CHAGALL LE VETRATE
Nathalie Hazan-Brunet con contributi di Sylvie Forestier, Dominique Jarrassé, Hortense Lyon, Benoît Marq
CHAGALL LE VETRATE
INDICE International Copyright © 2016 Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati Per tutte le opere di Marc Chagall riprodotte in questo volume © Marc Chagall ®, by SIAE 2016
Prima edizione italiana settembre 2016
La traduzione dal francese dei testi di Nathalie Hazan-Brunet, Dominique Jarrassé, Hortense Lyon, Benoît Marq è di Elisa Emaldi
Redazione Jaca Book Copertina e grafica Break Point/Jaca Book
«Prendete delle finestre e metteteci intorno le pareti» Meret Meyer pag. 7 1. «Il destino ci spinge a intraprendere certi tipi di lavori» Nathalie Hazan-Brunet pag. 9 2. La vetrata. Un linguaggio articolato Sylvie Forestier pag. 13 3. Chagall e la vetrata Sylvie Forestier pag. 17 4. L’Atelier Simon Marq. Ricordi Benoît Marq pag. 27 5. Sul simbolismo delle vetrate di Gerusalemme Dominique Jarrassé pag. 35 Le vetrate Hortense Lyon
Selezione delle immagini Pre Press, Sondrio Stampa e confezione Ingraf srl, Milano agosto 2016
ISBN 978-88-16-60527-5 Per informazioni: Editoriale Jaca Book SpA Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02.48.56.15.20, fax 02.48.19.33.61 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it
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Chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce, Assy pag. 42 Abbazia di Saint-Pierre, Moissac pag. 48
Organizzazione delle Nazioni Unite, New York pag. 112 Union Church, Pocantico Hills pag. 116 All Saints’ Church, Tudeley pag. 122 Chiesa di Fraumünster, Zurigo pag. 128 Musée national Marc Chagall, Nizza pag. 134 Cattedrale di Notre-Dame, Reims pag. 144 The Art Institute, Chicago pag. 150 The Holy Trinity, Chichester pag. 164 Cappella dei Cordiglieri (Chapelle des Cordeliers), Sarrebourg pag. 168 Chiesa di Santo Stefano, Magonza pag. 188 Chiesa parrocchiale di Le Saillant pag. 216
Cattedrale di Saint-Étienne, Metz pag. 50
Chagall all’opera. Una cronologia fotografica pag. 223
Sinagoga del Centro Medico di Hadassah, Ein Kerem, Gerusalemme pag. 78
Note pag. 236 Indici dei luoghi e delle illustrazioni pag. 237-238
«Prendete delle finestre e metteteci intorno le pareti»
1
Meret Meyer
«È la ricetta appena adottata al Giardino delle Tuileries… Il ministro Malraux ha preso un’iniziativa all’altezza del suo dinamismo, facendo costruire una galleria provvisoria lunga 55 metri. Una cosa mai vista alle Tuileries e il Ministro della Cultura si è dovuto opporre al veto della potente Commissione dei siti d’arte. “Che importa se non c’è un precedente”, ha detto il ministro, “di Chagall ce n’è uno solo”» 2. L’architettura effimera e al contempo audace, immaginata da André Malraux, «il padiglione, appositamente costruito per ospitare le mie vetrate a Parigi, era fantastico: le valorizzava, come un museo, spaziate per tutta la lunghezza»3, confidava Chagall, mentre nel luogo al quale le vetrate erano destinate, la nuova sinagoga del Centro medico Hadassah progettata dall’architetto Joseph Neufeld, le vetrate «sono compresse, fianco a fianco, dodici cupole a formare un quadrato, una corona di regina. Ma la luce è quella della Bibbia: il sole gira intorno, captano le rosee colline, il cielo così puro, e le mie vetrate, rosse a sud e gialle a nord, si completano con questa materia, – il cielo d’Israele – con la quale le creavo»4. Tuttavia, poco prima dell’inaugurazione della nuova sinagoga, nel corso di una ricognizione Chagall si inquieta e chiede di «togliere immediatamente le sedie, i cuscini, il massiccio portone e anche l’Arca destinata a contenere la Torah»5. Marc Chagall dice di aver «visto il progetto», di conoscere «vagamente la disposizione delle vetrate, ma quando le signore dell’Hadassah me le hanno commissionate, mi sono messo subito all’opera; non potevo indugiare sui dettagli architettonici o decorativi. È come il matrimonio, bisogna lanciarsi senza riflettere troppo»6. Questa testimonianza di Chagall rivela, in maniera certo un po’ inattesa, le chiavi sintetiche alle quali ha fatto ricorso per nutrire la sua visione dello spazio e poterla condividere. Animato dal desiderio di far rivivere le antiche tecniche, Chagall ha sin dal primo incontro con la vetrata artistica, suscitato risonanze di approvazione, in sintonia e in risposta allo splendore del patrimonio architettonico delle chiese francesi. Così, il nuovo impulso all’arte sacra sancito dall’incarico delle vetrate a pittori come Villon e Bissière, seguito dalla richiesta fatta a Chagall da Robert Renard, l’architetto sovrintendente ai Monuments Historiques (Monumenti Storici), per le vetrate del deambulatorio della Cattedrale di Saint-Étienne a Metz nel 1957, ha manifestato «quanto l’arte di Chagall si accordasse a quella dei nostri maestri vetrai del XVI secolo e alla coeva architettura delle finestre… Chagall riempie le lancette e le ripartizioni della zona superiore con uguale maestria»7. Per sancire questa consacrazione, nessun mistero, ma numerose “chiavi”, aspetti fondamentali che si sono rivelati essere all’origine di questo riuscito quanto inatteso connubio tra gli spazi interni dell’architettura e le vetrate di Chagall.
In ogni incarico accettato e realizzato, si disegna e si traduce l’immenso rispetto di Chagall nei confronti di ogni aspetto materico inerente agli edifici storici («Bisogna essere umili davanti alla materia! Sottomessi»8) e all’irraggiamento esistente e richiesto dallo spazio da ricoprire. L’audacia e il talento dei maestri vetrai – pittori, Charles Marq e Brigitte Simon dell’Atelier Simon di Reims, si orientano, con grande naturalezza, in favore del rinnovamento delle tecniche di fabbricazione antiche e medievali, con una rispondenza immediata. Fanno eco al desiderio di Chagall di vedere lo spazio pittorico contenuto nelle sue composizioni, sin dalle sue opere giovanili per prolungarsi, nell’arte della vetrata, verso lo spazio interiore «decorato» e divenire intrinsecamente un tutt’uno. Così si mettono in opera gli specifici orientamenti dell’Atelier Simon, come i vetri doppiati realizzati dalla vetreria Verrerie Saint-Just9, l’aggiornamento di altri antichi procedimenti, ovvero le trasposizioni su vetro con la tecnica dell’acido, le linee di piombatura che ricercano un’arborescenza di espressività plastica al di là della rappresentazione degli elementi iconografici10 e il montaggio definitivo delle vetrate nelle aperture previste per le finestre integrate nel telaio (senza fare ricorso ad apposite intelaiature) che permette di far risaltare le vetrate dalle pareti degli spazi interessati. Per Chagall, la pittura a grisaille, alla quale si è dedicato in studio, sia all’Atelier Simon sia nel suo studio, sulla vetrata che contiene la messa a piombo, garantisce la gamma ricercata di tutte le espressioni di modellato e di luce ottenuti11. Tutte le chiavi qui enumerate, esplorate con grande maestria, mettono in luce quanto Marc Chagall, nel momento in cui il suo desiderio si orientava verso la creazione di arte monumentale, e ciò in funzione del luogo nel quale creare, non si limita a decifrare il «sogno dello spazio»12, già perfettamente acquisito nella comprensione plastica del pittore, o ad allinearsi alle «rappresentazioni dell’architettura sacra»13 (nella sua opera pittorica, Chagall ha rappresentato solo gli interni delle sinagoghe e mai delle chiese, identificabili dal solo aspetto esterno14) ma articola con convinzione una vera e propria immersione reinterrogata, ogni volta da una diversa angolatura, nello spazio reale, nutrita dall’esplorazione vissuta dello spazio scenico e drammatico. Come spiegare altrimenti che questi spazi in dialogo, lo spazio pittorico esplorato nella vetrata e lo spazio addomesticato e abitato, ci stupiscano e ci interpellino ogni volta, con differenti fascinazioni, visitatore e spettatore invitati a farsi coinvolgere senza indugio in questo dialogo. Non solo i tempi e gli spazi coesistono; sono lì, al rendez-vous, per farci comprendere l’importanza di essere tutt’uno con questi universi, che ci rivelano chiavi di modernità.
Vetrata della Pace, dettaglio, Sarrebourg, Cappella dei Cordiglieri, 1976.
7
1. «Il destino ci spinge a intraprendere certi tipi di lavori» Nathalie Hazan-Brunet*
«La vetrata sembra qualcosa di tanto semplice: materia, luce. Per una cattedrale o una sinagoga, il fenomeno è identico: una cosa mistica che passa attraverso la finestra. Eppure ho avuto molto timore, timore come al primo appuntamento. La teoria, la tecnica cosa sono? Ma la materia, la luce, ecco la creazione! In pittura, la materia sono la tela e i colori; resta il talento dell’artista, lo spirituale. La proporzione è due a uno, la lotta è impari. Corot, Cézanne, Bonnard, Monet sono dei vincitori! Ma gli altri? Con la ceramica o la vetrata, è ancora peggio; cosa posso apportare io, alla materia, alla terra del Buon Dio, al fuoco del Buon Dio, alla foglia, alla corteccia, alla luce? Forse il ricordo di mio padre, di mia madre, della mia infanzia e dei miei avi per mille anni… Forse anche il mio cuore. Davanti alla materia bisogna essere umili, sottomessi! La materia è natura, e tutto ciò che è naturale è religioso. È quando si trova in svantaggio davanti alla natura che l’artista ha maggiori possibilità, se è sottomesso. Ho tute le carte giuste, la luce, è quella del cielo, è lui che dona il colore! Anche il fuoco che ha cotto il vetro e il piombo viene dal cielo, anche se è il gas o l’elettricità ad averlo prodotto. Ho la materia. E mi chiedo: quello che apporto io, ha senso o no? Se ciò che faccio è relativo alla materia, allora vinco: perché c’è Dio dietro. Quando ho inciso la Bibbia, sono andato in Israele e ho trovato al contempo la luce e la terra, la materia. Quando si hanno vent’anni, non si pensa alla materia: bisogna essere passati attraverso la sofferenza o essere cresciuti. A volte mi dicono: Chagall, ma lei è immateriale. E io rispondo: Bisogna essere immateriali per ascoltare la materia. Ogni colore deve incoraggiare per pregare. Io non posso pregare, io lavoro soltanto». Estratto da Pierre Cabanne, «Chagall rend à la lumière sa liberté», in Chagall. Vitraux pour Jérusalem, Musée des Arts Décoratifs, Parigi 1961, p. 44.
8
«Quando sono salito su quella scala, non era per completare un dettaglio che mi interessava particolarmente, ma per osservare ciò che sembra nascosto lassù. Infatti penso che il destino ci spinga a intraprendere certi tipi di lavori nella vita e io dovevo fare quelle vetrate. Dovevo penetrare nella luce piena del giorno»1. Chagall enuncia questo «obbligo misterioso» di fronte alla bella foto di Izis, un bianco e nero di sconvolgente luminosità, che lo ritrae alle prese con una delle vetrate della sinagoga dell’ospedale Hadassah, nel 1960. Nulla lo predestinava a divenire un giorno autore di vetrate, eppure è stato il solo in quella generazione di artisti provenienti dal mondo ebraico a confrontarsi con tale naturalezza con una tradizione che non era la sua, senza tradire mai ciò che era, arricchendo al contempo tale tradizione grazie alla sua brama di confronto con altri universi. Chagall ha saputo, tra fedeltà e sovversione, elaborare un messaggio di universalità che, secondo il suo punto di vista, solo un artista è in grado di trasmettere. Le prime vetrate di Marc Chagall nascono dopo la Seconda guerra mondiale, nel contesto di rinnovamento dell’arte sacra in Francia. L’aderenza al momento storico non è dovuta al caso: la vetrata si impone come prosecuzione della sua pittura, al termine di una singolare parabola della quale ci piace qui restituire le tappe principali, dagli albori della vocazione artistica in una piccola città della Russia Bianca sino al giorno del giugno 1952 nel quale, come scrive Franz Meyer, recatosi a Chartres per studiare le vetrate, il pittore crede di scoprire in due medaglioni del deambulatorio un grande asino verde che lo legittima a misurarsi con i maestri medievali2. Tenteremo qui di presentare i modi – le filiazioni, gli eventi e gli incontri che ne modificano il corso – in cui il destino ha spinto l’artista a intraprendere questo tipo di opera, e come è venuto elaborandosi il misterioso e unico sincretismo «chagalliano». All’inizio, c’è certo Vitebsk, città natale dell’artista, nel cui paesaggio si intersecano le cupole a bulbo delle chiese, sormontate da croci, le sinagoghe «semplici ed eterne, come gli edifici negli affreschi di Giotto»; «in questa città gioiosa e triste»3, sceglie la pittura: «mi sembrava come una finestra attraverso la quale avrei preso il volo verso altri mondi4». Evadere… Per divenire pittore, quando si nasce in una modesta famiglia di questa «zona di soggiorno obbligato» ove l’Impero russo confinava gli ebrei, occorre superare molti ostacoli. «Una parola così fantastica, letteraria, una parola come proveniente da un altro mondo, la parola artista, sì, forse l’avevo sentita, ma nella mia città non era mai stata pronunciata»5. L’interdizione alla realizzazione di immagini contenuta nel secondo comandamento, anche se interpretata in maniera diversa attraverso le epoche, non aveva certo favorito le vocazioni artistiche figurative; si incoraggiava piuttosto la finalità delle opere, e la decorazione degli oggetti rituali, o hiddur mitzvah.
Tuttavia il primo artista ebreo compare proprio nell’Esodo, ed è designato da Dio. «Mosè disse ai figli d’Israele: “Vedete, l’Eterno ha chiamato per nome Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda; lo ha riempito dello Spirito di Dio, per dargli sapienza6, intelligenza e conoscenza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte tessile, per lavorare l’oro, l’argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori artistici. E gli ha comunicato il dono d’insegnare: a lui e a Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan. Li ha colmati di talenti per eseguire ogni sorta di lavori d’artigiano e di artista, di ricamatore e di tessitore in colori svariati: violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino, per eseguire qualunque lavoro e per concepire lavori d’arte»7. Bezalel (b tsel el, all’ombra di Dio) eseguì nel deserto, seguendo i precisi ordini dati a Mosè da Dio, tutto il lavoro della «santa impresa»8: il Tabernacolo, l’arca santa e il propiziatorio di copertura, all’estremità del quale erano posti due cherubini d’oro che si fronteggiavano, così come tutti gli oggetti di culto, i teli, le vesti liturgiche. Questo modello di artista/artigiano sarà prevalente nel mondo ebraico sino all’emancipazione: l’idea del Compagnonaggio tra maestri d’opera trova la sua eco nella coppia artista/incisore, poi nella coppia artista/maestro vetraio, la cui complementarietà Chagall porterà all’apice assoluto. Il ruolo di pittore di sinagoga era onorato nel mondo ebraico. Le sinagoghe di legno, con i loro esterni austeri, quasi a volersi fondere nel paesaggio, possedevano all’interno vivacissime decorazioni pittoriche, che mescolavano animali simbolici, zodiacali, iscrizioni, intrecci vegetali. Il più famoso era Haim Ben Isaac Segal di Sluck, autore nel XVIII secolo delle pitture nella celebre sinagoga di Mahilëu in Bielorussia. Abbagliarono El Lissitzky, che scoprì le pitture nel 1916, durante una missione etnografica che lo condusse nelle sinagoghe lungo il Dnepr. Gli artisti dell’avanguardia ebraica, sull’esempio di quelli russi, tornavano in quel periodo alle fonti dell’arte nazionale, nel tentativo di coniugare tradizione e modernità. Chagall mostra scarso interesse verso le ricerche etno-artistiche, quasi a voler ribadire la sua naturale filiazione; egli, costruendo deliberatamente una propria personale leggenda, rivendica Haim Segal come proprio antenato. Quando, nel 1920, si accinge febbrilmente alla decorazione del teatro ebraico di Mosca, è questi il nume tutelare che Chagall invoca, con accenti rivoluzionari: «Abbasso i vecchi teatri, che puzzano d’aglio e di sudore... Ho ricordato il mio lontano antenato che realizzò i dipinti nella sinagoga di Mahilëu. E ho pianto. Perché non mi ha chiamato, cent’anni fa, in suo aiuto? Mi protegga almeno, ora che prega davanti al supremo altare. Riversa in me, avo mio dalla lunga barba, una o due gocce di eterna verità»9. 9
Chagall aveva aderito nel 1917 alla Rivoluzione d’ottobre, che concesse agli ebrei i diritti civili, ma con un impegno d’impronta profondamente artistica: la rivoluzione legittimava la sua aspirazione ad abbracciare altri spazi che non fossero quelli pittorici – la strada, poi beninteso la scena, ma anche la possibilità di rivolgersi a un pubblico più ampio. Ebbe un terribile accesso di collera perché la sua opera per il teatro sarebbe stata vista solo da una «manciata di ebrei». Una frase che non ha alcun intento discriminatorio, dettata dallo struggente desiderio di Chagall di operare in spazi collettivi. Come scrisse Benjamin Harshav: «Per l’artista introspettivo (il russo pazzoide del primo soggiorno parigino), si trattava di una radicale trasformazione, compiuta sotto l’impulso dell’esuberante retorica sociale dei primi due anni della rivoluzione. Il piccolo Chagall desidera muri immensi; il solitario e singolare Chagall vuole creare un’arte pubblica e accessibile. Quando l’enigmatico e capriccioso Chagall riceve infine ampio riconoscimento, e il suo singolare idioma modulare si impone come un linguaggio quasi classico, la sua opera è ormai libera di richiamare le masse»10. Nel 1922 Chagall deve lasciare l’URSS definitivamente; «la sola cosa che desidero, è fare quadri e qualcosa ancora»11. Questo «qualcosa ancora» conferma la sua volontà di andare al di là del quadro, preannuncia gli sviluppi dell’opera a venire, che si innescherà sotto il segno del Libro. Dal 1925, su richiesta di Ambroise Vollard, Chagall intraprende il progetto di illustrazione della Bibbia. Avendo frequentato l’heder12 Marc è in grado di leggere l’ebraico, ma è cresciuto con i racconti biblici in yiddish. L’artista Leo Koenig (1889-1970) che aveva abitato a La Ruche con Chagall e vi aveva creato la rivista della rinascita artistica ebraica Makhmadim (i preziosi), e il poeta yiddish Joseph Opatoshu (1886-1954) gli procurano la nuova traduzione in yiddish della Bibbia del poeta Yehoash13. Nella sua esplorazione del testo biblico Chagall è condotto da una lingua poetica. Attinge nuovamente ai ricordi di Vitebsk e li accorda con le impressioni del viaggio in Palestina, fatto nel 1931 su invito di Meir Dizengoff, sindaco di Tel-Aviv. «Gerusalemme? In quella città si ha l’impressione di essere giunti alla fine del viaggio. Nelle strade strette, in cui si aggirano capre, arabi, nelle stradine in cui ebrei rossi, blu e verdi vanno ora al Muro del Pianto, che il Cristo percorreva poco fa, si percepisce che ebraismo e cristianesimo formano una sola e unica famiglia. Era un tutto e sono venuti a distruggere e dividere tutto. Ma il resto di Gerusalemme, la Moschea di Omar, e i luoghi Santi, malgrado tutto il mio rispetto per il Cristo, in quanto poeta e figura profetica, mi hanno lasciato relativamente indifferente»14. È questa «famiglia», questa unità che Chagall si sente di dover non ricreare, ma creare. Il suo interesse per il cristianesimo si manifesta precocemente: «Volevo parlargli dell’arte in gene-
rale, e della mia in particolare. Forse mi avrebbe insufflato un po’ di spirito divino, chi lo sa. E chiedergli se il popolo israelita è proprio l’eletto da Dio, come è scritto nella Bibbia. E sapere ancora cosa pensasse del Cristo, la cui bionda figura da tempo mi turbava»15. Così ricorda, ne La mia vita, la visita ad un saggio rabbino per interrogarlo su quello che lo preoccupava, senza però ottenerne risposte. Le gouaches, poi le incisioni che realizza a partire dalla Genesi, dell’Esodo, dei Re, dei Profeti, sono il preludio a un nuovo sviluppo della sua arte. È in questa assidua frequentazione del testo che prende forma l’idea di un messaggio biblico. René Schwob, autore di Chagall et l’âme juive16, nel 1928 aveva introdotto l’artista nel circolo dei Maritain, a Meudon, dove si riunivano intellettuali, poeti e scrittori animati dallo stesso ecumenismo. Il filosofo Jacques Maritain e sua moglie Raïssa, ebrea russa, si erano convertiti al cattolicesimo: la loro amicizia, il loro apporto, saranno fondamentali nell’elaborazione di un messaggio reso tanto più necessario dalla guerra e dall’esilio newyorkese, durante il quale Chagall conosce padre Couturier. Pierre Couturier si era formato negli Ateliers d’Art Sacré creati nel 1909 da Maurice Denis allo scopo di ridare vigore all’arte della vetrata artistica, dominata ormai dal pastiche e dall’iconografia accademica kitsch-devozionale che prende il nome di sulpicien. Ordinato sacerdote nel 1930 con il nome religioso di Marie-Alain Couturier, farà della rivista L’Art Sacré, che dirige con Padre Regamey dal 1937, il sostegno delle sue posizioni teoriche. Secondo Couturier, il fallimento dell’arte sacra si deve alla scarsa conoscenza degli ecclesiastici stessi, che non sanno più chi sono i grandi maestri, all’arretratezza della Chiesa in tutti gli ambiti della cultura e della vita, all’influenza degli ambienti accademici sugli alti prelati. È necessario dunque ristabilire una tradizione interrotta, instaurare una committenza con i grandi artisti contemporanei. «Non hanno la fede», questa è una delle obiezioni più frequenti alle quali risponde Couturier. «Il genio non dona la fede, ma vi è tra l’ispirazione mistica e quella eroica e dei grandi artisti, un’analogia troppo profonda perché il preconcetto non propenda naturalmente a loro favore. … Il prete deve fornire le idee. Da queste idee l’artista trarrà le “forme”. È un processo di nascita: il nostro ruolo è quello di proteggere la libertà, la purezza, la debolezza sempre vulnerabile, e questo a forza di amicizia, rispetto, preghiera…»17. Durante i suoi soggiorni a New York, nel corso della Seconda guerra mondiale18, le idee di Couturier evolvono a contatto con artisti come Léger, Bazaine, Chagall. «Il valore religioso essenziale di un’opera è più intimo del soggetto stesso» scrive a Henri Focillon. «Credo all’apparizione di opere d’arte di ispirazione religiosa purissima, ma rigorosamente individuali e in genere fortuite, opere nate spontaneamente e come per caso, proprio là dove ce 10
le si aspettava meno, le si preparava meno, ovvero credo ai miracoli. I nuovi maestri non sono cristiani, ma sono i Maestri»19. La nuova vita della vetrata artistica sarà opera dei pittori. Nello stesso periodo in cui Matisse lavora alla Cappella del Rosario delle domenicane di Vence, Chagall abita in paese. La cappella è consacrata nel 1951, al termine di quattro anni di assiduo lavoro su tutti gli arredi, i paramenti, le ceramiche e gli ornamenti liturgici. Stimolato da questa realizzazione, Chagall persegue la sua aspirazione al confronto all’interno di uno spazio architettonico e dà inizio, per la cappella abbandonata del Calvario, a un ciclo di dipinti monumentali che costituiranno poi il Musée National Message Biblique Marc Chagall. Tuttavia, prova scrupolo nel dedicarsi alla decorazione di una cappella. A suo tempo aveva consultato il rabbino Schneerson in merito all’ossessione per la figura di Cristo, e nel 1950 inoltra al presidente dello Stato di Israele, Chaim Weizmann, il quesito sulla possibilità di lavorare per una chiesa cristiana, lasciando parlare il suo desiderio di trasporre l’arte in spazi pubblici, pur ribadendo la sua totale fedeltà all’ebraismo: «Mi è stato chiesto di realizzare dipinti murali in una cappella del XVI secolo a Vence […] Decorare una cappella mi darebbe la possibilità di realizzare un’opera che solo vaste porzioni di parete rendono possibile, invece di limitarmi a tele relativamente piccole, destinate ad essere appese in dimore private. Decorare le pareti di un edificio pubblico è da tempo un mio sogno […] Non vorrei che, se decido di decorare la cappella, il popolo di Israele pensasse che nel mio cuore e nel mio spirito via sia qualcosa in comune con i non ebrei. Attraverso i miei avi, sarò sempre legato al mio popolo»20. L’esperienza – non conclusa – a Vence trova un naturale prolungamento nell’avventura ad Assy, alla quale padre Couturier lo convince a prender parte. La cappella Notre-Dame de Toute-Grâce ad Assy, in Alta Savoia, costituirà la sintesi di tutti i dibattiti incentrati sull’arte sacra. In occasione della consacrazione, nel 1950, Couturier scrive: «Da dove deriva la gloria immediata e universale di questa chiesa di montagna? Dall’essere un capolavoro? No, ma dall’essere nata da un’idea giusta. È, questa, un’idea semplicissima: per mantenere viva l’arte cristiana bisogna, ad ogni generazione, fare appello ai maestri dell’arte viva». Per il battistero, Chagall realizza una ceramica murale Il passaggio del Mar Rosso, che dedica «In nome della libertà di tutte le religioni», due bassorilievi ispirati ai Salmi e soprattutto due vetrate che rappresentano angeli che scendono di slancio verso il fonte battesimale, realizzate nel 1957 dal pittore e maestro vetraio Paul Bony; da subito il lavoro di Chagall sul vetro è incentrato sulla trasparenza. Il rinnovamento dell’arte sacra era stato introdotto in Francia da audaci funzionari pubblici. Robert Renard, architetto soprintendente ai monumenti storici è il primo, nel 1956, a
pensare di far ricorso a noti artisti contemporanei per lavorare alle vetrate distrutte delle cattedrali di Metz e Reims. Jacques Villon, Roger Bissière, e naturalmente Chagall, prenderanno così parte al rinnovamento della vetrata artistica, possibile solo grazie a una nuova generazione di maestri vetrai capaci di adattare la loro tecnica a quella dei pittori. Charles Marq e Brigitte Simon, dell’Atelier Simon, sorto a Reims nel XVI secolo, che Robert Renard associa ai suoi progetti, divengono i compagni di strada di Chagall. Faranno fronte comune: l’artigiano, all’ombra dell’artista, fornisce i mezzi per accedere, con libertà, alla luce, mentre l’artista, nel più grande rispetto della tradizione, fa entrare l’arte del vetro nella modernità. «Chagall tende a pensare e a sentire come un pittore». Charles e Brigitte Marq gli consentiranno di restare pittore fino al termine del processo: «Chagall parla di una puntura viola, una macchia verde, di una inondazione di blu e tutto ciò è a immagine della sua anima […] Analizzare i suoi gesti di artigiano è cosa impossibile, perché il soggetto della sua visione pervade ogni istante dell’esecuzione. È la vita profonda dei suoi modelli e la sua vita di lavoro nell’atelier che ci consentono di inventare sul suo esempio e insieme a lui i nostri gesti artigiani»21. «Artefice esperto e abile incantatore», è con queste parole che Raïssa Maritain, parafrasando Isaia (Is 3,3), evoca Chagall in Chagall et l’orage enchanté; e, paradossalmente, è proprio quando si dedica alle vetrate, oltrepassando incessantemente i limiti della sua pratica artistica, integrando nuove tecniche, rispettando le specifiche della committenza pur liberando la sua personale visione, che è più fedele alla sua tradizione. Ma quando dice di essere andato a «osservare ciò che sembra nascosto lassù» e di voler «penetrare nella luce», si iscrive nella tradizione degli artisti medievali, ai quale lo apparenta il testo di Henri Focillon, L’art des sculpteurs romains, citato da Raïssa Maritain: «L’età romanica è dominata dai visionari, che comunicano la loro radicale vocazione al sovrumano, il loro appetito per le cose nascoste e le verità soprannaturali. Lo strappano all’ordine comune, alle proporzioni consuete, all’equilibrio della ragione, fanno rivivere la delirante epopea di Giovanni, ma non si accontentano di illustrarne i testi infuocati, ne fanno la materia di un sogno strano e affatto personale»22.
* Una prima versione di questo testo è stata pubblicata in Chagall. Le vitrail. La Couleur de l’Amour, Vitromusée Romont 2007.
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2. La vetrata. Un linguaggio articolato Sylvie Forestier
Charles Marq nel suo atelier. In basso, Chagall applica la grisaille sulla vetrata della Tribù di Levi, Atelier Simon, Reims, 1961.
«La tecnica altro non è che il modo in cui l’artista si serve di un materiale, ed è l’opera compiuta che rivela la sua fattura», ha dichiarato Charles Marq. Nessuno meglio del maestro vetraio di Chagall è in grado di rivelare i segreti del lavoro nel laboratorio. Mistero è infatti quello che guida la maquette verso la sua realizzazione in opera compiuta; la vetrata, per raggiungere la pienezza della sua autonomia, l’ordine del suo linguaggio, ha bisogno di un intermediario. Il pittore infatti segue il suo sogno nello spazio bidimensionale di un foglio di carta. Chagall moltiplica i suoi primi schizzi; a matita o a penna, nell’immediatezza del segno creatore, egli insegue il ritmo della luce, cerca la collocazione delle figure. Di poi, l’acquarello o il guazzo indicano i valori cromatici, per mezzo dei quali emergerà la profondità. La dimensione del supporto, di natura diversa, foglio di carta o cartone, muta; e l’idea generale emerge poco alla volta e organizza lo spazio. I rapporti interni fra gli spazi vengono contornati con piccoli collage, pezzetti di carta o di stoffa. Lo schizzo conduce al disegno; il bozzetto preparatorio più elaborato sfocia nella maquette definitiva, il più spesso a guazzo, completata talvolta da collages, che in certi casi riprendono le forme preesistenti (come a Metz per esempio). Alcune vetrate hanno richiesto un lavoro più intenso: l’abbondanza dei disegni preparatori del ciclo di Gerusalemme testimonia della forza creatrice di Chagall. Talvolta il pittore è soddisfatto della prima stesura, ma in un caso o nell’altro il maestro vetraio deve rispettare e rendere la spontaneità del gesto creatore o della complessità di un messaggio plastico più elaborato. Tale esigenza si accompagna a un lavoro specializzato di grande rigore, nel quale tutti i passaggi richiedono un’attenta precisione. Si comincia con una fotografia in bianco e nero della maquette che sarà ingrandita fino alla grandezza naturale della futura vetrata. Sopra questo ingrandimento il vetraio appoggia un calco, sulla base del quale si esegue il cartone; questa fase iniziale è quella preparatoria per stabilire gli spazi. A questa segue sul cartone il primo disegno dei piombi, le indicazioni dei colori e quelle dell’incisione. Il cartone diventa così il vero «conduttore» dell’opera, a grandezza naturale. Tutto deve esservi tracciato minuziosamente poiché esso sarà la guida della parte esecutiva. Il riporto in scala del cartone su carta permetterà il taglio dei vetri, che una volta sagomati riceveranno a loro volta il bozzetto dell’incisione. Il maestrovetraio e i suoi collaboratori studiano poi su di un piano trasparente il primo stadio dell’incisione prima di procedere con una messa a piombo provvisoria. A questo punto la vetrata viene drizzata alla luce del giorno, nello studio del pittore, che può così intervenire. Momento questo particolarmente esaltante di questo primo
controllo del progetto, e della prima realizzazione del maestro vetraio. Nel progetto che diventerà cosa sua, la vetrata già esiste come realizzazione tecnica; ma è necessario che si realizzi anche sul piano plastico. Con la scelta dei vetri, con il disegno dei piombi, con l’equilibrio delle tinte, il maestro vetraio crea e propone al pittore un nuovo supporto alla sua invenzione. «Tutto il nostro lavoro, dice Charles Marq, con Chagall consisteva in questo sforzo comune di inventare ad ogni istante, di non essere mai traduttori». Nel lavoro del laboratorio si stabilisce un’intima comunicazione fra artista e artigiano; essa testimonia di un mestiere comune, di cui la «techné» altro non è che un’espressione artistica, cui ultima verifica si esprime sempre nell’indagine sulla materia, per infonderle nuova vita. Alla maquette, che è la prima proposta del pittore, corrisponde questo primo assemblaggio di piombi e di vetri, vero scheletro della vetrata. La ricchezza e la profondità cromatica del colore di Chagall era difficile da realizzare sul vetro; ed è merito precipuo di Charles Marq e di Brigitte Simon l’aver saputo trasportare sul vetro la pittura di Chagall. Charles Marq riprese la tradizione medievale del vetro placcato, sviluppandone le potenzialità espressive. Giustapponendo al vetro incolore o a quello colorato una lastra dello stesso colore o di un tono differente, suscettibile di essere asportata per mezzo dell’acido, si otteneva una gamma cromatica e tonale infinitamente vasta. Il vetro veniva trattato come una superficie pittorica. Chagall poté così lavorare come con una tavolozza, modificando il colore per raggiungerne tutti i valori, lavorando sulle trasparenze, sottolineando le ombre. La luce diventa la sua materia, e a questo punto egli può abbandonarsi alla sua libertà creativa. La superficie del vetro richiede lo sbocciare delle figure; con accenti nervosi, rapidi, con tratti graffianti come incisioni sulla lastra di rame, con tocchi delicati, Chagall pone la grisaille1. «E in questo incessante vai e vieni la vetrata si anima e trova poco per volta la sua forma. Non esiste né soggetto, né tecnica, né sentimento e neppure sensibilità… ma solo un misterioso rapporto fra l’occhio e la luce, fra la grisaille e la mano, fra lo spazio e il tempo… sia biologico, che molecolare, che si esprime in ritmo, colore, proporzione. E quando pare che il vetro abbia avuto la giusta misura di grisaille, la sua esatta chiarezza vitale, la mano si ferma come trattenuta da un’altra mano. Ma ogni segno su cui non sia sceso tutto il sangue del pittore si spegne, appassisce, si dissolve, si cancella» (Charles Marq). Il carattere misterioso della vetrata si misura dunque nella complessità della sua elaborazione, ma anche nell’alchimia del rapporto personale che si instaura nel laboratorio. Occorre infatti al maestro vetraio non solo una conoscenza tecnica, ma soprattutto un’intuizione divinatoria dell’opera che sta per nascere, per fare sua la visione del pittore, e per proporre alla sua immaginazione la prima concretizzazione del suo sogno. Se l’artista è solo nello scrivere la partitura dell’opera, 13
l’interprete però deve immedesimarsi nella sua musica, e l’interpretazione più federe all’originale è quella che contiene una parte di creatività. Espressione della verticalità, la vetrata è debitrice solo verso il maestro vetraio della forza tellurica e nera dei piombi che la innalzano verso la luce. E l’eccezionale bellezza delle vetrate di Chagall dipende anche da questa cupa e segreta struttura. Consistente in colore vetrificabile, permette il disegno a tratto oppure effetti di lavis. La sua origine risale al XII secolo; se ne parla nel De diversis Artibus del monaco tedesco Teofilo, che è il più antico trattato conosciuto sulla vetrata. La vetrata dunque nasce da una metamorfosi legata a un mutamento di proporzioni, e per esistere in quanto tale ha bisogno di un’intelligenza tecnica che proietti nello spazio la maquette dell’artista, e di una sensibilità che renda giustizia alla sua ricchezza cromatica. Tuttavia occorre che la maquette abbia in se stessa la forza esistenziale che si dispiegherà nella vetrata. La maquette è opera che viene definita da tutta una evoluzione plastica, nella quale la monumentalità appare, in Chagall, insita nel divenire stesso dell’opera pittorica. Pittura che rifiuta qualsiasi materialità, pittura-danza, pittura-libertà che persegue il sogno di un mondo aereo libero da qualsiasi peso. Molto presto infatti la pittura di Chagall tende a superare i limiti interiori della tavola; il grande formato è sentito dall’artista come una necessità; quella che tende a negare la natura intimista della pittura di cavalletto per raggiungere la dimensione di universalità del messaggio pittorico. I capolavori del 1911, Hommage à Apollinaire, Moi e le Village, A la Russie, aux ânes et aux atres, l’Autoportrait aux sept doigts, ne sono un primo esempio, seguito nel 1920 da quello delle pitture murali del Théâtre d’Art Juif di Mosca, delle quali occorre sottolineare l’importanza determinante. Queste opere permettono a Chagall di misurarsi per la prima volta con una collocazione e il suo uso. Oggetti decorativi, certo i dipinti dovevano integrarsi allo spazio al quale erano destinati, sostenerne le dimensioni – quattro metri per dodici, per una di queste. Ma soprattutto dovevano sintonizzarsi con lo spirito stesso del teatro e del suo repertorio, esprimendo il genio ebraico, diventandone il manifesto presente agli occhi di tutti. L’Introduction au Théâtre Juif, La Musique, La Danse, Le Spectacle, La Littérature sono i soggetti scelti da Chagall da illustrare, che anticipano quelli delle vetrate dell’Art Institute di Chicago. L’esperienza del Théâtre Juif avrà la sua completa realizzazione durante l’esilio americano, molti anni dopo. Fra il 1941 e il 1945 l’artista lavora per il balletto, su richiesta di Lucia Chase, direttrice dell’American Ballet Theater, e dei suoi amici coreografi Georges Balanchine e Lèonide Massine. Per quest’ultimo realizza gli allestimenti e i costumi del balletto Aleko, tratto da un poema di Puškin, Les Bohémiens, la cui prima ha luogo a Città del Messico l’8 settembre 1942. Nel 1945 dipinge il sipario di scena e le scenografie dell’Uccello
di Fuoco, di Igor Stravinsky; nel 1958 per l’Opera di Parigi, quelli di Dafni e Cloé di Maurice Ravel. E infine nel 1967 crea quelli per il Flauto Magico di Mozart, contemporaneamente ai grandi dipinti del Metropolitan Opera di New York, dedicati alla Musica. Da ogni prova Chagall esce vittorioso: tutto il lavoro per il teatro e per il balletto si risolve in una grande affermazione per l’artista, a dimostrazione della sua eccezionale capacità di dominare i problemi posti dalla rappresentazione multidimensionale. In un certo senso si può dire che il lavoro per la scena l’abbia preparato a quello per le vetrate. In entrambi i casi la sua soluzione plastica è connessa alla logica interna dell’opera che poggia sempre sulla possibilità del colore di rappresentare lo spazio. Spettacolo meraviglioso offerto agli occhi, favoloso e miracoloso. Il genio di Chagall esplode nella visione delle vetrate di Metz, di Gerusalemme, di Tudeley o di Nizza, nella percezione di quel fremere delle figure sulla superficie del vetro come su quella della tela, scaturite direttamente dal suo pennello ed eternate nella traslucida luminosità della parete. Ma esplode anche nelle maquette nelle quali già si ravvisa la dimensione monumentale, di cui già si intuisce la vittoria nella prova della messa su parete. La vetrata, realizzata durante la maturità e la vecchiaia dell’artista, appare infatti come il punto di arrivo dell’opera pittorica e del suo itinerario interiore, vale a dire quello di una vita interamente impegnata nell’attività creatrice. La felicità di dipingere è connessa in Chagall a una necessità più profonda, quella di una comunicativa universale. Il fatto pittorico trae la sua legittimità dall’occhio di chi lo percepisce, e la grandezza della pittura consiste in questo lasciarsi andare all’incontro, in questa apertura verso l’altro che è un modo di donarsi. L’opera di Chagall si attiene a questa dialettica, che presuppone anche la concezione della pittura quale entità organica e viva, nella quale la verità del pittore come persona si dipana tutta intera nella verità della sua pittura. Chagall ha avuto sempre coscienza di una specie di predestinazione della sua vocazione di pittore. Il dono ricevuto dal cielo lo impegna: «…Non mi figuravo l’Arte come professione né come mestiere; i dipinti non mi apparivano destinati esclusivamente a fini decorativi, domestici. Mi dicevo: l’Arte è in un certo senso una missione, e non bisogna temere questa parola tanto antica». Queste parole, pronunciate durante la Seconda guerra mondiale, nel 1943, al Pontigny franco-americano, a Mount Holyoke College2, riassumono una concezione dell’arte non solo plastica ma anche morale e spirituale, una concezione che è un credo. Se l’Arte è una missione, se rivela «una misteriosa quarta o quinta dimensione che non sono quelle captate dall’occhio», secondo le parole di Chagall, allora l’attività dell’artista non può esplicarsi solo in funzione di fini estetici. L’atto del dipingere si carica di un peso ben maggiore, di un 14
significato diverso. Attraverso la vista esprime un concetto, e si fa lui stesso messianico, annunciatore, profetico. L’atto creativo rivela un’esperienza totalitaria del mondo di natura religiosa; e l’importanza della Bibbia nell’opera di Chagall, e in particolare nelle vetrate, ne esprime il lato esplicito, quello iconografico. Il mondo della Bibbia era familiare a Chagall fin dalla prima infanzia. L’educazione ebraica si basa, lo sappiamo, sul racconto della storia del Popolo Eletto; storia che è innanzitutto quella di un linguaggio, nel quale ogni ebreo si riconosce. Le figure di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, di Davide diventano così estremamente vicine, come altrettante presenze che si incarnano nel quotidiano. Chagall, cresciuto in una famiglia di stretta osservanza, lo ricorda bene. In Ma Vie, racconto autobiografico, egli narra come, ragazzino, spiava l’arrivo del profeta Elia-Ilya, il cui posto veniva apparecchiato sulla tavola del giorno di Pasqua. «Forse si è fermato in cortile, sotto le spoglie di un vecchio malaticcio, di un mendicante curvo con una sacca sulla schiena e un bastone in mano, e così entrerà in casa?». La Bibbia dunque è innanzitutto questo: un tempo vissuto attraverso la sacralità del rito sabbatico della festa che circonda e rinnova periodicamente l’alleanza elettiva fra un popolo e il suo Dio. La vicenda personale di ogni ebreo è indissociabile da quella della comunità intera; il tempo di una Storia immemorabile – Bibbia sognata, afferma Chagall – è una realtà vera; e allora l’esperienza interiore confluisce nell’esperienza plastica. Per questo la forma non scaturisce da un artificio, ma pare animata della stessa sostanza dell’Essere. E si muove in uno spazio di movimento, di modulazioni e di vibrazioni luminose; e sembra scaturire dalla Parola del testo, sorgente o soffio vitale. Ogni elemento dell’immagine di Chagall contribuisce intimamente all’unità dell’insieme, né da questo può essere dissociata. L’arte di Chagall non è né letteraria, né, come talvolta si è detto, un’arte simbolista. «Giudicatemi per la forma e per il colore, ha affermato lui stesso, per la mia visione del mondo, ma non sui simboli presi separatamente». L’interpretazione, l’analisi formale devono perciò rifarsi a quel tutto indicibile e inafferrabile della sua opera. La forma, dolce e morbida curva, linea folgorante, ritmi fugati di ombra e di luce, ricrea in immagine il racconto biblico; ma poiché essa è anche figura, deve spiegare il suo significato: e cioè il legame che unisce ogni essere vivente all’insieme della Creazione, e ogni creatura al suo Creatore. Nell’opera di Chagall, sia essa pittura o vetrata, il popolo della Bibbia ci guarda, e la grazia di quei volti incarna il lignaggio dell’umanità. Alle finestre della
cattedrale, del tempio o della cappella, la presenza di Abramo, di Mosè, di Giacobbe, di Davide, discendenza dei Patriarchi e di Profeti, le figure di Sara, di Rachele, di Ester, specifiche per il destino degli ebrei, diventano le figure memoriali di una origine comune. Chi sono io? Innanzitutto questo: questo disegno superiore che, fattosi visibile, mi indica come un volto; e come volto mi definisce come persona. «Il destino morale dell’uomo trova qui i suoi grandi sostenitori, ha detto Bachelard delle figure di Chagall… E in tal modo una immemore rêverie provoca sensazioni di stabilità. Questi antenati del senso morale abitano in ognuno di noi. Il tempo non li ha sciupati. Essi rimangono fermi nella loro grandezza… Nella Bibbia viviamo la storia di un’eternità». La verità della Bibbia che esalta la creazione dell’Uomo come creatura e come popolo è universale, e in ciò si identifica con la vocazione del popolo ebraico, di cui il Cristo rimane la figura esemplare, Uomo fra i Giudei, Giudeo fra gli uomini, «figura centrale del Mistero della Vita», la più eccelsa incarnazione dell’umanità: questa è la folgorante intuizione di Chagall. E l’arte, di conseguenza, è proprio una ierofania poiché ricrea la Creazione stessa. Atto d’amore per mezzo del quale la sfera del sensibile viene trasfigurata in quella del divino, e la vetrata diventa il luogo in cui ogni fatto materiale si apre alla Luce di un’Intelligenza che lo trascende. Arte religiosa? Arte sacra? Voce analogica in ogni caso, secondo l’antica concezione di Dionigi l’Aeropagita. L’opera di Chagall su tutto il vetro partecipa di questa concezione; e noi possiamo constatarlo nella vitalità delle forme, nella bellezza delle figure, nella alchimia del colore tramite il quale si estrinseca la pienezza del fatto creativo. In questo l’arte di Chagall si rivela profondamente religiosa. Non perché si riferisce letteralmente a una religione che la spiega, ma perché l’esperienza creatrice è essa stessa religione. «L’esperienza creatrice è religiosa al pari della preghiera o dell’ascesi» ha detto il filosofo russo Nikolaj Berdjaev3, che ha aggiunto: «…Ma nel mistero della creazione, ciò che si svela è la natura infinita dell’uomo stesso e la sua vocazione più sublime che si realizza. …La natura umana, finalmente, non deve giustificarsi davanti al creatore annichilendosi, ma manifestandosi invece in un atto di creazione». Chagall ha fatto sua, con umiltà, questa asserzione. E nella vetrata, come nella sua pittura, ci dice fervidamente la meraviglia che ogni mattino si rinnova, davanti allo spettacolo della realtà dell’universo, della realtà dell’arte, vibrante là sulla parete, o sulla tela, che adombra un Paradiso perduto, ma rimarrà per tutta l’eternità.
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3. Chagall e la vetrata Sylvie Forestier
«Penetrava nella luce e nel colore per abitarvi, magnificarli, esaltarli. L’importanza di tale valore si rivelava allora compiutamente. Chagall dava vita a ogni finestra per il tramite della sola grisaille. Mia moglie ed io ammiravamo soprattutto la bella e generosa pazienza con la quale creava, con gli elementi che aveva di fronte a sé, legittimando ogni piombo con un contrappunto del disegno, ogni vetro con il valore di un grigio, lumeggiando con i colpi di pennello, i graffi, i morsi sulla grisaille leggera. Una campitura in cui la luce risplendeva un po’ caotica e dispersa diveniva più densa, più calma; la sua meravigliosa sensibilità recepiva la luce prigioniera sul vetro per diffonderla, farla risplendere, condurla da un bianco all’altro, un vero dialogo, nel quale sapeva sempre raggiungere tra il vetro e lui il giusto momento per soggiogare la difficoltà. Poco a poco l’intera vetrata trovava la sua composizione, disegno, valore, colore, e ogni vetro riceveva come una misteriosa quantità di nero opaco, di grigio trasparente e di luce pura, come gli artisti del Medioevo facevano alla loro maniera… Questa grandissima sincerità lo portava a reinventare tutto, senza per questo allontanarsi dalla sua visione primaria. Ogni nuovo dettaglio era sempre ragione indispensabile dell’armonia generale, nel punto esatto ove poteva e doveva vivere, esistere». Charles Marq, citato da Jean Leymarie, Chagall, vitraux pour Jérusalem, André Sauret, Monte Carlo 1962, pp. 173-184.
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L’incontro di Chagall con la vetrata avviene sotto il duplice segno della cattedrale di Chartres e di Padre Marie-Alain Couturier. Nella sua opera fondamentale dedicata all’artista, Franz Meyer ricorda la visita effettuata da Chagall a Chartres nel 1952. «Studiò attentamente, scrive Meyer, anche da fuori la forma e la tecnica delle antiche vetrate». Inoltre, il pittore credette di scoprire in un grande asino verde di aspetto “chagalliano”, quasi una simbolica e plastica comunanza fra l’opera sua e quella dei maestri medievali dell’illustre cattedrale. Tale parentela è ancora palese oggi nella vetrata di Saint Lubin, nella navata laterale a settentrione: qui si rivela quel placido bestiario di un mondo pastorale così familiare a Chagall. Ma possiamo immaginare il profondo sentimento e l’emozione del pittore nella scoperta delle vetrate di Chartres. Non ritrovava, forse anche, sulle pareti del grande edificio, nella loro esemplare eternità, le memorabili figure bibliche che animavano l’opera sua? Qui la cronologia è piena di significati: nel 1950 Chagall si è stabilito a Vence da un anno, e si è così riunito sulla Costa Azzurra alla comunità artistica di Picasso e di Matisse. Quest’ultimo, stabilito a Nizza, lavora alla cappella delle suore domenicane di Vence, la cappella del Rosario, che sarà inaugurata il 25 giugno 1951. Impostazione di un progetto monumentale sul quale convergono le preoccupazioni di Chagall. Il pittore infatti a partire dal 1950 inizierà un periodo di pieno rigoglio dell’arte sua. A Vence nella grande calma di villa “Les Collines”, nell’equilibrio interiore raggiunto con il matrimonio con Valentina Brodsky Vava, nella pienezza di una luminosità che conferirà alle opere di questo periodo lo splendore delle gemme, Chagall ritrova le fonti vive della sua ispirazione e scioglie il suo canto più significativo. Per prima cosa comincia a riprendere in mano il lavoro inaugurato da Ambroise Vollard, e cioè l’illustrazione della Bibbia. Tale opera, lo sappiamo, fu iniziata da Chagall nel 1931; impresa immensa, centro di tutta la sua opera, che finì nel 1956. Le centocinquanta tavole incise ad acquaforte, una delle vette della tecnica dell’incisione, ripercorrono con un afflato ispirato al leggendario destino del popolo di Israele. In questa opera di Chagall la Bibbia ha un ruolo particolare, essenziale. Essa coordina la sua visione plastica e guida le sue scelte creative. Di essa si nutre tutta la poetica di Chagall, e anche negli anni a venire, fornirà gli elementi figurativi dell’iconografia che sarà realizzata nelle vetrate, e che daranno corpo alla dimensione profetica della visione del pittore. A partire dal 1950 si intravvede chiaramente il nucleo del progetto di creazione, che è già presente nell’insieme dell’opera. E cioè quella di un tutto organico che vuole esprimere un significato, quello di un racconto mitico, esemplare per il destino dell’umanità. Agli interrogativi dell’umanità, alla domanda fondamentale già posta da Gauguin “da dove veniamo, chi siamo e dove andiamo?” e nella quale si rivela la cocente libertà della coscienza, la pittura riesce a dare almeno un volto, se non
una risposta. E l’importanza sempre maggiore del ciclo biblico nell’opera di Chagall a partire dagli anni intorno al ‘50, ne rivela gli scopi. L’arte è missione: il pittore è un profeta, cui compete rivelare un’altra realtà. Le opere di ispirazione biblica prendono così l’avvio. Alle incisioni segue una serie di disegni preparatori, guazzi, pastelli, che testimoniano della potenza ossessiva di tale ispirazione. Il tema unificatore è facilmente intuibile: è quello della creatura davanti al Creatore; del dialogo fra uomo e Dio, di cui la Bibbia è sublime metafora narrativa. L’avventura plastica diventa così un itinerario interiore, e richiede per l’esecuzione di grandi formati. Diventa perciò imperiosa la necessità di occupare uno spazio architettonico, nel quale possa collocarsi il nuovo ciclo. Il Messaggio richiede tutta la parete. A Vence Chagall si volge alla cappella sconsacrata del Calvario; la pianta cruciforme della cappella gli suggerisce il soggetto degli undici primi dipinti, con episodi concatenati dall’Antico Testamento. La loro collocazione nello spazio deve esprimerne il significato. La pianta cruciforme della cappella consente infatti una collocazione simmetrica delle tavole da un muro all’altro. Contrapposti e insieme complementari, i dipinti riescono a suggerire l’intento che ha presieduto al loro concatenamento. Tale concezione procede da un doppio schema che collega la creatura al suo Creatore nell’arco della sua storia. Così nel progetto iniziale, La Creazione dell’uomo fronteggiava l’Alleanza del Signore con Noè; il Paradiso corrispondeva alla Scala di Giacobbe; La Cacciata dal Paradiso si contrapponeva alla Lotta fra Giacobbe e l’angelo, il Roveto ardente ad Abramo e i tre angeli; Mosè che fa zampillare l’acqua dalla roccia a Mosè che riceve le tavole della Legge. Ma Chagall non realizzò questo progetto. Sappiamo quello che esso diventò: il Museo Nazionale Messaggio Biblico Marc Chagall, nato dalla donazione di Marc e Valentina Chagall allo Stato francese della serie dei diciassette dipinti monumentali inizialmente destinati alla cappella del Calvario (cfr. P. Provoyeur, Chagall. Messaggio Biblico, Jaca Book 1984. Vedi anche P. Provoyeur, Chagall. Il gesto e la parola, Jaca Book 2011). Ma il progetto iniziale aveva indotto il pittore all’apprendimento di altre tecniche, più adatte a rendere la dimensione murale. Per Vence, infatti Chagall si propose di creare un’unità visiva posta fra le grandi tele e l’architettura interna. Si trattava dunque di “tenere” il muro, appropriandosene, pur rispettandolo come spazio monumentale. All’inizio pensa agli arazzi, poi passa alle sculture, che in un certo senso assicurano una creazione tridimensionale, alle ceramiche e finalmente alle vetrate, poiché alcune finestre dovevano venir chiuse. La visita effettuata a Chartres assume quindi un valore simbolico, addirittura iniziatico: se infatti il ciclo della cappella del Calvario non è realizzato, Chagall si impegna contemporaneamente a decorare il battistero di Notre-Dame de Toute Grâce sull’altopiano di Assy. 17
La chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce di Assy, in Alta Savoia, è uno dei monumenti più originali dell’arte moderna, e testimonia anche la personalità fuor del comune di un uomo, padre Marie-Alain Couturier; questo domenicano che rinnovò veramente l’arte sacra in Francia, conducendo una lotta senza quartiere contro tutte le espressioni accademiche e sulmiziane dell’arte religiosa, di cui non cessò mai di denunciare il moralismo semplificatore. «Il cristianesimo non è una morale, diceva, ma una mistica, nella sua essenza». (M.A. Couturier, La Vérité Blessée, Plon, 1984). Infaticabile animatore della rivista L’Art Sacré, dal 1937 al 1954, insieme a padre Regamey, egli fu amico solerte per molti artisti, scrittori, architetti e pittori. Ebbe il coraggio di chiedere a Fernand Léger, comunista convinto – come sappiamo – le vetrate per la chiesa di Audincourt. Lavorò con Braque, Le Corbusier, Matisse, con il quale condivise l’avventura della cappella del Rosario a Vence. Ma il progetto di Assy rimane comunque l’espressione più esemplare della sua concezione della missione di sacerdote. Nel 1939, dopo aver diretto egli stesso dei lavori di decorazione liturgica in alcune chiese o di creazione di arredi e di paramenti sacerdotali, si vede affidata dall’architetto Maurice Novarina la nuovissima chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce. In tal modo ha la possibilità di concretizzare su una costruzione la sua concezione di arte sacra. Si propone quindi di ricorrere, al di fuori di qualsiasi credo religioso, a quegli artisti da lui giudicati maestri d’arte contemporanea. La guerra lo costringe a differire il suo progetto; rifugiatosi in Canada si adopera per il rinascere dell’arte religiosa muovendo le mosse da quella popolare. Nel 1941 e 1942 soggiorna spesso a New York, dove incontra quegli artisti che sono fuggiti dall’Europa e dalla persecuzione nazista, Léger, Zadkine, e molto probabilmente anche Chagall. L’esilio gli consente di maturare i suoi convincimenti e, ritornato a Parigi nel 1945, riapre, per portarlo a compimento, il cantiere della Chiesa d’Assy. Léger, Bazaine, Rouault, Braque, Lurçat, Lipchitz, e Germaine Richier partecipano con entusiasmo all’avventura. Chagall aveva promesso a padre Couturier di decorare il battistero; e dal 1950, data in cui venne consacrata alla chiesa, al 1957, dopo la morte di padre Couturier, Chagall vi lavora.
di tutte le religioni». Due bassorilievi, che si ispirano ai Salmi, conferiscono, come contrappunto, la vibrazione madreperlacea del marmo che modella lievemente la luce. Ma le due vetrate meritano una particolare attenzione in quanto inaugurano il Suo operare in questo campo. La concezione dell’assieme della decorazione del battistero voluta da Chagall si basa su un presupposto monocromatico. Solamente la ceramica murale interrompe la luminosità dell’atmosfera. Le due vetrate realizzano felicemente la maquette originaria disegnata con un delicato lavis. Il chiaroscuro vuole rendere la morbidezza del disegno lumeggiato da rari accordi in rosso o in giallo. Il duplice moto delle figure, due Angeli, che convergono con un medesimo slancio verso il fonte battesimale, si dispiega con la massima libertà, simbolo del mistero della Nascita allo Spirito. Nella serena luce dello spazio interno, il peso non esiste più. Qui il vetro si propone in tutta evidenza come «materia di trasparenza». In tal modo, di primo acchito, Chagall coglie la reale destinazione della vetrata, e il suo rapporto con lo spazio al quale è consustanzialmente legata. Spazio architettonico anch’esso, finalizzato dalla sua funzione; spazio sacramentale e liturgico quando si tratti di chiesa, di sinagoga o di tempio, spazio commemorativo o celebrativo nel caso di musei o di sale da concerto. Ma comunque spazio collettivo, fatto a misura di una comunità di uomini. Questa prima prova, messa in opera dal vetraio Paul Bony, sarà seguita nel 1958 dal lavoro eseguito per la cattedrale di Metz.
Metz Anche se lo spazio a disposizione di Chagall nella chiesa d’Assy era esiguo, il pittore era comunque riuscito nel suo intento: trascrivere formalmente con semplicità e vigore il mistero della sacralità liturgica che pervade il battesimo. Ma la difficoltà doveva aumentare allorché Robert Renard, architetto in capo della cattedrale di Metz gli richiese delle vetrate per rimpiazzare alcune di quelle antiche andate perdute. Si trattava insomma di confrontarsi con la realtà schiacciante dell’architettura gotica, con la sua preesistenza formale e con il condizionamento che essa indubbiamente avrebbe esercitato. Dal 1958 al 1968 Chagall intraprende un vasto programma creativo, che porta nel 1960 alla realizzazione della seconda finestra sul lato settentrionale dell’abside, nel 1962 a quella della prima finestra sullo stesso lato, e poi nel 1963 e 1964 a quella della finestra occidentale del transetto settentrionale. Infine, le sedici finestre del triforio dal transetto settentrionale saranno compiute nel 1968. L’invenzione figurativa all’interno della cattedrale, deve raccordarsi a due luoghi diversi: il lato settentrionale dell’abside, o meglio del deambulatorio che la serve, e il transetto settentrionale. La prima finestra del deambulatorio ha una struttura ogivale
Assy Egli realizza, su scala ridotta, la concezione di un complesso coordinato di opere fra loro complementari, che era quello per la cappella del Calvario a Vence. Per il battistero, piccola cappella laterale alla navata, rischiarata da due finestre, Chagall crea una ceramica murale di grandi dimensioni (306x230 cm), Il Passaggio del Mar Rosso, che dedica «In nome della libertà 18
composta da quattro lancette, sormontate da un reticolo polilobato; un semi-pilastro la separa e insieme la unisce alla finestra che segue, composta anch’essa da tre lancette sormontate pure da un reticolo polilobato. È quest’ultima finestra che verrà eseguita per prima. L’ordine di lettura delle due finestre può essere rovesciato a seconda che si entri nel deambulatorio dalla navata laterale a settentrione o che vi si giunga seguendo la navata laterale a meridione. Nel primo caso infatti si è indotti ad attraversare il braccio settentrionale del transetto, che riceve la luce diffusa dall’immensa vetrata di Théobald di Lyxheim, e dalle vetrate dello stesso Chagall sul lato est ed ovest del triforio. L’impressione visiva differirà dunque a seconda che l’occhio passi con violenza dalla luminosità del transetto all’ombra del deambulatorio, o che invece proceda per gradi, qualora il percorso richiesto dalla cattedrale passi dal lato a meridione. Dalla prima esperienza percettiva si ha l’emozione violenta del contrasto, dalla seconda si attua un processo di meditazione più interiorizzato. Ma in entrambi i casi, si tratta di leggere un insieme in cui ogni composizione occupa un posto suo, in cui ogni parte si integra nel tutto iconografico e architettonico.
un doppio significato. Esso va inteso in primo luogo come fatto narrativo del racconto biblico, tratto dall’Antico Testamento; e allora il significato prevalente è contenuto nella tradizione ebraica. Il racconto narra dell’Elezione del Popolo di Israele a Popolo di Dio. Si afferma in tal modo l’unità di lettura delle due finestre, poiché si tratta di rifarsi alla vocazione messianica del Popolo Eletto. Le figure esemplificatrici di questo destino sono chiaramente rappresentate, e dall’una all’altra finestra si riconoscono Abramo, Giacobbe, Mosè, i Patriarchi, essi stessi Padri della Nazione, poi i Profeti, i Re, Geremia e Davide. Ma il racconto ha un significato ancora più universale. Si tratta del rapporto stesso fra Uomo e Dio, e qui è raffigurato quel richiamo ineffabile alla Trascendenza, sentito dalla coscienza dell’uomo. In tal modo si incrociano e si contrappuntano le due prime lancette delle vetrate del transetto e del deambulatorio. Il Sacrificio d’Isacco si immerge nel blu inaudito dell’obbedienza; lo splendore solare dei gialli della Creazione dell’Uomo che rivela – al centro del transetto – l’Amore del Creatore per la sua Creatura, continua per placarsi qui, nella notturna luce dell’amore della creatura verso il suo creatore. La complementarietà cromatica rende perfettamente il significato, e comporta anche il suo equivalente simmetrico: l’ultima lancetta della finestra in cui appare la visione estatica di Mosè davanti al roveto ardente. Qui gli azzurri più intensi guidano lo sguardo verso i porpora e i viola della finestra successiva, e al tempo stesso scatenano i rossi dominanti delle lancette centrali, quelle della Lotta di Giacobbe e dell’Angelo, e quella del Sogno di Giacobbe. L’analisi dell’ultima finestra suscita degli interrogativi: le figure di Mosè che riceve le Tavole della Legge, di Davide, il re-poeta, di Geremia, occupano il tempo cronologico dell’Esodo, dei Salmi, del Libro di Geremia, e sono successive, nella collocazione della Cattedrale, a quelle della Genesi. E purtuttavia, la loro realizzazione fu la prima ad inaugurare il ciclo di Metz. A questo punto una conclusione si impone in tutta la sua evidenza: fin dal 1958 Chagall aveva una concezione dell’insieme che traeva la sua coerenza plastica sia dalla scelta iconografica, che dalla resa cromatica e dalla sua collocazione nello spazio. La sconcertante facilità con la quale l’artista si è inserito nella preesistente architettura, dimostra un’aderenza profonda fra il suo linguaggio personale e la concezione medievale. Al di là di quel «primitivismo» di cui spesso è stato tacciato il pittore, esiste un’analogia strutturale fra la gerarchia formale dell’architettura gotica della cattedrale in cui gli spazi sono concatenati gli uni negli altri e le figure che costruiscono quell’immagine che è specifica dell’opera di Chagall. Un ultimo esempio ne è ulteriore prova: nonostante la vicinanza alla parete settentrionale del deambulatorio, che avrebbe potuto giustificare una composizione simmetrica, le due finestre, quella di Abramo, Giacobbe e Mosè, e quella di Mosè, Davide
Dal transetto al deambulatorio Qui alla lettura si impone un imperativo: quello della verticalità. La luce che circola nello spazio interno del transetto discende con lento movimento dall’alto, e ricrea le strutture dell’architettura che, con l’ogiva, il costolone, il capitello, la colonna o il pilastro, creano la superba scanalatura delle pareti. E allora nel triforio si rivela lo splendore del Paradiso. Tutto un universo di luminosità vegetale si dischiude; la percezione visiva abbraccia un insieme di fiori e di uccelli nei quali emergono il Grande e il Piccolo Bouquet; e sulle pareti opposte del lato occidentale e orientale del transetto, trovano il loro contrappunto. L’occhio segue la morbida curva che si allunga da una finestra all’altra secondo un procedere orizzontale. E questo movimento si conclude nella finestra che, sul lato occidentale, è collocata nel registro inferiore. Tale gerarchia formale ricrea in pieno il Tempo originario del racconto biblico della Creazione. Su una base di un giallo solare della vetrata, Chagall rievoca la Creazione dell’uomo, la Creazione di Eva, l’incontro di Eva e il Serpente, la Cacciata dal Paradiso; Paradiso che il cadere dello sguardo dalle finestre del triforio a quella della Creazione fa sentire come irrimediabilmente perduto. Novello Adamo, il visitatore entra così nel tempo della sua storia, cui lo chiama l’ombra del deambulatorio che succede alla luminosità del transetto. Ombra di raccoglimento. Ombra di pentimento. Ombra di rinascita. La prima finestra che si presenta narra il ritrovarsi con Dio; narra il dialogo riannodato, l’orecchio teso alla Sua Presenza. Ogni episodio che Chagall decide di illustrare reca in se stesso 19
e Geremia, non presentano lo stesso numero di lancette. La prima (che è stata la seconda nell’esecuzione) presenta quattro lancette, la successiva tre. Tale apparente squilibrio nasce da una costrizione architettonica; e Chagall ne era pienamente cosciente quando chiamava questa apertura la «ferita», o la paragonava, come ricorda Franz Meyer «a un uomo che zoppica o che cammina con una gamba più corta». Ma anche di questo squilibrio Chagall sa avvalersi: le figure di Mosè e di Davide poggiano con tutto il vigore della loro monumentalità sulla struttura del pilastro che le precede, e quella di Geremia, silente forma circolare ripiegata su se stessa, chiude la composizione. Corona musicale, nell’ombra viola e azzurra della vetrata, di una magistrale composizione. Il lavoro per la cattedrale di Metz durò dieci anni; e in questa circostanza si stabilirono profondi i legami di una collaborazione che si rivelerà di importanza capitale: quelli dell’artista con colui che da quel momento diventerà il realizzatore della sua genialità creativa, il vetraio Charles Marq. Avremo modo di approfondire meglio le modalità specifiche di questa collaborazione che richiede un’attenta analisi e pone la questione dei rapporti fra artista e artigiano. Ma qui dobbiamo ancora insistere sull’importanza di questo incontro. Le prime prove di Chagall, l’abbiamo detto precedentemente, furono quelle fatte ad Assy. La loro realizzazione fu opera di Paul Bony, artigiano capace e onesto. Chagall tuttavia non ne fu completamente soddisfatto. Il lavoro di Paul Bony rispettava il pensiero dell’artista, ma la sensibilità del vetraio si adeguava di più all’arte di Matisse, di cui eseguì le vetrate per la cappella del Rosario, o a quella di Braque, per cui realizzò quelle di Varengeville. Ora Chagall in tutta la sua vita ha sempre cercato il rapporto personale mediante il quale raggiungeva l’unità artistica e la varietà delle sue espressioni. Il dialogo intavolato con i poeti, Cendrars, Eluard, Esenin, Aragon, e con i filosofi, Maritain o Bachelard, chiariscono perfettamente la sua concezione dell’arte quale messaggio. Lo scambio di esperienze individuali gli era in un certo senso necessario. In occasione del progetto per la cattedrale di Metz, Robert Renard lo mise in contatto con Charles Marq e Brigitte Simon. Marq aveva appena terminato le vetrate di Jacques Villon per la cappella del Santissimo Sacramento sul lato destro della cattedrale. Insieme a sua moglie Brigitte Simon, lavora a Reims, nel laboratorio del padre di quest’ultima, Jacques Simon. La storia di questa vetreria, una delle più antiche e famose nell’arte vetraria, dovrebbe essere narrata. Erede di tradizioni medievali, la sua portata fu determinante nel rinnovamento della vetrata contemporanea. A partire dal 1958, nel cuore della fabbrica, sotto la direzione di Charles Marq, e sotto lo sguardo attento di Brigitte Simon, verrà eseguito il rigoroso lavoro di trasporto su vetro. Lavoro che richiede onestà e amore, e la cui
straordinaria riuscita è dovuta al miracoloso incontro fra un grande creatore e i suoi ispirati Interpreti.
Gerusalemme Nel 1959 si aprì a Parigi un’importante retrospettiva dell’opera di Chagall, dove venne esposta la lancetta di Metz, Geremia e l’Esodo del popolo ebraico. Essa attirò l’attenzione della presidente di una associazione americana di confessione israelitica, Myriam Freund. «Hadassah», nome della associazione e nome in ebraico di colei che la fondò nel 1912, Henriette Azold, riunisce quasi quattrocentomila membri. Le sue molteplici attività la inducono a fondare nel giovane stato d’Israele un importante centro medico, a Ein Kerem, nei pressi di Gerusalemme. A Parigi, Myriam Freund è accompagnata dall’architetto incaricato del progetto, Joseph Neufeld. Era già prevista una sinagoga inglobata nel complesso ospedaliero, e per questa, di comune accordo, essi richiedono le vetrate a Chagall. L’architettura che avrebbe dovuto affrontare Chagall aveva uno schema assai semplice. Situata a Ein Kerem, a sud-ovest di Gerusalemme, la sinagoga concepita da Neufeld presenta una pianta quadrata sormontata da una lanterna. Dodici aperture a tutto sesto le danno luce, poste in gruppi di tre sui quattro lati dell’edificio e orientate verso i quattro punti cardinali. Al primo sguardo il problema plastico che si proponeva a Chagall era di natura diversa da quello della cattedrale di Metz. L’ordine architettonico medievale realizzato nella cattedrale privilegia infatti una sola direzione, e la pianta cruciforme crea uno squilibrio intenzionale fra le varie parti che si organizzano indipendentemente nel loro rapporto con l’asse principale, quello cioè che conduce alla navata centrale, da occidente ad oriente, da Portale Reale al coro. La cattedrale evoca un moto, una deambulazione rettilinea, che è l’approccio visibile al mistero divino. Chagall aveva capito tutto questo: abbiamo visto precedentemente come dal transetto al deambulatorio si offra allo sguardo il succedersi degli episodi del racconto biblico, che rivelano una concezione unitaria collegata però a una libertà di percorso, che sta a figurare la libertà dell’uomo entro l’insostituibile punto focale. La funzione della sinagoga è diversa da quella della cattedrale, espressione organica di una concezione teologica dell’universo. La sinagoga è innanzitutto luogo di riunione. La storia religiosa del popolo ebraico è infatti ontologicamente collegata al deserto. Il tempio in cui si adora l’Eterno non è fisso, ma si sposta, e la sinagoga dunque non è necessariamente il luogo esclusivo di una cerimonia liturgica. Il rapporto con Dio si instaura invece per mezzo della preghiera comunitaria 20
dell’assemblea di persone che realizzano, in seno all’assemblea, l’elezione. L’unico imperativo relativo all’edificazione di una sinagoga è la necessità di finestre, collegate al succedersi delle tre preghiere del mattino, del mezzogiorno e della sera, così come sono riferite nel libro di Daniele (Dn 6,11). Ad Hadassah le dimensioni di ogni apertura, oltre 3 metri di altezza per 2,50 di larghezza, creano uno spazio d’apertura, di incavo dei muri, di particolare importanza. La splendente luminosità della Palestina penetra dunque a fiotti nell’interno dello spazio della sinagoga, e le fonti di luce poste ai quattro lati dell’edificio consentono inoltre una intima penetrazione della luce nell’architettura. La luce scolpisce lo spazio creando l’illusione del movimento; nell’avvicendarsi delle ore, l’edificio è chiamato a vivere il suo tempo quotidiano che diventa tempo rituale ogni volta che si salmodiano le tre preghiere giornaliere. Nel 1951, nel suo primo viaggio in terra biblica, Chagall aveva profondamente recepito la forza, la luminosità eccezionale di una luce naturale che suggerisce allo spirito l’immediatezza di una esperienza spirituale. Egli già conosceva gli effetti di una tale accentuazione dell’intensità luminosa sul colore, «rilevato» in tal modo alla sua massima forza di irradiazione. E tuttavia sentiva anche la santità del luogo, che per lui non era solo occasione del rapporto verso Dio con la preghiera, ma anche luogo della sua memoria personale, luogo della sua infanzia, della sua poesia. Operare nella sinagoga di Gerusalemme diventava per lui una forma di intima realizzazione, plastica e mistica insieme. Questa esperienza doveva condurre l’artista a una delle sue prove più alte e meglio riuscite. L’unità spaziale della sinagoga e la simultaneità del suo impatto visivo richiedevano una concezione unitaria. Chagall scelse il tema delle dodici tribù d’Israele. Due testi biblici fondamentali gli forniscono l’ispirazione di prima mano: quello della Genesi, cap. XLIX, e quello del Deuteronomio, cap. XXXIII. Prima di morire, Giacobbe, dopo aver benedetto Efraim e Manasse, suoi nipoti, riunisce intorno a sé tutta la famiglia, tutta la sua discendenza. Indi, chiamando successivamente ognuno dei suoi dodici figli per nome, li benedice. E con tal gesto Giacobbe li crea antenati eponimi delle Tribù. Egli chiama per nome svelando a ciascuno il proprio destino individuale. L’apprendimento diventa così profezia, e l’enunciazione del nome l’atto costitutivo del destino collettivo. Così Israele nasce alla sua storia. La benedizione di Giacobbe va intesa come un vero e proprio rituale di fondazione, rivelando una tipica concezione del pensiero ebraico, che unisce il Verbo all’Essere. Nel Deuteronomio Mosè ripete il gesto di Giacobbe; e le Tribù adempiono la promessa fatta loro, entrando in terra di Canaan. Sentinelle dell’Arca e del Verbo di Dio, diventate esse le lettere delle Tavole della Legge, ricevono la Terra Promessa, e diventano Nazione. Chagall ha sentito profondamente la forza e la bellezza del testo
biblico e la sua opera ne realizza la più splendida delle metafore plastiche. Senza venir meno all’interdetto ebraico di rappresentare la figura umana, Chagall riesce a rendere l’individualità di ogni tribù. E per far ciò si avvale di un vocabolario iconografico tratto dall’infinita dovizia della raffigurazione animalista. Così Ruben il primogenito è rappresentato dal volo possente degli uccelli; la violenza di Simeone da quella del toro o del destriero in guerra; il leone raffigura Giuda la cui regalità è oltretutto indicata dalla corona; l’asino è il tenero Issacar; la vipera – la Bibbia parla di ceraste – è la fulminante giustizia di Dan; la cerva, la velocità di Neftali. A questo bestiario si affiancano gli oggetti cerimoniali, specificando la funzione di ogni tribù in seno alla comunità. Possiamo riconoscere nella vetrata di Levi la stella di Davide e le Tavole della Legge, che indicano chiaramente la missione sacerdotale dei Leviti; la menorah – il candelabro sacro a sette bracci – si vede nella vetrata di Aser; lo shofar, questo strumento liturgico fatto di un corno di montone, che suona solennemente per il Nuovo Anno o per il Gran Perdono (Yom Kippur), commemora il sacrificio di Isacco. E finalmente le lettere ebraiche, con il nome di ogni tribù, stanno iscritte al sommo di ogni vetrata al centro, o la attraversano a guisa di filatterio. Questa sottolineatura del nome che assurge nell’economia della vetrata al rango di elemento plastico, ne conferma la sacralità araldica. Ma se gli elementi figurativi coordinano l’iconografia particolare di ogni vetrata, è però il colore che conferisce all’insieme il suo irradiare misterioso, la sua forza evocatrice, la sua ricchezza simbolica. Le vetrate infatti si dispongono come una corona luminosa al di sopra dello spazio centrale della sinagoga. Raggruppate a tre per tre sulle quattro pareti dell’edificio, sembrano vegliare sopra l’Arca Santa, come fecero le tribù nel deserto. Il loro orientamento verso i quattro punti cardinali assicura l’illuminazione con la luce naturale, secondo il trascorrere delle ore. Qui l’intimo rapporto che lega il valore di un colore e la sua intensità alla superficie e all’intensità di luce che riceve, è mirabilmente padroneggiato da Chagall. Un testo fondamentale dell’Esodo (28,15-21) fornisce la chiave cromatica e simbolica che egli realizzerà. Ne utilizza infatti quella gamma che si accorda ai versetti del Genesi e del Deuteronomio e alla natura della luce. La luce da Levante illumina le vetrate di Ruben, di Simeone e di Levi, modulando e accordando i valori dell’azzurro a quelli del giallo; nella parete meridionale esplodono i rossi delle vetrate di Giuda e di Zabulon, che sono smorzati dai verdi leggeri di Issacar; i toni freddi si dispiegano sulla parete occidentale, nelle vetrate di Dan, di Gad e di Aser; e finalmente sulla parete settentrionale i gialli solari delle vetrate di Neftali e di Giuseppe abbagliano l’occhio per poi acquietarsi nei blu notturni della vetrata di Beniamino. 21
Un vero e proprio ciclo cromatico accompagna e dà significato al ciclo iconografico; il colore enfatizza la forma ed esalta il significato di ogni vetrata e di tutta la serie. Così la metafora biblica si fa immagine, e una effettiva correlazione si stabilisce fra il testo e la figura che rende anche la minima sfumatura psicologica. E la traduzione plastica costruita su un’articolazione combinata di colori è fonte di emozione. Così il color zaffiro profondo del volo possente degli uccelli nella vetrata di Ruben ci dice la forza primordiale del primogenito dei figli di Giacobbe; quello ancor più profondo di quella di Simeone ne svela la violenza guerriera e brutale, espressa ulteriormente dalle figure del toro e del cavallo; le Tavole della Legge designano la funzione sacerdotale di Levi che lo splendore sacrale del giallo innalza ed esalta; davanti ai bastioni della città santa il leone di Giuda si è accucciato, preannunciante, nello splendore di porpora della sua regalità, la sua filiazione messianica. Zabulon, «marinaio su tutte le navi», è quel pesce balzante i cui rossi si intonano alla vetrata di Giuda, che con lampi di azzurro e di verde preannuncia l’inaudita freschezza di quelli di Issacar. Simile alla ceraste, la temibile vipera del deserto, Dan giudica e colpisce; e una disarmonia intenzionale fra verdi acidi e rossi conferisce un aspetto sinistro alla vetrata di Gad; Aser, il cui nome significa felicità, distribuisce i benefici della benedizione divina, esaltata da verdi primaverili; i gialli chiari di Neftali guidano allo splendore solare di quelli di Giuseppe, che esprime la speciale santificazione legata al suo nome; e finalmente, corona musicale di questa vera e propria partitura cromatica, la vetrata di Beniamino, di un rosa malva e azzurro, conclude la processione delle Tribù. È nato in tal modo un luogo eccezionale, la cui bellezza consiste nell’armonia interiore di ogni finestra e in quella che si crea fra le finestre stesse. L’occhio è dapprima aggredito dall’impressione dell’insieme; e la percezione simultanea è causa di stordimento. Poi, quasi immerso nel colore, lo sguardo seziona ogni vetrata, nutrendosi dei sottili rapporti che intercorrono fra di esse. La sontuosità cromatica è di un incanto affascinante, essa si impossessa dello spazio che corre fra parete e parete, e così la sinagoga diventa poema sinfonico. Messaggio universale che, alle porte della città santa, realizza le parole del profeta Ezechiele (Ez 48,30-35), la Sinagoga di Hadassah, grazie al genio di Chagall, si colloca di diritto nella storia dei capolavori dell’umanità. La conclusione del programma iniziato per la sinagoga del Medical Center di Hadassah segna una svolta nella storia delle vetrate. Dopo il 1962 infatti Chagall, che trova con la vetrata un nuovo linguaggio, un mezzo espressivo adatto alla sua libertà creativa, si impegna nell’avventura di pensare in dimensioni monumentali; e dal 1964 fino alla sua morte nel 1985 la persegue con la coerenza di una vera e propria opera. Riceve e accetta ordinazioni sempre più numerose; le vetrate si susseguono, realizzate, nel laboratorio
di Reims, dai maestri-vetrai, Charles Marq e Brigitte Simon. È significativa a questo punto la cronologia: 1962: prima finestra del deambulatorio dell’abside nord della cattedrale di Metz, I Profeti; 1963-1964: vetrata della finestra del transetto nord della cattedrale di Metz, Il Paradiso; 1964: vetrata del sommo della cappella di Pocantico Hills, nello Stato di New York, Il Buon Samaritano, dedicata a J.D. Rockefeller; 1964: vetrata per la sede delle Nazioni Unite, a New York, in memoria di Dag Hammarskjöld, La Pace; 1966: seguito delle vetrate, I Profeti, sulle pareti sud e nord della cappella di Pocantico Hills; 1967: vetrata La Crocifissione, della cappella di Tudeley, nel Kent, dedicata a Sarah d’Avigdor-Goldsmid; 1968: vetrate del triforio del transetto nord della cattedrale di Metz; 1969: vetrate del coro della chiesa di Fraümunster a Zurigo; 1971-1972: vetrate per la sala da concerto del Museo Nazionale Messaggio Biblico Marc Chagall, a Nizza; 1973-1974: vetrate della cappella assiale della cattedrale di Reims; 1976: vetrate della cappella dei Cordiglieri a Sarrebourg, La Pace; 1977: serie di tre vetrate doppie dedicate alle Arti, dette «America Windows» dell’Art Institute di Chicago, realizzate per il bicentenario degli Stati Uniti; 1978: vetrata della cattedrale di Chichester; 1978: completamento del programma della Cappella dei Cordiglieri a Sarrebourg; 1978-1982: vetrate della cappella di Le Saillant, nel Corrèze; 1978-1985: complesso monumentale delle vetrate per la chiesa di Santo Stefano a Magonza. Il posto occupato dalla vetrata nell’opera di Chagall diventa ormai fondamentale, e più innanzi vedremo perché. Ma a questo punto della nostra analisi è ancora necessario individuare quei cicli che riguardano il problema del trattamento dello spazio e il significato a esso connesso. Per Chagall, la vetrata non è per sua natura un elemento decorativo, ma è indissolubilmente legata a una architettura a sua volta finalizzata a uno scopo. La vetrata introduce nel volume architettonico l’elemento colorato della superficie; essa delimita e rischiara contemporaneamente. Frontiera trasparente fra uno spazio esterno e uno interno, è la rappresentazione mediatrice fra un microcosmo e un macrocosmo, ed è il segno visibile di un al di là invisibile, che tuttavia si manifesta in forme visibili. La vetrata sta «in alto»; sovrastando lo spazio terrestre degli uomini, aperta a quella forma pura che è la luce, essa raffigura quella perfezione dello spirito in cui immaginiamo la Trascendenza. Per questa ragione raramente viene associata a uno spazio civile o domestico; la sua destinazione è di culto, il suo ordine teologico. Sulle pareti della cattedrale, della cappella, del tempio o del museo, mette in essere la bellezza della Creazione, e per 22
suo tramite, la Bontà del Creatore. Se l’artista secondo Chagall deve essere un «veggente», il suo sguardo è anche preghiera. Tale concezione permea tutto il suo operare nelle vetrate. E ci consente di capire la particolare attenzione riservata da Chagall al luogo nel quale la vetrata deve inserirsi. Tali luoghi ruotano tutti intorno all’incontro con il Bello, o a quello di una Verità che gli uomini chiamano con nomi diversi. Se vogliamo, partendo da questa asserzione pregiudiziale, tentare una classificazione, possiamo distinguere tre gruppi: - quello di Pocantico Hills, Tudeley, Sarrebourg e Le Saillant; - quello di Zurigo, Reims, Chichester e Magonza; - quello di Nizza e di New York, e finalmente, apparentemente estranea a questa classificazione, la serie delle finestre di Chicago.
In primo piano la dolce e luminosa figura del Samaritano, chino sul viandante, si identifica in tutta evidenza con quella del Cristo. Le figure dei Profeti, che spaziano monumentalmente nelle vetrate della navata, indicano chiaramente la loro missione di annunciatori. L’alternanza cromatica voluta da Chagall sulle pareti meridionale e settentrionale fra valori freddi e valori caldi consente l’intenso irraggiarsi degli azzurri, lumeggiati da splendori purpurei, della finestra del Buon Samaritano. L’emozione estetica è ottenuta qui per mezzo di un raro equilibrio armonico; ma l’opera con la sua forza suggestiva apre il cuore al messaggio della parabola che Chagall ha fatto mirabilmente suo. «In quest’opera non ho messo nulla che non fosse in sintonia interiore e mistica con l’essenza della parabola, dichiarò l’artista. ...Ognuno deve e può capire ciò che prova in se stesso e che spesso è all’unisono con l’emozione religiosa da lui provata».
Pocantico Hills, Tudeley, Sarrebourg, Le Saillant
La cappella di Tudeley ha molte somiglianze con quella di Pocantico Hills. La sua modestia non turba la natura che la circonda. È una chiesa di campagna, inserita nella vita quotidiana degli uomini, associata alloro lavoro, alle loro gioie, alle loro pene. Essa è testimonianza di un ricordo e veglia sulla comunità dei viventi e dei morti. Tale funzione memoriale, come a Pocantico Hills, è più specificatamente svolta dalla vetrata del coro, creata da Chagall nel 1967. Fu dedicata a Sarah d’Avigdor-Goldsmid, giovinetta morta accidentalmente nel 1963 all’età di 21 anni. E qui Chagall risponde con un messaggio di speranza. La vetrata illumina l’abside, e domina l’altare. Tutta la composizione sostenuta da una sottile modulazione di azzurri, dal più cupo al più chiaro, conduce lo sguardo verso la figura del Cristo in croce, che domina dall’alto, come nella vetrata del Buon Samaritano. Figura angelica, questa, compassionevole e non dolente. Il registro inferiore invece freme in un vortice marino, e narra il fatto – la giovinetta annegò – attenendosi alla tradizione bizantina della codificazione dello spazio. La vetrata viene così bipartita: in basso, il mondo degli uomini; in alto il mondo celeste nel quale aleggia la Promessa della resurrezione, la Promessa della Vita Eterna. Al centro della vetrata, un cavaliere misterioso pare trapassare da un mondo all’altro sulla sua rossa cavalcatura. Riscoperta di un antico tema ermetico, il cavaliere psicopompo. Chagall completerà nel 1974 e nel 1978 le finestre della navata con vetrate chiare.
Concepite per spazi comunitari nei quali si riunisce un popolo, sia cattedrale o sinagoga, le vetrate di Metz e di Gerusalemme rappresentano degli archetipi nell’opera del pittore. Anche se destinate a spazi più intimisti, quali le cappelle di Pocantico Hills, di Tudeley, Sarrebourg o di Le Saillant, recano nondimeno lo stesso messaggio. A un attento esame, la ricerca interiore dell’artista, quella che lo guida attraverso le multiformi diversità della sua creazione verso l’unità del significato, vi si manifesta chiaramente. La serie da lui concepita per la cappella, la Union Church, di Pocantico Hills, nello Stato di New York, dietro richiesta della famiglia Rockefeller, ce ne fornisce il primo esempio. Cappelletta rurale in mezzo ai boschi, la sua ingenua rusticità riesce a evocare il fervore missionario dei pionieri. Essa incanterà Chagall. Non deve obbedire a nessun imperativo architettonico, e ogni libertà è consentita alla sua fantasia creatrice. Nove vetrate illuminano uno spazio di grande semplicità, e danno vita a un ciclo iconografico coerente, la cui collocazione nell’architettura privilegia il significato. Al sommo, è la grande vetrata del Buon Samaritano, verso cui converge la serie complementare delle vetrate dei Profeti, sulle pareti meridionale e settentrionale della cappella. Fatto abbastanza raro, Chagall si vale qui, per il suo progetto plastico, di una fonte del Nuovo Testamento. La grande finestra occidentale dedicata alla memoria di John D. Rockefeller, si ispira infatti alla parabola del Buon Samaritano, così come è narrata nel Vangelo di Luca (Lc, 29-38). Ma la resa pittorica data alla parabola la fa spaziare verso un più ampio significato messianico. La composizione è dominata al suo culmine dalla figura del Crocifisso, punto finale della curva ogivale della finestra. Gli episodi del racconto si fronteggiano al centro della vetrata: a sinistra il viandante martoriato, a destra la compassione salvatrice del Samaritano.
La chiesetta di Le Saillant ha, come le precedenti, lo stesso fascino bucolico al quale Chagall fu tanto sensibile. Nell’ombra romanica della chiesa, egli pose la luminosità virgiliana delle vetrate i cui componenti figurativi, il grano, l’agnello, la vigna, il pesce, sono altrettanti simboli. A Pocantico Hills, a Tudeley, a Le Saillant, lo spazio interno 23
viene cancellato, e il significato liturgico è reso solo dalle vetrate e non dal loro rapporto con il complesso architettonico, come invece avviene a Metz o a Gerusalemme. Il fenomeno è ancora più evidente nella cappella dei Cordiglieri di Sarrebourg. La vetrata dedicata a La Pace occupa un posto speciale nell’opera di Chagall non foss’altro che per la sua eccezionale monumentalità. Del primitivo edificio rimane infatti solo il coro che costituisce la cappella attuale. La distruzione della navata, nel 1970, lasciò scoperta la parete occidentale della chiesa, che si dovette chiudere. Chagall accettò la sfida implicita in una vetrata di 12 metri di altezza per 7,50 di larghezza, una delle vetrate più imponenti d’Europa. Sfida alla sua fantasia di creatore, ma sfida anche per il maestro-vetraio Charles Marq. La vasta superficie della vetrata richiedeva un linguaggio figurativo capace di occuparne tutta l’area, pur assicurando la sua funzione di fonte luminosa. Al centro, si apre un immenso bouquet multicolore nel quale si armonizzano diversi valori tonali di blu, di rosso e di verde. Chagall riscopre, nel linguaggio monumentale, l’antico tema orientale dell’Albero della Vita. Al centro della sua efflorescenza colloca Adamo ed Eva, la coppia primigenia. Essi stanno abbracciati, duplice e dolce figura dell’amore umano. Raffigurazione androgina dell’unità primordiale, intorno alla quale si dispongono i temi figurativi, tutti derivati dal racconto biblico dell’Antico e del Nuovo Testamento. La distribuzione delle figure sulla superficie della vetrata obbedisce a una logica evocatrice e non narrativa: l’occhio coglie e riunisce in un sol sguardo intorno al bouquet le figure che annunciano la Pace, preannunciata dalla visione di Isaia. La straordinaria forza espressiva della vetrata nasce poi dal colore, che sviluppa il gioco dei piani successivi, creando così l’illusione della profondità. La luce attraversa la superficie colorata, la fa vivere, come ai primi giorni della Creazione.
Alte e anguste finestre romaniche a Zurigo; aperture lanceolate nel coro di Magonza, e nella cappella assiale di Reims; larga finestra ogivale a Chichester: ovunque si tratta innanzitutto di chiudere un vuoto preesistente, obbedendo a una preminenza formale che è necessario riconoscere. Una prima osservazione si impone: a Zurigo, come a Magonza e a Reims, le finestre stanno nel coro, vale a dire nel luogo più simbolicamente e liturgicamente carico di significato. E devono essere viste fin dall’ingresso. A Zurigo si innalzano maestosamente al di sopra del pontile che isola e santifica maggiormente il luogo della celebrazione che è il coro. A Reims si intuiscono, nello splendore prossimo e lontano di un blu che diffonde il suo mistico irraggiare; a Magonza, si impongono e paiono occupare tutto l’interno della chiesa. Tale immediata percezione della vetrata strettamente associata alla struttura architettonica costringe Chagall a una impostazione particolare delle figure. Così a Zurigo si trova a fronteggiare una delle costanti dell’architettura romanica e adotta la visione frontale. La vetrata centrale, quella dell’Albero di Jesse, rimane sotto questo aspetto esemplare. La grande figura della Vergine, come quella del Cristo Crocifisso al sommo della vetrata «stanno frontalmente». Così, nella vetrata dei Profeti sul lato settentrionale, quella di Elia; quella di Giacobbe giustapposta alla vetrata centrale del coro; quella di Mosè, che domina la vetrata della parete meridionale. Alcune figure stanno di profilo: Davide, nella terza finestra del coro, quella della Gerusalemme celeste; l’Angelo che suona lo shofar, al sommo della stessa finestra; Geremia, nella vetrata dei Profeti, o Isaia che si volge verso l’angelo. Tale deroga al principio della frontalità è intenzionale: poste di profilo, tutte le figure indicano con lo sguardo la vetrata centrale, e l’insieme della composizione privilegia quest’ultima, vetrata principale, ossia in un certo senso vetrata «principe». La monumentalità delle figure consente inoltre una facile lettura dell’iconografia chagalliana: tutte si adeguano alla verticalità della finestra e sembrano proliferare le une dalle altre. La ricchezza iconografica non ingenera però confusione di forme: esaltate e distinte per mezzo del colore, esse rimangono sempre ben leggibili, e tale chiarezza di lettura deriva da una magistrale concezione che adotta per il fondo di ogni vetrata una soluzione dichiaratamente monocromatica. Sul lato occidentale del coro tre sfondi: azzurro per la finestra laterale sinistra, quella di Giacobbe; giallo per la finestra laterale destra, quella di Sion o della Gerusalemme celeste; verde per la finestra centrale della Crocifissione e dell’albero di Jesse. La finestra sulla parete settentrionale è risolta con un fondo rosso; quella della visione di Isaia, sulla parete meridionale, con un fondo azzurro. Sulla parete centrale, il gioco dei complementari, il blu e il giallo, che si fondono nel verde della finestra di centro, contribuisce ancor più a far emergere quest’ultima. L’alternarsi da una parete all’altra
Zurigo, Reims, Chichester, Magonza La principale esigenza della vetrata di Chagall è di realizzare in se stessa quella sorta di autonomia effusiva che ne fa un tutto. A Pocantico Hills, a Tudeley, a Le Saillant, l’architettura sparisce; lo spazio interno acquista un significato solo grazie alle vetrate. A Sarrebourg la vetrata tra valica l’architettura e si impone allo sguardo come un struttura immateriale che occupa lo spazio e crea il volume. Vetrata eccezionale, e fuori dalla regola che sovverte la visione per far vedere l’invisibile aspetto della speranza. Ma a Zurigo, a Reims, a Chichester, a Magonza, Chagall si incontra con la presenza precostituita di una architettura di cui deve rispettare la legge. 24
di valori freddi e valori caldi, contribuisce paradossalmente a creare un senso di compiutezza e nessun vuoto viene a turbare la possente unità dell’insieme. La maestà delle finestre di Zurigo, scavate nello spessore della rustica parete romanica, sembra voler affermare l’assoluta linearità della Trascendenza. Il rapporto con la divinità si coglie nella distanza dello sguardo volto verso la verticalità delle figure.
Servendosi solamente della forma, del colore e della luce, si è raggiunta la rivelazione di un vero e proprio pensiero di mistica, si è compiuta una meditazione sull’Essere, che viene proposta ai nostri occhi. Proposta continuamente rinnovata, nell’Arte di Chagall, in un’altra visione.
Nizza, New York, Chicago
A Reims e a Magonza questo rapporto diventerà più stretto. Lo spazio interno dei due edifici, il coro della chiesa di Santo Stefano a Magonza, la cappella assiale della cattedrale di Notre-Dame a Reims, nuota in una luminosità uniforme, che ignora le tensioni dell’ombra; tale caratteristica dipende dai parametri dell’architettura. Le lievi finestre di Magonza e di Reims, si innalzano infatti entro piani diversamente orientati. I raggi luminosi che le attraversano si incrociano di conseguenza all’interno dell’edificio in punti collocati molto avanti. Si viene a creare così un effetto ottico che avvicina le immagini, e consente una diffusione controllata della luce. A questo punto la logica visiva porta a una visione alquanto illusoria, e la percezione anticipa l’immagine effettivamente recepita. Ma in tal modo la suggestione non è meno potente. Le vetrate di Reims e quelle di Magonza ricorrono mirabilmente a questo processo. È data priorità al colore, il blu; delicato a Reims, profondo a Magonza, e profuso nelle tre finestre. Guidato dalla vibrazione della luce, il colore si impossessa dello spazio, avocando irresistibilmente a sé lo sguardo. Il coro di Santo Stefano, come la cappella assiale della cattedrale, rifulgono, con quella forza affascinante del colore per mezzo del quale si svelano a poco a poco le figure. Queste impongono la loro presenza da una finestra all’altra, in una specie di lievitazione delle forme. I temi prevalicano gli angusti limiti dello spazio architettonico, le figure si affrancano dal piano della superficie, proiettandosi in una fluidità cromatica che occupa tutto lo spazio, e sembrano volteggiarvi. Vanno a incontrare lo sguardo e annullano la distanza fra le creature e il Creatore.
L’acuta percezione, anche se non sempre esplicita, che Chagall aveva del possibile costituirsi della vetrata come un sistema organizzatore dello spazio, ha finalmente guidato il pittore alla massima libertà nei confronti delle esigenze dell’architettura. Le vetrate create per il Museo Nazionale Messaggio Biblico a Nizza, quelle per la sede delle Nazioni Unite a New York, e infine quelle per l’Art Institute di Chicago, ne sono l’ultima conferma. In comune hanno la caratteristica di offrirsi integralmente al primo colpo d’occhio. Distinguendosi in tal modo dall’architettura, proclamano la propria autonoma consistenza. La loro forma non dipende minimamente dalle strutture portanti: rettangolare o quadrangolare, la loro superficie d’apertura sembra privilegiare la disposizione orizzontale. A Nizza il tema figurativo scelto da Chagall, quello della Creazione, segue lo svolgimento del racconto biblico, stabilendone l’ordine di lettura. Secondo la scrittura ebraica, esso si svolge da destra a sinistra. La prima finestra racconta i primi quattro giorni della Creazione: la seconda, il quinto e il sesto; l’ultima, il settimo giorno. La ripartizione dello spazio delle finestre è legata alla loro successione nel tempo: la prima finestra, infatti, ha la più ampia superficie di apertura, che va diminuendo fino all’ultima finestra. La dissimmetria intenzionale delle tre finestre suggerisce la temporalità, e l’unità spaziale suggerisce l’unità temporale. Le finestre dell’Art Institute di Chicago invece si dispongono secondo un registro orizzontale. Il racconto ritrova qui il senso della lettura delle culture europee, che va da sinistra verso destra. Grazie alla linearità spaziale, l’evocazione allegorica delle Arti diventa essa stessa narrazione. E la composizione ritrova il codice raffigurativo delle immagini della tradizione popolare russa, il loubok, che isola un frammento di spazio per rendere più libera la figura.
Così il lento trascorrere della luce realizza a Magonza l’antica cronologia biblica. Abramo e i Profeti, Geremia, Davide, il dolce volto della Vergine e le donne che l’hanno preannunciata, Sara, Rebecca, Debora la Profetessa, e finalmente il Cristo, sono tutti sentiti quale realtà vivente, e resi tali nel linguaggio visivo. In tal modo il mobile equilibrio delle ore che trascorrono sulle finestre di Reims rende manifesta la nostra storia, che riunisce nella cattedrale della consacrazione la genealogia dei Re di Francia a quella del Cristo.
Tale sistema ha la sua più evidente applicazione nella vetrata delle Nazioni Unite a New York: volutamente ingrandita fino alla dimensione murale, la superficie della vetrata induce lo sguardo a riconoscere le forme come altrettanti simboli. Non esiste più alto, basso, destra o sinistra, ma una assoluta libertà grafica, pura espressività di ritmi e di colori. Si compie così l’elaborazione di uno spazio nuovo che realizza l’ordine invisibile dell’immaginario.
Se a Zurigo si allude in modo eccellente alla Trascendenza divina, a Reims e a Magonza si concretizza la presenza di Dio su questo mondo, che qui diventa reale, come a Chichester, nell’allegra esultanza dell’Annunciazione. 25
4. L’Atelier Simon Marq. Ricordi Benoît Marq
Ho cominciato a lavorare all’atelier nel 1973, unendomi a Brigitte Simon e Charles Marq, i miei genitori, in una impresa familiare denominata Simon, antica di dodici generazioni, operante a Reims dal 1640 (testimonianza di un capodopera presentato da Pierre Simon alla corporazione). Era il periodo della realizzazione delle vetrate di Marc Chagall per le tre finestre del coro della cattedrale di Reims, inaugurate nel 1974 alla presenza dell’artista. Furono le ultime vetrate dipinte da Chagall nell’atelier di Reims. In seguito, fu installata nel suo atelier di Saint-Paul-de-Vence una struttura che gli consentiva di sospendere le vetrate alla luce naturale, evitandogli così di doversi spostare. Ogni spostamento era organizzato con la presenza di Brigitte e Charles e di un mastro vetraio. Una volta dipinte, le vetrate erano riportate all’atelier di Reims per la cottura e la piombatura definitiva prima dell’istallazione nel luogo designato. Conservo dei bellissimi ricordi di Chagall a Reims tra il 1958 (prime vetrate del deambulatorio nord della cattedrale di Metz) e il 1974, ricordi dei momenti quotidiani nei quali Chagall lavorava con impressionante energia, inventava incessantemente, a volte pensieroso, inquieto a tratti, per poi ritornare con forza all’ispirazione dopo aver ricevuto consigli da Brigitte e Charles. Sempre umile Chagall, vero, in cerca della sincera opinione dei compagni di lavoro dell’atelier in un clima di reciproca stima, in un costruttivo lavoro di squadra tra l’artista e gli artigiani, con lo sguardo fissato sull’opera, per poter proseguire con obiettività. Chagall diceva spesso: «Sono un operaio» e non per falsa modestia, ma per un’intima esigenza, affinché la sua scrittura, il suo messaggio, potesse giungere al cuore dell’anima, della vita, con amore. A volte alzava lo sguardo, con un sorriso, come un angelo che passa, complice l’elevazione, preghiera libera o sogno del cielo, che testimoniava la sua inarrestabile ricerca, sulle tracce dell’ispirazione. Diffondeva questa intensità vitale spontaneamente attorno a sé, nell’aspirazione di condividere, trasmettere ciò che riceveva con la sua poesia, in una visione senza confini accompagnata alla lucidità del mondo. A Reims Chagall, sommando tutti i periodi, trascorse due anni di lavoro, alloggiato nei primi tempi proprio nella nostra casaatelier. In seguito soggiornò in un albergo del centro e spesso veniva a piedi all’atelier, il mattino presto, passando dalla
cattedrale, ove si attardava a volte per impregnarsi del luogo. Faceva anche sosta da un maestro cioccolatiere vicino all’atelier per portarci deliziosi cioccolatini graditi da tutta la squadra, in un clima di bella complicità. C’erano momenti di pausa, a metà mattina, nei quali sostava con una tazza di tè davanti alla sua opera, istanti di relax nei quali ci parlava della sua vita, divertente, espressivo (faceva pensare a Charlie Chaplin). Erano momenti privilegiati, come quei pranzi a casa nostra, nei quali condividevamo la sua luminosa presenza. Lavorava senza sosta in uno sforzo concentrato, perché si trovava a dover agire su di un’opera monumentale, pannelli di vetrate esposti in parti con i collegamenti necessari per giungere alla vetrata finale, approfittando di quei momenti per scambiare con i collaboratori, che mano a mano apportavano le modifiche, in un ambiente forzosamente meno alto di una chiesa. Alcune pause lo spingevano a staccarsi dall’aspetto monumentale della vetrata; erano i vetri incisi, quando chiedendo che gli si tagliasse un vetro di dimensioni ridotte si poteva esprimere in maniera diversa in un afflato poetico, amorevole, di cui sono testimonianza i vetri incisi qui presentati. All’origine di tutti questi anni di incontri fra Chagall, Brigitte e Charles, c’è un uomo, Robert Renard, architetto della cattedrale di Metz. Fu lui, nel 1957, a favorire l’incontro tra i miei genitori e l’artista Jacques Villon, incontro che portò alla realizzazione delle prime vetrate di un artista contemporaneo all’interno di un edificio dichiarato «monumento storico»; e poi, nel 1958, l’incontro con Marc Chagall, per la seconda finestra del deambulatorio nord della stessa cattedrale. Fu l’inizio di un’amicizia colma di fiducia, rispetto e amore, sino alle ultime vetrate per la chiesa di Santo Stefano a Magonza, in Germania. Capitava che in certi periodi ci fosse poco lavoro all’atelier. Nel 1964, in un momento di difficoltà, l’atelier ricevette la commissione provvidenziale di David Rockefeller e famiglia per la realizzazione delle vetrate della Union Church di Pocantico Hills, negli Stati Uniti, che mise Chagall molto a suo agio. Mi ha profondamente commosso apprendere che, per tutto l’arco della lunga collaborazione tra i miei genitori e Chagall, l’artista ha con generosa spontaneità fatto dono di tutte le sue opere destinate a committenze francesi e israeliane. La squadra, la coppia artigiano e artista, sono per me come un magnifico scambio in cui la natura degli uomini rivela di essere positiva, incessantemente in rinascita, in continua evoluzione.
In questo capitolo sono illustrati altri vetri placcati, incisi e dipinti a grisaille, dall'Atelier Simon, Reims. 1. Coppia di musicisti, vetro placcato rosso porpora su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 36x27,5 cm. Collezione privata.
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2. Coppia con fiori e frutti, vetro placcato porpora su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 35,6x27,3 cm. Collezione privata. 3. Coppia con l’angelo, 1966, vetro placcato rosso porpora su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 24,3x40,3 cm. Collezione privata.
4. Coppia sotto l’albero; Davide e Betsabea, 1964, vetro placcato arancione su grigio, inciso e dipinto a grisaille, 32,2x24,5 cm. Collezione privata.
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5. Adamo ed Eva con il serpente, 1966, vetro placcato verde su azzurrognolo, inciso e dipinto a grisaille, 24,8x22,5 cm. Collezione privata.
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6. Personaggio e Coppia, 1965, vetro placcato rosso su rosa, inciso e dipinto a grisaille, 25,9x22,8 cm. Collezione privata.
7. Scala di Giacobbe, vetro placcato blu su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 28,9x27,4 cm. Collezione privata.
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8. I due volti, doppio profilo, 1964, vetro placcato blu su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 18,7x11,6 cm. Collezione privata. 9. Davide e Betsabea, 1966, vetro bianco al giallo d’argento, inciso e dipinto a grisaille, 28,2x41,4 cm. Collezione privata. 10. Il poeta, Angelo e volto, 1964, vetro placcato blu su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 26,2x39 cm. Collezione privata. 11. Coppia con asino, 1964 ca., vetro placcato rosso su bianco, inciso e dipinto a grisaille, 37,3x27 cm. Collezione privata. 12. Testa d'uccello, 1979, vetro placcato rosso su bianco, dipinto a grisaille, 26x13 cm. Collezione privata. 13. Profilo con uccello, 1979, vetro placcato al giallo d’argento, dipinto a grisaille, 31,5x24,3 cm, previsto in origine per Magonza, vetrata 4 (Le donne della Bibbia – Rebecca). Collezione privata.
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5. Sul simbolismo delle vetrate di Gerusalemme Dominique Jarrassé
«Se Chagall riesce meglio di chiunque altro a iscrivere la sua arte personale nell’ordine medievale, è merito dell’unitarietà di forma e di immagine propria della sua opera. Essendo la forma in lui sempre figurativa, l’accordo della forma e della figura, ovvero anche l’accordo della forma architettonica preesistente e dell’invenzione figurativa in senso proprio, non può ridursi a un semplice problema decorativo. Inoltre, l’unità forma-immagine ingenera il radicamento dell’espressione nel corpo dell’immagine stessa, dunque nell’ordine architettonico, che è conforme al rapporto medievale della forma generale e degli enunciati particolari. […] La vetrata si ha solo laddove si sia potuto coniugare alla superficie le campiture colorate. Più un pittore è abile a rappresentare in maniera viva la profondità del colore, maggiori sono le sue possibilità di creazione delle superfici. E in questo senso, la vetrata è per Chagall un prolungamento evidente della sua pittura». Franz Meyer, Marc Chagall, Flammarion, Parigi 1995, pp. 278-279-280.
Chagall ha incessantemente affermato la sua libertà di ispirazione, la sua fantasia creatrice in contrapposizione alle teorie e ai sistemi1; accettando di realizzare una serie di vetrate per una sinagoga, si trovava perciò confrontato non solamente a una tradizione iconografica che prende la libertà di sconvolgere, pur preservandone le linee principali, ma anche alla Tradizione ebraica, ovvero a un codice di significati e a un insieme di regole da rispettare imperativamente. L’opera di Chagall raggiunge da quel momento un’estrema raffinatezza grazie al dialogo che si stabilisce tra le sue aspirazioni e questa Tradizione. Inoltre, la funzione del simbolo, essenziale nell’arte ebraica e in un contesto nel quale non si possono realizzare raffigurazioni, ne esce trasformata. La questione delle fonti delle vetrate di Gerusalemme è stata indagata in studi approfonditi. Ziva Amishai in primis ha individuato2, attraverso un’analisi ragionata degli schizzi, delle maquette e delle vetrate definitive, i riferimenti principali, proponendo ponderati confronti sia con le opere dell’artista sia con le raccolte di temi iconografici o manoscritti ebraici. Sebbene non tutti questi raffronti possano dirsi convincenti, hanno il merito di mostrare con chiarezza il processo creativo di Chagall, che procede metaforicamente. Come sottolinea Ziva Amishai3, basandosi sulle dichiarazioni del pittore: «ciò che interessava Chagall, era la possibilità di creare una realtà nuova e “irrazionale”, sottoponendo i motivi antichi a sorprendenti mutazioni». A parte l’identificazione delle fonti, resta comunque una questione irrisolta. Chagall ha deliberatamente basato la sua ricerca sulla lettura di due testi biblici, le benedizioni di Giacobbe (Gen, 49,128) e quelle di Mosè (Dt, 33,1-27); ma sembra anche aver ignorato intenzionalmente alcuni riferimenti imprescindibili in ambito ebraico, pur accettando importanti elementi della Tradizione. Ai suoi tempi, vi erano già vetrate raffiguranti i simboli delle tribù, che, pur non sostenendo un confronto a livello artistico, avrebbero potuto interessarlo sul piano iconografico: Chagall non ha, ad esempio, preso in considerazione le vetrate della sinagoga in rue de la Victoire a Parigi, mentre avrebbe cercato manoscritti medievali meno facilmente accessibili... Non è forse che Chagall si muove alla ricerca di altro, rispetto ai simboli prestabiliti, perché vuole di fatto ricreare il mondo delle tribù e della Genesi, piuttosto che limitarsi a simboleggiarli?
che orneranno la sinagoga del Centro Medico che la sua associazione sta costruendo a Ein Kerem, alla periferia di Gerusalemme. Indubbiamente desidera mettere il pittore ebraico in situazione di glorificare l’Ebraismo, giacché la comunità ebraica aveva mal recepito l’attività dell’artista all’interno di luoghi di culto cristiani, incominciata ad Assy per padre Couturier. È facile riscontrarlo leggendo gli articoli dedicati alle sue opere in occasione dell’esposizione delle vetrate al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, dal giugno al settembre del 1961. Un redattore del Bulletin de nos Communautés, Roger Berg, stigmatizza4 le “opere equivoche” del pittore nelle quali «i simboli dell’ebraismo si intrecciano con le immagini di una religione che dalla nostra è derivata» e, in merito alla commissione per Hadassah, scrive: «Eccolo infine venire alla sinagoga…». Chagall sembra rispondergli quando, nell’intervista concessa al mensile ebraico L’Arche5, dice: «Non credo di aver fatto gran danno agli ebrei accettando la proposta dei Monumenti Storici di Francia». Lavorare per una sinagoga, tanto più a Gerusalemme, è dunque per Chagall una grande gioia, anche se deve ridurre a disciplina la sua ispirazione, attenersi all’Antico Testamento e proibirsi il sincretismo. Quanto al tema generale, anche se non imposto, si impone da solo... Chagall lo riconosce6, è la sinagoga disegnata dall’architetto Joseph Neufeld ad aver determinato la scelta delle dodici tribù di Israele. Specifica di non aver subito alcuna pressione: «Ossia, quelle signore mi hanno timidamente detto: “Abbiamo dodici finestre nella sinagoga”. Dodici. Nella mia testa è passato un lampo: “Allora sono le Dodici Tribù”. Non posso affermare che l’idea sia mia, ma per noi, quando si dice il numero “dodici”, automaticamente, si pensa alle dodici tribù». Questo automatismo si riallaccia anche alla cena del seder la sera di Pasqua, le cui prime tredici cifre rimandano ciascuna ai fondamenti di Israele7, e chiaramente al numero 12 si hanno le tribù. Di fatto, l’architetto Neufeld aveva concepito la sinagoga a pianta quadrata e ricoperta con un sistema di volte a botte, che dà origine a dodici aperture a tutto sesto divise a gruppi di tre; questa disposizione ha evidenti richiami biblici, nelle tribù disposte nell’accampamento intorno all’arca dell’alleanza e nel pettorale del Sommo Sacerdote Aronne ornato di dodici pietre preziose, a quattro file di tre, sulle quali erano incisi i nomi delle tribù. Così il tema delle dodici tribù, suggerito dall’architetto Neufeld e da “quelle signore” o scelto dall’artista, si impone per automatismo culturale di fronte alla composizione architettonica. L’opera di Chagall si iscrive dunque in un contesto codificato, una rete di riferimenti che limitano, per loro natura, libertà e immaginazione.
Una scelta iconografica Nel 1959, la dottoressa Myriam Freund, presidentessa dell’Associazione Hadassah, un sodalizio di donne americane che operano per finanziare dotazioni ospedaliere per lo Stato di Israele, visita con l’architetto Joseph Neufeld una retrospettiva Chagall allestita al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, dove vede tra le vetrate esposte un Geremia, realizzato per la seconda finestra dell’abside nord della cattedrale di Metz. Myriam Freund pensa allora di commissionare all’artista le vetrate 34
Ordine e colori L’imposizione di ordine e colori si lega anche alla frequenza di tale tema iconografico nelle sinagoghe, sotto forma di iscrizioni, moti35
vi decorativi scolpiti o vetrate: dodici pilastri, dodici finestre o dodici palme. Lo stesso Zohar raccomanda di far entrare nella sinagoga quanta più luce possibile realizzando dodici finestre8. Partire dalla tradizione può aiutarci a comprendere le opzioni di Chagall. Nel XIX secolo, il ricorso al simbolismo delle tribù, ampiamente diffuso, è strettamente sottoposto agli imperativi religiosi. Può essere dunque interessante misurare l’originalità di Chagall e far luce sulla sua creazione confrontandola con una tradizione fissata. La grande sinagoga di Parigi (rue de la Victoire), inaugurata nel 1874, offre a proposito dell’utilizzo di tali simboli un complesso esemplare; il “coro” contiene delle vetrate9 nelle quali sono simbolizzati i cinque libri della Torah (Pentateuco) e le tribù: ognuna è presentata all’interno di una monofora dove sono disposti il simbolo, lo stemma con il nome della tribù in ebraico e un vessillo. Le vetrate della sinagoga di rue de la Victoire, ripartite da un lato e dall’altro dell’Arca santa, sono raggruppate tre a tre. Da destra a sinistra, questo è l’ordine scelto: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan e Neftali, poi Gad, Aser, Issacar, Zabulon, Giuseppe e Beniamino. Quest’ordine segue una delle possibili sequenze dedotte a partire dalla descrizione delle due pietre che ornavano l’efod del Sommo Sacerdote e sulle quali erano incisi i nomi delle tribù (Es, 28,911): la variazione riguarda soprattutto il posto degli ultimi due figli che Giacobbe ebbe da Lia, Issacar e Zabulon, che possono seguire gli altri figli avuti da Lia, ovvero trovarsi in quinta e sesta posizione, oppure comparire in ordine di nascita, quindi in nona e decima posizione10. La successione stabilita nella sinagoga di rue de la Victoire risponde dunque perfettamente alla tradizione. Non sarà così a Gerusalemme. La successione delle vetrate di Chagall è concepita secondo un ordine da sinistra a destra, che è contrario al senso di lettura dell’ebraico: parete est, Ruben, Simeone, Levi; parete sud: Giuda, Zabulon, Issacar; parete ovest: Dan, Gad, Aser; parete nord, al centro della quale si eleva l’Arca santa: Neftali, Giuseppe, Beniamino. Tale ordine può sembrare illogico, giacché sconvolge l’ordine di nascita, con Zabulon posto prima del fratello maggiore Issacar (Gen, 30,17), Dan separato da suo fratello dai fratellastri Gad e Aser, ma di fatto Chagall rispetta strettamente l’ordine delle benedizioni di Giacobbe. Altri due passi della Bibbia avrebbero potuto essere utili alla determinazione di un ordine delle tribù in maniera funzionale alla pianta quadrata della sinagoga. Innegabilmente, la ripartizione concepita da Neufeld, in gruppi di tre attorno allo spazio sacro riservato all’Arca santa, si basa sull’accampamento del popolo ebraico nel deserto (Num 2,2-31). La “Tenda del convegno”, circondata dai Leviti, era montata al centro di un quadrato, attorno al quale si disponevano le tende delle dodici tribù. L’ordine era stato stabilito dall’Eterno: a est, Giuda, Issacar e Zabulon; a sud, Ruben, Simeone e Gad; a ovest, Efraim, Manasse11 e Beniamino; a nord, Dan, Aser e Neftali. L’altra allusione alle tribù in una formalizzazione derivata dal quadrato si trova al termine
delle visioni di Ezechiele (Ez, 48,30-35). Il profeta vede Gerusalemme ricostruita con dodici porte, tre in direzione di ogni punto cardinale; corrispondono evidentemente alle tribù, ma secondo una diversa disposizione ancora. La scelta di Chagall è rivelatrice: lui stesso precisa a più riprese di aver riletto i testi delle benedizioni di Giacobbe e di Mosè. Non ha dunque cercato di collegare le sue vetrate a una lettura più approfondita dei testi della Tradizione. Si attribuiscono all’artista, senza dubbio a torto, alcuni riflessioni più complesse, rispetto ai due testi di Genesi e Deuteronomio dei quali dice: «è tutto ciò che abbiamo come documentazione...». Di prima mano, certo, ma non di seconda, visto il gran numero di commenti midrashici che gli avrebbero fornito profondi arricchimenti simbolici: Chagall ha preferito senz’altro le ricerche cromatiche all’esegesi. Ogni tribù di Israele possiede inoltre un’insegna o vessillo, i cui colori sono fissati dalla Tradizione. Anche in quest’ambito Chagall, alla ricerca di valori cromatici significativi, avrebbe potuto arricchire le sue vetrate con un insieme coerente di riferimenti sui colori; ma non è avvezzo a rinunciare alla sua fantasia creativa a favore di ipotesi interpretative, non sempre affidabili per giunta. I suoi colori, di una bellezza straordinaria nella luce di Gerusalemme, hanno senz’altro più a che vedere con la scoperta di Chartres che con gli stendardi delle tribù... Il Midrash Rabbah, e particolarmente il Bamidbar Rabbah 2,7, offre un tentativo di sintesi della questione dei simboli e dei colori delle tribù. I colori specifici si basano sulle pietre preziose che ornano il pettorale del Sommo Sacerdote, e i nomi ebraici delle pietre sono tramandati dal testo sacro (Es, 28,17-20), ma le traduzioni sono spesso dubitative, a cominciare dalle traduzioni in aramaico o in greco. Tuttavia, dovendo risolvere la questione, il midrash stabilisce un canone, la cui influenza si ritrova sulle vetrate della sinagoga parigina. La pietra del pettorale che porta il nome di Ruben è un odem (rubino) e il colore del suo stendardo è il rosso; per Simeone, pitdah (topazio), il giallo-verde; per Levi, bareket (smeraldo) che, secondo il midrash, si trova in tre colori, bianco, nero e rosso (aranciato), da cui il vessillo tripartito; per Giuda, nofekh (turchese o malachite?), l’azzurro; per Issacar, sappir (zaffiro?), il nero; per Zabulon, yahalom (diamante?), il bianco; per Dan, lechem, il più difficile da identificare, e lo stesso dicasi per il colore, che secondo il midrash, è quella del sappir!, dunque il blu...; per Gad, ahlama (ametista?), il grigio; per Aser, tarshish (acquamarina), il colore simbolico è «quello della pietra preziosa di cui si adornano le donne», tuttavia lo stendardo di Aser è spesso d’oro; per Neftali, shebo (agata), porpora o rosa; per Giuseppe, shoham (onice?), nero; per Beniamino, yashfeh (diaspro?), l’unione dei dodici colori... Nelle vetrate di Parigi compare qualche variazione nei colori, ma apparentemente solo per motivi tecnico-pratici: gli stendardi di Issacar e Giuseppe, che dovrebbero essere neri, sono rispettivamente bianco e verde chiaro; era impossibile realizzare nelle vetrate delle campiture nere. Infine sono solo cinque i colori nello 36
stendardo di Beniamino: viola, verde, bianco, rosso e giallo12. Nelle sue vetrate, Chagall non riprende pressoché nessuno dei colori stabiliti dalla Tradizione, a parte il blu di Dan, come se il pittore avesse deliberatamente ignorato gli stendardi. Così, il rosso tradizionale di Ruben lascia il posto a un azzurro intenso interrotto da chiazze rosse, mentre il blu tradizionale di Giuda diviene un rosso interrotto da qualche pennellata blu... Quanto al nero di Giuseppe, diventa giallo... I colori di Chagall derivano letteralmente dalle benedizioni: ad esempio, il blu di Ruben, «impetuoso come l’acqua» secondo le parole di suo padre; per Mosè, Giuseppe evoca «i tesori che il sole fa maturare», da cui il giallo oro... Si dà il caso che Chagall preferisca attingere alle benedizioni piuttosto che fare riferimento alla tradizione attestata e illustrata nelle vetrate moderne. Più di uno storico dell’arte, per commentare la gamma cromatica di Chagall, propone come riferimento le pietre del pettorale e i colori dei vessilli, senza però verificarli... I versetti non contengono allusioni dirette ai colori, a meno di non interpretare gli elementi naturali, come senza dubbio ha fatto Chagall, che pertanto ha così “inventato” dei colori senza alcuna connessione con le pietre e gli stendardi. La complessità dei collegamenti di questi ultimi e le divergenti interpretazioni avrebbero impedito a uno spirito tanto indipendente quanto quello di Chagall di fare una scelta definitiva. Il pittore crea un suo proprio percorso cromatico, senza curarsi del midrash, e lo struttura secondo una unitarietà e una semplicità assolutamente congrue. Le sue dominanti sono così ordinate: blu, blu, giallo; rosso, rosso, verde; blu, blu, verde; giallo, giallo, blu. Grazie al gioco di successioni e rimandi, egli crea una vera armonia, producendo un ritmo musicale che la luce fa risaltare lungo l’arco del giorno.
simboli delle tribù. Per Chagall, pittore di figure umane e di un ricchissimo bestiario, l’ostacolo è solo parziale. A Marcelle Berr de Turique, che gli domandava se non si fosse «sentito imbrigliato dalla proibizione di riprodurre la figura umana», risponde: «Ecco! Quelle signore mi hanno spiegato che sarebbe stato meglio evitare, eccetera eccetera. Ho sorriso, perché sono sempre stato contrario a questa idiozia. Nessuna figura umana eppure c’è Dura Europos! (Chagall accenna a un’alzata di spalle) Le sinagoghe prima dell’arte bizantina, prima dell’arte cristiana, avevano rappresentazioni di figure! Non so proprio quali rabbini abbiano inventato tale sciocchezza...13» Fortunatamente, non essendo strettamente ortodosse, «quelle signore» non gli hanno impedito la raffigurazione di animali. Certo, aggiunge: «Per me, sarebbe stato comunque lo stesso. Padre Couturier14 mi ha detto un giorno: “Chagall, lei può fare anche un bouquet di fiori, sarebbe comunque religioso”. Dunque non avevo bisogno della figura umana... (...) Ero molto contento, per contro, di dimostrare che è possibile, nella sfumatura di un tonalità, far emergere intero il dramma e anche un’intera vita... » Bisogna però che la tonalità sia personale e non dettata da un qualsivoglia riferimento al odem o al nofekh! Il simbolo, sostituendosi a una realtà che non può essere rappresentata, è un fondamento dell’arte ebraica. Nell’universo immaginifico di Chagall, la sostituzione è onnipresente, la metafora è un fondamento della sua creazione; gli asini suonano il violino, le donne volano, un uccello può sostituire un uomo... È lui stesso ad affermarlo: «vedete un albero, ma potete fare anche un pesce, un asino, un candelabro, solo che il pesce assomiglia a un albero»15. Qui semplicemente la trasfigurazione si imponeva e rivivificava il simbolo: il leone, più che simboleggiare Giuda, torna ad esserlo, lo è di fatto. Zabulon è quell’imbarcazione che affronta coraggiosamente i flutti nel mondo di assenza di gravità proprio a Chagall. Le benedizioni di Giacobbe e di Mosè sono fondamentali, giacché stabiliscono la specificità di ciascun membro della famiglia di Israele, come la regalità di Giuda, e annunciano il destino di ognuno: formulate attraverso immagini semplici e forti, hanno dato origine alla maggior parte dei simboli delle tribù.
I simboli tradizionali rivisitati da Chagall La simbolizzazione delle dodici tribù è un ambito noto e confuso a un tempo. Chagall non ha ignorato i simboli usualmente collegati a ciascuna delle tribù; alcuni, come il leone di Giuda, sono dei veri e propri automatismi della cultura ebraica. D’altronde, tali associazioni e simboli derivano essenzialmente dalle benedizioni di Giacobbe e di Mosè! Il confronto con le sinagoghe tradizionali è ancora una volta chiarificatore, perché vi vediamo gli artisti, sotto l’influenza rabbinica, fare ricorso a simboli sostitutivi. In effetti, la religione ebraica proibisce alcune rappresentazioni: il secondo comandamento (Es, 20,4) prescrive: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra». Senza volerci addentrare nei complessi dettagli dell’interdetto testamentario, basterà qui rimarcare che un’applicazione ortodossa vieta la rappresentazione di essere umani, animali e astri, cioè si priva di una buona parte dei
Letture delle vetrate della parete est: Ruben, Simeone, Levi Per Ruben, vi è la radice di mandragora, simbolo mutuato da un episodio della sua giovinezza (Gen, 30,14-15): il ragazzo porta a sua madre Lia delle mandragore che Rachele le chiede, offrendole in cambio una notte con Giacobbe, durante la quale la feconda Lia concepirà Issacar, il cui nome richiama il “pegno”. Si è voluto vedere tale simbolismo nei fiori rossi della vetrata di Chagall, sebbene solitamente la mandragora non sia rossa... Ma i dudaim del testo biblico sono davvero mandragore? Invece, nella sina37
nella vetrata di Chagall, che qui si firma in ebraico. È il primo simbolo presente con evidenza, per cui Chagall non poteva respingerlo. Al contrario, nelle sinagoghe rispettosamente aniconiche, il simbolo diventa una corona e uno scettro, elementi suggeriti da Giacobbe; la corona regale si trova anche in Chagall, completata dalla citazione ebraica «si prostreranno a te i figli di tuo padre» e le mura di Gerusalemme. Davide è un discendente di questa famiglia, così come il Messia. Le mani benedicenti sembrano essere trasmigrate dalla vetrata di Levi a quella di Giuda; in effetti, nella tradizione ebraica, sono spesso espressione del sacerdozio19; potrebbe qui trattarsi della benedizione che il re concedeva al popolo una volta l’anno. Di fatto, Chagall in questa vetrata si mantiene aderente al testo biblico. La tribù di Zabulon, alla quale è concesso un territorio costiero, è dedita alla pesca e al commercio marittimo, da cui l’emblema dell’imbarcazione utilizzato a Parigi come a Gerusalemme. Chagall abbonda con i riferimenti marittimi, riprendendo le barche ma con una fantasia nel disegno e nella disposizione (una è ribaltata) che ne sfumano la dimensione simbolica, affidata soprattutto ai due grandi pesci. Si nota anche un gregge; Zabulon, figlio minore, garantiva la sussistenza del fratello maggiore Issacar, consacrato allo studio della Torah, il che giustificherebbe, secondo Rachi, la precedenza che eccezionalmente gli è accordata nell’ordine seguito da Giacobbe nelle benedizioni. «Issacar è un asino robusto», si è sottomesso alla Torah e acquisisce il sapere; i suoi figli «conoscevano bene i vari tempi sì da sapere che dovesse fare Israele nei singoli casi» (I Cronache 12,33). Perciò sono due i simboli in concomitanza, l’asino e gli astri (sole e luna). Nella sinagoga parigina non si poteva utilizzare né l’uno né l’altro. Qui è presentata una capanna, in accordo con alcune traduzioni che propongono «stalle» al posto di recinti o confini... La Torah è nuovamente simboleggiata dalle Tavole che si profilano da un lato e dall’altro di un triangolo, interpretabile come le tende citate da Mosè, o il Sinai. Vi si trovano anche le mani benedicenti, quelle di Giacobbe forse. La tribù di Issacar amava talmente la sua terra da accettare il pagamento di un tributo raddoppiato, pur di non partecipare alla guerra. Chagall pertanto sceglie di non riprendere il tema astrologico, ma aggiunge a quella della Torah l’immagine del «paese piacevole», un paradiso verdeggiante che circonda l’asino bonario. Il verde, l’abbondanza vegetativa, la vite che incornicia l’insieme possono avere una valenza mistica.
goga di rue de la Victoire, la mandragora compare in una forma più realistica, una pianta con larghe foglie e fiori biancastri. Chagall si allontana dal simbolismo testuale a vantaggio di una rappresentazione del mondo originale della Genesi ove proliferano pesci e uccelli. L’insistenza del testo iscritto in un sole raggiato sulla parola “primo” può aver dato origine all’immagine di gestazione del mondo che completerà la vetrata di Simeone. Ruben, il primogenito, avrebbe dovuto ricevere il primato sui fratelli ma, come la benedizione del padre ricorda, ne ha profanato il talamo (Gen 35,22) giacendovi con Bila; non poteva ereditare la regalità dunque, e nemmeno i due fratelli che seguono. Simeone è tradizionalmente rappresentato dalle torri, quelle di Sichem; in Gen 34,25, Simeone e Levi, per vendicare la sorella Dina sedotta da Sichem, figlio del re Camor, e malgrado l’accordo tra Giacobbe e Camor, ovvero la circoncisione di tutti gli uomini Evei, attaccano la città e massacrano gli abitanti maschi. Questa azione riprovevole, «le loro armi sono strumenti di violenza» sono le parole Giacobbe riprodotte sulla vetrata, li priva della loro pretesa al comando sul popolo di Israele. Nella sinagoga parigina, il simbolo di Simeone è un gladio. Chagall richiama Sichem attraverso le mura in basso16, ma in maniera molto allusiva, e l’essenziale della vetrata è piuttosto dedicato a un’evocazione della Creazione e ad animali fantastici. Giacobbe punteggia la sua benedizione di amare osservazioni e aggiunge una punizione, «lo disperderò in Israele»; effettivamente, Simeone sarà «integrato» da Giuda, ovvero il suo territorio diverrà un’enclave in quello di Giudea; quanto a Levi, avrà solo città disseminate in tutto il territorio di Israele. Levi riscatta l’azione violenta grazie alla sua pietà filiale e la fedeltà a Mosè della sua stirpe, durante la vicenda del Vitello d’oro. I simboli consueti dei leviti, tribù sacerdotale, sono gli Urim e Tummim17, elementi dell’abito del Sommo Sacerdote. Tale simbolo deriva dalla benedizione di Mosè, quindi non può apparire ai tempi di Giacobbe, per cui in alcuni casi si fa ricorso al simbolo del ramo d’ulivo, che compare infatti nella sinagoga di rue de la Victoire e anche nella vetrata di Chagall, in basso a destra. Il significato di pace legato all’ulivo ha particolare valenza per Levi, il violento che supera la sua indole. Anche Simeone compie un’analoga conversione18. La vetrata di Gerusalemme è dominata da un simbolo ebraico primigenio, le Tavole della Legge, sulle quali si legge il passo di Deuteronomio 33,10 che evoca la funzione levitica, sacerdozio, insegnamento, culto del tempio e sacrifici. Le candele, sorta di candelabro disaggregato, rimandano allo stesso significato. Nella parte superiore, il tetramorfo circonda la stella-scudo di Davide e una coppa, forse quella delle primizie offerte ai Leviti.
Vetrate della parete ovest: Dan, Gad, Aser Dan trae la sua funzione dall’etimologia, din significa infatti giustizia20; il suo simbolo è spesso, come in rue de la Victoire, una bilancia con un serpente arrotolato perché, come evidenzia Giacobbe, Dan è un combattente astuto, addirittura furbo; la sua tribù non sarà priva di idolatri... Tribù guerriera come quella di
Vetrate della parete sud: Giuda, Zabulon, Issacar Giuda, al quale spetta la regalità, Giacobbe lo dice chiaramente, è un «leone», da cui il ruolo preponderante che l’animale occupa 38
Giuda, ma che tiene la retroguardia e attacca a sorpresa, riceve da Mosè l’immagine del «giovane leone che balza da Basan». Chagall recupera l’immagine del serpente, ma sostituisce la bilancia con un candelabro con la stessa sagoma, costituito da due bracci laterali, mentre fa portare ai suoi animali le spade di giustizia... Gad, altra tribù guerriera, è solitamente rappresentata da una tenda, evocazione dell’accampamento. La tematica militare domina la vetrata di Chagall, seppure senza la tenda, a meno che non si voglia leggere come tale il triangolo blu soggiacente alla composizione generale. Questa vetrata, con i suoi mostri armati, le forme acute, la chiazza rossa, è la più carica di violenza e di dinamicità, l’unica a evocare le lotte incessanti tra le tribù, realtà onnipresente nel testo e che Chagall attenua in favore di una visione bucolica, come a contrappunto nella vetrata che segue. Aser, il cui «pane è pingue» è simboleggiato sia da un ulivo, che fornisce l’olio, sia da una gerla di grano, in quanto il suo territorio è considerato come il più fertile. Mosè suggerisce l’immagine dell’ulivo con l’espressione «tuffa il suo piede nell’olio», a significare l’abbondanza dei frutti della terra. Chagall abbraccia il tema dell’olio con l’ulivo e la giara, ma anche il candelabro a sette bracci del Tempio, la menorah che bruciava un olio puro essenziale al rito. L’uccello coronato invece fa allusione alla tribù «portatrice del gaudio dei re», gioielli o donne. Infine, Aser ama la pace21, richiamata da una colomba che tiene nel becco il ramoscello di ulivo, come nella vetrata di Ruben.
dalle virtù e dalla concentrazione delle benedizioni sul suo capo. Lo shofar può introdurre a una dimensione messianica, perché suonerà all’avvento del Messia. Qui il processo creativo del pittore, che opera sostituendo ai simboli ordinari il tema animale e bucolico, risulta particolarmente evidente. Beniamino, sul territorio del quale sarà costruita Gerusalemme, luogo dei sacrifici, è un «lupo», che Chagall rappresenta in basso davanti alla preda. Nella sinagoga di Parigi il lupo viene sostituito da un rotolo recante l’iscrizione del nome di Ester, che viene dalla tribù di Beniamino (Ester, 2,5). Sapendo che il nome di Ester era Hadassa, mirto, si è indotti a vedere tale pianta nella vetrata, o il lulav della festa di Sukkot, sotto l’uccello; il mazzetto contiene una palma e del mirto... Infine, è un omaggio all’Associazione fondatrice Hadassah, alle donne che possono prendere Ester come modello? Potrebbe darsi, tuttavia nella vetrata l’immagine dominante, a parte il lupo, è il fiore, variazione sul tema della scudo di protezione divino. Ziva Amishai propone come fonte di ispirazione un manoscritto biblico del XIII secolo e vi vede un rosone gotico, e lo stile gotico sarebbe anche presente nella stilizzata città dell’angolo sinistro... tali riferimenti formali, benché possibili, non spiegano la scelta di questa enigmatica “rosa” che può significare tante altre realtà... per contro, essendo al centro del fiore iscritte le parole “mattino” e “sera”, vi vede giustamente il richiamo ai giorni della Creazione.
Il mondo biblico di Chagall: reviviscenza del simbolo
Vetrate della parete nord: Neftali, Giuseppe, Beniamino
Dopo aver percorso il cerchio magico delle dodici vetrate, tenendo a mente il simbolismo tradizionale, profondamente sconvolto da Chagall, ci sembra possibile tracciare la visione del pittore riguardo al mondo delle tribù e considerare la funzione simbolica di un’opera la cui portata è prima di tutto l’immediatezza. Senza giungere alla posizione assoluta di Franz Meyer che scrive «il linguaggio dei motivi e il senso di ogni finestra non richiedono alcuna spiegazione»24, ci pare opportuno sfumare il ruolo dato ai riferimenti. Il tema delle tribù si rivela perfettamente adeguato all’ispirazione di Chagall, profondamente segnato dall’universo biblico e palestinese dal viaggio in Israele intrapreso per l’illustrazione della Bibbia di Vollard nel 1930-1931. Egli realizza nella sua opera la fusione di due componenti primordiali, da un lato il mondo naturale e rurale, in particolare pastorale, e dall’altro le presenza di una dimensione “sacra” inerente al suo universo delle origini e, in questo caso specifico, alla presenza di oggetti e simboli religiosi dell’Ebraismo. Ciò significa che un gregge o un bouquet hanno la doppia valenza di rappresentazione di un mondo bucolico e di riferimento alla preghiera. Le vetrate offrono inoltre, in filigrana, un racconto della Creazione: le vetrate di Ruben e di Simeone, in particolare, si prestano a una doppia lettura; in parallelo all’evocazione di alcuni elementi specifici, sembrano qui mostrati i primi giorni della Creazione.
Neftali, «cerva che si slancia», in Chagall si riposa... perché l’artista mostra qui piuttosto l’immagine dell’animale «sazio di favori», attinta dal Deuteronomio, da cui l’atmosfera di serenità che regna in questa vetrata. La cerva è per gli antichi una messaggera, e l’eloquente Neftali, dalla cui bocca cola il miele, fu il primo ad annunciare a Giacobbe che Giuseppe era vivo22. La vetrata di Giuseppe, il figlio preferito, dalle doti superiori ma geloso, incorona l’Arca santa di Gerusalemme. I simboli di Giuseppe variano: la «fertilità» evocata da Giacobbe e «i tesori che il sole fa maturare» di Mosè producono l’immagine della gerla, in concorrenza con Aser, mentre la sua vicenda in Egitto, come nella sinagoga di rue de la Victoire, è simboleggiata dalla piramide. Chagall, dal canto suo, preferisce un’illustrazione in parte didascalica dei versetti biblici, come nella scelta di rappresentare il ramo fertile che oltrepassa il muro; le «benedizioni del cielo dall’alto» e l’allusione alle corna del toro in Mosè potrebbero spiegare per slittamento23, le mani che reggono lo shofar; mani rifilate dalla cornice che fanno ricordare gli affreschi della sinagoga di Dura Europos. Quanto a Giuseppe, è indicato attraverso un uccello incoronato che tiene un arco, secondo le parole, «è rimasto intatto il suo arco» e «principe tra i suoi fratelli»: Giuseppe fu anche viceré d’Egitto, ma la sua regalità deriva principalmente 39
Il mondo di Ruben è senz’altro rurale (come suggerisce il gregge sullo sfondo verde a destra), ma la sovrapposizione dei mari (pesci) e dei cieli (uccelli) rimanda alla separazione delle acque primordiali (Gen 1,7), alla creazione dei vegetali (1,11-12) e degli animali (1,20-22) e alla loro proliferazione. Tale visione del mondo in gestazione è completato nella vetrata di Simeone. Il quarto giorno (1,14-18) potrebbe effettivamente essere l’oggetto della sfera, sulla quale appaiono chiaramente due cerchi, l’uno nel chiarore, l’altro nell’oscurità: il sole e la luna. Una simile circolarità ritorna nella vetrata conclusiva di Beniamino. Le vetrate ricostituiscono anche l’universo pastorale dei patriarchi, con le loro greggi, spesso rappresentate, ma anche i lavori dei campi, la pesca... Ogni gesto dell’uomo qui evocato riceve un doppio significato, sul piano materiale della vita delle tribù e a un livello mistico: i due grandi pesci della vetrata di Zabulon evocano la sussistenza grazie ai doni del mare, ma anche, vista la loro disposizione, il simbolismo zodiacale e paleocristiano (alcuni mosaici di Palestina mostrano i pesci affrontati). Nell’immaginario di Chagall, sono anche in relazione alle opere dipinte a Poros nel 1951! Il simbolismo cristiano è molto prossimo, soprattutto prendendo in considerazione anche la vetrata complementare, quella di Issacar circondato dai tralci di vite, ma non è il caso di privilegiare la lettura simbolica, quelli che qui vediamo sono semplici pesci. Chagall idealizza quest’universo bucolico al punto di attenuare, tranne che con Gad, la violenza onnipresente nei tempi biblici, violenza che i simboli degli animali avrebbero potuto evocare, perché come stigmatizza il trattato Sotah 12a, «questa nazione somiglia alle bestie selvatiche». L’artista mitiga la violenza caratterizzando gli animali e con la rotondità del disegno; il leone di Giuda sembra tanto docile quanto l’asino di Issacar. Attraverso questo bestiario e le immagini rustiche, si intuisce lo scopo profondo di Chagall, un’arte al servizio della preghiera e dell’esaltazione di Israele, un’arte che egli stesso ebbe l’ardire di qualificare come “sacra”. Altra questione da affrontare è quella del sincretismo. In Chagall il gusto di mescolare i riferimenti a culture diverse è una costante: così Davide è anche Orfeo e Gesù, che a sua volta può incarnare il martirio del popolo ebraico... È innegabile ad esempio che la vetrata di Levi sembri la più specificamente ebraica a motivo dei simboli presenti, ma la disposizione dei quattro animali, intorno alla stella di Davide e alla coppa, sembra iconograficamente e plasticamente un rimando al tetramorfo di Ezechiele, il cui utilizzo in questa forma è cristiano. Chagall ne modifica gli animali e il senso, ma attinge comunque a quell’universo. Sono visibili anche altri motivi improntati alla cultura “cristiana” di Chagall, ma integrati a quello che egli chiama il suo “messaggio biblico”, che ai suoi occhi è superamento delle scissioni religiose, un messaggio a cui saranno sensibili molti dei suoi commentatori. Charles Marq ad esempio propone di leggere nelle vetrate un «poema univer-
Le vetrate
sale»; certamente, ma oltre a questo Chagall si riallaccia alle sue origini, con il contesto palestinese antico... È anche vero che la tecnica espressiva utilizzata venne elaborata per la glorificazione delle chiese e Chagall non esita a dire: «La vetrata ha un aspetto molto semplice: materia, luce. Per una cattedrale o una sinagoga, è lo steso identico fenomeno: qualcosa di mistico che passa attraverso una finestra»25. Sembra dunque avvalorare le letture “cristianizzanti”. L’artista partiva dalla considerazione che un colore o un fiore potessero esprimere la stessa sacralità di un simbolo riconosciuto: nel discorso pronunciato in yiddish in occasione dell’inaugurazione delle vetrate, giunge persino a parlare di “Arte Sacra”, come Padre Couturier... una simile nozione, così poco adeguata all’ebraismo, torna spesso anche sotto la penna degli storici dell’arte, che reputano che una sinagoga debba dar luogo a una sacralizzazione. Ma ciò non ha ragion d’essere e il successo di Chagall è più dovuto alla restituzione dell’universo dei patriarchi che non all’utilizzo di simboli convenuti. Il ricorso all’ironia attenua ulteriormente il rigore di questo approccio, in un humour particolarmente percepibile nel suo bestiario, che proviene dalle sue opere “profane” o nelle lettere ebraiche ornate da teste di serpente, come il lamedh di Zabulon; qui egli ritrova anche la fantasia degli antichi miniatori. Chagall trova dunque un suo personale linguaggio a metà strada tra l’ebraismo tradizionale e la mistica cristiana delle vetrate artistiche. Ai simboli univoci e isolati delle vetrate delle sinagoghe, come quella di rue de la Victoire, Chagall sostituisce scene viventi nelle quali gli animali non sono puramente simbolici, ma vicari dei figli di Giacobbe, e rivivifica i simboli integrandoli, letteralmente, nel loro contesto biblico. Si può dire che giunga a una de-simbolizzazione riuscendo, con estrema modernità, a ridare vita al mondo della Bibbia, del quale scopre continuamente tracce nei luoghi in cui si trova a vivere. È anche capace di lavorare in ambito ebraico, senza operare una completa sottomissione e offrendo a tutta l’umanità un frammento che avrebbe potuto far parte del Musée du Message Biblique. Si avvicina alla cultura cristiana che lo circonda mantenendo la capacità di esprimere, nella sinagoga Hadassah, un messaggio nutrito della sua giovinezza a Vitebsk, della scoperta di Israele, del suo attaccamento al popolo ebraico, al quale l’ha dedicata. È proprio la riviviscenza del simbolo, il poetico rifiorire di un sistema necessariamente fisso che spiega la scarsità di rigore nelle citazioni, la disinvoltura nelle sostituzioni, la circolazione delle immagini da una vetrata all’altra, la libera lettura dei testi... L’unitarietà è ottenuta dalla tematica, che resta perfettamente decifrabile, dalla progressione cromatica, dal disegno, dall’armonia generale. L’audacia di Chagall risale ai fondamenti stessi dei simboli, torna indietro nei secoli fino alla Creazione, per ritrovare il senso oltre le immagini.
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La classificazione delle vetrate di Marc Chagall cita le opere in situ, ed elenca i diversi luoghi in base alla cronologia di realizzazione. Le misure si intendono sempre altezza per larghezza.
Chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce, Assy 1956-1957
La Chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce sul Plateau d’Assy (Alta Savoia) si impone come un manifesto del rinnovamento dell’arte sacra nel dopoguerra, artefice del quale fu padre Marie-Alain Couturier, domenicano e pittore di formazione. Caratterizzata da un’architettura semplice e massiccia, la chiesa ha visto l’intervento di più di una ventina di grandi artisti attivi nella seconda metà del XX secolo, tra i quali Georges Braque, Fernand Léger, Jacques Lipchitz, Jean Lurçat, Henri Matisse e Germaine Richier. Per le vetrate artistiche, le opere ideate da Georges Rouault, Jean Bazaine, Maurice Brianchon, Paul Berçot si accostano a quelle di Couturier. Proprio su richiesta del padre domenicano Chagall progetta, per il battistero, oltre a una ceramica murale, il Passaggio del Mar Rosso, che dedica «in nome della libertà di tutte le religioni », e ai due bassorilievi ispirati ai Salmi, le sue prime vetrate. La scelta iconografica è dettata dalla funzione del luogo nel quale saranno inserite: due messaggeri celesti, maschio e femmina, volano in direzione del fonte battesimale. Le vetrate, completate nel 1957 dopo la morte di padre Couturier, furono realizzate dal maestro vetraio Paul Bony.
Battistero Due finestre ad arco 1956-1957 Finestra di sinistra L’angelo con il candelabro 100x60 cm Finestra di destra L’angelo con l’olio santo 100x60 cm
L’angelo con il candelabro, particolare.
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L’angelo con il candelabro, vetrata.
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L’angelo con l’olio santo, vetrata.
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L’angelo con il candelabro, vetrata, particolari.
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Abbazia di Saint-Pierre, Moissac 1972
Fondata nel VII secolo, l’abbazia benedettina di Saint-Pierre a Moissac fu incorporata nel 1047 all’abbazia di Cluny e divenne un importante centro monastico. Nel 1972, durante i lavori di restauro, Robert Renard, l’architetto dei Monumenti storici soprintendente ai lavori, aveva notato una finestrella che metteva in comunicazione il corridoio est del chiostro con la Cappella del Santissimo Sacramento. Ne parlò a Marc Chagall, durante una seduta di lavoro con Charles Marq presso l’Atelier Simon a Reims. L’artista realizzò e donò la vetrata in grisaille, che si inserisce perfettamente nella parete romanica della cappella.
N
Cappella del SS. Sacramento Finestra ad arco 51x21 cm 1972
Vetrata della cappella del SS. Sacramento.
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Cattedrale di Saint-Étienne, Metz 1958-1968
La cattedrale di Saint-Étienne è, nel 1955, il primo tra gli edifici riconosciuti come monumenti storici a beneficiare della campagna di restauri al patrimonio di vetrate storiche intrapresa in Francia dopo la Seconda guerra mondiale. Robert Renard, allora architetto soprintendente ai Monumenti storici, auspica l’apertura delle chiese alla creazione contemporanea. Dopo aver fatto appello a Jacques Villon, per la decorazione della cappella del Santissimo Sacramento, e a Roger Bissière, per i timpani delle navate laterali nord e sud, chiede a Chagall di creare le maquette delle finestre del deambulatorio interno dell’abside nord, poi del transetto nord e del triforio orientale e occidentale. Dal 1958 al 1968 l’artista intraprende un vasto programma, che porta nel 1960 alla realizzazione della seconda finestra dell’abside nord, nel 1962, alla prima finestra dell’abside nord, poi nel 1963 e 1964, alla realizzazione della finestra occidentale del transetto nord; infine, le sedici finestre del triforio del transetto nord sono portate a compimento nel 1968. Il programma iconografico, ispirato all’Antico Testamento, evoca la Genesi e l’Esodo, i Profeti e i Re di Israele. Il senso di lettura, seguendo la cronologia biblica, va dal transetto verso il deambulatorio. Partendo dal transetto e dall’alto verso il basso, si scoprono nel triforio un insieme di sedici finestre lanceolate, suddivise nelle due campate del braccio del transetto nord: un mondo di chiarore vegetale ove si succedono ghirlande di fiori, animali, mazzetti grandi e piccoli, motivo quest’ultimo che prosegue da una finestra all’altra oltre ogni pilastro o colonna. Il transetto nord è dedicato alla Genesi, dai primi giorni della Creazione fino alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso (Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Eva e il serpente, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso). Chagall opta qui per una quasi monocromia di giallo. Procedendo verso l’abside nord, la finestra a quattro pannelli lanceolati mette in scena, nelle dominanti dei blu e dei rossi, i grandi protagonisti della Genesi e dell’Esodo, i fondatori di Israele: Noè, Abramo, Giacobbe, Giuseppe, Mosè. Seguono, il Sacrificio di Isacco, la Lotta fra Giacobbe e l’Angelo, il Sogno di Giacobbe e Mosè davanti al roveto ardente; nella parte superiore, Giuseppe pastore, Giacobbe piange sulla tunica di Giuseppe; al centro, l’Arca di Noè; nella parte sommitale, l’Arcobaleno, segno dell’Alleanza. La finestra a tre pannelli lanceolati infine mostra i Profeti e i re di Israele nelle figure di Mosè, Davide e Geremia (da sinistra a destra, Mosè riceve le Tavole della Legge, Davide e Betsabea, Geremia e l’esodo del popolo ebraico) che convergono verso il Cristo, rappresentato nell’elemento centrale del rosone. Marc Chagall riesce a rispettare i rapporti proporzionali e il piano del contesto architettonico dando al contempo ai suoi personaggi biblici una coerenza iconografica e una libertà stilistica sostenuta dalla spontaneità del trattamento cromatico.
L’eccezionale esito del progetto deve molto all’incontro di Chagall con il maestro vetraio Charles Marq, allora responsabile dell’Atelier Jacques Simon a Reims. Insieme alla moglie, Brigitte Simon, Charles si spenderà per risolvere le numerose criticità derivanti dalla ricchezza cromatica della tavolozza di Chagall. In particolare, la brillantezza dei rossi, dei gialli, dei verdi, dei blu e dei viola è ottenuta attraverso l’utilizzo di numerosi vetri doppiati incisi all’acido e all’applicazione di giallo d’argento, due processi che consentono di ridurre la superficie delle piombature. A partire dal 1959, si crea tra Marc Chagall e Charles Marq una collaborazione feconda che porterà l’atelier di Reims a realizzare quasi tutte le vetrate dell’artista.
Il braccio settentrionale del transetto con le vetrate rinascimentali. A destra, la prima finestra del deambulatorio interno dell’abside nord, di Chagall. A sinistra, la vetrata della Creazione.
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L’interno della cattedrale, visto dal deambulatorio.
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B
Da sinistra a destra, primo pannello Mosè riceve le Tavole della Legge 362x101 cm
A
N
A. Abside nord, deambulatorio interno, finestra a tre pannelli lanceolati, sormontati da un rosone a elementi polilobati 1959-1960
D E
Secondo pannello Davide e Betsabea 363x101 cm
F
Terzo pannello Geremia e l’esodo del popolo ebraico 363x101 cm
G
C
C. Transetto nord, parete occidentale, finestra a quattro pannelli lanceolati, conclusa nella parte superiore da sette elementi fusiformi 1963-1964
Terza finestra a due lancette, sormontate da un medaglione quadrilobato Fiori 352x45 cm
Da sinistra a destra, primo pannello La Creazione dell’uomo 355x90 cm
Quarta finestra a una lancetta Asino, fiori, uccello 348x45 cm
Secondo pannello La Creazione di Eva 355x90 cm Terzo pannello Eva e il serpente 355x90 cm
Rosone superiore, elemento centrale Cristo circondato dai simboli Diametro 105 cm
Quarto pannello Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso 355x90 cm
Medaglione trilobato a sinistra Angelo che suona lo shofar 101x77 cm
Elementi nella parte superiore della finestra A sinistra Angelo, fiori e uccello, sormontati da un pesce 138x77 cm
Elementi della parte superiore della finestra A sinistra Giuseppe pastore, sormontato da un uccello 141x88 cm
Medaglione quadrilobato a destra Forma circolare, forse simbolo del cosmo 100x101 cm
A destra Giacobbe piange sulla tunica di Giuseppe, sormontato dalla mano dell’artista 141x85 cm
B. Abside nord, deambulatorio interno, finestra a quattro pannelli lanceolati, conclusa nella parte superiore da sette elementi fusiformi 1962 Da sinistra a destra, primo pannello Il Sacrificio di Isacco 362x92 cm
Al centro, composizione bipartita L’arca di Noè 242 cm; larghezza 94 cm per la parte sinistra 244 cm; larghezza 97 cm per la parte destra
Secondo pannello La lotta fra Giacobbe e l’Angelo 362x92 cm
Alla sommità della finestra L’Arcobaleno, segno dell’Alleanza 138x85 cm
Terzo pannello Il sogno di Giacobbe 362x92 cm
E. Triforio orientale, insieme di quattro finestre doppie lanceolate, sormontate ciascuna da un medaglione trilobato 1968 Il piccolo bouquet che si sviluppa su otto lancette 388x48 cm per ciascuna lancetta F. Triforio occidentale, insieme di quattro finestre 1968 Da sinistra a destra Prima finestra a una lancetta Fiori e uccelli 350x50 cm
Al centro, composizione bipartita Mosè riceve le Tavole della Legge 236 cm; larghezza 85 cm per la parte sinistra 231 cm; larghezza 84 cm per la parte destra
Seconda finestra a due lancette sormontate da un oculo Serto di fiori 356x49 cm Terza finestra a due lancette sormontate da un oculo Bouquet e arcobaleno 356x49 cm
Transetto nord, triforio orientale e occidentale, insieme di sedici finestre lanceolate, otto su ciascuna parete. D. Triforio orientale, insieme di quattro finestre 1968
Quarta finestra a due lancette sormontate da un oculo Fiori e uccelli 356x49 cm
Da sinistra a destra Prima finestra a due lancette, sormontate da un medaglione quadrilobato Serto di fiori 351x48 cm
G. Triforio occidentale, insieme di quattro finestre doppie lanceolate, sormontate ciascuna da un oculo a losanga 1968
Seconda finestra a due lancette, sormontate da un medaglione quadrilobato Serto di fiori 351x48 cm
Quarto pannello Mosè davanti al roveto ardente 362x92 cm
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Il grande bouquet che si sviluppa su otto lancette 360x49 cm per ciascuna lancetta
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Rosa blu, 1964, pannello di prova realizzato per l’abside nord del deambulatorio. Vetro inciso giallo d’argento, grisaille, piombo, diam 205 cm. Nizza, Musée National Marc Chagall, dep. CNAP.
Mosè, Davide, Geremia, Crocifissione, vetrata (prima finestra dell’abside nord).
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Davide, particolare della lancetta centrale.
Il profeta Geremia, particolare della lancetta destra.
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MosĂŠ riceve le tavole della legge, prima lancetta. Il popolo ebreo, particolare della lancetta centrale.
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A fronte: I patriarchi Abramo, Giacobbe, Mosè, vetrata (seconda finestra dell’abside nord).
Il sogno di Giacobbe, seconda versione della vetrata per la cattedrale di Metz, 1966. Pagine seguenti: Giacobbe e l’angelo, particolari della seconda versione e, a seguire, particolari della vetrata.
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La Creazione (il Paradiso), vetrata (transetto nord, parete occidentale). Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, particolare della quarta lancetta.
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La Creazione dell’uomo, particolare della prima lancetta. Beati, particolare del campo superiore.
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Adamo ed Eva, particolari della seconda e terza lancetta.
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Fiori e uccelli, dalla prima vetrata occidentale (transetto nord, triforio).
Pagine seguenti: Particolare della prima vetrata occidentale.
Animali, fiori e uccelli, dalla prima vetrata orientale (transetto nord, triforio).
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Particolare della seconda vetrata occidentale.
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Il grande bouquet, seconda vetrata occidentale.
Il piccolo bouquet, seconda vetrata orientale.
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Sinagoga del Centro Medico di Hadassah, Ein Kerem, Gerusalemme 1960-1962
La sinagoga del Centro Medico dell’Università di Hadassah a Gerusalemme è stata ideata dall’architetto Joseph Neufeld, sollecitato dalla dottoressa Myriam Freund, presidente dell’associazione americana di beneficenza Hadassah, fondata nel 1912. Nel 1959, in occasione di una retrospettiva dedicata all’opera di Chagall presso il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, nella quale è esposto il pannello di Metz, Geremia e l’esodo del popolo ebraico, Myriam Freund e Joseph Neufeld incontrano l’artista e gli propongono di realizzare le vetrate per la sinagoga. Per questo insieme di dodici finestre con arco a tutto sesto, disposte in gruppi di tre e orientate secondo i quattro punti cardinali, Chagall riprende la ripartizione delle dodici tribù accampate nel deserto intorno al Tabernacolo, basandosi sulle benedizioni pronunciate alla vigilia della morte rispettivamente da Giacobbe (Gn 49,1-28) e da Mosè (Dt 33,6-27), privilegiando la filiazione diretta di Giacobbe ed escludendo le tribù di Efraim e Manasse: Parete est: tribù di Ruben, Simeone, Levi Parete sud: tribù di Giuda, Zabulon, Issacar Parete ovest: tribù di Dan, Gad, Aser Parete nord: tribù di Neftali, Giuseppe, Beniamino. Essendo l’ingresso alla sinagoga posto a mezzogiorno, lo spazio architettonico accorda di fatto una predominanza alla parete nord, sulla quale si posa per primo lo sguardo. Ponendo Giuseppe al centro e sopra il tabernacolo, Chagall conferma la designazione elettiva di quest’ultimo in seno alle tribù di Israele. Sulle quattro pareti della sinagoga si sviluppa un ciclo iconografico nel quale il bestiario simbolico associato ai figli di Giacobbe dialoga con gli oggetti cerimoniali propri al culto ebraico. Chagall non tiene in considerazione i colori degli stendardi delle tribù, né quelli delle dodici pietre del pettorale del Sommo Sacerdote (Es 28,17-20), ma interpreta liberamente le benedizioni di Giacobbe e Mosè e ne trae i colori – blu, rosso, giallo e verde – in un vero e proprio ciclo cromatico a coronamento della pianta quadrata dell’edificio. Le vetrate della sinagoga di Hadassah sono state oggetto di numerosi studi e maquette preparatorie. Realizzate nel 1961 da Charles Marq e Brigitte Simon secondo la tecnica tradizionale del vetro placcato, furono dapprima esposte al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, poi per qualche mese al Museum of Modern Art (MoMA) di New York e infine inviate in Israele per l’inaugurazione della sinagoga nel 1962. Sono state restaurate a seguito dei danni riportati durante la guerra dei Sei Giorni del 1967.
N Insieme di dodici finestre ad arco disposte in gruppi di tre verso i quattro punti cardinali 1960-1962 Le dodici tribù di Israele (Gn 49,1-28; Dt 33,6-25) Parete orientale La tribù di Ruben La tribù di Simeone La tribù di Levi Parete meridionale La tribù di Giuda La tribù di Zabulon La tribù di Issacar Parete occidentale La tribù di Dan La tribù di Gad La tribù di Aser Parete settentrionale La tribù di Neftali La tribù di Giuseppe La tribù di Beniamino 338x251 cm per ciascuna finestra La tribù di Ruben, maquette definitiva.
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La tribĂš di Simeone, maquette definitiva.
La tribĂš di Levi, maquette definitiva.
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La tribĂš di Giuda, maquette definitiva.
La tribĂš di Zabulon, maquette definitiva.
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La tribĂš di Issacar, maquette definitiva.
La tribĂš di Dan, maquette definitiva.
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La tribĂš di Gad, maquette definitiva.
La tribĂš di Aser, maquette definitiva.
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La tribĂš di Neftali, maquette definitiva.
La tribĂš di Giuseppe, maquette definitiva.
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Chagall lavora alla vetrata della TribĂš di Dan.
La tribĂš di Beniamino, maquette definitiva.
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La tribù di Ruben, vetrata.
Pagine seguenti: La tribù di Ruben, vetrata preparatoria.
La tribù di Simeone, vetrata.
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La tribĂš di Giuda, vetrata.
La tribĂš di Levi, vetrata.
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La tribù di Zabulon, vetrata.
Pagine seguenti: La tribù di Zabulon, particolare.
La tribù di Issacar, vetrata.
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La tribù di Dan, vetrata.
Pagine seguenti: La tribù di Gad, vetrata preparatoria.
La tribù di Gad, vetrata.
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La tribĂš di Aser, vetrata.
La tribĂš di Neftali, vetrata.
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La tribĂš di Giuseppe, vetrata.
La tribĂš di Beniamino, vetrata.
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La tribĂš di Giuseppe, vetrata preparatoria, particolare.
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Organizzazione delle Nazioni Unite, New York 1963-1964
La vetrata è stata creata nel 1964 in memoria del secondo segretario generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld e delle altre persone che con lui persero la vita dell’incidente aereo del 17 settembre 1961. Ispirata al libro di Isaia (Is 9,1-6), questa vasta composizione ha per tema la Pace. Al centro, nel punto di giunzione dei due spazi, si trova la coppia primordiale attorno alla quale gravitano simboli e personaggi animati da un movimento cosmico, movimento di gioia che saluta l’avvento della pace universale. Lo spazio eminentemente poetico che ne deriva trae la sua logica dall’immaginario e dalla spiritualità dell’artista. La vetrata è stata inaugurata il 17 settembre 1964.
Finestra a un pannello orizzontale La Pace 358x538 cm compresa la cornice
Pagine seguenti: La pace, vetrata.
La pace, maquette definitiva.
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Union Church, Pocantico Hills 1963-1966
La Union Church di Pocantico Hills, a una cinquantina di chilometri a nord di New York, è legata alla storia della famiglia Rockefeller. Nel 1954 Matisse vi realizza una prima vetrata, un rosone, in memoria di Abby Aldrich Rockefeller, una delle fondatrici del Museum of Modern Art (MoMA) di New York. La vocazione commemorativa della cappella si conferma dopo la morte del di lei marito, John D. Rockefeller, nel 1960. David Rockefeller commissiona allora a Chagall una prima vetrata nel 1962 in memoria del padre, seguita nel 1963 da una seconda dedicata a Michael Clark Rockefeller e in seguito sette altre vetrate della navata dedicate ad altri membri della famiglia. Il gruppo di nove finestre è stato realizzato tra il 1963 e il 1966. L’inaugurazione delle vetrate è avvenuta il 28 gennaio 1967.
B
N
A
L’iconografia delle vetrate, ispirata all’Antico e al Nuovo Testamento, è stata definita in accordo con la famiglia Rockefeller. La finestra principale a ogiva, a occidente, creata in memoria di John D. Rockefeller, si ispira alla parabola del Buon Samaritano (Lc 10,29-38). Le finestre, di dimensioni inferiori, che rischiarano la navata, sono dedicate alle figure dei profeti, a esclusione di una. La prima finestra della parete meridionale, dedicata alla memoria di Michael Clark Rockefeller, rappresenta infatti una crocifissione nella tradizione della vetrata votiva (con l’orante inginocchiato e personaggi in gloria, gli Eletti, che circondano la Madre e il Bambino) e fa riferimento al Vangelo di Matteo (Mt 7,7). Le altre finestre della parete meridionale sono dedicate ai profeti Gioele (Gioe 2,28-31), Elia (1R 2,11-12) e Daniele (Dn 8,15-18). Le finestre della parete settentrionale evocano in sequenza i cherubini (Gn 3,24), Ezechiele (Ez 2,8;33), Geremia (Lam 3,1-9) e Isaia (Is 59,21 – L 14,6-11).
Parete meridionale, seconda finestra ad arco policentrico Gioele 148x118 cm 1965-1966 Parete meridionale, terza finestra ad arco policentrico Elia 148x118 cm 1965-1966 Parete meridionale, quarta finestra ad arco policentrico Daniele 148x118 cm 1965-1966 B. Parete settentrionale, quinta finestra ad arco policentrico Cherubini 148x118 cm 1965-1966 Parete settentrionale, sesta finestra ad arco policentrico Ezechiele 148x118 cm 1965-1966
Insieme di nove finestre 1963-1966 Finestra a ogiva sulla parete occidentale Il Buon Samaritano 447x278 cm 1963-1964
Parete settentrionale, settima finestra ad arco policentrico Geremia 148x118 cm 1965-1966
A. Parete meridionale, prima finestra ad arco policentrico La Crocifissione (Mt 7,7) 148x118 cm 1965-1966 dedicata alla memoria di Michael Clark Rockefeller
Parete settentrionale, ottava finestra ad arco policentrico Isaia 148x118 cm 1965-1966 116
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Pagina precedente: Il Buon Samaritano, maquette definitiva La Crocifissione, prima vetrata sulla parete sud.
Gioele, seconda vetrata sulla parete sud.
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Elia, terza vetrata sulla parete sud.
Daniele, quarta vetrata sulla parete sud.
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I Cherubini, prima vetrata sulla parete nord.
Ezechiele, seconda vetrata sulla parete nord.
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Geremia, terza vetrata sulla parete nord.
Isaia, terza vetrata sulla parete nord.
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All Saints’ Church, Tudeley 1967-1974-1978
Parete settentrionale 8
7
2 10
Chagall ha ideato le vetrate della chiesetta del paese di Tudeley, nel Kent, su richiesta di Sir Henry e Lady d’Avigdor-Goldsmid, in memoria della figlia Sarah morta in mare nel 1963. Due anni prima, Lady d’Avigdor-Goldsmid e la figlia avevano potuto ammirare, in occasione della mostra a Parigi, le vetrate create da Chagall per la sinagoga del Centro Medico Hadassah a Gerusalemme. L’insieme delle dodici finestre della chiesa di Tudeley è stato realizzato in tre campagne successive: la finestra centrale del coro nel 1967, quelle della navata nel 1974 e le rimanenti quattro del coro nel 1978. L’iconografia della finestra centrale a tutto sesto, volta a oriente, riassume l’essenza della funzione commemorativa desiderata dalla committenza. La composizione bipartita giustappone il Cristo in croce, come figura della compassione, e l’immagine della figlia perduta, che evoca il dramma e ne rivela il significato. Le finestre che rischiarano la navata, attraverso la contrapposizione di toni caldi e toni freddi, suggeriscono un paradiso popolato da angeli, alberi, fiori e animali. Le quattro vetrate del coro, create sullo stesso tema nel 1978, sono state installate nel 1985, concludendo così il programma della chiesa.
N
9
1
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Coro
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5
4
3
Parete meridionale
5. Parete meridionale, prima finestra a tre pannelli trilobati Fiori e angelo 195x37+37+37 cm 1974 6. Parete meridionale, prima finestra a tre pannelli trilobati Alberi, fiori e angelo 195x37+37+37 cm 1974 7. Parete settentrionale, prima finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Animali e fiori 113x33+33 cm 1974
Insieme di dodici finestre 1967-1974-1978 Coro, parete settentrionale, finestra ad un pannello lanceolato Animali e angelo 193x47 cm 1978
8. Parete settentrionale, seconda finestra a tre pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Alberi, animali, angelo 114x33+33+33 cm 1974
1. Coro, finestra centrale a tutto sesto La Crocifissione 324x190 cm 1966-1967
9. Parete settentrionale, terza finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Uccello, alberi 114x33+33 cm 1974
2. Coro, parete settentrionale, finestra ad un pannello lanceolato Uccello e personaggio a braccia levate 203x45 cm 1978
10. Parete occidentale, finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Adamo ed Eva 92x30+30 cm
3. Coro, parete meridionale, finestra ad un pannello lanceolato Animali e angelo 157,5x40 cm 1978
11. Parete laterale orientale, finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Alberi e uccelli 112x30+30 cm 1974
4. Coro, parete meridionale, finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato Alberi e angelo 131,5x34,5+34,5; diametro dell’oculo 34,5 cm 122
Pagine seguenti: Le vetrate laterali del coro. La Crocifissione, vetrata centrale del coro.
L’interno della chiesa di Tudeley (pareti settentrionale e occidentale).
Vetrate della parete orientale (11) e della parete meridionale (5).
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Chiesa di Fraumünster, Zurigo 1969-1970
Commissionate a Chagall nel 1967, le cinque finestre di questa chiesa romanica si inscrivono nello spazio presbiteriale. L’iconografia si accorda alla verticalità imposta dall’architettura, che detta una lettura dal basso verso l’alto, dando all’insieme una dinamica ascensionale che suggerisce la trascendenza divina. Chagall ha contrastato il limite rappresentato dalla ristrettezza delle aperture optando per una scelta monocromatica. Rosso, blu giallo, verde; ogni vetrata, alta circa una decina di metri, ha una propria dominante cromatica.
N
Parete occidentale, tre vetrate: Verde. Al centro L’albero di Jesse e la Crocifissione, punto culminante del messaggio: dall’albero che collega Gesù ai suoi antenati dell’Antico Testamento, si levano Maria e il Bambino. Nel prolungamento verticale domina il Cristo in croce. Blu. Contigua alla vetrata centrale, a sinistra Il sogno di Giacobbe. Il patriarca si addormenta, lotta con l’angelo, poi sogna la scala che collega la terra al cielo. Giallo. A destra della vetrata centrale, la Gerusalemme celeste irradia luce dorata. Il re Davide, che suona la lira, è vòlto di profilo verso la vetrata centrale. Parete meridionale: Rosso. Prima finestra laterale sinistra: I profeti Elia, Geremia e Daniele. Parete settentrionale: Blu. Seconda finestra del coro a destra: La visione di Isaia. L’inaugurazione delle vetrate ebbe luogo il 5 settembre 1970.
Insieme di cinque finestre a tutto sesto, distribuite lungo le pareti nord, sud e ovest del coro, e un rosone 1969-1970 Parete meridionale, prima finestra laterale sinistra I profeti Elia, Geremia e Daniele 976x91 cm firmata in basso a destra Marc Chagall Reims
Parete occidentale, seconda finestra L’albero di Jesse, la Crocifissione 1120x125 cm firmata in basso a sinistra Marc Chagall Reims 1970
Parete settentrionale, seconda finestra laterale destra La visione di Isaia 975x92 cm firmata in basso a destra Marc Chagall Reims 1969
Parete occidentale, terza finestra La Gerusalemme celeste 923x95 cm firmata in basso a destra Marc Chagall Reims
Parete occidentale, prima finestra Il sogno di Giacobbe 923x94 cm firmata in basso a destra Marc Chagall Reims 1970
Transetto meridionale Rosone, diam. 3,2 m 1978 Chagall al lavoro su una vetrata per la chiesa di Zurigo
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Insieme delle cinque vetrate. La lotta di Giacobbe con l’Angelo, particolare della vetrata settentrionale.
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La parte superiore della vetrata centrale sulla parete occidentale.
Il Rosone.
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Musée national Marc Chagall, Nizza 1971-1972
Il museo Marc Chagall a Nizza è nato per conservare la donazione delle opere del «Messaggio Biblico» effettuata da Marc e Valentina Chagall allo Stato Francese nel 1966: dodici dipinti che illustrano la Genesi e l’Esodo e cinque sul tema del Cantico dei Cantici. La riflessione condotta all’epoca dall’artista con l’architetto André Hermant lo convince a creare nuove opere di dimensioni monumentali, comprese tre vetrate destinate alla sala concerti. Il Musée National Message Biblique Marc Chagall è inaugurato nel 1973 da André Malraux, allora Ministro della Cultura. Nel 2008, il museo cambia nome divenendo il Musée national Marc Chagall.
N
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Le vetrate raccontano i sette giorni della creazione del mondo. La prima finestra blu scuro, animata da una dinamica ascensionale, evoca il cosmo. Al centro di un blu più chiaro compaiono, nella seconda finestra, animali, fiori, il primo uomo e la prima donna. Nella terza finestra, la creazione è compiuta: il cielo del settimo giorno vede apparire gli angeli che cantano la gloria divina. Il senso dell’opera emana qui, più che dall’iconografia, dal trattamento dei colori e dalla composizione spaziale, scandita dalle misure decrescenti delle finestre.
Sala dei concerti La Creazione del mondo Tre finestre Prima finestra I primi quattro giorni 465x396 cm Seconda finestra Il Quinto e il Sesto giorno 465x266 cm Terza finestra Il Settimo giorno 465x127 cm
Veduta della sala dei concerti. Sullo sfondo le vetrate de La Creazione del mondo.
La Creazione del mondo, maquette definitiva. Il Settimo giorno.
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La Creazione del mondo, maquette definitiva. Il Quinto e il Sesto giorno.
La Creazione del mondo, maquette definitiva. I primi quattro giorni della Creazione.
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Il riposo del Settimo giorno, vetrata. Il riposo del Settimo giorno, particolare della vetrata: un Angelo. Pagine seguenti: Il Quinto e il Sesto giorno della Creazione, vetrata. Il Quinto e il Sesto giorno della Creazione, particolare della vetrata.
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I primi quattro giorni della Creazione, particolare della vetrata.
I primi quattro giorni della Creazione, vetrata.
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Cattedrale di Notre-Dame, Reims 1973-1974
Le vetrate decorano tre pareti finestrate alte 10 metri e ripartite in sei pannelli lanceolati e tre piccoli rosoni per una superficie di quasi 75 metri quadrati. L’insieme si trova nella cappella assiale, al centro dell’abside. A seguito delle distruzione causate dai bombardamenti del 1914, la cattedrale di Notre-Dame a Reims è stata interessata da importanti lavori di restauro, e qui ricordiamo la campagna di restituzione delle vetrate, giacché molte erano andata perdute. Nel 1973, le vetrate del XIX secolo, realizzate da Coffetier e Steinlein, sono state spostate dalla cappella assiale per essere istallate in un’altra cappella absidale. L’associazione degli Amici della cattedrale (Amis de la cathédrale) e il Comité des bâtisseurs della regione Champagne-Ardenne hanno dunque deciso di commissionare a Chagall le tre finestre nella cappella rimasta senza vetrate. La realizzazione del progetto è resa possibile grazie agli investimenti del mecenatismo privato in associazione alla mobilitazione dei poteri politici, grazie all’intermediazione della principessa Caraman-Chimay, presidentessa dell’associazione Amis de la cathédrale. Chagall inizialmente si è impregnato dell’atmosfera del luogo (una navata di 149 metri, volumi interni di notevoli dimensioni) e delle vetrate medievali, delle quali chiede a Charles Marq di restituirgli i cromatismi. Dà poi avvio al suo lavoro incollando pezzi di tessuti sui cartoni preparatori, lavorando in seguito alla gouache, su maquette via via più grandi. In questo processo realizzativo, l’artista riesce a coniugare la modernità del disegno e della composizione alle tonalità delle vetrate medievali, dalle quali prende a prestito gli antichi blu. Le vetrate, realizzate da Charles Marq, sono inaugurate il 14 giugno 1974. Il programma iconografico presenta una grande coerenza e sviluppa il tema della successione genealogica, anche nel suo senso temporale e simbolico. La finestra centrale evoca la storia di Abramo e gli ultimi istanti della vita terrena del Cristo (Passione e Risurrezione), i fondamentali dell’Antico e del Nuovo Testamento, con il sacrificio di Abramo che prefigura quello di Cristo. Il rosone rappresenta lo Spirito Santo. La finestra laterale sinistra presenta l’albero di Jesse o i Re di Giuda, uno dei motivi portanti dell’arte gotica, che sviluppa la genealogia dei re di Giuda sino all’annuncio a Maria. Dal fianco di Jesse esce un virgulto che dà nascita ai re di Giuda, dei quali Chagall mostra solo Saul, Davide e Salomone. Il rosone contiene figure di profeti, con al centro Elia. La finestra di destra presenta diversi episodi della storia della cattedrale di Reims e dei re di Francia; il battesimo di Clodoveo nel 496, l’incoronazione di San Luigi, San Luigi che amministra la giustizia in parallelo al Buon Samaritano e l’incoronazione di Carlo VII alla presenza di Giovanna d’Arco, ideali prolungamenti dell’albero di Jesse della finestra di sinistra.
N Coro, cappella assiale Insieme di tre finestre 1973-1974 Finestra centrale a due pannelli sormontati da un rosone polilobato Abramo e Cristo 975x127+127 cm Finestra laterale sinistra a due pannelli sormontati da un rosone polilobato L’albero di Jesse (o I Re di Giuda) 1012x125+125 cm Finestra laterale destra a due pannelli sormontati da un rosone polilobato I Re di Francia 1045x129+129 cm
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I Re di Giuda o l’albero di Jesse, maquette definitiva della vetrata sinistra. Abramo e Cristo, maquette definitiva della vetrata centrale.
I Re di Francia, maquette definitiva della vetrata destra.
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L’insieme delle vetrate.
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The Art Institute, Chicago 1976-1979
Realizzata in occasione del Bicentenario degli Stati Uniti d’America, l’opera, intitolata «America Windows» sviluppa un programma iconografico incentrato sulle Arti: un’eccezione nelle opere su vetro, di ispirazione essenzialmente biblica. Si tratta di tre finestre in successione, composte ciascuna da due pannelli: da sinistra a destra, la musica, la pittura, la poesia, l’architettura, il teatro, la danza. Chagall si confronta qui con il codice allegorico tradizionalmente utilizzato per la rappresentazione delle arti maggiori. Gli elementi figurati assumono, per ogni arte, una funzione simbolica, mentre il vocabolario tematico è utilizzato con straordinaria libertà. In uno spazio largamente dominato dal blu, la sequenza delle America Windows consente una lettura sia universale sia particolare: così, sul pannello dedicato all’architettura, la Statua della Libertà può essere letta anche come un personale omaggio dell’artista al paese che lo accolse durante la Seconda guerra mondiale.
Tre finestre doppie 246x345 cm ciascuna finestra 1976-1979 Prima finestra doppia La Musica, la Pittura Seconda finestra doppia La Poesia, l’Architettura Terza finestra doppia Il Teatro, la Danza
Charles Marq, Atelier Simon, Reims.
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Maquette definitiva delle tre vetrate doppie. Da sinistra, la Musica, la Pittura, la Poesia, l’Architettura, il Teatro, la Danza.
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Charles Marq al lavoro nell’Atelier Simon alle vetrate della Musica e della Pittura. La Danza, particolare della vetrata. Pagine seguenti: La Musica e la Pittura.
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La Poesia e l’Architettura. Pagine seguenti: Il Teatro e la Danza. La Pittura, particolari.
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The Holy Trinity, Chichester 1978
La cattedrale di Chichester, nel Sussex, ospita una vetrata di Chagall inaugurata nell’ottobre del 1978. L’artista si riferisce qui in maniera esplicita al Salmo 150 «Ogni cosa che respira lodi l’Eterno». La figura del re poeta e musico Davide è predominante, mentre su tutta la superficie della vetrata si dipanano danzatori e musicisti, che suonano gli strumenti evocati dal Salmo. La composizione si accorda alle due dimensioni della finestra senza effetti di profondità. Il colore dominante rosso dà risalto a questo inno alla gioia della creazione.
Finestra ogivale Davide 317x138 cm 1978
Davide, maquette definitiva.
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Davide, vetrata. Davide, vetrata, particolare.
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Cappella dei Cordiglieri (Chapelle des Cordeliers), Sarrebourg 1976-1978
Posta nel centro storico di Sarrebourg, la Cappella dei Cordiglieri (nome assunto in Francia dai francescani) è stata fondata nel XIII secolo dall’ordine mendicante di San Francesco d’Assisi. Dopo l’abbattimento della navata nel 1970 a seguito di una modifica urbanistica, l’amministrazione municipale, su impulso del sindaco, l’Onorevole Pierre Messmer, chiede a Marc Chagall di realizzare una vetrata monumentale sul tema della pace per il coro, che era rimasto sventrato dalle demolizioni. Marc Chagall disegna nel 1974 i primi schizzi della grande vetrata La Pace, o L’Albero della Vita per la grande finestra occidentale della cappella. L’opera, che misura 12 metri di altezza per 7,5 di larghezza e pesa 900 chilogrammi, è inaugurata nel 1976. Ancora una volta è Charles Marq a trasporre su vetro l’opera di Chagall, in una realizzazione durata 18 mesi. L’immenso bouquet, dai toni rossi su fondo blu intenso, propone una variazione del motivo dell’Albero della Vita. Adamo ed Eva evocano il paradiso terrestre e la pace sulla terra. Attorno al bouquet, le scene rappresentate partecipano all’elaborazione del messaggio universale di pace, mettendo in dialogo Antico testamento (Isaia, la visione d’Isaia, le Tavole della Legge, la Menorah, Abramo e i tre Angeli, il re Davide) e Nuovo Testamento (la Crocifissione, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, il Discorso della montagna) e perfino il volto di Giovanna d’Arco e i cervi dei boschi dei Vosgi. Nel 1977, Chagall completa il ciclo della cappella con le vetrate della navata e della tribuna , seguite dal rosone nel 1978. Queste vetrate, giocate su cromatismi leggeri e tinte quasi trasparenti dalle dominanti fredde, coniugano i motivi – floreali, animali e vegetali – cari alla spiritualità francescana.
Insieme di cinque finestre
Parete laterale sinistra, rosone Fiori e uccelli diametro 83 cm 1977-1978
Grande finestra occidentale a tutto sesto La Pace, o L’Albero della Vita 1200x750 cm 1976 Parete laterale sinistra, prima coppia di finestre lanceolate Uccelli e bouquet 180x75+75 cm 1977-1978
Tribuna della navata, parete laterale destra, finestra a tre pannelli lanceolati Angelo, fiori e piante primo pannello, 205x62 cm secondo pannello, 245x72 cm terzo pannello, 205x62 cm1977-1978
Parete laterale sinistra, seconda coppia di finestre lanceolate Paesaggio e bouquet 180x80+80 cm 1977-1978
Veduta d’insieme della vetrata La Pace all’interno della Cappella dei Cordiglieri.
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La Pace o l’Albero della Vita, maquette definitiva. La Pace o l’Albero della Vita, vetrata. Pagine seguenti: Particolari della vetrata: la Coppia primigenia. Particolari della vetrata: il bouquet e la Crocifissione.
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Pagine seguenti: Particolare della vetrata: Giovanna d’Arco, la Pulzella d’Orleans. Particolari della Coppia primigenia e di un Angelo.
Particolare della vetrata: la NativitĂ .
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Altri particolari.
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Le tre vetrate lanceolate nella tribuna, parete laterale destra.
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Parete laterale sinistra, prima coppia di finestre lanceolate.
Parete laterale sinistra, seconda coppia di finestre lanceolate.
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Il piccolo rosone sulla parete laterale sinistra
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Chiesa di Santo Stefano, Magonza 1977-1984
La chiesa in stile gotico, pesantemente danneggiata nel corso dei bombardamenti di Magonza del 1945, è stata quasi interamente ricostruita. Dopo la ricostruzione filologicamente identica all’originale e il restauro del coro concluso nel 1973, il parroco, Klaus Mayer, persuade Marc Chagall a ideare una vetrata per la finestra centrale del coro. Nel 1977 la maquette è terminata; Charles Marq mette a punto il cartone preparatorio, poi realizza la vetrata. Poco dopo la sua istallazione, nel 1978, sono realizzate cinque altre vetrate nel 1978, 1979, 1980 e infine nel 1984 le ultime tre per il transetto. Il programma iconografico illustra il tema dell’Alleanza e della vocazione messianica di Israele. Sul tema della Genealogia di Abramo, la vetrata centrale del coro sviluppa il ciclo dei Patriarchi così come riportato nella Genesi e nell’Esodo. Gli uomini della Bibbia, che compaiono nella finestra di destra ne completano l’iconografia. Alla sommità della vetrata, nell’oculo, un uomo di profilo – forse lo stesso Chagall – indica le Tavole dell’Alleanza. Le donne della Bibbia occupano la vetrata di sinistra. Le finestre laterali delle pareti nord e sud traggono la loro unità dal tema centrale de L’Albero della Vita e dell’Angelo, associato alla figura della coppia. La seconda vetrata della parete nord aggiunge al tema la figura del profeta e del candelabro a sette bracci. Contrariamente alle vetrate del coro che, secondo la tradizione gotica, sviluppano un ciclo istoriato, quelle del transetto sono astratte e traggono unitarietà dall’utilizzo prevalente di varie tonalità di blu. Queste ultime vetrate sono state inaugurate nel 1985, poco dopo la morte di Chagall.
Le donne della Bibbia, maquette per la vetrata sinistra del coro.
Il popolo di Israele; il Vitello d’oro (Es 34,32-35; Es 32,1-6) Oculo trilobato alla sommità della finestra Angelo e candelabro a 7 bracci (menorah) Angelo che suona lo shofar La vetrata fu inaugurata il 22 settembre 1978.
La Genealogia di Abramo, maquette per la vetrata centrale del coro.
Coro, finestra di destra, vetrata 2 I profeti 1147x74+74 cm 1978-1979
Oculo trilobato alla sommità delle finestre Le Tavole dell’Alleanza indicate da una mano, quella dell’artista, vista di profilo; nel lobo superiore, un bouquet celebrativo; nel lobo laterale di sinistra un simbolo femminile, nelle sembianze di una pollastra bianca. Coro, finestra di sinistra, vetrata 4 Le donne della Bibbia 1184x75+75 cm 1979
4 3 2
N
Dal registro inferiore a quello superiore La Creazione dell’uomo (Gn 1,26-9,12-17) Noè libera la colomba (Gn 8,8-13) Geremia (Ger 31,31-35) Davide celebra Jahvé (Sal 89,29-31; Sal 132,11-32) L’Emanuele a sinistra: Maria e il Bambino (Ger 23,5-6) a destra: Il Cristo
I profeti, maquette per la vetrata destra del coro.
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5
1
9
8
Dal registro inferiore a quello superiore Adamo ed Eva (Gn 2,18-25; 3-20) Debora (Gdc 4,4-10) Rebecca (Gn 24,10-15; 66-67) Bestabea (2 Sam 11,2-5; 12,24-27) Sara (Gn 21,1-5)
Insieme di sei vetrate nel coro; le prime cinque costituite da due lancette sormontate da un oculo trilobato Tre vetrate astratte nel transetto 1977-1984
Oculo trilobato alla sommità della finestra Il Candelabro del Sabato circondato dalle figure del gallo e della gallina, simbolo doppio del maschio e della femmina. Le due vetrate vennero inaugurate il 15 settembre 1979.
Coro, finestra centrale, vetrata 3 La Genealogia di Abramo 986x74+74 cm 1977-1978
Coro, finestra laterale di destra, vetrata 1 L’Albero della Vita 1152x75+75 cm 1981
Dal registro inferiore a quello superiore L’ospitalità di Abramo (Gn 18,6-11) L’intercessione di Abramo (Gn 18,16-23) Il sacrificio di Isacco (Gn 22,1-19) Il sogno di Giacobbe (Gn 28,10-22) Mosè mostra al popolo ebraico le Tavole della Legge (Es 34,29-31)
Coro, finestre laterali di sinistra, vetrate 5 e 6 L’Albero della Vita 1981 188
Vetrata 5 L’Albero della Vita 1125x75+75 cm
Transetto, insieme di tre finestre con nove pannelli lanceolati, vetrate 7-9 Prima finestra, lato sud 1125x75+77+75 cm Seconda finestra, lato sud 1125x75+75+74 cm Terza finestra, lato nord 930x75+75+74 1982-1984
Vetrata 6, a tre pannelli lanceolati L’Albero della Vita 1135x74+74+74 cm
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Pagine seguenti: Gli Angeli alla mensa di Abramo, particolare della vetrata centrale. L’oculo trilobato della vetrata centrale (La Genealogia di Abramo).
Il sogno di Giacobbe, particolare della vetrata centrale.
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Il sacrificio di Isacco, particolare della vetrata centrale.
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La Creazione dell’uomo, particolare della vetrata destra.
Maria e il Bambino, particolare della vetrata destra.
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Pagine seguenti: Deborah, particolare della vetrata sinistra. Sara, particalare della vetrata sinistra. Visione biblica, particolare della vetrata sinistra. L’Angelo e il profeta Geremia, particolare della vetrata destra. Davide, particolare della vetrata sinistra. L’ospitalità di Abramo, particolare della vetrata centrale. Adamo ed Eva, particolare della vetrata sinistra. Davide celebra JahvÊ, particolare della vetrata destra.
Isacco e Rebecca, particolare della vetrata sinistra.
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Un Profeta, l’Angelo e il Candelabro a sette bracci, l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 6 della parete nord.
L’Angelo e l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 1 della parete sud.
L’Angelo e l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 5 della parete nord.
La Creazione dell’uomo e degli animali, particolare del la vetrata 1 della parete sud.
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La Gerusalemme celeste, rosoni della vetrata 6 della parete nord. L’Albero della Vita, particolare della vetrata 6 della parete nord.
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L’Angelo e il candelabro a sette bracci, particolare della vetrata 6 della parete nord.
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L’Angelo, particolare della vetrata 1 della parete sud.
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Il rosone della vetrata della parete sud. La vetrata astratta nord (8) del transetto.
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Particolari dei rosoni polilobati della vetrata astratta est (7) nel transetto. Particolare della vetrata astratta sud (9) del transetto.
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Chiesa parrocchiale di Le Saillant 1978-1979-1982
La chiesetta di Le Saillant, frazione di Voutezac, in Corrèze, contiene sei vetrate firmate da Marc Chagall, su commissione di Isabelle e Guy de Lasteyrie du Saillant, entrambi estimatori dell’opera dell’artista. Chagall ha creato le finestre che rischiarano l’edifico in stile romanico in tre momenti successivi. L’iconografia dell’insieme si accorda alla semplicità di questa chiesa di campagna. La vetrata del coro, a due pannelli lanceolati, il primo dei quali eseguito nel 1978, evoca i quattro elementi. Nel 1979 su richiesta di Guy de Lasteyrie du Saillant, Chagall disegna per le finestrelle della navata vetrate nelle quali sono rappresentati, realizzati in grisaille leggera, il grano, l’agnello, la vigna, il pesce. Il rosone del portale occidentale, l’ultima vetrata a essere commissionata, è stata istallata nel 1982. Dopo aver visitato al Louvre la mostra in occasione dei novant’anni dell’artista «Marc Chagall: peintures récentes, 1967-1977», in cui erano esposti tra l’altro quadri rappresentanti i bouquet, Isabelle de Lasteyrie du Saillant propone al marito lo stesso tema per la decorazione dell’oculo. Il colori del bouquet comportano tonalità profonde (di rosso, blu, viola o verde) disseminati da qualche giallo sul lato destro della vetrata. Sopra al bouquet, il gallo saluta il sole.
Navata, quarta finestra a tutto sesto Il pesce 173x83 cm firmata e datata Chagall Reims 1979 Parete occidentale, rosone Bouquet diametro massimo 93 cm 1982
Insieme di sei finestre 1978-1982 Coro, finestra a due pannelli lanceolati sormontati da un oculo quadrilobato I quattro elementi 295x133 cm firmata in basso a destra Chagall Reims 1978 Navata, prima finestra a tutto sesto Il grano 158x69 cm firmata in basso a sinistra Chagall Reims Navata, seconda finestra a tutto sesto L’agnello 120x84 cm firmata in basso a sinistra Chagall Reims Navata, terza finestra a tutto sesto La vigna 156x70 cm firmata a datata in basso a sinistra Chagall Reims
I quattro elementi, vetrata del coro.
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Il grano, l’agnello, vetrate della navata.
Pagine seguenti: Bouquet, rosone sopra il portale occidentale.
La vigna, il pesce, vetrate della navata.
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Oculo quadrilobato del coro.
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Chagall all’opera. Una cronologia fotografica
Metz 2. Marc Chagall disegna il bozzetto preparatorio per la vetrata di MosĂŠ, Elia, Davide nella cattedrale di Metz, 1959-1960.
1. Franz Meyer e Marc Chagall nel 1953 a Chartres.
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3-4. Chagall nell’Atelier Simon, Reims, al lavoro sulle vetrate per la cattedrale di Metz, 1959-1960.
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5-8. Chagall nell’Atelier Simon, Reims, al lavoro sulla vetrata di Mosè per la cattedrale di Metz, 1959-60.
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9. Marc Chagall davanti alla vetrata di Mosè, Elia, Davide per la cattedrale di Metz, 1959-1960.
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Gerusalemme 10. Marc Chagall spiega le sue vetrate ai nipoti Piet, Meret et Bella al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, nel 1961 (prima di recarsi a Gerusalemme). 11. Chagall con i nipoti Piet et Meret.
13-14. Chagall nell’Atelier Simon, Reims, al lavoro sulle vetrate per Hadassah.
12. Marc Chagall e Charles Marq nell’Atelier Simon, Reims, con i bozzetti preparatori per le vetrate della Tribù di Asher e di Levi della sinagoga di Hadassah, a Gerusalemme.
15. Il montaggio di diverse parti delle vetrate della Tribù di Giuseppe per la sinagoga di Hadassah, al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, nel 1961.
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16. Chagall nell’Atelier Simon, Reims, davanti alla vetrata della Tribù di Aser.
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18. Chagall con André Malroux, Ministro della cultura, nel 1961 al Musée des Arts Decoratifs di Parigi. Alle spalle, le vetrate per la sinagoga del centro medico di Hadassah, a Gerusalemme. 19. Chagall durante l’inaugurazione della sinagoga di Hadassah, a Gerusalemme nel 1962. 20. Chagall tiene in mano il bozzetto preparatorio davanti alla vetrata della Tribù di Aser, con Brigitte Simon e Charles Marq, nell’Atelier Simon, Reims, 1961.
17. Chagall applica la grisaille sulla vetrata della Tribù di Levi nell’Atelier Simon, Reims, 1961.
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Zurigo 24-25. Chagall nell’Atelier Simon, Reims, durante la preparazione delle vetrate per Zurigo, 1969-1970, accompagnato de Gustav Zumsteg e da Brigitte Simon.
New York 21-23. Davanti alla vetrata per il palazzo delle Nazioni Unite, a New York, nel settembre 1964.
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Nizza 26. Chagall davanti alla vetrata per il MusĂŠe National Message Biblique Marc Chagall a Nizza, 1973.
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Chicago 27. Chagall al lavoro sulla vetrata per l’Art Institute di Chicago.
Magonza 28-33. Marc Chagall nell’atelier a Saint Paul de Vence al lavoro per la vetrata centrale (La Genealogia di Abramo) della chiesa di Santo Stefano a Magonza, 1977.
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Note
«PRENDETE DELLE FINESTRE E METTETECI INTORNO LE PARETI»1 1 2 3 4 5 6 7 8 9
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Pierre Leuzinger, corrispondente a Parigi per «A travers le monde», 23 giugno 1961. Idem. Marc Chagall in Jean Talbot, «Chagall à Jérusalem», Figaro Littéraire, 17 febbraio 1962. Idem. Idem. Idem. «Marc Chagall et son mur de lumièr », Libération, 29 giugno 1961. Marc Chagall a Pierre Cabanne. «Le molteplici rifrazioni della luce nei diversi strati di spessore differente, le strutture eteroclite delle superfici conferiscono alle vetrate composte da più vetri doppiati una propria luminosità rafforzata, più dolce e realizzata», in Stefan Trümpler, «La couleur baignée de lumière – les vitraux de Marc Chagall», in Chagall. Le vitrail. La Couleur de l’Amour, Vitromusée Romont 2007, p. 96. «La maniera in cui Charles Marq risolse tale compito corrispondeva completamente alle intenzioni artistiche di Chagall. Una parte dei piombi, in primis le linee principali, si inserisce con un tale savoir-faire nella trama delle vetrate, da essere appena percettibile alla distanza in cui le finestre sembrano fenomeni immateriali di luce e colori. Avvicinandosi, quando si comincia a percepire le finestre come immagini, si riconoscono anche le piombature che non sono legate alla rappresentazione. Le vetrate sono allora vissute come immagini, che svelano poco a poco anche la loro matericità e il loro legame all’architettura», ibid. p. 96. Charles Marq: «Chagall completa la vetrata a grisaille. C’è una cosa molto importante, è la pelle, è come la vita. Io gli fornisco lo scheletro, con tutto ciò che occorre se possibile, affinché sostenga l’organismo vivente che è la vetrata, ma è Chagall che dà la vita», ibid. p. 101. Der Traum vom Raum: Gemalte Architektur aus 7 Jahrhunderten, catalogo della mostra, Kunsthalle Nürnberg, Marburg 1986. Le temple. Représentations de l’architecture sacrée, catalogo della mostra edito da Pierre Provoyeur, Musée National Message Biblique Marc Chagall, Nizza, Editions de la Réunion des Musées nationaux, Parigi 1982. Ibid. p. 240.
Indice dei luoghi
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LA VETRATA. UN LINGUAGGIO ARTICOLATO 1 2
«IL DESTINO CI SPINGE A INTRAPRENDERE CERTI TIPI DI LAVORI» 1
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Roy McMullen, Izis Bidermanas, Le Monde de Chagall, NRF, Gallimard, Parigi 1969, p. 164; ed. italiana Marc Chagall e il suo mondo, Il Saggiatore, Milano 1968. Titolo originale The world of Marc Chagall. Franz Meyer, Marc Chagall, Flammarion, Parigi 1964, p. 278. Marc Chagall, Ma Vie, Éditions Stock, Parigi, 1928, 1957, 2003, p .13, ed. italiana La mia vita, SE edizioni, Milano 1998. «L’arte e la vita», conferenza tenuta al comitato per un pensiero sociale, Università di Chicago, marzo 1958, in
Benjamin Harshav, Marc Chagall. On Art and Culture, Stanford University Press, Stanford 2003, pp. 128-133. Ma Vie, op. cit., p. 79. Li ha forniti della hokhmah del cuore. Il termine, che significa sapienza, intelligenza, giudizio, è associato alla creazione artistica. «La hokhmah presiede perciò alla concezione dell’opera, l’accompagna nell’esecuzione, ne chiarisce la percezione da parte dei riguardanti e ne illumina il discernimento mistico e simbolico». Victor Klagsbald, A l’Ombre de Dieu. Dix essais sur la symbolique dans l’art juif, Peeters, Leuven 1997, introduzione. Es 35,30-35. Es 36,1. Marc Chagall, Ma Vie, op. cit., p. 228. Benjamin Harshav, Marc Chagall. Hadassah, de l’esquisse au vitrail, Mahj, Paris, 2002, pp. 120-121. Ma Vie, op. cit., p. 247. Scuola elementare ebraica. Solomon Bloomgarden (Virbaln, 1872-New York, 1927). Benjamin Harshav, Marc Chagall and His Times, a Documentary Narrative, Stanford University Press, Stanford, 2004, p. 376. Ma Vie, op. cit., p. 179. René Schwob, Chagall et l’âme juive, Roberto A. Corréa, Parigi 1931. Marie-Alain Couturier, «Aux grands hommes, les grandes choses», in Art Sacré, testi scelti da Dominique de Menil e Pie Duployé, Menil Foundation, Huston 1983, p. 36. Si è rifugiato in Canada. Marie-Alain Couturier, «La leçon d’Ass », in Art Sacré, op. cit., p. 52. Dalla lettera citata in Benjamin Harshav, Marc Chagall and His Times, a Documentary Narrative, op. cit., pp. 703-704. La traduzione inglese, stando all’autore, venne fatta dalla figlia dell’artista, Ida Chagall. Charles Marq, «Lorsque Chagall accepta…», l’Art Sacré, Parigi, luglio-agosto 1961, p. 14. Raissa Maritain, Chagall et l’orage enchanté, ed. Des trois collines, Ginevra-Parigi 1948, pp. 127-128.
3
La grisaille è uno smalto più o meno denso posato a spazzola o a pennello. Durante una conferenza tenuta da Chagall intitolata «Alcune impressioni sulla pittura francese», apparsa in Renaissance, New York, 1945. Nikolaj Berdjaev, Le Sens de la Création: un essai de justification de l’homme, Desclée de Brouwer, Parigi 1955.
SUL SIMBOLISMO DELLE VETRATE DI GERUSALEMME 1
Già il poeta Apollinaire notava: «non è imbarazzato da alcun sistema», «Les Arts. Marc Chagall», in ParisJournal, 2 giugno 1914; ripreso in Œuvres en prose complètes, t. 2, La Pléiade, 1991, p. 745.
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“Chagall’s Jerusalem windows. Iconography and Sources”, in Studies in art, vol. 24, Hebrew University, Gerusalemme 1972, pp. 146-182. Idem, p. 148. Bulletin de nos Communautés, n. 13, 7 luglio 1961. «Interviste con Chagall», raccolte da Marcelle Berr de Turique, L’Arche, nn. 55-56, agosto-settembre 1961, p. 84. Idem. Ad esempio, tre i patriarchi, quattro le matriarche, cinque i Libri della Torah, ecc. D. Jarrassé, «Douze fenêtres de synagogue. Usages de la lumière, du Sud tunisien à Jérusalem», in La Lumière dans les religions du Livre: une approche pluridisciplinaire, colloqui dell’Institut français du Proche-Orient, Beyrouth e Università di Balamand, Chronos, n. 32, 2015, pp. 35-46. Sinagoga costruita su progetto dell’architetto ebreo Aldrophe, tra il 1865 e il 1874; le vetrate sono dei maestri vetrai Lusson, Lefèvre e Oudinot. Talmud, Trattato Sotah, 36b. Giuseppe scompare a favore dei suoi figli, Efraim e Manasse, cosicché il numero delle tribù resta dodici, in quanto la tribù sacerdotale di Levi non è considerata alla stregua delle altre e non riceve un territorio, ma solo città sparse. Colori che, con il blu dominante della vetrata, si ritrovano nel “fiore” di Beniamino. Intervista citata, pp. 84-86. Che gli commissiona le vetrate per la cappella di Assy nel 1957 determinando così il fecondo incontro di Chagall con la pittura su vetro. Senza l’esperienza di Assy, non avrebbe accettato le vetrate di Gerusalemme. « Entretien avec Marc Chagall », Georges Charbonnier, Le Monologue du Peintre, Julliard, 1960, t. 2, p. 47. Le si è identificate anche con le diciassette città concesse a Simeone sul territorio di Giuda. “Luci” e “perfezioni”; strumenti divinatori aggiunti al pettorale servivano a consultare la volontà divina; Urim ha come prima lettera un’alef, Tummim ha una tav, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto, una sorta di alfa e omega... Rachi, «Poveri, copisti della Torah e maestri di scuola, li troverai solo nella tribù di Simeone», in Elie Munk, La Voix de la Torah. Genèse, Fondation Lévy, Parigi 1976, p. 505. Le si trova in questa posizione, ma con una distanza tra il medio e l’anulare, sulle tombe dei cohanim, discendenti dei sacerdoti del Tempio. Rachele chiama così il figlio nato dalla sua serva Bila, che su suo ordine aveva concepito con Giacobbe, dananni, Dio «mi ha reso giustizia». Non prende parte alla battaglia di Debora contro Sisara (Giudici, 5,17). Elie Munk, op. cit., p. 511. Lo shofar richiama il corno dell’ariete sacrificato al posto di Isacco. Marc Chagall, trad. di Ph. Jaccottet, Flammarion, (1964) 1995, p. 280. in Pierre Cabanne, Chagall. Vitraux pour Jérusalem, catalogo della mostra, Musée des Arts Décoratifs, Parigi 1961, p. 44.
Francia Assy - Chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce Le Saillant - Chiesa parrocchiale Metz - Cattedrale di Saint-Étienne Moissac - Abbazia di Saint-Pierre Nizza - Musée national Marc Chagall Reims - Cattedrale di Notre-Dame Sarrebourg - Cappella dei Cordiglieri (Chapelle des Cordeliers)
42 216 50 48 134 144 168
Germania Magonza - Chiesa di Santo Stefano
188
Inghilterra Chichester - The Holy Trinity Tudeley - All Saints’ Church
164 122
Israele Ein Kerem, Gerusalemme - Sinagoga del Centro Medico di Hadassah
78
Stati Uniti Chicago - The Art Institute New York - Organizzazione delle Nazioni Unite Pocantico Hills, Tarrytown - Union Church
150 112 116
Svizzera Zurigo - Chiesa di Fraumünster
128
237
Indice delle illustrazioni
Per ciascuna vetrata sono elencati i dettagli illustrati nel volume. I numeri fanno riferimento alla pagina. Assy L’angelo con il candelabro, particolare, 43 L’angelo con il candelabro, vetrata, 44 L’angelo con l’olio santo, vetrata, 45 L’angelo con il candelabro, particolari, 46-47 Moissac Vetrata della cappella del SS. Sacramento, 49 Metz Rosa blu, 1964, pannello di prova realizzato per l’abside nord del deambulatorio. Vetro inciso, giallo d’argento, grisaille, piombo, diam. 205 cm. Nizza, Musée national Marc Chagall, dep. CNAP, 54 Mosè, Davide, Geremia, Crocifissione, vetrata (prima finestra dell’abside nord), 55 Davide, particolare della lancetta centrale, 56 Il profeta Geremia, particolare della lancetta destra, 57 Mosè riceve le Tavole della Legge, particolare della prima lancetta, 58 Il popolo ebreo, particolare della lancetta centrale, 59 I patriarchi Abramo, Giacobbe, Mosè, vetrata (seconda finestra dell’abside nord), 60 Il sogno di Giacobbe, seconda versione della vetrata per la cattedrale di Metz, 1966, 61 Giacobbe e l’angelo, particolari della seconda versione, 62-63 Giacobbe e l’angelo, particolari della vetrata, 64-65 La Creazione (il Paradiso), vetrata (transetto nord, parete occidentale), 66 Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, particolare della quarta lancetta, 67 La Creazione dell’uomo, particolare della prima lancetta, 68 Beati, particolare del campo superiore, 69 Adamo ed Eva, particolari della seconda e terza lancetta, 70-71 Fiori e uccelli, dalla prima vetrata occidentale (transetto nord, triforio), 72 Animali, fiori e uccelli, dalla prima vetrata orientale (transetto nord, triforio), 73 Particolare della prima vetrata occidentale, 74 Particolare della seconda vetrata occidentale, 75 Il grande bouquet, seconda vetrata occidentale, 76 Il piccolo bouquet, seconda vetrata orientale, 77 Gerusalemme La tribù di Ruben, maquette definitiva, 79
Crediti fotografici
La tribù di Simeone, maquette definitiva, 80 La tribù di Levi, maquette definitiva, 81 La tribù di Giuda, maquette definitiva, 82 La tribù di Zabulon, maquette definitiva, 83 La tribù di Issacar, maquette definitiva, 84 La tribù di Dan, maquette definitiva, 85 La tribù di Gad, maquette definitiva, 86 La tribù di Aser, maquette definitiva, 87 La tribù di Neftali, maquette definitiva, 88 La tribù di Giuseppe, maquette definitiva, 89 La tribù di Beniamino, maquette definitiva, 90 La tribù di Ruben, vetrata, 92 La tribù di Simeone, vetrata, 93 La tribù di Ruben, vetrata preparatoria, particolare, 94-95 La tribù di Levi, vetrata, 96 La tribù di Giuda, vetrata, 97 La tribù di Zabulon, vetrata, 98 La tribù di Issacar, vetrata, 99 La tribù di Zabulon, particolare, 100-101 La tribù di Dan, vetrata, 102 La tribù di Gad, vetrata, 103 La tribù di Gad, vetrata preparatoria, particolare, 104-105 La tribù di Aser, vetrata, 106 La tribù di Neftali, vetrata, 107 La tribù di Giuseppe, vetrata, 108 La tribù di Beniamino, vetrata, 109 La tribù di Giuseppe, vetrata preparatoria, particolare, 110-11 New York La pace, maquette definitiva, 112-113 La pace, vetrata, 114-115 Pocantico Hills Il Buon Samaritano, maquette definitiva, 117 La Crocifissione, prima vetrata sulla parete sud, 118 Gioele, seconda vetrata sulla parete sud, 118 Elia, terza vetrata sulla parete sud, 119 Daniele, quarta vetrata sulla parete sud, 119 I Cherubini, prima vetrata sulla parete nord, 120 Ezechiele, seconda vetrata sulla parete nord, 120 Geremia, terza vetrata sulla parete nord, 121 Isaia, quarta vetrata sulla parete nord, 121 Tudeley Le vetrate laterali del coro (nell’ordine, 1-4), 124-125 La Crocifissione, vetrata centrale del coro, 136 Vetrate della parete orientale (11) e della parete meridionale (5), 137 Zurigo Insieme delle cinque vetrate, 130
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La lotta di Giacobbe con l’Angelo, particolare della vetrata settentrionale, 131 La parte superiore della vetrata centrale sulla parete occidentale, 132 Il rosone (transetto meridionale), 133 Nizza La Creazione del mondo, maquette definitiva. Il Settimo giorno, 135 La Creazione del mondo, maquette definitiva. Il Quinto e il Sesto giorno, 136 La Creazione del mondo, maquette definitiva. I primi quattro giorni della Creazione, 137 Il riposo del Settimo giorno, vetrata, 138 Il riposo del Settimo giorno, particolare della vetrata: un Angelo, 139 Il Quinto e il Sesto giorno della Creazione, vetrata, 140 Il Quinto e il Sesto giorno della Creazione, particolare della vetrata, 141 I primi quattro giorni della Creazione, vetrata, 142 I primi quattro giorni della Creazione, particolare della vetrata, 143 Reims I Re di Giuda o l’Albero di Jesse, maquette definitiva della vetrata sinistra, 145 Abramo e Cristo, maquette definitiva della vetrata centrale, 145 I Re di Francia, maquette definitiva della vetrata destra, 145 L’insieme delle vetrate, 146-147 Particolari delle vetrate, 148-149 Chicago Maquette definitiva delle tre vetrate doppie. Da sinistra, la Musica, la Pittura, la Poesia, l’Architettura, il Teatro, la Danza, 152-153 La Danza, particolare della vetrata, 155 La Musica e la Pittura, 156-157 La Poesia e l’Architettura, 158-159 Il Teatro e la Danza, 160-161 La Pittura, particolari, 162-163
fissione, 174-175 Particolari della Coppia primigenia e di un Angelo, 176-177 Particolare della vetrata: Giovanna d’Arco, la Pulzella d’Orleans, 178 Particolare della vetrata: la Natività, 179 Altri particolari, 180-181 Le tre vetrate lanceolate nella tribuna, parete laterale destra, 182-183 Parete laterale sinistra, prima coppia di finestre lanceolate, 184 Parete laterale sinistra, seconda coppia di finestre lanceolate, 185 Il piccolo rosone sulla parete laterale sinistra, 186 Magonza Le donne della Bibbia, maquette per la vetrata sinistra del coro, 189 La Genealogia di Abramo, maquette per la vetrata centrale del coro, 189 I profeti, maquette per la vetrata destra del coro, 189 L’oculo trilobato della vetrata centrale (La Genealogia di Abramo), 190 Il sogno di Giacobbe, particolare della vetrata centrale, 191 Gli Angeli alla mensa di Abramo, particolare della vetrata centrale, 192 Il sacrificio di Isacco, particolare della vetrata centrale, 193 La Creazione dell’uomo, particolare della vetrata destra, 194 Maria e il Bambino, particolare della vetrata destra, 195 Isacco e Rebecca, particolare della vetrata sinistra, 197 Deborah, particolare della vetrata sinistra, 198 Sara, particolare della vetrata sinistra, 199 Visione biblica, particolare della vetrata sinistra, 200
L’Angelo e il profeta Geremia, particolare della vetrata destra, 201 Davide, particolare della vetrata sinistra, 202 L’ospitalità di Abramo, particolare della vetrata centrale, 203 Adamo ed Eva, particolare della vetrata sinistra, 204 Davide celebra Jahvé, particolare della vetrata destra, 205 Un profeta, l’Angelo e il Candelabro a sette bracci, l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 6 della parete nord, 206 L’Angelo e l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 5 della parete nord, 206 L’Angelo e l’Albero della Vita, maquette per la vetrata 1 della parete sud, 206 La Creazione dell’uomo e degli animali, particolare della vetrata 1 della parete sud, 207 La Gerusalemme celeste, rosoni della vetrata 6 della parete nord, 208 L’Albero della Vita, particolare della vetrata 6 della parete nord, 209 L’Angelo e il candelabro a sette bracci, particolare della vetrata 6 della parete nord, 210 L’Angelo, particolare della vetrata 1 della parete sud, 211 Il rosone della vetrata della parete sud, 212 La vetrata astratta nord (8) del transetto, 213 Particolari dei rosoni polilobati della vetrata astratta est (7) nel transetto, 214 Particolare della vetrata astratta sud (9) del transetto, 215 Le Saillant I quattro elementi, vetrata del coro, 217 Il grano, l’agnello, la vigna, il pesce, vetrate della navata, 218-219 Bouquet, rosone sopra il portale occidentale, 220 Oculo quadrilobato del coro, 221
Chichester Davide, maquette definitiva, 165 Davide, vetrata, 166 Davide, vetrata, particolare, 167
I numeri fanno riferimento alla pagina. Per tutte le opere di Marc Chagall riprodotte in questo volume © Chagall ®, by SIAE 2016 Archivio autori/Comité Marc Chagall, Parigi, 91, 94-97, 100-103, 106-108, 117121, 134, 152, 153, 155-161, 190-192, 207209, 217, 218-221 Mme Forestier/Vava Chagall, 151, 154, n.27 (cronologia) A. Maffeis per Archivio Jaca Book, 43-45, 46-47 Elio Ciol per Archivio Jaca Book, 50, 51, 55-60, 64-90, 110-113, 135-137, 138-143, 162-163, 165-167, 170-175, 178, 179, 182187 © Vitromusée Romont (photo: Yves Eigenmann, Fribourg), 197 Musée national Marc Chagall, Nizza, dep. CNAP, inv. FNAC 1198, 54 © Illés Sarkantyu, 7, 176, 177, 180, 181 Orel-Füssli, Zurigo 130-133 Editions Esthetiques du Divers/Photo, 146149 Musée du Pays de Sarrebourg et du Parcours Chagall, 169 Courtesy Echter Verlag/Photo Jacques Babinot, Reims, 199, 202-205, 210-213, 215 Courtesy Echter Verlag/Photo Kurt Gramer, 214 © Pascal Stritt, 26, 28-33, 61-63, 92-93, 98-99, 104-105, 108-109 © Cosmopress, Geneve, 189, 193, 194, 195, 196, 198 © Reimscolor, Reims, 145 © J.F. Amelot, Seilhac, 49, 200, 201, 206, 214 © United Nations Photographs, New York, 114-115 © Richard Holt, Londra, 123-127, 129 Cronologia I numeri fanno riferimento alle illustrazioni. © Archives Marc et Ida Chagall, Parigi,1, 2, 3, 13, 14, 19, 21, 24, 25, 28-33 © Izis, 2, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 17 © Loomis Dean, 4, 9 © Keystone, Paris, 12 © Le Figaro – Photo © Heckly, 15 © Apis © Roger Jelly, 16, 20 © Daniel Frasnay, 18 © F.B. Grunzweig, New York, 22, 23 © Ralph Gotti, Nizza, 26
Sarrebourg Vetrata della Pace, dettaglio, 6 La Pace o l’Albero della Vita, maquette definitiva, 170 La Pace o l’Albero della Vita, vetrata, 171 Particolari della vetrata: la Coppia primigenia, 172-173 Particolari della vetrata: il bouquet e la Croci-
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