CHINESE ART

Page 1

L’arte cinese


Christine Kontler

l’artE cinese una storia culturale


International copyright © 2016 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved Prima edizione italiana ottobre 2016

prefazione 6 Capitolo primo La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali 10 Capitolo secondo LA Cina antica degli zou 44 Capitolo terzo Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) 78 Capitolo quarto Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) 114

Traduzione dal francese Marta Materni Impaginazione e cartogafia Break Point/Jaca Book Fotolito PrePress, Sondrio

Stampa e confezione Sincromia Srl, PN ottobre 2016

ISBN 978-88-16-60516-2

Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

Capitolo quinto Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista Mongola (1279-1368) 158 Capitolo sesto La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) 199 Epilogo 235 Selezione bibliografica 239 Indice dei nomi e dei luoghi 241


L’arte cinese

Prefazione

PREFAZIONE

Tracciare a grandi linee la storia culturale della Cina per permettere la visione e la lettura delle sue principali realizzazioni artistiche nella loro dimensione rituale, spirituale e religiosa, è ciò che si propone questo saggio. Un’impresa del genere non è scevra da timori: come restituire la ricchezza di una civiltà che si è sviluppata per quattro, o addirittura cinque millenni, su un territorio vasto come un continente, senza cancellarne l’enorme diversità e ridurne la complessità? La distanza che si impone allo sguardo esterno, all’osservatore nato al di fuori della cultura cinese, giova alla prospettiva di insieme; perché, di primo acchito e quasi istintivamente, essa lascia affiorare quella singolarità che riposa completamente su una scrittura ideografica dalle caratteristiche esemplari. L’influenza sul pensiero e sull’arte di un modo di scrittura invariato dall’alta antichità ai giorni nostri appare come il motore del mondo cinese, della sua coerenza interna e delle sue grandi dinamiche.

Una scrittura singolare Tra le più antiche grafie scoperte in un contesto archeologico figurano le iscrizioni divinatorie della casata Shang all’apogeo della sua cultura nel xiii secolo a.C. Esse testimoniano un sistema di scrittura evoluto la cui funzione e le cui forme iniziali, ancora mal conosciute, aprono agli studiosi contemporanei un vasto campo di ricerche, che rimandano non solo alla tanto dibattuta e tanto importante questione delle origini della civiltà cinese ma anche alla definizione che essa dà di se stessa, un ordine che l’uomo ricava dalla ragion d’essere delle cose. Da duemila anni, i letterati cinesi pongono a fondamento della loro cultura la convergenza tra l’ideografia e la mantica, ambedue nate dall’opera civilizzatrice dei sovrani mitici degli inizi della storia. Nel primo lessico della lingua che Xu Shen (ca. 58-147 d.C.) elabora tra il 100 e il 121, lo Shuowen jiezi (Spiegazione delle figure e interpretazione dei caratteri), l’invenzione dei caratteri della scrittura viene attribuita allo «scriba divino» dell’Imperatore Giallo, Cang Jie. Dopo aver osservato, di volta in volta, «le figure sospese» nel cielo – le costellazioni – e le tracce lasciate sulla terra dagli artigli degli uccelli e dalle zampe degli animali, Cang Jie «… si ispirò alla forma di ogni categoria di esseri, chiamò wen (caratteri semplici) i segni che ne ricavò. Combinò poi le forme e i suoni e chiamò zi (caratteri composti) queste combinazioni. I wen furono così definiti perché erano le manifestazioni iniziali degli esseri, gli zi perché si moltiplicarono con il tempo. Furono chiamati shu (scrittura)

6

i caratteri scritti sul bambù e sulla seta. Ora shu (la scrittura) altro non è che ru (la somiglianza o l’equivalenza)». Quindi, i caratteri della scrittura cinese sono delle messe in forma e in suono, direttamente o per combinazione, dell’insieme del reale. Catalogati in rubriche che permettono di coglierne la qualità o la loro ragione d’essere, essi non rimandano a un ordine soprannaturale, ma esprimono una visione e una comprensione del mondo basate su relazioni molto particolari tra i suoi esseri. Essi sono funzionali a una lingua classica o, letteralmente, a un «discorso grafico» (wenyan) elaborato e perfezionato nel corso del i millennio antecedente la nostra era allo scopo di annotare le parole e i canti degli uomini, registrare i loro atti e conservarne la memoria. Sono giunti fino a noi sotto forma di iscrizioni fuse o incise nel bronzo, di scritti su listelli di bambù e su seta, ma anche attraverso i testi trasmessi dalla tradizione. I libri classici della corrente letterata nata dagli insegnamenti di Confucio (551-479 a.C.) annoverano la scrittura tra le Sei Arti dell’educazione nobile che rendono idonei al governo degli uomini; insieme ai riti, alla musica, alla guida del carro, al tiro con l’arco e al calcolo, la scrittura esercita sia il corpo che lo spirito, rafforza il comportamento, affina il giudizio e giova alla conoscenza morale. La sua padronanza permette di smarcarsi dai «barbari» rimasti fuori dal campo della letteratura, dell’urbanità dei costumi e della cultura, tutte espressioni di una stessa qualità di uomo che rimandano al concetto fondante di wen, «il segno o la lettera ideografica». I Maestri dell’impero fondato nel 221 a.C. si occupano del campo dello scritto promulgando una lingua ufficiale, nata dall’eliminazione delle grafie ritenute aberranti e dall’unificazione dei caratteri degli antichi regni. La mira è politica – giovare alla coesione dell’impero e consolidare la sua autorità –, ma anche ideologica, in quanto si vuole estendere l’influenza civilizzatrice del nuovo ordine «sotto il Cielo» e manifestarne la potenza. Al servizio di un’amministrazione centralizzata, le grafie si trasformano; per gli usi correnti della loro carica, i funzionari dell’impero usano uno strumento innovativo, il pennello, che conferisce ai caratteri la loro fisionomia definitiva, quella che conservano ancora oggi e in cui le tracce elementari si conformano al modello degli otto tratti da cui è formato il carattere yong «perpetuo». Costantemente perfezionati, i nuovi strumenti per la scrittura, pennello, inchiostro e carta, sono dei «tesori», oggetto di una venerazione che cresce con i secoli. A lungo riservata a un’élite e appannaggio di una classe di eruditi e funzionari letterati, la scrittura è il cemento di un’identità

culturale permanentemente vivificata dalla sensibilità personale, in quanto diventa, a partire dal iii secolo della nostra era, una vera e propria arte, la prima delle Belle Arti della Cina. Alla maniera dei rami che germogliano da uno stesso tronco, fioriscono nuove modalità di espressione artistica (poesia, pittura e musica) che esprimono la stessa padronanza del tratto, delle linee di forza – o della struttura interna – e del ritmo. Bandendo ogni invenzione, sia essa grafica o semantica, vietando ogni ripensamento e obbligando a una serie prescritta di gesti, l’arte cinese della scrittura riposa più sull’interpretazione che sulla creatività pura. Essa lascia tuttavia che gli slanci del cuore e dello spirito si esprimano liberamente, come testimonia Hsiung Ping-Ming (19222002), autore nel 1996 di un trattato teorico sulla calligrafia, arte che praticava e insegnava da maestro: «Nell’arte occidentale, esiste la scultura e la pittura. Ma in Cina, abbiamo la calligrafia che si colloca da qualche parte tra il pensiero e l’arte visiva. Rispetto al pensiero, essa è più concreta e vivace; rispetto alla pittura e alla scultura, è più astratta, più pura e più scintillante. La calligrafia è il cuore stesso della cultura cinese, un giardino eccezionale di anime cinesi».

Dall’artigiano al saggio Rigore nell’allenamento, pratica assidua, copia instancabile e continua ripetizione, fanno sì che la calligrafia sia una disciplina che si confonde con le modalità tradizionali dello studio, preludio a ogni cultura del sé, parola chiave della saggezza cinese. Rispecchia inoltre l’attività incessantemente ripetuta propria dell’artigiano, la cui perfezione risulta, al di là dell’abilità acquisita con l’apprendistato, da uno stato sia mentale che fisico in cui il pensiero, il corpo, la mano, lo strumento e l’oggetto del lavoro si trovano organicamente e indissociabilmente legati in uno svolgimento ritmato di gesti creatori. Il pensiero cinese antico è come plasmato dalla pratica delle arti e delle tecniche. Per secoli, i maestri vasai e bronzisti, i tessitori, i laccatori e i lapidari contribuiscono, con l’esercizio della loro arte, a modellare, a tingere o a levigare una mentalità in cui i valori astratti sono inscritti nel cuore stesso delle realizzazioni concrete. Che essi emanino dalla tradizione letterata o da quella dei maestri del Dao, i testi dell’antichità mantengono viva l’equivalenza tra saper fare, saper vivere e saper essere. Ai gesti tecnici che trasformano o sublimano la materia rispondono gli insegnamenti e le discipline che rivelano, secondo Confucio, l’umanità perfetta o la vocazione superiore dell’uomo. In questo modo si esprime, per metafora, il valore esemplare che egli attribuisce alla lavorazione della giada, pietra tra tutte emblematica della cultura cinese. Il costante sforzo di perfezione morale poggia così sulla pratica regolare del rituale sacrificale; movimenti ritmati e gesti ordinati regolano il comportamento e informano i rapporti gerarchici; essi sono accompagnati dalla musica – intesa in senso ampio come combinazione di stru-

menti, di canti e di danze –, che unisce i celebranti del rito in uno stesso slancio di entusiasmo perché, in modo significativo, «musica» e «gioia» sono sinonimi resi da uno stesso carattere di scrittura di cui differisce soltanto la pronuncia. La perfezione formale è un atto morale ma anche sociale e politico, perché influisce positivamente sull’ambiente e permette di costruire un mondo di rapporti armoniosi nel quale rientrano tutte le realizzazioni artistiche. Pur muovendosi in una prospettiva opposta che disprezza regole e valori normativi per partecipare pienamente della libertà dell’uomo nel mondo, anche il principale rappresentante del taoismo antico, Zhuang Zi (iv secolo a.C.) insegna, come Confucio, il dominio di sé. Gli artigiani che egli mette in scena, spiriti comuni e prosaici, sono dei saggi; sanno «nutrire la vita» in se stessi. Il loro mestiere è legato a una lunga disciplina del gesto che stimola e sviluppa, insieme alle qualità dello spirito, l’intelligenza e la coscienza del corpo, le sue emozioni e la sua memoria. Proprio perché osserva i lineamenti del bue che fa a pezzi, il macellaio maneggia il suo coltello con la giusta cadenza e ne preserva la lama; il movimento circolare della mano del carradore si trasmette tramite l’esempio delle sue realizzazioni e non attraverso la parola o i libri, che inquinano più che rivelare il significato intimo della sua arte. Colui che redige una lettera si isola dalla moltitudine degli scribi per raccogliersi in tranquillità. Quanto al falegname, egli coglie la scintilla creatrice, quella che, di punto in bianco, fa coincidere la sua natura con quella del legno che egli lavora, perché la vera creazione è ri-creazione; lungi dall’imitare le forme esteriori degli esseri e delle cose della natura, essa li ri-produce secondo i principi stessi che li animano.

Il grande processo del mondo Per il pensiero tradizionale, l’esistenza degli esseri scaturisce da un fondo indifferenziato, da un’origine che non è né un luogo né un tempo, o da un soffio-energia che non è né materia né non-materia, ma sostrato comune all’insieme del reale. La realtà si manifesta dapprima in forma embrionale, prende quindi corpo e si realizza pienamente per poi sparire e vedersi sostituita da una nuova realtà. Il Classico della divinazione, il Libro dei Mutamenti o Yijing formalizza, a partire dall’unità primordiale del mondo, la totalità delle trasformazioni, quei perpetui scivolamenti da uno stato o da un essere all’altro. Come avviene per i caratteri della scrittura, e seguendo un analoga modalità operativa, le configurazioni che egli registra – trigrammi ed esagrammi – sono punti di emergenza nel sensibile, tracce visibili – e leggibili – delle realtà viventi, allo stato nascente o in corso di mutazione. Esse si formano a partire dalla linea continua e dalla linea spezzata, interscambiabili, emblemi grafici dei poli dell’energia vitale, chiamati «yin e yang» in riferimento alle due facce, «ombrosa» e «soleggiata», di un’altura montuosa. Nel linguaggio speculativo yin e yang

7


L’arte cinese

designano tutte le opposizioni le cui interazioni presiedono all’esistenza degli esseri e delle cose, i quali si distribuiscono poi, a seconda del loro modo di agire particolare, in uno dei Cinque Elementi, forme di energia anch’esse in costante evoluzione. In tal modo si costituisce e si codifica, all’inizio del periodo imperiale, la vasta rete di corrispondenze che impegna l’uomo nella vita come nella morte, in seno al grande processo del mondo e gli assicura una presa totale su uno spazio-tempo in perpetuo divenire. Arricchita dalle speculazioni della cosmologia correlativa, la tradizione letterata o il confucianesimo, secondo la definizione occidentale corrente, investe un campo ufficiale in cui il politico non si distingue minimamente dal religioso. Per duemila anni, dal iii secolo prima della nostra era fino al 1911, le sue leggi e le sue istituzioni regolano tutte le forme di un ritualismo di Stato allo scopo di assicurare, con un governo virtuoso, la pace e la prosperità dell’impero; stabiliscono le principali direttive dell’urbanistica e dell’architettura palaziale e funeraria, ma anche di tutte le arti al servizio della maestà imperiale e dei suoi rappresentanti, i letterati-funzionari. Organizzate in comunità, dal ii secolo della nostra era, le correnti religiose del taoismo mirano al ben-essere, al ben-vivere e alla Lunga Vita nella purezza dello spirito, nella comunione e nell’armonia del sé con il Dao, principio cosmico e corso naturale delle cose. Rituali e pratiche vivificano nel corso dei secoli l’eredità dei maestri – esperti di astronomia, di astrologia, di calendarii o almanacchi, di geomanzia e fisiologia, tutte scienze che obbediscono alle stesse regole dell’analogia e dell’omologia, della consonanza e della risonanza, e che suggeriscono una medesima tipologia di relazione tra l’uomo e l’universo, tra il finito e l’infinito, tra la realtà visibile del mondo e la sua dimensione invisibile.

Delle arti confuciane, taoiste e buddiste Con il buddismo, nato in India e arrivato nel i secolo della nostra era, la Cina si arricchisce di una nuova tradizione spirituale e religiosa che viene in larghissima misura a patti con i valori letterati e taoisti, pur conservando la sua forte originalità. Sottrarsi al ciclo delle vite e delle morti (samsara) permette di liberarsi dal dolore, dall’impermanenza e dalla precarietà della condizione umana e conquistare la pace che nasce dal dominio del desiderio e dall’estinguersi delle passioni (nirvana). Gli insegnamenti dei maestri poggiano sulla base morale del giusto atto e della giusta intenzione e su esercizi di concentrazione che mirano alla realizzazione della natura di perfezione iscritta nel cuore di ciascuno. I buddisti mutuano dal mondo indiano la loro concezione essenzialmente benefica dell’immagine che assicura il bene e la prosperità di colui che la realizza, di colui al quale è destinata e di colui che la contempla. La visione dei Buddha e dei bodhisattva che manifestano la saggezza del Risveglio e una compassione infinita nei confronti di tutti gli esseri è liberatoria. Allo

8

Prefazione

stesso titolo del testo canonico e qualunque sia il suo orientamento dottrinale, l’arte buddista ha valore di insegnamento, essa edifica. Risveglia le qualità del cuore e dello spirito e le indirizza verso la moralità, la saggezza e la contemplazione. Le arti ispirate dal confucianesimo perseguono analoghi intenti: trasmettere l’insieme dei valori di perfezione morale, autorità sociale e prestigio culturale attraverso la calligrafia e i Classici, ma anche con le vite illustrate di Confucio, con i ritratti degli antenati, dei maestri di saggezza e dei sovrani mitici o storici, e con la raffigurazione di personaggi dalla virtù esemplare. Ma l’arte praticata o apprezzata dall’élite dei letterati-funzionari non è soltanto edificante; essa realizza ed esprime un ampio ventaglio di sensibilità. Xu Shen, il lessicografo precedentemente citato, interpreta il carattere di scrittura mei che designa correntemente la bellezza, a partire dal suo determinante semantico, «il montone», la più delicata delle carni sacrificali, che rimanda alla sensazione della dolcezza, sapore e virtù benevola. Il bello corrisponde al buono, percezione gustosa del bene. Con i secoli un’analoga formulazione modula il giudizio sull’arte, sul commercio e sulla comunione con le sue opere. Destinata all’amatore illuminato che voglia mettere insieme una collezione, la lista stilata dal critico d’arte Li Rihua (1565-1635) è, a questo riguardo, esemplare. Pur stabilendo una gerarchia tra le arti, fra le quali il primato assoluto va alla calligrafia e alla pittura dei maestri antichi, Li Rihua cita poi, in ordine decrescente di buon gusto, i bronzi e le giade antiche, le pietre da inchiostro, gli strumenti musicali e le spade celebri, i libri stampati, le rocce dalla superficie ruvida e dalle forme modellate dall’erosione, quindi, sistemati in vaso, un ramo di vecchio pino e giunchi affusolati, un ramoscello di susino in fiore e dei bambù, i profumi e i tesori venuti dall’estero, il migliore dei tè ben preparato, i dolciumi importati e, infine, le porcellane e le ceramiche. L’inventario è eloquente; esso illumina l’universo molto particolare del conoscitore cinese rivelando stretti legami con la visione taoista delle arti. Pur rappresentando il loro fondatore leggendario, Lao Zi, i loro immortali e i maestri dei loro lignaggi, le raffigurazioni taoiste non tendono tanto a edificare quanto a dimostrare e trasmettere il carisma, i poteri spirituali (ling) o le qualità divine (shen) di cui, in gradi diversi, tutti gli esseri della natura sono dotati. Per invocare gli spiriti benefici e proteggere dalle forze malefiche, per guarire e rigenerare, la liturgia taoista si appella all’immagine ma anche, e soprattutto, alla parola scritta. Trasformate in un’offerta pura dal fuoco del sacrificio e accompagnate dal profumo dell’incenso, le richieste e le memorie degli uomini sono presentate all’attenzione delle potenze celesti supreme. In uno scambio continuo, da questi stessi dei emanano concentrazioni di energie, condensazioni del soffio primordiale, trasformate in scritti e trasmesse tra iniziati per rivelare l’ordine sacro del mondo. In segno di alleanza con il divino, fanno la comparsa testi sacri che fanno da supporto a incantesimi, grafie talismaniche in «caratteri

celesti» o «nuvole», impronte di sigilli o diagrammi che raffigurano il mondo in miniatura, mentre altri svelano i nomi e le forme autentiche delle sue potenze. La tradizione taoista si ricollega così a una delle funzioni principali dell’ideografia, l’efficacia del segno, esaltata nella pratica della sua scrittura ispirata che esercita un’influenza profonda e duratura sull’insieme delle arti grafiche.

Una lettura globale sul filo della storia Questi discorsi preliminari lasciano intravvedere le equivalenze stabilite fra tradizioni confuciane, taoiste e buddiste, tra l’immagine e lo scritto che manifestano e trasmettono, senza mai esaurirlo, il significato ultimo o assoluto del mondo. Intese in un senso ampio che include le arti grafiche, visive e plastiche, ma anche quelle del gesto, della scena e della musica, le loro realizzazioni si declinano in molteplici forme, dalle più popolari alle più erudite. Esse includono l’architettura delle tombe, dei templi e dei monasteri, in cui si dispiega un arredo ben organizzato, un ricco pantheon o programmi iconografici conseguenti. Investono spazi naturali o siti paesaggistici particolarmente suggestivi, come certe montagne che svolgono un ruolo di primo piano nella costruzione dell’immaginario religioso e artistico. Per due millenni, i «Tre Insegnamenti», secondo la formula cinese consacrata, si evolvono separatamente, ciascuno nell’ambito che gli è proprio, e congiuntamente, attraverso rigetti, conciliazioni e prestiti reciproci. Soltanto la contestualizzazione storica permette di definire le loro relazioni e di seguirne, attraverso i secoli, le manifestazioni, i mutamenti e le ricomposizioni. La cronologia mostra come il ritorno – o il ricorso – al passato, considerato un’età dell’oro, sia uno dei motori del dinamismo della civiltà cinese e del suo innato ottimismo; il legame vissuto con il passato, promessa di sopravvivenza e di progresso della cultura, corregge il presente per dominare il futuro. Così, in senso inverso rispetto a recenti opere molto stimolanti che trattano delle arti cinesi in base al loro modo di produzione, alla loro fonte di ispirazione o alla loro destinazione, noi ne seguiamo gli sviluppi dall’alba della storia al xviii secolo, lasciando aperto, in epilogo, il campo del xx secolo che segna la rottura con la tradizione. Introdotte in Cina spesso attraverso l’intermediazione di neologismi giapponesi, le categorie occidentali moderne di «Belle Arti» (meishu) e di «estetica» (meixue) slegano il termine mei dal suo antico contesto per iscrivere le arti in una scala di valori e prospettive completamente diversi. Allo stesso modo, nuovi universi di pensiero sono nati dal confronto con altre cate-

gorie sconosciute al sapere cinese classico, come «scienza», «religione» o «filosofia». Seguire il succedersi delle dinastie permette di tracciare le linee maestre delle trasformazioni politiche statali, sociali ed economiche per comporre un quadro di insieme di ciascuno dei sei grandi periodi presi in considerazione e valutati in funzione della coerenza interna della loro cultura. Rendere conto della varietà delle produzioni cinesi implica anche il mettere in luce gli scambi con le civiltà del mondo euroasiatico. Infatti, lungi dall’essere un mondo chiuso, ripiegato su se stesso, quello cinese, in moltissimi momenti della sua storia, entra in rapporto con l’Asia delle steppe, l’Asia centrale, l’India, l’Iran, lo spazio arabo-islamico, l’Asia orientale e meridionale, ma anche con il Tibet e l’Europa. La nostra visione, pur volendo essere globale, non resta per questo meno incompleta, se non parziale. La vastità della realtà cinese è di gran lunga superiore ai mezzi e alle capacità di comprensione di un solo individuo e induce inevitabilmente a semplificazioni e approssimazioni. Il nostro testo si giova dei contributi di varie discipline, attraversando le loro frontiere per collocarci nei luoghi di incrocio più fecondi per lo sguardo e l’analisi. Approfondisce riflessioni formulate in opere precedenti che vertono sullo stesso tema; alcuni passi già pubblicati sono stati rivisti, completati o scritti di nuovo per il presente libro; altri sono rimasti invariati, molti infine sono inediti. Numerosi documenti, carte e quadri cronologici, piante e schemi prolungano le sintesi, accompagnandosi a una scelta di estratti da testi classici, poetici o estetici che restituiscono l’atmosfera di un’epoca, la sensibilità di un uomo o rinviano in modo più preciso a un’opera. La presentazione di oltre centocinquanta oggetti, provenienti da collezioni o conservati in situ, capolavori conosciuti o meno noti, delinea un vasto panorama delle forme d’arte o dei generi che ci sono sembrati i più rappresentativi per la loro elaborazione artistica ma anche i più carichi di significato. Le loro leggende sono proposte senza il peso dell’erudizione, una volta fornito quel minimo di riferimenti e spiegazioni necessarie per situarli nella cultura del tempo. Per fare questo, interroghiamo sia i testi trasmessi dalla tradizione sia le scoperte archeologiche che aggiornano di continuo le conoscenze. Esploriamo le frontiere mobili dell’«arte» per afferrare le fonti della creazione e i suoi processi, definire i temi, le funzioni, i poteri simbolici e le aspettative politiche delle rappresentazioni visive e mentali. I commenti sulle opere o i saggi teorici degli artisti, degli esteti e degli amatori permettono infine di restituire la ricchezza di una civiltà impastata di umanità per la quale l’opera esiste e sopravvive solo attraverso lo sguardo e l’interesse degli uomini.

9


La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

Capitolo primo

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

Ritratti di storici Sima Qian (ca. 141-86 a.C.) (a sinistra), autore del Shiji o, letteralmente, «Ciò che è stato consegnato dal Grande Scriba o dal Grande Segretario», e Sima Guang (1019-1086) (a destra), gran letterato dei Song la cui opera maggiore è Lo specchio generale di aiuto al buon governo, completato nel 1085.

Il riferimento alla storia Il modo di considerare la storia cinese ha subito variazioni a seconda delle epoche e degli storici. In virtù di analogie, più apparenti che reali, alcuni hanno potuto assimilare i suoi periodi agli imperi dell’Egitto faraonico o anche applicare a essi la nomenclatura della storia europea. Ma il più delle volte ci si attiene alla divisione proposta dalla storiografia cinese classica, cioè la successione di casate dinastiche attraverso le epoche. Gran Segretario dell’imperatore Wudi degli Han (r. 141-87), Sima Qian (ca. 145-86 a.C.) è l’autore della prima «storia totale» del mondo cinese. Successivamente intitolata Shiji o Memorie storiche, l’opera prende in considerazione la storia della Cina dalle sue origini Le dinastie cinesi:

. Dinastia 夏 Xia ca. xxi-ca. xvi secolo . Dinastia 商 Shang ca. xvi-ca. 1050 . Dinastia 周 Zhou ca. 1050-221 西周 Zhou dell’Ovest ca. 1050-771 東周 Zhou dell’Est 770-256/222

春秋 Chunqiu, Primavere e Autunni 770-481 戰國 Zhanguo, Regni Combattenti 481-222

{

. Dinastia 秦 Qin 221-206 . Dinastia 漢 Han 206 a.C.-220 d.C. 西漢 Han dell’Ovest 206 a.C.-18 d.C. 東漢 Han dell’Est 25-220 . Tre Regni 三國 San Guo (魏 Wei, 蜀 Shu, 呉 Wu) 222-265

. Periodo di divisione 265-589 西晉 Jin dell’Ovest 265-316 東晉 Jin dell’Est 317-420 Dinastie del Sud Dinastie del Nord 劉宋 Liu Song 421-479 北魏 Wei del Nord 386-534 南齊 Qi del Sud 479-502 東魏 Wei dell’Est 534-550 梁 Liang 502-557 西魏 Wei dell’Ovest 535-556 陳 Chen 557-589 北齊 Qi del Nord 550-577 北周 Zhou del Nord 557-581 . Dinastia 隨 Sui 589-618 . Dinastia 唐 Tang 618-907

. Cinque Dinastie 五代 wu dai 907-960

. Dinastia 宋 Song 960-1279 Regno 遼 Liao 947-1125 北宋 Song del Nord 960-1127 Dynastie 西遼 Liao dell’Ovest 1125-1202 南宋 Song del Sud 1127-1279 Dynastie 西夏 Xia dell’Ovest 1032-1227 Dynastie 金 Jin 1115-1234 . Dinastia 元 Yuan 1277-1367

. Dinastia 明 Ming 1368-1644 . Dinastia 清 Qing 1644-1911

Repubblica di Cina 中華民國 1912-1942; a partire dal 1949, capitale a Taipei (Taiwan) Repubblica Popolare di Cina 中華人民共和國 1949-

10

L’archetipo del sovrano di perdizione secondo lo Shiji Secondo il modello storiografico degli Han, l’esercizio della sovranità dipende dalla sola virtù. Sima Qian esalta la forza morale dei fondatori per meglio fustigare la depravazione di coloro che rovinano il nome regale, con uno slancio che dà anche legittimità al nuovo potere dinastico. Egli presenta Zhou Xin o Di Xin (1075-1046 a.C.), l’ultimo degli Shang, come il modello assoluto del re di perdizione, crudele e corrotto in ogni azione della sua vita, personale, politica e religiosa, provocando in tal modo, inevitabilmente, la caduta della sua dinastia: … L’imperatore Zhou Xin si distingueva per la sua eccezionale propensione al male (…). Amava il vino, la dissolutezza e le feste; era dedito alle donne, la sua favorita era Daji; le parole di Daji erano ordini prontamente eseguiti (…). Egli esigette canoni e tasse considerevoli per accumulare denaro alla Terrazza del cervo per far traboccare di cereali il granaio di Juqiao. Accumulava in numero sempre maggiore cani, cavalli e oggetti rari, riempiendone i suoi palazzi e le sue dimore (…). Trascurò gli spiriti dei morti e gli spiriti celesti; organizzò grandi feste a Shaqiu. Fece uno stagno di vino, appese quarti di carne in modo da creare una foresta; mandò uomini e donne nudi a inseguirsi in quei luoghi; organizzò orgie che duravano tutta la notte. Le cento famiglie mormoravano e aspettavano la liberazione; tra i signori, ci fu chi si ribellò. Allora Zhou (Xin) rese più terribili i supplizi e i castighi (…). Allora il re Wu, principe di Zhou, si mise senza esitare alla testa dei signori per attaccare Zhou Xin. I soldati di Zhou Xin furono battuti. Allora il re Wu, principe di Zhou, divenne Figlio del Cielo. (Les Mémoires Historiques de Seu-Ma Ts’ieni, cap. 3 «Terzi annali principali: gli Yin», tomo 1, pp. 199-201, Sima Qian, Shiji, 3 «Yin benji», 3)

fin verso il 90 a.C. Per redigerla, Sima Qian sistema ordinatamente «gli scritti delle generazioni antiche». Fa riferimento al Libro dei Documenti (Shujing) e al Libro delle Odi (Shijing) che, attraverso i loro documenti di archivio e i loro inni religiosi, celebrano gli atti solenni e la virtù dei re del passato. Egli si ispira anche agli Annali del Principato di Lu, nello Shandong: chiamati Primavere e Autunni (Chunqiu), essi sono destinati agli antenati della stirpe principesca e trascrivono in maniera molto ellittica i fatti e le gesta dei sovrani tra l’viii e il v secolo a.C.; il loro più importante commento, dal titolo abbreviato di Zuozhuan, ne ricostruisce un contesto storico più ampio. I Discorsi dei Regni (Guoyu) e gli Scritti dei Regni Combattenti (Zhanguo ce) riportano a loro volta il racconto delle azioni dei principi, ma soprattutto il contenuto dei loro discorsi, arringhe, giuramenti e dichiarazioni. Sima Qian riproduce talvolta integralmente alcuni brani di questo importante corpus che ci informa sulla natura e sulla successione degli avvenimenti ma che non permette minimamente di stabilire una cronologia esatta per il periodo anteriore all’842 a.C., prima data ritenuta certa della storia cinese. Con i suoi annali di regno e le sue biografie catalogate, la struttura generale dello Shiji ispira le storie ufficiali (zhengshi) delle dinastie successive che, a partire dal vii secolo, vengono redatte collettivamente in seno all’istituzione imperiale dell’Ufficio storico. Riprendendo le procedure storiografiche degli antichi cronisti, gli avvenimenti vi sono registrati regno dopo regno, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. In mano a sovrani vittoriosi, questi documenti servono a redigere la storia di coloro che essi hanno vinto. La legittimità di un nuovo potere passa attraverso la sua inscrizione nella storia del precedente. Lo si vede persino ai tempi della Repubblica che pubblica, nel 1928, un primo abbozzo della storia dell’ultima dinastia imperiale, progetto ripreso dopo il 2002 nella Repubblica Popolare. È in tal modo che il senso della continuità proprio del mondo cinese si riflette nella sua tradizione storiografica, che non è una ricostruzione teorica del passato ma la garanzia di un presente ricomposto. Tuttavia, lungi dall’essere ideologicamente neutrale, la storia di Sima Qian si inscrive

11


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali I primi sovrani della storia mitica

Pietra incisa (dettaglio); inchiostro su carta; l. totale 1,34 m. i-ii secolo, dinastia Han. Wu Liang Ci (Shandong), cameretta di pietra n. 3, muro occidentale, in situ.

Gli storici della Cina collocano, ai primordi del mondo, alcuni sovrani il cui regno eroico fonda – o ristabilisce – l’armonia della civiltà: i Tre Augusti e i Cinque Imperatori, il cui elenco e le cui attribuzioni hanno potuto subire sensibili variazioni. A loro si fanno risalire i prodotti del lavoro della terra e quelli delle arti e delle industrie, quali gli strumenti del potere sul mondo terrestre (le armi, le mura, il carro, la barca) e sul mondo celeste (il calendario e la scienza degli astri), ma anche la comunione con gli spiriti (la divinazione, la scrittura, la musica), e i corretti rapporti tra gli uomini (tradizioni del matrimonio ed esercizio della pietà filiale). Undici di loro, identificati da cartigli, compaiono nel registro superiore del muro occidentale della cameretta funeraria di pietra n. 3 detta di Wu Liang Ci (Shandong); si susseguono, da destra a sinistra, secondo la lettura tradizionale dei testi e delle immagini: la coppia Fuxi e Nüwa, teste umane e corpi serpentiformi intrecciati, Zhurong signore del fuoco, Shennong il lavoratore divino con la sua vanga, i Cinque Imperatori con il primo di loro, Huangdi o l’Imperatore Giallo, con la corona, seguito da Zhuanxu, Ku, Yao e Shun, vengono infine Yu il Grande, presunto fondatore degli Xia, e Jie, suo ultimo sovrano.

Vaso da cereali gui Bronzo; h. ca. 28 cm. xi secolo a.C., inizio della dinastia Zhou. Scoperto nel 1976 a Lintong (Shaanxi). Lintong, Ufficio Culturale del distretto. Oggetto storico eccezionale, il vaso reca un’iscrizione che menziona la vittoria lampo del re Wu degli Zhou sugli Shang, vittoria che affrettò la caduta della loro dinastia; esso conserva inoltre il ricordo del dono fatto dal re

12

a un certo Li, per averlo convinto, di sicuro ricorrendo alla divinazione, a ingaggiare il combattimento decisivo. Documenti epigrafici contemporanei ci forniscono informazioni sull’attacco vittorioso degli Zhou, deciso nel momento in cui una parte dell’esercito Shang si trovava a fronteggiare un’altra ribellione. Le Memorie Storiche di Sima Qian non forniscono una data precisa per questo avvenimento; per parte sua

Liu Xin (46 a.C.-23 d.C.), seguace della cronologia cosiddetta «lunga», ritiene che gli Shang perdano il potere nel –1122. Gli Annali su bambù (Zhushu jinian), del iii secolo d.C., propongono una cronologia definita «corta» e assegnano alla fine degli Shang la data del –1027; i Nuovi Annali su bambù, la cui autenticità è talvolta contestata, suggeriscono invece la data del –1045. Alla luce dei testi e delle iscrizioni sui

vasi di bronzo recentemente scoperti, la critica contemporanea accetta la data del –1074. In tal modo i dati archeologici e quelli della storiografia classica si illuminano vicendevolmente riguardo a un evento che, di fatto, fonda la cultura reale antica. Jie

Yu il Grande

Shun

Yao

Ku

Zhuanxu

Huangdi

Shennong

Zhurong

Nüwa e Fuxi

13


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali «Fuxi, Primo Augusto Sovrano»

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 249,8 x 112 cm. Attribuito a Ma Lin (ca. 1180-post 1256), dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. Primo di una serie di tredici rotoli che raffigurano i re virtuosi e i saggi confuciani, questo presunto ritratto del Primo Augusto, Fuxi, fu realizzato nel xiii secolo su commissione imperiale, dal pittore della corte dei Song del Sud, Ma Lin. Assiso tra cielo e terra e svettante oltre la cima dei monti, il sovrano volge lo sguardo verso una tartaruga che, in segno di mutua simpatia, alza la testa verso di lui; è sull’osso del suo carapace, suddiviso e bombato, che egli discerne dei segni, li combina e li dispone in otto figure tracciate ai suoi piedi. Configurazioni grafiche di yin (linee spezzate) e di yang (linee continue), nati dal soffio originario, gli otto trigrammi (bagua), moltiplicati per se stessi, producono in 64 combinazioni possibili, registrate nel canone della divinazione, il Libro dei Mutamenti (Yijing), la totalità delle manifestazioni e dei fenomeni di un reale sul quale gli uomini hanno ormai presa.

La storia cinese secondo Guo Moruo (1892-1978) Nei suoi Studi sulla società cinese antica (1930), Guo Moruo, uomo politico, scrittore e studioso – fu il presidente dell’Accademia cinese delle Scienze dal 1949 alla sua morte –, assimila i periodi della storia cinese allo schema storiografico marxista: – Comunismo primitivo, prima della fine del iii millennio a.C. – Schiavismo, xx-x secolo a.C. – Feudalesimo, x secolo a.C.-1911. – Capitalismo/Borghesia, 19121949. – Socialismo, 1949. Numerosi musei utilizzano ancora oggi questa periodizzazione della storia cinese nella presentazione delle loro collezioni.

14

nel quadro del pensiero del suo tempo: essa trascrive i grandi cicli delle dinastie con i loro alternati e contrastati movimenti, per rendere conto delle intime risonanze tra la vita del mondo e la storia degli uomini, ma getta anche le fondamenta dell’inscindibile legame tra la potenza sovrana, il Cielo, e l’uomo unico, l’imperatore. Il «Figlio del Cielo» è il solo detentore legittimo, per un periodo dato e in funzione della sua virtù, del mandato accordato dal Cielo alla sua stirpe dinastica. Sima Qian fa inoltre opera di giustizia, «io – dice – sono venuto in soccorso delle virtù straordinarie», includendo nelle sue biografie la vita degli uomini e delle donne di valore, celebri, sconosciuti o misconosciuti; così facendo, egli afferma il principio «della lode e del biasimo» (baobian) che permetterà a generazioni di storici dopo di lui di apprezzare o di denunciare il comportamento degli uomini. Mille anni più tardi, nel 1085, la storia generale della Cina redatta dall’erudito Sima Guang (1019-1086), già nel titolo, Specchio generale di aiuto al buon governo (Zizhi tongjian), assegna alla disciplina un identico ruolo di guida morale, politica e cosmica per le élite al potere. Riallacciandosi ai metodi della scuola filologica delle «Verifiche e delle Prove» (Kaozhengxue) che si sviluppa nel xviii secolo, gli storici dei primi anni della Repubblica (1912) rimettono a poco a poco in discussione la storiografia tradizionale. Tentativi più o meno radicali come quello di Hu Shi (1891-1962) si propongono di ricostruire la storia cinese con l’aiuto di altre scienze ritenute più concrete. Confrontandosi con la filosofia della storia del xix secolo in Occidente e con i suoi autorevoli modelli, altri, come Guo Moruo (1892-1978), prospettano una periodizzazione della storia che segue lo schema marxista del progresso delle società. Infine, alcuni intellettuali accomunati dalla medesima tendenza a «dubitare dell’antichità (dei testi)» si riuniscono per pubblicare tra il 1926 e il 1941 una serie di sette volumi sotto il titolo di Critiche della storia antica (Gushibian). Il direttore dell’opera, Gu Jiegang (1893-1890), antitradizionalista convinto, mette in discussione non solo l’obiettività della storiografia classica, ma anche l’insieme del suo corpus canonico e letterario che, a suo parere, non risalirebbe a prima dell’epoca Han. Di fatto, queste discussioni accompagnano la nascita dell’archeologia scientifica che proporrà una visione nuova della storia cinese più lontana pur accreditando, il più delle volte, l’esattezza fattuale dei dati antichi che restano, quindi, il metro con cui si misurano tutte le ricerche su una civiltà in cui il riferimento alla storia è il marchio distintivo dell’erudizione.

La cultura dell’archeologia La conoscenza dell’arte cinese si basa sugli oggetti appartenenti a complessi monumentali, palazzi, templi e monasteri, e conservati – o no – in situ, oltre che sui pezzi che fanno parte di numerosissime collezioni, prime fra tutte le collezioni imperiali e principesche, messe insieme nel corso dei secoli sulla base di una concezione regale dell’opera d’arte. Essa si completa infine grazie alle scoperte archeologiche. Indissolubilmente legate tra loro, queste fonti presentano storie al contempo parallele e singolari fino alla nascita, agli inizi del xx secolo, dell’archeologia scientifica. Fin dall’xi secolo, sotto la dinastia Song (9601279), fa la sua comparsa una vera e propria «scienza delle antichità», associata e assimilata spesso all’epigrafia o «alla lettura delle iscrizioni su bronzo e su pietra», come testimonia la collezione di estampages antichi del grande erudito Ouyang Xiu (1007-1072). Lo studio delle antichità partecipa allora di un vasto movimento di pensiero imperniato sulla rilettura dei testi classici e, in tal modo, sulla reviviscenza di un’antichità lontana, rivista e reinventata. Nel 1079, la scoperta fortuita di vasi di bronzo presso il sito Shang (ca. xiv-xi) di Anyang (Henan) risveglia l’interesse degli ambienti di corte. Essa contribuisce ad arricchire le collezioni imperiali, stimola la fusione di imitazioni e i primi studi di antiquaria sotto forma di cataloghi illustrati. I lavori di inventario e documentazione riguardanti i bronzi rituali e le giade antiche costituiscono la base delle ricerche condotte sotto le dinastie successive. In piena effervescenza nel xvii e nel xviii secolo, esse soddisfano, come sotto i Song, gli appetiti di quei grandi collezionisti e appassionati di antichità che furono i sovrani. Desiderosi, quindi, di arrogarsi tutte le prerogative culturali che ritengono – e sanno – essere proprie

15


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Vaso da vino you

Bronzo; h. 24,8 cm. x secolo a.C., metà dell’epoca della dinastia Zhou. Londra, British Museum

Scavi di Anyang

Fotografia del 1935 che mostra l’apertura della camera funeraria della tomba n. 1001 a Houjiazhuang, Anyang, Henan. Taipei, Academia Sinica, Istituto di Storia e di Filologia. Gli scavi effettuati tra il 1928 e il 1937 dall’Academia Sinica permettono di scoprire nel sito chiamato Xiaotun, nei pressi di Anyang (Henan), importanti vestigia dell’ultima capitale degli Shang (ca. 1600-ca. 1050), dinastia a lungo considerata leggendaria o mitica. Oltre alle fondazioni dei palazzi e ai depositi di archivi (le ossa oracolari o jiaguwen), gli archeologi portano alla luce una decina di immense tombe reali. La più imponente è la tomba n. 1001, forse quella del re Wu Ding, il cui lungo regno di cinquantanove anni, intorno al 1200 a.C., segna l’apogeo della dinastia. Sistemata in una fossa profonda all’incirca tredici metri, la camera funeraria (guo), di dimensioni considerevoli (18,8 x 13,75 m), era costruita con tavole di legno, senza dubbio dipinte e scolpite, e conteneva ancora, malgrado un precedente saccheggio, vasi di bronzo, strumenti musicali, armi, oggetti rituali così come le parure del re defunto.

Scavi della tomba di Qin Shihuangdi, Primo Imperatore della dinastia Qin (221-210)

Catalogo della collezione di bronzi (Xi Qing gujian) dell’imperatore Qianlong (r. 1736-1796 concernente il vaso you Il vaso faceva parte dei tesori dell’imperatore Qianlong che apprezzava i bronzi antichi sia per le loro qualità plastiche che per la loro appartenenza alla storia dei rituali, considerati perfetti, delle prime corti reali. Come più di millecinquecento altri oggetti antichi, esso è riprodotto nel Catalogo delle antichità della biblioteca Xi Qing (Xi Qing gujian), che egli finanzia nel corso delle grandi campagne di inventariazione delle sue collezioni e che viene completato nel 1751. Sul modello delle pubblicazioni illustrate dei Song (960-1279), la scheda di ciascun oggetto ne indica la morfologia, fornisce informazioni sulla sua denominazione, le dimensioni, l’uso e il luogo della scoperta, ma presenta anche l’estampage e la riproduzione pittorica delle sue iscrizioni, perché l’oggetto è prima di tutto portatore di una lezione che la storia trasmette agli uomini attraverso la mediazione del sovrano letterato.

16

a. Veduta generale della fossa n. 1 dove è sistemato uno dei corpi dell’esercito del Primo Imperatore della Cina, dinastia Qin, iii secolo a. C. Museo dei Guerrieri e dei Cavalli di terracotta di Lintong (Shaanxi). b. Veduta dei lavori di sgombero poco dopo l’annuncio della scoperta nel 1974. e c. Svolgimento dei lavori di restauro delle statue negli anni Ottanta. Annunciata ufficialmente nel 1974, la scoperta dei primi soldati dell’esercito di terracotta a grandezza naturale del Primo Imperatore della Cina è stata poco per volta seguita da altri ritrovamenti più importanti in prossimità del suo tumulo nel distretto di Lintong (Shaanxi). Si tratta di uno dei più impressionanti spettacoli che sia possibile vedere di uno scavo portato avanti da più di quarant’anni, accompagnato da lavori di analisi e restauro senza precedenti, e la cui vastità dà la misura del suo oggetto: far rivivere la struttura che, due millenni prima, aveva messo all’opera decine, forse centinaia di migliaia di uomini, dimostrando le enormi capacità tecnologiche e artistiche della prima dinastia centralizzata della Cina. La storia di Sima Qian, che aveva rievocato il gigantismo – se non la megalomania – che aveva presieduto ai lavori della necropoli, fu a lungo ritenuta irrealistica; essa risulta oggi invece in linea con una delle più grandi scoperte dell’archeologia cinese contemporanea.

degli imperatori della Cina, i primi monarchi della dinastia manciù dei Qing (1644-1911) incoraggiano i letterati cinesi a perseguire la «riconquista» del passato della loro civiltà per meglio consolidare la loro sovranità. La fine della dinastia e i primi anni della Repubblica sono contraddistinti da numerose spedizioni archeologiche e missioni scientifiche sul territorio cinese o ai suoi confini occidentali (Gansu e Xinjiang). Spesso dirette da studiosi o esploratori stranieri, la loro legittimità viene a lungo contestata. Meglio accettate, le missioni che hanno associato specialisti stranieri e ricercatori cinesi, in conformità a una misura resa obbligatoria nel 1926,

17


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Russia

Russia

Heilongjiang

Kazakistan Biskek

Ulan-Bator

Alma Ata

Jilin

Mongolia

Changchun

Urumqi

Kirghizistan

Turfan

Kucha

Shenyang

Kashgar (Shule)

Afghanistan

Harbin

Hohhot Xinjiang Uiguri

Loulan Miran

Dunhuang

(Yutian)

Aksai Chin

Kashmir

Qinghai Tibet

Nuova Delhi

Corea del Nord

Mar del Giappone

Pyongyang Tianjin Datong Séoul Hebei Shanxi Yinchuan Shijiazhuang Taiyuan Corea Wuwei Shandong del Sud Shaanxi Zhengzhou Jinan Xining Dingcun Giappone Lanzhou Ningxia Anyang Dawenkou Mar Giallo Houma Machang Lianyungang Majiayao Yangshao Kaifeng Banshan Luoyang Dengfeng Gansu Baoji Jiangsu Sanmenxia Xianyang Hen Yangzhou Hefei Nanchino (Nanjing) Xi’an Banpo Lintong Miaodigou an Suzhou Shanghai Suixian Dazu Hubei Sichuan anhui Liangzhu Wuhan Jiangling Hangzhou Chengdu Jingdezhen Wuchang Chongqing ZHEJIANG Nanchang Mawangdui Mar della Cina Changsha Jiangxi Fuzhou orientale GUIZHOU Hunan Fujian Guiyang Taipei Quanzhou Guilin Taiwan Kunming Guangdong Guangxi Guangzhou (Canton) Yunnan Hongkong Nanning Macao Hanoi Oceano

gq

ing

Lhasa

Liaoning

MongoliA Interna

Jiuquan

Khotan

Pechino (Beijing)

Ch

on

Nepal Katmandu

India

Thimphu

Buthan

India

Dacca

Bangladesh

Birmania (Myanmar)

Laos Vientiane

Città-province Regioni autonome Capitale Capoluogo di provincia

TAILANDIA

Vietnam

Haikou Hainan

Pacifico

Mar della Cina meridionale Manila

Filippine

Città di interesse storico

rivelano l’esistenza di numerose culture pre- o protostoriche, paleolitiche e neolitiche, nella Cina del Nord. Il sito di Anyang, che aveva suscitato l’interesse degli antiquari Song e degli eruditi epigrafisti della fine del xix secolo, finisce presto per diventare la «causa nazionale» di un’archeologia storica che riconcilia l’erudizione letteraria cinese, le sue riflessioni sul passato considerato come un’Età dell’oro, con la modernità degli scavi scientifici sul modello occidentale. Creata nel 1928 dalla Repubblica per gestire lo scavo, l’Academia Sinica conduce ad Anyang la prima di tredici campagne sotto la direzione di Li Ji (1896-1979), antropologo formatosi ad Harvard e da sempre considerato il «padre» dell’archeologia cinese. Parallelamente, i lavori dell’Istituto di ricerca in storia e filologia imprimono il loro marchio durevole all’archeologia sul campo grazie al direttore dell’Istituto Fu Sinian (1896-1950), discepolo, come Li Ji, del geologo svedese, divenuto archeologo, Johan Gunnar Andersson (1874-1960). Nel 1950, la Repubblica Popolare cinese crea, in seno all’accademia delle scienze, un istituto di archeologia il cui più eminente direttore è Xia Nai (1910-1985), formatosi, come i suoi predecessori, in Occidente. Il governo patrocina l’attività degli archeologi e intraprende campagne rese ardue dalle condizioni materiali ma dimostratesi estremamente fruttuose. Ad esse fa seguito, tra il 1951 e il 1961, la fondazione di musei provinciali

18

Cavallo al galoppo su una rondine in volo

Bronzo; h. 34,5 cm, l. 45 cm. i-iii secolo, dinastia degli Han dell’Est. Scoperto nel 1969 a Leitai, Distretto di Wuwei (Gansu). Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. Il cavallo al galoppo su una rondine in volo è stato fatto conoscere al pubblico occidentale nel 1973 in occasione delle grandi esposizioni organizate dalla Repubblica Popolare cinese a Parigi e Londra. La sua fattura eccezionale, il dinamismo delle linee e il suo vigore plastico ne fanno un vero capolavoro della piccola statuaria in bronzo; avendo per zoccolo una rondine in volo, che gli fornisce una specie di appoggio nell’aria e accentua la sua corsa, il cavallo si trascina dietro una cavalleria e dei carri da guerra in miniatura. Costituisce il modello per eccellenza delle statuette e dei modelli ridotti (mingqi) che fanno parte delle suppellettili funerarie, le quali associano, alla realtà della vita terrestre, quella della vita continuata e sublimata nella morte.

La Repubblica Popolare cinese: divisioni amministrative e principali luoghi di interesse artistico e culturale

e municipali diretti da commissioni ufficiali incaricate sia di preservare i monumenti antichi sia di ridurre il saccheggio dei siti e l’esportazione illegale degli oggetti d’arte. La famosa formula del presidente Mao (1893-1976), «utilizzare il passato perché serva da guida al presente», riassume i termini dell’ideologia allora dominante che intende per di più individuare meglio la posta in gioco sociale e popolare della cultura storica. La politicizzazione del discorso ha un impatto minimo sull’interpretazione dei fatti, perché gli eruditi cinesi continuano a interessarsi alla tipologia degli oggetti, all’epigrafia e alla cronologia delle culture in funzione della storiografia classica. La Rivoluzione Culturale (1966-1976) fa cessare le pubblicazioni scientifiche, sospende tutte le cooperazioni accademiche con l’Occidente e bandisce gli stranieri dal campo archeologico. Questo ripiegamento coincide con scoperte eccezionali, figlie, il più delle volte, di scavi di salvataggio. A partire dal 1973, grandi esposizioni organizzate in tutto il mondo se ne fanno portavoce, permettendo di riscrivere o di illuminare di nuova luce ampi settori della storia dell’arte cinese. La decentralizzazione e l’apertura al mondo degli anni Ottanta si accompagnano a misure ufficiali che mirano alla protezione dei Beni culturali (legge del novembre 1982); esse rivelano una reale presa di coscienza delle minacce che l’industrializzazione

19


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Mappa degli insediamenti e delle principali culture neolitiche

Culture di Xinglongwa, di X inle e di H ongshan

t i Ta ihan g

Culture di Cishan, di P eiligang , di Y angshao Yangshao

Beijing

Pyongyang Tokyo

Baia di Bohai Longshan

Cishan

Mar Giallo

Corea

a

S h a n

Mar del Giappone

Xinle Shenyang

Xinglongwa Niuheliang

Mon

Liuwan

G o b i

Giappone

Dawenkou Miaodigou Dahecun Majiayao Culture di Dawenkou Laoguantai Dadiwan Zhengzhou e di L ongshan Beishouling Peiligang Xi’an Jiahu Majiabang Qin Ling Banpo Jiangzhai Shanghai Liangzhu Cultura Daxi Qujialing Culture Hemudu Mar della Cina di D axi di Q ujialing Hangzhou orientale Shijiahe e di S hijiahe Culture di Hemudu

Str

etto

Piccola bottiglia con motivo di uccello

Culture di Cishan (verso 5400-5100), di Peiligang (verso 5500-4900) e di Yangshao (fasi o tipi di Banpo, Miaodigou e Dahecun, verso 5050-3070)

e di L iangzhu

C

i

n

a

Culture di Hemudu (verso 5000-4800) e di Liangzhu (verso 3200-2200)

Taipei

Cultura di Dapenkeng

Taiwan

Guangzhou

Cultura di Daxi (verso 4900-3200)

O c e a n o P a c i f i c o

Culture di Dawenkou (verso 4300-2500) e di Longdhan (verso 2500-2000) Culture di Xinglongwa (verso 6200-5400), di Xinle (verso 5000) e di Hongshan (verso 4700-2920)

Hainan

Terracotta dipinta; h. 16 cm, diam. 50 cm. ca. 4000-3000 a.C., cultura di Yangshao, fase o tipo di Miaodigou. Scoperto nel 1979 nel distretto di Qin’an (Gansu). Lanzhou, Istituto di Archeologia del Gansu.

ore

Q i l i a n

d e l

di C

D e s e r t o

Catino pen con motivo di pesce a risparmio

Mar della Cina meridionale

Culture di Quijaling (verso 3000-2500) e di Shijahe (verso 2500-2200) Cultura di Dapenkeng (verso 4000-2500)

e l’urbanizzazione fanno pesare sul complesso del patrimonio. Riprendendo gli scavi di tombe, di nascondigli e di tesori che, da secoli, fanno la fortuna dell’archeologia cinese, i risultati sono ormai inquadrati il più delle volte in vasti programmi pluridisciplinari, diretti dagli organi accademici, le cui interpretazioni – se non i metodi – suscitano accesi dibattiti, prova dell’interesse che, in ogni epoca, il governo cinese ha riservato alla lettura del suo passato.

Terracotta dipinta. ca. 3800 a.C., cultura di Yangshao, fase o tipo di Majiayao. Shanghai Museum. Appartenenti alla cultura degli agricoltori sedentari di Yangshao, gli insediamenti di Miaodigou e di Majiayao hanno prodotto ceramiche dipinte tra le più significative del Neolitico cinese. I loro oggetti funerari sono decorati soltanto sulle parti esposte allo sguardo: grandi giare dipinte sui due terzi superiori delle loro pance e i cui motivi si rivelano appieno solo se guardati dall’alto; ciotole e catini la cui ornamentazione, adattandosi perfettamente alla loro morfologia, si dispiega sulle superfici interne e/o esterne. I nostri esempi illustrano l’arte raffinata della linea nera tracciata sul fondo naturale ocra; in un grafismo molto raffinato, sobrio e potente, emergono soltanto gli occhi delle creature raffigurate – uccelli per la piccola bottiglia e pesci per il catino – i cui corpi sono trattati a risparmio: delimitato dalla parte dipinta, il motivo forma un tutt’uno con l’oggetto come se ne fosse l’emanazione attiva.

L’epoca dei Neolitici A partire dai primi anni del xx secolo, l’archeologia permette una conoscenza sempre più approfondita delle culture neolitiche. Resta tuttavia aperta la questione delle origini della civiltà cinese. La sua nascita coincide con l’insediamento delle prime dinastie reali, come afferma la storiografia tradizionale, oppure la si può far risalire all’epoca predinastica, cioè agli ultimi stadi delle culture del Neolitico, o addirittura all’epoca della fioritura di alcune di esse? Spesso contraddittorie, le interpretazioni variano in funzione dei criteri di selezione adottati per formulare la continuità tra il Neolitico e i tempi storici: strutture più o meno complesse o gerarchizzate delle società, fondazioni a uso dei vivi e dei morti, produzioni agricole e manifatturiere, tratti culturali specifici – divinazione e scrittura –, e modalità di espressione religiosa o rituale. Le grandi tradizioni regionali che rappresentano lo stadio finale della preistoria cinese (5000-2000 a.C.) si situano lungo i grandi fiumi – Liao ai confini di nord-est, bacini superiori, medi e inferiori dello

20

21


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Cultura di Hongshan (ca. 47002920 a.C.) Tombe portate alla luce a partire dagli anni Ottanta a Niuheliang (Liaoning) A sinistra (tomba n. 4, tumulo 1, zona 2), si distinguono, all’altezza del petto del defunto, due pezzi di giada detti «dragone-maiale», che erano probabilmente agganciati alle vesti come indicano i loro fori di sospensione; un oggetto di giada cilindrico a forma di zoccolo cavo, di notevoli dimensioni, è posto sotto la sua nuca. A destra (tomba n. 1, tumulo 1, zona 5), il defunto, un uomo adulto, è accompagnato da sette monili di giada di grande valore; la sua testa riposa su due dischi; una grande piastra rettangolare detta «a nuvola» è collocata a livello dell’addome e nasconde in parte un braccialetto; portava un anello al polso e due placche a forma di tartaruga erano poste nei palmi delle mani.

Tubo cong con decoro di maschere e creature fantastiche

Giada; altezza 8,8 cm, diam. interno 4,9 cm. ca. 3200-2000 a.C., cultura di Liangzhu. Scoperto nel 1986 a Fanshan, Distretto di Yuhang, città di Hangzhou (Zhejiang). Hangzhou, Istituto di archeologia dello Zhejiang. In epoca neolitica, intorno al lago Tai (Jangsu), esistevano giacimenti di nefrite esauritisi in breve tempo perché largamente utilizzati dai lapidari di Liangzhu. È qui che vengono alla luce, riesumati per la prima volta in un contesto funerario, i due principali tipi di giada scolpita, il disco forato al centro e il tubo cilindrico incastrato in un parallelepipedo a sezione quadrata, spesso associati fra loro e designati rispettivamente con gli appellativi tardi di bi e di cong. Destinati ad avere una grande fortuna nell’ambito dell’arte della giada, i cong di Liangzhu hanno un’altezza variabile fra i 3 e i 50 cm e sono spesso ornati con motivi in rilievo, incisi e ripetuti su ciascuna delle loro diverse sezioni. Sulle facce del reperto, si distinguono dei personaggi enigmatici con volto umano e acconciatura di piume, ritti su mostri dagli occhi sporgenti, il naso largo e la mascella dentata; agli angoli appaiono delle creature molto stilizzate, spesso interpretate come maschere animalier o teste dai grandi occhi globulosi e dalle corna ricurve, secondo numerosi specialisti, all’origine del decoro principale dei bronzi della regalità arcaica, il taotie.

Creatura arrotolata detta «Dragone-maiale»

Giada; h. 14 cm. ca. 4700-2920 a.C., cultura di Hongshan. Scoperta a Niuheliang, Distretto di Jianping (Liaoning). Shenyang, Istituto di Archeologia del Liaoning. Forse derivato dall’anello aperto, il monile di giada mostra una creatura arrotolata su se stessa con una testa imponente e dotata di corna, gli occhi rotondi ben marcati e un muso all’insù. Chiamata a volte «dragone-maiale» (zhulong), è una figura ancora di difficile interpretazione; nessuno sa se si tratti di una delle prime forme plastiche del dragone, la cui testa sarebbe di maiale, oppure, secondo altri studiosi, di orso. Attualmente sono censiti una ventina di questi pezzi emblematici della cultura di Hongshan – la fase più recente e meglio rappresentata delle culture neolitiche del Nord-Est (Liaoning e R.A. della Mongolia Interna) – legati senza dubbio alle pratiche funerarie o ai culti di fertilità, attestati dagli altari scoperti nei loro siti.

22

Coppa detta gang

Terracotta nera lustrata; h. 11 cm, diam. dell’apertura 24 cm. ca. 2000 a.C., cultura Longshan. Stockholm, Ostasiatiska Museet (o.s.k. 5.902:5). Come altri esempi scoperti a Rizhao nello Shandong, la coppa del museo di Stoccolma appartiene alla tradizione ceramica delle culture Longshan dello Shandong. È uno splendido esempio delle terracotte lavorate al tornio, a grana fina e a vernice nera, levigata o lucida; spesso dette «gusci d’uovo» per l’estrema sottigliezza delle pareti – a volte meno di un millimetro di spessore –, chiaramente inadatte al normale utilizzo. Come altri recipienti di tipo diverso scoperti nelle tombe importanti – vasi, boccali ed espositori su piedistallo –, la coppa doveva essere destinata a un uso rituale o funerario.

Huang He (fiume Giallo) e del Changjiang (Lungo fiume, chiamato anche fiume Azzurro o Yangzijiang) – che nascono sull’altopiano tibetano e scorrono, il primo a nord, il secondo al centro, verso est, in direzione del Mar della Cina. Esse si concentrano anche nelle zone costiere del sud-est fino a sud della foce dello Xijiang (Guangdong). Le decine di migliaia di siti neolitici scoperti fino ad oggi mostrano una grande diversità e molteplici interazioni; essi sono proporzionali allo spazio di quel paese-continente che è la Cina, con i suoi vasti territori, geograficamente e climaticamente in contrasto, che furono altrettanti focolai di civiltà. Essenzialmente funeraria, la terracotta degli insediamenti neolitici testimonia una grande abilità tecnica e una notevole bellezza nella fattura misurata ed equilibrata delle forme,

23


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

questo caso nel campo della metamorfosi ma in quello della rivelazione della luce interiore delle cose. È nella «cintura di giada», cioè nella parte orientale del mondo cinese, che ci si imbatte in una serie di culture regionali completamente dominate dalla lavorazione di questo materiale. A Hongshan (3500 a.C.), a nord-est, i pezzi seppelliti con i defunti o fabbricati appositamente per le pratiche funerarie lasciano trasparire un intimo scambio tra i loro possessori e la pietra stessa, trasformata in ornamenti per il capo o per i capelli, in placche con un decoro detto «a nuvola», in statuette zoomorfe ispirate ad animali reali e immaginari. Lo stesso avviene nel periodo di Lingjiatan (Anhui 3500-3300), che precede la cultura di Liangzhu (3200-2000), situata a sud-est nella vallata inferiore del Changjiang. Liangzhu resta a tutt’oggi ineguagliata in materia di «sepoltura sotto la giada» sia per la quantità – gli scavi hanno portato alla luce diverse migliaia di pezzi – che per la varietà degli oggetti lavorati con differenti metodi (linee intagliate, bassorilievi, trafori o sbalzi circolari). Le dimensioni imponenti, persino massicce, di alcuni oggetti, parure personali e armi, fanno pensare a un uso di gala; queste giade maestose appaiono come segni di riconoscimento sociale e di identificazione per le comunità o i clan. Dimensioni, forme, iconografie, qualità e intagli indicano il rango e la posizione nella società dei detentori di giada, in questa vita e nell’aldilà; un millennio o due più tardi, questi usi rituali e religiosi appaiono formalizzati nei testi della tradizione classica.

La dinastia Shang (ca. 1570 – ca. 1050 a.C.)

siano esse ordinarie o più originali. Se la grande maggioranza dei pezzi sono disadorni, altri presentano un decoro traforato, inciso, a pettine o cordato. I principali motivi della ceramica ocra rossa con decoro dipinto in nero o in bruno rossastro, talvolta rialzato col bianco, sembrano variazioni infinite di temi semplici: linee, cerchi e punti, stelle, losanghe e triangoli. Continue o seghettate, sottili o larghe, le linee ondeggiano o si incrociano per formare figure talvolta a festone, a scacchiera o incrociate a formare losanghe. Le curve allungate, a volte sovrapposte, si svolgono in spirali o in cerchi, terminando spesso in un «cuore di fiore». Le figurazioni umane sono più rare come d’altronde i motivi ispirati al mondo animale. Ma, sia che si fondano con le forme sia che obbediscano a un’altra logica grafica, simmetrica e ordinata, questi motivi sfuggono a ogni tentativo di analisi di ordine stilistico. Le evoluzioni, tanto spesso descritte, di figurazioni realistiche progredite verso stilizzazioni astratte o, a contrario, di motivi geometrici trasformatisi in immagini naturalistiche sono difficili da stabilire tanto quanto la loro interpretazione reale o simbolica. Negli artefatti meglio riusciti si rivela l’inalienabile capacità delle cinesi arti del tratto di comunicare energia e movimento alle forme attraverso il dinamismo e il vigore dei ritmi lineari. Gli artigiani del Neolitico padroneggiano anche i lunghi e complessi processi di produzione della lacca e della seta, invenzioni destinate a una grande fortuna nella cultura cinese classica che ha sempre valorizzato le trasformazioni «di ciò che vive». Essi lavorano anche il legno e l’osso, ma accordano alla giada un’attenzione tutta particolare che prefigura il ruolo preponderante giocato da questa pietra, dalla durezza straordinaria e dallo splendore traslucido, nella definizione che di se stessa dà la Cina. Destinato ad accentuare i pregi naturali della giada senza alterarne la sostanza, l’intervento dell’artigiano non rientra più in

24

Ornamento per il capo

Giada e turchesi; lung. 23 cm, larg. 9 cm. ca. 2000 a.C., cultura Longshan dello Shandong. Scoperto nel 1989 nella tomba m 202 di Zhufeng, Distretto di Linqu (Shandong). Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina. Spilla per il capo o elemento di una acconciatura, il reperto, di qualità eccezionale, appartiene alla tradizione delle giade traforate, finemente intagliate e incise delle culture del bacino inferiore del fiume Giallo. Scoperta in una tomba, essa era sistemata in prossimità della testa o del collo del defunto che portava anche, vicino alle spalle, un secondo ornamento per il capo, e, all’altezza della vita, tre armi rituali; circa un migliaio di sottilissime lamine di turchese e vasellame lucido nero e grigio di vario tipo completavano l’insieme dell’arredo funerario. La sua forma, che associa un lungo stelo delicatamente inanellato e una parte superiore traforata con un decoro simmetrico messo in risalto da due perle di turchese, è a tutt’oggi unica; resta il problema della sua origine. Si tratta di un ornamento personale – o rituale – del defunto oppure di un oggetto realizzato in occasione dei suoi funerali?

Contestata fino alle scoperte archeologiche del xx secolo, l’esistenza della dinastia Shang oggi non viene più messa in discussione: si tratta infatti di uno dei primi stati cinesi, nato nella grande pianura alluvionale degli antichi corsi del fiume Giallo nelle sue medie e basse vallate. Contraddistinto nella fase finale della sua storia da un’enorme produzione di armi e utensili rituali in bronzo, questo Stato fonda alcune città-capitali circondate da massicce muraglie e imperniate intorno a palazzi o templi-palazzo; esso inventa una scrittura specifica che sembra impiegata quasi esclusivamente nella divinazione, pratica legata all’esercizio del potere regale e alla registrazione delle sue attività guerriere, rituali o religiose. La storiografia classica attribuisce agli Shang sei capitali successive, non tutte ancora chiaramente identificate dall’archeologia. Il sito di Erlitou a Yanshi, alla periferia orientale di Luoyang (Henan), fu il cuore di una cultura del bronzo che gli studiosi cinesi attribuiscono sia ai primi Shang sia ai loro immediati predecessori, gli Xia. Basata sull’apparente coincidenza delle date (tra il –1900 e il –1500) e dei luoghi (l’Henan occidentale) secondo le informazioni fornite dallo storico Sima Qian, l’attribuzione agli Xia delle fondazioni dei grandi edifici e delle tombe di Erlitou o, per lo meno, della sua cittadella più antica, resta tuttavia poco attendibile (essa viene anche considerata una capitale secondaria degli Shang) e soggetta a dibattiti la cui soluzione dipende sia dalle scoperte future sias dai criteri stessi di identificazione, dal momento che il dominio degli Xia può anche confondersi con la zona del cimitero di Taosi nel distretto di Xiangfeng, nello Shanxi. Più sicuramente attribuite agli Shang, le vestigia di Erligang (xvi-xiv sec. a.C) furono scoperte nel 1952 a Zhengzhou (Henan); esse sono state identificate con la città-capitale di Bo, fondata dal primo re della dinastia Cheng Tang o Tang il Perfetto, o anche con Ao, la capitale successiva. La città che fa da scenario alla la fase finale della dinastia (xiv-xi sec. a.C.) è situata vicino ad Anjang (Henan), conosciuta anche con il nome tardo di «rovine degli Yin», Yinxu, presso l’odierno villaggio di Xiaotun; essa rappresenta, a partire dal regno di Pan Geng, l’apogeo culturale e artistico della dinastia. L’archeologia ha tuttavia rivelato l’esistenza di altre città apparentate culturalmente, se non politicamente, agli Shang, due nel sito di Panlongcheng nel distretto di Huangpi (Hubei) e una nel distretto di Yuanqu (Shanxi). Le scoperte avvenute nel 1986 nella pianura che va da Chengdu a Sanxingdui (Guanghan nel Sichuan) e nel 1989 nella media valle dello Changjiang a Dayangzhou (Xin’gan nello Jiangxi) hanno anch’esse mostrato parentele culturali con il mondo degli Shang, prova, senza dubbio, dei rapporti che con esso intrattenevano. Tuttavia, i loro profondi particolarismi rimettono in causa il panorama delle forze

25


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Placca zoomorfa

Bronzo con intarsio di turchesi; h. 14,2 cm, l. 9,8 cm. ca. 1700-1500 a.C. Scoperta nel 1984 nella tomba m 4 di Erlitou, Yanshi (Henan). Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina. I recenti scavi di tombe importanti della cultura di Erlitou, nel bacino medio del fiume Giallo, hanno portato alla luce parecchie placche oblunghe pressappoco identiche. Le placche ornamentali, che associano il bronzo sui loro dorsi piatti a un eccezionale pavé di intarsi di turchesi sulle facce, erano sistemate all’altezza del petto o della vita del defunto e senza dubbio fissate ai suoi abiti. Perfettamente simmetrica, l’ornamentazione evoca una testa o una maschera animalier, grazie alle perle rotonde che sembrano grandi occhi aperti. Il contrasto tra la fissità dello sguardo della creatura e l’elasticità delle spire del suo corpo, orecchie o corna, accresce i pregi estetici di questi pezzi misteriosi.

Carapace di tartaruga contenente dodici sassolini

h. 6,5 cm, h. 16 cm, l. 11 cm. ca. 7295-6975, cultura neolitica di Peiligang-Dawenkou. Scoperta nel 1987 presso il sito di Jiahu, Distretto di Wuyang (Henan). Zhengzhou, Istituto provinciale di Ricerca sul Patrimonio dello Henan. Numerosi carapaci di tartaruga contenenti o meno dei sassolini debitamente forati per poterli eventualmente appendere, sono stati scoperti nelle tombe neolitiche della Grande Pianura del fiume Giallo, Peiligang o Dawenkou. L’esempio presentato qui si trovava con altri otto carapaci identici nella tomba di un uomo della necropoli di Jiahu; il suo arredo funerario era costituito da arpioni, punte di frecce e parure, ma anche da un paio di flauti in osso di uccello, simbolo senza dubbio della sua padronanza delle relazioni con le potenze celesti o ancestrali. Supporto materiale che prefigura forse le pratiche divinatorie degli Shang, evocazione della longevità del mondo grazie alla sua capacità di arrivare a una tarda età o riproduzione fedele dell’immagine del cosmo per la sua forma e la sua stabilità (carapace tondeggiante come il cielo e piastrone squadrato e orientato come i quartieri terrestri), la tartaruga è destinata a ricoprire un ruolo simbolico di grande importanza nella civiltà cinese classica.

colari, debitamente ordinati e disposti in una fossa della sezione est di Huayuanzhuang, 300 metri a sud di Xiaotun, nel sito dell’immensa necropoli collegata alla casa reale e alle élite Shang. Più di un terzo dei reperti, per la maggior parte piastroni di tartaruga, recavano iscrizioni il cui numero di caratteri varia da uno o due fino a duecento. Il verso del piastrone mostra delle cavità appositamente predisposte, prima di applicare la punta incandescente, al fine di produrre, in modo reiterato, delle appropriate fenditure suscettibili di essere poi interpretate dal sovrano e dai suoi indovini. Come mostrano l’estampage e la riproduzione al tratto, i segni di scrittura sono ripartiti lungo l’asse mediano con, da una parte, le domande poste all’oracolo in forma positiva, e dall’altra in forma negativa; in una di queste si può leggere «divinazione realizzata nel giorno yiyou, principe You va sulle colline di Xinnan a catturare dei maiali con la rete, egli ne cattura»; «divinazione nel giorno yiyou, (il principe You) può non catturarne». La notazione binaria porta a dedurre che un evento che si deve realizzare ha sempre due aspetti – fortunato o sfortunato – di cui è importante prevedere contemporaneamente le conseguenze, principio questo che resta alla base delle pratiche divinatorie tradizionali.

Piastrone ventrale di tartaruga divinatoria, estampage e riproduzione al tratto delle iscrizioni

h. 40,5 cm, l. 22,5 cm. xii secolo, fine della dinastia Shang. Scoperto nel 1971 a Xiaotum, Anyang (Henan). Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina. Andando a sommarsi ai ricchi ritrovamenti precedenti, gli scavi del 1991 hanno portato alla luce più di millecinquecento frammenti di ossi ora-

26

27


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Osso oracolare

h. 40,5 cm, l. 22,5 cm. xii secolo, fine della dinastia Shang. Scoperto nel 1971 a Xiaotun, Anyang (Henan). Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina. Uno degli scopi della divinazione è stabilire con certezza la validità dell’offerta e soprattutto la sua accettazione da parte degli antenati nel giorno prescritto. L’iscrizione che appare sul recto, risale al periodo del re Wu Ding, ossia intorno al 1200 a.C. Si tratta, più che di una vera e propria domanda posta all’oracolo, di una notazione concernente le modalità di un rituale di purificazione, seguito dal sacrificio di una vittima animale, e presentato all’attenzione degli antenati invocati con il loro nome di tempio o nome postumo: «Celebrazione del rituale di purificazione tramite gli officianti alla madreantenata Yi, offerta di un bel maiale; per la madre-antenata Gui, un orso, per la madre-antenata Ding, un maiale, per la madre-antenata Yi, un maiale»; «celebrando il rito di purificazione, per l’antenata Gui, offerta di un maiale, per l’antenata Yi, un orso, per l’antenata Wu, un maiale».

che si confrontano sull’insieme del territorio cinese alla fine del ii millennio, sostituendo alla visione tradizionale di un centro unico da cui si irradia la cultura, situato nella grande pianura centrale, quella di una molteplicità di centri propulsori in un contesto che non è più possibile considerare soltanto come una periferia o variazioni regionali minori. La scoperta di iscrizioni su ossa e su carapaci di tartaruga chiamate «iscrizioni su ossa divinatorie» (jiaguwen), risalenti al periodo di Anyang, ha permesso, all’inizio del xx secolo, la nascita di una nuova disciplina sinologica, all’incrocio tra filologia, storia e archeologia. Dopo i primi lavori degli epigrafisti dell’Academia Sinica, ricerche più approfondite hanno riguardato i diversi aspetti di questa pratica e dei suoi modi di svolgimento, complessi e costosi in termini di tempo, uomini e mezzi. La divinazione praticata al tempo dell’apogeo degli Shang (ca. 1200-1045 a.C.) consiste nell’esporre al fuoco, servendosi di una punta incandescente, un osso piatto, normalmente la scapola di un bovide o il piastrone ventrale di una tartaruga, debitamente pulito e preparato a tale scopo; lo scricchiolio e la fenditura, cioè suono e segno, che immancabilmente si producono vengono poi sottoposti a interpretazione. Se le pratiche si sistematizzano nel corso dei secoli, i pezzi recano sempre sul rovescio sia la data e il nome dell’indovino sia l’oggetto delle domande. In alcuni casi vi sono

28

Emblemi pittografici sui vasi di bronzo Shang Le grafie che rappresentano nomi, marchi o emblemi dei clan Shang raffigurano alcune attività come la pesca, la caccia o il trasporto dei carichi, ma descrivono anche delle azioni rituali. I quattro esempi, da a a d, figurano su vasi risalenti al periodo finale degli Shang (ca. 1300 a.C.): a) Il vino versato (la lingua in giù), la carne cotta (la mano, il fumo che esce) e l’offerta di moneta-cauris (l’uomo che porta due file di conchiglie sul bilanciere). b) L’offerta di moneta-cauris con stilizzazione che prefigura il carattere di scrittura «moneta». c) Il vaso rituale con vino, carne cotta e un uomo che presenta un bambino (suo figlio?) al suo antenato, attraverso i pilastri-colonne del tempio. d) Il sacrificio rituale del vino, della carne cotta e della carne fresca (simboleggiata dal pesce). Se l’iscrizione dei segni di scrittura sulla materia ossea necessitava di una punta solida, senza dubbio metallica, che ha generato uno stile abbastanza rigido e caratteri dagli angoli vivi, le iscrizioni colate nel bronzo fanno uso di curve e possiedono un potere di suggestione assai notevole.

Grande maschera dalle pupille protuberanti

Bronzo; h. 66 cm, l. 138 cm, prof. 73 cm. ca. 1200-1000 a.C. Scoperta nel 1986 nella fossa n. 2 a Sanxingdui, Guanghan (Sichuan). Museo dello Sanxingdui (Sichuan).

riportati anche il responso dell’oracolo e le circostanze in cui gli eventi si sono realmente verificati. Una volta usati, i pezzi venivano ordinati con cura e deposti in fosse nell’area del tempio-palazzo. In base all’enorme corpus che è arrivato fino a noi – si parla di centinaia di migliaia di pezzi –, la divinazione del periodo finale dell’epoca Shang appare come una delle istituzioni più notevoli del regno. Preliminare a ogni azione rituale e a ogni sacrificio religioso, essa viene praticata parecchie volte al giorno e rappresenta una manifestazione dei poteri spirituali e temporali del sovrano nei suoi scambi con gli antenati reali e con le potenze del mondo. Sul finire della dinastia, i nomi degli indovini reali spariscono a vantaggio del titolo del solo sovrano che si proclama: «Io, l’uomo unico». La scrittura serviva ad altri usi oltre che alla divinazione? Era utilizzata come mezzo di comunicazione tra gli uomini su supporti più fragili che sarebbero scomparsi? La questione rimane senza risposta. Sembra tuttavia che le grafie divinatorie degli Shang siano le lontane antenate dei caratteri di scrittura della lingua classica e di quelli utilizzati ancora oggi per trascrivere le lingue moderne. Al di là della dimensione di supporto semantico – l’insieme del corpus è infatti la primissima forma di storiografia cinese –, queste iscrizioni rappresentano anche un vasto repertorio di forme con le loro circa tremila grafie repertoriate. Così come quella delle più tarde iscrizioni su bronzo, la scoperta delle ossa oracolari arricchisce l’arte dei calligrafi cinesi contemporanei che riproducono, su differenti supporti, queste grafie arcaiche e se ne appropriano, in seno a una corrente artistica che rinnova la loro ispirazione attingendo alle più lontane fonti della loro disciplina, assai particolare e sopra tutte apprezzata.

29


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Personaggio su un piedistallo

Bronzo; h. totale con lo zoccolo 260,8 cm, h. del personaggio 172 cm, peso 180 kg. ca. 1200-1000 a.C. Scoperto nel 1986 nella fossa n. 2 a Sanxingdui, Guanghan (Sichuan). Museo di Sanxingdui (Sichuan). Gli scavi in corso da decenni nel distretto di Guanghan, nel sito detto Sanxingdui («le tre stelle»), a una quarantina di chilometri da Chengdu, la capitale provinciale del Sichuan, hanno rivelato la presenza di numerose fosse e le vestigia di una città cinta da mura, rimasta al di fuori della storia scritta ufficiale; i suoi diversi livelli stratigrafici coprono la totalità del ii millennio a.C. È nel 1986 che furono portate alla luce, fuori della cinta muraria della città, due fosse eccezionali, datate tra il 1200 e il 1000 a.C. e contemporanee della civiltà Shang di Anyang. La fossa n. 2 racchiudeva circa milletrecento pezzi per la maggior parte frammentari (zanne di elefanti, cauris marine, maschere e teste di bronzo a volte ricoperte d’oro, pezzi di giada, vasi di bronzo, elementi di oggetti di culto, frammenti di creature composite, alberi di bronzo popolati di uccelli, ecc…), disposti su tre strati e mescolati a ossa di animali calcinate; si trattava forse dei resti di un sacrificio del quale alcune offerte, dopo essere state bruciate, erano state volontariamente fatte a pezzi prima di essere debitamente interrate nella fossa, in un’occasione di cui ignoriamo il senso e la portata. Di statura quasi umana e sistemata su un alto piedistallo squadrato, la grande statua di un personaggio in posizione eretta presenta un corpo longilineo con i piedi nudi e testa e braccia sovradimensionati; le sue mani enormi sono chiuse a cerchio come a indicare che stringevano un oggetto tubolare la cui identificazione resta incerta, un pezzo di giada o una zanna di elefante. Al pari dell’acconciatura, il suo abbigliamento, costituito da tre pezzi la cui superficie è decorata con motivi incisi di dragoni, è molto complesso e fa pensare a una figura regale o religiosa.

Realizzazione di un vaso tripode ding con il procedimento dello stampo a sezioni Dopo aver realizzato un modello in argilla (1), i motivi sono incisi in cavo o in rilievo all’interno delle differenti sezioni dello stampo (2); le parti vengono poi assemblate intorno al modello o nucleo in terra refrattaria, leggermente più piccolo del pezzo da realizzare. Il pezzo viene colato a rovescio, in una volta sola nel caso dei bronzi più antichi (Erlitou), o in colate successive nei periodi posteriori (Anyang). Lo stampo viene poi spezzato per estrarne il pezzo (3). La fabbricazione dei bronzi è indicativa della produzione cinese arcaica che, malgrado sia essenzialmente fondata sulla ripetizione di moduli, non fa certo economie in termini di tempo, né di manodopera, né di materia prima.

30

Grande paiolo ding

Bronzo; h. ca. 54 cm. Metà del ii millennio a.C., fase detta di Zhengzhou. Scoperto nel 1974 nella tomba n. 2 di Lijiazui, Panlongcheng, Distretto di Huangpi (Hubei). Wuhan, Museo provinciale dello Hubei. Destinato a una lunga fortuna, il paiolo tripode è l’esempio-tipo dei più antichi vasi mai prodotti in Cina. Sul suo decoro a rilievo si distingue una delle prime raffigurazioni della maschera animalier taotie, sviluppata a partire da occhi ovali; l’immagine si scompone in due parti, che mostrano, faccia a faccia, due creature dragoniformi viste di profilo, chiamate kui.

I bronzi arcaici

Gli ultimi Shang venerano numerose forze della natura investite di un’efficienza divina o spirituale, come la terra, le montagne e le nuvole che le circondano, il fiume Giallo e il corso d’acqua che scorreva ad Anyang, i venti, messaggeri dei quartieri celesti, e il sole. Li domina una divinità suprema e misteriosa che porta il nome di Di. Ma l’essenza dei culti è connessa con gli antenati della stirpe reale. Condotti dopo la morte nel mondo invisibile delle entità onnipotenti, essi garantiscono ai loro discendenti gloria e assistenza in una mediazione i cui termini restano per noi poco noti. Si sarebbe tentati di misurare il loro carisma col metro del gigantismo della struttura e delle ricchezze delle loro tombe. Scavate a partire dal 1928, e poi dal 1950, esse sono situate nel cimitero di Xibeigang, al di là del fiume Huan, ai piedi delle colline che circondano Anyang. Le sepolture presentano una pianta cruciforme e in asse con due accessi, uno in pendenza e l’altro a gradini. Una camera di legno della stessa forma della tomba protegge il sepolcro interno e le piattaforme cultuali. Sepolta in una piccola fossa sotto la camera si trova la spoglia di un cane, a volte insieme a quella di un uomo. Come altri sovrani dell’età del Bronzo in diversi luoghi del mondo, il re viene sepolto con i suoi beni più preziosi e le insegne del suo rango. Lo seguono nella morte i parenti e i compagni di rango elevato, guardie le cui armi proteggono la tomba e una massa enorme di uomini sacrificati, prigionieri, schiavi o vittime comuni, spesso decapitati. In alcune fosse di contorno si trovano diversi animali, domestici o selvatici, e gli strumenti simbolo della sua grandezza in guerra e a caccia, il suo carro, i suoi cavalli e il loro auriga. Enormi ricchezze provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, granaglie e animali

31


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Le coppe jue Appaiate ai calici gu, le coppe jue risalgono probabilmente ai primordi dell’età del bronzo; la loro presenza in gran numero nelle tombe nobili testimonia l’importanza attribuita alle offerte di vino (alcool o birra di cereale, probabilmente miglio) nei rituali. Utilizzata per riscaldare, versare o bere il vino, la jue presenta un corpo arrotondato e piedi cavi; è dotata di un’ansa e di un lungo becco versatore, e, a volte, di due protuberanze sull’orlo. La sua forma ricorda, scientemente o incidentalmente, quella di un piccolo uccello appollaiato su tre zampe. Presente nelle iscrizioni oracolari, il carattere di scrittura che la designa testimonia del suo uso e corrisponderebbe, per alcuni studiosi, all’onomatopea presunta del verso dell’uccello, «jue»; per altri, jue rappresenterebbe l’uccello a tre zampe che, secondo il mito di origine del clan reale degli Shang, risiedeva in ciascuno dei dieci soli con i quali furono identificati gli antenati della dinastia. In epoca successiva, pur conservando il suo significato primitivo di «vaso ornitoide», jue sta a significare il «rango» che determina i rapporti tra il re e i suoi feudatari, in una specie di vaga allusione a una gerarchia definita dall’accesso alle libagioni, le più preziose tra le offerte sacre. Coppa jue da libagione (a sinistra)

Bronzo ca. xviii-xvi secolo a.C. Shanghai Museum.

Coppa jue da libagione (a destra)

domestici, vengono consacrate alle offerte destinate agli antenati reali. Le iscrizioni oracolari alludono a diversi tipi di cerimonie dalle modalità ancora non ben definite, in cui predominano sacrifici, libagioni e offerte di cibo, musica e danza. Il periodo finale della dinastia vede l’elaborazione di strutture rituali complesse in cui l’identità postuma di un antenato insigne, designata dal posto che occupa in seno alla stirpe familiare, dall’età e dal sesso, viene messa in relazione con le cerimonie regolari che gli erano dedicate. Ne consegue un ciclo rituale di dieci giorni che dà forma al calendario e nome ai suoi giorni. Gli Shang sono i precursori della notazione sessagesimale come misura del tempo, suddiviso in occasioni «faste» o «nefaste». L’uso del ciclo che sincronizza i dati calendariali solari – i giorni o i soli contati per dieci – con quelli lunari – i mesi e le lune contati per dodici – si è progressivamente esteso, con i secoli, alla determinazione e alla denominazione degli anni, dei mesi, dei giorni e delle ore della giornata, ispirando sia il calendario delle feste che l’astrologia tradizionale. La scoperta nel 1976 della tomba inviolata di Fu Hao o Dama Hao, nel perimetro considerato come l’area del tempio-palazzo di Anyang, ha permesso di comprendere meglio la complessità delle usanze funerarie e la ricchezza del vasellame sacro destinato ai banchetti degli antenati. La tomba conteneva circa duecento vasi di bronzo le cui brevissime iscrizioni si riferiscono, in certi casi, al nome di lignaggio del defunto, e in altri alla sua denominazione postuma. Alcuni infine riportano il nome di altre persone appartenenti a stirpi coeve; forse erano stati ricevuti in tributo, in eredità o in dono, e deposti nella tomba per accrescere la sua gloria postuma. Da un punto di vista stilistico, i vasi di Dama Hao rappresentano quello che si è potuto definire l’apogeo, nel xiii secolo

32

Bronzo; h. 37,3 cm. xiii-xii secolo a.C., dinastia Shang. Scoperta nel 1976 nella tomba di Fu Hao, Anyang, Henan. Anyang, Museo di Fu Hao. L’incidenza delle tecniche sulle forme e sui decori è evidente grazie alla presentazione di due coppe jue che risalgono al xvii e al xii secolo a.C. La coppa completamente priva di decoro è la più antica (a sinistra). Affine ai modelli scoperti a Erlitou (Henan), essa è stata colata in una sola volta con un orlo che imita una lamina di metallo ripiegata, come per indicare che era esistito uno stadio della metallurgia in cui gli oggetti erano realizzati a partire da una lamina martellata. Per contrasto, la seconda coppa (a destra) – molto più recente e stata scoperta, insieme a un’altra delle stesse dimensioni, nella tomba di Dame Hao, di cui entrambe recano il nome in iscrizione – rappresenta l’apogeo dell’arte del bronzo della Cina arcaica, con i suoi volumi equilibrati, la sua materialità densa, la sicurezza del disegno, la scultura solida e la coerenza nella simmetria della sua ornamentazione.

33


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Vaso da libagione gu

Avorio con intarsi di turchesi; h. 30,3 cm, diam. del collo 11,3 cm. xiii-xii secolo a.C., dinastia Shang. Scoperto nel 1976 nella tomba di Fu Hao, Anyang, Henan. Anyang, Museo di Fu Hao. Ricavata da una sola zanna di elefante con un manico scolpito a parte e sormontata da un rapace dal grande becco, la coppa su piede della tomba di Dame Hao, come altri due esemplari, si è miracolosamente conservata. All’apogeo degli Shang, l’insieme dei motivi costituisce a pieno titolo un repertorio che non è legato al tipo di oggetto o di supporto, come testimoniano i reperti in ceramica bianca, marmo, osso, avorio o giada che ci sono pervenuti e che presentano, malgrado notevoli variazioni dovute alle qualità intrinseche dei materiali, un’indubbia omogeneità di stile e d’ispirazione.

Maschera animalier taotie Quest’essere doppio, con testa di animale e corpo serpentiforme stilizzato visto di profilo è, nelle sue infinite variazioni, il tema prediletto degli oggetti sacri degli Shang. Considerato il più delle volte come una maschera animalier terrificante dal potere protettivo, il taotie è stato oggetto di numerose speculazioni e la sua origine è dibattuta; alcuni studiosi suppongono una sua derivazione dai motivi delle giade funerarie di Liangzhu; allo stato attuale delle conoscenze, il suo mistero è ancora totale; esso si caratterizza tuttavia per una coerenza e un’espressività che non possono essere casuali, o dipendere da semplice volontà di abbellimento, nel contesto di un’arte che, con i suoi oggetti funerari, le sue armi rituali, le sue insegne e le sue parure, è inseparabile dalle strutture religiose e politiche che celebrano la potenza sovrana degli antenati.

a Fronte b Muso c Corno d Corpo e Coda ricurva f Zampa g Artiglio h Occhio i Mascella superiore j Labbro cascante

J

J

Vaso da vino you, detto «la Tigre»

Bronzo; h. 35 cm. xii-xi secolo a.C., fine della dinastia Shang. Parigi, Museo Cernuschi (m.c. 6155). Questo vaso tripode, che ha un gemello nella collezione giapponese Sumitomo di Kioto, ha la forma di un felino in posizione eretta che tiene stretto tra gli artigli un uomo sovrastandolo col suo enorme muso. Alcuni autori gli associano una leggenda tarda della casa reale di Chu, dove, nel vii secolo a.C., un nobile sarebbe stato nutrito da bambino da una tigre. Altri studiosi evocano il taotie nel suo ruolo di ghiottone e protettore dei clan, che ingoia uno spirito demoniaco, o, al contrario, pensano al passaggio verso il mondo della morte attraverso le fauci aperte del felino; altri ancora sottolineano il carattere benefico del mostro che rigurgita l’uomo per un’esistenza nuova. «La tigre» può evocare anche, come in altre culture, il mostro antropofago, terribile e benigno, che divora e che così facendo trasferisce alla vittima qualcosa della sua propria sostanza o della sua potenza vitale.

34

35


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

a.C., dello stile metropolitano di Anyang. Essi suggellano il perfetto accordo tra bellezza formale e uso sacro. Ogni vaso ha un nome corrispondente a una forma che era senza dubbio riservata a una precisa funzione nell’ambito di un’arte della tavola molto elaborata che regolava l’ordinamento dei banchetti, la varietà dei cibi e dei vini, attraverso la diversità del vasellame. Obbedendo alla legge di simmetria imposta dalla tecnica di fusione – o espressamente voluta come tale –, le suddivisioni degli stampi impongono uno schema fisso ai motivi; gli elementi espressivi, spesso molto in rilievo, più o meno separati, raggruppati o sovrapposti, si adattano a tutte le forme di vasi, allungati, squadrati o arrotondati. L’accordo tra forma e decori è rafforzato dalla presenza di fregi o di sfondi di linee geometriche, altrettanto varie e variabili, flessibili ed elastiche. La presentazione come servizio accentua la bellezza intrinseca di ciascun vaso del gruppo, i cui pregi sono come moltiplicati dalla luce, scaturita dalla fusione del metallo che li rischiara e permane sulla loro superficie una volta realizzata la fusione. Il contrasto tra il motivo principale, la maschera animalier e le sue variazioni, e i motivi minori del fondo mette alla prova l’acutezza dello sguardo; lo stesso avviene con i decori ispirati al regno animale, limitati per natura ma arricchiti da tutte le loro possibili virtuali combinazioni. A tutto ciò vanno sommate le qualità sonore del bronzo che trovano piena espressione nella fabbricazione degli strumenti musicali destinati ad accompagnare i banchetti rituali. A questa completezza dei sensi della vista e dell’udito, si associano quelli dell’olfatto e del gusto, legati alla funzione stessa dei vasi: attirare l’attenzione degli antenati con il profumo dei cibi e l’aroma dei vini che essi contengono e permettere ai discendenti del defunto di gustarne l’eccellenza e la varietà. I vasi soddisfano, infine, il senso del tatto, stimolato dall’alternanza di parti lisce e in rilievo, quando vengono maneggiati durante le libagioni e le offerte, con una gestualità anch’essa, sembra, precisamente regolata. Nasce così una disciplina della gastronomia sacra o un’arte perfetta del banchetto di cui i testi rituali posteriori formalizzeranno le sequenze e le precedenze gerarchiche.

Funzioni Nomi dei recipienti Periodi

Cottura delle portate ding

fangding

li

Bronzi e giade rituali nella storia

I diversi tipi di vasi di bronzo Quadro convenzionale che mostra i diversi tipi di vasi cerimoniali che hanno fatto la loro comparsa tra il ii e il i millennio a.C. La nomenclatura tradizionale delle forme e degli usi stupisce per la sua ricchezza. I vasi si dividono in due grandi gruppi, quelli per cuocere, tenere al caldo, presentare, consumare e conservare i cibi (carni, cereali e alimenti preparati), e quelli per contenere, riscaldare o rinfrescare, mescolare, servire e bere il vino delle libagioni. Un terzo insieme raggruppa recipienti, catini e bricchi, destinati alle abluzioni e altri riservati a usi che restano ancora sconosciuti.

Conservazione o presentazione delle portate xian / yan

gui

yu

dou

fu

Nella Cina antica, il bronzo è la materia nobile. Riservato ai soli membri della famiglia reale e dell’aristocrazia, esso serve a fondere vasi rituali utilizzati come «servizi cultuali di comunione» in occasione dei banchetti per gli antenati durante tutto il periodo delle dinastie reali che hanno preceduto la creazione dell’impero (221 a.C.). Numerose fonti letterarie e storiche attestano l’esistenza di nove vasi tripodi, la cui fusione viene attribuita a Yu Il Grande, presunto fondatore della dinastia Xia. Allineati davanti al palazzo, al centro della città capitale, ognuno testimonianza della prosperità delle nove province del dominio reale e ricolmi degli spiriti che le proteggevano, i tripodi si sarebbero trasmessi da una casata dinastica all’altra – Xia, Shang e Zhou – per consacrare il potere e la virtù dei loro sovrani. L’aura di questi strumenti, trasformatisi in talismani, si riverbera sui loro possessori, riconosciuti come i degni eredi e i legittimi proprietari dei tesori dei tempi antichi. È in quest’ottica che la storia di Sima Qian descrive gli sforzi vani di Qin Shihuangdi (r. 247-210 a.C.), potentissimo imperatore dalla dubbia virtù, per recuperare uno di questi regalia, di cui si era d’altronde indebitamente impadronito uno dei suoi antenati nel 255. Al contrario, quando nel 113 a.C. un tripode di bronzo appena scoperto viene mostrato a corte, l’imperatore degli Han Wudi cambia il nome d’era del regno per celebrare la sua buona sorte. Di fatto, i vasi di bronzo costituiscono il nucleo delle collezioni d’arte principesche e imperiali, la cui funzione principale di prestigio politico si accompagna ad ambizioni in cui il carisma della morale si confonde con la cultura. Gli eruditi della dinastia Song (960-1279) nutrono per i bronzi un interesse appassionato. Nelle Illustrazioni per lo studio dell’antichità (Kaogutu), la cui prefazione risale al 1092, Lü Dalin fa distinzione tra oggetti come gli utensili, le armi e gli strumenti musicali, da una parte, e i vasi destinati alle offerte per gli antenati, dall’altra. La terminologia da lui impiegata per le forme e i motivi, ricavata dal confronto degli oggetti con le descrizioni dei testi rituali classici, è in uso ancora oggi. Il motivo dominante della maschera animalier viene chiamato taotie, espressione tratta dal Lüshi Chunqiu del iii secolo che designa una creatura

Servizio del vino dui

jue

jia

Servizio del vino he

gu

zhi

zun

zun zoomorfi

lei

hu

Abluzioni you (tipo 1)

you (tipo 2)

fangyi

gong

pan

yi

jian

Ceramiche neolitiche

Inizio degli Shang

Fine degli Shang

Zhou dell’Ovest

Zhou dell’Est

36

37


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

Vaso da libagione gu

Bronzo; h. 32 cm. xiv-xi secolo a.C., dinastia Shang. Parigi, Musée National des Arts Asiatiques - Guimet. Forma del repertorio classico degli Shang, che assegnano un ruolo importante alle libagioni nelle cerimonie rituali, il calice gu si caratterizza per l’eleganza della linea e l’eccezionale finezza di incisione dei suoi motivi. La parte superiore forma una coppa svasata e decorata con quattro motivi triangolari a palmetta, forse ali di cicale stilizzate, la cui base poggia su un fregio di creature serpentiformi. Questi animali reali investiti di una natura singolare – serpente che muta o cicala che sorge alata dalla notte della terra – evocano il passaggio a un nuovo stato dell’esistenza e, per sineddoche, la metamorfosi degli esseri; essi si associano ai motivi misteriosi e senza dubbio ambivalenti, mostruosi e protettivi, della maschera animalier taotie e dei dragoni kui. La perfezione raggiunta dai maestri bronzisti Shang, che unisce rigore, equilibrio e simmetria, spiega l’irresistibile attrattiva esercitata dalle loro produzioni nel corso dei secoli.

38

Vaso ispirato al vaso arcaico da libagione gu

Bronzo; h. 23 cm. xii-xiii secolo d.C., dinastia dei Song del Sud. Parigi, Musée Cernuschi (m.c. 96). Se questo piccolo modello di bronzo Song si ispira al gu arcaico, esso però non è più riservato alle libagioni religiose, ma viene probabilmente utilizzato come vaso da fiori. Come molti altri «adattamenti» ( porta-pennelli, boccali da acqua o utensili per l’incenso e il profumo), esso abbelliva il tavolo dello studio dei letterati che sempre hanno apprezzato il sottile contrasto tra la solidità e l’eternità del metallo e il carattere effimero e fragile del vegetale. I bronzi arcaizzanti testimoniano una delle linee di forza dell’arte e della saggezza della Cina, la trasmissione dei saperi, evocata dall’adagio confuciano, «Il buon maestro è colui che, pur ripetendo (o, letteralmente, ‘riscaldando’) l’antico è capace di trovarvi del nuovo» (Lunyu, ii, 11).

39


L’arte cinese

Bruciaprofumo

Grès smaltato detto «céladon»; h. 27 cm. x-xii secolo, dinastia dei Song del Nord. Scoperto nel 1960 a Lantian, Xi’an (Shaanxi). Il brucia-profumo realizzato in grès presenta forma tozza e motivi riportati sotto lo smalto (piccole palmette e spirali quadrate) ispirati direttamente al ding o vaso tripode antico; vi si aggiungono un decoro floreale e delle creature leonine in rilievo. È uscito

40

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali

dai forni di Yao, situati nel distretto di Tongzhuan (Shaanxi), che rivaleggiano con la produzione dei forni imperiali della capitale. Conosciuti in Europa con la denominazione di «céladon» per analogia con il colore dei nastri portati dal pastore Céladon, eroe dell’Astrea di Honoré d’Urfé (1567-1625), i grès ricoperti di uno smalto in cui si declinano tutti i toni di verde raggiungono il massimo della raffinatezza sotto i Song che innovano «re-inventando l’antico».

Disco bi

Giada; diam. 27,8 cm. ca. 3200-2000 a.C., cultura di Liangzhu. Taipei, National Palace Museum. La grandezza e la maestosità del disco bi sono state celebrate nel corso dei secoli, anche se il suo significato principale nel contesto funerario resta ancora sconosciuto. Proprietà degli imperatori della dinastia Qing e attribuito all’epoca neolitica, il disco si iscrive in un contesto politico e ar-

tistico nuovo. Più di quattro millenni dopo la sua creazione, il disco si vede «rivisitato» dall’imperatore Qianlong (r. 1736-1796) e dai letterati eruditi della sua corte. Come testimoniano le iscrizioni e i poemi incisi dopo che è entrato a far parte della collezione imperiale, esso si trasforma in un oggetto di puro godimento estetico rispetto al quale il riconoscimento della sua antichità attesta le qualità insigni del suo possessore.

41


L’arte cinese

La Cina arcaica, dalle culture neolitiche alle prime dinastie reali Tubo cong

Giada; h. 47,2 cm. ca. 3200-2000 a.C., cultura di Liangzhu. Taipei, National Palace Museum. Entrato nelle collezioni imperiali nel xix secolo, in un’epoca in cui i legami tra arte e politica si allentano e le spese voluttuarie si riducono, il tubo cong ha conservato il suo aspetto originario. Come molti altri pezzi, esso appartiene oggi alle collezioni del National Palace Museum a Taiwan, fondato nel 1965 per accogliere la maggior parte delle antiche collezioni imperiali trasferite nell’isola. Ricollegandosi al ruolo di emblemi di prestigio e di potere che le dinastie imperiali avevano conferito loro, si è ritenuto che le pitture e le calligrafie delle antiche dinastie, così come i bronzi e le giade arcaiche, rafforzassero la legittimità del governo della Repubblica della Cina rispetto a quello della Repubblica Popolare.

Vaso a forma di tubo cong

Grès smaltato detto «céladon»; h. 25,5 cm. xii-xiii secolo, dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. I maestri vasai di Longquan (Zhejiang) proseguono la nobile tradizione dei grès dallo smalto vellutato blu lavanda, prodotti a uso esclusivo della corte di Huizong (r. 1107-1125). Il gusto per l’arcaismo dei circoli di esteti e conoscitori che, sull’esempio dell’imperatore, associano ai piaceri visivi e tattili dei riferimenti culturali, ispirano forme nuove che sono il più delle volte adattamenti di modelli arcaici o antichi. Il vaso delle collezioni imperiali è una reinterpretazione semplificata, ma non servile, del cong neolitico. Lo smalto spesso, percorso da un reticolo di craquelures irregolari, riproduce perfettamente grazie alla sua consistenza la levigatezza e la luminosità della giada; mascherando i profili, lo smalto addolcisce i contorni con una lavorazione che sottolinea la forma solida e piena di dignità dell’oggetto, destinato, senza dubbio, ai fiori degli studi di letterati o degli altari domestici.

42

il cui corpo si distrugge gradualmente nel momento in cui divora un uomo; lo stesso taotie può anche, secondo il Libro dei Documenti, evocare i mostri banditi dalla terra dai saggi imperatori della mitologia e diventati i protettori del paese. Le spirali angolari dei fondi sono chiamate «tuono», «nuvole» o «turbini». Gli eruditi Song fanno coincidere questi motivi con l’origine dei pittogrammi appartenenti al campo semantico dei fenomeni naturali, come la pioggia, il fulmine, i lampi e il tuono, in quanto vedono in questi reticoli di linee la rappresentazione plastica dei segni grafici legati alle manifestazioni delle forze vitali della natura. Tra le copie eseguite a quel tempo, alcune conservano la forma, il decoro e anche la funzione dei vasi rituali; altre invece innovano, mostrando un modo libero e pieno di immaginazione di trattare la materia. Gli imperatori delle dinastie successive, Yuan (12791368), Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911), fanno periodicamente rieditare i cataloghi Song e molti di loro ordinano a più riprese la fusione di un gran numero di bronzi rituali, riprodotti non più dagli originali ma dagli esempi repertoriati in quegli stessi cataloghi. Il gusto dell’arcaismo rappresenta una vena artistica che nella civiltà cinese non si è mai esaurita: perpetua le forme, riprodotte a volte in altri materiali (porcellana, cloisonné, giada o marmo), o assicura la perennità di certi elementi decorativi per il solo piacere estetico dei collezionisti o degli amatori. Il carattere sacro dei bronzi sopravvive tuttavia nei templi, di qualunque obbedienza essi siano, taoisti o buddisti, con i tripodi brucia-profumo installati all’interno dei cortili e i vasi e gli ornamenti rituali disposti sugli altari. Dalle prime dinastie reali in poi, le élite cinesi hanno sempre valorizzato la scoperta, la circolazione, la trasmissione e la conservazione degli oggetti antichi. Emblematici tra tutti, i pezzi di giada delle culture neolitiche si iscrivono in questa tendenza; spesso copiati, tagliati di nuovo o ridecorati, i loro usi restano misteriosi, mentre nel corso dei secoli vengono elaborate forme, ornamentazioni e funzioni completamente nuove. Tra i libri che si ritiene descrivano gli usi antichi figura il Rituale degli Zhou (Zhouli), che non fu probabilmente compilato prima dell’epoca Han e che impone a lungo la sua visione normativa della società alla possibilità di portare su di sé la giada. Il libro distingue sei tipi di pezzi cerimoniali – emblemi dei ranghi e delle posizioni sociali e familiari –, e sei tipi di pezzi rituali – riservati alle offerte alle divinità e agli antenati –; tra questi ultimi figurano i dischi bi e i tubi cong, che fanno la loro comparsa nel Neolitico e la cui forte carica simbolica, al contempo fisica, talismanica e profilattica, sopravvive pur trasformandosi. Il perfetto equilibrio del cong, la sua linea vigorosa e la sua forma pura e spoglia, vengono reinterpretate, in epoca successiva ai Song, dai vasai che trovano una fonte d’ispirazione anche nella morfologia dei vasi di bronzo. Oggetto delle attente cure degli amatori, la giada ispira un vocabolario di un’estrema ricchezza che associa spesso, alle sue qualità visive, il piacere dell’udito, del tatto e del gesto. Collezionare gli oggetti di giada così come i vasi di bronzo permette di avere accesso a materiali rari e preziosi e all’eccellenza del lavoro dei maestri artigiani. Testimoni della comunione con lo spirito degli antenati delle stirpi cinesi, questi pezzi permettono anche agli appassionati d’arte di identificarsi con le virtù del passato della loro civiltà e, in questo modo, di ritrovarvi la parte migliore di un’identità rispettata e venerata da millenni.

43


La Cina antica degli Zou

Capitolo secondo

Capitali reali e imperiali fondate nella regione di Xi’an (Shaanxi) Prima della loro vittoria finale sugli Shang, verso la metà dell’xi secolo a.C., i re Zhou fondano due capitali situate a sud-ovest dell’attuale città di Xi’an: la prima, Feng (o Fengjing), si estendeva di sicuro a ovest del fiume dello stesso nome, la seconda, Hao (o Haojing), a est. Ma nessuna struttura reale del tempo degli Zhou dell’Ovest (palazzo o tomba) è stata, per ora, portata alla luce. La regione di Xi’an sarà la sede delle dinastie imperiali successive: Qin, Han dell’Ovest, Wei dell’Ovest, Zhou del Nord, Sui e Tang.

LA Cina antica degli zou La stirpe dei re Zhou (ca. 1050-256 a.C.) Per gli antichi letterati della Cina l’avvento della dinastia Zhou segna l’epoca d’oro della civiltà. I suoi primi regni e le sue istituzioni nobili sono l’eco perfetta dell’opera sovrana dei re mitici e dei loro saggi ministri, protettori di tutte le arti, comparsi all’inizio dei tempi per portare al mondo ordine e prosperità. L’alleanza del genio della cultura e di quello della guerra è incarnata dal re Letterato (Wen), che fonda la dinastia, e dal figlio, il re Guerriero (Wu) (r. 1049/45-1043), artefice della vittoria finale sugli Shang; a essi viene associata la personalità idealizzata del duca di Zhou (r. 1042-1036) o Zhou Gong, fratello minore del re Guerriero, che rafforza il nuovo potere e istituisce una potente e virtuosa amministrazione, prima di restituire lealmente il trono al nipote, il re Cheng (r. 1042/35-1006). Secondo la Mo

nti

S t e p p a

Alt

Erligang

Lop Nor

Q i l i a n

Zhukaigou (tomba dell’età del Bronzo)

S h a n

Shilou (tombe Shang)

Monti Kunlun Altipiano del Tibet T i b e t H

i m

Qucun

(tomba Jin)

Beijing (Pékin)

Bo Hai Anyang

(sito degli inizi dell’età del Bronzo)

Lhasa

Haojing et Fengjing (capitale degli Zhou dell’Ovest)

Sanxingdui

(capitale degli Zhou dell’Est)

ing Qin L

(centro degli inizi dell’età del Bronzo)

Chengzhou

Qufu

Luoyang Xi’an Zhengzhou

(centro rituale degli Zhou dell’Ovest)

Mar Giallo

(capitale della fine della dinastia Shang)

(sito degli inizi dell’età del Bronzo/dinastia Xia?) Baoji (bronzi degli Zhou dell’Ovest)

Zhouyuan

Panlongcheng

Xu

Xinzheng Xincai

Ningxiang (bronzi Shang)

Wuhan

Dayangzhou (tomba Shang)

Siti archeologici maggiori Città moderne Dinastia Shang

Epoca delle Primavere e degli Autunni

44

(tombe degli Zhou dell’Ovest)

Shanghai Kuaiji

C i n a

Dinastia degli Zhou dell’Ovest

Danyang

Funan (tombe Shang)

Chengdu

Bacino dello Sichuan

Corea

Linzi

Erlitou Jiang

Qugong

a l a y a

Gaocheng (tombe Shang)

ng S han

(sito degli inizi dell’età del Bronzo)

Aiha

Kongquehe

Bashui

Palazzo Gui

Mar della Cina meridionale

Fiume Feng Il Libro delle Odi, «La fama del re Wen» «Il re Wen godette di fama, e questa fama fu grande. Egli ricercò la pacificazione del regno e la vide realizzarsi. Il re Wen fu un vero sovrano! Il re Wen, su ordine del Cielo, fece una spedizione militare. Dopo aver punito il principe di Zhong, egli ricostruì una città a Feng. Il re Wen fu un vero sovrano! … I lavori del re Wen diventarono famosi, soprattutto dopo che egli ebbe costruito le mura di Feng. La città divenne il centro di tutti gli Stati, e quell’augusto principe ne fu la colonna. Quell’augusto principe fu un vero sovrano! Il Feng (scorreva) a est della città, (si gettava nello Wei, e insieme allo Wei) riversava le sue acque (nel fiume Giallo), in seguito ai lavori del grande Yu. Gli abitanti di tutte le contrade si recavano nella capitale seguendo il corso del Feng; e l’augusto re (il re Wu) governò lui solo tutto il regno. Quell’augusto re fu un vero sovrano! Ad Hao, la sua capitale, il re Wu istituì il Biyong (la scuola di palazzo). Da oriente a occidente, da mezzogiorno al settentrione, ciascuno si sottomise a lui di buon grado. Questo augusto principe fu un vero sovrano! Il re Wu consultò le sorti, prima di fondare la villa di Hao. La tartaruga diede un responso favorevole; il re Wu eseguì il lavoro. Il re Wu fu un vero sovrano! … Il re Wu assicurò l’impero ai suoi discendenti, e la tranquillità al re Cheng, suo figlio rispettoso. Il re Wu fu un vero sovrano!» (Dal Libro delle Odi, Shijing, libro ii, canto x, La fama del re Wen, Cheu King, Imprimerie de la Mission catholique, Ho Kien Fou 1896, pp. 344-347)

Palazzo Changle

Sobborgo Baoqoao Palazzo Daming

Sobborgo Sanquiao

Palazzo Taiji

Palazzo Epang dei Qin

Città imperiale

Palazzo Xingqing

Chang’an dei Tang Piccola pagoda dell’Oca selvaggia

Haojing degli Zhou

Xi’an

Grande pagoda dell’Oca selvaggia

Fengjing degli Zhou

Riserve d’acqua

Yu

Corridoio di Hexi

Sobborgo Gaotan

ei

Palazzo Bei

me

(sito dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro)

ello W

ei

Fiu

Deserto di Taklamakan Bacino di Tarim

o

d corso

eW

Palazzo Mingguang

La Cina nell’età del Bronzo (2000-780 a.C.): capitali e siti archeologici

(prima capitale degli Shang?)

Chawuhugou

Antic

Xianyang

Palazzo Jianzhang Palazzo Weiyang

s e t t e n t r i o n a l e

Deserto del Gobi

Fium

Chang’an degli Han

ai

Tian Shan

Xianyang dei Qin

Distretto di Changan

Sedi di capitali 0

2

4 Km

storia di Sima Qian, il Mandato che l’onnipotenza celeste aveva accordato agli Xia, poi agli Shang e, infine, agli Zhou, è inscindibile dalla virtù dei loro re e sposa il ritmo del tempo e dell’intero cosmo. Dopo la sua nascita e il suo sviluppo, la dinastia passa per una fase di splendore, poi di declino e, dopo un’effimera restaurazione, si esaurisce e si spegne. All’842 a.C. risale il primo avvenimento datato della storia cinese con l’esilio forzato a Linfen (Shanxi) del re Li (r. 857/53-842/28), dipinto come un tiranno, il quale, insensibile alle rimostranze dei suoi ufficiali, accelera il declino della casa reale. Dopo la reggenza di Gong He (841-828), la stirpe si riafferma, ma ben presto soccombe agli assalti congiunti di nobili vassalli in rivolta e di popolazioni belligeranti del Nord-Ovest, i Quanrong. Nel 771, vittima di questa coalizione, il re You (r. 781-771), corrotto e quindi fatalmente debole, perisce e la sua città viene distrutta. La corte lascia l’ovest dello Shaanxi dove erano situate le terre ataviche degli Zhou, lo Zhouyuan, e le loro principali capitali, Feng e Hao. Il figlio di You, Ping, risiede a Chengzhou o Luoyi, la capitale secondaria del clan, situata più a est, nella pianura del fiume Giallo, vicino all’attuale Luoyang (Henan). È dalla capitale orientale che la dinastia continua a esercitare un potere nominale di prestigio, durante il periodo detto degli Zhou dell’Est (770-256); mentre la denominazione di Zhou dell’Ovest è propriamente riservata alla prima parte della sua storia. Nell’arco di tre secoli, gli Zhou dell’Ovest hanno imposto una cultura aristocratica relativamente omogenea su un vasto territorio attorno alle vallate dello Wei, del fiume Giallo e delle province circostanti. Nei primissimi tempi della sua fondazione, essa reclama per sé la corona degli Xia, trasmessa per via ereditaria dopo Yu il Grande, e rivendica l’eredità degli Shang, la città cinta di mura e il suo tempio-palazzo, la divinazione e la scrittura, oltre che l’uso di vasellame di bronzo in occasione dei culti ancestrali. Per la storiografia tradizionale,

45


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Piatto pan detto dello scriba Qiang

Bronzo; h. 16,2 cm, diam. 47,4 cm, peso 12,45 kg. 996-922 a.C., dinastia degli Zhou dell’Ovest. Portato alla luce nel 1976, nel deposito n. 1 di Zhuangbai, Distretto di Fufeng (Shaanxi). Baoji, Museo dei Bronzi. Il deposito di bronzi del villaggio di Zhuangbai è situato nello Zhouyuan, la terra atavica degli Zhou, a un centinaio di chilometri a ovest di Xi’an (Shaanxi), dove erano insediati numerosi clan. Portata alla luce nel 1976, la fossa n. 1 conteneva 103 oggetti di bronzo, vasi, utensili e campane, appartenenti quasi tutti alla famiglia Wei. Poco prima del 900 a.C. uno dei discendenti, appartenente alla quinta generazione, chiamato Qiang, che come molti dei suoi antenati svolgeva la funzione di annalista o di scriba reale, fece realizzare un piatto pan o catino per abluzioni rituali la cui iscrizione è notevole sia per il contenuto che per l’armonia delle sue grafie.

Piatto pan, testo dell’iscrizione Incisi sul fondo del piatto, in una composizione equilibrata dalle righe ben distanziate, i 284 caratteri di scrittura, relativamente piccoli e molto regolari, sono distribuiti in due parti simmetriche di nove righe ciascuna. Il testo dell’iscrizione, che si legge dall’alto in basso e da destra a sinistra giustappone la stirpe dei primi re Zhou fino al sovrano regnante Gong (917/15-900), e quella degli antenati dello scriba Qiang, committente del vaso. I re vi sono designati con i loro nomi postumi che si riferiscono alla virtù che è loro propria: Wen, il Letterato, Wu, il Marziale, Cheng, il Perfetto, Kang, il Vigoroso, Zhao, lo Splendente e Mu, il Maestoso. Iscrizioni analoghe compaiono su dodici vasi tripodi ding e su un piatto pan scoperti nel 2003 in un deposito di bronzi dedicati ai membri della famiglia Shan, nel villaggio di Yangjia, o Yangjiacun, vicino a Baoji (Shaanxi); i nomi dei dodici sovrani degli Zhou dell’Ovest sono accompagnati da indicazioni elogiative sui loro regni, che si avvicinano molto, per stile e tenore, ai versi cantati del Libro delle Odi.

46

Vaso zun detto di He

Bronzo; h. 39 cm; diam. 28,6 cm; peso 14,6 kg. Datato al 1038 a.C., dinastia degli Zhou dell’Ovest. Baoji, Museo dei Bronzi. Scoperto nel 1963, nel villaggio degli Jia o Jiacun a Baoji (Shaanxi), il vaso rappresenta lo stile volutamente «esuberante» o «scintillante» dei primi bronzi Zhou fusi nella regione. Lo dimostra la sua massiccia ornamentazione, i vigorosi spigoli a gancio alle giunture degli stampi, e gli elementi prominenti della maschera taotie, realizzati ad altorilievo, come le corna e le labbra. Molto corrosa, la sua iscrizione, con i suoi 122 caratteri rettangolari disposti su due righe irregolari, evoca il ricevimento in udienza da parte del re Cheng (r. 1042/35-1006) di un certo He e la fondazione, sempre a opera del re, di una nuova capitale a est, Chengzhou (attuale Luoyang, Henan). Essa include, inoltre, due parole messe particolarmente in evidenza dagli epigrafisti cinesi contemporanei: zhong e guo che, associati, possono significare «il paese (o i paesi) del centro», ossia la Cina, considerata, per la prima volta, come uno Stato, una nazione e una cultura dal valore – e dalle mire – universali.

i primi sovrani Zhou contribuiscono all’unità del territorio cinese, sottoposto all’autorità dei loro parenti e dei loro alleati infeudati, retti anch’essi da un’amministrazione centralizzata molto gerarchizzata. Il funzionamento di quest’ultima viene descritto nel Rituale degli Zhou (Zhouli) che associa certe realtà del tempo alla rappresentazione di un governo ideale il quale, senza dubbio, non è altro che una pura finzione ritualizzante. Una sapiente strutturazione permette ai suoi sei libri – del Cielo, della Terra e delle Quattro Stagioni – di corrispondere ai sei collegi del governo reale (Amministrazione generale, Educazione,

47


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

Riti, Guerra, Giustizia penale e Lavori pubblici) con una perfetta equazione fra il mondo della natura e quello della politica. I libri classici come lo Shujing e lo Shijing, alcune parti dei quali risalgono al tempo degli Zhou dell’Ovest, conservano, come in un’eco lontana, il ricordo degli atti, delle gesta e dei discorsi reali, ma anche degli inni, delle odi e delle coreografie delle liturgie ancestrali. A queste fonti librarie si aggiungono le numerosissime iscrizioni incise sui vasi di bronzo scoperti nei contesti archeologici. Importanti reperti sono venuti alla luce in alcune tombe, come quella di Bo Dong a Zhuangbai (1975) nello Shaanxi, ma anche, e soprattutto, in depositi quasi tutti provenienti, fino ad oggi, da questa stessa provincia, come quelli, tra gli altri, di Zhangjiapo vicino a Xi’an (1961), di Qiangjia (1974), della zona che va da Dongjiacun a Qishan (1975), da Zhuangbai a Fufeng (1976) e da Yangjiacun a Baoji (2003). Proprietà di una stessa famiglia aristocratica per più generazioni, i bronzi erano sistemati con cura in alcune fosse; erano stati senza dubbio sotterrati nelle vicinanze dei templi ancestrali, abbandonati quando la corte lasciò lo Shaanxi per rifugiarsi a est. Le «iscrizioni su metallo» o jinwen arricchiscono l’arte della scrittura e ispirano durevolmente quella dei sigilli ufficiali o personali che fanno la loro comparsa nei periodi successivi. Dapprima disegnati con il pennello, poi incisi per realizzare i rilievi degli stampi, i caratteri hanno forme morbide e arrotondate. La lunghezza delle iscrizioni fuse nel bronzo può variare da un unico carattere a diverse centinaia; brevi e concise all’inizio della dinastia, come al tempo degli Shang, esse acquistano nel corso dei secoli una certa estensione per poi rimanere stabili. Conformemente a un’evoluzione paragonabile a quella degli jiaguwen, l’essenziale per gli scribi è creare una continuità che favorisca la lettura dando unità di stile e di grandezza ai caratteri. Relativamente piccoli e iscritti in quadrati, al contrario delle prime grafie rettangolari e spesso debordanti, essi sono disposti in numero costante su linee verticali spaziate più regolarmente. Malgrado qualche ritorno a formule antiche o più goffe, a dominare è la tendenza alla regolarità e alla chiarezza, senza che questo nuoccia alle sottili variazioni delle forme, in un’armonia da cui l’arte cinese della scrittura non si discosterà più.

Il tempio-palazzo degli Zhou dell’Ovest Ricostruzione a partire dai resti portati alla luce a Fengchu, Distretto di Qishan (Shaanxi). La terra atavica degli Zhou ha restituito le importanti vestigia di due complessi palaziali a Fengchu e a Shaochen. Gli archeologi cinesi sono riusciti a tracciarne la planimetria e a proporre una ricostruzione del palazzo di Fengchu che mostra un complesso di edifici simmetrici entro una cinta muraria; vi si accede dopo aver oltrepassato un muroschermo il cui impiego si generalizza nell’architettura palaziale successiva. Divisi e riservati ognuno a una funzione rituale, i padiglioni si aprono su tre cortili chiusi e sono collegati da gallerie. Secondo formule architettoniche riprese nel corso dei secoli, gli edifici, composti da muri non portanti, sorgono su piattaforme, mentre i tetti dalle tegole piatte e cilindriche sono sostenuti da pilastri-colonne di legno rinforzati, sembra, da travature in bronzo.

Il Libro delle Odi, «La nascita del nostro popolo» (estratto) L’ode celebra Hou Ji o Principe Miglio, antenato mitico della dinastia Zhou, concepito in occasione del passaggio di sua madre su un’orma lasciata da Shangdi, il Signore di Lassù. Ministro dell’imperatore leggendario Shun, Hou Ji è all’origine degli abbondanti raccolti offerti agli dei: ... Piantare sapeva, il Principe Miglio, Perché buon metodo aveva. Diserbava e seminava I suoi germogli erano ben allineati. Essi crescevano e fiorivano, Vigorosi, essi fruttificavano. Allora si istallò a Tai. Così ci concesse il cielo buone sementi Di miglio nero, di miglio doppio, Di gemme rosse, di germogli bianchi, E il miglio ovunque spuntava. Egli raccolse in tutti campi, Il miglio nero, il miglio doppio, E sulle sue spalle li portò Poi agli dei li sacrificò. Come agli dei sacrifichiamo? Bisogna macinare, bisogna spulare, Bisogna battere e setacciare e poi le granaglie lavare, Dopo al vapore cuocere e preparare, Con cura e diligenza, Prendere della legna, offrire del grasso. I nostri bei montoni, noi li scegliamo, Li arrostiamo e li bruciamo, Per l’anno nuovo li sacrifichiamo. Pieni di offerte sono i nostri piatti e le nostre ciotole E se ne alza il fumo che agli dei piace. Un così buon odore non dovrebbe piacere loro? Grazie al Principe Miglio sappiamo sacrificare, Senza errore e in modo irreprensibile, sta a noi continuare.

(Dal Libro delle Odi, Shijing, libro ii, Shengmin o «La nascita del nostro popolo», Histoire de la littérature chinoise, P. Picquier, Arles 1989, p. 31-33)

Il Libro dei Riti concernente le iscrizioni sui vasi di bronzo (estratti) Messaggio destinato alle generazioni future per ricordare il nome dei loro antenati – ma anche, all’inverso, commemorazione degli eventi fondanti di una famiglia, destinata a quegli stessi antenati –, le iscrizioni su bronzo costituiscono un linguaggio rituale nuovo, molto codificato, che riproduce le dichiarazioni di investitura e che, come sottolinea il Libro dei Riti, stabilisce un legame inscindibile tra generazioni: I vasi tripodi ding che servivano per le offerte recavano delle iscrizioni. Colui che faceva incidere un’iscrizione, faceva collocare il suo nome in basso… celebrando al tempo stesso le nobili qualità dei suoi padri e facendole conoscere alle età future… Colui che componeva un’iscrizione esaltava le buone qualità, le belle azioni, i meriti, le fatiche dei suoi padri, le lodi e le ricompense che essi avevano ottenuto, la fama che si erano conquistata ovunque sotto il cielo; tutte queste cose egli diceva sui vasi destinati alle offerte e ne metteva così in risalto il valore.

(Dal Libro dei Riti, Memorie sulle regole e le cerimonie, Imprimerie de la Mission catholique, Ho Kien Fou 1913, ried. Les Belles Lettres/Cathasia, 1950, 4 vol., tomo ii, parte i, p. 346)

Clan e lignaggi nobili Al tempo degli Zhou il re incarna l’onnipotenza sovrana, in quanto «Figlio del Cielo». Confuso a poco a poco con Di o Shangdi, il «Signore di Lassù» degli Shang, il Cielo diventa un’entità divina che domina su tutta la natura e impone agli uomini la sua volontà. Nella sua mediazione con il Cielo, il re invoca Hou Ji o Principe Miglio, l’antenato eroico del suo clan. Gli presenta offerte per ottenere buoni raccolti in occasione dei sacrifici che prefigurano certi culti imperiali. Venera anche il Sovrano Terra, Houtu, dio del suolo del suo regno, e infine rende omaggi ripetuti e periodici agli antenati della sua stirpe, secondo regole calendariali complesse. In virtù della legge esogamica che regge i clan, anche la sua sposa presenta offerte secondarie o minori agli antenati del suo clan. Sul modello dei rapporti familiari che seguono il principio della filiazione patrilineare, l’organizzazione gerarchica della nobiltà Zhou si chiarisce – per lo meno in teoria – attraverso i titoli che il sovrano concede ai membri delle stirpi e dei clan affiliati alla casa reale, e che si trasmettono generalmente per via ereditaria. Si tratta, con traduzioni abbastanza approssimative prese a prestito dall’Ancien Régime francese, di «duchi» (gong), «marchesi» (hou) – di fatto dei signori dei territori esterni ai domini imperiali – , «conti» (bo), «visconti» (zi) e «baroni» (nan). In materia di privilegi e di distinzioni, questi titoli equivalgono a certe alte cariche dell’amministrazione reale le cui denominazioni variano notevolmente a seconda della loro provenienza, dati testuali o reperti archeologici. Fuse contemporaneamente ai vasi e agli strumenti musicali che fanno loro da supporto, le iscrizioni sui bronzi hanno a che fare con la sfera rituale e politica. Spesso semplici dediche, esse dichiarano i nomi personali – o postumi – e i titoli dei finanziatori, e a volte quelli dei dedicatari. Alcune, più rare, fanno menzione di varie cerimonie riservate al re e rivolte al Cielo, al Signore di Lassù e agli antenati reali; altre ancora riferiscono discorsi

48

49


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Vaso da cereali gui detto E Shu

1. Tavola; 2. e 3. Vasi you; 4. Vaso zun; 5. Versatoio con coperchio he; 6.7.8. e 9. Boccali zhi;

10. Vaso jia; 11. Mestolo shao; 12. Coppa jue; 13. Calice gu; 14. Coppa jiao.

o riproducono lunghe preghiere. In linea di massima, esse gettano nuova luce su rapporti sociali regolati dalla ritualizzazione della parola e del gesto: saluti, declamazioni, ringraziamenti e prosternazioni. L’atto solenne che suggella le donazioni e le investiture somiglia alle cerimonie di udienza: il re – o il signore se si tratta di un dominio vassallo – riceve il donatario e pronuncia un discorso, più o meno lungo, indicando le ragioni del suo favore e la lista dei doni che gli concede; accanto a lui è presente uno scriba con una tavoletta, supporto e testimonianza della parola reale. Poiché si ritiene che il re agisca in nome dei suoi antenati, lo scenario delle cerimonie è il gran tempio o il tempio dinastico della stirpe Zhou. Fondazioni palaziali importanti sono state portate alla luce in quelli che appaiono come i grandi centri rituali dello Zhouyuan, situati a una certa distanza dalla capitale. Il complesso di Fengchu nel distretto di Qishan (Shaanxi) è il più antico e anche il più notevole, e si è tentati di vedere in esso uno dei modelli degli insediamenti politico-religiosi degli Zhou dell’Ovest, con la sua corte d’onore e la sua sala-palazzo dove il re celebra e governa, secondo i riti della sua dinastia. Posti all’interno del perimetro del tempio ancestrale e a volte, in seguito, nelle tombe, affinché i nobili perpetuino nell’aldilà la celebrazione dei loro riti, i vasi di bronzo serbano

50

Bronzo; h. 18,8 cm, diam. della coppa 18,1 cm. xi secolo a.C., dinastia degli Zhou dell’Ovest. Shanghai Museum. Pur privilegiando una certa enfasi strutturale con le sue due anse supplementari, il vaso gui con decoro di uccelli conserva tuttavia un misurato equilibrio. Esso rappresenta l’esempio tipo di un vaso per conservare, o presentare, le preparazioni culinarie a base di cereali in occasione dei banchetti ancestrali. I nobili offrono ai loro antenati cibi vari in vasi la cui bellezza emana dalla perfetta corrispondenza tra funzione e forma; grazie a un’iscrizione incisa, essi li rendono anche partecipi delle proprie gesta; li invitano, infine, a condividere il cibo sacro, attirando l’attenzione delle loro anime che percepiscono il profumo e il fumo dei piatti, ma anche il ritmo e la vibrazione della musica, perché suono (shen), soffio (qi) e anima (hun) partecipano di un’identica sostanza eterea e sensibile. A questo scopo, alla base del recipiente, sullo zoccolo squadrato, era sistemata una piccola campana che suonava, quando veniva usato, nel corso del pasto sacrificale.

Tavola per le offerte detta di Duanfang

Vasi, strumenti e tavola d’altare in bronzo; dimensioni della tavola: h. 18 cm, l. 89 cm, prof. 46 cm. ca. xi-ix secolo a.C., dinastie Shang e Zhou dell’Ovest. New York, Metropolitan Museum of Art (fondi Munsey, 1924). Scoperto in una tomba – o in un deposito – dei primi Zhou dell’Ovest a Baoji nel 1901, e acquistato dal viceré della regione, Duanfang (1861-1911), questo celebre insieme mostra la disposizione dei vasi da vino su un tavolo rettangolare cavo. Esso attesta la continuità dei riti di libagione tra la fine degli Shang e l’inizio degli Zhou, testimoniando anche il passaggio dallo stile classico dell’apogeo degli Shang a quelli più compositi, dei primi Zhou dell’Ovest. La maschera animalier o taotie sparisce poco a poco dalle pance dei vasi Zhou – si conserva a volte a livello delle anse o dei piedi – così come tendono a sparire anche i fondi incisi con i quali essa produceva un contrasto impressionante; spesso, d’altronde, i motivi spiccano sulle superfici nude.

Vasi tripodi ding e vasi gui In modo abbastanza teorico e a volte in contraddizione con la realtà degli scavi, i testi rituali classici notificano che, per limitarsi all’esempio dei vasi più rappresentativi dell’epoca degli Zhou dell’Ovest, i tripodi ding, riservati alle carni, e i piatti gui, ai cereali, devono essere assortiti e presentarsi in serie della stessa forma e di grandezza talvolta decrescente. Essi dovevano essere ripartiti nel modo seguente: dodici (o nove) ding e dieci (o otto) gui per il re, nove (o sette) ding e otto (o sei) gui per i signori dei territori esterni, sette (o cinque) ding e sei (o quattro) gui per i ministri e i dignitari di alto rango, cinque (o tre) ding e quattro (o due) gui per i dignitari di rango inferiore, e infine due ding e un gui per i semplici gentiluomini.

51


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Vaso tripode ding detto Keding

Bronzo; h. 56,5 cm, diam. 49 cm. Fine del x secolo a.C., dinastia degli Zhou dell’Ovest. Scoperto nel 1890 a Rencun, Famensi, Distretto di Fufeng (Shaanxi). Shanghai Museum. Largo e poco profondo, al contrario dei modelli Shang, il tripode del museo di Shanghai presenta sulla stretta fascia del collo una maschera animalier molto allungata, costituita da due draghi kui visti di profilo e che, di fatto, si scompongono in un gioco di motivi geometrici. Larghe onde regolari intercalate da elementi arrotondati, disposti simmetricamente, corrono intorno alla pancia in una ricerca di movimento molto interessante che rompe con gli schemi del decoro a sezioni imposto dall’arcaica segmentazione degli stampi. Lungi dall’essere annullata, la simmetria si fa più morbida e più sottile. L’iscrizione ricorda come il suo proprietario, un certo Ke, si sia visto affidare dal suo sovrano un’importante missione militare. Al pari del decoro, e indubbiamente ancor di più, è l’iscrizione a conferire al vaso il suo valore: il riconoscimento e l’affermazione del prestigio e della virtù.

il ricordo del rapporto privilegiato tra il re e il loro possessore e testimoniano il perpetuarsi delle virtù famigliari in termini ampiamente idealizzati. Essi esprimono la coesione sacra dell’insieme di una società nobile la cui continuità viene assicurata dalla comunione tra i morti e i vivi. Il richiamo ai valori del passato legittima il presente e schiude l’avvenire ai discendenti, come testimonia la formula finale delle iscrizioni diventata, con il tempo, uno stereotipo: «Un tale ha fatto fondere questo prezioso vaso. Possano i figli dei suoi figli e i nipoti dei suoi nipoti utilizzarlo eternamente come un tesoro inestimabile». Considerando l’evoluzione osservata in tre secoli, sembra che i decori dei bronzi abbiano avuto meno importanza delle loro iscrizioni, forme, volumi, usi e raggruppamento in servizi. Una volta venuta meno la fedeltà ai modelli Shang, si fa strada una grande varietà di stili, dai più fioriti ai più sobri. Si profila tuttavia una tendenza generale che mira a una certa semplicità non esente da monumentalità, con forme ampie e generose, più arrotondate, e decori in superficie più piatti. Tra le innovazioni dell’epoca dei primi Zhou figurano dragoni intrecciati, dai corpi ridotti in nastri, e uccelli con il ciuffo di piume o la cresta e le code completamente aperte. Il repertorio decorativo è vario: scanalature verticali ad angoli vivi, scaglie attaccate verticalmente o orizzontalmente, onde e zig-zag, trecce e volute. Mentre fanno la loro comparsa alcune forme nuove, gli Zhou riducono considerevolmente la produzione di vasi destinati alle libagioni che occupavano invece un posto di primo piano in epoca Shang. Si assiste, al contrario, a un notevole incremento, per numero e perfezionamenti, degli strumenti musicali rituali, come le campane e le pietre sonore montate a carillon. Le scoperte archeologiche hanno anche rivelato la presenza nelle tombe nobili, a partire dalla metà del ix secolo, di insiemi di vasi diversi con uno stesso decoro; ma, il più delle volte, si tratta di vasi dello stesso tipo, il cui numero variabile sembra essere in relazione con il rango e lo status del defunto in seno alla gerarchia dei culti, con l’intento di chiarire, stabilire – o ristabilire – relazioni sociali sempre più complesse. Nella loro maestosa sobrietà, essi esprimono gli ideali della nuova società nobile quale fiorirà nel periodo successivo. Prestigio politico e cultura dell’uomo al tempo delle «Primavere e Autunni» (viii-v secolo) La tradizione suddivide l’epoca degli Zhou dell’Est in «Primavere e Autunni» (770-481) e «Regni Combattenti» (481-222), con riferimento alle cronache eponime che descrivono il complesso gioco di relazioni tra i re Zhou e i signori dei principati. Il territorio reale si frammenta non appena si afferma il potere dei piccoli domini della Pianura Centrale. A fronteggiarli, alla loro periferia, si vanno ben presto costituendo dei principati che formano entità politiche, sempre più estese e sempre più potenti, e che tendono, anch’esse, a emanciparsi dalle loro tutele. A partire dal vii secolo a.C., i principi si contendono il privilegio di sostenere, a nome del re, il ruolo di egemone o di capo protettore della confederazione dei paesi cinesi, in un equilibrio diplomatico e militare sempre più instabile. Le scoperte archeologiche attestano, fin dall’epoca degli Zhou dell’Ovest, l’esistenza di alcuni Stati feudali come quelli di Guo e Ying nella valle del fiume Giallo, il settentrionale Yan vicino a Beijing, i regni di Lu e di Qi nello Shandong, quelli di Jin, nello Shanxi, e di Qin, nello Shaanxi, senza dimenticare la grande potenza meridionale del regno di Chu. Nel primo periodo degli Zhou dell’Est, il modello gerarchico della monarchia Zhou si conserva, anche se su un piano più teorico o simbolico che reale. Le tombe e il loro arredo continuano a corrispondere al prestigio, alla ricchezza e allo status dei defunti, con oscillazioni che sono il riflesso della complessità crescente delle realtà sociali. Alcuni, forti, particolarismi regionali continuano a sussistere, altri tendono ad attenuarsi grazie al moltiplicarsi delle relazioni diplomatiche, militari, commerciali e artistiche. Al contrario, il contrasto sembra emergere tra la civiltà Zhou e i modi di vita delle regioni periferiche quali le steppe del nord, la pianura della Manciuria, l’estremità orientale della penisola dello Shandong, il delta e il sud montuoso dello Changjiang e il bacino del Sichuan. È in una tensione acutissima tra le fosche realtà del tempo riportate dalle cronache – serie ininterrotte di usurpazioni, macchinazioni, assassinii, prese di ostaggi e tradimenti –,

52

53


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

Epoche delle Primavere e degli Autunni (770-481 a.C.)

I paesi cinesi all’epoca degli Zhou dell’Est Verso la fine dell’viii secolo a.C., la maggior parte delle città-stato vengono a poco a poco assorbite dagli stati più importanti i cui capi si contendono ben presto il privilegio di imporre il loro dominio sull’insieme dei paesi cinesi. Dalla fine dell’viii secolo alla fine del vii e all’inizio del vi, i duchi di vari principati si succedono così nella dignità di egemone, per servire, nel nome del re Zhou, la volontà del Cielo sulla terra cinese.

Shen

LIAONING

MONGOLIA Pechino

Città attuali Siti archeologici QIN: Principati

Tianjin

HEBEI

Province Taiyuan JIN

NINGXIA SHAANXI

Gansu

lu Qi

SHANXI Huixian

Houma ZHOU Baoji

Fengxiang Qishan

Zhenzhou

zheng

qin

Sichuan

Dangyang

Jiangsu

Chen

cai

Xinyang

Qufu Song

HENAN

Xichuan

Hubei

Chengdu

cao

Luoyang Xi’an

wu

Shouxian Huangchuan Guangshan Wuhan

Anhui

Shanghai Hangzhou Shaoxing

Jiangling

chu

(Gilles Béguin)

Shandong

yue

zhejiang Changsha

hunan guizhou jiangxi

fujian

Kunming

yunnan

guangdong

Taiwan

e l’ideale del regno della Virtù, che viene elaborata l’arte e la saggezza della Cina antica. Nel capitolo dedicato al collegio della Terra o dell’Educazione, i ritualisti dello Zhouli hanno codificato la pratica di Sei Arti (liu yi), destinate al perfezionamento morale e politico dei gentiluomini. I riti che abbracciano la totalità dell’esperienza umana disciplinano i comportamenti per rendere manifesto l’ordine gerarchico necessario al giusto accordo tra gli uomini, mentre la musica, intesa nel significato ampio di canti e danze accompagnati dal suono degli strumenti, risveglia la sensibilità per suscitare l’entusiasmo e incitare alla bontà, preludio all’unione armoniosa del gruppo. Quanto alla scrittura e all’aritmetica, esse esercitano la memoria, visiva e gestuale, e permettono di ragionare sui segni e sui simboli numerici che si riallacciano ai campi della divinazione, dell’astronomia e del calcolo del calendario, attività la cui padronanza è indispensabile all’esercizio di un buon governo. Nata verso la fine delle Primavere e degli Autunni, con Maestro Kong o Confucio (551479), la scuola dei Letterati raccoglie e rivendica l’eredità dei primi re Zhou così come quella dei sovrani perfetti delle origini. Confucio propende per il ritorno alla famosa semplicità dei costumi antichi. Egli crede che la fonte della regalità sia inscindibile dal prestigio carismatico della morale e che la virtù del re, sancita dal Mandato del Cielo, sia fonte di pace e di prosperità per il il popolo, il paese e il mondo intero. Opponendosi allo spirito di lucro, all’astuzia e all’eccesso, egli vuole imporre al suo garante, il re, e ai suoi rappresentanti, i nobili e i principi, il disinteresse e, al contempo, la generosità, l’integrità, la moderazione degli appetiti personali e il rispetto delle gerarchie naturali. Ma i suoi ideali umanistici non riscuotono un gran successo nella società del tempo. Nessun principe fa suo il modo

54

Virtù morali della giada Per il Libro dei Riti, c’è una completa corrispondenza tra le virtù morali dell’uomo perfetto e le qualità proprie della giada. Che si sia morti o vivi, indossare o possedere oggetti od ornamenti di giada significa rivendicarne, assumerne e assimilarne la bellezza e le virtù: «I saggi dell’antichità paragonavano la virtù alla giada, essa è l’immagine della bontà perché è dolce da toccare, vellutata; della giustizia perché ha degli spigoli ma non ferisce; dell’urbanità perché, appesa (alla cintola come ornamento), sembra scendere fino a terra; della musica perché, percuotendola, se ne traggono suoni limpidi, acuti, prolungati e che si spengono repentinamente; della sincerità perché il suo splendore non è offuscato dai suoi difetti, né i suoi difetti dal suo splendore; della buona fede perché le sue belle qualità interne si vedono all’esterno, da qualunque parte la si osservi; del cielo perché somiglia a un arcobaleno bianco; della terra perché se ne fanno tavolette e mezze-tavolette che gli inviati dei principi offrono da sole (senza accompagnarle con doni); della via della virtù perché ognuno l’apprezza». (Dal Libro dei Riti, Memorie sulle regole e le cerimonie, Ho Kien Fou, imprimerie de la Mission catholique, 1913, ried. Les Belles Lettre/Cathasia, 1950, 4 vol., tomo ii, parte ii, capitolo 45, pp. 357-358)

Analogia tra lavoro del lapidario e perfezionamento dell’uomo nei Dialoghi di Confucio (Lunyu) Zigong: Maestro, che dobbiamo pensare di colui che, povero, prova ripugnanza per l’adulazione e, ricco, si guarda dall’orgoglio? Il Maestro: Va già bene, ma sarebbe ancora meglio se, povero, trovasse la sua felicità nella Via e, ricco, coltivasse i riti. Zigong: Nel Libro delle Odi, è detto: «Tagliare, poi limare, Scolpire, poi lucidare!» Non è questo che volete dire? Il Maestro: Ah, caro Zigong, posso finalmente parlarti delle Odi! Ora mi basta sollevare una questione perché tu ne deduca il resto. (Lunyu, Libro i, 15, Seuil, Paris 1981, p. 32)

Per maggiore soddisfazione del maestro, Zigong, il discepolo di Confucio, cita un estratto di un poema dello Shijing che, nel suo ritratto di un nobile gentiluomo, evoca i gesti instancabilmente ripetuti dal lapidario che «taglia, lima, scolpisce e lucida». L’artigiano esalta la bellezza della pietra, le sue venature e le sue linee di forza, la finezza della sua grana, le sfumature infinite dei suoi colori e la sua purezza che riflette la luce e la lascia filtrare. Allo stesso modo, l’uomo che si vuole realizzare apprende, si disciplina, si coltiva e si corregge per far emergere in sé la vera natura concessagli dal Cielo, l’umanità perfetta (ren).

Tavoletta o ornamento circolare

Giada; h. 24 cm. x secolo a.C., dinastia degli Zhou dell’Ovest. Paris, Musée national des Arts asiatiques – Guimet. Sotto gli Zhou, gli oggetti di giada erano, a seconda del tipo e della forma, destinati a un determinato rango sociale o riservati a occasioni particolari della vita politica e rituale dei nobili, ma è spesso impossibile confrontare i reperti che ci sono pervenuti con la nomenclatura e le descrizioni fornite dai testi, quali, ad esempio, il Rituale degli Zhou. È questo il caso dell’ornamento qui presentato che ha la forma di un grande anello centrale inquadrato da due elementi rettangolari. Di colore verde con tracce di scoloritura nella parte inferiore, il pezzo presenta motivi tracciati a doppio intaglio, uno a ugnatura, l’altro verticale, che danno l’illusione di uno spiccato rilievo al suo decoro simmetrico costituito da due dragoni stilizzati che sembrano inseguirsi lungo l’anello, mentre, sullo scudo superiore, si affrontano due uccelli con il ciuffo simili alle favolose fenici.

55


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

Scene rituali incise su un vaso da vino hu

Bronzo, h. 40 cm. Fine vi-v secolo a.C. Scoperto nel 1965 a Chengdu. Chengdu, Museo provinciale dello Sichuan. Alcuni bronzi (ciotola, piatto e vaso da vino di tipo hu) presentano sulla superficie della loro pancia dei decori incisi e intarsiati che sono tra le prime raffigurazioni delle attività rituali dei nobili dell’antichità cinese, mostrati con la spada al fianco, vestiti con la tunica lunga e con un’acconciatura a chignon. All’interno di edifici tutti allo stesso livello di cui sono indicati soltanto i pilastri, alcuni aristocratici, intorno a un vaso, attingono la bevanda delle libagioni; altri suonano su campane montate a carillon, su pietre sonore e su degli alti tamburi. Queste scene narrative si accompagnano talvolta ad altri soggetti come il sacrificio umano, la guerra e la caccia, motivi legati alla vittoria dell’ordine sul caos – o della civiltà sulla «barbarie» –, ma anche tornei di arcieri, danze in maschera e gare di lancio di frecce.

56

57


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

Coppia di creature ibride

Bronzo incrostato di malachite; h. 48 cm, l. 47 cm, prof. 27 cm. Periodo delle Primavere e Autunni (770-481 a.C.). Recuperato nel 1991 dalla tomba n. 9 di Xujialing, Distretto di Xichuan (Henan). Zhengzhou, Istituto Archeologico della Provincia dello Henan. Danneggiata e saccheggiata nell’antichità, la grande tomba della necropoli di Xujialing (Henan), conteneva ancora numerosi bronzi fra i quali una coppia di creature straordinarie. Corpi di felino dalle zampe possenti e testa dragoniforme dalle ampie fauci aperte e dalla lingua pendente, esse sono come coronate da una ramatura che si innalza in volute raffiguranti altri sei dragoni in scala ridotta; sulla loro groppa, si trovano delle bestie in piedi e saltellanti che sembrano la versione ridotta e semplificata dei grandi animali. I pezzi servivano molto probabilmente da supporto a un tamburo di legno rotondo, oggi scomparso. Il ruolo profilattico e catartico del rullio del tamburo è esaltato dai suoi supporti in bronzo, potenze soprannaturali che cumulano le virtù primordiali della tigre – il coraggio marziale sulla terra – e quelle del dragone, che evidenzia il dominio sulle acque e sulle nuvole del cielo.

confuciano di governare il mondo e governarsi personalmente, e, dopo tredici anni di peregrinazioni attraverso i paesi cinesi tra il 497 e il 484, il maestro abbandona la politica per lo studio e l’insegnamento, e torna a finire i suoi giorni a Qufu, nel principato natale di Lu (Shandong). Confucio è molto attento alla corretta organizzazione e all’etichetta delle cerimonie legate alla corte e ai templi e, nei suoi Dialoghi con i discepoli (Lunyu), evoca la musica, i danzatori, i vasi di bronzo, gli abiti e le cuffie di gala, le insegne del potere e gli ornamenti rituali. Ma al tempo stesso egli si sottrae volentieri al rigorismo dei regolamenti cerimoniali e delle leggi suntuarie perché interpreta tutte le manifestazioni del rito in termini di rettitudine esteriore e di esigenza interiore. Il suo ideale di umanità si traduce nelle qualità esemplari di una pietra, la giada, il cui uso è attestato fin dalle più lontane origini della sua civiltà, dal momento che non esiste nessun valore morale che egli non situi nel cuore stesso delle realizzazioni artistiche del suo tempo: «Un uomo si desta con la lettura delle odi, si afferma nella pratica del rituale e si realizza nell’armonia della musica» (Lunyu,

58

59


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

vii, 8). Suggellando l’alleanza tra poesia, rito e musica, Confucio definì un sentimento del bello che rimanda al senso dell’armonia condivisa, fonte di tutte le espressioni estetiche della tradizione colta.

Manoscritto del Libro della Via e della Virtù (dettaglio)

Strategie ed efficienza «La guerra è il grande affare degli Stati; è il luogo in cui si decidono la vita e la morte; è la via della sopravvivenza o dell’annientamento. Non la si può trattare alla leggera». Così si apre la versione classica della celebre Arte della guerra (Sunzi bingfa), scritto teorico sulle strategie militari, i preparativi e il modo di combattere, attribuito a Sun Wu o Sun Zi, che sarebbe vissuto verso la fine del vi secolo a.C. Di sicuro sistemata in epoca più tarda, l’opera occupa un posto di primo piano nel complesso della cultura cinese, travalicando i confini della semplice letteratura militare. Essa ha permesso ad alcuni storici di caratterizzare e opporre i due periodi degli Zhou dell’Est: le Primavere e gli Autunni (770-481) rappresentano l’epoca della guerra nobile, mentre i Regni Combattenti (481-222) aprono quella della guerra totale. In base ai testi classici, la guerra, come la caccia, è un insieme di atti ritualizzati, regolamentati, fondati sulla padronanza delle arti nobili della guida dei carri e del tiro con l’arco. Limitata in termini di tempo, mezzi e scontri, essa rimanda al codice dei corretti

Stato di Qin v. 350 a.C.

Donghu

Xiongnu

Annessioni fino al 315

Lunga Muraglia de

Annessioni dal 315 al 288 Annessioni dal 288 al 249

llo Zhao

Stati cinesi ancora indipendenti nel 249 a.C. Regioni non cinesi

Daijun

(le capitali successive sono numerate)

ZHONGSHAN

ZHAO

Wei

Ji Dukang

Bohai

Lin

Jinyang 1 Qi Lishi Qi Eyu Hao Linzi Handan W e I Wei 3 u M r a glia d a el Q Lung Pingyang i Zhongmou Mt Tai 2 2 Lu Quwo Puyang Ju Qufu QIN WEI 1 Teng XIE ZHOU Monte Tan Xie Yong Ping Hua Luoyang Chenggao Daliang 2 Shangqiu SONG Pingyang Xianyang PASSO Yiyang Xinzheng 4 (Suiyang) HANGU Chen a d i l rag el Ye 4 Mu PASSO WU Juyang

Lunga

Mura

Qin

Shanggu

Yanmen

Frontiere tra gli stati Capitale del re Zhou/capitali dei differenti stati

Han

Lai

glia d

Zhao

Xiangping

YAN

e l Wé

Chu

Altre

Jimo Langya

i

Shangyong Yangzi

Shu (Chengdu)

HAN

Yanying (Ruo) 3 Danyang 1 Ying

5

Cai Sui

CHU

Shouchun 6

Muraglia di Wei

2 Paludi di Yunmengeng

Ba

Lago Tai

Wu

Guiji Pengli Lago Poyang

Lago Dongting

Yue

60

Mar Giallo

i

Wan (Nanyang)

Nanzheng (Hanzhong)

Chu

SHU

Yang z

Qin

Regni Combattenti ed espansione dei Qin Molto instabili sul piano politico, i grandi stati del periodo finale degli Zhou dell’Est sono ancora quattordici all’inizio del v secolo a.C. Un secolo dopo non ne restano che sette: Zhao, Wei e Han, nati dalla suddivisone di Jin nel 453; Yan, Qin, Qi e Chu, impegnati in guerre sempre più distruttive e sanguinose. Due piccoli regni, dei quali gli scavi archeologici hanno rivelato la ricchezza dei rispettivi principi, non figurano tra i sette annoverati dalla storia tradizionale: Zeng, al centro sud, e Zhongshan, a nord. Nel 256 a.C., il re Zhou, la cui capitale si trovava allora a Luoyang, è costretto ad abdicare sotto la minaccia del regno occidentale di Qin, che ben presto unificherà l’insieme dei paesi cinesi. (Rielaborazione dall’Atlas de la Chine, Nathan, Paris 1986, p. 71)

Inchiostro su seta juan; h. 24,2 cm. Han dell’Ovest, verso il 186 a.C. Scoperto nel 1973 nella tomba Han n. 3 di Mawangdui. Changsha, Museo provinciale dello Hunan. Alcuni manoscritti del Laozi, successivamente intitolato Libro della Via e della Virtù, sono stati scoperti in un contesto archeologico. Nel manoscritto su seta di Mawangdui, si vede che, al contrario di quel che accade nella versione canonica corrente, la parte dedicata alla virtù (de) precede quella dedicata alla Via (Dao), da cui il nuovo titolo proposto a partire da quel momento: Libro della Virtù e della Via. La versione su listelli di bambù, scoperta nel 1993 in una tomba del sito di Guodian (Hubei), è datata al 300 a.C. Secondo alcuni studiosi, essa differisce pochissimo dalle recensioni trasmesse dalla tradizione; secondo altri, invece, se ne allontana considerevolmente, in funzione delle sue compilazioni successive in seno ad ambienti diversi o a diverse scuole di saggezza. Malgrado queste notevoli differenze di valutazione da parte degli epigrafisti contemporanei, il testo è, ancora oggi, la base di tutti gli insegnamenti taoisti. Esso impressiona per la sua coerenza, la concisione e la forza evocativa per guidare sulla via di un mondo che resta per sempre misterioso e meraviglioso, accessibile solo a coloro che sanno vivere in disparte o in modo contrario rispetto al senso comune, come lo stratega del capitolo 69: … Non oso avanzare da padrone Ma piuttosto invitato Non oso avanzare di un pollice Ma piuttosto mi ritiro di un piede

Per dire Procedere senza alcuna marcia Rimboccare le maniche senza mostrare le braccia Colpire senza scontrarsi Prendere senza colpo ferire Nulla di peggio che disprezzare l’avversario Chi disprezza l’avversario perderà il suo tesoro Se si giunge allo scontro armato Colui il cui cuore si chiude vicnerà (Daodejing, cap. 69, traduzione di Claude Larre, Tao Te King, Jaca Book, Milano 1993, p. 166)

rapporti tra i paesi della confederazione Zhou che traggono da valori comuni e dall’ideale virtuoso del coraggio magnanimo tutta la forza per la loro sopravvivenza. Nell’Arte della guerra di Sun Zi l’antica aristocrazia cede il passo alle astuzie degli strateghi e alla massa di fantaccini in armi. Nel iv secolo a.C. i combattimenti sono rivoluzionati, tra le altre invenzioni, dall’uso di un’arma temibile, la balestra, che combina forze «regolari» – precisione della sua traiettoria rettilinea e formidabile forza di impatto – e forze «straordinarie» – immagazzinamento dell’energia trasmessa dalla corda e scatenamento improvviso del suo meccanismo. La combinazione tra «regolare» e «straordinario» viene così sottolineata da Sun Zi: «Sul campo di battaglia, esistono solo due modi di attacco: diretto e indiretto. Ma insieme, questi due modi producono una serie infinita di combinazioni» (Sunzi, 5.10). Tale visione si iscrive in un quadro di pensiero più generale, quello dell’efficacia messa al servizio della condotta della guerra e del governo dei regni, ma sublimata anche in efficienza in numerose discipline. Sull’esempio della diplomazia, la strategia mira a invertire a proprio vantaggio l’equilibrio delle forze a confronto, considerando il potenziale di una situazione in un continuo adattamento alle sue mutevoli configurazioni. Spinta all’estremo, l’efficacia annienta la realtà stessa del combattimento con la disfatta preliminare del nemico. Le vie dell’astuzia, della persuasione o della manipolazione, ispirano e stimolano l’arte oratoria con i suoi paradossi, i suoi sofismi, il suo linguaggio doppio o triplo, le sue litoti in cui spesso

61


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou A proposito della controversia sui funerali dispendiosi Fondatore di una scuola la cui diffusione, sotto i Regni Combattenti, supera quella della scuola di Confucio, Mo Zi (v-iv secolo) combatte con forza il ritualismo. Egli rimette in discussione le arti rituali in nome della frugalità, del lavoro e dell’economia che, soli, possono contribuire alla creazione di una nuova società fondata sul senso del mutuo soccorso e della dedizione al bene comune: «Anche coloro che vivono a lungo non possono condurre a buon fine lo sforzo richiesto dai loro studi (quelli dei letterati confuciani). Anche con tutto il vigore della giovinezza non si possono adempiere tutte le cerimonie obbligatorie. E persino coloro che hanno accumulato ricchezze non possono pagarsi il lusso della musica. Essi magnificano la bellezza di arti perverse e conducono il loro sovrano fuori dalla retta via… La loro dottrina non può far fronte ai bisogni dell’epoca, né il loro insegnamento educare il popolo». (Libro del Maestro Mo, cap. 39, Précis d’histoire de la philosophie chinoise, versione francese, Payot, Paris 1957, p. 71)

Come altri prima di lui, e anche dopo di lui, perché si tratta di un dibattito ricorrente in tutta la storia del ritualismo funerario della Cina, Mo Zi si leva contro le esequie lussuose perché mobilitano un’energia e ricchezze che ledono gravemente l’esistenza dei vivi. Gli furono però opposti argomenti diversi, basati su altri criteri di efficacia. Essi miravano a organizzare minuziosamente i funerali e ad aumentarne i costi proprio per far prosperare la società. Attribuito a Guan Zhong, ministro del duca Huan di Qi nel vii secolo, il Guanzi, trattato di politica e di economia compilato nel iv o iii secolo a.C., sancisce: … Avere vaste cripte per l’inumazione significa procurare lavoro ai poveri; avere tombe sontuose significa dar lavoro agli artigiani; avere un sarcofago interno e uno esterno significa favorire i falegnami; utilizzare parecchi teli per il lenzuolo significa favorire i tessitori. (Idem)

62

Manico di pugnale

Oro; h. 9,7 cm. vi-v secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti. Londra, British Museum. La civiltà cinese non ha mai accordato all’oro una posizione di privilegio, preferendogli, come materiali nobili, il bronzo e, soprattutto, la giada. All’epoca dei Regni Combattenti, esso fu tuttavia impiegato con una certa larghezza, specialmente nelle arti dell’intarsio. Molto elaborato, cavo e traforato, il manico di pugnale o, secondo un’altra interpretazione del pezzo, l’elsa di spada del British Museum deve tutto alla tecnica che fu senza dubbio impiegata nella sua realizzazione: la fusione a cera persa. Nell’apparente affastellamento dei suoi intrecci, il motivo principale, una creatura dragoniforme, si ripete in maniera simmetrica e molto ordinata, con delle teste che compaiono o sul dritto o sul rovescio. Esse generano, su ciascun lato, dei nastri o fasce regolari che si aggrovigliano, raffigurando gli elementi scomposti di corpi sinuosi, ornati da strie e granulazioni distribuite in modo preciso. Come le spade rituali o di gala dalle lame intarsiate d’oro, il pezzo esprime la raffinatezza della cultura del tempo, capace di trasformare un’arma in un autentico capolavoro di oreficeria.

Disco bi con un decoro di dragoni

Giada; diam. 14,8 cm, spessore 0,7 cm. vi-iv secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1983 a Mengjin, Luoyang (Henan). Luoyang Museum. Appartenente alla categoria comune dei bi, il disco di giada associa due decori: piccoli rigonfiamenti che rappresentano il motivo detto «dei grani che germogliano», destinato a un grande avvenire, e quattro dragoni stilizzati dai corpi fatti di volute a uncino, separati da quattro maschere animalier dalle stilizzazioni identiche. A essi si aggiunge un dragone arrotolato, lavorato a traforo, nel foro centrale e quattro creature dragoniformi, flessibili e eleganti, che corrono sul bordo, due con la testa girata all’indietro e le altre due con la testa rivolta in avanti, in un ritmo binario molto espressivo. Oggetto a destinazione funeraria o proprietà di un defunto ricevuto come dono diplomatico, in pegno di alleanza, di amicizia o di riconoscenza, il disco esprime, nella sua stessa bellezza, l’inestimabile valore della giada negli scambi tra gli uomini.

il gesto supplisce alla parola e raddoppia il silenzio. Cedevolezza reattiva, improvvisazione costante, trarsi indietro consentito o ritirata simulata sono tutte qualità necessarie nelle arti marziali, negli esercizi sportivi a carattere militare e nei giochi di strategia (liubo, weiqi) che trovano il loro pieno sviluppo nel periodo imperiale. Infine, l’idea dell’efficacia si avvicina alle speculazioni delle prime correnti taoiste così come si esprimono nell’opera attribuita al leggendario Lao Zi e intitolata in seguito Libro della Via e della Virtù (Daodejing). Le molteplici armoniche di questo libro, composto probabilmente nel corso del iv secolo a.C., ne fanno, al contempo, una guida di condotta personale e politica, un manuale di strategia, un trattato di concentrazione del soffio e una celebrazione dell’efficienza nel contesto di una visione cosmologica in cui l’universo e i suoi esseri, animati da forze opposte e complementari (yin/yang), nate dal soffio primordiale, sono in perpetuo divenire. Le arti, le pratiche e le discipline che ne traggono ispirazione mirano a riprodurre i ritmi della natura per un’unione armoniosa tra l’uomo e il mondo. La rivoluzione nella guerra e i mutamenti del pensiero si accompagnano a profonde trasformazioni in seno a società in lotta permanente e in preda a sconvolgimenti politici costanti. L’antico ordine aristocratico feudale, cioè l’organizzazione gerarchica dei lignaggi, si vede sostituito da strutture politiche nuove, che mirano a conciliare i titoli con le funzioni reali, e che ricercano, sul piano civile e su quello militare, così come nello sfruttamento e nella gestione delle ricchezze, le migliori competenze al servizio del principe. A questo riguardo, le riforme che Shang Yang (morto nel 338 a.C.) propone ai sovrani di Qin e che prefigurano le tesi del pensiero legista sono determinanti per la storia futura del regno e dell’intera Cina. Nell’insieme dei paesi cinesi, la resa dell’agricoltura aumenta grazie ad accorte riforme in materia di dissodamento e irrigazione, e a invenzioni come quella dell’aratro, unite ai progressi tecnici nel campo della metallurgia. Crescono le popolazioni in grado di pagare le imposte e di assicurare le corvée. Le capitali, che concentrano questi nuovi poteri e in cui si sviluppa una prima economia monetaria, sono inoltre poli attivi di commercio e

63


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

culture rappresentano centri propulsori di scambi prosperi e complessi tra la Cina della Grande Pianura, il mondo delle steppe e l’Asia centrale. In misura variabile, esse attestano il mutamento profondo del modo di vita di numerose popolazioni del continente euroasiatico, nei primi secoli del i millennio a.C.: la comparsa e l’espansione continua del grande nomadismo a cavallo. Sull’immenso territorio delle steppe, le culture dei nomadi sciti e saci (o saka) – nomi dati ai loro principali rappresentanti dagli storici greci e persiani – si caratterizzano, tra l’viii e il iii secolo a.C. per tratti comuni in materia di usanze funerarie, di armamento e di arte ornamentale. Al servizio di un’aristocrazia guerriera, l’arte delle steppe si rivela volontariamente ostentatoria, con un gusto spiccato per i metalli preziosi come l’oro. Il motivo principale delle armi e delle insegne, delle placche da cintura e dei

Piccolo vaso ding con coperchio

Bronzo intarsiato d’oro e d’argento; h. totale 11,5 cm, diam. della pancia 13,5 cm. vi-iv sec. a.C. periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1981 presso il sito di Xigong, il «Palazzo dell’ovest» di Luoyang (Henan). Luoyang Museum. Scoperto nel sito della capitale degli Zhou dell’Est, Luoyang, il vaso ding, fornito di coperchio, ha due anse rialzate e un piccolo becco versatore aggiunti a una pancia rigonfia che si regge su tre piedi. Il decoro geometrico lineare e fluido si arricchisce di un motivo principale che sembra un fiore a quattro petali. Ritagliate con grande precisione prima della loro applicazione, le foglie d’oro e d’argento non recano traccia di martellatura in un procedimento che mira a ottenere una superficie perfettamente liscia per catturare la luce e le sue vibrazioni, accrescere l’effetto di ricchezza e rivaleggiare così con lo splendore delle lacche e i riflessi cangianti dei tessuti di seta.

Principali siti archeologici dei Regni Combattenti

Pazyryk

M

o

n t i

A

Saka (cultura nomade)

Alagou

Le recenti scoperte archeologiche hanno rivelato l’esistenza di numerose culture del metallo, bronzo, ferro e oro, sparse su vasti territori che si stendono dall’antica Manciuria fino a est, (Heilongjiang, Liaoning e Jilin), dalla Mongolia Interna al Ningxia, nella grande ansa detta degli Ordos descritta dal fiume Giallo, e, infine, dal Gansu fino allo Xinjiang a ovest. Ai margini delle praterie degli alti territori boscosi, delle steppe e dei deserti, queste

64

Beijing (Pechino)

Dunhuang

Deserto di Ta k l a m a k a n

Qilian S

(cult

Yan

Deserto Ordos

han

g Q i a no m a d e ) n a ur

Wenxian

Wei

(tavolette di contratti)

Xianyang Qin

Altipiano del Tibet H

Mar del Giappone

(necropoli, bronzi dell’Ordos)

(necropoli, lavorazione del bronzo)

B a c i n o d e l Ta r i m

Mondo cinese e Asia delle steppe

a l l d e

i a a i u r n c a P i a n M

GOBI d e Shanbiaozheng noma (necropoli Wei) a r u Cult Maoqingguo

ürümqi

Tian Shan

Tombe del re di Zhongshan

l t a i

Xinyuan

artigianato. In seno alle corti principesche e alle grandi famiglie dell’aristocrazia militare, le arti esprimono la prosperità dei regni e permettono ai potenti di manifestare il loro prestigio sia di fronte ai rivali che agli alleati. La rivalità o l’emulazione che viene messa in atto e che governa tutti i campi dell’esistenza, materiale e spirituale, valorizza l’uso di certi materiali preziosi come l’oro, l’argento e soprattutto la giada. La ricchezza economica tende a eclissare la ricchezza rituale, da cui un certo declino delle forme del culto ancestrale del tempo dei primi re Zhou e l’espressione di nuove concezioni della morte e dell’aldilà. L’ordine sociale e rituale nuovo si traduce in innovazioni in materia di sistemazione delle tombe, in una tensione vivissima tra i sostenitori delle sepolture dispendiose, a imitazione del lusso delle residenze principesche, e i loro avversari. L’arredo si trasforma. A partire dal vi e soprattutto dal v secolo, compaiono nelle tombe nobili, accanto agli oggetti usuali del defunto (shengqi) e ai pezzi riservati ai culti (jiqi), degli oggetti funerari specifici, nuovi emblemi di prestigio e di rango, chiamati generalmente mingqi. Si tratta di statuette e di modelli ridotti di oggetti comuni, realizzati con materiali semplici e poco costosi, spesso prodotti in serie; volutamente di scarsa qualità, perlomeno in teoria, questi sostituti non sono adatti all’uso che si ritiene se ne faccia nel mondo reale; essi sono destinati a un lungo futuro al servizio dei defunti.

Pingshan

(kourganes)

Chang’an

Pyongyang

Bo Hai

Mar Giallo

Qi

Houma

(necropoli reale Jin, centro di produzione del bronzo

Zhao Lu

Chengzhou Luoyang Han Xi’an Sanmenxia Chu

Corea

Xu Wu

(necropoli Guo)

Shanghai

Leigudun

i m

a l a y a

Chengdu Shu

Jijiahu

(necropoli Chu) Chu

(tomba di Zeng Hou Yi)

Yue

Mar della Cina orientale

Changsha

Ba

Kunming

Taiwan

Nanyue Guangzhou (Canton)

Saka

cultura nomade Fortificazioni (Grande Muraglia) Sito archeologico maggiore Importante tomba reale/aristocratica

Hainan

Mar della Cina meridionale

Antica capitale/centro politico Città moderna

65


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Statua di un guerriero

Bronzo, h. 40 cm. ca. v secolo a.C. Scoperta nel 1981/1983 nel distretto di Xinyuan (R.A. Uiguri dello Xinjiang). Urumqi, Museo della R.A. Uiguri dello Xinjiang. Scoperta insieme ad altri bronzi a Xinyuan, non lontano da Yining, nell’alta valle dell’Ili, questa statuetta, di fattura molto curata e raffigurante un guerriero dai tratti europoidi costituisce una rara testimonianza delle culture Saka – o scite – dello Xinjiang. A torso nudo e con le reni cinte da un corto gonnellino, l’uomo indossa un alto berretto a punta la cui estremità si incurva a uncino; con un ginocchio a terra, egli teneva senza dubbio in mano delle armi (spada o pugnale) oggi scomparse. Come le altre scoperte della ricca necropoli di Alagou, nella regione mineraria dei Nanshan, vicino a Urumqui, dove furono portati alla luce oggetti di metallo (oro, bronzo, argento e ferro) ma anche tessuti di seta e lacche, la statua testimonia gli stretti legami esistenti, fin dall’epoca dei Regni Combattenti, tra la Cina, l’Asia centrale occidentale e il mondo dei pastori nomadi.

Placca ornamentale

Argento; h. 4,75 cm, l. 10,4 cm. Metà del iv-iii secolo a.C., fine del periodo dei Regni Combattenti. Scoperta nel 1984 a Shihuigou, bandiera di Yijinhuoluo (Ejin Horo) (R.A. della Mongolia Interna). Ib Ju, Museo dell’Ordos. Situata nella regione desertica dell’Ordos, là dove il fiume Giallo forma, nel suo corso medio, un grande anello, la tomba di Shihuigou conteneva ornamenti che appartengono allo stile corrente dell’arte animalier, sobrio ed espressivo. Nel suo grafismo epurato, il suo senso del volume sottolineato da curve e la perfezione della sua levigatezza, la placca rappresenta una belva dalla testa possente e le fauci spalancate, pronta a divorare un cervo. Prodotto localmente secondo tecniche cinesi o realizzato in Cina nel gusto «barbaro» e destinato ai nomadi, l’arredo funerario conferma lo stadio avanzato delle relazioni commerciali e artistiche tra la pianura centrale e le regioni della steppa mongola, prima della fondazione dell’impero.

66

Campo funerario del re Cuo (morto verso il 310 a.C) di Zhongshan (ricostruzione) Scoperta nella tomba del re, una placca di bronzo, di notevoli proporzioni (94 x 48 cm) e intitolata Zhaoyu tu o «Mappa dell’area del mausoleo» presenta, con incrostazioni in oro, la veduta d’insieme del sito funerario, pensato, forse, a immagine del dominio reale. Essa ha permesso la ricostruzione qui presentata. Oltre alla menzione dei nomi dei personaggi ai quali erano destinati gli edifici sovrastanti le tombe (il re, le sue spose e le sue concubine), la placca indicava anche le distanze tra gli edifici, le loro dimensioni, quelle dei due muri di cinta, delle porte sulla facciata e dei piccoli padiglioni situati sul retro. Si tratta della più antica pianta di un sito eseguita in scala conosciuta in Cina, i cui scavi hanno confermato una parte della realizzazione in quanto il complesso è rimasto in realtà incompiuto. L’iscrizione segnala anche l’esistenza di un’altra placca, un doppione, conservata nel palazzo e che imponeva alle generazioni future, pena la morte, di riprodurre il progetto concepito. La presenza sopra le tombe reali di tumuli artificiali (o lo sfruttamento di piccoli poggi naturali) si spiega, secondo alcuni studiosi, con l’influenza dei kurganes del mondo delle steppe sulle pratiche funerarie cinesi.

fermagli da mantello e degli elementi dei finimenti dei cavalli, è l’animale, sia esso reale, composito o immaginario. Lo stile detto «animalier» coniuga, con una grande audacia di disegno e un ritmo potente, gli elementi naturalistici e le ornamentazioni stilizzate per fonderli in unità espressive. I suoi principi formali – corpi arrotolati, allungati, distesi, animati da torsione, o da inversione delle membra per i quadrupedi – si accompagnano spesso a metamorfosi quando un elemento anatomico di un animale si trasforma in quello di un’altra specie, producendo composizioni stupefacenti sempre perfettamente adattate alle forme degli oggetti. Essenzialmente attacchi, combattimenti o strette violente, esse mostrano il più delle volte la belva (o il rapace) e la sua preda per esprimere contemporaneamente la forza del dominio e quella della sottomissione con l’intento di magnificare, riverire e far propria la potenza della natura, fonte di ogni vitalità.

67


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Basamento di pannello, tigre che divora un cerbiatto

Bronzo intarsiato d’oro e d’argento; h. 21,9 cm, l. 51 cm, peso 26,65 kg. iv-iii secolo a. C., fine del periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1977 nella tomba reale n. 1 di Zhongshan a Pingshan (Hebei). Shijiazhuang, Museo provinciale dello Hebei. I bronzi zoomorfi della tomba del re Cuo uniscono le tecniche cinesi della fusione e dell’intarsio a un’ispirazione aperta agli echi dell’arte del mondo nomade. Formato da un rinoceronte, un bufalo e una tigre, l’insieme doveva costituire i supporti di uno pannello o di un paravento. Di gran lunga la più realistica nel trattamento, la tigre costituisce la parte centrale del pezzo con degli attacchi in cui erano conficcati frammenti di legno che servivano a fissarla. Colto nel suo spostamento, il felino alza una delle zampe posteriori mentre, dalla stessa parte, trattiene sotto i suoi artigli, e nelle sue fauci, il corpo di un giovane cervide. Privilegiando i giochi di luce e di linee, gli intarsi d’oro e d’argento accentuano i volumi delle due bestie, unite in uno stesso movimento circolare per significare l’istante supremo di una lotta in cui sono indissociabili la potenza sovrana del felino e la debolezza estrema della preda.

Personaggio fotoforo

Quest’arte interessa sia i Saka del nord dello Xingjang che gli Scito-Siberiani dell’Altai. Pazyryk, un’alta valle del nord-est del massiccio dell’Altai, nella Siberia meridionale, ne mostra gli esempi più belli. Lo scavo delle tombe (o kurganes) di capotribù di allevatori, datate al iv e iii secolo a.C., ha permesso di scoprire l’insieme di un arredo funerario perfettamente conservato grazie alle condizioni climatiche estreme della regione, il «ghiaccio eterno». Pezzi importati dalla Cina centrale, tessuti di seta ricamati, frammenti di lacca e di specchi di bronzo dimostrano l’importanza delle relazioni tra la cultura cinese e quella dell’Altai, che aveva rapporti anche con la Persia achemenide, l’Asia centrale e l’Oceano Indiano. Nel quadro dei vasti scambi tra l’Estremo Oriente e l’Occidente, l’Altai era palesemente un punto d’incontro di grande importanza che iscrive il mondo cinese nella storia delle arti e delle civiltà dell’Eurasia, molto prima dell’apertura, intorno alla nostra era, delle famose vie della Seta, un tracciato delle quali doveva d’altronde passare a sud di questa regione. In linea di massima, durante i secoli che precedono l’unificazione dell’impero, i rapporti, o piuttosto le interazioni tra le culture nomadi e quelle sedentarie sono dinamici e governati dall’opposizione e dalla complementarietà. Le reazioni cinesi alle pressioni nomadi si traducono sia nella costruzione di muraglie alle frontiere dei regni che nell’adozione del loro equipaggiamento e delle loro tecniche di combattimento come la padronanza del cavallo impiegato in guerra. Quanto agli scambi, essi si manifestano attraverso la produzione negli atelier cinesi, come quelli di Houma (Shaanxi), sede delle grandi fonderie del regno

68

Bronzo, argento, lacca e giaietto; h. 66,4 cm. iv secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1976 nella tomba n. 6 di Zhongshan a Pingshan (Hebei). Shijiazhuang, Istituto di archeologia e Ufficio dei Beni culturali dello Hebei. Scoperta nella tomba del duca Cheng (377-328 a.C.), predecessore del re Cuo a capo del principato di Zhongshan, la lampada si trovava in uno dei ripostigli delle camere funerarie. È costituita da un personaggio in piedi su uno zoccolo quadrato; con le braccia allargate, questo tiene saldamente in mano delle teste di serpenti, sostegni delle coppelle della lampada. La sua lunga tunica di corte dalle ampie maniche, svasata in basso, si accompagna a una cuffia molto curata. Realizzato in argento, il volto risplende di una luce particolare, con degli occhi di giaietto in cui si percepisce, riflessa anche da un lieve sorriso, la sincerità del cuore e la finezza dell’intelligenza. Se dovessimo rappresentarci l’archetipo dell’uomo nobile (junzi) dei saggi Letterati dell’antichità, non c’è dubbio che verrebbe in mente questo volto. Non sappiamo se la lampada fosse di uso comune o se, invece, fosse concepita per un uso strettamente funerario, per fornire al defunto la luce e il chiarore della vita.

69


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

di Jin, o della città-capitale del regno settentrionale di Yan, di oggetti di lusso in bronzo e in oro destinati all’aristocrazia nomade e diffusi, a partire dal vi secolo a.C., nelle culture del Nord e del Nord-Ovest. Le tombe reali di Zhongstan attestano felicemente questi primi scambi e dimostrano come l’arte delle steppe abbia potuto rappresentare un’innegabile fonte di vitalità per l’arte di corte cinese, notevole, di rimando, per la sua capacità di cinesizzarla. Fondato verso il 530 a.C. dai discendenti di un popolo di montanari, e situato sui versanti dei monti Taihang (Hebei), il regno esce dall’ombra della storia a partire dagli periodo intorno agli anni settanta, con la scoperta e lo scavo della sua capitale Lingshou e, soprattutto, con il dissotterramento delle tombe reali di due complessi architettonici cinti da mura, uno situato all’interno della città, il secondo al di fuori. Prospero per due secoli, Zhongshan non sfugge alla sorte comune a tutti i piccoli principati cinesi del tempo. Dopo aver subito gli attacchi ripetuti dei suoi potenti vicini, esso viene annesso, tra il 406 e il 378, dallo Wei, uno dei tre Stati nati dalla divisione del potente Jin; recupera la sua indipendenza – il re Cuo partecipa alla guerra contro Yan nel 312 – per vedersi poi conquistato da Zhao nel 296, ed essere infine assorbito nel vasto impero che Qin creerà nel 221 a.C. I notevoli pezzi dell’arredo funerario dei re di Zhongshan illustrano la combinazione tra l’esuberanza dell’arte animalier e il raffinato linguaggio lineare cinese, e si radicano nella diversità e nella ricchezza delle arti dei Regni Combattenti, espressioni di un’immaginazione creativa messa al servizio dell’efficacia funzionale e dell’efficienza simbolica.

Il regno di Chu e le premesse del Taoismo Testimoni dei mutamenti del tempo, le arti dei Regni Combattenti si accompagnano, come praticamente avviene in tutte le fasi delle arti cinesi, a una perfetta padronanza delle tecnologie: fusione del bronzo e lavorazione dei metalli, oro e argento, taglio della giada, della pietra e del corno, ceramica e oggetti di vimini, lavorazione e assemblaggio del legno, produzione di lacche e tessuti di seta. Una tomba in particolare, rispetto a tutte le altre, rende conto delle creazioni e dei rinnovamenti nelle tecniche, nelle forme, nei decori e nell’ispirazione. Si tratta della tomba di Zeng Hou Yi, oggetto di uno scavo esemplare nel 1978, a Leigudun, nel distretto di Suizhou (Hubei). Oltre alla struttura intatta delle sue camere funerarie che evocano le diverse stanze di un’abitazione nobile, imperniata attorno alla sala delle cerimonie, essa conteneva un arredo eccezionale, di parecchie migliaia di pezzi, in eccellente stato di conservazione. Alla morte di Zeng Hou Yi, verso il 433 a.C., il piccolo territorio di Zeng era indipendente ma rientrava nella sfera culturale d’influenza del potente regno di Chu, nel quale era incluso e che dominava, tra vi e v secolo, nella sua vastissima area di espansione, la pianura del medio e basso Changjiang e il bacino della Huai, cioè le attuali province dello Hubei, dello Hunan, dell’Anhui e il sud dello Henan. Un secolo di ricerca archeologica, grazie alle migliaia di tombe portate alla luce, ha dimostrato che la «cultura di Chu» non si limitava a un popolo, a un territorio o alle mutevoli frontiere di un regno, ma che, al contrario, la sua influenza artistica e religiosa si era esercitata, anche se in misura diversa, sull’insieme dei paesi cinesi. La tomba racchiudeva numerosi strumenti musicali che restano, ad oggi, la fonte principale per la conoscenza delle pratiche musicali delle corti principesche. Oltre a un eccezionale carillon di 65 campane disposte su un supporto di legno laccato e a un litofono di 32 pietre sonore, pronti a essere utilizzati, la camera principale conteneva numerosi strumenti che il Libro delle Odi associa ai riti ufficiali (cetre, organi a bocca, flauti e tamburi di diversi tipi). Altri strumenti (grandi e piccole cetre, organi a bocca e tamburini), collocati in una camera annessa, evocano concerti riservati, sembra, agli svaghi privati. In materia di produzione di bronzo, la fusione a cera persa si generalizza e, insieme a quella a stampo, permette di realizzare vasi che sono autentiche prodezze tecnologiche. Parallelamente, si nota il ritorno ad antichissime tecniche di intarsio con materiali preziosi, oro e argento, rame, malachite e turchese. La ricchezza e lo splendore si manifestano anche nelle produzioni in oro e

70

Abito (dettaglio)

Tessuto di seta di tipo juan; dimensioni del motivo ricamato 57 x 49 cm. iv-iii secolo a.C., fine del periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1982 nella tomba Chu n. 1 di Mashan a Jiangling (Hubei). Jingzhou Museum. Salvo che per qualche dettaglio, i tessuti di seta che rivestono e avvolgono il corpo e il sarcofago della defunta della tomba di Mashan corrispondono alle prescrizioni dei testi rituali ordinate per «le cerimonie che seguono la morte di un ufficiale (shi)». La finezza cromatica dei fili di seta del ricamo a punto catenella semplice, come pure la struttura del tessuto di seta del fondo, attestano la qualità più importante dell’arte cinese della seta: la captazione della luce nei suoi aspetti cangianti. Il decoro dell’uccello favoloso a tre teste sembra rafforzare la capacità di animazione di un materiale al contempo liscio e morbido, soffice e leggero, ma sempre in tensione.

71


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou

Creatura composita o zhenmushou

Legno laccato dipinto e palchi di cervo; h. 52 cm (senza i palchi). v secolo a.C., metà del periodo dei Regni Combattenti. Scoperta nella tomba n. 18 di Yutaishan, Jiangling (Hubei). Jiangling Museum. Più di duecento figure composite risalenti alla fine del v o del iv secolo a.C. furono scoperte nelle tombe della regione di Jiangling, intorno al sito dell’antica capitale del regno di Chu, Ying. Rappresentativa della cultura funeraria di Chu e posta in genere dal lato della testa del sarcofago, rivolta verso il defunto, la creatura favolosa viene abitualmente chiamata zhenmushou o «animale che protegge la tomba»; essa si presenta sotto forma di uno zoccolo di legno quadrato da cui emerge un duplice corpo a due teste, con fauci spalancate e lingue pendenti; autentici palchi di cervo sormontano l’insieme. Il suo carattere protettivo o difensivo si arricchisce del potere di rinnovamento e di accrescimento costante simboleggiato dai palchi del cervo, per esprimere la forza della vita che continua e sempre reinizia dopo – o nella – morte.

Uccello favoloso

Bronzo con intarsi d’oro e di turchese; h. totale 143,5 cm, l. 41,4 cm. v secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1978 nella tomba di Zeng Hou Yi a Leigudun, Suizhou (Hubei). Wuhan, Museo provinciale dello Hubei. Il grande trampoliere, dalle ali corte e dalla testa sormontata da elementi arrotondati che simulano la forma di un palco di cervo, era posto nella camera a est, proprio a fianco del doppio sarcofago. «Realizzato per l’uso eterno (del defunto)», secondo quanto dice la sua iscrizione, il pezzo potrebbe essere stato destinato alla protezione del suo corpo, così come le effigi dipinte sul sarcofago interno, ma anche al trasporto delle sue anime verso le regioni eteree del mondo. A meno che non si tratti della trasposizione in bronzo di un sostegno di tamburo di legno; il tamburo che, come il tuono, rimbomba tra cielo e terra costituisce un elemento essenziale della musica degli sciamani per invocare le potenze naturali.

72

73


L’arte cinese

La Cina antica degli Zou Ornamento in sedici sezioni

Giada; lung. 48 cm, larg. 8,3 cm. v secolo a. C., periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1978 nella tomba di Zeng Hou Yi a Leigudun, Shuizhou (Hubei). Wuhan, Museo provinciale dello Hubei. Questo pezzo di giada sottile e lungo era sistemato vicino alla testa del defunto e sembra appartenere a un elemento di ornamento per la testa o per la cuffia. Esso dimostra il carattere protettivo della giada in ambito funerario, tramite il deposito di parure personali che sono forse appartenute al defunto quando era vivo. Le parti traforate, articolate e ornate in superficie con il motivo dei «grani che germogliano», gli conferiscono un valore eccezionale pari a quello degli oggetti contemporanei in oro. Come altri metalli e minerali, l’oro e la giada sono all’epoca percepiti come la materializzazione dei vapori esalati dalla terra, e a questo titolo rappresentano una specie di «concretizzazione» o una «concrezione» dei principi vitali, da cui la loro perpetua importanza nelle arti e nei costumi funerari.

Lo spirito dell’arte secondo Zhuang Zi (iv secolo a.C.): «Il falegname Ts’ing scolpì un sostegno per campane di tale bellezza che tutti si estasiavano, esclamando che l’opera sembrava uscita dalle mani degli dèi. Il duca di Lou, vedendolo, non poté fare a meno di chiedere all’artigiano come aveva fatto a creare quella meraviglia; disponeva forse di un’arte particolare? ‘Oh, un’arte, è dire troppo – fece l’artigiano –. Tuttavia ho una tecnica. Quando mi appresto a fabbricare un sostegno, bado a chenulla possa intaccare le mie energie; cerco quindi di conquistare la serenità del cuore con il digiuno. Dopo tre giorni di ascesi, ogni idea di ricompensa o di gratificazione scompare; in capo a cinque giorni, non penso più alla critica o alla lode che la mia abilità potrebbe valermi; passati sette giorni, dimentico di avere un corpo e delle membra. Da quel momento, la corte di vostra Maestà non esiste più per me. Sono così profondamente assorbito dalla mia arte che ogni considerazione esterna che potrebbe turbarmi è sparita. Mi reco nella foresta per esaminare il materiale grezzo. Quando mi trovo di fronte la forma ideale, il sostegno mi appare. Posso allora mettermi al lavoro. Altrimenti preferisco rinunciare. Bado a che ci sia perfetto accordo tra la mia natura e quella del legno. Questa è senza dubbio la ragione per cui il mio sostegno di campana non sembra essere opera di un mortale’». (Dallo Zhuang Zi, cap. p. 157)

74

xix,

Paris 2006,

Carillon di sessantacinque campane

Bronzo e legno; h. totale 2,73 m, l. 7,48 m, prof. 3,35 m, peso 2500 kg. v secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti.

Scoperto nel 1978 nella tomba di Zeng Hou Yi a Leigudun, Suizhou (Hubei). Wuhan, Museo provinciale dello Hubei.

Il carillon, composto da sessantacinque campane di bronzo montate su sostegni di legno dipinti e laccati è, a tutt’oggi, la più impressionante testimonianza della musica cinese antica. È stato scoperto, pronto per essere utilizzato, nella camera centrale della tomba insieme ad altri strumenti musicali destinati alle celebrazioni rituali.

75


L’arte cinese

giada, con un’interazione e una dinamizzazione senza precedenti delle tecniche, le une in rapporto alle altre. Spesso, mossi da una spiccata propensione per il trompe-l’oeil e con un impeccabile virtuosismo, gli artigiani utilizzano un materiale per riprodurre l’aspetto o la consistenza di un altro, in modo da scambiarne o moltiplicarne le qualità visive e tattili. Proprio come la sericoltura e la tessitura della seta, l’arte della lacca testimonia la capacità di sovrintendere a filiere di produzione lunghe e complesse, con la gestione di piantagioni di alberi la cui linfa fornisce la lacca (rhus vernicifera) – o le foglie, cibo per i bachi da seta (morus alba) – così come di laboratori in cui operano artigiani altamente specializzati. Uno stesso senso della captazione della luce e una stessa paletta cromatica, dominata dal nero e dal cinabro, forniscono al Chu lacche e tessuti di seta. Splendidi esempi sono venuti alla luce nel 1982 nella tomba di Mashan a Jiangling (Hubei), con tessuti di seta a tinta unita (juan) o policromi operati (jin) con motivi geometrici o simmetrici, e veli di seta dall’armatura complessa (di tipo luo) ricamati con raffinati decori. Le arti sono al servizio dei vivi e dei morti senza che sia facile operare una netta distinzione negli arredi funerari tra i mingqi, oggetti rituali, e quelli di uso corrente, specchi, effetti od ornamenti personali, pezzi di mobilio, pannelli, tavoli, lampade e vasellame. Una stessa ispirazione lega un bestiario naturalistico, composto da cervidi, uccelli, tigri e serpenti, a creature ibride o nate da metamorfosi zoomorfe. Incisi e dipinti su legni laccati, ricamati o tessuti, questi esseri fantastici rappresentano custodi di sepolcri, suonatori di tamburo o di carillon, danzatori o eroi della mitologia. Essi evocano le figure enigmatiche disegnate su un celebre manoscritto di seta, detto «Manoscritto di Chu», documento coevo a vocazione calendariale e astronomica, scoperto intorno al 1930 in una tomba di Changsha (Hunan). Riecheggiano le visioni del Libro dei monti e dei mari (Shanhai jing), autentica geografia del leggendario e del mito della Cina antica che raccoglie racconti i cui protagonisti sono gli esseri viventi nell’universo, dalle montagne e dalle sacre distese d’acqua del centro della Terra fino ai Quattro Mari che li circondano e agli spazi infiniti dei confini. Alcuni personaggi, ispirati o iniziati, hanno accesso a questi spazi: le loro anime viaggiano nei mondi soprannaturali e invisibili, al di là del tempo e dello spazio; essi invocano le potenze del Cielo, della Terra e del mondo naturale e ne assimilano le virtù e i poteri. Chiamati wu, tradotto spesso con «sciamano», questi uomini e queste donne si presentano come mediatori tra gli uomini e gli dei. Il loro importante ruolo nella vita religiosa dei Regni Combattenti ha ispirato una letteratura elegiaca straordinaria per potenza evocativa e bellezza formale; la ricchezza delle immagini, il vocabolario lussureggiante e l’armonia dei suoi ritmi non hanno altri eguali che quelli delle arti del suo tempo. Alcuni poemi come i Nove Canti sono registrati in una raccolta intitolata tardivamente Elegie di Chu (Chuci). Molto rimaneggiato e attribuito a Qu Yuan (morto nel 278 a.C.), appartenente a una delle più antiche famiglie aristocratiche di Chu, il Chuci raggruppa opere ferventi e visionarie in cui la più eterea ispirazione religiosa riecheggia l’opera speculativa e mistica del maestro taoista Zhuang Zi (iv secolo a.C.), la cui influenza sugli sviluppi ulteriori delle Belle Arti della Cina, la calligrafia e la pittura, è determinante.

76

La Cina antica degli Zou

Vaso dou

Legno laccato; h. 24,3 cm. v secolo a.C., periodo dei Regni Combattenti. Scoperto nel 1978 nella tomba di Zeng Hou Yi, Leigudun, Suizhou (Hubei). Wuhan, Museo provinciale dello Hubei. Questo vaso di lacca dipinto fa parte di un insieme di vasellame destinato all’uso personale del defunto nell’aldilà, come attesta la sua presenza nella camera funeraria. È stato realizzato in due parti, ciascuna ricavata da un solo blocco di legno, con un coperchio e un corpo dalle anse molto lavorate. Queste, come i vasi di bronzo fusi a cera persa scoperti nella tomba, esprimono il gusto per un decoro che si vuole «stravagante», i cui intrecci complessi, sia sul piano grafico che su quello plastico, sembrano nati dalla trasformazione continua degli antichi motivi animalier. Assicurando solidità e protezione agli oggetti di cui esalta la bellezza con la sua brillantezza e i suoi motivi dipinti di nero e cinabro, colori che evocano il cupo yin e lo yang splendente, la lacca possiede proprietà sorprendenti e in apparenza paradossali, come, per esempio, il suo essiccamento in atmosfera umida; tutte qualità che la apparentano alle sostanze protettive e ai principi quintessenziali degli elisir di Lunga Vita nelle pratiche taoiste, allora nascenti.

77


Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.)

Capitolo terzo

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) La fondazione dell’impero L’unità del paese cinese si realizza quando il principe di Qin, avendo la meglio sui suoi rivali, mette fine al frazionamento dei principati. L’idea di uno Stato centralizzato, in germe da due secoli e mezzo, si afferma con la fondazione imperiale. Il periodo che si apre vede l’avvento al trono del Primo Imperatore (r. 247-210) al quale succede, per quattro secoli (206 a.C.-220 d.C.), la dinastia Han. È l’età classica della Cina, che perpetua e rivaluta l’eredità dell’antichità pur elaborando istituzioni il cui peso si farà sentire per due millenni. Creato nel 221 a.C., l’impero coprirà, fino al 1911, realtà territoriali e politiche, economiche e culturali molto diverse; esso va in frantumi, si divide e si ricompone. Si succedono al potere numerose casate dinastiche, cinesi e straniere, ma tutte incentrano le forme della cultura ufficiale, dall’architettura alle arti suntuarie, sulla maestà imperiale concepita e formulata al tempo del Primo Imperatore e dei Grandi Han. Seguendo l’asse strategico ed economico della valle dello Wei e dei suoi affluenti, per cinque secoli i signori di Qin hanno stabilito le loro capitali successive e i loro templi dinastici sempre più a est, in direzione del fiume Giallo e della Grande Pianura del Nord. Nel 350 a.C., il duca Xiao si stabilisce a Xianyang (Shaanxi), sulla riva nord dello Wei, e attua le prime riforme legiste di Shang Yang (390-338 a.C.), che mirano «ad arricchire lo Stato e a rafforzare gli eserciti». I contadini vengono sottoposti alla coscrizione, al pagamento

Mattone cavo inciso con motivo di dragone

l. 44,6 cm, h. 36 cm, spessore 16 cm. iii secolo a.C., dinastia Qin. Scoperto nel 1949 a Xianyang, scavo dell’Antico Palazzo detto «n. 1». Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. Conosciuti soltanto grazie alle testimonianze della storia di Sima Qian che evoca sia il loro splendore che la loro distruzione a causa di un incendio, dopo la morte del Primo Imperatore, i palazzi di Xianyang non hanno consegnato che scarse vestigia (fondazioni e ali di muri) e qualche materiale da costruzione (frammenti di gesso ornati da pitture, lastre, elementi di canalizzazione, mattoni cavi, tegole o ghiere di tegole). Notevole per il modo in cui viene trattata, la bestia favolosa, dalle sembianze di dragone, mostra un corpo serpentiforme dalle corte zampe provviste di enormi artigli che si arrotola in un movimento morbido e potente per terminare con una testa cornuta dall’occhio rotondo, profondamente inciso. Secondo alcuni studiosi, la sua presenza sul mattone cavo del palazzo sottolinea il rapporto tra la maestà imperiale e l’animale mitico, simbolo del potere senza spartizioni tra Cielo, Terra e Acque.

Insegna di legittimazione a forma di tigre (hufu)

Bronzo intarsiato d’oro recante un’iscrizione; h. 4,9 cm, l. ca. 12 cm. iii secolo a.C., dinastia Qin. Scoperta nel 1973 alla periferia sud di Xi’an. Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. Per garantire la sicurezza e l’autenticità della trasmissione degli ordini del sovrano, gli strateghi del Primo Imperatore hanno messo a punto un nuovo strumento di controllo. Chiamato hufu, «contropartita a forma di tigre», l’oggetto, simbolo di autorità, è composto da due parti identiche, una destinata all’ufficiale incaricato del comando delle truppe, l’altra a uso del monarca; esso reca delle iscrizioni incise in oro che esplicitano i termini della missione, mobilitazione o attacco, che l’ufficiale deve compiere una volta ricevuta la metà che viene dal sovrano.

Stele del Monte Yishan

Estampage; h. tra 187 e 218 cm, l. 83/84 cm. Testo del iii secolo a.C. da una stele reincisa nel 993 sotto i Song del Nord (960-1127) da Zheng Wenbao. Xi’an, Museo della Foresta delle Steli. Antesignana delle migliaia di steli di pietra erette nel corso delle dinastie imperiali, la più antica delle pietre a gloria del Primo Imperatore è detta del Monte Yishan (Shandong). Comprende in totale 144 caratteri ed è costituita, di fatto, da due testi incisi in occasione dell’ascensione compiuta dal sovrano sul monte nel -219, imitata, dieci anni dopo, dal figlio, suo effimero succes-

78

sore. La sua calligrafia, in una scrittura standardizzata detta della «piccola sigillaria», viene attribuita al primo ministro Li Si in persona. Indipendentemente dal numero dei tratti, i caratteri di scrittura sono disposti all’interno di rettangoli in altezza; si allungano o si comprimono per occupare lo spazio che è loro concesso, rispondendo alla norma della regolarità ancora oggi in vigore nella scrittura corrente per garantire l’equilibrio armonioso dell’insieme della composizione.

Testo della stele di Yishan a gloria del monarca universale Il testo solenne dell’elogio delle virtù del Primo Imperatore giustifica le guerre di conquista condotte contro gli antichi regni, in nome della pace e della prosperità portata dal sovrano al suo popolo: Lo Stato fondato dall’Imperatore È senza pari dall’origine dei tempi, Egli discende da una stirpe di numerosi re. L’imperatore ha estirpato il disordine e la ribellione, La Sua autorità si estende fino alle quattro estremità del mondo, la Sua marziale giustizia è costante ed equa. Quando i suoi soldati e dignitari ebbero ricevuto il decreto reale, Non fu necessario che pochissimo tempo Per schiacciare le sei nazioni ribelli. L’anno ventisei del suo regno, Egli ha proclamato al mondo il suo augusto titolo E fatto risplendere la via della pietà filiale. Avendo compiuto l’opera immensa, E offerto all’universo il frutto della sua dedizione infinita, Di persona ha viaggiato per terre lontane; Ha scalato la vetta del monte Yi, Seguito dalla sua scorta di dignitari, E ciascuno a pensare a quel passato ormai lontano, che era troppo durato; Essi evocano quel tempo di disordine e confusione, Il paese diviso tra principati rivali, Le strade dello scontro ampiamente aperte; Giorno dopo giorno, assalti e battaglie, Il sangue che inonda le pianure, Senza tregua dai tempi più antichi. Per innumerevoli generazioni, E fino al tempo dei Cinque Imperatori, Nessuno è stato in grado di opporvisi e di mettervi fine; Nessuno ci è riuscito prima che il nostro imperatore Facesse del mondo una sola famiglia E che le armi della guerra fossero deposte per sempre. Dimenticate le calamità naturali, le ferite inferte dall’uomo, Il popolo dai capelli neri vive forte e pacifico, Godendo per sempre della sua ricchezza e della sua prosperità. (Da C. Blunden, M. Elvin, Atlas de la Chine, Adaptation de Pierre-Étienne Will, Nathan, Paris 1986, p. 80)

79


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Funzionari civili

Terracotta; h. 185 cm. iii secolo a.C., dinastia Qin. Scoperti nel 2000 nella fossa K0006 a sud-ovest del tumulo del Primo Imperatore, nel distretto di Lintong (Shaanxi). Xi’an, Istituto d’Archeologia dello Shaanxi. Queste due statue di terracotta, in scala umana, fanno parte di un gruppo di dodici personaggi, quattro auriga e otto funzionari, scoperti nelle immediate vicinanze del tumulo. La loro uniforme comprende un copricapo annodato sotto il mento e una lunga tunica dalle ampie maniche in cui sono infilate le mani; alla vita, sul fianco destro, portano un corto coltello la cui lama è leggermente incurvata e il manico fornito di un grosso anello e di una pietra per arrotare. Principale strumento degli scribi, il coltello serviva a levigare le tavolette di bambù o di legno sulle quali i testi venivano scritti a inchiostro e con il pennello, oppure a cancellare i caratteri o i passi sbagliati. La presenza nella fossa di quattro grosse asce di bronzo munite di manici di legno ha indotto alcuni studiosi a identificarli come funzionari di rango piuttosto modesto, incaricati degli affari giudiziari o penali.

Filosofo di peso della tradizione legista, Han Feizi (280-233 a.C.) descrisse l’efficienza dell’esercito del suo tempo, la foga sovrumana delle truppe e la potenza propria delle armi e dei nuovi stratagemmi guerreschi: «Lo scettro, lo scudo e la grande ascia da cerimonia sono insignificanti di fronte alla lunga lancia e alla corta alabarda d’acciaio; le genuflessioni e gli inchini rituali non servono a niente contro truppe scelte che compiono marce di cento leghe; gli antichi arcieri che tirano in cadenza su bersagli rituali con l’effigie di volpe si farebbero tagliare a pezzi dai tiri rapidi delle potenti balestre moderne a ripetizione; i nuovi mezzi di attacco con l’acqua e con il fuoco insieme a trincee e mantici interrati hanno reso nulli i procedimenti tradizionali di difesa che tendono a proteggere le mura dalla minaccia degli arieti e di altri congegni da assedio. Gli uomini dell’alta antichità rivaleggiavano per virtù, quelli della media facevano gare di intelligenza, quelli di oggi comprendono soltanto la forza…» (Han Feizi, cap. xlvii, Les Huit Formules, Seuil, Paris 1999, p. 147)

80

Tentativo di assassinio del Primo Imperatore da parte di Jing Ke

Estampage (dettaglio); 61,5 x 50,5 cm. Verso il 150 d.C., dinastia degli Han. Pietra incisa del muro sud, secondo registro, della Camera delle Offerte n. 2 del Wu Liang Ci, Distretto di Jiaxiang (Shandong), in situ. Il tentativo di assassinio di cui fu oggetto il futuro Primo Imperatore nel 227 a.C. è riportato nelle biografie catalogate di Sima Qian. Viene rappresentato anche nell’arte funeraria Han, in particolare nel Wu Liang Ci dove compare in ognuna delle tre camerette esistenti. Come in una sottile e indiretta condanna, non si tratta di illustrare un episodio della vita del sovrano ma, al contrario, di mostrare l’ardimento, l’audacia e il coraggio di Jing Ke, diventato famoso per aver tentato, a sprezzo della vita, di mettere fine alla tirannia. A sinistra, con le braccia allargate e i capelli ritti, Jing Ke è bloccato nella sua azione fallita, dal momento che la daga ha trapassato la colonna di bronzo, asse della composizione e raffigurazione per sineddoche della sala delle udienze del palazzo. A destra, il principe che indietreggia, brandisce un’arma o, forse, un disco di giada bi. La manica destra del suo abito, strappata al momento della fuga, pende. Inchiodato al suolo dal terrore, il suo assistente cerca di rialzarsi, ma non ci riesce. Ai suoi piedi, la scatola con il coperchio sollevato in cui appare, di profilo, la testa mozza del generale transfuga Fan Wuji, che aveva permesso loro di essere ricevuti in udienza. Con la sua chiarezza, le sue notazioni concise e la sua arte che mette in luce i tratti salienti di ogni personalità, il genio letterario di Sima Qian è in piena sintonia con il genio grafico degli artigiani Han che sanno ricomporre tutti gli elementi narrativi di un racconto, in modo tanto sobrio quanto efficace.

delle imposte e alla corvée, mentre si crea una nuova nobiltà fondata sul merito militare. Il Qin si iscrive nella dinamica di uno Stato guerriero che trae le sue risorse da un’agricoltura controllata e rafforza la sua prosperità con incessanti conquiste. Nel 317, la conquista del regno di Shu (Sichuan), ricco di cereali e minerali, gli fornisce una retroguardia inespugnabile che gli permetterà di controllare in seguito gli accessi alla valle della Han e ai regni del centro-sud. La corrente legista che esalta l’esercizio assoluto della Legge, trova nel Qin il suo pieno sviluppo con l’arrivo del grande teorico Han Feizi (280-233 a.C.), che definisce le basi filosofiche del sistema imperiale fondandolo sulla posizione di forza e sul potere esclusivo del sovrano che incarna lo Stato. Il suo esponente più rappresentativo è il re Ying Zheng (259-210), salito al trono all’età di tredici anni, nel 247, e incoronato imperatore (huangdi) a ventidue. L’antico condiscepolo di Han Feizi, Li Si (ca. 280-208), consigliere del re diventato primo ministro, è il suo braccio operativo. Egli getta le basi di una burocrazia i cui funzionari, retribuiti e revocabili, hanno l’incarico di divulgare e applicare leggi penali, fondate, perlomeno in teoria, sul principio di isonomia. Parallelamente, per citare Sima Qian, con «la voracità dei bachi da seta che divorano le foglie di gelso», gli eserciti del Qin annettono, tra il 230 e il 221, i regni rimasti indipendenti; in meno di dieci anni, essi vengono integrati all’impero e sottomessi alla sua Legge. Il territorio viene unificato attraverso la mescolanza e i trasferimenti di popolazioni all’epoca della creazione di commende di identica struttura, antenate delle attuali province. Viene allestita un’importante rete di canali e di strade a stella a partire dalla capitale; essa favorisce la circolazione degli eserciti e il controllo degli uomini, delle loro tasse e delle loro merci. Le frontiere con le regioni in cui si muovono i popoli nomadi vengono anch’esse normalizzate. Alcuni tronconi delle antiche muraglie e delle fortificazioni iniziate secoli prima vengono raccordati per formare la prima «Grande Muraglia» della storia e permettere significativi progressi in direzione del mondo delle steppe. Sul piano economico e fiscale, Li Si unifica la moneta, i pesi e le misure. Crea anche la nuova scrittura unificata il cui uso viene promulgato nel 227 a.C. Chiamata «piccola sigillaria» o xiaozhuan, in opposizione alla «grande sigillaria» o dazhuan che designa in modo generico le scritture dalle diverse lezioni degli antichi regni, la nuova scrittura presenta forme disciplinate, uniformi per grandezza, altezza e spessore, con linee, dritte o curve, standardizzate. Essa è al servizio della propaganda imperiale e ci è nota grazie agli estampages e alle reincisioni di sette pietre, realizzate tra il 219 e il 210, con il titolo generico di Songde bei o «Celebrazioni della virtù»; le steli attestano le realizzazioni del sovrano che, per stabilire la pace e dare prosperità al mondo «sotto il Cielo», ha stroncato tutti i particolarismi. Erette per la maggior parte in occasione dei giri d’ispezione dell’imperatore attraverso le commende dell’est e del sud-est, le pietre segnalano la presenza del sovrano in diversi luoghi santi del suo nuovo dominio. Sono spesso innalzate sulla cima di montagne alle quali l’imperatore tributa un culto in risonanza con le antichissime concezioni della montagna sovrana, che era, per i re Zhou come per i loro

81


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.)

antenati, i primi principi di Qin, una fonte inesauribile di benedizioni e di favori celesti, di fertilità e di prosperità terrene. Nei suoi testi e nella sua arte, la tradizione classica degli Han esecra il Primo Imperatore e il suo regime, senza dubbio perché la dinastia che egli ha fondato non gli sopravvive, prova della sua virtù fuorviata, e soprattutto perché nel 213 a.C. egli aveva ordinato «di bruciare i libri e di seppellire vivi i letterati» proclamando per bocca di Li Si che «chiunque avesse esaltato l’Antichità per denigrare il presente sarebbe stato messo a morte». L’editto prendeva di mira i rappresentanti dell’aristocrazia e i consiglieri delle antiche corti, restii all’instaurazione di un ordine nuovo, senza l’emendamento della virtù e della cultura degli Antichi. L’impero Han che gli succederà prosegue l’unificazione dotandosi di un’ideologia che rappresenta un compromesso durevole tra le istituzioni legiste e i valori confuciani.

↑ verso il fiume Wei Yuchi

Sito per il taglio delle pietre

Le tombe imperiali

Cinta esterna

Vestigia di una residenza Tombe di accompagnamento

Vestigia del tempio funerario

Fossa 3 Fossa 4 Xiayangcun Fossa 2

«Sala di ritiro»

Vestigia degli edifici amministrativi Tombe di accompagnamento Quadrighe in bronzo

Fossa 1

Fosse sacrificali

Quattro fosse di guerrieri e cavalli in terracotta Tombe non scavate

Animali (uccelli) rari Scuderie occidentali

Fosse di corazze in pietra K9901

Fosse collettive dei condannati e dei sottoposti a corvée

Shangjaocun

Scuderie orientali

Fosse K0006

Fossa dei danzatoriacrobati K9901 verso il monte Li

Tumulo del Primo Imperatore della Cina È nel corso della loro spedizione archeologica del 1914 che il comandante Lartigue, autore del cliché, e Victor Segalen (1878-1919) scoprono il tumulo, così come si presentava dopo quasi due millenni. Segalen scrive: «Il paesaggio montuoso copre quasi tutta la metà sud dell’orizzonte. Ci voleva coraggio, davanti a questa superba disposizione di monti, a innalzare senza altro piedistallo che il suolo, un’opera di terra. E tuttavia l’Imperatore lo pretese dai suoi architetti. Lui stesso, nel ventiseiesimo anno del suo regno, quando stabilì l’apparato della sua sovranità, esteso ormai fino ai paesi barbari, aveva scelto per la sua tomba questo sito dove essa si posa sulla valle come un sigillo (…) Si tratta dunque della più grande statua modellata da mano d’uomo nell’argilla, questo loëss, questa ‘terra gialla’, una delle materie più fidate per conservare la forma voluta…». (Les Origines de la statuaire en Chine, in Victor Segalen, Œuvres complètes, Robert Laffont (Bouquins), Paris 1995, t. 2, p. 871)

Non esiste a tutt’oggi, in Cina e nel mondo, nessun complesso funerario che superi per grandezza e monumentalità quello del Primo Imperatore. Situata nel distretto di Lintong, a una quarantina di chilometri a est dell’attuale Xi’an (Shaanxi), la tomba si presenta a forma di tumulo piramidale di terra spianata, circondato da una doppia cinta muraria rettangolare, oggi praticamente scomparsa. Non è stata, per ora, oggetto di nessuno scavo. Nessuno sa se la camera funeraria offra alla sguardo, in microcosmo, come scrive un secolo dopo Sima Qian, l’immagine che allora ci si faceva del mondo, del cielo – i suoi astri e le sue costellazioni –, della terra – le sue regioni, i suoi fiumi e le sue montagne –, e delle acque sotterranee. Pianificati e costruiti negli stessi decenni della necropoli, i palazzi della capitale rivelano la duplice efficienza della maestà imperiale sugli uomini e sull’universo; alcuni palazzi riproducono i diversi stili architettonici dei paesi conquistati per ammassarvi i loro tesori; altri, come il Grande Palazzo Xin e il Palazzo Epang (o Afang), terminato nel 208 e famoso per la sua dismisura, sottolineano i legami tra l’ordine cosmico, retto dal Cielo, e l’ordine terrestre, retto dall’imperatore. Ovunque, nelle sue province, nella sua capitale, nei suoi palazzi e nelle loro sale di udienza, il sovrano incarna il centro e il potere assoluto. La sua tomba ne è l’esatta contropartita. Dopo le prime scoperte delle statue modellate dei soldati della fossa dell’Est, annunciate nel 1974, la conoscenza del complesso della necropoli, che

82

Perfettamente orientato e protetto a sud dalla forza della terra, il monte Li, e a nord da quella delle acque, il fiume Wei, il tumulo-montagna ha la forma di una piramide che si erge verso il cielo, dal profilo che rivela due livelli, con un basamento quadrato che poggia sulla terra; alcune misure recenti indicano un’altezza totale di 55,668 m, mentre altre rilevano 35 m nel punto più basso e 87 alla sommità, su una base di 350 m in direzione nord-sud, e di 345 m da est a ovest.

Necropoli del Primo Imperatore Quarant’anni di scavi e di scoperte spettacolari permettono di afferrare la complessità e la monumentalità di una città funeraria che si estende su circa 55 km2. Circondato da due muri, in cui si aprono porte monumentali che delimitano due superfici rettangolari, il tumulo costituisce il nucleo di un complesso dotato di un sistema molto elaborato di canalizzazioni e di fogne, unica vestigia sopravvissuta, in parte, all’incendio che ha distrutto l’insieme delle costruzioni. A nord si trovano i quartieri in cui risiedevano i coadiutori e i palazzi e i templi destinati al culto dell’imperatore defunto; a nord-ovest, entro la cinta interna, uno spazio anch’esso delimitato da un muro era riservato alle sepolture secondarie, quelle dei compagni dell’imperatore nella morte. A questo si aggiungono numerose fosse e, naturalmente, rivolte a est in direzione della Grande Pianura Centrale, delle terre nemiche e dei paesi sottomessi, le enormi strutture destinate alle migliaia di soldati dell’esercito imperiale.

si estende su una superficie stimata di più di 5.500 ettari intorno al tumulo, si fa più precisa. In quarant’anni, gli scavi hanno rivelato circa seicento tombe e fosse di tutte le grandezze che comprendono decine di migliaia di oggetti; alcuni sono autentici come le armi, altri sono copie in scala reale o ridotta in bronzo (quadrighe, uccelli acquatici), in pietra (corazze e caschi) e, soprattutto, in terracotta, insieme ai palafrenieri delle scuderie reali, ai funzionari civili, agli acrobati, lottatori o ginnasti, e, naturalmente, alle migliaia di soldati e cavalli dell’esercito sotterraneo. Rimangono anche le strutture di alcuni edifici che costituivano la città funeraria e che erano destinati, a immagine degli uffici di amministrazione dei palazzi, al suo funzionamento rituale e amministrativo. Furono parimenti portati alla luce resti di animali e di uccelli rari chiusi in sarcofagi di terracotta in un’evocazione dei parchi, delle riserve di caccia e dei giardini zoologici imperiali, come il famoso Shanglin della capitale. La presenza congiunta di tombe di uomini e donne di rango, e di fosse contenenti le spoglie di centinaia di uomini messi a morte, rende percepibile la differenza rituale operata tra i «compagni nella morte» (renxun) del defunto, debitamente seppelliti, e le «offerte umane» (rensheng), uomini vittime, allo stesso titolo degli animali, di morte sacrificale. L’arte imperiale dei Qin è al servizio di una volontà politica che non mostra incrinature, il legismo. Esso poggia sullo sfruttamento sistematico di centinaia di migliaia di persone soggette a corvée, di forzati e di schiavi le cui produzioni di massa mirano a ricreare il più

83


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Veduta generale della Fossa n. 1

Necropoli del Primo Imperatore di Cina, Lintong (Shaanxi) iii secolo a.C., dinastia Qin. Lintong, Museo delle Statue e dei cavalli in terracotta. Di gran lunga la più imponente, la Fossa n. 1 presenta un’immensa truppa schierata nella formazione detta «a rettangolo», la cui tattica punta sulla flessibilità e sulla forza d’urto. Su una superficie di quasi 15.000 m2, ripartiti in undici gallerie pavimentate e un tempo coperte, sono disposti più di seimila guerrieri (arcieri, fantaccini leggeri e ufficiali) e quaranta carri della fanteria pesante con i loro cavalli, i conducenti e l’equipaggio. Malgrado l’assenza di armi e la scomparsa dei colori originari delle uniformi, la composizione nel suo insieme permette di stabilire a grandi linee la gerarchia militare dei Qin. Sotto l’apparente uniformità della produzione in serie, l’esercito di terracotta è, al contempo, un’opera colossale e singolare: ogni guerriero ha, se non una sua personalità, per lo meno un’espressione propria. Basate su una sapiente divisione del lavoro, una serie di differenti convenzioni ingegnosamente combinate fra loro offrono molteplici possibilità per attribuire a ognuno la propria morfologia, il proprio tratto di carattere, la propria età e il proprio rango: la varietà e il colore delle uniformi, delle armature, delle acconciature, la maggiore o minore altezza, la presenza o l’assenza di barba o baffi, la precisione delle armature e delle insegne. La realtà di un modello ideale – e idealizzato – dell’esercito imperiale non può essere più evidente.

Fossa n. 2: Balestriere (o arciere) e cavaliere che tiene in mano le redini Durante gli scavi degli anni Novanta, le statue di terracotta sono oggetto di un restauro in situ attento ai dettagli e alla conservazione dei colori originari. È quel che accade per la fossa n. 2 con i suoi arcieri o balestrieri la cui posizione delle mani indica che tenevano delle vere balestre con frecce incoccate. Come la Fossa n. 3 che contiene una piccola formazione detta «a tenda» per proteggere il carro del comandante in capo dell’esercito, la Fossa n. 2 mostra uno schieramento complesso detto «concentrico» in quattro blocchi, un reggimento di arcieri che circonda un’unità di balestrieri, carri pesanti e leggeri e uno squadrone di cavalleria, assicurando coerenza e mobilità a un secondo gruppo di un migliaio di soldati.

84

fedelmente possibile l’ambiente terreno e sovrumano del sovrano. Manifesta, all’attenzione del mondo d’oltretomba, il nuovo ordine imperiale la cui base razionale era scaturita dalle riflessioni sull’efficacia e l’armonia in seno al governo del mondo degli uomini. Gli oggetti reali o i loro sostituti, come i mingqi, tendono all’efficienza nella loro stessa materialità. La loro realtà si fonda sull’equivalenza assoluta tra la loro forma – o il loro schema ispiratore – e la funzione che svolgono. Si tratta di imitare il potere universalmente fecondo della natura, che dà vita agli esseri e alle cose e li produce su larga scala, secondo standard, modelli e norme prestabilite. È questo il caso della più grande Fossa dell’Est, detta Fossa Uno, che presenta un corpo d’armata schierato, allineato in ordine di marcia fronte all’oriente, rivolto verso la Pianura Centrale e i regni conquistati al tempo del Primo Imperatore. Essa racchiude migliaia di statue di argilla modellata, a grandezza naturale o leggermente superiore alla media, le cui uniformi erano state dipinte, e che portavano armi autentiche per raffigurare i

85


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) M

Tian Shan

o

n t i

A

della Piana Manc i

l t a i

Mancheng

Aluchaideng

Saka (cultura nomade)

Tomba di Liu Sheng e di Douwan

GOBI u Xiongnm ade) o n a r (cultu

Urumqi

Maoqingguo

(necropoli, bronzi dell’Ordos (necropoli, bronzi dell’Ordos

Alagou

(necropoli, lavorazione del bronzo)

B a c i n o d e l Ta r i m Deserto d i Ta k l a m a k a n

(cu

i m

Beijing (Pechino)

Qilian S

Niya

H

Lelang

Dunhuang

Loulan

g Qian omade) n a r u lt

Altipiano del Tibet

Bo Hai

Deserto dell’Ordos

han

Yangling

Tomba dell’imperatore Han Jingdi Mausoleo del Primo Imperatore (figurine in terracotta)

Mar Giallo

Mar del Giappone

Pyongyang

Corea

Chengzhou Luoyang

Xianyang Xi’an

Shanghai

Chang’an

Necropoli del Primo Imperatore

a l a y a

uria

Mar della Cina orientale

Chengdu Jiangling Changsha

Saka

Mawangdui cultura nomade

Tombe degli Han occidentali

Kunming

Fortificazioni (Grande Muraglia) Sito archeologico maggiore

Shizhaishan (necropoli, bronzi)

Dian

Tomba del re di Nanyue

Nanyue

Taiwan

Guangzhou (Canton)

Antica capitale/centro politico Via commerciale marittima Via della Seta Città moderna

diversi tipi idealizzati di soldati sempre vittoriosi, investiti del potere di reiterare all’infinito le loro imprese. La forza è legata al gruppo, alla sua misura, alla sua disposizione. La massa vale soltanto per la sua organizzazione. L’insieme dà meno importanza alla persona che alla sua funzione, alla sua appartenenza al gruppo gerarchizzato. Esso dimostra la potenza del sovrano legista che plasma il suo popolo, come il vasaio plasma l’argilla o il loëss, materiale dal forte valore simbolico, inesauribile e informe, che assume consistenza se riceve una forma adeguata. Sull’esempio del Primo Imperatore, ma in scala più ridotta, gli imperatori Han hanno adottato il tumulo innalzato al centro di un «campo funerario» (ling), sovrastante una tomba scavata verticalmente nel terreno. Tutto intorno trova posto un vasto complesso cerimoniale con un tempio (miao) dove i discendenti presentano le loro offerte periodiche alla tavoletta funeraria (zhu) del sovrano e una «sala di ritiro» (qin) destinata ai suoi effetti personali utilizzati in occasione delle celebrazioni. Il complesso è realizzato a immagine di una città con i suoi abitanti, i suoi funzionari e i suoi guardiani, al servizio delle anime degli imperatori defunti. Nove degli undici «campi funerari» degli imperatori Han dell’Ovest sono situati sull’altopiano che domina la riva nord dello Wei. Ripartiti da una parte e dall’altra della tomba del fondatore della casata Han, Gaozou (r. 206-195), tutti dominano a strapiombo idealmente sulla capitale, proteggendola in maniera metaforica, dagli influssi, ritenuti deleteri, del settentrione; ma anche, in maniera più reale, dagli attacchi dei popoli venuti dal nord. A partire dagli Han dell’Est si elabora un percorso cerimoniale che prolunga l’asse

86

Animale guardiano di tomba

Pietra; h. 114 cm, l. 175 cm, prof. 45 cm. i-iii secolo d.C., dinastia degli Han dell’Est. Scoperto nel 1955 nel distretto di Yichuan (Henan). Luoyang, Museo di Arte Lapidaria. Via percorsa dal corteo funebre il giorno dei funerali, quella delle processioni rituali occasionali e anche, come indica la sua denominazione, cammino seguito dalle anime spirituali (shen) del defunto per arrivare al mondo etereo o/e per raggiungere le proprie anime sensitive (gui) installate nella tomba; il «sentiero delle anime» (shendao) resta, per tutta la storia imperiale, la componente essenziale delle grandi sepolture. Depositari, nel loro materiale inalterabile, della potenza perenne messa al servizio del defunto, gli animali favolosi degli Han dell’Est si riallacciano alle bestie protettrici «che allontanano le influenze nefaste» (bixie), o benefattrici «che concedono doni celesti» (tianlu). L’animale di Luoyang scopre di profilo un possente corpo di tigre alata in movimento, impressionante per la qualità delle sue linee e il senso dei suoi volumi.

L’espansione dell’Impero e le principali scoperte archeologiche

Hainan

Mar della Cina meridionale

delle sepolture, «il sentiero delle anime» (shendao). Aperto spesso da due «torri- pilastri» (que), esso si accompagna a statue monumentali di pietra, disposte a coppia, faccia a faccia, e termina con una o due steli in ricordo del defunto. Questa tradizione si manterrà fino alla fine dell’impero. Così, per duemila anni, le tombe imperiali perpetuano un’arte della morte in cui confluiscono ambizione politica, affermazione della virtù e della potenza imperiale e credenze religiose imperniate attorno alla presenza sacra ed efficiente del sovrano, in vita come nella morte. L’autorità imperiale sotto gli Han Prima affermazione della grandezza della Cina, la dinastia Han è eccezionale per la sua durata e la sua continuità. Il suo lungo regno, iniziato nel 206 prima della nostra era, si suddivide in due parti quasi uguali. Dopo due secoli, l’autorità della casata Han si indebolisce. Un alto dignitario di corte, Wang Mang, fonda una dinastia chiamata Xin (9-23 d.C.), in breve tempo soppiantata da un ramo lontano dei primi Han che torna a esercitare il potere reale fino al 220. Le storie ufficiali fanno quindi distinzione tra la dinastia degli Han Anteriori, detta anche Han dell’Ovest con capitale a Chang’an, l’attuale Xi’an (Shaanxi) e quella degli Han Posteriori o Han dell’Est, che regna più a Est, a Luoyang (Henan). Per rafforzare la loro legittimità, i primi imperatori Han sostengono e proteggono gli insegnamenti confuciani. L’autorità imperiale si giustifica in riferimento alla visione antica

87


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Tegole di raccordo con le «quattro divinità cardinali» sishen o siling

Terracotta; diam. tra 16,5 e 18,2 cm. iii-i secolo a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperte presso il sito della capitale Han, Chang’an. Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. Preziose vestigia dei palazzi imperiali a cui sovrintende un potente simbolismo cosmico, le tegole dall’estremità circolare, dette wadang, raffigurano le «quattro divinità cardinali» (sishen o siling): esse rappresentano i quattro assi del cielo che dominano l’insieme delle costellazioni, ma anche, in virtù della legge della correlazione, i quattro quartieri dello spazio terrestre intorno al centro, sede dell’augusta maestà. Vengono così associati il dragone verde-azzurro del legno, dell’est e della primavera, l’uccello vermiglio del fuoco, del sud e dell’estate, la tigre bianca del metallo, dell’ovest e dell’autunno, e la tartaruga-serpente nera dell’acqua, del nord e dell’inverno; quest’ultima è chiamata il «Guerriero scuro» (xuanwu), perché, come il guerriero, la tartaruga possiede un carapace; avviluppata da un serpente, essa simboleggia l’unione del femminile e del maschile o, secondo un’altra interpretazione, tartaruga e serpente sono inseparabili perché, quando la Grande Orsa che li ha fatti nascere segna il nord, la tartaruga si nasconde nel serpente avvolto a spirale.

Pietra da inchiostro a forma di animale fantastico

del mondo e del principe, espressa nelle opere trasmesse dalla tradizione letteraria e allora innalzate al rango di Classici. Con il pretesto di resuscitare il carisma dei re santi dell’antichità mitica, viene elaborata una teoria ideale e quasi assoluta della persona imperiale, palesatasi sotto il regno dell’Imperatore Guerriero, Wudi (r. 141-87). In seno alla vasta armonia cosmica, l’ordine politico, sociale e famigliare è inscindibile dall’ordine stesso dell’universo, insieme organico retto e regolato dall’autorità del Cielo sovrano. Dichiarato figlio del Cielo, l’imperatore regna e insieme celebra, per regolare e assicurare il giusto cammino del mondo. Grazie a una sapiente gerarchia, egli delega una parte del suo prestigio e della sua autorità

88

Bronzo dorato intarsiato di turchesi, corallo e lapislazzuli; l. 25 cm, h. 10,5 cm, prof. 14,8 cm. Fine del i o prima metà del ii secolo d.C., dinastia degli Han dell’Est. Scoperta nel 1970 a Xuzhou (Jiangsu). Nanjing Museum. Molto originale, la pietra da inchiostro si compone di due parti smontabili: chiusa, ha l’apparenza di un animale favoloso, appiattito, fauci aperte e corna abbassate, come pronto a balzare; aperta, forma un piatto sul quale l’inchiostro, che si presenta sotto forma di un pane solido e compatto ottenuto a partire da un miscuglio di gomma e fuliggine, viene diluito in un po’ d’acqua. Inchiostro, pietra da inchiostro, pennello e carta costituiscono quel che le epoche successive considereranno i «Quattro Tesori del Letterato». Oggetto di perpetui raffinamenti nell’ornamentazione e testimonianza di un’inventiva sempre rinnovata, questi tesori sono al servizio di una classe di eruditi, i letterati-funzionari che, fin dagli Han, presiedono al destino dell’impero e assicurano, grazie all’arte della scrittura, la continuità della sua cultura.

a funzionari incaricati dei culti e del governo. Per servire il suo sovrano, il consigliere Dong Zhongshu (ca. –195-115) arricchisce il pensiero letterato di speculazioni cosmologiche derivate dall’antica scuola dello Yin/Yang e dei Cinque Elementi (legno, terra, fuoco, acqua e metallo), elementi essenzialmente dinamici, costitutivi degli esseri e dei fenomeni. La teoria della risonanza (ganying) o delle corrispondenze simboliche accorda l’esistenza umana ai grandi ritmi dell’universo, del tempo e dello spazio; sintetica e globalizzante, essa permette la fioritura di arti e discipline che definiscono il ruolo essenziale del gentiluomo nella vita e nella storia del mondo. I Classici costituiscono il principale oggetto di studio delle scuole provinciali e dell’Università imperiale, fondata sotto Wudi, nel 124 a.C. Verso la fine della dinastia, nell’era Xiping, (175-183), su ordine dell’imperatore Ling (r.168-183), un insieme di testi viene inciso su lastre di pietra erette davanti alla porta Kaiyang della Grande Scuola della capitale a Luoyang. Affermazione dell’autorità morale, rituale e politica dello Stato, il complesso monumentale suggella l’autenticità formale della letteratura canonica in materia di poesia e canti (Lushi),

89


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Iscrizioni dipinte a inchiostro su listelli di legno (dettaglio)

Lunghezza totale di un listello 56 cm. secolo a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperte a Mozuizi, Wuwei (Gansu). Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. A partire dall’epoca dei Regni Combattenti, la maggior parte dei testi vengono redatti su listelli di legno o di bambù dalle dimensioni standardizzate, riuniti in rotoli con alcune cordicelle o con fili di seta. Tra i numerosi manoscritti dei Classici scoperti in contesto funerario sotto gli Han, figurano degli estratti dal libro canonico dei riti intitolato Yili o Cerimoniale. Viene qui utilizzata la scrittura detta «degli scribi», con caratteri regolarmente iscritti, dall’alto in basso, in rettangoli orizzontali. Elaborata con un intento di semplicità e di rapidità di esecuzione, essa deve all’uso del pennello, realizzato con peli (o piume) di animali rigorosamente selezionati e assemblati in un fascio conico fissato all’estremità di un tubo, la comparsa di tracciati nuovi dalle modulazioni espressive, come i punti e i tratti discendenti con la parte terminale calcata. iii-i

Sigillo

Oro; h. 1,8 cm, l. 3,1 cm, peso 148,5 g. ii secolo a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperto nel 1983 nella tomba di Zhao Mo, re di Nanyue, a Xianggang, Guanzhou, (Guangdong). Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue. Blocchi di pietra tenera o piccoli pezzi di giada o d’oro nel caso dei più preziosi, i sigilli presentano caratteri di scrittura incisi su una parte piatta, sia in rilievo, sia in cavo. Utilizzati a partire dalla fine del periodo antico per scopi ufficiali, commerciali o personali, i sigilli Han, scoperti in contesto funerario, registrano la funzione o il titolo del loro possessore, per dichiarare la sua identità e affermare la sua fama. Particolarmente curato, con l’immagine sul rovescio di un piccolo dragone quasi a tutto tondo che forma l’anello per impugnarlo, il sigillo d’oro di Zhao Mo (morto nel 122 a.C.), secondo re di Nanyue, reca quattro caratteri incisi nello stile detto della «piccola sigillaria», «sigillo amministrativo dell’imperatore Wen», titolo che egli si era attribuito, come per accedere nella morte alla maestà imperiale.

90

91


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.)

Personaggi dipinti su un mattone funerario (dettaglio)

Elogio del palazzo di Lingguang Nell’Elogio del palazzo della Luce Trascendente (Lingguang), palazzo edificato al tempo del principe di Lu, Liu Yu (154-129 a.C.), fratello dell’imperatore Wudi, il poeta Wang Yanshou (attivo ca. 124-148) sottolinea il ruolo morale della pittura. In funzione delle inclinazioni dei suoi finanziatori, la pittura palaziale, di cui ad oggi non conosciamo nessun esempio, poteva sia ispirarsi alla tradizione confuciana – uomini virtuosi e sovrani mitici – sia proporre raffigurazioni delle potenze divine superiori, Sovrano celeste (Tiandi) o Uno Supremo (Taiyi), più vicine alle correnti religiose taoiste.

Inchiostro e colori su argilla. Dimensioni dell’insieme 73,8 x 204,7 cm, h. dei personaggi 19,5 cm. Tra il 50 a.C. e il 50 d.C., dinastia degli Han. Proviene da una tomba del villaggio di Balitai a sud di Luoyang (Henan) scavata verso il 1915. Boston, Museum of Fine Arts (Denmann Waldo Ross Collection, 25; 106113, gift of C.T. Loo, 25, 190). Anche se i termini esatti delle azioni o delle discussioni dei personaggi dipinti su un mattone della tomba di Balitai ci sfuggono, essi erano senza dubbio legati alla storia o alla virtù. Infatti, cronache storiche e libri classici, indispensabili per la formazione dei gentiluomini diventati letterati-funzionari, forniscono alla pittura funeraria soggetti edificanti ai quali la tradizione colta attribuisce un valore morale e un potere sociale: purificare il cuore, affinare lo spirito e perfezionare i nobili ideali della vita nella società. La buona riuscita pittorica del dettaglio qui scelto dipende dal sottile accordo tra le figure, negli sguardi che si scambiano, e nel contrasto degli atteggiamenti e dei gesti oltre che dal suo stile esclusivamente lineare, con colori stesi uniformemente sul fondo chiaro e messi in risalto da un tratto a inchiostro nero di spessore variabile; ora leggero, ora spesso, il tratto conferisce a ogni figura un carattere naturale e quasi spontaneo, intensifica l’illusione del suo movimento e sottolinea con acutezza la sua espressione. Questa notevole individualizzazione dei personaggi è in funzione dell’evocazione di tipi di uomini – o di caratteri – utili al giudizio dei posteri.

di storia (Shangshu) e annali di regno (Chunqiu e il suo commento Gongyangzhuan), di divinazione (Zhouyi) e rituali (Yili); a essi si aggiungono i Dialoghi di Confucio con i suoi discepoli (Lunyu). Questo sapere condiviso fonda l’appartenenza a una comunità, quella dei letterati-funzionari, il cui carattere dominante sulla società, sulla cultura e sull’arte cinese si impone nei secoli. I testi delle steli sono incisi nello stile della scrittura detta «degli scribi» o della cancelleria (lishu). Nato con la piccola sigillaria al tempo del Primo Imperatore, il lishu era riservato in origine ai documenti pubblici di uso comune ed era debitore di tutta la sua inventiva al suo strumento, il pennello. In uso già da parecchi secoli, fra l’altro, per l’ornamentazione delle lacche e delle ceramiche, il pennello permette variazioni di spessore delle linee, effetti di contrasto fra tratti calcati o leggeri, e, in linea generale, conferisce alla scrittura una leggerezza e un’espressività senza pari. Al pennello si associa l’inchiostro e soprattutto la carta, molto diffusa alla fine della dinastia; il suo metodo di fabbricazione sarebbe stato presentato al trono, secondo la tradizione, nel 105 della nostra era dall’eunuco Cai Lun. Tra il 76 e l’83, fa la sua comparsa lo stile detto «regolare» (kaishu) o scrittura modello, variante elegante della scrittura degli scriba, in uso ancora oggi. L’incisione dei testi e quella delle immagini obbediscono alle stesse leggi. Ogni carattere di scrittura è composto da un numero invariabile di tratti tracciati in un ordine rigoroso

92

e spaziati con precisione; ogni scena viene trattata in maniera convenzionale e formale. Semplici sagome spesso viste di profilo come nelle prime scene raffiguranti le attività nobili all’epoca preimperiale (musica, danza o caccia rituali), i personaggi rappresentati sono archetipi, spesso identificati da cartigli, da un abbigliamento particolare, da attributi o gesti codificati, da una dimensione più o meno marcata. Come i caratteri nelle colonne, le scene si susseguono, divise in registri o in pannelli, per formare insieme coerenti e dimostrativi. Gli esempi a tutt’oggi più completi provengono dai cimiteri e dalle camerette di offerte della provincia dello Shandong come Xiaotang shan, Songshan e, soprattutto, dal luogo designato dalla tradizione colta posteriore con il nome di Wu Liang Ci. Erette tra il 78 e il 151, a Jiaxiang, le tre camerette di offerte che rimangono sono costituite da lastre di pietra incise con bassorilievi accompagnati da cartigli scritti nello stile di scrittura degli Scriba. Vi si dispiega un’iconografia in risonanza con la storiografia Han, con la sua visione dell’universo e con i principi confuciani illustrati da figure esemplari, sudditi saggi e leali, dame eminenti e fedeli. Vi si aggiungono grandi cerimonie di omaggio completate da cortei di carri e cavalieri, da celebrazioni festive e da scene di battaglia sopra un ponte. Con sensibili varianti, questi temi si ritrovano in altri luoghi e su altri supporti, in particolare sui mattoni dipinti delle tombe; essi sono al servizio di un’arte edificante dedicata agli uomini dabbene

Là sono dipinti tutto il Cielo e tutta la Terra, e tutti gli Esseri secondo le loro categorie: demoni vari, mostri strani, divinità delle montagne e Potenze dei mari. Alle loro forme diverse, il pittore ha adattato i suoi rossi e i suoi blu, le loro mille figure e diecimila trasformazioni, egli le ha fedelmente rappresentate. Ogni essere è al suo posto ed è conforme alla sua natura; ha il suo colore appropriato e i suoi sentimenti sono espressi in maniera minuziosa. In primo luogo, egli ha mostrato l’Apertura del Caos e l’Inizio del mondo antico: i Cinque Dragoni dalle ali unite, l’Augusto Uomo (Renhuang) a nove teste, Fuxi dal corpo coperto di squame e Nüwa dalla taglia di serpente. In quell’epoca lontana, semplice e modesta, le immagini sono prive di ornamenti. Poi, nascono forme luminose gradevoli agli occhi: L’Imperatore Giallo, Tang il Perfetto e Yu il Grande. Essi si servono di una carrozza e portano una corona, la loro casacca e il loro abito sono diversi. In basso, ecco le tre dinastie (reali). Ecco le favorite esuberanti e i sovrani turbolenti, i sudditi leali e i figli rispettosi, gli uomini virtuosi e le spose fedeli. I saggi e gli sciocchi, i vincitori e i vinti, nessuno manca al suo posto. I cattivi esempi hanno il compito di distogliere il mondo dal male, i buoni esempi di incoraggiare i posteri al bene. (In Recherches sur la peinture du portrait en Chine, au début de la dynastie Han (206-141 avant J.-C), in «Arts Asiatiques», 1981, p. 39).

93


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.)

e alla loro discendenza. Nella vita, forniscono una guida per la conoscenza e l’azione morale, e, nella morte, una protezione esemplare per le loro anime, celebrando, come le steli commemorative, la loro inalterabile fama. Visione del mondo e correnti dell’immortalità Le arti plastiche degli Han che ci sono pervenute sono essenzialmente funerarie. Ma anche se sono in funzione delle credenze e dei rituali di morte e presiedono alla realizzazione delle sepolture, esse non appaiono né funeste né sinistre. Al contrario, nella loro creazione e nella loro ispirazione eterogenea, mostrano esseri e cose frementi di un’intensa vita: le loro immagini, dipinte, scolpite, modellate o incise, vibrano dell’energia delle potenze che agiscono nel mondo. Secondo l’antica metafora del «baldacchino del Cielo» (tiangai) che si impone con gli Han come rappresentazione corrente della cosmologia, la volta celeste rotonda e mobile, punteggiata di astri e stelle e attraversata dalla Via Lattea, copre la terra come un baldacchino. Presentata come una vasta piattaforma dalla sommità quadrata, la terra è interamente percorsa da una rete sotterranea di canali portatori dei fluidi o dei soffi della vita. Nati dal soffio primordiale (yuanqi) o dall’Unità prima (Taiyi), Cielo e Terra non possono esistere indipendentemente l’uno dall’altra: i loro rapporti nascono dalla combinazione dei soffi opposti e complementari yin/ yang, essi stessi distribuiti secondo la legge di successione dei Cinque Elementi. Per risonanza e in affinità con gli spiriti animatori del Cielo e della Terra, l’uomo è costituito da anime sottili o eteree (hun) di origine celeste (shen), e da anime vegetative o sensoriali (po) di origine terrena (gui). Già attestate alla fine dei Regni Combattenti, queste credenze conoscono, sotto i Qin e gli Han, nuovi sviluppi e si diversificano in seno a correnti molteplici e spesso divergenti. Per alcuni, la tomba è un microcosmo, un Cielo/Terra completamente a parte, che deve proteggere e assicurare l’esistenza e l’integrità del defunto nel mondo delle potenze invisibili. Secondo i testi classici dei Riti, il servizio funebre assicura conforto, nutrimento e stabilizzazione alle anime che la morte separa e disperde; esso permette il passaggio dal «corpo-cadavere» (shi) a quello di «corpo nella sua dimora permanente» (jiu) come testimonia, ad esempio, l’iscrizione rituale del nome del defunto su una tavoletta o su una bandiera (mingjing) che, al pari della sua raffigurazione in un ritratto, fissa per sempre le anime nella loro nuova esistenza. D’altra parte, la presenza in certe tombe di testi scritti, di inventari dell’arredo funerario o di sigilli con i titoli del defunto, illustra altre prospettive. Concepito a immagine dell’impero e retto, sembra, da funzionari investiti, come i loro omologhi terreni, di prestigio e autorità, il mondo invisibile esige dal defunto, per includerlo nella sua gerarchia, di declinare la propria

94

Drappo funerario della marchesa di Dai (dettaglio della scena centrale)

Inchiostro e colori su seta; h. totale 205 cm. ca. 168 a.C., Han dell’Ovest. Scoperto nel 1973 nella tomba Han n. 1 di Mawangdui, Changsha, (Hunan). Changsha, Museo provinciale dello Hunan. A tutt’oggi, la più ricca delle pitture Han sia sul piano artistico sia su quello religioso è il grande drappo dipinto su seta di Mawangdui, posto sul sarcofago esterno della marchesa di Dai, oggetto di una sepoltura fastosa e minuziosa intorno al 168 a.C. Se l’insieme ha dato luogo a molteplici letture, tutte però concordano nel vedervi un’immagine del mondo, cielo, terra e abissi con, per ognuno, figure mitologiche o divine, creature ibride o animali emblematici, guardiani e oggetti sacri. La parte centrale mostra la marchesa, vista di profilo e vestita con un abito a motivi vorticosi; leggermente piegata e appoggiata a un bastone, ella avanza verso sinistra per significare la sua partenza, in base a quella che è la lettura tradizionale dei testi e delle pitture. Realizzato in un materiale nobile per eccellenza, un tessuto di seta di tipo juan soffice e leggero, il drappo viene designato nell’inventario dell’arredo funerario con l’appellativo di «indumento per alzarsi in volo» (feiyi), il che sembra fare riferimento a un ruolo religioso, argomento questo soggetto a molte ipotesi. Lo scopo del drappo è quello di guidare e poi di far installare felicemente le anime della defunta nella sua tomba, oppure quello di permettere la loro ascensione al cielo per condurle sul sentiero dell’immortalità?

95


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Geni tra le nuvole

Legno laccato e dipinto su fondo nero; dimensione del sarcofago 256 x 118 x 114 cm. Verso il 168 a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperto nel 1973 nella tomba Han n. 1 di Mawangdui, Changsha, dettaglio del secondo sarcofago interno. Changsha, Museo provinciale dello Hunan. Il ruolo simbolico del grande drappo è indissociabile da quello dei sarcofagi interni realizzati in legno laccato e dipinto, uno rosso cinabro, e l’altro nero brillante; se la lacca giocava un ruolo di medium privilegiato per la protezione del corpo e quindi per la preservazione delle anime sensitive della defunta, le loro pitture offrivano alle sue anime spirituali visioni delle potenze invisibili. Il decoro del sarcofago esterno, realizzato con piume applicate su seta, illustra anche, nel suo supporto materiale, il tema del passaggio tra terra e cielo. Il dettaglio del sarcofago nero mostra i soffi o le energie in azione nel mondo che si presentano, in un chiaroscuro di beige e di bruni, sotto le parvenze di linee fluide che formano nuvole più o meno spesse e gonfie; ordinate e simmetriche, esse cambiano direzione, terminano in anelli, in punte o si separano in fasci. Queste nuvole stilizzate, che costituiscono uno dei grandi temi dell’arte Han, sono popolate da creature soprannaturali: musiciste o arcieri, esse si dispiegano con meravigliosa disinvoltura, appoggiate o trascinate dal soffio delle nuvole.

Genio su un felino alato

Giada; h. 8,1 cm, l. 13,9 cm, spessore 3,8 cm. i secolo a.C.-i secolo d.C., dinastia Han. Washington D.C., Smithsonian Institution, Arthur M. Sackler Gallery. Il vigore della fattura e la maestria del modellato del piccolo amuleto di giada rimandano ai grandi animali di pietra, belve e felini alati, potenze guardiane del mondo degli spiriti invisibili dei Sentieri delle anime. Con il corpo inarcato su zampe possenti e fornite di artigli e con una lunga coda arrotolata, l’animale è in movimento, bramisce e ha le corna volte all’indietro. Sulla spalla, sul fianco e sulla coscia sono poste delle ali, mentre, in modo più naturale, il pelame è indicato qua e là da striature incise. Sul suo dorso sta seduto, inginocchiato, le natiche sui talloni, un genio che presenta i tratti tipici dell’iconografia degli immortali dell’epoca, «uomini dalle piume» o «uomini uccelli» (yuren): faccia strana nelle proporzioni, sottolineata da orecchie puntute, capigliatura appiattita all’indietro e una piccola cappa che forma una specie di ali sulle spalle; le sue braccia tese arrivano fino al collo della bestia a significare la loro unione indefettibile.

96

identità e di repertoriare i suoi possessi; il carattere ripetitivo, per il numero e il modo di fabbricazione, dei mingqi partecipa di queste credenze. Oggetti funerari particolari come alcuni vasi-urne in cui si alternano iscrizioni, talismani e scritti di saluto, destinati a proteggere la tomba e il suo abitante, aprono la via alle correnti taoiste. Non si tratta più soltanto di raggiungere la longevità «del metallo e della pietra», di celebrare la fama delle anime e l’affermazione del rango, ma di giungere all’immortalità. La morte viene concepita come una trasformazione, un passaggio verso un nuovo stato dell’esistenza in relazione con le regioni eteree del Cielo e le terre dell’immortalità. Attivi a partire dalla fine dei Regni Combattenti e molto presenti nell’entourage del Primo Imperatore e dell’Imperatore Guerriero degli Han, i maestri delle arti occulte (fangshi) o delle arti del Dao (daoshi) incentrano le loro pratiche sulla Lunga Via e sul «nutrimento dei principi vitali» (yangxing) attraverso esercizi respiratori e ginnici, la dietetica, o ancora l’alchimia operativa. I modelli di questa via di realizzazione personale in armonia con la fonte della vita e il corso del mondo (Dao) sono gli «uomini veri» (zhenren) o «divini» (shenren), associati agli immortali; come indica il carattere di scrittura che li designa, xian (letteralmente «uomo-montagna»), gli immortali hanno la montagna come dominio di elezione. Con la sua altezza, la montagna assicura il congiungimento tra la Terra e il Cielo, come il monte Kunlun, situato a nord-ovest e ritenuto l’asse o il pilastro del mondo. Con i suoi minerali, le sue piante e i suoi animali straordinari, la montagna dispensa ricchezze benefiche al pari delle isole mitiche del mare di sud-est, la più famosa delle quali è Penglai. Parallelamente, si diffondono le credenze nell’efficienza delle cure mediche o degli elisir di Lunga Vita, sostanze da trasmutare, da bruciare, da ingerire o da tenere sul corpo. Le montagne e le loro creature – immortali, uomini e bestie – sono molto spesso raffigurate sugli oggetti destinati al mondo dell’oltretomba o all’uso dei maestri, come gli specchi, i bruciaprofumi, i vasi e i loro coperchi, gli alberi delle monete, le lampade o i lumi a forma di albero cosmico o anche i boccali per raccogliere la rugiada. Esse si accompagnano all’onnipresente motivo dei «soffi-nuvole» (yunqi), declinato in molteplici forme nell’arte Han per esprimere l’aspirazione all’immortalità o i voti formulati dai vivi per i loro defunti. Queste composizioni figurate mirano a ricreare in miniatura l’animazione dei soffi di una natura selvaggia o fantastica, diventata propizia e familiare, nella sua consonanza con lo spirito liberato da ogni intralcio.

97


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Il Liexianzhuan: Biografia leggendaria dell’imperatore Giallo Piccola raccolta di leggende concernenti personaggi che si ritiene abbiano conseguito l’immortalità nell’antichità, il Liexianzhuan, la cui compilazione viene attribuita dalla tradizione al letterato Han Liu Xiang (77-6 a.C.), fu incorporato al Canone taoista nel 1019; il suo scopo era commentare, con brevi notizie biografiche, le immagini che rappresentavano degli immortali. Sovrano supremo e antenato primordiale, Huangdi, l’Imperatore Giallo, è anche il grande patrono dei maestri dell’alchimia taoista, il cui fornello è l’erede diretto della forgia antica. La sua apoteosi dopo il successo della «grande opera», la fusione di un tripode magico, è oggetto di una biografia leggendaria, molto vicina al testo della storia di Sima Qian: «… Il Libro degli immortali dice: Huangdi raccolse il rame del monte Shou e fuse un tripode ai piedi del monte Jing. Quando il tripode fu terminato, un dragone dalla barba ricadente scese per cercare il sovrano, che si innalzò allora verso il cielo. I suoi numerosi ministri e ufficiali si attaccarono tutti alla barba del dragone e salirono insieme al sovrano. Siccome avevano afferrato l’arco del sovrano, successe che la barba del dragone fu strappata e che l’arco cadde (insieme a loro). I numerosi ministri non poterono quindi seguire il sovrano e, guardandolo salire, lanciarono pietose grida. È per questo che le generazioni successive fecero di questo luogo il ‘lago del tripode’ e diedero all’arco il nome di ‘Grido del corvo’». (Le Lie-sien Tchouan, Collège de France, Institut des Hautes Études chinoises, ristampa dell’ed. del 1953 con corrigenda e nuovo indice, Paris 1987, p. 51)

Bruciaprofumo detto Boshanlu

Bronzo intarsiato d’oro; h. 26,6 cm, diam. del corpo 15,5 cm, diam. della base 9,7 cm. Verso il 113 a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperto nel 1968 nella tomba n. 1 di Lingshan a Mancheng (Hebei). Shijiazhuang, Museo provinciale dello Hebei. Appartenente alla stirpe imperiale e fratello dell’imperatore Wudi, il principe Liu Sheng e la sua sposa, Dou Wan, sono stati sepolti in due veri e propri palazzi sotterranei ricchi di quasi tremila pezzi di arredo, al primo posto dei quali figurano tesori dell’arte del bronzo provenienti dagli atelier della capitale. Eccezionale per la sua fusione e il suo decoro, il bruciaprofumo in bronzo intarsiato d’oro ha conservato tracce del suo utilizzo. Coppa con coperchio poggiata su un piede traforato, esso ha la forma di una montagna irta di picchi e punteggiata da minuscoli fori da cui usciva il fumo dell’incenso, come se una nebbia leggera si diffondesse sulle sue cime; circondata da «soffi-nuvole» intarsiati in cui volteggiano, quasi invisibili, piccoli animali e figure dall’ap-

98

parenza umana, questa visione della montagna è associata ai picchi cosmici sacri, come indica il suo appellativo di Boshanlu o «fornello della montagna Immensa». La moda dei profumi, dell’incenso o di sostanze allucinogene, importate dall’Asia centrale o dall’Asia del sud, in alcuni rituali di corte a cui sovrintendevano maghi o maestri di ricette, è attestata sotto Wudi, il più appassionato dell’immortalità tra gli imperatori Han. Il bruciaprofumo è uno dei supporti materiali della comunione con le potenze del mondo etereo, così come descritto da un poema un po’ più tardo attribuito a Liu Xiang (77-6 a.C.): Elegante, questo oggetto dritto, a forma di montagna scoscesa. In alto, somiglia al monte Huashan, in basso, poggia su un catino di bronzo. All’interno, degli aromi: fuoco rosso e fumo nero; finemente inciso su ogni lato, esso permette di comunicare con il Cielo azzurro! Contemplo i diecimila animali cesellati sulla superficie: la mia vista supera quella di Li Ho (personaggio leggendario dotato di una vista eccezionale). (Yi wen leiju, Le corps taoïste, Fayard, 1 Paris 982, p. 278, nota 12)

Lampada detta del palazzo Changxin

Bronzo dorato; h. 48 cm, peso 15,85 kg. Datata alla seconda metà del ii secolo a.C., regno di Wendi (179-157), dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperta nella tomba n. 2 di Lingshan, Mancheng (Hebei). Shijiazhuang, Museo provinciale dello Hebei. Scoperta nella tomba della sposa di Liu Sheng, Dou Wan, la giovane dama di compagnia che tiene una lampada è un regalo principesco venuto dalla corte. Le sue sei iscrizioni ci informano sulle sue origini e sulla sua ultima provenienza, il palazzo Changxin o della «Fedeltà eterna», residenza dell’imperatrice madre Dou, nonna della principessa. Di fattura eccezionale, fusa a cera persa e dorata con un miscuglio di polvere d’oro e di mercurio, essa testimonia il gusto dell’alta aristocrazia Han per le materie calde e preziose poste al servizio sia della bellezza sensuale che di quella funzionale. La dama di compagnia, accovacciata sui talloni, tiene nella mano sinistra la coppetta di una lampada; il braccio destro alzato fa da camino di sfogo; cavo, come tutto il resto del corpo, esso raccoglie ceneri e depositi, mentre la parte centrale della lampada è fornita di alette mobili che permettono di variare l’intensità e l’orientamento della luce.

99


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.)

Vivere nella tomba o accedere all’immortalità richiede l’integrità del corpo e delle anime. Si tratta di separare la tomba dal mondo dei vivi proteggendola dalla distruzione; le cripte sono nascoste nelle profondità della terra o scavate nella roccia. Nei funerali importanti, si moltiplicano i sarcofagi interni (guan) ed esterni (guo) e vengono messi a punto nuovi procedimenti per conservare il corpo stesso dei defunti. Lo testimoniano due complessi praticamente contemporanei del ii secolo a.C.: le tombe della famiglia Dai a Mawangdui, Changsha (Hunan), e le tombe reali di Mancheng (Hebei). Essi illustrano i rapporti sempre più complessi che all’epoca si vengono a creare tra la sistemazione delle sepolture, la disposizione degli oggetti degli arredi funerari e le sequenze rituali, per collegare il defunto – nello spazio della sua tomba e nel tempo della sua morte – ai ritmi vitali dell’universo.

I confini meridionali Le scoperte archeologiche attestano le relazioni che la Cina degli Han intrattiene con culture nuove che stimolano la sua arte e la sua visione del mondo. Si afferma la vocazione accentratrice della sua politica e, dopo aver distribuito al momento della creazione dell’impero feudi e appannaggi ai loro alleati, gli imperatori Han tendono ora a ridurne la potenza. I successori di Gazou rafforzano al contempo l’amministrazione e l’esercito e sostituiscono alcuni signori dei feudi con membri del loro clan. Di fatto, il territorio sotto giurisdizione imperiale si estende considerevolmente e la ricchezza dell’impero ne risulta durevolmente accresciuta. I domini del basso Changjiang, i feudi di Wu e di Chu (Jangsu) passano così, nel 154 a.C. sotto l’autorità della casata Han e dell’imperatore Jingdi (r. 15-141). Sotto Wudi (r. 141-87), che riduce ulteriormente il potere dei feudi, prosegue l’espansione verso sud; è la conquista del sud dello Zhejiang e del Fujian con la distruzione nel 110 degli Yue di Min che avevano creato, nel iii e nel ii secolo, un potente regno sulle coste orientali. Più a sud,

100

Lampada da appendere

Bronzo; h. 29 cm, l. 28 cm. ii secolo, fine degli Han dell’Est. Changsha, Museo provinciale dello Hunan. Sostenuto da tre catene di bronzo attaccate a un disco sul quale sta appollaiato un uccello con la coda aperta, il personaggio allungato, che indossa soltanto un perizoma e tiene fra le braccia la coppella di una lampada, non appartiene, come è evidente, all’etnia Han. I suoi capelli ricci, gli occhi larghi e profondi e il naso dritto lo apparentano piuttosto ai popoli dell’Asia del Sud, senza dubbio del bacino del fiume Rosso, con i quali il regno meridionale di Nanyue aveva intrattenuto stretti rapporti politici e culturali, come dimostrano le scoperte delle tombe di Dông-son, risalenti ai primi secoli precedenti la nostra era, e il cui arredo si trova oggi nel museo nazionale di Hanoi (Vietnam).

«Armatura di giada»

Tomba di Liu Sui, re di Liang (morto nel 160 a.C.), scoperta nel 1985 a Xishan, contea di Yongcheng, città di Shangqiu, Henan. Dinastia degli Han dell’Ovest. Zhengzhou, Museo provinciale dello Henan. L’abbondanza della giada nelle sepolture principesche del periodo degli Han dell’Ovest è stupefacente. Il corpo dei re o dei principi, e a volte anche quello delle loro spose, era rivestito da una «casacca» o «armatura di giada» (yuyi o yujia), secondo la definizione più tarda del Trattato dei Riti della Storia degli Han Posteriori che ne riserva l’uso all’imperatore e agli aristocratici di rango più elevato della casata Han. Al contrario di quei modelli prestigiosi, le cui due o tre migliaia di placche erano unite tra loro da nodi di fili d’oro, come quella del re di Liang qui presentata, altre, tra cui quella del re di Nanyue Zhao Mo (r. 137-122), erano di più semplice fattura. Concepita per proteggere dalle forze maligne e demoniache che, secondo le credenze del tempo, provocano la malattia, la morte e la decomposizione, l’armatura di giada è a tenuta perfettamente stagna; di fatto, essa mira sia alla protezione che alla trasformazione del corpo. Chiamate per sineddoche «oro e giada», le pratiche alchemiche si occupano, con differenti procedimenti, della trasmutazione della carne in giada e delle ossa in oro. Attraverso un processo di mutamento che opera sia su un piano simbolico sia reale, sembrerebbe che, incorporandosi a essa gli elementi del corpo di carne del defunto, l’armatura faccia vedere il suo nuovo aspetto nella vita dell’oltretomba.

intorno a Panyu, l’attuale Guangzhou (o Canton nel Guangdong), si estende, dalla fine del iii secolo, il regno di Nanyue o degli Yue del Sud fondato da Zhao Tuo, di origine cinese (r. 203-137), che si vede conferire dall’imperatore Gaozu nel 196 il titolo di «re» e che attrae nella sua orbita i popoli Yue del Guangdong ma anche del Guanxi, e perfino le popolazioni del basso fiume Rosso, intorno all’attuale Hanoi (Vietnam). Dedito alle attività marinare, la pesca e il commercio, il Nanyue possiede grandi porti tra l’estuario del Fiume delle Perle (Zhujiang) e il golfo del Tonchino dove transitano verso la Cina prodotti preziosi (zanne di elefante, squame di tartaruga, corni di rinoceronte, incenso, spezie, perle, oro e argento). Incluso già da vari decenni nella sfera politica e culturale degli Han, nel 111 l’intervento

101


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Ornamento con dragone, felino e uccello traforati

Giada; diam. 10,6 cm, spessore 0,5 cm. iv-ii secolo a.C., fine del periodo dei Regni Combattenti o dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperto nel 1983 nella tomba del re di Nanyue a Xianggang, Guangzhou, Guangdong. Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue. Posto accanto alla testa dell’armatura di giada, l’ornamento si ricollega per il tema, il combattimento fra animali, e il suo trattamento, perfettamente cinesizzato, alla grande tradizione dei dischi di giada traforati della fine dei Regni Combattenti. La qualità della pietra, la sua grana vellutata e il taglio senza difetti dalla rifinitura impeccabile accentuano il dinamismo dei ritmi e l’arditezza delle linee. Visto di profilo, il corpo del dragone disegna una grande s nell’anello centrale mentre la sua zampa posteriore e la coda arrotolata si rincorrono nell’anello esterno; la zampa anteriore, che sporge anch’essa dall’anello centrale, tiene stretta una fenice all’altezza delle sue fauci spalancate: con la testa dal becco aggressivo, volta all’indietro, l’uccello ha un ciuffo e una lunga coda che si dispiegano in ampie volute vorticose.

Coppa per bere a forma di di corno o rython

armato di Wudi lo incorpora definitivamente all’impero. Da quel momento la colonizzazione si estende fino all’isola di Hainan e nel Tonchino, aprendo l’Asia del Sud alle influenze cinesi e permettendo, di rimando, alla Cina degli Han di arrivare alla vasta rete di rotte marittime che si crea attraverso l’Oceano Indiano. Scoperta nel 1983 sulla piccola altura di Xianggang a nord di Guangzhou (Canton), la tomba di Zhao Mo (r. 137-122), secondo sovrano del Nanyue, suggerisce che il suo occupante aspirasse a un riconoscimento di rango pari a quello dei principi Han. Al contrario delle tombe locali di terra nelle quali sono disposti sarcofagi di legno o giare funerarie, la tomba è di pietra. Essa obbedisce alle regole correnti delle sepolture principesche Han, con la sua pianta assiale e la sua disposizione generale di palazzo sotterraneo. La camera centrale custodisce le spoglie del re deposte in due sarcofagi inseriti l’uno nell’altro: le stanze

102

Giada; h. 18,4 cm, diam. tra 5,8 e 6,7 cm. ca. 122 a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Scoperta nel 1983 nella tomba del re di Nanyue a Xianggang, Guangzhou (Guangdong). Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue. Associati alle virtù della giada, nell’arredo funerario del re Zhao Mo si trovano due pezzi di provenienza – o di ispirazione – straniera: una piccola scatola d’argento contenente delle sostanze di immortalità e una coppa per bere a forma di corno o di rython, senza dubbio copiata da un originale di metallo venuto dall’Iran o dall’Asia centrale ellenizzata. Come le parure e i recipienti per cibi e bevande, la coppa permette un contatto fisico diretto con la giada, pietra tra tutte benefica e che rappresenta la quintessenza del principio yang o della forza attiva nelle pratiche taoiste di Lunga Vita. In modo ancora più efficiente, e come raccomanda l’antico Rituale degli Zhou, consumata in polvere o in decotto in occasione del digiuno che precede le cerimonie di culto, la giada ha il potere di purificare per favorire la comunione tra il sovrano e le anime dei suoi antenati.

laterali, quelle di quattro dame, debitamente sepolte, e di altri assistenti, brutalmente sacrificati. Ricco di quasi duemila oggetti, il suo arredo si caratterizza per ricchezza e splendore (bronzo, oro e argento), con un numero impressionante di giade la cui qualità rivaleggia con quelle scoperte nelle tombe principesche di Mancheng (Hebei). Del resto, come il principe Liu Sheng e la sua sposa, e come altri re del centro-sud, di Chu, di Lu e di Liang, il corpo del defunto era ricoperto da un’armatura costituita da migliaia di placchette di giada (yujia o yuyi). Attributi della vita di corte ed emblemi di prestigio e di potere, gli ornamenti, le parure e le armi di giada del re Zhao Mo – che siano stati indossati o no nel corso della sua vita – rivelano la preminenza del suo rango; gli assicurano nella morte identità e status, protezione e influenze benefiche, riallacciandosi così alle credenze che avevano presieduto alle «sepolture sotto la giada» delle culture neolitiche del Sud-Est. Alcuni pezzi (disco bi, tubo cong o lamelle dell’armatura) risalgono d’altronde a quei periodi e sono stati oggetto di un reimpiego; altri, meno antichi ma anteriori al regno di Zhao Mo, furono senza dubbio trasmessi in eredità o ricevuti in dono da altre corti principesche come quella di Chu; infine, accanto alle giade esclusivamente cinesi, figurano pezzi esotici (rython di giada, bottoni d’oro e scatola d’argento) originari forse dell’Asia centrale o dell’Iran. Ai margini della civiltà Han, e designata con l’appellativo generico di regno di Dian, si sviluppa nel Sud-Ovest cinese una cultura singolare. Si tratta di fatto di un mosaico etnico di clan di agricoltori, metallurghi e allevatori nomadi o seminomadi che vivevano in interrelazione, nelle marche del Sichuan (Qiong o Qiongdu), del Guizhou (Yelang) e nello Yunnan (Kunming e Sui a ovest, Dian a est, nella pianura dell’attuale Kunming). Soltanto le scoperte archeologiche hanno potuto mettere in giusta luce i brillanti sviluppi di queste culture nel corso dei quattro o cinque secoli che precedono la nostra era, mentre le fonti storiche cinesi rimangono molto laconiche a loro riguardo fino alla conquista del 109 che ne segna la scomparsa. Gli scavi degli anni Cinquanta rivelano questo complesso con la scoperta della città di Dianchi, intorno al lago eponimo, e del cimitero reale sulla vicinissima collina di Shizhaishan (distretto di Jinning). Successivamente sono state scoperte altre sepolture, come quelle, per esempio, a Lijiashan (distretto di Jiangchuan), a Taijishan (distretto di Anning), a Wanjiaba, (prefettura di Chuxiong) e a Dapona (distretto di Xiangyun). In totale, sono e state portate alla luce circa 880 tombe, risalenti principalmente agli Han dell’Ovest, e più di settemila oggetti funerari, essenzialmente bronzi, provenienti dalle regioni dei laghi Dian e Erhai. Testimonianza di una perfetta padronanza delle tecnologie del metallo, le realiz-

103


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Figura d’ uomo portatore del baldacchino

Bronzo; h. 66 cm. secolo a.C. Scoperta nel 1992 nella tomba n. 51 di Lijiashan, Distretto di Jianchuang (Yunnan). Jianchuang, Museo del distretto. Portatori di baldacchino inginocchiati, uomini o donne, generalmente a coppie, si trovavano da una parte e dall’altra del sarcofago, come nella tomba 51 di Lijiashan. La statua dell’uomo a tutto tondo poggia su un piedistallo a forma di tamburo di bronzo, oggetto emblematico della cultura di Dian, utilizzato per far cadere la pioggia. Con uno chignon e un grande anello all’orecchio, lo scialle con decoro di serpenti e la spada al fianco, sembrerebbe trattarsi di un guerriero. Al contrario delle produzioni Han, che obbediscono a un ritualismo o a credenze religiose di cui si fanno eco i testi, la cultura di Dian si scopre attraverso i soli pezzi dei suoi ricchi arredi funerari. Il bronzo presiede a numerose realizzazioni, elementi di sarcofagi, modelli architettonici con le case su palafitte, soggetti a tutto tondo, parure o placche ornamentali, armi e strumenti musicali, ma le scoperte recenti attestano l’uso di altri materiali, come la ceramica, la lacca, i metalli preziosi (oro e argento) e le pietre (giada, malachite, agata). iii-i

Tamburo con coperchio raffigurante una scena di processione

Bronzo; h. 40 cm. iii-i secolo a.C. Scoperto nel 1992 nella tomba 69 a Lijiashan, Distretto di Jianchuang (Yunnan) Jianchuang, Museo del distretto. Poste sui coperchi di tamburi, di scrigni per cauris o di cilindri di bronzo, delle figurette a tre dimensioni animano le scene della vita dei popoli di Dian. Esse rappresentano feste e danze, cacce e combattimenti, ronde di cavalieri e sacrifici rituali in cui il bufalo svolge un ruolo centrale come vittima sacrificale. Protetto da un parasole, il personaggio centrale di questa processione, senza dubbio rituale, è una donna. In bronzo dorato, la figura è seduta su un seggio trainato da quattro uomini; due cavalieri, accompagnati da portatori di offerte, aprono il corteo. Un raro senso del volume e del modellato, unito al vigore del trattamento, accresce il movimento dell’insieme. Quest’arte narrativa in cui domina il naturalismo è vicina a certe produzioni dei popoli nomadi, come i piccoli altari da incenso scoperti nell’attuale Kazakistan, con le loro figurine di animali disposte sul piatto superiore.

104

105



L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Tomba di Huo Qubing (ca. 141-117 a.C.)

Cliché di Victor Segalen, 6 mars 1914. Cimitero dell’imperatore Wudi, Maoling, (Shaanxi). Folgorato dalla malattia a ventiquattro anni, dopo essersi distinto nelle campagne contro gli Xiongnu, il generale Huo Qubing viene sepolto nel Maoling, l’immensa necropoli del suo sovrano, l’imperatore Wudi. Distinguendosi tra tutti, il tumulo è coperto da enormi pietre non squadrate, oggi spostate, scomparse o sprofondate nel loëss. Secondo la felice definizione di Victor Segalen che lo fotografò nel 1914, si tratta di «un monte in paese barbaro», un’evocazione dei monti Qilian che separano il corridoio dello Hexi (Gansu) dai deserti e dalle steppe del grande nord-ovest. La sua trasposizione metaforica permette di affermare il dominio cinese su queste contrade «barbare» e di celebrare per sempre le vittorie del giovane generale. Oltre ai quattro blocchi che formano una struttura rettangolare, forse un altare che reca in iscrizione i nomi di Su Boya e Huo Jumeng – i suoi esecutori o i suoi finanziatori –, rimangono tutt’intorno una quindicina di statue che raffigurano soprattutto animali e alcuni uomini, mostri o giganti, trattati con una grande economia di mezzi nello stile del naturalismo monumentale.

zazioni, di manifattura locale sono al servizio di un’aristocrazia guerriera che possiede, tra altre ricchezze, armi e ornamenti, tamburi e recipienti contenenti moneta-conchiglia; spesso i coperchi di questi recipienti sono ornati da figurette a tre dimensioni che illustrano la vita rituale dei clan (cacce, processioni, sacrifici, danze, tessitura). L’arte di Dian si riallaccia a quella delle culture limitrofe, di Nanyue, del nord del Vietnam e della Birmania; essa presenta anche notevoli affinità con le produzioni delle marche occidentali e settentrionali della Cina, aperte sull’Asia centrale e sul territorio delle steppe.

Il mondo delle steppe, le vie della Seta e l’Asia centrale Originari dell’Oriente mongolo, gli Xiongnu creano intorno al iii secolo a.C. una vasta confederazione di popoli nomadi e seminomadi attraverso le steppe nelle marche dell’impero cinese. Sotto l’autorità del loro «capo supremo», lo Shanyu Maodun (209-174 a.C.), essa estende il suo dominio dall’Orkhon, in alta Mongolia, fino all’ansa del fiume Giallo (Ordos) e del corso inferiore dell’Amour (Heilongjiang) a est, e fino al lago Balkhash (Kazakhstan) a ovest, inglobando anche le oasi del bacino del Tarim (Xinjiang) e il corridoio dello Hexi (Gansu). Di fronte ai nuovi signori delle steppe, la politica imperiale cinese oscilla tra conciliazione e coercizione. L’imperatore Wu rompe con il sistema dello heqin o della «pace conclusa grazie alla parentela» che implica, a ogni trattato che suggella un’unione matrimoniale, la concessione di inestimabili doni. Egli vuole separare gli Xiongnu dai loro tributari e alleati e lancia importanti operazioni militari. Il giovane generale Huo Qubing (ca. 141-117) riporta brillanti vittorie e mette in sicurezza, nel –121, il corridoio dello Hexi; i suoi meriti al servizio dell’impero gli valgono funerali di stato e una tomba nel campo funerario di Wudi nel Maoling (Shaanxi); il suo tumulo, che riproduce il luogo dei suoi successi, il monte Qilian nel Gansu, è punteggiato da statue monumentali e massicce; al primo posto di queste figura l’eterna ed emblematica coppia del cavallo e del «barbaro». Un altro eroe della storia Han, Zhang Qian, trova anch’egli, dopo la sua morte nel 103, un posto d’onore vicino a Wudi. Mandato nel 138 a suggellare l’alleanza con gli Yuezhi, allo scopo di prendere gli Xiongnu alle spalle, egli arriva, al termine di un’epopea di tredici anni,

108

Cavallo e guerriero nomade

Granito dei monti Jingling; h. 168 cm, l. 190 cm, prof. 50 cm. Visibile all’entrata del «sentiero delle anime» e facente parte, all’origine, di una coppia, la statua più celebre rappresenta un cavallo in piedi che tiene tra le zampe un uomo riverso, di sicuro un guerriero nomade, che gli conficca la sua arma nel petto. Scolpita in un solo pezzo come in un viluppo che trasmette il suo movimento e la sua stabilità all’insieme, il gruppo suggella l’unione di due potenze, quella animale e quella umana, che si scambiano i propri attributi in un corpo a corpo che è anche una stretta mortale.

109


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Poema della principessa Xijun La poesia Han evoca l’aspra vita alle frontiere, le battaglie cruente contro i «Barbari» e il destino crudele delle principesse cinesi maritate in terra nomade. Verso il 105 a.C., l’imperatore Wudi invia la principessa Xijun, figlia di un aristocratico della Cina centrale, a suggellare l’alleanza e contrarre matrimonio con il capo dei Wusun. In un canto dal tono tanto trattenuto quanto disperato, la principessa si rappresenta come un cigno giallo, che, in autunno, migra dai lontani confini del nord-ovest verso il suo paese natale: La mia famiglia mi ha maritata All’altro capo del mondo. Allo straniero mi ha affidata Al lontano re barbaro. La tenda rotonda è il mio palazzo, I suoi muri sono di feltro. La carne cruda è il mio unico cibo. La mia bevanda il kumis. Senza tregua sogno la mia patria, Il mio cuore ne è straziato. Potessi essere il cigno giallo, Che ritorna al suo paese! (In Anthologie de la poésie chinoise classique, Gallimard (nrf Poésie), Paris 1962, p. 80)

Esercito funerario (veduta parziale)

Cavallo

Bronzo dorato; h. 62 cm, l. 76 cm, peso 25 kg. ii-i secolo a.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Dissotterrato nel 1981 da una fossa accanto alla tomba n. 1 di Maoling, a est del sepolcro dell’imperatore Wudi, Distretto di Xingping (Shaanxi). Museo del Maoling.

110

Scoperta nel Maoling, la statua di un cavallo in bronzo dorato è a tutt’oggi, un pezzo unico. Naturalismo e stilizzazione si uniscono per dar vita e presenza a un animale, di un terzo più piccolo della sua taglia, che è al contempo reale e favoloso. Ricercati dagli imperatori che ne apprezzano la superiorità nei combattimenti contro i cavalieri della steppa, i cavalli Han provengono dagli

allevamenti Wusun dell’alta valle dell’Ili, a nord dei Tianshan (Xinjiang), e anche dal lontano Ferghana, in Sogdiana (Dayuan). Sul piano più simbolico, le «Contrade occidentali» alimentano, nell’immaginario religioso del tempo, i sogni della Lunga Vita. Cavalcatura degli immortali, capace di innalzarsi verso il cielo o di lanciarsi all’assalto della montagna mitica del Nord-Ovest,

il Kunlun, il cavallo è protagonista di queste credenze. Secondo alcune leggende mitologiche, esistevano dei cavalli «celesti», nati dall’accoppiamento di dragoni e giumente, che sorgevano dal fiume per portare ai saggi sovrani carte e talismani che permettevano di accedere alle ricchezze infinite del mondo.

Bronzo; h. del «cavallo celeste» 34,5 cm. i-iii secolo d.C., dinastia degli Han dell’Est. Portata alla luce nel 1969 a Leitai, Distretto di Wuwei (Gansu). Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. La tomba di un personaggio di alto rango che aveva svolto le funzioni di governatore militare del corridoio dello Hexi conteneva un’eccezionale guardia militare, composta da modelli in bronzo ridotti, di eccellente fattura. Guidata dal famoso «cavallo celeste», colto nella postura del galoppo in volo, l’esercito miniaturizzato è costituito da 39 cavalli, 14 carri, 17 cavalieri e 20 servitori, disposti in formazione d’attacco. Eserciti miniaturizzati con migliaia di figurine di terracotta sono stati scoperti nelle tombe degli Han dell’Ovest nello Shaanxi, come quelle del generale Zhou Bo e del figlio adottivo Zhou Yafu, a Xiangyang; ancora più importante, e portato alla luce a partire dal 1990 nello Yangling, è il tumulo dell’imperatore Jingdi (r. 156141): l’esercito sistemato nelle fosse di accompagnamento è composto da fanti e cavalieri, con la presenza nelle loro fila di cavalieri provenienti dalla steppa. Pur non arrivando alle proporzioni smisurate dell’esercito del Primo Imperatore, in quanto le statuette sono di taglia ridotta e tutte identiche, queste formazioni militari testimoniano il ruolo determinante della cavalleria che permise la vittoria sugli Xiongnu e l’apertura delle strade delle oasi.

fino in Sogdiana (Dayuan) e in Bactriana (Daxia). Nel 115, una seconda missione lo porta tra i Wusun, pastori dell’alta valle dell’Ili a nord di Tianshan (Xinjiang). Anche se si chiudono con degli insuccessi diplomatici, le sue missioni e i loro resoconti aprono tuttavia alla Cina la conoscenza dei vasti territori occidentali. Sempre compromessa e mai veramente acquisita, la superiorità degli Han su coloro che essi chiamano «barbari» (hu) deriva dall’imposizione congiunta della forza militare e di forti strutture amministrative. Le tappe dell’espansione si riflettono nella fondazione di colonie protette da mura e fortini e popolate essenzialmente da soldati-contadini, come a Wuwei, Zhangye, Jiuquan e Dunhuang nel Gansu. Sotto il controllo dell’autorità dinastica, esse servono da stazioni di posta in direzione del bacino del Tarim e delle città-stato di Loulan e Niya (Xinjiang). Nel primo secolo della nostra era, gli Han dell’Est mantengono, con le armi, una pace fragile in Asia centrale grazie al generale Ban Chao (73-102), comandante dei territori occidentali, mentre il suo luogotenente Gan Ying, incaricato intorno al 97 dell’esplorazione verso ovest, arriva fino al Golfo Persico. Gli scambi strategici, diplomatici e commerciali si susseguono e si intensificano lungo le strade carovaniere mettendo in relazione più o meno diretta l’impero cinese con le grandi potenze dell’Eurasia, con gli imperi Koushan (Yuezhi), partico degli Arsacidi (Anxi) e romano (Daqin). La Cina fa talvolta importanti ritorni all’antica politica di pacificazione mediante il versamento di tributi. Lo dimostra l’arredo funerario dei kurganes dell’aristocrazia Xiongnu scavati da Piotr Koslov (1863-1935) a Noin Ula (Mongolia) tra il 1924 e il 1926. Pur conservando le tradizioni delle steppe, questi discendenti delle culture scito-siberiane sono sepolti con i loro beni più preziosi, acquisiti grazie alle ricchezze cinesi o giunti dalla Cina (lacche, specchi di bronzo e seterie). Lo stesso avviene per il centinaio di tombe della necropoli Xiongnu di Egiin Gol, situata a ovest di Noin Ula e scavata tra il 2000 e il 2012 da missioni franco-mongole. Questi stessi oggetti di lusso cinese fanno parte dei tesori dell’antico Afghanistan sotto il dominio Koushan, Tilia Tepe e Begram, crocevia artistici e umani tra l’Iran e il Mediterraneo, l’India e la Cina. Alcuni cimiteri Xiongnu antecedenti la nostra era sono stati scoperti alle frontiere dell’impero, a Xichagou (distretto di Xifeng, Liaoning), Daotunzi (distretto di Tongxin, Ningxia) e nella Mongolia Interna intorno a Huhehot (Xigoupan, Aluchaideng). Come nelle tombe isolate portate alla luce nello Shaanxi (Yanchuan, distretto di Yan’an o Keshengzhuang, Xi’an), gli arredi funerari attestano una geometrizzazione dello stile animalier propria dell’arte Xiongnu e crescenti influenze, a partire dal i secolo, delle creazioni cinesi nei temi o nei loro trattamenti. Nel ii secolo, del resto, il peso degli Xiongnu nel mondo delle steppe declina

111


L’arte cinese

Gli imperatori Qin e Han (221 a.C.-220 d.C.) Bracciale (dettaglio)

Tessuto di seta policroma operato; dimensioni del pezzo 18,5 x 12,5 cm. iii-v secolo d.C., dinastia degli Han dell’Est o dei Jin. Scoperto nel 1995 nella tomba n. 8 del cimitero n. 1 di Niya, Distretto di Minfeng (R.A. Uiguri dello Xinjiang). Urumqi, Istituto Archeologico della R.A. Uiguri dello Xinjiang. Le scoperte nei cimiteri di Niya, che è, insieme a Loulan, una delle prime teste di ponte create dagli Han nel bacino del Tarim, testimoniano la diffusione delle produzioni cinesi lungo il ramo sud della Via della Seta. Notevole per il suo stato di conservazione, il reperto di tessuto di seta che era servito a confezionare un bracciale per il defunto – ma anche l’astuccio di un pettine – appartiene al gruppo delle complicatissime seterie Han operate jin, dette «a effetto catene». Creature favolose si dispiegano su un fondo blu di Prussia tra nembi e volute e si accompagnano a un’iscrizione intessuta che, al contrario dei testi di voto più abituali, illustra il pensiero correlativo del tempo: «Cinque stelle che si levano a oriente, benefiche per la Cina».

Fibbia di cintura

Oro e turchese; h. 6 cm, l. 9,8 cm. iii secolo a.C.-i secolo d.C., dinastia degli Han dell’Ovest. Portata alla luce nel 1976, presso il sito di Heigeda, Distretto di Yanqi (R.A. Uiguri dello Xinjiang). Urumqi, Museo della R.A. Uiguri dello Xinjiang. Magnifico esempio delle produzioni orafe cinesi, la fibbia d’oro è stata fusa a cera persa. La padronanza delle tecniche occidentali della filigrana e della granulazione, attestate nei tesori della Bactriana antica, permette di mettere in evidenza i corpi in rilievo dei dragoni intrecciati, arricchiti da intarsi di turchesi. Armi, gioielli e parure sono tra i beni più preziosi dei membri dell’aristocrazia nomade e si incontrano dall’Asia centrale (le steppe di Karadhar, da cui proviene il nostro esempio), alla Cina centrale (tomba di Liu Hong ad Anxiang, Hunan) fino alla commenda cinese di Lelang in Corea; scoperta nella tomba n. 9 di Seokam-ri (Sogan-ni), risalente al i e ii secolo della nostra era, una fibbia quasi identica è oggi conservata al Museo nazionale della Corea a Seul.

112

mentre prosperano altri popoli, loro antichi alleati o loro rivali, come i Wusun, i Wuhuan e gli Xianbei. La scoperta delle tombe degli ufficiali e amministratori in Corea (Lelang), in Manciuria (Liaolang) e nella Mongolia Interna (Horinger) mostra la vita delle élite cinesi nelle marche del Nord-Est. Come nella Cina metropolitana, l’arredo funerario e i decori dipinti d’ispirazione Han, testimoniano l’immagine pubblica e lo status sociale del defunto, celebrando le sue virtù al servizio della dinastia. Con un effetto specchio, l’arte funeraria Han elabora una rappresentazione del «barbaro» che diventa un archetipo del cavaliere della steppa, guerriero dal corpo possente e dai tratti marcati. Rispettoso e sottomesso, il «barbaro» è portatore, atlante o guardiano protettore; a volte lo si mostra nelle sue prosaiche attività di addetto al bestiame o saltimbanco. Il suo carattere insolito e misterioso lo collega spesso agli esseri divini e alle creature fantastiche dei cieli dell’immortalità governati dalla Madre-Regina dell’Ovest, Xiwangmu, per assicurare longevità e prosperità alle anime dei defunti. Interviene anche in scene di battaglia, reali o simboliche, contro gli eserciti Han. Infine, compare frequentemente sulla falesia incisa di Kongwangshan (Jiangsu) con rappresentazioni d’ispirazione buddista e taoista la cui unione prefigura le grandi tendenze delle arti religiose cinesi dopo gli Han.

113


Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo)

Capitolo quarto

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Le Dinastie del Sud e la risonanza dello spirito nelle arti del pennello Per più di tre secoli e mezzo, dal 220, data ufficiale della caduta degli Han, al 589 che segna l’investitura dei Sui (589-618), preludio alla grandezza dei Tang (618-907), la Cina conosce lunghi periodi di frammentazione. Suddivisa dapprima in Tre Regni (Wei, Shu e Wu, 222-265), poi riunificata sotto la dinastia dei Jin occidentali (265-316), essa assiste alla distruzione delle sue capitali storiche, Xi’an e Luoyang, e all’occupazione dei suoi territori settentrionali da parte di popoli di ascendenza nomade ben presto sottomessi dai Tuoba Xianbei, fondatori dell’impero degli Wei del Nord (386-534). Trovando rifugio nella bassa valle del Changjiang, nelle province del sud-est intorno alla nuova capitale, Jiankang (attuale Nanjing, Jiangsu), i sovrani dei Jin orientali (316-419) si insediano solo per lasciare il potere a una serie di casate dinastiche cinesi conosciute con il nome di Dinastie del Sud (420-589). Contraddistinti dalla disgregazione dei poteri politici e delle classi sociali tradizionali, dalla circolazione e mescolanza di popoli – esodi, migrazioni e spostamenti forzati –, questi periodi ricordano i tempi agitati, ma innovatori, dei Regni Combattenti. Se sul piano dell’ideologia politica la tradizione letterata, con i suoi principi di ordine, unità e gerarchia, sembra del tutto incapace di stroncare la violenza dei tempi, i suoi insegnamenti restano tuttavia il fondamento morale dell’intera cultura. Forti movimenti religiosi, come la Via del Maestro Celeste (Tianshi dao) costituitasi nel ii secolo, contribuiscono allo sviluppo del taoismo; a essi si aggiungono correnti speculative come l’«Alta Purezza» (Shangqing) e

Paravento di Sima Jinlong (dettaglio) «Ammonizioni alle dame di palazzo» (Nüshi zhen tu)

Rotolo montato su pannelli (dettaglio). Inchiostro e colori su seta; h. 24,9, l. 348 cm. Copia del vi-viii secolo di un originale attribuito a Gu Kaizhi (ca. 345-ca. 406). London, Trustees of the British Museum (inv. Asia oa 1903.4-8.1 Chinese Painting 1). Con i suoi numerosi sigilli di collezionisti, tra cui quelli dell’imperatore Qianlong (r. 1736-1796), il rotolo delle Ammonizioni è uno dei più venerabili della pittura classica. Copia posteriore di un’opera attribuita al primo grande maestro del pennello, Gu Kaizhi, il suo stile deve tutto alla delicatezza del disegno lineare, arricchito da lavis di colori sobri. Scene dipinte si alternano a passi di un testo calligrafato per permettere di vedere e leggere contemporaneamente quale deve essere il giusto comportamento delle dame di corte. La sua fonte è un’opera del 292 – dovuta a Zhang Hua (232-300), letterato funzionario e poeta dei Jin – che, stigmatizzando una sovrana dalla condotta notoriamente riprovevole, si inserisce nella tradizione della letterature didattica Han di ispirazione confuciana. L’iscrizione legata alla scena finale in cui una dama, con il pennello in mano, sta scrivendo un testo di fronte a due giovani donne, ce ne dà il titolo: «Ammonizioni che osa proclamare l’istruttrice all’indirizzo delle dame del palazzo».

Legno laccato dipinto, formato da tre pannelli ciascuno di 81,5 x 40,5 cm. ca. 474-484, dinastia degli Wei del Nord. Scoperto nel 1966 nella tomba di Sima Jinlong a Datong (Shanxi). Taiyuan, Museo provinciale dello Shanxi. In parte saccheggiata, la tomba di Sima Jinlong (morto nel 484) e della sua sposa, Ji Chen, conteneva ancora un ricco arredo fra cui un paravento dipinto su ambedue le facce e posto a lato del letto funebre. Notevoli per il trattamento fluido dei personaggi animati dal movimento delle linee, i suoi temi principali, donne eminenti, ministri leali e figli rispettosi si rifanno alla tradizione letterata. I registri superiori del pannello qui presentato mostrano l’imperatore mitico Shun, modello di pietà filiale, e le sue due spose devote e virtuose. Sotto, compaiono tre donne della storia idealizzata degli Zhou dell’Ovest, Dame Jiang e Ren, nonna e madre del re Wen, e Dama Si, madre di Wu e del duca di Zhou. Citazione della sezione intitolata «Regole per le madri» delle Biografie delle donne esemplari, composte senza dubbio dopo la caduta degli Han, il testo del cartiglio, a fronte, esalta le loro nobili origini e le loro qualità di impareggiabili educatrici, che vengono esercitate già dal momento in cui restano incinte.

Sei Principii di Xie He (vi secolo) La tradizione attribuisce a Xie He, ritrattista del periodo finale dei Qi del Nord (550-577), la trasmissione dei Sei Principii che governano la pittura e che sono alla base di ogni giudizio di valore sulle opere. La maestria nell’uso del pennello, la resa delle forme, dei colori e della composizione si accompagnano a un’ultima prescrizione che valorizza la copia e la trasmissione delle opere del passato. Quanto al primo principio, allusione all’animazione dell’opera attraverso il soffio stesso della vita, Xie He afferma di primo acchito la supremazia e il carattere assoluto del dono di dipingere, che permette di percepire e ri-creare lo spirito del soggetto: Anticamente Xie He ha detto: «In pittura, ci sono sei canoni, cioè: Animare i soffi armonici; Maneggiare il pennello secondo il principio dell’osso; Raffigurare le forme in conformità con gli oggetti; Applicare i colori in accordo con le categorie; Concepire la disposizione degli elementi da dipingere; Trasmettere con la copia i modelli degli Antichi…». (Catalogo che classifica i pittori antichi (Guhua pinlu) ripreso nel Lidai minghua ji di Zhang Yanyuan, prefazione composta nell’849)

114

115


Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo)

Sette Saggi di Zhulin o della Foresta di Bambù (dettaglio che mostra il poeta Ji Kang o Xi Kang)

Wang Rong (a destra) e Shan Tao (a sinistra)

Fine del iv o inizio del v secolo. Proveniente dalla camera funeraria della tomba rimasta anonima di Xishanjiao a Nanjing, scoperta nel 1960. Nanjing Museum. Realizzato probabilmente sulla base di pitture di templi o di palazzi, il decoro della tomba di Nanjing associa i Sette Saggi della Foresta di Bambù al personaggio dell’antichità Rong Qiqi,

aggiunto al gruppo per equilibrare la composizione e perché, secondo una tradizione taoista del Liezi, simboleggia il completo distacco. Il muro nord presenta i poeti: Xiang Xiu (223?300/228-281), autore di uno stupendo commento dello Zhuangzi, in meditazione, e Liu Ling (225?-280?/221-300), celebre per il suo Elogio della virtù del vino, raffigurato con la coppa in mano; seguono il famoso musicista Ruan Xian (234-305), che suona un liuto al quale ha trasmesso il suo nome, e Rong Qiqj che suona la cetra. Sul muro sud, si

vedono i due alti funzionari letterati, Wang Rong (234-305) con l’emblema della discussione, lo scettro ruyi, e Shan Tao (205-283) che gli tende la sua coppa (vedere qui accanto), e, infine, i due musicisti di talento, Ruan Ji (210-283), che esercita il suo soffio fischiando, e Ji Kang (o Xi Kang, 223-262), che pizzica le corde della sua cetra.

117


L’arte cinese

il «Gioiello Sacro» (Lingbao). I suoi testi fondanti, il Laozi (o Daodejing, Libro della Via e della Virtù) e lo Zhuangzi, sono oggetto di dotti commenti, mente contemporaneamente si raffinano e continuano ad arricchirsi le pratiche di Lunga Vita. Introdotto dall’India intorno alla nostra era e sempre più radicato, a Sud come a Nord, il buddismo interroga e dinamizza le saggezze cinesi. È in queste riflessioni e in queste meditazioni sull’uomo in quanto personalità individuale, libero di compiere le sue scelte esistenziali per realizzare il proprio destino nel mondo o la propria perfezione interiore, che i Cinesi trovano la fonte delle loro arti somme, la calligrafia e la pittura, inseparabili dalla musica, dalla danza e dalla poesia. Il primo maestro del pennello di cui la storia dell’arte conserva il nome è quello dell’insigne calligrafo Wang Xizhi (ca. 397-365/321-379) che, con il settimo figlio, Wang Xianzhi (344-388), porta alla perfezione la scrittura regolare e le sue derivate, la scrittura corrente o semi-corsiva (xingshu) e la corsiva (caoshu). Conosciuto soltanto attraverso copie successive, il suo capolavoro, la Prefazione al poema del Padiglione delle Orchidee, resta, più di sedici secoli dopo la sua composizione nel 353, un riferimento e un modello assoluti. La storia dell’arte mette in evidenza anche il pittore Gu Kaizhi (ca. 344-379), presentato come un genio assoluto, maestro di tutti i generi pittorici – l’illustrazione, il ritratto e il paesaggio – e inventore di notevole peso che trae ispirazione dalle fonti letterarie e poetiche, taoiste e buddiste. Spesso rimessa in discussione, la realtà delle loro opere o della loro vita conta meno della visione nuova dell’arte di cui sono investiti attraverso i secoli. Mutuando il suo linguaggio dalle nuove prassi religiose – concentrazione, ascesi o possesso –, proprie delle correnti taoiste e buddiste, la critica estetica si concentra sul carattere sacro della loro ispirazione e della loro creazione. Essa celebra il genio di quelli che, come loro, sanno visualizzare grazie allo spirito, all’interno del loro corpo le forme dell’universo, gli dei o gli immortali, per ricrearli sul supporto materiale della seta, della carta o della superficie muraria dei templi e dei palazzi. Mostra, infine, come essi sappiano trasmettere l’essenza degli esseri e delle cose, rendere visibile l’invisibile, dar vita ai soffi e alle potenze increate del mondo e ricordare così l’attività spontanea della natura. Ne è testimonianza il primo dei Sei Principi attribuiti a Xie Hue (vi secolo), pietra angolare di ogni teoria pittorica cinese: «(dar) vita e movimento alle risonanze del soffio». La cultura letteraria, poetica ed estetica delle Dinastie del Sud è ricchissima; per contrasto, a parte alcune notevoli eccezioni, le loro produzioni artistiche sono oggi scomparse. All’inizio del v secolo, l’arte pittorica delle tombe nobili si arricchisce di modelli iconografici nuovi in consonanza con lo spirito dei tempi. Il gruppo detto dei Sette Saggi della Foresta di Bambù conoscerà così uno straordinario successo. Questi uomini, la cui esistenza storica si situa a Luoyang verso la metà del iii secolo, incarnano lo spirito forte e flessibile, libertario e libertino, definito al loro tempo da un’espressione intraducibile, fengliu, che significa letteralmente «vento e acque correnti». Essi sono legati all’universo delle «chiacchiere pure» (qingtan), argute discussioni e motti di spirito raccolti nei Nuovi discorsi e aneddoti sul mondo (Shishuo xinyu), che celebrano, insieme all’amicizia e al disinteresse, la verità dell’arte in seno a un mondo tanto crudele quanto disincantato. Scoperta nel 1960, vicino a Nanjing, la tomba di Xishanqiao ne offre uno splendido esempio. La delicatezza del tratto, le linee morbide e fluide e l’equilibrio della composizione si coniugano nell’intento di cogliere l’interiorità di ognuno di quei saggi, in un insieme che esprime i loro piaceri e i loro ideali comuni, amicizia e discussione, vino e poesia, musica e meditazione. Altre tombe coeve, come quelle di Dengxian (Henan) e di Danyang (Jiangsu), presentano temi che riecheggiano le virtù confuciane e le visioni taoiste. L’arte dei maestri delle dinastie del Sud trovano un’eco sicura nell’aristocrazia Xianbei del Nord, come dimostra la tomba di Sima Jinlong (morto nel 484) e della sua sposa, scoperta nel 1966 a Pingcheng (attuale Datong, Shanxi). L’ispirazione e lo stile del suo celebre paravento presentano profonde affinità con le opere attribuite dalla tradizione a Gu Kaizhi. In questa stessa tomba si scoprono anche motivi stranieri, arrivati, insieme al buddismo, dai paesi occidentali, che arricchiscono e trasformano durevolmente le arti della Cina classica.

118

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Poema dedicato a Ji Kang (o Xi Kang) Grande poeta di sensibilità taoista, Ji Kang si interessa alle pratiche della Lunga Vita in un trattato intitolato Nutrire il principio vitale (Yangsheng lun); quanto al suo Saggio sull’arte della cetra (Qinfu), egli non dissocia l’arte musicale e la sua disciplina dalla formazione spirituale. Conosciuto per la sua indipendenza di spirito e la totale indifferenza al servizio pubblico, Ji King doveva attirarsi l’odio di un grande personaggio che approfittò del suo coinvolgimento in uno sciagurato affare per condannarlo; ed è suonando un’aria sulla cetra che egli camminò verso il luogo della sua morte. La sua forza d’animo ispira a Yan Yanzhi (384-456), funzionario dei Jin, un poema che è quasi contemporaneo alla sua raffigurazione nella tomba di Nanjing: Il cavaliere è estraneo al nostro mondo Spontaneamente, egli si nutre di nuvole rosa Il suo corpo libero da legami rivela un dio nascosto E la sua parola attesta un genio in meditazione. Nella folla, egli combatte le opinioni comuni; Cerca la montagna, amico dei solitari, Le piume della fenice si spezzano qualche volta; Ma chi potrebbe domare un’anima di dragone? (In Anthologie de la poésie chinoise classique, Gallimard (nrf, Poésie), Paris 1962, pp. 168-169)

Mattoni impressi di Dengxian

Terracotta con pigmenti, dimensioni di un mattone 19 x 38 cm. Dinastie del Sud, fine dei Qi del Sud (479-502)-inizio dei Liang (502-557). Scoperti nel 1957/1958 in una tomba del villaggio di Xuezhuang, nel distretto di Dengxian (Henan). Zhengzhou, Museo provinciale dello Henan. Una trentina di mattoni impressi e dipinti costituivano il decoro principale dei muri di una tomba di Dengxian rimasta anonima. Essi evocano le parate militari e le processioni rituali della nuova classe dei buqu, uomini al servizio delle grandi casate delle dinastie del Sud, ma trattano anche temi in risonanza con la morale religiosa e con le credenze del tempo. Il primo esempio illustra la storia del figlio devoto e povero, Guo Ju (i secolo a.C.), che, al momento predestinato, mentre si apprestava a seppellire il figlio appena nato, scopre un tesoro che gli consente di provvedere al sostentamento di sua madre. Il secondo mattone mostra, in un ambiente di montagna, due immortali taoisti: Wangzi Qiao suona l’organo a bocca che invita la fenice a danzare – si riteneva infatti che la forma dello strumento riproducesse quella dell’uccello mitico –, mentre il suo maestro Fuqiu Gong, con uno scacciamosche in mano, si accinge a guidarlo sul monte Song, il picco sacro del Centro (Henan).

119


L’arte cinese

Introduzione dell’arte buddista in Cina Di dimensioni ridotte e di semplice fattura, le prime raffigurazioni del Buddha compaiono in Cina, a partire dalla fine degli Han, nel contesto di tombe rupestri (Shandong e Sichuan), e su parure, specchi e alberi delle monete, il più delle volte insieme a esseri mitici o a divinità taoiste. Nel iii secolo, essi sono presenti su eleganti giare dette «vasi delle anime hun» (hunping), di uso rituale e funerario. Bisogna attendere quasi un secolo perché le immagini acquistino il loro vero status di opere buddiste, cioè di oggetti di devozione o di venerazione destinati a un complesso, spesso strutturato, per svolgere le loro funzioni specifiche in seno alla principale corrente che si è diffusa in Cina, il Grande Veicolo o Mahayana. Le immagini parlano della perfezione suprema del Buddha e degli esseri destinati

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Stanze dal libro i del sutra del Loto della Buona Legge Testo fondamentale del Grande Veicolo buddista, venerato in tutto l’Estremo Oriente, il Loto della Buona Legge è stato oggetto di numerose traduzioni cinesi, la principale delle quali resta quella che il monaco serindiano Kumarajiva (ca. 344-413) esegue all’inizio del v secolo. Intitolato Mezzi salvifici (upaya), il primo libro celebra, nelle sue stanze, i meriti spirituali dei fedeli che, per la via indiretta delle realizzazioni artistiche e della devozione verso di loro, si vedono aprire la via che conduce al Risveglio perfetto: … Dopo la Scomparsa dei Risvegliati, coloro che hanno fatto offerta alle reliquie, innalzato pagode di mille tipi… hanno abbellito queste pagode, o hanno innalzato templi di pietra… tali persone hanno ormai tutte compiuto il sentiero del risveglio… Se alcuni, per il Risvegliato, hanno edificato immagini e statue, scolpito e inciso i numerosi segni di buon augurio, tutti hanno ormai compiuto il sentiero del risveglio… Quelli che hanno dipinto e colorato le immagini dei Risvegliati con i loro segni ornamentali scaturiti dai cento meriti, che l’abbiano fatto di persona o l’abbiano fatto fare agli altri, tutti hanno ormai realizzato il sentiero del risveglio… Se alcune persone, nei templi e nelle pagode, davanti alle statue preziose e alle immagini, hanno con fiori e incenso, bandiere e baldacchini, con animo rispettoso fatto le loro offerte, se hanno spinto gli altri a fare musica, percuotere i tamburi, soffiare in corni e conchiglie, flauti e pive, suonare la citara e l’arpa, il liuto, le campane e i cimbali, e, tali suoni sublimi e abbondanti, li hanno tutti portati in offerta; o se hanno, con cuore esultante, celebrato con inni e cantici i meriti del Risvegliato, anche con un solo piccolo suono, essi hanno tutti ormai compiuto il sentiero del risveglio. (Miaofalianhua jing, T. 262, quan 1, pp. 8-9, Le sûtra du Lotus, Fayard, Paris 1997, pp. 83-84)

120

Buddha seduto in meditazione

Bronzo dorato; h. 39,4 cm. Datato in base all’iscrizione al iv anno dell’era Jianwu degli Zhao Posteriori, 338. Proviene da Shijiazhuang (Hebei). Asian Art Museum of San Francisco, The Avery Brundage Collection (b60 b1034). Tra le prime opere datate figura una statua di Buddha risalente agli Zhao Posteriori i cui sovrani Shi Le (r. 328333) e Shi Hu (r. 335-349), di origine indo-scita, protessero il buddismo e contribuirono alla sua diffusione nella Cina del Nord. Opera di offerta e di devozione, la statua si ispira all’arte del Gandhara antico, avvertibile nel rapporto tra le proporzioni e in una certa rigidità ieratica. Come ogni immagine del Buddha, essa presenta segni di perfezione, come la protuberanza cranica coronata da uno chignon, ma anche una postura e dei gesti che si confanno all’insegnamento – viene mostrata qui la meditazione in una variante del gesto – e, infine, un abbigliamento monastico, veste e mantello drappeggiati, per significare attraverso la semplicità del modo di vestire il completo distacco del Beato.

Stupa votivo miniaturizzato

Pietra; h. 44,6 cm, diam. della base 15,2/14,7 cm. Datato in base a un’iscrizione del 427 o del 429, dinastia dei Liang del Nord. Scoperto nel 1969 nel tempio di Chengsi, nella città di Jiuquan (Gansu). Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. Di eccellente fattura, lo stupa votivo di Jiuquan reca una dedica che data la sua esecuzione e riferisce il nome del suo finanziatore, un certo Gao Shanmu o Gao Bao. Con una base ottagonale, un fusto cilindrico e una corona in cui una serie di fasce raffigurano i parasole o i cieli, esso costituisce una riproduzione fedele dei modelli dell’architettura simbolica del buddismo. Al suo carattere didattico si aggiungono un testo e delle immagini di Buddha in meditazione che permettono di leggere e di visualizzare al tempo stesso il messaggio della liberazione dal dolore. In compenso, gli otto trigrammi del Libro della divinazione, che accompagnano ciascuno alcuni personaggi aureolati incisi sulla base e la costellazione dell’Orsa Maggiore incisa sulla piccola calotta sommitale, rimandano alle visioni cinesi del mondo.

121


L’arte cinese

al Risveglio, i bodhisattva; evocano e invocano la loro immensa saggezza unita alla loro compassione infinita verso tutti gli esseri, celebrate nei suoi testi che sottolineano anche il carattere essenzialmente benefico della loro realizzazione. Se nel mondo indiano e in quello dell’Asia centrale, occidentale (Gandhara, Bactriana) e orientale (la Serindia, oasi dell’attuale Xinjiang) esso appare, in modo alquanto paradossale, come una formidabile forza unificatrice, il Grande Veicolo è ben lontano dall’essere omogeneo, e la diversità della sua arte si spiega con la ricchezza delle sue fonti d’ispirazione e delle loro interpretazioni. La rarità delle produzioni cinesi fino al iv secolo e la presenza in seguito di piccole effigi, soprattutto di preziose sculture di bronzo dorato che,proprio per la loro funzione di oggetti di devozione personale restano isolate dal loro contesto, si sommano alle forti disparità regionali e rendono, per il momento, molto complesso l’approccio globale alla creazione dell’arte buddista cinese. Ogni oggetto scoperto – e si tratta, oggi, di una moltitudine – pone, senza però risolverla, la questione delle origini iconografiche e dei prestiti stilistici: fonti indiane (Mathura), gandhariane, indo-gandhariane o serindiane (Karadong, Khotan, Kucha, Niya, Loulan e Miran); parimenti, la maggior parte delle innovazioni cinesi sono ancora da valutare. In compenso, gli inizi del v secolo vedono la comparsa di piccole costruzioni votive in pietra (shita) scoperte a Jiuquan, Dunhuang (Gansu), e nell’oasi di Turfan (Xinjiang). Esse testimoniano la trasmissione dall’India e dall’Asia centrale della struttura architettonica più originale del buddismo, lo stupa, che in Cina prende il nome di «torre» o di «pagoda» (ta). Edificato per commemorare la definitiva soppressione delle passioni (nirvana) da parte del Buddha della storia e conservare le sue reliquie, il monumento esprime il messaggio buddista supremo, la liberazione dal ciclo delle vite e delle morti (samsara). Scavato o costruito all’aria aperta, incorporato a un complesso monumentale o isolato e consacrato all’antichissimo rito della circumambulazione (pradakshina), lo stupa, che secondo la cosmologia indiana è un’immagine del mondo, può essere anche votivo o portatile. Gli stupa miniaturizzati cinesi associano le immagini di Buddha e di bodhisattva, i testi di formule augurali e l’enunciazione della «produzione condizionata» che pone l’ignoranza della Legge buddista all’origine del dolore del mondo. Come quelli che riguardano la morale e la meditazione, il testo è uno dei primi tradotti dalle lingue dell’India in cinese; essa proviene da uno dei numerosi centri di traduzione e di esegesi sparsi all’epoca in tutta la Cina (Dunhuang, Xi’an, Luoyang o Nanjing), dove operano dal ii e iii secolo monaci stranieri e cinesi. Patrocinati dai sostenitori laici, questi eminenti religiosi svolgono un ruolo direttivo in tutte le attività buddiste, liturgiche, letterarie e artistiche; la loro esistenza, spesso itinerante, crea fortissimi legami tra le comunità. Sotto i Liang del Nord (397-439), che appartengono ai Sedici Regni dei Cinque Barbari della storia cinese, il Gansu, anticamente chiamato Hexi o regione «a ovest del fiume (Giallo)» è il luogo obbligato di passaggio e di comunicazione con le città della Serindia, ma è anche in contatto con le lontane dinastie del Sud. È là che si trovano i più antichi santuari rupestri conosciuti della Cina: il gruppo di Matishan con le due grotte di Jintasi nei pressi di Zhangye, Wenshushan e Changma vicino a Jiuquan, e il complesso di Tiantishan a Wuvei. Ornate da statue modellate e da pitture murali e articolate intorno a un pilastro centrale che raffigura lo stupa, le prime grotte obbediscono a un’iconografia molto semplice: vari Buddha e bodhisattva accompagnati da divinità celesti. Viene attribuita ai Liang del Nord anche la realizzazione delle grotte più antiche del ricchissimo santuario di Mogao a Dunhuang, come la grotta 275 in cui le immagini del Buddha del futuro, Maitreya, si accompagnano ai racconti dipinti delle vite precedenti (jataka) del Buddha della storia, Sakyamuni, e della sua ultima vita terrena (avadana). A Binglingsi (distretto di Yongjing), la scoperta, nel 1963, di un’iscrizione dell’effimera dinastia coeva dei Qin dell’Ovest (385-431), data al 420 le primissime illustrazioni oggi conosciute dei testi maggiori del Grande Veicolo. Nella Cina del Nord, nel corso delle loro ondate migratorie verso sud, le antiche tribù di uno dei clan Xianbei, i Tuoba (o Tabgatch), trasformano la loro confederazione di tipo nomade in uno Stato di tipo regale. Nel 398, la loro capitale viene trasferita da Shengle (attuale Horinger, vicino a Hohhot, R.A. della Mongolia Interna) a Pingcheng (a est

122

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Sutra maggiori del Grande Veicolo

Pitture murali. Datate in base a un’iscrizione del 420, dinastia dei Qin Occidentali (385-431). Santuario di Binglingsi, Distretto di Yongjing (Gansu), rifugio rupestre 169, vista delle scene n. 11 dipinte sulla parte posteriore del muro nord, in situ. A strapiombo per sessanta metri sulla valle attraversata da un braccio del fiume Giallo, l’immenso rifugio sotto roccia del santuario rupestre di Binglingsi racchiude le prime pitture che illustrano i testi maggiori del Grande Veicolo. Identificate da cartigli, le scene si giustappongono a piccoli gruppi, intorno a dei Buddha che meditano o pregano, attorniati da bodhisattva, da monaci, da donatrici e divinità volanti i cui stili si rifanno sia all’India sia alla Serindia e alla Cina. Si nota la presenza di Amithaba, il Buddha di rinascita della Terra Pura dell’Ovest, quella del cerimoniere e santo laico Vimalakirti, eroe del testo che porta il suo nome, e, fianco a fianco, i due Buddha del Loto della buona Legge, Prabhutaratna che appare a ogni predicazione del testo, raggiunto nel suo stupa dal Buddha della storia, Sakyamuni.

123


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Maitreya, Buddha del futuro

Statua modellata policroma; h. 3,34 m. Epoca dei Liang del Nord (397-439). Dunhuang (Gansu), santuario di Mogao, grotta 275, muro occidentale, in situ. Di fronte all’ingresso ed eretta a ridosso del muro di fondo della grotta 275 che sembra essere stata concepita per contenere essa sola, si trova la più imponente, e la prima quanto a datazione, delle statue cultuali di Maitreya. Anche se è raffigurato come un bodhisattva, seduto, con le caviglie incrociate e vestito in modo principesco, i gesti delle mani sono quelli di un Buddha; al dono accennato dalla mano sinistra si associa l’assenza di paura della mano destra, oggi mancante. La straordinaria devozione di cui Maitreya è a quel tempo oggetto nasce dalla convergenza di due testi, tradotti in cinese all’inizio del v secolo. Il primo, intitolato Contemplazione di Maitreya nel cielo degli dei Soddisfatti, mostra Maitreya bodhisattva nel suo luogo di perfezione, dove i suoi devoti, tramite la meditazione e l’adorazione delle sue immagini, vengono portati a raggiungerlo; il secondo, Nascita quaggiù di Maitreya per completare il Risveglio, evoca l’era di felicità che schiuderà, sulla terra e per tutti gli uomini, il suo futuro Risveglio.

Buddha monumentale in meditazione e il suo assistente

Alto rilievo molto marcato, h. del Buddha 13,70 m. Tra il 460 e il 475, dinastia degli Wei del Nord. Datong (Shanxi), santuario di Yungang, grotta 20, in situ. Situato non lontano dalla capitale, il santuario di Yungang o della «cresta delle nuvole» è strettamente legato alla storia degli Wei. Aperte a partire dal 460, sotto il regno di Wencheng (r. 452-465), cinque grotte monumentali suggellano l’alleanza tra un potere imperiale all’apogeo della sua potenza e una Chiesa buddista restaurata dopo un decennio di proscrizione. Talvolta contestata, la dedica delle grotte e dei loro grandi Buddha ai primi sovrani Wei ha dato luogo a molteplici letture, spesso fortemente divergenti, nessuna delle quali è, a tutt’oggi, pienamente soddisfacente. Resta, indiscutibile, uno stile fatto di grandezza e semplicità formale che è il marchio dell’arte buddista dinastica, dall’India all’Afghanistan e dalla Cina al Giappone. In Cina, la tradizione permane immutata nei secoli, in un gigantismo esasperato che perdura fino ai nostri giorni.

124

dell’attuale Datong, Shanxi). Tuoba Gui (o Daowu r. 386-409) adotta il prestigioso nome dinastico di Wei. Comincia allora una sensibile cinesizzazione, oltre che in altri settori, nelle pratiche funerarie, con depositi di mingqi ed epitaffi in cinese, come dimostrano le tombe degli aristocratici recentemente portate alla luce. A metà del v secolo, la conquista dei territori del Nord e del Nord-Ovest si accompagna a importanti trasferimenti delle loro popolazioni verso la capitale, permettendo la più eccezionale realizzazione buddista del tempo, il santuario di Yungang. Sotto l’egida del monaco Tanyao, all’inizio dell’era Heping (460-465), le sculture monumentali delle grotte dalla xx alla xxvii esaltano contemporaneamente la sovranità universale del Buddha e i primi imperatori di una dinastia le cui arti conosceranno presto il loro apogeo. La prima fioritura dell’arte buddista La storia dinastica degli Wei (Weishu) presenta i sovrani Tuoba come i legittimi eredi degli imperatori della Cina classica. Essa riferisce il trasferimento della loro capitale a Luoyang nel 494, avvenimento degno di nota la cui importanza è accresciuta dalla progressiva, se non totale, cinesizzazione delle istituzioni. Alcune riforme, portate avanti sotto il regno di Xiaowen (r. 471-499), mirano a bandire i culti e l’abbigliamento della steppa, la lingua e i nomi di famiglia Tuoba, per favorire gli usi e costumi delle corti cinesi e adottarne i regolamenti e i vestiari rituali. La sistemazione urbana di Luoyang rientra in questa tendenza. Come al tempo degli Han, e nello stesso sito della loro seconda capitale, a nord del fiume Luo, la città, ricostruita nel 493, viene ingrandita nel 501. Si presenta come un immenso quadrilatero cinto da mura, aperto da imponenti porte e attraversato da vie che si incrociano ad angolo retto; l’asse imperiale sud-nord conduce ai palazzi residenziali e amministrativi che costituiscono, insieme all’Università imperiale e ai suoi monumenti destinati all’edificazione morale dei funzionari, il suo cuore rituale e politico. L’urbanistica esprime il ruolo simbolico e cosmico che la Cina dei primi imperi aveva attribuito al sovrano «Figlio del Cielo», e, di fatto, ogni costruzione importante è concepita come l’emanazione

125


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo)

Mo

Turfan/ Grotte Gaochang di Kyzyl

Kucha

Bacino del Tarim Khotan

i A lta

i

Pia

Tombe Jiuquan

han Tian S Kachgar

nt

Deserto di Taklamakan

Grotte di Mogao

Dunhuang

Altipiano del Tibet

i m

a l a y a

d

Necropoli di Astana e di Kharakhoja

Grotte di Yungang Datong

Binglingsi

Jinyang

Maijishan

Xi’an Chang’an Grotte di Longmen

Chengdu

Qingzhou

Xuzhou

Tomba Danyang

La Cina delle dinastie del Nord e del Sud (iv-vi secolo) Dopo la conquista dei territori del nord e dell’ovest, i Touba o Tabgatch fondano l’impero degli Wei del Nord (386534). Nel 494, essi trasferiscono la loro capitale da Pincheng (attuale Datong) a Luoyang, nella Grande Pianura Centrale. Favoriscono la fondazione o l’ampliamento di numerosi santuari rupestri dedicati al buddismo, che conosce allora una diffusione senza precedenti. A sud, intorno a Jiangkang (attuale Nanjing) si susseguono effimere dinastie cinesi la cui ricca cultura letteraria ed estetica costituirà una fonte di ispirazione per intere generazioni di artisti.

Nanjing Shanghai

Jingzhou Jianye/Jiankang

nc

Mar del Giappone

Dingshou Beijing GOBI

Luoyang

H

na

Ma ella

ia iur

Kuaiji Wuxi Guangzhou

Sito con presenze di arte buddista

Mar della Cina meridionale

Sito archeologico maggiore Via commerciale marittima Via della Seta

di un unico e solo potere, la potestà sovrana. Soltanto una denominazione particolare, si («tempio-monastero»), un arredo interno specifico e la presenza di pagode distinguono i templi buddisti dai palazzi principeschi. Diventata le religione ufficiale dell’impero Wei, la Chiesa buddista vede moltiplicarsi le sue istituzioni, fino a raggiungere il migliaio all’inizio del vi secolo, secondo gli Annali dei monasteri buddisti di Luoyang (Luoyang qielan ji) di Yang Xuanzhi, pubblicata nel 543. L’imperatore sostiene, incoraggia e patrocina le attività dei monaci che, di rimando, con i loro riti, le loro preghiere e le loro immagini, proteggono lo Stato, ne accrescono il prestigio e ne garantiscono il potere. Il tempio in cui si manifesta l’alleanza tra i poteri imperiali ed ecclesiastici è lo Yongningsi o tempio della Pace Eterna, situato a sud-ovest della città interna. Eretta nel 516, la sua grande pagoda di legno a nove piani viene distrutta da un incendio nel 543, alla fine della dinastia. Lo Yongningsi conosce la sorte di quasi tutti i templi delle città cinesi, vittime degli oltraggi del tempo e dell’incuria degli uomini, privandoci per sempre, salvo poche notevoli eccezioni, di splendide realizzazioni artistiche. Gli scavi condotti sulle fondazioni della pagoda, tra il 1979 e il 1994, hanno rivelato eccezionali figure di terracotta e teste isolate di donatori o di devoti, testimonianza con la loro fattura della fiorente arte statuaria degli Wei che unisce finezza dell’espressività lineare e dolcezza geometrica dei volumi. Una relativa lontananza dai centri urbani ha protetto i santuari rupestri, di cui restano sterminate ricchezze: altorilievi e bassorilievi, gruppi di statue modellate nell’argilla o scolpite nella pietra, steli istoriate, pilastri, iscrizioni lapidarie, canoniche o votive e, talvolta, pitture murali. Sistemate a cavallo del vi secolo, le grotte del gruppo centrale di Yungang (grotte v-xvi) presentano programmi iconografici complessi, che uniscono raffigurazioni

126

Altare che illustra il Loto della Buona Legge

Bronzo dorato; h. 26 cm, l. 16,7 cm. Datato da un’iscrizione del 518, dinastia degli Wei del Nord. Parigi, Musée National des Arts Asiatiques-Guimet (e0 2604). Due fratelli, monaci nello Hebei, hanno fatto realizzare, per i loro genitori defunti e per i loro propri meriti, un piccolo altare che è il più bell’esempio dello stile cinesizzato della statuaria degli Wei del Nord, grazie alla morbidezza delle formule plastiche e all’espressività delle linee. L’episodio illustrato, il capitolo xi del Loto della Buona Legge nella traduzione di Kumarajiva, è incentrato intorno a Prabhutaratna, Buddha del passato, venuto a prender parte alla predicazione del testo e raggiunto, nel suo stupa, da Sakyamuni. La sua apparizione sottolinea il carattere meraviglioso di una Legge, pura e perfetta come il simbolico loto, e che promette il Risveglio a tutti gli esseri, in ogni luogo e in ogni tempo. Anche se possiedono un’identica natura – stessi segni di saggezza, stessa postura e gesti e stesso modo di vestire monastico –, i due Buddha non sono identici, separati da una sottigliezza di dettagli che sublima l’effetto specchio delle loro immagini.

127


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo)

«Storia dei Cinquecento briganti»

Pittura murale (dettaglio). 538-539, Wei dell’Ovest (535-556). Dunhuang (Gansu), santuario di Mogao, grotta 285, muro sud, parte centrale, in situ. La grotta 285 è la più antica fra le realizzazioni del santuario di Mogao, esplicitamente datata da un’iscrizione. Quasi quadrata (6,4 x 6,3 m di lato) e alta 4,3 m, essa non presenta né la grande nicchia nel muro ovest né il pilastro centrale che raffigura lo stupa; in compenso, quattro grandi nicchie di meditazione sono ricavate in ciascuno dei muri nord e sud. Il soffitto a quattro vele rivela una sapiente alleanza tra mitologia buddista e cinese. L’insieme del programma pittorico testimonia d’altronde una spiccata ispirazione indiana associata a uno stile molto cinesizzato, in stretto rapporto con la pittura coeva delle dinastie del Sud. La storia dei «Cinquecento briganti», che si dispiega su due terzi del muro sud, è tratta da un episodio della biografia leggendaria del Buddha (avadana). L’illustrazione mostra la disfatta dei briganti di fronte ai soldati del re Prasenajit del Kosala. Condannati dal re a essere privati della vista, i briganti (dei quali soltanto cinque sono visibili per simboleggiare i cinquecento) vengono abbandonati a se stessi e in preda alla più forte disperazione fra le solitudini dei monti. Curati dal Buddha, che appare e predica loro la Legge, essi promettono di condurre da quel momento la vita virtuosa e contemplativa che li porterà al Risveglio perfetto.

128

129


L’arte cinese

di Buddha e illustrazioni dei testi del Mahayana, in una disposizione graduale dei registri metafora dell’elevazione verso la perfezione suprema. Qualche tempo dopo, alcune grotte vengono scavate nella gola che il fiume Yi forma a Longmen e, in scala più modesta, in altri luoghi dello Henan, Gongxian, Mengxian e Mianchi. Risalenti ai primi due decenni del vi secolo, le più antiche fondazioni di Longmen, le grotte dette Guyang e Lianhua hanno conservato migliaia di iscrizioni votive che provengono da dignitari o da semplici ufficiali, da monaci e da laici, da uomini e da donne. Sull’esempio degli imperatori e dei grandi della corte, essi contribuiscono alle sistemazioni delle rupi e partecipano ai rituali afferenti alla realizzazione e alla consacrazione delle loro immagini. Tutti sperano, con i loro doni materiali e spirituali, di accumulare meriti per se stessi ma soprattutto per i loro parenti defunti, facendo attecchire il buddismo nel cuore delle pratiche funerarie. Questo fervore condiviso ispira i numerosi bassorilievi che mostrano processioni di devoti e di donatori, al primo posto dei quali figurano i pannelli imperiali della grotta Binyang del centro (505523), a Longman, e quelli delle grotte 1, 3 e 4 di Gongxian. La dissoluzione dell’impero Wei e la sua divisione in Wei dell’Est (534-550), che istallano la loro capitale ufficiale a Ye (Hebei), e Wei dell’Ovest (535-556), situati a Chang’an (Shaanxi), non arrestano l’attività artistica, ma, al contrario, la stimolano. I loro rispettivi successori, Qi (550-577) e Zhou del Nord (557-589), danno inizio ad altre importanti realizzazioni: a est, citiamo Baoshan, vicino ad Anyang (Henan), Xiangtang shan (Hebei) e Tianlongshan (Shanxi), e a ovest, Maijishan (Gansu), Xumishan (Ningxia) e la trentina di grotte di Mogao, aperte sotto gli Wei del Nord e i loro successori. Emergono anche forti particolarismi regionali nel Sichuan, intorno al tempio Wanfo di Chengdu, nell’Hebei, nel

130

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo)

Maijishan, la «montagna dei covoni accumulati» Nel distretto di Tianshui (Gansu), a sud della strada aperta sotto gli Wei tra la Pianura Centrale e il corridoio dello Hexi, si trova Maijishan, la cui denominazione «montagna dei covoni accumulati» fa riferimento alla forma oblunga del suo sperone calcareo che si innalza per 142 metri sopra la pianura. La sua fondazione risale a due maestri di meditazione: Tanhong, raggiunto tra il 424 e il 426 da Xuangao e dai suoi discepoli. Ricoveri e rifugi, luoghi di ritiro e di meditazione, la grotta e le sistemazioni rupestri diventano, con il tempo e con l’evoluzione delle dottrine, vasti complessi organizzati intorno alla vita monastica e rituale, come testimonia la storia di Maijishan, attivo dal v al x secolo.

131


L’arte cinese

Maijishan, suora buddista e bodhisattva

h. del bodhisattva 1,25 m. iv-vi secolo, dinastia degli Wei del Nord. Santuario rupestre di Maijishan, grotta 121, gruppo di sinistra del muro centrale, in situ. Le piĂš rilevanti realizzazioni artistiche di Maijishan risalgono agli Wei del Nord e ai loro immediati suc-

132

La cina antica degli zou

cessori. Molto vicine, per stile, alle scoperte del tempio Yongning della capitale, le statue modellate della grotta 121 raffigurano bodhisattva, monaci e suore, ma anche semplici seguaci laici. La grazia dei volti e degli atteggiamenti traduce la dolce serenitĂ che essi attingono dalla loro devozione condivisa nei confronti del Buddha.

133


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Bodhisattva in piedi

Tuttotondo in grès con lievi tracce di policromia; h. 1,36 m. Ultimi decenni del vi secolo, dinastia dei Qi del Nord o dei Sui (589-607). Scoperta nel 1996 nel sito del tempio Longxing, Qingzhou (Shandong). Museo di Qingzhou. Scoperta a Qingzhou nel 1996, nell’area del tempio Longxing da tempo scomparso, una fossa, chiusa nel xii secolo, conteneva circa quattrocento figure di Buddha e di bodhisattva realizzate sei secoli prima. Era consuetudine porre le statue diventate inadatte al culto fuori dei loro templi di origine e, nel corso di un’ultima cerimonia di omaggio, seppellirle in un luogo consacrato. Le sculture – steli, altorilievi e sculture a tuttotondo – presentano, per tutto il vi secolo, gli stili cinesizzati e indianizzati dello Shandong. Le proporzioni armoniose del bodhisattva della fine del vi secolo si uniscono a una grande finezza di trattamento per mostrare, secondo la definizione stessa dell’Essere del Risveglio, sia la sua presenza nel mondo degli uomini sia la saggezza che da questo ci libera.

tempio Xiudesi di Quyang e nello Shandong, con i Buddha del nascondiglio del tempio Longxing di Qingzhou scoperti nel 1996. Vi si riconosce chiaramente l’apporto dei modelli indiani dell’India Gupta (Mathura e Sarnath) o delle sue varianti meridionali (Amaravati e Asia del Sud). La vitalità dei processi di acculturazione viene presa in considerazione in termini di ondate di influenze successive, combinate con le interazioni tra le grandi regioni cinesi, senza che sia possibile ancora trarre conclusioni definitive in termini di anteriorità o di creazione degli stili, dal momento che i templi delle dinastie del Sud a Nanjing, che hanno dettato legge in materia sotto il regno dell’ardente sostenitore della Buona Legge, Wudi dei Liang (r. 502-549), sono irrimediabilmente scomparsi.

134

Cappella e gruppo di statue modellate della grotta 45 di Mogao

(qui accanto e pagine seguenti) Argilla modellata e pittura murale; h. dei bodhisattva 1,85 m, dei discepoli 1,75 m. Datata all’apogeo dei Tang o epoca dei «Tang Prosperi» (713-762). Dunhuang (Gansu), Santuario di Mogao, grotta 45, muro ovest, in situ. Preceduta da un’anticamera e di dimensioni relativamente modeste (4,5 x 4,5 m), la cappella della grotta 45 presenta un soffitto piramidale a cui si aggiunge un cassettone a lanterna sopraelevato che ne esalta le proporzioni. Un’ampia nicchia è ricavata nel muro ovest. Essa contiene uno dei più bei gruppi statuari dell’epoca Tang a Mogao, accompagnato da un decoro dipinto (aureole, mandorle e figure in piedi) con il quale si fonde in una sapiente armonia (pp. 136-137). Analogamente a quanto avviene nei prologhi dei sutra del Grande Veicolo, il gruppo raffigura, al centro, il Buddha seduto su un trono a gradini, in atto di predicare all’assemblea (p. 138, in alto a sinistra). Ai suoi lati si incontrano i suoi due più antichi discepoli, l’amabile Ananda (p. 138, in alto a destra) e il sapiente Kashyapa (p. 139); seguono due bodhisattva (p. 138, in basso a destra e p. 140) accompagnati da due re, guardiani della Legge (p. 138, in basso a sinistra e in basso a destra). Alla maestà radiosa del Buddha, risponde la mansuetudine principesca dei bodhisattva, mentre la pienezza di umanità incarnata dai due discepoli, contrasta con l’energia e il vigore marziale dei guerrieri protettori. L’unione delle forme piene e possenti, dei colori ricchi e brillanti e del gioco di linee ornamentali è il marchio di uno stile che ispirerà tutta la scultura religiosa successiva.

Apogeo delle arti buddiste La diffusione del buddismo nella vita cinese, tra la fine del vi e la metà del ix seocolo, deve tutto ai suoi maestri, indiani e serindiani ma soprattutto cinesi, che rivisitano gli insegnamenti del Grande Veicolo. La produzione di trattati, scritti magistrali e apocrifi, ma anche di commenti, versioni narrative e nuove traduzioni dei testi canonici, dà vita a un buddismo diventato cinese, con «filiazioni» o «lignaggi» (zong) che fioriscono senza mai smettere né di influenzarsi reciprocamente, né di venire a patti con il taoismo e con il pensiero tradizionale. La nuova esegesi ispira la realizzazione di immagini dipinte e scolpite

135



L’arte cinese

138


Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) La «carovana attaccata»

Pittura murale, dettaglio di un pannello che raffigura «Guanyin salvatore dai pericoli». Datata all’apogeo dei Tang o epoca dei «Tang Prosperi» (713-762). Dunhuang, Santuario di Mogao, grotta 45, porzione ovest del muro sud, in situ. Incentrata su una grande immagine di Guanyin in maestà, la composizione dipinta sul muro meridionale illustra una versione narrativa del xxv capitolo del Loto della Buona Legge, tutto consacrato al bodhisattva che ha fatto voto di salvare ogni essere sofferente del nostro mondo. Da una parte e dall’altra della figura centrale sono dipinte scene di genere che mostrano le sue trentatre apparizioni meravigliose e i pericoli che egli scongiura. È il caso del pittoresco assalto a una piccola carovana di mercanti stranieri che viene liberata dal pericolo perché, secondo il testo del cartiglio: «Se incontrate dei banditi di strada maestra che brandiscono grandi sciabole e sono mossi dalle peggiori intenzioni nei vostri riguardi, invocate il Nome di Guanyin e sarete salvati».

destinate all’edificazione, alla meditazione e al rituale, come testimoniano i santuari rupestri dell’oasi di Dunhuang (Gansu) che si sostituisce ai luoghi tradizionali di sosta tra India e Cina, quali Khotan e Kucha. Sotto i Sui e i Tang, circa trecento grotte-cappelle vengono sistemate a Mogao sulle 494 che conta il complesso di un sito rimasto attivo fino al xiv secolo. La scoperta, nel 1900, della «grotta biblioteca» murata nell’xi secolo (grotta 17) ha rivelato decine di migliaia di manoscritti e più di mille oggetti liturgici, fra cui pitture mobili e stendardi votivi apparentati all’arte delle grotte. Il monumento cultuale delle grotte-cappelle di Mogao consiste in un gruppo statuario, inserito nella nicchia praticata nel muro occidentale di fronte all’entrata, che trova la sua eco nelle immagini dipinte delle pareti e del soffitto. Si tratta di scene di predicazione incentrate intorno al Buddha, seduto maestosamente, attorniato dai suoi discepoli e da bodhisattva il cui atteggiamento meditativo e la dolcezza dell’espressione, in aggiunta agli attributi principeschi, esprimono la nobiltà del cuore e dello spirito; spesso sono presenti anche guerrieri armati, fieri dei-re, che amministrano il mondo e la Legge. Grandi illustrazioni dei sutra si dispiegano su ciascuna delle pareti in associazioni varie – e variabili – a seconda degli orientamenti dottrinali dei monaci, delle tradizioni proprie dei pittori o delle inclinazioni dei loro finanziatori. Frequentemente rappresentata nell’arte del primo buddismo cinese, l’apparizione dello stupa del Buddha Prabhutaratna si annovera tra gli episodi più importanti del Loto della Buona Legge (Miaofalianhua jing, abbreviato in Fahua jing). Vi vengono allora aggiunte raffigurazioni delle sue parabole, la casa in fiamme, la città incantata, il figliol prodigo e la pioggia benefica. Considerato dai maestri della Terrazza Celeste (Tiantai), Huisi (515-577) e Zhiyi (538-597), come l’opera conclusiva del Buddha, il testo celebra il carattere puro ed eterno della natura di perfezione promessa a tutti. Una figura risalta tra tutte, quella del bodhisattva Avalokiteshvara, diventato in cinese Guanshiyin (o Guanyin), «colui che ascolta le voci (di sofferenza) del mondo», invocato in un intero capitolo ben presto recitato come sutra indipendente. Guanyin è, da allora, al centro di tutte le pratiche morali, cultuali e contemplative, di tutte le credenze, di tutte le leggende, e la diffusione delle sue immagini supera i confini di una sola scuola. Nelle sue raffigurazioni, il bodhisattva porta come tiara una piccola effigie del Buddha della

141


Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Orchestra Celeste intorno al Buddha guaritore (Yaoshi)

Pittura murale (dettaglio). All’inizio della dinastia Tang (618-712), 642. Dunhuang, Santuario di Mogao, grotta 220, porzione est del muro nord, in situ. Datata da un’iscrizione del 642, la grotta 220 è, per circa tre secoli, la cappella privata o il tempio ancestrale di un’eminente famiglia della regione di Dunhuang, gli Zai. Con le sue illustrazioni del dibattito tra Vimalakirti e Manjusri (muro est) e delle rispettive Terre Pure del Buddha di Longevità infinita (Amitayus; muro sud) e del Buddha guaritore (Bhaisajyaguru o Yaoshi in cinese; muro nord), essa è rappresentativa dei programmi iconografici a Mogao all’inizio della dinastia Tang, in uno stile fortemente ispirato dai pittori della capitale. Basata sull’antica arte della salmodia, e favorendo l’orazione perpetua con la recitazione incessante del Nome dei Buddha, la musica strumentale è inseparabile dai rituali e dalle liturgie che si riferiscono alle Terre Pure della felicità buddista. Di origine indiana, serindiana e cinese, i musicisti celesti evocano la ricchezza cosmopolita delle orchestre imperiali dell’inizio dei Tang.

Bodhisattva Guanyin, dettaglio di una predicazione del Buddha Amitabha

Pittura murale. Inizio della dinastia Tang (618-712). Santuario di Mogao, grotta 57, porzione centrale del muro sud, in situ. Spiccando in un gruppo che presenta i caratteri della Terra Pura di Amitabha, la figura di Guanyin mostra un raro equilibrio tra bellezza e spiritualità. Il suo corpo dalle forme delicate e dai gesti eleganti resta come diafano sotto le ricche parure impreziosite d’oro, le vesti preziose e le sciarpe leggere che evocano i tessuti di seta dell’epoca. Questa visione idealizzata di una figura principesca abolisce tuttavia ogni segno di mondanità; l’alone traduce la sua vocazione di saggezza; la leggera inclinazione della testa volta verso il basso, in direzione del fedele, e il movimento verso il Buddha, illustrano la natura dell’Essere di Risveglio che guida gli uomini verso la perfezione del Beato.

direzione dell’Ovest, Amitabha «Luce infinita», chiamato anche Amitayus «Longevità infinita», del quale si ritiene sia l’emanazione o la manifestazione compassionevole e che lo inserisce in tutte le visioni della Terra Pura. La scuola dello stesso nome si richiama al monaco Huiyuan (344-416) che, nel 402, riunì più di un centinaio di discepoli davanti a un’immagine di Amitabha, facendo voto di rinascere nella sua Terra Pura dell’Ovest. Ma spetta al celebre maestro dell’epoca Tang, Shandao (613-681), aprire a tutti, monaci e laici, ricchi e poveri, uomini e donne, le «porte d’ingresso» nella Terra Pura di Amitabha, la Felice (Sukhavati), attraverso l’invocazione e la celebrazione del suo nome, la salmodia dei sutra e la venerazione delle sue immagini. Onnipresenti a Mogao, le Terre Pure non sono più dedicate al solo Amitabha ma a numerosi Buddha. Si tratta di vaste composizioni rette da una rigida simmetria, al centro delle quali spicca il Buddha, figura principale

143


Statua di bodhisattva

Marmo; h. attuale 110 cm. vii secolo, dinastia Tang. Scoperta presso le rovine del palazzo Daming, periferia nord di Xi’an (Shaanxi). Xi’an, Museo della Foresta delle Steli. Capolavoro del periodo iniziale dei Tang, la statua, sfortunatamente mutilata, traduce l’ideale sublime del bodhisattva e testimonia la pienezza di uno stile, a volte chiamato «Tang internazionale», in cui le forme possenti, idealizzate e sensuali, ispirate all’India Gupta raggiungono l’espressività dei ritmi lineari propri della Cina. La sua perfezione fa immaginare lo splendore dei templi delle capitali, Chang’an e Luoyang, che racchiudevano, fino al momento della grande proscrizione delle religioni estranee all’impero intorno alla metà del ix secolo, tesori di scultura e di pittura conosciuti oggi soltanto attraverso i testi di storia dell’arte.

L’Insegnamento di Vimalakirti (dettaglio raffigurante l’eroe del sutra)

Pittura murale. Datata all’era Kaiyuan (720-730) della dinastia Tang. Dunhuang, Santuario di Mogao, grotta 103, muro est, parte sud, in situ. Nel sutra che rivela il suo insegnamento, l’eminente laico Vimalakirti è impegnato in dotte discussioni con il bodhisattva della saggezza, Manjusri; le loro discussioni si prolungano con audaci incantesimi, prodigi che rendono manifesta una forma di liberazione detta «inconcepibile» perché, al di là delle categorie dell’intelletto umano, essa libera dal mondo delle apparenze. Con i tratti segnati dalla malattia che egli simula per provocare gli scambi, Vimalakirti si presenta come un maestro indiscusso della parola ma anche del silenzio, con il quale chiude – senza mai delimitarle – tutte le speculazioni sulla non-dualità, parola importantissima del Grande Veicolo buddista. La sua raffigurazione nella grotta 103 si caratterizza per uno stile molto sicuro che evoca la potenza del tratto attribuita al grande maestro contemporaneo Wu Daozi, il quale – sappiamo – aveva rappresentato il saggio sui muri dei monasteri delle due capitali.


L’arte cinese

dell’icona, inquadrato tra i suoi due consiglieri. Universi perfetti in cui si realizzano con il risveglio alla vera natura di Buddha tutti i desideri degli uomini, le Terre Pure associano elementi del mondo reale alle visioni celesti e paradisiache. Il loro schema architettonico appare come una visione idealizzata delle residenze imperiali, con i loro palazzi che vanno disponendosi a vari livelli nello spazio, le loro vaste sale di udienza, i padiglioni a piani e le terrazze collegate da ponti sopra gli stagni fioriti dei loti della rinascita spirituale. Allo stesso modo, le illustrazioni dell’Insegnamento di Vimalakirti che mette in scena un laico particolarmente santo e padrone di casa, includono rappresentazioni di sovrani cinesi e stranieri, con i loro cortei di dignitari; esse si avvicinano molto alle raffigurazioni dipinte delle tombe principesche coeve e dei rotoli attribuiti ai maestri di corte, come Yan Liben (attivo verso il 640-673), pittore favorito e ministro dell’imperatore Taizong (r. 626-649), celebre per i suoi ritratti di imperatori e dei loro tributari. L’arte di Chiesa rende conto del mondo degli uomini: i suoi grandi esseri portano alla perfezione la bellezza del tempo, le sue sapienti composizioni esaltano l’ideale gerarchia della società, in un equilibrio lucido e armonioso tra la vita reale, la fede e la contemplazione. Scambi centroasiatici e spirito cosmopolita Per tutto il i millennio le città-oasi del bacino del Tarim restano luoghi privilegiati di contatti e scambi tra le civiltà sedentarie e nomadi dell’Eurasia. La cultura cinese classica partecipa di questo movimento con la presenza, fin dall’epoca Han, in contesti essenzialmente funerari, a Loulan, Niya e Miran, di oggetti di lusso e di prestigio, al primo posto dei quali figurano i tessuti dei seta. In questi stessi siti, e spesso insieme, si ritrovano cotoni stampati e arazzi di lana, importati dall’Occidente o di realizzazione locale, la cui ispirazione religiosa si riallaccia al mondo indiano – o indianizzato – e al pantheon dell’Oriente mediterraneo. Tra il iii e il v secolo, i ritrovamenti tessili più significativi della Serindia conservano un identico carattere decisamente eclettico. L’origine dei tessuti e le tappe della loro trasmissione restano oggetto di congetture, con l’esistenza, senza dubbio parallelamente – o in concorrenza – alla Cina, di centri di tessitura nelle regioni ellenizzate dell’Asia centrale, Bactriana e Gandhara, e, più tardivamente, della seta nella Sogdiana. Le tombe cinesi delle necropoli di Astana e di Kharakhoja, a nord dell’antica città di Gaochang a Turfan, che contano circa cinquecento sepolture che vanno dal iii all’viii secolo, attestano la crescente complessità dei processi di scambio. Sassanidi, sogdiane o cinesi di ispirazione persiana, le produzioni del vii secolo sono contemporanee alla politica di prestigio dei primi Tang, che unisce conquiste militari, ambasciate e alleanze diplomatiche per consolidare il dominio cinese sull’Asia centrale. Per quasi un secolo si stabiliscono forti legami tra la capitale dell’impero, Chang’an (attuale Xi’an), e i regni delle oasi, come quello esteso da Gaochang a Turfan, conquistato nel 640. Stimolata dagli apporti stranieri, la grande e ultima fioritura delle terrecotte destinate alle tombe nobili, con le loro statuette che accompagnano i defunti (mingqi) e i loro guardiani protettori, si incontra a Astana e nella Cina metropolitana. I rappresentanti dei popoli dell’Asia occidentale e centrale sono una moltitudine, viaggiatori e mercanti, cacciatori e cavalieri, falconieri, cammellieri e palafrenieri, ma anche servitori, musicisti, narratori e danzatori: le loro origini – caucasica, semita, persiana, sogdiana, turca uiguri o altaica, khotanese e kashgara – sono percepibili senza essere tuttavia chiaramente identificabili; la nomenclatura di cui fanno uso le fonti ufficiali legate agli «affari esteri» dell’impero distingue i gruppi umani servendosi di criteri in cui si mescolano considerazioni etniche e linguistiche, storiche e culturali, per irrigidirsi in archetipi, se non addirittura in stereotipi, nelle immagini che li rappresentano. A loro volta, le arti orafe e le loro trasposizioni in ceramica rivelano i termini dell’incontro tra le tradizioni dell’Asia anteriore e quelle della Cina. Scoperte nelle tombe cinesi che vanno dal iii al vi secolo, i primi pezzi isolati sono spesso di fattura bactriana o indobactriana. Nel vii secolo esse provengono dalla Persia e dalla Sogdiana e ispirano le produzioni cinesi mentre a poco a poco si impongono lo stile e la fattura Tang. I termini di questa evoluzione

146

Mummia con maschera di Yingpan

h. della mummia 1,90 m. Tra il iii e il v secolo, fine della dinastia Han o dinastia Jin. Scoperta nel 1995 nella tomba n. 15 del cimitero di Yingpan, deserto di Lop o Lobnor (R.A. Uiguri dello Xinjiang). Urumqi, Istituto Archeologico della R.A. Uiguri dello Xinjiang. La straordinaria scoperta in una tomba a Yingpan (Lobnor) della mummia di un uomo, ad oggi non identificato, il cui volto era coperto da una maschera di canapa, attesta l’esistenza di pratiche funerarie in Serindia fino ad allora sconosciute. Nelle sue vesti e nell’apparato, la mummia giustappone tessuti di origini diverse, materiali e tecniche cinesi (tessuti di seta jin e juan) e locali (lana e cotone), così come forme e motivi attinti al contempo a fonti greco-romane, persiane e centroasiatiche, come quelli del suo caftano con decoro di putti affrontati tra melograni e animali saltellanti.


Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Copri-volto con capre affrontate

Tessuto di seta operata (jin) e tessuto di seta a tinta unita (juan); dimensioni dell’insieme 35 x 27 cm, di jin 24 x 14 cm. Dinastie del Nord (420-589). Scoperto nel 1972 nella tomba 170 di Astana, Gaochang, Oasi di Turfan. Urumqi, Museo della R.A. Uiguri dello Xinjiang. Il clima secco del deserto ha permesso la conservazione di decine di migliaia di oggetti, fra cui numerosi tessili portati alla luce tra il 1959 e il 1975 nelle tombe delle necropoli di Gaochang. Conformemente alle tradizioni della metropoli, alcune sepolture cinesi contenevano un inventario dell’arredo funerario che identifica i pezzi destinati a coprire il volto dei defunti, «tessuti persiani» o «copri-volti persiani». Confezionate con tessuti operati, tagliati in tondo e bordati di seta a tinta unita pieghettata, queste parure hanno un decoro animalier, spesso associato a medaglioni ornati di perle e ispirato alla Persia sassanide.

Orchestra su un cammello

Ceramica detta «a tre colori»; h. dell’insieme 56,2 cm, l. 41 cm, h. del cammello 48,5 cm, h. delle figurette 11,5 cm. Fine vii-metà viii secolo, dinastia Tang. Scoperto nel 1959 in una tomba presso il villaggio di Zhongbao, periferia ovest di Xi’an (Shaanxi). Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. Invenzione degli atelier di corte, le ceramiche dette «a tre colori» (sancai) – in cui dominano il verde, il beige o il giallo ambrato e il bruno aranciato talvolta associati al blu cobalto – si incontrano molto frequentemente nelle tombe nobili dalla fine del vii alla metà dell’viii secolo. Esse rivelano il gusto dell’aristocrazia Tang per i toni brillanti e gli effetti ornamentali e sensuali; sono inoltre testimonianza della moda dell’esotismo nella società del tempo grazie alle figurette di cammello, che evocano le carovane delle oasi, il cui esempio migliore è il grande cammello che, la bocca apera a lanciare il suo grido, trasporta una piccola orchestra e la sua cantante.

149


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Nécessaire per la preparazione del tè

Oro e argento; h. del cesto 17,8 cm, diam. dell’apertura 16 cm. ix secolo, dinastia Tang. Scoperto nel 1987 nella cripta della pagoda del tempio Famen, Distretto di Fufeng (Shaanxi). Derrata estremamente cara, il tè svolge sotto i Tang un ruolo economico e sociale di primo piano, come attesta Lu Yu nel suo Libro del tè (Chajing), scritto verso il 760; l’autore ne descrive in maniera dettagliata il modo di preparazione, vicino sotto certi aspetti agli usi tibetani e mongoli attuali. Passate al vapore, poi pressate in mattoncini, le foglie di tè venivano torrefatte e quindi seccate a caldo in un cesto traforato; il mattoncino veniva poi ridotto in polvere, setacciato, bollito e, infine, salato o condito. Uno dei più begli esempi di cesto che ad oggi si conosca è quello con decoro di anatre in volo del tempio Famen, che, come ci informa la sua iscrizione, fu offerto in tributo alla corte da un ufficiale di Guizhou, nell’attuale provincia meridionale del Guangxi.

ci sono noti grazie alle centinaia di reperti da due celebri tesori: il primo, molto eclettico, trovato a Hejiacun (Xi’an) nel 1970, proviene dalla residenza del Principe di Bin, Li Shouli (morto nel 741); il secondo, dal carattere più cinese, è stato scoperto nel 1982 nel sito detto di Dingmaoqiao, nel distretto di Dantu, vicino a Zhenjiang (Jangsu). L’opulento carico di ceramiche e di oreficeria del ix secolo, scoperto nel 1998 in una nave araba affondata al largo dell’isola di Belitung (a nord di Giava, Indonesia) rende conto anche degli apporti islamici. L’oro e l’argento servono a preparare servizi da tavola, parure e oggetti utilizzati in occasione dei banchetti e delle cerimonie di Corte; ma i metalli preziosi hanno anche a che fare con le pratiche taoiste dell’alchimia esterna (waidan), molto apprezzata dagli imperatori Tang. Poiché si ritiene che l’oro, al pari della giada, conferisca l’immortalità, esso è impiegato nella realizzazione di tavolette per incidere preghiere, di scatole e utensili destinati alla trasmutazione – o alla conservazione – di sostanze diverse che entrano nella composizione degli elisir di Lunga Vita. Trovato nel 1987, il tesoro della pagoda del tempio Famen (Shaanxi) comprende preziosissimi oggetti liturgici in oro e argento alcuni dei quali si riallacciano, per l’uso o per il decoro, ai rituali del buddismo esoterico detto di Tantra (o tantrismo), introdotto in Cina da maestri indiani all’inizio dell’viii secolo e in brevissimo tempo in voga a corte. Oltre a un insieme a tutt’oggi unico che serviva a preparare il tè – il cui uso si diffonde all’epoca nei monasteri e nelle dimore nobili – del tesoro di Famen fanno parte preziosi tessuti di seta ricamati in oro, grès porcellanati dal colore detto «segreto», di un’eccezionale finezza, e vetrerie occidentali;

150

un gran numero di questi oggetti preziosi era stato ricevuto dalla corte come tributo. Infine, le tombe delle élite sogdiane, risalenti alla fine del vi secolo e scoperte dopo il 2000 a Xi’an e Tianshui (Shaanxi), Guyuan (Ningxia) e Taiyuan (Shanxi), riflettono in modo notevole lo spirito cosmopolita del tempo. Realizzati da artigiani cinesi, i loro monumenti di pietra scolpiti a bassorilievo, talvolta dipinti o dorati, con letti imbottiti e lastre di sarcofagi, giustappongono temi che secondo alcuni sono ispirati al mazdeismo, l’antica religione della Persia, e al manicheismo, corrente religiosa eclettica, incrocio tra mazdeismo, buddismo e cristianesimo, nelle loro interazioni con i mondi mediterranei, indiani e buddisti. L’apogeo di un regno, l’Imperatore Splendente e le arti Aperta sull’Eurasia e proiettata su tutto l’Estremo Oriente, la Cina dei Tang è uno dei periodi più fecondi e più luminosi della storia delle lettere e delle arti. L’effervescenza che contraddistingue, all’inizio della dinastia, tutti i campi della creazione culmina sotto il regno dell’«Imperatore Splendente», Minghuang, o Xuanzong secondo il suo nome postumo (r. 712-756). Molto colto, poeta e musicista lui stesso, l’imperatore mecenate fa installare atelier di artigiani, tessitori, orafi e ceramisti, per le necessità di una corte che vuole fastosa. Riunisce i saggi e i begli ingegni del suo tempo in circoli accademici come la «Foresta dei Pennelli» (Hanlin yuan) incentrati sulla poesia e la calligrafia, sui classici confuciani e sugli insegnamenti dei monaci buddisti e dei maestri del Dao, sull’alchimia

151


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Statua di bodhisattva

Argento; h. della statua 21 cm; con lo zoccolo 38,5 cm; peso 1,926 kg. ix secolo, dinastia Tang. Portato alla luce nel 1987 nella cripta della pagoda del Famensi. Famen, Museo del Tempio. Chiusa nell’874, la cripta della pagoda del tempio Famen conteneva oggetti preziosi che erano stati, in gran parte, presentati come depositi di offerte da parte degli imperatori Yizong (r. 860873) e Xizong (r. 874-888). Il suo tesoro più grande era una reliquia, un osso che si riteneva fosse quello di un dito del Buddha storico, che aveva fatto la reputazione e la fortuna del tempio per tutto l’viii e il ix secolo. Inginocchiato su un fiore di loto, il bodhisattva tiene un vassoio destinato a mostrare la reliquia; a gloria dell’imperatore Yizong, che fece realizzare la statua nell’871, la sua iscrizione testimonia gli stretti legami che il potere imperiale intratteneva con le élite della scuola esoterica del tempio Famen, le quali assicuravano, con le loro grandiose cerimonie rituali, la protezione spirituale e la pace dell’impero.

«L’affare della reliquia» Negli annali di regno consacrati a Yizong (r. 860-873), l’Antica Storia dinastica dei Tang (Jiu Tangshu) riferisce gli avvenimenti dell’871, quando la reliquia del tempio Famen fu, per l’ultima volta, accolta a Chang’an: «L’8° giorno del 4° mese del 14° anno dell’era Xiantong, la reliquia del Buddha arrivò nella capitale. Introdotta attraverso la porta Kaiyuan, essa raggiunse il Padiglione Anfu, davanti a una folla di spettatori e di carri con baldacchino, tra il frastuono delle salmodie buddiste. L’imperatore salì sulla porta Anfu per accogliere la reliquia con rispetto. Essa fu esposta per tre giorni nel palazzo, poi in vari templi della capitale, dove affluirono uomini e donne. Le cerimonie furono più solenni e gli addobbi più fastosi che mai. Quasi sessant’anni prima, nell’819, in un’occasione simile che mobilitò grandi folle festanti, l’alto funzionario letterato e fervente confuciano Han Yu (768-824) aveva indirizzato una memoria al trono levandosi contro queste pratiche e credenze straniere, che, a suo parere, compromettevano la moralità pubblica e l’ordine sociale: Il Buddha era un barbaro la cui lingua non era il cinese e il cui abbigliamento era di taglio straniero. I suoi discorsi, i suoi abiti non erano quelli prescritti dagli antichi re; egli non conosceva né i giusti rapporti tra principe e ministro, né il giusto sentimento tra padre e figlio… Io chiedo che quest’osso (la reliquia) sia consegnato a un incaricato per essere gettato nell’acqua o nel fuoco, al fine di sradicare una volta per tutte il male, di mettere fine al dubbio in tutto l’impero e di prevenire il traviamento delle generazioni future».

Torneo di polo

Pittura murale (dettaglio); dimensione del pannello 161 x 229 cm. Verso il 706, dinastia Tang. Scoperta nel 1971-1972 nella tomba di Li Xian nel Qianling (Shaanxi), muro occidentale del corridoio d’entrata. Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. Un tempo designato come principe ereditario, Li Xian (654-684), figlio di Gaozong (r. 650-683), fu deposto, esiliato e costretto al suicidio dalla sua stessa madre, l’imperatrice Wu Zetian (r. 684-705). Nel 706, scomparsa l’imperatrice e restaurato il clan imperiale, egli fu oggetto di una tumulazione principesca vicino al mausoleo di suo padre nel Qianling. E, nel 711, ricevette il titolo postumo di principe ereditario Zhanghuai, «l’Irreprensibile». Di eccellente fattura e realizzate dagli atelier di corte, le pitture murali del corridoio di ingresso della sua tomba illustrano le attività favorite dell’aristocrazia Tang: la caccia e il gioco del polo. Il trattamento del cavallo, lanciato a gran velocità, con le zampe parallele colte nella loro massima estensione, evoca con il suo dinamismo e il suo vigore, le opere del grande pittore del tempo, Han Gan (attivo tra il 740 e il 760), la cui genialità derivava dall’osservazione diretta della natura profonda dei corsieri e che dichiarò al suo sovrano, sorpreso dal suo stile: Ho i miei maestri personali. Tutti i cavalli di vostra Maestà sono i miei maestri.

(Mémoire concernant la relique du Bouddha, in Choix d’écrits de Han Yu, Histoire de la pensée chinoise, Seuil, Paris 1996, pp. 395396)

Queste rimostranze, che sono valse a Han Yu un breve esilio, annunciano la grande svolta nella vita spirituale che si avvia a «recuperare la purezza dei costumi cinesi». Esse prefigurano la grande proscrizione delle religioni estranee all’impero, resa effettiva tra l’842 e l’845, che inferse un colpo fatale al buddismo istituzionalizzato e segnò il ritorno del confucianesimo sotto la dinastia Song.

e la divinazione, sulle arti liberali e sui giochi di strategia. Per le feste e i divertimenti della corte egli crea orchestre, piccole e grandi formazioni di gruppi strumentali a volte accompagnati da danzatori, specializzati in una decina di generi, come quelli di Kucha in Serindia o di Xiliang nel Gansu. La più celebre delle scuole fondate all’epoca nella capitale è il «Giardino dei Peri», legata alla musica e alla danza cinesi classiche. Il sovrano apprezza anche i combattimenti di animali, pratica e incoraggia gli sport marziali e si distingue nelle competizioni di polo, gioco importato dall’Ovest (Asia centrale, Tibet o Iran), allora in gran voga. Le cronache della storia gli attribuiscono una scuderia di quarantamila corsieri addestrati non a combattere, ma a danzare. In un periodo in cui la pittura di corte mira più a rendere il lusso, la magnificenza e lo splendore del regno che a illustrare le virtù, si sviluppa con i ritratti dei cavalli imperiali il genere detto delle «belle dame». L’esempio

152

viene dall’alto. Dal 745 fino alla sua tragica morte nel 756, il personaggio più emblematico della corte è la favorita Yang Guifei che ispira a Xuanzong una passione diventata leggendaria, poiché, per salvare il suo regno, l’imperatore deve ordinarne l’esecuzione. Fin dall’inizio della dinastia, sotto la spinta determinante dell’imperatore Taizong (r. 626649) che raccoglie con passione manoscritti attribuiti ai maestri antichi, fioriscono nuovi stili calligrafici: Zhang Xu (ca. 658-748) e He Zhizhang (659-744) sono seguaci della «corsiva folle» (kuangcao) che si affranca dalle forme e dagli standard della scrittura regolare e della corsiva classica in un uso libero e quasi sfrenato del pennello. Il monaco buddista Huaisi (verso 737-?) è apprezzato, come il suo maestro Zhang Xu, per il suo genio eccentrico e le sue opere di un’esuberanza straordinaria, realizzate in stato di trance o di ebbrezza. Il «potere meraviglioso» della calligrafia trova riscontro nella danza e nella pittura ispirata.

153


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Vaso d’argento con cavallo danzante

Argento e oro; h. 18,5 cm, diam. dell’apertura 2,2 cm. Metà dell’viii secolo, dianastia Tang. Scoperto nel 1970, tesoro di Hejiacun, Xi’an. Xi’an, Museo Storico dello Shaanxi. Con il suo migliaio di pezzi e le sue duecentosettanta opere di oreficeria che rappresentano il meglio sia delle importazioni sia delle produzioni cinesi all’apogeo dei Tang, il tesoro di Hejiacun apparteneva a una ricca famiglia aristocratica, probabilmente quella di Li Shouli (morto nel 741), principe di Bin e cugino dell’imperatore Xuanzong (r. 712-756). Di mirabile fattura, il vaso d’argento ha la forma delle borracce di cuoio delle popolazioni nomadi, dei cavalieri o dei pellegrini; sulle due facce presenta un decoro a sbalzo che raffigura un cavallo danzante, una coppa alle labbra, in un’evocazione delle feste e delle cerimonie svoltesi a corte in onore del sovrano.

IV/6/3. Giocatrice di go

Rotolo orizzontale (dettaglio); inchiostro e colori su seta, h. 37 cm. Metà dell’viii secolo, dinastia Tang. Scoperto nella tomba n. 187 del cimitero di Astana, Gaochang, Turfan. Urumqi, Museo della R.A. Uiguri dello Xinjiang. Incentrato su due giocatrici di weiqi – meglio conosciuto con il nome giapponese di go – il rotolo della tomba degli sposi Zhang si iscrive nella tradizione dei paraventi con pannelli raffiguranti dame di alto rango che esprimono la loro abilità nell’ambito del gioco, della musica e della danza. Verso la metà dell’viii secolo la bellezza luminosa e perfetta delle dame di corte e delle loro dame di compagnia rimanda a quella di Yang Guifei, prediletta dell’imperatore Xuanzong, che fu costretto a sacrificarla alla vendetta dei suoi soldati quando fuggì nel paese di Shu durante la ribellione del generale An Lushan, nel 756. Il suo tragico destino ha ispirato al poeta Bai Juyi (o Bo Juyi, 772-846) la ballata o Canto dell’eterno rimpianto (o dell’eterno rimorso), molto popolare al suo tempo e che lascerà un segno indelebile, in Cina come in Giappone, su generazioni di artisti, pittori, poeti e cineasti.

154

Il poeta Du Fu (712-770) associa l’arte di Zhang Xu, l’«ebbro folle», all’energia passionale e al ritmo di una bella danzatrice, dama Gongsun, nella sua coreografia della pantomima della spada. La corrispondenza tra le arti si esprime attraverso le «tre manifestazioni del genio supremo», la calligrafia di Zhang Xu, la danza del generale Pei Min e la pittura di Wu Daozi. Attivo tra il 720 e il 760, Wu Daozi era l’allievo dei maestri della corsiva folle. Genio del disegno puro e delle forme in movimento, egli avrebbe dipinto sui muri dei grandi templi buddisti e taoisti delle due capitali più di trecento capolavori, oggi tutti scomparsi, in cui si manifestavano tanto la sua potenza creativa e la forza della sua contemplazione quanto la sicurezza, il vigore e la celerità senza pecche del suo pennello. Sono giunti fino a noi solo alcuni estampages eseguiti su pietre incise ispirate alla sua opera. Ma la tradizione gli attribuisce la paternità di tutte le pitture religiose di pregio, quelle stesse che vengono definite come «animate da un’ispirazione divina». Alto funzionario e collezionista emerito, Zhang Yanyuan (ca. 810-ca. 880) celebra il nome di Wu Daozi nella sua Storia dei pittori celebri delle dinastie successive (Lidai minghua ji), opera capitale, la cui prefazione risale all’849. Egli si fa portavoce della fortuna di 372 maestri di pittura in più di mille anni di storia, dalle origini di quest’arte, che situa nel periodo dei Regni Combattenti, fino alla sua epoca, e rilegge la loro vita – e quella delle loro opere – alla luce di un’estetica di cui contribuisce a definire i grandi orientamenti: il

155


L’arte cinese

Dai Tre Regni ai Tang (iii-x secolo) Presentazione autobiografica

Rotolo orizzontale (dettaglio). Inchiostro su carta; h. 28,2 cm, l. totale 755 cm. Opera di Huaisu (verso 735-799), datata al 777, dinastia Tang. Taipei, National Palace Museum. Il lungo rotolo calligrafato del monaco Huaisu, che raccoglie alcuni poemi ed è preceduto da una prefazione intitolata Presentazione autobiografica, costituisce per la sua audacia e la sua veemenza, un classico del «corsivo folle». I caratteri variano per dimensioni e forma, si intrecciano tra loro come in un flusso, a volte continuo, a volte interrotto, attraversato da un ritmo musicale al contempo armonioso e dissonante. Due versi citati nella Presentazione evocano il suo stile veemente, esaltato spesso dall’ubriachezza, in occasione delle sue esibizioni davanti a un pubblico incantato da tanta arditezza, «galoppo del pennello, corsieri lasciati liberi l’uno contro l’altro, la sala assisteva a bocca aperta e seguiva a stento».

carattere sacro dell’ispirazione e l’eclettismo dei soggetti trattati, colti, taoisti e buddisti. Stabilisce filiazioni spirituali in base a criteri di stile che privilegiano la maestria del tratto, suo riferimento supremo, e innalza la pittura al rango della calligrafia; a suo parere, con i suoi temi e le loro classificazioni, l’arte del pittore regola in modo corretto il mondo e la società degli uomini perché «l’arte pittorica trae origine non dall’ingegnosità umana ma dall’ordine del Cielo stesso». Rare sono le pitture o le calligrafie autentiche dei Tang pervenute fino a noi, ma la poesia, nella sua ricchezza, ci restituisce la sensibilità del tempo. Du Fu, soprannominato con una connotazione colta il «santo della poesia«, rappresenta l’impegno nel mondo, per quanto esigente e doloroso esso sia. È amico di Li Bai (o Li Bo, 701-762), diventato per i posteri «l’immortale esiliato sulla terra». Iniziato da un maestro taoista nel corso di un lungo ritiro durante la sua giovinezza, Li Bai canta, per quel che lo riguarda, l’irresistibile aspirazione alla libertà dell’essere. Un altro grande nome della corte di Xuanzong è Wang Wei (699-759), fine letterato e poeta delicato, che suggella, per la tradizione estetica posteriore, l’intima unione tra l’arte poetica e le arti del pennello. Essa gli attribuisce la creazione di un genere e di uno stile nuovo, il paesaggio a lavis di inchiostro, in cui si esprime un perfetto distacco in accordo con gli ideali buddisti, cari al suo cuore. Il ricordo della sua proprietà del Wangchuan ai piedi dei monti Zhongnan, in cui amava ritemprarsi, attraversa i secoli, mentre si inaugura una corrente destinata a influenzare a lungo l’arte pittorica delle dinastie successive, quella del gentiluomo ritirato in seno alla natura per valorizzare la sua qualità di uomo.

156

Alla ricerca della Via sulla montagna in autunno

Rotolo verticale. Inchiostro e colore su seta; 156,2 x 77,2 cm. Attribuito a Juran (attivo nel x secolo), periodo delle Cinque Dinastie e dei Dieci Regni. Taipei, National Palace Museum. Probabilmente grazie al fatto di essere monaco buddista, Juran è d’altronde il suo nome di religione, egli seppe tradurre il gusto placido e la dolce luce dei paesaggi a sud del Lungo Fiume attraverso il loro carattere evanescente. Il titolo della pittura, «Alla ricerca della Via», che non è certamente di sua mano ma dei suoi successori immediati o più tardi, riflette le sue preoccupazioni spirituali; vi si vede un sentiero che conduce a un minuscolo eremo, nascosto sul fondo di una valle, in cui due uomini discorrono; sentiero che sembra proseguire nel cuore della montagna per suggerire anche la Via dell’assoluto, raggiunta nella comunione con lo spirito della natura.

Poema di Wang Wei (699-759) Intitolato «Al Signor magistrato Chang»: Sul tardi, non amo che la quiete. Lontana dal mio spirito la vanità delle cose. Spogliato di risorse, mi resta la gioia Di tornare alla mia antica foresta. La brezza dei pini mi scioglie la cintura; La luna accarezza i suoni della mia cetra. Qual è, domandate voi, la verità ultima? Questo canto di pescatore, tra le canne, che si allontana… (L’Écriture poétique chinoise suivi d’une anthologie des poèmes des T’ang, Seuil, Paris 1977, p. 176)

157


Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

Capitolo quinto

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista Mongola (1279-1368) La cultura del politico L’epoca Song (960-1279) vede il mondo cinese trasformarsi profondamente, al termine di processi, iniziati a partire dal ix secolo e proseguiti per tutto il x secolo. Successivamente ai Tang, Cinque Dinastie (907-960) regnano sulla Cina del Nord, mentre Dieci Regni, non meno effimeri, sono insediati a Sud. Le innovazioni agricole e tecniche, lo sviluppo dei centri urbani e dell’economia monetaria si associano, sul piano intellettuale e spirituale, a un ritorno alle fonti e ai valori antichi per definire una nuova visione dell’uomo nel mondo, con uno slancio che inaugura, secondo numerosi autori, i «tempi moderni» della Cina e rappresenta, sotto molti aspetti, il suo «Rinascimento». I centri di gravità dell’impero si spostano. Delimitato e minacciato da potenti regni alle sue marche settentrionali e occidentali, ma anche ai confini di sud-ovest e del sud, l’Impero Song è attraversato dalle strade delle oasi e delle steppe che avevano fatto la grandezza e la ricchezza dei suoi predecessori. I primi Song o Song del Nord (960-1127) insediano la loro capitale a Bianjing (l’attuale Kaifeng, Henan), nel cuore della Grande Pianura del fiume Giallo; la città è collegata alla ricca valle del Changjiang e alle sue prospere province da vie d’acqua e canali, al primo posto dei quali figura il Grande Canale imperiale. Sotto i secondi Song o Song del Sud (1127-1279), dopo la perdita dei territori a nord del fiume Huai, la capitale viene spostata più a sud, a Hangzhou (Zhejiang), battezzata allora Lin’an o «Pace precaria». Anche se continuano a provenire dall’agricoltura, come al tempo degli imperi guerrieri, le entrate dello Stato dipendono anche dai monopoli, dall’artigianato e dal commercio; si moltiplicano gli scambi tra province cinesi, ma anche con gli imperi del Nord, con la Corea e il Giappone così come l’arcipelago indonesiano, l’Asia del Sud e i paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano, dove i Song esportano i prodotti del loro artigianato di lusso: oreficeria, porcellane e ceramiche, lacche e tessuti di seta. Per consolidare la sua fondazione, l’impero Song accentua l’influenza del governo centrale sulle province; la sua burocrazia vede aumentare sensibilmente il numero dei suoi agenti. Come nelle epoche precedenti, ma su tutt’altra scala, l’accesso alle sue alte cariche è ratificato, a partire dal 973, da esami che esigono la padronanza e la comprensione della lingua classica e della sua letteratura. Istituite nelle prefetture, le scuole ufficiali, come le numerose accademie private che preparano agli esami imperiali, beneficiano di un’invenzione capitale: la stampa. Vengono messe a punto, senza che si possa determinare con precisione la data della loro comparsa, le tecniche della xilografia, ovvero della stampa per mezzo di tavole di legno incise, che precedono l’invenzione dei caratteri mobili attribuita a Bi Sheng, sotto l’imperatore Renzong (r. 1023-1063). Basate sui principi sia dell’incisione dei sigilli che dell’estampage delle steli, esse hanno permesso, fin dall’epoca delle Cinque Dinastie, di riprodurre testi antichi e realizzare opere nuove; spesso illustrati (disegni, carte, planimetrie o diagrammi), i libri riguardano tutti campi del sapere, del saper-fare e del saper-essere. Per questo, tra il 932 e il 953, la stampa di tutti i Classici confuciani in centotrenta volumi è seguita da quelle dei non meno imponenti Canoni taoisti e buddisti, favorendo l’emergere di nuove correnti, all’incrocio di queste tre tradizioni, spesso raggruppate sotto la denominazione di «neoconfucianesimo». Un millennio dopo gli Han e nel solco dell’esegesi Tang, i testi della tradizione letterata vengono rivisitati, riclassificati e commentati; la filosofia politica del regno si vede eretta, nel segno della virtù, a norma morale universale che struttura, in modo razionale e funzionale, l’intero impero. Lo Stato promuove la nuova cultura confuciana che, attraverso i suoi rappresentanti più influenti e più ambiziosi, investe la sfera del politico.

158

«Ritratto con colore» (zhuose renwu tu)

Inchiostro e colori su seta; 29 x 27,8 cm. Opera anonima correntemente datata alla fine dell’epoca dei Song del Nord, fine dell’xi-inizio del xii secolo. Primo foglio di un album la cui datazione e interpretazione continuano a dar luogo a dibattiti, la pittura rappresenta un funzionario letterato nel suo ambiente familiare, un interno sobrio e spoglio. Con un rotolo in mano, egli è seduto su una larga panca, mentre un servitore gli versa da bere; dietro di lui, un pannello su cui si dispiega una pittura che raffigura una scena in riva all’acqua e al quale è appeso il suo ritratto. Meticolosamente scelto e raffigurato, ogni oggetto parla della sua passione per le arti e la cultura (strumento musicale, pitture, libri), così come del suo abbandono ai piaceri raffinati dell’esistenza (il vino o il tè, la disposizione dei fiori), al di fuori delle costrizioni della vita pubblica.

159


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368) Grande ramo di bambù

Rotolo verticale (dettaglio); inchiostro su seta; 132,6 x 105,4 cm. Attribuito a Wen Tong, verso il 1070. Taipei, National Palace Museum. Il rotolo appartiene al periodo della maturità di Went Tong, quando la sua maestria tecnica ha raggiunto un grado tale di perfezione da poter superare le regole della sua disciplina e far ritorno alla spontaneità naturale di vegetali. La composizione, fitta e ariosa al tempo stesso, contribuisce alla resa del movimento e della luce; le tonalità dell’inchiostro, ora più scure ora più chiare, e il ritmo impresso a ciascun tratto di pennello mostrano le foglie assottigliate o appiattite, i gambi rigidi o flessi, i rami che salgono o discendono nell’equilibrio di un istante fissato per sempre nella sua armonia.

A proposito dei bambù dipinti da Wen Tong (chiamato anche Yuke) Fin dall’antico Libro delle Odi, il bambù, per la sua rigogliosità, serve da metafora per la vigorosa virtù dei principi. Con Su Shi, che parla dei bambù dipinti dal suo amico Wen Tong come dei «gentiluomini dell’inchiostro», la sua dimensione spirituale si fa più profonda. Il suo portamento morbido e slanciato evoca l’eleganza dello spirito e la rettitudine del cuore; le sue foglie, dalla forma semplice e netta, parlano della rinuncia e di una certa austerità; infine, sempre verde anche nel cuore dell’inverno, esso diviene l’immagine della costanza di fronte ai rischi dell’esistenza. In un poema rimasto celebre, Su Shi evoca la facoltà dell’artista, capace, come il santo taoista in estasi descritto da Zhuang Zi (iv secolo a.C.), di essere un tutt’uno con gli esseri e le cose: Quando Yuke dipingeva un bambù, Vedeva il bambù e non si vedeva più. È poco dire che non si vedeva più; Come posseduto, egli abbandonava il proprio corpo, Si trasformava, diventava bambù, Facendo scaturire senza fine nuove frescure, Maestro Zhuang, ahimè, non è più di questo mondo! Chi concepisce ancora un simile spirito concentrato? (In Souffle-esprit, Textes théoriques chinois sur l’art pictural, Seuil, Paris 1989, p. 76)

Calligrafia di Huang Tingjian (1045-1105) inserita in un rotolo di Su Shi (1036-1101) (dettaglio)

Inchiostro su carta; 34,3 x 199,4 cm. Taipei, National Palace Museum. Con uno slancio vigoroso, Huang imbocca la direzione opposta ai principi della scrittura corrente, regolarità, ordine e simmetria: alcuni caratteri invadono lo spazio dei vicini, altri si intrecciano o si legano tra loro; i tratti, a volte smisurati, si torcono a ricciolo o si sovrappongono in obliquo. Le variazioni della tonalità dell’inchiostro, ora densa e vellutata, ora quasi asciutta, accrescono la magistrale esaltazione del ritmo per afferrare il mondo nelle sue vibrazioni.

160

161


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368) «La Falesia Rossa» (Chibi tu)

Al tempo dei Song del Nord, eminenti personalità che appartengono alla cerchia dei più alti funzionari dell’impero, fissano per i posteri il tipo del gentiluomo artista. Tra i nomi prestigiosi figurano Huang Tingjian (1045-1105), pittore, calligrafo ed esteta esigente, e il gran maestro del pennello Li Gonglin (1049-ca.1105). Tutti si raggruppano, per affinità elettive, intorno a Su Shi, conosciuto anche con lo pseudonimo di Su Dongpo (1037-1101), uomo d’azione e di cultura la cui carriera ufficiale conosce alti e bassi in relazione alle divergenze generate dalle politiche di riforma dello Stato. Autore di commenti di alcuni classici fra cui il Libro dei Mutamenti e i Dialoghi di Confucio, Su Shi lascia in eredità una sterminata opera letteraria e poetica, espressione di una saggezza completamente incentrata sull’uomo e sul suo perfezionamento nel mondo. Nell’arte, egli raccomanda l’intuizione e la spontaneità che si raggiungono con una lunga disciplina e la padronanza di una vasta cultura, e afferma la risonanza tra le arti: «Poesia e pittura condividono uno stesso scopo: Freschezza pura e talento senza sforzo». Disciplina spirituale, allo stesso titolo della calligrafia o della musica, la pittura è l’argomento di numerosi trattati quali L’arte del pennello (Bifaji) di Jing Hao (inizio del x secolo), L’alto messaggio delle foreste e delle sorgenti (Linquan Gaozhi) di Guo Xi (attivo tra il 1067 e il 1085) e Il trattato su ciò che è stato visto e ascoltato in materia di pittura (Tuhua jianwen zhi), dovuto a Guo Ruoxu e risalente al 1074. Fra i temi prediletti della pittura a lavis di inchiostro figurano il paesaggio, reso in cinese con l’espressione immaginifica di «montagne e acque» (shanshui) e alcuni vegetali dalla forte dimensione spirituale come il pino, il prugno in fiore e il bambù. Nasce così una corrente che la critica successiva designa con l’appellativo di «pittura dei letterati» (shiren hua), espressione intima e appannaggio di una classe di eruditi che incarnano e condividono una cultura al contempo morale, artistica e letteraria e che fisseranno, per i secoli a venire, gli obiettivi estetici e le Belle Arti della loro civiltà.

Imperatori artisti e mecenati e la politica della cultura La dinastia dei Song del Nord si chiude con un disastro: l’invasione dei territori del Nord e l’incursione nella capitale da parte dei Jin nel 1125 portano all’abdicazione e alla deposizione dell’imperatore Huizong (1082-1135, r. 1101-1125); due anni più tardi, l’imperatore viene deportato in terra nomade e muore dopo dieci anni di prigionia. Troppo spesso giudicata alla luce di questi tragici eventi, l’opera di Huizong, imperatore mecenate e artista di talento, non si riduce in realtà a un’inclinazione smodata per il taoismo e le arti che l’avrebbero tenuto lontano dalle realtà politiche. Di fatto, il suo regno è contraddistinto dalla fioritura e dalla realizzazione per più di un secolo di un’altra politica, quella della cultura. Come i suoi predecessori, ma su più vasta scala, egli usa – e senza dubbio ne abusa – tutte le risorse dello Stato per forgiare uno stile dinastico che testimoni il favore del Cielo, l’efficienza e la beneficenza del suo regno. La centralizzazione è funzionale al suo disegno.

162

Rotolo verticale, inchiostro su carta; 50,8 x 1,36 cm. Attribuito a Wu Yuanzhi (1126-1233), verso il 1195, dinastia dei Song del Nord. Taipei, National Palace Museum. Nel 1082, Su Shi si reca a due riprese sul sito della Falesia Rossa, luogo presunto di una celebre battaglia navale del tempo dei Tre Regni (iii secolo), e scrive due poemi in prosa che conoscono un immenso successo. Cantati, imparati a memoria, interpretati dai calligrafi, illustrati dai più grandi maestri paesaggisti, essi vengono trasposti anche nel vasto repertorio degli oggetti decorativi. Su Shi celebra le onde del fiume che cancellano gli eroi della storia, la luna splendente e mutevole, la natura maestosa e talvolta opprimente della montagna; incontra in sogno un maestro taoista, medita sulla fragilità dell’uomo e sulla sua gloria effimera, per cantare la felicità degli istanti condivisi nell’amicizia, nel vino e nella musica. Nella sua interpretazione del tema, Wu Yuanzhi (1126-1233) ritiene come elementi altamente simbolici la barchetta e i suoi tre occupanti, il poeta e i suoi amici, di fronte all’imponente parete rocciosa scoscesa, avvolta da nebbie e coronata in alto da pini solitari.

«Annuncio della primavera»

Rotolo verticale, inchiostro su seta; 158,3 x 108,1 cm. Opera di Guo Xi (attivo tra il 1067 e il 1085), datata al 1072, dinastia dei Song del Nord. Taipei, National Palace Museum. Debitamente intitolato, datato e firmato, il grande rotolo di Guo Xi è l’opera più conosciuta del maestro, pittore accreditato dall’imperatore Shenzong (r. 1068-1085). Destinato a un pannello del Padiglione di Giada, da poco costruito in seno al collegio Hanlin, esso vuole trasmettere al sovrano e agli eruditi della corte una visione idealizzata della natura e delle sue virtù vivificanti all’annuncio della primavera. Di eccelsa maestria, la composizione si articola intorno a una montagna altissima le cui cime toccano il cielo, mentre le sue acque, sorgive e tranquille, affiorano e sgorgano dalla terra; ora evanescenti, ora più opache, brume e vapori animano l’insieme di uno spazio aperto all’uomo, nella diversità e vitalità delle sue forme e nella loro unità ricreata in spirito. In risonanza con i principi sanciti dal suo trattato dal titolo molto evocativo, Alto messaggio delle foreste e delle sorgenti (Linquan Gaozhi), in cui sviluppa l’idea che la natura traduce uno stato d’animo, la pittura raggiunge la categoria «meravigliosa» dei paesaggi in cui si poteva, come scriveva lo stesso Guo Xi, non solo passeggiare o vagabondare, ma, ancor meglio, vivere e dimorare.

163


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«Gru di buon augurio» Ritratto dell’imperatore Huizong dei Song

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 188,2 x 106,7 cm. Opera anonima, fine della dinastia dei Song del Nord. Taipei, National Palace Museum. Come vuole la tradizione del ritratto di corte, che tende a nobilitare i sovrani in senso morale e politico, Huizong (1082-1136, r. 1100-1125) viene rappresentato seduto, di tre quarti; la sua funzione ufficiale si legge nel suo costume da letterato, ampio abito di gala rosso cinabro con cintura gialla come giallo è l’abito sottostante di cui fuoriescono i polsini e il collo, e cuffia di garza di seta nera laccata dalle lunghissime alette orizzontali. Basata sul realismo dei lineamenti, la pittura si collega ai ritratti degli antenati che si vedono conferire, dall’imperatore Zhenzong in poi (r. 998-1022), un ruolo religioso; nel 1012, l’imperatore aveva presentato offerte sacrificali alle effigi dei sovrani che lo avevano preceduto. Associate alle tavolette rituali del culto ancestrale, le pitture assicureranno, da quel momento e fino alla fine dell’impero, la protezione spirituale delle stirpi dinastiche.

164

Rotolo murale (dettaglio); inchiostro e colori su seta; 138,2 x 51 cm. Attribuito a Zhao Ji o Imperatore Huizong e datato al 1112, dinastia dei Song del Nord. Shenyang, Museo provinciale del Liaoning. Nel 1112, la sera dopo la celebrazione della festa delle Lanterne che chiude le festività del Nuovo Anno, il quindicesimo giorno dalla prima luna, l’imperatore Huizong mostra alla corte gli splendori del suo palazzo. Non appena si levano nubi di buon augurio, alcune gru, simboli dell’immortalità taoista, appaiono nel cielo; diciotto volano in gruppo sopra il palazzo e due si posano sugli acroteri del tetto. È in seguito a questa visione, dando luogo alla più mirabile dimostrazione delle sue capacità di artista, che l’imperatore avrebbe eseguito una pittura dal realismo brillante e misurato, intitolata Volo di gru di buon augurio; a fronte dell’opera dipinta, si iscrive, calligrafato dal sovrano stesso, il poema in cui canta l’apparizione di questo felice presagio. Montata poi su un rotolo e inclusa nel vasto insieme delle immagini dei Prodigi del Regno, l’opera attesta la virtù imperiale e il suo sottile accordo con le armonie cosmiche.

La corte aggrega gli uomini, le loro innovazioni e i loro talenti. Il più importante trattato di architettura mai realizzato, Regole e norme della costruzione (Yingzao fashi) di Li Jie, gli viene sottoposto prima della pubblicazione nel 1103. Nei due anni successivi, Huizong crea, in seno al collegio Hanlin dell’Università imperiale, quattro nuovi istituti che, ognuno nel suo campo, si dedicano alla ricerca delle chiavi dell’intelligibilità del mondo: la medicina o l’arte padroneggiata della Lunga Vita, la matematica le cui speculazioni supportano la numerologia e la cosmologia, e infine la calligrafia e la pittura. Maestro delle arti del pennello, l’imperatore in persona patrocina le nuove istituzioni accademiche; ne organizza gli esami e ne definisce le modalità di ammissione. Per promuovere lo status del pittore e porlo al di sopra del semplice artigiano, egli fa emergere esigenze nuove, in risonanza con il pensiero del suo tempo, lo studio approfondito della natura e dei suoi oggetti e la definizione del loro significato intimo e poetico. La trasmissione delle tradizioni del passato completa il cursus. Nel rispetto dovuto ai predecessori, la copia contribuisce alla diffusione di opere di valore e permette anche di dedicarsi a un esercizio che forma l’occhio e la mano. Essa coincide con il costituirsi delle collezioni. Ma non si tratta soltanto di accumulare giade e bronzi arcaici, monete antiche, libri, estampages, pitture e calligrafie, bensì di descrivere, classificare e comprendere, di introdurre, insomma, metodo e oggettività nella conoscenza del più lontano passato per ispirare il presente, la sua arte, i suoi culti e la sua estetica. Così la presentazione al trono, tra il 1123 e il 1125, del catalogo della collezione di antichità, che in occasioni fastose Huizong aveva presentato alla corte e ai letterati, Catalogo illustrato delle Antichità dell’era Xuanhe (Chongxiu xuanhe bogutulu), autorizza la realizzazione di fusioni di vasi e strumenti musicali, destinati ai nuovi culti ancestrali e statali. Le forme antiche ispirano anche le ceramiche così come i preziosi céladon prodotti per la corte o il

165


L’arte cinese

famoso grès di Ru, dallo spesso strato di smalto bluastro, i cui forni sono stati scoperti nel 2000 a Baofeng (Henan). Quanto al Catalogo di calligrafie e pitture dell’era Xuanhe (Xuanhe huapu), la cui prefazione risale al 1120, esso autentica le opere e ne classifica i soggetti. La collezione imperiale, che raccoglie quasi 6400 rotoli, è inerente alle opere dei maestri antichi, ma riguarda soprattutto le produzioni coeve; nessuna tecnica viene scartata, pitture dai colori brillanti o lavis d’inchiostro monocromo; tutti i temi sono rappresentati e, infine, essa raggruppa tutti gli artisti, siano essi pittori dell’accademia o dilettanti letterati, senza tener conto delle differenti posizioni che ne contrappongono gli ideali. La nuova architettura con i suoi palazzi scrigno e i loro giardini, autentici «mondi in piccolo», permette a Huizong di ricreare un universo di bellezza pura che gli è sempre sembrato essere la sola realtà affidabile del mondo. Dopo il dramma, mentre l’impero viene progressivamente mutilato delle sue province settentrionali, uno dei figli di Huizong che regna con il nome di Gaozong (r. 1127-1162) riesce a risollevare la dinastia. Per rafforzare la sua legittimità, ma anche per affermare di fronte ai conquistatori venuti dalle steppe i valori che avevano reso grandi gli imperi cinesi, a partire dal 1140 Gaozong dà avvio a un vasto programma per il rinnovamento della cultura e delle arti; ripristina le istituzioni accademiche e ricostituisce le collezioni. La promozione della cultura confuciana si amplia con l’incisione su pietra, sulla base della sua eccellente calligrafia, del Libro della pietà filiale e di altri classici. Verso il 1160, Gaozong ordina a Ma Hezhi (attivo verso il 1130-1170) e ai suoi assistenti una serie di illustrazioni per il Libro delle Odi, in un vasto progetto portato poi avanti dal figlio adottivo Xiaozong (r. 11631189). Infine, verso la fine della dinastia, l’imperatore Lizong (r. 1225-1264) chiede a uno dei pittori più famosi del suo tempo, erede di una lunga dinastia di accademici, Ma Lin (ca. 1180-dopo 1256) di rappresentare i santi sovrani dell’antichità mitica e i saggi eminenti della tradizione confuciana. Allo stesso tempo, e come faranno dopo di lui numerosi sovrani cinesi e stranieri, l’imperatore fa dei principi elaborati dalla scuola di Zhu Xi (1130-1200),

166

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«Vecchio albero sulla riva di un torrente» (gumu liuquan)

Inchiostro su carta, foglio d’album; 30 x 38,7 cm. Opera di Ma Hezhi (attivo verso il 11301170), dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. Nella sua illustrazione dell’ode Le acque straripanti, Ma Hezhi rappresenta una vasta distesa di acqua mista a nebbia a perdita d’occhio; sul lato sinistro, un albero, come sorto da una roccia, allunga i suoi rami spogli nel vuoto; su di essi è appollaiato un falcone, con la testa voltata, mentre un secondo uccello, colto in pieno volo, si leva alto verso il cielo. Raffinata ed evocativa come la metafora o l’allegoria nella poesia antica, la pittura a lavis crea un linguaggio che si serve delle infinite sfumature dell’inchiostro, dalla più cupa alla più pallida, e di tutta una gamma di tratti di pennello, curvi, raddoppiati o a uncino, chiamati in modo molto significativo «rughe» (cun), in osmosi con il volto umano, per tradurre le risonanze tra le forme della natura e le espressioni e i sentimenti degli uomini.

«Le acque straripanti» A fini didattici e morali, numerosi canti del Libro delle Odi mettono in corrispondenza la vita degli esseri della natura con quella degli uomini. La nona ode del libro che riunisce le «Odi (cantate a corte in determinate circostanze) minori» (Xiaoya) è intitolata Le acque straripanti. Il poeta evoca la potenza dei fiumi che convogliano i loro flutti verso il mare, al pari di quella dei principi, leali verso il loro sovrano; parla anche del carattere altero del falcone, per meglio fustigare la debolezza degli uomini in tempi foschi e pericolosi. Questi fiumi scorrono pieni fino ai bordi; vanno a offrire i loro omaggi e a pagare il tributo al mare. Il falcone dal rapido volo ora fende l’aria, ora si riposa. Ahimè! tra i miei fratelli, i miei concittadini, i miei amici, nessuno vuole cercare un rimedio alle sommosse attuali. (E tuttavia) chi non ha un padre, una madre (nell’afflizione a causa di questi disordini)? Questi fiumi scorrono pieni fino ai bordi; le loro acque sono abbondanti. Il falcone dal rapido volo, ora plana, ora si innalza nell’aria (e mai riposa). (Così) al pensiero di quegli uomini che si allontanano dalla retta via, io sono in continua agitazione. Non posso né placare né dimenticare il dolore del mio cuore. Il falcone nel suo rapido volo segue il fianco della collina (Segue la strada che gli è come tracciata dalla collina. Gli uomini, al contrario, si allontanano dalla retta via). Si diffondono falsità; perché nessuno vi mette un freno? Se i miei amici (i miei fratelli e i miei concittadini) vegliassero con cura su se stessi, tante maldicenze avrebbero libero corso? (Cheu King, Taipei, ried. Istituto Ricci, 1966, pp. 213-214)

Ritratto di Yu il Grande

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 246,7 x 110,8 cm. Realizzato da Ma Lin (attivo tra il 1180 e il 1256), dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. Nella mitologia leggendaria trasmessa dai Classici, Yu il Grande, presunto fondatore della dinastia Xia (22051500), è il sovrano che apre «la via delle acque» e regola il corso dei fiumi. È qui dipinto sotto i tratti idealizzati di un sovrano in possesso di tutti gli attributi della sua carica; sul suo abito figurano gli elementi del suo dominio sull’universo, sole, luna e costellazioni, ma anche nembi celesti in cui volteggiano possenti dragoni; vi si aggiungono il berretto imperiale, piatto con fili di perle, che nasconde allo sguardo e accresce il mistero della maestà, e una tavoletta di giada, emblema di autorità. L’immagine riecheggia il passo in cui Confucio celebra la sua opera sovrana: Il Grande Yu è per me un esempio senza pecche. Mangiava e beveva frugalmente, ma l’abbondanza delle sue offerte ai mani e agli spiriti rivelava la più grande devozione filiale. I suoi abiti di tutti i giorni erano dei più ordinari, ma egli riservava tutto lo splendore alla sua tunica e al suo berretto da cerimonia. Viveva in un’umile dimora, ma spese tutta la sua energia nei lavori di prosciugamento e di canalizzazione. Sì, Yu è veramente un esempio senza pecche! (Lunyu, viii, 21, Entretiens de Confucius, Seuil, Paris 1981, p. 73)

167


L’arte cinese

Città attuali Siti archeologici

I m p e r o

L i a o

Capitale suprema Tomba della principessa di Chen Hohhot

I m p e r o X i x i a

Capitale centrale

Capitale dell’Ovest

U i g u r i Hu a n g T o u Luoyang

R e g n o

Tu b o

Capitale dell’Est Liaoyang

Capitale del Sud o Beijing

Kaifeng

I m p e r o S o n g

Shanghai Hangzhou

Dali

Guangzhou

Taiwan Hong Kong

Hainan

La Cina dei Song (960-1279) e impero dei Liao La suddivisione politica dell’impero Song durerà circa un secolo e mezzo. A Nord regnano i Nüzhen o i Jin (11151234) che hanno soppiantato i Qidan o Liao (916-1125). A partire dal 1142, la linea di demarcazione con l’impero dei Song del Sud si situa all’altezza della valle dello Huai. Dieci anni dopo, nel 1153, i Jin stabiliscono la loro capitale nel sito dell’antica capitale del sud dei Liao, ossia l’attuale municipalità di Beijing, che, per la prima volta nella storia, accede al rango di capitale imperiale. La divisione della Cina interna è accresciuta dall’esistenza, a nord-ovest dello Stato tibeto-tangut, che si trasforma in un impero con il nome cinese di Xixia (o Xia dell’Ovest) (1038-1227), confinante con il regno tibetano la cui potenza, dopo essersi estesa in Serindia e nel Gansu, si riafferma a quell’epoca nel Tibet centrale; più a ovest si stendono i Khanat uiguri, in pieno sviluppo nel x e nell’xi secolo, e a nord i domini delle tribù di ascendenza tatara e mongola; infine, a sud-ovest, lo Yunnan è sotto il dominio del regno di Dali, fondato nel 937. All’inizio del xii secolo, le prime conquiste del Mongolo Gengis Khan mettono fine a questa divisione. Xingzhou, l’attuale Yinchuan (R.A. Hui del Ningxia), capitale degli Xixia, cade nel 1209; quella dei Jin, l’attuale Beijing, nel 1214; quarant’anni dopo, sotto il regno del nipote Kubilay (1215-1294), la conquista di Dali e del Sud della Cina si conclude con la caduta, nel 1279, di Hangzhou, capitale dei Song del Sud.

Maschera, corona e stivali mortuari della principessa Chen

Oro; h. 20,5 cm, l. 17,2 cm; corona, argento dorato, h. 32 cm. Dinastia Liao (947-1125), 1018. Portato alla luce nel 1986 nella tomba della principessa Chen a Qinglongshan, bandiera dei Naiman, R. A. della Mongolia Interna. Hohhot, Istituto d’Archeologia e dei Beni Patrimoniali della R.A. della Mongolia Interna. La ricchissima sepoltura della principessa di Chen, affiliata alla famiglia imperiale, è situata nella parte orientale dell’attuale Mongolia Interna, la culla dei Liao. Morta nel 1018, a 17 anni, viene inumata insieme al suo sposo Xiao Shaoju che, come lei, beneficia di un costume funerario completo con una maschera d’oro dai tratti individualizzati. Rappresentativa dell’arte orafa Liao, la cuffia con decoro di fenici tra i nembi ha due alette verticali ed è coronata dalla figuretta di una divinità la cui ascendenza, taoista o sciamanica, resta controversa. Per alcuni studiosi, la tradizione mortuaria degli aristocratici Liao continua quella delle «armature di giada» dell’epoca Han; altri, al contrario, la situano nell’orbita del mondo delle steppe, nella Siberia meridionale o in Serindia.

(Tratto da G. Béguin, Chine, La gloire des empereurs, Findakly-Paris Musées, Paris 2000, p. 362)

che mettono in luce l’universalità della coscienza morale, la religione civile del suo Stato, con i suoi culti ufficiali che favoriscono i processi creativi del mondo, i suoi riti familiari che armonizzano la società e la sua disciplina mentale che favorisce il perfezionamento degli uomini.

Le dinastie conquistatrici o gli imperi cinesizzati della steppa tra il x e xiii secolo Dal x al xiii secolo, il periodo delle Cinque Dinastie e dei Song vede l’emergere e poi lo sviluppo di potenti entità politiche e guerriere nelle marche dell’impero. Nati da antiche confederazioni di popoli nomadi e semi-nomadi, gli stati che regnano nel Nord-Est sono conosciuti nella storia cinese con i nomi dinastici dei Liao (916-1125), impero fondato dai Qidan (o Khitan), venuti dall’Est mongolo, ai quali succedono i loro antichi vassalli, i Jin (1115-1234) o Nüzhen (Jurchen), originari della Manciuria; mentre nel Nord-Ovest si insediano gli Xixia (1038-1227), discendenti di nomadi del Tibet Orientale, i Tangut. Di fronte alle minacce, e dopo sferzanti sconfitte, l’impero Song, la cui politica esita tra pacifismo e risposta militare, temporeggia e firma in favore dei Liao nel 1005 e degli Xixia nel 1044 trattati di alleanza, accompagnati da un pesante tributo annuale (argento, seta e tè). Si fissano dei compromessi; pragmatici, essi aprono di fatto a scambi commerciali e culturali favorevoli alle parti in causa. A lungo misconosciuta, se non disprezzata perché considerata unicamente in termini di grado di cinesizzazione, l’originalità delle rispettive culture dei Liao, dei Jin e degli Xixia è oggi meglio accertata, benché ancora valutata con il metro di quella cinese. È vero che, per consolidare il loro potere, i loro sovrani si sono forgiati una nuova identità dinastica (titolo di imperatore, successione ereditaria, e appellativo di regno) e hanno dotato i loro stati di istituzioni ampiamente mutuate da quelle cinesi (organizzazione amministrativa e rituale, scrittura derivata dai

168

169


L’arte cinese Interno della camera funeraria della tomba di Shengzong

caratteri cinesi per trascrivere le loro lingue, fondazione di capitali su scala colossale). Fino ad oggi sono state scavate circa un migliaio di tombe Liao; ripartite su un vasto territorio proporzionato all’impero, dalla provincia del Jilin alla frontiera del Liaoning occidentale, dall’est della Mongolia Interna al nord dello Shanxi e dello Hebei, esse ci illuminano ampiamente su pratiche funerarie singolari, che oltretutto rivelano i numerosi prestiti reciproci e gli amalgama complessi tra aristocrazia Liao ed élite cinesi. Adottata prima ancora della fondazione dell’impero, la sepoltura dei defunti determina la costruzione di tombe riccamente allestite, sia sul piano strutturale sia su quello del decoro dipinto o architettonico, e alle quali si associa un deposito di offerte. Poche sono le statuette e i mingqi presenti negli arredi funerari, ma, in compenso, numerose immagini dipinte, rotoli orizzontali e pitture murali accompagnano i defunti, assicurando loro protezione e servizi rituali ed esprimendo i voti formulati per l’aldilà. Molto cinesizzante fino al x secolo, per temi e stile, la pittura Liao, caratterizzata dal vigore del tratto e dalla freschezza dei colori, si volge verso soggetti in risonanza con le tradizioni pastorali e nomadi (paesaggi, greggi e cavalli, processioni e cortei, scene rituali, cacce e accampamenti di yurte, spostamenti stagionali). La grande tradizione Tang dei ritratti di cavalli prosegue sotto i Jin per raggiungere la piena fioritura nel xii secolo nelle scene realistiche della vita dei pastori. Prima delle leggi suntuarie della fine del x secolo, riproposte verso la metà dell’xi, e che tentano di limitarne l’uso, gli aristocratici Liao collocarono nelle tombe dei loro parenti di alto rango pezzi di oreficeria d’oro e d’argento, che rimandano al potere e al prestigio sociale. Sono presenti anche preziosi elementi decorativi dei finimenti dei cavalli e delle selle di gala di cui i Liao restano i maestri indiscussi. Destinati anch’essi ai membri dell’aristocrazia, alcuni costumi funerari il cui materiale – oro, argento o bronzo dorato – varia in funzione del rango, fanno la loro comparsa verso la fine del x secolo. Costituiti da una maschera, all’inizio molto schematica e che tende a poco a poco a una rappresentazione più naturalista delle sembianze dei defunti, da un sudario di maglie metalliche, da varie parure, e a volte anche da stivali, essi si accompagnano a un trattamento particolare del corpo mediante essiccazione o mummificazione. Parallelamente, con l’adozione del buddismo come religione ufficiale, si diffonde la cremazione. Conservate il più delle volte in urne di legno e sotterrate nelle tombe, le ceneri vengono a volte deposte all’interno di manichini di legno articolati, a grandezza umana, che conciliano prescrizioni buddiste, rituali taoisti relativi all’immortalità attraverso la «liberazione (delle anime) del cadavere» e credenze cinesi relative alla necessaria integrità del corpo in vista della sua vita nell’oltretomba. L’architettura monumentale resta l’espressione più importante della cultura Liao. Una decina di edifici buddisti, pagode (ta), padiglioni a piani (ge), porte o padiglioni di ingresso (shanmen) e sale di monasteri, notevoli per la loro massiccia solennità e le loro sofisticate

170

Localizzato a Quingling, Chifeng, R.A. della Mongolia Interna. Realizzato nel corso dell’xi secolo secondo uno stesso schema direttivo che unisce tradizioni cinesi e steppiche, il campo funerario del Qingling a Qingzhou accoglie le tombe del sesto, settimo e ottavo imperatore Liao. Situata a est del sito, la tomba dell’imperatore Shengzong (r. 982-1031) e della sua sposa, l’imperatrice Rende, comprende, come le altre, sei camere sotterranee di cui due principali poste lungo un asse definito dalla rampa di accesso. Rotonde o ottagonali, con una cupola a volta, queste camere si aprono su dei corridoi dove sono raffigurate delle guardie e dei funzionari qidan e cinesi; il loro decoro dipinto riproduce la yurta di feltro teso in tessuti colorati, utilizzata in occasione del ciclo annuale delle attività rituali nomadi; la camera funeraria dell’imperatore presenta in sovrappiù un decoro pittorico unico con, raffigurati in pannelli verticali, paesaggi delle quattro stagioni, in un’evocazione sublimata dei luoghi di accampamento, di pesca e di caccia del sovrano nel corso dell’anno.

Biblioteca Bhagavan

Datata al 1038, dinastia Liao. Datong (Shanxi), Monastero Huayan detto «del basso». Fondata nel 1038 sotto l’imperatore Liao Xingzong (r. 1031-1055) per conservare e venerare il Canone buddista, la biblioteca detta Bhagavan o del Beato appartiene a un monastero conosciuto oggi con il nome più tardo di Huayan Si, in riferimento alla scuola molto influente alla corte dei Liao e incentrata sugli insegnamenti di un gruppo di sutra eponimi, della Ghirlanda Fiorita. Di modeste dimensioni (25 metri di larghezza per 10 metri di profondità), la costruzione poggia su una base sopraelevata che mette in risalto la lavorazione della sua intelaiatura. All’interno, sulla parete di fondo e su quelle laterali, trentotto armadi da sutra in legno sono incorporati nella muratura; essi riproducono la disposizione dei palazzi a piani e di un palazzo sospeso, con i loro aggetti di legno scolpiti che sostengono tettoie di pseudo tetti, cornicioni e balconi con balaustre a giorno. Questo tipo originale di architettura in miniatura lo si ritrova anche nell’allestimento di alcune tombe coeve.


L’arte cinese

Gruppo statuario nella biblioteca Bhagavan

Inizio dell’xi secolo, dinastia Liao. Datong, Monastero Huayan detto «del basso», in situ. La disposizione delle colonne della sala-biblioteca organizza un vasto spazio centrale rettangolare, coperto da un soffitto a cassettoni dipinti che costituisce una specie di maestoso baldacchino

172

sopra un gruppo di ventinove statue di epoca Liao, sistemate su una bassissima pedana. In base al testo di una stele posteriore di epoca Jin, datata al 1161 e conservata in situ, il gruppo, pur essendo stato oggetto di altre interpretazioni, risponde al tema dei Tre Mondi (passato, presente e futuro) e delle Dieci Direzioni (cardinali, intermedie, zenith e nadir) a significare la presen-

za radiosa del Buddha in ogni tempo e in ogni luogo. Al centro, si trovano il Buddha del presente, Sakyamuni, e i suoi assistenti, con, alla loro sinistra (nella parte sud) il ventiquattresimo Buddha del passato, Dipankara, e alla loro destra (nella parte nord) il Buddha del futuro, Maitreya. Modellate in argilla cruda su una struttura di legno e dipinte, in scala quasi umana, le statue

rivelano una grande maestria stilistica che ricerca l’espressività degli atteggiamenti e dei modi di agire di ognuna delle figure di saggezza (Buddha e discepoli), di compassione (bodhisattva) e di protezione (re-guardiano).


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368) Pagoda detta di Sakyamuni Legno, h. 67,30 m. Datata al 1056, dinastia Liao. Shanxi, Distretto di Yingxian, antico monastero Fogongsi, in situ. Spesso designata con l’appellativo di «pagoda di legno» (Muta), la pagoda dell’antico monastero del Palazzo del Buddha (Fogongsi), oggi praticamente scomparso, è, di fatto, la più antica delle pagode cinesi di legno a tutt’oggi conservate. A sezione ottagonale di 12,5 metri di lato, la pagoda ha cinque piani visibili dall’esterno, ai quali si aggiungono all’interno quattro mezzanini; alla maniera di un immenso mandala verticale, dispositivo che si confonde con l’asse del monumento, ogni piano presenta degli insiemi di pezzi scolpiti intorno ai Cinque Buddha di meditazione, presieduti da Vairocana, il «Grande Irradiante», in relazione con il Buddha della storia, Sakyamuni. È d’altronde all’interno della statua monumentale del Sakyamuni, posta al centro del quarto piano, che nel 1974 sono stati scoperti circa centosessanta oggetti, manoscritti, immagini dipinte e testi canonici stampati, autentici «testireliquie» che danno vita alle statue e assicurano la presenza eterna della Legge per la pace e la prosperità dell’impero, in un edificio costruito per ordine e in memoria dell’imperatore Xingzong (r. 1031-1055).

«Immagini buddiste» regno di Dali

Rotolo (dettaglio); inchiostro, oro e colori su carta; 30,5 x ca. 1613,2 cm. Opera attribuita a Zhang Shengwen, datata al 1180, regno di Dali (Yunnan) (937-1253). Taipei, National Palace Museum. Successivamente al regno di Nanzhao (738-902), situato nell’attuale provincia dello Yunnan, si costituisce, nel 937, il regno di Dali o della Grande Concordia. Governato dalla nobiltà Bai e Yi, e impegnato a riannodare i legami di vassallaggio con la Cina, Dali intrattiene, soprattutto nel xii secolo, importanti rapporti economici e culturali con i Song del Sud. I suoi legami con il Tibet e la Birmania conferiscono al buddismo del Grande Veicolo, adottato come religione dai sovrani, degli orientamenti del tutto particolari. Lo testimonia il lunghissimo rotolo orizzontale, finanziato dal re Duan Zhixing, quarto con questo nome (r. 1172-1200), all’atelier, per il resto sconosciuto, di Zhang Shengwen, e che intende essere un’illustrazione esaustiva dell’insieme del pantheon buddista, essoterico ed esoterico. La pittura, di eccellente fattura, si apre su una processione delle élite del regno. Un alto funzionario, accompagnato da un monaco, e che guida l’erede del regno, si volta verso il seguito del re, in costume e mitra di gala.

174

strutture di legno, sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Oltre a gruppi statuari, in legno o in argilla dipinta e a volte in ceramica «a tre colori» che prosegue la tradizione Tang, questi monumenti racchiudono testi sacri la cui venerazione e il cui culto vanno crescendo. Tradotto in lingua qidan, l’insieme del Canone è riprodotto sotto forma di manoscritti o di stampe xilografiche; Xixia e Jin porteranno a termine un simile e immenso compito ciascuno per la propria lingua. Incisi nella pietra, su steli ed epitaffi, sotterrati nelle tombe e tra i tesori delle pagode, deposti all’interno delle statue di Buddha o nelle pagode in miniatura, i testi e le loro formule sacre di carattere magico e di lode, chiamate in modo generico dharani, si riallacciano alle credenze del buddismo di tradizione esoterica professate a loro volta da quasi tutte le scuole del buddismo cinese; allo stesso titolo delle reliquie corporali o delle immagini sacre, essi manifestano il corpo assoluto della Legge e sono dotati di un’efficienza che permette di acquisire meriti spirituali e di trascendere la condizione umana nella vita come nella morte. Più cinesizzate nel caso dei Liao e dei Jin, o più vicine alle tradizioni tibetane nel caso degli Xixia nel xii secolo, le pratiche rituali e le realizzazioni artistiche di un buddismo largamente ibrido si accordano alla tendenza profonda di tutte le arti religiose dei Song, l’eclettismo.

175


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

Religione imperiale e sintesi buddiste sotto i Song Dinamica e ricca, la vita religiosa sotto i Song è diretta dall’imperatore e dai suoi funzionari che ufficializzano i culti e li iscrivono in una gerarchia ragionata. Al primo posto, e celebrati dal sovrano che ne è il principale officiante, si trovano i riti rivolti agli antenati imperiali che assicurano la perennità della dinastia; così sono indissociabili dalle fastose cerimonie che mirano a conciliare la maestà imperiale con i grandi ritmi dello spazio e del tempo; l’imperatore sacrifica così al Cielo e alla Terra, al dio del Sole imperiale, al dio delle messi, Hou Ji o Principe Miglio, dispensatori di ricchezza e di prosperità; per la pace del suo regno, egli rende anche un culto alle potenze della natura sacralizzate (montagne, fiumi e laghi) e, infine, presiede alle commemorazioni in onore dei saggi e degli eroi, antichi o contemporanei. Numerosi sono i personaggi della storia che accedono al rango di divinità dopo la morte o più raramente, quando sono ancora in vita; si viene così ben presto a

Lo Houtumiao, tempio dell’Imperatrice Terra

Veduta assonometrica. Fenyin, Distretto di Wanrong (Shanxi). Risalente al 1137, la stele riproduce lo Houtumiao o tempio dell’Imperatrice Terra nella sua disposizione senza dubbio originaria e rappresenta una delle più antiche piante di tempio oggi conservata. Costituito da una serie di otto corti in successione che coprono uno spazio di notevole estensione (1102 metri da nord a sud e 524 metri da est a ovest), il complesso era circondato da un muro di cinta il cui lato nord disegnava un semicerchio; i suoi edifici più importanti erano allineati lungo un asse centrale, con orientamento nordsud, mentre, da una parte e dall’altra, si trovavano delle costruzioni secondarie; al centro, si innalzava, sopraelevata da un’alta terrazza, la sala di culto principale, il Padiglione Kunroudian con una facciata a nove arcate e un doppio tetto, segni della sua preminenza. Con i suoi numerosi edifici a più piani e l’unione di forme circolari e quadrate lungo la sua cinta muraria esterna, il tempio, patrocinato e protetto dallo Stato imperiale che invocava la divinità in occasione delle feste rituali di rinnovamento del Nuovo Anno, era uno dei gioielli dell’architettura ufficiale Song.

176

Tempio della Santa Madre (Shengmudian)

Dinastia dei Song del Nord (1023-1032). Jinci, Taiyuan (Shanxi). Costruito tra il 1023 e il 1032, il tempio della Santa Madre conta sette arcate sulla facciata e sei in profondità. Sormontati da una doppia copertura a nove colmi, gli spioventi del tetto terminano con delle gronde notevolmente sporgenti, sostenute da un sistema complesso di bracci leva e mensole. Sul davanti, una vasta galleria aperta era destinata ai sacrifici in onore della dea; nell’xi e nel xii secolo, le sue otto colonne di legno sono state scolpite con dragoni dorati ad altorilievo i cui corpi serpentiformi si arrotolano sui loro fusti, evocando sia la maestà imperiale sia il dominio sulle acque, perché la Santa Madre è anche una potente divinità delle acque. Davanti all’edificio si trova un’opera a pianta cruciforme sostenuta da pilastri al di sopra di un bacino alimentato da una delle tre sorgenti del sito, chiamata «ponte Volante».

creare un immenso pantheon, una vera e propria «burocrazia celeste» doppione religioso dell’ordine politico terreno. In un’inflazione crescente nel corso della dinastia, alle divinità vengono accordati titoli e dignità, così come i loro culti, i loro luoghi santi e le persone preposte al servizio religioso sono debitamente regolamentati. I templi fatti edificare per ordine imperiale vedono la loro architettura e la disposizione dei loro edifici confondersi con quelle dei palazzi o delle residenze ufficiali; lo testimonia il santuario, oggi scomparso, edificato in onore dell’imperatrice Terre a Wanrong (Shanxi) all’inizio del xii secolo. A volte la protezione imperiale porta a singolari mutamenti: costruito alle sorgenti del fiume Jin, l’antico tempio ancestrale dello Jinci, vicino a Tiayuan (Shanxi) era, in origine, un santuario dedicato all’eroe fondatore dell’antico regno eponimo, datogli in feudo nell’xi secolo a.C. con il titolo di principe Shuyu del dominio di Tang da suo fratello, il re Cheng degli Zhou, figlio come lui del glorioso re Wu. Attivo fin da epoche remote, il luogo sacro si arricchisce tra il 1023 e il 1033, al tempo della reggenza dell’imperatrice Liu (969-1033), di un nuovo edificio; preservatosi fino ai giorni nostri con il suo eccezionale arredo, il tempio accoglie una dea conosciuta con il titolo di «Santa Madre» (Shengmu), con la quale l’imperatrice si associa simbolicamente. Identificata con la virtuosa regina Yi Jiang, madre del principe Shuyu della storia, la divinità si vede poi promossa alla dignità di «Santa Madre della chiara Efficienza e dell’Aiuto manifesto», in quanto si tratta anche, e soprattutto, di uno spirito potente delle sorgenti e delle acque benefiche, signora dei buoni auguri e della fertilità. Il suo culto, che sopravvive nelle statue ufficiali delle ultime due dinastie imperiali, trasforma durevolmente un insieme cultuale in cui si intrecciano memoria ancestrale, ambizione politica e visione naturalistica del mondo. L’arte buddista conosce a sua volta analoghe ricostruzioni del genere. Per edificare e trasmettere la Legge, essa non illustra più soltanto i grandi testi canonici e le loro versio-

177


L’arte cinese

Statue della Santa Madre e delle sue dame di compagnia

Terracotta dipinta; h. 1,10 m la Santa Madre, h. 1,20 m le due dame di compagnia da una parte e dall’altra del trono, 1,48-1,60 m le accompagnatrici, 1,78-1,83 m le dame funzionario. Inizio del xi secolo, dinastia dei Song del Nord. Taiyuan (Shanxi), Jinci, Shengmudian, in situ. Una statua posta su un’alta pedana che forma una nicchia in fondo alla sala rappresenta la Santa Madre con i tratti di una nobile regina. In vesti di gala, ella è seduta, con le gambe incrociate, su un trono di legno adorno di fenici, posto davanti a un

178

paravento su cui sono dipinti dragoni e onde regolari, orbi lunari e nuvole. La Santa Madre è attorniata da una quarantina di statue in terracotta che raffigurano le dame-funzionarie, le dame di compagnia e le accompagnatrici che costituiscono la sua corte. Disposte in piedi lungo le pareti laterali e quasi a grandezza naturale, esse sono tutte diverse per contegno, statura e abbigliamento. Le espressioni appena abbozzate dei volti, i sorrisi amabili e i gesti delicati delle mani uniti alle eleganti posture sono come colti sull’istante per suggerire con naturalezza le gerarchie e la simpatia reciproca a cui devono essere improntate le corrette relazioni nel palazzo.



L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368) Santuario rupestre di Baodingshan xii-xiii

secolo, in situ. Distretto di Dazu (Sichuan) Nel luogo chiamato Dafowan o del Grande Buddha coricato, la gola di Baodingshan, la cui forma evoca la u o il ferro di cavallo, apre le sue falesie, alte tra i 15 e i 30 metri, verso l’ovest. Riscoperto dopo secoli di oblio nel 1939, visitato da eruditi cinesi nel 1945, il sito fu studiato vent’anni dopo dagli archeologi che vi classificano trentuno scene principali all’interno di alcun rifugi rupestri e in due enormi grotte. Caratteristici dell’arte religiosa Song, tutta naturalismo e umanità, questi bassorilievi e queste statue modellate, nella loro rusticità talvolta ingenua e nel loro carattere eccessivamente variegato, non aspirano alle stesse raffinatezze estetiche delle opere coeve ma, resi omogenei dall’unità di luogo e di tempo, essi mostrano un equilibrio tra le diverse ispirazioni religiose delle scuole buddiste, classiche e tantriche, e certi valori cinesi, naturalisti, taoisti e confuciani.

«Guanyin dalle mille mani e dai mille occhi»

Statua modellata dipinta e dorata; h. totale 7,7 m. xii-xiii secolo, dinastia Song. Baodingshan, Distretto di Dazu (Sichuan), riparo rupestre n. 8, in situ L’influenza del buddismo di tradizione esoterica che ammette la polarità maschile e femminile delle divinità del suo pantheon determina l’evoluzione delle forme di Guanyin; vi si aggiungono prestiti iconografici dalle raffigurazioni delle dee cinesi e taoiste. Personificazione del polo femminile dell’Energia cosmica, Guanyin mostra, attraverso le sue facce e le sue molteplici braccia, il suo incomparabile potere salvifico. A Baodingshan, come a Beishan, anch’esso nel distretto di Dazu (Sichuan) e in molti altri luoghi, le sue forme dette «dalle mille mani e dai mille occhi» rappresentano la sua azione misericordiosa e la sua chiaroveggenza infinita.

ni narrative, ma si appoggia su narrazioni, racconti e leggende mutuate da diverse fonti, locali od orali, per costruire autentici miti in cui insegnamenti e immagini si chiariscono reciprocamente, perpetuati in pratiche rituali a beneficio delle comunità monastiche e laiche. Maitreya, il Buddha del futuro, viene così confuso con un monaco mendicante del x secolo, soprannominato Budai, «con il sacco di tela», che si ritiene sia il suo «corpo di trasformazione» terreno; da allora si presenta all’ingresso dei templi sotto le sembianze di un uomo il cui sorriso aperto, la fronte corrugata e il ventre nudo e rigonfio esprimono la gioia e la prosperità promesse al fedele. Il bodhisattva Guanyin conosce analoghe trasformazioni nelle sue formule iconografiche, ognuna oggetto – e supporto – di una devozione o di un culto particolare, come quello della Grande Compassione, diffuso nell’xi secolo e legato all’iconografia detta «dalle mille mani e dai mille occhi»; alcuni testi leggendari le cui versioni si ampliano con i secoli, come la Vita completa di Guanyin dei Mari del sud narra la sua metamorfosi in Bontà meravigliosa, la pia principessa Miaoshan, la sua principale emanazione terrestre, e le attribuiscono innumerevoli miracoli e poteri supremi. Rotoli dipinti e statue isolate, ma anche complessi rupestri celebrano la sua compassione infinita e la mostrano, con una maestosità e un’eleganza tutta umana, sotto sembianze ormai decisamente – ed esclusivamente – femminili. Nelle più belle grotte del sito di Bei Shan, nel

182

183


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

distretto di Dazu (Sichuan), sistemate verso la metà del xii secolo, Guanyin appare, tra le altre, sotto le forme dette «del Ramo di salice», «della Perla che esaudisce i desideri», «della Corda infallibile», «dei Mari del sud» o «del riflesso della Luna nell’Acqua». Degno di nota per il suo carattere monumentale e il patrocinio laico e locale, un altro santuario del distretto di Dazu, detto «della Grande Cima Preziosa» o Baodingshan, deve tutto alla personalità del suo fondatore, Zhao Zhifeng (1159-1240), che soprintende ai lavori eseguiti tra il 1117 e il 1249. Alla maniera di un enorme rotolo illustrato, esso presenta una trentina di quadri scolpiti ad altorilievo e accompagnati da iscrizioni. Vera e propria messa in scena della Legge, l’arte di Baodingshan include il fondatore del luogo e i suoi discepoli, così come il patriarca della scuola esoterica del Sichuan a cui essa si richiama, il laico Liu Benzun (ix secolo): tale arte esprime la sua devozione nei confronti del Buddha storico e permette di vedere e leggere le tesi delle principali scuole, le visioni delle Terre Pure e degli Inferi, i grandi Santi della Ghirlanda fiorita, la parabola dell’addomesticamento del bufalo che emana dal Chan, i re di scienza e la ruota della Legge delle correnti esoteriche. Infine, con un’ispirazione molto eclettica, essa include raffigurazioni degli elementi naturali personificati e deificati (vento, pioggia, tuono e lampo), di alcuni dei taoisti e scene che illustrano la grande virtù confuciana della pietà, considerata nel suo duplice aspetto, l’amore dei genitori e la pietà filiale, che rivela un universo religioso governato e nutrito essenzialmente dai valori umani.

Il Chan e le arti Fiorente per tutto il periodo della dinastia Tang (vii-x secolo), la scuola buddista del Chan, diventata Zen in giappone dove si propaga a partire dalla fine del xii secolo, si distingue in numerosi lignaggi. Come indica il suo nome completo, channa, trascrizione fonetica della parola sanscrita dhyana che designa le pratiche meditative, essa si basa sulla contemplazione. Secondo i suoi due grandi orientamenti, essa tende all’atarassia, generata dalla graduale purificazione del «cuore-spirito» (xin), o alla sua liberazione che annulla ogni pensiero e ogni contingenza in maniera totale e improvvisa. Sostanzialmente paradossale e precludente ogni passaggio alla speculazione, l’insegnamento si trasmette con l’esempio, il gesto, il riso o il silenzio. Riportati nei dialoghi dei maestri con i loro discepoli, alcuni enunciati suggestivi e concisi, i famosi «casi» (gong’an, koan in giapponese) aprono, alla maniera del celebre distico del «dito che punta verso la luna», il cammino verso l’assoluto. Come numerosi suoi contemporanei, il grande poeta Tang Qian Qi (722-780?) associa ispirazione poetica e intuizione della verità ultima; giocando sul duplice significato della parola Dao, la Via dei taoisti ma anche il cammino della Perfezione buddista, egli li osserva, ambedue, in seno alla natura, fonte di ogni saggezza: «Il pensiero poetico si trova tra i bambù; lo spirito del Dao nasce sotto i pini». Sotto i Song la confluenza tra poesia e Chan si accentua con la stesura di summe di letteratura come la Raccolta della Falesia blu (Biyanlu), pubblicata nel 1125 e arricchita da interpretazioni versificate. Le fondazioni che si moltiplicano intorno ai grandi centri urbani, come Huangzhou, la capitale, e Ningbo (Zhejiang), sono destinate ai culti, all’insegnamento e alle pratiche contemplative; accolgono monaci venuti da altri luoghi, talvolta dal Giappone, il cui appellativo, yunshui «(colui che passa come) la nuvola (e scorre come) l’acqua», ne rivela la vocazione itinerante. Aperti al secolo, i monasteri accolgono numerosi funzionari alla ricerca di un ritorno alle origini e di pace interiore che modificano durevolmente la loro vocazione iniziale; nasce allora un Chan letterario e artistico, vicino agli ideali letterati. Al pari dell’adepto che agisce attraverso la concentrazione dello spirito e nell’abbandono consentito alla sua attività naturale, il dominio di sé e la spontaneità dell’essere si vedono coltivati dall’artista nella disciplina quotidiana ed esigente del pennello. Rifacendosi alle visioni ispirate dei Tang, l’estetica Chan concede ogni potere, ogni efficienza e ogni chiaroveggenza all’immaginazione o all’intuizione creativa, conoscenza simpatetica e innata del senso dell’ultimo (shenhui), che unisce l’artista al mondo per permettergli di captare l’inesprimibile, afferrare l’invisibile e trasmettere l’indicibile, nel cuore stesso della realtà sensibile.

184

Sutra Dharani del corpo del bodhisattva Guanshiyin «dalle mille mani e dai mille occhi» Secondo i testi esoterici detti di Tantra, Guanyin, come altre divinità molto potenti, possiede formule efficienti (dharani) in grado di annientare tutti gli ostacoli, le calamità e i brutti sogni, e di vincere gli spiriti malefici; esse permettono anche di aderire a tutti i desideri dell’umana condizione. I testi danno indicazioni molto particolareggiate sui rituali da compiere davanti alle immagini, di cui contribuiscono a fissare l’iconografia: Per dipingere un’immagine del bodhisattva Grande Essere Guanyin dalle mille mani e dai mille occhi, conviene preparare un tessuto di cotone bianco di 10 cubiti per 20; il corpo del bodhisattva deve essere dipinto con una doratura, il volto ha tre occhi e le sue mille mani hanno ciascuna un occhio nel palmo. Sulla testa porta un prezioso diadema con un’effigie del Buddha; ha diciotto braccia principali; due formano il sigillo dell’anjali, mani giunte davanti al cuore. Le altre dodici mani tengono rispettivamente un fulmine diamante (vajra) a un ramo, uno a tre rami, un sutra, un sigillo, un bastone da monaco, un gioiello, una ruota, un fiore di loto aperto, una corda, un ramo di salice, un rosario e un vaso per acqua lustrale; una mano fa dono della «rugiada dolce» (o dell’ambrosia), un’altra abbozza il gesto dell’assenza di timore, infine le due mani davanti all’ombelico vedono quella di destra posata sul palmo della sinistra e girata verso l’alto. Le altre 982 mani, che tengono oggetti o fanno gesti simbolici (mudra), sono tutte diverse le une dalle altre. Secondo le descrizioni del sutra del cuore, egli indossa braccialetti, abiti leggeri e preziosi, come pure collane di perle… (Traduzione basata su Qianshou qianyan guanshiyin pusamu tuoluoni sheng jing, edizione di Taishô, T. 1058, libro 20, p. 101; testo di cui esistono numerosi varianti nel Canone buddista e attribuito a Bodhiruci (572-727?), monaco originario dell’India del Sud, arrivato a Chang’an nel 693)

«Otto nobili monaci», dettaglio che mostra il patriarca Bodhidharma (in alto) e un maestro che riceve un letterato (in basso)

Inchiostro e colori su seta; 26,6 x 64,1 cm. Rotolo attribuito a Liang Kai (xiii secolo), dinastia dei Song del Sud. Shanghai Museum. Liang Kai mostra Bodhidharma, visto di profilo, schiena voltata e vestito con un mantello monastico rosso. L’immagine rimanda ai nove anni di meditazione passati, secondo la tradizione del Chan, davanti alla falesia, nel monastero di Shaolin (Henan). Nei suoi ritratti, Bodhidharma viene presentato come un personaggio originario dell’Asia del Sud; poco socievole e fuori dal comune, egli è dotato di uno spirito e di una potenza eccezionali. Secondo un’altra leggenda della scuola, egli deve il suo sguardo fisso al fatto di aver tagliato le sue palpebre un giorno in cui si sentiva afferrare dalla sonnolenza durante la meditazione. Gettate a terra, esse fanno nascere l’arbusto del tè, di cui viene fatto grande uso negli ambienti monastici, sviluppando una vera e propria mistica del tè, che ha le sue radici nelle risonanze fonetiche tra «il tè» (cha) e la «meditazione» (chan).

Messaggio di Bodhidharma Una trasmissione speciale al di fuori delle Scritture Nessuna dipendenza riguardo alle parole e alle lettere; Rivolgersi direttamente allo spirito dell’uomo, Contemplare la sua propria natura e realizzare lo stato di Buddha. Tale è il messaggio attribuito dalla tradizione a Bodhidharma, fondatore leggendario della scuola del Chan. Figlio di un re del sud dell’India o della Persia (?), egli sarebbe arrivato dall’India nella Cina del Sud nel 470 o nel 520 d.C. per dispensare un insegnamento senza preamboli, che va dritto e franco alla verità. Nella sua scelta radicale dell’esperienza ultima, la scuola fa risalire la sua origine al Buddha in persona. Un giorno, sul picco dell’Avvoltoio, il Buddha mostrò un fiore all’assemblea dei discepoli; soltanto Kashyapa comprese il suo gesto e rispose con un sorriso; avrebbe allora ricevuto dal Beato, in modo diretto e silenzioso, l’Occhio della Vera Legge riassunta nei celebri versi: Un fiore apre i suoi petali, e l’universo fiorisce insieme a lui.

Una parte essenziale dell’arte Chan si identifica con la trasmissione dello spirito di saggezza. Sull’esempio dei neoconfuciani che invitano a riallacciarsi alla filiazione spirituale di Confucio e di Mencio, gli adepti del Chan fanno appello ai lignaggi originati dall’enigmatico, e probabilmente leggendario, Bodhidharma. Dipinti o scolpiti, i ritratti dei patriarchi legittimano, con il loro realismo formale, il valore e l’autenticità degli insegnamenti; allo stesso titolo dei ritratti di antenati e destinati alla venerazione, essi rimandano a una credenza molto distante dalle prospettive buddiste originali, la sopravvivenza dello spirito dopo la morte. In maniera analoga, le immagini degli Arhat (o Luohan in cinese), discepoli del Buddha storico, personalità esemplari e strane che lottano per il Risveglio tramite i loro itinerari ascetici, servono da supporto a preghiere e rituali; così avviene con i Sedici Arhat dipinti da Guanxiu (832-912) che meditano o insegnano in seno alla natura, o con i Patriarchi che armonizzano il loro spirito di Shi Ke (x secolo); la tradizione continua con importantissimi artisti della generazione successiva, come Zhao Mengfu (1254-1322), il più grande pittore cinese al tempo dei Mongoli. Le immagini dei religiosi sono trattate a volte in modo più irriverente, rompendo con la disciplina monastica; la tradizione attribuisce al pittore indiano Yintuoluo (attivo nella seconda metà del xiii secolo), la rappresentazione del monaco obeso Budai mentre sta danzando e quelle del poeta Hanshan o «della montagna fredda» (680?793?) e del suo inseparabile amico, Shede, sguattero nel monastero, ilari e irsuti, a dispetto dell’obbligatoria tonsura. Facendo eco all’introduzione del lavoro manuale nei monasteri Chan, il grande maestro del pennello, Liang Kai (ca. 1140-ca. 1210) non esita a mostrare monaci eminenti impegnati nelle attività più grossolane: spazzano, attingono acqua o tagliano bambù. Diventa perfino iconoclasta nel suo Patriarca che strappa dei sutra. Quando dipinge paesaggi in cui sono presenti saggi o poeti che insegnano o meditano, Liang Kai entra in consonanza con le pitture dell’Accademia di Hangzhou dove aveva operato prima del suo ritiro in monastero. Come i suoi contemporanei, Xia Gui (attivo verso il 1190-ca.

185


Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«Sakyamuni che esce dalle montagne»

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 117,6 x 51,9 cm. Attribuito a Liang Kai, dipinto verso il 1204 e firmato da «Liang Kai dell’accademia di pittura di sua Maestà», dinastia dei Song del Sud. Tokyo National Museum. Dipinto per la corte intorno al 1204 al tempo in cui Liang Kai era accademico, il rotolo stupisce per il suo tema e il suo trattamento. Distante dalle visioni gloriose del Buddha, esso mostra Sakyamuni, al suo ritorno nel mondo dopo la dura ascesi, attraverso la sua origine indiana, la sua comune umanità e la sua condizione patetica e sofferente. La violenza che ha appena sperimentato e che per poco non lo ha portato alla morte, non trova espressione soltanto nel suo corpo ma anche nella natura che lo circonda, una scena invernale dalla luce opaca; le montagne austere che si indovinano in lontananza e i bordi della strada sono coperti di neve; l’albero dal tronco appena visibile è privo di foglie e, come i rovi in primo piano, allunga i suoi rami curvi nel vuoto per accrescere l’austera solitudine; la forza del vento solleva il suo abito drappeggiato che gli nasconde le mani a simboleggiare la vocazione primaria del Buddha, «saggio silenzioso (muni) del clan dei Sakya», l’insegnamento segreto trasmesso da spirito a spirito.

«Un saggio a inchiostro schizzato» (pomo xianren)

Foglio d’album, inchiostro su carta; 48,7 x 27,7 cm. xiii secolo, attribuito a Liang Kai, dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. Attribuito a Liang Kai, la figura di un saggio in cammino risponde alla sensibilità gioiosa del taoismo la cui ascesi, che ispira il Chan, non mira a mortificare i sensi ma a vivificarli. L’uomo ha un cranio enorme, capelli scarmigliati; i suoi occhi sono chiusi e la bocca sottile si apre in una specie di ghigno da ubriaco. Il potente equilibrio che emana dall’opera è legato al contrasto tra la solidità delle forme, la rotondità del ventre nudo, la massa delle spalle, e il movimento che anima la parte bassa del corpo. Per rendere la gamba destra dell’uomo che avanza, Liang Kai usa la tecnica detta del «bianco volante» (feibai): tratti tracciati rapidamente con un grosso pennello dai peli radi e sporcato di bianco nel mezzo; utilizza anche, come indica il titolo dato successivamente alla pittura, la tecnica dell’«inchiostro schizzato» (pomo) che consiste nel dipingere figure senza contorni con ampi colpi di pennello imbevuto di inchiostro. Liberata da ogni convenzione in una spontaneità perfettamente padroneggiata, la sua maniera è funzionale, meglio di lunghi sviluppi, all’espressione di una saggezza paradossale, al tempo stesso tangibile e irreale.

187


Trittico: Guanyin con vesti bianche, gru e gibboni Tre rotoli verticali, inchiostro su seta; 173,9 x 98,8 cm. Attribuito a Mu Qi o Fachang (attivo verso il 1269), dinastia dei Song del Sud. Kyoto, Daitoku-ji. Devotamente conservata nel grande tempio Zen di Kyoto, il Daitoku-ji, una delle opere maggiori di Mu Qi, di notevoli dimensioni, è composta da tre pannelli di seta dipinti a inchiostro e presentati come un trittico. Essa rappresenta, al centro, il bodhisattva Guanyin vestito di bianco e con il ramo di salice, in meditazione, su una roccia in riva all’acqua; alla sua destra, avanza una gru, con il becco aperto, in una foresta di bambù avvolta dalla nebbia, e alla sua sinistra, una madre gibbone riposa sul ramo di un vecchio pino tenendo stretto il suo piccolo. Lo stile suggestivo del lavis di inchiostro rimanda agli insegnamenti laconici, o enigmatici, dei maestri così come il sorprendente gruppo delle figure in contrasto, la gru solitaria, di profilo, che cammina emettendo il suo verso e le due scimmie, viste di fronte, unite, immobili e silenziose, in una visione in cui impalpabile, ma reale, la compassione suprema si sprofonda nella contemplazione per superare tutte le dualità e rivelare gli esseri a se stessi.


Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«I tre ridenti al torrente della Tigre»

Foglio d’album (dettaglio); inchiostro e colori su seta; 24,6 x 47,6 cm. Anonimo, xiii secolo, dinastia dei Song del Sud. Taipei, National Palace Museum. Al torrente della Tigre, tre uomini sono riuniti; Tre uomini, tre risa e le loro conversazioni: Sullo stagno dei loto un fiore si è aperto, Un fiore che è il Buddha. Come riassunto in questa iscrizione popolare, il foglio d’album illustra un incantevole aneddoto che mette in scena tre personaggi emblematici: il monaco buddista Huiyuan (334-416), ritiratosi nel monastero Donglin sul monte Lu (Jiangxi), il poeta Tao Yuanming (Tao Qian 365-427), cantore della vita campestre, e l’eminente maestro taoista Lu Xiujing (ca. 406-477). Dopo aver bevuto insieme ai suoi amici, il monaco li riaccompagna e passa inavvertitamente il torrente della Tigre, animale che si ritiene ruggisse per richiamarlo al rispetto della sua regola. I tre uomini, che scoppiano a ridere, si rendono in tal modo conto del carattere fallace dei limiti imposti da tutti i sistemi di vita e, al tempo stesso, dell’innata corrispondenza delle vie buddiste, poetiche e taoiste nella ricerca dell’assoluto.

1230) e Ma Yuan (nato intorno al 1160, attivo verso il 1190-1225), famoso il primo per l’energia esplosiva del suo tocco e il secondo per la sua concisione lirica, celebri eredi del grande maestro paesaggista Li Tang (ca. 1049-1130), Liang Kai abbandona contorni regolari e colori accesi per un lavoro di pennello volutamente ellittico e per la sobrietà del lavis di inchiostro. Abate o superiore del Liutongsi, vicino a Ningbo, Mu Qi (attivo verso la metà del xiii secolo) è conosciuto anche con il nome monastico di Fachang o «Costanza della Legge». Lascia in eredità un’opera in cui vengono affrontati tutti i soggetti del tempo (figure buddiste e taoiste, paesaggi, fiori e frutta, uccelli e animali); egli si sottrae a ogni convenzione iconografica e a tutte le dimensioni rituali e didattiche dell’arte sacra, perché per lui la natura di Perfezione iscritta nel cuore dell’uomo trova la sua risonanza tanto negli esseri più eccezionali che negli oggetti più comuni. Nel xvii secolo altri monaci pittori, Zhu Da (1626-1705) e Shitao (1642-1707), poseranno un analogo sguardo distaccato sullo spettacolo del mondo per ricrearlo nel proprio spirito e identificarsi silenziosamente con il suo ritmo.

Vitalità taoiste sotto i Song e gli Yuan Tra il x e il xiv secolo, sull’esempio delle tradizioni letterate e buddiste, il taoismo conosce profondi mutamenti. I suoi ferventi adepti, gli imperatori Zhenzong (r. 998-1023) e Huizong (r. 1100-1125) dei Song, accordano la loro protezione ufficiale al clero, partecipano ai rituali e patrocinano la pubblicazione del Canone. Per loro impulso, vedono la luce numerosi complessi architettonici. Costituendo vere e proprie reti, i templi centrali concentrano ricchezze finanziarie e spirituali per dispensare insegnamenti dottrinali e rituali e trasmettere una cultura artistica al servizio della liturgia (strumenti musicali, tappeti, tappezzeria e abiti cerimoniali, bruciaprofumi, vasi e coppe per offerte, specchi e spade rituali) ma rivolta anche verso le Belle Arti, con importanti collezioni di pitture e di calli-

191


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«Caos primordiale» (Hunlun)

Rotolo orizzontale, inchiostro su carta; 29,7 x 86,2 cm. Opera di Zhu Derun, datata al 1349, dinastia Yuan. Shanghai Museum. Come molti dei suoi pari al tempo degli Yuan, il letterato Zhu Derun (12941365) conosce un riposo forzato, diviso tra studio e insegnamento. In un rotolo che egli intitola Hunlun, consegna alla lettura, in un testo calligrafato, e allo sguardo la visione taoista del modo, servendosi di una scena naturalistica e di un diagramma, un grande cerchio tracciato al centro che raffigura il cosmo nel suo stato originario. Come nato dalla roccia, con un trattamento in cui il vegetale non si distingue dal minerale, un pino, sulla sinistra, presenta una curva netta e proietta il suo tronco e i suoi rami quasi in orizzontale, in un movimento che associa i ciuffi d’erba sparsi e le liane gemelle dal grafismo puro e morbido che lo circondano, si intrecciano, si annodano e si svolgono nel vuoto. Con la nascita comune delle forme, con il loro slancio e il loro sviluppo proprio, l’artista rende percepibili i soffi invisibili, ma attivi, che le animano e che tendono a riassorbirsi nella pienezza della matrice originaria.

«Nove dragoni»

Rotolo orizzontale (dettaglio); inchiostro e tocchi rossi su carta; 10,964 x 0,463 m. Opera di Chen Rong (attivo ca. 12351262), datata al 1244, dinastia dei Song del Sud. Boston, Massachusetts, Museum of Fine Arts. Destinato a uno dei templi dei Maestri Celesti nel Longhushan, il lungo rotolo di Chen Rong si riallaccia alle antichissime credenze relative alla magia della raffigurazione, ritualizzate nel mondo

192

taoista. Signore dei nembi celesti e delle acque sotterranee, il dragone, invocato attraverso la sua effigie, scatena vento e tuono, fulmine e lampi, per produrre la pioggia. Avvolti a spire o rannicchiati, indietreggiando o innalzandosi nell’aria, i dragoni di Chen Rong si manifestano solo per dissolversi e spariscono per meglio riapparire, rendendo percettibile il gioco delle metamorfosi cosmiche e la potenza illimitata delle modalità dello yang, espressa dal loro numero di Nove. Il trattamento espres-

sivo del tema riflette il modo di operare molto poco convenzionale del pittore che uno dei suoi contemporanei così descrive: «Una volta ubriaco, Chen Rong ruggiva, afferrava il suo berretto e lo inzuppava nell’inchiostro per schizzare il soggetto prima di riprenderlo con un pennello perfettamente controllato, producendo così un’opera in cui la violenza dell’ispirazione creatrice era in funzione della perfezione della forma e del suo carattere sacro».

grafie. L’ordine clericale del Maestro Celeste, la cui funzione ereditaria si trasmette in seno alla famiglia Zhang dal vii secolo, vede i suoi statuti riconosciuti dal governo imperiale. Incaricata delle ordinazioni e dei titoli conferiti alle divinità, la sua amministrazione prende dimora sulla Montagna della Tigre e del Dragone (Longhu shan, Jiangxi); essa conserva i suoi privilegi, anche dopo la rottura dinastica che segue alla conquista e all’insediamento del potere mongolo degli Yuan (1279-1368). Conquistata dal pluralismo religioso, per spirito di tolleranza e per opportunismo politico, la nuova dinastia offre il suo sostegno a differenti obbedienze. Permette l’espansione di una corrente nuova, iniziata da Wang Zhe o Wang Chongyang (1123-1170) che prende, dopo la sua morte, il nome di Perfezione dell’Autenticità (Quanzhen). Riallacciandosi ai movimenti eremitici del Medioevo, l’ordine di Wang Chongyang esalta il celibato, la povertà e l’ascetismo. I suoi insegnamenti sono volutamente eclettici, basati al contempo sui valori morali del Libro della pietà filiale e sulle speculazioni del Sutra della sapienza del cuore e del Libro della Via e della Virtù. Il loro orientamento taoista è tuttavia chiaro nello scopo ultimo, l’elevazione dello spirito. Legate a un’alchimia detta «interna» o del «cinabro interiore» (neidan), le sue discipline purificatrici e i suoi metodi operativi interiorizzano e sublimano le produzioni dell’alchimia esterna, che mira all’immortalità. Si tratta, per l’adepto, di organizzare il mondo e di plasmare, nel suo seno, un uomo nuovo, ritornando alla pura natura originaria; questa si manifesta, al livello più alto di realizzazione, nell’«uomo vero» (zhenren), sotto forma di energia primordiale scaturita dall’unicità. In numero di tre, in virtù della cosmogenesi, esse sono personificate sotto le parvenze del Vero Celeste dell’Inizio Originario, del Gioiello Sacro e del Dao e della Virtù che altro non è che Laozi divinizzato. La triade divina si raggiunge grazie alla mediazione degli dei che si iscrivono ormai all’interno di un’imponente gerarchia celeste, ricalcata sulla burocrazia terrena, con i suoi sovrani accompagnati dai loro seguiti e dai loro rispettivi ministeri, dai loro messaggeri e dai loro marescialli. In occasione dei rituali di offerte (jiao) e delle celebrazioni di digiuni (zhai), conservati in importanti testi liturgici compilati all’inizio del xiii secolo, come il Grande Digiuno del Registro giallo associato alla terra e ai morti, gli dei vengono invocati e convocati con il canto, la musica e l’immagine; la loro intercessione permette ai defunti, ai loro congiunti e a tutti gli uomini di trasformare la loro miserevole schiavitù in una santità radiosa. È in questo contesto spirituale e rituale che si collocano le realizzazioni, tra il 1268 e il 1358, di un complesso prestigioso, il Palazzo Yongle o della Gioia Eterna, a Ruicheng (Shanxi). Le sue prime due costruzioni, la porta Wuji o dell’Insondabile e la sala dei Tre Puri, racchiudono rappresentazioni dipinte del nuovo pantheon, disposto con il gruppo delle loro 360 figure intorno a «l’Udienza solenne davanti all’Origine» (Chaoyuan tu) ossia la triade divina dei Tre Puri, materializzata nelle statue un tempo disposte sulla pedana centrale. Quanto ai suoi due altri palazzi, detti «dello Yang purificato» (Chunyang) e «dello Yang raddoppiato» (Chonggyang), essi contengono

193


Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368)

«Udienza solenne davanti all’Origine» (Chaoyuan tu)

Pittura murale (dettagli). Attribuita al maestro artigiano originario di Luoyang, Ma Junxiang, e al suo atelier. Pitture terminate nel 1325, dinastia Yuan. Yonglegong (Shanxi), sala dei Tre Puri (Sanqing dian), in situ. Terminata nel 1262, la costruzione principale del Yonglegong, la sala dei

Tre Puri, è incentrata intorno alle statue delle istanze supreme del pantheon così come viene descritto nelle Grandi Regole dell’Alta Purezza e del Gioiello Sacro (Shangqing lingbao da fa), compilate da Jin Yunzhong intono al 1224. Due processioni simmetriche si dispiegano sui muri interni e sulle pareti divisorie dell’altare in un ordine grandioso, con le loro 286 figure in gran pompa, alte più di due metri e

suddivise in gruppi e in file intorno a otto divinità maggiori (imperatori dei poli Sud ed Est, dei Palazzi delle Stelle Ziwei e Gouchen, e le coppie formate dal Sovrano di Giada e dall’Imperatrice Terra, la Madre-Regina dell’Ovest e il Duca-Re dell’Est). Terminate nel 1325, le pitture, dai tratti fermi e precisi e dai colori cangianti, sono animate da ampi movimenti lineari che accentuano la ricchezza delle espressioni

e la varietà degli atteggiamenti. Esse si ispirano allo stile del primo grande pittore taoista di corte, Wu Zongyuan, attivo sotto Zhenzong (r. 998-1022), il quale si iscrive nella tradizione dei maestri della pittura religiosa, Wu Daozi dei Tang (viii secolo) e Li Gonglin (ca. 1040-1106) dei Song del Nord.

195


L’arte cinese

Dal «Rinascimento» Song (960-1279) alla conquista mongola (1279-1368) Zhongli Quan inizia Lü Dongbin

Pitture murali (dettaglio). Attribuite all’atelier del maestro Zhu Haogu des Yuan, datate al 1358. Yonglegong (Shanxi), sala detta «Chunyang» o «dello Yang purificato», in situ. Attivo per secoli, un tempio in onore del leggendario immortale taoista Lü Dongbin sorgeva nel sito di Yongleong, luogo presunto della sua nascita. Nel nuovo complesso edificato sotto gli Yuan, le pareti della sala riservata al suo culto sono completamente dipinte con cinquantadue scene accompagnate da cartigli che descrivono le sue gesta eroiche, le sue conversioni, le sue prove e le sue azioni meritorie o miracolose. Portate a termine nel 1358, esse illustrano il testo del maestro Quanzhen, Miao Shanshi (ca. 1288-1324) intitolato Relazioni delle manifestazioni miracolose della trascendenza divina del Signore imperiale dello Yang purificato, altro suo nome che fa riferimento all’alchimia interna alla quale lo inizia il suo maestro, Zhongli Quan, considerato uno dei patriarchi della scuola. Situata dietro l’altare in cui si trovava la statua di Lü, sul lato nord della parete divisoria, una grande pittura raffigura i due uomini seduti sotto un vecchio pino in una valle dove scorre un rivolo di acqua limpida. A destra di Zhongli Quan si tiene l’immortale Lü, le mani giunte nelle maniche della sua veste di letterato; il suo viso in raccoglimento e inespressivo manifesta la contemplazione interiore, ambito in cui, attraverso la fusione con l’origine, vengono abolite ogni percezione, ogni sensazione e ogni sentimento.

«Gli Otto Immortali celebrano la Longevità»

Arazzo di seta; 38,8 x 22,8 cm xii-xiii secolo, dinastia dei Song del Sud Shenyang, Museo provinciale del Liaoning Antico pezzo delle collezioni imperiali dei Qing (xviii-xix secolo), l’arazzo di seta illustra l’abilità dei maestri tessitori del tempo dei Song del Sud, che vede la fioritura dell’arazzo di seta, tecnica che riproduce tutte le finezze e la ricchezza delle tinte dei pannelli su seta per comporre veri e propri quadri, esposti nelle sale dei palazzi o delle residenze in occasione dei «riti gioiosi» dell’esistenza, cerimonie commemorative o celebrazioni del Nuovo Anno. Con i suoi Otto Immortali che accolgono il dio o la Stella della Longevità, Shou Xing, rappresentato con le sembianze di un uomo dal cranio smisurato, segno della sua saggezza, che cavalca una gru, l’opera trasmette delle formule augurali di Lunga Vita. Costituitosi sotto i Song, il gruppo diventa uno dei più popolari dell’arte cinese che si ispira a culti legati a questi personaggi, reali o leggendari, protettori del taoismo, innalzati al Cielo e costantemente ebbri, apparsi in differenti momenti e in differenti luoghi del mondo per convertire e salvare gli uomini.

196

197


L’arte cinese

Capitolo sesto

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) L’Impero Ming (1368-1644) Espansione cinese (fine xiv-inizio xv secolo) Grande Muraglia Canali

Mongoli Khalkha

Conquista manciù 1635 Rifugio dei Ming dal 1644 al 1651 Insediamenti europei Portoghesi Olandesi

scene dipinte a vocazione didattica riguardanti alcune agiografie dell’immortale Lü Dongbin e del patriarca Wang Chongyang. Nato, a quanto pare, nel 796 e depositario della vera dottrina alchemica, Lü Dongbin o Lü «l’ospite delle caverne» è, dall’epoca dei Song del Nord fino ai giorni nostri, oggetto di ferventi culti in rapporto con il gruppo degli Otto Immortali terrestri, intermediari tra il mondo sacro e il mondo profano, che godranno di un’immensa fortuna nella pittura religiosa ma anche nelle arti decorative e in quelle sceniche. L’influenza del taoismo sulla pittura paesaggistica è, all’epoca degli Yuan, assai rilevante. Restituita alla sua libertà di espressione dall’assenza di mecenati e di istituzioni accademiche, la pittura permette realizzazione personale ed evasione spirituale. Ne è testimonianza l’opera di Huang Gongwang (1269-1354), di Wu Zhen (1280-ca. 1354) e di Ni Zan (1301-1374) per non citare che tre dei grandi maestri del tempo. In perfetta risonanza con la loro produzione, la critica posteriore attribuisce loro una vita meditativa e del tutto distaccata dal mondo, come pure lunghe escursioni nella natura, in quei paesi del sud del Lungo Fiume (Jiangnan) di cui erano originari. Variazioni perfette degli insegnamenti taoisti, i loro paesaggi rigettano l’eccesso, l’estremo o lo stravagante; al contrario, attraverso un linguaggio pittorico economo, ellittico e sconcertante per semplicità, essi rivelano come qualità suprema «l’insipidezza» (dan), valore supremo e metafora della Via o della Verità ultima secondo il Libro della Via e della Virtù, qualità che è impalpabile, fuori della portata dei sensi e dell’intelligenza, ma che, nelle sue realizzazioni, è simile a una fonte che mai si esaurisce: «Si ha un bel guardare, essa non offre nulla allo sguardo, Si ha un bell’ascoltare, essa non offre nulla all’udito, Sì, ma a chi ne usa, essa si offre inesauribile».

198

Ritratto di Ni Zan

Rotolo orizzontale (dettaglio); inchiostro e colori leggeri su carta; 28,3 x 61 cm. Anonimo, verso il 1340, dinastia Yuan Taipei, National Palace Museum Nella tradizione del ritratto di letterato gentiluomo, artista, poeta, calligrafo e pittore ma anche esteta raffinato, Ni Zan (1301-1374), vestito con un abito bianco, è raffigurato seduto, pennello e rotolo in mano, su un letto basso, circondato dai suoi tesori, ceramiche, posa-pennello a forma di montagna e coppa tripode di bronzo arcaica del tipo jue. Dietro di lui si trova un pannello dove è rappresentato un paesaggio alla sua maniera, volutamente monotono e monocorde per esprimere il suo distacco interiore: montagne lontane delimitano una vasta distesa d’acqua attraversata da una barca solitaria con, in primo piano, collegata alla riva da un ponticello, un’isola che ospita una capannuccia tra gli alberi spogli e le rocce disseminate. L’epitaffio di Ni Zan celebra la sua vocazione taoista sempre più marcata dopo i suoi legami familiari con la corrente del Maestro Celeste, la sua amicizia con l’eccelso pittore Huang Gongwang, adepto del Quanzhen, e la sua intimità con i meditativi legati alla corrente Maoshan. Esso termina così: Nei suoi ultimi anni, egli si quietò e si fece sempre più solitario. Spogliatosi di tutti suoi beni, dopo aver donato ciò che gli restava, si sforzava di dimenticare le sue disgrazie. Con in testa il cappello giallo dei taoisti e vestito di abiti campagnoli, egli percorreva i laghi e le montagne, conducendo una vita da solitario.

La Cina Ming Dopo una breve espansione territoriale all’inizio del regno, i Ming stabilizzano le loro frontiere. A nord, essi arricchiscono l’opera conosciuta con il nome evocativo di «Grande Muraglia di diecimila li» di nuove linee difensive in pietra e mattoni rafforzate da punti di appoggio fortificati e, a sud-est, lungo il litorale, costruiscono 156 piazzeforti per combattere la pirateria. Tuttavia, fin dalla metà del xv secolo l’impero conosce una serie di rovesci militari e di ripiegamenti sempre più marcati, proprio quando ha inizio l’epoca della conquista europea degli oceani. Arrivati sulle coste cinesi nel 1514, i Portoghesi si insediano nel minuscolo territorio di Macao nel 1557; insieme a loro giungono i Padri della Compagnia di Gesù i cui primi rappresentanti, Matteo Ricci (1552-1610) e Michele Ruggieri (1543-1606), vengono ricevuti alla corte di Beijing nel 1601. Contemporaneamente, la compagnia commerciale olandese delle Indie Orientali (conosciuta con l’abbreviazione voc) fonda agenzie commerciali nelle isole Pescadores e a Taiwan, ponendo le basi di una presenza europea e occidentale che andrà accrescendosi nei secoli successivi. (Rielaborazione da Baud-Bertier et al., La vie des Chinois au temps des Ming, Larousse/ Vuef, 2003, p. 186)

D e s e r t o

Hami

i

b G o

l d e

1639

Shenyang (Moukden)

1595-1598

Zhangjiakou Kalgan Pékin

Ordos

Séoul

C OR e a

Ta n g u t

Pusan

Taiyuan

Tibet

1555

Nankin

SI C H U AN

Hangzhou

Impero Ming

Chengdu

Ningbo

1645 NAN MING

Dali

Fuzhou Keelung

Zhangzhou

Y U NNAN Canton

1406

Xiamen (Amoy)

Macao 1557 Port.

Hanoi

LAOS

1592-1597

1644

Xi’an

Giappone

d a i v i e t HAINAN

TAIWAN ( FORMOSA )

1624-1662 Olanda Ft de Zélande

Isole Pescadores 1622-1624 Olanda

FILIPPINE 1654 Spagna

SIAM

C HAMPA

Manila

Le arti dinastiche Spesso presentato come un sussulto «nazionalista» dopo il secolo di dominazione mongola, il nuovo ordine instaurato dai Ming (1368-1644) si articola fin dalla sua fondazione intorno a una personalità fuori dal comune, Zhu Yuanzhang (1328-1398); l’antico figlio di poveri contadini, rifugiatosi in monastero per sfuggire alla miseria e diventato poi ribelle e capo guerriero, raduna, grazie al suo carisma, tutti quelli che erano stati o che si erano sentiti – ed erano numerosi – sfruttati dal regime mongolo. Come proclama il nome d’era del regno da lui scelto e che tende a soppiantare nell’uso corrente i suoi nomi personali e postumi, cioè Hongwu o dell’«Immenso prestigio guerriero» (1368-1399), il suo regno, che inaugura tre secoli di potere della casata Ming sulla Cina, si apre con la riconquista e con l’affermazione della grandezza dell’Impero. Insediata nella nuova capitale, Nanjing, e riorganizzata in modo radicale, l’amministrazione centrale sostiene – e inquadra – le at-

199


L’arte cinese Pianta di Beijing nel xvi secolo Basata sull’organizzazione dello spazio lasciata in eredità dai Mongoli e in parte sulla configurazione delle antiche capitali, Kaifeng dei Song del Nord o Nanjing del primo imperatore Ming, la capitale del Nord, Beijing, rappresenta l’apice dell’urbanistica imperiale. La pianta della città, la cui superficie raggiunge, alla metà del xvi secolo, i 62 chilometri quarati, risponde a una visione geometrica dell’universo. Lungo otto chilometri, il suo asse di simmetria va dai complessi cultuali del sud fino alle porte della doppia cinta di mura difensive, per evidenziare le grandi sale d’udienza della Città-Palazzo che occupa il Centro e terminare, a nord, con le torri della campana e del tamburo. Il tempio della Terra, a nord, simmetrico a quello del Cielo, a sud, e gli altari del Sole, a est, e della Luna, a ovest, completano un dispositivo rituale animato dalle celebrazioni e dai sacrifici resi periodicamente seguendo il ritmo dell’anno liturgico.

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Poema di Li Mengyang «Abbevero il mio cavallo, al mattino, mentre accompagno il mio amico Chen alla frontiera»

Tempio della Terra Torre della Campana (Gulou) Torre del Tamburo (Zhonglou)

Tempio della Luna

Città imperiale

Tempio del Sole

CittàPalazzo Taimiao (Tempio degli Antenati Imperialli) Tienanmen (Porta della Pace Celeste)

Xiannongtan (Tempio dell’Agricoltura)

Tiantan (Tempio del Cielo) Yuanqiu (Altare del Cielo)

tività dei contadini, dei militari e degli artigiani. Essa esercita anche forti discriminazioni nei confronti delle élite del Sud. Già esclusi dalle più prestigiose cariche ufficiali sotto i Mongoli, i letterati cinesi sono ormai privati del loro ruolo attivo di consiglieri nella politica dello Stato e nell’elaborazione delle sue istituzioni. La creazione di un Segretariato privato, «Gran Segretariato» o Neige, che si sostituisce agli organi di controllo degli antichi governi imperiali, mira alla centralizzazione dei poteri e viene affiancato da due uffici polizieschi di controllo. I primi imperatori Ming, il cui assolutismo prolunga, di fatto, l’autoritarismo dei sovrani mongoli, sovrintendono a tutti gli affari di Stato. Ma con il tempo, per l’incompetenza o la disaffezione della maggior parte dei sovrani in un contesto di crisi politiche ed economiche, il Neige viene attaccato dagli eunuchi e dalle consorterie di corte: i loro scontri con i letterati, dall’esito spesso tragico, paralizzano la vita del palazzo, frammentano il potere e ne rafforzano l’arbitrio. Quarto figlio di Hongwu, Zhu Di si impadronisce della prima capitale Nanjing e depone l’erede designato. A partire dal 1401, egli adotta il nome d’era Yongle o della «Gioia eterna» (1403-1425), inaugurando uno dei più splendidi regni della storia Ming, continuato dal nipote, Xuande o della «Virtù manifesta» (r. 1426-1436); come i suoi successori, Chenghua (r. 1465-1488) e Hongzhi (r. 1488-1506), Xuande, che è lui stesso pittore, calligrafo e grande protettore delle arti di corte, rivendica a sé l’eredità culturale dell’imperatore Song Huizong. Lo spazio esterno viene stabilizzato con la fortificazione della frontiera Nord, la celebre Grande Muraglia, con la costruzione e il restauro di opere di difesa. Tra il 1405 e il 1433 si dispiega una politica di prestigio con le spedizioni marittime di Zheng He (1371-verso 1453), le cui flotte incrociano nel Mar della Cina e nell’Oceano Indiano fino alle coste orientali dell’Africa. Nel 1421, l’imperatore innalza Beijing al rango di capitale principale. La «Città del Nord» diventa la sede del governo centrale e della corte e lo resterà fino alla fine dell’impero nel 1911, allontanando, di fatto, il potere politico dai centri economici, intellettuali e artistici del Sud e del Sud-Est, dove perdura e fiorisce, per secoli, una cultura fortemente contrassegnata dai valori letterati. Iscrivendosi nella tradizione urbana caratterizzata da cinte murarie, orientata e gerarchizzata delle prime

200

Alto funzionario famoso per il suo talento letterario, Li Mengyang (Li Tianxi o Li Xianji, 1472-1529) riprende l’antico tema della vita alle frontiere, della sua precarietà e della sua violenza. In una lontana reminiscenza del tempo degli Xiongnu sotto gli Han, egli attribuisce il titolo di Shanyu al capo dei «barbari» mongoli che fa incursioni nelle Montagne Nere a nord dello Shanxi, mentre si susseguono i duri lavori di restauro delle mura, in un clima altrettanto cruento: Al mattino, abbevero il mio cavallo; La sera, abbevero il mio cavallo. L’acqua è così salata, l’erba così secca che egli le rifiuta. Ai piedi della Grande Muraglia, dei viandanti si lamentano. Di chi sono queste ossa imbiancate all’interno della Muraglia? Di quelli che, mi dicono, vi lavorarono proprio quest’anno. Avevano detto loro di prendere semplicemente congedo dalla loro famiglia; Come potevano prevedere che sarebbero morti, e che per loro non ci sarebbe stato ritorno? Ma, ancor più che di essere divenuti polvere sotto la Muraglia, Essi devono rimpiangere che altri ricevano la ricompensa delle loro fatiche. L’anno passato, i briganti saccheggiarono la città di Kaicheng; Sulle Montagne Nere, il sangue sgorga sotto le frecce dello Shanyu. Su diecimila stadi di sabbia gialla, i gemiti fecero tremare il Cielo; E, lo stesso giorno, furono chiuse le porte della città, perché nessuno voleva più battersi. Quest’anno, è giunto l’ordine di fortificare la frontiera; Ma già la metà degli uomini di corvée sono morti davanti alla Muraglia. A sud, a nord della Muraglia, l’erba d’autunno si sbianca; E sotto le lugubri nuvole della sera, si odono schioccare le fruste dei barbari. (Anthologie de la poésie chinoise classique, Gallimard (nrf, Poésie), Paris 1962, pp. 501-502)

«Ritratto di un funzionario davanti alla Città purpurea proibita»

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 169 x 109 cm. Zhu Bang, dinastia Ming, xvi secolo. Londra, British Museum. Lo scorcio del susseguirsi delle porte e dei palazzi ufficiali della Città Proibita, la «Corte esterna» (Waichao), mostra da sud a nord, e in questo caso dal basso in alto, le porte della Pace Celeste e del Mezzogiorno, il ponte sulle Acque d’Oro, la porta dell’Armonia Suprema e il palazzo eponimo, chiamato Feng Tian o «Al servizio del Cielo», sotto i Ming. Dense nuvole di buon augurio che designano la sfera celeste da cui emana il potere sovrano, lasciano percepire la struttura dei palazzi, pur sottraendo allo sguardo le «sale interne» (Neiting), riservate alla vita privata. La Città deve il suo nome alla Stella Polare, detta «l’Astro purpureo», intorno alla quale gravita l’insieme della volta celeste così come avviene per l’imperatore, asse intorno al quale si muove tutto quanto l’impero. Occupato per cinque secoli, dall’inizio del xv secolo fino all’inizio del xx, da ventiquattro imperatori, il complesso ospita oggi il più grande museo della Cina, detto dell’Antico Palazzo (Gugong bowuguan), ricco di più di un milione di opere provenienti dalle collezioni imperiali.

201


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Sala delle preghiere per i Buoni Raccolti

Tempio del Cielo Tiantan. Dinastia Ming, regno di Yongle, 1420. Beijing, in situ. Innalzata al di sopra di tre terrazze circolari, la sala destinata alle preghiere per i Buoni Raccolti (qigu) alla prima luna di primavera ha tre tetti con le tegole verniciate; al momento della fondazione, il colore delle tegole di ciascun tetto era il blu, il giallo e il verde che designavano rispettivamente il cielo, il sovrano e la terra, separati e uniti nel rito; dopo gli importanti lavori di rifacimento eseguiti sotto Qianlong nel 1754, esse sono tutte di un blu intenso. Situato all’interno di un parco di 270 ettari, il complesso architettonico, che si estende da nord a sud per cinque chilometri, comprende inoltre una piccola struttura rotonda, la Volta celeste imperiale, che ospita la tavoletta della divinità del Cielo Haotian shangdi, e la collinetta circolare del sud, formata da tre terrazze, dove il sovrano celebra, al solstizio d’inverno, il grande sacrificio al Cielo. Il complesso rientra negli schemi di quell’arte della costruzione cinese i cui materiali deperibili, legno, mattoni e tegole, necessitano di periodici restauri, ma che conserva, attraverso la storia, i suoi fondamenti cosmologici.

dinastie, l’organizzazione dello spazio e l’architettura sono arti dirette e controllate dallo Stato. Vi si concentrano, in virtù delle antiche concezioni che erano state alla base del potere imperiale ai suoi esordi, tutti i simboli e tutti i contrassegni del prestigio rituale e del programma politico. A parte qualche rara eccezione, la pianificazione della nuova capitale non mostra nessuna interruzione rilevante tra dinastie mongole, Ming e Qing. Al centro sorge la città-palazzo o «Città purpurea proibita», residenza del sovrano e sede della sua amministrazione centrale. Inaugurata nel 1421, essa si organizza, con un tracciato geometrico e simmetrico, intorno alle Tre corti o grandi Sale delle udienze ufficiali. Altre realizzazioni coeve, altari imperiali, templi degli Antenati e del Cielo, rendono, allo stesso modo, manifeste le corrispondenze armoniose tra il potere sovrano e l’insieme dell’universo. A queste grandiose costruzioni corrisponde l’immensa città funeraria, situata nel di-

202

Statua di un funzionario militare

Sentiero delle anime delle Tredici tombe, Shisanling. Dinastia Ming, regno di Xuande, 1435. Distretto di Changping, Hebei, in situ. Aperto da un immenso portico di gloria edificato nel 1530 e dalla monumentale Porta Rossa, Padiglione della Stele, l’unico «sentiero delle anime» che conduce alle tombe degli imperatori Ming si estende per più di un chilometro. Coppie di statue, realizzate in enormi blocchi di pietra marmorea, sono disposte ai lati di questa gloriosa via che i sovrani percorrono nella morte. Vi si succedono sei animali reali e mitologici, raffigurati una volta in piedi e una volta inginocchiati, in riferimento ai tempi di veglia e di riposo della guardia imperiale, seguiti da sei funzionari, militari, civili e letterati meritevoli. Il vigore marziale si traduce in un’immobile rigidità e in espressioni convenzionali, accentuate dalla ricchezza ornamentale dell’armatura e del casco dell’ufficiale che rivelano, da un punto di vista formale, la sua funzione in seno a un gruppo in cui dominano l’equilibrio e la maestà.

stretto di Changping (Hebei) a una quarantina di chilometri a nord-ovest della capitale. In perfetta risonanza con le prescrizioni della geomanzia (fengshui), arte o scienza dei siti, che conosce sotto i Ming un’eccezionale fioritura, le tombe sono protette dai venti del nord, ritenuti malefici, da un arco di montagne, e si aprono su uno spazio libero in cui convergono dei corsi d’acqua, portatori di soffi benefici. Delimitato da sculture colossali, il «sentiero delle anime» conduce alla tomba di Yongle a Changling, portata a termine nel 1415; esso permette di accedere anche alle altre dodici tombe erette nel corso della dinastia, da una parte e dall’altra, ai piedi dei monti. Soltanto il Dingling, la tomba dell’imperatore Wanli (r. 1573-1620), è stata oggetto di scavi tra il 1956 e il 1958. Oltre alle sue ricchezze – più di tremila oggetti distribuiti in ventisei casse di legno laccate –, essa rivela tre grandi sale a volta, una di seguito all’altra, che costituiscono un vero e proprio palazzo sotterraneo, composto da un’anticamera, da una «sala del trono» e da appartamenti privati con la sala

203


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

funeraria e i suoi due annessi; l’insieme è sormontato da un tumulo circolare protetto da alte mura merlate a cui si addossa la Torre delle Anime (minglou) che racchiude la stele con il nome del sovrano, preceduta da una corte in cui sorge il tavolo di pietra delle offerte e un vasto edificio di culto detto dei Favori Celesti, concepito come la sala delle udienze di un palazzo. Creatori di un’arte dello spazio che, come la sua statuaria in pietra o i suoi ornamenti simbolici, non ha riscontri al di fuori del luogo di origine e non si comprende veramente se non con un approccio temporale e rituale, i Ming allestiscono una magistrale scenografia della potenza di un impero che, grazie alla diffusione della sua cultura dinastica, afferma la sua posizione «unica, sotto il Cielo».

Politica e ispirazioni religiose sotto i Ming Durante il secolo mongolo, l’Eurasia conosce un’insolita circolazione di etnie, culture e religioni. Le strade dell’Asia centrale e delle steppe, ma anche le vie marittime, portano verso l’impero cinese di Kubilay (1216-1294) maestri del buddismo tibetano, musulmani, finanzieri, eruditi e amministratori, oltre a Europei, artigiani, emissari francescani della cristianità e mercanti, come il celebre veneziano Marco Polo (1254-1324). Al loro seguito, alcune comunità straniere si impiantano stabilmente nell’impero Ming. Vedono la luce nuove realizzazioni, decisamente ibride, con la fondazione, nell’ambito sino-musulmano,

Datong

GANSU

LIAONING

HEBEI

MONGOLIE INTéRIEURE

Pékin

Wutaishan Taiyuan

Jinan

SHANDONG

SHANXI

Mar della Cina orientale

TAISHAN

QINGHAI

HENAN

Xian HUASHAN

SHAANXI

JIANGSU

SONGSHAN

ANHUI

SICHUAN

Nankin

Shanghai

Wudangshan

Putuoshan

HUBEI

Jiuhuashan

Hangzhou

Qingchengshan

Ningbo

Chengdu

Huangshan

ZHEJIANG

Longhushan

Dazu Changsha

HUNAN

Guiyang

NANYUE

Nanchang Wuyishan

JIANGXI

YUNNAN

Fuzhou

FUJAN

Quanzhou

Hengyang

Amoy

GUIZHOU Kunming

GUANGXI Nanning

GUANGDONG

Taipei

Le montagne sacre della Cina Ming Oggetto di culti popolari e di pellegrinaggi, terra di elevazione morale e spirituale nel confucianesimo, vettore dell’immortalità taoista o pilastro cosmico dell’universo secondo il buddismo, la montagna costituisce «il luogo comune» dell’incontro tra le grandi tradizioni religiose della Cina. In relazione alla diversità topografica del territorio, le montagne sacre presentano molteplici configurazioni e varie altezze; si può trattare di un semplice picco isolato (Taishan), di un gruppo di colline (Jiuhuashan), di una catena completa (Wutaishan) o di un’isola nel mare (Putuoshan). A queste si aggiungono le montagne di bellezza pura, come le Huangshan o Montagne Gialle (Anhui), celebrate, per secoli, dalla pittura e dalla poesia. (Rielaborazione da Lagerwey, Le continent des esprits, Maisonneuve & Larose, Paris 1993, p. 10)

Taiwan Beigan

Montagne sacre del Buddismo I Cinque Picchi sacri

Canton

Altri luoghi sacri taoisti Hong Kong

Frontiere tra Stati

Mar della Cina meridionale

204

Bronzo dorato e porcellana blu e bianca (giare, h. 9,5 cm) su una base di pietra; h. dell’insieme 51 cm, l. 38 cm; peso 62 kg. Dinastia Ming, ca. 1436-1450. Scoperto nel 1956 nel sito di un’antica pagoda del tempio Hongjue, Niushou shan, Nanjing (Jiangsu). Nanjing Museum. L’arte religiosa dell’inizio dell’epoca Ming è fortemente influenzata dal buddismo tibetano. Con la sua base quadrata e la sua cupola amovibile a forma di bulbo sormontato da parasoli sovrapposti e da un baldacchino, il reliquiario ha la forma molto caratteristica degli stupa o dagoba del mondo himalayano. Posto su una base di pietra incisa che forma una montagna, esso è accompagnato dall’immagine del Buddha sdraiato che esprime il messaggio supremo della Legge buddista, la liberazione dal mondo delle apparenze. Quattro piccole giare di porcellana con coperchio destinate alle erbe aromatiche delimitano l’insieme. La sua iscrizione conserva il ricordo della donazione come atto «di offerta perpetua» di un celebre eunuco della capitale, Li Tong (1389-1435) – o Li Fushan, suo nome di religione – , Grande Ufficiale del palazzo sotto gli imperatori Yongle e Xuande e fondatore del tempio Fahai a Beijing.

HENGSHAN

NINGXIA

Omeishan

Reliquiario del Tempio Hongjue

Confini di provincia Laghi

205


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) I Quattro Santi, Zhenwu e Yisheng, Tianpeng e Tianyou

Rotolo verticale, inchiostro, colori e oro su seta; 119,2 x 62 cm. Appartiene ai 139 rotoli provenienti dal Baoningsi, Distretto di Youyu (Shanxi) fondato nel 1460. Dinastia Ming, tra il 1450 e il 1460. In deposito al dipartimento incaricato degli oggetti culturali dello Shanxi, Taiyuan, Museo provinciale dello Shanxi. Zhenwu, il «Vero Guerriero», che brandisce la spada degli esorcisti, fa parte, dai Song in poi, di un gruppo di quattro potenti spiriti guardiani che proteggono il taoismo e lo Stato imperiale; al suo fianco sta il «Santo rispettabile», Yisheng; dietro di loro, in raffigurazioni molto dinamiche ispirate ai re-saggi, fiere divinità del pantheon esoterico, appaiono i grandi marescialli, Tianpeng e Tianyou. Il primo tiene nelle sue quattro mani delle armi e gli attributi liturgici del Risveglio, il «fulmine-diamante» (vajra) e la campanella (ghanta); il secondo presenta la scatola che contiene le richieste e le memorie del rituale. Insieme a un centinaio di altri rotoli del Baoningsi, la pittura era debitamente posta a delimitare l’area sacra e utilizzata come supporto visivo per convocare le divinità in occasione della grande Assemblea della Terra e dell’Acqua.

di moschee che obbediscono alle prescrizioni religiose dell’Islam in un contesto architettonico schiettamente cinese, come testimonia la grande moschea di Xi’an della fine del xiv secolo. Introdottisi sulla scia dell’espansione marittima del Portogallo e ammessi a risiedere sotto Wanli (r. 1573-1620), i primi missionari gesuiti abbozzano i termini di un dialogo tra élite cinesi ed europee che culmina nello scambio di saperi scientifici e artistici nel xvii e nel xviii. Come alcuni membri influenti della loro famiglia e come importanti personaggi – eunuchi, generali o funzionari al servizio della casata imperiale –, gli imperatori Ming accordano protezione e sostegno alle chiese costituite, buddiste e taoiste; patrocinano la stampa dei loro rispettivi Canoni e partecipano alla costruzione e alla sistemazione dei loro templi. Il buddismo tibetano mantiene la sua influenza sulla corte e sulle arti; un drappo dipinto raffigura l’imperatore Yongle, in veste di devoto, a fianco del suo maestro spirituale, il lama Dezhin Shegpa (Helima, 1384-1415) della scuola Karmapa, invitato nel 1407 a presiedere a importanti riti funerari e iniziazioni. Nel 1412, Yongle fa erigere una pagoda nell’area del Bao’ensi di Nanjing per la sua sposa defunta; distrutta nel xix secolo, l’opera, di tipologia cinese, possedeva uno splendido decoro in stile tibetaneggiante realizzato in mattoni verniciati, che gli valse l’appellativo di «pagoda di porcellana» nei racconti dei viaggiatori occidentali. Seguendo l’esempio del padre, Yongle rende un culto fervente a una divinità maggiore del taoismo, Zhenwu, il Vero Guerriero; ritenuto in grado di vincere le forze tenebrose del settentrione, il dio diventa il santo protettore di una dinastia che vive sotto la costante minaccia dei popoli della steppa. Tra il 1412 e il 1418, l’imperatore fa risistemare il monte Wudang (Hubei), ritenuto il luogo della sua ascesi e della sua apoteosi. Opera esclusivamente architettonica e concepita a immagine della città imperiale, la montagna, capitale del dio sulla terra, si raggiunge grazie a una lunga strada pavimentata

206

Pitture murali del Tempio Fahai

Parte orientale del muro del Nord (dettaglio) del Padiglione del Grande Eroe, Daxiongdian, Distretto di Shijingshan, periferia ovest di Beijing. Dinastia Ming, 1439-1443, in situ. Fervente buddista, Li Tong ha scelto come luogo di sepoltura l’area recintata del tempio del Mare della Legge (Fahaisi), diventato la sua cappella privata dopo importanti lavori tra il 1439 e il 1443, realizzati sotto la direzione di mastri carpentieri, scultori e pittori patrocinati dalla corte. Oggi restano soltanto le pitture murali del tempio, che si iscrivono nella tradizione delle udienze celesti. Venute a rendere omaggio ai Buddha dei Tre Tempi, alcune divinità dalle origini più disparate, dall’India all’Asia centrale, sono completamente cinesizzate. Il dettaglio (a destra) mostra il giovane guerriero Skanda, figlio del dio indù Siva, protettore dei monasteri, vestito da generale, con la spada nella piega interna del gomito; dietro di lui, in vesti da dignitario che tiene una tavoletta, il re dell’universo vedico Varuna; una dama di compagnia sostiene un baldacchino sopra la dea-Terra, Prithivi, mentre al suo fianco, sotto le parvenze di un bodhisattva a tre facce e otto braccia, sta Marici, personificazione della luce.

207


L’arte cinese

di circa cinquanta chilometri, a partire dalla pianura; essa si copre di monasteri, di santuari e di romitaggi, a cui si aggiunge il tempio-palazzo dell’Empireo Purpureo (Zixiaogong) in cui troneggia il dio nel suo Padiglione d’Oro. Percorso di salita verso l’immortalità, l’ascensione del monte si accompagna a rituali imperiali di investitura e di vassallaggio, della stessa natura di quelli celebrati nelle antichissime marche protettrici del dominio imperiale, i Cinque Picchi sacri (Wuyue). Il più importante, il monte dell’Est o Taishan (Shandong), viene assimilato a un dio sovrano, padrone del destino degli uomini, elevato nel 1370 alla dignità di «Venerabile Signore del Picco dell’Est». La montagna ospita nuove fondazioni a cui provvede il clero taoista, come il tempio della Sovrana Originaria delle Nuvole Azzurrine (Bixia Yuanjun), figlia del dio, il cui culto, sviluppatosi a partire dalla fine del xv secolo, testimonia l’importanza crescente delle figure femminili del pantheon, protettrici della vita e dispensatrici di longevità: la Madre-Regina dell’Ovest (Xiwangmu), la Madre del Moggio o della Grande Orsa (Doumu) o la Madre-Antenata (Mazu). Quasi assenti dai picchi sacri, i buddisti scelgono, a loro volta, «quattro grandi montagne celebri» (sida mingshan). Questi luoghi sono santificati dalla presenza efficiente e dalle virtù dei loro grandi bodhisattva, Manjusri (o Wenshu) che incarna la saggezza sui monti Wutai (Shanxi), Samantabhadra (o Puxian), la benevolenza e la forza dell’impegno sul monte Emei (Sichuan), Avalokiteshvara (o Guanyin), l’infinita compassione nell’isola di Putuo (Zhejiang), e Kshitigarbha (o Dizang), il salvatore degli Inferi sui monti Jiuhua (Anhui). I pantheon buddisti e taoisti non cessano né di ampliarsi né di intrecciarsi intorno a figure di guardiani e di sterminatori di demoni. Tra i personaggi della storia divinizzati di cui si appropria, nel corso dei secoli, la finzione teatrale e letteraria figurano l’esorcista

208

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

Xiao Xitian, la piccola Terra Pura dell’Ovest

Veduta esterna e interna del Daxiongbaodian. Distretto di Xixian, Shanxi, in situ. Sulla sommità di uno sperone di löess si erge, dall’epoca della sua costruzione nel 1634 sotto gli auspici del maestro di meditazione Dongming, il tempio detto «della piccola Terra Pura dell’Ovest». Situato sui monti Fenghuan, vicino a Chengguan, nello Shanxi, esso conserva ancora oggi nel suo tesoro più di settemila volumi di un’edizione Ming del Canone buddista. Come altre fondazioni coeve dello Shanxi, il tempio Shuangling di Pingyao o la cappella di Guanyin a Changzhi, il suo decoro interno utilizza centinaia di statuette in terra cruda, colorate e dorate, disposte in registri sovrapposti o talvolta all’interno di palazzi o di pagode a piani; chiamate «sculture sospese» (xiansu) e alte da qualche pollice a una trentina di centimetri, esse raffigurano le assemblee raggianti di divinità e fedeli venuti a partecipare alla predicazione dei Buddha.

Zhong Kui e il maresciallo Guanyu, promosso al rango di Imperatore Guan (Guandi) alla fine del xvi secolo; dopo aver subito, a quel che si pensava, una morte violenta o ingiusta, essi iniziano il loro cammino come anime vendicatrici per trasformarsi poi in efficienze eminentemente protettrici mediante le loro immagini dipinte o scolpite. Fonte d’ispirazione per i più grandi maestri della pittura, essi sono oggetto di culti, imperiali e popolari, che si affermano sotto i Ming per proseguire poi sotto la successiva dinastia Qing. Ma la grande convergenza tra i pantheon è in relazione con un antichissimo e solenne rituale destinato alla salvezza delle anime, l’Assemblea della Legge, dell’Acqua e della Terra (Shuilu fahui). Realizzati su ordine della corte per commemorare e propiziare le vittime del disastro militare di Tumu (Shanxi) nello scontro con i Mongoli Oirati avvenuto nel 1499, i centotrentanove rotoli destinati al Baoningsi (Shanxi) vanno annoverati tra i capolavori dell’arte liturgica della Cina imperiale. Sul modello degli universi buddisti e dei cieli taoisti, l’insieme è organizzato intorno al Buddha supremo, Vairocana, attorniato dai buddha primordiali, dai grandi bodhisattva, dai Re di Scienza e dagli Arhat. Segue una moltitudine di esseri della mitologia indiana e di quella buddista e le grandi divinità taoiste della Terra, delle Acque e del Cielo: in totale circa cinquecento dèi ai quali si aggiungono uomini appartenenti alle classi e alle condizioni più diverse, infernali e terrene, sovrani con i loro eredi, ma anche saggi letterati e taoisti. Con la sua vocazione universale e il suo carattere fondamentalmente eclettico, il pantheon illustra la fluidità dei rapporti tra le tre grandi tradizioni sapienziali, il confucianesimo, il taoismo e il buddismo, compendiata in un’antica formula, leit-motiv degli ambienti ufficiali a partire dal xvi secolo: «I tre insegnamenti non sono che uno».

209


«Confucio e Lao Zi che proteggono Shakyamuni bambino»

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta. Anonimo, dinastia Ming (1368-1644) fine xv-inizio xvi secolo. British Museum Londra. Molto frequente nelle arti cinesi dal x secolo, il tema della riunione dei fondatori delle tre grandi tradizioni cinesi – Confucio, Lao Zi e il Buddha della storia – conosce un grande successo sotto i Ming, quando la pratica della cultura spirituale ha la meglio sulle divergenze dottrinali. Lo testimonia la vita di Lin Zhao’en (1517-1598), soprannominato «il Santo dei Tre Insegnamenti», che concilia nella sua esistenza l’ideale confuciano dell’impegno nel mondo e le prassi taoiste e buddiste. Equivalenza, interdipendenza e conciliazioni reciproche non significano tuttavia uguaglianza e ognuna delle tre tradizioni ha sempre tentato di ricreare l’unità a suo vantaggio. Considerando l’immagine di Confucio che presenta a Lao Zi il Buddha bambino, la pittura del British Museum proviene senza dubbio dagli ambienti letterati, perché, anche se si tratta di mostrare premure e attenzione al rappresentante del buddismo, non si manca però di sottolineare anche la sua relativa giovinezza rispetto agli insegnamenti ancestrali della Cina.

«Dao Gu compone un poema lirico»

Rotolo verticale (dettaglio); inchiostro e colori su seta; 168,9 x 102,2 cm. Tang Yin o Tang Pohu (1470-1524), verso il 1515. Dinastia Ming, regno Chengde (15061522). Taipei, National Palace Museum. Membro di prestigio della Scuola di Suzhou di cui era originario, ma colpito da un destino tragico, Tang Yin (1470-1523) dipinge con talento paesaggi, personaggi, scene di genere e fiori. Sorretta da una composizione armoniosa e da una qualità di esecuzione spinta fino alla raffinatezza in ogni dettaglio, la pittura descrive l’incontro tra un letterato del x secolo, Dao Gu, e una celebre cortigiana del tempo, Qin Luolan. In un angolo appartato di un giardino elegante con il suo arredo, un letto basso e pannelli con paesaggi, con i suoi vegetali – vecchi giuggioli, banani e bambù – e le sue pietre irregolari che creano uno spazio di intimità, il letterato è seduto e fissa lo sguardo sulla giovane donna che suona un liuto pipa. La candela rossa che si consuma ed esprime l’ardore della passione del poeta per la musicista suggerisce i piaceri di un amore che elude abilmente le convenzioni sociali e i loro pregiudizi moralizzatori.


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

La vita letteraria e le raffinatezze dell’esistenza La città natale di Confucio, Qufu (Shandong), conserva importanti testimonianze della protezione della corte Ming. Nel 1483, il tempio del saggio (Kongmiao) si dota, sul modello delle sale di udienza palaziali, di una vasta sala per sacrifici e cerimonie, detta del Grande Compimento. In numero di trenta per anno, secondo il Rituale della dinastia (Da Ming Ji li) del 1530, i culti sono officiati dal duca Yansheng, titolo acquisito nell’xi secolo dalla stirpe dei Kong, discendenti di Confucio. La loro residenza, contigua al tempio, viene ricostruita a partire dal 1503; come un palazzo in scala ridotta, con le sue mura, i suoi incastri successivi di cortili e i luoghi di passaggio obbligati, la sua organizzazione spaziale risponde ai

«Il Giardino inesistente» Alla fine del periodo Ming, fa la sua comparsa in pittura un genere nuovo, la riproduzione di giardini, immagine in miniatura di una natura ricreata in spirito. È anche l’epoca di intense riflessioni sull’arte di sistemare i giardini. Maestro paesaggista ed esperto di pietre strane, Ji Cheng (1582-dopo 1634) pubblica intorno al 1634 un trattato sull’arte dei giardini classici dello Jiangnan, Yuanye, in cui si mescolano teoria estetica e considerazioni più tecniche; ma il massimo dell’astrazione è raggiunto con un giardino su carta chiamato «Il Giardino inesistente» nel saggio di Liu Shilong, letterato della fine dell’epoca Ming: Ho capito che esistenza e inesistenza si succedono nel corso delle epoche. I più splendidi giardini di una volta, la Valle d’oro e la Fonte calma, e tutti gli altri di Luoyang che furono i più famosi del loro tempo, non racchiudono più, ai giorni nostri, neppure un’ala di muro o un frammento di tegola; essi sono tornati all’inesistenza. Sopravvivono soltanto i giardini fissati su carta… Perché non dovrei avere un giardino su carta? Paesaggio nato dalla visione interiore, forme create dal pennello, io posso goderne a mio completo piacimento, senza spese e senza sforzo. Che cosa può augurarsi di meglio un letterato squattrinato? Se ci sono dei limiti a una costruzione reale, non ce ne sono a una immaginaria, per questo il mio giardino è così bello. (Wuyouyuan ji, Les paradis naturels, Jardins chinois en prose, Picquier Poche, 2009, pp. 160-161)

Due facce di un vaso da pennelli

Bambù in ciso firmato da Zhu Zhizheng, detto Sansong (verso 1559-morto dopo 1644); h. 13,6 cm, diam. 9,6 cm. Fine della dinastia Ming, xvi-xvii secolo. Taipei, National Palace Museum. Firmato da un maestro creatore del genere, Zhu Zhizheng, attivo a Jading (municipalità di Shanghai) sotto Wanli e i suoi successori, il vaso da pennelli in bambù scolpito illustra la più popolare pièce di arte drammatica del xiii secolo, Storia del Padiglione Occidentale: storia dell’amore contrastato tra un giovane letterato senza un soldo e una bella fanciulla ritirata in monastero. L’artigiano si ispira alle illustrazioni del pittore Chen Hongshou (15981652) apparse intorno al 1640, molto estetizzanti nella creazione degli spazi e dei piani. Una delle facce del vaso raffigura una scena di esterno che evoca la vita da letterato e le attività raffinate del giovane uomo, musica e calligrafia; egli ha appena terminato di scrivere una lettera, consegnata furtivamente da una servetta alla sua innamorata, la quale, sull’altra faccia del vaso, è intenta a leggerla nascosta dietro a un paravento ornato da una pittura di fiori e di uccelli.

212

213


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Scatola a scomparti

Lacca rossa; h. 36,7 cm, l. 28 cm. Inizio della dinastia Ming, xv secolo. Beijing, Museo dell’Antico Palazzo. Nella tradizione dei Song e degli Yuan, le lacche rosse scolpite (tihong) dei primi regni Ming si caratterizzano per un rivestimento spesso, realizzato a partire da una cinquantina di strati successivi, e da un rosso intenso che vale loro la denominazione di «lacche di cinabro», in una lontana evocazione dell’alchimia taoista e dei suoi elisir di immortalità. Più profano, il decoro fitto e minuziosamente eseguito copre tutta la superficie dell’oggetto; esso associa al tema della fenice quello dell’armonia dei fiori delle quattro stagioni – peonie della primavera, loto dell’estate, crisantemi dell’autunno e pruni dell’inverno –, che figurano sui tre scomparti della scatola, mentre sul suo coperchio è dipinto, alla maniera di un foglio d’album oblungo, un letterato in un padiglione del suo giardino, in riva a uno stagno fiorito di loto.

principi di una vita retta, tra le altre norme rituali, dalla separazione tra esterno e interno, vita pubblica e vita privata, uomini e donne. Come contrappunto a queste realizzazioni ufficiali, si sviluppano correnti che rinnovano dall’interno i valori e le arti letterate, e che, lontane dalle forme ritualizzate della morale, fanno ritorno al perfezionamento individuale. Ai quadri costituiti del sapere accademico in cui i Quattro libri e i Cinque Classici, materia e argomento degli esami da mandarino, vengono letti nel solo apparato critico formulato da Zhu Xi nel xii secolo, esse privilegiano la cultura del sé. A questo proposito, l’influenza di Wang Shouren (1472-1529), più conosciuto con l’appellativo di Yangming, è determinante. Diviso tra una carriera al servizio dello Stato, di cui conosce i rischi e le vicissitudini, e un’irresistibile aspirazione alla saggezza vissuta, Wang Yangming scopre in se stesso, al di là di ogni tradizione stabilita, la sua verità e la sua qualità di uomo, «la coscienza innata del Bene» che si trova nel «cuore-spirito» (xin), fonte unificante della vera conoscenza e del retto agire. Un’identica tensione tra una vita attiva nel mondo e un ritiro meditativo fuori dal mondo, sia essa scelta o subita, anima il rinnovamento delle arti ed è avvertibile sia a corte che nelle province. La regione dello Jiangnan, la bassa valle del Lungo Fiume, si rivela più di altre propizia alla fioritura di un’intensa vita artistica. Fin dall’inizio della dinastia, essa è la prima della Cina per la popolosità, per la prosperità della sua economia, per l’influenza e la diffusione della sua cultura. L’attaccamento ai valori letterati si traduce nel rispetto dello spirito e dello stile dei maestri del passato, pittori e calligrafi delle dinastie Tang, Song e Yuan. Vedono la luce scuole la cui ispirazione principale è la natura come spazio di sociabilità o di contemplazione; la più innovativa è quella dell’antica città di Suzhou, detta scuola di Wu, che riunisce grandissimi nomi, Shen Zhou (1427-1509) e il suo discepolo Wen Zhengming (1470-1559), come lui pittore, poeta e calligrafo; attorno a loro numerosi pittori paesaggisti, adepti di un genere che fa entrare in consonanza le arti del pennello e quelle del giardino. Concepito come un paesaggio dipinto a tre dimensioni, in un lento scorrimento simile allo svolgimento del lungo rotolo orizzontale – formato questo in auge nel xiv secolo –, il giardino del Jiangnan rappresenta uno spazio ideale che associa al ritorno alle origini interiore i piaceri dell’amicizia condivisa e gli ozi raffinati degli amatori, gare letterarie e giochi di strategia, poesia e musica, calligrafia e pittura, cultura e

214

«Lo Studio del giusto Apprezzamento»

Rotolo orizzontale (dettaglio). Inchiostro e colori leggeri su carta; h. 36 cm, l. 178 cm. Wen Zhengming (1470-1559), datato al xxvii anno Jiajing (1522-1567), ovvero al 1549. Shangai Museum. In un lungo rotolo orizzontale, Wen Zhengming traccia il ritratto ideale di un letterato in campagna e annota in dedica «Cabinet del Vero Amatore dipinto per ‘lo zio’ Hua da Wen Zhengming, all’età di 80 anni, nell’anno 1549». Alcuni anni dopo, nel 1557, egli riprende lo stesso tema di un paesaggio dello Jiangnan con un padiglione aperto, circondato da vecchi pini e da rocce contorte provenienti dal lago Taihu; all’interno, egli dipinge il suo amico Hua Xia, originario di Wuxi e appassionato collezionista, intento ad ammirare un pezzo della sua collezione insieme a un ospite (in basso); mentre un secondo amico, sulla riva del fiume tranquillo, si appresta a raggiungerli (in alto). In una stanza laterale del padiglione si trova una scaffalatura carica di libri e di pitture antiche mentre, dall’altra parte, alcuni giovani servitori intorno a un braciere scaldano il vino. Supportata da un meticoloso lavoro di pennello con un repertorio semplice di tratti e l’applicazione di tinte tenui, ma luminose, la composizione crea un’atmosfera idilliaca che evoca la maniera «all’antica» di Zhao Mengfu (12541322), grande ispiratore della pittura letterata.

215


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Fiaschetta piatta con decoro di musicisti in un paesaggio

Porcellana blu-e-bianca smaltata; h. 29,7 cm, larghezza 12 cm alla base. Proviene dal centro di produzione della porcellana di Jingdezhen (Jiangxi). Dinastia Ming, regno di Yongle (14031424). Taipei, National Palace Museum. Sotto Yongle, il gusto imperiale si sposta sull’innovazione più importante del xiv secolo, il decoro detto «blu-ebianco». Il blu cobalto, applicato sotto lo smalto prima della cottura, permette di sviluppare un genere completamente distinto, la pittura su porcellana. Sulle due facce della fiaschetta, un classicissimo paesaggio dispiega la sua successione di piani, montagne in lontananza, alberi e bambù al centro che inquadrano alcuni musicisti e un danzatore giunti dai paesi dell’Occidente, e rocce in primo piano, sulla riva di un fiume. Onnipresente nella vita nobile e letterata, la porcellana completa l’arredamento delle case, delle terrazze e dei giardini. Essa mette in risalto lo splendore dei banchetti e delle celebrazioni ufficiali o familiari e, come tutti i prodotti di lusso, viene scelta in occasione di scambi di regali fra amici, di doni diplomatici o protocollari. Infine, posta sugli altari domestici e offerta come arredo nei templi, essa sostituisce ufficialmente, dal 1370, il bronzo nella realizzazione dei vasi rituali.

Wang Yangming Iniziatore di una corrente neoconfuciana che crea il mondo in spirito, Wang Yangming (1472-1529) si trova in perfetta consonanza con la visione estetica dei pittori letterati del suo tempo. Mentre passeggiava con un amico sulle montagne dello Zhejiang, ebbe con lui questo scambio di battute davanti a un albero in fiore che sorgeva sulla falesia: «Se nel mondo non esistono oggetti esterni al nostro spirito (come dite voi), qual è dunque il rapporto tra il mio spirito e quest’albero i cui fiori si sono schiusi da soli e da soli cadranno nei baratri di questa montagna?» «Prima che voi vedeste questi fiori – rispose il Maestro – essi giacevano nel vostro spirito nello stesso silenzio. Ma a partire dal momento in cui voi siete venuto a vederli, il loro colore vi è apparso chiaramente all’improvviso. Comprenderete perciò che questi fiori non esistono al di fuori del vostro spirito.» (Opere di Wang Yangming, Histoire de la pensée chinoise, Seuil, Paris 1996, p. 505)

216

arte dei fiori. Elaborazione e messa in scena complessa che ricrea la perfetta armonia della natura e la sua compiutezza, il giardino-paesaggio, vero e proprio mondo in miniatura, riunisce nella sua realtà concreta e in modo metaforico i due poli della saggezza celebrati da Confucio: «…All’uomo di intelletto piace l’acqua, all’uomo dabbene, la montagna; a uno il movimento, all’altro il riposo. L’uomo di intelletto vive felice, l’uomo dabbene vive a lungo (vi, 21)». Tra il 1550 e il 1644, nell’ultimo secolo Ming, la cultura urbana dello Jiangnan si sviluppa come rete di rapporti tra grandi famiglie di funzionari, notabili, artigiani e mercanti che condividono, in misura diversa e in una crescente complessità, ascendente culturale, ricchezza personale e potere politico. Mecenati delle arti e sostenitori delle fondazioni religiose, queste famiglie prediligono l’artigianato di lusso – produzioni locali o importate – destinato alle loro residenze e ai loro giardini. La collezione di opere d’arte o di antichità permette loro di accedere all’élite dei veri conoscitori e di affermare la loro «eleganza» (ya) di fronte alla «volgarità» (su) degli arricchiti. Li guidano e li orientano nelle loro scelte alcuni manuali di stile e di buon gusto; tra il 1615 e il 1620 appare il Trattato sulle cose superflue (Zhang Wu Zhi) di Wen Zhenheng (1585-1645), bisnipote di Wen Zhengming, che tratta non delle cose di cui si può fare a meno ma, al contrario, di quelle indispensabili alle raffinatezze dell’esistenza. Nelle Note miscellanee dal Padiglione della Pesca purpurea datate al 1617, Li Rihua (1565-1635), uomo di vasta cultura, definisce alcuni criteri di valutazione degli oggetti in funzione di una sensibilità particolare a certi materiali, come la porcellana che diletta la vista ma anche il tatto e l’udito. Destinati a un pubblico esperto di amatori, di pittori e di artigiani, alcuni cataloghi di ornamentazione, fra cui le originalissime raccolte dedicate ai pani di inchiostro ma anche i quaderni di modelli pittorici con le loro prime tavole xilografate a colori, danno origine all’edizione d’arte. Debitamente e sapientemente illustrati, i Classici, le antologie poetiche e le enciclopedie a indirizzo scientifico, pratico o tecnico, rivaleggiano con i generi ricreativi del teatro lirico che associa dialoghi, canto, musica e danza, del racconto e del romanzo in lingua parlata. Le edizioni illustrate dell’inizio del xvii secolo del romanzo anonimo Fiore di prugno in vaso d’oro (Jinpingmei) restituiscono, attraverso la vita – descritta e dipinta – di un ricco mercante, l’atmosfera e i costumi del tempo, in modo di volta in volta edificante, pio o licenzioso. Si rinnova così, grazie ai progressi tecnologici e a un’incessante ispirazione legata all’esistenza umana in tutta la gamma delle sue passioni, l’unione proposta dalla cultura letteraria tra il testo e l’immagine, che si esplicitano, si illuminano e si prolungano reciprocamente.

La tradizione in pittura, tra interpretazione e libera improvvisazione Verso la fine dell’epoca Ming, Dong Qichang (1555-1639), alto funzionario, artista consumato, collezionista e critico appassionato, propone una teoria nuova della pittura. Con i suoi lignaggi che prendono in considerazione la realizzazione spirituale in un modo graduale o improvviso, il buddismo Chan gli ispira gli schemi formali della sua analisi estetica. Egli riconsidera tutta la pittura classica dall’epoca Tang in poi, in relazione a due correnti: la «Scuola del Nord» raggruppa opere realizzate a pennello «elaborato» o «laborioso» (gongbi), in uno stile che associa disegno dettagliato e colori brillanti; la «Scuola del Sud» deve la sua superiorità e la sua vitalità alla maestria del tratto e del lavis d’inchiostro che permette di cogliere il senso e la ragione d’essere delle cose in maniera suggestiva e intuitiva (xieyi). Talvolta arbitraria, soprattutto nei suoi giudizi sui contemporanei, la formulazione di Dong Qichang impone la sua visione intellettuale ed elitaria su tutta la storia di una pittura che, dal xvii al xx secolo, si caratterizza per una produzione estremamente abbondante, diversificata in varie correnti che si influenzano reciprocamente, dalle più conformiste alle più indipendenti. Stabilire come uniche vie di accesso all’arte del dipingere la copia delle opere note e la fedeltà al loro stile contribuisce a definire i termini di un nuovo accademismo coadiuvato dall’interpretazione, nel senso musicale del termine. Anche se predica la ri-creazione in spirito del modello e non la sua imitazione servile, Dong

217


La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

«Paesaggi del monte Hua»

Fogli d’album, inchiostro e colori leggeri su seta; 34,7 x 50,5 cm. Wang Lü (1332-dopo 1383), inizio della dinastia Ming. Shanghai Museum. Composto da una quarantina di fogli, l’album dei Paesaggi del monte Hua, il picco sacro dell’Ovest (Shaanxi), riflette i nuovi orientamenti della pittura di Wang Lü nella sua maturità. Realizzati di getto al suo ritorno dall’ascensione del monte vertiginoso, essi uniscono scene dipinte e annotazioni personali, rese con un pennello pieno di vigore. È contemplando i diversi siti – si indovina (in alto) la minuscola silhouette del pittore, seduto in corrispondenza del primo piano che scopre le vette con i loro pini avvolti dalla bruma – che Wang Lü decide di seguire la scuola della natura; egli riporta la sua esperienza nel testo introduttivo all’album intitolato Huashan tuxu, dove dichiara con slancio: «Ho acquisito le forme grazie ai maestri antichi e ho acquisito lo spirito attraverso me stesso…».

«Bellezza dei salici dopo la pioggia»

Inchiostro su carta, rotolo verticale; 84,4 x 45,3 cm. Hong Reng, dinastia Qing. Shanghai Museum. Tutta l’opera dipinta di Hong Ren (1610-1663) presenta una stessa ispirazione e uno stesso carattere meditativo e austero. Egli trova nei paesaggi delle Montagne Gialle (Anhui), dove era situato il suo monastero, visioni di solitudini immense, animate da facciate rocciose e da blocchi di pietra dagli spigoli aguzzi. Come un’architettura di pietra nuda, la sua maniera dà vita alle forme in un’audace stilizzazione geometrica; i vasti piani orizzontali sono dinamizzati dalle linee verticali delle falesie a picco e dagli alberi isolati spogli di fogliame. Come in Ni Zan (1301-1374), che egli ammira, nessuna traccia di presenza umana, tranne qualche piccola abitazione o semplici ponti, dal disegno sobrio e deliberatamente maldestro. Autentico specchio del suo spirito, il paesaggio e le altezze pure dei rilievi riflettono le sue aspirazioni e la sua grandezza solitaria.

219


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) «Uccello tra i fiori di loto»

Foglio d’album, inchiostro su carta. Zhu Da (1626-1705), dinastia Qing. Beijing, Museo dell’Antico Palazzo. Per rendere la fondamentale precarietà dell’essere nel mondo e l’unica pace che nasce dall’oblio di sé, Zhu Da mostra un uccello in equilibrio su una roccia dalla base instabile; addormentato, con una zampa alzata, l’uccello è protetto – o minacciato? – da una foglia di loto il cui stelo spezzato ricade, come la purezza per sempre compromessa. Unendo la dolcezza dell’inchiostro schizzato e il vigore del tratto, la pittura appartiene al periodo di relativa tranquillità di Zhu Da, quando, verso il 1685, fa ritorno a una maggiore semplicità. Per ironizzare sulla sua condizione di errante nel vasto mondo, egli firma allora con il soprannome di Badashanren,«l’ospite delle montagne degli Otto Orienti»; in un gioco grafico molto eloquente, egli combina spesso i quattro caratteri che compongono questo soprannome in modo da evocarne altri che si possono leggere «da piangerne» e/o «da riderne».

Trattato di Shitao Di ispirazione molto filosofica, con i suoi prestiti da fonti taoiste e confuciane, il Trattato di Shitao concerne l’Uno in tutte le sue dimensioni, spirituali ed estetiche. Sintesi dell’apparenza esteriore – la forma – e della sostanza interiore – lo spirito –, l’unità, principio primo, si traduce nel pittore-calligrafo nella padronanza dell’«Unico tratto di pennello». Abbracciando l’universale, il Cielo e la Terra, il paesaggio con le sue montagne e i suoi fiumi, l’artista sonda le forme, ne scopre i movimenti e le metamorfosi per fondare in esso l’armonia del mondo: «L’altero e il luminoso sono la misura del Cielo, l’esteso e il profondo sono la misura della Terra…» È in funzione di questa misura del Cielo che l’anima del paesaggio può variare; è in funzione di questa misura della Terra che può esprimersi il soffio organico del paesaggio. Io detengo l’Unico Tratto di Pennello, ed è per questo che posso abbracciare la forma e lo spirito del paesaggio. Cinquant’anni fa, non c’era ancora stata co-nascita del mio Io con i Monti e i Fiumi, non che essi fossero stati valori trascurabili, ma li lasciavo soltanto esistere per se stessi. Ma ora i Monti e i Fiumi mi incaricano di parlare per loro; essi sono nati in me, e io in essi. Ho cercato incessantemente cime straordinarie, ne ho fatto degli schizzi, monti e fiumi si sono incontrati nel mio spirito, e la loro impronta vi si è metamorfosata, di modo che, infine, essi si riconducono a me, Dadi (Grande purezza). (Les propos sur la peinture du moine Citrouille-Amère, Kugua heshang hua yulu, cap. viii, Hermann, Paris 1984, pp. 68-69)

220

A fronte e nelle pagine seguenti: «Maestro Shi pianta dei pini» Rotolo orizzontale (dettaglio); leggera coloritura su carta; 40,3 x 170 cm. Shitao (1642-verso 1720) datato al 1674. Taipei, National Palace Museum. Stanziatosi a Xuancheng (Anhui), a nord delle Montagne Gialle, Shitao assume la responsabilità del monastero Chan del Guangjiao, al cui restauro si dedica tra il 1671 e il 1678. In un rotolo dipinto nel 1674, quando ha trentatrè anni, egli dà di se stesso un’immagine di perfetto maestro buddista. Il palese contrasto tra il realismo dei volti e il libero trattamento del paesaggio indica, secondo alcuni studiosi del pittore, il possibile intervento di un ritrattista rimasto sconosciuto. Seduto nel cavo di una roccia, Shitao si pone nel cuore di un paesaggio bagnato da un dolce chiarore, animato da rocce dalle forme contorte e da pini dai tronchi intrecciati o obliqui; con la zappa in mano, egli si appresta a trapiantare un pino che gli viene portato da una scimmia e da un monaco bambino, temi le cui molteplici armoniche entrano in risonanza con la sua grande aspirazione del momento, il ripristino e il consolidamento di un lignaggio spirituale perenne.

Qichang finisce per approdare – e la sua stessa pittura lo testimonia – a citazioni, libere trasposizioni «alla maniera di» o a combinazioni eclettiche, eleganti e ricercate. Egli è seguito, ammirato e imitato da generazioni di pittori paesaggisti; si tratta, il più delle volte, di artisti professionisti o accademici che contribuiscono a creare uno stile ufficiale, come quello, molto ben riuscito, della corte nel xvii e xviii secolo, quando si adotta anche, per il tramite degli imperatori letterati Kangxi (r. 1662-1723) e Qianlong (r. 1736-1796), lo stile unico di Dong Qichang in calligrafia. Don Qichang riannoda il dialogo con i grandi artisti letterati Song e Yuan, che miravano a rendere percettibile il principio interno delle cose e la loro animazione propria, al

221


L’arte cinese

di là di ogni somiglianza esterna. Egli apre la strada a numerosi maestri la cui originalità si declina, nei secoli successivi, in individualismo e persino in stravaganza o eccentricità. In risonanza con il pensiero contemporaneo di Wang Yangming, l’esperienza personale tende a soppiantare l’eredità della tradizione e prevale sulle esigenze della raffigurazione formale. Numerosi album dedicati a siti naturali o a montagne famose, veri e propri carnet di viaggio o di peregrinazione, associano scene dipinte – dal vero o a memoria –, note o poemi calligrafati per esprimere le sensazioni, le impressioni, le emozioni e i pensieri nati dal contatto diretto con la natura; in un album dedicato al picco sacro dell’Ovest, il monte Hua (Shaanxi), Wang Lü (1332-dopo il 1383) afferma: «… Io ho per maestro il mio cuore, il mio cuore ha per maestro il mio occhio e il mio occhio ha per maestro il monte Hua». La pittura di Hongren (1610-1663) conserva anch’essa l’impronta degli straordinari paesaggi delle Montagne Gialle (Anhui) dove egli ha vissuto. Come gli altri tre maestri ai quali viene associato sotto la denominazione dei «Quattro grandi Monaci pittori dell’inizio dei Qing», Kuncan (1612-1693), Zhu Da (1626-1705) e Shitao (1642-1707), Hongren vede la sua esistenza cambiare radicalmente in occasione dei tragici eventi che fanno seguito alla conquista manciù del 1644. Egli rinuncia al secolo per entrare in monastero e unire ai nobili ideali del gentiluomo artista l’intensità della visione distaccata e spoglia del buddismo; uno stesso spirito anima Kuncan, che sa trasmettere la visione liberatrice del Chan in paesaggi percorsi da vibranti energie. Un altro testimone di questa generazione di artisti è Gong Xian (1599?1689), che si divide tra solitudine contemplativa e insegnamento dopo la caduta dei Ming. Riguardo alla sua pittura, egli afferma «che essa non ha predecessori e non avrà successori». Appartenente a un lignaggio principesco e di formazione classica, Zhu Da adotta, tra gli altri soprannomi, quello di Bada Shanren, «l’ospite delle montagne degli otto Orienti». La disfatta dei Ming, che provoca la morte di suo padre, lo fa chiudere nel mutismo; non si esprime più che attraverso il linguaggio del pennello e dell’inchiostro in grandi paesaggi dai tratti folgoranti ed espressivi, ma anche in piccoli formati in cui rappresenta, in maniera scabra, patetica o ironica, in risonanza con la sua anima lacerata, fiori, uccelli, pesci o rocce. Il suo stile caratterizzato da tutte le arditezze dell’improvvisazione gli vale l’ammirazione e

222

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

l’amicizia di Shitao. Considerato come il più «originale» (qi) dei maestri del tempo, Shitao o Zhu Ruoji, il suo vero nome, è inclassificabile: lo testimonia la scelta della trentina di soprannomi di fantasia che si aggiungono a quello ufficiale, Shitao «onda di pietra», e ai suoi nomi monastici, Daoji o Yuanji. Nessun artista è così fluttuante nei suoi ruoli sociali e nelle sue appartenenze religiose. Come Zhu Da, di cui è lontano cugino, in virtù della sua appartenenza alla casata Ming decaduta, egli si dichiara «di sangue principesco» (wangsun) e «suddito ritirato» (yimin) perché si rifiuta, per lo meno in teoria, di servire il nuovo regime. Egli si considera spesso e semplicemente «letterato» (shi) o «pittore» (huashi) e talvolta, in modo più ambivalente, «uomo di cultura» (wenren) e al tempo stesso «di incultura» (yeren). Accolto in monastero fin dalla sua primissima infanzia, monaco itinerante nutrito di spiritualità Chan, egli fa ritorno al mondo nel 1696 e si dichiara in seguito seguace del taoismo. Di fatto, l’arte di dipingere è il solo filo conduttore di un’esistenza completamente consacrata a una creazione che egli vuole libera da ogni influenza: «…Se capita che la mia opera converga con quella di questo o quel maestro, è lui che mi segue e non io che l’ho cercato». Questa ricerca appassionata e prolifica – sopravvivono oggi più di mille opere realizzate tra il 1697 e il 1707 –, gli permette di arrivare all’universale mediante la scelta dei temi e dei luoghi d’ispirazione, e riproducendo, attraverso l’invenzione e la diversità dei suoi stili, lo spettacolo eternamente rinnovato della natura. In un importante trattato di estetica egli definisce la missione dell’artista, che non è quella di dominare il mondo ma di fondarlo in armonia. Tali sono gli esiti finali e i nuovi zampilli di un’arte che era stata, fin dalle sue origini, l’espressione della vita pura dello spirito e dei valori dell’uomo in seno a un mondo il cui ordine profondo dipendeva dai suoi costanti cambiamenti.

I Qing nel xvii e xviii secolo o l’intelligenza del conformismo Membri di una confederazione delle steppe del Nord-Est, i Manciù fondano l’ultima dinastia imperiale della Cina, quella dei Grandi Qing (1644-1911). Il suo apogeo corrisponde ai regni dei tre sovrani, Kangxi (1662-1723), suo figlio, Yongzheng (1723-1736)

223


La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Sala del trono del Palazzo dell’Armonia Suprema

Città purpurea proibita, dinastia Qing, Beijing, in situ. Il Palazzo dell’Armonia Suprema rappresenta il cuore della dignità imperiale. Seduto su un trono di palissandro riccamente scolpito e dorato, posto su un’alta piattaforma alla quale si accede grazie a cinque gradini, protetto dal nord da un largo pannello che forma un paravento, il sovrano è rivolto a sud, nella campata centrale. In piedi, accalcati alla sua sinistra, a est – il posto d’onore – , stanno i grandi ufficiali civili, mentre i loro omologhi militari stanno a ovest; davanti a lui, uno spazio in cui sono allestiti dei tavoli riservati ai doni o ai documenti, ai memoriali che egli riceve e agli editti che promulga. Rigidamente regolate alla maniera di una coreografia rituale, prosternazioni nei suoi confronti ed entrate e uscite dei partecipanti sono scandite dal suono dei gong e dei litofoni. Come la musica, la luce dei candelabri e il fumo odoroso dei bruciaprofumi creano un’atmosfera misteriosa che collega il potere temporale del sovrano alla potenza intangibile del Cielo.

Abito dragone imperiale (longpao) con dodici simboli

Non tagliato, satin di seta ricamato a punto piatto e filato d’oro, fodera in satin damascato; 235 x 147 cm. Epoca Jiaqing (1796-1820), verso 18001820. Musée des Arts Asiatiques-Guimet, Paris, lascito vebale Krishnâ Riboud, 2003, ma 11029. Definito correntemente «abito-dragone» (longpao) e appartenente alla categoria del vestiario semiufficiale di corte, l’abito cerimoniale manifesta, attraverso il suo decoro, l’ideale politico del potere assoluto sull’universo, ridotto allora ai suoi elementi primi. Con i suoi tre picchi che sostengono la base della terra, la montagna emerge dalle onde spumeggianti delle acque feconde per arrivare fino alle nuvole benefiche del cielo dove volteggiano nove dragoni sovrani: a questo si aggiungono altri motivi ricamati, formule augurali di fortuna e longevità. Infine, in quanto riservato al solo sovrano, esso sfoggia i dodici simboli dell’autorità suprema. Nel suo insieme, il codice attinente al vestiario dei Qing mette in luce le precedenze e i comportamenti afferenti per regolare i giusti rapporti tra l’imperatore, i membri della sua casata e i suoi funzionari.

Les douze signes ou ornements I dodici simboli o ornamenti (shi’erzhang) I dodici simboli dell’autorità imperiale sono presenti sull’abito all’altezza del collo, della cintola e delle ginocchia, spesso a coppie e in modo simmetrico. Sulla spalla sinistra si trova il sole, disco rosso artigliato dall’uccello a tre zampe, e sulla destra la luna con il coniglio di giada che prepara l’elisir di immortalità; sopra il dragone centrale, si scorge la costellazione a tre stelle, immagine della Grande Orsa, mentre all’altezza della cintola appare il carattere fu completato dalla lama dell’ascia, simboli ri-

I dodici segni dell’autorità

Il carattere Fu

L’ascia

Il sole

La luna

La costellazione

Le piante acquatiche

La montagna della terra

Le coppe sacrificali

Il dragone

La fiamma

Il fagiano

I grani di miglio

spettivamente del potere temporale e della giustizia; nella parte inferiore, le piante acquatiche dell’elemento «acqua» rispondono alla coppia di coppe sacrificali di quello del «metallo». Sul dorso, i loro rispettivi corrispondenti sono la fiamma o il fulgore dell’intelligenza, ossia l’elemento «fuoco», i grani di miglio della prosperità del «legno», e, al centro, la montagna della «terra»; sono presenti anche il fagiano, simbolo della raffinatezza delle lettere, e due dragoni affrontati, uno che sale, l’altro che scende, i quali esprimono in tal modo il controllo delle situazioni del mutevole mondo.

225


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

Gli Otto Tesori o i segni di buon auspicio del buddismo Il baldacchino della vittoria

Il loto della purezza

La conquiglia della fama

La ruota della Legge

Il vaso dei gioielli spirituali

Il parasole

Il nodo senza fine

I due pesci

Gli oggetti del buon augurio

Il fungo dell’immortalità lingzhi

La losanga doppia

La nuvola

Il sapeco doppio

La perla di fuoco Lo scettro ruyi o «secondo il vostro desiderio»

I rotoli dipinti

La pietra musicale Lo scettro ruyi a svastica I corni di rinoceronte

Il ramo di corallo Lo scettro ruyi visto di fronte Il lingotto

Gli attributi degli Otto Immortali taoisti

Il ventaglio magico di Han Zhongli (o Zhongli Quan)

La spada di Lü Dongbin

226

Il cesto di fiori (o di pesche) di Lan Caihe

Il tubo di bambù di Zhang Guolao

La zucca di Li Tieguai

Il flauto di Han Xiangzi

Le raganelle di Cao Guojiu

Il fiore di loto di He Xiangu

Gli Otto Tesori del buddismo (babao), gli oggetti del buon augurio e gli Otto Attributi degli immortali taoisti La serie completa degli oggetti, dei simboli e dei Tesori figura tutt’intorno all’altare in pietra marmorea innalzato davanti al Padiglione della Stele della tomba dell’imperatore Quanlong (r. 1736-1796) o Yuling «tomba dell’abbondanza». Realizzata tra il 1743 e il 1752, la tomba è inclusa nel recinto funerario detto dell’Est o Dongling, ai piedi del versante sud del Changruishan, vicino all’attuale città di Zunhua, a 125 km a est di Beijing. La prima serie degli Otto Tesori o segni di buon augurio del buddismo sono alcuni doni offerti dagli dei al Buddha dopo il Risveglio; essa comprende il baldacchino o lo stendardo circolare della vittoria, la conchiglia della fama, il vaso dei gioielli spirituali, il parasole protettivo, il loto della purezza, la ruota della Legge, il nodo senza fine delle esistenze e i due pesci che sfuggono al samsara. La seconda serie, che comporta molteplici varianti, raffigura gli oggetti del buon augurio, simboli di longevità, di ricchezza e di prosperità; vi si riconoscono, a sinistra e dal basso in alto: il fungo dell’immortalità lingzhi, la nuvola, lo scettro ruyi o «secondo il vostro desiderio» con due varianti, ornato dalla svastica e visto di fronte; seguono, a destra, la losanga doppia, il sapeco doppio, la perla di fuoco, i rotoli dipinti, la pietra musicale, i corni di rinoceronte, il ramo di corallo e il lingotto. Talvolta a questi si aggiungono i simboli delle quattro discipline artistiche degli uomini di valore: pittura, giochi di strategia, calligrafia e musica. Mai troppo restrittive, le liste si incrociano spesso fra loro e i loro oggetti possono combinarsi in rebus che giocano sull’omonimia dei caratteri per formare delle formule di voto. Quanto agli attributi degli Otto Immortali taoisti, si tratta del ventaglio magico di Han Zhongli (o Zhongli Quan), della spada di Lü Dongbin, della zucca di Li Tieguai, delle raganelle di Cao Guojiu, del cesto di fiori (o di pesche) di Lan Caihe, del tubo di bambù di Zhang Guolao nel quale ripiega la sua mula, del flauto di Han Xiangzi e del fiore di loto di He Xiangu.

Ornamento di altare

Vasi di smalto cloisonné, dinastia Qing, era Qianlong (1736-1796). Musée des Arts Decoratifs, Paris. Destinati ai profumi, ai fiori e alla luce che attirano la benevola attenzione degli antenati e delle divinità, gli ornamenti di altare riflettono il gusto per l’antico preponderante nelle arti rituali del xviii secolo. Adattamento del gui antico, il vaso centrale si accompagna a una coppia di ciotole ispirate ai bricchi da alcool zhi; simile a una tappezzeria, il loro decoro associa racemi di volute da cui spuntano fiori di loto dai petali più o meno stilizzati, motivi arcaizzanti con le loro cicale sugli alti piedistalli delle ciotole e un ideogramma che significa la longevità shou, sui candelieri a fuso. Giunta da Bisanzio verso la fine del xiv secolo e chiamata «arte del paese dei demoni», la tecnica dello smalto cloisonné conosce il suo apogeo sotto Qianlong con oggetti di eccellente fattura in cui si rivelano sia una delicata armonia tra le parti dorate con oro fino sia una morbida tavolozza cromatica dominata dall’azzurro turchese.

e suo nipote Qianlong (1736-1796), la cui politica si concentra sulla potenza dell’Impero e sulla sua prosperità. Singolare tra tutte, la cultura di questi despoti molto illuminati è sostanzialmente manciù e decisamente cinese. La loro organizzazione guerriera, il sistema delle unità socio-militari chiamate «bandiere», viene integrata allo Stato imperiale in modo da delineare una serie di misure destinate a preservare la loro identità etnica. Diventata capitale principale nel 1644, Beijing si divide ben presto in due: a nord si estende la città interna, chiamata anche città «tartara» dagli Occidentali, riservata alle élite manciù e ai loro alleati; mentre a sud, oltre le mura, la città esterna dà rifugio alle masse cinesi e alle altre popolazioni dell’impero. Anche se si iscrivono nella tradizione palaziale dei Ming, conservando o restaurando la maggior parte dei palazzi dell’antica Città Proibita nelle loro primitive disposizioni, non per questo gli imperatori manciù sono da meno come grandi costruttori, perché la città-palazzo non è il loro unico luogo di soggiorno. Dopo le celebrazioni ufficiali del Solstizio d’inverno e del Nuovo Anno, la corte raggiunge, nel corso di regolari trasferimenti, le sue nuove residenze d’estate, il complesso dei «Giardini della perfetta luminosità», Yuanmingyuan, situato alla periferia nord-ovest di Beijing, e il «Luogo di soggiorno montano per evitare il caldo», Bishushanzhuang, a Rehe o Jehol (l’attuale Chengde, Hebei); costruita da Kangxi tra il 1703 e il 1709, la residenza si accompagna, più a nord, all’immenso territorio di caccia di Mulan, frequentato in autunno. Quanto alla residenza di Shenyang o Mukden (Liaoning), sede del primo potere manciù, essa si dota periodicamente di nuove costruzioni, palazzi e templi dedicati al Cielo, alla Terra e ai grandi antenati della stirpe. Da veri Figli del Cielo, garanti dell’armonia e dell’ordine del mondo, i sovrani ottemperano a tutte le liturgie dell’Impero e mantengono, pur adattandoli ai loro bisogni, la sua amministrazione e le modalità di reclutamento delle sue élite. Essi stessi fini conoscitori della cultura cinese classica, calligrafi e poeti eminenti, patrocinano vaste imprese editoriali, collazione di dizionari o edizioni di enciclopedie. Apparsa sotto Qianlong, la Biblioteca completa dei quattro depositi (Siku quanshu) riunisce decine di migliaia di opere, secondo la classificazione delle biblioteche cinesi: Classici confuciani, testi storici, filosofici e Belle Lettere. Per dieci anni, dal 1772 al 1782, trecentosessanta eruditi, i migliori laureati dei concorsi da mandarino o membri delle accademie come la celebre Hanlin della capitale, lavorano

227


L’ART CHINOIS

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) Cabinet miniaturizzato dai molteplici tesori (duobaoge)

Legno rosso zitan, sandalo e intarsi diversi; 25,1 x 25,1 cm, h. 20,9 cm. Dinastia Qing, regno Qianlong, 1736-1796. Taipei, National Palace Museum. Vera e propria arte a se stante, l’esposizione delle collezioni in armadi, étagère, paraventi a scomparti o cassoni dà luogo sotto Qianlong a realizzazioni stupefacenti. Talvolta di dimensioni imponenti o, al contrario, molto ridotte, esse servono da scrigno alle opere che piacciono alla corte o alle antichità della collezione imperiale. Aperto grazie a un meccanismo ingegnoso, il cabinet miniaturizzato dissimula e svela, in un godimento senza fine, trenta minuscoli tesori disposti all’interno di piccole étagère a forma di ventaglio. Sui lati, figurano evocazioni di paesaggi degli Yuan e di calligrafie del tempo dei Song. Intarsiato nella parte superiore è presente un disco di giada bi che evoca il cielo circolare. Ridotte quasi magicamente a contenuto della scatola, le opere costituiscono, a immagine della collezione imperiale, un autentico microcosmo della ricchezza culturale dell’impero.

sotto la direzione del dotto ministro Ji Yun (1724-1782); anche se ad essa si accompagna la messa all’indice di numerosi libri, l’impresa resta il più monumentale contributo della dinastia a favore delle Lettere cinesi. Allo stesso modo, il mecenatismo imperiale investe anche il campo della pittura, incaricata di promuovere l’ideale politico del buon governo. Per consolidare il potere manciù sulle province meridionali, da tempo ribelli, e iscriversi nella millenaria tradizione dei viaggi imperiali, Kangxi si reca a sei riprese nello Jiangnan. Egli dà incarico a Wang Hui (1632-1717), rappresentante di rilievo della pittura paesaggista letterata, di dirigere tra il 1691 e il 1698, un atelier di artisti incaricati di illustrare i suoi viaggi; vengono così realizzati dodici rotoli narrativi, finemente dettagliati, lungo ognuno tra i quindici e i trentotto metri, che esaltano sia la bellezza dei paesaggi dell’impero che la prosperità delle sue città e l’attività delle sue campagne. Alla stessa maniera, due lunghissimi rotoli commemorano i fasti del sessantesimo compleanno di Kangxi, celebrato a Beijing nel 1713. Un’emulazione a cui si accompagna un certo desiderio di autocelebrazione porta

228

Qianlong a continuare la tradizione dei «Viaggi nel Sud» e delle «Feste della Longevità» di suo nonno; egli finanzia a sua volta numerose illustrazioni della vita ufficiale e dei grandi eventi del suo regno. Rinnovando lo spirito del tempo dei Song e dei Ming, le accademie di Belle Arti riuniscono calligrafi, pittori ufficiali ed esperti, incaricati di conservare, catalogare e studiare le collezioni imperiali e i loro tesori dinastici, antichi e contemporanei. Nel suo sogno di una collezione infinita, perfetta e totale, Qianlong, che esercita per tutti i suoi sessant’anni di regno un drastico controllo sull’insieme delle attività artistiche, decide notevoli innovazioni in materia di copia; alcuni capolavori frammentari vengono completati, e apprezzamenti o poemi, spesso opera sua, sono apposti su opere originali di prim’ordine o considerate come tali. Tutte le arti al servizio dell’Etichetta hanno origine nelle grandi manifatture o nelle botteghe dirette dalla Casa imperiale; esse si evolvono in funzione dei rituali, spesso rimaneggiati, dei quali il meglio conosciuto, la Descrizione illustrata degli oggetti rituali della

229


L’arte cinese

La Cina degli ultimi imperi, Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)

nostra sublime dinastia (Huangchao liqi tushi), data al 1759. A immagine dei tre imperatori, forti personalità dai molteplici talenti e dalle molteplici sfaccettature, l’arte di corte si diversifica in numerose tendenze. Il gusto del tempo favorisce il ritorno all’antico con produzioni arcaizzanti, nell’intento di rendere manifesta la grandezza dei Qing rispetto ai periodi ritenuti i più prestigiosi del passato cinese. Esso si accompagna a una esplicita tendenza al reimpiego, alla copia o all’imitazione virtuosa. La porcellana diventa supporto della pittura e della calligrafia; imita brillantemente altri materiali (bronzo, metallo prezioso, lacca, pietra, bambù, tessuto o legno) creando raffinati effetti di trompe l’œil. I decori costituiscono un insieme di codici basati sulla metonimia, sull’allusione letteraria o storica e sull’espressione di voti. Giocando sulla natura dei materiali, sulle forme e sull’ornamentazione, sulle loro ambiguità e i loro contrasti, l’arte imperiale esplora, in segno e come pegno di apertura al mondo, tutte le strade della «curiosità».

Tibet e Europa: religioni, arti e politica Gli imperatori Qing accordano al buddismo tibetano un sostegno senza incrinature; proteggono le sue istituzioni e i suoi rituali, dotano generosamente i suoi dignitari e finanziano le edizioni ufficiali del suo Canone. Questo riconoscimento religioso si iscrive nel quadro più ampio di una politica che mira, attraverso la conquista e la diplomazia, a consolidare la supremazia dell’impero sulle sue marche settentrionali e occidentali. Praticato da numerosi

Frontiere della Cina

Grande centro di stampa

Confini delle province

Forno di ceramica conosciuto in tutto l’impero

Ceduto a una potenza straniera

Sito di produzione tessile conosciuto in tutto l’impero

Capitale provinciale

Sito d’arte tibetano

Capitale imperiale

Giada

Sito di produzione di pitture conosciuto in tutto l’impero

Attacchi britannici durante la prima Guerra dell’Oppio, 1839-1842

Tsitsihar

Jilin

Mont

i Alt ai

Gobi

Zhili

Qili

lam

aka

an S han

Grande Muraglia Ming Taiyuan

n

Shanxi

Lanzhou

Qinghai Gansu

Tibet

Shaanxi

Derge

Sichuan

Lhassa

Chengdu

Shigatse (Xigazê)

Chongqing

Kaifeng

Henan

Nanjing (Nanking)

Hubei

Kunming

Jiangxi

Xiamen (Amoy) Guangzhou Guangxi (Canton) Guang- Shantou dong (Swatow) Wuzhou Longzhou Hong Kong Macao Nanning Guilin

Hainan

230

Beijing Corea Tianjin Yantai (Tientsin) (Chefoo) Weihaiwei Jinan g Qingdao n do Shan Zhenjiang Jangsu (Chinkiang) Xuancheng Yangzhou Wuxi Suzhou Anhui Shangai Wuhu Yixing Ningbo (Ningpo) Anqing Xiuning Shexian Hangzhou

Wuchang Yichang (Ichang) Hankou Zhejiang Longquan (Hankow) Wenzhou (Wenchow) Nanchang Changsha Jiujiang Jingdezhen Fuzhou (Kiukiang) Fujian Hunan (Foochow)

Guizhou

Yunnan Birmania

Xi’an

Shengjing

Mar del Giappone

Newchwang Dairen (Dalian) Port Arthur

Mongolia Interna

Khotan

India

Jilin Moukden (Chenyang)

Tian Shan

Xinjiang

Ta k

Mongolia

Mar della Cina meridionale

Taiwan

Taiwan

denaro dal Nuovo Mondo

Il Grande Quinto e l’imperatore Qing Shunzhi

eR yuk yu

Pittura influenzata dall’Occidente

Heilongjian

Isol

Porti/città sotto franchigia

L’impero Qing nel xviii e xix secolo Il xviii secolo rappresenta il periodo di massima espansione dell’impero Qing. La sua giurisdizione si esercita sulla Cina delle diciotto province ma anche sulla Manciuria, sulla Mongolia, sullo Xinjiang e su Taiwan, mentre il Tibet viene posto sotto il suo protettorato. Confrontati a popoli la cui cultura e le cui tradizioni religiose erano estranee al mondo cinese tradizionale, i sovrani conducono una politica che oscilla, a seconda delle circostanze, tra adesione, annessione e sterminio. Ciò facendo essi riannodano i fili della storia straordinariamente complessa che ha contrapposto un ordine imperiale a vocazione centralizzatrice e quegli immensi territori che formano una specie di continente chiuso tra i monti Altai in Siberia, Monti Celesti, Pamir e Himalaya, relazioni che hanno visto succedersi, nel corso dei secoli, conquiste e dominazioni reciproche. Ma, nel secolo successivo, i rapporti di forza mutano diametralmente nel momento in cui le pressioni delle grandi potenze costringono infine alla cessione delle città e dei porti, accentuando in tal modo il declino generale dell’impero.

Pittura murale (dettaglio). Fine del xvii secolo, Grande Sala d’Assemblea occidentale, parte est. Palazzo Rosso, Potala, Lhasa, R.A. del Tibet, in situ. Erudito e grande mistico, amministratore e costruttore di talento ma anche abile politico e diplomatico, il quinto Dalai Lama, Lobsang Gyamtso (16171682) viene ancora oggi venerato con il titolo di «Grande Quinto». Gli episodi più importanti della sua vita sono illustrati dai migliori pittori del Tibet alla fine del xvii secolo nell’area recintata del Palazzo Rosso della sua residenza del Potala, restaurata a misura del suo regno. Vi figura, in primo piano, il suo incontro ufficiale con l’imperatore Qing Shunzhi (r. 1644-1661) a Beijing nel 1652, incontro conclusosi con l’instaurarsi di sottili legami di vassallaggio reciproco tra l’imperatore dichiarato «sovrano universale» e protettore del buddismo e il gerarca che rappresenta la grande Legge del Buddha.

popoli della steppa, dalla Mongolia all’Asia centrale, il buddismo tibetano è, nel xvii secolo, dominato dalla scuola dei Virtuosi o Gelugpa, fondata da Tsongkhapa (1357-1419). Il suo capo supremo, che porta il titolo di Dalai Lama, «Oceano di saggezza», esercita un potere teocratico dall’immenso prestigio. Per soppiantare i Mongoli Koshot, protettori ufficiali dei Gelugpa dopo la loro conquista del Tibet centrale nel 1642, il primo imperatore manciù Shunzi (r. 1644-1662) invita il quinto Dalai Lama a Beijing; l’avvenimento apre l’era dei rapporti molto complessi che i suoi discendenti intratterranno con la gerarchia gelugpa. Sul piano politico, i legami, che sono quelli di fedeltà tra un sovrano e il suo vassallo, si rafforzano quando il Tibet centrale diventa, nel 1751, un protettorato dell’impero. Sul piano religioso, i rapporti gerarchici si invertono; il Dalai Lama è «il precettore» o il maestro spirituale dell’imperatore, e quest’ultimo, in quanto devoto fedele e discepolo di grande erudizione, è considerato un’emanazione o uno dei «corpi di trasformazione» del bodhisattva della saggezza, Manjusri. A questo titolo, la montagna consacrata al bodhisattva, il Wutaishan (Shanxi), situata a mezza strada tra la capitale e la Mongolia, assume un’importanza tutta particolare agli occhi di Kangxi e di Qianlong, che vi si recano frequentemente in pellegrinaggio e concedono ricche sovvenzioni ai suoi monasteri. Qianlong è pienamente compenetrato dal suo ruolo di imperatore-bodhisattva; numerose pitture lo rappresentano come pontefice gelugpa, con in mano la ruota della Legge del sovrano universale e gli attributi di Manjusri, la spada e il libro nel loto; vi compare anche, in medaglione, il

231


L’arte cinese Cosmogramma

Oro, piccole perle, corallo, granate e turchesi. Dinastia Qing, xvii-xviii secolo. Musée national du Château de Fontainebleau, museo cinese dell’imperatrice Eugenia, antico tesoro del Palazzo d’Estate, Yuanmingyuan, Beijing. Dispositivo cultuale presentato alla divinità in occasione di alcune cerimonie del buddismo esoterico, il cosmogramma si ispira al mandala come rappresentazione simbolica delle forze cosmiche. È, fino ad ora, uno degli esempi più belli dell’arte sacra sinotibetana, proveniente dagli atelier di corte e destinato alle cappelle imperiali. Realizzato in oro, esso raffigura, nella parte superiore il monte Sumeru, la montagna assiale del mondo, circondato dal grande mare da cui emergono delle isole-continenti, rese con turchesi incastonate dalle differenti forme geometriche. File di piccole perle, di turchesi e di corallo cingono l’insieme e raffigurano le montagne esterne che delimitano le acque dell’oceano primordiale. Sui lati, appena distinguibili tra i racemi decorativi di un’estrema finezza, figurano gli Otto Tesori della tradizione buddista, associati a motivi specificatamente cinesi.

suo precettore e principale consigliere per la religione, il lama Rolpay Dorje (1717-1786). In ossequio alle sue direttive, il palazzo imperiale fa realizzare preziosi arredi cultuali di fattura sino-tibetana, immagini dipinte e tessute, statuette di divinità in bronzo dorato, cosmogrammi e oggetti liturgici, destinati alle cappelle private dei palazzi, dei nuovi o degli antichi templi restaurati. Il complesso più prestigioso della capitale resta il Tempio dei Lama o Yonghegong, antica residenza costruita da Kangxi per Yongzheng, la cui architettura e disposizione, perfettamente cinesi, vengono adattate a partire dal 1744 alle attività rituali e accademiche dei collegi gelugpa. Nel corso dei decenni successivi, l’imperatore Qianlong sovrintende alla costruzione di otto templi detti «dei domini esterni» nella residenza d’estate di Chengde, templi che si ispirano più o meno liberamente ai santuari più sacri del mondo lamaico, la residenza-palazzo del Dalai Lama, il Potala a Lhasa, o quella del Panchen Lama, suo secondo nella gerarchia, il monastero di Tashilhunpo a Shigatse. Servendo da scenario architettonico alle celebrazioni politiche e militari alle quali sono invitati gli aristocratici mongoli e manciù, i notabili uiguri dello Xinjiang e le più alte autorità del clero tibetano, i complessi architettonici manifestano, oltre che l’onnipotenza imperiale, anche la profonda devozione di Qianlong verso il buddismo. L’accoglienza che i primi imperatori manciù riservano ai padri della Compagnia di Gesù, ammessi a corte a partire dalla fine del xvi secolo, rivela la loro curiosità per un mondo nuovo, l’Europa. Essi proseguono il fruttuoso dialogo che si era inaugurato tra le élite letterate e i gesuiti, dotti ed esperti, che mettono al servizio della missione, grazie alla loro conoscenza delle lettere cinesi, il meglio della scienza e delle arti europee; essi operano in discipline diverse come l’astronomia, le matematiche, l’orologeria, la cartografia o l’ingegneria militare. Contribuiscono alla diffusione delle tecniche europee dell’incisione, del vetro e degli smalti dipinti, mentre le arti decorative ricavano dalle opere che essi

232

«Numerosi segni di buon augurio» (Jurui tu)

Rotolo verticale, inchiostro e colori su seta; 173 x 86 cm. Datato al 1723 opera di Lang Shining (Giuseppe Castiglione, 1688-1766), dinastia Qing, regno Yongzheng (17231736). Taipei, National Palace Museum. Realizzata su richiesta di Yongzheng all’inizio del suo regno, la pittura di una composizione floreale in un vaso è la più antica opera datata di Castiglione che sia giunta fino a noi e anche una delle sue più ispirate. L’iscrizione, che riporta il suo nome, dice in sostanza: «Le spighe a due teste spuntano nei campi, alcuni fiori di loto doppi fioriscono nello stagno, e io, Lang Shining, dipingo questi segni di buon augurio». Egli illustra il tema molto classico dei segni di buon augurio che esprimono la prosperità e la virtù del regno, tema arricchito dal gioco delle omofonie tra «il vaso» che può designare anche «la pace», e «il loto», «la concordia». Con i suoi colori trasparenti e le sue lievi ombre disegnate con tocco vibrante, la pittura di Castiglione coniuga felicemente tema cinese e trattamento naturalistico all’europea.

Dell’apprezzamento e del misconoscimento reciproco Il fossato che divide la pittura cinese da quella europea ha dato luogo a discorsi molto illuminanti sulle loro paure reciproche. Arrivato in Cina circa vent’anni dopo Castiglione, nel 1735, il padre Attiret constata, non senza una certa amarezza, in una lettera del 1741: «Mi è costato e mi costa ancora molto assuefarmi al genere di pittura che rientra nel gusto di questo paese e soprattutto del principe, per il quale e davanti al quale dipingo. Per far questo, ho dovuto dimenticare una parte di ciò che avevo appreso con tanto studio e fatica, e abituarmi a un’altra maniera di dipingere. Oltre al fatto che ho dovuto imparare a dipingere ad acqua su una specie di velo bianco, pittura difficile, delicata che ha qualcosa di più fine della miniatura. Tutto ciò che si dipinge a olio deve essere dipinto nello stesso stile, intendo dire leccato, uniforme, senza ombra, gli incarnati bianchi come il latte, i drappeggi stretti, plissettati a tubi d’organo, all’incirca nello stile dei nostri antichi. E in aggiunta a questo, le teste senza espressione, gli atteggiamenti senza movimento, la prospettiva lineare senza digradazione, e senza poter mettere in pratica la prospettiva aerea». Maestro di corte del xviii secolo e allievo di Castiglione, Zou Yiqui, pur riconoscendo alcune qualità alla pittura europea, non può fare a meno di esprimere le sue profonde reticenze in materia di stile o di padronanza del tratto: «Gli Europei si servono della prospettiva nella loro pittura per dare un’impressione di profondità e di distanza, estremamente notevole ed esatta. Nella rappresentazione della figura umana, delle case e degli alberi, ci sono sempre delle ombre. I colori e i pennelli di cui si servono sono diversi da quelli che utilizziamo in Cina. Le pitture dei Palazzi e delle case da abitazione sono spesso così realistiche che viene voglia di entrarvi. I nostri allievi pittori possono fare un uso moderato delle tecniche occidentali, in considerazione di tutto ciò che esse possono suggerire, ma nella pittura europea lo stile manca completamente. Benché il lavoro degli Europei riveli una certa abilità nel disegno e nella tecnica, non si può tuttavia in nessun modo definire il loro lavoro autentica arte». (Peng Chang Ming, Echos, L’art pictural chinois et ses résonances dans la peinture occidentale, Editions You-Feng, Paris 2004, p. 154)

233


L’arte cinese

EPILOGO Tra la metà e la fine del xix secolo, l’impero Qing si disgrega. La sua popolazione, che è cresciuta di un quarto nel corso della prima parte del xix secolo fino a toccare i quattrocento milioni di abitanti, è martoriata da catastrofi naturali e da un impoverimento e una corruzione in continua crescita. Varie insurrezioni contro il potere imperiale e manciù – movimenti settari di ispirazione millenarista e ribellioni dei popoli colonizzati – devastano le province. Gli assalti congiunti delle potenze industrializzate (Europa, Stati-Uniti, Russia e Giappone) innescano una serie di sconfitte militari seguite da trattati e convenzioni che impongono l’apertura al commercio e alle missioni cristiane. In tutti i grandi porti, da sud a nord e lungo il Changjiang, si insediano concessioni straniere. Taiwan viene ceduta al Giappone dopo la vittoria navale riportata da ques’ultimo nel 1895, segnando de facto a Shimonoseki la perdita di indipendenza dell’impero. Convinte del valore universale e della superiorità naturale della loro civiltà, le élite cinesi provano un terribile senso di ingiustizia misto a fierezza e rivolta contro tutti i «barbari» che non conoscono i riti, le lettere e le arti cinesi. Il confronto con l’Occidente e con il Giappone occidentalizzato fa da sfondo a tutta la storia della Cina moderna del xx secolo; essa si esprime in seno a correnti nazionaliste o patriottiche che, in rapporto agli uomini e alle sensibilità, si dividono tra conservatorismo, riformismo e rivoluzione. Se alcuni, come il grande letterato Zhang Zhidong (1837-1909), nella sua Esortazione allo studio del 1898, ammettono, in un’educazione ben ponderata, l’interdipendenza «degli antichi insegnamenti della Cina come fondamento e di quelli dell’Occidente come pratica», altri, al contrario, si emancipano dalla tradizione per fare appello ai valori normativi del mondo occidentale (il progresso, la scienza e la democrazia) o ai suoi modelli rivoluzionari. Il Movimento della Nuova Cultura importano in Cina motivi ibridi e fortemente tinti di «esotismo». Ma l’apporto maggiore è senza dubbio l’introduzione dei procedimenti prospettici all’europea, avvertibile, tra gli altri esempi, nelle illustrazioni dipinte da Jiao Binzhen (attivo ca. 1670-1720) per il Libro del riso e della seta (Yuzhi Gengzhitu), enciclopedia del xiii secolo rieditata sotto la direzione di Kangxi nel 1696. Tuttavia, l’Europa è in preda a una vivace controversia teologica, la Disputa sui riti cinesi: iniziata verso la metà del xvii secolo, essa si conclude nel 1742, quando il papato condanna in maniera definitiva i culti ancestrali e confuciani. L’atteggiamento degli imperatori nei confronti del cristianesimo si modula di conseguenza; esso passa dalla simpatia interessata, ma benevola, di Kangxi, all’ostilità crescente e all’espulsione decretata da Yongzheng, anche se, in maniera abbastanza artificiosa, viene concesso ad alcuni «missionari utili all’impero» di continuare a risiedere alla corte di Qianlong. Originario di Milano, il frate gesuita Giuseppe Castiglione (1688-1766), conosciuto anche con il suo nome cinese di Lang Shining, lavora per cinquant’anni al servizio esclusivo della maestà imperiale. Autentica cronaca del regno di Qianlong, di cui è il pittore prediletto, la sua opera testimonia con acutezza i suoi compromessi estetici con i colleghi cinesi. Assistito dai padri Michel Benoist o Jiang Youren (Digione 1715-Beijing 1744) e Jean-Denis Attiret o Wang Zhicheng (Dôle 1702-Beijing 1768), egli progetta una serie di giardini e di edifici di stile barocco, abbelliti da fontane e da getti d’acqua, di cui l’imperatore ordina la costruzione fra il 1747 e il 1759 nell’area recintata dello Yuanmingyuan per ospitare i suoi cabinet di lussuose curiosità e i suoi «capricci» arrivati dall’Europa. Conosciuti oggi grazie alle incisioni eseguite nel 1783 da allievi di Castiglione, il destino di questi palazzi – incendiati nel 1860 in seguito alla seconda Guerra dell’Oppio da un corpo di spedizione franco-britannico – prefigura l’esito drammatico delle ingerenze europee che segneranno la storia dell’impero fino alla sua caduta, all’inizio del xx secolo.

234

«I Kirghisi-Kazaki che offrono in tributo dei cavalli»

Rotolo orizzontale (dettaglio); inchiostro e colori su carta; 45,4 x 245 cm. Giuseppe Castiglione e pittore(i) cinese(i), 1757. Paris, Musée des Arts Asiatiques, Guimet mg 17033.

L’accoglienza da parte dell’imperatore Qianlong dei nomadi Kirghisi-Kazaki e dei loro cavalli rimanda alla sottomissione degli Zunghar nel 1775 e rinnova il tema molto antico degli stranieri portatori di tributo all’impero. In un poema calligrafato che figura alla fine del rotolo, l’imperatore assapora la sua vittoria e celebra i cavalli venuti da Occidente, simili, nell’immaginario cinese posteriore agli Han, a «dragoni celesti»: «…Ora che il nostro territorio si estende su immense distanze. Tutti i Kazaki hanno adottato la nostra cultura. Non hanno altri doni per renderci omaggio che questi eccellenti corsieri… Il loro aspetto evoca perle che rotolano, la giada zampillante. Il loro galoppo è simile al lampo…». Castiglione collabora alla pittura eseguendo il ritratto dell’imperatore, i volti dei protagonisti e i cavalli, lasciando a uno o a più maestri dell’Accademia il compito di completare l’insieme. Le due tradizioni pittoriche vengono così a intrecciarsi nell’espressione di una stessa idea dello splendore della cultura cinese e della dignità imperiale.

Nel 1905, gli esami imperiali vengono aboliti, distruggendo così la base culturale e sociale della burocrazia letterata. La rivoluzione del 1911 e la fondazione della Repubblica nel 1912 mettono definitivamente fine alla struttura politico-religiosa di un impero creato duemila anni prima. Infine, la mobilitazione del 4 maggio 1919 assesta un colpo fatale alla tradizione confuciana in quanto piedistallo ideologico di quello stesso impero. L’agitazione politica e l’effervescenza intellettuale si iscrivono in seno al Movimento della nuova cultura (1915-1927) che sostiene la vocazione popolare delle arti e delle lettere e ne afferma la responsabilità sociale. Primo ministro dell’Educazione della Repubblica, Cai Yuanpei (1868-1940) è fautore dell’apertura delle università alle influenze occidentali e rivendica la portata pedagogica dell’opera d’arte nelle sue dimensioni morali e spirituali. Di ritorno dall’Europa o dal Giappone, artisti influenti come Lin Fengmian (1900-1991), Liu Haisu (1896-1994) e Xu Beihong (1895-1953) aprono la strada, ciascuno alla propria maniera, ai cambiamenti estetici e assumono la direzione delle accademie d’arte, da poco create. È il tempo delle sintesi e dei compromessi più o meno eclettici tra una pittura definita «nazionale» (guohua) che conserva i suoi mezzi di espressione tradizionali, l’inchiostro e il pennello, e la «pittura occidentale» (xihua) che designa non solo le tecniche del disegno e della pittura a olio ma anche gli stili e i temi ispirati a correnti francesi ed europee o importati dal Giappone tradizionale e moderno. Tuttavia, alcuni grandi maestri rinnovano la pittura dall’interno; Huang Binhong (1865-1955), lui stesso conoscitore e storico dell’arte, riafferma la perennità della spiritualità cinese che l’arte pittorica cristallizza; quanto a Qi Baishi (1864-1957), che è anche incisore su legno, egli celebra la natura e la vita quotidiana mediante l’«espressione spontanea» (xieyi) dell’antica tradizione pittorica. Le principali fusioni artistiche tra Cina e Occidente, cultura antica e moderna, espressioni letterate e popolari, si realizzano in centri cosmopoliti come Canton (Guangzhou) e Shangai, sedi, dagli anni Cinquanta del xix secolo, di concessioni straniere. Nel corso

235


L’arte cinese

Epilogo

dei decenni, i maestri della Scuola di Shangai esplorano nuove strade; benché si ispirino alle fonti epigrafiche, all’incisione dei sigilli e alle tradizionali collezioni di antichità, essi si aprono anche a nuovi media, litografia e tipografia, fotografia, pubblicità e cinema. Dal 1920, la Scuola di Belle Arti di Shangai dedica una sezione alle arti plastiche, esempio ben presto seguito a Hangzhou e a Beijing. Per la prima volta nella storia la scultura esce dal suo ambito funerario o religioso e si presta alla raffigurazione di personaggi emblematici. L’esempio, all’epoca, più rappresentativo è quello del primo presidente della Repubblica, Sun Yat-sen (1866-1925); la sua statua, di fattura realistica e classicheggiante, eseguita da Paul Landowski (1875-1961) nel 1930 per il suo mausoleo di Nanjing, diventa un’importante fonte di ispirazione. Shangai è anche il luogo privilegiato di tutte le sperimentazioni in materia di architettura, come testimoniano ancora gli edifici del Bund, lungo il fiume Huangpu, dove agenzie e architetti cinesi e stranieri lavorano insieme alla realizzazione di hotel di lusso e di sedi bancarie, consolari e doganali del più dinamico centro culturale della Cina degli anni Trenta e Quaranta. Ma gli avvenimenti precipitano. Dopo un decennio di riunificazione del territorio sotto l’autorità del partito nazionalista, la cui sede è a Nanjing, la Cina è devastata dall’invasione giapponese del 1937. Le forze nazionaliste di Chiang Kaï-shek (Jiang Jieshi, 1887-1975) e comuniste di Mao Zedong (1893-1976) si alleano nella guerra di resistenza contro il Giappone, che termina nel 1945 per lasciare il posto a quattro anni di lotta aperta tra i due partiti. Vincitore nel 1949, Mao fonda la Repubblica Popolare della Cina sul continente, mentre Chiang fonda la Repubblica della Cina a Taiwan.

masse investe le esistenze. I suoi nuovi supporti, pitture a inchiostro, disegni con il gesso, «proclami a grandi caratteri» (dazibao), cartelloni e pannelli giganti, esibiscono, in città, in campagna e talvolta perfino sulla sommità delle montagne, i caratteri che scandiscono in modo martellante le parole d’ordine politico. Destinate a una popolazione ancora in larga parte illetterata, le strisce disegnate e gli album illustrati a vocazione storica o didattica si moltiplicano. Si ritiene che musica e canti, ai quali si aggiungono opere liriche filmate, siano in grado di galvanizzare le passioni e sollevare gli entusiasmi. Appartenente al popolo e da esso emanante, l’arte si apre a tutti, studenti, operai e contadini, che restano anonimi in una produzione di massa: si stima che ammontino a più di quaranta milioni le immaginette del Nuovo Anno stampate nel 1975. Si asseconda ampiamente una corrente folkloristica; attività artigianali tipiche degli ambienti contadini, come la realizzazione di papiers découpés o le pitture a gouache, vengono sfrutatte per fini di edificazione e di propaganda. L’arte, infine, fonda il culto della personalità di un presidente i cui poemi e i cui slogan, da lui stesso calligrafati e spesso illustrati da pittori autorizzati, hanno invaso lo spazio pubblico. Ai ritratti ufficiali, dipinti e scolpiti si aggiungono milioni di oggetti del quotidiano con stampata la sua effigie. Talvolta, come avviene ancora oggi nella sua provincia natale dello Hunan dove sopravvivono le antichissime credenze relative al carisma dell’autorità assoluta, il suo ritratto affianca – o sostituisce – le immagine degli dei e degli antenati sugli altari familiari.

Dalla rivoluzione nell’arte all’arte rivoluzionaria

Gli anni che seguono alla morte di Mao Zedong nel 1976 vedono l’applicazione di nuove politiche, la riapertura della Cina al mondo e la messa in atto di un’economia socialista di mercato. Fin dalla metà degli anni Ottanta, grazie a un certo rilasciamento ideologico, emergono correnti intellettuali, artistiche e religiose; alcune antiche risorgono o si riconfigurano, inizialmente ai margini, poi sempre più al centro della vita culturale, sociale e politica. Nei percorsi personali di vecchie guardie rosse o di studenti rieducati in campagna all’epoca della Rivoluzione Culturale, è possibile leggere e vedere, la vita spezzata di milioni di cinesi, in quell’«arte delle cicatrici» che tocca la letteratura, la pittura e il cinema. Improntate al pathos o deliberatamente caustiche, le attuali deviazioni dall’iconografia marxista rientrano, come l’insieme di quelle testimonianze, in un movimento di inventario storico e di critica morale. Come i circoli accademici in preda a passioni intellettuali che si succedono in modo spesso antagonista, il mondo dell’arte apre campi di sperimentazioni frazionati e separati, che esplodono in «realismo surrealista» o «cinico», «iperrealismo», «pop art politica» e «Kitsch«», per citare soltanto i movimenti più spettacolari. In rottura con le convenzioni delle arti classiche e moderne, lo spirito di queste opere lascia trasparire, allo stesso modo che in Occidente, nuovi approcci che travalicano la nozione stessa di opera d’arte intesa come espressione dell’interiorità o della creatività personale. Ma esistono altre correnti, ai margini del sensazionale, più concettuali, più emozionali o più sensoriali, e talvolta deliberatamente lontane dalla sfera pubblica, dalle sue istituzioni e dalle sue gallerie commerciali, come, per esempio, le variazioni intorno all’«Apartment Art». L’arte della scrittura attesta la vitalità del legame che la cultura cinese di oggi continua a intrattenere con le sue fonti tradizionali. Tornate a essere strumenti di creazione, la calligrafia e l’ideografia si incanalano in molteplici vie, in un’ottica spesso di astrazione, dematerializzazione o decostruzione – invenzione di pseudocaratteri, abbandono del senso e delle forme, lavoro di copia ripetitivo fino all’assurdo –, abolendo le frontiere tra arti visive, arti dell’installazione e della performance. A lungo considerate come alternative, o addirittura clandestine, alcune «avanguardie» hanno trovato un certo riconoscimento, perfino una promozione sicura, in seno a uno Stato le cui istanze artistiche esercitano un ruolo di controllo fluttuante, costruendosi al tempo stesso una legittimità basata sulla potenza economica. Il mercato dell’arte ne è uno

Dopo essersi fatti interpreti della bufera sanguinosa di quei tempi, sia gli artisti che gli intellettuali si trovano ben presto, e spesso loro malgrado, immersi nei dibattiti che sigillano l’insediamento delle istituzioni della Repubblica Popolare. Riorganizzati sotto l’egida del Fronte Unito, l’organo di propaganda del partito comunista, alcuni istituti, come l’Istituto di ricerca delle Belle Arti fondato a Beijing nel 1954, dirigono le attività di diverse associazioni artistiche. Le commesse ufficiali glorificano il nuovo regime, gli eroi della sua storia, i suoi dirigenti e le loro realizzazioni. Isolati dai paesi occidentali, numerosi artisti della Cina continentale vengono inviati, fino alla rottura degli anni Sessanta, in Unione sovietica dove diventano seguaci di un realismo socialista a cui si accompagna un espressionismo più o meno marcato. Tra il 1949 e il 1959, importanti lavori di urbanizzazione trasformano Beijing. Luogo geometrico, all’incrocio tra l’antico asse imperiale e la nuova avenue Chang’an, la piazza Tian’anmen, nel cuore della capitale, si copre di colossali realizzazioni in stile sino-stalinista, come il palazzo dell’Assemblea del Popolo e quello dei Musei della storia, mentre al centro della sua immensa spianata viene eretto il monumento-obelisco agli Eroi del popolo. Nei suoi scritti teorici del 1942, Mao Zedong assegna uno scopo comune all’arte e alla letteratura, «servire il popolo»; egli le concepisce in termini dialettici di baobian, «lode» e «biasimo», formulazione presa a prestito dallo storico della Cina classica, Sima Qian, che la utilizza per definire il ruolo della sua disciplina. Arte e letteratura hanno il compito di esaltare il proletariato, il partito e il socialismo, ma anche di denunciarne e stigmatizzarne i nemici. Di fatto, esse vengono poste al servizio di un potere supremo che diventa in breve tempo sinonimo di controllo assoluto sull’insieme delle attività umane. È quando la sua posizione viene rimessa in discussione in seno al Partito, in seguito ai drammatici fallimenti della sua politica economica, che il presidente Mao lancia, nel 1966, la grande Rivoluzione Culturale proletaria, vettore di un pensiero totale che elimina i suoi oppositori con la trasformazione delle coscienze e la rieducazione. Giudicati devianti, i rappresentanti e i sostenitori dell’antica cultura tornano a essere il bersaglio di persecuzioni e di purghe, come quelle condotte negli anni Cinquanta. Un’arte di educazione delle

236

Dal sistema dell’arte ufficiale al sistema ufficiale dell’arte

237


L’arte cinese

dei marcatori con nuovi acquirenti legati alla finanziarizzazione dell’economia mondiale; in Cina come all’estero esplodono le aste e le transazioni, che toccano record mondiali. Il fenomeno riguarda sia l’arte contemporanea che quella imperiale delle ultime dinastie. «La costruzione culturale» rientra nei grandi progetti nazionali; ribadite nel 2012, le direttive emanate dai più alti organismi dello Stato mirano non solo a restaurare la grandezza e lo splendore della civiltà cinese, ma anche a estendere la sua influenza sull’insieme del mondo. Di fatto, la vita artistica e culturale si inquadra sia in una volontà di posizionamento di fronte all’Occidente sia nei rapporti sempre più complessi e ambivalenti con il passato e con il suo patrimonio culturale, materiale e immateriale. Come perpetuare questa eredità, come valutare e collezionare le opere e inoltre conservarle e trasmetterne lo spirito? Come, infine, riappropriarsi della tradizione, della propria storia artistica, religiosa e intellettuale per accettare tutte le scommesse della creazione? È per fornire qualche elemento di risposta a tali domande che era decisamente opportuno proporre la lettura di questo libro in un periodo in cui la Cina è diventata protagonista di primo piano di una società mondiale sempre più integrata.

SELEZIONE BIBLIOGRAFICA

Abbiamo scelto di presentare soltanto una ristretta selezione bibliografica che non tiene conto di opere di grande valore che comunque esistono. In compenso, ognuna delle opere di riferimento rimanda a una bibliografia molto dettagliata.

Fonti della saggezza cinese: L’edizione moderna più accessibile, debitamente annotata e punteggiata, dell’insieme dei testi dei maestri dall’antichità fino al vi secolo, è l’edizione dello Zhuzi jicheng 諸子集成, Zhonghua shuju, Hong Kong 1978; ried. 8 voll., Shanghai shudian, Shanghai 1986. Per il Canone confuciano, le traduzioni di Séraphin Couvreur s.i. (18351919) pubblicate presso la Missione cattolica di Ho-k’ien-fou tra il 1895 e il 1916 presentano il testo cinese a fronte della doppia traduzione in francese e in latino; esse sono state oggetto di riedizioni, Cheu king, ried. Instituto Ricci, Taipei 1966; La chronique de la principauté de Lou – Tch’ouen-ts’iou et Tso-Tchouan, 3 voll., ried. Cathasia, Paris 1951; Mémoires sur les bienséances et les cérémonies, 4 voll., ried. Cathasia, Paris 1950; Cérémonial, ried. Cathasia, Paris 1951; Chou king; Les Annales de la Chine, ried. Éds. You Feng, Paris 1999. Lo stesso avviene per il volume che contiene i Quattro Libri (Lunyu, Mengzi, Zhongyong e Daxue), tradotti da Séraphin Couvreur, che è stato oggetto di una v riedizione a Taipei, Guangqi chubanshe, nel 1972. Per quel che riguarda lo Yijing, il Libro dei Mutamenti, oggetto di vari lavori, la sua traduzione più diffusa in lingua occidentale è quella di Richard Wilhelm, I Ging – Das Buch der Wandlungen, Diederichs, Iena 1924, tradotta in seguito in inglese, Bolligen Foundation, New York 1950, e in francese da Étienne Perrot con il titolo Yi King – Le Livre des transformations, Librairie de Médicis, Paris 1973.

238

dista nuovamente compilato nell’era Taishô (1912-1925)», ha visto la luce a Tokyo tra il 1924 e il 1935; essa è costituita da cento volumi di mille pagine ciascuno. Il Répertoire du Canon bouddhique sino-japonais, édition de Taishô, compilato da Paul Demiéville, Hubert Durt e Anna Seidel (fascicolo annesso dello Hôbôgirin), AdrienMaisonneuve, Paris e Maison francojaponais, Tokyo, pubblicato nel 1978, ne è il complemento indispensabile.

Studi e traduzioni: Sul pensiero, la cultura e la storia Chavannes, Edouard, Mémoires historiques de Sseu-ma Ts’ien, i ed. E. Leroux, Paris 1895-1906; ried. 5 voll., Adrien-Maisonneuve, Paris 1967. Cheng, Anne, Entretiens de Confucius, Éds. du Seuil, Paris 1981.

Kaltenmark, Max, Le Lie-sien Tchouan, Collège de France, Institut des Hautes Études chinoises, ristampa dell’ed. del 1953 con corrigenda e un nuovo indice, Paris 1987.

Stein, Rolf A., Le monde en petit; Jardins en miniature et habitations dans la pensée religieuse d’Extrême-Orient, 1° ed. Hanoi 1942; ried. rivista e accresciuta, Flammarion, Paris 1987.

Kohn, Livia (a cura di), Daoism Handbook, E.J. Brill, Leiden 2000.

Vandermeersch, Léon, Les deux raisons de la pensée chinoise – Divination et idéographie, éds. Gallimard, Paris 2013.

Kontler, Christine, Les Voies de la sagesse; Bouddhisme et religions d’Asie, Éds. Philippe Picquier, Arles 1996; ried. Picquier Poche, Arles 2005. Larre, Claude, Lao Tseu, Tao Te King; Il libro della Via e della Virtù, Editoriale Jaca Book, Milano 1994-2013.

Acker, William R.B., Some T’ang and Pre T’ang Texts on Paintings, 2 voll., E.J. Brill, Leiden 1954 e 1974.

Levi, Jean, Les fonctionnaires divins; Politique, despotisme et mystique en Chine ancienne, Éds. du Seuil, Paris 1989.

Beguin, Gilles, L’Art bouddhique, Editoriale Jaca Book - cnrs Éditions, Milano-Paris 2009.

Levi, Jean, Han-Fei-tse ou Le Tao du Prince, Éds. du Seuil, Paris 1999.

Billeter, Jean-François, L’Art chinois de l’écriture, éds. Albert Skira, Genève 1989; trad. inglese, The Chinese Art of Writing, Random House Incorporated, Genève-New York 1990.

Cheng, Anne, Histoire de la pensée chinoise, Éds. du Seuil, Paris 1997.

Levi, Jean, Les Œuvres de Maître Tchouang, Éds. de l’Encyclopédie des Nuisances, Paris 2006.

Demieville, Paul, Choix d’études sinologiques (1921-1970), E.J. Brill, Leiden 1973.

Levi, Jean, Sun Tzu, L’Art de la guerre, Hachette Littératures, Paris 2000; ried. Fayard/Pluriel, Paris 2011.

Demieville, Paul, Entretiens de LinTsi, Fayard, Paris 1972.

Leys, Simon, Essais sur la Chine, Robert Laffont, Paris 1998.

Gernet, Jacques, Le Monde chinois, Armand Colin, Paris 1972; iii ed. rivista e ampliata, Paris 1989; trad. inglese A History of Chinese Civilization, Cambridge University Press, Cambridge 1982; ried. 2 voll., vol. i, De l’âge de bronze au Moyen Age; vol. ii, L’époque moderne, xe-xixe siècle, Pocket Agora, Paris 2006.

Loewe, Michael - Shaughnessy, Edward (a cura di), The Cambridge History of Ancient China – From the Origins of Civilization to 221 B.C., Cambridge University Press, Cambridge 1999.

Granet, Marcel, La pensée chinoise, La Renaissance du livre, Paris 1934; ried. Albin Michel, Paris 1968. Granet, Marcel, La religion des Chinois, Presses Universitaires de France, Paris 1951; ried. éd. Imago, Paris 1980; trad. inglese, The Religion of the Chinese People, Harper-Row, New York-London 1977. Gossaert, Vincent - Palmer, David A., The Religious Question in Modern China, The University of Chicago Press, Chicago-London 2011; trad. francese, La question religieuse en Chine, cnrs Éditions, Paris 2012.

Sulle arti, la poesia, l’estetica

Maspero, Henri, Le Taoïsme et les religions chinoises, ried. Gallimard, Paris 1971; trad. inglese, Taoism and Chinese Religion, University of Massachusetts Press, Amherst 1981. Mathieu, Rémi, Anthologie des mythes et légendes de la Chine ancienne, éds. Gallimard, Paris 1989. Pirazzoli-t’Serstevens, Michèle, La Chine des Han – Histoire et Civilisation, Office du Livre, Fribourg 1982. Robert, Jean-Noël, Le sûtra du Lotus, Suivi du Livre des sens innombrables et du Livre de la contemplation de SageUniversel, Fayard, Paris 1997.

Per il canone taoista Daozang, si consulterà la summa di erudizione rappresentata da The Taoist Canon – A Historical Companion to the Daozang, a cura di Kristofer Schipper e Franciscus Verellen, 3 voll., The University of Chicago Press, Chicago-London 2004.

Gossaert, Vincent - Gyss, Caroline, Le Taoïsme – La révélation continue, Éds. Gallimard, Paris 2010.

Robinet, Isabelle, Histoire du taoïsme des origines au xive siècle, éds. du Cerf, Paris 1991; trad. inglese, Taoism: The Growth of a Religion, CA. Stanford University Press, Stanford 1997.

L’edizione del Canone buddista cinese, chiamato Taishô shinshû daizôkyô, alias Taishô issaikyô, il «Canone bud-

Kaltenmark, Max, Lao Tseu et le Taoïsme, Éds. du Seuil, Paris 1965; trad. inglese, Lao Tzu and Taoism, Stanford University Press, Stanford (ca) 1965.

Schipper, Kristopher, Le corps taoïste, Fayard, Paris 1982; trad. inglese, The Daoist Body, University of California Press, Berkeley 1993.

Cheng, François, L’écriture poétique chinoise, suivi d’une anthologie des poèmes des T’ang, Éds. du Seuil, Paris 1977. Cheng, François, Souffle-esprit – Textes théoriques chinois sur l’art pictural, Éds. du Seuil, Paris 1989. Cheng, François, Chu Ta (16261705), le génie du trait, Phébus, Paris 1986. Chiu, Che Bing, Yuanye: Le Traité du jardin, Éds. de l’Imprimeur, Paris 1997. Demieville, Paul, Anthologie de la poésie chinoise classique, Gallimard, Paris 1962. Desroches, Jean-Paul - Gies, Jacques (a cura di), Trésors du musée national du Palais, Taipei. Mémoire d’Empire, Association française d’action artistique/Réunion des musées nationaux, Paris 1998. Ducor, Jérôme - Loveday, Helen, Le sûtra des contemplations du Buddha Vieinfinie – Essai d’interprétation textuelle et iconographique, Brepols Publishers, Turnhout 2011. Eichenbaum Karetzky, Patricia, Chinese Religious Art, Lexington Books, Plymouth 2014. Eliseeff, Danielle, Art et archéologie: la Chine, 2 voll., Réunion des Musées Nationaux, Paris 2008-2010. Fava, Patrice, Aux portes du ciel – La statuaire taoïste du Hunan, Art et anthropologie de la Chine, Les Belles

239


L’arte cinese Lettres-école française d’ExtrêmeOrient, Paris 2013. Gies, Jacques - Cohen, Monique (a cura di), Sérinde, terre de Bouddha. Dix siècles d’art sur la Route de la soie, Réunion des musées nationaux, Paris 1995. Hay, Jonathan, Shitao: Painting and Modernity in Early Qing Dynasty, Cambridge University Press, New York 2001; trad. cinesi Rock Publishing International, Taipei 2008; Sanlian shudian, Beijing 2009. Ledderose, Lothar, Ten Thousand Things – Module and Mass Production in Chinese Art, Princeton University Press, Princeton 2000. Lefebvre, Eric, L’École de Shanghai – Peintures et calligraphies du musée de Shanghai, Musée Cernuschi, Paris 2013.

Confucius: His life and Legacy in Art, Asia Society, New York 2010. Paludan, Ann E., Chinese Sculpture; A Great Tradition, Serindia Publications, Inc., Chicago 2006. Pirazzoli-t’Serstevens, Michèle, Chine, Office du Livre, Fribourg 1970. Rault-Leyrat, Lucie – Jouffray, Alain, La voix du dragon. Trésors archéologiques et art campanaire de la Chine ancienne, Cité de la Musique, Paris 2000. Rawson, Jessica (a cura di), The British Museum Book of Chinese Art, The Trustees of the British Museum Press, London 1992. Rawson, Jessica, Chinese Jade from the Neolithic to the Qing, The Bristish Museum Press, London 1995.

Little, Stephen - Eichman, Schawn (a cura di), Taoism and the Arts of China, The Art Institute of Chicago – University of California Press, Chicago 2000.

Ryckmans, Pierre, Shitao – Les Propos sur la peinture du moine Citrouille-amère, Institut belge des hautes études chinoises, Bruxelles 1970; ried. Hermann, Paris 1984, e Plon, Paris 2007.

Murray, Julia K. - Lu Wensheng,

Soper, Alexander C., Literary Eviden-

ce for Early Buddhist Art in China, Artibus Asiae Publishers, Ascona 1959.

Presses Universitaires de France, Paris 1964.

Steinhardt, Nancy S. (a cura di), L’Architecture chinoise, Éds. en langues étrangères - Université de Yale, Beijing-New Haven-London, 2002; Éds. Philippe Picquier, Arles 2005.

van

Thorp, Robert L., Son of Heaven – Imperial Arts of China, Son of Heaven Press, Seattle 1988. Thote, Alain (a cura di), Chine antique, voyage de l’âme – Trésors archéologiques de la province du Hunan (xiiie av.- iie ap. J.C.), Centre culturel de l’abbaye de Daoulas, Daoulas 1992. Thote, Alain, L’énigme de l’homme de bronze; Archéologie du Sichuan (xiie-iiie siècle av.J.-C.), Éditions Findakly, Paris 2003. Vandier-Nicolas, Nicole, Art et sagesse en Chine: Mi Fou, Presses Universitaires de France, Paris 1963. Vandier-Nicolas, Nicole, Le Houa Che de Mi Fou ou le carnet d’un connaisseur à l’époque des Song du Nord,

INDice dei nomi e dei luoghi

Gulik, Robert H., Chinese Pictorial Art, as Viewed by the Connoisseur, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Roma 1958.

Watt, James C.Y., China, Dawn of a Golden Age, 200-750 AD, The Metropolitan Museum of Art (New York), Yale University Press, New Haven-London 2004. Weidner, Marsha (a cura di), Latter Days of the Law – Images of Chinese Buddhism 850-1850, University of Hawaii Press, Honolulu 1994. Yang Xiaoneng (a cura di), The Golden Age of Chinese Archaeology, celebrated Discoveries from the People’s Republic of China, Yale University Press, London-New Haven 1999. Yang Xin - Nie Chongzhen - Lang Shaojun - Barnhart Richard M. - Cahill James e Wu Hung, Trois mille ans de peinture chinoise, éds. en langue etrangère - Université de Yale - Éds. Philippe Picquier, Beijing-New HavenLondon-Arles 1997.

L’indice che segue include i principali nomi di persone citate nel testo con, tra parentesi, le loro date di nascita e di morte quando sono note; i nomi dei sovrani citati sono seguiti dalle date dei rispettivi regni; secondo l’uso corrente, designiamo i sovrani delle dinastie Ming e Qing (xiv-xx sec.) con il nome d’era del loro regno, e non con i loro nomi postumi o con quelli personali. I nomi di luoghi e dei principali siti di scoperte archeologiche figurano con, tra parentesi, il nome della provincia moderna in cui sono situati, accompagnato, quando necessario, da quello del loro distretto. Sono indicati anche i titoli delle principali opere studiate con la traduzione più corrente dei titoli in italiano. Alcune nozioni fondamentali o alcune categorie sono raggruppate secondo un’indicizzazione fatta spesso a partire dalla terminologia europea, tematicamente più suggestiva, come le «Sei Arti», i «Cinque Imperatori» o i «Tre Insegnamenti». La traslitterazione dei termini e nomi sanscriti è semplificata come quelle dei rari nomi tibetani e mongoli.

Academia Sinica Zhongyang, yanjiuyuan 中央研究院: 17, 18, 28 Alagou 阿拉溝 (Toksun 托克遜, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 66 Altai (Siberia meridionale): 68, 230 Aluchaideng 阿魯柴登 (Hangjin 杭錦, R.A. della Mongolia Interna): 111 Amitabha o Amitayus, Buddha: 143, 143 An Lushan 安祿山 (m. 757): 155 Ananda, discepolo del Buddha della storia: 135 Andersson, Johan Gunnar (1874-1960): 18 anima-soffio o anima sottile: v. hun Annali degli Han Anteriori, seguiti dallo Hou Hanshu 後漢書 , Libro degli Han Posteriori: 100 Anyang 安陽 (Henan): 15, 17, 18, 26, 28, 30, 31, 32, 34, 36, 130 Arhat, in cinese Aluohan 阿羅漢, abbr. in Luohan 羅漢: 185, 209 Arsacidi: 111 Asia centrale: 9, 65, 68, 99, 103, 103, 108, 111, 113, 122, 146, 152, 204, 206, 231 Astana 阿斯塔那 (Turfan 吐魯番, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 146, 149, 155 Attiret, Jean-Denis (o Wang Zhicheng 王致 誠, 1702-1768): 233, 234 Attributi liturgici del Risveglio, vajra (fulmine diamante) e ghanta (campanella): 207

240

avadana: 122, 128 Avalokiteshvara, bodhisattva: v. Guanyin babao 八寶, gli Otto Tesori, motivi ornamentali simbolici del buddhismo: 226, 232 Bactriana o Daxia 大夏: 111, 113, 122, 146 Badashanren 八大山人: v. Zhu Da bagua 八卦, gli otto trigrammi della divinazione: 15, 121 Bai Juyi (o Bo Juyi) 白居易 (772-846): 155 Balitai 八里台 (Luoyang 洛陽, Henan): 92 Ban Chao 班超 (73-102): 111 Bao’ensi 報恩寺 (Nanjing 南京, Jiangsu): 206 baobian 褒貶, principio storico detto della lode e del biasimo: 15, 236 Baodingshan 寶頂山 (Dazu 大足, Sichuan): 183, 184 Baofeng 寶豐 (Henan): 166 Baoji 寶雞 (Shaanxi): 46, 47, 48, 50 Baoningsi 寶寧寺 (distretto di Youyu, Shanxi): 207, 209 Baoshan 寶山 (Anyang 安陽, Henan): 130 Begram (Afghanistan): 111 Beijing 北京: 24, 26, 53, 168, 199, 200, 200, 202, 204, 226, 227, 228, 231, 236 Beishan 北山 (Dazu 大足, Sichuan): 183 Belitung (antica Billiton Island, stretto di Gaspar, Indonesia): 150 Benoist, Michel (o Jiang Youren 蔣友仁, 1715-1774): 234 Bhagavan o Beato, biblioteca del (Datong, 大同, Shanxi): 170, 172 bi 璧, disco di giada: 23, 40, 43, 63, 81, 103, 228 Bi Sheng 畢昇 (xi secolo): 158 Bianjing 汴京 (Bianzhou 汴州 o Bianliang 汴梁): v. Kaifeng (Henan) Bifaji 筆法記, L’arte del pennello: 162 Binglingsi 炳靈寺 (distretto di Yongjing 永靖, Gansu): 122, 122 Bishushanzhuang 避暑山莊 (Rehe 熱河 o Jehol, attuale Chengde 承德, Hebei): 227 Bixia Yuanjun 碧霞元君: 208 bixie 辟邪: 86 Bodhidharma (v-vi secolo ?), in cinese Putidamo 菩提達摩, abbr. in Damo 達摩: 185 Bodhiruci (572-727 ?), in cinese Putiliuzhi 菩提流支: 184 Bodhisattva, essere del Risveglio 菩薩: 122, 122, 125, 134, 135, 141, 143, 142, 144, 152, 172, 183, 184, 189, 208, 209, 231 Boshanlu 博山爐, bruciaprofumo o fornello detto della montagna immensa: 98, 99 Budai 布袋, Dal sacco di tela, monaco: v. Maitreya

Buddha fo 佛: 120, 121, 122, 122, 125, 125, 126, 130, 128, 132, 134, 134, 135, 141, 143, 143, 146, 152, 172, 174, 175, 183, 183, 184, 184, 185, 185, 186, 204, 206, 208, 209, 210, 226 Cai Lun 蔡倫 (?-114 d.C.): 92 Cai Yuanpei 蔡元培 (1868-1940): 235 Cang Jie 倉頡: 6 Canton: v. Guangzhou Cao 曹: 226 caoshu 草書, scrittura corsiva: 118 Carta del dominio augurale, Zhaoyutu 兆域圖: v. Zhongshan Castiglione, Giuseppe (1688-1766) o Lang Shining 郎世寧 in cinese: 232, 234 Catalogo di calligrafie e pitture dell’era Xuanhe: v. Xuanhe huapu Catalogo illustrato delle Antichità dell’era Xuanhe: v. Chongxiu xuanhe bogutulu Céladon, eroe dell’Astrée di Honoré d’Urfé (1567-1625): 40 Chajing 茶經: 151 Chan (o Channa) 禪(禪那), Zen in giapponese: 184, 185, 185, 187, 217, 220, 222, 223 Chang’an 長安, antico nome di Xi’an (Shaanxi): 87, 89, 130, 144, 146, 152, 184, 236 Changjiang 長江 (Lungo fiume o Fiume Azzurro o Yangzijiang): 23, 25, 53, 100, 114, 158, 235 Changling 長陵, campo funerario di Yongle dei Ming: 203 Changma 昌馬 (Jiuquan 酒泉, Gansu): 122 Changping 昌平 (Hebei): 203, 203 Changsha 長沙 (Hunan): 61, 76, 95, 97, 100, 100 Changwuzhi 長物志 (o Zhang Wu Zhi), Trattato sulle cose superflue: 217 Chaoyuan tu 朝元圖: 195 Chen 陳: 169 Chen Hongshou 陳洪綬 (1598-1652): 212 Chen Rong 陳容 (attivo intorno al 12351262): 192 Cheng 稱: 25, 46 Chenghua 成化, era di regno 1465-1488: 200 Chengzhou 成周, Luoyi: v. Luoyang (Henan) Chiang Kaï-shek (o Tchang Kai-chek), Jiang Jieshi 蔣介石 (1887-1975): 236 Chongxiu xuanhe bogutulu 重修宣和博古圖 録: 165 Chu 楚: 35, 53, 60, 70, 70, 73, 76, 100, 103 Chuci 楚辭, Elegie di Chu: 76 Chunqiu 春秋, Primavere e Autunni, ossia Annali del Principato di Lu: 11, 92 Cinque Classici, Wu Jing: Yijing 易經, Shijing

241


L’arte cinese 詩經, Shujing 書經, Liji 禮記, Chunqiu 春 秋: 214 Cinque Elementi o fasi wu xing 五行: acqua shui 水, fuoco huo 火, legno mu 木, metallo jin 金, terra tu 土: 8, 89, 94 Cinque Imperatori, Wudi, 五帝: Huangdi 黃 帝, Zhuanxu 顓頊, Ku 嚳, Yao 堯, Shun 舜: 13, 79 Cinque Picchi sacri, Wuyue 五嶽: Taishan 泰 山 (Shandong), Hengshan 恆山 (Shanxi), Huashan 華山 (Shaanxi), Songshan 嵩 山 (Henan), Hengshan 衡山 (o Nanyue, Hunan): 204, 208 Città purpurea proibita (Zijincheng 紫禁城), divisa in corti esterne Waichao 外朝 e sale interne Neiting 內廷: 201, 202, 225, 227 Compagnia di Gesù: 199, 232 Confucio: v. Kong fuzi (o Kongzi), Maestro Kong cong 琮, tubo di giada: 43, 103 Contemplazione del Buddha di Longevità infinita, Guan Wuliangshoufo jing 觀無量 壽佛經: v. Amitabha Cuo 銼, re di Zhongshan: 68, 70 Da Ming Ji li 大明禮記, Rituale della dinastia Ming: 212 Dai 軑, marchesato di: v. Mawangdui Daitoku-ji 大德寺, tempio Zen di Kyoto (Giappone): 189 Dalai Lama, il Grande Quinto Lobsang Gyamtso (1617-1682): 231, 231, 232 Dali 大理, regno (Yunnan), re Duan Shixing 段智興(r. 1172-1200): 168, 174 Dama Hao: v. Fu Hao dan 淡, insipidezza o insulsaggine: 198 Danyang 丹陽 (Nanjing 南京, Jiangsu): 118 Dao 道, Via: 7, 8, 61, 97, 151, 184, 193 Daodejing 道德經, Libro della Via e della Virtù, intitolato anche Laozi 老子: 61, 63, 118, 193, 198 daoshi 道師, maestro del Dao, taoista: 7, 97 Daotunzi 道屯子 (distretto di Tongxin 同心, R.A. Hui del Ningxia): 111 Daowu 道武帝 degli Wei del Nord, Bei Wei 北魏 o Tuoba Gui 拓跋圭 (r. 386-409): 125 Dapona 大波那 (distretto Xiangyun 祥雲, Yunnan): 103 Dayangzhou 大洋洲 (Xin’gan, Jiangxi): 25 Dawenkou 大汶口 (Shandong): 26 dazhuan 大篆, grande sigillaria: 81 dazibao 大字報: 237 Dazu 大足(Sichuan): v. Baodingshan e Beishan Dengxian 鄧縣 (Henan): 118, 118 Dezhin Shegpa (o Helima 1384-1415): 206 dharani: 175, 184 Dharani del corpo del bodhisattva Guanshiyin dalle mille mani e dai mille occhi, sutra: 184 Di 帝: v. Shangdi Dialoghi di Confucio (con i suoi discepoli): v. Lunyu Dian 滇, regno e popolazione: 103, 104

242

Indice dei nomi e dei luoghi Dianchi 滇池 (Yunnan): 103 ding 鼎, vaso tripode: 31, 40, 46, 49, 51, 53, 64 Dingling 定陵, tomba di Wanli dei Ming: 203 Dingmaoqiao 丁卯 橋 (distretto Dantu 丹徒, a Zhenjiang 鎮江, Jiangsu): 150 Dipankara, Buddha: 172 Disputa sui riti cinesi: 234 Divinità indù, Skanda, Siva, Varuna, Prithivi, Marici: 206 Di Xin 帝辛: v. Zhou Xin Dizang 地藏, bodhisattva (Kshitigarbha): 208 Dong Qichang 董其昌 (1555-1636): 217, 220, 221 Dong Zhongshu 董仲舒 (ca. –195-115): 89 Dongjiacun 董家村 (disrtetto di Qishan 岐山, Shaanxi): 48 Dông-son (Vietnam): 89 Doumu 斗母: 208 Du Fu 杜甫 (712-770): 153, 156 Duanfang 端方 (1861-1911): 50 Dunhuang 敦煌 (Gansu): 122, 125, 135, 128, 135, 141, 143, 144 duobaoge 多寶格: 228 Egiin Gol (Mongolia): 111 eleganza (ya 雅) versus volgarità (su 俗): 217 Epang (o Afang) 阿房宮, palazzo imperiale di Xianyang (Shaanxi): 82, 78 Erligang 二里崗 (Henan): 25, 44 Erlitou 二里頭 (Henan): 25, 26, 30, 32, 44

Fahaisi 法海寺 (distretto di Shijingshan, Beijing 北京): 206 Famensi 法門寺 (distretto di Fufeng 扶風, Shaanxi): 53, 150, 152 fangshi 方士: 97 Fanshan 反山 (distretto di Yuhang, città di Hangzhou 杭州, Zhejiang): 23 feibai 飛白, bianco volante: 187 feiyi 飛衣: 95 Feng 酆 o Fengjing 酆京 (Shaanxi): 45 Fengchu 鳳雛 (distretto di Qishan 岐山, Shaanxi): 49, 50 fengliu 風流, vento e acque correnti: 118 fengshui 風水, arte o scienza dei siti, vento e acqua, geomanzia: 203 Fiore in fiala d’oro, Fiore di prugno in vaso d’oro: v. Jinpingmei Fiume Giallo (Huang He 黃河): 23, 24, 25, 26, 31, 45, 45, 53, 64, 66, 78, 108, 122, 158 Fogongsi 佛宮寺 (Yingxian 應縣, Shanxi): 174 Fu Hao 婦好 o Dama Hao: 32, 34 Fu Sinian 傅斯年 (1896-1950): 18

Gan Ying 甘英 (i secolo): 111 Gandhara: 121, 122, 146 ganying o ying: v. risonanza Gaochang 高昌 (Turfan, R.A. Uiguri dello Xinjiang) o Kocho/Qocho: 146, 149, 155 Gaozong dei Song: v. Song Gaozong Gaozong dei Tang: v. Tang Gaozong Gaozu degli Han: v. Han Gaozu ge 閣, padiglione a piani: 170

Gengis Khan (1160 ?-1227): 168 Gengzhitu 耕織圖, Libro del riso e della seta: v. Yuzhi Gengzhitu Ghirlanda fiorita: v. Huayanjing Gong Xian 龔賢 (1599 ?-1689): 222 gong’an 公案, caso, koan in giapponese: 184 gongbi 工筆: 217 Gongsun 公孫, dama (viii secolo): 153 Gongxian 鞏縣 (Henan): 130 Gongyangzhuan 公羊傳, commento del Chunqiu: 11, 92 Grande Digiuno del Registro giallo Huanglu dazhai 黃録大齋: 193 Grande Muraglia di diecimila Li, Wanli changcheng 萬里長城: 81, 199, 200, 200 Grande Veicolo buddista: v. Mahayana grès di Ru 汝: 166 gu 觚: 32, 34, 38, 39 Gu Jiegang 顧頡剛 (1893-1980): 15 Gu Kaizhi 顧愷之 (ca. 344-379): 114, 118 Guandi 關帝 o Guan Yu 關羽: 209 Guangzhou 廣州 o Canton (Guangdong): 91, 101, 102, 103, 235 Guanxiu 貫休 (832-912): 185 Guanyin 觀音 o Guanshiyin 觀世音, nome cinese di Avalokiteshvara; forma dalle mille mani e dai mille occhi: 141, 141, 183, 184, 184, 189, 208, 208 Guanzi 管子, opera attribuita a Guan Zhong 管仲 (vii secolo a.C.): 62 Guerra dell’Oppio: 234 gui 簋: 12, 51 gui 鬼, denominazione delle anime sensitive po 魄 dopo la morte, spirito o fantasma nella religione consuetudinaria: 86, 94 Grande Digiuno del Registro giallo Huanglu dazhai 黃録大齋: 193 Guo 虢: 53 guo/guan 槨 棺, sarcofago esterno o camera funeraria/sarcofago interno: 17, 100 Guo Moruo 郭沫若 (1892-1978): 15 Guo Ruoxu 郭若虛 (xi secolo): 162 Guo Xi 郭熙 (attivo 1067-1085): 162, 162 Guodian 郭店 (Hubei): 61 guohua 國畫, versus xihua 西畫: 235 Guoyu 國語, Discrosi dei Regni: 11 Gushibian, 古史辨, Critiche della storia antica: 15 Han 韓: 10, 10, 13, 15, 18, 43, 45, 60-61, 7887, 81, 86, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 97, 98-100, 103-104, 111, 113, 114, 115, 122, 126, 146, 147, 152, 158, 165, 169, 200, 234 Han Feizi 韓非子 (280-233 a.C.): 80, 81 Han Gan 韓幹 (attivo 740-760): 153 Han Gaozu 漢高祖 (r. 206-195): 86 Han Jingdi 漢景帝 (r. 156-141): 100, 111 Han Wudi 漢武帝 (r. 141-87 a.C.): 10, 37, 88, 99, 100, 108 Han Yu 韓 愈 (768-824): 152 Hangzhou 杭州 (Zhejiang), mome antico Lin’an 臨安: 43, 100, 158, 168, 185, 236 Hanlin yuan 翰林院, Collegio o Accademia Hanlin: 152, 162, 165, 228

Hanoi (Vietnam): 100, 101 Hanshan 寒山 (680 ?-793 ?) e il suo amico Shede 捨得: 185 Hao 鎬 o Haojing 鎬京 (Xi’an, Shaanxi): 45 Haotian shangdi 浩天上帝: 202 He Zhizhang 賀知章 (659-744): 155 Heigeda 黑格達 (distretto di Karashar o Yanqi 焉耆, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 113 Hejiacun 何家村 (Xi’an, Shaanxi): 150, 155 Helingol o Helinge’er: v. Horinger heqin 和親: 108 Hexi 河西: 108, 108, 111, 122, 130 Hohhot 呼和浩特 o Huhehot (R.A. della Mongolia Interna): 111, 125, 169 Hongren 弘仁 (1610-1663): 222 Hongshan 紅山 (Liaoning): 22, 25 Hongwu 洪武, era di regno di Zhu Yuanzhang 朱元璋 (r. 1368-1399): 199, 200 Hongzhi 弘治, era di regno 1488-1506: 200 Horinger 和林格爾 (attuale Shengle, vicino a Hohhot, R.A. della Mongolia Interna): 113, 125 Hou Ji 后稷, Principe Miglio: 48, 49, 176 Houma 候馬 (Shanxi): 68 Houtu 后 土, Sovrano Terra o Imperatrice Terra: 48 Houtumiao 后土廟: 176 Hsiung Ping-Ming 熊秉明 (1922-2012): 7 hu 胡, barbaro: 108, 111, 113 hu 壺, vaso da vino: 57, Hu Shi 胡適 (1891-1962): 15 Hua shan 華山 (Shaanxi): 99, 219, 222 Huai 淮, fiume: 70, 158, 168 Huaisu 壞 : 懷素 (ca. 735-799): 156 Huang Binhong 黃賓虹 (1865-1955): 235 Huang Gongwang 黃公望 (1269-1354): 198, 198 Huang Tingjian 黃庭堅 (1045-1105): 160, 162 Huangchao liqi tushi 皇朝禮器圖式, Descrizione illustrata degli oggetti rituali della corte imperiale: 230 huangdi 皇帝, titolo di imperatore: 81 Huangdi 黃帝, Imperatore Giallo: 13, 98 Huangshan 黃山 o Montagne Gialle (Anhui): 204, 219, 222 Huashan tuxu 華山圖序: 219 Huayan 華嚴, scuola buddistica di: 172 Huayan Si 華嚴寺 (Datong 大同, Shanxi): 170-172 Huayanjing 華嚴經: 170 hufu 虎符: 78 Huisi 慧思 (515-577): 143 Huiyuan 慧遠 (344-416): 143, 191 Huizong dei Song: v. Song Huizong hun 魂 anime sottili, diventa shen 神 dopo la morte: 51, 94 Hunlun 渾淪 (o Hundun 混沌), Caos primordiale: 193 hunping 魂瓶, vaso delle anime hun: 122 Huo Qubing 霍去病 (ca. 141-117): 108 Ili 伊犂 (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 66, 110, 111

immortale taoista: v. xian 仙 e yuren 羽人 India Gupta: 135, 144 Insegnamento di Vimalakirti, Vimalakirtinirdesa, Weimojie suoshuojing 維 摩詰所說經: 122, 143, 144, 146 Iran: v. Persia Islam: 206 Ji Cheng 計成 (1582-dopo 1634): 212 Ji Kang (o Xi Kang) 嵇康 (223-262): 117, 118 Ji Yun 紀昀 (1724-1782): 228 jataka: 122 jiaguwen 甲骨文: 17, 28, 48 jiao 醮, rituali di offerte: 193 Jiao Bingzhen 焦秉貞 (attivo intorno al 16801720): 234 Jiangnan 江南: 198, 212, 214, 217, 228 Jiankang 建康 o Jianye 建業 (attuale Nanjing 南京, Jiangsu): 114, 126 jin 錦 tessuto di seta operata: 76, 113, 147, 147, 149, 149, Jin 晉: 53, 60, 70, 113, 114, 114, 118, 147, 162, 168, 170, 172, 175, 177 Jin Yunzhong 金允中(xiii secolo): 195 Jinci 晉祠 (Taiyuan 太原, Shanxi): 177, 177, 178 Jing Hao 荊浩 (inizio del x secolo): 162 Jing Ke 荊軻 (iii secolo a.C.): 81 Jingdezhen 景德鎮 (Jiangxi): 19, 217, 230 Jingdi degli Han: v. Han Jingdi Jinpingmei 金瓶梅, Fiore in fiala d’oro, Fiore di prugno in vaso d’oro: 217 Jintasi 金塔寺 (Zhangye 張掖, Gansu): 122 jinwen 金文: 48 jiqi 祭器: 64 jiu 柩 corpo nella sua dimora permanente: 94 Jiu Tangshu 舊唐書, Antica Storia (dinastica) dei Tang: 152 juan 絹, tessuto di seta a tinta unita: 61, 70, 76, 95, 147, 149 Jiuquan 酒泉 (Gansu): 111, 121, 122 jue 爵, coppa tripode: 32, 50, 198 junzi 君子: 68 Juran 巨然 (attivo nel x secolo): 157 Kaifeng 開封 (Henan) nome antico: Bianjing 汴京 Bianzhou 汴州 o Bianliang 汴梁: 158, 200 kaishu 楷書, scrittura regolare: 92 Kangxi 康熙, era di regno 1662-1723, nome corrente di Shengzu 聖祖 o Renhuangdi 仁皇帝 della dinastia Qing: 221, 223, 227, 228, 231, 232, 234 Kaogutu 考古圖, Illustrazioni per lo studio dell’antichità: 37 Kaozhengxue 考證學: 15 Karadong/Keriya 克里雅 (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 122 Kashyapa, discepolo del Buddha della storia: 135, 185 Kazakhstan: 108 Keshengzhuang 客省莊 (Xi’an 西安, Shaanxi): 113 Khotan (Yutian 于闐, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 9, 122, 126, 141, 230

Kirghisi-Kazaki: 234 Kong fuzi (551-479 a.C.) 孔夫子 : 6, 7, 8, 54, 55, 58, 60, 62, 92, 162, 185, 210, 212, 217 Kongmiao 孔廟 tempio di Confucio (Qufu, Shandong): 212 Kongwangshan 孔望山 (Lianyungang 蓮雲 港, Jiangsu): 113 Koslov Piotr (1863-1935): 111 Koushan, impero: 111 kuangcao 狂草, corsiva folle: 155 Kubilay (Khubilai, Qubilai) (1216-1294), r. 1260-1294, con il titolo di Yuan Shizong 元 世宗 degli Yuan: 168, 204 Kucha (o Kuca) 龜茲 (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 122, 141, 153 kui 虁: 31, 38, 53 Kumarajiva, in cinese Jiumoluoshi 鳩摩羅什 (ca. 344-413): 120, 126 Kuncan 髡殘 (1612-1693 ?): 222 Kunlun 崑崙, montagna assiale: 97, 110 Kunming 昆明, città (Yunnan) e popolazione: 19, 54, 65, 87, 103, 204, 230 Lao Zi 老子 (?), sua opera datata Laozi: 8, 61, 63, 210, 118, 193 Landowski, Paul (1875-1961): 236 Leigudun 擂鼓墩 (distretto di Suizhou 随州, Hubei): 65, 70, 73, 75, 76 Leitai 雷台 (distretto di Wuwei 武威, Gansu): 18, 111 Lelang 樂浪 (Corea): 87, 113 Li Bai 李白 o Li Bo (701-762): 156 Li Gonglin 李公麟 (1049-ca. 1105) o Li Longmian 李龍眠: 162, 195 Li Ji 李濟 (1896-1979): 18 Li Jie 李誡 (xi-xii secolo): 165 Li Mengyang 李夢陽 (Li Tianxi o Li Xianji 1472-1529): 200 Li Rihua 李日華 (1565-1635): 8, 217 Li Si 李斯 (ca. 280-208 a.C.): 79, 81, 82 Li Tang 李唐 (ca. 1049-1130): 191 Li Tong 李童 (1389-1435) o Li Fushan 李服 善 con il suo nome di religione: 204, 206 Li Xian 李賢 (654-684), principe Zhanghuai 章懷: 153 Liang Kai 梁楷 (ca. 1140-ca. 1210): 185, 185, 186, 187, 191 Liang Wudi 梁武帝 (r. 502-549): 134-141 Liangzhu 良渚: 20, 25, 25, 35, 40, 43 Liao Shengzong 遼聖宗 (r. 982-1031): 170 Liao Xingzong 遼興宗 (r. 1031-1055): 170, 174 Libro dei Documenti: v. Shujing Libro dei Riti: Yili 儀禮 e Liji 禮記: 49, 54, 91, 92 Libro della pietà filiale: v. Xiaojing Libro della Via e della Virtù: v. Daodejing Libro delle Odi: v. Shijing Libro del riso e della seta: v. Yuzhi Gengzhitu Libro del tè: v. Chajing Lidai minghua ji 歷代名畫記 Storia dei pittori celebri delle dinastie successive: 115, 156 Liexianzhuan 列仙傳, Biografie leggendarie degli immortali: 98

243


L’arte cinese Liji 禮記, commento a un classico dei Riti perduto: v. Libro dei Riti Lijiashan 李家山 (distretto Jianchuan 劍川, Yunnan): 103, 104 Lin Fengmian 林風眠 (1900-1991): 235 Lin Zhao’en 林兆恩 (1517-1598): 210 Lin’an 臨安, nome antico: v. Hangzhou (Zhejiang) Linfen 臨汾 (Shanxi): 45 ling 陵, campo funerario: 86 ling 靈, potere spirituale: 8 Lingbao 靈寶, corrente taoista del Gioiello sacro: 118, 195 Lingdi degli Han: v. Han Lingdi Lingjiatan 凌家灘 (Anhui): 25 Lingshou 靈壽, capitale del regno di Zhongshan (Hebei): 70 Linquan Gaozhi 林泉高致, L’alto messaggio delle foreste e delle sorgenti: 162 Lintong 臨潼, (Shaanxi): 12, 17, 80, 82, 85 lishu 隸書, scrittura degli scribi: 92 Liu Benzun 柳本尊 (ix secolo): 184 Liu Haisu 劉海粟 (1896-1994): 235 Liu Sheng 劉勝 (morto nel 113 a.C.): 98, 99, 103 Liu Xiang 劉向 (77-6 a.C.): 98, 99 Liu Xin 劉歆 o Liu Xiu 劉秀 (46 a.C.-23 d.C.): 12 liu yi 六藝: v. Sei Arti liubo 六博: 63 Lizong dei Song: v. Song Lizong Longhushan 龍虎山 (Jiangxi): 192 Longmen 龍門 (Henan): 130 longpao 龍袍: 225 Longquan 龍泉 (Zhejiang): 43 Longshan 龍山 (Shandong): 23, 24 Longxing 龍興寺 (Qingzhou 青州, Shandong): 134, 135 Loto della Buona Legge, sutra del, Saddharmapundarika sutra, Miaofalianhua jing 妙法蓮華經 abbr. Fahua jing 法華經: 120, 126, 141,141 Loulan 樓蘭 (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 111, 113, 122, 146 Lu 魯: 53 Lü Dalin 呂大臨 (xi secolo): 37 Lü Dongbin 呂洞賓 o Lü l’ospite delle caverne (nato nel 796): 197, 198, 226 Lunga Vita, changsheng, 長生 : 8, 76, 97, 103, 110, 118, 118, 151, 165, 197 Lunyu, 論語, Dialoghi di Confucio con i suoi discepoli: 39, 55, 58, 92, 167 Lu Xiujing 陸修靜 (ca. 406-477): 191 Lu Yu 陸羽 (733-804), autore del Chajing: 151 luo, 羅, velo di seta: 76 Luoyang 洛陽 o Luoyi 洛邑 (Henan): 25, 45, 47, 60, 63, 64, 86, 87, 89, 92, 114, 118, 122, 125, 126, 144, 195, 212 Luoyang qielan ji 洛陽伽藍記, Annali dei monasteri buddisti di Luoyang: 126 Lushan 盧山 o monte Lu (Jiangxi): 191 Lushi 魯詩: 89 Lüshi Chunqiu 呂氏春秋, Primavere e autunni del signor Lü: 11

244

Indice dei nomi e dei luoghi Ma Hezhi 馬和之 (attivo ca. 1130-1170): 166 Ma Junxiang 馬君祥 (attivo inizio del xiv secolo): 195 Ma Lin 馬麟 (attivo 1180-1256): 15, 166, 167 Ma Yuan 馬遠 (fine xii-xiii secolo): 191 Macao (Aomen 澳門 Guangdong): 199 Maestro Celeste, ordine clericale taoista, Tianshi dao 天師道 appartenente alla famiglia Zhang 張: 114, 193, 198 Mahayana: 120, 120, 122, 126, 130, 135, 144, 174 Maijishan 麦積山 (Tianshui 天水, Gansu): 126, 130, 132, 134 Maitreya, Bouddha del futuro: 122, 125, 172, 183 Majiayao 馬家窯, cultura neolitica (Gansu): 19, 20, 21 Mancheng 滿城 (Hebei): 98, 99, 100, 103 mandala: 176, 232 manicheismo: 151 Manjusri, bodhisattva Wenshu (Shili) 文殊 (師利): 143, 144, 208, 231 Manoscritto di Chu, Chu boshu, 楚帛書: 76 Mao Zedong 毛 澤東 (1893-1976): 236, 237 Maodun 茅盾, (209-174 a.C.): 108 Maoling 茂陵, campo funerario di Han Wudi (distretto di Xingping 興平, Shaanxi): 108, 108, 110 Maoshan 茅山 (Jiangsu): 198 Mashan 馬山 (Jiangling 江陵, Hubei): 70, 76 Mathura (India): 122, 134 Matishan 馬蹄山 o Matisi 馬蹄寺 (Zhangye 張掖, Gansu): 122 Mawangdui 馬王堆 (Changsha 長沙, Hunan): 61, 95, 97, 100 mazdeismo: 151 Mazu 媽祖: 208 mei 美, bellezza: 8 meishu 美術, Belle Arti: 9 meixue 美學, estetica o studio del bello: 9 Mengxian 孟顯 (Henan): 130 Mianchi 澠池 (Henan): 130 miao 廟, tempio: 86 Miao Shanshi 苗善時 (ca. 1288-1324), autore del Chunyang dijun shenhua miaotong ji, 純陽帝君神化妙通紀 Relazioni delle manifestazioni miracolose della trascendenza del Signore imperiale dello Yang purificato: 197 Miaodigou 廟底沟 (Shaanxi): 20, 21 Miaoshan 妙善, principessa, metamorfosi di Guanyin: 183 Minghuang 明皇: v. Tang Xuanzong mingjing 冥旌 / 銘旌, drappo funerario: 94 minglou 冥樓: 204 mingqi 明器: 18, 64, 76, 85, 97, 125, 146, 170 Miran (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 122, 146 Mo Zi 墨子 (v-iv secolo a.C.): 62 Mogaoku 莫高窟 (Dunhuang 敦煌, Gansu): 122, 125, 128, 130, 135, 141, 141, 143, 143, 144 Mongoli Oirati, Koshot: 209 Mongolia: 22, 64, 66, 108, 111, 113, 122, 169, 170, 170 Mozuizi 磨嘴子 (distretto di Wuwei 武威, Gansu): 91

Mu Qi 牧溪 o 谿 (attivo verso la metà del xiii secolo), conosciuto anche con il suo nome di religione Fachang 法常: 189, 191 Mulan 木蘭 (Hebei): 227 Museo dell’Antico Palazzo (Beijing), Gugong bowuguan 古宮博物館: 201, 214, 220 musica e gioia 樂 pronunciate rispetivamente yue e le: 7 Nanjing 南京 (Jiangsu) o Nanchino: 89, 114, 117, 118, 118, 122, 126, 134, 199, 200, 200, 204, 206, 230, 236 Nanyue 南越, Yue del Sud, regno: 91, 100, 101, 102, 103, 108 Nanzhao 南詔, regno (Yunnan): 174 neidan 內丹, cinabro interno o alchimia interna: 193 Neige 內閣: 200 Ni Zan 倪瓚 (1301-1374): 198, 198, 219 Ningbo 寧波 (Zhejiang): 184, 191, 199, 230 nirvana, versus samsara: 8, 122 Niuheliang 牛河梁 (distretto di Jianping 建 平 Liaoning): 20, 22 Niya 尼雅 (distretto di Minfeng 民豐, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 87, 111, 113, 122, 146 Noin Ula (Mongolia): 111 Nüwa 女媧: 13, 93 Nüzhen 女 真 (o Jurchen), dinastia Jin 金: 168, 168 Otto Immortali taoisti, baxian 八仙: Lü Dongbin 洞賓, Zhongli Quan 鍾離權, Zhang Guolao 張果老, Lan Caihe 藍採和, Han Xiangzi 韓湘子, Cao Guojiu 曹國舅, He Xiangu 何仙姑 e Li Tieguai 李鐵拐: 198, 198, 226 Ouyang Xiu 歐陽修 (1007-1072): 15

Padiglione Occidentale, Xixiangji 西廂記 di Wang Shifu 王實甫: 212 pagoda  o ta 塔: v. stupa pan 盤: 46 Pan Geng 盤 庚 (r. ca. –1250): 25 Panchen Lama: 232 Panlongcheng 盤龍城 (distretto di Huangpi 黃陂, Hubei): 25, 31 Panyu 番禹, attuale Guangzhou 廣州 (Guangdong): 101 Pazyryk (Siberia meridionale): 68 Pei Min 裴旻 (viii secolo): 155 Peiligang 裴李崗 (Henan): 20, 26 Penglai 蓬萊, isola leggendaria degli immortali: 97 Persia (achemenide, arsacide o partica e sassanide): 9, 68, 103, 103, 111, 149, 150, 151, 153, 185 Pingcheng 平城 (attuale Datong 大同, Shanxi): 118, 122 po 魄, anima sensoriale, diventa gui 鬼 davanti alla morte: 94 Polo, Marco (1254-1324): 204 pomo 潑墨, inchiostro schizzato: 187 Portogallo: 199, 206

Potala (Lhasa, Tibet): 231, 232 Prabhutaratna, Buddha: 122, 126, 141 pradakshina o rito della circumambulazione: 122 Presidente Mao: v. Mao Zedong Primo Imperatore della Cina: v. Qin Shihuangdi Principati Antichi: Cai 蔡, Cao 曹, Chen 陳, Han 韓 , Song 宋, Wei 衛, Zheng 鄭: 54, 60 Putuoshan 普陀山 o isola di Putuo (Zhejiang): 204, 208 Puxian 普賢 bodhisattva (Samantabhadra): 208 Qi 齊: 53, 60 Qi Baishi 齊白石 (1864-1957): 235 Qian Qi 錢起 (722-780 ?): 184 Qiangjia 強家 (Shaanxi): 48 Qianling 乾陵, campo funerario di Tang Gaozong e di Wu Zetian: 153 Qianlong 乾隆, era di regno, 1736-1796, nome corrente di Gaozong 高宗 o Chun Huangdi 純皇帝 dei Qing: 16, 40, 114, 202, 221, 227, 227, 228, 229, 231, 232, 234, 234 Qianshou qianyan guanshiyin pusamu tuoluoni sheng jing 千手千眼觀世音菩薩 姥陀羅尼身經: 184 Qidan 契丹 (o Khitan): 168, 168, 170, 175 Qin 秦: 17, 45, 53, 60, 63, 78, 80, 81, 82, 83, 85, 94, 122, 122 qin 寢, sala di ritiro: 86 Qin Shihuangdi 秦始皇帝(r. 247-210 a.C.): 17, 78, 78, 79, 80, 81, 82, 82, 83, 85, 85, 86, 92, 97 Qing, dinastia: 17, 43, 197, 202, 209, 219, 220, 222, 223, 225, 225, 227, 228, 230, 232, 235 qingtan 清談, semplici chiacchiere: 118 Qingzhou 慶州, prefettura di, (R.A. della Mongolia Interna): 134, 134, 170 Qiong 卭 o Qiongdu 卭都: 103 Quanrong 犬戎: 45 Quanzhen 全真, ordine monastico taoista della Perfezione dell’Autenticità: 193, 197, 198 quattro divinità cardinali, sishen 四神 o siling 四靈: dragone blu/verde Qinglong 青龍, uccello rosso Zhuque 朱雀, tigre bianca Baihu 白虎 e Xuanwu 玄武: 89 quattro grandi montagne celebri, sida mingshan 四大名山: Wutaishan 五臺山 (Shanxi), Emeishan 峨嵋山 (Sichuan), Putuoshan 普陀山 (Zhejiang), Jiuhuashan 九華山 (Anhui): 204, 208 Quattro libri, Lunyu 論語, Zhongyong 中庸, Daxue 大學, Mengzi 孟子: 214 que 闕, torre-pilastro: 87 Qu Yuan 屈原 (m. 278 a.C.): 76 Qufu 曲阜 (Shandong): 58, 212 Raccolta della Falesia blu, Biyanlu 碧巖録: 184 ren 仁, virtù di umanità: 55

rensheng 人牲, compagni nella morte: 83 renxun 人殉: 83 Renzong dei Song: v. Song Renzong Ricci, Matteo, (Li Madou 利瑪竇, 15521610): 199 risonanza, teoria della, ganying 感應 o ying 應: 89 Rolpay Dorje (1717-1786): 232 Ruggieri, Michele, (Luo Mingjian 羅明堅, 1543-1606): 199 ruyi 如意: 117, 226 Saci (o Saka): 65, 68 Sakyamuni, nome del Buddha della storia: 122, 122, 172, 174, 186 sancai 三彩, tre colori: 149 Sanxingdui 三星堆 (Sichuan): 25, 29, 30 Sciti: 65 Scuola dei Letterati, rujia 儒家: v. Confucio Scuola dello Yin/Yang e dei Cinque Elmenti: v. Yin/Yang wuxing jia Segalen, Victor (1878-1919): 82, 108 Sei Arti dell’Antichità, liuyi 六藝: riti  li 禮 e musica yue 樂; scrittura shu 書 e calcolo, shu 數; tiro con l’arco she 射 e guida del carro yu 御: 6, 54 Serindia, antico nome dell’attuale R.A. Uiguri dello Xinjiang: 122, 122, 146, 147, 168, 169, 152 Sette Saggi della Foresta di Bambù, Zhulin qi xian 竹林七賢: Xiang Xiu 向秀 (223 ?-300/228-281), Liu Ling 劉靈 (225 ?-280 ?/221-300), Ruan Xian 阮咸 (234-305); Wang Rong 王戎 (234-305); Shan Tao山濤 (205-283); Ruan Ji 阮籍 (210-283) e Ji Kang (o Xi Kang) 嵇康 (223262); si aggiunge al gruppo Rong Qiqi 榮啟 期: 117, 118 Shandao 善導 (613-681): 143 Shang Yang 商鞅 (m. 338 a.C.): 63, 78 Shangdi 上 帝: 48, 49 Shangqing 上清, corrente taoista dell’Alta Purezza: 118 Shangqing lingbao da fa 上清靈寶大法 , Grandi Regole dell’Alta Purezza e del Gioiello Sacro: 195 Shangshu 尙書, Antichi Annali: v. Shujing Shanhai jing 山海經, Libro dei monti e dei mari: 76 shanmen 山門, padiglione di entrata: 170 shanshui 山水, paesaggio: 162 Shanyu 單于: 108, 200 Shejiata 釋迦塔, pagoda di Sakyamuni (distretto di Yingxian 應縣, Shanxi) o Muta 木塔 : 174 shen 神, denominazione delle anime apirituali hun 魂 dopo la morte, riferimento al divino, qualità divine: 8, 86, 94 Shen Zhou 沈周 (1427-1509): 214 shendao 神道, sentiero delle anime: 86, 87, 108, 203, 203 Shengmu 聖母, Santa Madre: v. Jinci shengqi 生器: 64 Shengzong dei Liao: v. Liao Shengzong

shenhui 神會, intuizione simpatetica o consonanza: 184 Shennong 神農: 13 shenren 神人, uomo divino: 97 Shenyang 瀋陽 (o Mukden, Liaoning): 165, 197, 199, 227 shi 尸, corpo-cadavere: 94 shi 士, ufficiale o letterato: 70, 223 Shi Hu 石虎 (r. 335-349) degli Zhao Posteriori 後趙 (319-352): 121 Shi Ke 石恪 (x secolo): 185 Shi Le 石勒 (r. 328-333) degli Zhao Posteriori: 121 shi’erzhangwenshi 十二章紋飾, dodici simboli od ornamenti imperiali: 225 Shihuigou 石灰溝 (drappo di Yijinhuoluo 伊金霍洛/Ejin Horo, R.A. della Mongolia Interna): 66 Shiji 史記, Memorie storiche: 10, 11, 11 Shijing 詩經, Libro delle Odi; comprende la sezione delle Odi minori, Xiaoya 小雅 11, 45, 46, 48, 49, 55, 70, 160, 166, 167 shiren hua 士人畫, pittura dei letterati: 162 Shisanling 十三陵, Tredici tombe degli imperatori Ming (Changping 昌平, Hebei): 203 Shishuo xinyu 世說新語 , Nuovi discorsi e aneddotisul mondo: 118 shita 石塔: 122 Shitao 石濤(1642-1707), Onda di pietra, soprannome ufficiale di Zhu Ruoji 朱 若極; i suoi nomi monastici sono: Daoji 道濟 o Yuanji 元。原濟; il suo trattato: Kuguaheshang huayulu, 苦瓜和尙畫語錄: 191, 220, 222, 223 Shizhaishan 石寨山 (Jinning 晉寧, Yunnan): 103 shou 壽, longevità: 227 Shou Xing 壽星, Stella o dio della Longevità: 197 Shu 蜀: 81, 114, 155 Shuilu fahui 水陸法會 o Shuilu zhai 水陸齋: 209 Shujing 書經, Libro dei Documenti: 11, 40, 48 Shun 舜: 13, 49, 115 Shunzhi 順治, era di regno 1644-1662, nome corrente di Shizu 世祖 o Zhang Huangdi 章皇帝 dei Qing: 231 Shuowen jiezi 說文解字, Spiegazione delle figure e interpretazione dei caratteri, dizionario etimologico di Xu Shen: 6 Shuyu 叔虞 del dominio di Tang 唐 (xi secolo a.C.): 177 Siberia: 68, 169, 230 Siku quanshu 四 庫全書, Collezione completa delle opere ripartite in quattro Depositi/ Magazzini/Tesori/Classi, ossia i Classici jing 經, i testi storici shi 史, i testi dei maestri zi 子 e le collezioni letterarie ji 集: 227 Sima Guang 司馬光 (1019-1086): 11, 15 Sima Jinlong 司馬金龍 (m. 484): 115, 118 Sima Qian 司馬遷 (ca. 145-86 a.C.): 10, 11, 11, 12, 15, 17, 25, 37, 45, 78, 81, 81, 82, 98, 236 Sogdiana (comprende il Dayuan 大宛 o Ferghana): 110, 111, 146 Song Gaozong 宋高宗 (r. 1127-1162): 166

245


L’arte cinese Song Huizong, 宋徽宗(r. 1107-1125), Zhao Ji 趙佶 con il suo nome personale: 43, 162, 164, 165, 165, 166, 191, 200 Song Lizong 宋理宗(r. 1225-1264): 166 Song Renzong 宋仁宗(r. 1023-1063): 158 Song Shenzong 宋神宗 (r. 1068-1085): 162 Song Xiaozong 宋孝宗 (r. 1163-1264): 166 Song Zhenzong 宋真宗 (r. 998-1023): 164, 191, 195 Songde bei, 頌德碑, steli che celebrano la virtù (imperiale): 81 Songshan 松山 (Shandong): 93 stupa o pagoda ta 塔: 122, 126, 174, 204, 204, 206 Su Shi 蘇軾 (1037-1101) o Su Dongpo 蘇東 坡: 160, 162, 162 Sumeru, monte mitico della cosmologia del mondo indiano: 232 Sun Yat-sen, Sun Zhongshan 孫中山 (18661925): 236 Sun Zi 孫子 (o Sun Wu 孫武), (fine vi secolo a.C.): 60, 61 Sunzi bingfa 孫子兵法, Arte della guerra: 60 Sutra della sapienza del cuore o Prajnaparamita-hrdaya-sutra, abbr. in Xinjing 心經: 193 Suzhou 蘇 州 (Jiangsu): 210, 214, 230 ta 塔, pagoda: v. stupa Taijishan 太極山 (distretto di Anning 安寧, Yunnan): 103 Taiwan 臺灣: 199, 230, 235, 236 Taiyi 太一, Unità prima: 93, 94 (Tang) Gaozong 唐高宗 (r. 650-683): 153 Tang il Perfetto: v. Cheng Tang Taizong 唐太宗 (r. 626-649): 146, 153 Tang Xizong 唐僖宗 (r. 874-888): 152 Tang Xuanzong 唐玄宗 (r. 712-756): 151, 153, 156 Tang Yin 唐寅 (1470-1523): 210 Tang Yizong 唐懿宗 (r. 860-873): 152 Tangut: 168 Tantra, testi del buddismo esoterico: 150, 184 Tanyao 曇曜 (v secolo): 125 Tao Yuanming 陶淵明 (o Tao Qian 陶潛) (365-427): 191 Taosi 陶寺: 25 taotie 饕餮: 31, 35, 37, 38, 40, 47, 50 Tashilhunpo (Shigatse, R.A. del Tibet): 232 Tempio del Cielo: v. Tiantan Terra Pura, qingtu 清土, scuola buddista della: 122, 143, 143, 208 Tian’anmen 天安門: 236 tiangai 天蓋 , baldacchino del Cielo: 94 Tianlongshan 天龍山 (Shanxi): 130 tianlu 天祿: 86 Tianshi dao, Via del  Maestro Celeste: 114 Tiantai 天臺, scuola buddista del: 141 Tiantan 天壇, tempio e altare del cielo: 141 Tiantishan 天梯山 (Wuwei 武威, Gansu): 122 Tibet: 9, 152, 168, 174, 230, 233 tihong 剔紅, lacca scolpita: 214

246

Indice dei nomi e dei luoghi Tilia Tepe (Afghanistan): 111 Titoli nobiliari degli Zhou, gong 公, hou 候, bo 伯 zi 子 nan 男: 48 Tre Augusti, san huang 三皇, Fuxi e/o Nüwa, Shennong e Zhurong qui sostituisce a volte Huangdi: 13, 15 Tre Insegnamenti non ne fanno che uno: sanjiaoyijiao 三教一教: 209 Tre Insegnamenti sanjiao 三教, Confucianesimo, Taoismo e Buddhismo: 9, 210, 241 Tre Puri,  San Qing 三清: Purezza di Giada o Vero Celeste dell’Inizio Originario (Yuanshi Tianzun 元始天尊), Alta Purezza o Vero Celeste del Gioiello Sacro (Lingbao Tianzun 靈寶天尊) e Alta Purezza o Verità Celeste del Dao e della Virtù (Daode Tianzun 道德天尊): 193 Tsongkhapa (1357-1419), fodatore della scuola dei Virtuosi o Gelupa: 231 Tuhua jianwen zhi 圖畫見聞志 , Il Trattato su quello che è stato visto e compreso in materia di pittura: 162 Tumu 土木 (Shanxi): 209 Tuoba 拓跋, Tuoba Xianbei 拓跋 蘚卑 o Tabgatch: 114, 122, 125 Tuoba Gui 拓跋圭 (o Daowu 道武 degli Wei del Nord, r. 386-409): 125 Tuoba Hong 拓跋弘 o Xiaowen 孝文 degli Wei del Nord (r. 471-499): 125 Turfan 吐魯番 (R.A. Uiguri dello Xinjiang): 122, 146, 149, 155 Udienza solenne davanti all’Origine  193, 195 Urumchi o Urumqi 烏魯木齊 (capitale della R.A. Uiguri dello Xinjiang): 66, 113, 147, 149, 155 Vairocana, Bouddha: 174, 209 Vimalakirti: v. Insegnamento di Vimalakirti waidan 外丹, alchimia segreta: 150 Wanfo 萬佛寺 (Chengdu 成都, Sichuan): 130 Wang Hui 王翬 (1632-1717): 228 Wang Lü 王呂 (1332-dopo 1383): 219, 222 Wang Mang 王莽 (r. 9-23 dinastia Xin 新): 87 Wang Wei 王維 (699-759): 156 Wang Xianzhi 王獻之 (344-388): 118 Wang Xizhi 王羲之 (ca. 307-365/321-379): 118 Wang Yangming 王陽明 o Wang Shouren 王守仁 (1472-1529): 214, 217, 217, 222 Wang Yanshou 王延壽 (attivo ca. 124-148): 93 Wang Zhe 王嚞 o Wang Chongyang 王重陽 (1123-1170): 193 Wanjiaba 万家垻 (prefettura du Chuxiong 楚雄, Yunnan): 103 Wanli 萬歷, era di regno dei Ming 15731620: 203, 206, 212

Wanrong 萬榮 (Shanxi): 176, 177 Wei 渭, fiume: 45, 45, 46, 60, 78, 82, 82, 86 Wei 魏, principato nato dalla caduta del Jin: 60 weiqi 圍棋 : 63, 155 Weishu 魏書: 125 wen 文, segno: 6 Wen Tong 文同 (xi secolo): 160 Wen Zhengming 文徵明 (1470-1559): 214, 217 Wen Zhenheng 文震亨 (1584-1644): 217 Wencheng 文成帝, degli Wei del Nord (r. 452-465): 125 Wenshushan 文殊山 (Jiuquan 酒泉, Gansu): 122 Wenyan 文言, discorso grafico, lingua classica: 6 wu 巫, sciamano: 76 Wu 呉, scuola di pittura di, Wumen huapai 呉門畫派: 214 Wu Daozi 呉道子 (attivo tra il 720 e il 760): 144, 155, 195 Wu Ding 武丁(r. 1250-1192 a.C.): 17, 28 Wu Liang Ci 武梁祠 (distretto di Jiaxiang 嘉祥, Shandong) o Wushi citang 武氏祠 堂: 13, 81, 93 Wu Yuanzhi 武元直 (1126-1233): 162 Wu Zetian 武則天 o Wu Hou 武后, imperatrice Wu (r. 684-705): 153 Wu Zhen 呉鎮 (1280-ca. 1354): 198 Wu Zongyuan 武宗元 (attivo 998-1022): 195 Wudangshan 武當山 (Hubei): 204 Wudi degli Han: v. Han Wudi Wudi degli Zhou: v. Zhou Wudi Wudi dei Liang: v. Liang Wudi Wuhuan 烏桓: 113 Wusun 烏孫: 110, 111, 113 Wutaishan 五臺山 (Shanxi): 204, 231 Wuwei 武威 (Gansu): 18, 91, 111, 111 Wuyouyuan ji 無有園記, Raccolta sul giardino inesistente: 212 Xi Qing gujian 西清古鑒, Catalogo delle antichità della biblioteca Xi Qing: 16 Xi’an 西安 (capitale della provincia dello Shaanxi): 40, 45, 48, 78, 80, 82, 87, 89, 111, 122, 114, 144, 146, 149, 150, 151, 153, 155 Xia Gui 夏珪 (1180-1230): 185 Xia Nai 夏鼐(1910-1985): 18 xian 仙 o yuren 羽人, immortale: 97 Xianbei 蘚卑 o Tuoba Xianbei 拓跋: 113, 114, 118, 122 Xiangtangshan 響堂山 (Handan 邯鄲, Hebei): 130 Xianyang 咸陽 (Shaanxi): 19, 45, 60, 78, 78 Xiao Xitian 小西天 (distretto di Xixian 隰 縣, Shanxi): 208 Xiaojing 孝經 , Libro della pietà filiale 166, 193 Xiaotangshan 孝堂山 (Shandong): 93 Xiaotun 小屯 (Anyang, Henan): 17, 25, 27, 28 xiaozhuan 小篆, piccola sigillaria: 81

Xiaozong dei Song: v. Song Xiaozong Xibeigang 西北崗 (Anyang 安陽, Henan): 31 Xichagou 西岔溝 (Xifeng 西豐, Liaoning): 111 Xie He 謝赫 (vi secolo): 115 xieyi 寫意 : 217, 235 Xigoupan 西沟畔 (Hohhot, R.A. della Mongolia Interna): 111 xin 心, cuore-spirito: 184, 214 xingshu 行書, scrittura corrente: 118 Xingzong dei Liao: v. Liao Xingzong Xinyuan 新源 (Ili 伊犁, R.A. Uiguri dello Xinjiang): 66 Xiongnu 匈奴: 108, 108, 111, 111, 200 Xiping 熹平, era del regno di Han Lingdi (175-183): 89 Xishanqiao 西善喬 (Nanjing 南京, Jiangsu): 118 Xiudesi 修德寺 (Quyang 曲陽, Hebei): 134 Xiwangmu 西王母 Madre-Regina dell’Ovest e Dongwanggong 東王公 Duca-Re dell’Est: 113, 195, 208 Xu Beihong 徐悲鴻 (1895-1953): 235 Xu Shen 許慎 (ca. 58-147 d.C.): 6, 8 Xuande 宣德, era di regno 1426-1436 di Zhu Zhanji 朱瞻基: 200, 203, 204 Xuangao 玄高 (v secolo): 130 Xuanhe huapu 宣和畫譜: 166 Xuanzong dei Tang: v. Tang Xuanzong Xujialing 徐家嶺 (Xichuan 淅川, Henan): 58 Xumishan 須彌山 (Guyuan 固原, R.A. Hui del Ningxia): 130 Xuzhou 徐州 (Jiangsu): 89

Yan 燕: 53, 60, 70 Yan Liben 閻立本 (attivo verso il 640-673): 146 Yan Yanzhi 顏延之 (384-456): 118 Yanchuan 延川 (distretto di Yan’an 延安, Shaanxi): 111 Yang Guifei 楊貴妃 (719-756): 153 Yang Xuanzhi 楊衒之 (vi secolo): 126 Yangjiacun 陽家村 (Baoji 寶雞, Shaanxi): 46, 48 Yangling 陽陵: 87, 111 Yangshao 仰韶, cultura neolitica, sito eponimo nell’Henan: 20, 21 yangxing 養性 o yangsheng 養生: 97 Yaoshi 藥師, Buddha guaritore o Bhaisajyaguru: 143 Yelang 夜郎: 103 Yijing 易經, Libro dei Mutamenti: 7, 15, 162 Yili 儀禮, Cerimoniale: v. Libro dei Riti yin/yang 陰/陽: 7, 63, 76, 89, 94 Yin/Yang wuxing jia 陰陽五行家: 89, 94 Yinchuan 銀川 (R.A. Hui del Ningxia): 168 Ying 郢, capitale dell’antico regno di Chu: 73 Ying 應, principato: 53 Ying Zheng 贏政 (259-210): v. Primo Imperatore Yingpan 營盤 (Lobnor, Xinjiang): 147

Yingzao fashi 營造法事 Regole e norme della costruzione: 165 Yintuoluo 因陀羅 (attivo a metà del xiii o metà del xiv secolo): 185 Yinxu 殷墟 (Anyang 安陽, Henan): 25 Yishan 嶧山 (Shandong): 78, 79 yong 永, perpetuo: 6 Yonghegong 雍和宮, tempio dei Lama (Beijing 北京): 232 Yongle 永樂, era di regno di Zhu Di dei Ming (1403-1425): 200, 202, 203, 204, 206, 217 Yonglegong 永樂宮 (distretto di Ruicheng 芮城, Shanxi), porta Wuji o dell’Insondabile 無極 門, sala dei Tre Puri 三清殿, Sanqingdian dello Yang purificato Chunyangdian 純陽殿 e dello Yang raddoppiato重陽殿  Chongyangdian: 195, 197 Yongningsi 永寧寺, monastero di Luoyang 洛 陽 (Henan): 126 Yongzheng 雍正, era di regno 1723-1736, nome corrente di Shizong 世宗 o di Xianhuangdi 憲皇帝 dei Qing: 223, 232 Yu il Grande o DaYu 大禹: 13, 37, 45, 93, 167 Yuanmingyuan 圓明園: 227, 234 yuanqi 元氣, soffio primordiale: 94 Yuanye 園冶, Trattato sull’arte dei giardini di Ji Cheng (1582-dopo 1634): 212 Yue 越 regno, Minyue 閩粵: 100 Yuezhi 月氏: 108, 111 yujia 玉甲 o yuyi 玉衣: 100, 103 Yungang 雲崗 (Datong 大同, Shanxi): 125, 126 yunqi 雲氣, soffio-nuvola: 97 yunshui 雲水, nuvola e acqua, appellativo dei monaci del Chan: 184 Yutaishan 雨台山 (Jiangling 江陵, Hubei): 73 Yuzhi Gengzhitu 御製 耕織圖, Libro del riso e della seta, abbr. in Gengzhitu: 234 Zeng Hou Yi 曾候乙 (m. verso il 433 a.C.): 70, 73, 75, 76 zhai 齋, digiuno: 193 Zhang Hua 張華 (232-300): 114 Zhang Qian 張騫 (m. 103 a.C.): 108 Zhang Shengwen 張 溫 (xii secolo): 174 Zhang Xu 張旭 (ca. 658-748): 153, 155 Zhang Yanyuan 張彥遠 (ca. 810-ca. 880): 115, 155 Zhang Zhidong 張之洞 (1837-1909): 235 Zhangjiapo 張家坡 (Xi’an, Shaanxi): 48 Zhanguo ce 戰國策, critti dei Regni Combattenti: 11, 53 Zhangye 張掖 (Gansu): 111, 122 Zhao 趙, principauté antique: 60 Zhao Ji 趙佶: v. Huizong dei Song Zhao Mengfu 趙孟頫 (1254-1322): 185, 214 Zhao Mo 趙 昧 (r. 137-122 a.C.): 91, 100, 102, 103, 103 Zhao Tuo 趙 佗 (r. 203-137): 101 Zhao Zhifeng 趙 智鳳 (1159-1240): 184

Zheng He 鄭和 (1371-verso il 1435): 200 zhengshi 正史, storie ufficiali: 11 zhenmushou 鎮墓獸: 73 zhenren 真人, uomo vero: 97, 193 Zhenwu 真武 e i Quattro Santi: Zhenwu, Yisheng 翊聖, Tianpeng 天篷 e Tianyou 天猷: 206, 207 Zhiyi 智顗 (538-597): 141 Zhong e guo 中國: 47 Zhong Kui 鍾馗: 209 Zhongli Quan 鍾 離權 (o Han Zhongli): 197, 226 Zhongshan 中山 (Pingshan 平山, Hebei): 60, 68, 70 Zhou Bo 周勃 (m. 169 a.C.), il suo figlio adottivo Zhou Yafu 周亞夫: 111 Zhou Chengwang 周成王 (1042/35-1006 a.C.): 44, 45, 47, 177 Zhou Gong 周公, duca di Zhou (reggenza dal 1042-1036 a.C.): 44 Zhou Liwang 周厲王 (877-841 a.C.): 45 Zhou Xin 紂 辛 o Di Xin (r. 1075-1046 a.C.), ultimo sovrano degli Shang: 11 Zhou Wenwang 周文王, re Letterato degli Zhou (1099/56-1050 a.C.): 44-46 Zhou Wuwang 周武王, re Guerriero degli Zhou (1049/1045-1043 a.C.): 44-46 Zhou Youwang 周幽王 (781-771 a.C.): 45 Zhouli 周禮, Rituale degli Zhou: 43, 47, 54 Zhouyi 周易, Il Libro dei Mutamenti: v. Yijing Zhouyuan 周原: 44, 45, 46, 50 zhu 主, tavoletta fueraria: 86 Zhu Da 朱耷 (1626-1705), soprannome principale, Badashanren: 191, 220, 222, 223 Zhu Derun 朱德潤 (1294-1365): 193 Zhu Di 朱棣: v. Yongle Zhu Haogu 朱好古(attivo metà xiv secolo): 197 Zhu Yuanzhang (1328-1398): v. Hongwu Zhu Xi 朱熹 (1130-1200): 166, 214 Zhu Zhizheng 朱稚征 (ca. 1559-dopo 1644): 212 Zhuang Zi 莊子(iv secolo a.C.), autore del Libro del Maestro Zhuang o Zhuangzi: 7, 75, 76, 160 Zhuangbai 莊白 (distretto di Fufeng 扶風, Baoji 寶雞, Shaanxi): 46, 48 zhulong 豬龍, dragone-maiale: 22 Zhurong 祝融: 13 Zhushu jinian 竹書紀年, Annali su bambù: 12 Zitaoxuan zachui 紫桃軒雜綴, Note dello Studio della pesca purpurea/Note miscellanee dallo studio/veranda/padiglione della Pesca purpurea: 217 Zixiaogong 紫霄宮: 208 Zizhi tongjian 資治通鑑, Specchio generale di aiuto al buon governo: 15 zong 宗, scuola : 135 zun 尊: 47 Zuozhuan 左傳 o Zuo (shi) zhuan 左 (氏) 傳, commento del Chunqiu: 11

247


crediti fotografici

Capitolo i 12: In Treasures from the Bronze Age of China, New York, MET, 1980, fig. 41. 13: Archivio Jaca Book (AJB). 14: In Essai sur la société chinoise ancienne, 1930. 16a: London, British Museum/in The British Museum Book of Chinese Art, The Trustees of the British Museum, 1992, p. 65, fig. 36. 16b: In The British Museum Book of Chinese Art, 1992, p. 65, fig. 37. 17a: In Golden Age of Chinese Archaelogy, p. 33. 17b, c, d: AJB. 18: AJB/ Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. 21a: Lanzhou, Istituto di Archeologia del Gansu/in Gems, 1990, N°2. 21b: Shanghai Museum/in Shanghai Museum Ancient Chinese Ceramics Gallery. 22a: In Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, p.17, Niuheliang, didian n°5. 22b: AJB. 23a: Hangzhou, Istituto di archeologia dello Zhejiang/Gems, 1990, n°13. 23b: AJB. 24: In Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, p. 46, n°27. 26a: Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, p. 54, n°29. 26b: In Au long du fleuve Jaune, premiers villages, premiers vases du Henan, Solutré, 1991, pl. iii. 27: Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, p. 64, n°38. 28a: In Caractères chinois, p. 12. 28b: Beijing, Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze di Cina/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, p. 62, n°37. 29: Sanxingdui, Museo/in Gems, 1990, n°31. 30: AJB. 31a: The Great Bronze age of China: An Exhibition from the People’s Republic of China, New York, Metropolitan Museum of Art, 1980, p. 19. 31b: Wuhan, Museo provinciale dello Hubei/in Treasures from the Bronze Age of China, MET, 1980, n°4. 32: Shanghai Museum/in Shanghai, The Chinese Bronze Exhibition, petit fascicule. 33: Anyang, Museo di Fu Hao/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, n°44. 34: Anyang, Museo di Fu Hao/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, n°46. 35a: AJB. 35b: Musées de la ville de Paris, Cernuschi (M.C. 6155)/AJB. 36-37: AJB. 38: AJB. 39: Musées de la ville de Paris, Cernuschi (M.C. 96)/© Phototheque des Musées de la ville de Paris, Musée Cernuschi, Paris, photo I. Andreani/AJB. 40: AJB. 41: AJB/Taipei, National Palace Museum (NPM). 42a: AJB/ Taipei, NPM. 42b: AJB/Taipei, NPM. Capitolo ii 46a: Baoji, Museo dei Bronzi/in Catalogue des bronzes de Baoji, p. 19. 46b: In Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, 2000, pl. 70. 47: Baoji, Museo dei Bronzi/in Catalogue des bronzes de Baoji, p. 5 e Treasures from the Bronze Age of China, n°42. 49: In Cambridge History of China, p. 393/Architecture chinoise, 2005, p. 27. 50: AJB. 51: AJB/in Shanghai Museum, Ancient Chinese Bronze Gallery, p. 17. 52: AJB. 55: AJB. 56-57: Chengdu, Museo provinciale dello Sichuan /in Treasures of the Bronze Age of China, n°91 e pp. 148-149. 58-59: Zhengzhou, Istituto Archeologico della Provincia dello Henan/in Gems 1993, n°83. 61a: Changsha, Museo provinciale dello Hunan/AJB. 62: London, British Museum (1937.4-16.218). 63: Museo municipale di Luoyang/in Gems, 1990, n°79 e Ancient

Treasures of Luoyang, 1990, n°31. 64: Museo municipale di Luoyang/in Ancient Treasures of Luoyang, n°28, p. 52. 66: Urumqi, Museo della Regione Autonoma Uiguri dello Xinjiang/in Objets culturels du Xinjiang, 1985, n°90 e rivista Connoisseur, n°8, p. 78. 67a: Ib Ju, Museo di Ordos/in Gems 1993, n°104. 67b: AJB. 68: AJB. 69: AJB. 71: AJB. 72: Museo municipale di Jiangling/in Culture de Chu, 1995, n°94. 73: AJB. 74b: Wuhan, Museo provinciale dello Hubei/in Culture de Chu, 1995, n°398 e pp 399-405. 75: Wuhan, Museo provinciale dello Hubei in Culture de Chu, 1995, n°262. 77: Wuhan, Museo provinciale dello Hubei/in Culture de Chu, 1995, n°120. Capitolo iii 78: AJB. 78: Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi/in Grand livre sur musée du Shaanxi, 1983, n°199. 79: Xi’an, Museo della Foresta delle Steli/AJB. 80: Xi’an, Istituto d’Archeologia dello Shaanxi/in Imposante armée impériale, p. 25. 81: AJB. 82: in Granet, La civilisation chinoise, pl. iii. 83: in The First Emperor, China’s Entombed Warriors, Sydney, Art Gallery of New South Wales, 2010. 84: AJB. 85: in Armée souterraine du mausolée de Qin Shi Huangdi, éditions Zhaohua, 2009, p. 72. 86: Luoyang, Museo d’Arte antica/in Mysteries of Ancient China, 1996, n°118. 88: Museo di Nanjing/in Grand livre musée Nanjing, pl. 61 e 62. 89: AJB/Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. 90a: AJB/Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. 90b: Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue/in Treasures of Ancient China, Tokyo National Museum, n°101. 92-93: AJB. 94-95: AJB. 96: AJB. 97: AJB. 98: AJB. 99: AJB. 100: Changsha, Museo provinciale dello Hunan/in Mysteries of Ancient China, 1996, n°85 e Museo dello Hunan, n°189. 101: Zhengzhou, Museo provinciale dello Henan, AJB. 102: Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue/ in Treasures of Ancient China, Tokyo, pl. 103. 103: Guangzhou, Museo della Tomba degli Han dell’Ovest del re di Nanyue/in Gems, 1990, n°85. 104: Jianchuang, Museo del distretto/in Gems, 1993, n°90. 105-107: Jianchuang, Museo del distretto/in Gems, 1993, n°96. 108: Cliché Victor Segalen, 6 marzo 1914. 109: In Xi’an, 1996, p. 60. 110: Museo del Maoling/in Xi’an, 1996, p. 62. 111: AJB/Lanzhou, Museo provinciale del Gansu. 112: AJB. 113: Urumqi, Museo della Regione Autonoma Uiguri dello Xinjiang/in Gems, 1993, n°113. Capitolo iv 114: London, Trustees of the British Museum (inv. Asia OA 1903.4-8.1 Chinese Painting 1)/in Nicole Vandier-Nicolas, Peinture lettrée et tradition chinoise, Fribourg, Office du livre, 1983. 115-116: Taiyuan, Museo provinciale dello Shanxi/in volume Masterworks of Chinese Figure Painting, Wei, Jin… Beijing, Presses Wenwu, 2005, p. 66. 117: AJB. 119: Zhengzhou, Museo provinciale dello Henan/in Masterworks of Chinese Figure Painting, p. 61. 120: AJB. 121: AJB. 123: AJB. 124: AJB. 125: AJB. 127: AJB. 128-129: AJB. 130-131: in Maijishan shiku. 132-133: in Maijishan shiku, pl. 80. 134: AJB. 135-140: in Trésors des grottes de Dunhuang, Centre culturel de Chine, p. 67, veduta completa della cappella e delle statue, p. 42, le statue. 141: In DHMGK,

vol. 3, n°133 veduta completa in Trésors des grottes de Dunhuang, Centre culturel de Chine, p. 62. 142: AJB. 143: AJB. 144: Xi’an, Museo della Foresta delle Steli. 145: AJB. 146-147: Urumqi, Istituto Archeologico della Regione Autonoma Uiguri dello Xinjiang/in catalogo RAOX, Shanghai 1998 n°132. 148: Urumqi, Museo della Regione Autonoma Uiguri dello Xinjiang/in catalogue RAOX, Shanghai, n°42. 149: Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi/AJB. 150-151: AJB. 152: AJB. 153: Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi/in Nicole VandierNicolas, Peinture lettrée et tradition chinoise, Fribourg, Office du livre, 1983, p. 73. 154: AJB/Xi’an, Museo di Storia dello Shaanxi. 155: Urumqi, Museo della Regione Autonoma Uiguri dello Xinjiang/in rivista Xinjiang Museum, p. 34, n°55. 156: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, MET 1996, pp. 20-21. 157: AJB. Capitolo v 159: in rivista Spectacle du monde, 1998, p. 45. 160: AJB. 161: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, p. 36. 162: AJB/Taipei, National Palace Museum. 163: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, p. 32. 164: AJB. 165: Shenyang, Museo provinciale del Liaoning/in Grand Album, 1978, p. 2. 166: Taipei, NPM/ in Mémoire d’empire, n°195. 167: Taipei, NPM/ in Trésors du musée du Palais, p. 56. 169: Hohhot, Istituto d’Archeologia e dei Beni Patrimoniali della Regione Autonoma della Mongolia Interna/in Gems, 1990, pl. 153, 154, 155. 170: in Architecture chinoise, p. 157. 171: AJB. 172-173: AJB. 174: AJB. 175: Taipei, NPM/in volume Trésors de la Chine impériale, pp. 60-61. 176: in Architecture chinoise, 2005, fig. 5.12, p. 153. 177: AJB. 178-181: AJB. 182: AJB. 183: AJB. 185: Shanghai Museum/in volume Shanghai Museum Chinese Painting and Calligraphy Exhibition, p. 15. 186: AJB. 187: AJB. 188-190: AJB. 191: AJB. 192: AJB. 193: AJB. 194-195: AJB. 196: in Masterworks of Chinese Figure Painting, Yuan Dynasty, p. 93. 197: AJB. 198: Taipei, NPM/in Trésors de la Chine impériale, p. 74. Capitolo vi 200: in Architecture chinoise, p. 207, figure 6.3. 201: London, British Museum. 202: AJB. 203: AJB/Shisanling, Tredici tombe dei Ming, distretto di Changping (Hebei). 205: Nanjing Museum/in catalogo, Son of Heaven, p. 116, pl. 52. 206: In Ancient Temples in Beijing, p. 123. 207: Taiyuan, Museo provinciale dello Shanxi/ in Baoningsi, pl. 78. 208: in Selections of Shanxi Cultural Relics, p. 69. 209: London, British Museum. 210: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, p. 103. 212-213: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, pp. 116 e 117. 214: Beijing, Museo dell’Antico Palazzo/in Gems, 1990, n°190. 215: Shanghai Museum/in Shanghai Museum Chinese Painting and Calligraphy Exhibition, p. 29. 216: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, p. 84. 218: Shanghai Museum/in Shanghai Museum Chinese Painting Gallery, p. 21. 219: Shanghai Museum/in Shanghai Museum Chinese Painting Gallery, p. 36. 220: AJB. 221-223: AJB/Taipei, NPM. 224: in catalogo Son of Heaven, p. 70. 225: AJB. 226: AJB. 227: AJB. 228-229: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, pp. 140, 141. 231: AJB. 232: AJB. 233: Taipei, NPM/ in Trésors de la Chine impériale, p. 132. 234: AJB.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.