fusione la

ziale sempre più riccamente ornata. Gli svolazzi della linea si moltiplicano su un co-

totalità dello spazio, a creare quello che Braque chiama il clima. «Bisogna arrivare»,

lore sempre più sontuoso. «Mi sono accorto», dice, «che la parte ornamentale libera

dice, «a una certa temperatura che rende le cose malleabili». Allora esse tendono a

il colore dalla forma». Queste fastose nature morte sono spesso designate dal colore

perdere la loro identità per entrare nel circuito degli scambi e delle metamorfosi che

della tovaglia su cui poggiano. Sulla Tovaglia rosa, del 1933, le ellissi e le curve rac-

guida sempre più l’opera e il pensiero del pittore dopo l’intermezzo della guerra.

chiudono un vigoroso spazio sensuale e tattile. Dei colori squillanti, carminio, violetto

Nel maggio 1940, al momento dell’invasione tedesca, Braque è a Varengeville. Si

e giallo, circondano il rosa centrale segnato da sinuose linee nere. La Tovaglia gialla,

rifugia nel Limosino, poi nei Pirenei ma, non resistendo lontano dal suo atelier, in ot-

del 1935, che ottiene il premio Carnegie, apre lungo oblique sottili un puro spazio

tobre ritorna a Parigi dove resterà per tutto il periodo dell’occupazione. Anche Picasso

aereo. Lo sguardo sale verso la cornice a tre facce del soffitto dai toni grigio-azzurri

ritorna dopo essersi rifugiato per qualche tempo a Royan. La presenza a Parigi dei due

in cui si perde la lunga spirale della chitarra. Nella Tovaglia malva, del 1936, rivesti-

grandi artisti durante quegli anni bui ha assunto valore emblematico e confortante.

mento e pannelli coprono tutte le pareti. La parte degli oggetti che oltrepassa i bordi

Braque rinuncia alle seduzioni dell’ornamentazione, si concentra sulla forza del proprio

del tavolo è dipinta in nero per mettere in risalto la rotondità bianca e malva della

intimo fervore, si affida agli oggetti stessi. Come fa in quegli anni il poeta Francis Ponge,

tovaglia. Mentre queste famose tele entravano subito nelle più importanti collezioni

col quale stringe amicizia, si sottomette alla necessità delle cose. «Il mondo muto è la

americane, la Natura morta con tovaglia rossa (tav. 16), altrettanto sontuosa ma più in-

nostra sola patria e noi ne sfruttiamo le possibilità secondo le esigenze del momento».

tima, di un’intatta freschezza, restava di proprietà del pittore. La tavola gonfia e sol-

Il razionamento alimentare e la vita nel chiuso della casa lo portano a esaltare l’u-

leva le sue onde ricurve contro il muro di fondo dai piani maculati, dai delicati toni

mile realtà domestica della quale si fa servitore. Abbandona gli strumenti musicali e gli

pastello. Il vibrato delle linee spezzate, a zigzag, bianche e nere, anima la succulenza

oggetti di svago per suggellare nella loro precisa sostanza, nelle loro fibre costitutive, i

del colore. La chitarra, priva di ornamenti, distende la sua bianca flessuosità di cigno

cibi poveri e glorificati, il bicchiere di vino, il tozzo di pane, la fetta di formaggio o di

mentre la partitura vicina è quasi una farfalla rosa striata di nero. La Natura morta con

prosciutto posati sulla tavola frugale vicino alla brocca e al coltello, sullo sfondo sobrio

chitarra (tav. 17), di cui esistono due versioni, poggia su una consolle a due piedi che

di muri a strisce. Il pane e il vino ritrovano la dignità biblica che hanno nei quadri dei

sembra più larga dello spazio che la contiene. L’ornamentazione lineare tesse e mol-

fratelli Le Nain e di Chardin. I Pesci neri innalzano la verità della forma alla purezza

tiplica il reticolo geometrico senza turbare la vivacità dei colori che comprendono il

dell’archetipo. «Se il grande pittore», scrive in proposito Jean Paulhan davanti a queste

nero e il bianco. Nel 1935 compare un nuovo tipo di tavolino verticale, col piano di

nature morte esposte al Salon d’Automne del 1943, «è quello che dà l’idea più viva e al

metallo e i sottili piedi incrociati simili a rami. La prima versione, del 1935, ora al San

tempo stesso più feconda della pittura, allora non esito a mettermi al seguito di Braque».

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BRAQUE ateliers

LO SPAZIO INTERNO

L’artista conduce a termine, nello spirito di un tempo, tre nuovi Tavolini, uno

dello spazio interno raggiunta con la mediazione della serie dei Tavolini, quest’opera

rosso, di formato quadrato, l’altro azzurro, verde e nero davanti a una finestra, il

mostra finalmente l’aspetto vero e naturale di tutta la stanza prima della prossima me-

terzo rosa con riflessi violetti; ma i fiori e i frutti sono visti quasi come miraggi e la

tamorfosi. Col suo telaio rettangolare e le curve del balcone, la finestra è certamente

nota che vuole essere gioiosa resta velata. Il Tavolo da toilette, in cui la finestra si

il fulcro della composizione, ma il velo leggero da una parte, lo spigolo grigio-azzurro

apre su un cielo opprimente, a prospettiva rovesciata, e il Tavolo da cucina, lega-

dall’altra, filtrano e smorzano la luce tenera dell’esterno senza turbare l’ordine mae-

to alla sua funzione utilitaria, entrambi eseguiti in due versioni, sono più consoni

stoso dell’interno. Il tavolino a losanga col piano a scacchiera di madreperla bianco e

all’atmosfera melanconica di questo periodo, ai suoi interni esangui e mortificati.

beige – «e la madreperla dei suoi quadri», scriveva Apollinaire, «rende iridescente il

Quando cominciano a mancare le tele e i colori, ma anche per un’ossessione tat-

nostro intelletto» – equilibra perfettamente la tavola rotonda e nera grande come un

tile, per amore della materia, Braque si dedica alla scultura nell’atelier che ha fatto

pianoforte, che si staglia contro la finestra. Nell’armonia grave e sovrana del nero con

sistemare a questo preciso scopo. A partire da Daumier e Degas la scultura dei pitto-

i bordi bianchi e dei bruni variati così caratteristici di Braque, si sprigionano dal vaso

ri costituisce uno degli aspetti più importanti dell’arte moderna. L’attività in questo

le squisite note azzurre dei fiori. Lo spazio umanizzato dagli oggetti respira solenne,

campo di Matisse, e soprattutto di Picasso, è notevole, parallela a quella della pittura.

quieto, senza quella tensione che la presenza delle figure imprime agli interni simili di

Malgrado i suoi stretti legami con lo scultore Henri Laurens, Braque resiste a lungo

Matisse, anch’essi dominati dal nero. Nella parte destra della tela, oltre la tavola nera

alla tentazione della scultura, contraria alla sua vocazione naturale di pittore su due

e i suoi recipienti sparsi, i cartoni da disegno e altri oggetti non identificabili si fondo-

dimensioni. Le sculture in carta del 1912, punti di partenza per i suoi dipinti, sono

no in un flusso mobile che sarà quello degli Atelier.

andate perdute. A eccezione dell’unico esemplare del 1920, una statuetta femminile

Dopo II salotto Braque inizia la serie dei Biliardi, in cui il tavolo col tappeto verde

dal corpo a forma di losanga, e dei gessi incisi del 1931, che appartengono più alla

è l’ampliamento spettacolare del piano dei tavolini. Al biliardo, gioco d’interno, egli

glittica che alla statuaria, non cede veramente a questa tentazione che durante l’estate

si dedicava di quando in quando insieme al cognato. Come l’arte del pittore, la pre-

del 1939, quando sulla spiaggia di Varengeville raccoglie le ossa e i ciottoli che cor-

cisione dei colpi presuppone una comprensione geometrica dello spazio entro cui si

rispondono ai suoi mezzi espressivi. E continua durante la guerra e l’Occupazione.

svolge la partita. Dal 1944 al 1949 si susseguono sette versioni che precedono e prepa-

Fedele alla visione cubista per piani scalari, ignora il tutto tondo e il modellato, pro-

rano il ciclo degli Atelier. Ce ne sono tre di piccole dimensioni che rappresentano solo

cede per addizioni creando, sui temi a lui familiari, profili e rilievi poco sporgenti che

un angolo del biliardo, nella stanza col suo arredo, lampadari e tavolini; una di formato

rivelano il diritto e il rovescio delle forme. Sono degli emblemi spirituali carichi di un

medio in cui si vede anche il pallottoliere davanti alla finestra, e tre versioni essenziali,

gusto arcaico e di luminosa poesia.

monumentali, interamente occupate dal volume emergente del biliardo, ma diverse

Nel settembre del 1944, pochi giorni dopo la liberazione di Parigi, Braque ritorna

fra loro per la sua posizione obliqua, verticale, orizzontale. La prima versione (tav. 19)

a Varengeville, che non vedeva da quattro anni, dalla drammatica estate dell’esodo.

è quella del Musée National d’Art Moderne di Parigi, acquistata assieme al Salotto di

Per celebrare la felicità e la pace ritrovate, si reca nel luogo dei piacevoli soggiorni do-

cui è contemporanea (1944). Qui l’artista raggiunge un nuovo livello nell’audace arti-

ve dipinge II salotto (tav. 18), la tela grande e solenne acquistata nel 1946 dal Musée

colazione dello spazio interno. Il grande rettangolo del biliardo, dai piedi invisibili, si

National d’Art Moderne di Parigi. Punto d’arrivo del lungo cammino per la conquista

ribalta verso lo spettatore e si spezza a due terzi della lunghezza lungo la stessa piega

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BRAQUE ateliers

verticale dell’angolo formato dalla superficie nuda dei due muri. La più lunga delle due stecche, appoggiate trasversalmente, misura la distanza fra il primo piano e il davanzale della finestra chiusa da una grata e tagliata a metà. Le due volute bianche e trasparenti che evocano le estremità del cavalletto, il tavolino ovale col vaso nero ornato da alte foglie, le palle in movimento equilibrano con le loro curve le linee rette e perpendicolari del biliardo e dei muri, fortemente sottolineati dalle modanature e dalle cornici di legno. La materia granulosa resa spessa dalla sabbia e l’uso di due soli colori, di suprema eleganza, il verde e il bruno, definiscono la modulazione cromatica ravvivata da tocchi di giallo, da qualche nota di nero e bianco, dall’avorio e dall’arancio delle palle, dall’azzurro tenero della finestra con inferriata. Il biliardo in verticale della collezione Jacques e Natasha Gelman di New York ha subito dei ritocchi nel 1952, ma è stato realizzato anch’esso nel 1944. Dritto sui piedi sagomati, teso sulla verticale, piegato e poi ribattuto nella parte posteriore, ha la stessa forza architettonica e tattile di quello di Parigi, in un contesto prolisso e non più spoglio. L’esemplare del Museo de Arte Contemporàneo di Carcas (tav. 20), più tardo, dipinto fra il 1947 e il 1949, è il più vasto e più audace della serie. Qui il biliardo appare intero, visto di lato, piedi compresi, sulle piastrelle del pavimento. Il tavolo flessibile si restringe al centro, si allarga ai bordi, s’immerge in un’atmosfera fluida e inquietante. Due lunghe bande incrociate solcano lo spazio e mettono in evidenza l’intrico di linee. Le tre palle in movimento sembrano colte nel corso della loro traiettoria. Il lampadario del disegno preparatorio è stato sostituito dall’attaccapanni a cui è appeso il cappello. Strani motivi decorativi, palle alate o stormo di uccelli in volo, coprono l’indistinta parete di fondo, le cui estremità sono arretrate, e la riportano verso il piano del quadro. L’afflato visionario che anima e domina questa composizione fantastica è già quello degli Atelier.

46 11. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1911 Musée National d’Art Moderne, Parigi.


12. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1921-22, olio e sabbia su tela, 190,5 × 70,5 cm. Mrs. Bertram Smith e Metropolitan Museum of Art, New York.

13. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1928, olio su tela 180 × 73 cm. Collezione privata.


14. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1928, olio e sabbia su tela, 179,7 × 73 cm. The Museum of Modern Art, New York.

15. GEORGES BRAQUE, Il grande tavolino, 1929, olio su tela 145,4 × 113,6 cm. The Phillips Collection, Washington DC.


BRAQUE ateliers

16. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tovaglia rossa, 1934, olio su tela 81 × 101 cm. Collezione privata, Parigi.

LO SPAZIO INTERNO

17. GEORGES BRAQUE, Natura morta con chitarra, 1936, olio su tela 97 × 130 cm. Norton Gallery of Art, West Palm Beach, Florida.


BRAQUE ateliers

18. GEORGES BRAQUE, Il salotto, 1944, olio su tela, 120,5 × 150,5 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi.

LO SPAZIO INTERNO


BRAQUE ateliers

19. GEORGES BRAQUE, Il biliardo, 1944, olio e sabbia su tela, 130,5 × 195,5 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi.

LO SPAZIO INTERNO

20. GEORGES BRAQUE, Il biliardo, 1947-49, olio su tela, 145 × 195 cm. Museo de Arte Contemporàneo de Caracas Sofìa Imber.


3 Figure al Cavalletto


I

n Braque, specialista della natura morta, i cui paesaggi, pur nella varietà, non

comprendono quasi mai delle figure, i quadri di figure sono tuttavia più numerosi di quanto generalmente si pensi e costituiscono dei punti di riferimento essenziali lungo il suo percorso creativo, quasi delle verifiche o dei rilanci periodici. Molti di essi, conservati dall’artista stesso o da collezionisti privati, restarono a lungo, o restano ancora, ignoti al grande pubblico. Così, prendendo in considerazione questo tema specifico e un periodo circoscritto, il presente capitolo ne raccoglie un gruppo tanto notevole quanto poco conosciuto, di cui fanno parte anche alcuni inediti. Prima di affrontare l’analisi di tale gruppo, e, per coglierne meglio il significato, esaminiamo brevemente i quadri di figure antecedenti, il cui ruolo cambia secondo la loro natura e la loro cronologia. Quello che si deve sottolineare prima di tutto è il prevalere delle figure femminili e la visione dell’essere umano non nella sua individualità, ma in generale. Braque comincia a dipingere facendo posare le donne della sua famiglia: la madre, la cugina, e più spesso la nonna, ritratta a mezzo busto, con gli occhiali, china sul suo lavoro di cucito. Malgrado l’esattezza dell’osservazione, egli è più interessato agli atteggiamenti che alle fisionomie, al modellato del volto che alla particolarità dei tratti. Dopo questa fase preliminare di cui restano poche testi-

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

monianze, rinuncia definitivamente al ritratto. Nel 1907, alla fine del periodo

peso e, attraverso questa bellezza, do forma alla mia impressione soggettiva. La

fauve, dipinge, sotto angolazioni diverse, tre Nudi dai colori ancora vivaci, ma

natura è solo un pretesto per una composizione decorativa, pervasa tuttavia da

dalle forme già sintetiche. Per lui il valore espressivo e costruttivo del corpo

un sentimento. Essa suggerisce l’emozione e io traduco in arte questa emozione.

femminile è più importante della bellezza naturale o del fascino sensuale. Nella

Voglio mostrare l’assoluto, non semplicemente l’immagine della donna». È la pri-

primavera del 1908, emulando i nudi barbari di Matisse e di Picasso che infran-

ma e la più efficace formulazione della sua estetica alla svolta decisiva della sua

gono le regole dell’anatomia, termina il grande Nudo in piedi (Parigi, collezio-

evoluzione, valida per tutta l’opera futura. Il suo Nudo rivoluzionario figura alla

ne privata), l’opera di transizione tra fauvismo e cubismo. Ha avuto bisogno di

mostra storica della galleria Kahnweiler nel novembre 1908 dove suscita “grida

lunghi mesi di fatica per realizzarlo in maniera autonoma, senza cioè far ricorso

di orrore”; ma nel Mercure de France del 16 dicembre, lo scrittore simbolista

al modello. «Avevo imparato a dipingere dal vero», ricorda Braque, «e quando

Charles Morice, difensore di Cézanne e Pissarro, grande amico di Gauguin, ne

mi persuasi che bisognava liberarsi del modello, la cosa non fu per niente fa-

giustifica così la concezione: «Dove noi credevamo di poter cercare una figura

cile... Ma mi sono dato daffare e il distacco è avvenuto per spinte intuitive che

femminile, perché sul catalogo abbiamo letto Donna nuda, l’artista ha visto solo

mi allontanavano sempre più dal modello. In momenti simili si obbedisce a un

le armonie geometriche che gli rivelano la natura nella sua totalità; questa figu-

impulso quasi inconscio, non si sa quale può essere il risultato. È l’avventura».

ra femminile non era per lui che un pretesto per racchiudere tali armonie entro

Un’avventura che il poeta Reverdy, suo amico, definisce “metodica” dando alla

certe linee, per metterle in relazione secondo certe tonalità.

nozione di metodo il significato di percorso, non di sistema.

Anche nelle poche regole egli cerca unicamente queste armonie; nessuno

Questo quadro decisivo rompe con la visione tradizionale e la figura si integra

si è occupato di psicologia meno di lui e, penso, una pietra lo commuove tan-

con lo sfondo, in uno spazio breve e dinamico. Il volume del nudo, sbozzato con

to quanto un volto. Egli crea un alfabeto personale in cui ciascun carattere ha

forza, si ribalta completamente sulla superficie piana, seguendo il movimento

un’accezione universale».

del drappeggio. La testa simile a una maschera s’innesta sul corpo in torsione,

È lo scopo del cubismo, il cui impulso plastico nasce prima di tutto dalla na-

sottolineato da forti contorni, striato da linee tratteggiate, con molti aspetti visi-

tura morta. Braque non elimina completamente la figura ma, per sua stessa am-

bili simultaneamente. Il colore è ridotto alla specificità dei toni locali: ocra per

missione, la tratta come un semplice oggetto pittorico. «Quando ho dipinto delle

l’incarnato, nero per la capigliatura, grigio-azzurro per il drappeggio e bruno

figure, nel periodo delle mie ricerche cubiste, era come se fossero delle nature

rosato per lo sfondo. Nel 1908, il giornalista americano Gelett Burgess visita, a

morte. Picasso, invece, ha sempre fatto dei ritratti». Per Picasso, infatti, come

Montmartre, gli atelier degli audaci pittori che egli chiama “i selvaggi di Parigi”

per tutti i pittori spagnoli, la figura umana resta primordiale e la sua capacità di

e pubblica il suo reportage nell’Architectural Review del maggio 1910 dove rife-

caratterizzazione individuale è talmente forte che perfino durante la fase ermetica

risce la preziosa dichiarazione di Braque a proposito del Nudo che aveva appena

e quasi astratta del cubismo riesce, senza tradirne la sintassi, a realizzare ritratti

realizzato: «Non potrei rappresentare una donna in tutta la sua bellezza naturale.

somiglianti. Per Braque, che – ammette egli stesso – «non ha abbastanza lo spirito

Non ne ho la capacità. Nessuno ce l’ha. Di conseguenza devo creare una sorta di

del dominatore» per affrontare il ritratto, e la cui sensibilità si muove nel cam-

nuova bellezza, quella che mi appare in termini di volume, di linea, di massa, di

po dell’universalità, le figure sono molto più rare e restano sempre impersonali.

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

Nel 1909, verifica su una Testa di donna (Parigi, Musée du Petit Palais) di stra-

ler); corrispondono cioè ai due tipi più frequenti in Corot. Su quasi sessanta pa-

ordinario rilievo la nuova organizzazione del volume avviata nei paesaggi e nelle

piers collés di Braque, solo tre, databili al 1912, L’Arlecchino (Basilea, collezione

nature morte. Nella primavera del 1910, dipinge due versioni a mezza figura di

privata), L’uomo con la pipa (Basilea, Kunstmuseum), e Testa di donna (Ginevra,

un tema che scandirà la sua opera per un lungo periodo, La donna col mandolino:

collezione privata), sono figure. Il cubismo sintetico, nato dall’inversione del pro-

la prima in formato normale e rettangolare, alla fondazione Thyssen di Madrid;

cedimento operata dai papiers collés, è rappresentato da due superbe figure dello

la seconda, al museo di Monaco di Baviera, nel formato ovale che egli adotta in

stesso formato e dello stesso tema, conservate al Musée National d’Art Moder-

quegli anni per concentrare meglio lo spazio evitando la dispersione degli ango-

ne di Parigi: Donna con la chitarra dell’autunno del 1913 e Uomo con la chitarra

li. La sagoma femminile col suo strumento, illuminata per proiezione e non per

della primavera del 1914. La prima, cammeo verde-grigio ravvivato da tocchi di

diffusione, emerge, quasi un graticcio piramidale, attraverso il fine reticolo delle

nero e di bruno, liberandosi dalla griglia analitica integra lo stile dei papiers col-

sfaccettature. Con queste due opere inizia la serie di figure musicanti ispirate a

lés, la seconda, in cui la forma, il colore e la materia dalle tessiture diversificate

Corot. Negli ultimi anni di vita Corot moltiplica, pur non osando mostrarli in

si espandono felicemente, rivela il pieno dominio dei mezzi espressivi raggiunto

pubblico, quei toccanti quadri di figure che sono stati scoperti solo dopo la sua

dall’artista.

morte. Molti rappresentano delle giovani donne pensose che tengono in mano,

Nel 1917, dopo la grave ferita di guerra e la lunga convalescenza, Braque ri-

per accompagnare le loro fantasticherie, un libro o uno strumento musicale. Il

prende a dipingere. Si avvicina allora a Juan Gris e comincia con un quadro dal

Salon d’Automne del 1909 espone per la prima volta, in una sezione a parte, ven-

soggetto a lui familiare, una versione a mezza figura della Donna col mandolino

tiquattro quadri di figure di Corot, fra cui quelle musicanti che Braque e Picasso

(Villeneuve d’Ascq, Musée d’Art Moderne). È lo studio preliminare della versio-

guardano con attenzione. Nell’agosto del 1911, le affinità estetiche fra Braque e

ne di grande formato, in piedi, del museo di Basilea, La musicista, terminata nel

Corot sono messe in evidenza da Apollinaire nella Revue Indépendante. «La dol-

1918 dopo molti mesi di lavoro. Essa costituisce un punto di riferimento della

cezza di Corot unita a uno straordinario rinnovamento delle forme, ecco ciò che

stessa importanza, dal punto di vista storico, del Nudo in piedi di dieci anni prima,

caratterizza l’arte di Georges Braque».

e conclude in maniera monumentale la serie di figure musicanti di stile cubista.

Dopo due piccole tele di transizione dell’inverno 1910-1911, Busto di donna

La composizione in verticale si dispone secondo larghi piani dai toni densi sal-

(New York, The Carey Walker Foundation) e Ragazza con la croce (Fort Worth,

damente connessi su sfondi riccamente ornati. La semplificazione maestosa della

Kimbell Art Muséum), Braque, trascinato da Picasso durante il comune soggior-

forma e il carattere ieratico della posa ricordano addirittura gli affreschi romanici.

no a Céret, realizza fra l’estate del 1911 e la primavera del 1912 quattro grandi,

Nel 1920, mentre è in contatto col suo amico Laurens, Braque realizza la

splendidi quadri di figure che rispondono ai canoni del cubismo analitico e ne

prima scultura, che non avrà seguito immediato, un piccolo nudo di donna in

esprimono la profonda tensione. Tre di essi, Uomo con la chitarra (New York,

piedi, di struttura ancora cubista. Nel 1923, esegue uno “studio libero” della

Museum of Modern Art), Il portoghese (Basilea, Kunstmuseum), Uomo col violi-

Donna col mandolino di Corot, il pittore amato fin dagli esordi. Braque con-

no (Zurigo, fondazione Bührle), sono figure di musicisti, maschili contrariamente

servò gelosamente presso di sé questa tela come punto di riferimento, lasciata

al solito, mentre il quarto è una Donna che legge (Basilea, collezione Ernst Beye-

dopo la sua morte ai musei nazionali. Quando, nel 1930, Paul Rosenberg or-

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

ganizza nella sua galleria una seconda mostra di Corot, ne affida la sistema-

te a Dinard (1928- 1929), elabora a sua volta due serie di Bagnanti dalle strane

zione a Georges Braque, di cui è il mercante. «All’esposizione della rue La

deformazioni. Le prime, distese sulla sabbia, isolate, esibiscono una piccola testa

Boétie», scrive il critico Maurice Raynal, «il pubblico era stato colpito dal gu-

su un corpo triangolato a segmentazione cubista (1930), le seconde, in coppia,

sto, dalla sapienza con cui le tele di Corot erano state amorevolmente disposte.

una giacente, l’altra in piedi, dispiegano le loro curve sinuose o le loro flessioni

Georges Braque aveva personalmente – e religiosamente – assolto il compito».

a scatti (1931).

Nella sala d’onore riservata a Braque al Salon d’Automne del 1922 compaiono,

Gli artisti rivoluzionari del nostro secolo hanno concepito alcuni dei loro più

fra i Tavolini e le Nature morte, due grandi figure in corrispondenza ritmica, due

bei libri illustrati ispirandosi a testi antichi. Nel 1931 Picasso termina le acqueforti

donne a torso nudo maestosamente panneggiate, con un canestro di frutti Luna

per le Metamorfosi di Ovidio in cui tornano a nuova vita la vivacità e la purezza

sulla spalla destra, l’altra sulla sinistra (Parigi, Musée National d’Art Moderne).

del suo stile classico. Nello stesso periodo Braque sceglie anch’egli l’incisione ad

Con loro inizia la grandiosa serie delle Canefore che continuerà fino al 1927, pa-

acquafòrte per illustrare uno dei suoi libri preferiti, la Teogonia di Esiodo, il poe-

rallelamente ai Caminetti. Queste portatrici di offerte cerimoniali ispirate all’an-

ma agreste e sublime sulla gloria delle muse, la nascita del mondo e la genealogia

tica Grecia si ricollegano anche alle statue di Versailles, a certe figure di Poussin

degli dei. La creazione del mondo nei suoi elementi attraverso la risoluzione dei

e all’ultimo Renoir e rispondono, in maniera originale, ai giganti neoclassici di

contrari, con la vittoria dell’ordine – del Kosmos – sul caos primordiale, è, ai suoi

Picasso. Esse si presentano a volte in piedi, col cesto dei frutti sulla spalla, a volte

occhi, il modello della creazione artistica. In comunione profonda col messaggio

sedute, anche a mezza figura, col cesto sull’anca, infine distese, senza cesto, come

ispirato del cantore di Ascra, contemporaneo di Omero, realizza quel ciclo di

semplici bagnanti. L’ampiezza delle forme e le linee anatomiche sono rese, senza

figure mitologiche dalle linee intrecciate che influenzerà a lungo l’insieme della

modellato, dall’andamento ondulato dei contorni, da chiazze chiare o scure sul

sua opera e che determina anche l’invenzione di uno dei suoi nuovi procedimenti

bruno dell’incarnato, da un curioso disegno “in negativo” di cui Braque si servirà

particolari: i gessi incisi da tratti bianchi sul rivestimento nero.

a lungo e che è una delle sue personali invenzioni.

Nel capitolo precedente abbiamo visto fiorire, fra il 1933 e il 1938, le sontuo-

Queste figure maestose ricordano le dee madri dell’antichità, incarnano la po-

se nature morte spesso denominate dal colore della tovaglia su cui poggiano e

tenza e la fecondità della terra di cui hanno i colori, il giallo e il bruno mischiati

nelle quali l’ornamentazione dell’ambiente si fa sempre più sovrabbondante. Per

al verde dei vegetali e, nella loro serena nobiltà, esaltano l’intera specie umana.

stabilizzare questa esuberanza decorativa, per articolare verticalmente lo spazio

A loro si affiancano alcuni splendidi disegni di nudi a sanguigna, a pastello, a

duttile conquistato dagli oggetti, Braque, fra il 1936 e il 1939, e in casi eccezionali

carboncino, di stile più realistico, e, fra il 1924 e il 1926, una serie di dipinti che

anche oltre, introduce nei suoi interni ormai abbastanza ampi per contenerle le

rappresentano dei piccoli nudi distesi, di spalle o di fronte, dall’impasto grasso,

figure umane, incarnazioni delle due attività sorelle che sono i suoi numi tutelari,

che sono fra le opere più libere e più sensuali di Braque.

la pittura e la musica.

Dopo una serie di Teste (1928-1930) divise in due zone, chiara e scura, e nel

Il metodo di divisione in due zone, chiara e scura, come pure la duplicità del-

cui duplice aspetto si giustappongono la veduta frontale e quella di profilo, Bra-

la visione, di fronte e di profilo, iniziati con le Teste, si generalizzano. Questo

que, sull’esempio di Picasso e delle forti e violente scene di spiaggia da lui dipin-

procedimento tecnico ereditato dal cubismo consente di dare volume e lumino-

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

sità alle superfici piane, senza bisogno degli effetti illusionistici del modellato o

A destra, sul cavalletto, la tela scura ed elastica ci mostra il bozzetto di un vaso

del chiaroscuro. Esso diventa inoltre, a livello spirituale, il segno dell’ambiguità

di fiori graffiato in bianco su fondo scuro. Dietro al cavalletto, si dispongono in

fondamentale fra l’anima e il corpo, fra l’essere e il suo doppio, fra la vita e la

altezza delle tele dai toni verdastri e con soggetti stilizzati.

morte, fra il giorno e la notte.

La donna col cavalletto (Paravento verde) (tav. 22), di cui esiste una versione

Nel 1936 Braque compone, ed è l’argomento di cui ci occupiamo ora, tre ver-

preliminare con la sola figura, senza gli strumenti di lavoro (Basilea, collezione

sioni di una giovane donna seduta, con la tavolozza in mano, davanti al cavalletto

privata), ci presenta lo stesso tipo fisico, la stessa dicromia, lo stesso genere di

su cui sta la tela già dipinta o abbozzata. Questa figura, immobile e pensosa fra i

abito della figura precedente, su uno sfondo diverso. Il corpetto è più gonfio e

simboli della sua arte, non è il pittore in azione, ma l’immagine della pittura, della

ha uno scollo profilato di righe che richiamano le linee dello zoccolo, in basso e a

“bella principessa Pittura”, come la chiama Francisco de Hollanda nei suoi Dia-

sinistra, su cui sono la firma e la data. Sotto il cappello, sempre civettuolo ma più

loghi romani. L’idea, così diffusa nei secoli successivi, di rappresentare la pittura

piccolo, il volto diviso in due zone contrastanti si fa più rotondo, gli occhi pieni

non attraverso l’artista stesso ma attraverso una figura femminile, risale al pitto-

di stupore. Il paravento verde con motivi di cerchi a catena, luminoso al centro,

re e storico Giorgio Vasari che, nella decorazione della sua casa di Arezzo, aveva

scuro a sinistra, struttura geometricamente la composizione. Gli oggetti, dai con-

dato alla personificazione femminile della pittura un aspetto classico calzandola

torni decisi, si raggruppano e si dispongono, a destra, sul fondo scuro e unito. La

coi coturni. Questo aspetto antico è presente anche in Braque, non attraverso un

veduta dall’alto coglie nella loro pienezza tattile la grande tavolozza coperta di

supporto allegorico, ma per trasmutazione diretta.

colori, la tela sulla mensola con l’impronta del boccale, il cavalletto, solido, i cui

Nel volto della Donna con tavolozza (tav. 21), resa più slanciata da un lungo collo, si combinano la veduta di profilo, nera, e quella di faccia, chiara, unite da

montanti ricurvi interrompono la prospettiva e circoscrivono la figura, mentre l’accentuazione delle sue oblique compensa le strutture verticali.

un’unica bocca dalle labbra carnose. Il cappello civettuolo impreziosito da un

La donna col cavalletto (Paravento giallo) (tav. 24) è la dilatazione in altezza, e

nastro nasconde completamente l’occhio destro e, in parte, il sinistro; il busto,

soprattutto in larghezza, della tela precedente, di cui raddoppia le superfici. La

di tre quarti, è anch’esso diviso in due ma la superficie nera è meno importante

figura, ieratica e bicolore, resta pressappoco la stessa, ma nell’interno vasto e di-

di quella colorata. La composizione si dispone su tre piani verticali interrotti da

steso è vista per intero o quasi e non più solo a mezzo busto. Sagoma slanciata,

oblique sottili, in uno spazio ancora ristretto, di una vibrante compattezza. Il pia-

seduta su una poltrona arabescata, la donna tiene con entrambe le mani la tavo-

no di sinistra è il più scuro: la sagoma nera e sinuosa della donna si staglia sulla

lozza e il fascio dei pennelli. La tela fissata al cavalletto, le cui estremità colorate

poltrona bruna, l’ala del cappello sul muro blu granuloso. Il piano centrale giallo

s’incurvano come quelle di una lira, reca l’immagine invertita del suo volto, stiliz-

e verde illumina la parte di busto col corpetto rosa profilato di bianco, e diffonde

zato come un’icona nera. Sopra il montante verticale del cavalletto, equilibrando

il suo intenso riflesso verso l’alto a sinistra e verso il basso a destra. Luci e masse

così l’asse della figura, è appeso, con la cornice e tagliato dalla zona in ombra, un

si equilibrano agli angoli. La tavolozza, divisa in tre e visibile per metà, attraver-

altro quadro nel quadro. Il paravento giallo dai morbidi disegni ornamentali av-

sata da un lungo pennello nero, porta un tocco vivace di rosso che risponde alla

viluppa la scena in onde luminose mentre la sua piega centrale separa l’officiante

parte chiara del cappello, punteggiata di rosso e di verde.

dagli oggetti del suo culto.

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

Nel 1937, le donne musiciste prendono il posto delle donne pittrici cambian-

degli Atelier. Le donne pittrici del 1936 tengono la tavolozza e i pennelli a mez-

do gli strumenti e invertendo la posizione, sedute ora sulla destra e volte verso

z’aria, in un gesto rituale, ma non se ne servono. Qui il pennello stretto nella ma-

sinistra. Due grandi figure isolate, La pianista (New York, collezione privata) e La

no, fra il pollice e l’indice, si appoggia veramente sulla tela coperta di segni che

donna col mandolino (New York, Museum of Modern Art), preparano la composi-

sta davanti alla donna.

zione maggiore del Duo (Parigi, Musée National d’Art Moderne) che ha le stesse

Il piano nero nel tavolo in sbieco si proietta in avanti per rompere la prospet-

dimensioni e la stessa parete decorata della tela col paravento giallo. La pianista

tiva e ricondurre verso lo spettatore gli elementi della natura morta, la tavolozza

davanti alla tastiera deriva dalle due figure musicanti, mentre la pittrice della tela

dal profilo falcato, i tubetti dei colori, il servizio da scrivania con la sua vera pen-

col paravento giallo diventa la cantante e, con un gesto simile, regge non la tavo-

na d’oca, l’imponente vaso di fiori che si erge fra la testa olimpica e il montante

lozza ma lo spartito di Debussy. La pittura di Braque, per la sua disposizione e

del cavalletto, contro lo sfondo centrale grigio-azzurro. A parte questo squarcio

scansione spaziale, è essenzialmente musicale, e spesso sono state sottolineate le

luminoso, l’armonia dell’insieme, fra i bordi laterali in finto legno, si basa sui to-

sue affinità con la musica da camera, antica o contemporanea. Esposti alla galle-

ni dell’ocra, del bruno e del nero, ravvivati da qualche tocco di giallo, le tonalità

ria Paul Rosenberg nell’aprile 1937, i quadri con donne pittrici e donne musiciste

della terra e della ceramica antica, ma con un’arte suprema. I tocchi rossicci stesi

attirano subito l’attenzione di André Lhote che, nella sua cronaca sulla Nouvelle

sulla tavolozza si espandono lungo la tavola e tracciano sul vaso una punteggia-

Revue Française, scrive: «Conoscevamo già quest’esile figura di donna in un in-

tura ardente.

terno: ieri, davanti a un pianoforte, squadernava – no, indicava – una partitura;

La modella (tav. 23) è un dipinto quadrato, come Donna con tavolozza, che

oggi, posta davanti a un cavalletto e tenendo in mano il disegno preparatorio di

colpisce per la tensione espressiva e la compattezza geometrica. È sopraggiunta

una composizione, ci introduce in punta di piedi nel nuovo mondo delle forme

la guerra. Un velo nero pende sulla stretta finestra con le tende tirate, le crociere

catalogate dal pittore, o meglio, in una nuova stanza di quell’appartamento, che

nere, i vetri bianchi smerigliati. La donna dalle forme espanse, che si sdoppiano

si direbbe infinito, in cui Georges Braque si muove con straordinaria lentezza».

in un diritto maestoso e in un rovescio funereo, mostra fra le mani inquiete uno

S’intende che ciò che è infinito non è il suo appartamento reale, ma l’immagina-

strano disegno tridimensionale dalle linee astratte. Braque per qualche tempo

zione del pittore e la sua capacità di metamorfosi.

smette di dipingere per mancanza di colori e per rifiuto volontario. La sua tavo-

Nel 1938 compaiono gli Atelier senza personaggi che esamineremo nel capitolo

lozza è appoggiata di piatto sul cavalletto ripiegato, mobile inutile e monumen-

5. Nel 1939 Braque ritorna, con uno stile più ampio e severo, ai quadri di figure

tale. Dei piani dai toni stridenti, verdi e viola, dei bagliori rossastri, esplodono

collegate alla pittura. È nuovamente immerso nella lettura di Esiodo e anche di

nell’atmosfera chiusa, dai riflessi esoterici.

Pindaro, attratto dalle forme e dallo spirito della Grecia primitiva. Nella Donna

Lo spazio si dilata e si dispone obliquamente in una seconda composizione

col pennello (tav. 25) il busto di profilo si erge in primo piano, saldo e dritto come

con due personaggi, un po’ più larga e con la stessa struttura del Duo del 1937.

una colonna antica, solenne come quello di una musa di Esiodo. Il volto nobile

Pittore e modella (tav.38) stanno accanto al cavalletto come la cantante e la sua

e pensoso, senza sdoppiamento, senza cappello, incorniciato dai lunghi capelli,

accompagnatrice accanto al piano. Braque ha rinunciato molto presto, non senza

riapparirà quasi identico, e trasformato in statua, in due versioni del ciclo finale

lacerazione interiore, a dipingere dal vero e dal modello. Questa tela immaginaria

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

è, nel contesto della sua opera, l’unica versione – e da qui nasce la sua forza di

Del 1940 e 1941 sono due piccole belle tele poco note, due varianti dello

sintesi – di un tema tradizionale trattato spesso da Matisse e Picasso, che usano

stesso tema, Profilo con tavolozza. In una, con il tavolo rettangolare e la tavoloz-

però modelli reali. Il pittore qui rappresentato, visto di spalle, che fissa intensa-

za di fianco al vaso a doppia pancia, i pennelli sono appoggiati di traverso (tav.

mente la modella davanti a lui, non assomiglia affatto a Braque.

26). Nell’altra, con il tavolo rotondo e una complessa natura morta attorno alla

Molti disegni preparatori (tav. 30 e 34) rivelano la progressiva messa a punto

tavolozza, i pennelli sono piantati quasi verticalmente (tav. 27). In entrambe vi è

della sua schiena e della sua posizione davanti all’attrazione magnetica del ca-

il profilo di una testa scolpita e montata su una base, cioè un oggetto, ma la sua

valletto. Lo schienale della poltrona in cui è calato, tavolozza in mano, pollice

presenza ieratica all’interno di quella specie di mandorla che la circonda ha una

sporgente, si accorda di volta in volta con le tonalità nere e grigie del suo abito.

tale forza che è meglio collocare queste due opere fra i quadri di figure conside-

La sigaretta e la barba a punta ne rendono più aguzzo il profilo tagliente, l’as-

rati in questo capitolo piuttosto che fra le nature morte di cui ci occuperemo nel

soluta concentrazione. La sagoma spigolosa in cui il nero predomina estenden-

prossimo. Il profilo di tipo antico, arcaico, la bocca aperta, i contorni frastagliati,

dosi anche alla tavolozza contrasta con le curve espanse della modella, col suo

corrisponde al rilievo di Esperide, una delle prime sculture realizzate a Varengeville

sdoppiamento inverso, la faccia chiara più larga del profilo scuro. È un nudo di

all’inizio della guerra. L’immagine dipinta ha l’aspetto fisico della creta tenera da

tre quarti e il volume del suo corpo sottolineato da un profilo bianco sul beige,

cui in origine è stato ricavato il rilievo. Nel 1925, alla fine del suo periodo neo-

da un profilo dorato sul nero, è suggerito dal disegno in negativo derivato dalle

classico, Picasso dipinge una tela in cui mette la tavolozza di fianco ad una testa

Canefore.

antica di stile romano, vista di fronte. Quella di Braque, di profilo, è più greca,

La donna regge con una mano il drappeggio fluttuante che le copre le gambe

con qualcosa di etrusco. Braque, in gioventù, ha guardato molto le sale etrusche

e con l’altra un oggetto indefinibile, forse una tavolozza per simmetria con quella

e della Grecia primitiva nel museo del Louvre. Ma è soprattutto attraverso la vi-

del pittore. Nell’angolo dietro la sua testa è appeso o un quadro nella sua corni-

sione evocatrice di Esiodo che egli giunge, a modo suo, alle fonti antiche, sem-

ce o uno specchio che riflette i capelli della modella e l’estremità del cavalletto.

pre vive e feconde. Esperide è la personificazione della Notte, figlia del Caos e

Quest’ultimo, a forma di lira e posto al centro della composizione, domina lo

madre del Giorno, potenza primordiale alla quale il pittore dedica, nel 1951, un

spazio ed è dipinto a finto legno solcato da venature. Sorregge una piccola tela

dipinto impressionante (Parigi, Galleria Maeght) dai grigi tenebrosi. Della sua

in cui, su un reticolo di piani colorati, la modella è tratteggiata con linee bian-

numerosa discendenza fanno parte il Sonno e i Sogni e le ninfe dalla voce chiara

che, vicino al consueto vaso che si vede nel disegno preparatorio. La splendida

dell’occidente, le Esperidi, custodi del giardino delle mele d’oro. Prima di essere

carta da parati ornata da volute e losanghe dispiega da sinistra a destra, facen-

trasposto nella scultura, il profilo di Esperide ha fatto la sua comparsa in disegni

dosi sempre più luminosa, i piani verticali della sua scansione cromatica. La fa-

e dipinti, fino a diventare uno degli emblemi di Braque, il sigillo personale che lo

scia gialla più accesa è quella su cui si staglia la sagoma nera del pittore. Questo

collega alla tradizione e consacra la perennità dell’arte. Esso appare in molti dei

pentagono smagliante fa da sfondo teatrale alla scena immobile, iniziatica, che

disegni che illustrano il Cahier dei suoi pensieri, pubblicato nel 1948. Nel 1953

le tende laterali ci mostrano scostandosi. In Vermeer e negli antichi maestri que-

una delle sue più suggestive litografie a colori, dall’andamento decisamente pit-

ste tende o cortine si ripiegano così per introdurre al mistero della rivelazione.

torico, accosta ancora una volta la tavolozza e il profilo antico.

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BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

Nel 1942, un anno ricco di quadri d’interno e di nature morte, Braque realizza

la verzura, i fiori, la concentrazione luminosa, l’infelicità degli eventi costringe

anche alcuni straordinari quadri di figure fra cui la drammatica Pazienza (Losanna,

Braque alla reclusione. Il cielo del paesaggio è offuscato da pesanti nuvole grigie

collezione B. Goulandris), capolavoro in cui si esprime l’angoscia e l’isolamento

mentre tre fasce nere intorno alla tela, esaltando i valori chiari, ne listano a lutto

della guerra, e due nuove versioni, intime, una femminile e l’altra maschile, del

la composizione. Contemporaneamente all’ Uomo al cavalletto Braque comincia

pittore coi suoi strumenti. Sotto lo strano cappellino da passeggio che sfoggia

a dipingere L’uomo con la chitarra (Parigi, collezione privata) in cui il protagoni-

con disinvoltura, la Ragazza con tavolozza (tav. 28) ha proprio quel profilo anti-

sta è sempre spostato di lato, visto di spalle, in controluce; ma il quadro, di for-

co, semplificato, purificato, che affascina Braque. Indossa un abito a quadri ed

mato leggermente superiore, sarà finito solo nel 1961, dopo molti cambiamenti.

è seduta su una sedia a traliccio con la tavolozza nera fra le bianche dita. In uno

Nel 1948, tornata la pace, l’ultima versione della Ragazza con tavolozza (tav.

dei due schizzi preparatori, d’impianto uguale al quadro, manca la tavolozza (tav.

29) è una fantasmagoria notturna. La magia della pittura si compie sotto i raggi

30); nell’altro la fanciulla, a destra, sta di fronte alla tela e al cavalletto (tav. 27).

ineguali della lampada, che distribuisce le ombre e le luci. Il fascio centrale illu-

Nel dipinto è davanti al tavolino rotondo verde, ribaltato verso l’alto, su cui pog-

mina la tavolozza che funge anche da tavolino, il vaso pieno di fiori smaglianti e

giano una bottiglia e un bicchiere fantomatici, toccante natura morta stranamente

di piante rigogliose, il profilo bianco come una maschera e aureolato di blu che

anticipatrice dell’ultima tela dipinta da Braque. A sinistra, il muro liscio bordato

si sdoppia come un’ombra cinese sulla tela bruna del cavalletto. Il busto della

di giallo ha la tonalità rossa degli affreschi pompeiani; a destra, due colonnette

giovane donna col corpetto verde si confonde con le curve del secondo vaso di

nere si stagliano contro un fondo blu notte. I colori profondi e velati hanno una

fiori dai fianchi cremisi. Tutto è pittoricamente immerso in un ambiente indefi-

risonanza arcana. Marcelle Braque, la moglie del pittore, custode discreta ma at-

nito e sovraccarico.

tenta del suo focolare, aveva appeso in camera sua questa tela confidenziale e a lungo inedita, di cui amava la gravità sacrale, il fascino antico e moderno.

Vaso, tavolozza e testa (tav. 31) è un piccolo quadro contemporaneo di uno stile lineare diametralmente opposto, basato sul diagramma delle forme. Gli elementi

L’uomo al cavalletto (tav. 37), delle stesse dimensioni, concepito certamente co-

da cui è costituito sono definiti dal tracciato dei contorni e separati gli uni dagli

me un pendant, rimase anch’esso a lungo uno dei gioielli segreti del pittore. Braque

altri da spazi vuoti. La tavolozza coi suoi colori, il vaso esattamente diviso in due

non ci ha lasciato nessun autoritratto vero e proprio, ma la figura che qui compare

metà, nera e bianca, contrappongono le loro curve alle linee rette degli angoli vi-

di spalle, in controluce, e che nasconde il viso per guardare la propria opera è, di

cini. La testa antica, nera, dall’occhio rotondo spalancato, altra variante di Espe-

tutte quelle che noi conosciamo, l’immagine più vicina a quella del pittore stesso,

ride, si erge col suo profilo acuto circondato da una sinusoide, il collo sottile e

come dimostra un bel disegno simile (tav. 34). Il portamento, l’abito, il cappello ri-

teso sulla base romboidale. Il disegno a colori della tavolozza e del vaso, in cui

cordano la sua distinzione elegante e sobria. Il semplice cavalletto a forma di croce,

il cavalletto prende il posto della testa, è una magnifica natura morta che ha per

che simula anche i montanti della finestra, divide lo spazio in quattro rettangoli oc-

tema gli attributi del pittore e ci introduce al prossimo capitolo.

cupati dalla sagoma scura del pittore, spostata verso sinistra, e dai rettangoli chiari dei quadri nel quadro. La duplicazione del vaso reale che il pittore sta guardando e di quello in corso di esecuzione sul cavalletto articola la profondità. Malgrado

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BRAQUE ateliers

21. GEORGES BRAQUE, Donna con tavolozza, 1936, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione J. Delubac, Parigi.

FIGURE AL CAVALLETTO

22. GEORGES BRAQUE, La donna col cavalletto (Paravento verde), 1936, olio su tela, 92 × 73 cm. Sara Lee Corporation, Chicago.


BRAQUE ateliers

23. GEORGES BRAQUE, La modella, 1939, olio su tela, 100 × 100 cm. Collezione privata, New York.

FIGURE AL CAVALLETTO

24. GEORGES BRAQUE, La donna col cavalletto (Paravento giallo), 1936, olio su tela, 130 × 162 cm. Collezione Mrs. Mark Schoenborn, New York.


BRAQUE ateliers

25. GEORGES BRAQUE, La donna col pennello, 1939, olio su tela, 92 × 73 cm. Collezione privata.

FIGURE AL CAVALLETTO

26. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1940, olio su tela, 50 × 61 cm. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

27. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1941, olio su tela, 46 × 55 cm. Collezione privata.

28. GEORGES BRAQUE, Ragazza con tavolozza, 1942, olio su tela, 100 × 81 cm. Collezione privata.


29. GEORGES BRAQUE, Ragazza con tavolozza, 1948, olio su tela, 100 × 73 cm. Galerie Schmit, Parigi.

30. GEORGES BRAQUE, Figura al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

31. GEORGES BRAQUE, Vaso, tavolozza e testa, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

FIGURE AL CAVALLETTO

32. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, vaso e cavalletto, matita e lavis bruno su carta a quadretti. Collezione privata.


FIGURE AL CAVALLETTO

33. GEORGES BRAQUE, Vaso , tavolozza e testa, 1948-50, olio su tela, 65 × 49 cm. Galarie Beyeler, Basilea.

34. GEORGES BRAQUE, Autoritratto al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

35. GEORGES BRAQUE, Ragazza al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

36. GEORGES BRAQUE, Donna e poltrona, matita, carboncino e guazzo su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

37. GEORGES BRAQUE, L’uomo al cavalletto, 1942, olio su carta incollata su tela. Collezione Quentin Laurens. Parigi.

38. GEORGES BRAQUE, Pittore al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

FIGURE AL CAVALLETTO

95 39. GEORGES BRAQUE, Pittore e modella, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

40. GEORGES BRAQUE, Pittore e modella, 1939, olio e sabbia su tela, 127 × 177,5 cm. Norton Simon Art Foundation, Pasadena.

FIGURE AL CAVALLETTO

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4 Nature Morte con la Tavolozza


L

a natura morta, in altre lingue meglio indicata come la “vita silenziosa”, ha

un posto preminente nell’opera di Braque, tanto che i suoi quadri di interni e di figure sono stati dipinti, per sua stessa ammissione, come nature morte. Malgrado ciò, all’inizio nulla sembra orientarlo verso tale genere intimo e domestico. Infatti a Le Havre, negli anni della giovinezza, ama la vita all’aria aperta, il nuoto e gli sport, le lunghe camminate, le gite in bicicletta, le escursioni in barca. Le opere dei suoi esordi giunte fino a noi sono paesaggi e ritratti. Il periodo fauve, con cui ha inizio la sua vera stagione creativa, è dedicato ai paesaggi, specialmente marine, e ad alcuni studi di nudi. A esso appartiene una sola Natura morta (Losanna, collezione privata) del 1906, inattesa in tale atmosfera e tuttavia premonitrice, che ha lo stesso splendore cromatico dei paesaggi e rappresenta, su una tavola vista di sbieco, tre oggetti che saranno fondamentali nella sua futura opera: la brocca e il boccale, disposti fianco a fianco coi loro profili tondeggianti e, appoggiata davanti, la pipa dalle forme esili. Braque paesaggista e Picasso pittore di figure si incontrano e insieme fondano il cubismo in cui la natura morta, per diverse ragioni ormai ben note, gioca un ruolo

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

essenziale. Essa infatti condensa, sotto un aspetto tangibile, la realtà quotidiana

del 1911 nelle nature morte. Fra pittura e musica ci sono sempre stati rapporti

che può essere liberamente ordinata e manipolata. Al ritorno dal terzo soggiorno

stretti, cosa che per Braque si verifica a tutti i livelli. Quando viveva a Le Havre,

a L’Estaque, nel settembre del 1908, Braque, sull’esempio di Cézanne, si volge alla

aveva preso lezioni di flauto da uno dei fratelli di Dufy, Gaston – che in seguito

natura morta che, pian piano, prenderà il posto del paesaggio. Gli oggetti d’uso

insegnò il piano a Dubuffet – e suonava anche il violino e la fisarmonica. Nel 1909

domestico si prestano alla scansione volumetrica dello spazio e corrispondono al

dominano ancora i paesaggi, ma le nature morte si fanno più frequenti e uniscono

suo gusto per i valori tattili. «La scoperta dello spazio tattile che faceva muovere

gli strumenti musicali ad altri oggetti come la fruttiera. «In quel periodo», dice

il mio braccio davanti al paesaggio mi spingeva a cercare», dice a Jacques Lassai-

Braque a Dora Vallier, «ho dipinto molti strumenti musicali; innanzitutto perché

gne, «un contatto sensibile ancora più immediato. Se una natura morta non mi è

ne ero circondato, poi perché la loro plasticità, il loro volume appartenevano al

a portata di mano, mi sembra che non sia più una natura morta e che non mi in-

campo della natura morta come la intendevo io. Mi ero già avviato alla ricerca

teressi più». Rappresenta, visti da vicino, gli oggetti d’uso che circondano e che

dello spazio tattile, manuale come preferisco definirlo, e lo strumento musicale,

conservano l’impronta dell’uomo: la brocca e il boccale, la caffettiera e la tazza,

come oggetto, aveva questo di particolare, che si poteva animarlo toccandolo.

la fruttiera e il piatto, poi i frutti, prima le banane, le mele e le pere, ed anche gli

Ecco perché ero così attratto dagli strumenti musicali, molto più che da altri og-

strumenti musicali. È questo il titolo della fondamentale Natura morta rimasta

getti o dalla figura umana che comporta elementi ben diversi».

di sua proprietà, e ancora conservata dagli eredi, alla quale teneva molto per la

Violino e tavolozza (tav. 41), di formato alto e stretto, che si può datare all’au-

novità del tema e della composizione. La considerava infatti come il suo primo

tunno del 1909, è uno dei capolavori del cubismo analitico. I volumi si adeguano

dipinto non più cézanniano ma già cubista, in cui cioè lo spazio e il volume sono

alla superficie piana frammentandosi secondo il sistema delle “sfaccettature”,

creati negando la prospettiva classica e moltiplicando i punti di vista.

ognuna delle quali è illuminata e orientata in modo diverso. Si riconoscono, di-

Il mandolino, il clarinetto, la fisarmonica (o piuttosto la sua variante di dimen-

sposti su piani verticali e collegati fra loro dal ritmo di un drappeggio, il violino

sioni minori, l’organetto) e la partitura dispongono armoniosamente le loro masse

sulla tavola, con le sue rose e la sua chiocciola, le partiture aperte sul leggìo e,

curve o squadrate in uno spazio poco profondo, mantenuto su un sobrio registro

in alto a sinistra, appesa al muro con un chiodo, la tavolozza ovale. Il chiodo,

di tonalità grigie, verdi e brune. I piani che si aprono, si abbassano o si sollevano,

dipinto a trompe-l’œil, con la sua ombra portata, ha una necessità funzionale

mirano al “possesso completo delle cose” e, per ogni oggetto, mostrano più di

e, nello stesso tempo, il compito di sottolineare in maniera evidente il contra-

quanto la visione tradizionale non consentirebbe di cogliere.

sto fra l’antica e la nuova figurazione, dimostrando la validità di quest’ultima.

Braque reintroduce nell’iconografia del cubismo nascente gli strumenti musi-

Una fotografia interessante è stata scattata nel 1910 nella camera che Braque

cali. Questi, frequenti nei quadri del xvii secolo – in Europa è il grande momento

occupava all’Hotel Roma, in rue de Caulaincourt, a Montmartre. Il pittore, sedu-

delle nature morte, con specialisti come Baschenis e più tardi Chardin – ricompa-

to in un angolo, in posizione arretrata, il corpo visibile a metà, suona l’organetto.

iono, dopo l’eclissi romantica e realista, nei quadri di figure di Corot e di Degas,

Ciò che domina è lo spazio stretto della camera con il suo contenuto, cioè, oltre

per sparire di nuovo dalle nature morte di Cézanne e degli Impressionisti. In Pi-

l’organetto, gli oggetti che compaiono nelle nature morte, la brocca posata sul

casso li troviamo solo nell’estate del 1910 nei quadri di figure, e nella primavera

pavimento, la fruttiera posta su una sedia e, fissati al muro con dei chiodi, dietro

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

la lampada, le pipe, il violino e il mandolino. Violino e tavolozza è la prima tela

Adatta dunque a proprio uso, con abili spostamenti e alcune innovazioni, il

di Braque, e l’unica di questo periodo – perché la tavolozza non riapparirà nella

repertorio secolare della natura morta che non cambia nel tempo perché, in fon-

sua opera che nel 1936 – in cui siano veramente riuniti gli attributi del pittore e

do, sono sempre gli stessi gli oggetti che accompagnano l’uomo servendo ai suoi

quelli del musicista. Essa compare in un momento di svolta della sua evoluzione

bisogni e ai suoi piaceri fondamentali: il tabacco e i giochi, i libri e i giornali, gli

per affermare che la pittura è un linguaggio autonomo, che ha le sue leggi interne

strumenti musicali. Braque dipinge la brocca e il boccale, la fruttiera, il bicchie-

come la musica e che può essere decifrato come una partitura, ma senza recider-

re e la bottiglia, la tazza, i dadi e le carte da gioco, la scacchiera, la pipa e il pac-

ne i legami con la realtà, ed ecco il perché del chiodo a cui è appesa la tavolozza.

chetto del tabacco, i giornali di cui sono suggeriti i titoli, la serie degli strumenti

Il pendant di questa tela è Piano e mandola, anch’essa al Guggenheim Museum

musicali. Gli unici frutti ammessi durante questa fase di austera tensione concet-

di New York; entrambe le opere, appena finite, furono acquistate dall’acuto cri-

tuale sono qualche volta i limoni e, più spesso, i grappoli d’uva la cui sensualità

tico e collezionista Wilhelm Uhde, di cui Picasso realizza allora il ritratto nello

è racchiusa nei minuscoli chicchi sferici.

stesso stile analitico delle nature morte di Braque.

Dopo la lunga interruzione della guerra, Braque ricomincia a dipingere com-

Nell’estate del 1908 una natura morta di Picasso, potentemente espressiva e

binando le strutture cubiste ammorbidite con le apparenze naturalistiche, fon-

senza dubbio ispiratagli dal suicidio dell’amico Wiegels, raggruppa, assieme alla

dendo in un tutto unico forma, colore e materia. A parte i quadri di figure di cui

tavolozza, lo specchio, i libri e il teschio, cioè il simbolo della vanitas o del me-

si è parlato nel capitolo precedente, canefore, teste, bagnanti e, dopo il 1928, le

mento mori.

marine, barche e falesie dipinte ogni estate sulla spiaggia di Varengeville, la sua

Durante il periodo propriamente cubista, Picasso ha dipinto anche due pic-

pittura si sviluppa soprattutto attraverso le nature morte che si dispongono in al-

cole nature morte che comprendono la tavolozza e i pennelli: una nell’estate del

tezza o si espandono in larghezza. «Non si tratta affatto di partire dall’oggetto»,

1911, di formato ovale, quasi monocroma, nella quale la tavolozza è accanto a un

afferma, «si va verso l’oggetto». Anche se gli oggetti si adattano alle forme che li

bicchiere e a un libro di Victor Hugo, l’altra, nell’autunno dello stesso anno, più

fanno emergere e li trascinano nel loro flusso, non sono solo degli accessori o dei

piccola e di struttura geometrica, in cui è vicina ad un tubetto di colore. Braque,

semplici pretesti per le armonie pittoriche.

che pesta personalmente i colori, non ha, o ha di rado, dei tubetti; ha invece dei

Braque rifiuta l’interpretazione formalista che troppo spesso viene data della

vasi in cui mescola le tinte. Di Juan Gris, il più ortodosso dei pittori cubisti e il

sua opera, per esempio quella di Georges Charensol in Art Vivant del 15 aprile

più attratto, come Braque, dalla natura morta, conosciamo tre opere con questo

1926: «Egli trascura programmaticamente il soggetto e, se si adatta a dipingere

tema, del 1925, in cui la tavolozza è l’elemento fondamentale della sua pittura

una tazza o un frutto, si avverte con chiarezza che li considera solo pretesti». Bra-

concepita come “architettura piatta e colorata”.

que invece insiste a più riprese sulla necessità e sul valore specifico del tema, del

Nei mesi intensi del cubismo sintetico, pochi oggetti bastano a Braque per

contenuto. Confida al critico Tériade che lo riferisce nel giornale L’Intransigeant

dare un’idea dell’ambiente circostante e per sviluppare quella che egli chiama la

del 3 aprile 1938: «Ho sempre rispettato il soggetto e lo considero indispensabile.

sua poetica. «Il pittore», afferma, «pensa attraverso forme e colori, l’oggetto è

Ho semplicemente scelto i soggetti dei miei quadri come gli altri pittori hanno

la poetica».

scelto liberamente i loro. In questo come in altri casi, bisogna sapersi limitare,

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

contenere, e scegliere dei temi che siano assolutamente i più vicini a noi». Pensa

vicina al parco Montsouris. Il loro colore chiaro e la materia opaca si accordavano

che questa limitazione dei mezzi generi la novità delle forme, le loro varianti, e

all’atmosfera luminosa della stanza e al suo arredamento rustico.

fondi la verità della creazione.

A partire dal 1924 compaiono i fiori in vasi o in cesti; prima gli anemoni, le

Ecco cosa risponde, nel 1935, a un’indagine della rivista Cahiers d’Art: «Se è nor-

rose tea, i narcisi; poi, dal 1927, quando l’artista comincia a recarsi d’estate sulla

male che l’arte si esprima in forme e colori, è indispensabile che sia presente l’atto

costa normanna, appaiono le ostriche, sia pure su un registro diverso. I grappoli

interiore e immanente dell’uomo, che l’artista abbia accolto la forma e il modo di es-

d’uva si fanno più turgidi e i loro chicchi non sono più dei pallini stilizzati, ma

sere degli oggetti, che abbia obbedito a certe pulsioni dell’animo. L’importanza del

delle sfere purpuree o nere, colme dei loro succhi profumati. L’uva e le rose sono

soggetto è tale che le diverse scuole di pittura si distinguono fra loro specialmente

considerati gli equivalenti cromatici che più si avvicinano all’incarnato femmini-

in virtù del vocabolario dei soggetti da esse inventato». La stessa cosa vale per gli

le, vertice ideale della luminosità del colore. I frutti si fanno ben presto sempre

artisti all’interno delle scuole o dei movimenti, e l’intento di questo libro è proprio

più frequenti e più vari. Alle mele, alle pere e alle banane, già notate nel perio-

quello di raggruppare entro i loro confini cronologici i quadri poco conosciuti di

do cézanniano e ricomparse dopo l’interruzione cubista, si aggiungono via via

Braque, legati esplicitamente agli attributi della sua arte e alla pratica del suo me-

le pesche, le prugne, verdi o blu, i fichi, i meloni, le noci, le melagrane e anche

stiere, con un breve cenno, per ciascuna categoria, all’iconografia chi li precede.

alcuni ortaggi, come gli asparagi o le melanzane. Fra le sequenze monumentali

In ogni periodo le trasformazioni dello stile corrispondono ad altrettanti

dei Caminetti e dei Tavolini, in cui i frutti prodotti dalla natura si mescolano agli

cambiamenti nella scelta e nella disposizione dei motivi. Molti degli strumenti

strumenti musicali opera dell’uomo, si inseriscono alcune piccole e gustose na-

musicali rappresentati prima della guerra vengono ora abbandonati, compreso

ture morte di frutti che riempiono piatti e fruttiere, o semplicemente sono sparsi

il violino che aveva un ruolo di primo piano nella sintassi cubista delle tele e dei

sulla tovaglia bianca, vicino al coltello che indica la profondità, frutti le cui spe-

papiers collés. Per alcuni anni restano solo il clarinetto e, soprattutto, la chitarra

cie si confondono perdendo la loro identità. «Un limone accanto a un’arancia»,

(o a volte la cetra) dalla flessuosità femminea.

afferma Braque, «non è più un limone, come pure l’arancia non è più un’arancia,

«Braque», ha detto Juan Gris, «ha fatto della chitarra la sua madonna», e la

diventano semplicemente dei frutti».

chitarra è anche metafora della tavolozza alla quale assomiglia nella forma cur-

Nella conversazione con Georges Charbonnier del 1959, Braque riafferma la

vilinea, mentre i pennelli corrispondono alle corde. Essa è unita alla fruttiera, al

necessità della “rappresentazione”, dell’identificazione oggettiva, sottolineando

bicchiere, alla bottiglia, ai giornali, alle partiture, al clarinetto. Nel 1926 ricom-

il valore non meno fondamentale degli intervalli fra gli oggetti, che garantisco-

pare il mandolino, che in seguito gareggia con la chitarra sul piano dei tavolini.

no l’unità pittorica della composizione. «È molto difficile», afferma, «separare

Rimangono a lungo i dadi, la pipa e le carte da gioco disposte attorno ai quattro

gli elementi di un quadro. Ci sono persone che dicono: “Cosa rappresenta il suo

assi con le loro figure piatte e colorate. Le forme trasparenti dei bicchieri e delle

quadro? Cosa...? C’è una mela, è evidente, c’è... Non so... Ah! Di fianco c’è un

bottiglie contrastano con l’opacità della brocca e della fruttiera, i due recipienti

piatto...” Costoro danno l’impressione di non sapere affatto che anche ciò che sta

dalle infinite variazioni scelti come emblemi per la coppia di nature morte, rea-

fra la mela e il piatto si dipinge. E, in fede mia, dipingere lo spazio intermedio mi

lizzata nel 1926-1927, che decorava la sala da pranzo di Braque nella nuova casa

sembra difficile quanto dipingere le cose. Questo ‘spazio intermedio’ mi sembra

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

un elemento importante quanto ciò che essi chiamano ‘l’oggetto’. Il soggetto del

la scritta mélodie è realizzata con valori chiari e leggeri avvolti da un fondo nero

quadro è proprio il rapporto degli oggetti fra loro e del singolo oggetto con lo

– tipico di Braque – la grana e la risonanza del quale variano secondo i periodi.

‘spazio intermedio’».

La tavolozza coi pennelli sottili che prende l’aspetto di una mano si insinua fra

Le Nature morte con la tavolozza sono contemporanee delle Figure al cavallet-

il vaso e la chitarra fondendosi coi rispettivi bordi. Questa triade di oggetti dalle

to e si collegano al medesimo ciclo storicamente definito. Nel 1936, nello stesso

forme ricurve è circondata da un poligono ornamentale dal perimetro angoloso.

periodo dei tre quadri di donne pittrici che già conosciamo, in mezzo alla serie

Sotto la chitarra si legge, dipinta a tutte lettere maiuscole, la parola mélodie, che

delle abituali nature morte con la chitarra, la fruttiera, il giornale, la partitura, ne

suggerisce il tono dell’opera.

compaiono due con la tavolozza. L’artista disponeva di molte tavolozze, ovali o

In Braque l’uso delle lettere in pittura risale al 1909 per le lettere dipinte a

rettangolari, e nell’atelier di Varengeville esse erano appese, coi relativi pennelli,

mano, e al 1911 per i caratteri a stampa eseguiti con lo stampino. Il loro ruolo fi-

ai rami di un tronco d’albero mondato della corteccia, che lui chiamava “l’albero

gurativo e semantico a un tempo, come pure il complesso intreccio di riferimenti

delle tavolozze”.

a esso legati, sono stati oggetto di studi sempre più documentati. Il maggior nu-

In pittura, la maggior parte delle vedute di atelier, dei ritratti o autoritratti di

mero di scritte riguarda i titoli, spesso incompleti, dei giornali, il contenuto delle

artisti all’opera, a partire da quelli di san Luca nell’atto di dipingere la Vergine,

varie bottiglie, oppure fa riferimento alla musica. Legato da profonda amicizia

comprendono la tavolozza, che a volte, come in quest’ultimo caso, è sorretta da

a Erik Satie e a Darius Milhaud, Braque scrive di proposito sulle sue tele i nomi

un angioletto. Essa compare anche come ex-voto in alcune pale d’altare italiane

dei suoi compositori preferiti, Bach e Mozart fra gli antichi, Debussy fra i con-

dell’inizio del xvi secolo dedicate alla Vergine, come pure in certi quadri francesi

temporanei, oppure indica la natura della forma strumentale che vuole evocare.

del xvii secolo che celebrano l’Accademia, il cui protettore è il re. La tavolozza

Ama la musica da camera più raffinata, come la fuga e la sonata di cui riesce a

fa parte dei “segni ideografici delle arti”. Le nature morte in cui occasionalmen-

trasporre l’equivalente nel proprio linguaggio, prima di tutto la complessa or-

te è presente sono quelle che rappresentano le vanitas, le allegorie dei sensi, gli

chestrazione degli Atelier, ma apprezza anche le melodie popolari. In una natura

attributi delle arti. Per Braque, la tavolozza è semplicemente uno strumento di

morta del 1913 ha trascritto il titolo e l’esatta partitura del motivo popolare Pe-

lavoro, senza altre implicazioni, ma la sua forma morbida si presta a diverse so-

tit Oiseau. Una Natura morta col violino, della primavera del 1914, dalle ampie

luzioni compositive.

zone punteggiate, reca anch’essa la scritta mélodie, le cui prime due lettere sono

Profilo con tavolozza (tav. 47) ha lo stesso titolo di due quadri posteriori, di cui

nascoste sotto il manico dello strumento. Nel 1937 Braque dipinge alcune figure

abbiamo parlato nel capitolo precedente, ma qui la sagoma della giovane don-

musicanti, alcune vedute di spiagge, parecchie nature morte con ostriche e triglie,

na che si staglia in secondo piano sul lato sinistro è del tutto secondaria rispetto

ma nessuna con la tavolozza.

alla natura morta. La tavolozza, con le sue dimensioni dilatate, copre la tavola

Nel 1938, anno in cui non compaiono quadri di figure, si contano tre nature

rotonda e si sovrappone alla sagoma del vaso colmo di piante verdi che spesso

morte con la tavolozza, di un cromatismo fastoso, una delle quali è inedita. Il ca-

compare nell’opera del pittore. La tela rivela un particolare vigore nei contorni

valletto (tav. 43), in legno venato di un giallo solare, sorregge uno strano dipinto

lasciati bianchi contro le tonalità scure. Natura morta con tavolozza (tav. 42) e con

dai segni grafici quasi astratti. Sullo sgabello è posato un cesto di frutti splendidi,

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

sentiti come frutti in generale, prima di qualsiasi specificazione. Sulla tavola vici-

questo periodo, oltre ai quadri di figure, uno dei quali di dimensioni più grandi,

na, i cui piedi hanno la stessa tonalità del cavalletto, la tavolozza, senza pennelli,

che mostrano il pittore al lavoro, nove delle sue nature morte sono caratterizzate

contrappone la sua forma ovale e piatta al vaso di fiori verticale e bombato. Il

dalla presenza dominante e rivelatrice della tavolozza. La più piccola, Bicchiere e

fondo è composto da una sontuosa fascia arancione fra due fasce nere a quadri.

tavolozza (tav. 52), la cui composizione non è meno sapiente di quella delle tele

Il tavolino (Vaso grigio e tavolozza) (tav. 46) appartiene alla quarta e ultima serie

più grandi, raggruppa sulla tavola, che si piega sollevandosi ai bordi, la tavoloz-

su questo tema fondamentale. Raduna, davanti al cavalletto che sorregge il suo

za a forma di chitarra coi suoi vigorosi pennelli, il bicchiere di cristallo e il frutto

misterioso quadro, la tavolozza, i frutti e il vaso di fiori trasparente, mentre a de-

profumato. Nelle altre otto, di dimensioni superiori, la tavolozza, con o senza

stra, sul tavolino di marmo che si solleva verso le cornici appese al muro, sta il

pennelli, con o senza tocchi di colore, è sempre accanto a un vaso di piante o di

vaso grigio opaco. Riprodotta qui per la prima volta, Bottiglia e teschio (tav. 45)

fiori di cui ogni volta cambiano la forma, la materia, il contenuto. Si instaura e si

è una di quelle opere intime, gelosamente custodite dall’artista, la cui rivelazione

rinnova così il dialogo fra la superficie piana della tavolozza, ovale o rettangola-

incanta conoscitori e pittori. Il disegno preparatorio (tav. 44), schizzato accan-

re, e il volume bombato del recipiente. In Tavolozza e vaso di narcisi (tav. 53) si

to a uno studio di nudo femminile, si differenzia dalla versione dipinta e com-

contrappongono con forza, nelle tonalità opache dei verdi, dei bruni e dei neri

prende anche alcuni elementi, come i vasi di fiori, che sono in relazione coi due

granulosi, caratteristici di Braque, la tavolozza larga e nuda, dipinta a false vena-

quadri precedenti. Sulla tavolozza piatta, nera e rettangolare, senza pennelli, che

ture di legno, appoggiata a un tronco d’albero e, ritto sulla tavola dentellata, il

campeggia fra il ritmo verticale della bottiglia e la volumetria del teschio, sono le

vaso dai fianchi espansi, coi lunghi fiori tubolari.

cinque tonalità di colore su cui si fonda la splendida armonia cromatica dell’in-

Il vaso e la tavolozza hanno pressappoco la stessa forma, la stessa disposizione

sieme. Qui il teschio non è la testa di morto realistica, con le macabre cavità, che

e gli stessi toni di colore in una natura morta analoga ma di formato quadrato,

vediamo, accompagnata dal crocefisso e dal rosario, nelle due nature morte dello

Sgabello, vaso e tavolozza (tav. 55). Ai due elementi principali su cui si fonda la

stesso anno intitolate Vanitas i e ii, ma un poliedro regolare su cui sono segnati in

composizione qui se ne aggiunge un terzo, lo sgabello, che si erge luminoso con

bruno gli occhi, il naso e la bocca. Alcune lettere dipinte in caratteri da stampa

la sua decorazione a fogliami. La tavolozza sul tavolo (tav. 51), col suo mazzo di

su fondo bianco sono in parte nascoste dalla tavolozza e dai frutti.

pennelli, equilibra con le curve sinuose il vaso traslucido dal doppio rigonfia-

Nel novembre del 1938, Picasso compone due nature morte in cui la tavolozza

mento e la coppa di uva. Braque padroneggia, nell’unità della sostanza pittorica,

compare fra la candela, simbolo in pittura della vanitas, della fugacità della vita,

tanto il ritmo grafico che gli accordi cromatici. Vaso, tavolozza e teschio (tav. 72),

e la testa di toro, l’emblema spagnolo che prende il posto del teschio umano. La

di formato quadrato, in cui il teschio non è più un blocco regolare ma una testa

violenza degli avvenimenti spinge i due artisti verso temi funebri, ma essi affi-

ossuta e cava, e Tavolozza, vaso e cornice (tav. 48), in cui la cornice decorata rac-

dano alla tavolozza, cioè alla pittura, il compito di combattere contro le potenze

chiude una testa femminile disegnata a forma di tavolozza, in una contaminazione

di morte.

metamorfica con la grande tavolozza reale su cui poggiano i pennelli e spiccano

Nel 1939, con la minaccia e lo scoppio della guerra, Braque si concentra ancora

i tocchi di colore, sono opere più complesse, a mezza strada fra la natura morta

di più sulla pratica del suo mestiere, dedicandosi a moltiplicarne gli emblemi. In

e l’interno dell’atelier. Qui gli oggetti sono più numerosi di quanto appaia dai

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BRAQUE ateliers

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

titoli, e malgrado la loro salda struttura lineare tendono a fluttuare in uno spazio

e Natasha Gelman di New York (tav. 63). Sulla sedia dal traliccio fremente è po-

ambiguo che nasce e si trasforma sotto i nostri occhi.

sata una specie di tavolozza dai colori vivi.

A Varengeville come a Parigi, l’atelier di Braque era sempre traboccante di

La Natura morta con tavolozza (tav. 50) ci riporta, con la sua finestra chiusa

piante e di fiori. Amava molto i semplici fiori di campo, ma anche quelli esotici

da una grata, all’atmosfera greve e soffocante della guerra. Nella penombra pie-

dal fogliame vivace e persistente, come le strelitzie. E proprio Le strelitzie (tav.

na di mistero, il vaso decorato di cerchi, pieno di fiori di campo, e la tavolozza a

56) dominano il centro e la parte superiore di una composizione verticale e tri-

semicerchio continuano il loro inesauribile confronto sul tavolo massiccio, con il

partita, in cui le loro punte aguzze come teste d’uccelli emergono da un grande

giornale dai titoli funesti quasi completamente nascosto.

vaso decorato di scaglie. La tavolozza, coi pennelli piantati diritti, si apre nella

La tavolozza bianca (con le calle) (tav. 54), in cui il colore verginale è in armo-

parte bassa della tela, accanto al libretto dell’Aida, al largo piatto di frutta, alla

nia con le spate chiare delle calle, e la forma con le loro foglie sagittate, è una

pipa messa di traverso. La tavolozza è scura, mentre il tono generale è chiaro e

piccola tela che ha le stesse dimensioni e lo stesso fascino segreto di Bicchiere e

delicato, basato sugli ocra e i beige, i grigi e i rosa intensi.

tavolozza. Ciascuno dei quattro o cinque recipienti domestici, compagni abituali

La Natura morta con sedia da giardino (tav. 49) evoca l’atmosfera estiva e cam-

di tutta l’opera di Braque, di cui scandiscono quello spazio che egli chiama giu-

pestre di Varengeville. In essa ritroviamo anche il vaso trasparente pieno di fo-

stamente manuale, subisce diverse trasformazioni e ha i suoi momenti di fortuna.

glie d’edera che s’incurvano come mini tavolozze, il bicchiere a doppia divisio-

La brocca di grès dall’ansa arcuata e dal becco sottile torna in auge durante la

ne, i grappoli d’uva in numero maggiore del solito e disposti in maniera diversa,

guerra, quando gli oggetti d’uso, gli utensili, nel senso vero e proprio del termi-

la tavolozza ovale appoggiata alla bottiglia a spigoli vivi. Le insolite volute della

ne, tendono a prendere il sopravvento su quelli superflui. In Brocca e tavolozza

sedia di metallo determinano il ritmo ondulato della composizione. I bruni caldi

(tav. 57), la brocca bruna dall’impasto sabbioso e dal becco allungato prende il

e i verdi freschi orlati di bianco spiccano sui toni grigi e delicati dell’intonaco.

posto del vaso di fiori, troppo decorativo per poter controbilanciare l’ascetismo

Durante il Secondo Impero, le sedie di legno del giardino delle Tuileries, luogo

dell’enorme tavolozza nera quasi vestita a lutto.

di convegno della società elegante del tempo, furono sostituite da sedie di ferro.

La pratica della scultura e il bisogno di appoggiarsi alla realtà tangibile degli

Le loro curve flessuose appaiono per la prima volta nel 1862, fra gli ombrellini e

oggetti rendono più densa la materia pittorica. La profondità si articola median-

i cappelli del quadro di Manet Musica alle Tuileries (Londra, National Gallery)

te piani larghi e sobri, trasversali e verticali, fino al muro di fondo della stanza

che allora fece scandalo e sensazione per via della sua assoluta modernità. Braque

costituito da fasce geometriche. Nella Natura morta con tavolozza (tav. 58) del

si impadronisce a sua volta di un motivo che sembrava antiestetico e volgare per

1943 – malgrado i titoli identici le opere mutano continuamente – di fianco alla

trarne un effetto straordinario.

tavolozza austera ricompare il vaso con piante e fiori, ma dipinto in un nero fu-

Nel 1947 comincia a dipingere sei versioni successive di questa Sedia da giar-

nereo sul tavolo dagli strani riflessi, messo di sbieco contro il fondo marezzato. Il

dino isolata, variando ogni volta la tessitura e la tinta del fondo. Le due versioni

tema della stufa incandescente, il cui lungo tubo passa attraverso l’atelier, è stato

più caratteristiche rimangono la prima, lasciata al Musée National d’Art Moderne

spesso trattato nel secolo scorso, in particolare da Delacroix, Bazille e Cézanne.

di Parigi (tav. 62), e l’ultima, finita nel I960, acquistata dai collezionisti Jacques

Quest’ultimo confessava al giovane pittore Charles Camoin, venuto a fargli vi-

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BRAQUE ateliers

sita ad Aix durante il servizio militare, che si sarebbe considerato felice se fosse riuscito a rendere pittoricamente il tubo incandescente della sua stufa. Durante l’Occupazione, le restrizioni alimentari sono rese più pesanti dalle difficoltà di riscaldamento. Braque abbandona il salotto in cui si dispiegano le lussureggianti nature morte per volgersi verso i disadorni ambienti di uso quotidiano, il bagno opprimente e spoglio, la cucina con la magra pietanza e gli utensili ridotti, l’angolo in cui ci si rifugia accanto alla Stufa (tav. 61), in cui egli traspone a suo modo il genere intimo della tradizione olandese. Davanti alla stufa cilindrica ornata da rilievi incisi, il cui tubo verticale sale lungo il muro giallo da cui proviene la luce, il secchio del carbone e il cesto per la carta sono colti in primissimo piano e ripresi dall’alto. I disegni preparatori (tav. 59 e 60) mostrano i significativi cambiamenti avvenuti durante l’esecuzione. Il piccolo tavolo di legno su cui stavano tanto gli strumenti del pittore quanto gli oggetti da toeletta si è trasformato in un largo tavolino o cavalletto che si erge contro una tappezzeria alta e scura. La tavolozza, lugubre, ha perduto i suoi pennelli e il vaso di fiori è diventato un vaso di terraglia con una piantina dalle foglie pallide che si riflettono nello specchio funereo. Tuttavia la magia della luce penetra in questo squallido interno e avvolge nel suo sortilegio gli oggetti più semplici, poggiati sull’impiantito blu punteggiato di rosso. Dopo la guerra, ritrovate la gioia e la libertà, la tavolozza si trasfigura e dà vita alla grandiosa serie degli Atelier. Le ultime nature morte con la tavolozza diventano dei puri gioielli per amatori, dagli accordi raffinati come Bouquet e tavolozza (tav. 69). C’è una corrispondenza, o meglio una totale complicità fra la tavolozza col suo fascio di colori e i colori veri rappresentati dai fiori. Tavolozza e fiori (tav. 66), di cui esiste ancora il bel disegno preparatorio ad acquarello (tav. 67), è una fantasmagoria eterea, dai colori fluidi e celestiali, dalle vibrazioni musicali. La tavolozza avvolge con curve leggere la sua compagna abbagliante, la rustica brocca in cima alla quale è collocato il vaso di fiori sfolgoranti, dei girasoli la cui luminosità dorata accende la tavolozza e la brocca. Nell’ultima piccola tela inedita del 1958, posteriore alla serie degli Atelier, La tavolozza (tav. 68), pur radicata nella materia, splende come un astro nel cielo luminoso.

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41. GEORGES BRAQUE, Violino e tavolozza, autunno 1909, olio su tela, 97,7 × 42,8 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York.


BRAQUE ateliers

42. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tavolozza (Mélodie), 1936, olio su tela, 81,3 × 100,7 cm. San Francisco Museum of Modern Art, acquistato da W. W. Crocker.


BRAQUE ateliers

43. GEORGES BRAQUE, Il cavalletto, 1938, olio su tela, 89,5 × 107,5 cm. Marlborough Fine Art, Londra.


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44. GEORGES BRAQUE, Natura morta con teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata. 45. GEORGES BRAQUE, Bottiglia e teschio, 1938, olio su tela, 73 × 92 cm. Collezione privata.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA


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46. GEORGES BRAQUE, Il tavolino (Vaso grigio e tavolozza), 1938, olio su tela, 107 × 87 cm. Collezione John Eaton, Toronto.

47. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1936, olio su tela, 64 × 48,5 cm. Collezione privata.


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48. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, vaso e cornice, 1939, olio su tela, 81 × 100 cm. Los Angeles Museum of Art.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

49. GEORGES BRAQUE, Natura morta con sedia da giardino, 1939, olio su tela, 65 × 80 cm. Collezione Mrs. Mark Steinberg, Saint Louis MO.


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50. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tavolozza, 1939, olio su tela, 72 × 89 cm. Galerie Louise Leiris, Parigi.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

51. GEORGES BRAQUE, La tavolozza su tavolo, 1939, olio su tela, 65 × 81 cm. Collezione privata, Santa Barbara.


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52. GEORGES BRAQUE, Bicchiere e tavolozza, 1939, olio su tela, 24 × 41 cm. Collezione privata.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

53. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e vaso di narcisi, 1939, olio su tela, 54 × 65 cm. Collezione H. Horsheim, Chicago.


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54. GEORGES BRAQUE, La tavolozza bianca (con le calle), 1941-44, olio su tela. Collezione privata.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

55. GEORGES BRAQUE, Sgabello, vaso e tavolozza, 1939, olio e sabbia su tela, 92 × 92 cm. Collezione Marc Rich.


NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

56. GEORGES BRAQUE, Le strelitzie, 1939, olio su tela, 92 × 65 cm. The Carey Walker Foundation, New York.

57. GEORGES BRAQUE, Brocca e tavolozza, 1939-42, olio su tela, 50 × 61 cm. Collezione P. Nathan, Zurigo.


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58. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tavolozza, 1943, olio su tela, 58,8 × 80 cm. The Saint Louis Art Museum, dono di Mr. & Mrs. Jospeh Pulitzer Jr.

59. GEORGES BRAQUE, La stufa, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


60. GEORGES BRAQUE, La stufa, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

61. GEORGES BRAQUE, La stufa, 1942, olio su tela, 145,7 × 88,3 cm, Yale University Art Gallery, New Haven, dono di Paul Rosenberg & Co.


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62. GEORGES BRAQUE, La sedia da giardino, 1947, olio su tela, 61 × 50 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

63. GEORGES BRAQUE, La sedia da giardino color malva, 1947-60, olio su tela, 65 × 50,3 cm. Collezione Jacques e Natasha Gelman, New York.


BRAQUE ateliers

64. GEORGES BRAQUE, Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955. Maeght, Parigi.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

65. GEORGES BRAQUE, Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955. Maeght, Parigi.


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66. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e fiori, 1954, olio su tela, 124 × 116,7 cm. Museo de Arte Contemporàneo de Caracas Sofia Imber.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA

67. GEORGES BRAQUE, La tavolozza, matita, acquarello e lavis bruno su carta a quadretti. Collezione privata.


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68. GEORGES BRAQUE, La tavolozza, 1958, olio su tela, 27 × 35 cm. Collezione privata.

NATURE MORTE CON LA TAVOLOZZA


BRAQUE ateliers

5 Gli Atelier Isolati

69. GEORGES BRAQUE, Bouquet e tavolozza, 1948-55, olio su carta incollata su tela, 65 × 80 cm. Collezione Louis Clayeux, Parigi.


S

ei quadri datati fra il 1938 e il 1942 vanno oltre lo schema della natura morta

e rappresentano dei veri e propri interni caratterizzati dagli strumenti e dagli attributi del pittore. Sono gli Atelier isolati, senza interposizione di figure, ognuno trattato in maniera diversa, che annunciano e preparano la sequenza degli Atelier sinfonici. I primi tre, realizzati fra il 1938 e il 1939, sono contrassegnati dalla presenza di un teschio umano, quella testa di morto che compare, non nel suo aspetto realistico ma come un blocco stilizzato, geometrico, in una natura morta fino a oggi inedita del 1938, Bottiglia e teschio, riprodotta nel capitolo precedente. La testa di morto come oggetto terribile e affascinante per materia, forma e significato, appartiene al repertorio tradizionale dei pittori. Nell’articolo “Georges Braque à Varengeville”, pubblicato sulla rivista Le Point nell’ottobre del 1953, il poeta e critico Georges Limbour descrive l’atelier del pittore in Normandia, i suoi vetri schermati, i quadri appesi al muro o accatastati sul pavimento, appoggiati al tavolo, alle sedie, ai mattoni, alle radici, ai diversi oggetti che ingombrano l’ambiente. E aggiunge: «Nell’atelier c’era anche una vanitas. Sappiamo che la testa di morto

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER ISOLATI

è uno degli oggetti familiari di Braque, da sempre presente come la brocca». Se

tutto ciò che non sentiamo imporsi con potenza irresistibile, incontenibile, e che

il teschio è accostato alla brocca, quella con manico e beccuccio, in una piccola e

richiede un’adesione totale di tutto il nostro essere, non può esservi che un oriz-

straordinaria natura morta del 1943, dai forti impasti cromatici, intitolata Amle-

zonte di fallimento e distruzione. Di conseguenza, che noi esprimiamo serenità

to (Saarbrücken, Saarland Museum), la sua parabola pittorica è molto più breve.

o, invece, inquietudine, è una cosa che avviene a nostra insaputa. O dobbiamo

Il teschio infatti, nella forma specifica della vanitas o come semplice elemento

ripetere ancora una volta che non si tratta di dar vita a un episodio aneddotico,

dell’arredo quotidiano, compare nell’intera opera di Braque solo in un periodo

ma a un fatto pittorico?

ben definito, fra il 1938 e il 1943, cioè negli anni cupi in cui il pittore avverte la minaccia della Seconda Guerra mondiale, e poi ne subisce gli effetti.

«L’artista è continuamente minacciato. Vediamo moltissime persone che cercano, vuoi aggrappandosi al passato vuoi pretendendo di servire il progresso, di

La pittura di Braque obbedisce alle sue necessità interiori, ma non può sottrar-

prolungare l’esistenza di un mondo nel quale la scienza ha avuto un ruolo smisu-

si al clima dell’epoca, ai cambiamenti dell’atmosfera che lo circonda. All’inizio

rato. Generalmente ci propongono dei sistemi per il futuro dai quali il presente è

del 1939, quando Braque è ossessionato dal teschio, dall’immagine tangibile della

accuratamente escluso. Se noi reagissimo alle teorie delle fazioni attuali pensando

morte, la rivista Cahiers d’Art conduce un’indagine fra i maggiori pittori per sapere

che la verità altro non sia che il contrario di una menzogna, mentre deve per forza

come reagiscano alla pressione degli eventi e in che misura la loro attività creatrice

essere qualcosa di nuovo e intatto, entreremmo in una catena che si chiude su se

ne sia condizionata. In questo periodo di acuta tensione sociale, durante il quale

stessa, prigionieri e votati alla sterilità.

molti artisti si impegnano politicamente, una delle domande dell’indagine verte

«Non si può separare l’artista dagli altri uomini. Egli vive sul loro stesso pia-

anche sui loro rapporti col potere e col denaro, con la classe dirigente e facoltosa

no. Il suo ruolo è troppo importante perché si possano pronunciare, parlando di

da cui dipendono materialmente. Ecco la risposta di Braque, che ci illumina sulla

ciò che egli vuole donare, parole come “oblio” o “vacanze felici”. Io non ho mai

sua sensibilità e sull’integrità del suo agire, sul carattere assoluto della sua voca-

pensato un solo istante che l’arte sia un’illusione.

zione di fronte alle vicissitudini temporali:

«Nella creazione, ciò che è vitale nasce quasi indipendentemente dalla volontà.

«Gli eventi contemporanei condizionano il pittore, questo è innegabile, ma in

Non diamo abbastanza peso alle forze oscure che ci travolgono, quelle che molti,

che misura e sotto quale forma essi si mescolino al suo lavoro, questo non si può

nella loro ottimista messa a punto dell’universo, pretendono di ignorare, quelle

stabilirlo. In ogni caso, l’artista non può essere tenuto a dare un giudizio d’insieme

che invece dobbiamo controllare, procedendo con lentezza e riscoprendo sempre

sul divenire della civiltà. Il suo compito non è profetizzare. Eppure egli appartie-

davanti a noi quel mistero che cerchiamo di respingere.

ne al suo tempo, anche se si rifiuta di constatare fatti dati a priori, si riferiscano

«I cambiamenti di regime influenzano necessariamente la vita del pittore perché

questi a eventi esterni o alla vita interiore. Le idee non interferiscono mai con la

egli subisce, come tutti, la sua epoca. Ma il suo lavoro dipende troppo dal passato

sua opera se non in quanto idee motrici. Esse hanno un rapporto molto indiret-

perché egli possa affrontarlo con una coscienza chiara dei mutamenti dell’oggi. Chi

to con l’espressione della qualità, e possono sparire quando il pittore osserva la

ha detto: “Bisogna realizzare la propria vita anteriore”? Ci vuole il tempo materiale

sua tela. La qualità è innata, e noi la vediamo permanere, resistere alla prova del

per realizzarsi, e se la concezione, l’esecuzione di una tela richiedono dieci anni di

tempo. Una sorta di fatalità conduce, in arte, a scelte valide. Quanto al resto, per

ricerche, come si può pretendere che il suo autore si tenga al corrente? Un qua-

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER ISOLATI

dro non è un’istantanea. Ancora una volta, ciò non significa che il pittore non sia

gialli che si ripete nei pannelli a incastro del muro di fondo. Il tavolo poligonale

influenzato, turbato, e più che turbato, dalla storia; può soffrirne pur senza essere

proiettato in avanti, verso lo spettatore, è dipinto a finto legno, nella stessa mate-

un militante. Facciamo solo distinzione, e in modo categorico, fra arte e attualità.

ria e tonalità del cavalletto cui è addossato. Su di esso si trovano, visti dall’alto e

«Personalmente, non ho mai riflettuto sui rapporti che potevano legare la mia

sotto angolature diverse, il grande vaso panciuto decorato a fiori, il teschio dalle

opera ai gusti e alle esigenze di una classe in particolare, e mi sembra che, in qual-

aperture sinistre attraversato dalla lunga linea verticale che separa l’ombra dalla

siasi condizione di vita, non potrei fare altro che lavorare secondo le mie possibi-

luce, la tavolozza coi pennelli di traverso, il mandolino e la pipa, la spatola fra due

lità, come ho sempre fatto».

tubetti di colore di cui si indovina in trasparenza la tonalità, infine l’asso di fiori,

L’atelier con il teschio (tav. 70), del 1938, è giustamente riprodotto nel numero

la carta prediletta da Braque dal tempo dei quadri e dei papiers collés cubisti. La

dei Cahiers d’Art a cui l’artista ha affidato la sua importante testimonianza. L’ope-

pipa, compagna abituale, è visibile fin dalla prima natura morta del pittore, del

ra è contemporanea dei primi due quadri di soggetto analogo e di composizione

1906. La pipa cilindrica e la carta piatta con l’asso di fiori servono a dare il titolo,

invertita, intitolati Vanitas i e Vanitas ii (Parigi, collezione privata), che uniscono

in momenti diversi, a molte nature morte di Braque delle quali sono gli elementi

con una forza tattile allucinante e con la drammatica risonanza del tema, il teschio

caratteristici. C’è una corrispondenza plastica fra i solidi volumi del teschio e del

dalle orbite vuote, il rosario dai grani sporgenti e il crocifisso teso come un ca-

vaso, fra le superfici sinuose della tavolozza e del mandolino, fra i prolungamenti

valletto funereo. Braque fa rivivere in modo personale un’iconografia antica. La

sdoppiati della spatola e della pipa.

testa di morto come emblema della vanitas, dell’annientamento cui approda ogni

I vari oggetti riuniti sul tavolo, che stimolano la vista e, naturalmente, il tatto,

umano destino, compare infatti nei mosaici romani di Pompei e si sviluppa nelle

sempre associati in Braque, ma anche l’olfatto (i fiori del vaso), l’udito (il mando-

tarsie italiane del Rinascimento, ispirate all’umanesimo cristiano. E suscita a Leida

lino), e persino il gusto (la pipa), sembrano evocare un’altra categoria di natura

e nell’Olanda calvinista del Secolo d’oro una categoria autonoma nel campo della

morta, antica e diversa, che ebbe grande fortuna soprattutto in Francia, l’Allegoria

natura morta che ben presto conquista tutta l’Europa della Controriforma, con

dei cinque sensi, a volte connessa, e sarebbe il nostro caso, con la vanitas. Il teschio

accenti diversi a seconda dei vari paesi. Le Vanitas francesi dell’epoca di Luigi xiii,

spettrale avvolge in un velo di tristezza gli attributi dei sensi. Il colore, circoscritto

in cui a volte si nota l’impronta giansenista, si distinguono per la loro essenzialità,

da linee bianche, si fonde con la struttura granulosa o punteggiata della materia

austerità, senso di silenzioso raccoglimento.

e si mantiene su una gamma bassa di ocra, neri e bruni, ravvivati da tocchi con-

Per L’atelier con il teschio, di medie dimensioni, Braque adotta il formato quadrato, che ricorre periodicamente nella sua opera. All’interno di questo spazio

trastanti di verdi e di rossi, da alcune note di giallo e dalla delicata modulazione del rosa e del malva.

chiuso fra rette, la composizione si dispone su una dominante di linee curve,

Braque ha fatto alcuni studi del solo teschio, della sua struttura ossea e della

quelle degli oggetti reali e quelle dei festoni ornamentali che li circondano. Que-

composizione nel suo insieme. In uno schizzo preparatorio (tav. 71) la fruttiera

ste curve sono equilibrate dalle bande orizzontali degli zoccoli delle pareti e dai

prende il posto del vaso e dietro il teschio visto di fronte, di cui la tavolozza imi-

montanti verticali dell’alto cavalletto che si erge di traverso e sul quale poggia,

ta il lugubre aspetto, si delinea per contrasto il profilo di una fanciulla coi capelli

di sbieco, una tela ancora astratta, abbozzata solo col colore, un rosa dai riflessi

raccolti sulla nuca. I disegni preparatori contengono spesso figure umane che poi

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER ISOLATI

scompaiono nelle versioni dipinte, dove la natura dello spazio accoglie solo gli

Vaso, tavolozza e teschio (tav. 72), datato 1939, ha le stesse dimensioni e lo stes-

oggetti. L’atelier con il vaso nero (tav. 78), anch’esso del 1938, di formato rettan-

so formato quadrato dell’Atelier con il teschio, ma nello stile si avvicina piuttosto

golare, è cromaticamente più intenso e ritmicamente più complesso dell’Atelier

all’Atelier con il vaso nero, sia pure con una tonalità più cupa. I due quadri ap-

con il teschio. Il passaggio dalla natura morta al quadro d’interno è ora compiuto.

partengono al medesimo collezionista. La guerra infuria e l’atmosfera della stanza

Nella tela precedente il cavalletto e la tavola parzialmente sovrapposti forma-

dai cupi bagliori diviene inquietante, spettrale. Sul tavolo a sinistra, circondato da

no un unico punto di raccolta degli oggetti, mentre i lati restano vuoti, con una

una decorazione profusa, la tavolozza coi pennelli di sghembo sta accanto al vaso

disposizione centrale che è ancora quella dei Tavolini. Qui il cavalletto e la tavola

coi fiori slanciati che sembra riflettersi nello specchio-paravento. La tavolozza e il

sdoppiata si separano nettamente; ciò fa sì che lo spazio non abbia più un asse e

vaso – il volume e la superficie piana contrapposti – cambiano posizione e aspetto

muti di ritmo. A sinistra, il bel cavalletto di legno dorato venato di bruno sostie-

da una tela all’altra. Il tavolo mima la forma della tavolozza e la tavolozza quella

ne, davanti a un pannello nero, una curiosa tela a dominante grigia, articolata in

del tavolo. Sul supporto a destra – il cavalletto ripiegato simile a quello del qua-

tre sezioni irregolari; il suo contenuto è difficile a decifrarsi, miscuglio impreve-

dro coevo La modella (tav. 23) – domina il teschio, segno funereo della caducità,

dibile di paesaggio e di natura morta, senza riscontro fra le opere realizzate da

con accanto, appoggiata di piatto, la squadra, lo strumento che misura lo spazio.

Braque.

«Amo la regola», dice Braque, «che corregge l’emozione». Sul muro di fondo, con-

A destra, in assoluto dispregio della prospettiva e della forza di gravità, si

tro la finestra a inferriate, uno strano, grande quadro con larga cornice, appeso di

sovrappongono due tavoli, uno di legno scuro, l’altro con rivestimento chiaro,

traverso, tagliato su due lati, accentua il senso d’inquietudine della composizione

marmorizzato. Su quello di legno, dove serpeggiano dei nastri ornamentali gialli

imponendosi per la sua forza ritmica e per le sue fasce ornamentali.

e rossi, sta la tavolozza ocra, senza pennelli e, nella stessa tonalità, il teschio lieve-

L’atelier con lo sgabello (tav. 75), dipinto a Varengeville nel 1939, di formato un

mente rivolto verso la tela sciorinata sul cavalletto. Sull’altro tavolo, quello chiaro,

po’ più grande dell’Atelier con il vaso nero, è una tela eccezionale per dimensioni,

spicca il curvo vaso nero con strozzatura adorno di una pianta bulbosa. Il suo è

padronanza del tema e qualità di esecuzione. Un’opera conclusiva e anticipatrice a

l’unico volume in una composizione ricondotta alle superfici piatte.

un tempo. Essa segna il punto di arrivo della lunga esplorazione e organizzazione

Sul muro di fondo, in alto, nell’incavo giallo fra il cavalletto e i tavoli, è appe-

dello spazio attraverso le coordinate piane, integrate tuttavia con i valori tattili.

sa una tela incorniciata con cura, una natura morta, bicchiere e frutta, che fissa

Braque, come Chardin, si rifugia a lungo negli interni chiusi. La finestra, motivo

e condensa i colori circostanti. Nell’atelier lo scambio fra la pittura e l’ambiente

essenziale per molti pittori contemporanei, da cui Matisse e Bonnard traggono

che la secerne è compiuto. Braque propone un doppio quadro nel quadro: sul

straordinarie variazioni, appare in lui solo tardi, nel 1938, quando lo spazio inter-

cavalletto, la tela coi bordi nudi, inchiodata al telaio; appesa alla parete, la tela

no è stato pienamente conquistato. Qui, essa è l’armatura centrale e frontale della

finita, col filo che la sostiene dipinto in trompe-l’œil e con la solida cornice in ri-

composizione, il suo asse ortogonale. La finestra svela, inquadrandolo, il cielo te-

lievo, palpabile al tatto, che si stacca dalla decorazione piatta del muro. L’occhio,

nero e luminoso della Normandia, percorso da nuvole azzurre e bianche, solcato

percorrendo lo spazio della natura morta lungo l’asse verticale, esplora in ogni

da linee che fuggono verso l’esterno. Non c’è diffusione atmosferica: la luminosità

direzione tutto lo spazio dell’atelier, senza un punto di riferimento principale.

dell’esterno penetra l’interno senza turbarne l’ordine.

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER ISOLATI

Come nei due atelier precedenti, il punto di convergenza centrale viene abban-

mento alimentare, alla celebrazione del cibo, degli utensili da cucina, dipinge, nel

donato a favore di un’armoniosa distribuzione degli oggetti e dei loro sostegni,

1941, una tela diversa, più grande, di formato quadrato, la versione iniziale, poco

sia in larghezza sia in altezza. A sinistra, l’elegante tavolozza riposa sul piccolo

nota e splendida, dell’Interno con tavolozza (tav. 78). La decorazione è scomparsa

tavolo rotondo in legno, di cui imita le venature. Subito sopra, sul tavolo ornato

e il nero ritorna con forza, in tutta la sua risonanza. Sul vasto fondo nero solcato

di festoni, le foglie verdi del bel vaso bipartito, ombra e luce, si fondono con la

da tratti bianchi, interrotto da una banda gialla e una marrone, l’alta sedia verde a

decorazione floreale del muro. A destra c’è uno sgabello – parzialmente visibile

listelli è accostata al tavolo grigio-azzurro su cui stanno la tavolozza di due toni, la

anche in altri quadri dello stesso anno, come Sgabello, vaso e tavolozza (tav. 55)

rotondità di un frutto, il bicchiere in piedi e il vaso di terracotta con la sua pianta

– sostenuto da quattro tronchetti di legno e rivestito da un’impagliatura multico-

dalle larghe foglie. L’elenco e la descrizione degli oggetti non rendono affatto la

lore, solare. È l’oggetto più vicino allo spettatore, il sedile rustico e meraviglioso

nobiltà e la purezza della loro forma pittorica. «Scrivere non è descrivere, come

da cui il pittore si è appena alzato, e si trova davanti al cavalletto eretto contro il

dipingere non è rappresentare», assicura Braque. E il colore, che tende all’opacità

muro arancione del fondo. Il cavalletto sostiene una tela bruna da cui esce, pronta

dell’affresco, non può essere descritto perché è intimamente legato alla grana della

al volo, una forma stellata color malva, immagine prefiguratrice dell’uccello che,

materia, al grado di luminosità, a tutta quell’alchimia di cui Braque conosce il se-

dieci anni dopo, comparirà nel ciclo degli Atelier. La composizione è intessuta di

greto. Nel 1953 confida a Dora Vallier: «E poi in pittura il contrasto dei materiali

sottili piani verticali interrotti da leggere oblique come quelle dei pennelli. Braque

è importante quanto il contrasto dei colori. Io approfitto di tutte le differenze che

giunge alla scansione luminosa dello spazio totale, quello interno e quello ester-

la materia offre, e allora il colore assume un senso molto più profondo. Io mi ser-

no, alla metrica di tutti i rapporti proporzionali fra le forme e i relativi intervalli.

vo delle differenze e questo mi consente una grande varietà. Per esempio, fra una

I disegni preparatori rivelano la ricerca del motivo, a larghe linee, prima della

lacca, che è un materiale trasparente, e una terra d’ocra, che è un materiale opa-

soluzione definitiva. In uno, senza lo sgabello, imperniato sulla finestra, il vaso è a

co, è possibile trovare un accordo, cioè stabilire un punto d’incontro dei contrari

destra, il cavalletto a sinistra. Nell’altro, due figure femminili rapidamente schiz-

altrettanto bene che con i colori. E poi, cos’è il colore? Quando si è detto rosso

zate fiancheggiano il cavalletto, la tavolozza e lo sgabello, la triade di oggetti che,

o verde non si è detto niente. Se è un rosso-lacca è una cosa, se è un rosso-ocra è

sola, resterà nel quadro, in cui la presenza umana è avvertibile pur senza essere

un’altra, e si può continuare all’infinito. Oh! Oh! Che differenza!... Per di più, ci

mostrata. «Ho l’impressione», nota Jean Paulhan osservando i disegni dei Cahiers,

sono differenze anche nel comportamento di ciascun colore. Il nero, per esempio,

«che Braque cerchi meno di quanto egli stesso non sia cercato. Da un non so che

è sembrato tanto più difficile da maneggiare dopo gli Impressionisti che l’avevano

di ossessivo, che moltiplica le chiavi e i segni, e lo assedia da ogni lato».

completamente abolito... Essi lavoravano all’aperto e mettevano il cielo dappertut-

Nel giugno del 1940, al momento dell’invasione tedesca, Braque è a Varengeville.

to. Eppure il nero è molto ricco come colore. Io porto il colore ovunque, e ogni

Per un breve momento si rifugia in zona libera, nel sud della Francia, ma nell’ot-

macchia è in funzione dell’insieme. Trattato così, il colore diventa astratto. Io uso il

tobre di quello stesso anno rientra a Parigi, che non abbandonerà più per tutta

colore in forme fisse per mostrare che esso agisce indipendentemente dall’oggetto.

la durata dell’Occupazione, chiuso nel suo atelier, ripiegato sul suo lavoro. Fra le

Ma per non cadere nel decorativo che insidia il colore lasciato a se stesso bisogna

piccole nature morte di formato orizzontale dedicate, in questo periodo di raziona-

stare vicini alla natura. Non si deve “pensare per quadri”, come fanno oggi molti

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER ISOLATI

giovani. Bisogna lasciarsi impregnare dalle cose, non si deve mai rompere il rapporto con loro e bisogna lasciarle diventare quadro quando vorranno. Non si deve

valore supremo, l’armonia fluttuante dei grigi cangianti che virano al bruno, al rosa

mai forzare nulla». L’autonomia interna della pittura è in consonanza con la realtà

o al giallo. L’equilibrio fra la trama lineare e le superfici curve e mosse è perfetto.

del mondo esterno. Gli oggetti, trascinati nel flusso di scambi e di corrispondenze,

L’occhio ammirato esplora instancabilmente i percorsi sempre nuovi che gover-

conservano la loro pienezza e la loro identità, subiscono delle trasformazioni, ma

nano questa semplice e maestosa euritmia spaziale.

mai delle deformazioni, mai delle violenze espressioniste. «Non devo deformare», dice Braque, «io parto dall’informe per dare forma».

Il disegno preparatorio (tav. 77) procede per graticci, spirali e linee avvolgenti, per concatenazione di motivi, nel senso musicale, sulla trama vibrante dello spa-

Nel 1942, l’anno in cui compie sessant’anni, un anno straordinariamente ric-

zio. Per la prima volta Braque ha permesso che venisse riprodotta, nel numero

co di nature morte e di quadri d’interno, con o senza figure, Braque realizza la

speciale della rivista Verve a lui dedicato nel 1955, una scelta dei suoi schizzi, fino

seconda e monumentale versione dell’Interno con tavolozza, detto anche Grande

allora gelosamente custoditi. «Chi saprà leggere attentamente i disegni», scrisse

interno (tav. 79) perché è una delle sue tele più grandi e, a questo punto della sua

allora Will Grohmann, «riuscirà ad accompagnare Braque per un pezzo di strada

evoluzione, una delle più compiute. Essa è un anello necessario fra L’atelier con

e a osservarlo al lavoro; si accorgerà che il pittore evita le giustapposizioni e le so-

lo sgabello del 1939 e il successivo ciclo degli Atelier, del 1949. La composizione

stituisce con l’intreccio e il viluppo».

resta quasi la stessa della prima versione ma tutto è trasformato dalla variazione di scala, di colori, dall’aggiunta determinante delle due volute trasparenti in primo piano sulla tela. Non sono le punte delle foglie di una tra le tante piante esotiche che crescono liberamente nell’atelier di Braque, ma le estremità del suo grande cavalletto, una a punta di sciabola, l’altra a corno di lira. Esse impongono allo spettatore che si identifica col pittore il piano di osservazione. Infatti circoscrivono gli oggetti mettendoli a fuoco, da un lato la tavolozza, il frutto, il bicchiere, scaglionati in altezza, dall’altro la piena e giusta forma squadrata del vaso, con la terra friabile, che nutre la pianta dalle foglie espanse, così ben rappresentata. La terra, il fango delle origini, è la sostanza base di cui Braque ha fatto il presupposto della sua pittura. Rimane l’immenso fondo nero dai bordi centinati solcati da righe orizzontali e verticali, ma le due fasce in contrappunto sono più chiare e di grana diversa. La sedia dai verdi audaci conserva la sua freschezza vegetale e la sua struttura a listelli. L’ombra leggera dello schienale si proietta sul muro e uno dei piedi si sposa coi piedi a sagoma dentata della tavola. La tavola, con la tovaglia ondulata, sviluppa,

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BRAQUE ateliers

70. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il teschio, 1938, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione B. Goulandris, Losanna.

71. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

72. GEORGES BRAQUE, Vaso, tavolozza e teschio, 1939, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione David Lloyd Kreeger, Washington DC.

73. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, cavalletto e teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

74. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il vaso nero, 1938, olio e sabbia su tela, 97, 2 × 129,5 cm. Collezione David Lloyd Kreeger, Washington DC.

GLI ATELIER ISOLATI

75. GEORGES BRAQUE, L’atelier con lo sgabello, 1939, olio su tela, 113 × 146 cm. Collezione Lucille Ellis Simon.


BRAQUE ateliers

76. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

GLI ATELIER ISOLATI

77. GEORGES BRAQUE, Grande interno, matita su carta a quadretti. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

78. GEORGES BRAQUE, Interno con tavolozza, 1941, olio su tela, 100 × 100 cm. Courtesy Galerie Thomas, Monaco.

GLI ATELIER ISOLATI

79. GEORGES BRAQUE, Grande interno (interno con tavolozza), 1942, olio su tela, 141 × 195,6 cm. The Menil Collection, Houston.


6 Gli Atelier Sinfonici


N

el 1945 e nel 1947 l’avvicendarsi di due malattie tiene Braque lontano dal-

la pittura per diversi mesi. Come durante la convalescenza dopo la ferita di guerra, approfitta del riposo per meditare ancora sulla sua esperienza e sul suo mestiere, ormai inseparabili – «con l’età», dice, «l’arte e la vita diventano una cosa sola» – e per verificare la coerenza, nel tempo, del suo percorso e della sua riflessione. «Volevo fare una sorta di confronto generale, vedere come si erano sviluppate le cose. E confesso che mi sono ritrovato in me stesso, ho ritrovato quella specie di costanza che è rimasta intatta attraverso tutte le trasformazioni della mia arte». I pensieri recenti e i pensieri antichi, manoscritti, inframmezzati da disegni, compongono il suo Cahier: 1917-1947, edito nel gennaio 1948 da Aimé Maeght, divenuto suo mercante. Braque esprime per aforismi, alla maniera dei moralisti, la sua profonda saggezza – «non aderire mai» – e la sua vera estetica nel senso primo del termine, cioè sensibile e non intellettuale. «L’emozione non cresce se non cercando di riprodurre se stessa. Essa è il germe, l’opera è la fioritura». L’essenziale per lui è abolire il concetto che ottenebra: «un quadro è finito quando ha cancellato l’idea»; scoprire il vuoto originario che precede ogni creazione: «il vaso dà una for-

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

ma al vuoto e la musica al silenzio». Sfuggire alle convenzioni, ai pregiudizi, alle

cui ha seguito da vicino l’elaborazione. E in quest’occasione riferisce le confidenze

pastoie della teoria o della passione per «avere la testa libera, essere presente».

di Braque sull’illuminazione che lo ha colpito durante questo lavoro: «Ho fatto una

E, in questo stato di apertura, di disponibilità, «cercare quanto è comune, che

grandissima scoperta: non credo più a niente. Per me gli oggetti non esistono se

non significa quanto è simile», sostenere «la speranza contro l’ideale, la costan-

non in virtù di un rapporto armonioso tra loro e tra loro e me. Quando si arriva a

za contro l’abitudine, la fede contro le convinzioni, il perpetuo contro l’eterno».

quest’armonia, si arriva a una specie di nulla intellettuale. Così tutto diventa possi-

L’opera di Braque si allarga e si sviluppa per cicli. Alla serie straordinaria dei

bile, tutto diventa adatto, e la vita è un’eterna rivelazione. È questa la vera poesia».

Biliardi, sette versioni fra il 1944 e il 1949, una ritoccata nel 1952, segue immedia-

La raccolta del 1947-1955 dei Cahiers di pensieri, che corrisponde appunto al

tamente la cruciale serie degli Atelier, fra il 1949 e il 1956, che, esauriti gli approc-

periodo degli Atelier, testimonia in brevi formule lo stesso cambiamento:

ci preliminari, dobbiamo ora affrontare. Essa rappresenta senza alcun dubbio, e i

«Per me non si tratta più di metafora, ma di metamorfosi.»

suoi più autorevoli esegeti lo confermano, il raggiungimento supremo di Braque su

«Dimentichiamo le cose e prendiamo in considerazione solo i rapporti.»

un tema che è la sostanza della sua ricerca spaziale e del suo mondo interiore. Nel-

«La realtà si rivela solo se illuminata dal raggio della poesia.»

la raccolta di scritti in onore di Braque, edita da Maeght nel 1964, alla sua morte,

Questa visione ispirata anima il ciclo proteiforme degli Atelier, dove gli oggetti coesi-

André Chastel osserva: «L’atelier è diventato il tema centrale perché il pittore non

stono in perpetua metamorfosi, dove la totalità dello spazio si muove e cambia struttura,

ha più altro oggetto che la sua pittura, ed egli lo ammette in assoluta buonafede.

mentre l’equivoco e l’ambiguità diventano fattori di poesia. Il capitolo iniziale di questo

Fanno da preludio agli Atelier, poco dopo il 1930, numerose tele occupate da una

libro esamina il tema dell’atelier e le sue diverse interpretazioni da Rembrandt e Vermeer

tavolozza e un cavalletto, che dunque alludono al lavoro stesso del pittore.

a Matisse e Picasso. Braque arriva più lontano di tutti in questo processo di appropria-

Il ciclo ne è veramente un compimento: esso riassume la vocazione dell’artista

zione e trasfigurazione. Andare a far visita di volta in volta a Braque e a Picasso, nel se-

come approfondimento di un solo atto, quello del dipingere e, più precisamente,

condo periodo della loro vita, era come penetrare in due universi opposti. Quando si ar-

come glorificazione dell’atteggiamento liberatorio che nasce dall’attesa dell’ispi-

rivava da Picasso, lui vi veniva incontro e vi accoglieva con la sua formidabile e cordiale

razione, o ancora come evocazione grandiosa della pittura in quanto specifica e

vitalità. Vi soggiogava l’uomo, prima del pittore, e l’opera veniva mostrata solo in un se-

sufficiente esaltazione di sé. Ma questa celebrazione equivale a dire che l’atto di

condo tempo. Dappertutto il demiurgo portava con sé la sua forza creatrice, occupando

dipingere esprime e racchiude il momento supremo di una vita, che esso assicura,

qua e là per le sue dimore, senza farci troppo caso, le stanze che gli servivano da atelier.

anche e soprattutto come promessa, l’intensità dell’esistenza e, forse, la sua dignità.

Per Braque, uomo di pazienza e non di folgorazione, esecuzione e visione coincido-

Tanto che la pittura deve prima di tutto, come nell’arte della preghiera orientale, far

no. La pittura è fine a se stessa e non può compiersi che nel santuario dell’atelier. Quan-

apparire la propria attesa, avviare cioè uno scambio fra l’alto e il basso, fra l’esse-

do si arrivava nella sua quieta dimora di Parigi, vicino al parco Montsouris, Mariette

re e l’assenza, che è la dimensione poetica ultima, come ha solennemente spiegato

Lachaud, la sua fedele assistente, vi riceveva e vi accompagnava al piano di sopra. E la

Reverdy, l’attento amico di Braque».

prima cosa che si offriva al vostro sguardo, nella sua disposizione concentrica, era l’intero

Nel giugno 1955, in alcuni articoli pubblicati su L’Œil e The Burlington Maga-

spazio dell’atelier. Braque, di cui non ci si accorgeva subito, si teneva in disparte, seduto

zine, John Richardson presenta le prime rigorose analisi del ciclo degli Atelier, di

sul divano, assorbito dall’alone silenzioso della sua opera, davanti alla quale si annullava.

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

Allora si alzava per raggiungervi, umile e maestoso, vestito di velluto beige o bruno, della

attratti ciascuno da un quadro o da un oggetto... “ebbene, ecco”, egli disse sem-

stessa tonalità dei suoi quadri, sguardo di luce e capelli bianchi, viso di nobiltà e di pace,

plicemente, “è qui che tutto succede”, e la sua occhiata circolare sembrava cercare

«uno dei volti più belli che mai si siano visti sulla terra», afferma Marcel Jouhandeau.

e mostrare a un tempo qualcosa di indicibile che non erano i suoi quadri. Queste

Gli altri atelier che si era fatto costruire e arredare secondo i suoi gusti, a Parigi

parole, il cui senso andava molto al di là del banale “è qui che lavoro”, alludevano

nel 1925, a Varengeville nel 1929, e fra i quali da una stagione all’altra andavano e

a una realtà drammatica e per noi piuttosto misteriosa: cos’era di preciso questo

venivano i quadri di lenta elaborazione, che egli trasportava con la sua macchina,

‘tutto’, questa cosa difficile da dire e da spiegare, che non avremmo mai potuto ve-

in qualche occasione sono stati descritti e più spesso fotografati, soprattutto nel pe-

dere, questo evento senza interruzione né fine che si verificava lì, con tale costanza,

riodo di osmosi e di fama crescente, quando erano l’ambiente e il motivo della sua

giorno e notte?». Jean Paulhan definisce Braque non il maestro dei rapporti concreti,

pittura. Orientati a sud, anziché a nord come vuole la tradizione, ricevono la luce

come viene comunemente chiamato, ma piuttosto il maestro dei rapporti invisibili,

mutevole smorzata dal doppio schermo dei vetri imbiancati a calce e delle tende

l’officiante di una bellezza metafisica.

di tela leggera. Il volume interno è interrotto in un angolo da una grande cortina

Gli otto quadri in cui domina la poesia segreta dell’atelier hanno ciascuno un

pieghettata che nasconde il ripostiglio e forma lo sfondo neutro contro il quale si

numero d’ordine, in cifre romane. Gli Atelier da i a v, dipinti tutti nel 1949, ven-

dispongono a semicerchio i quadri in lavorazione, appoggiati su cavalletti o sul pa-

gono esposti alla galleria Maeght nel gennaio-febbraio 1950. L’Atelier

vimento. Davanti al muro vicino, un alto paravento a cinque pannelli fa da schermo

anch’esso nel 1949, finito nella primavera del 1952, viene esposto alla galleria Ma-

laterale e da scansione geometrica. Braque ha sempre davanti agli occhi il ventaglio

eght nel giugno-luglio 1952. L’Atelier vii, iniziato nel 1952, terminato in una prima

cangiante della sua creazione. Alle pareti sono appesi quadri incorniciati, manife-

versione nel 1953, poi ripreso e diventato il numero ix (il numero vii non esiste più),

sti, riproduzioni, litografie – tecnica alla quale si dedica sempre più – , strumenti

e l’Atelier viii, cominciato nel 1954 ma finito prima dell’Atelier ix, nel 1955 e non

musicali, ciottoli scolpiti e feticci africani. Tavoli di tutte le misure, sedie, sgabelli

nel 1956, vengono entrambi esposti alla galleria Maeght nell’aprile-maggio 1956. In

sostengono le fruttiere, i vasi di fiori, gli strumenti e l’attrezzatura del pittore, gli og-

passato, dunque, l’intera serie degli Atelier non è mai stata esposta tutta assieme e

getti che egli fabbrica o colleziona. A terra ci sono brocche, boccali, i vari recipienti

ancor oggi appare cosa assai difficile da realizzare, eppure sarebbe un avvenimento

per contenere e frantumare i colori, gli orci ornati di piante o di mazzi di pennelli.

eccezionale e la migliore celebrazione “sinfonica” di Braque.

vi,

iniziato

Su un leggìo sono posati i preziosi quaderni di disegni, fonte di ispirazione che egli

Tranne l’Atelier i, sono tutti quadri di notevoli dimensioni, i più grandi dipinti

consulta, dice, come una cuoca i libri di ricette. Le penne e le matite sono disposte

da Braque e, salvo l’Atelier v, tutti organizzati secondo una visione frontale. L’A-

in fila su dei fogli di cartone ondulato. Il divano nell’angolo più remoto, sul quale

telier i e l’Atelier

Braque si riposa, medita, osserva l’evolversi della sua opera, è carico di cuscini. Ecco

l’ultimo è quadrato – devono essere giudicati, per ammissione dello stesso Braque,

il microcosmo che il soffio visionario della pittura trasfigura liricamente.

come «fuori serie» per la semplificazione del tema o per il carattere parziale della

v

– di formato verticale, mentre gli altri sono orizzontali e solo

Nel già citato articolo del 1953, Georges Limbour racconta che Braque un giorno

trattazione. Inoltre non comprendono la figura essenziale dell’uccello, la cui presen-

fece visitare a diverse persone il suo atelier di Varengeville, attiguo alla casa come un

za, insolita in un ambiente chiuso, al centro della composizione ricca e complessa

granaio alla fattoria. «Dopo che tutti furono entrati e subito si furono sparpagliati,

degli altri sei Atelier, ha suscitato grande sconcerto e disparate interpretazioni. La

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

sua origine, nient’affatto simbolica, è un uccello dipinto su una tela, poi distrut-

dità del volume. Braque ha ritagliato nel cartone la forma della brocca, seguendo

ta, che Braque aveva allora sottocchio. Trattato dapprima come tale, cioè come

la tecnica che Matisse allora impiegava con successo. In quest’opera c’è un con-

pittura nella pittura, l’uccello tende a staccarsi dal suo supporto e a volare sopra

fronto tra due modi di rappresentazione e di esecuzione, sottilmente assoggettati

l’atelier, imprimendo allo spazio movimento e transustanziazione. Ascoltiamo il

alla geometria, un dialogo fra due tipi di brocche.

poeta, René Char, mentre dialoga col pittore: «Mi piace che nella serie di opere

Il pittore e critico inglese Patrick Heron fa visita a Braque nel giugno del 1949,

intitolate l’Atelier del pittore lei abbia accumulato e quasi stipato con geniale in-

quando inizia il ciclo degli Atelier. E la prima cosa che lo colpisce entrando nella

gratitudine le forze emergenti e ben visibili del suo fantasticare e del suo lavoro.

stanza, riferisce in un breve e denso saggio, è «la familiare brocca nera che fluttua

Esse si trasmettono reciprocamente lo slancio. E questo colombo, meglio, questa

in qualche punto al centro dello spazio», davanti alla tenda leggera della finestra.

fenice, ora ebbra di velocità, ora tondeggiante, sia che solchi, sia che fissi il cie-

La brocca, come la chitarra, è uno degli attributi di Braque, che la disegna spesso,

lo fioccoso del suo atelier, emana un soffio di vento e una presenza che scuotono

a volte assieme alla tavolozza. Nei suoi quadri appare, sdoppiata, a partire dalla

tutta la sua pittura recente».

prima natura morta del 1906, Natura morta con due brocche (Londra, collezione

L’Atelier i (tav. 81) è l’unico della serie in cui non compaiono la tavolozza o

privata). In diverse varianti, la brocca domina la volumetria della fase cézanniana,

il cavalletto, gli strumenti del mestiere. Ma nella forma semplificata e nel campo

si eclissa durante la ricerca di superfici piane del periodo cubista, risorge fra le

ristretto ci dà una dimostrazione impeccabile della magia della pittura. Esso riu-

due guerre e soprattutto dopo il 1949, quando impone la sua corposità a numerosi

nisce, in una visione ravvicinata e frontale, statica, tre oggetti nettamente definiti,

quadri cui dà anche il titolo. La terracotta si afferma come una delle arti più anti-

non ancora travolti dal flusso di metamorfosi che dilaga negli Atelier successivi. In

che e più universali per il suo valore utilitaristico e la perfezione astratta delle sue

basso a sinistra emerge l’estremità destra di una cornice riccamente ornata. Spesso

forme. La brocca che si può prendere fra le dita è per Braque una compagna taci-

Braque confeziona personalmente le sue cornici, listelli sottili o bordure in rilievo

turna, un riferimento plastico fuori dal tempo, il pegno della permanenza umana.

il cui profilo si accorda con lo stile della composizione. Due tele non incornicia-

Un dipinto inedito (tav. 85) giustappone, secondo lo stesso principio del quadro

te, sovrapposte con un leggero scarto, due dipinti nel dipinto, occupano la zona

nel quadro, una natura morta di fiori al posto di quella coi limoni e una tela con

centrale, sul fondo rosa spento e granuloso. La tela inferiore, più bassa e più stret-

brocca gialla al posto di quella con la brocca bianca.

ta, posta in primissimo piano e caratterizzata dall’aspetto grasso della materia, è

Con l’Atelier ii (tav. 82), completamente diverso dall’Atelier i, nasce e si espan-

la replica di un quadro dello stesso anno, Brocca nera e limoni (Parigi, collezione

de su un grande formato l’ambiente fluido, diffuso, permeabile agli scambi e alle

privata), riprodotto in Cahiers d’Art nel 1951. I toni gialli e verdi dei frutti sotto-

trasmutazioni, capace di accogliere al di sopra degli oggetti familiari l’elemento fa-

lineano l’armonia bassa e morbida dei grigi, dei bruni e dei neri. Copre in parte

voloso che meno di tutti può essere rinchiuso, l’uccello del cielo. Tutta l’atmosfera

la tela sovrastante, appoggiata su una sedia o uno sgabello. Qui, sulla tensione di

della stanza s’incupisce, non solo perché «c’era», riconosce Braque, «una nota sorda

uno sfondo nero uniforme ma modulato, si staglia la sagoma piatta di una brocca

nella luce dell’atelier», ma anche perché la riduzione del colore a tonalità neutre è

bianca che sembra appoggiata sull’orlo della tela in basso. L’elemento che prevale

necessaria, come agli inizi del cubismo, per esplorare nuove strutture spaziali. Do-

è la purezza del contorno, ma il contrasto fra il nero e il bianco suggerisce la roton-

minano i grigi, i bruni, i neri, i toni scuri e sfumati, rischiarati da qualche bagliore.

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

È col favore delle tenebre, della notte amica dei poeti, dei mistici, che Braque riceve la sua rivelazione, realizza la propria liberazione.

Il preciso disegno preparatorio, al tratto (tav. 83), in cui il cavalletto si interpone fra l’orcio e il vaso, mostra chiaramente l’origine dell’uccello come figura dipinta.

Una linea, virtuale ma intuibile, a segmenti, divide orizzontalmente la superfi-

Gli oggetti non si sovrappongono su due piani equivalenti, il basso e l’alto, il vicino

cie in due parti quasi uguali. La parte inferiore, in primo piano, vista dall’alto, è

e il lontano, il tattile e il visivo, ma si compenetrano inestricabilmente sull’intera

dedicata a oggetti che appaiono più grandi del naturale per accentuarne il valore

superficie della tela la cui disposizione rimane frontale. Nella parte sinistra, tap-

tattile e per condurre lo sguardo a salire verso l’interno, verso la zona superiore,

pezzata con la carta da parati dalla calda tonalità ocra che compare nel precedente

non più tattile ma visiva, arretrata in profondità, nella quale domina l’uccello. Due

Atelier, il tavolino dalle gambe pieghevoli, sottolineate in bianco, sorregge l’orcio e

linee bianche e sottili, continue, oblique, che tendono a congiungersi verso l’alto,

la caraffa. La tavolozza, verso il centro, dipinta in grigi e bruni delicati quasi si trat-

dividono verticalmente la composizione in tre sezioni irregolari, di forma trapezoi-

tasse di un quadro, si appoggia al cavalletto che per contaminazione incurva i suoi

dale, quella centrale un po’ più larga di quelle laterali. A sinistra, sul tavolino nero

bracci. I pennelli che escono dalla tavolozza puntano verso il vaso cilindrico a sua

cerchiato di chiaro, si notano la splendida tavolozza curvilinea, senza pennelli, che

volta adorno di pennelli. Sul tavolo, a destra, poggiano il vaso dei pesci cerchiato

condensa su di sé i toni e i colori dell’insieme e la statua di profilo, coi lineamenti

di colori vivaci e una specie di regolo o di squadra. La presenza dell’acquario, un

grigio-azzurri sdoppiati in bianco e l’occhio intenso all’altezza dell’asse mediano

motivo trattato a parte nello stesso periodo, accentua la fluidità della materia pit-

orizzontale, la testa greca classicheggiante che torna spesso in Braque. Più in alto

torica e il suo aspetto liquido.

si vedono un vaso cilindrico e la parte superiore del cavalletto cruciforme. Al cen-

In alto a destra, ma più arretrato che negli altri Atelier, plana davanti al fondo

tro troneggia l’orcio monumentale, con la base a capitello, sul ventre del quale si

nero l’uccello bianco dalla testa affilata. Le righe verticali che lo fissano sul caval-

staglia la brocca nera del quadro precedente; più sopra, oltre la curva linea gialla,

letto determinano, come ha osservato Bernard Zurcher nella sua monografia su

una coppa di uva. Sul tavolo a destra sono posati la fruttiera dal bordo ornato e

Braque, «l’effetto stroboscopico che anima il suo immobile volo». Alcuni elementi

un curioso recipiente, brocca o caffettiera. Sulla metà destra della zona superiore

geometrici arbitrari, come il rettangolo chiaro e quello scuro fra l’orcio e la tavo-

piana, immobile, le ali e la coda dispiegate, l’uccello bianco, immenso, che, nota

lozza, ritmano gli intervalli tra le forme reali e le forme suggerite. Braque è parti-

Richardson, sembra come illuminato da un riflettore ed è chiuso fra striature ver-

colarmente abile nel variare le tessiture e nel dosare le strutture. Confida a Dora

ticali. Fra la tavolozza e l’orcio, sul quale sconfina, si lancia verso destra, in dire-

Vallier la natura del suo processo creativo: «Se dovessi cercare di definire qual è

zione contraria a quella dell’uccello, un’enorme freccia triangolare beige. Si tratta

il cammino dei miei quadri, direi che prima di tutto c’è un impregnarsi, cui segue

di «un incidente incorporato», dice Braque, il cui ruolo dinamico e stabilizzatore a

un’allucinazione... che diventa a sua volta un’ossessione, e per liberarsi dall’osses-

un tempo è essenziale. Alcuni elementi non identificabili, filamenti lineari, frange

sione bisogna fare il quadro».

decorative, contribuiscono all’articolazione visionaria dello spazio.

Benché abbia quasi le stesse dimensioni dell’Atelier vii, il più grande della serie,

L’Atelier iii (tav. 84), un po’ più grande dell’Atelier ii, si fa ancora più complesso,

Atelier iv (tav. 85) è quello con la disposizione più semplice e con il minor numero

più sovraccarico, più difficile da decifrare. «Non bisogna chiedere all’artista», av-

di elementi. Lo spazio, senza divisione orizzontale né spartizione interna, si restringe

verte Braque, «più di quanto possa dare, né al critico più di quanto possa vedere».

per riportare in avanti gli oggetti ingranditi e collegati metaforicamente. A sinistra

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

si erge come un personaggio fantomatico il grande cavalletto dipinto a falso legno

L’Atelier vi (tav. 89) ha le stesse dimensioni dell’Atelier ii ma un’ambientazione e

crea un movimento di

che sostiene un piccolo quadro dai colori vivaci, appoggiato a sua volta su un altro

più intima. Il traliccio verticale, che negli Atelier ii,

quadro dai toni cupi. Al centro e in basso, presenza tattile al margine estremo della

“piegatura” e degli effetti di rifrazione, è scomparso. Gli oggetti accumulati flut-

tela, il vaso dal profilo panciuto contiene tre pennelli lunghi e neri piantati vertical-

tuano come in sogno in una dolce penombra non rischiarata dalle due lampade

mente. La tavolozza della stessa tonalità, ravvivata da un tocco di rosso, circonda il

elettriche appese al soffitto, Luna nuda lampadina, l’altra col paralume decorato di

vaso e nel punto di intersezione con la sagoma del vaso stesso emergono trasversal-

blu cobalto, unica nota accesa in una gamma sorda di toni grigi, bruni e camoscio.

mente tre pennelli corti e bianchi. In alto a destra l’uccello bianco picchiettato di

La tavolozza dilatata e granulosa occupa, in primo piano in basso, il posto centrale

bruno, che si profila contro lo sfondo scuro di tende e quadri, incurva decisamente

fra il vaso decorato a destra e il tavolino a sinistra, su cui sta un quaderno con la

le ali per accordarsi alla forma circolare della tavolozza «come se lui stesso fosse

scritta cahier in caratteri maiuscoli, allusione al Cahier di pensieri che Braque sta

diventato», scrive Edwin Mullins nel suo libro su Braque, «la tavolozza del pittore

completando e al Cahier di disegni che tiene costantemente sott’occhio per trarne

che spicca il volo». Fra la tavolozza e l’uccello si stende una zona di consistenza

ispirazione. Sopra il quaderno si dispone in altezza una serie di vasi e di orci che

pastosa, dai tocchi spezzati e picchiettati, che include i profili di un orcio. A destra,

scandiscono la profondità. Fra i recipienti e la tavolozza si erge la testa femminile

si trasforma in rosone piatto e decorativo, dalle volute a

di profilo derivata dalla scultura Hesperis, che compare in due Nature morte con la

la fruttiera dell’Atelier

ii

colori vivaci, arancio, giallo e verde. Un largo raggio chiaro, grigio uniforme, funge da collegamento fra il vaso, la tavolozza e il braccio ricurvo del cavalletto. La trama di striature verticali rende la superficie ondulata e vibrante.

iii

iv

tavolozza riprodotte precedentemente e nell’Atelier ii. Il cavalletto, sghembo e con aspetto umano, collega la tavolozza al suo omologo per forma e colore, il grande uccello bruno senza testa. Lo sfondo è formato dalle

L’Atelier v (tav. 88), di formato verticale – per il quale abbiamo il canovaccio di

superfici di alcuni quadri. All’estrema destra sono disegnate o incise al tratto cinque

un disegno preparatorio a matita (tav. 86) e uno studio dipinto inedito (tav. 92) –

figure bulbose, tavolozze o uccelli in miniatura. Il vero elemento di sorpresa su cui

non ritrae l’intera stanza, ma solo un frammento dell’atelier, l’angolo sinistro, senza

si focalizza il quadro è l’uccellino bianco, veristico, vivace c scattante, appollaiato

l’uccello, che sta sempre a destra negli Atelier in cui compare. Tre sezioni verticali

sul cavalletto, in piena luce, che sembra dialogare con la testa femminile profilata

scandiscono lo stretto spazio. Sul muro laterale è fissata una lampada elettrica. Sul

di bianco. Nelle conversazioni con André Verdet, Braque rivela il proprio sforzo

muro al centro una fascia di tende e carta da parati relega verso destra i diversi og-

per padroneggiare l’universo sovraccarico dell’atelier e indica il ruolo fondamentale

getti. In basso, su un tavolo con la tovaglia a scacchi, il bicchiere, l’orcio, lo spartito

che egli attribuisce a questo uccello. «C’è voluta molta costanza per riuscire a tenere

musicale e la tavolozza coi pennelli e con tocchi di colore rossi e verdi. In alto, una

insieme tutta questa congerie eterogenea. Chi dice atelier dice ingombro, presenza

testa femminile di profilo dipinta su una tela ovale poggia apparentemente su un

di tante cose, brulichìo di oggetti. Sulla tela ero assalito da ogni parte da questi di-

cavalletto, mentre più sopra una cornice rettangolare inquadra un’altra tela o uno

versi oggetti che creavano piani diversi. Gli oggetti tutt’a un tratto si mettevano a

specchio. La composizione si dispone secondo punti di vista contrapposti, frontale

vivere di vita propria, distinta, ognuno per conto suo. Ma per me lo scopo finale è

per la zona superiore, dall’alto per la natura morta in basso, senza tuttavia rompere

il quadro nella sua entità risolta, e non in ciascuna delle sue particolarità. La neces-

l’unità plenaria dello spazio.

sità di fondere. In uno di questi Atelier l’uccello è andato da solo a posarsi in alto,

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

bianco effetto di sorpresa... A quel punto, ho desiderato che tutto si irradiasse a

spinta in senso contrario dei due triangoli bianchi puntati verso destra. I margini

partire da lui... All’inizio si vede solo lui... Poi lo sguardo si spande attorno alla

laterali sono coperti da un groviglio di reticoli lineari e di piani geometrici diver-

sua luce... Il canto di quella luce inonda il quadro. Il quadro finisce per diventare

si, variamente orientati e variamente colorati, bruni, verdi, rossi: è difficile capire

un canto». Il canto che si leva dagli Atelier ha la risonanza di un cantico su una

se si riferiscano a forme reali o se siano semplici motivi ritmici di raccordo. Tutto

musica d’organo o d’oratorio.

contribuisce ad animare il volume interno nella sua molteplicità, rispettando però

L’Atelier viii (tav. 91), il più grande della serie, come già detto, è anche il più

l’esigenza pittorica della superficie piana. In un articolo pubblicato nel numero

complesso per struttura e l’unico che includa il colore inteso come forza costi-

di gennaio-febbraio 1950 della rivista Derrière le Miroir, il filosofo Henri Mald-

tutiva. Nel 1952 un importante disegno preparatorio, matita nera ravvivata ad

iney constata, esaminando le prime versioni degli Atelier, e la sua osservazione si

acquarello e olio (tav. 90), fissa gli elementi base della composizione. Sopra due

addice ancor più alle versioni successive: «La superficie totale del quadro è dap-

tavolini rapidamente schizzati, un grande tavolo giallo accostato a sinistra a un

pertutto presente come una struttura essenziale che determina tutti gli elementi,

pannello verticale sostiene due vasi, uno grande e uno piccolo, ornati di fiori stel-

come l’unità di misura universale e particolare di tutte le proporzioni esistenti

lati. In alto a destra, su uno sfondo rosso, sorge il vasto uccello bianco stilizzato.

fra i pieni e i vuoti».

Nel 1953 Braque realizza tre splendide vetrate a dominanti bianche e rosse per

La firma, formata dall’iniziale del nome, incurvata come una tavolozza, e dal

una cappella rustica di Varengeville. La sperimentazione sull’irraggiamento del

cognome sottolineato, che, nota Francis Ponge, è una via di mezzo fra “Bach” e

vetro e la luminosità del colore fa sentire i suoi effetti sulla pittura.

“barque” (barca), è il sigillo finale che Braque, da buon artigiano, appone a cia-

Braque mette mano

scuna delle sue tele giunte lentamente a compimento. La scelta del corpo dei ca-

all’Atelier viii, che ha un fondo di preparazione grigio, e non nero come nelle al-

ratteri, del colore, della collocazione, dell’orientazione, è accuratamente pensata.

tre versioni, arricchendo la trama dello schizzo preparatorio. In primo piano si

In questa tela straordinaria per dimensioni e sonorità, acquistata, appena finita,

moltiplicano i tavoli e i sostegni, sui quali si distinguono, da sinistra a destra, una

dal critico e collezionista Douglas Cooper, la firma a lettere maiuscole di color

strana ruota dentata, un piatto di ciliegie, una coppa di frutta con due mele e un

bruno si colloca nell’angolo sinistro.

Nel febbraio del 1954, lasciato in sospeso l’Atelier

vii,

grappolo d’uva, la tavolozza bianca coi suoi tocchi di colore neri e con i pennelli

Molte fotografie, due delle quali sono qui riprodotte (tav. 84 e 103), mostrano

verdi, un righello, la bottiglia bruno scuro al centro di una zona punteggiata su

l’Atelier vii nel 1953, allo stadio iniziale, nel luogo in cui è stato creato, che è an-

toni bianchi, rosa e verdastri. È questo il percorso tattile, visto dall’alto.

che il soggetto del dipinto. L’opera è derivata da due splendidi lavis a colori (tav.

Lo spazio centrale si organizza intorno a tre larghe falde di colori vivaci col-

97 e 98). La composizione, di grande formato quadrato, rinuncia al fondo orna-

legate fra loro: il tavolo giallo irregolare sul quale i vasi grigio chiaro non hanno

mentale, ai labirinti creati dai meandri e dalle piegature dello spazio, e si orga-

più i fiori, e i due rettangoli rossi che lo fiancheggiano, verticale quello di sinistra,

nizza su uno schema semplificato: a sinistra gli strumenti del pittore, il cavalletto

orizzontale quello di destra. La flessione verticale è ribadita dalle pieghe dei ten-

e la tavolozza; a destra, secondo il principio dell’Atelier i, due quadri nel quadro

daggi gialli e neri fra le due superfici rosse, la tensione orizzontale dal – l’invo-

sovrapposti fra loro, l’enorme orcio ereditato dall’Atelier

larsi verso sinistra dell’uccello, non più contenuto entro lo sfondo rosso, e dalla

uccello bianco in tutta la sua espansione.

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ii

e, sopra, il familiare


BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

Durante l’inverno 1955-1956, dopo aver finito l’Atelier

Braque riprende

Questa tela, che rappresenta un momento di sintesi fondamentale, è entrata

(tav. 95) e viene esposto alla

per donazione nel gruppo di opere di Braque conservate al Musée National d’Art

galleria Maeght nell’aprile-maggio 1956. In quell’occasione il poeta e critico Jac-

Moderne di Parigi, catalogate da Nadine Pouillon. La studiosa ne sottolinea la

ques Dupin scrive sulla rivista Derrière le Miroir: «Succede che l’intensità lirica sia

complessità di significati ma si arena a sua volta quando si tratta di descriverla, a

tale, la tensione plastica fra gli elementi del quadro così forte, che lo spazio non

causa degli elementi opposti che vi si coniugano in perpetua interazione. «Così

può contenere la contraddizione racchiusa nell’uccello. E l’uccello va in frantu-

poliformia e metamorfosi poetica», dice, «legano gli oggetti, ma anche le cose con-

mi». Uno schizzo preparatorio a matita (tav. 94) preannuncia il mutamento esplo-

crete e le ombre, il reale e l’irreale, il materiale e l’immateriale, la volumetria e la

sivo dell’uccello che ha come conseguenza la rifusione dell’insieme, evidente nella

superficie piana, l’opaco e il trasparente, il presente e l’affiorante, l’apparizione e

sostanza pittorica più che nella disposizione ritmica. Se l’Atelier viii rimane il più

la scomparsa, il nascere e l’annullarsi, il sé e l’altro, il definito e l’indefinito».

completamente l’Atelier

vii,

che diventa l’Atelier

ix

viii,

audace ed è unico dal punto di vista cromatico, l’Atelier ix, che conclude la serie, è

L’importante è che lo spettatore abolisca le parole e penetri visivamente nel ci-

certo il più lirico e il più inquietante. Malgrado qualche accenno di colore, Braque

clo continuo degli scambi. «Chi guarda la tela», suggerisce Braque, «rifà la stessa

ritrova l’atmosfera cupa e l’ambiente fluido, instabile, in cui gli oggetti appaiono

strada dell’artista e, siccome la strada conta più che la cosa, si è più interessati al

e svaniscono come fantasmi. La struttura centrale dell’alto cavalletto cruciforme,

percorso». Come Cézanne, Braque ci dà la gioia di rendere percepibile ogni passo

di cui si avvertono i bracci sotto lo strato di pigmento, divide lo spazio orizzontal-

del suo cammino. «Per me», dice, «la messa in opera ha sempre la precedenza sui

mente e verticalmente in quattro zone distinte. Sotto la linea mediana, l’orcio om-

risultati scontati».

broso definito da un contorno beige nasconde all’interno, visibile per trasparenza,

Durante il periodo di elaborazione degli Atelier, Braque ha dipinto altre tele

una fruttiera verde. L’uccello si strappa dalla sua matrice scura e, con un effetto da

importanti, composizioni d’interni, composizioni all’aperto, quadri di figure, gran-

vetrata, si fraziona in segmenti luminosi, gialli, ocra, grigi, azzurrini.

di vasi di fiori che affascinavano Giacometti, e ha messo mano a tutta una serie di

Il critico americano Jed Perl ha notato come questa frammentazione convulsa

marine e di piccoli paesaggi della Normandia. Ma il motivo, nel senso letterale della

corrisponda in maniera perfetta all’immagine della poesia secondo Braque: «una

parola, che lo coinvolge più di ogni altro e che si sviluppa in una gamma espres-

rondine trafigge il cielo». Essa inoltre porta a compimento la forma stellata che

siva ampia e molteplice – pittura, disegno, decorazione parietale, in particolare il

compare come un presagio nel superbo Atelier con lo sgabello del 1939. Al centro

soffitto della sala Enrico

della parete sinistra contro cui si ergono i montanti arancione di un altro cavallet-

si sottrae al chiuso dell’atelier e conquista il suo vero ambiente nell’immensità del

to, spicca, con le sue rotondità sensuali e la sua vivace tonalità rosa, la tavolozza

cielo. Fra i poeti che, a partire da Apollinaire, fanno da splendido corteggio al pit-

trafitta da tre pennelli neri. L’angolo inferiore sinistro è occupato da un vaso di

tore la cui opera vuole essere una poetica, Saint-John Perse ha meravigliosamente

piante verdi, le foglie marezzate, dal quale esce in direzione dell’uccello la freccia

celebrato «gli uccelli di Georges Braque: più vicini al genere che alla specie, più

bianca e rossa dalla punta affilata. «Il sangue è nelle piume della freccia, non sulla

vicini all’ordine che al genere... Tentano la sorte vicino all’uomo, s’innalzano nel

punta», scrive René Char. Nell’angolo inferiore destro fluttuano tracce di oggetti

sogno nella stessa notte dell’uomo... Sono creazioni primigenie e non risalgono il

e segni arbitrari.

corso di un’astrazione. Non hanno dimestichezza col mito né con la leggenda...

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ii

al Louvre, litografie – è quello dell’uccello. L’uccello

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BRAQUE ateliers

GLI ATELIER SINFONICI

Lo spazio fecondo apre loro il suo spessore carnale, e la loro maturità si sveglia nel letto stesso del vento». Avendo io interrogato Braque sulla genesi dei suoi uccelli, egli mi scriveva il 23 maggio 1958: «Era da molto che gli uccelli e lo spazio mi interessavano. Il motivo mi si è presentato la prima volta nel 1929 per un’illustrazione di Esiodo. Nel 1950 avevo dipinto degli uccelli ma incorporati in nature morte, mentre nelle mie ultime cose sono stato molto assillato dallo spazio e dal movimento». Lo spazio e il movimento. Tutta l’avventura di Braque, seguita nel suo evolversi, sta nella conquista di un nuovo spazio e, alla fine, nella conquista del movimento nella sua densità materiale e nella sua durata tangibile. Ebbene, l’uccello, al quale egli nega ogni valore di simbolo, è l’immagine universale dello spazio e il principio organico del movimento. Il suo aereo fervore nasce dal suo peso terrestre. La sua strana irruzione nel cuore degli Atelier consacra la trasfigurazione dell’universo familiare al pittore e infonde allo spazio interno il proprio fremito perenne – «le Perpétuel et son bruit de source» – e il proprio irriducibile mistero. Nel momento in cui conclude gli Atelier, dalla trama a volte esoterica, Braque dichiara a John Richardson, che lo riferisce nell’Observer del 1 dicembre 1957: «Una volta ho scritto che in arte c’è una sola cosa, importante, quella che non si può spiegare. Spiegare il mistero di una grande pittura – se un’impresa simile fosse possibile – potrebbe fare un male irreparabile, perché ogni volta che spiegate o definite qualcosa sostituite la spiegazione o la definizione alla cosa stessa... Ci sono dei misteri, dei segreti nel mio lavoro che io stesso non capisco, e non provo neppure a farlo. Più si indaga, più il mistero si fa profondo. Esso resta sempre fuori dalla nostra portata. Bisogna rispettare i misteri se si vuole che conservino la loro forza... Senza mistero non c’è poesia, la qualità che, in arte, io metto al di sopra di tutto».

188 80. GEORGES BRAQUE, La brocca gialla, 1948-50, olio su tela, 46 × 61 cm. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

81. GEORGES BRAQUE, Atelier i, 1949, olio su tela, 92 × 73 cm. Collezione J. P. Guerlain, Parigi.

GLI ATELIER SINFONICI

83. GEORGES BRAQUE, Atelier iii, matita su carta. Collezione privata.


BRAQUE ateliers

82. GEORGES BRAQUE, Atelier ii, 1949, olio su tela, 131 × 162,5 cm. Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf.

GLI ATELIER SINFONICI


BRAQUE ateliers

84. GEORGES BRAQUE, Atelier iii, 1949, olio su tela, 145 × 175 cm. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI


BRAQUE ateliers

85. GEORGES BRAQUE, Atelier iv, 1949, olio su tela, 130 × 195 cm. Collezione Mrs. e Mr. Paul Sacher, Basilea.

GLI ATELIER SINFONICI


86. GEORGES BRAQUE, Atelier v, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

87. GEORGES BRAQUE, Profilo e tavolozza su fondo nero (Studio per Atelier v), 1949, olio su tela, 100 Ă— 65 cm. Collezione privata.


GLI ATELIER SINFONICI

88. GEORGES BRAQUE, Atelier v, 1949-50, olio su tela, 130,8 × 74 cm. Collezione privata.

89. GEORGES BRAQUE, Atelier vi, 1950-51, olio su tela, 130 × 162,5 cm. Fondazione Maeght, Saint-Paul-de-Vence.


BRAQUE ateliers

90. GEORGES BRAQUE, Atelier viii, olio, acquarello e matita su carta a quadretti. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI


BRAQUE ateliers

91. GEORGES BRAQUE, Atelier viii, 1952-55, olio su tela, 132 × 197 cm. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI


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92. GEORGES BRAQUE, Atelier vii, acquarello, olio, lavis bruno e matita su carta a quadretti. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI


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93. GEORGES BRAQUE, Atelier vii, acquarello, olio, lavis bruno e matita su carta a quadretti. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI


BRAQUE ateliers

94. GEORGES BRAQUE, Atelier ix, matita su carta a quadretti. Collezione privata.

GLI ATELIER SINFONICI

95. GEORGES BRAQUE, Atelier ix, olio su tela, 146 × 146 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi.


BRAQUE ateliers

96. Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955, Maeght, Parigi, 1956.

GLI ATELIER SINFONICI

97. Georges Braque nel suo studio a Parigi, 1957 ca.


Bibliografia


Bibliografia

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BRAQUE ateliers

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1959 Derrière le Miroir, Paris. Testo di Georges Charbonnier 1963 Derrière le Miroir, Paris, décembre 1962-janvier 1963. Testi di Stanislas Fumet, Pierre Reverdy e François Chapon 1963 Derrière le Miroir, Paris, mai. Testo di Stanislas Fumet 1964 Derrière le Miroir, Paris, mai. Omaggio a Georges Braque. Testi di Saint-John Perse, René Char, Alberto Giacometti, Francis Ponge, Martin Heidegger, Jean Paulhan, Pablo Picasso, Joan Mirò, Daniel- Henry Kahnweiler, Jean Cassou, Marc Chagall, Gaëtan Picon, Georges Salles, DouglasCooper, Christian Zervos, Roger Bissière, Stanislas Fumet, Jean Grenier, Marcel Jouhandeau, Georges RibemontDessaignes, André Chastel, Jean Leymarie, Antoine Tudal, Frank Elgar, Claude Laurens, André Verdet, Jacques Dupin, P. A. Benoit 1967 Derrière le Miroir, Paris, juin. Testo di Jean Grenier 1992 Connaissance des Arts, Paris, été. Testi di Jean-Louis Prat, Jean-Louis Andrai, Pierre Daix, Harry Bellet e Dora Vallier

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Indice delle tavole

1. JAN VERMEER, L’atelier, 1665, olio su tela, 130 × 110 cm. Kunsthistorische Museum, Vienna. 2. REMBRANDT VAN RIJN, Ritratto al cavalletto, 1628, olio su legno, 24,8 × 31,7 cm. Museum of Fine Arts, Boston. 3. JEAN-BAPTISTE CHARDIN, Gli attributi delle arti, 1766, olio su tela, 112 × 140,5 cm. Ermitage, San Pietroburgo. 4. HONORÉ DAUMIER, Il pittore davanti al quadro, 1870 ca., olio su legno 33,3 × 25,7 cm. The Phillips Collection, Washington DC. 5. CAMILLE COROT, L’atelier, 1865-68, olio su tela 63 × 42 cm. Museo del Louvre, Parigi. 6. Ritratto di un artista nell’atelier, scuola francese del xix secolo, attribuito a Théodore Géricault, olio su tela, 147 × 114 cm. Museo del Louvre, Parigi. 7. PAUL CÉZANNE, Teschio su un panno, 1902-1906, matita e acquarello su carta bianca. Collezione privata, New York . 8. FRÉDÉRIC BAZILLE, L’atelier de la rue de Furstenberg, olio su tela, 80 × 65 cm. Musée Fabre, Montepllier. 9. HENRI MATISSE, L’atelier rosso, olio su tela, 181 × 219,1 cm. © The Museum of Modern Art, New York, Mrs. Simon Guggenheim Fund.

13. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1928, olio su tela 180 × 73 cm. Collezione privata. 14. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1928, olio e sabbia su tela, 179,7 × 73 cm. The Museum of Modern Art, New York. 15. GEORGES BRAQUE, Il grande tavolino, 1929, olio su tela 145,4 × 113,6 cm. The Phillips Collection, Washington DC.

24. GEORGES BRAQUE, La donna col cavalletto (Paravento giallo), 1936, olio su tela, 130 × 162 cm. Collezione Mrs. Mark Schoenborn, New York. 25. GEORGES BRAQUE, La donna col pennello, 1939, olio su tela, 92 × 73 cm. Collezione privata. 26. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1940, olio su tela, 50 × 61 cm. Collezione privata.

16. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tovaglia rossa, 1934, olio su tela 81 × 101 cm. Collezione privata, Parigi.

27. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1941, olio su tela, 46 × 55 cm. Collezione privata. © Archives Laurens

17. GEORGES BRAQUE, Natura morta con chitarra, 1936, olio su tela 97 × 130 cm. Norton Gallery of Art, West Palm Beach, Florida.

28. GEORGES BRAQUE, Ragazza con tavolozza, 1942, olio su tela, 100 × 81 cm. Collezione privata. © Archives Laurens

18. GEORGES BRAQUE, Il salotto, 1944, olio su tela, 120,5 × 150,5 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi. 19. GEORGES BRAQUE, Il biliardo, 1944, olio e abbia su tela, 130,5 × 195,5 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi. 20. GEORGES BRAQUE, Il biliardo, 1947-49, olio su tela, 145 × 195 cm. © Museo de Arte Contemporàneo de Caracas Sofìa Imber.

29. GEORGES BRAQUE, Ragazza con tavolozza, 1948, olio su tela, 100 × 73 cm. Galerie Schmit, Parigi. 30. GEORGES BRAQUE, Figura al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 31. GEORGES BRAQUE, Vaso, tavolozza e testa, matita su carta a quadretti. Collezione privata.. 32. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, vaso e cavalletto, matita e lavis bruno su carta a quadretti. Collezione privata.

21. GEORGES BRAQUE, Donna con tavolozza, 1936, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione J. Delubac, Parigi.

33. GEORGES BRAQUE, Vaso , tavolozza e testa, 1948-50, olio su tela, 65 × 49 cm. Galarie Beyeler, Basilea.

11. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1911 Musée National d’Art Moderne, Parigi.

22. GEORGES BRAQUE, La donna col cavalletto (Paravento verde), 1936, olio su tela, 92 × 73 cm. Sara Lee Corporation, Chicago.

34. GEORGES BRAQUE, Autoritratto al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens

12. GEORGES BRAQUE, Il tavolino, 1921-22, olio e sabbia su tela, Mrs. Bertram Smith, Metropolitan Museum of Art, New York.

23. GEORGES BRAQUE, La modella, 1939, olio su tela, 100 × 100 cm. Collezione privata, New York.

35. GEORGES BRAQUE, Ragazza al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens

10. PABLO PICASSO, L’atelier de la Californie a Cannes, 1956, olio su tela, 114 × 146 cm. Musée Picasso, Parigi.

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BRAQUE ateliers

36. GEORGES BRAQUE, Donna e poltrona, matita, carboncino e guazzo su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 37. GEORGES BRAQUE, L’uomo al cavalletto, 1942, olio su carta incollata su tela. Collezione Quentin Laurens. Parigi. © Archives Laurens 40. GEORGES BRAQUE, Pittore al cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata. 38. GEORGES BRAQUE, Pittore e modella, matita su carta a quadretti. Collezione privata. 39. GEORGES BRAQUE, Pittore e modella, 1939, olio e sabbia su tela, 127 × 177,5 cm. Norton Simon Art Foundation, Pasadena. 41. GEORGES BRAQUE, Violino e tavolozza, autunno 1909, olio su tela, 97,7 × 42,8 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York. 42. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tavolozza (Mélodie), 1936, olio su tela, 81,3 × 100,7 cm. San Francisco Museum of Modern Art, acquistato da W. W. Crocker.

INDICE DELLE TAVOLE

tavolozza, 1939, olio su tela, 72 × 89 cm. Galerie Louise Leiris, Parigi. © Archives Laurens 51. GEORGES BRAQUE, La tavolozza su tavolo, 1939, olio su tela, 65 × 81 cm. Collezione privata, Santa Barbara. © Archives Laurens 52. GEORGES BRAQUE, Bicchiere e tavolozza, 1939, olio su tela, 24 × 41 cm. Collezione privata. © Archives Laurens 53. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e vaso di narcisi, 1939, olio su tela, 54 × 65 cm. Collezione H. Horsheim, Chicago. © Archives Laurens 54. GEORGES BRAQUE, La tavolozza bianca (con le calle), 1941-44, olio su tela. Collezione privata. © Archives Laurens 55. GEORGES BRAQUE, Sgabello, vaso e tavolozza, 1939, olio e sabbia su tela, 92 × 92 cm. Collezione Marc Rich. 56. GEORGES BRAQUE, Le strelitzie, 1939, olio su tela, 92 × 65 cm. The Carey Walker Foundation, New York.

43. GEORGES BRAQUE, Il cavalletto, 1938, olio su tela, 89,5 × 107,5 cm. Marlborough Fine Art, Londra.

57. GEORGES BRAQUE, Brocca e tavolozza, 1939-42, olio su tela, 50 × 61 cm. Collezione P. Nathan, Zurigo.

44. GEORGES BRAQUE, Natura morta con teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens

58. GEORGES BRAQUE, Natura morta con tavolozza, 1943, olio su tela, 58,8 × 80 cm. The Saint Louis Art Museum, dono di Mr. & Mrs. Jospeh Pulitzer Jr.

45. GEORGES BRAQUE, Bottiglia e teschio, 1938, olio su tela, 73 × 92 cm. Collezione privata. © Archives Laurens 46. GEORGES BRAQUE, Il tavolino (Vaso grigio e tavolozza), 1938, olio su tela, 107 × 87 cm. Collezione John Eaton, Toronto. 47. GEORGES BRAQUE, Profilo con tavolozza, 1936, olio su tela, 64 × 48,5 cm. Collezione privata. © Archives Laurens 48. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, vaso e cornice, 1939, olio su tela, 81 × 100 cm. Los Angeles Museum of Art. © Archives Laurens 49. GEORGES BRAQUE, Natura morta con sedia da giardino, 1939, olio su tela, 65 × 80 cm. Collezione Mrs. Mark Steinberg, Saint Louis MO. © Archives Laurens 50. GEORGES BRAQUE, Natura morta con

59. GEORGES BRAQUE, La stufa, matita su carta a quadretti. Collezione privata © Archives Laurens 60. GEORGES BRAQUE, La stufa, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 61. GEORGES BRAQUE, La stufa, 1942, olio su tela, 145,7 × 88,3 cm, Yale University Art Gallery, New Haven, dono di Paul Rosenberg& Co. 62. GEORGES BRAQUE, La sedia da giardino, 1947, olio su tela, 61 × 50 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi. 63. GEORGES BRAQUE, La sedia da giardino color malva, 1947-60, olio su tela, 65 × 50,3 cm. Collezione Jacques e Natasha Gelman, New York.

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64. GEORGES BRAQUE, Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955. Maeght, Parigi.

78. GEORGES BRAQUE, Interno con tavolozza, 1941, olio su tela, 100 × 100 cm. Courtesy Galerie Thomas, Monaco.

65. GEORGES BRAQUE, Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955. Maeght, Parigi.

79. GEORGES BRAQUE, Grande interno (interno con tavolozza), 1942, olio su tela, 141 × 195,6 cm. The Menil Collection, Houston.

66. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e fiori, 1954, olio su tela, 124 × 116,7 cm. © Museo de Arte Contemporàneo de Caracas Sofia Imber.

80. GEORGES BRAQUE, La brocca gialla, 194850, olio su tela, 46 × 61 cm. Collezione privata. © Archives Laurens

67. GEORGES BRAQUE, La tavolozza, matita, acquarello e lavis bruno su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens

81. GEORGES BRAQUE, Atelier i, 1949, olio su tela, 92 × 73 cm. Collezione J. P. Guerlain, Parigi.

68. GEORGES BRAQUE, La tavolozza, 1958, olio su tela, 27 × 35 cm. Collezione privata. © Archives Laurens 69. GEORGES BRAQUE, Bouquet e tavolozza, 1948-55, olio su carta incollata su tela, 65 × 80 cm. Collezione Louis Clayeux, Parigi. 70. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il teschio, 1938, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione B. Goulandris, Losanna. 71. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 72. GEORGES BRAQUE, Vaso, tavolozza e teschio, 1939, olio su tela, 92 × 92 cm. Collezione David Lloyd Kreeger, Washington DC. 73. GEORGES BRAQUE, Tavolozza, cavalletto e teschio, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 74. GEORGES BRAQUE, L’atelier con il vaso nero, 1938, olio e sabbia su tela, 97, 2 × 129,5 cm. Collezione David Lloyd Kreeger, Washington DC. 75. GEORGES BRAQUE, L’atelier con lo sgabello, 1939, olio su tela, 113 × 146 cm, Collezione Lucille Ellis Simon. 76. GEORGES BRAQUE, Tavolozza e cavalletto, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 77. GEORGES BRAQUE, Grande interno, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens

82. GEORGES BRAQUE, Atelier ii, 1949, olio su tela, 131 × 162,5 cm. Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf.

olio, lavis bruno e matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 94. GEORGES BRAQUE, Atelier ix, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 95. GEORGES BRAQUE, Atelier ix, olio su tela, 146 × 146 cm. Musée National d’Art Moderne, Centre George Pompidou, Parigi. 96. Composizione per i Cahiers de Georges Braque: 1949-1955, Maeght, Parigi, 1956. 97. Georges Braque nel suo studio a Parigi, 1957 ca. Archivio Jaca Book.

83. GEORGES BRAQUE, Atelier iii, matita su carta. Collezione privata. © Archives Laurens 84. GEORGES BRAQUE, Atelier iii, 1949, olio su tela, 145 × 175 cm. Collezione privata. 85. GEORGES BRAQUE, Atelier iv, 1949, olio su tela,130 × 195 cm. Collezione Mrs. e Mr. Paul Sacher, Basilea. 86. GEORGES BRAQUE, Atelier v, matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 87. GEORGES BRAQUE, Profilo e tavolozza su fondo nero (Studio per Atelier v), 1949, olio su tela, 100 × 65 cm. Collezione privata. © Archives Laurens 88. GEORGES BRAQUE, Atelier v, 1949-50, olio su tela, 130,8 × 74 cm. Collezione privata. 89. GEORGES BRAQUE, Atelier vi, 1950-51, olio su tela, 130 × 162,5 cm. Fondation Maeght, Saint-Paul-de-Vence. 90. GEORGES BRAQUE, Atelier viii, olio, acquarello e matita su carta a quadretti. Collezione privata. 91. GEORGES BRAQUE, Atelier viii, 1952-55, olio su tela, 132 × 197 cm. Collezione privata. 92. GEORGES BRAQUE, Atelier vii, acquarello, olio, lavis bruno e matita su carta a quadretti. Collezione privata. © Archives Laurens 93. GEORGES BRAQUE, Atelier vii, acquarello,

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