LA
I NOSTRI ANTENATI titoli della serie
1. LA STORIA DELLE SCIMMIE 2. LA VITA DEI PRIMI UOMINI 3. LA NASCITA DELLE ARTI E DEL SACRO
NASCITA DELLE ARTI E DEL SACRO RACCONTATA DA
YVES COPPENS ILLUSTRAZIONI DI
SACHA GEPNER TESTO RACCOLTO DA
SOIZIK MOREAU
PREFAZIONE
International Copyright © 2011 by Editoriale Jaca Book spa, Milano All rights reserved Prima edizione italiana Settembre 2011 Copertina e grafica Ufficio grafico Jaca Book Traduzione dall’originale francese Caterina Longanesi Immagine nei risguardi: Grotta di Gundabooka, Nuovo Galles del Sud, Australia ISBN 978-88-16-57357-4 composizione del testo e selezione delle immagini Graphic srl, Milano stampa e rilegatura Grafiche Flaminia, Foligno, Perugia finito di stampare nel mese di Luglio 2011 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book spa, Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano tel. 02.48.56.15.20/29, fax 02.48.19.33.61 e-mail: serviziolettori@jacabook.it internet: www.jacabook.it
Nel corso di quasi 3 milioni d’anni di evoluzione biologica e culturale, l’uomo ha certo provato le più diverse emozioni di fronte alle forme, ai movimenti, ai colori, agli odori, ai suoni, alle parole, ai contatti... Si è preoccupato di rendere la sua vita di tutti i giorni, e ben presto anche quella che andava oltre la quotidianità, conforme all’immagine intellettuale, spirituale e simbolica che ne aveva; si è preoccupato di abbellirla. Lo studioso di preistoria se ne rende conto constatando con quanta cura i primissimi uomini fabbricassero e scegliessero gli oggetti di cui si servivano, anche i più futili e i più deperibili. La vita degli uomini è complicata e perciò è complicato ricostruirla. Il pensiero, le rappresentazioni del mondo, le mentalità, così come i comportamenti che ne derivano, la parola, il canto, la danza dei primi uomini sono scomparsi. Gli studiosi di preistoria sono dunque alla continua ricerca dei segni della loro riflessione: pietre-
figure, materie colorate, oggetti insoliti, senza apparente utilità, raccolti in siti abitati, possono così testimoniare il senso della curiosità, quello dell’umorismo e, sicuramente, quello del sacro. La cura dei cadaveri, probabile fin dal primo milione di anni, flagrante intorno ai 500.000 anni fa, elaborata verso 100.000 anni fa, è certamente una di queste prove per eccellenza del pensiero simbolico. Infine, una sorta di prima scrittura, la proiezione su un supporto, mobile o fisso, di forme, segni, messaggi e opere, veri ma codificati, merita di essere qualificata come arte prima. Si tratta di un vero e proprio riflesso della struttura mentale e del talento dell’artista e, attraverso lui, della sua società. Ma al tempo stesso è anche un mezzo di comunicazione tra l’autore, i suoi contemporanei, noi stessi e le generazioni a venire. Per render conto, nel corso della preistoria, così ampia e così lunga, del risveglio degli uomini al sacro, svilupperemo alcuni esempi precisi, scelti ogni volta nel tempo e nello spazio.
L ’I N V E N Z I O N E
DELLA
FORMA
Appena il preumano è uomo (il genere Homo è definito da una mascella per mangiare di tutto e da un cervello più complicato), è cosciente: “sa di sapere”; questa nuova capacità gli permette di anticipare. Invece di usare direttamente degli oggetti (delle pietre, del legno, dell’osso), prima di servirsene li lavorerà e dunque, ogni volta, obbligatoriamente, utilizzerà un oggetto per trasformarne un altro. Lo studioso di preistoria si renderà ben presto conto che questo primo uomo, probabilmente dopo molti tentativi che ci sfuggono, manterrà certe forme, ovviamente quelle più adatte alle funzioni a cui le destina. E a partire da quel momento (2,7 milioni di anni fa, o forse più) conserverà queste forme, le riconoscerà, imparerà a realizzarle, a insegnarle e dunque a riprodurle. Circa 1,7 milioni di anni fa avrà l’idea di applicare alle forme che crea la simmetria da lui più volte osservata nella natura. Inizia così una lunga storia di utensili bilaterali e bifacciali che durerà centinaia di migliaia di anni e passerà attraverso realizzazioni di grande padronanza della materia usata e della forma voluta, senza trascurare la scelta della densità o del colore e, certamente, la preoccupazione della funzionalità del manufatto. L’invenzione della scheggiatura Levallois (lunga preparazione della pietra da tagliare per ottenere, con una dozzina di percussioni, una scheggia il più possibile grande) è una successiva, importante tappa nell’anticipazione mentale della forma prima della sua realizzazione. Questa scheggiatura ha alcune centinaia di migliaia di anni e segue di poco la domesticazione del fuoco.
LOKALELEI
SAINT-ACHEUL
Kenya, 2,3 milioni di anni fa
Francia, 500.000 anni fa
Appena si forma nella loro testa la capacità di anticipare gli eventi, unita a una buona coordinazione dei movimenti, i primi ominidi non si accontentano più di usare degli oggetti (pietre, ossa, pezzi di legno) per le diverse funzioni, ora li fabbricano.
Nel periodo universalmente noto come Acheuleano (da Saint-Acheul, vicino ad Amiens, in Francia) l’uomo scopre la simmetria e ormai fabbrica utensili con due facce tagliate: i bifacciali. Il ritrovamento di questi manufatti nelle ghiaie della Somme risale al 1850; nel 1872 viene adottato il termine Acheuleano. Le più antiche di queste pietre tagliate a doppia simmetria hanno più di 1,5 milioni di anni nell’Africa orientale e tra 700.000 e 500.000 anni in Europa.
A Lokalelei – sulla riva ovest del lago Turkana, in Kenya –, un sito che risale a 2,3 milioni di anni fa, sono stati ritrovati più di 2.000 oggetti deliberatamente percossi che testimoniano un’anticipazione nella ricerca e nello sfruttamento della materia prima, un modo di tagliare le schegge e gesti di percussione così esperti che non si è ravvisato nemmeno un colpo andato a vuoto! La realizzazione delle stesse forme significa l’adozione di un certo tipo di utensile di cui conveniva l’efficacia ma del quale, forse, seducevano anche l’eleganza, il colore, il “design”.
A Saint-Acheul quattro livelli (quattro terrazze alluvionali) in successione coprono molte centinaia di migliaia d’anni: in ognuno sono presenti i bifacciali, più spessi e a riserva corticale nei livelli più antichi, meno spessi e più ovalari nei livelli medi, dal profilo ancor più sottile e più lanceolato nei livelli superiori. Queste differenze mostrano un miglioramento nel taglio e nella funzionalità del manufatto, ma anche una reale permanenza delle caratteristiche tecnologiche e della tipologia di tutti questi utensili.
GLI
ALTRI
USI
DELLE ALTRE
FORME
Fin da epoche antichissime si sono scoperti in abitazioni oggetti “senza uno scopo”, pezzi di ocra, per esempio, su un suolo di 700.000 anni fa a Isernia la Pineta, in Italia; un vero e proprio strato di ocra di 250.000 anni fa nella grotta di Becov, nella Repubblica Ceca; ocra mescolata a ossa di daino di 100.000 anni fa a Nahr Ibrahim, in Libano; o ancora ocra sparsa davanti alle tende di 12.000 anni fa a Pincevent, in Francia. Conchiglie, denti, ossi perforati sono stati infilati a formare braccialetti, collane, cavigliere fin da 130.000 anni fa. Gli esempi più antichi vengono dall’Africa nordoccidentale (Marocco, Algeria), dal Vicino Oriente (Israele) e dall’Africa meridionale. Minerali, pietre colorate, invertebrati fossili sembra venissero raccolti per la loro singolarità ma anche, in una certa misura, per la loro bellezza dall’Uomo di Neandertal (un fossile di gasteropode, un polipaio e un pezzo di pirite ad Arcy-sur-Cure, in Francia) o dal suo contemporaneo, l’Homo sapiens antico. Nella grotta di Mas d’Azil (10.000 anni fa), in Francia, si sono ritrovati, oltre a dei coloranti (ocra rossa e gialla, manganese nero), gli utensili per frantumarli (mortai e pestelli) e applicarli (spatole, bastoncini) per probabili tatuaggi sul corpo. Ma si canta, anche, e ci si accompagna con strumenti musicali. Trombe e fischietti in osso potrebbero avere circa 100.000 anni, flauti almeno 35.000 anni (Germania); inoltre si sono scoperti dei rombi (Francia) e dei litofoni (Vietnam). Quanto alle civiltà del mammut dell’Europa centrale e orientale, hanno inventato strumenti in avorio e in osso di questo pachiderma (percussioni, clicchettio di braccialetti d’avorio, cembali...) con i quali l’orchestra di Kiev ha dato un concerto.
LE PLACCHETTE E I GIOIELLI DI BLOMBOS
IL LITOFONO DI NDUT LIENG KRAK
Sudafrica, 77.000 anni fa
Vietnam, 20.000-10.000 anni fa
Nella grotta di Blombos, in Sudafrica, sono stati scoperti dei segni geometrici vecchi di 77.000 anni: su due placchette di ocra dai bordi smussati sono incise delle linee che si incrociano a formare dei rombi.
A Ndut Lieng Krak, vicino a Dalat, nel Sud del Vietnam, alcuni operai portarono alla luce, nel 1949, dieci “lame” di pietra in roccia metamorfica, eccezionalmente grandi.
Nel medesimo sito sono state trovate 41 piccole conchiglie rivestite di ocra, perforate per essere infilate in collane: si tratta di un gasteropode, Nassarius kraussianus, che esiste solo nell’estuario a 20 km dalla grotta.
Lunghe 65,5-101,7 cm, larghe 10,6-15,8 cm, spesse 2,4-3,6 cm, queste lame a doppio filo, tagliate a grandi schegge finemente ritoccate, emettono, se percosse, sonorità così musicali che si è pensato fossero gli elementi di uno strumento musicale, l’equivalente in pietra dello xilofono.
Questi gioielli testimoniano un gusto sicuro per gli oggetti di parure, come quelli di Taforalt (Marocco) o di Skuhl (Israele), datati a 100.000 anni fa. A Blombos, punte di freccia sono state levigate con una pelle o della sabbia fine per il solo piacere di vederle brillare.
Lo strumento, chiamato allora litofono, in origine poteva essere fatto di due travi sulle quali poggiavano le lastre in questione, da colpire con mazzuoli. Di gamma pentafonica, come alcuni strumenti attuali del Sud-Est asiatico, questo litofono può avere tra 20.000 e 10.000 anni.
L ’A L D I L À La coscienza della morte è certamente nata con la coscienza stessa; è la medesima. Ma è difficile cogliere la percezione di tali eventi nei periodi più antichi. Per esempio, si è creduto di riconoscere dei tagli praticati con la selce su crani (alla base e frontalmente) di Homo erectus, almeno 1 milione di anni fa, in Africa (Tanzania) e in Asia (Cina, Giava), ma esistono dubbi in proposito. Si pensa di poter interpretare la dolina di Sima de los Huesos, in Spagna, come un pozzo funerario. In compenso si è certi della destinazione delle sepolture individuali scavate con cura, contenenti cadaveri di Uomini di Neandertal o di Uomini moderni antichi, accompagnati da offerte raffinate – oggetti di qualità, utili o di lusso, fiori, cibo – e ciò a partire da almeno 100.000 anni fa. Citiamo, tra le decine di esempi, due selci tagliate deposte sul corpo di un bimbo a La Ferrassie o una zampa di bisonte su un adulto a La Chapelle-aux-Saints (Francia); un cerchio di corna di stambecco attorno a un bambino a Tesik Tas (Uzbekistan); le corna di un cervo nelle mani di un altro piccolo a Qafzeh (Israele); altre offerte ancora a Sungir (Russia), a Dolní Věstonice (Repubblica Ceca), a Skuhl e Kebara (Israele), a Dederiyeh (Siria), a Shanidar (Iraq)...
IL POZZO FUNERARIO DI SIMA DE LOS HUESOS Spagna, 300.000 anni fa Scavata nei calcari di Atapuerca, in Spagna, la dolina di Sima de los Huesos testimonia riti funerari che risalgono a 300.000 anni fa, o forse più.
Un superbo bifacciale acheuleano, tagliato con cura a forma di mandorla in un blocco di quarzite rossoscura, è stato gettato nel pozzo.
Questa fossa naturale contiene oltre 3.500 ossami di Homo neanderthalensis.
Questo bell’oggetto sembra attestare che, sensibile al simbolo, con questo gesto di offerta ai suoi morti l’uomo abbia piena coscienza della propria umanità.
LE NOVE SEPOLTURE DI SHANIDAR Iraq, 60.000 anni fa Una delle nove sepolture di Shanidar ci insegna molte cose sull’Uomo di Neandertal, che al rispetto per i defunti mescola il senso del bello.
I pollini trovati in un’altra sepoltura dimostrano che vi erano stati deposti dei fiori gialli e blu: come giaciglio sotto il cadavere? A pioggia o a mazzolino sul corpo?
L’individuo inumato aveva l’occhio sinistro spostato in seguito a una frattura dell’orbita, il braccio destro atrofizzato, il piede destro fratturato, lesioni alla gamba sinistra; era dunque guercio e zoppo. Poiché non poteva né cacciare né raccogliere, questo disgraziato era stato curato; è possibile che lo avessero amputato. Sopravvissuto alle sue ferite, come indicano le ossa rinsaldate, aveva in seguito beneficiato di una sepoltura, mentre i Neandertaliani seppellivano soltanto alcuni dei loro morti (abbiamo persino la prova che ne mangiassero altri!).
Capace di compassione e di solidarietà, questa società neandertaliana è abbastanza raffinata per riservare le sepolture non solo ai capi, ma anche a handicappati, malati, bambini, come pure a famiglie.
P I T T U R A, S C U L T U R A, I N C I S I O N E A partire da una cinquantina di migliaia d’anni fa (forse un po’ meno) Homo sapiens supera una nuova tappa cognitiva nella percezione delle forme: oltre a fabbricare oggetti utilitari, utensili e armi, che spesso rivelano una sensibilità estetica, si mette infatti a realizzare sculture e a proiettare su supporti mobili o su pareti di roccia, questa volta in due dimensioni, le silhouette degli animali del suo bestiario e quelle dei suoi congeneri, accompagnate dai diversi segni che ha inventato. E questo in tutto il mondo. Per i pittori, gli scultori o gli incisori le loro opere hanno evidentemente un significato sacro e forse un ruolo sociale: sono fatte per essere viste, per essere lette, almeno da alcuni. Come abbiamo già detto a proposito dei manufatti e dei comportamenti, la preistoria, immensa nel tempo e nello spazio, è molto diversa. Diremo la stessa cosa per la pittura, la scultura, l’incisione, arti altrettanto varie quanto le epoche che esse illustrano e i paesi che adornano. La pittura paleolitica dell’Europa, per esempio, è molto codificata; le scene che associano più figure per uno stesso significato sono rare. È tuttavia chiaro che sono le figure animali e i segni astratti, presi assieme, a fornire il significato. Compare anche l’uomo, peraltro, ma discretamente, mascherato, nascosto. Le pitture neolitiche del Sahara, invece, raffigurano scene di vita quotidiana, caccia, guerra, danze, dove gli uomini sono onnipresenti. Quanto alle incisioni rupestri, le migliaia di disegni delle falesie del fiume Côa, affluente del Douro (Portogallo), propongono gli stessi animali di quelli coevi dipinti nelle grotte europee, e perciò gli stessi codici, o quasi. In compenso, i geoglifi delle pampas sudamericane, come i lama del deserto di Atacama in Cile, offrono immensi schizzi d’animali che non hanno l’equivalente altrove. Le sculture femminili dette Veneri, ricavate nella pietra, nell’osso, nel corno, nell’avorio o quelle modellate nell’argilla (peraltro cotta), dalle forme prosperose ma dal viso appena accennato, sono conosciute nel Paleolitico di tutta l’Europa e delle grandi pianure dell’Asia centrale e settentrionale. Le statuette d’osso o di giada, dai visi delicatamente disegnati ma dai corpi di animali, caratterizzano, al contrario, il Neolitico dell’Estremo Oriente asiatico.
LA GROTTA CHAUVET Francia, 31.000 anni fa Scoperta nel 1994 da tre speleologi, Chauvet, BrunelDeschamp e Hillaire, la grotta detta Chauvet presenta più di trecento figure, dipinte o incise. Citiamo in ordine di frequenza: rinoceronti, leoni, mammut, cavalli, bisonti, cervi megaceri, cervi, ma anche una pantera, un gufo e, forse, una iena. Come nella maggioranza delle grotte dipinte di queste scuole di pittura paleolitiche europee (FrancoCantabriche), l’uomo è presente, ma mascherato, suggerito da una creatura metà bisonte e metà uomo (le gambe), oppure da alcune mani positive o negative, o ancora da qualche triangolo pubico. Questo santuario, occupato in successione da orsi, poi da uomini e di nuovo da orsi, è davvero eccezionale. Innanzitutto per l’età ragguardevole: la prima frequentazione umana della grotta risale a 31.000 anni fa. Poi per le grandi qualità degli artisti, che hanno reso il naturalismo, i rilievi, la prospettiva e i movimenti dei loro modelli con una serie di “trucchi”: la preparazione delle pareti con la raschiatura, la colorazione con ombre e sfumato, la moltiplicazione dei profili o delle zampe, ecc. Quest’arte paleolitica europea ha prodotto nel corso di 20.000 anni una successione di grandi scuole di pittura, incisione e scultura, separate, beninteso, le une dalle altre da periodi meno creativi, ma tutte con una sorta di stupefacente spirito comune e di convenzioni condivise.
LA SERRA DA CAPIVARA Brasile, 14.000/8.000 anni fa Abbiamo scelto i ripari sotto roccia del Parco nazionale Serra da Capivara, nel Nord-Est del Brasile, per illustrare la grande diversità delle pitture parietali della preistoria americana. Infatti vi sono distribuiti più di 340 siti rupestri che spaziano da 14.000 a 8.000 anni fa. Le pitture, a dominante rossa, ma anche gialle, arancio, brune, nere e bianche – colori dovuti alla mescolanza di ocra, argilla, carbone di legno e polvere d’osso, più o meno diluiti o scaldati –, rappresentano scene quotidiane, cacce con il propulsore, per esempio, o cerimonie con personaggi carichi di ornamenti d’apparato. Gli animali, cervi, puma, coccodrilli, lama, completano o accompagnano gli umani e, come ovunque, numerosi disegni geometrici codificano l’insieme. In una delle grotte si è persino scoperta una pietra arenaria con una cavità al centro, usata dal pittore come tavolozza per mescolare i colori. Per dipingere, gli artisti si servivano sia delle nude mani, sia di pennelli fabbricati con fibre vegetali, peli o crini di animali o persino gambi di cactus. Con questo bel libro d’immagini finisce, in questa provincia del Brasile, una sequenza cronologica eccezionale per il Nuovo Mondo, inaugurata forse da focolari e utensili di pietra di 50.000 anni fa.
LE GROTTE DEL BORNEO Indonesia, 9.000/6.000 anni fa Le 38 grotte del Borneo, scoperte nel 1998, offrono uno spettacolo straordinario, la rappresentazione di oltre 2.000 mani in negativo di adulti, bambini e persino infanti. Assai diffuse anche nell’arte rupestre di altri continenti, queste pitture sono fatte “a stampo”: si appoggia la mano sulla roccia e ci si soffia sopra un colorante introdotto in bocca, disegnando così perfettamente il contorno dell’oggetto da rappresentare. Le mani di Gua Ilas Kenceng, disposte a bouquet secondo una preoccupazione estetica, sono collegate tra loro da tratti simbolici. Altre mani, a Gua Masri, unico esempio al mondo, sono ornate all’interno. Compaiono anche soggetti umani: teste acconciate con ornamenti o piume, mentre i visi si distinguono poco. Inoltre sulle pareti figurano più di 250 animali (tra cui il tapiro, scomparso dall’isola 10.000 anni fa). Questi siti sono evidentemente dei santuari.
I BISONTI DI LE TUC D’AUDOUBERT
“IL PENSATORE E LA DONNA” DI CERNAVODA
Francia, 14.000 anni fa
Romania, 8.000 anni fa
A Le Tuc d’Audoubert, in Ariège (Francia), tre reti di gallerie sotterranee sovrapposte conservano numerose incisioni preistoriche con figure di animali: cavalli, cerbiatte, renne, bisonti...
In una sepoltura di Cernavoda, in Romania, è stata trovata una coppia di statuette in pietra levigata, due meraviglie di espressività che gli scopritori hanno chiamato “Il Pensatore e la Donna”. Alte una dozzina di centimetri, vengono datate a 8.000 anni fa.
In una di queste gallerie il suolo rivela impronte di piedi, a testimonianza che furono soprattutto degli adolescenti a passare di lì, camminando sui talloni! Ora, in fondo a una galleria molto stretta, al centro di una piccola sala, ci sono due bisonti modellati quasi a tutto tondo con l’argilla prelevata nella sala detta dei Talloni, posta a un livello inferiore. Capolavoro senza pari per le dimensioni, le proporzioni, i volumi, la “resa”, questa coppia di 14.000 anni fa è appoggiata su un affioramento roccioso del terreno, il maschio che sovrasta la femmina; entrambi misurano 60 cm di lunghezza. Vicino a loro è abbozzato un altro bisonte; sul suolo è anche incisa una specie di criniera.
L’uomo, seduto su una panchetta decorata con incisioni, appoggia il mento sulle mani chiuse a pugno; i grandi occhi sono due fessure triangolari e anche il naso, a rilievo, è triangolare; la bocca, aperta a ovale, accentua la sua aria pensosa. I quattro piccoli fori presenti sul cranio dovevano servire a fissare un ornamento o un copricapo. La donna, seduta a terra, il busto eretto con i seni attaccati alti, quasi confusi con le larghe spalle, solleva il mento con un’autorità che contrasta con l’aria pensosa del compagno; il bacino è largo, sproporzionato, attraversato da un tratto orizzontale per indicare il sesso; le mani sono posate su un ginocchio sollevato, le dita, dettagliate, sono definite da incisioni allungate. La fattura di queste due figurine, nella semplicità dello stile, esprime la volontà dell’artista di tradurre il mondo interiore che sempre più agita l’uomo.
LA VALCAMONICA Italia, 6.000/3.000 anni fa Trecentomila petroglifi tracciati su 2.500 rocce, sparsi lungo i 60 km di questa valle, documentano una decina di migliaia d’anni di storia delle società dell’arco alpino, delle loro credenze, dei loro simboli, ma anche delle loro maggiori preoccupazioni. I più antichi sembrano appartenere alla fine dell’ultima glaciazione (10.000 anni fa), ma il periodo più creativo comincia solo nel Neolitico (5.800 anni fa) e abbraccia tre buoni millenni, attraverso le Età del Rame e del Bronzo (3.000 anni fa), prima di perdere il suo splendore nell’Età del Ferro e nell’epoca storica.
L’assoluta particolarità di queste epoche è l’emergenza, subitanea e costante, contrariamente agli stili precedenti, della figura dell’uomo. Questi prega, danza, si arma, ara; fabbrica dei carri e vi aggioga i cavalli; caccia, tesse, danza ancora, ma è sempre lì, al cuore di un mondo che egli tenta di conquistare al di là dei miti e delle angosce che questo mondo genera. Un particolare divertente e non irrilevante: preoccupato del suo patrimonio territoriale, l’uomo inventa, 6.000 anni fa, la cartografia (catasto, recinti, sentieri, corsi d’acqua) e la sviluppa nel V e nel IV millennio a.C.
I GEOGLIFI DI NASCA Perù, 2.500 anni fa In una pampa desertica, 320 km a sud di Lima, in Perù, dei geoglifi si estendono per più di 500 km2. Furono scoperti nel 1930 durante un volo aereo, dato che solo dall’alto era possibile vedere i disegni nel loro insieme.
Due di queste notevoli opere sono, per esempio, un pappagallo lungo 50 metri e una scimmia di 135 metri, con la lunghissima coda avvolta a spirale, che sembra arrampicarsi su un albero geometrico, simile a una scala.
Si tratta di grandi figure geometriche (trapezi, piramidi, triangoli), o di sagome superbe e curiose di animali giganteschi.
Un colibrì e un condor in volo, un airone, un ragno gigante, un cane, un serpente, un camelide fanno altresì parte di questo stupefacente bestiario di 13.000 figure.
I geoglifi furono ottenuti asportando dal terreno lo strato superficiale di pietre scure che riveste questi grandi spazi, lasciando così apparire il sottostante suolo di gesso chiaro.
Evidentemente si tratta di simboli sacri e codificati, forse legati a nozioni di astronomia e non certo opera di extraterrestri, come alcuni hanno ipotizzato!
L ’A R C H I T E T T U R A: P R I M E C I T T À, M E G A L I T I Le prime costruzioni intenzionali degli uomini sono delle capanne di frasche e legno, piccole, circolari, scoperte nell’Africa orientale (Tanzania, Etiopia) su suoli d’occupazione umana verso 2 milioni di anni fa. Nel corso di questi ultimi 2 milioni di anni se ne sono trovati resti sufficienti per poterle ricostruire. Si tratta di capanne, di tende, di case in pietra o in osso (di balena in Groenlandia, di mammut in Ucraina). Ma per ragioni opportuniste di maggiore utilità o per un cambiamento del clima, fattosi più temperato, 100.000 anni fa l’uomo diventa sempre meno nomade, si ferma sempre più spesso, e più a lungo, per raccogliere meglio le graminacee selvatiche. Allora le sue costruzioni saranno di materiali non deperibili; la sua economia cambierà, e contemporaneamente cambieranno anche la sua mentalità, la sua società e le sue credenze. Ha inizio un’economia di produzione. La società, intervenendo sull’ambiente in modo più aggressivo, acquista il senso della proprietà e veglia gelosamente sulle terre che sfrutta, dunque suo interesse primo è diventare più forte. Essa si arricchisce, si gerarchizza e sviluppa culti che la rinsaldano. L’architettura leggera delle case individuali o dei villaggi di transito si fa più pesante: è il tempo delle prime città come Gerico o Çatal Hüyük (8.000 anni fa). Ben presto arriverà il tempo delle prime architetture monumentali, i megaliti, come Carnac in Francia tra 7.000 e 5.000 anni fa; Skorda nell’isola di Malta, 5.200 anni fa; Stonehenge in Inghilterra – stone, pietra, henge, cerchio –, insieme colossale costruito tra 4.800 e 2.100 anni fa.
ÇATAL HÜYÜK Turchia, 8.000 anni fa Nella piana di Konya, in Anatolia, 8.000 anni fa sorgeva, su una superficie di circa 13 ettari, Çatal Hüyük, una delle prime città al mondo. Le costruzioni, rettangolari, in mattoni coperti d’intonaco, si addossavano le une alle altre e, in effetti, le strade non esistevano. Si accedeva alle case con scale dai tetti a terrazza. Ogni casa aveva una stanza principale, affacciata su una corte interna, con un focolare, un forno e delle panche per sedersi o dormire. Su alcune pareti, a guisa di decorazione forse in gran parte simbolica, erano incastrati mascelle di cinghiale, crani di rapaci, bucrani (crani di toro con le corna). Su altre pareti si potevano ammirare affreschi in cui dominavano figure femminili, scene di caccia al cervo, avvoltoi che attaccavano uomini. I morti, dopo essere stati esposti agli avvoltoi che li scarnificavano, venivano seppelliti nelle abitazioni o in santuari. Gli artigiani di questa città fabbricavano oggetti d’uso comune e armi, ma anche gioielli che permettevano un commercio fiorente e scambi. Tra 6.500 e 5.700 anni fa la prosperità era tale che la città toccava i 5.000 abitanti, cifra considerevole per l’epoca.
I MEGALITI DI CARNAC Francia, 7.000 anni fa La regione che si estende dal fiume Etel fino alla riva orientale del golfo di Morbihan, in Francia, è un territorio sacro. Dal V al III millennio a.C. 10.000 pietre, 100.000 tonnellate di granito (oggi ne resta la metà), furono estratte dalle cave, fatte rotolare e poi erette a gloria degli dei di una società credente, potente, ingegnosa, gerarchizzata, molto organizzata. Una simile impresa richiedeva una manodopera enorme, che era impossibile reclutare tutta sul posto e che dunque veniva da fuori: per fare ciò occorreva autorità in questo mondo e una fede solida nell’altro. Ci volevano 20 persone per spostare ed erigere un piccolo menhir di una tonnellata, 50 per un menhir medio, da 200 a 500 per i colossi come quello di Locmariaquer, del peso di 330 tonnellate e alto 20 metri.
Almeno due culture megalitiche si succedettero in questo territorio bretone: la prima, da 7.000 a 5.500 anni fa, la seconda da 5.500 a 4.000 anni fa; questa seconda cultura ruppe i megaliti della precedente. Tra le pietre riutilizzate ce n’è una famosa: la lastra di copertura della camera sepolcrale del dolmen di Gavr’inis. La prima cultura vi incise l’immagine di due buoi che tiravano un aratro: l’agricoltura aveva firmato la pietra! La seconda cultura la spezzò e la montò con l’immagine verso l’alto. Quanto ai dolmen, sono sepolture con una camera principale e talvolta piccole tombe secondarie. In questa regione bretone, alla fine del XIX secolo, ne sono stati recensiti 279. Hanno restituito un ricco arredo di asce in giadeite verde o in fibrolite bianca e numerosi pendenti a goccia in turchese bluverde, a testimonianza di una società ricca e molto gerarchizzata.
IL GRANDE ZIMBABWE Africa meridionale, 2.400/500 anni fa Tra i fiumi Zambesi e Limpopo, a partire dal IV secolo prima della nostra era, si installarono in abitazioni di argilla secca popolazioni conosciute con il nome di Gokomere e Shona.
centro una specie di acropoli di forma ovale, lunga 100 metri e larga 45, con un santuario e delle dimore; infine, una città che digradava dalla collina fino alla valle, capace di ospitare fino a 20.000 abitanti.
Poi queste case effimere cedettero il posto a costruzioni in materiale solido e duraturo, il famoso vasto insieme architettonico del Grande Zimbabwe. Ziimba remabwe significa infatti “le grandi case di pietra”.
Questo importante centro rituale e, più tardi, economico, la cui costruzione proseguì fino al XV secolo della nostra era, testimonia una grande cultura e, come è noto, ha dato il nome al Paese moderno.
Su un’area di 7 km2, gli edifici, in pietra a secco e senza fondamenta, formavano tre complessi: in cima alla collina un vasto recinto dai grandi muri alti 11 metri; al
Duecento siti analoghi, ma in rovina, sono conosciuti nell’Africa sudorientale (Botswana, Mozambico, Sudafrica).
LE ARTI
DEL
F U O C O:
LA
CERAMICA
35.000 anni fa gli uomini impastavano l’argilla con acqua, plasmando figurine che essiccavano al sole. Verso 25.000 anni fa già cuocevano in piccole fosse le loro statuette, come quelle di Dolní Věstonice in Moravia, nella Repubblica Ceca. Essendo nomadi, però, allora non avevano pensato di poter usare la materia e le tecniche di cottura appena scoperte anche per fabbricare dei contenitori. Le statuette, fin da subito, avevano sicuramente un ruolo sacro, magico o votivo, oltre ad essere delle rappresentazioni, come è proprio dell’arte di tutti i luoghi. L’uso del fuoco, dopo la semplice essiccazione, non fece che accentuare questo aspetto spirituale, aumentando allo stesso tempo la solidità del prodotto. In Siberia orientale si sono scoperti vasi di 14.000 anni fa; quelli dell’Africa sahariana si datano a 11.000 anni fa e quelli delle rive dell’Eufrate e della Siria a 7.000 anni fa. La tecnica della lavorazione a colombino diventa allora frequente: l’artigiano arrotola dei salamini di argilla che sovrappone gli uni agli altri per formare un recipiente che indurirà al sole. Vasi, coppe, giare rivoluzioneranno la cottura degli alimenti e la conservazione dei grani e dei frutti. Tra 5.000 e 4.000 anni fa, in differenti regioni del mondo, appare il forno, che permette di ottenere un vasellame più resistente. Verso 4.000 anni fa, a Uruk, nell’attuale Iraq, viene inventato il tornio: il vasaio mette il recipiente su un piatto di legno posato su una pietra che serve da perno e così fa ruotare l’oggetto. La nuova tecnica favorisce la regolarità delle forme e la produzione si sveltisce. Da allora, e fino ad oggi, troviamo il vasellame in tutto il mondo.
LE CERAMICHE JŌMON Giappone, 12.000 anni fa La cultura Jōmon prende il nome dal giapponese jō, corda, e mon, motivo; il vasellame che essa produsse, infatti, era decorato con motivi a corda ottenuti premendo una cordicella intrecciata sull’argilla molle. Fu una cultura eccezionale per durata e stabilità: apparve verso 13.000-12.000 anni fa (Pre-Jōmon) e si estinse solo all’arrivo della conoscenza del bronzo e della cultura del riso, 2.300 anni fa (transizione dallo Jōmon finale al periodo Yayoi). Gli stili ceramici si evolvono, come pure alcuni oggetti legati all’evoluzione dei comportamenti; le statuette antropomorfe simboliche, forse copiate da quelle in pietra dei periodi precedenti, compaiono a partire da 10.000 anni fa.
Circa 5.500 anni fa è la volta delle statuette dōgū, semplici torsi con teste senza lineamenti; né uomini né donne, appartengono al mondo degli spiriti che incarnano la natura vegetale, animale, minerale. Solo verso 3.000 anni fa i dōgū avranno veramente forma umana, prima di avere forma animale: cani, orsi, cinghiali... Il cane è addomesticato a partire da 7.000 anni fa; nello stesso periodo vengono coltivati il grano saraceno, il miglio, il pisello, il fagiolino, il gelso da carta e l’albero della lacca.
LA CERAMICA LAPITA Oceania insulare, 4.000/3.000 anni fa Il vasellame Lapita, dal nome di un sito della Nuova Caledonia, è il manufatto emblematico di un complesso culturale che, partito dalla Cina e da Taiwan, in tempi antichissimi (prima del suddetto vasellame) raggiunse la Nuova Guinea. Da questa base gli uomini percorsero su piroghe a bilanciere di loro invenzione migliaia di chilometri, tra 4.000 e 1.000 anni fa, attraverso le isole della Micronesia, della Melanesia e della Polinesia. Forse orticoltori essi stessi, dovettero incontrare dei precedenti occupanti nelle isole più occidentali e colonizzare le isole più orientali, disabitate, introducendovi l’albero del pane, il taro, l’igname, il banano, la palma da cocco ma anche il cane, il maiale, il pollo... e il topo! Il vasellame Lapita, variatissimo nelle forme e talora di volume considerevole, è caratteristico per il colore rosso e per i motivi geometrici al pettine. Ceramiche di scambio più che d’uso domestico, questi vasi erano beni simbolici che rappresentavano in forma concreta reti di alleanze economiche e politiche; li accompagnavano oggetti di parure. I loro artefici, straordinari ceramisti e gente di mare, conquistarono, nel corso dei loro peripli, 4.500 chilometri in meno di 400 anni!
LE ARTI
DEL
F U O C O:
LA
METALLURGIA
Verso 7.000 anni fa l’uomo comincia a tirar fuori dalla roccia ciò che vede brillare: il rame, l’oro, metalli malleabili, che si possono facilmente martellare a freddo o forare per ottenere piccole lame, spille, perle, ornamenti diversi... Peraltro è divertente notare che l’oro viene ben presto considerato un metallo prezioso (per il suo sfavillio e la sua rarità, forse...). L’idea di scaldare il minerale per fonderlo risale a circa 5.000 anni fa; i primi forni, come quello a cupola, compaiono nell’Anatolia, in Turchia, corredati di mantice per far salire la temperatura. Il metallo liquefatto può allora colare in uno stampo di pietra dove prenderà la forma voluta dal fabbro. Simbolica per eccellenza, dato il tipo di manipolazione che richiede, la metallurgia beneficia, fin da subito e dappertutto, di un potente statuto sacro e spicca il volo; un unico stampo permette la fabbricazione di numerosi esemplari di uno stesso oggetto: è l’avvento della produzione in serie! Si moltiplicheranno allora vomeri di aratro, armi, ornamenti e gioielli che gli artigiani decorano secondo la moda, il rango sociale o la fortuna dei loro clienti. Tra 3.000 e 2.000 anni fa, mentre la lavorazione della pietra continua, si colloca anche l’apogeo della lavorazione del rame: si sfruttano allora grandi giacimenti in Spagna e nei Carpazi. Mille anni più tardi, ecco il bronzo, lega di rame e stagno. Assai resistente, questo metallo, apparso in Mesopotamia, guadagnerà le valli del Nilo e del Danubio prima di raggiungere l’Asia e l’Europa occidentale. Il bronzo permette la creazione di svariate forme: pettorali, bracciali, armi che diventano appannaggio delle élite e simbolo del potere. Portare scudi, elmi, gambali, pugnali e spade genera una nuova ideologia, l’esaltazione della forza. Il corpo maschile, modellato nel bronzo nuovo, di color oro, diviene segno di prestigio. Le figure femminili non domineranno più. E poi verrà il ferro, buon ultimo perché, molto semplicemente, per essere lavorato richiede una temperatura ancor più elevata.
LA NECROPOLI DI VARNA Bulgaria, 5.000 anni fa Risalente a 5.000 anni fa, la lussuosa necropoli di Varna (280 tombe) ha restituito numerosi oggetti d’oro: pettorali, scettri, braccialetti, diademi, cinture... L’insieme delle sepolture custodiva più di 6 chili d’oro; quella detta “del capo” ne conteneva, da sola, un chilo e mezzo. Gli ornamenti erano spesso accompagnati da armi, asce di rame e ceramiche decorate. Queste ricchezze testimoniano una gerarchia sociale nella quale i notabili dell’epoca sfoggiavano, anche nella morte, il prestigio di cui avevano goduto in vita, attestando importanti poteri politici o commerciali. In anticipo sul resto dell’Europa, la società di Varna era molto avanzata nella lavorazione dei metalli: l’oro e il rame. Tale arte richiedeva una grande organizzazione per l’approvvigionamento del minerale, la produzione degli oggetti e probabilmente gli scambi, come testimoniano le collane di conchiglie trovate nella necropoli. Arte del fuoco per eccellenza, la metallurgia dell’oro era fortemente legata al sacro, e tale dovette restare per lungo tempo.
LE “ASCE A OCCHIO” DELL ’ARMORICA Francia, 3.000 anni fa Le asce dette “a occhio” sono utensili in bronzo fatti a stampo, taglienti e cavi, a sezione rettangolare e bordi rettilinei. Assai tipiche del Massiccio Armoricano (Bretagna, Francia) e della fine dell’Età del Bronzo (3.000 anni fa), queste asce illustrano un tipo di metallurgia, ma raccontano anche una bella storia simbolica. Infatti si è osservato che, fabbricate in grande quantità (75.000 asce, cioè 15 tonnellate di metallo), venivano stoccate senza altri oggetti associati (90 depositi di 9.000 asce nel Finistère, 80 nella Manche, 80 in Côtes-d’Armor, 30 nel Morbihan, tra cui quelle di Cléguérec accuratamente disposte a cerchio); si è anche constatato che questi depositi erano spesso nascosti (in sacchi, cofanetti, vasi in ceramica o in bronzo...). La forma e i difetti di fusione le rendevano inadatte alla loro funzione, mentre i diversi formati facevano pensare a unità di valore con multipli e sottomultipli; si è anche notato che piccole differenze potevano essere interpretate come marchi di fabbricazione. Si è dunque concluso che queste belle asce fossero in realtà oggetti di scambio, cioè una sorta di moneta, diffuse, come mostrano i reperti, dalle isole britanniche alla Spagna, passando per l’Olanda, il Belgio, la Germania, fino all’Ucraina. Questa ipotesi è stata confermata dall’esame della loro composizione: dapprima erano fatte di stagno, rame e piombo, poi di stagno e piombo, infine solo di piombo, più economico, segno evidente di una svalutazione sopraggiunta in Bretagna 3 millenni fa!
VERSO
LA
SCRITTURA
Da quando ha saputo anticipare, l’uomo non ha smesso di creare e, subito, le sue opere hanno associato eleganza ed efficacia. Portatore di una dimensione spirituale: il sacro ha sempre accompagnato i suoi gesti, le sue azioni, le sue produzioni. Questo meraviglioso e indissociabile insieme di elementi dalle diverse sfaccettature consente all’uomo una distanza dagli avvenimenti e dalle cose e, al tempo stesso, lo obbliga a trascenderle e a renderle belle. In quanto essere sociale, poi, egli ha in sé un’altra tensione particolarmente forte, quella di trasmettere. Non appena con un ciottolo ne ha colpito un altro per fabbricare la prima pietra tagliata del mondo, il primo uomo (o uno dei suoi predecessori) è andato a raccontarlo al suo vicino, stabilendo così una comunicazione e, ben presto, un apprendimento. Con la parola, la comunicazione non ha fatto che arricchirsi; ma l’uomo, non contento di sapere che sapeva, ha voluto farlo sapere ad altri servendosi di sistemi grafici, e così si è spinto ancora più lontano nel campo della comunicazione. Una di queste grandi tappe è la scrittura rupestre che, non essendo ancora lineare, ci manda in confusione, ma l’associazione di segni leggibili (disegni) e di segni detti astratti in vasti affreschi avvolgenti evidentemente ha un senso accessibile e, dopo un’iniziazione, trasmissibile. In quelle epoche antiche gli uomini contavano: in un sito congolese di 23.000 anni fa, Ishango, dei bastoni in osso erano segnati con tacche organizzate in insiemi ritmati. Verso 10.000 anni fa, dei gettoni d’argilla dalle forme geometriche, talvolta liberi, talvolta racchiusi in bolle anch’esse di argilla, evocano la possibile nascita di una contabilità. Questi gettoni si chiamano calcoli. Supponiamo per esempio che i piccoli cubi rappresentino delle unità, le sfere delle decine, i parallelepipedi delle centinaia. Se io vi mando 321 pecore, consegno al pastore che le condurrà una bolla contenente tre piccoli gettoni a forma di parallelepipedo, due a forma di sfera e uno a forma di cubo. All’arrivo, voi spezzerete la bolla per sapere quanti capi vi ho mandato; poi conterete le pecore e saprete se il numero corrisponde o se il pastore ne ha perdute, vendute o mangiate durante il viaggio!
Col passare degli anni questi messaggi si sono arricchiti. Non contento di introdurre i gettoni nella bolla, chi spediva si è messo a imprimere sulla bolla stessa l’impronta dei gettoni (per 321: tre rettangoli, due cerchi, un quadrato). E, accorgendosi che finiva per dire due volte la stessa cosa, ne ha eliminata una, è passato da tre a due dimensioni e dalla bolla alle... tavolette. La prima tavoletta è sumera (Mesopotamia), risale a circa 5.400 anni fa e propone la prima scrittura lineare, detta cuneiforme. Segue a poca distanza l’Egitto con i suoi geroglifici, dato che i primi testi di questa regione sono databili a 5.150 anni fa. Occorre aspettare fino a 3.400 anni fa perché la Cina raggiunga le invenzioni del Vicino Oriente e fino a 2.900 anni fa perché l’America precolombiana, con gli Olmechi, faccia altrettanto. Queste scritture, inventate dunque quattro volte, associano immagini a suoni, simili ai rebus o alle scritture contemporanee, messaggi sui nostri monitor e telefonini o tag sui nostri muri. L’alfabeto, con le sue associazioni di lettere astratte, è stato invece inventato una sola volta, ancora nel Levante, 3.700 anni fa, nel Sinai; seguiranno i Fenici. Più corto, più economico, più fonetico, esso ha semplificato in modo rivoluzionario la redazione dei messaggi. I primi popoli che hanno saputo scrivere sono usciti dalla Preistoria e sono allora entrati nella Storia.
GLOSSARIO ANTROPOMORFO (dal greco anthropos, uomo, e morphe, forma) a forma di uomo.
epipedon, superficie) figura geometrica le cui facce opposte sono uguali e parallele.
ARMORICA antica denominazione gallica della regione che comprende, lungo la Penisola Bretone, la Normandia e la Vandea, i territori che geologicamente appartengono al massiccio primario chiamato Massiccio Armoricano.
PARIETALE, ARTE (dal latino paries, parete) pitture, sculture, incisioni, alto e bassorilievi sulle pareti rocciose; sinonimo di RUPESTRE.
COGNITIVO (dal latino cognoscere, conoscere) capace di apprendere, di conoscere. CORTICALE (dal latino cortex, corteccia) relativo alla corteccia, all’esterno; in geologia, superficie non lavorata della pietra. CUNEIFORME (dal latino cuneus, cuneo) che ha forma di cuneo; in particolare, tipo di antica scrittura costituita da incisioni lineari a forma di cuneo o di chiodo. GEOGLIFO (dal greco ge, terra, e glypho, incidere) gigantesca figura a cielo aperto, ottenuta raschiando la superficie del terreno per far apparire il sottostante suolo di colore diverso: si disegnano così le forme che si vogliono rappresentare. METAMORFICA, ROCCIA (dal greco meta, dopo, e morphe, forma) minerale modificato nella struttura dall’azione del calore e della pressione. PARALLELEPIPEDO (dal greco parallelos, parallelo, e
PETTORALE (dal latino pectus, petto) ornamento che si porta sul petto. PETROGLIFO (dal greco petra, pietra, e glypho, incidere) motivo inciso sulla pietra. ROMBO (dal greco rombos, trottola, derivato di rembo, girare) strumento musicale formato da un’assicella di legno legata a una cordicella e fatta roteare per ottenere suoni, generalmente gravi. RUPESTRE (dal latino rupes, roccia) che ha relazione con le rupi; ad esempio, in botanica, le piante che crescono sulle rocce. Pitture, incisioni, sculture sono dette rupestri quando sono eseguite su pareti rocciose. TARO (Colocasia esculenta) pianta a tuberi simili a quelli della patata. Viene estesamente coltivata a scopi alimentari dai popoli dell’Oceania. TIPOLOGIA (dal greco typos, impronta, figura, modello, e logos, discorso) studio dei diversi tipi di manufatti, raggruppati per forma e funzione.
Un ringraziamento particolare a Emmanuel Anati, Robert Bégouën, Jean-Michel Chazine, Jean Clottes, Francesco D’Errico, José Garanger, Niède Guidon, Josette Rivallain, Hélène Roche, Alain Tuffreau, dai quali ho attinto, o ricevuto personalmente, alcune informazioni.