CHAGALL. A JOURNEY THROUGH THE BIBLE

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CHAGALL V I AG G I O N E L L A B I B B I A


Chagall

CHAGALL V I AG G I O N E L L A B I B B I A Studi inediti e gouaches s. Forestier | N. Hazan-Brunet | E. Kuzmina

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International Copyright © 2014 Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati Per tutte le opere di Marc Chagall riprodotte in questo volume © Chagall ®, by siae 2014 Prima edizione italiana settembre 2014 La traduzione dal francese dei testi di Sylvie Forestier e di Nathalie Hazan-Brunet è di Federico Simonti La traduzione dallo spagnolo del testo di Evgenia Kuzmina è di Ariase Barretta Redazione Elisabetta Gioanola Copertina e grafica Break Point/Jaca Book

Indice 9 Capitolo primo «APPARTENERE A UN LIBRO COME SI APPARTIENE A UNA STORIA!» Sylvie Forestier 21 Capitolo secondo «FINO A QUANDO IL MIO CORPO – COME UN albero – raggiunga LA RIVA BIBLICA» Nathalie Hazan-Brunet Tavole 33 Studi inediti 123 Gouaches 205 Capitolo terzo UNA LETTURA ICONOGRAFICA DELLE GOUACHES BIBLICHE DI MARC CHAGALL Evgenia Kuzmina

Selezione delle immagini Pixel Studio, Milano Stampa e confezione Stilgraf S.r.l., Viadana (mn) agosto 2014

227 Apparati 228 Note 234 Bibliografia selettiva

ISBN 978-88-16-60507-7 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a: Editoriale Jaca Book SpA – Servizio Lettori Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02-48.56.15.20, fax 02-48.19.33.61 e-mail: libreria@jacabook.it; internet: www.jacabook.it

238 Indice dei nomi


Chagall

Ringraziamenti Gli autori desiderano esprimere la loro profonda gratitudine agli eredi e al Comitato Marc Chagall per averli coinvolti con benevolenza all’emozionante scoperta degli schizzi inediti di Marc Chagall. I loro più sinceri ringraziamenti vanno anche alla casa editrice Jaca Book e ai suoi editori Sante Bagnoli e Vera Minazzi.

Avviso ai lettori La datazione delle opere di Marc Chagall resta difficile: l’artista infatti ha spesso ripreso e lavorato sulla prima versione in date diverse, o ha datato a posteriori. Le date riportate sono quelle menzionate dall’artista. Altrimenti, tra parentesi, sono trascritte quelle che corrispondono a ipotetiche datazioni. Le citazioni bibliche, che accompagnano gli studi inediti e le gouaches preparatorie alle illustrazioni della Bibbia commissionata da Ambroise Vollard a Marc Chagall, provengono dalla prima edizione della Bibbia di Gerusalemme. L’artista aveva approvato la scelta di questa traduzione nel 1973 al momento della prima pubblicazione delle opere donate da Marc e Valentina Chagall in occasione dell’apertura del Musée national Message Biblique Marc Chagall. La sigla mbmc seguita da un numero corrisponde al numero di inventario assegnato alle opere della collezione del Musée national Marc Chagall di Nizza. Le dimensioni sono date in cm e l’altezza precede la larghezza.

A fronte: Mosè spezza le tavole della Legge, 1931, particolare. Alla pagina 2: Abramo pronto a immolare suo figlio, 1931, particolare.

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Capitolo primo

«Appartenere a un libro

come si appartiene a una storia!»1 Sylvie Forestier

Appartenir à un livre comme on appartient à une histoire! Emmanuel Lévinas1

La critica ha a lungo considerato le gouaches preparatorie al Messaggio Biblico di Marc Chagall come un ciclo concluso, realizzato su specifica richiesta di Ambroise Vollard, e propedeutico, per ciò che riguarda il colore, alla successiva illustrazione della Bibbia. Un approccio, questo, che appare superato grazie a un avvenimento editoriale che ha rimesso tutto in discussione: sono riemersi ventidue studi rimasti fino ad ora inediti; ventidue schizzi in cui le tecniche si avvicendano con maestria e si passa dall’acquarello al pastello, dall’inchiostro alla matita. Un ritrovamento così rivoluzionario da suscitare oggi un legittimo interrogativo: dopo un attento esame di questi studi, è possibile proporre una nuova lettura dell’opera di questo immenso artista? E ancora, quali segreti del processo creativo dell’artista ci svelano queste opere? Quali profonde ragioni hanno convinto Chagall a proporre a Vollard le quaranta gouaches note? Il tema imposto dal progetto di illustrazione del testo biblico è indissolubilmente legato al testo o fa parte di un’idea artistica più vasta? E infine, a quale testo Chagall si è conformato? Quest’ultimo interrogativo, lungi dal trovare una risposta definitiva, ne solleva altri relativi al rapporto del pittore con i testi che illustra così brillantemente dal suo ritorno in Francia, in particolare con il testo biblico.

I ventidue schizzi: un insieme rivoluzionario Confrontando i temi presenti in questi nuovi studi con quelli delle gouaches iniziali si evidenzia come Chagall, da una parte, introduca nuovi episodi biblici, dall’altra, insista su alcuni di essi con nuove versioni. Se l’artista integra le gouaches originali introducendo altri passaggi biblici – Giacobbe benedetto da Isacco, La scala di Giacobbe, La lotta di Giacobbe con l’ange-

lo, Il sogno di Giacobbe, Samuele unge Saul, Davide placa Saul con i suoi canti, Il re Davide ed Elia sul monte Carmelo –, allo stesso tempo, probabilmente insoddisfatto da un primo studio, torna a reinterpretare, con variazioni formali, episodi già noti – Noè riceve l’ordine di costruire l’Arca, Noè lascia andare la colomba e Abramo pronto a immolare suo figlio, con due studi per ciascun episodio, e Creazione di Eva, Il mantello di Noè, Abramo congeda i tre angeli, Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio, Abramo piange Sara, Eliezer e Rebecca, Mosè spezza le tavole della Legge, Aronne davanti al candelabro, con uno studio per ciascun episodio –. Quello che accomuna i nuovi studi e le variazioni formali è la particolare attenzione che Chagall riserva a tradurre il racconto biblico. Se prende le mosse essenzialmente dalla Genesi e dall’Esodo, i nuovi studi rivelano il suo interesse per il libro dei Numeri, per i due libri di Samuele e per il primo libro dei Re. Con tutta evidenza l’artista parte direttamente dal testo biblico e dà forma a figure e ad avvenimenti che predilige per la sua figurazione: l’emergere, in seno alla Creazione, dell’umanità nella sua doppia personificazione di Adamo e di Eva; la presenza salvifica dei messaggeri divini che sono i Patriarchi e i Profeti; il permanere di questo dialogo storicamente tumultuoso tra Dio e il suo popolo. Come nelle gouaches note, anche in questi studi è leggibile una tensione drammatica che il gesto creatore traduce magistralmente. Una sorta di febbrile agitazione li attraversa, come se la preoccupazione dell’artista non fosse quella di concluderli quanto di farli nascere nell’urgenza che solo i lampi della luce attraverso il foglio riescono a mitigare. La maggior parte di questi studi preparatori non sono datati, con l’eccezione di Samuele unge Saul e di Elia sul monte Carmelo, entrambi datati e firmati «Marc Chagall, 1931». Se convenzionalmente si considera che le gouaches preparatorie alla Bibbia illustrata, con le 105 acqueforti che Tériade pubbli-

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ca nel 1956, siano state realizzate tra il 1930 (prima gouache scelta e datata da Chagall) e il 1931, possiamo avanzare l’ipotesi che l’artista abbia compiuto l’insieme degli studi proprio nel 1931? Quindi dopo aver intrapreso il suo viaggio in Palestina nel mese di febbraio di quello stesso anno. Sappiamo bene quanto sia difficile una datazione rigorosa dell’opera. Il rapporto che Chagall intrattiene con il tempo, con un tempo vissuto, interiorizzato, si contrappone al tempo cronologico. Quale che sia l’opera, una tela, un disegno o un’incisione, ogni creazione sorge in un tempo intimo, nell’emozione di una prova o di una speranza. Più spontanei rispetto alle gouaches, il cui vigore annuncia incontestabilmente il grande sogno del Messaggio Biblico, questi schizzi sembrano invece riflettere l’inquietudine di un’epoca e le sorde minacce di un tempo tragico. Sembrano furtivamente rimettere al centro dell’attenzione la storia. In questo senso, mi pare limitante una lettura delle opere che, discostandosi dal contesto storico che le ha prodotte, ha troppo a lungo privilegiato un approccio estetico, puntando tutto sulla loro perfezione cromatica e formale a discapito dell’emozione vivente e della fragilità umana che ne traspare. Che cosa vuol comunicare Chagall quando, come nel caso dello schizzo Noè lascia andare la colomba, mette sulla testa di Noè una kippah che però scompare nella gouache corrispondente? Questo Noè appare così simile al ritratto del padre dell’artista del 1911 (fig. 1) o al venditore di giornali del 1914 (fig. 2), portatore di cattive notizie, sul cui viso convivono tristezza e dignità. Un Noè abitante di Vitebsk più che della Palestina. Perché l’artista insiste con due schizzi sul tema di Abramo pronto a immolare suo figlio, in cui l’abbandono del corpo innocente di Isacco si accompagna al viso implorante e rassegnato di Abramo che volge il suo sguardo all’angelico battito di ali, ignorando ancora se il sacrificio dovrà consumarsi? E ancora la figura del patriarca nell’Abramo piange Sara, schizzo così simile alla gouache del 1931 da sembrarne un disegno preparatorio: Abramo in lutto, copre il suo volto come se questa assenza di sguardo lasciasse la scena al corpo ormai inerte della sua sposa; un’immagine possente del potere della morte, nella sua stessa ellisse. Perché decide di ritornare a evocare il ciclo di Giacobbe, che segue quello di Abramo e di Isacco, se poi questo ciclo scompare del tutto nella scelta definitiva delle quaranta gouaches? Giacobbe, proprio lui che carpisce la benedizione con astuzia, e che per una notte intera si è battuto con l’angelo per ottenere all’alba la benedizione e una nuova nascita con nome di Israele. Come se, sottolineando il gesto di Giacobbe, Chagall volesse ricordare l’eterna presenza di Dio a fianco di Israele. Un Dio mascherato, un Dio salvifico, un Dio meno presente nella pettorale sacerdotale o nel candelabro di Aronne che nell’insolito e sorprendente co-

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Pagine precedenti: 1. Il padre (Le Père), 1911, olio su tela, 80×44,2 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

2. Guerra (Guerre) oppure Le marchand de journaux (Il venditore di giornali), 1914, matita su carta da imballaggio grigia, 45×35 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

«Appartenere a un libro come si appartiene a una storia!»

stume da clown. Come se Chagall accordasse all’episodio di una storia trascorsa la scottante attualità del presente.

«Forse un giorno l’Europa mi amerà e, con lei, la mia Russia»2 I recenti lavori di Benjamin Harshav3 e di Jackie Wullschläger4, insieme a quelli degli storici che si sono occupati della Repubblica di Weimar5 e dell’ascesa del nazismo6, hanno fatto chiarezza sul contesto storico in cui Chagall si imbatte sin dal suo arrivo in Francia, nell’autunno del 1923. Quello dell’artista è più propriamente un ritorno, motivato dalle sollecitazioni di Rubiner7 e di Cendrars8 ma anche dalla situazione politica e sociale che investe la Russia. Chagall, che ha appena finito la decorazione del Teatro ebraico a Mosca, è attraversato da una crescente inquietudine riguardo al suo avvenire di uomo e di artista. La lotta per il potere si intensifica in seno al Comitato centrale del partito bolscevico tra Lenin, indebolito dalla malattia, e Stalin. Lo spirito democratico annunciato dalla Rivoluzione d’ottobre si indebolisce ed è rimpiazzato dal processo di collettivizzazione. La grande carestia del 1921-22, provocata dalla nazionalizzazione del commercio dei cereali, provoca gravi danni. Il grande poeta e amico Aleksandr Blok non è forse morto di fame a Pietroburgo nel giugno del 1921. Chagall si rende conto della situazione in cui versa il paese quando viene chiamato a dirigere la colonia per bambini Malakhovka9. In seguito, pur restando sotto la protezione di Lunačarskij, ha modo di constatare personalmente le conseguenze degli eventi calcolando l’ammontare degli esborsi richiesti dalla eka ai suoceri10. Si fa sempre più viva in lui la sensazione di un ritorno dell’antesemitismo, accompagnato da una svolta realistica e ideologica dell’arte che deve rispondere alle indicazioni del potere sovietico e, almeno dal 1918, alla precisa volontà di Lenin11. Non essendo nelle grazie della commissione che fissa le retribuzioni degli artisti, Chagall perde definitivamente le speranze di veder riconosciuto il proprio lavoro: «Né la Russia imperiale, né quella dei Soviet, ha bisogno di me. Sono per loro incomprensibile, straniero. Sono certo invece che Rembrandt mi ami»12. Insieme a diversi altri intellettuali, uomini di cultura e artisti13, Chagall decide di abbandonare la Russia, appena in tempo per evitare le purghe di massa che decimeranno la popolazione. Jurgis Baltrušaitis, poeta e ambasciatore della Lituania a Mosca, gli consente di inviare le sue tele a Kaunas per via diplomatica. Sempre passando da Kaunas, Chagall ha la possibilità, nell’estate del 1922, di raggiungere Berlino con un

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passaporto fornito dall’amico Lunačarskij. Nell’autunno lo raggiungono la moglie Bella e la figlia Ida. La città di Berlino è divenuta, sin dalla promulgazione della costituzione del 1919, l’epicentro culturale della Repubblica di Weimar. Infatti, anche se la sede del governo di coalizione eletto dopo la Grande guerra è Weimar, è a Berlino che, malgrado alcuni disordini sociali, affluisce tutta l’intelligencija proveniente dalla Russia e dalla Polonia, tanto che la città degli anni Venti è in grado di rivaleggiare con quella degli anni di Goethe: «Nel cuore del grande stravolgimento generale, Berlino fu il crogiolo di tutte le possibili e immaginabili innovazioni in ogni campo, nel cinema come nel teatro, nella poesia nella pittura e nella scienza, nell’educazione e nell’urbanismo, nella musica e nell’architettura, nella fotografia, nella radio e nel giornalismo»14. Chagall conosce già questa città e sa quanto sia divenuta culturalmente ricca grazie all’incontestabile apporto dell’emigrazione venuta dall’Est. Nel giugno 1914, egli stesso aveva lasciato in città, nelle mani del suo gallerista Herwarth Walden, un certo numero di opere. In cuor suo sperava, tornato a Berlino, di poterle ritrovare o almeno di ricevere il ricavato della loro vendita. L’incontro con Walden si rivela invece totalmente infruttuoso e Chagall ne rimane profondamente contrariato. Nel frattempo entra in contatto con Paul Cassirer, eminente gallerista ed editore, nonché parente del grande filosofo Ernst Cassirer, che aveva fatto conoscere in Germania Van Gogh, Cézanne, i cubisti francesi, i futuristi italiani e i costruttivisti russi. Liberatosi del legame con Walden, Chagall si avvicina progressivamente a Cassirer e al suo direttore Walter Feilchenfeld, e rimane affascinato dal fatto che il gallerista è promotore di fecondi incontri tra scrittori, poeti e pittori. Inoltre Paul Cassirer si mostra da subito disponibile a pubblicare La mia vita, il testo autobiografico redatto dall’artista in Russia e che la moglie Bella legge abitualmente nei salotti berlinesi15. Anche se la traduzione del testo di Chagall in tedesco presenta da subito problemi interpretativi, l’editore non demorde e decide di realizzare un portfolio di venti incisioni, ad acquaforte o a puntasecca, che viene pubblicato nel 1923 con il titolo Mein Leben (La mia vita). L’assenza di testo è compensata dalle immagini, che traducono con ironia, tenerezza e acutezza la vita quotidiana di una famiglia ebrea. La madre e il figlio, La nonna, La sala da pranzo, Casa a Vitebsk, La via Pokrovskaya, L’insegnante di Talmud, sono tutti ritratti che sembrano provenire da una memoria che si ostina a conservare preziosamente un ricordo. La tecnica della puntasecca, derivata da quella a bulino, previlegia la finezza e l’energia della linea. Chagall dosa magistralmente il tratto nervoso della puntasecca e quello più morbido dell’acquaforte con cui l’artista modula le ombre. Si

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tratta di un vero omaggio alla sua città natale, al popolo di Vitebsk e ai suoi genitori: il portfolio si apre con l’emblematica figura del padre e si chiude sulla sua pietra tombale coronata dalla stella di David che ricopre un corpo pacificato, come addormentato nell’attesa di una prossima resurrezione. La virtuosità di Chagall passa abilmente dalla puntasecca all’acquaforte o alla xilografia. Si mostra un allievo particolarmente dotato di talento: per meglio rispondere alle richieste di Cassirer, l’artista decide infatti di esercitarsi nelle differenti tecniche con Hermann Struck, rinomato incisore e autore del manuale L’arte di incidere, e con Joseph Budko, celebre xilografo. Questo doppio apprendistato si rivela fruttuoso: Chagall acquisisce quell’incontestabile abilità tecnica che gli permetterà in seguito di realizzare le opere parigine per Ambroise Vollard. Dal 1923 al 1930, l’artista si impegna nell’avventura del libro illustrato. Personaggio affascinante quanto sorprendente, Ambroise Vollard non si limita a essere un eminente gallerista rispettato per la sua professione, ma è uno dei grandi artigiani dell’arte del libro illustrato e si rivelerà decisivo per lo sviluppo di questa nuova espressione artistica del xx secolo. Dopo aver sostenuto Bonnard e i Nabis, Vollard si fa promotore della prima esposizione monografica dedicata all’opera di Paul Cézanne. Anche Picasso deve a lui la sua prima esposizione a Parigi nel 1901. Se da una parte la perspicacia di cui dà prova nel proporre al pubblico i vari Cézanne, Maurice Denis, Van Gogh, Gauguin, Matisse, Picasso fa di lui uno dei più grandi mercanti d’arte dell’epoca, dall’altra la sua attività d’editore lo porta alla ribalta come protagonista della modernità: senza dubbio è a lui che si deve la nascita del libro d’artista, la grande passione della sua vita. Sulla scia di quanto fatto da Apollinaire e da Alfred Jarry, Vollard non si limita a contemplare l’intima interpenetrazione che unisce testo e immagine, ma la porta al suo massimo compimento coordinando il lavoro comune dello scrittore e del poeta, dell’artista, dell’incisore e dello stampatore. Nel 1924, nella nuova galleria in 28 rue Martignac16, si premura di scegliere con cura la carta, il carattere tipografico, la rilegatura, al fine di adattare tutto allo specifico testo da illustrare e alle diverse sensibilità degli artisti illustratori. Il dialogo che intraprende con Chagall si rivela fondamentale per lo sviluppo dell’arte del libro illustrato: spinto dal desiderio di aggiungere al suo catalogo un testo russo, Vollard propone all’artista di lavorare sul testo della contessa de Ségur, nata Rostopchine, Il generale Durakine. Una proposta che non trova Chagall favorevole, per quanto il nome di Durakine lo debba aver fatto sorridere17. Forse per dimenticare il suo desiderio di scrivere, Vollard si lega di un’amicizia profonda ad Alfred Jarry ed è turbato dal personaggio di Ubu18. Chagall rimanda al mittente

il testo proposto, ma ne approfitta per sottopporre a Vollard un’alternativa: Le anime morte di Gogol. L’editore accetta la proposta senza esitazione. È così che, dal 1923 al 1927, Chagall si getta a capofitto nel rigoglioso mondo di una Russia rurale assai vicina a quella che lui stesso aveva conosciuto. In fondo, Gogol è per lui una sorta di alter ego: Chagall ritrova nelle pagine del libro la stessa nostalgia del paese natale e la stessa fascinazione malinconica, e talvolta disperata, delle sue contraddizioni. L’artista si era peraltro già misurato con i personaggi di Revizor, per un progetto che però non aveva visto la luce19. Il racconto di Gogol si sviluppa seguendo la buffa odissea di Pavel Ivanovi i ikov e assume di volta in volta i caratteri dell’epopea picaresca, della critica sociale o del romanzo fantastico. Chagall ritrova in queste pagine una vasta commedia umana che gli consente una totale libertà interpretativa. L’immersione nel lavoro è totale e l’artista realizza ben novantasei incisioni ad acquaforte con cui mette magistralmente in scena i diversi personaggi che popolano questa meschina vicenda: tutto gira attorno a un penoso imbroglio che consiste nella compravendita dei nomi di servi deceduti, “le anime morte” appunto, iscritte sul registro di un’amministrazione non troppo interessata alla loro sorte. Partendo dalle numerose pagine di Gogol, Chagall dà forma, con brio e con un umorismo che talora rasenta la satira, ai diversi personaggi che il protagonista i ikov rincorre senza sosta alla ricerca ogni volta di un nuovo proprietario da imbrogliare. Manilov, Sobakévi , Nozdriov, la signora Korobo ka Pliou ine prendono vita nel tratto impietoso dell’artista che svela tutta la loro piccolezza morale e l’irrilevanza di queste vite umane, troppo umane. La bri  k  a (calesse) degli eroi, guidata dall’intemperante cocchiere Selifane, attraversa diverse città e campagne dove si agita invano una borghesia provinciale che passa il tempo raccontando e ascoltando pettegolezzi insignificanti. Ogni incisione, realizzata con un tratto che disegna figure smisuratamente allungate o arrotondate, messe in primo piano oppure calate in uno spazio mutevole, restituisce la verità dei caratteri dei personaggi nonché la tristezza nostalgica dei paesaggi. Le avventure di i ikov vengono definitivamente pubblicate nel 1942 con il titolo di Le anime morte, e occorrerà attendere il 1948 perché Tériade, succedendo a Vollard, ne faccia un’edizione illustrata. Con questo lavoro Chagall ottiene un abbagliante successo probabilmente per il fatto che per lui si era trattato di rivivere un vero e proprio ritorno, per quanto solo letterario, nella terra natale, abbandonata con la morte nel cuore. L’artista aveva un impellente e intimo bisogno di ricostruire interiormente questa Russia eterna, sospesa come lui tra rimpianti

e speranze, ormai scomparsa. Come simbolo di un itinerare ininterrotto, la bri  k  a di i ikov è forse il personaggio più emblematico del racconto di Chagall. Da modesto mezzo di trasporto, nelle immagini all’inizio del viaggio, il calesse si va progressivamente trasformando fino a diventare una sorta di essere aereo, un oggetto-uccello che sorvola una terra che lentamente perde le sue sembianze. Per rinascere, infine?

Questi tempi non sono affatto profetici… Il gettarsi a capofitto nel lavoro è necessario all’intimo equilibrio di Chagall. Dopo Le anime morte, terminate nel 1925, l’artista inizia la realizzazione delle gouaches per illustrare le favole di La Fontaine. È una scelta che lascia trasparire tutta la finezza psicologica del suo committente, Ambroise Vollard: non è forse attraverso queste favole che l’artista può sensibilmente avvicinarsi al genio francese? Si può finalmente spalancare, anche per chi viene da lontano, la porta di una terra d’equilibrio in cui sembra regnare una serena armonia materna? Sin dal suo arrivo nel 1911, Chagall ha apprezzato la Francia che per lui, almeno all’inizio, è rappresentata dalla bellezza di Parigi. Tuttavia, è con un’altra Francia che l’artista prova a misurarsi tra il 1923 e il 1930. Una terra spesso ignorata, rurale e paesana, che Chagall scopre poco a poco, nel corso degli incessanti viaggi che intraprende, frequentemente in compagnia di Robert e Sonia Delaunay. Aspro in Auvergne, fiero in Savoia, morbidamente radioso in Provenza o nel Roussillon, il paesaggio francese diventa la fonte d’ispirazione per una nuova gamma di colori e di luci dalla rassicurante trasparenza. I poderi, le chiesette di campagna, il lavoro nei campi e il bestiame colto nella sua rustica esistenza si alternano ai ritratti di Ida e di Bella, immerse in un paesaggio bretone oppure mediterraneo, come se, da tale unione, scaturisse una familiarità di lunga data. Chagall si reinventa una terra natale: «Prende fiducia in se stesso, scopre un paradiso di luce e di colore, prova un’ebbrezza che gli fa esclamare oggi che quello fu il periodo più felice della sua esistenza»20. Ciononostante, in una lettera scritta in russo e inviata a Pavel Ettinger a Mosca, tra il dicembre 1926 e il gennaio 1927, Chagall esprime tutt’altro sentimento scrivendo: «Caro Pavel Davidovi , come state? Come sapete sono quasi completamente tagliato fuori dalla Russia. Nessuno mi scrive e io non scrivo a nessuno, come se in Russia non fossi neppure nato… voi siete il solo al quale mi rivolgo in russo. Chi l’avrebbe mai detto ma devo divenire un artista francese per quanto non appartenga a questo paese. Mi tornano spesso alla mente la mia natia Vitebsk e i suoi campi coltivati… e in particolare il mio

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cielo. Per farvi capire come la Francia mi tenga in considerazione, vi allego qualche articolo di giornale a me dedicato. Mi è impossibile mandarvene di più ma voglio fare un’eccezione per i pezzi che riguardono le mie ultime esposizioni di incisioni e di pitture. Mi è giunta voce che Alexandre Benois abbia, per esempio, percorso la Russia e scritto riguardo agli artisti russi a Parigi senza neppur far menzione del sottoscritto. Le mie tele sono sparse un po’ in tutto il mondo e in Russia non c’è nessuno che pensi a me o che almeno si interessi ad esporle… Realizzo dei libri per gli editori francesi, mentre i russi non dimostrano alcun interesse per il mio lavoro. Ecco come gli anni passano. Anche il libro Le anime morte non arriverà in Russia, dal momento che tutte le copie saranno in sottoscrizione»21. Davvero la dolcezza del paesaggio francese non è dunque in grado di bilanciare la cupa inquietudine che sembra da sempre circondare la figura di Chagall? Nel 1927 l’artista ha ormai terminato le gouaches delle Favole con grande soddisfazione di Vollard. Tuttavia il progetto aveva già cominciato a sollevare elogi nonché diverse critiche prima ancora di essere terminato. L’atmosfera non era favorevole agli stranieri in una Francia che la guerra del 1914 aveva lasciato esangue, che soffriva di una vittoria pagata troppo cara. Al conflitto fa seguito un malessere dello spirito lacerato tra una imperiosa aspirazione alla pace, l’angoscia della sua perdita e questo sentimento diffuso che coglieva lo spirito dell’assurdità di tutte le cose. Dada ne è l’espressione più disperata, la più violenta e la più cinica. Il surrealismo che prevale dopo che Breton pubblica nel 1924 il Manifesto del Surrealismo, scongiura il destino esplorando gli abissi interiori ed esaltando l’infanzia nascosta in ciascuno. Sull’ala dell’immaginazione e del sogno Breton spera di trascinare Chagall nella sua avventura. Ma quest’ultimo resiste irremovibilmente ad ogni reclutamento poetico o ideologico che minaccia la sua libertà di artista. Fa un’allusione al Manifesto o esprime un biasimo più generale quando si rivolge, in russo, a Leo Koenig il 21 settembre 1925? «Mi appresto a fare I profeti (per l’editore Vollard a Parigi) benché qua l’ambiente non abbia niente di profetico… al contrario il male ha preso il sopravvento. Bisogna opporsi. Per quanto strano possa apparire, in questa nostra epoca che, malgrado le numerose conquiste, io considero folle, si sta diffondendo la tendenza a sfuggire verso un’altra dimensione. È da qualche tempo che l’arte ha preso una brutta piega: la purezza dell’anima è stata sostituita da una cloaca»22. La violenza di queste parole esprime un profondo disordine interiore, confidato a un vecchio compagno della Ruche23. Stabilitosi a Londra, questo giornalista fonda nel 1920 la rivista Renaissance, organo impegnato nella dife-

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sa del sionismo. Già dal 1911, a Parigi, Koenig faceva parte di un gruppo di giovani artisti ebrei uniti da una comune ideologia – secondo la quale era urgente rivendicare un’arte specificamente ebrea basata sulle fonti e sulla ricerca etnografica – noti come i Makhmadniki24. Chagall aveva da sempre rifiutato di frequentare questo gruppo, riluttante verso ogni impegno che potesse imprigionare la sua libertà creatrice e verso una concezione nazionalista dell’arte. Tale scelta viene reiterata ancor più vigorosamente nel dopoguerra, quando in Francia si sviluppa un movimento di rinascita della letteratura e dell’arte ebraica, sostenuto da André Spire e da riviste militanti come Menorah25, fondata nel 1922, o più generaliste come La Revue juive, fondata nel 1925 da Albert Cohen e pubblicata da Gaston Gallimard. In Francia come in Germania la cultura ebraica fiorisce e si diffonde attraversando diverse forme d’espressione – dalla stampa al cinema, dalla letteratura alla musica e all’arte – grazie all’immigrazione di ebrei provenienti dall’Est o dall’impero ottomano. La forza della laicità francese spiega l’attrazione che si esercita su queste popolazioni cacciate dai loro paesi di origine. Per quanto sicuro potesse essere, il soggiorno in Francia non è però tranquillo. L’antisemitismo non è scomparso, e il dibattito aperto da Le Mercure de France nel 1925 sul tema “Esiste una pittura ebraica?” fa emergere le inquietanti crepe che attraversano l’opinione pubblica: «la paura di un’invasione ebraica nel mondo dell’arte, unito al conseguente pericolo che ne avrebbe corso l’arte francese, provocò una risposta antisemita…»26. Chagall ne sente l’eco doloroso, ma il progetto di un’arte ebraica che cerchi la propria identità nell’illusione nazionalista non gli appartiene. Egli si ostina piuttosto, per quanto talvolta sembri rammaricarsene, a seguire un’intuizione fondamentale al centro del suo percorso: l’arte parla una lingua universale, l’arte non ha una patria. E ciò è ancor più vero per l’Ebreo che la storia ha condannato a essere errante, e per il quale non può esserci altra patria se non in seno a Dio.

«Mi appresto a fare I profeti…» Tra il 1924 e il 1938, Chagall intrattiene una corrispondenza27 ricca di notizie con alcuni dei suoi più intimi amici. Tra loro, alcuni sono rimasti in Russia, come nel caso di Pavel Ettinger; altri hanno lasciato la Polonia o la Bielorussia per rifugiarsi negli Stati Uniti, come lo scrittore Yosef Opatoshu o il poeta Avrom Liessin28; altri ancora hanno scelto il Regno Unito come Leo Koening. La rilettura di queste lettere permette non soltanto di scoprire il piacere che l’artista pro-

va nello scrivere in yiddish o in russo, lingue attraverso cui esprimeva la propria doppia identità, ma anche di seguire l’emergere del progetto biblico che Chagall porterà a compimento molto più tardi con il ciclo del Messaggio Biblico. A partire dal luglio 1925, Chagall riferisce a Leo Koenig l’urgenza di procurargli una Bibbia, per quanto abbia già ricevuto il libro in yiddish inviatogli da Versavia da Opatoshu. A quest’ultimo, l’artista scrive una cartolina dal lago Chambon: «Sinceri ringraziamenti per il Tanakh29. Cari saluti da qui, dove soggiorno con la mia famiglia. Saluti anche a Leyvik30. Si trova bene tra gli ebrei? Vi stringo la mano e spero di incontrarvi presto». In seguito, in una lettera datata 21 settembre 1925, indirizzata a Koenig, Chagall insiste: «Non ho certo dimenticato che le avrebbe fatto piacere riavere la sua Bibbia (in ebraico e in yiddish) non appena io avessi ricevuto quella di Opatoshu. Tuttavia… la sua ha una versione in ebraico che purtroppo quella di Opatoshu non ha. Durante il mio lavoro, è opportuno che possa contare ancora sulla sua Bibbia. Appena potrò privarmene, stia certo, ve la invierò con tutta la mia riconoscenza. Va bene? Sto lavorando a I profeti (per le edizioni Vollard, Parigi)». La lettera prova dunque che Chagall dal 1925 inizia a lavorare al progetto, già previsto e commissionato, di illustrare la Bibbia. Il termine a cui Chagall si rifà è quello dei Profeti che corrisponde alla sezione dei Neviim della Bibbia ebraica. Ma di quale Bibbia si tratta? È quella della sua infanzia, letta dalla madre, che risveglia il ricordo della salmodia della preghiera, oppure quella della cantillatio della sinagoga? L’emozione sorge dalla musicalità delle parole, dalla loro sonorità che, una volta penetrata nella memoria, rinasce nell’immagine. La Bibbia vivente dell’infanzia, questa Bibbia sognata le cui parole sono cantate come in una poesia31, ha prodotto le grandi figure dell’Ebreo rosso32, del Rabbino di Vitebsk33, dove rivivono i tratti dello zio Neuch o dello zio Israël o ancora i paesaggi desolati ed emblematici di una fede violata, come nel caso de Le porte del cimitero34 o Il cimitero35. Per realizzare le incisioni richieste da Vollard, Chagall deve fare continuo riferimento al testo e non a caso preferisce utilizzare una Bibbia redatta in ebreo o in yiddish. Il territorio della lingua è anch’esso una patria. L’insistenza con cui l’artista sollecita Koenig e Opatoshu a procurargli una Bibbia ebraica sembra ben manifestare questa necessità di leggere in yiddish o in ebraico l’epopea fondatrice del destino del popolo ebreo. Da questa attenta lettura scaturiscono quindi le sessantasei acqueforti incise da Chagall tra il 1931 e il 1939. Le incisioni hanno la sacralità nera simile a quella della lettera ebraica che presiede alla loro realizzazione. Il viaggio in

Palestina del 1931, e la conseguente forte emozione estetica e spirituale che assale l’artista alla scoperta di questa terra dal passato immemorabile segnano la spontanea irruzione del colore. È in effetti partendo dal colore che egli inizia a eseguire il progetto biblico, perché dal testo occorre passare al reale, dal libro occorre passare al paesaggio e dalla lettura all’esperienza diretta. La Palestina, dove la luce ha un’intensità talvolta insostenibile, custodisce la presenza divina che si manifesta in ogni pietra, in ogni arbusto, in ogni muro, in ogni collina. Si disegna un itinerario: La tomba di Rachele, La porta della Grazia, Il muro del pianto, La sinagoga di Safed, tutte opere mediatrici che cominciano a fornire materia e giusta sostanza al racconto biblico. Con l’uso del colore, l’immaginazione creativa dà carne alla parola, anche se talora se ne discosta. Prendiamo ad esempio La creazione di Eva: tra lo studio preparatorio e la gouache definitiva sono poche le differenze, se si eccettua la scomparsa della figura divina in quest’ultima. La trasparenza leggera del lavis rende deciso il tratto della matita e lo schizzo sembra davvero una delle prime rappresentazioni del soggetto. Ma se lo si confronta con il testo sacro si capisce subito che Chagall ha introdotto una ricchezza di senso che nel testo biblico non era sviluppata. Esso recita: «Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna (Icha) perché dall’uomo (Ich) è stata tolta”» Gn ii,21-23. L’artista realizza la gouache organizzando lo spazio della scena in senso verticale per quanto questa verticalità appaia in contrasto col testo biblico. Adamo, accovacciato al suolo, continua a dormire; non ha ancora preso coscienza della presenza di Eva, avvolta come in una nuvola attraversata dalla luce, che sta sopra di lui. Eva segue invece un moto che la spinge verso il cielo popolato di ali, verso il contatto con il Dio Eterno. Tutta l’immagine è pervasa da un’energia ascensionale che attribuisce a Eva una sorta di innocente immaterialità, in opposizione a un Adamo in carne e ossa, così insensibile all’apparizione da continuare a dormire. Il contrasto è accentuato dalla differenza cromatica tra la zona notturna, terrestre, dove giace Adamo e lo spazio aereo in cui è sospesa la figura di Eva. Quest’opera si impone per la sua perfezione e la sua ricchezza interpretativa. Chagall restituisce alla donna la purezza originaria e la vicinanza col mondo celeste che le sono proprie, dal momento che lei è, secondo la volontà di Dio, l’essere di intuizione divinatrice, l’essere d’amore, sposa della Creazione intera. La benevolenza divi-

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

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3. Studio per Adamo ed Eva o Omaggio ad Apollinaire (Étude pour Adam et Ève ou Hommage à Apollinaire), 1911-1912, gouache su carta, 27,5×24 cm. Collezione privata.

«Appartenere a un libro come si appartiene a una storia!»

na di cui Eva è l’oggetto si propaga nel corso del tempo e si estende alle figure delle Matriarche, Sara, Rebecca, Rachele e Lia. La Bibbia ebraica non condanna il femminino ma lo dota di tutta l’interiorità protettrice della casa. È la donna l’anima del focolare, quindi del luogo dove si ritorna a Dio tramite il ritorno a sé. Il dolore di Abramo che piange per la perdita di Sara non è solamente il dolore di un marito che ha perso, nel senso stretto del termine, la sua metà, ma è insieme quello di un esule cacciato dal luogo della preghiera verso il luogo dell’azione. L’analisi del rapporto tra il testo e l’immagine potrebbe spingersi anche oltre. Se la tradizione tramanda che l’Eterno abbia sottratto una costola ad Adamo, alcuni commentatori del Talmud preferiscono adottare una traduzione più libera del testo: e dunque, la donna proviene letteralmente dal fianco di Adamo o piuttosto è originata dal suo fianco? Dalla gouache pare che Chagall propenda per la seconda ipotesi, evocando l’androgino originario rappresentato anche in opere importanti come Omaggio ad Apollinaire36, Adamo ed Eva37 o Studio per Adamo ed Eva o Omaggio ad Apollinaire38 (fig. 3). Di conseguenza, il rinvio al testo per La creazione di Eva potrebbe riguardare più precisamente il passo della Genesi (i,27) in cui: «Dio crea l’uomo a sua immagine, all’immagine di Dio li crea, crea l’uomo e la donna a sua immagine». Il termine Ich, uomo, che genera il femminile Icha, donna, farebbe quindi riferimento all’umanità intera prima ancora che alla sua alterità sessuale. Di conseguenza, La creazione di Eva suggerisce il momento preciso in cui Eva avrebbe infine acquisito la propria identità, insieme al suo nome, al suo sesso e alla sua autonomia. Sembra evidente come Chagall abbia operato una scelta nell’eseguire le gouaches. La Bibbia è un racconto in cui la narrazione storica si intreccia con quella profetica. Questa distinzione introduce una differenziazione stilistica: certe incisioni, come certe gouaches o schizzi, obbediscono a una funzione puramente descrittiva. L’avvenimento è semplicemente raccontato e l’artista usa tutta la sua maestria per precisare il dettaglio di un gesto o di una veste. Pur senza dimenticare il corso della storia del popolo ebraico – tema centrale delle sue acqueforti – nelle gouaches Chagall sembra, da una parte, previlegiare gli avvenimenti fondatori che danno vita a un tempo narrativo più reale di quello prettamente storico, dall’altra chiede al colore, in particolare a quelli usati per gli sfondi, di irradiare e di dilatare lo spazio per tradurvi la profondità trascendentale. Lo stesso discorso vale, oltre che per La creazione di Eva, per i quattro schizzi che raffigurano i due episodi di Noè. L’ordine emesso da Dio è imperioso quanto meticolosamente annunciato nella Genesi (vi,13): «Allora Dio disse a Noè: è venuta per me la fine di ogni uo-

mo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco io li distruggerò insieme con la terra». E ne consegue una descrizione minuziosa e dettagliata dell’arca salvatrice. Chagall passa subito oltre e, in un primo schizzo, mette a confronto Noè con l’angelo messaggero divino. Faccia a faccia si istaura tra loro un dialogo muto. Le due figure, disegnate con tratto rapido e nervoso, acquistano immediatamente il peso di persone, con il patriarca che implorando sembra difendere la causa dell’umanità. Se il primo schizzo mantiene la realtà del dialogo, nel secondo, più vicino alla gouache definitiva, l’artista introduce per mezzo del colore un terzo personaggio che sfugge alla vista. Lungi dall’essere il dominio del vuoto e del nulla, il cielo diventa uno spazio occupato da una cupa profondità blu39 che immobilizza l’angelo e Noè con una collera che non si placherà se non dopo il diluvio, quando la colomba non tornerà più sull’arca40. Le variazioni di blu si ritrovano anche nei due schizzi della gouache definitiva intitolata La colomba dell’arca. Straordinari per la densità cromatica del blu e del nero con cui Chagall carica gli sfondi della composizione, i due schizzi mettono in scena la figura di un Noè costretto in uno spazio chiuso e che si affaccia da una finestra che lascia intravedere l’azzurro del cielo. Verso questo blu si invola la colomba. Come variazione della gouache definitiva, il primo schizzo immortala il momento in cui Noè libera la colomba in volo. Nel secondo invece l’artista attualizza il racconto biblico mostrando Noè con la tradizionale kippah, vestito di nero e con gli occhi abbassati, immerso nella meditazione o nella recitazione di una preghiera. Per l’importanza che attribuisce alla figura di Noè, posto al centro della composizione, e per la gradevole malinconia che esprime il suo volto, così simile a quello de Il rabbino di Vitebsk o a quello della Solitudine (cfr. p. 25)41, Chagall iscrive Noè nel tempo evenemenziale che sta vivendo lui stesso. Partendo dai dettagli significativi delle vesti del personaggio, questo processo di verità viene applicato anche allo schizzo Aronne davanti al candelabro. Il centro della scena non è più appannaggio del candelabro divino, ma proprio di Aronne. Chagall inverte così il contesto tramandato dal testo stesso42, perché sceglie di insistere sulla funzione sacerdotale di Aronne, inscrivendolo non tanto nel contesto liturgico che gli competerebbe quanto nelle vesti di un clown in cui lo aveva sognato, come un personaggio del mondo, ai suoi occhi tragico, del circo. Un clown bianco che sembra incurvarsi sotto il peso di una missione troppo pesante a cui non ha potuto opporsi. Un clown bianco, un clown ebreo. Noè, Abramo, Giacobbe, Mosè, Davide, Isaia, mettono tutti in evidenza ciò che, nel testo biblico, di cui l’artista si nutre come Ezechiele43, resta essenziale: questo dialogo ininterrot-

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

«Appartenere a un libro come si appartiene a una storia!»

4. Mosè sparge la morte tra gli Egiziani (Moïse répand la mort chez les Égyptiens), 1931, olio e gouache, 62,5×49 cm. Musée national Marc Chagall, Nizza.

to, doloroso, ricco di prove ma anche di speranze di un popolo con il proprio Dio. Alleanza che eternamente si rinnova. È per questo che Chagall si affeziona a questi volti che riflettono l’immagine divina la cui vicinanza è relazione con l’altro. Il volto di Abramo che si leva verso l’angelo salvatore o che resta nascosto dalla mano per esprimere il dolore e il lutto; il volto di Mosè raggiante della luce celeste (fig. 4); il volto di Elia sospeso tra le ginocchia nell’attesa di un segno divino. Volti che osano apostrofare l’Eterno come per accettarne la dipendenza. Chagall legge la Bibbia e ne sente la Voce; legge e traduce nel presente ciò che non dice espressamente. La Bibbia è attraversata dal tuono della Parola e dall’incandescenza insopportabile di una colonna di fuoco. L’artista rende visibili le

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sue meraviglie e i suoi miracoli, le sue tragedie e le sue gioie; l’indicibile e l’inconoscibile si manifestano nell’immagine. L’esperienza sensoriale della lettura di una Bibbia scritta in ebraico si rivela per lui un’esperienza spirituale, quasi mistica, in cui il mistero e la sacralità risiedono proprio nella scrittura. Il mondo non è forse stato creato con l’energia divina inscritta nella forma stessa delle lettere ebraiche? E come ricorda Emmanuel Lévinas, il significato divino di un volto, che ne giustifica la ra-presentazione, non si svela proprio nella nudità senza difesa dell’altrui volto? Chagall lo sa, dal momento che ha intrapreso il medesimo dialogo iniziato dai Patriarchi e dai Profeti, al fine di rendere alla Parola la presenza vivente del Dio nascosto.

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Capitolo secondo

«Fino a quando il mio corpo – come un albero – raggiunga la riva biblica» Nathalie Hazan-Brunet

Dal 1925, nella sua corrispondenza, essenzialmente in yiddish – per quanto lo si sappia impegnato nell’illustrazione della Genesi –, Chagall non smette di parlare del «libro dei profeti»: «Mi appresto a fare I profeti (per l’editore Vollard a Parigi) benché qua l’ambiente non abbia niente di profetico… al contrario il male ha preso il sopravvento. Bisogna opporsi. Per quanto strano possa apparire, in questa nostra epoca che, malgrado le numerose conquiste, io considero folle, si sta diffondendo la tendenza a sfuggire verso un’altra dimensione. È da qualche tempo che l’arte ha preso una brutta piega: la purezza dell’anima è stata sostituita da una cloaca. Mi perdonerà per la mia brutalità»1. «Comincio – potesse Dio aiutarmi – I profeti»2; «in questo momento non faccio che pitture che scompaiono non appena la mia firma si è seccata, e il libro de I profeti per Vollard, con 100 incisioni3; «in questi ultimi cinque anni, ho sempre desiderato impegnarmi nel progetto di dipingere I profeti, su invito di Vollard; potrei occuparmene restando a Parigi, seguendo la stessa procedura usata per l’illustrazione de Le anime morte di Gogol, senza conoscere direttamente la vita di questo periodo»4; e infine, poco prima di partire per la Palestina, nel 1931: «Questo viaggio mi sarà utile per le prossime illustrazioni de I profeti»5. Questo continuo riferirsi a I profeti assume i connotati di una formula magica: Chagall ha vissuto la Prima guerra mondiale, e in lui lo spirito della Rivoluzione d’ottobre convive con le ferite di un esilio definitivo e con la perdita delle tele che, nel 1914, aveva affidato a Herwarth Walden. Nella Berlino del dopoguerra, tra sconfitta, rivoluzione, inflazione, ascesa del fascismo, l’artista comincia a intravedere le premesse di una prossima apocalisse. «Fare I profeti» significava per lui nutrirsi di quella linfa vitale necessaria a divenire a sua volta profeta: trasferire in pittura le loro visioni, i loro inquietanti presentimenti e i loro messaggi,

divenire, con loro e mediante loro, l’interprete delle manifestazioni violente e degli sprazzi di luce della sua epoca; come lui stesso dirà nel 1937, durante il Primo congresso della cultura yiddish a Parigi: «Sarebbe un bene se uno dei nostri profeti emergesse oggi in un qualche angolo della città e sgridasse il mondo». L’artista, secondo Chagall, ha come missione quella di far rivivere quello spirito religioso, quella vibrazione mistica che il mondo sta perdendo poco a poco, secolo dopo secolo6. Come i profeti, anche lui è un predestinato, un inviato7. D’altronde i profeti si erano già manifestati nella sua opera: Elia, asceso al cielo in un vortice, personaggio familiare del-

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Pagine precedenti: 1. Angelo della Torah (Ange à la Torah), pagina di testo del primo volume Lider un poemen (Canti e poesie) di Avrom Valt Liessin, Forverts Association, New York 1938.

2. Il profeta Elia (Le prophète Élie), 1915-1916, illustrazione per Der Kuntsen-makher (Le Prestidigitateur) di Yitskhok Leybush Peretz, inchiostro di china e gouache su carta, 16,9×16 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, donazione 1997.

la vita ebraica, visitatore del mondo infantile, di cui si evoca il ritorno durante il seder di Pasah: «Mio padre sollevava il suo bicchiere e mi diceva di andare ad aprire la porta. Aprire la porta di casa a questa tarda ora per far entrare il profeta Ilya? […] Ma dov’è Ilya, e il suo carro bianco? Forse resta ancora un po’ nel cortile e, sotto le spoglie di un gracile vecchio o di un mendicante curvo, con un sacco sulle spalle e un bastone in mano, entrerà poi in casa?»8. Quando illustra, nel 1915, Der Kuntsen-makher (Il prestigiatore) di Yitskhok Leybush Peretz, Chagall lo rappresenta mentre vola sopra le case (fig. 2). Nel secondo decennio del Novecento, l’artista fa riferimento al testo biblico, che integra alle sue opere e che ritrascrive per far passare alcuni messaggi e testimoniare un momento storico che condiziona ancora la sua autobiografia. Allo stesso modo, nell’Ebreo rosso del 19159, il Lekh Lekha, l’ordine dato ad Abramo – «Il Signore disse ad Abramo: vattene (lekh lekha) dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gn 12,1) – si inscrive all’interno di una scena in cui il protagonista è un vecchio ebreo seduto davanti a una casa rossa. Abramo diventa profeta allontanandosi dalla sua famiglia, dal suo paese, divenendo altro da sé; è un uomo in marcia col quale Chagall sembra identificarsi10. All’epoca dell’esodo massiccio imposto agli ebrei russi durante la Prima guerra mondiale, di cui l’artista è testimone diretto da Vitebsk, si rafforza in lui l’idea di un’erranza eterna del popolo ebraico già intravista in questi versi della Bibbia, pur seguiti dall’elezione e dall’alleanza, tramite circoncisione, di Abramo con Dio11. Nel 1917 scoppia la Rivoluzione d’ottobre e con essa cade anche il vincolo che obbligava gli ebrei a risiedere nei limiti della zona di residenza12. Oltre ad acquisire i diritti civili fino ad allora negati, gli ebrei vedono cancellato il divieto a pubblicare nella loro lingua e l’yiddish diviene lingua rivoluzionaria che irradia il mondo letterario. Lo sfaccettato ambiente artistico riconducibile all’ebraismo comincia a riflettere sulla possibilità di riscoprire un patrimonio fino ad allora dimenticato. Si assiste insomma a una reale rinascita dell’ebraismo e anche Chagall ne percepisce l’eco, quando, ad esempio, decide di riportare sul portale d’ingresso de Le porte del cimitero (1917)13 – che non è altro che il cimitero di Vitebsk, dove ha appena scoperto la tomba del nonno paterno – la visione di Ezechiele nella valle d’ossa aride: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele […] Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37,12-14). Questa resurrezione di un popolo avviene non casualmente nello stesso anno in cui è promulgata la dichiarazione di Balfour che sancisce la

nascita di un focolare nazionale ebraico in Palestina: il cielo è un’esplosione cubista e gioiosa di bianco e di blu, i colori della bandiera sionista14.

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3. La caduta dell’angelo (La Chute de l’ange), 1923, 1934, 1947, olio su tela, 147,5×188,5 cm. Collezione privata, in deposito al Kunstmuseum, Öffentliche Kunstsammlung, Basilea.

«Fino a quando il mio corpo – come un albero – raggiunga la riva biblica»

La caduta dell’angelo «È possibile che, nel momento della mia nascita, sia stato toccato da quest’angelo blu, come nel caso del Beato Angelico. Allora, ancora addormentato e appena vista la luce uscito dal ventre di mia madre, dal tumulto dell’aldilà, sono rimasto in silenzio per qualche minuto, e per diversi anni, ho continuato a correre come in un sogno, nei cieli come per le strade. Ho cercato l’uscita, il cammino che poteva condurmi – e non soltanto me personalmente – a quel lontano, e al contempo vicino, grido dell’uomo che aspirava alla felicità e alla giustizia. Ma ero morto, confuso, erravo come in un giardino che assomigliava a un cimitero, alla ricerca di qualcosa di violento, di un taglio definitivo delle mie radici. Vedo le mani di mio padre, il ventre di mia madre, lo sguardo, il sorriso, la lacrima, la tristezza, le nubi che passano sulle loro teste come un drappo nuziale, e percepisco il canto sordo del mio popolo. Così mi sarei probabilmente assopito come durante un giorno di digiuno, vista la brevità della mia vita; quando infine ho smesso di essere un bambino e allora sono cresciuto come un tronco d’albero che spinto sull’acqua comincia a fluttuare senza sapere dove andrà. Fino a quando il mio corpo – come un albero – raggiunga la riva biblica, e allora mi sono reso conto che io sono soltanto uno tra le migliaia di bambini palpitanti che hanno percorso tutti i deserti, tutte le strade, i monti e le valli, e che hanno parlato a Dio…»15. Tutta l’opera di Chagall è attraversata da questo battito d’ali degli angeli, messaggeri dell’ispirazione e delle decisioni divine, da apparizioni e da lotte. È lo stesso Chagall a fissare qui la sua nascita d’uomo e d’artista, che avviene sotto il segno dell’angelo della pittura, di un’annunciazione, di un «fratello angelico»16, ma che è anche, come traspare da questo bel passo in yiddish, l’angelo del midrash17 incaricato dell’anima. Dalla fecondazione alla nascita, un angelo (Lailah, la notte, che provoca un interrogativo sul sesso gli angeli) si occupa di trasportare l’anima ovunque, dal paradiso all’inferno; gli insegna per intero la Torah, e la rimpiazza con una luce, per nove mesi nel ventre materno, dove, come si dice nel Talmud, è collocata come un libro aperto. Quando l’anima oppone resistenza a uscire, ad affrontare il mondo, l’angelo arriva a dare un buffetto sulle labbra del bambino che nascendo dimentica tutto ciò che la sua anima ha visto e appreso18. Dun-

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

que la vita non è altro che una lenta riconquista del sapere dell’anima, di quel sapere originario che si è nascosto nelle profondità dell’incosciente. Chagall lo dice in questo modo: «Questi tempi privi di religione e manchevoli anche di poesia non assomigliano forse a un corpo senz’anima?»19. Nel 1923, come seguendo l’appello del libro, Chagall si stabilisce a Parigi: lì su proposta di Ambroise Vollard può illustrare Le anime morte di Gogol e nel contempo elaborare il lutto per quella Russia eterna che ha appena abbandonato. È attraverso il libro, dal rapporto che personalmente instaura col testo, che si mettono in moto le sue successive rinascite, di uomo prima e di artista poi. Dopo aver vissuto la tormenta, sebbene si sforzi di ricostruire attorno a sé un ambiente sereno e di appropriarsi di un paesaggio dell’esilio, l’artista non cessa mai di essere ossessionato da visioni apocalittiche. Dal 1923, la presenza angelica che fino a quel momento aveva presieduto la sua opera comincia a disertarla e, come il mondo di allora, le sue certezze crollano. Una prima versione de La caduta dell’angelo vede la luce proprio nel 1923 (fig. 3) – un’opera da interpretare come una sorta di diario su cui l’artista registra questi tempi agitati e che riprende in mano e modifica a più riprese, nel 1933 e poi nel 1947. Una prima gouache, datata 1924, manifesta il suo primo stato d’animo: si sfiorano un angelo quasi espulso dal cielo – un bambino – e un uomo che riesce appena a evitarlo e si stringe al bene più prezioso che possiede, il rotolo della Torah. Come già scritto da Frantz, si assiste, in un primo tempo, allo scontro spirituale di due atteggiamenti fondamentali, del sacro e del non-sacro, della legge o del rifiuto della legge. Nel 1933, l’arrivo al potere del nazismo è accompagnato dall’inaugurazione a Mannheim dell’esposizione Kulturbolschewistische Bilder. Una tela di Chagall, e più precisamente La Prisée (rabbin), 1923-2620, è al centro di un «gabinetto degli orrori». Questa tela è caricata su un camion e fatta girare per la città tra le urla della popolazione21. Nello stesso anno, l’artista aggiunge alla caduta dell’angelo diversi elementi, tra cui un orologio, una testa di vacca, un violino, un cero acceso; l’angelo crescerà fino a diventare una potenza sovrannaturale, minacciosa, un essere androgino, demoniaco, di fuoco e di sangue, a cui l’uomo tenta di opporre i versi di una Torah adesso srotolata. La versione definitiva elaborata nel dopoguerra, quella con il crocifisso e la donna col bambino, esprime la catastrofe della storia22. Fin dove Chagall spinge la sua immagine dell’angelo decaduto? Prende come riferimento i nephilim (dalla radice del verbo ebraico cadere), nati dall’unione di esseri celesti con le figlie di Adamo, che corruppero la razza umana prima che Dio decidesse di cancellare l’uomo dalla terra con il diluvio: «Il Signore vide che la

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4. Solitudine (Solitude), 1933, olio su tela, 102×69 cm. Tel Aviv Museum of Art, Tel Aviv, dono dell'artista, 1953.

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malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre» (Gn 6,5); oppure pensa a Samuele, che aveva organizzato una rivolta contro Dio, forse perché ambiva a essere suo pari o perché geloso delle qualità eccezionali del primo uomo, e si era rifiutato di inchinarsi davanti a lui? Scacciato dal cielo, l’angelo diviene demone nel corso della sua caduta23. Diverse visioni della caduta dell’angelo figurano anche tra i profeti, nel libro di Ezechiele come in quello di Isaia: «Eri come un cherubino protettore, ad ali spiegate […] Con la gravità dei tuoi delitti, con la disonestà del tuo commercio hai profanato i tuoi santuari; perciò in mezzo a te ho fatto sprigionare un fuoco per divorarti. Ti ho ridotto in cenere sulla terra […]» (Ez 28,14-18); «Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli?» (Is 14,12). Davanti a quest’angelo che diffonde il male sulla terra – Caduta dell’angelo – o a quello che, andandosene nella direzione opposta, abbandona l’uomo al suo destino – Solitudine, 1933 (fig. 4) –, Chagall si sente come quell’ebreo che, in un disperato movimento, stringe a sé la Torah, un artista che cerca di salvare ciò che l’ha creato e che tenta di ristabilire un dialogo tra Dio e gli uomini. Mosso da una necessità profonda, anche al prezzo di un vero e proprio ripiegamento su se stesso, arriva infine, dopo anni di «silenzio», a toccare la riva biblica e a ritrovare le proprie radici.

La morsa delle mie radici Chagall si rivede spesso in quest’immagine del tronco d’albero sradicato, «sospeso in aria», che, in ogni esilio, «deve rinascere, asciugare le lacrime per poi riprendere a piangere di nuovo. Ma questa vita è possibile soltanto per chi ha saputo salvare le proprie radici»24. Che cosa conteneva la bisaccia, il pekl25, dell’ebreo errante Chagall? Quali frammenti d’infanzia vissuta da giovane ebreo tradizionale, degli insegnamenti ricevuti, portava con sé? Quale rapporto aveva instaurato con il testo biblico? Probabilmente Shalom Asch – e sappiamo quanto fu disprezzato nel mondo ebraico per il successo riscosso tra i non ebrei e per il suo interesse per la figura del Cristo (come anche Chagall) – offre la miglior risposta a tali quesiti: «L’infanzia di un giovane ebreo non si dipana in questo mondo e in questa vita, ma fonda i suoi sogni infantili là, sui prati dove già i suoi avi portavano a brucare le loro pecore e andavano a scavare pozzi… gli uccelli e gli animali della Bibbia sono gli unici con i quali stabiliscono un contatto. E la vera tempesta non è quella che si abbatte

sulla pianura ma quella che si solleva quando Dio conclude l’alleanza con Abramo»26. Come tutti i bambini tra i tre e i cinque anni, anche Chagall ha frequentato lo heder (le tradizionali scuole elementari ebraiche) e qui, seguendo il suo melamed (maestro), ha sicuramente appreso le preghiere e, una per una, tutte le lettere dell’alfabeto ebraico: «So già che /a/ con un trattino sotto fa /o/ (sic). Ma sulle a mi addormento, sul trattino vorrei… e in quel momento anche il rabbino si addormentava». Le lettere dell’alfabeto venivano comparate, per facilitarne l’assimilazione, ad alcuni oggetti familiari o ad alcune parti del corpo umano. L’alef era, per esempio, un portatore d’acqua, mentre il beit aveva la bocca spalancata. Questo accedere all’alfabeto attraverso le immagini, oltre a essere rimasto impresso nella memoria di numerosi scrittori yiddish, deve aver giocato un ruolo importante nella creatività di Chagall. In seguito l’artista ha continuato gli studi nella Humash heder, dove si insegnava la Torah (Pentateuco): là, il primo giorno, i giovani leggevano e traducevano, dall’ebraico in yiddish, parola per parola, il primo capitolo del Levitico; studiavano la

Bibbia accompagnata dai commentari di Rashi27, e successivamente si misuravano con la Mishnah (Talmud)28. È facile ipotizzare che l’iniziazione all’ebraismo di Chagall non fu sistematica e probabilmente in lui il testo biblico si doveva confondere con quello della Midrashim; tuttavia questa esegesi creativa, polifonica e composita, avrà ampia risonanza nella sua opera successiva, tutta radicata nel mondo yiddish. Quando finalmente fu pronto a udire il «canto sordo del suo popolo», è verso la Bibbia in yiddish che naturalmente l’artista si volge; e sceglie di farlo facendo riferimento alla sua traduzione contemporanea ad opera del poeta Solomon Bloomgarden, detto Yehoyesh (Virbaln, 1872 – New York, 1927), che all’epoca aveva suscitato parecchio clamore, in particolare tra il mondo letterario yiddish. Yehoyesh, che aveva ricevuto un’educazione ebraica tradizionale, all’inizio scriveva le sue poesie in ebraico. Nel 1890, per sfuggire alla coscrizione, lascia la Lituania per emigrare in America. Nel 1904, comincia la sua traduzione della Torah, e nel 1909 termina la traduzione dell’Ecclesiaste, del Cantico dei cantici, del Libro di Rut e di quello di Giobbe,

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5. La Sacra famiglia (La Sainte Famille), 1912, gouache, inchiostro e matita su carta, 24,8×18,5 cm. Collezione privata.

poi nel 1910 del libro di Isaia; ma decide di distruggere tutto. Nel 1914 soggiorna in Palestina e dal suo ritorno a New York collabora con la stampa yiddish locale e internazionale, in particolare con Der Tog, a cui invia la maggior parte delle sue traduzioni del Pentateuco. Il Pentateuco viene pubblicato nel 1926, I primi profeti nel 1927, Gli ultimi profeti nel 1927, gli Agiografi nel 1936. Questa smisurata impresa concretizzava la speranza espressa nel 1908 da Yitskhok Leybush Peretz durante la Prima conferenza internazionale sulla lingua yiddish svoltasi a Czernowitz: tradurre in yiddish i tesori del patrimonio ebraico, proprio partendo dalla Bibbia, ritenuta una vera e propria miniera per la cultura ebraica antica, una risorsa di idee e di storie esemplari che potevano essere reinterpretate alla luce del mondo moderno29. La traduzione di Yehoyesh è innanzitutto un capolavoro letterario, un vero e proprio monumento alla lingua yiddish, in cui la ricchezza idiomatica delle antiche traduzioni che si vuole salvaguardare si intreccia con la lingua moderna: il libro è apprezzato dai più grandi poeti yiddish, da Shmuel Niger a Jacob Glatstein e Abraham Sutskever; quest’ultimo, che peraltro intratteneva una corrispondenza con Chagall, scriverà

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6. Il re Davide (Le roi David), 1931, illustrazione per «Myriam», Lider un poemen (Canti e poesie) di Avrom Valt Liessin, Forverts Association, New York 1938, matita e inchiostro su carta vergata filigranata, 23×16 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

il 6 aprile 1943, dal ghetto di Wilno, una poesia intitolata Yehoyesh per il yortsayt dell’autore30. Nella prefazione pubblicata nell’edizione postuma del 194131, voluta dal genero Abraham-Dov Dworkin, Yehoyesh scrive – si ritrova qui in nuce il Messaggio Biblico – che la Bibbia è il più bello e il più umano tra i libri, sia per gli ebrei sia per i non-ebrei, e grida ai quattro venti il suo amore per la lingua yiddish. Chagall e Yhoyesh hanno in comune non soltanto questa sete di poesia ma anche questo attaccamento all’yiddish-lituano. «Ho ricevuto da lei una meravigliosa Bibbia del grandioso Yehoash»32: infatti Yosef Opatoshu (1886-1954), da New York, e Leo Koenig (1889-1970), da Londra, inviano a Chagall il testo appena dopo la sua pubblicazione. Leo Koenig, artista, scrittore e critico d’arte, aveva soggiornato con Chagall a La Ruche, Parigi, ed era stato uno dei fondatori della rivista Makhmadim, la cui esistenza fu breve ma significativa per il rinnovamento dell’arte ebraica. Nel 1912, con Isaac Lichtenstein (1883-1971) e Joseph Tchaikov (1888-1986) pubblicarono cinque numeri della rivista con i loro disegni. Una nuova arte ebraica sta vedendo la luce in un organico legame con la creazione letteraria yiddish33: «una generazione di artisti ebrei […] legati intimamente al rinnovamento del verbo ebraico, conoscevano Peretz, Sholem Aleichem, Mendele Moicher-Sforim […] era l’epoca in cui si cominciava a illustrare i libri ebraici». Se tradizionalmente l’insegnamento della Bibbia era impartito in yiddish e l’ingresso del fanciullo nell’heder significava simbolicamente la separazione dal mondo femminile, da notare è il manifestarsi di un cambiamento del ruolo tradizionale riservato alle donne: quest’edizione della Bibbia in yiddish, spesso illustrata, viene in loro soccorso34, come dimostra un celebre commento alla Torah, pubblicato nel xvii secolo da Jacob ben Isaac Ashkenazi di Janov, e intitolato Tse’enah U’reenah (in yiddish Tsene-rene), «Uscite e vedete, figlie di Sion», che poi è un versetto del Cantico dei Cantici (3,11). Era una traduzione in yiddish del Pentateuco, dei Megillot – i cinque rotoli – e della sezione dei Haftarot, i testi dei profeti, accompagnata dai commenti provenienti dal Midrashim di Rashi, di Nahmanide, di Bahya ben Asher e di altri esegeti, dai Aggadot o racconti talmudici. Nel xix secolo, certe edizioni erano segnate dal chassidismo – mondo nel quale è cresciuto Chagall. Si poteva leggere la Tseenah U’reenah durante il shabbat e le feste, e queste letture dei libri delle donne sono divenute una pratica nelle case tradizionali del mondo aschenazita. Torna alla memoria la Sacra famiglia del 1912 (fig. 5), in cui Chagall rappresenta san Giuseppe che porta il bambino – già cresciuto, nudo e con un’areola –, mentre la Madonna è intenta nel-

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Pagine precedenti: 7. Mosè (Moïse), 1931, illustrazione per «Shavuot», Lider un poemen (Canti e poesie) di Avrom Valt Liessin, Forverts Association, New York 1938, inchiostro su carta vergata filigranata, 17,7×13 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

8. La scala di Giacobbe (L’échelle de Jacob), 1931, illustrazione per «Non temere, Giacobbe mio servo», Lider un poemen (Canti e poesie) di Avrom Valt Liessin, Forverts Association, New York 1938, inchiostro, ritocchi a tempera su carta vergata filigranata, 23×16 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

la lettura di un libro. Quest’opera contiene probabilmente un riferimento alla Sacra famiglia con angeli di Rembrandt, 1645 (oggi all’Ermitage di San Pietroburgo), dove la Vergine, circondata dagli angeli, si prende cura di Gesù bambino tenendo con sé un libro aperto, secondo la tradizione della Madonna leggente, che vede nella madre una donna letterata. Ma si può anche pensare alla madre di Chagall, una donna forte, a cui il marito, prima di andare in sinagoga, sottolineava con il dito il passaggio in ebraico della Bibbia da leggere e quello in corrispondenza del quale si doveva piangere35. Se i manoscritti ebraici erano miniati, le bibbie ebraiche stampate non avevano illustrazioni di scene bibliche se si eccettuano quelle della prima pagina. A essere illustrato era soltanto la haggadah, il racconto della fuga dall’Egitto, come ricorda lo stesso Chagall ne La mia vita: «Niente mi emozionava come l’Agav (sic), le sue linee, le sue immagini»36. Sebbene nel 1622, quando fu pubblicata per la prima volta, la Tse’enah U’reenah non fosse illustrata, il fatto che non si potesse considerarla a tutti gli effetti un testo ebraico perché scritto in yiddish, come notato da Milly Heyd37, deve aver spinto a realizzarvi un completamento visivo con illustrazioni, incisioni essenzialmente su legno, sulla falsariga delle bibbie cristiane. Spesso rilavorate e riadattate a partire dalle incisioni di Hans Holbein il giovane (1497-1543) o di Mattheus Merian (15931630), queste immagini devono aver stimolato, nell’ipotesi che Chagall le abbia avute tra le mani, il suo gusto profondo per il bianco e il nero. Il bianco e nero che Clement Greenberg attribuisce piuttosto alla tradizione in cui l’artista era cresciuto: «Chagall dà una prova sontuosa della sua arte nelle acqueforti e nelle incisioni a puntasecca, si rivela un maestro assoluto nella disposizione delle figure nello spazio e nella ripartizione delle ombre e delle luci […] qui il suo lavoro dà prova di freschezza, di purezza e della sua umiltà. Vi si ritrova un rigore appassionato, una volontà di accettare la disciplina maggiore che non ha pari nelle sue opere a olio. Forse ciò dipende dal fatto che il bianco e nero proviene da una tradizione più facilmente comprensibile per Chagall rispetto a quella della pittura occidentale – di cui l’artista mantiene una nozione troppo lirica. Occorre ricordare che arrivando a Parigi, Chagall ha dovuto avvicinarsi simultaneamente al passato e al presente della pittura occidentale, mentre padroneggiava già bene il passato dell’arte grafica conosciuta attraverso le riproduzioni. […] La rivoluzione post-impressionista ha permesso a Chagall di esprimere tutto il suo genio di pittore (Maler), ma nessuna rivoluzione gli fu necessaria ad aprirgli la strada del disegno in bianco e nero»38. Quanto importante sia per lui il ricorso all’yiddish è lo stesso

Chagall a dimostrarlo quando i tempi cominciano a diventare ancora più cupi. Se i suoi scritti poetici erano in russo, la prima poesia in yiddish, dal titolo La mia città lontana, risale al 1935, ed è stata scritta durante un viaggio a Vilnius, Lituania, e poi in Polonia, con il divieto imposto a sé stesso di tornare nella natia Vitebsk. Questo viaggio rappresenta una presa di coscienza dolorosa del malessere del suo popolo. Con l’angoscia che cresce di fronte alle minacce rivolte al popolo ebraico, la lingua yiddish comincia ad occupare tutto lo spazio fino a divenire la lingua poetica di Chagall, l’arma con cui affronta la tragedia che si sta abbattendo sugli ebrei. La mia città lontana comincia con il silenzio dei profeti: «Mio popolo, mio povero popolo, sei rimasto senza lacrime / Non c’è più la colonna di nube o la stella a guidarci / Il nostro Mosè è morto, è sepolto nella sabbia / Ha dato e ripreso la Terra promessa / Gli ultimi profeti sono muti / Hanno perso la voce gridando per voi / Non si sente più il rumore delle loro parole / Che sono sgorgate dalle loro bocche come un fiume / Tutti vogliono nel tuo cuore infrangere le tavole / Calpestare la tua verità e il tuo Dio / Un mondo colpevole vuole derubarti della tua forza / E non lasciarti più posto che sotto terra. / Il mio popolo è cacciato ovunque / La sua corona è gettata a terra / A terra il segno di David / Che fine ha fatto la sua aureola, il suo onore / Dalle sue mani condanna il cielo / Si lamenta del suo esilio / Un lampo consuma la sua miseria / Lui avanza con la spada / Se tu devi essere distrutto / Per espiare il Tempio in rovina / Si leverà un’altra stella / E dai tuoi occhi volerà una colomba / Vorrei esaudire il tuo sogno / Mostrare un’altra verità / Prendere dalla tua luce / I miei colori»39. Nel 1937 Chagall affida al poeta yiddish Liessin (Avrom Valt, Minsk 1872 – New York, 1938) questo testo, per farlo pubblicare su Di Tsukunft (Il futuro), una rinomata rivista letteraria in yiddish, su cui nel 1925 era già comparsa La mia vita. Da parte sua Liessin aveva chiesto a Chagall, con il quale intratteneva una corrispondenza dal 1924, di illustrare la sua opera poetica40. Nel corso degli anni Chagall, colpito dalla nostalgia espressa da queste poesie e dalla tenerezza verso il mondo ebraico – i suoi slanci, il suo spirito di resistenza ed eroismo davanti alle persecuzioni subite –, realizzerà una notevole serie di trentaquattro disegni in cui, accanto a Giacobbe e a Mosè, si scoprono le figure del re Davide e del profeta Elia (figg. 6-8).

zare che abbia cominciato le sue gouaches preparatorie verso il 1930; datazione che sarebbe confermata anche da un’iscrizione presente su un primo e simbolico studio de La creazione dell’uomo da lui realizzato prima di intraprendere un viaggio in Palestina, su invito del sindaco di Tel Aviv, Meir Dizengoff, che nutriva la speranza di creare nella sua città un museo dell’arte ebraica. Nel marzo 1931, la famiglia Chagall si imbarca, con Edmond Fleg e il poeta Hayyim Bialik, sul piroscafo Champollion. Fanno una prima tappa a Haifa, per incontrare Hermann Struck, l’artista ebreo-tedesco emigrato in Palestina, che in precedenza aveva insegnato a Chagall, durante il loro soggiorno berlinese nel 1922, l’arte dell’incisione41. Questo viaggio cancella in un attimo la tradizionale dicotomia ebraica, ben sintetizzata nei celebri versi del poeta e filosofo del siglo de oro spagnolo, Judah Halevi: «Il mio cuore è in Oriente, il mio corpo in Estremo Occidente». Chagall evoca le lacrime di suo padre ogni volta che veniva nominata Gerusalemme. Per quanto lavorasse immerso nel paesaggio e cercasse nell’ambiente i motivi per la sua pittura de I profeti, a prevalere nei suoi propositi è il sentimento di una famiglia lacerata, ed è per questo che in lui si impone la missione di riunire ebraismo e cristianesimo: «Gerusalemme? In questa città si ha l’impressione di essere arrivati alla fine del viaggio. Qui, percorrendo queste tortuose strade, dove le capre si mescolano agli arabi o agli ebrei rossi, blu e verdi che si recano al muro del pianto, queste pietre su cui poco tempo fa ha camminato Cristo, ho sentito che l’ebraismo e il cristianesimo non formano che una sola e unica famiglia. È un tutto, e dei demoni sono venuti per distruggerli e per dividerli»42. È innanzitutto «il gesto del popolo ebraico»43, la sua grandezza, che lui vuole rappresentare nella sua opera. Lo spiega Meyer Schapiro: «Le sue preferenze, personali quanto si vuole, vanno verso: a) i grandi antenati fondatori la comunità ebraica che hanno ricevuto il Codice dell’alleanza e le leggi religiose; b) coloro che hanno finalizzato l’edificazione della nazione ebraica, Giosuè, Sansone, Davide e Salomone […] c) i profeti per la loro integralità e per la loro solitudine, per il loro riconoscere Dio e per le loro predicazioni delle sventure e delle consolazioni d’Israele. Questi tre gruppi costituiscono un aspetto caratteristico della coscienza ebraica con le loro forti partico-

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«Fino a quando il mio corpo – come un albero – raggiunga la riva biblica»

larità etiche e comunitarie e le loro aspirazioni verso Sion»44. Chagall dà a questi patriarchi, a questi re, a questi profeti, i volti del suo popolo, del mondo della sua infanzia, «con i loro corpi appesantiti, imperfetti, di uomini che restano a lungo seduti di fronte ai loro studi, che vivono immersi nella preghiera o nella speculazione dello spirito»45. L’artista è persuaso dal fatto che i personaggi della Bibbia sono «degli esseri in carne e ossa, e non delle pallide figure leggendarie»46. «Vedo in Adamo il mio fratello; e Abele e Caino sono fratelli – nostri fratelli. E anche il Diluvio è il nostro, appartiene a tutti noi. Nel destino di Sarah io vedo nostra madre, come Isacco è la nostra gioia. E allora noi piangeremo con Agar la sorte a lui riservata nel deserto. E Rebecca è la nostra speranza e il suo amore per Abramo [sic47] è il nostro. Giacobbe è la luce dei nostri occhi; il suo amore per Rachele ci riempie di serenità… e ci ricordiamo le sue lacrime versate su di noi che siamo i suoi figli… Mosè e i popoli che gli gravitano attorno, le sue leggi e i suoi proclami, rendono eterne le leggi antiche e perenni dettando come vivere e come morire… Miriam e Deborah, le profetesse – ascoltiamole ancora una volta. Ruth che ci culla tra il succulente frumento, in un sogno d’amore […] Samuele e poi Davide con le loro azioni, con la loro forza e gioventù, con i loro sentimenti primitivi e sacri; Saulo con la sua collera, e i profeti che ci annunciano consolazioni o che ci riempiono di tristezza. E infine Ester e Mordechai, e Aman il malvagio. La denuncia di Giobbe»48. Jesse era il nipote di Rut, la moabita, legata al popolo ebraico dall’unione con Boaz. È all’origine della dinastia davidica ed è dalla sua discendenza che nascerà il Messia. Nell’arte cristiana, è rappresentato allungato: dal suo corpo si libra un albero i cui rami sono portatori degli avi di Cristo. Ecco, Chagall si rappresenta come un novello Jesse, munito però di pennello e colori. Dal corpo dell’artista che ha ritrovato la sua anima, si libra questa famiglia – il ceppo originario di Chagall – che lui ricostruisce e che popola la sua opera: patriarchi, profeti, re, eroine bibliche, esseri umani e fallibili, tutti portatori di un messaggio d’universalismo, una lunga linea alla quale esprime il desiderio di integrare il Cristo, «poeta e ultimo dei profeti»: «Gesù, ci tengo a metterlo tra i profeti ebraici, come ultimo tra essi, di cui mi appresto adesso a dedicare una raccolta di incisioni»49.

Una famiglia biblica Sebbene già nel corso degli anni Venti Chagall parli a più riprese del suo lavoro sulla Bibbia, si può più realisticamente ipotiz-

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Studi inediti


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Le citazioni che seguono e si riferiscono alle gouaches sono tratte dalla Bibbia cei, 2008.

Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Genesi ii,21-22

1. La creazione di Eva (Création d’Ève), 1931

Lavis di inchiostro di china, gouache e matita su carta con quadrettatura 20×15,8 cm Studio preparatorio per la gouache La creazione di Eva (Création d’Ève), 1931, n. 2, p. 126 Collezione privata.

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Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Genesi vi,13-14

2. Noè riceve l’ordine di costruire l’arca (Noé reçoit l’ordre de construire l’Arche), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su carta 20,1×15,5 cm Studio preparatorio per la gouache Noè riceve l’ordine di costruire l’arca (Noé reçoit l’ordre de construire l’Arche), 1931, n. 3, p. 128 Collezione privata.

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Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Genesi vi,13-14

3. Noè riceve l’ordine di costruire l’arca (Noé reçoit l’ordre de construire l’Arche), [1935] Gouache e matita su carta 38,4×28,2 cm Firmato «Marc Chagall», in basso al centro Studio preparatorio per la gouache Noè riceve l’ordine di costruire l’arca (Noé reçoit l’ordre de construire l’Arche), 1931, n. 3, p. 128 Collezione privata.

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Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca e fece uscire un corvo. Esso uscì andando e tornando, finché si prosciugarono le acque sulla terra. Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo. Genesi viii,6-9

4. Noè lascia andare la colomba (Noé lâche la colombe), 1931

Lavis di gouache, gouache, pastello e matita su carta 18,7×15,5 cm Studio preparatorio per la gouache Noè lascia andare la colomba (Noé lâche la colombe), 1931, n. 4, p. 130 Collezione privata.

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Ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell’arca, perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell’arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca. Genesi viii,9-11

5. Noè lascia andare la colomba (Noé lâche la colombe), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su carta 19,7×15,4 cm Studio preparatorio per la gouache Noè lascia andare la colomba (Noé lâche la colombe), 1931, n. 4, p. 130 Collezione privata.

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Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del loro padre. Genesi ix,20-24

6. Il mantello di Noè (Le Manteau de Noé), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su carta con quadrettatura a matita 20×15,6 cm Studio preparatorio per la gouache Il mantello di Noè (Le Manteau de Noé), 1931, n. 8, p. 138 Collezione privata.

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Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Genesi xviii,16-17

7. Abramo congeda i tre angeli (Abraham reconduit les trois anges), [1931]

Lavis di gouache, gouache e matita su foglio di quaderno 20,5×15,4 cm Studio preparatorio per la gouache Abramo riconduce i tre angeli (Abraham reconduit les trois anges), [1931], n. 11, p. 144 Collezione privata.

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Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Genesi xxii,6

8. Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio (Abraham et Isaac en route vers le lieu du Sacrifice), 1931

Gouache, lavis di inchiostro di china, pastello e matita su carta 21,9×16,5 cm Studio preparatorio per la gouache Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio (Abraham et Isaac en route vers le lieu du Sacrifice), 1931, n. 14, p. 150 Collezione privata.

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Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Genesi xxii,9-13

9. Abramo pronto a immolare suo figlio (Abraham prêt à immoler son fils), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su foglio di quaderno 20×15,4 cm Studio preparatorio per la gouache Abramo pronto a immolare suo figlio (Abraham prêt à immoler son fils), 1931, n. 15, p. 152 Collezione privata.

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Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Genesi xxii,9-13

10. Abramo pronto a immolare suo figlio (Abraham prêt à immoler son fils), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su foglio di quaderno 19,8×15,5 cm Studio preparatorio per la gouache Abramo pronto a immolare suo figlio (Abraham prêt à immoler son fils), 1931, n. 15, p. 152 Collezione privata.

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Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. Genesi xxiii,1-3

11. Abramo piange Sara (Abraham pleurant Sara), 1931 Lavis di gouache, gouache e matita su carta con quadrettatura a matita 20×15,3 cm Studio preparatorio per la gouache Abramo piange Sara (Abraham pleurant Sara), 1931, n. 16, p. 154 Collezione privata.

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Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. E disse: «Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa bontà verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: Abbassa l’anfora e lasciami bere, e che risponderà: Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone». Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Essa scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: «Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora». Rispose: «Bevi, mio signore». In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. Come ebbe finito di dargli da bere, disse: «Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere». In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio, corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui. Intanto quell’uomo la contemplava in silenzio, in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio. Genesi xxiv,10-21

12. Eliezer e Rebecca (Éliezer et Rébecca), 1931 Gouache e matita su carta con quadrettatura a matita 22,1×16,8 cm Studio preparatorio per la gouache Eliezer e Rebecca (Éliezer et Rébecca), 1931, n. 17, p. 156 Collezione privata.

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Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù». Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Genesi xxvii,22-25

13. Giacobbe benedetto da Isacco (Jacob béni par Isaac), 1931

Lavis di inchiostro di china, gouache, inchiostro di china, matita su carta con quadrettatura a matita rossa 28,5×22,2 cm Studio preparatorio per l’incisione Giacobbe benedetto da Isacco (Jacob béni par Isaac), tavola 13, 1931-34, Bibbia edizioni Verve, 1956 Collezione privata.

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Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù». Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Genesi xxvii,22-25

14. Giacobbe benedetto da Isacco (Jacob béni par Isaac), 1931

Lavis di inchiostro di china, gouache, inchiostro di china, matita e pastello su carta 28×22,3 cm Studio preparatorio per l’incisione Giacobbe benedetto da Isacco (Jacob béni par Isaac), tavola 13, 1931-34, Bibbia edizioni Verve, 1956 Collezione privata.

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Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Haran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto». Genesi xxviii,10-16

15. Il sogno di Giacobbe (Le Songe de Jacob), 1931

Lavis, gouache, pastello e matita su carta con quadrettatura 33,5×26,1 cm Studio preparatorio per l’incisione Il sogno di Giacobbe (Le Songe de Jacob), tavola 14, 1931-34, Bibbia edizioni Verve, 1956 Collezione privata.

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Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» Genesi xxxii,25-30

16. La lotta di Giacobbe con l’angelo (La Lutte de Jacob avec l’ange), 1931

Lavis di gouache, gouache, pastello e matita su carta 33,8×25,5 cm Studio preparatorio per l’incisione La lotta di Giacobbe con l’angelo (La Lutte de Jacob avec l’ange), tavola 16, 1931-34, Bibbia edizioni Verve, 1956 Collezione privata.

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Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due cori io sento». Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Esodo xxxii,15-19

17. Mosè spezza le tavole della Legge (Moïse brise les tables de la Loi), 1931

Lavis di gouache, gouache e matita su foglio di quaderno 22,4×15,3 cm Studio preparatorio per la gouache Mosè spezza le tavole della Legge (Moïse brise les tables de la Loi), 1931, n. 38, p. 198 Collezione privata.

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Il Signore parlò a Mosè e disse: «Ordina agli Israeliti che ti portino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione, per tenere perennemente accesa la lampada. Aronne la disporrà nella tenda del convegno, fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza, perché arda dalla sera al mattino davanti al Signore, sempre. Sarà per voi una legge perenne, di generazione in generazione. Egli disporrà le lampade sul candelabro d’oro puro, perché ardano sempre davanti al Signore. Levitico xxiv,1-5 Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne dicendogli: “Quando collocherai le lampade, le sette lampade dovranno far luce verso la parte anteriore del candelabro”». Aronne fece così: collocò le lampade in modo che facessero luce verso la parte anteriore del candelabro, come il Signore aveva ordinato a Mosè. E questa era la struttura del candelabro: era d’oro lavorato a martello, dal suo fusto alle sue corolle era un solo lavoro a martello. Mosè aveva fatto il candelabro secondo la visione che il Signore gli aveva mostrato. Numeri viii,1-4

18. Aronne davanti al candelabro (Aaron devant le chandelier), 1931 Gouache e matita su carta 22,4×17,4 cm Studio preparatorio per la gouache Aronne davanti al candelabro (Aaron devant le chandelier), 1931, n. 39, p. 200 Collezione privata.

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Samuele prese allora l’ampolla dell’olio e gliela versò sulla testa, poi lo baciò dicendo: «Non ti ha forse unto il Signore come capo sulla sua eredità?». i Samuele x,1

19. Samuele unge Saul (L’Onction de Saül par Samuel), 1931, lumeggiato negli anni ’50 Pastello e matita su carta lucida 37×26,8 cm Studio preparatorio per l’incisione Samuele unge Saul (L’Onction de Saül par Samuel), tavola 60, 1952-56, Bibbia edizioni Verve, 1956 Firmato «Marc Chagall», in basso a sinistra Collezione privata.

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Iesse prese un asino, del pane, un otre di vino e un capretto e, per mezzo di Davide, suo figlio, li inviò a Saul. Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza. Questi gli si affezionò molto ed egli divenne suo scudiero. E Saul mandò a dire a Iesse: «Rimanga Davide con me, perché ha trovato grazia ai miei occhi». Quando dunque lo spirito di Dio era su Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui. i Samuele xvi,20-23

20. Davide placa Saul con i suoi canti (David apaise Saül par ses chants), 1931 [1945-1951] Lavis di gouache, gouache e matita su carta 28,4×20 cm Studio preparatorio per l’incisione Davide placa Saul con i suoi canti (David apaise Saül par ses chants), tavola 61, 1952-56, Bibbia edizioni Verve, 1956 Firmato «Marc Chagall», in basso al centro Collezione privata.

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Allora Davide intonò questo lamento su Saul e suo figlio Giònata e ordinò che fosse insegnato ai figli di Giuda; è il canto dell’arco e si trova scritto nel libro del Giusto: «Il tuo vanto, Israele, sulle tue alture giace trafitto! Come sono caduti gli eroi? Non fatelo sapere in Gat, non l’annunciate per le vie di Àscalon, perché non ne facciano festa le figlie dei Filistei, non ne gioiscano le figlie dei non circoncisi! O monti di Gèlboe, non più rugiada né pioggia su di voi né campi da primizie, perché qui fu rigettato lo scudo degli eroi; lo scudo di Saul non fu unto con olio, ma col sangue dei trafitti, col grasso degli eroi. O arco di Giònata! Non tornò mai indietro. O spada di Saul! Non tornava mai a vuoto. O Saul e Giònata, amabili e gentili, né in vita né in morte furono divisi; erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni. Figlie d’Israele, piangete su Saul, che con delizia vi rivestiva di porpora, che appendeva gioielli d’oro sulle vostre vesti. Come son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Giònata, sulle tue alture trafitto! Una grande pena ho per te, fratello mio, Giònata! Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa, più che amore di donna. Come sono caduti gli eroi, sono perite le armi?». ii Samuele i,17-27

21. Cantico funebre di David sulla morte di Saul e di Giònata (Cantique funèbre de David sur la mort de Saül et de Jonathan), 1931 [1962] Lavis, inchiostro di china, gouache e matita su carta 26,5×21,5 cm Studio preparatorio per le incisioni Cantico funebre di David sulla morte di Saul e di Giònata (Cantique funèbre de David sur la mort de Saül et de Jonathan), tavole 66, 67, 68, 1952-56, Bibbia edizioni Verve, 1956 Firmato «Marc Chagall», in basso verso la destra Collezione privata.

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Elia disse ad Acab: «Va’ a mangiare e a bere, perché c’è già il rumore della pioggia torrenziale». Acab andò a mangiare e a bere. Elia salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia. i Re xviii,41-43

22. Elia sul monte Carmelo (Élie sur le Mont Carmel), 1931

Gouache, pastello e matita su carta 35,4×26,5 cm Studio preparatorio per l’incisione Elia sul monte Carmelo (Élie sur le Mont Carmel), tavola 86, 1952-56, Bibbia edizioni Verve, 1956 Firmato e datato «Marc Chagall 1931», in basso a sinistra Collezione privata.

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Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Genesi i,26-27 Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Genesi ii,7

1. Dio crea l’uomo (Dieu crée l’homme), 1930

Gouache su carta 64×48 cm Firmato e datato: «Marc Chagall, 1930», in basso a destra mbmc 18 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Genesi ii,21-23

2. La creazione di Eva (Création d’Ève), 1931

Gouache su carta 58×42 cm Datato e firmato: «1931, Marc Chagall», in basso a destra mbmc 19 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Genesi vi,13-14

3. Noè riceve l’ordine di costruire l’arca (Noé reçoit l’ordre de construire l’Arche), 1931

Gouache su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Chagall Marc 1931», in basso a sinistra mbmc 20 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo; ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell’arca, perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell’arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca. Genesi viii,8-10

4. Noè lascia andare la colomba (Noé lâche la colombe), 1931 Olio, gouache, lavis di gouache su carta 63,5×47,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 21 Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Noè uscì con i figli, la moglie e le mogli dei figli. Tutti i viventi e tutto il bestiame e tutti gli uccelli e tutti i rettili che strisciano sulla terra, secondo le loro specie, uscirono dall’arca. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Genesi viii,18-20

5. Il sacrificio di Noè (Le Sacrifice de Noé), 1932

Olio, gouache, lumeggiatura di tempera su carta 62×49,5 cm Datato e firmato: «932 Marc Chagall», in basso a destra mbmc 22 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi, e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra». Genesi ix,12-17

6. L’arcobaleno, segno di alleanza tra Dio e la Terra (L’Arc-en-ciel, signe d’alliance entre Dieu et la Terre), 1931 Gouache e lavis di gouache su carta 63,5×47,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 23 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi, e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra». Genesi ix,12-17

7. L’arcobaleno tra Dio e la Terra (L’Arc-en-ciel entre Dieu et la Terre), 1931 Olio e gouache su carta 66,5×52 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 24 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del loro padre. Genesi ix,20-23

8. Il mantello di Noè (Le Manteau de Noé), 1931

Gouache e lumeggiatura di tempera su carta 63,5×48 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 25 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra. Genesi xviii,1-2

9. Abramo si prostra davanti ai tre angeli (Abraham se prosterne devant les trois anges), 1931

Olio e gouache su carta 66×52 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 27 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. Genesi xviii,6-10

10. I tre angeli ricevuti da Abramo (Les trois anges reçus par Abraham), 1931 Olio e gouache su carta 62,5×49 cm Firmato e datato: «Chagall Marc 1931», in basso a destra mbmc 26 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma. Genesi xviii,16-22

11. Abramo congeda i tre angeli (Abraham reconduit les trois anges), [1931] Olio e gouache 64×51 cm Firmato: «Chagall», in basso a destra mbmc 1995-5 Musée national Marc Chagall, Nizza, acquisto dello Stato.

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Poi Lot partì da Soar e andò ad abitare sulla montagna con le sue due figlie, perché temeva di restare a Soar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. Ora la maggiore disse alla più piccola: «Nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, come avviene dappertutto. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando lei si coricò, né quando lei si alzò. All’indomani la maggiore disse alla più piccola: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui; così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando lei si coricò, né quando lei si alzò. Così le due figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti, che esistono ancora oggi. Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò «Figlio del mio popolo». Costui è il padre degli Ammoniti, che esistono ancora oggi. Genesi xix,30-38

12. Le figlie di Lot (Les Filles de Lot), 1931

Gouache e matita su carta 63,5×48 cm Datato e firmato: «1931 Chagall Marc», in basso a sinistra mbmc 28 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco. Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!». Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!». Genesi xxi,1-7

13. La circoncisione prescritta da Dio ad Abramo (La Circoncision prescrite par Dieu à Abraham), 1931

Gouache e lavis di gouache su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 29 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme. Genesi xxii,6-8

14. Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio (Abraham et Isaac en route pour le lieu du Sacrifice), 1931

Gouache su carta 62×48,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 30 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede». Genesi xxii,9-14

15. Abramo pronto a immolare suo figlio (Abraham prêt à immoler son fils), 1931 Olio e gouache su carta 62×48, 5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso al centro mbmc 31 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. Genesi xxiii,1-2

16. Abramo piange Sara (Abraham pleurant Sara), 1931

Gouache su carta 62,5×48,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra Donato da Marc e Valentina Chagall nel 1966 mbmc 32 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. E disse: «Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa bontà verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: “Abbassa l’anfora e lasciami bere”, e che risponderà: “Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere”, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone». Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Essa scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: «Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora». Rispose: «Bevi, mio signore». In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. Genesi xxiv,10-21

17. Eliezer e Rebecca (Éliezer et Rébecca), 1931

Olio e gouache su carta Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a destra mbmc 33 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Questa è la discendenza di Giacobbe. Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i suoi fratelli. Essendo ancora giovane, stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. Ora Giuseppe riferì al padre di chiacchiere maligne su di loro. Genesi xxxvii,2

18. Giuseppe, pastore (Joseph, berger), 1931

Olio e gouache su carta 61,5×51 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a sinistra mbmc 34 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora presero la tunica di Giuseppe, sgozzarono un capro e intinsero la tunica nel sangue. Poi mandarono al padre la tunica con le maniche lunghe e gliela fecero pervenire con queste parole: «Abbiamo trovato questa; per favore, verifica se è la tunica di tuo figlio o no». Egli la riconobbe e disse: «È la tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato. Giuseppe è stato sbranato». Giacobbe si stracciò le vesti, si pose una tela di sacco attorno ai fianchi e fece lutto sul suo figlio per molti giorni. Tutti i figli e le figlie vennero a consolarlo, ma egli non volle essere consolato dicendo: «No, io scenderò in lutto da mio figlio megli inferi». E il padre suo lo pianse. Genesi xxxvii,31-35

19. Giacobbe piange sulla tunica di Giuseppe (Jacob pleure sur la tunique de Joseph), 1931

Olio e gouache su carta 64×48 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a sinistra mbmc 35 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Dopo questi fatti, la moglie del padrone mise gli occhi su Giuseppe e gli disse: «Còricati con me!». Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Vedi, il mio signore non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha dato in mano tutti i suoi averi. Lui stesso non conta più di me in questa casa; non mi ha proibito nient’altro, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?». E benché giorno dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli non accettò di coricarsi insieme per unirsi a lei. Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c’era alcuno dei domestici. Ella lo afferrò per la veste, dicendo: «Còricati con me!». Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori. Genesi xxxix,7-13

20. Giuseppe e la moglie di Putifarre (Joseph et la femme de Putiphar), 1931 Gouache su carta 62,5×48,5 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a destra mbmc 36 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo; egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone. Il faraone disse a Giuseppe: «Ho fatto un sogno e nessuno sa interpretarlo; ora io ho sentito dire di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito». Giuseppe rispose al faraone: «Non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!». Genesi xli,14-16

21. Giuseppe spiega i sogni del Faraone (Joseph explique les songes de Pharaon), 1931

Olio e gouache su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 37 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi ai circostanti e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!». Così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. E proruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: «Io sono Giuseppe! È ancora vivo mio padre?». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché sconvolti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: «Avvicinatevi a me!». Si avvicinarono e disse loro: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Genesi xlv,1-5 […] “Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: Così dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto. Vieni quaggiù presso di me senza tardare. Abiterai nel paese di Gosen e starai vicino a me tu con i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, le tue greggi e i tuoi armenti e tutti i tuoi averi. Là io provvederò al tuo sostentamento, poiché la carestia durerà ancora cinque anni, e non cadrai nell’indigenza tu, la tua famiglia e quanto possiedi. Ed ecco, i vostri occhi lo vedono e lo vedono gli occhi di mio fratello Beniamino: è la mia bocca che vi parla! Riferite a mio padre tutta la gloria che io ho in Egitto e quanto avete visto; affrettatevi a condurre quaggiù mio padre». Allora egli si gettò al collo di Beniamino e pianse. Anche Beniamino piangeva stretto al suo collo.» Genesi xlv,9-14

22. Giuseppe riconosciuto dai fratelli (Joseph reconnu par ses frères), 1931 Olio e gouache su carta 62×49 cm Datato: «1931», al centro; firmato: «Marc Chagall», verso destra mbmc 38 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Israele dunque levò le tende con quanto possedeva e arrivò a Bersabea, dove offrì sacrifici al Dio di suo padre Isacco. Dio disse a Israele in una visione notturna: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare. Giuseppe ti chiuderà gli occhi con le sue mani». Giacobbe partì da Bersabea e i figli d’Israele fecero salire il loro padre Giacobbe, i loro bambini e le loro donne sui carri che il faraone aveva mandato per trasportarlo. Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti. Egli condusse con sé in Egitto i suoi figli e i nipoti, le sue figlie e le nipoti, tutti i suoi discendenti. Genesi xlvi,1-7

23. Giacobbe lascia il suo paese per recarsi in Egitto (Jacob quitte son pays pour se rendre en Égypte), 1931

Olio e gouache su carta 56,5x49 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a destra mbmc 39 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Poi Israele vide i figli di Giuseppe e disse: «Chi sono questi?». Giuseppe disse al padre: «Sono i figli che Dio mi ha dato qui». Riprese: «Portameli, perché io li benedica!». Gli occhi d’Israele erano offuscati dalla vecchiaia: non poteva più distinguere. Giuseppe li avvicinò a lui, che li baciò e li abbracciò. Israele disse a Giuseppe: «Io non pensavo più di vedere il tuo volto, ma ecco, Dio mi ha concesso di vedere anche la tua prole!». Allora Giuseppe li ritirò dalle sue ginocchia e si prostrò con la faccia a terra. Li prese tutti e due, Efraim con la sua destra, alla sinistra d’Israele, e Manasse con la sua sinistra, alla destra d’Israele, e li avvicinò a lui. Ma Israele stese la mano destra e la pose sul capo di Efraim, che pure era il più giovane, e la sua sinistra sul capo di Manasse, incrociando le braccia, benché Manasse fosse il primogenito. Genesi xlviii,8-14 Giuseppe notò che il padre aveva posato la destra sul capo di Efraim e ciò gli spiacque. Prese dunque la mano del padre per toglierla dal capo di Efraim e porla sul capo di Manasse. Disse al padre: «Non così, padre mio: è questo il primogenito, posa la destra sul suo capo!». Ma il padre ricusò e disse: «Lo so, figlio mio, lo so: anch’egli diventerà un popolo, anch’egli sarà grande, ma il suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza diventerà una moltitudine di nazioni». E li benedisse in quel giorno: «Di voi si servirà Israele per benedire, dicendo: Dio ti renda come Efraim e come Manasse!». Così pose Efraim prima di Manasse. Genesi xlviii,17-20

24. Benedizione di Efraim e Manasse (Bénédiction d’Éphraïm et Manassé), 1931 Gouache su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a sinistra mbmc 40 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. La sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «È un bambino degli Ebrei». La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «Devo andarti a chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?». «Va’», le disse la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna prese il bambino e lo allattò. Esodo ii,1-9

25. Mosè salvato dalle acque (Moïse sauvé des eaux), 1931

Gouache e lavis di gouache su carta 63×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 41 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Mosè replicò dicendo: «Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: Non ti è apparso il Signore!». Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?». Rispose: «Un bastone». Riprese: «Gettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendilo per la coda!». Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. «Questo perché credano che ti è apparso il Signore, Dio dei loro padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». Esodo iv,1-5

26. Mosè getta il bastone (Moïse jette son bâton), 1931

Olio, lavis di acquarello, matita e inchiostro di china su carta 63×43 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a sinistra mbmc 42 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il Signore disse ad Aronne: «Va’ incontro a Mosè nel deserto!». Andò e lo incontrò al monte di Dio e lo baciò. Mosè riferì ad Aronne tutte le parole con le quali il Signore lo aveva inviato e tutti i segni con i quali l’aveva accreditato. Mosè e Aronne andarono e adunarono tutti gli anziani degli Israeliti. Esodo iv,27-29

27. Mosè e Aronne (Moïse et Aaron), 1931

Gouache e lavis di gouache su carta 64×51 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 43 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

In seguito, Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!». Il faraone rispose: «Chi è il Signore, perché io debba ascoltare la sua voce e lasciar partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!». Ripresero: «Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada!». Il re d’Egitto disse loro: «Perché, Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!». Il faraone disse: «Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?». Esodo v,1-5

28. Mosè e Aronne davanti al Faraone (Moïse et Aaron devant Pharaon), 1931 Acquarello, lavis di acquarello, gouache, matita e inchiostro di china su carta 62×48, 5 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a destra mbmc 44 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Allora il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano verso il cielo: vengano sulla terra d’Egitto tenebre, tali da potersi palpare!». Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutta la terra d’Egitto, per tre giorni. Non si vedevano più l’un l’altro e per tre giorni nessuno si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti c’era luce là dove abitavano. Esodo x,21-23

29. Mosè sparge le tenebre (Moïse répand les Ténèbres), 1931

Olio e gouache su carta 62,5×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 45 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il Signore disse a Mosè: «Ancora una piaga manderò contro il faraone e l’Egitto; dopo di che egli vi lascerà partire di qui. Vi lascerà partire senza condizioni, anzi vi caccerà via di qui. Di’ dunque al popolo che ciascuno dal suo vicino e ciascuna dalla sua vicina si facciano dare oggetti d’argento e oggetti d’oro». Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani. Inoltre Mosè era un uomo assai considerato nella terra d’Egitto, agli occhi dei ministri del faraone e del popolo. Mosè annunciò: «Così dice il Signore: Verso la metà della notte io uscirò attraverso l’Egitto: morirà ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito della schiava che sta dietro la mola, e ogni primogenito del bestiame. Un grande grido si alzerà in tutta la terra d’Egitto, quale non vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. Ma contro tutti gli Israeliti neppure un cane abbaierà, né contro uomini, né contro bestie, perché sappiate che il Signore fa distinzione tra l’Egitto e Israele. Tutti questi tuoi ministri scenderanno a me e si prostreranno davanti a me, dicendo: “Esci tu e tutto il popolo che ti segue! Dopo, io uscirò!”». Mosè, pieno d’ira, si allontanò dal faraone. Il Signore aveva appunto detto a Mosè: «Il faraone non vi darà ascolto, perché si moltiplichino i miei prodigi nella terra d’Egitto». Mosè e Aronne avevano fatto tutti quei prodigi davanti al faraone; ma il Signore aveva reso ostinato il cuore del faraone, il quale non lasciò partire gli Israeliti dalla sua terra. Esodo xi,1-10 A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto! Esodo xii,29-30

30. Mosè sparge la morte tra gli Egiziani (Moïse répand la mort chez les Égyptiens), 1931

Olio e gouache su carta 62,5×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 46 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. Esodo xii,1-14

31. Gli Israeliti mangiano l’agnello della Pasqua (Les Israélites mangent l’agneau de la Pâque), 1931

Olio e gouache su carta 62,5x49 cm Firmato: «Chagall 1931», in basso a sinistra mbmc 47 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco, per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte. Esodo xiii,21-22

32. L’uscita dall’Egitto (La Sortie d’Égypte), 1931

Disegno e inchiostro di china su carta 48,5×57,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a sinistra mbmc 48 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri». L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare. Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Esodo xiv,15-29

33. Gli Israeliti attraversano il Mar Rosso (Les Israélites passent la Mer rouge), 1931 Acquarello, lavis di acquarello, disegno e inchiostro di china su carta 63×46,5 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso, verso il centro-sinistra mbmc 49 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: «Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!». Esodo xv,20-21

34. Maria danza (Marie danse), 1931

Olio e gouache su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 50 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Esodo xvii,1-7

35. Mosè e la pietra dell’Oreb (Moïse et la pierre d’Horeb), 1931 Olio, gouache, disegno e inchiostro di china su carta 61×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso verso sinistra mbmc 51 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio. Esodo xxxi,18

36. Mosè riceve le tavole della Legge (Moïse reçoit les tables de la Loi), 1931 Olio e gouache su carta 61×48,5 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a sinistra mbmc 52 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, fece ressa intorno ad Aronne e gli disse: «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». Aronne rispose loro: «Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli, i vostri figli e le vostre figlie e portateli a me». Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento. Esodo xxxii,1-6

37. Gli ebrei adorano il Vitello d’oro (Les Hébreux adorent le Veau d’or), 1931 Olio e gouache su carta 61×48,5 cm Datato e firmato: «1931 Chagall Marc», al centro verso sinistra mbmc 53 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due cori io sento». Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Esodo xxxii,15-19

38. Mosè spezza le tavole della Legge (Moïse brise les tables de la Loi), 1931 Olio e gouache su carta 62×48,5 cm Datato e firmato: «1931 Marc Chagall», in basso a sinistra mbmc 54 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

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Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne dicendogli: “Quando collocherai le lampade, le sette lampade dovranno far luce verso la parte anteriore del candelabro”». Aronne fece così: collocò le lampade in modo che facessero luce verso la parte anteriore del candelabro, come il Signore aveva ordinato a Mosè. E questa era la struttura del candelabro: era d’oro lavorato a martello, dal suo fusto alle sue corolle era un solo lavoro a martello. Mosè aveva fatto il candelabro secondo la visione che il Signore gli aveva mostrato. Numeri viii,1-4

39. Aronne davanti al candelabro (Aaron devant le chandelier), 1931 Olio e gouache su carta 62x49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 55 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Chagall

Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, aiutante di Mosè: «Mosè, mio servo, è morto. Ora, dunque, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso la terra che io do loro, agli Israeliti. Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. Dal deserto e da questo Libano fino al grande fiume, l’Eufrate, tutta la terra degli Ittiti, fino al Mare Grande, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini. Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò. Giosuè i,1-5

40. Giosuè (Josué), 1931

Acquarello e lavis di acquarello su carta 62×49 cm Firmato e datato: «Marc Chagall 1931», in basso a destra mbmc 56 Musée national Marc Chagall, Nizza, donazione Marc e Valentina Chagall, 1966.

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Capitolo terzo

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall Evgenia Kuzmina

La Bibbia di Marc Chagall presenta aspetti estremamente complessi e originali nei quali confluiscono, come in un amalgama, le percezioni intuitive dell’artista e il contesto spirituale e creativo di diverse culture. In effetti, la visione che Chagall ha dell’elemento sacro presenta parallelismi con i precetti fondamentali della filosofia russa, della teologia giudaica e del pensiero ortodosso. Nelle gouaches preparatorie della sua Bibbia ritroviamo, quindi, riferimenti all’arte greca e alle icone, così come alla pittura russa e a quella occidentale. Lo studio della rappresentazione di Dio nelle immagini bibliche mette in evidenza una problematica di grande rilevanza per l’opera di Chagall. L’artista, infatti, si ritrova sospeso tra la religione cristiana e quella ebraica ed è costretto a chiedere a se stesso: «Posso rappresentare Dio? e come posso rappresentarlo?». Le soluzioni elaborate svelano esattamente questo tipo di tensione esistenziale. I suoi bozzetti biblici furono realizzati nel 1930, su incarico di Ambroise Vollard, in un periodo segnato dall’antisemitismo e dalle minacce belliche, circostanze politiche che traspaiono chiaramente nella sua iconografia. Il linguaggio gestuale e l’uso simbolico del colore rappresentano un mezzo ausiliare nella costruzione semantica delle opere bibliche; si può affermare che nei bozzetti Chagall riuscì a reinterpretare il tema biblico con un’audacia e una profondità tali da risultare ancora oggi elementi di grande interesse per coloro che riflettono su questioni sacre e spirituali.

Le matrici russe delle gouaches bibliche di Marc Chagall Uno degli aspetti del talento di Marc Chagall era la sua indiscutibile originalità. Nel percorso che intraprese per riaffermarsi come artista e nelle sue ricerche come creatore fece

spesso riferimento alla cultura, alla filosofia e all’arte russa, delle quali si possono ritrovare elementi nella sua opera artistica e letteraria. In effetti, Chagall affonda le proprie radici nella cultura del suo paese natale: «Ogni artista ha la propria patria, la propria città natale, e per quanto in seguito possa aprirsi alle influenze di altre realtà sarà sempre segnato da questa caratteristica primordiale. Il profumo della sua patria vivrà per sempre nella sua opera»1. È per questo motivo che nella sua rappresentazione della Bibbia si percepiscono risonanze della filosofia di Nikolaj Berdjaev, Vladimir Solov’ëv e Vja eslav Ivanov, le influenze delle icone, dei patriarchi biblici di Aleksandr Ivanov, del simbolismo di Michail Vrubel e delle tensioni esistenziali di Nikolaj Guë.

Riflessi della filosofia e della cultura russa nella visione biblica di Chagall Chagall si avvicinò alla filosofia e all’estetica russa grazie a sua moglie, Bella Rosenfeld, la quale aveva ricevuto una formazione in ambito letterario e filosofico. Bella lo introdusse negli ambienti intellettuali di quell’epoca e gli trasmise le nozioni principali della poesia, del teatro e della filosofia. Il suo secondo punto di contatto con le élite culturali del tempo ebbe luogo durante il suo esilio a Parigi, dove poté frequentare i salotti culturali del circolo di Jacques Maritain, ai quali partecipavano vari filosofi russi. Nella cultura dei primi del ’900, detta anche del Secolo d’argento, si coltivavano visioni contrastanti, cariche di mistero e di presagi profetici. I filosofi, i poeti e gli artisti sognavano una visione sintetica dell’arte, della religione e della vita organica. Il filosofo N. Berdjaev, nel suo libro sul Rina-

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scimento culturale russo, rese manifesto in questi termini il proprio credo religioso: «… fiorire di poesia e intensificazione della sensibilità estetica, esaltazione religiosa e gusto per il misticismo»2. I sistemi filosofici che proponevano una visione metafisica dell’universo e una missione messianica dell’arte, come l’antroposofia o la teosofia, dominavano il panorama estetico-culturale russo. Queste idee non solo erano presenti nella filosofia dei grandi pensatori dell’epoca, come Vladimir Solov’ëv, Vasilij Rozanov e Nikolaj Berdjaev, ma si riflettevano anche nella poesia di Aleksandr Blok, Alexandr Merejkovsky e Vja eslav Ivanov, nell’arte estetica di Vasilij Kandinskij, Nikolaj Roerich e Mikalojus iurlionis3 e nella musica di Aleksandr Skrjabin4. Questo nuovo orientamento estetico-culturale nacque a partire dal pensiero di Vladimir Solov’ëv, il quale sviluppò in modo più approfondito tutte queste idee. Il tema fondamentale del suo pensiero era il concetto di Sofia – anima cosmogonica, principio femminile attraverso il quale Dio si manifesta nel mondo e incarnazione del Logos nell’universo: «Sofia è l’essere femminino e sovrano, è la forma superiore, l’anima viva della natura e del cosmo, unita a Dio nella dimensione infinita e in quella finita per formare con Lui tutto ciò che esiste»5. Questo concetto può essere ricondotto a un principio fondamentale della Cabala detto Shekhinah, ossia la presenza di Dio nel mondo che si manifesta attraverso attributi femminili; questa stessa caratteristica è riscontrabile nell’interpretazione biblica di Chagall, nella quale il principio femminile, in accordo con la tradizione rabbinica, appare sotto forma di nube, di luna o di ali d’angelo6. Il tema della Creazione occupa un posto determinante nell’ontologia filosofica russa. Per Solov’ëv, la creazione in senso biblico è concepita come la rivelazione della luce nel mondo e l’uomo – punto più alto della creazione – è la quintessenza della bellezza corporale e spirituale, oltre a costituire il potenziale superiore della luce e della vita7. In questo senso, sembra opportuno ricordare che la prima gouache biblica di Chagall è dedicata proprio alla creazione dell’uomo. Questa circostanza non è casuale, ma riflette una concezione dell’universo antropocentrica. Come afferma Mira Friedman: «Chagall non scelse di rappresentare i primi cinque giorni della creazione perché nell’arte la sua idea principale era sempre stata legata all’immagine dell’uomo… Inizia, quindi, il suo ciclo biblico a partire dalla rappresentazione della creazione di Adamo»8. La bellezza del mondo si rivela nell’unione universale che attraversa tutte le sfere della vita, animata e inanimata. Gli uomini e gli animali, le piante e i corpi celesti, tutti porta-

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Pagine precedenti: 1. La vigilia del gran perdono (La Veille du grand pardon), 1912, tempera su carta, 32 ×27,5 cm, collezione Ida Bienert, Monaco.

no in sé la luce del fuoco primordiale del divino Creatore9. Questa dottrina trova un proprio parallelismo nella tradizione chassidica10, secondo la quale il mondo fu creato sotto forma di un recipiente stracolmo di bellezza e grazia. Il recipiente non riuscì a trattenere il proprio contenuto ed esplose; i raggi di luce di questa bellezza primordiale si espansero quindi su tutti i livelli dell’esistenza. L’universo biblico di Chagall è pregno del mistero e della bellezza cosmica presenti nella natura, così come nei volti spirituali dei profeti, degli angeli e degli animali. Secondo Mircea Eliade, Chagall: «ha scoperto il mistero e il carattere sacro della natura. […] La natura creata da Chagall è primitiva e materna, un luogo in cui l’uomo, l’animale e l’angelo vivono insieme, in pace, sotto l’occhio di Dio, o sotto una grande luna, così com’era quando il mondo fu creato»11. Nell’estetica di Solov’ëv, la creazione e l’arte sono in relazione con il mondo trascendentale e nel loro grado più elevato sono rette dalla mistica: «L’arte è determinata dall’immaginazione e non dalla riflessione, deve basarsi sull’ispirazione estatica. Soltanto per coloro che sono alieni all’esperienza spirituale, la mistica si presenta come qualcosa di alieno alla creazione»12. Questa affermazione si riflette nel pensiero di Chagall, il quale, difendendo le proprie scelte estetiche, affermò: «Mistica! Quante volte mi è stata gettata in faccia questa parola, allo stesso modo in cui in passato mi si rimproverava di essere troppo “letterario”. Ma esisterebbe forse un solo quadro, una sola poesia senza mistica? Non si disintegra, forse, non muore ogni organismo (individuale o sociale) se gli viene a mancare la forza mistica e il sentimento?»13. Vja eslav Ivanov, influenzato da Solov’ëv, formulò la nozione di memoria viva come energia sacra che rappresenta l’origine della cultura e dell’arte. Grazie a questa energia, l’artista può conoscere la natura delle cose e il senso dell’universo14. Per Chagall, affascinato negli anni della gioventù dalle idee di Solov’ëv, la memoria rappresenta anche un mezzo attraverso il quale l’artista costruisce il proprio universo artistico e sperimenta la memoria viva dei profeti e della Bibbia: «Il mondo di Chagall è quello sacro e mitologico della sua infanzia. Non ci troviamo tanto al cospetto di una memoria nostalgica quanto di un passato osservato con occhi nuovi e poi ricreato. Chagall ha saputo riconquistare quelle rivelazioni dell’infanzia. Esse sono, indubbiamente, di ordine religioso»15.

La liturgia dei sensi e la memoria delle icone La dimensione ecclesiastica del Secolo d’argento è una caratteristica del modernismo russo che lo distingue dai suoi

2. Mosè riceve le tavole della Legge sul monte Sinai, XIII secolo, tempera, oro su feltro, Salterio di Costantinopoli (Palatino greco 381, f. 2r). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

corrispettivi europei. È opportuno ricordare che non solo alcuni dei pensatori più innovativi dell’epoca fossero sacerdoti, come Sergej Bulgakov o Pavel Florenskij, ma che molti poeti e pittori erano influenzati dalla fede ortodossa e dai suoi riti, così come dal canto corale e dall’arte delle icone. L’ortodossia religiosa rappresentò un elemento fondamentale per la pittura russa dell’epoca, soprattutto in relazione allo sviluppo del misticismo e dell’innovazione estetica, basata sulla contemplazione e sulla metafisica delle icone. Nelle opere di artisti come Kazimir Malevi , Vladimir Tatlin o Natalia Gon arova l’ascendenza della rappresentazione iconica16 è particolarmente evidente. Chagall non rimase indifferente a questa sensibilità verso l’arte delle icone e ai suoi aspetti liturgici: «… in Russia fui un grande ammiratore dell’arte tradizionale dei pittori di icone. I valori plastici e i colori delle icone possiedono qualcosa di magico e di irreale. All’improvviso, si accendono davanti ai nostri occhi, nell’oscurità di una chiesa, come bagliori di luce»17. Anche in un’altra intervista dà testimonianza della sua ammirazione per i valori plastici delle icone, la loro fattura e il trattamento della luce e del colore: «Perché sono diventato un pittore? Perché nei russi c’è una passione innata per la pittura […]. Ricordo ancora lo choc che provai nel Museo di Alessandro iii di San Pietroburgo, quando vidi nell’ombra le icone di Rublev, il nostro Cimabue, realizzate a encausto, come a Pompei o a Fayum, con una straordinaria purezza lineare»18. Come si è già detto, le icone influenzarono profondamente l’opera di Chagall19. Nel ciclo biblico si possono individuare i suoi riferimenti all’arte iconografica, in particolare in merito ad alcuni aspetti formali e alla concezione del tempo20. Nella rappresentazione Mosè riceve le tavole della Legge sul monte Sinai, l’immagine della mano che simboleggia l’intervento di Dio è ricorrente nell’iconografia tradizionale21. Chagall rappresenta Mosè su un fondo scuro e montagnoso, con le mani e la testa rivolte verso l’alto, nell’atto di ricevere dalle mani di Dio, coperte da una nube, le tavole della Legge raggianti di luce. Nonostante si possano riscontrare alcune varianti nella rappresentazione della figura di Mosè, come la presenza delle corna22, la composizione di Chagall rimanda chiaramente alla tradizione delle icone, della quale l’immagine conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana costituisce un ottimo esempio (fig. 2). Un altro esempio dell’influenza della pittura iconica nell’opera di Chagall è riscontrabile nella rappresentazione di Elia sul monte Carmelo. Nell’icona Il profeta Elia nel deserto, del xiv secolo, conservata nel Museo dell’Hermitage, si può osservare il profeta vestito di rosso cremisi, rappresentato di tre quarti, seduto sullo sfondo di un paesaggio mon-

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

tano, con il corpo incurvato e messo in maggiore evidenza rispetto alla testa. Lo stesso tipo di composizione si ritrova nella gouache di Chagall, in cui è rappresentata la medesima scena, con un’unica differenza: nell’icona il profeta guarda verso l’alto, in direzione di un corvo che per ordine del Signore vola verso di lui portandogli del pane23. Oltre alle reminiscenze plastiche delle icone nei bozzetti biblici, è opportuno soffermarsi su alcuni principi più generali, come l’utilizzo delle scale dimensionali e l’aspetto temporale. Le icone privilegiano il canone allungato delle figure e la prospettiva invertita. Lo stesso principio si ritrova nelle gouaches. Così, per esempio, in Maria danza le proporzioni allungate, il ritmo lineare, la posizione frontale e le forme rette delle figure sono caratteristiche che possono facilmente essere individuate anche nelle icone. Chagall trae dalla tecnica iconica anche l’organizzazione spaziale, raffigurando gli episodi intorno a un unico motivo centrale. Si veda a tale proposito il bozzetto Mosè getta il bastone. In questo episodio, Mosè compie un miracolo per dimostrare al faraone che la sua missione arriva da Dio. Chagall lo rap-

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presenta in primo piano, con il bastone trasformato in serpente, in una scala smisuratamente grande rispetto agli altri personaggi. In secondo piano si può osservare un’altra scena in miniatura: la folla stupefatta si raggruppa intorno al faraone seduto sul trono. Dietro di lui si notano vari personaggi in preda all’agitazione e animali che cadono dall’alto in modo caotico. Queste scene rappresentate in miniatura rievocano gli episodi che fecero seguito al miracolo di Mosè. Il faraone, accecato dall’invidia, negò il permesso agli ebrei di uscire dall’Egitto e per questo motivo andò incontro al castigo divino. Varie catastrofi si succedettero, gli uomini e gli animali furono attaccati dagli insetti e morirono a causa di malattie. Dietro il serpente appare un’altra scena in miniatura: un gruppo di persone fa cerchio attorno a un angelo. Quest’immagine allude alle speranze del popolo ebraico. Analizzando la composizione dell’opera si vede chiaramente che lo spazio risulta organizzato secondo i principi della simultaneità, che consiste nel rappresentare i fatti anteriori

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3. Aleksandr Ivanov, La camminata sulle acque, 1850 ca., carta marrone, acquarello, biacca, matita, 26,7×39,3. Galleria Tret’jakov, Mosca.

e quelli posteriori contemporaneamente, raggruppandoli attorno a un tema centrale. Prendiamo per esempio le icone della Natività: in esse sono rappresentate diverse scene, come l’Annunciazione ai pastori, la Gloria degli angeli, l’Adorazione dei Re Magi, le Tentazioni di san Giuseppe e il Bagno del bambino Gesù. Le scene sono disposte intorno all’immagine della Vergine Maria e di Gesù – collocati al centro – senza un preciso riferimento alla loro sequenzialità temporale. La giustapposizione delle scene si basa su una prospettiva invertita e annulla il principio di tempo storico24; questa stessa tecnica la ritroviamo nelle icone e nei bozzetti di Chagall.

L’influenza della pittura russa La cultura pittorica russa ha molti aspetti in comune con le opere bibliche di Chagall, riscontrabili sia nei motivi formali e iconografici sia in quelli concettuali. Il primo tema ricor-

4. Nikolaj Guë, Cristo e Nicodemo, 1889, olio su tela, 70,2×97,3. Galleria Tret’jakov, Mosca.

rente che si può prendere in esame è quello delle fanciulle che danzano suonando i tamburelli, tipico dell’arte del xix secolo. La gouache di Chagall intitolata Maria danza ripropone questo motivo e può essere paragonato al quadro di Petr Shamshin Danzatrice con il tamburello, del 1840, nel quale una giovane donna è rappresentanta sullo sfondo del cielo azzurro, con una mano sollevata che regge un tamburello e vari personaggi che le danzano intorno25. Come Chagall, Aleksandr Ivanov (fig. 3) era affascinato dalla Bibbia e voleva, attraverso le sue creazioni artistiche, rivelarne il messaggio spirituale soffermandosi in particolare sugli enigmi dell’animo umano, la poesia universale e il logos sacro. Anche le immagini bibliche di Chagall, libere da ogni tipo di dogmatismo, si basano su una visione universale. Jacques Maritain, nel suo articolo sulle illustrazioni bibliche di Chagall, affermò: «Qui [Chagall] non ha voluto essere ebreo. È la poesia che egli aveva ascoltato, solo quella, ciò che ha voluto rappresentare»26. Chagall doveva conoscere bene l’opera biblica di Ivanov, esposta nei musei di San Pietroburgo e Mosca. Secondo Ekaterina Selezneva, il suo interesse artistico nei confronti del libro sacro si deve, infatti, in gran parte al pittore russo27. Durante la sua visita alla Galleria Tret’jakov di Mosca, in occasione della sua retrospettiva, Chagall espresse grande ammirazione per i bozzetti biblici di Ivanov28: «All’improvviso Chagall torna indietro, nota alcuni studi e bozzetti. Ne è letteralmente rapito. Si avvicina […] osserva in silenzio, è assorto. Guarda l’opera, i bozzetti, con espressione molto seria ed esclama: Magnifico! Tutto magnifico! Quello! E quell’altro! Magnifico! E allargando le braccia cinge l’intera sala»29. Il confronto tra i cicli grafici dei due artisti testimonia la similitudine tra le loro soluzioni compositive e pittoriche; in particolare, in relazione alle scale di enormi dimensioni delle figure che si determinano in base alla rilevanza semantica o spirituale dei personaggi, a prescindere dalle regole della prospettiva. L’asimmettria si ritrova in vari punti delle loro composizioni, anche grazie a un particolare procedimento che consiste nel tagliare il bordo del foglio in modo da ottenere un effetto cinematografico. Ciò determina una maggiore fluidità delle linee e una straordinaria libertà nella composizione dei piani. È opportuno sottolineare, inoltre, l’uso della superficie originale della carta come elemento costruttivo dell’opera pittorica. Il colore, infine, è definito dai contrasti e dalla densità degli strati, stesi con svariate tecniche, e contribuisce a una maggiore emotività del lavoro finale. In sostanza, sono tutti questi elementi a creare una sensazione di drammaticità e di tensione. Nikolaj Guë, artista dallo spirito fervente, a differenza degli

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

altri pittori ambulanti30, che si limitavano a denunciare attraverso i propri quadri le ingiustizie sociali, scelse come tema principale della sua opera il testo biblico. Il pittore russo dipinse storie dell’Antico e del Nuovo Testamento con straordinaria forza emotiva e profondo misticismo. Amico di Tolstoij, Guë dedicò il proprio pensiero alle questioni etiche intrinseche alla visione biblica. Nelle sue opere religiose, libere da ogni forma di dogmatismo ecclesiastico, viene messa in risalto la condizione umana dei personaggi, rappresentata attraverso soggetti carichi di passioni e angosce. Cristo, tema centrale della pittura di Guë, è rappresentato come un profeta reietto, condannato dalla legge, torturato e crocifisso, privo di una dimensione metafisica e simbolo di amore e sacrificio31. Nella visione di Chagall, il destino dei profeti e di Cristo rivela il futuro tragico dell’umanità e i valori etici universali32. Nelle tele di Guë una luce magica avvolge i personaggi in un’atmosfera lacerata dalle passioni sublimi. Nella contrapposizione di toni caldi (ocra, dorato, arancio, rosso e porpora) e freddi (celeste, turchese, violetto) si percepisce la palpitazione della materia pittorica concepita come organismo vivo33 (fig. 4). Gli espedienti pittorici di Guë e di Chagall sono molto simili: trattamento individualizzato dei personaggi, essenzialità della composizione, espressività dei gesti, drammatizzazione emotiva data dal contrasto luci/ombre, applicazione libera del colore in modo da sopprimere la nitidezza dei piani. Un altro modello importante per Chagall, fu il pittore Michail Vrubel, famoso per le sue rappresentazioni di profeti fieri ed eroici, angeli e serafini ferventi. La sua pittura sorprende per l’esaltazione religiosa e per la rappresentazione di presagi mistici e personaggi fantastici. Nell’autobiografia La mia vita, Chagall racconta di un sogno nel quale Vrubel gli era apparso nelle vesti di suo fratello34.

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Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

5. Michail Vrubel, Pietà, trittico, 1887, carta, acquarello, grafite. Museo delle Belle Arti, Kiev. O Serafino a tre paia di ali (dalla poesia di Aleksandr Puškin, 1905, matita, acquarello su carta. Museo Puškin, San Pietroburgo).

Le allusioni all’arte russa sono riscontrabili anche nelle sculture di Aleksandr Matveev, il quale riuscì a combinare i principi dell’arte classica con le tecniche impressioniste36. I suoi bambini e i suoi adolescenti, sommersi in un’atmosfera sognante, priva di dinamismo esplicito, e impregnati di una grazia classica, ricordano alcuni corpi rappresentati nelle gouaches di Chagall. In uno studio per il monumento funebre di Borisov-Musatov, la composizione di un bambino con la testa inclinata da un lato, gli occhi chiusi, le gambe e il torso uniti da un movimento circolare è simile alle figure di Adamo e Isacco nei bozzetti biblici di Chagall. In entrambi i casi, la rappresentazione dei corpi rimanda al simbolismo del destino che si compie37.

Altre influenze artistiche Accanto all’eredità russa, differenti tradizioni e correnti artistiche sono confluite nella formazione del linguaggio pittorico di Chagall. Dall’arte greca alla pittura di Rembrandt, numerosi sono i rimandi ad altre tradizioni pittoriche che si percepiscono nell’iconografia e negli aspetti formali dei bozzetti biblici.

Influenze greche

L’artista riprende da Vrubel i temi del volo e della caduta e nelle loro opere sono riscontrabili alcuni parallelismi. Gli esempi sono numerosi: Il volo di Faust e di Mefistofele, Demonio che vola, Demonio caduto, Serafino dalle sei ali, Il profeta. Nelle tensioni tragiche dei personaggi di Vrubel sono sempre presenti i sentimenti più intensi dell’essere umano: l’orgoglio, la solitudine, l’estasi, l’amore. Si tratta esattamente degli stessi sentimenti di cui è intrisa la visione biblica di Chagall35. Anche Vrubel è un pittore biblico e concede ai suoi personaggi un pathos tragico, espresso attraverso i gesti, gli sguardi e gli atti simbolici. La visione cosmica dell’universo, la dicotomia dei sentimenti, la lotta tra luce e ombra, che permeano le visioni mistiche di Vrubel, sono presenti anche nell’opera di Chagall. L’influenza di questo pittore simbolista si può apprezzare anche in alcuni schemi compositivi e iconografici. Nell’opera Il serafino e il profeta, per esempio, la contrapposizione tra i personaggi si rivela attraverso gli sguardi e le diagonali che delimitano gli assi

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simbolici della composizione. La stessa tecnica si può osservare nei bozzetti in cui Chagall rappresenta i profeti. Quello di Abramo e degli angeli è un tema ricorrente nella pittura russa, come testimonia un famoso quadro di impianto lirico di Michail Nesterov (1985). In un bozzetto preparatorio per la decorazione di un tempio ortodosso, Vrubel ha rappresentato i tre angeli bianchi di spalle e seduti uno accanto all’altro. Questa stessa composizione la ritroviamo nell’omonima gouache di Chagall e in altre sue opere successive. Un ultimo esempio potrebbe essere quello della Pietà (1887, fig. 5), simile alla gouache Abramo piange Sara. In entrambe le composizioni, il corpo del morto disteso a terra con gli occhi chiusi, illuminato da un biancore mortale, appare immerso in un ambiente verdognolo. La madre di Gesù, coprendo il proprio volto con la mano, in segno di dolore, piange la morte del figlio. Con lo stesso gesto è rappresentata l’afflizione del patriarca dinanzi alla sua sposa morta nell’opera di Chagall.

Gli artisti russi guardarono con interesse all’arte greca, soprattutto agli inizi del xx secolo, grazie all’influenza del movimento chiamato Le monde d’Art38. Queste tendenze si evidenziano nella pittura di grandi maestri come Valentin Serov, Aleksandr Benois o Viktor Borisov-Musatov. Attraverso gli insegnamenti del suo mentore, Léon Bakst, Chagall conobbe l’arte della decorazione dei vasi e delle sculture arcaiche39. A Parigi, ebbe l’occasione di approfondire le sue conoscenze dei monumenti greci visitando il Museo del Louvre40. Nelle gouaches bibliche si ritrovano diversi riferimenti all’arte greca. Per esempio, la composizione de La creazione dell’uomo, nella quale un angelo sostiene tra le braccia il corpo inerte di Adamo, rimanda chiaramente a un’opera del 500 a.C. di Duride, conservata al Louvre. In essa, la dea alata Aurora sostiene il corpo nudo del figlio Memnone, re d’Etiopia, assassinato da Achille nella battaglia di Troia41. La dea alata è rimpiazzata nel bozzetto da un angelo con la barba, del tutto simile a quella di Memnone. Le ali dell’angelo nella gouache sono tracciate imitando le stesse forme delle ali di Eos, con i due strati di piume trasformati da Chagall in

due ali. L’espressione inerte dell’eroe morto è definita nella ceramica greca attraverso la testa e i piedi cadenti da un lato e dagli occhi chiusi. In Chagall, questa identica formula iconografica è utilizzata per trasmettere l’idea del corpo senza spirito, come quello di Adamo prima che Dio gli infondesse l’alito di vita rendendolo un «essere vivente»42. Riferimenti al mondo classico sono riscontrabili anche nell’opera La creazione di Eva. In questo caso, Adamo, seduto con un braccio intorno alla testa e lo sguardo rivolto all’osservatore, ricorda le formule greche chiamate apostrophe43. Chagall le utilizza nelle scene che rievocano il sogno, lo stato incosciente o la morte. Attraverso lo sguardo rivolto all’osservatore si trasmette l’idea di assenza del personaggio dalla scena rappresentata. Chagall si serve di questa formula iconografica per evocare lo stupore di Adamo di fronte alla creazione di Eva44.

Chagall e Rembrandt Tra tutti gli artisti venerati da Chagall, Rembrandt occupa un ruolo di primo piano. Nella sua autobiografia, l’artista afferma: «Sono certo che Rembrandt mi ama»45. Il suo primo contatto con la pittura del maestro olandese avviene in Russia, i cui musei sono famosi per le loro ricche collezioni di opere di questo pittore. Nella Scuola di Zvantzeva, nella quale si formò Chagall, si organizzavano spesso visite all’Hermitage per trasmettere agli alunni lo spirito della pittura antica: «Durante le nostre visite al museo, l’analisi dei quadri di Rembrandt e di altri maestri classici aveva come obiettivo quello di dare agli allievi una visione globale dell’arte»46. L’interesse per l’arte di Rembrandt è evidente nell’opera di Chagall già a partire dal decennio del 1910 e si riflette nella «topografia spirituale» dei volti degli anziani ebrei47, come si può osservare nei quadri L’ebreo in verde (1914), L’ebreo in bianco e nero (1914), L’ebreo in rosso (1915). Questa caratteristica riapparirà più tardi nella sua rappresentazione dei personaggi biblici. Nel 1932, in occasione dell’inaugurazione della retrospettiva dedicata alle sue opere, Chagall si recò in Olanda e pubblicò un resoconto della sua visita sulla rivista L’Intransigeant48: «Per trovare gli ebrei che avrebbero posato per lui, Rembrandt non dovette far altro che uscire per strada. Il Re Saul, un profeta, un venditore, un mendicante, ecco chi sono gli ebrei, i suoi vicini…». Non molto tempo dopo, l’artista confermò al filosofo religioso Pierre Courthion che Rembrandt era sempre stato il suo maestro e la sua guida spirituale49. Il lavoro preparatorio per la Bibbia coincide con la nuova pub-

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6. Rembrandt, La moglie di Putifarre, 1634, acquaforte, 9,1×11,5. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

7. El Greco, Sant’Andrea e San Francesco, 1595 circa, olio su tela, 167×113 cm. Museo Nacional del Prado, Madrid.

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

L’eredità spagnola

blicazione delle acqueforti di Rembrandt per l’Antico e Nuovo Testamento; Chagall prestò particolare attenzione alle incisioni bibliche di Rembrandt, un interesse condiviso da altri artisti che lavoravano per Vollard, come Picasso e Rouault50. L’influenza delle incisioni di Rembrandt su Chagall è avvertibile anche nella gouache intitolata Giuseppe e la moglie di Putifarre (fig. 6). Il suo schema compositivo è simile all’omologa acquaforte di Rembrandt. La cornice della scena, nella quale la donna seminuda è distesa sul letto, la posizione del letto contro una parete scura, la tenda intorno al mobile e il vestito orientaleggiante di Giuseppe sono alcuni degli elementi che le opere dei due artisti hanno in comune. L’influenza del maestro olandese, ovviamente, non arriva solo

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dalle incisioni, ma anche dall’opera pittorica. La posizione delle figure centrali nel bozzetto Giuseppe riconosciuto dai fratelli, per esempio, è basata sul quadro Il figliol prodigo di Rembrandt. Un altro esempio è quello de Il sacrificio di Isacco, nel quale la composizione è molto simile all’omonimo quadro di Rembrandt. Va osservato, però, che nell’opera del pittore olandese, l’azione dei personaggi è molto più dinamica che in Chagall. In Rembrandt, per esempio, l’angelo afferra con forza il braccio di Abramo, laddove in Chagall si limita a guardarlo. La somiglianza tra le due opere è evidente soprattutto per la posizione dei personaggi, per la definizione del volto di Abramo rivolto all’angelo e per l’uso dei contrasti di luce.

La pittura spagnola iniziò a far parte delle collezioni russe agli inizi del xix secolo. In quello stesso periodo furono realizzate anche alcune riproduzioni dei quadri dei maestri iberici che circolavano grazie alle riviste d’arte. L’interesse per questa scuola pittorica indusse Chagall a recarsi in Spagna, nel 1934, allo scopo di studiarne gli aspetti formali. Numerosi sono i riferimenti all’arte spagnola nei bozzetti biblici. Il primo esempio è quello della figura del profeta ne Il sogno di Giacobbe. L’immagine del patriarca, vestito di nero, disteso a terra con la testa appoggiata al palmo della mano, si rifà all’omonimo quadro di Ribera51. Ma l’artista spagnolo che maggiormente influenzò Chagall fu senza dubbio El Greco, «il più grande tra gli spagnoli», un artista che «dipinge con audacia, con una sorta di attitudine selvaggia e un uso del bianco e nero senza eguali in quest’epoca»52. Nella pittura de El Greco, la rappresentazione delle nuvole riveste un ruolo di primo piano, perché esse riflettono le turbolenze della natura e svelano la dimensione simbolica della scena rappresentata53. Nei bozzetti biblici di Chagall, le nuvole costituiscono un elemento di grande dinamismo che rivela la dicotomia della Bibbia. In Mosè spezza le tavole della Legge, per esempio, le nuvole che scaturiscono dall’oscurità si levano verso l’alto e riempiono il cielo del Sinai, simboleggiando l’ira. Le nuvole bianche, invece, contengono l’iscrizione con il nome di Dio e rappresentano la presenza divina. L’allungamento delle figure è un altro tratto che Chagall riprende dal maestro spagnolo. «El Greco affermava che l’idea alla base delle grandi figure da lui dipinte era quella di rappresentare dei corpi celestiali, come circonfusi di luce, che visti da lontano, per quanto piccoli, ci sembrano enormi»54. Un altro punto in comune tra l’opera de El Greco e quella di Chagall è la rilevanza del gesto. Nell’opera dello spagnolo «non solo le mani compiono gesti, ma l’intero organismo è in sé un gesto assoluto»55. A tale proposito, ritroviamo riferimenti iconografici ben precisi nella figura di Noè, che ricorda quella di Laocoonte del pittore spagnolo. Per quanto la composizione del quadro di quest’ultimo risulti molto più dinamica, la postura del vecchio disteso, con una gamba piegata, il braccio appoggiato a terra e il corpo ben allungato a mostrare la carne nuda, ha senza dubbio ispirato l’omonima gouache di Chagall. Allo stesso modo è evidente un parallelismo tra Mosè e Aronne e Sant’Andrea e San Francesco (fig. 7). Le enormi proporzioni delle figure, che si allungano fino a occupare tutta l’altezza del quadro, la posizione centrale dei personaggi, i gesti, gli sguardi contrapposti, il colore delle vesti, il cielo

che discende fino ai piedi: tutti questi elementi sono praticamente identici nelle due composizioni. Infine, nella figura di Mosè sparge la morte tra gli Egiziani di Chagall, le proporzioni allungate, il gesto del santo con le mani alzate e lo sguardo estatico rivolto al cielo evocano l’immagine di san Giovanni de L’ultima visione dell’Apocalisse del pittore spagnolo. Tuttavia, mentre i personaggi di El Greco sono agili e sinuosi come fiamme, i profeti di Chagall sono massicci, pesanti, quasi scultorei: «corpi pensanti, imperfetti, che restano seduti mentre svolgono il loro lavoro, che vivono nella preghiera o nelle speculazioni dello spirito»56.

L’iconografia di Dio o L’innominabile57 Nel realizzare le illustrazioni bibliche, Chagall deve affrontare un dilemma primordiale: quello della rappresentazione di Dio. In una sua poesia, Chagall dialoga con il Creatore:

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

8. Estasi (Extasie), 1918, inchiostro di china su carta, 16×12,5 cm. Museo di Israele, Gerusalemme.

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

9. George Rouault, Clown tragico (Tête de clown tragique), 1904-1905 circa, acquarello, pastello, gouache su carta, 37×26,5 cm. Kunsthaus, Zurigo, dono di Max Bangerter.

«Sono tuo figlio […] Tu m’hai riempito le mani di colori, di pennelli ed io non so come dipingerti»58. Le soluzioni elaborate dal pittore, per grandi linee, sono simili a quelle degli artisti ebrei del Medioevo, i quali evocavano la presenza divina attraverso il tetragramma yod-hevav-hé, l’impronunciabile, oppure l’innominabile. «Quando il tetragramma appare all’interno di un testo, la sua lettura è hachem che vuol dire il nome oppure Adonaì, il Mio Signore»59. Un altro modo per evocare la presenza di Dio consisteva nel rappresentare la sua mano. L’origine di questa tendenza si deve probabilmente al Midrash, nel quale si afferma che Dio consegnò la Torah a Mosè con la mano destra60. Secondo Metzger, la mano di Dio si ritrova in differenti codici miniati come simbolo della presenza divina, a partire dagli affreschi di Doura-Europos61. Il rotolo della Torah, simbolo della parola sacra, e il candelabro, depositario della luce trascendentale, sono altri motivi iconografici che evocano la presenza di Dio. La menorah rappresenta lo Spirito di Dio ed è portatrice di speranza nella redenzione messianica. Oltre che oggetto in grado di riflettere l’immagine di Dio, la menorah è diventata anche simbolo della luce62. Nel bozzetto pre-preparatorio alla Creazione di Eva, l’Innominabile appare in forma umana. La sua figura rimanda alla tradizione cristiana della raffigurazione di Dio Padre, ma una rappresentazione simile si può osservare anche in un codice miniato della Haggadah63. Sin dall’epoca rabbinica, la teologia ebraica indica la presenza di Dio nel mondo con il termine Shekhinah, o Ali di Shekhinah, e la rappresenta attraverso una nuvola, una luce celestiale o la presenza di angeli. Questi stessi elementi sono ripresi da Chagall per la rappresentazione del divino. Gli angeli simboleggiano la bellezza e la presenza dell’eterna saggezza di Dio nelle cose umane e sono messaggeri ed esecutori della sua volontà. Nella tradizione mistica sono rappresentati come uomini per sottolinearne la vicinanza agli esseri umani64. La rappresentazione di Dio attraverso gli angeli ha origine nel Talmud, nel quale si menzionano le effigi di due angeli situati nel deserto accanto all’arca dell’Alleanza. Nel corso delle tre feste di pellegrinaggio, secondo il Talmud, i cherubini furono mostrati al pubblico, abbracciati, uno con il volto di un uomo e l’altro con le fattezze di un bambino65. La presenza dell’angelo come rappresentazione dell’immagine di Dio si ritrova anche nell’iconografia bizantinoortodossa, pertanto ne troviamo alcuni esempi nelle icone dedicate alla creazione dei primi uomini66. Questo tipo di immagine rimanda al Midrash, secondo il quale gli angeli assistettero alla creazione dell’uomo67.

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L’immagine degli angeli nell’opera di Chagall si arricchisce anche della concezione trinitaria propria della cultura ortodossa russa. Si tratta della cosiddetta Epifania di Abramo: i tre angeli che si recarono a casa del patriarca nell’ora più calda del giorno rappresentano la sacra unione di Dio Padre, Dio Figlio e Spirito Santo. Di fatto, Abramo, vide tre persone, ma le adorò come un’unica entità68. Nei bozzetti biblici di Chagall sono molto frequenti le rappresentazioni degli angeli come giovani adolescenti di bell’aspetto, tuttavia in Dio crea l’uomo e L’arcobaleno l’angelo è raffigurato come un uomo maturo e con la barba. Quest’immagine è presente anche nel Talmud. La barba simboleggia la maturità e la saggezza, secondo la visione della Grecia antica, ed è probabile che Chagall si sia ispirato proprio a quella tradizione. Un’altra fonte visiva che rimanda a questa immagine è la rappresentazione classica di Cronos, Dio del tempo primordiale, che acquisisce le fattezze di un anziano alato con la barba69. Queste raffigurazioni del Dio del tempo erano ben note sin dall’epoca medievale e perdurarono per tutto il Rinascimento e nell’età barocca. L’immagine dell’angelo vecchio e barbuto appare anche nella pittura simbolista di Odilon Redon, molto apprezzata dagli artisti russi e ben nota a Chagall70. A tale proposito, risultano particolarmente esemplificativi due disegni a pastello di Redon: L’angelo vecchio (1892-1895) e Il vecchio alato e barbuto (1895). Nel primo, un uomo alato e con una folta barba grigia è seduto su una roccia, con lo sguardo rivolto al cielo. Nell’altro, l’angelo barbuto è rappresentato in una chiesa, di profilo, coperto da una lunga tunica.

La Bibbia come metafora politica L’onda di antisemitismo cresceva spaventosamente e le notizie dei primi pogrom71 aveva raggiunto la Francia. Il clima politico era sempre più inquietante e la minaccia di una nuova guerra iniziava a prendere forma. In seguito alla realizzazione delle gouaches di Chagall per le Favole di La Fontaine, pubblicate da Vollard, varie voci antisemite si levarono contro l’editore francese per aver ingaggiato un pittore di origine ebraica72. La sicurezza economica per Chagall e la sua famiglia svanì in quanto numerosi contratti gli furono annullati73. I suoi quadri più importanti del decennio del 1920 sono basati su premonizioni politiche e inquietudini personali74: Il vecchio e il bambino, Il vecchio che legge, L’uomo con la Torah sotto la neve, Sui tetti. I bozzetti preparatori per la Bibbia non costituiscono un’eccezione; per gli ebrei, i racconti della Bibbia rappresentano la storia dei propri ante-

nati, sono una realtà viva, che rivela la familiarità di questo popolo con gli insegnamenti biblici. In questo contesto, le profezie dei padri spirituali degli ebrei si configurano come un paradigma della speranza, in particolare durante i terribili anni ’30. La lettera di Chagall all’amico Leo Koenig è particolarmente significativa a riguardo: «Mi appresto a fare I profeti (per l’editore Vollard di Parigi) sebbene il clima non sia affatto profetico; al contrario il male ha preso il sopravvento. Bisogna opporsi. Per quanto strano possa apparire, in questa nostra epoca che, nonostante le numerose conquiste, io considero folle, si sta diffondendo la tendenza a sfuggire verso un’altra dimensione»75. Successivamente, Chagall utilizza I profeti come metafora politica per denunciare la guerra e auspicare la pace: «Cristo in persona e i profeti, a piedi nudi, camminavano privi di “forza” sulla terra. Allo stesso modo, Mosè, legislatore balbuziente, si prostrò, privo di “forza”, dinanzi alle porte della Terra promessa senza potervi entrare»76. La lettura politica dei bozzetti biblici, realizzata da numerosi studiosi, fa chiarezza su aspetti importanti dell’iconografia77 di Chagall. L’obiettivo dei seguenti paragrafi è spiegare co-

me la scelta di determinate formule iconografiche permetta all’artista di esprimere la sua opinione sugli avvenimenti storici del suo tempo.

Un’immagine provocatoria: Aronne e il candelabro Nella gouache pre-preparatoria di Aronne davanti al candelabro, la figura del profeta, rappresentato con le fattezze di un uomo molto anziano, occupa meno della metà dell’opera. La composizione è predominata, invece, da un candelabro d’oro di enormi dimensioni. Questa scelta compositiva, basata sul parallelismo tra la figura del profeta e il candelabro rimanda all’iconografia ebraica. In un manoscritto medievale conservato a Londra, per esempio, un uomo barbuto, vestito di una lunga tunica, introduce dell’olio in un candelabro che, date le enormi dimensioni, acquisisce un ruolo importante78. Nel capitolo 28 dell’Esodo si descrive l’obbligo di Aronne di accendere il candelabro d’oro (menorah), che simboleggia la luce divina e la speranza79; quest’immagine non ha lo scopo di illustrare un preciso epi-

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

sodio, ma vuole semplicemente rievocare la legge biblica. Ciò che lascia perplessi in questa prima versione dell’opera sono le vesti di Aronne, il quale indossa una tunica bianca e un efod80, come indicato dalle prescrizioni bibliche; tuttavia, le vesti sono ornate da volant e il profeta indossa un copricapo a punta. Questi elementi ricordano i travestimenti circensi e inducono a riflettere sull’ambiguità semantica dell’opera, che gioca sul contrasto tra sacro e profano. La sua origine va ricercata nella religiosità chassidica, che prevedeva la presenza di buffoni e musicisti nei momenti di festa81. Nel disegno intitolato Estasi, del 1917, Chagall rappresenta uno di questi comici che recita indossando una tunica adornata da volant e il copricapo appuntito decorato con un tefilin82 (fig. 8). L’immagine di Aronne, con lo sguardo perso nel vuoto e colmo di tristezza, rimanda anche alla figura del pagliaccio bianco83. La tradizione pittorica, a partire da Watteau, utilizza questa figura come simbolo di sofferenza e di erranza, ma

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10. Scena di paese a Vitebsk (Scéne de village à Vitebsk), 1924-1926, olio su tela, 39×55,5. Albertina, Vienna.

anche come richiamo alla vittima sacrificale, offrendo così un parallelismo con il tema della passione84. Questa nuova dimensione simbolica del clown è perfettamente condensata nella pittura di Rouault, il quale a partire dall’opera intitolata Clown tragico (1904-1905) (fig. 9) e fino alla sua serie di incisioni dal titolo La stella fugace e Miserere, realizzati per Vollard negli anni Trenta, trasmette attraverso l’immagine del vecchio saltimbanco una lettura profonda della condizione umana, velata di impressioni mistiche. I volti dei vecchi pagliacci, segnati dal dolore come emuli spirituali di Cristo, rappresentano l’inquietudine politica che si stava delineando nel periodo tra le due guerre85. Anche nell’opera di Chagall la figura del clown può essere associata al contesto politico del suo tempo, proprio perché rievoca il dolore e gli orrori della guerra. Nel 1925, Chagall dipinge Scena di paese a Vitebsk (fig. 10), in cui il vecchio pagliaccio bianco appare disteso a terra con una lampada in mano86. Alla sua destra si vedono un gallo e una capra

11. Kasimir Malevič, Preghiera, 1907, studio per un affresco, mestica su cartone, 70×74,8 cm. Museo nazionale russo, San Pietroburgo.

– animali che nella sua opera87 simboleggiano il sacrificio – dall’aspetto indifeso e circondati da un’atmosfera allarmante. Sul tetto si intravede un vecchio con una borsa e un bastone, elementi emblematici dell’ebreo errante. La scena si completa con un carro trainato da cavalli, motivo simbolico che rappresenta la fuga da un mondo dominato dalla sofferenza e da un continuo senso di minaccia. I riflessi rosso sangue del cielo, invece, alludono con molta probabilità ai pogrom e ai disastri che la guerra provocò in Russia. L’immagine provocatoria di Aronne, vestito come il pagliaccio bianco, risponde alla medesima logica: il profeta richiama l’immagine del vecchio saltimbanco, l’uomo della diaspora, perseguitato e umiliato, è portavoce della verità, simbolo di erranza e di sofferenza; rappresenta quindi una chiara metafora politica della minaccia di distruzione del popolo ebraico88. Nel quadro Fuga in Egitto, del 1944, Chagall unisce ancora una volta sacro e profano evocando il suo esilio forzato negli Stati Uniti. L’episodio biblico di Maria e Giuseppe in fuga dalla persecuzione di Erode è molto ricorrente nella pittura religiosa. Nell’opera di Chagall, la Sacra Famiglia abbandona un villaggio russo, circondato da un paesaggio deserto e innevato; fuggono di notte, nell’oscurità, e solo una candela, simbolo di morte e di speranza al tempo stesso, illumina il loro cammino. Al posto di Giuseppe, però, Chagall dipinge un buffone che indossa un cappello conico e la solita veste con i volant. L’intera composizione rimanda alla vulnerabilità umana in tempi apocalittici. Chagall fa riferimento, nei suoi scritti, a un parallelismo tra i personaggi del circo e quelli della Bibbia: «Ho sempre visto nei clown, negli attori e nei musicisti l’essenza tragica dell’umanità. Per me sono simili a certe figure dei quadri religiosi»89. Quest’affermazione lascia facilmente comprendere come la scelta di rappresentare il pagliaccio bianco in questo bozzetto biblico non sia affatto casuale; questo soggetto rivela un’intenzione simbolica ben precisa e costituisce una risposta alle circostanze politiche dell’epoca, sempre più allarmanti. Nella versione finale della gouache di Aronne davanti al candelabro, queste tensioni circensi sono abolite in favore di una composizione più integra che dà maggiore enfasi allo spirito e alla dignità del profeta. Aronne appare vestito con una tunica, un copricapo e un efod, indumenti tipici del sommo sacerdote. Tuttavia, la dimensione politica non rimane esclusa da questa versione definitiva. Lo sguardo penetrante del profeta sembra gridare di dolore. Il suo volto, ispirato al disegno preparatorio di Guerra (1914) e costruito a partire da una deliberata deformazione di linee spezzettate, riflette angoscia e tragiche premonizioni.

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

Il profeta Elia sul monte Carmelo o Homo melancholicus La gouache Il profeta Elia è ispirata al Primo libro dei Re (18,42), nel quale si afferma che il profeta «salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia». Chagall disegnò il profeta nella postura descritta nella Bibbia, come «una massa circolare, una specie di montagna umana nella quale si distinguono solo la grande testa e le mani»90. La posizione di Elia costituisce un punto chiave per l’interpretazione di questa immagine. Il profeta, seduto sullo sfondo di un paesaggio solingo, in meditazione, ricorda l’iconografia russa nella quale quella stessa posizione è metafora dell’angustia dei profeti, degli eremiti, dei monaci e di Cristo91. Alcuni esempi, a tale proposito, sono le opere Cristo nel deserto e Il Profeta di Kramskoy, La meditazione di Cristo di Vrubel e I monaci di Nesterov. La meditazione, in un senso più profondo, implica la preghiera; Elia, infatti, sale sul monte Carmelo per implorare la clemenza di Dio. La posizione del suo corpo rievoca l’abbozzo di un affresco di Malevi in cui il profeta è raccolto in preghiera (fig. 11). Il parallelismo tra le due figure si avverte nella posizione dell’orante seduto, con il corpo incurvato e le mani sulle ginocchia, ma anche nel rosso ardente che predomina la caratterizzazione di entrambi i personaggi e nella dimensione simbolica della preghiera come forma di meditazione e di riflessione. Va osservato, tuttavia, che la fragilità e la sinuosità della figura nell’Uomo orante di Malevi diffe-

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12. Disegno n. 33, 1931, illustrazione per Lider un poemen (Canti e poesie) di Avrom Valt Liessin, Forverts Association, New York 1938, inchiostro su carta vergata filigranata, 23×16 cm. Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, donazione 1988.

risce molto dalle masse imponenti della gouache di Chagall. La rappresentazione della meditazione e della preghiera nella pittura russa è correlata, come si è visto, a una dimensione malinconica. Ciò deriva dall’idea secondo cui la malinconia avrebbe origine dalla coscienza dell’esilio, dell’imperscrutabilità dell’assoluto e dalla perdita del paradiso92. La malinconia rende manifesta una certa necessità di contatto con la sfera sovrannaturale; nella coscienza di poter accedere a tale dimensione risiedono le radici dell’angustia e dello stato malinconico. Secondo Hubertus Tellenbach, la struttura del tipo malinconico rimanda a un principio formale importante: quello dell’ordine. Questa specifica concezione dell’ordine consiste nella volontà di occupare un posto preciso, di risiedere per un certo tempo in un certo spazio delimitato, organizzato secondo riferimenti solidi e ben definiti93. Il profeta è seduto sulla cima della montagna, luogo sacro per eccellenza94, ma al tempo stesso, locus simbolico della dimensione meditativa e malinconica. Nell’arte del periodo compreso tra le due guerre, immagini malinconiche furono utilizzate per evocare il contesto politico inquietante e ostile dell’epoca95. L’idea di Chagall di abbozzare il profeta come homo melancholicus ha dunque una probabile connotazione di tipo politico. Non è un caso che l’artista, tra i tanti episodi noti della vita del profeta96, scelga proprio questo momento di supplica e di timore. La posizione del profeta e il suo sguardo penetrante rivolto all’osservatore evocano lo stato d’animo dell’artista in quei tempi «non profetici» e sono un riflesso del sentimento di orrore e di impotenza di fronte alle minacce politiche e all’esperienza dell’esilio. Chagall adotta il prototipo dell’uomo cristiano immerso nell’angustia come metafora politica dell’esodo e delle persecuzioni del popolo ebraico e questa metafora diventerà un motivo costante della sua opera97. Nel 1931, in un’immagine che illustra la poesia di Avrom Liessin L’esilio (fig. 12) appare ancora una volta questa stessa figura: un uomo con la barba, incurvato e vestito di una tunica, seduto a terra con le mani e la testa appoggiate alle ginocchia piegate, con un aspetto stanco e triste. Nella parte superiore del quadro, un angelo sovrasta la scena. In Solitudine, dipinto nel 1933 (cfr. p. 25), Chagall torna a questo stesso schema compositivo, modificando leggermente la postura del personaggio seduto. Questo quadro, dipinto lo stesso anno in cui si accendono i primi autodafé hitleriani, rappresenta una chiara metafora politica, che Massenzio definisce come allegoria della malinconia, dell’antisemitismo e dell’erranza98.

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13. Il vecchio con la barba (Le veillard avec la barbe), 1931, tempera e acquarello, carboncino o grafite su carta, 68,1×48,3. The Jewish Museum, New York.

La colomba dell’arca Nella trilogia delle gouaches realizzate da Chagall per illustrare gli episodi relativi all’arca di Noè, per la prima volta nella storia dell’iconografia giudaico-cristiana viene rappresentato l’interno dell’imbarcazione. Lo sfondo oscuro dell’arca, sottolineato dalla monumentalità delle figure umane, provoca una sensazione di angoscia e di insicurezza. Di contro, l’immagine di una colomba sullo sfondo del cielo azzurro richiama il simbolismo della speranza e della libertà. In una sua poesia Chagall esclama: «Dov’è quella colomba che volava vittoriosamente davanti a noi?»99. Ci sono due gouaches pre-preparatorie e una preparatoria per la rappresentazione di questo episodio. Nelle prime versioni, il profeta ha le caratteristiche di un ebreo di Vitebsk, con una lunga barba, un caffettano e un copricapo, così come apparivano nelle fotografie dell’epoca, mentre nella versione definitiva, la figura del profeta acquisisce un aspetto più nobile e sobrio. La prima gouaches mostra Noè da una prospettiva frontale, mentre la colomba appare nella cornice della finestra, dove è tornata dopo il suo primo volo, non avendo trovato un al-

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

bero sul quale posarsi. L’espressione drammatica del profeta simboleggia l’insicurezza del momento che sta vivendo, ma al contempo vuole anche trasmettere un senso di speranza. La postura del patriarca ricorda quella dei vecchi che Chagall aveva dipinto nel decennio del 1910: rappresentati da una prospettiva frontale, seduti o in piedi, essi emanano un profondo senso di spiritualità e di fede. Allo stesso modo, nel disegno intitolato Il vecchio rabbino che legge la Torah (1914), l’espressione del vecchio ebreo con la barba bianca, concentrato nello studio delle scritture, vuole infondere un senso di tristezza ma anche di spiritualità, aspetti simili a quelli di cui è intrisa la figura di Noè. I volti dei profeti di Chagall, secondo Meyer Schapiro, «sono profondamente ebraici. Essi rappresentano con enfasi convincente la fisionomia spirituale del suo popolo, la sua pietà, i suoi problemi, le sue facoltà contemplative. Tutto ciò senza nessun tipo di idealizzazione. I personaggi di cui era impregnata la memoria di Chagall sapevano imporsi in modo esemplare, ciascuno integro nella propria individualità»100. Il vecchio con la barba, del 1931 (fig. 13), rivela una notevole somiglianza con questa versione di Noè. Il suo volto, segnato dalle rughe, con il naso prominente e la lunga barba bianca, è espressione di quel profondo senso di umanità già presente nella gouache biblica. Si notino anche gli indumenti di colore scuro, con un cordone in vita, la collocazione centrale all’interno della composizione, la figura allungata verso l’alto, tagliata nella parte inferiore dal bordo del foglio, e la posizione della mano sinistra appoggiata alla gamba. Nel secondo bozzetto dedicato all’Arca di Noè, lo schema compositivo è simile alla gouache finale: il profeta appare di profilo, nell’atto di liberare la colomba, e occupa l’intero spazio della composizione. Nella versione finale della gouache, la figura del patriarca è impregnata di pathos e di spirito biblico. La composizione si arricchisce della presenza di due animali, un gallo e una capretta bianca, entrambi simbolo di sacrificio. Dietro il patriarca risalta la figura di una madre che allatta il proprio bambino, immagine suggestiva che rimanda ai temi dell’esilio e della speranza. Massenzio associa questa immagine ad altre figure simboliche dell’erranza e del rifugio, come l’ebreo con la sacca in spalla e il bastone, oppure con la Torah101. Il motivo della maternità è frequente nella pittura rinascimentale, di cui La Madonna Litta di Leonardo da Vinci, conservata al Museo dell’Hermitage, costituisce un ottimo esempio. L’immagine della donna che nutre il proprio bambino non fa parte della Bibbia; pertanto la sua presenza nel bozzetto di Chagall fa pensare a una lettura simbolica. Rimanda proba-

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Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

bilmente alla teologia ortodossa, in cui la Vergine con il bambino veniva frequentemente adottata come simbolo di protezione della comunità durante le minacce di invasione o altri avvenimenti drammatici102. Nel suo insieme la gouache rivela numerosi livelli simbolici che costituiscono una risposta alla situazione politica del periodo tra le due guerre.

La grammatica gestuale Il gusto per l’elemento narrativo costituisce un aspetto fondamentale dei bozzetti biblici di Chagall. Il gesto è il mezzo per eccellenza in grado di sostituire nella pittura la forza retorica della parola. L’espressività del linguaggio paralinguistico nelle gouaches bibliche di Chagall è stata sottolineata più volte. Secondo Dora Vallier: «I gesti dei personaggi biblici si moltiplicano attraverso il suo pennello»103. Meyer Schapiro ha peraltro segnalato la forza espressiva dei profeti di Chagall in questi termini: «I loro corpi possiedono una forza espressiva incomparabile; sono, in se stessi, dei “gesti”. Noè prostrato dinanzi a Dio, umile creatura adoratrice, o Elia sul Monte Carmelo: figure goffe, forse, ma mai rigide. Le loro linee ci conquistano per la naturalità familiare e la compostezza dei movimenti»104. Alberti, nel De pictura, consigliava di esprimere gli affetti dell’anima mediante i movimenti del corpo105. I bozzetti biblici trasmettono attraverso la mimica e i gesti lo stato d’animo e il carattere dei personaggi: «Nella Discesa degli angeli con Abramo, nella solitudine di Mosè e nell’ammirevole Creazione dell’uomo, è da lì che la bellezza si riconosce: dalla nobiltà del movimento»106. Il linguaggio corporeo può anche suggerire aspetti semantici ben precisi. Nell’arte medievale e classica, i gesti dei personaggi erano determinati da codici fissi che permettevano di svelare il senso anagogico107 della scena. Chagall non rifiuta questa dimensione simbolica e impiega formule paralinguistiche prestabilite per elaborare un discorso metaforico molto articolato.

La mano eloquente Le possibilità della mano come organo parlante, o eloquente, capace di trasmettere diverse sfumature di significato e di emozione, erano ben note nell’antichità108. La sua semantica è stata adattata all’arte bizantina per rivelare la volontà divina che regge il destino umano. Con la mano gli angeli nei bozzetti biblici di Chagall sospendono la morte, presagisco-

no, annunciano e ordinano. La mano degli angeli è la mano dello stesso Dio, che regge il destino degli esseri umani. Particolare importanza ha poi il dito indice che nella cultura medievale, puntato verso l’alto, indicava un ordine, la volontà di chi comanda109. L’angelo barbuto che annuncia a Noè un’alleanza tra il popolo ebraico e Jahvè punta il dito al cielo e dirige in quella direzione lo sguardo dell’osservatore. Con lo stesso gesto, ordina al patriarca di costruire l’arca. Nell’opera Abramo si prostra davanti ai tre angeli, uno dei messaggeri indica con il suo «dito eloquente» l’origine trinitaria degli angeli. Al dito indice si attribuisce anche il valore dell’ammonizione e come tale già Alberti ne suggeriva l’importanza: «Mi piace che nell’istoria sia qualcuno che avvertisca gli spettatori chiamandogli con la mano a vedere quelle cose che quivi si fanno, o che con i suoi gesti ti inviti o a ridere seco, o forse a piangere chi ammonisca e insegni a noi quello che ivi si facci, o chiami con la mano a vedere»110. Nell’opera Abramo accompagna i tre angeli verso Sodoma, l’angelo più vicino all’osservatore indica la città maledetta, presagendo il suo destino. In Eliezer e Rebecca, quest’ultimo mostra con il dito indice il futuro della giovane donna. Ne Gli Israeliti attraversano il Mar Rosso, il messaggero indica la strada della salvezza. L’insieme di più gesti può anche far pensare a una situazione di dialogo. A tale proposito, un’altra funzione del movimento del dito indice, legata agli oratori romani, fu adottata nell’iconografia posteriore per esprimere la risposta affermativa di un personaggio in merito a una determinata questione. Le mani aperte, o disposte in modo da trasmettere un’idea di spavento, simboleggiavano invece l’accettazione di un’idea, di una volontà o di una situazione. La combinazione dei due gesti, pertanto, evoca una situazione di dialogo111, come avviene nella gouache Giuseppe spiega i sogni del Faraone, in cui l’atto verbale del primo è rappresentato visivamente attraverso il gesto della mano alzata verso l’immagine di alcune vacche. Queste sono rappresentate in uno spazio superiore tra i due interlocutori ed evocano il sogno del faraone. La posizione delle mani del sovrano, invece, indica «accettazione». Gli schemi gestuali che includono l’uso del dito indice permettono a Chagall di rappresentare il dialogo e la contrapposizione tra Mosè e Aronne. Quest’ultimo, essendo un sacerdote, viveva a stretto contatto con la gente del popolo, cercava di armonizzare la legge con le sue necessità psicologiche, si impegnava a perseguire la pace e a conciliare fazioni opposte. Quest’attitudine di affetto e impegno individuale, e di contatto personale con le persone, è espressa attraverso l’indice rivolto verso il basso, verso la terra. Suo fratello Mosè,

invece, in quanto leader politico, legislatore, intermediario tra il popolo e Dio, e tra il popolo e la sua storia, rivela il suo ruolo profetico attraverso il gesto dell’indice rivolto in alto112. L’imposizione della mano sulla testa simboleggia la subordinazione, la trasmissione della grazia e la benedizione113. Chagall condensa l’intera composizione Isacco benedice Giacobbe in questo gesto, la cui descrizione si trova nel libro della Genesi (48,1-20). Si tratta, tra l’altro, del medesimo gesto che compie lo stesso Giacobbe per benedire i suoi nipoti, Efraim e Manasse.

I gesti contemplativi o di sottomissione Il gesto delle mani che coprono il viso trasmette un senso di profondo dolore. A differenza dei gesti di disperazione, questa posizione delle mani esprime uno stato durevole, proiettato nel tempo, dell’afflizione. È stato spesso usato nelle scene drammatiche, di pietas o di pentimento dei peccatori114. Chagall vi ricorre per la rappresentazione del dolore causato dalla perdita di una persona cara, per esempio in Abramo piange Sara e in Giacobbe piange sulla tunica di Giuseppe. Lo utilizza anche per trasmettere la tristezza di Giuseppe nell’episodio che racconta della benedizione di Efraim e Manasse: il loro padre, Giacobbe, incrocia le mani per benedire con la destra il nipote minore, Manasse, che diventerà più importante del fratello maggiore e attraverso la sua discendenza darà origine a molte nazioni (Gn 48,14-19). Il gesto potrebbe alludere anche all’angoscia di Giuseppe per la vicina morte di Giacobbe. Una postura ricorrente nella produzione biblica di Chagall è quella che vede un personaggio in piedi o seduto, con le braccia lungo il corpo e le mani incrociate sulla parte bassa dello stomaco. Nell’iconografia tradizionale si tratta dell’immagine della sofferenza contenuta che, senza parlare dello sforzo fisico, evoca l’accettazione umile, la rassegnazione di fronte agli eventi tragici oppure la meditazione sull’inevitabilità degli stessi. Questa postura può esprimere anche un sentimento di premonizione della tragedia115. In effetti, quando Abramo accompagna gli angeli verso Sodoma e quando Sara vede suo marito che compie il rito della circoncisione sul figlio Isacco, questi personaggi non sono gli attori principali delle due scene, ma le contemplano passivamente. In tal senso, nel caso di Sara, la postura esprime sottomissione alla volontà suprema; in quello di Abramo, indica meditazione e rassegnazione di fronte al tragico destino del popolo ebraico. Nella gouache dedicata a Giosuè, invece, la posizione del corpo indica «obbedienza».

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Il mento appoggiato sul palmo della mano è un gesto che sin dall’antichità è stato associato alla malinconia o all’angustia e simboleggia la contemplazione o la meditazione. Questo gesto è proprio dell’iconografia dei santi e dei profeti raccolti in meditazione116. Chagall lo usa per evocare l’angustia del faraone nelle gouaches pre-preparatorie di Davide consola il faraone, il quale con il dito puntato verso l’alto indica la causa dei suoi tormenti.

Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

la spada, i figli d’Egitto che cadono in tutte le direzioni. Di contro, la discesa lenta è destinata agli angeli, che vengono sulla terra per compiere gli ordini divini. In varie gouaches di Chagall si possono osservare angeli che scendono sulla terra con movimento ordinato e consapevole, ben lontano dal senso di vertigine che trasmette la caduta dei condannati. Nel Sogno di Giacobbe, il personaggio maschile che plana a testa in giù è una figura legata a Dio, che richiama l’attenzione del profeta verso la visione mistica della scala120.

I gesti estatici L’arcobaleno e il simbolismo dei colori Le mani sollevate e rivolte verso il cielo costituiscono una formula rappresentativa molto antica che esprime un grido di sofferenza e disperazione. Il gesto proviene dalla postura degli oranti e simboleggia la supplica, l’appello alle forze trascendentali, pur trasmettendo l’idea di una reazione estemporanea e di durata limitata. Nella cultura medievale è stato utilizzato soprattutto nelle scene in cui Davide balla davanti all’arca e nella danza di Maria. Nell’arte barocca fu scelto per esprimere il senso dell’esaltazione religiosa117. Chagall usa questa formula gestuale per rappresentare l’implorazione rivolta alla divinità nelle scene in cui i profeti chiedono misericordia o perdono a Dio. Ricorre a questa immagine anche nelle scene di danze estatiche, come simbolo di giubilo e gloria rivolta al Signore. Questi elementi si possono apprezzare, tra le tante altre, nelle opere Maria danza, Gli ebrei adorano il Vitello d’oro e Mosè sparge le tenebre. Il linguaggio degli sguardi dei profeti che guardano verso il cielo con la bocca e le mani aperte evoca l’estasi religiosa e lo stupore dinanzi alla rivelazione della presenza divina118. Lo sguardo fisso verso l’osservatore, tipico delle icone e della pittura fiamminga, è un modo per stabilire un dialogo con il mondo esterno allo spazio pittorico. Gli occhi chiusi, invece, trasmettono un senso di meditazione e di accettazione della volontà divina.

Le cadute vertiginose La caduta vertiginosa di un corpo simboleggia il castigo per l’eccessivo orgoglio, per la disobbedienza o per altri peccati119. In tre gouaches dedicate all’Esodo, gli animali e gli umani che cadono caoticamente da un cielo in tempesta simboleggiano il castigo di Dio inflitto agli Egizi per la loro arroganza e per la disobbedienza alla sua volontà. Nell’opera Gli Israeliti mangiano l’agnello della Pasqua, in secondo piano si possono osservare, dietro la figura dell’angelo con

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La Bibbia, nella sua più profonda essenza, è per Chagall satura di colori: «Quando scoprii la Bibbia, mi resi conto che essa era circondata di nubi e brillava come un cielo stellato sulla nostra terra»121. In effetti, il colore e la luce sono, come afferma Vladimir Solov’ëv, «i mezzi attraverso i quali Dio creò il mondo. Sono portatori dell’unione cosmogonica, riflessa in modo assoluto nella bellezza del cielo stellato»122. In riferimento agli abbozzi biblici, Gualtieri di San Lazzaro afferma: «Prima che Chagall si recasse nella terra degli Ebrei, lo consideravamo già, a ragione, un grande colorista. Tuttavia, al suo ritorno, quando potemmo vedere i guazzi che aveva portato in Francia, ci rendemmo conto che il suo colore, prima del suo viaggio, nonostante l’estasi in cui ci aveva sommersi, era stato fino a quel momento ancora troppo oggettivo, impersonale; mancava di quel fuoco sacro che l’artista avrebbe poi trovato in Palestina, la sua “chimica”, volendo usare la parola misteriosa che egli stesso adotto successivamente, soggettiva, inimitabile»123. L’artista conseguì una propria ìchimicaî del colore grazie alla ricchezza della sua fattura pittorica, basata sulla combinazione sapiente di tecniche e pigmenti differenti. Come segnala Elisabeth Pacoud-Rème, Chagall non esita a mescolare l’olio, la gouache, l’acquarello, il pastello, il lavis, l’inchiostro di China o la matita124. La gamma cromatica utilizzata negli abbozzi biblici, lungi dall’essere casuale, rimanda a una dimensione simbolica che permette di approfondire ulteriormente la lettura iconografica delle immagini. La concezione simbolica del colore ha origine nel Midrash, che considera la Bibbia come l’immagine del cosmo e i colori in essa menzionati come un’allusione a diversi simboli luminosi125. L’arcobaleno, noto simbolo dell’alleanza tra Dio e l’umanità, si trasforma nel paradigma della luce e del colore126. Lo stesso Chagall afferma: «Ho visto in cielo l’arcobaleno, i

suoi colori e la sua trasparenza»127. L’essenza di tutto il colore è la luce associata all’incarnazione di Dio nel mondo e le variazioni di colore riflettono i diversi gradi della presenza divina128. La dimensione simbolica del colore è stata messa in relazione con la rivelazione a Mosè sul Monte Sinai, avvenuta contestualmente all’episodio del passaggio attraverso il Mar Rosso, quando Dio gli indica i colori che deve dare alla sua dimora129: l’azzurro puro di tekhelet, il color porpora, chiamato argaman, che oscilla tra il rosso, l’azzurro e il viola, il rosso scarlatto cremisi, indicato come tola´at shani e infine il bianco brillante di lino, detto shesh. Il bianco di lino, chiamato nel Talmud shesh, è il colore della luce, della luna, delle nuvole e delle stelle, del latte che dà la vita ma anche dell’assenza di colore. È in contrapposizione al nero: i due colori simboleggiano, rispettivamente, gli aspetti positivi e negativi del mondo umano e naturale. Il bianco è sempre stato associato alla santità, alla purezza e alla misericordia130. Nel periodo rabbinico, le vesti bianche erano usate nei Sabbat e durante le più importanti festività131. Nelle comunità chassidiche, il bianco era il colore usato dal sacerdote di più alto rango132. Nei bozzetti di Chagall, le stelle, i corpi immateriali degli angeli, le nuvole, le lettere del tetragramma e la mano di Dio sono bianchi. Nelle sue poesie si fa allusione alla bianca luce degli angeli: «La notte… un angelo vola in cielo / Un bianco fulgore sui tetti»133. In un’altra poesia, Chagall rievoca la luce splendente della scala di Giacobbe e la nuvola che può condurre l’uomo nell’alto dei cieli: «E voleremo insieme, mano nella mano / Salendo la scala di Giacobbe, / Su una nuvola»134. La tunica di Aronne in Aronne davanti al candelabro è bianca e riflette, secondo il testo biblico, il suo status di sacerdote supremo, al quale è fatto obbligo di indossare solo abiti di quel colore. Il nero, come colore antagonista della luce, è utilizzato da Chagall per evocare le tenebre, il caos, le situazioni tragiche e i tormenti spirituali. Le nuvole oscure, nelle quali si mescolano il grigio, il nero, l’azzurro e il verdognolo, in Mosè spezza le tavole della Legge simboleggiano l’ira del profeta di fronte al comportamento vergognoso del suo popolo. Nelle gouaches dedicate al tema della creazione si avverte la dicotomia esistenziale tra la luce divina, rappresentata in bianco, e le nubi oscure, con tonalità nere e altre sfumature cupe, che rimandano al Caos. Il grigio, dal latino cinereum, indica la filiazione dalle ceneri, il che, per analogia, gli conferisce una connotazione funesta. Peraltro la sua posizione intermedia tra il bianco e il nero

consente di leggere questo colore attraverso un doppio simbolismo. In sostanza, se rapportato al bianco, si percepisce come un colore cupo. Di contro, messo in relazione con il nero, appare come un colore luminoso, e in tal senso può essere interpretato come simbolo di speranza135. Nelle gouaches bibliche si percepisce chiaramente la dualità del grigio, che appare insieme al nero e al verde nelle immagini che illustrano gli episodi più drammatici, con una connotazione negativa. Lo stesso Chagall, in una poesia dedicata alla sua sposa defunta, dice: «La tua tomba risplende, si fa umida, ed io divento grigio come la cenere»136. Nei bozzetti, invece, il grigio è utilizzato in una dimensione positiva ed evoca la speranza e l’alleanza con Jahvè. Per esempio, nelle due illustrazioni dedicate all’arcobaleno e in Abramo si prostra davanti ai tre angeli, è usato come simbolo della presenza e della benedizione di Dio. L’azzurro puro di tekhelet è stato spesso utilizzato come simbolo dell’immensità divina in quanto correlato sia all’alto dei cieli, che alle profondità del mare. Può rappresentare anche l’equilibrio, in quanto le sue sfumature suggeriscono l’idea di un paesaggio ombreggiato, sospeso tra il bianco e il nero, la vita e la morte137. Per molti ebrei, in considerazione della sua correlazione con la tradizione religiosa, il folclore popolare e il moderno Stato di Isreale, l’azzurro si è trasformato nella quintessenza del colore ebraico. Non a caso, secondo molti sapienti rabbini, l’azzurro era il colore della gloria di Dio138. Fissare lo sguardo su qualcosa di azzurro facilita la meditazione: non a caso il Dio d’Israele è rappresentato su un pavimento di lastre di zaffiro e azzurro è anche il suo trono139. Nelle icone, l’azzurro è associato alla presenza dello Spirito Santo140. Chagall amava profondamente questo colore, tant’è vero che nella sua autobiografia affermò: «Ma la mia arte, pensavo, è forse un’arte insensata, un mercurio fiammeggiante, un anima azzurra, zampillante sulle mie tele»141. Nelle gouaches, l’azzurro chiaro rappresenta il colore del cielo e del mare. L’azzurro che emerge dallo sfondo delle gouaches dedicate agli episodi della creazione simboleggia la presenza e la volontà di Dio. I toni azzurrini della Torre di Davide richiamano con molta probabilità lo stato di Israele, in analogia con il tema trattato nell’opera142. L’azzurro zaffiro si associa, nella mistica ebraica, alla Shekhinah, alla luce che dà fulgore a tutti i livelli sostanziali e irradia dal trono divino143. Nella sua autobiografia, Chagall rievoca l’associazione tra la luce e il colore azzurro in questi termini: «A un tratto il soffitto s’apre e una creatura alata discende con strepito e fracasso, empiendo la stanza di movimento e di nubi. Un fruscio di ali strascicate. Io penso: angelo!

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Chagall. Viaggio nella Bibbia

Non posso aprire gli occhi, è troppo chiaro, troppo accecante. Dopo aver frugato dappertutto, s’innalza e passa per la fessura del soffitto, portandosi via tutta la luce e l’aria azzurra»144. Gli angeli di Chagall sono sempre connotati da questa caratteristica della Shekhinah; il biancore dei loro corpi celestiali è sempre ravvivato da qualche pennellata di azzurro scuro. A volte le sagome bianche dei messaggeri di Dio sono incorniciate da riflessi azzurri, che rivelano la presenza divina. L’azzurro scuro simboleggia la morte; è questo il significato dello sfondo tenebroso del cielo nell’opera Gli Israeliti mangiano l’agnello della Pasqua, in cui questo colore evoca la morte che i figli degli infedeli riceveranno dall’angelo della vendetta. Il rosso come simbolo del sangue è presente nella Bibbia a partire dalla metafora contenuta nel Libro dei Re (3,22), in cui l’acqua si tinge di un inquietante colore scarlatto. Questo colore può talvolta essere interpretato come simbolo di morte e una veste rossa può indicare un’ammonizione, un’attitudine aggressiva o propositi omicidi145. Nella cultura iconica è considerato anche metafora del sacrificio146: non a caso è il colore delle vesti di Abramo nella prima gouache preparatoria per Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio. Ma il rosso, secondo lo Zohar147, è anche simbolo di amore divino. Nelle icone russe è spesso utilizzato come simbolo di trascendenza e della dimensione celeste148 e sostituisce lo sfondo dorato delle icone bizantine nelle scene riguardanti la Vergine, Cristo e i santi. In un’altra gouache di Chagall, dedicata al ciclo del sacrificio di Isacco, la scena è carica di un colore rosso lampone che evoca l’amore misericordioso di Dio per il suo fedele servo, Abramo, disposto a immolare suo figlio per dimostrare al Signore il proprio amore. Per impedire il sacrificio, Jahvè invia un angelo a fermare la mano del profeta. Inoltre, il rosso, nella tradizione pittorica ortodossa, è anche simbolo di fervore religioso149. Nell’opera Il profeta Elia, il colore della tunica del personaggio principale è un richiamo associativo con il carro di fuoco che gli permetterà di ascendere al cielo alla fine della sua vita. Il color porpora, detto argaman, è stato individuato nel Libro di Ester come simbolo di nobiltà e potere. Nell’Antico Testamento, le vesti dei patriarchi sono di un colore azzurro-porpora, che varia tra il rosso e il viola. Chagall si adatta alle indicazioni bibliche e utilizza questo particolare colore per gli abiti dei profeti150; di azzurro-porpora sono vestiti Mosè nella scena della distruzione delle tavole della Legge, Noè quando riceve l’ordine di costruire l’arca e Abramo rappresentato in compagnia degli angeli. Il verde è praticamente assente nel testo biblico in riferi-

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Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall

mento al colore in quanto tale. Le poche volte in cui se ne fa menzione è in relazione alla vegetazione, soprattutto di campi, boschi e pascoli, luoghi di riposo e di pace151. È associato spesso al paradiso terrestre, la cui origine è individuabile nel verso della Genesi in cui si legge che Dio ha piantato un giardino nell’Eden. Un altro riferimento biblico a questo colore riguarda la pietra di smeraldo, menzionata due volte nella lista dei materiali preziosi che adornano il pettorale del sacerdote (Es 17,20). Nelle icone, invece, è associato all’albero della vita. Nell’iconografia posteriore si iniziò ad associarlo sempre più spesso agli amori illeciti e ai piaceri erotici152, ma anche alla malinconia e al sogno153. Un tonalità di verde dalle sfumature oliva è associato alla morte e ai cadaveri154. Una connotazione negativa del verde è presente anche nella cultura yiddish, in cui, insieme al colore giallo, sta a indicare che un individuo è affetto «da una grave malattia»155. Chagall associa il verde alla morte nella poesia dedicata a Bella, la cui voce dall’aldilà dice: «Giungerai tu solo tra le mie braccia, attraversando la languidezza stellata, / sarai verde, tutto verde come la campagna nel cuore»156. Chagall utilizza spesso il colore verde per ricorrere a svariati elementi simbolici. È frequente la sua associazione alla primavera, al risvegliarsi della natura, ai luoghi erbosi, con piante fiorescenti. È così che ci appare ne Il mantello di Noè, e nell’epifania di Abramo e dei tre angeli. L’artista lo utilizza anche per evocare la passione erotica, come nell’episodio della seduzione di Lot da parte delle sue figlie. Il verde della pietra del pettorale, mostrato a Mosè sul monte Sinai157, diventa il colore fondamentale delle vesti del patriarca. Questo colore è associato con frequenza a disastri, disordini, tumulti, trasgressione e morte158 ed è molto utilizzato nel ciclo dedicato a Mosè. Nella gouache definitiva Mosè spezza le tavole della Legge, il colore dello sfondo è dato da un miscuglio di marroni e verdi, la stessa gamma cromatica che si può osservare in Mosè getta il bastone e in Mosè sparge le tenebre. Ne La discesa a Sodoma, una delle ali dell’angelo che punta l’indice verso la città destinata alla distruzione vira verso il verde, per alludere probabilmente al tragico destino dei suoi abitanti. Il verde rimanda anche a una dimensione onirica ed è infatti utilizzato ne Il sogno di Giacobbe e ne Il sogno del Farone. Diversamente, nell’opera Elia sul monte Carmelo, il verde del volto del protagonista simboleggia la meditazione. Il verde oliva è presente nelle gouaches come simbolo di morte o come presagio di avvenimenti drammatici159. In Aronne piange Sara, lo sfondo è proprio di questo colore e l’intera scena ne è dominata. Il verde come premonizione

di morte è presente in Abramo e Isacco in cammino verso il luogo del sacrificio e in Giacobbe piange sulla tunica di Giuseppe. Il verde ne L’arca di Noè evoca la sensazione di angoscia e di oppressione causate dallo spazio chiuso. La combinazione di verde e rosso porpora nell’arte medievale simboleggia la regalità o la nobiltà160. Chagall conserva questo simbolismo nella gouache dedicata all’episodio della seduzione di Giuseppe da parte della moglie di Putifarre, il cui letto è decorato con questi colori. Il colore dorato e il giallo simboleggiano la regalità o la divinità161. Chagall li utilizza per la corona di Davide, la quale ricorda i modelli di rappresentazione dei re nelle icone russe. Il dorato sarà utilizzato anche nella nuvola che circonda gli animali sacrificati da Noè, indicando, in quel caso, la presenza divina. Questo stesso colore, mescolato con il bianco e l’azzurro, è presente nella rappresentazione degli angeli, in quanto depositari della luce divina. Anche le tavole della Legge contengono sfumature di questo colore, come indicazione della loro origine sacra. Secondo la Bibbia, la menorah è simbolo della presenza divina. In Aronne davanti al candelabro, infatti, la menorah dorata irradia una luce folgorante. Infine, ne Dio crea l’uomo, il giallo del disco solare esprime la volontà e la presenza di Dio nell’atto che dà origine a tutte le cose.

Conclusioni Le gouaches bibliche di Chagall possiedono una ricchezza iconografica straordinaria. In esse si avverte l’influenza della pittura russa ed europea, dell’arte classica e delle icone.

La comparazione tra le opere antiche e i bozzetti di Chagall mette in luce particolari sorprendenti. Chagall non copia i maestri del passato, ma adotta rispetto ad essi un’attitudine innovativa, poiché combina liberamente certi elementi formali e concettuali provenienti da diversi modelli artistici. In tal modo elabora un’iconografia personale attraverso un approccio che potremmo definire polifonico o dialogato162. La singolare visione delle gouaches sorprende non solo per la varietà delle soluzioni pittoriche adottate, ma anche per il messaggio spirituale che esse esprimono. La creazione dei bozzetti coincide con il periodo compreso tra le due guerre, segnato da molti eventi drammatici: attentati, pogrom, crisi finanziaria. La sua lettura iconografia svela una dimensione simbolica che riflette queste circostanze storiche: Aronne, trasformato in un pagliaccio bianco, vittima sacrificale e simbolo dell’erranza; Elia, orante solitario che cerca aiuto e speranza in Dio; Noè nell’arca, che si rifugia dai terrori del mondo accanto agli animali e a una madre con il suo bambino. Il linguaggio corporeo e i colori sono mezzi ausiliari che permettono all’artista di svelare la dimensione anagogica e simbolica dell’universo biblico. La Bibbia di Chagall è pertanto la testimonianza di un tempo, un discorso teologico universale e, in ultima istanza, una poesia che contiene un messaggio spirituale indirizzato a tutta l’umanità: «Dalla mia più tenera età», dice Chagall, «sono stato rapito dalla Bibbia. Essa mi sembrava, e mi sembra tutt’ora, la fonte poetica più grande di tutti i tempi. Da allora ho cercato il suo riflesso nella vita e nell’arte. La Bibbia è come una risonanza della natura e rappresenta l’enigma che ho sempre cercato di trasmettere»163.

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Apparati


Note Capitolo primo «Appartenere a un libro come si appartiene alla storia!» Emmanuel Lévinas, Le corde e il legno, in Fuori dal soggetto, Marietti, Genova 1992. 2 Frase finale di Ma Vie, testo redatto da Chagall in russo e tradotto da Bella Chagall in francese; pubblicato in Francia nel 1928 da Stock e comparso in italiano nell’edizione di se nel 1998 con il titolo La mia vita. 3 Benjamin Harshav, Marc Chagall and His Time. A documentary narrative, con traduzione dal russo, yddish, francese, tedesco ed ebraico di Benjamin e Barbara Harshav, Stanford University Press, Stanford 2004. 4 Jackie Wullschläger, Chagall. Love and Exile, Penguin Books Ltd, London 2008. 5 Amos Elon, Requiem allemand: une histoire des Juifs allemands 1743-1933, Denoël, Paris 2010 (tr. it. Requiem tedesco. Storia degli ebrei in Germania, 1743-1933, Mondadori, Milano 2005). 6 Didier Chauvet, Le Nazisme et les Juifs. Caractères, méthodes et étapes de la politique nazie d’exclusion et d’extermination, L’Harmattan, Paris 2011. 7 Ludvig Rubiner (1881-1920), proveniente da una famiglia ebrea della Galizia, poeta, critico e traduttore di Gogol in francese. 8 «Dalla Germania, il poeta Rubiner, mio caro amico, mi ha scritto: Sei ancora vivo? Non sarai mica morto in guerra? Sai che qui sei celebre? Le tue tele hanno creato l’espressionismo», in Marc Chagall, La mia vita, cit. Frantz Meyer ricorda la lettera inviata a Chagall da Blaise Cendrars «in cui gli comunicava che il mercante-editore Ambroise Vollard desiderava fare la sua conoscenza per affidargli i lavori di illustrazione», da Frantz Meyer, Marc Chagall, tradotto in francese da Philippe Jacottet, Flammarion, Paris 1964, p. 322. 9 In Marc Chagall, La mia vita, cit. 10 In Marc Chagall, La mia vita, cit. 11 Progetto di un concorso per la gloria degli eroi rivoluzionari del mondo, aperto ad artisti, che univa propaganda e campi di lavoro. 12 In Marc Chagall, La mia vita, cit. 1

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13 Il 29 settembre 1922, trentacinque intellettuali russi e le loro rispettive famiglie si imbarcarono da Petroburgo diretti a Stettino. A bordo c’erano Nicolaj Berdjaev, Semion Frank, Ivan Ilyin, il sociologo Vladimir Sorokin… per sfuggire alla nuova polizia di stato, la gpu. 14 Amos Elon, Requiem allemand, cit., p. 357. 15 Jackie Wullschläger, Chagall. Love and Exile, cit., p. 288. 16 Durante il suo primo soggiorno parigino, tra il 1911 e il 1914, Chagall ricorda quanto «la galleria di Vollard mi attirasse particolarmente», per cercare «con gli occhi i Cézanne». In Marc Chagall, La mia vita, cit. 17 Allusione al termine dourak che significa «idiota» in russo. 18 Sulla scia di Jarry, Vollard scrisse a più riprese Ubu, tra cui Ubu colonial e Les Réincarnations du père Ubu, libro illustrato da Georges Rouault nel 1928. 19 Nel 1919, nell’ambito dei primi lavori per il Teatro di Satira rivoluzionaria – TeRevSat – a Vitebsk, Chagall realizza le scene e i costumi per lo spettacolo tratto da Revizor (L’ispettore generale) di Gogol. 20 In Frantz Meyer, Marc Chagall, cit., p. 352. 21 In Benjamin Harshav, Marc Chagall and His Time, cit., p. 345, tradotto dall’inglese dall’autore. 22 In Benjamin Harshav, Marc Chagall and His Time, cit., p. 337, tradotto dall’inglese dall’autore. 23 La Ruche, in italiano «alveare», perché costruita da molti padiglioni vetrati, era una vecchia struttura nel quartiere parigino di Montparnasse che dall’inizio del 1900 ospitava numerosi artisti e intellettuali, non facoltosi, che affluivano nella capitale francese. Esiste ancora oggi, anche se non è più quel laboratorio di idee che era un tempo. 24 Dal nome della loro rivista, Makhmadim, plurale, che in ebraico significa «delizie, piaceri». 25 In Nadia Malinovich, «Une expression du Réveil juif des années vingt: la revue Menorah (1922-33)», in Archives juives, n. 37/1, 2004. 26 In Dominique Jarrassé, «L’éveil d’une critique d’art juive et le recours au principe ethnique dans une définition de l’art juif», in Archives juives, n. 39/1, 2006, p. 63. 27 In Benjamin Harshav, Marc

Chagall and His Time, cit.

28 Chagall accetta di realizzare l’illu-

strazione della raccolta Lieder und Poemen di Liessin nel 1931. 29 Nome con cui usualmente si chiama la Bibbia ebraica. Il termine è composto dai nomi delle tre sezioni del libro: Torah, Neviim, Ketuvim (Torah, Profeti, Scritti). 30 H. Leyvik o Leivich è lo pseudomino di Leyvik Halpern, poeta di lingua yiddish (1888-1962), nato in Bielorussia e morto a New York. In Anthologie de la poésie yiddish: le Miroir d’un peuple, Gallimard, Paris 2000. 31 «Sin dalla mia prima giovinezza, sono stato catturato dal testo biblico. Mi è sempre sembrato, e continua a sembrarmi, la più grande risorsa poetica di tutti i tempi». Dal discorso pronunciato da Marc Chagall all’inaugurazione del Museo nazionale del Messaggio Biblico, a Nizza, il 7 luglio 1973. 32 L’ebreo rosso, 1915, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo. 33 Il rabbino di Vitebsk, 1914-22, Musei civici di Venezia, Galleria internazionale d’Arte moderna di Ca’ Pesaro, Venezia. 34 Le porte del cimitero, 1917, Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi. 35 Il cimitero, 1917, Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi. 36 Omaggio ad Apollinaire, 191112, Stedelijk van Abbemuseum, Eindhoven. 37 Adamo ed Eva, 1912, Saint Louis Art Museum. 38 Studio per Adamo ed Eva o Omaggio ad Apollinaire, 1911-12, collezione privata. 39 Appare come rappresentazione del mistero il tetragramma yhwn. 40 Gn vi,5-22; vii,1-24; viii,1-13. 41 Solitudine, 1933, The Tel-Aviv Museum. 42 Nm viii,1-4. 43 «Figlio di uomo, quello che ti è presentato mangialo; mangia questo volume e vai a parlare alla casa di Israele». Ez iii,1-3. Capitolo secondo «Fino a quando il mio corpo – come un albero – raggiunga la riva biblica» 1

Lettera a Leo Koenig, del 21 set-

tembre 1925, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, Stanford University Press, Stanford 2004, p. 337. 2 Lettera a Leo Koenig, del luglio 1925, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 335. 3 Lettera a Pavel Ettinger, del dicembre 1926-gennaio 1927, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 245. 4 Citato da Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 365. 5 Lettera a Yosef Opatoshu, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 370. 6 In La Bête noire, Parigi, 1 ottobre 1935. 7 André Neher, Prophètes et prophéties, Petite Bibliothèque Payot, Paris 1995. 8 In Marc Chagall, La mia vita, se, Milano 1998. 9 Tela esposta al Museo di Stato russo di San Pietroburgo. 10 Chagall è in russo l’imperfetto del verbo «camminare». In André Neher, Prophètes et prophéties, cit., p. 167. 11 In Benjamin Harshav, Marc Chagall and the Lost Jewish World, Rizzoli, New York 2006, pp. 121-122. 12 La zona di residenza era stata istaurata nel 1791 da Caterina ii e obbligava gli ebrei a risiedere all’interno di alcune aree specifiche; vigeva in Ucraina, in Bielorussa, in Lituania e pure in Polonia. 13 Al Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, di Parigi. 14 Con qualche omissione ed errore intenzionali, in Benjamin Harshav, Marc Chagall and the Lost Jewish World, cit., p. 140. 15 Questo testo in yiddish, manoscritto, inedito e non datato, è indirizzato a Tériade, probabilmente quando riprende, nel dopoguerra, la pubblicazione della Bibbia illustrata. Ha un titolo in russo, Moia Biblia. 16 In francese il pittore rinascimentale, e frate, Beato Angelico è noto con il nome Fra Angelico, e da qui il gioco di parole dell’autrice. 17 La midrash è un commento della Bibbia in un linguaggio narrativo e leggendario. 18 Lailah si occupa di far nascere l’anima – occorre ricordare che la figura dell’ostetrica munita di una lampada è presente nelle Nascite

del secondo decennio del Novecento; incarna l’artista che permette alla bellezza di venire alla luce, secondo l’idea dello scrittore yiddish Yitskhok Leybush Peretz. Trattato Niddah, cfr. Louis Ginzberg, Les Légendes des Juifs, CerfInstitut Alain de Rothschild, Paris 1997, pp. 44-46 (tr. it. Le leggende degli ebrei, 4 voll., Adelphi, Milano 1995-2003). 19 Journal des poètes, Bruxelles 1933. 20 Collezione privata, in deposito al Kunstmuseum, Basilea. 21 Marcelo Massenzio, Chagall: solitude et mélancolie, 1933-34, L’Echoppe, Paris 2013, p. 41. 22 Frantz Meyer, Marc Chagall, Flammarion, Paris 1995, p. 194. 23 Louis Ginzberg, Les Légendes des Juifs, cit., p. 49 (tr. it. cit.). 24 Marc Chagall, «Entretien avec Jacques Guenne», in L’Art vivant, Paris, dicembre 1927. 25 Parola yiddish che indica la bisaccia dell’ebreo errante; nell’opera di Mendele Moicher Sforim (Mendele il mercante di libri, 1836-1917), padre della letteratura yiddish, la bisaccia contiene «tutto Israele». 26 Shalom Asch, Le Juif aux psaumes, Flammarion, Paris 1971. 27 Rashi, iniziali di Rabbi Shlomo Itshaqui (1040-1105), il più grande commentatore della Bibbia e del Talmud, che ha vissuto a Troyes, nello Champagne, producendo vino. 28 John Cooper, The Child in Jewish History, Jason Aronson Inc., New York 1996, p. 264. 29 Shlomo Berger, «Religion, Culture, Literature», in Yiddish Studies Today, Düsseldorf University Press, Düsseldorf 2012. 30 Commemorazione annuale della morte. 31 Soltanto l’edizione del 1941 propone una versione bilingue ebreo/ yiddish. Pare che Chagall abbia ricevuto una versione bilingue che era solito consultare mentre lavorava. 32 Lettera a Yosef Opatoshu, dell’8 novembre 1928, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 346. 33 Memorie di Leo Koenig, Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca nazionale e universitaria di Gerusalemme, in Hillel Kazovsky, «C’était l’époque où l’on a commencé à illustrer les livres juifs», da Fu-

tur Antérieur: l’avant-garde et le livre yiddish, Musée d’art et d’histoire du Judaïsme, Skira-Flammarion, Paris 2009, p. 32. 34 Si rivolge più generalmente a coloro che avevano una conoscenza insufficiente dell’ebreo; cfr. Jean Baumgarten, introduzione a Commentaire sur la Torah de Jacob ben Isaac Achkenazi de Janow, Verdier, Lagrasse 1987. 35 In Marc Chagall, La mia vita, cit. 36 In Marc Chagall, La mia vita, cit. 37 Milly Heyd, «Illustrations in early Editions of the Tsene-Urene. Jewish adaptation of Christian sources», in Yewish Art Journal, Jerusalem, vol. 10, 1984, pp. 64-68. 38 Clement Greenberg, «Chagall», in Art et Culture. Essais critiques, Éditions Macula, Paris 2014, p. 109. 39 In Marc Chagall, Poèmes, Gérald Cramer Editor, Genève 1975, poesie tradotte dall’yiddish e dal russo, adattate in francese da Philippe Jaccottet. «Mon peuple, mon pauvre peuple, tu es sans larmes/ Ni la nuée ni l’étoile ne nous guident plus/ Il est mort notre Moïse, il s’enfonce dans les sables/ Il a donné, repris la Terre Promise/ Les derniers prophètes sont muets/ Ils sont enroués de crier pour vous/ On n’entend plus le bruit de leurs paroles/ Qui ont coulé de leur bouche comme un fleuve/ Tous veulent dans ton cœur briser les tables/ Fouler aux pieds ta vérité et ton Dieu/ Un monde coupable veut voler ta force/ Et ne plus te laisser de place que sous la terre./ On chasse de partout mon people/ Sa couronne est à terre/ A terre le signe de David/ Où est son auréole, son honneur/ De ses mains il condamne le ciel/ Il piétine son exil/ Un éclair consume sa misère/ Il s’avance avec l’épée/ Si tu dois être détruit/ Pour expier le Temple en ruine/ Se lèvera une autre étoile/ Et de tes yeux volera une colombe/ Je voudrais exaucer ton rêve/ Montrer une autre vérité/ Prendre à ta lumière/ Mes couleurs». 40 Sarà pubblicata postuma nel 1938, da Forverts Association a New York. 41 Le sue incisioni di Giona (192223) l’avevano profondamente impressionato. 42 Intervista con Ben Tavryia del

giugno 1931, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, cit., p. 375. 43 Lucien Goldmann, «Sur la peinture de Chagall», in Annales, Économies, Sociétés, Civilisations, vol. 15, n. 4, 1960, pp. 667-683. 44 Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», in Verve, vol. vii, n. 33-34, Tériade, Paris 1956. 45 Meyer Shapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», cit. 46 André Neher, Prophètes et prophéties, cit. 47 Si tratta evidentemente di Isacco. 48 Ma Bible, seguito e fine. Traduzione dall’yiddish di Natalia Krynicka. 49 Risposta a un questionario sull’ebraismo, Praga 1933 (archivi del comitato Marc Chagall). L’autrice desidera ringraziare Jean Baumgarten e Yitskhok Niborski per i loro preziosi consigli. Capitolo terzo Una lettura iconografica delle gouaches bibliche di Marc Chagall 1 Marc Chagall, Ánguel nad krisha-

mi, Stihi, Proza, stati, vistuplenia, pisma, perevod y kommentarii L. Berinskogo, Sovremennik, Moskva 1989, p. 126. 2 Nikolaj Berdjaev (1904), citato in Irina Arkad’evna Mouravieva, Byloi Peterburg. Vek moderna, Izdatelstvo Pushkinskovo, Sankt Petersburg 2004, Kniga i, p. 196. 3 Mikalojus Konstantinas iurlionis (1875-1911) fu un compositore e pittore lituano della corrente simbolista. Le sue opere, ricche di riferimenti musicali, avevano titoli che richiamavano le «sonate» e le «sinfonie». I suoi quadri erano impregnati di spirito trascendentale e di misticismo, alludevano alla metamorfosi della natura ed erano concepiti come visioni cosmiche. 4 Aleksandr Nikolaevi Skrjabin (1872-1912) fu un compositore e pianista russo, considerato uno dei maggiori esponenti del postromanticismo e della musica atonale. La sua principale caratteristica consisteva nella capacità di associare a ogni tonalità musicale un colore determinato, creando così un pre-

ciso modello compositivo. Interessato alla teosofia e al misticismo, arrivò a proclamare nei suoi scritti «Io sono Dio». 5 Vladimir Solov’ëv, citato in N.A. Khrenov, A.S. Migunov (eds.), Estetiki i Teorii Iskusstv xx veka, Progress-Tradicia, Moskva 2005, pp. 108-109. 6 Bernard Maruani, «Au moment du soir, la colombe…», p. 87, in Chagall et la Bible, catalogo della mostra, Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme, Flammarion, Paris 2011, pp. 87-103. 7 Cfr. Vladimir Solov’ëv, «Filosofskie nachala tzelnogo znania», capitolo vi, p. 73; cfr. Viktor Bi kov, 2000 let christianskoi kulturi: sub specie aesthetica, v dvuh tomah, Tom ii: Slavianskiy Mir. Drevniaya Rus, Rus, Universitetskaya kniga, Moskva-Sankt Petersburg 1999, p. 276. 8 Mira Friedman, «Metamorphosis in Chagall – The creation of Man», p. 262, in Norms and Variations in Art: Essays in Honour of Moshe Barasch, Magnes Press, Jerusalem 1983, pp. 260-276. 9 Cfr. Vladimir Solov’ëv, «Krasota v prirode», Zara, Berlin 1924, pp. 4648 (tr. it. Il significato dell’amore e altri scritti, La casa di Matriona, Milano 1988); per una descrizione più approfondita del tema, cfr. Viktor Bi kov, 2000 let christianskoi kulturi: sub specie aesthetica, cit., p. 277. 10 Il chassidismo è un movimento religioso ortodosso e mistico, interno all’ebraismo, sorto nel xviii secolo in Europa Orientale, più precisamente in Bielorussia e Ucraina. Fa parte di una corrente conosciuta come «charedì». Questo tipo di ebraismo prevede la divisione della comunità in vari gruppi diretti ciascuno da un rabbino detto admor (plurale admorim). Si ritiene che la parola admor sia il risultato della combinazione delle parole ebraiche per capo, maestro e rabbino. Le principali caratteristiche del chassidismo sono: 1. l’influenza della Cabala; 2. la vita in comunità isolate e tradizionaliste; 3. la stretta osservanza della Halakhah, l’applicazione dei precetti della Torah, o legge giudaica; 4. rispetto dei dettami e delle raccomandazione dell’admor in tutti gli aspetti della vita; 5. glorificazione di Dio attraverso la musica, il canto, la danza e i gesti estatici. Cfr. Tzvi Rabinowicz,

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The encyclopedia of Hasidism, Jason Aronson, Northvale, New Jersey 1996, pp. 188-196. 11 Mircea Eliade, «Marc Chagall et l’amour du cosmos», in Mircea Eliade, Camille Bourniquel et al., Hommage a Marc Chagall, xxe siècle, Paris 1969, pp. 12-13. 12 Cfr. Vladimir Solov’ëv, «Filosofskie nachala tzelnogo znania», capitolo i, pp. 256-257; 264-265. 13 Marc Chagall, «Marc Chagall Some impressions Regarding French Painting», Adress at Mount Holyoke Colledge. Auguste 1943- March 1946, p. 75, in Benjamin Harshav, Marc Chagall on Art and Culture: Including the First Book on Chagall’s Art by A. Efros and Ya. Tugendhold (Moscow, 1918), Stanford University Press, Stanford 2003, p. 65-79. 14 Cfr. Vja eslav Ivanov, «Perepiska iz dvuh uglov s Michailom Guershenzonom», capitolo iii, p. 395; cfr. Viktor Bi kov, 2000 let christianskoi kulturi: sub specie aesthetica, cit., p. 298. 15 Mircea Eliade, «Marc Chagall et l’amour du cosmos», cit., p. 13. 16 «Ikona y russkiy Avant-Guarde», in O.B. Korevishev, Kniga nekalssicheskoi estetiki, ran, Moskva 1999, pp. 58-75. 17 Edouard Roditi, Dialogues on art, Pantheon Books, London 1961, p. 38. 18 Jacques Lassaigne, Chagall, Maeght, Paris 1957, pp. 20-22. 19 Cfr., tra gli altri, Udo Liebelt, Marc Chagall und die Kunst der Ikonen. Theologisch-ikonologische Untersuchung des Auftretens russischorthodoxer Bildelemente im Frühwerk Marc Chagalls, diss., Marburg/Lahn. 1971; Mira Friedman, «Icon Painting and Russian Popular Art as Sources of Some Works by Chagall», in Journal of Jewish art, vol. 5, 1978, pp. 94-107. 20 Cfr. Sull’influenza delle icone sulle opere bibliche di Chagall, cfr. Chan-Young Park, La Bible illustréé par Marc Chagall (18871985): un dialogue interculturel et son évolution, Thèse de doctorat, Université de Paris iv, Sorbonne, Paris 2008. 21 Cfr. Galina S. Kolpakova, Drevnerusskoe iskusstvo, Clásica, Sankt Petersburg 2007, pp. 35-45. 22 La presenza delle corna nelle immagini di Mosè risale alla tradizione

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iconografica europea, della quale il Mosè di Michelangelo costituisce il più importante esempio. Il pathos tragico emanato da questa figura influenzò notevolmente le gouaches di Chagall. Meyer Schapiro sostiene che la presenza delle corna derivi da un’erronea traduzione della Bibbia ebraica da parte di san Geronimo, il quale confuse la parola «raggio» con «corno», a causa dell’assonanza fonetica delle due. L’esistenza di Dei anziani con corna nell’antichità classica ha contribuito a creare confusione. Nella tradizione ebraica, Mosè appare investito di raggi di luce quando Dio incide le tavole della Legge e l’inchiostro divino raggiunge la testa del profeta. Anche nei misteri medievali Mosè è rappresentato con le corna, per ricordare il suo contatto con i raggi di luce di Dio. Cfr. Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», in Verve, citato in Chagall et la Bible, catalogo della mostra, Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme, Skira-Flammarion, Paris 2011, p. 185. 23 Quest’immagine iconica sembra essersi affermata come un vero e proprio canone, dal momento che si ritrova in tutte le icone dedicate a quest’episodio in varie epoche. È possibile che Chagall abbia visto alcune rappresentazioni di questo tipo nei musei russi e che abbia scelto questa composizione come riferimento formale. Tuttavia, va osservato che egli altera la posizione della testa allo scopo di assegnare alla figura un diverso valore simbolico. Su questo tema tornerò più avanti. A proposito del Profeta Elia nel deserto, cfr. Alfredo Tradigo, Icone e santi d’oriente, Electa, Milano 2004. 24 A proposito della concezione del tempo nelle icone, cfr. Clemena Antonova, Space, time and presence in the icon: seeing the world with the eyes of God, Ashgate, Farnham 2009. 25 A tale proposito, cfr. S. Stepanova, Russkaya jivopis epokhi Karla Brullova y Alexandra Ivanova, Iskusstvo, Sankt Petersburg 2011, pp. 244-264. 26 Jacques Maritain, «Euaux-fortes de Chagall pour la Bible», in Cahiers d’Art, n. 4, 1934, p. 84. 27 Ekaterina Selezneva, «Las fuentes rusas de la obra de Chagall», p.

49, nel catalogo della mostra, Museo Thyssen-Bornemisza, Fundación Caja Madrid 14 febbraio-20 maggio 2012, sovrintendente JeanLouis Prat, Fundación Caja Madrid, Madrid, pp. 40-56. 28 Aleksandr Ivanov realizzò 200 bozzetti su temi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sui bozzetti biblici di Ivanov, cfr. Evgeniâ L’vovna Plotnikova, Alexander Ivanov iz sobraniâ gosudarstvennoj Tret’jakovskoj galerei: Aquarel, Trilistnik, Moskva 1998. 29 «Vospominania Vsevoloda Volodarskogo, 1991, Chagalovskie chtenia v Vitebske», in Dokumento o Chagalle, fasc. 2, Museo Marc Chagall, Vitebsk 2004, p. 130. 30 Gli «ambulanti» (Peredv’zhniki) erano esponenti del realismo russo che denunciavano attraverso le loro opere i problemi sociali del tempo. In risposta alle restrizioni imposte alle accademie d’arte, fondarono una cooperativa di artisti da cui nacque nel 1870 la «Società per le mostre d’arte itineranti». I principali rappresentanti del movimento furono Ilya Repin, Vasily Perov, Ivan Kramskoy, Vasily Surikov, Nikolaj Guë e Isaac Levitan. Si veda a tale proposito: A.V. Paramonov, Peredv’zhniki 1870-1970, Iskusstvo, Mosca 1971. 31 Valentine Marcade, Le renouveau de l’art pictural russe, Éditions L’Âge d’Homme, Lausanne 1971, pp. 33-41. 32 Cfr. Susan Tumarkin Goodman, Chagall, Love, War and Exile, Yale University Press Academic, New Haven and London 2013. 33 Igor Viktorovich Dolgopolov, Mastera y shedevry, Izobrazitelnoe iskusstvo, Moskva 1987, Tom ii, pp. 233-251. 34 Marc Chagall, La mia vita, se, Milano 1998, pp. 91-92. 35 Sull’influenza di Vrubel sull’opera di Chagall, cfr. Ekaterina Selezneva, «Las fuentes rusas de la obra de Chagall», cit., pp. 51-53. 36 S. Daniel, Evropeiskiy classizism, Novaya historia iskusstva, AzbookaClásica, Sankt Petersburg 2003, pp. 250-253. 37 Quest’idea della morte nella gouache Il sacrificio di Isacco deriva dal Midrash, nel quale si afferma che l’anima del fanciullo esce dal corpo nel momento del sacrificio per rientrarvi immediatamen-

te dopo. A tale proposito, cfr. Mira Friedman, «Metamorphosis in Chagall – The creation of Man», cit., p. 272. 38 Le monde d’Art o Mir Iskusstva, in russo, fu un movimento artistico fondato a San Pietroburgo nel 1899 da Léon Bakst, Aleksandr Benois, Sergej Djagilev e da altri artisti che gravitavano intorno alla rivista omononima. Il movimento si contrapponeva alla tradizione accademica e individuava nelle qualità pittoriche il fondamento dell’arte. Dal punto di vista formale gli artisti di Mir Iskusstva facevano riferimento a varie tradizioni artistiche: l’Impressionismo, il Simbolismo, il Rococò e il Classicismo. Il sogno degli artisti che appoggiarono il movimento era la creazione di una dimensione estetica in grado di realizzare una perfetta sintesi di tutte le arti. Tale dimensione si sarebbe dovuta intendere come forma di arte suprema e si espresse attraverso l’interesse per l’architettura, la pittura monumentale e il design. Questa tendenza spiega anche la passione degli artisti del movimento per le arti cosiddette minori, come l’illustrazione e il teatro. Su questo movimento artistico, cfr. S. Sergej M. Parshin, Mir iskusstva, Izobrazitelnoe iskusstvo, Moskva 1993, pp. 7-13. Sull’influenza della Grecia antica sul movimento Monde d’Art, cfr. «Sankt Petersburg kak chudojestvenni fenomen», in S. Daniel, Evropeiskiy classizism, cit., pp. 224-248. 39 Léon Bakst fu il maetro di Chagall presso la Scuola Zvantzeva di San Pietroburgo. L’artista era solito portare i suoi alunni in visita al museo dell’Hermitage per studiarne i vasi e le sculture classiche. Bakst, leader del movimento Le Monde d’Art e scenografo teatrale per varie compagnie di balletto russo, era profondamente influenzato dall’arte greca. Tale influenza fu alimentata da un suo viaggio in Grecia, durante il quale rimase colpito dalle sculture e dalle ceramiche dell’età arcaica. Queste tendenze si rifletterono nell’opera L’orrore antico, del 1908, nella quale l’artista raccontò la leggenda della sparizione di Atlantide. Questa leggenda appare rappresentata sulla tela come metafora della catastrofe universale: l’unica forza in grado di contrap-

porsi al caos è la Bellezza, rivelata attraverso l’immagine arcaica di Afrodite. 40 L’influenza di quest’opera greca si avverte anche nel disegno L’enlèvement, 1920, conservato al mnam. 41 Cfr. Martine Denoyelle, Chefsd’oeuvre de la céramique grecque dans les collections du Louvre, Réunion des musées nationaux, Paris 1994, p. 126, n 58. 42 Gn 2,7: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». 43 Cfr. Françoise Frontisi-Ducroux, Du masque au visage: aspects de l’identité en Grèce ancienne, Flammarion, Paris 2012, pp. 113-127. 44 Chagall si allontana, in questo caso, dall’interpretazione midrastica secondo la quale il primo uomo fu creato in forma androgina. L’artista conosceva bene questa visione, poiché in una sua opera precedente, Omaggio ad Apollinaire (1911-1912), aveva dipinto la coppia primordiale come un essere androgino. Nel bozzetto biblico, fa riferimento alla Bibbia di Gerusalemme, secondo la quale la creazione di Eva deriva dal corpo di Adamo. Quest’atto di creazione si realizza mentre il primo uomo è immerso nel sonno, sopor, secondo la Vulgata, o è in estasi, secondo Tertulliano. Cfr. J.L. Schefer, «Premier rêve», pp. 15-18, in Serano Véronique, Le nu de Gauguin à Bonnard. Ève, icône de la modernité?, catalogue d’exposition, Musée Bonnard, Le Cannet, Silvana Editoriale, Milano 2013, pp. 15-29. 45 Marc Chagall, La mia vita, cit., p. 179. 46 U.L. Obolenskaya, V shkole Zvntzevoi pod rukivodstvom Leon Baksta y Mstislva Dobujinsky. 19061907, 1927, ms conservato nel Dipartimento dei manoscritti della Galleria Tret’jakov, p. 12, unità di conservazione 75, foglio n. 9. 47 Questo concetto è stato adottato da Kenneth Clark per descrivere i volti degli anziani nella pittura di Rembrandt. Cfr. Kenneth Clark, An introduction to Rembrandt, Harper & Row, New York 1978. 48 Marc Chagall, «Voyage a Hollande», L’Intransigeant, 3 maggio 1932, p. 6. 49 Pierre Courthion, «Impromptus

Marc Chagall», Les Nouvelles Littéraires, 30 aprile 1932, p. 7. 50 Secondo Annette Weber, Picasso si era ispirato alle incisioni di Rembrandt per creare le illustrazioni de Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac e per le stampe della Suite Vollard; la Weber affermò, inoltre, che l’interesse di Chagall e Picasso per Rembrandt fosse dovuto, con molta probabilità, proprio a Vollard, il quale si era interessato ai disegni di Rembrandt conservati al Louvre e alle sue incisioni attraverso gli studi di Fritz Lugt, pubblicati nel 1927. Cfr Annette Weber, «Chagall et la Bible, du rêve a la modernité», pp. 31-31, in Chagall et la Bible, cit., pp. 21-37. Sull’influenza di Rembrandt sull’opera di Rouault, cfr. Oihana Robador Ausejo, Tradición e innovación en el expresionismo de Georges Rouault, tesi di dottorato discussa presso l’Università di Navarra, 2003. 51 Si veda, a tale proposito, l’analisi dell’opera proposta da Susan Compton in Marc Chagall: My Life, My Dream: Berlin and Paris, 1922-1940, Prestel, London 1990, n. 131. 52 M. Morel, Marc Chagall, «Rencontre avec Chagall», Le journal de croix, 22 giugno 1972, p. 7. 53 Cfr. «La irrealidad de la pintura de El Greco y su sentido. La Pintura ascensional», in Gregorio Marañón, El Greco y Toledo, rba, Barcellona 2014, p. 215. 54 El Greco citato da Marañon, El Greco y Toledo, cit., p. 215. 55 José Ortega y Gasset, Obras completas, tomo i, Revista de Occidente, Madrid 1954, p. 405. 56 Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», cit., p. 186. 57 L’innominabile, concetto fondamentale dell’ebraismo, ha un proprio corrispettivo nella mistica neoplatonica di Giovanni Scoto Eriugena che ne parla nel trattato De divisione naturae, pubblicato agli inizi del ix secolo. Cfr. Ildefonso Murillo, «El Lenguaje sobre Dios en Juan Escoto Eriúgena», testo online: www.unizar.es/sofime/carpetas/murillo/Escoto4.htm: 58 Marc Chagall, M., «Tu m’as rempli les mains», p. 72, in Marc Chagall, Poèmes, Gérarld Cramer, Genève 1979, p. 72 : «Je suis ton fils […] Tu m’as rempli les mains/ De couleurs, de pinceaux/

Je ne sais pas comment te peindre […]». 59 Marc-Alain Ouaknin, Mystères de la kabbale, Assouline, Paris 2000, pp. 376-386. 60 Louis Ginzberg, The legends of jews, Philadelphia, 1954-1955, t. vi, nota 260 (trad. it. Le leggende degli ebrei, 4 voll., Adelphi, Milano 1995- 2003). 61 Mendel Metzger, «La transmission de la Loi dans l’enluminure hébraïque du moyen age», Bulletin des Communautés juives, anno xvi, 10 maggio, p. 11. 62 Victor Klagsbald, À l’ombre de Dieu – dix essais sur la symbolique dans l’art juif, Peeters, Leuven 1997, p. 2. 63 Il vegliardo dei Giorni è menzionato nella Bibbia, nel libro del profeta Daniele: Dn 7,9; 13,22. Questa figura ricorre anche nello Zohar, cfr. Zohar, il libro dello splendore, Einaudi, Torino 2008; cfr. Esperanza Galindo Ocaña, Transgresión y tradición en la obra bíblica de Marc Chagall, tésis doctoral, Publicaciones de la Universidad de Sevilla, Sevilla 1999, p. 153. 64 Cfr. Bernard Maruani, «Au moment du soir, la colombe…», p. 95, in Chagall et la Bible, cit., pp. 87-103. 65 Ibid., p. 88. 66 Un esempio a tale proposito è quello delle icone della Scuola di Novgorod, Creazione di Adamo ed Eva ed Espulsione dal Paradiso terrestre. Si veda: Georgii Karlovich Vagner, Iskusstvo Drevnei Rusi, Architectura. Sculptura, Juivopis. Musika, Iskusstvo, Moskva 1993, p. 25. 67 Secondo Hazan-Brunet, Chagall conosceva il Midrash – commentario rabbinico della Bibbia sotto forma di leggende e storie. Cfr. Nathalie Hazan-Brunet, «A l’ombre du livre», in Marc Chagall, les univers du peintre, Galerie d’art du Conseil général des Bouches-duRhône, Aix-en-Provence, gennaioaprile 2007, Actes Sud, Le Méjan 2007, pp. 10-22; Nathalie HazanBrunet, «Dieu Créa l’Homme», catalogo 32, in Julia GarimorthForay, Chagall, entre guerre et paix, Musée national du Luxembourg, Réunion des musées nationauxGrand Palais, Paris 2013, p. 68. Per altre interpretazioni de La creazione dell’uomo, cfr. Mira Friedman, «Metamorphosis in Chagall – The creation of Man», cit., pp. 263-265.

68 Il modello della rappresentazione della Trinità nell’arte delle icone risale alla tradizione bizantina, ereditata poi dai pittori di icone russi. Nel monastero di Sergio de Radonež (l’Adoratore della Trinità, morto nel 1391), il monaco pittore Andrej Rublëv plasmò la visione del santo russo attraverso l’Icona della Trinità, un capolavoro di equilibrio e bellezza artistica e spirituale nel quale tre angeli appaiono seduti a un tavolo formando un cerchio che simbolizza l’eternità. Durante il «Concilio dei cento capitoli», che si tenne a Mosca nel 1551, fu scelta come modello per le icone che sarebbero state realizzate da quel momento in avanti. Cfr. Alfredo Tradigo, Icone e santi d’oriente, cit., p. 68. A proposito dell’influenza del prototipo iconografico e concettuale della Trinità nell’opera biblica di Chagall, cfr. François Boespflug, «Les théophanies bibliques dans l’oeuvre de Marc Chagall», pp. 39-44, in Chagall et la Bible, cit., pp. 39-57. 69 La simbologia di Cronos come anziano barbuto e con le ali deriva dall’immagine del Dio iraniano Aios, il quale veniva rappresentato come fonte della natura, di forza creativa trascendentale, di intelletto cosmico e di ordine. Erwin Panofsky, «Father Time», p. 129, in Studies in Iconology: humanistic themes in the art of the Renaissance, Harper Torchbooks, New York 1962, pp. 123-165 (tr. it. Studi di iconologia: i temi umanistici nell’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1975). 70 Cfr. «La diffusion d’oeuvre d’Odilon Redon dans les milieux symbolistes russess», in Francis Ribemont, Jean-Claude Marcade, Le symbolisme russe, catalogo della mostra, Musée de Beaux Arts de Bordeaux, Réunion des musées nationaux, Paris 2000, pp. 125-141. 71 Un pogrom (dal russo погром, devastazione) consiste nel linciaggio di massa, spontaneo o premeditato, di un particolare gruppo, etnico o religioso, accompagnato dalla distruzione e dall’esproprio dei beni (case, negozi, centri religiosi, ecc.). Il termine è stato usato soprattutto per denotare gli atti di violenza contro gli ebrei, ma si riferisce anche agli attacchi subiti da altri gruppi etnici. 72 Cfr. André Vollard, «J’édite Les Fables de La Fontaine et Je choisis

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Chagall comme illustrateur», edito da Derrère de miroir, 44-45, marzoaprile 1952, p. 32. 73 Jackie Wullschläger, Chagall: Love and Exile, Penguin Books Limited, London 2010, p. 345. 74 Ibid., pp. 342-343. 75 Lettera a Leo Koenig, in Benjamin Harshav, Chagall and His Times, Stanford University Press, Stanford 2004, p. 337. 76 Marc Chagall, Manoscritto inedito, Archivio di Ida e Marc Chagall, foglio 5. 77 Cfr. Frantz Meyer, Marc Chagall. Life and work, Abrams, New York 1964, pp. 383ss. (trad. it. Marc Chagall. La vita e l’opera, Il Saggiatore, Milano 1962); Werner Haftmamn, Marc Chagall. Gouaches, dessins, aquarelles, Chêne, Paris 1975, pp. 86-88 (trad. it. Marc Chagall, disegni, acquarelli, guazzi, Silvana, Milano 1976); Jackie Wullschläger, Chagall: Love and Exile, cit., pp. 338-359. 78 Londra, British Library, Add. Ms. 11639, foglio 114 r. 79 Victor Klagsbald, À l’ombre de Dieu-dix essais sur la symbolique dans l’art juif, cit., pp. 10ss. 80 L’efod era una delle vesti sacerdotali dell’Antico Testamento, conosciuta in latino come superhumerale, in quanto ricadeva sulle spalle cingendo gli altri indumenti. Nel capitolo 28 dell’Esodo, Dio ordina a Mosè di realizzare le vesti per il sommo sacerdote e i suoi sottoposti e afferma che «Faranno l’efod con oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto, artisticamente lavorati. Avrà due spalline attaccate alle due estremità e in tal modo formerà un pezzo ben unito. La cintura per fissarlo e che sta sopra di esso sarà della stessa fattura e sarà d’un sol pezzo: sarà intessuta d’oro, di porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Prenderai due pietre di onice e inciderai su di esse i nomi degli Israeliti: sei dei loro nomi sulla prima pietra e gli altri sei nomi sulla seconda pietra, in ordine di nascita. Inciderai le due pietre con i nomi degli Israeliti, seguendo l’arte dell’intagliatore di pietre per l’incisione di un sigillo; le inserirai in castoni d’oro. Fisserai le due pietre sulle spalline dell’efod, come pietre che ricordino presso di me gli Israeliti; così Aronne porterà i loro nomi sulle sue spalle davanti

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al Signore, come un memoriale». La Sacra Bibbia, cei, 2008. 81 I buffoni recitavano durante le feste di Purim, Yom Kippur e Chanukah. Cfr. Ioel Kan, Skvoz prizmu hasidskogo uchenia, Teksto, Moskva 2011, pp. 125-150. 82 Filacteria (in ebraico: ‫תפילין‬, tefilin) è un termine che deriva dal greco phylakterion (protezione, amuleto), che passò al latino come phylacter a e si riferisce a piccoli contenitori o astucci di cuoio, dove si conservano dei passaggi delle Scritture ebraiche. 83 La figura del pagliaccio bianco rimanda a quella del Pierrot, un personaggio della commedia dell’arte, noto per il suo carattere malinconico. Il mito del pagliaccio bianco sarebbe legato anche ai misteri medievali in cui era associato alla morte: «La veste bianca, il copricapo appuntito, il volto infarinato e la parrucca rimandano ai misteri del Medioevo, in cui gli attori rappresentavano lo spirito della morte. Il colore bianco richiamava il pallore della morte. La lunga cappa può essere associata alle vesti che nel Giudizio Universale indossano, di solito, le anime». Cfr. Jacob Pascal (ed.), En piste!: Les plus beaux costumes de cirque, Fage Editions, Lyon-Moulins 2013, p. 56. 84 A tale proposito, cfr. Jean Starobinski, Ritratto dell’artista da saltimbanco, Bollati Boringhieri, Torino 1984. 85 A proposito dell’interpretazione politica dei pagliacci nella pittura di Rouault, cfr. Miriam Alzuri, Martine Briand (eds.), Georges Rouault. Lo sagrado y lo profano, Museo de Bellas Artes de Bilbao, Bilbao 2010. 86 Quest’opera richiama il quadro di Chagall intitolato Fiera, del 1907, che a sua volta fu ispirato dalla pièce di A. Blok Balaganchik, diretta da Vsevolod Meierhold. Nell’opera teatrale, un pagliaccio vestito di bianco era disteso al suolo con una candela in mano, mentre in secondo piano si svolgeva un corteo funebre. Cfr. Aleksandr Kamensky, Marc Chagall: chudojnik iz Rossii, Azbooka, Moskva 1995, p. 73. 87 Il riferimento al gallo come simbolo di sacrificio risale alla tradizione rituale delle comunità religiose di Loubavich. Secondo Bella, prima sposa di Chagall, durante la

festa di Yom Kippur, il giorno del perdono, si praticava il sacrificio del gallo per i componenti della famiglia di sesso maschile, e quello della gallina per le femmine. Questa cerimonia si accompagnava con orazioni nelle quali si chiedeva che i peccati fossero trasferiti agli animali destinati al sacrificio, in modo da farli svanire con la loro morte. Cfr. Bella Chagall, Lumières allumées, Gallimard, Paris 1973, pp. 64-6. (tr. it. Diario sentimentale, con 13 disegni di Marc Chagall, Stampa alternativa, Viterbo 1991 e Come fiamma che brucia: io, la mia vita e Marc Chagall, Donzelli, Roma 2012). Quest’usanza fu illustrata da Chagall in vare opere, tra le quali si ricordano La vigilia del gran perdono, del 1912, e La lettura, del 1930. La capra, simbolo del focolare, secondo Elisabeth Pacoud-Rème (cfr. Elisabeth Pacoud-Rème, Maurice Fréchuret, Marc Chagall, Musée National Marc Chagall, Nice, Artlys, Réunion des musées nationaux, Paris 2011, p. 31), appare in diversi quadri di quest’epoca, associata al destino tragico degli anziani ebrei. Un ottimo esempio, a tale proposito, è quello de Il vecchio e la capra, del 1930. La capra appare anche nelle gouaches bibliche, nelle scene che alludono al sacrificio, come nel bozzetto Abramo pronto a immolare suo figlio. 88 Durante le sfilate carnascialesche, i condannati e gli ebrei erano obbligati a indossare la tunica bianca e il cappello a cono, in segno di disprezzo. Cfr. Tzvetan Todorov, Goya: a la sombra de las luces, Galaxia Gutenberg, Círculo de Lectores, Barcelona 2011, p. 58 (trad. it. Goya, Garzanti Libri, Milano 2013). 89 Marc Chagall, citato in Charles Sorlier, Chagall by Chagall, Harrison House, New York 1979, p. 185. Citazione in francese tratta da un manoscritto indedito conservato negli archivi di Ida e Marc (Comité Marc Chagall). 90 Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», cit., p. 186. 91 L’origine iconografica di queste figure risale al xviii secolo, quando l’immagine dell’uomo con il mento appoggiato sul palmo della mano, come rappresentazione tipica della malinconia, fu sostituita dai personaggi seduti in uno scenario desolato con le mani appoggiate

sulle ginocchia. Cfr. Hélène Prigent, Mélancolie: les métamorphoses de la dépression, Gallimard, Paris 2005, p. 96. 92 Yves Bonnefoy, L’imaginaire méthaphisique, Seuil, Paris 2006, p. 61. 93 Hubertus Tellenbach, La mélancolie, Puf, Paris 1979, p. 176 (tr. it. Melanconia, Il Pensiero Scientifico, Roma 1975). 94 Secondo Mircea Eliade la montagna è una delle immagini che rappresentano il vincolo tra cielo e terra. Essa può essere considerata come il centro del mondo, un axis mundi, luogo sacro che mette in relazione il mondo terreno con quello celeste. In tal senso, la cima della montagna rappresenta un luogo privilegiato per entrare in contatto con Dio. Cfr. Mircea Eliade, Lo sagrado y lo profano, Paidos, Barcellona 2014, pp. 32-36 (tr. it. Sacro e profano, Bollati Boringhieri, Torino 2006). 95 Jean Clair ha dimostrato che le rappresentazioni della malinconia costituiscono un tema ricorrente nell’arte del periodo tra le due guerre come forma di denuncia dei fatti politici, delle persecuzioni e degli attentati compiuti in quegli anni. Cfr. Jean Clair, Malinconia. Motifs saturniens dans l’art de l’entre-deux guerres, Gallimard, Paris 1996. 96 Nell’iconografia più diffusa, il profeta è spesso rappresentato nell’atto di ascendere al cielo su un carro di fuoco, oppure mentre realizza miracoli, nei panni del fervente combattente o nella solitudine del deserto, alimentato da un corvo. Nella tradizione chassidica, Elia è conosciuto soprattutto come uomo che compie miracoli. Cfr. Elie Wiesel, Célébration prophé-tique. Portraits et légendes, Seuil, Paris 1998. 97 L’interpretazione del profeta Elia come simbolo dell’esilio e dell’erranza risulta ancora più evidente se si tiene conto che nella letteratura yiddish questo profeta è associato alla figura dell’ebreo, rappresentato con due immancabili elementi: il bastone e la sacca in spalla. Elia appare nell’opera del poeta yiddish Peretz, il cui libro Il Mago fu illustrato proprio da Chagall (J.L. Peretz, Le Prestidigitateur, 1917, B.A. Kletzkin, Vilnius 1917). Ne La mia vita, Chagall lasciò una propria testi-

monianza di questa interpretazione del profeta: «Ma dov’è Elia, e il suo carro bianco? Forse è ancora nella corte, e sotto le spoglie di un misero vecchio, d’un mendicante ricurvo, con un sacco sulle spalle e un bastone in mano, sta per entrare in casa?». Cfr. Marc Chagall, La mia vita, cit., p. 48. Anche in un racconto chassidico ritroviamo questa associazione tra il profeta e l’ebreo errante: «Un rabbino si recava spesso al mercato alla ricerca del profeta Elia, il quale era solito vagabondare per il mondo in abiti da contadino». Cfr. Martin Buber, Chasidskie istorii, pozdnie uchitelia, Aleph, Moskva 2009, p. 86 (tr. it. I racconti dei Chassidim, Longanesi, Milano 1962). 98 Marcelo Massenzio, Chagall, solitude et mélancholie 1933-1945, L’Echoppe, Paris 2013, pp. 10-39. 99 Marc Chagall, Poèmes, Gérald Cramer, Genève, 1975, p. 81. Tradotto dall’yiddish e dal russo, adattato in francese da Philippe Jaccottet, in Ánguel nad krishami, Stihi, Proza, stati, vistuplenia, pisma, perevod y kommentarii L. Berinskogo, cit., p. 39. 100 Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», cit., p. 186. 101 Marcelo Massenzio, Chagall, solitude et mélancholie 1933-1945, cit., pp. 13-14. 102 Irina Iazikova, Cultorologuia y teologuia ikoni, Izdatelstvo pravoslavnogo universiteta, Moskva 1995, p. 35 (tr. it. Io faccio nuova ogni cosa. L’icona nel xx secolo, La casa di Matriona, Milano 2002). 103 Dora Vallier, «Du souvenir au mythe», in Mircea Eliade, Camille Bourniquel et al., Hommage a Marc Chagall, cit., p. 66. 104 Meyer Schapiro, «Les illustrations de Chagall pour la Bible», cit., p. 186. 105 Leon Battista Alberti, Della Pittura e della Statua, Dalla Societa Tipografica de Classici Italiani contrada di S. Margherita, n° 1118, Milano 1804, pp. 63-64: «Animos deinde spectantium movebit historia, cum qui aderunt picti homines suum animi motum maxime prae se ferent. […] Sed hi motus animi ex motibus corporis cognoscuntur» (Fara oltra di questo l’istoria stare gli spettatori con gli animi attenti, quando quegli uomini che

vi sranno quieti, rappresenteranno grandissimamente i moti degli animi loro. Ma questi moti dell’animo si conoscono, mediante i moti del corpo). 106 Jacques Maritain, «Eaux-fortes de Chagall pour la Bible», in Cahiers d’Art, cit., p. 84. 107 Anagogía, parola proveniente dal latino anago-ge, a sua volta dal greco ναγωγ (elevazione), composta da ανα, con il significato di «verso l’alto», e γειν, «portare», ossia «portare verso l’alto». Platone utilizzò il verbo νγειν per fare riferimento al sollevarsi delle cose verso il topos hyperuranios (luogo celestiale) o mondo delle idee, nel quale immaginava che tutto avesse origine. Aristotele, e successivamente gli stoici, iniziarono a usarla in riferimento all’esegesi dei miti. Nella Septuaginta, la Bibbia greca, comunemente chiamata Bibbia Septuaginta o Bibbia dei Settanta, appare questo verbo nel contesto della liberazione del popolo di Israele dal giogo del faraone. Per un’analisi dell’uso di questo termine nelle teorie contemporanee, si può fare riferimento alla classificazione proposta da Umberto Eco, secondo il quale esistono quattro livelli interpretativi dei testi sacri: letterale, allegorico, tropologico (morale) e anagogico (mistico). Cfr. Umberto Eco, «Sviluppo dell’estetica medievale», in Momenti e problemi di storia dell’estetica, Marzorati, Milano 1959; ed. riveduta Arte e bellezza nell’estetica medievale, Bompiani, Milano 1987. 108 Quintiliano, Institutio oratoria, xi. 3.85-7. 109 François Garnier, Le langage de l’image au Moyen Age, Léopard d’Or, Paris 1995, p. 167. 110 Leon Battista Alberti, De pictura, cit., Libro ii, par. 42, p. 66: «Tum placet in historia adesse quempiam qui earum quae gerantur rerum spectatores admoneat, aut manu ad visendum advocet». 111 François Garnier, Le langage de l’image au Moyen Age, cit., p. 202. 112 Queste funzioni sono state studiate da Jaime Barylko, El Midrash, la sabiduría del Judaísmo, Kier, Buenos Aires 1993, pp. 234-235. 113 Barbara Pasquinelli, Il gesto e l’espressione, Mondadori Electa, Milano 2005. 114 Ibid., pp. 172-176.

Ibid., pp. 88-91. Ibid., pp. 56-65. 117 Ibid., pp. 231-234. 118 Ibid., pp. 279-286. 119 Ibid., pp. 203-209. 120 La rappresentazione della figura alata che si avvicina a Giacobbe, nell’episodio della visione della scala, si trova anche nei manoscritti medievali. L’invenzione di Chagall consiste nell’alterare questo schema visivo rimpiazzando l’angelo con una figura maschile, che evoca con molta probabilità l’apparizione di Dio. Nel libro della Genesi (28,13), si legge: «Ecco il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato”». La Sacra Bibbia, cei, 2008. Cfr. Markus Müller, «Marc Chagall – modernes Künstlertum jenseits der Dogmen», pp. 72-73, in Marc Chagall und Die Bibel, catalogo per il Kunstmuseum Pablo Picasso Münster, Wienand Verlag, Köln 2011, pp. 9-78. 121 Marc Chagall, Testo inedito di Marc Chagall sulla Biblia, Archivi Marc e Ida Chagall. 122 Vladimir Solov’ëv, «Krasota v prirode», cit., p. 48; per una descrizione più completa, cfr. Viktor Bi kov, 2000 let christianskoi kulturi: sub specie aesthetica, cit., p. 277. 123 Gualtieri di San Lazzaro, «Le cantique de cantiques de la couleur», in Mircea Eliade, Camille Bourniquel et al., Hommage a Marc Chagall, cit., p. 52. 124 Elisabeth Pacoud-Rème, «Die ‘Chimie’ in Chagalls Werken zur Bibel. Technik und Ausfürung», p. 26, in Klaus Albrecht Schröder (hrsg.), Marc Chagal. Die Mythen der Bibel, Albertina, Wien 2004, pp. 25-35. 125 Gershom Scholem, «La symbolique des couleurs dans la tradition et la mystique juives», in Le Nom et les symboles de Dieu dans la mystique juive, Cerf, Paris 1983, pp. 151-191. 126 Benno Jacob, Das erste Buch der Tora, Genesis, Schocken Verlag, Berlin 1934, p. 257. 127 Marc Chagall, Testo inedito di Marc Chagall sulla Bibbia, cit. 128 Gershom Scholem, «La symbolique des couleurs dans la tradition et la mystique juives», cit., p. 154. 129 Ibid., p. 159. 130 Yves Charnay, Hélène De Givry, 115 116

Comment regarder les couleurs dans la peinture, Hazan, Paris 2011, pp. 280-283. 131 Ellen Frankel, Betsy Platkin Teutch, «White», in Encyclopedia of Jewish symbols, Jasón Aronson Incorporated, Northvale, New Jersey 1995. 132 Cfr. Igor Dubov, Tracing AnSky: Jewish Collections from the State Ethnographic Museum in St. Petersburg, Waanders Uitgevers, Zwolle 1992, p. 14. 133 Marc Chagall, «Comment un barbare», in Marc Chagall, Poèmes, Gérald Cramer, Genève 1975, p. 21. 134 Marc Chagall, «Ma fiancée blanche», in ibid., p. 23: «Alors je m’envolerai/ Je monterai avec toi sur l’échelle de Jacob/ Au-dessus des nuages, ma fiancée blanche». 135 Yves Charnay, Hélène De Givry, Comment regarder les couleurs dans la peinture, cit., p. 294. 136 Marc Chagall, «Bella», in Ánguel nad krishami, Stihi, Proza, stati, vistuplenia, pisma, perevod y kommentarii L. Berinskogo, cit., p. 83: «Ta tombe brille, humide,/ Et je deviens gris, comme les cendres». 137 Jan Baleka, Sinii- zvet jizni i smerti. Metafísica odnogo zveta, Iskusstvo, Moskva 2008, pp. 173-175. 138 Ellen Frankel, Betsy Platkin Teutch, «Blue» in Encyclopedia of Jewish symbols, cit. 139 Es 24,10. 140 Cfr. Viktor Bi kov, «Fenomen drevnerusskogo esteticheskogo soznania», p. 231, in 2000 let christianskoi kulturi: sub specie aesthetica, cit., pp. 228-237. 141 Marc Chagall, La mia vita, cit., p. 114. 142 La torre di Davide, nell’esegesi talmudica, alla fondazione del nuovo regno di Israele. Cfr. Simon Philip De Vries, Ritos y símbolos judíos, Caparrós, Madrid 2001, pp. 30-35. 143 Gershom Scholem, «La symbolique des couleurs dans la tradition et la mystique juives», cit., pp. 165, 180. 144 Marc Chagall, La mia vita, cit., p. 89. 145 Roland Gradwohl, Die Farben im Alten Testament. Eine terminologische Studie, A. Töpelmann, Berlin 1963, pp. 10- 27, si vedano soprattutto pp. 11ss. 146 Cfr. Viktor Bi kov, «Fenomen drevnerusskogo esteticheskogo soznania», cit., p. 233.

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Bibliografia selettiva a cura del Comitato Marc Chagall 147 Cfr. Zohar, il libro dello splendo-

re, Einaudi, Torino 2008. 148 Viktor Bi kov, «Fenomen drevnerusskogo esteticheskogo soznania», cit., p. 235. 149 Ibidem. 150 Cfr. Jan Baleka, «Il Porpora», in Sinii- zvet jizni i smerti. Metafísica odnogo zveta, cit., pp. 97-107; Gershom Scholem, «La symbolique des couleurs dans la tradition et la mystique juives», cit., p. 159. 151 Michel Pastoureau, Vert. Histoire d’une couleur, Seuil, Paris 2013, pp. 65-70 (tr. it. Libro verde. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano 2013). 152 Ibid., p. 71. 153 Ibid., pp. 172-179. 154 Ibid., p. 38. 155 Ziva Amishai-Maisels, «Chagall’s in -jokes», (5), p. 90, Spertus College of Judaica Press, Chicago 1978, pp. 76-93. 156 Marc Chagall, «Bella», cit., p. 83: «Tu viendras seul jusque dans mes bras, traversant la langueur étoilée/ Tu seras vert, tout vert, comme le champ dans mon cúur». 157 Gershom Scholem, «La symbolique des couleurs dans la tradition et la mystique juives», cit., p. 161. Esodo, 25,40. 158 Michel Pastoureau, Vert. Histoire d’une couleur, cit., p. 53. 159 Ibid., pp. 97-102.

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160

Ibid., p. 42.

161 Yves Charnay, Hélène De Givry,

Comment regarder les couleurs dans la peinture, cit., pp. 240-245. 162 Secondo Bachtin, un approccio dialogato o polifonico in un’opera d’arte implicherebbe una sorta di gioco dell’artista con la memoria del genere a cui quell’opera appartiene, mediante una combinazione del grottesco e dell’eroico, dei cronotopos antagonici, del sacro e del profano. Allo stesso tempo potrebbe implicare anche la coesistenza all’interno dello stesso schema compositivo di diversi linguaggi artistici. Cfr. Michail Michajlovi Bacht’n, Problemi poetiki Dostoevskogo, Chudojestvennaia Literatura, Moskva 1972 (tr. it. Problemi dell’opera di Dostoevskij, Edizioni dal Sud, Bari 1997); Id., «Slovo v romane», in Voprosy literatury i estetiki, Chudojestvennaia Literatura, Mosca 1975, pp. 72-234 (tr. it. «La parola nel romanzo», in Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 2001). Sulla teoria del dialogo in Bachtin si veda Tzvetan Todorov, Michail Bachtin: il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990. 163 Marc Chagall, Message biblique, discorso di inaugurazione del Musée national Message biblique, a Nizza, nel 1973.

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Indice dei nomi

Crediti fotografici I numeri si riferiscono alle pagine

Abele 31 Abramo 9, 10, 17, 19, 22, 24, 31, 58, 62, 66, 70, 74, 90, 140, 142, 148, 150, 152, 154, 156, 174, 210, 212, 214, 220, 221, 223, 224 Acab 118 Achille 211 Adamo 9, 15, 17, 24, 31, 206, 211 Alberti Leon Battista 220, 221 Aleichem Sholem 26 Andrea, santo 213 Apollinaire Guillaume 12, 17 Aronne 9, 10, 17, 102, 176, 178, 182, 184, 190, 196, 200, 212, 215, 217, 221, 223, 224, 225 Asch Shalom 24 Ashkenazi Jacob ben Isaac 26 Bahya ben Asher 26 Baltrušaitis Jurgis 10 Beato Angelico 22 Beniamino 166 BenoisAleksandr 14, 211 Berdjaev Nikolaj 205, 206 Bialik Hayyim 31 Blok Aleksandr 10, 206 Bloomgarden Yehoyesh-Solomon, detto Yehoyesh 25, 26 Bonnard Pierre 12 Borisov-Musatov Viktor 211 Breton André 14 Budko Joseph 12 Bulgakov Sergej 207 Caino 31 Cam 54, 138 Cassirer Ernst 12 Cassirer Paul 12 Cendrars Blaise 10 Cézanne Paul 12 Chagall Rosenfeld Bella 10, 205, 224 Chagall Ida 10 Chagall Marc passim Cimabue 207 iurlionis Mikalojus 206 Cohen Albert 14 Courthion Pierre 211 Davide 9, 17, 30, 31, 110, 114, 221, 222, 224

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Delaunay Robert 13 Delaunay Sonia 13 Denis Maurice 12 Dizengoff Meir 31 Duride 211 Dworkin Abraham-Dov 26

Isacco 9, 10, 62, 66, 70, 82, 86, 90, 148, 150, 152, 168, 174, 212, 221, 224 Isaia 17, 24 Ivanov Aleksandr 205, 208, 209 Ivanov Vja eslav 205, 206

Odilon Redon 214 Opatoshu Yosef 14, 15, 26 Pacoud-Rème Elisabeth 222 Peretz Yitskhok Leybush 22, 26 Picasso Pablo 12 Putifarre 162, 212, 224

Efraim 170, 221 El Greco 213 Elia 9, 19, 21, 30, 118, 207, 217, 224, 225 Eliade Mircea 206 Eliezer 9, 78, 156, 221 Erode 217 Esaù 82, 86 Ettinger Pavel 13, 14 Eva 9, 15, 17, 34, 126, 211, 213 Ezechiele 17, 22, 24

Jarry Alfred 12 Jesse 31

Rachele 15, 31 Rashi (Rabbi Shlomo Yitzhaqi) 26 Rebecca 9, 15, 31, 78, 156, 221 Rembrandt 30, 211, 212 Ribera Jusepe de 213 Roerich Nikolaj 206 Rouault Georges 215, 216 Rozanov Vasilij 206 Rubiner Ludwig 10 Rublëv Andrej 207 Ruth 31

Feilchenfeld Walter 12 Fleg Edmond 1 Florenskij Pavel 207 Francesco, santo 213 Friedman Mira 206 Gallimard Gaston 14 Gauguin Paul 12 Gesù Cristo 30, 31, 208, 210, 216, 224 Giacobbe 9, 10, 17, 30, 31, 82, 86, 90, 94, 160, 168, 174, 212, 221, 222, 223, 224 Gionata 114 Giosuè 31, 98, 198, 202 Giuseppe 26, 158, 160, 162, 164, 166, 168, 170, 208, 212, 217, 221, 224 Glatstein Jacob 24 Goethe Johann Wolfgang von 12 Gogol Nikolaj Vasil’evi 12, 13, 21 Gon arova Natalia 207 Greenberg Clement 30 Gualtieri di San Lazzaro 222 Guë Nikolaj 205, 209 Halevi Judah 31 Harshav Benjamin 10 Heyd Milly 30 Holbein Hans il giovane 30 Iafet 54, 138

Kandinskij Vasilij 206 Koenig Leo 14, 15, 26, 215 Kramskoj Ivan 217 La Fontaine Jean de 13, 214 Lenin Vladimir 10 Leonardo da Vinci 220 Lia 15 Lichtenstein Isaac 26 Liessin Avrom 14, 30, 219 Lot 146 Luna arskij Anatolij Vasil’evi 10 Malevi Kazimir 207, 217 Manasse 170, 221 Maria, profetessa 190, 207, 209, 222 Maria Vergine 26, 30, 208, 210, 217, 220, 224 Maritain Jacques 205, 209 Massensio Marcelo 219, 220 Matveev Aleksandr 211 Memnone 211 Merejkovsky Aleksandr 206 Merian Mattheus 30 Moab 146 Moicher-Sforim Mendele 26 Mosè 9, 17, 19, 30, 31, 98, 102, 172, 174, 176, 178, 180, 182, 184, 188, 192, 194, 196, 198, 200, 202, 207, 208, 213, 214, 215, 220, 221, 222, 224 Nahmanide (Moshe ben Nahman Girondi) 26 Nesterov Michail 210, 217 Niger Shmuel 24 Noè 9, 10, 17, 38, 42, 46, 50, 54, 128, 130, 132, 138, 219, 220, 224, 225

Per tutte le immagini © Chagall ®, by siae 2014 © 2014 Biblioteca Apostolica Vaticana, 207 © Bibliothèque nationale de France, 212 © Centre Pompidou, mnam-cci, Dist. rmn-Grand Palais / Jacques Faujour, 18 © Centre Pompidou, mnam-cci, Dist. rmn-Grand Palais / Philippe Migeat, 8, 11, 20 © Centre Pompidou, mnam-cci, Dist. rmn-Grand Palais / Bertrand Prévost, 28, 29, 30, 31, 218 © Chagall ®, by siae 2014, 2, 7, 16, 27, 35-202 © Kunsthaus Zürich, Gift of Dr. Max Bangerter, 215b © 2014. Foto Scala, Firenze, 213 © 2014. Foto Ann Ronan/Heritage Images/Scala, Firenze, 208 © 2014. Foto Fine Art Images/Heritage Images/Scala, Firenze, 209

Salomone 31 Samuele 9, 24, 106 Sansone 31 Sara 9, 10, 15, 17, 31, 74, 142, 148, 154, 210, 221, 224 Saul 9, 106, 110, 114, 211 Schapiro Meyer 31, 220 Ségur Sophie, contessa 12 Selezneva Ekaterina 209 Sem 54, 138 Serov Valentin 211 Shamshin Petr 209 Skrjabin Aleksandr 206 Solov’ëv Vladimir 205, 206, 222 Stalin 10 Struck Hermann 12, 31 Sutskever Abraham 24 Tatlin Vladimir 207 Tchaikov Joseph 26 Tellenbach Hubertus 219 Tolstoij Lev 209 Vallier Dora 220 Van Gogh Vincent 12 Vollard Ambroise 9, 15, 21, 24, 205, 212, 215, 216 Vrubel Michail 205, 209, 210, 217 Walden Herwarth 12, 21 Wullschläger Jackie 10

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