THE LIFE OF THE FIRST HUMANS

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I NOSTRI ANTENATI titoli della serie

1. LA STORIA DELLE SCIMMIE 2. LA VITA DEI PRIMI UOMINI 3. LA NASCITA DELLE ARTI E DEI SIMBOLI


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LA

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VITA DEI PRIMI UOMINI RACCONTATA DA

YVES COPPENS ILLUSTRAZIONI DI

SACHA GEPNER TESTO RACCOLTO DA

SOIZIK MOREAU


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International Copyright © 2010 by Editoriale Jaca Book spa, Milano All rights reserved Prima edizione italiana Agosto 2010 Copertina e grafica Ufficio grafico Jaca Book Traduzione dall’originale francese Ida Bonali e Caterina Longanesi

ISBN 978-88-16-57352-9 composizione del testo e selezione delle immagini Graphic srl, Milano stampa e rilegatura Grafiche Flaminia, Foligno, Perugia finito di stampare nel mese di Luglio 2010 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book spa, Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano tel. 02.48.56.15.20/29, fax 02.48.19.33.61 e-mail: serviziolettori@jacabook.it internet: www.jacabook.it


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AVVERTENZA

La Preistoria abbraccia milioni di anni, dai primi Uomini agli Uomini moderni, dalle loro prime pietre tagliate fino all’invenzione della scrittura, che definisce, arbitrariamente, l’inizio della Storia. Parlare della vita degli Uomini preistorici significa evidentemente interessarsi all’evoluzione delle loro società e delle loro culture, del loro habitat, dei loro utensili, della loro alimentazione, del loro vestiario, dei loro ornamenti, ma anche dei loro spostamenti, dei loro scambi, dei loro interrogativi spirituali, delle loro sepolture, della loro arte... Nel corso dei millenni, la vita di questi Uomini si adatterà, certo, ai luoghi che occupano, secondo latitudini, longitudini e altitudini, alle variazioni climatiche, alla fauna e alla flora dei loro territori, ecc. Raccontare la vita preistorica significa quindi raccontare la vita, per 3 milioni di anni, di un centi-

naio di miliardi di Uomini che, nati sotto i tropici dell’Africa, si sono sparpagliati dapprima in tutto l’Antico mondo, poi nel mondo intero, creando, in 200.000 generazioni, migliaia di culture. È evidente che ciò non è possibile! Di conseguenza, domande generali del tipo: “Come viveva l’Uomo preistorico?”, “Di che cosa si nutrivano i nostri antenati?”... non hanno molto senso. Abbiamo quindi optato, dopo qualche cenno generale, di scegliere alcuni esempi per ciascuno dei temi trattati, distribuiti per quanto possibile nel tempo e nello spazio. Questi esempi riguardano un sito preciso o una regione, una data precisa o un’epoca, ma illustrando ogni volta un tipo ben definito, ben circoscritto, il più possibile omogeneo al tema scelto, habitat, utensile, alimentazione, società...


GLI ATTORI Tra 10 e 8 milioni di anni fa, il pianeta è percorso da un fremito: i tropici si inaridiscono. Attorno alla foresta equatoriale umida si crea un alone di savana e di foresta rada e in questo paesaggio “originario” si formerà il primo primate superiore stabilmente in piedi, il primo Preumano. La separazione fra Homininae (Preumani poi Umani) e Paninae (Prescimpanzé poi Scimpanzé) forse avvenne a causa di questo cambiamento climatico, appunto fra 10 e 8 milioni di anni fa, in qualche punto dell’Africa tropicale. Toumai (Sahelanthropus tchadensis) e, più tardi, Ardipithecus, Orrorin e i loro compagni vivevano in questo ambiente in parte coperto e in parte scoperto. Ancora arboricoli, ma già bipedi, questi pionieri della nostra linea evolutiva si diversificheranno in un’ampia gamma di forme con destini diversi.

Australopithecus afarensis (Lucy)


AUSTRALOPITECI E KENYANTROPI Verso 4 milioni di anni fa, un nuovo inaridimento riduce gli spazi boschivi. È il tempo degli Australopiteci. Australopithecus bahrelghazali del Ciad. Australopithecus afarensis d’Etiopia, con ambedue i tipi di locomozione, come Orrorin e Ardipithecus; la famosa Lucy e la piccola Selam appartengono a questa specie. Australopithecus anamensis del Kenya, il primo esclusivamente bipede, come lo sarà più tardi l’Uomo. Australopithecus africanus del Sudafrica: il bambino di Taung è stato il primo fossile di questa specie portato alla luce. Australopithecus garhi d’Etiopia. Nutrendosi di frutti, semi e radici, come indica l’usura dei loro denti, questi Preumani si evolvono in un clima tropicale. Un secondo genere coabita, nell’Africa orientale, con gli Australopiteci: è il Kenyantropo (Kenyanthropus platyops), il quale, come dice il nome del genere, viene dal Kenya e, come precisa il nome della specie, ha la faccia piatta.

Kenyantropo


AUSTRALOPITECI ROBUSTI O PARANTROPI Nuovo scenario verso i 3 milioni di anni fa: cambiamento climatico, inaridimento. I Preumani vi si adattano in due maniere. Possiamo definire la prima come una dissuasione fisica in ambiente più scoperto e nel quale si è più vulnerabili alla predazione. Agli Australopiteci, chiamati a volte a torto “gracili”, seguiranno dei cugini o discendenti detti “robusti”, come effettivamente sono. Alcuni paleontologi li chiamano Parantropi per distinguerli dai precedenti. Uno di loro, sudafricano, si chiama Paranthropus robustus. Gli altri, Zinjanthropus aethiopicus (Zinj, in arabo, indica l’Africa orientale) e Zinjanthropus boisei, del Kenya, della Tanzania, dell’Etiopia e del Malawi. Questi Parantropi hanno un apparato masticatore robusto, adatto a un’alimentazione vegetariana coriacea: gli scopritori di Zinjanthropus boisei lo chiamavano anche “schiaccianoci” per via dei suoi denti. Australopiteci e Parantropi forse già utilizzavano e persino sfruttavano la pietra, l’osso e il legno.


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ENTRA IN SCENA L’UOMO La seconda maniera per adattarsi al cambiamento climatico intervenuto 3 milioni di anni fa è quella che possiamo chiamare una dissuasione intellettuale, dissuasione che ha un nome, e non dei meno importanti, l’Uomo. Un po’ più grande dell’Australopiteco e del Kenyantropo, ha la faccia ancora più piatta di quest’ultimo, gli arti inferiori più allungati e quelli superiori più corti, mani più prensili, uno scheletro meglio adattato alla stazione eretta e all’andatura bipede, divenuta ormai esclusiva. La dentatura da onnivoro gli permette di aggiungere la carne al menu vegetariano dei suoi predecessori. Infine, il suo cervello si sviluppa (maggiore volume, maggiore complessità dei lobi con vascolarizzazione più complessa): da questo cervello emergerà una certa coscienza riflessa, l’attitudine a sapere che si sa e, con questa facoltà, la cognizione (la capacità di comprendere) e ben presto il pensiero simbolico.


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Lungi dall’essere lineare, l’evoluzione del genere Homo conoscerà almeno tre stadi essenziali: Homo habilis, che possiamo chiamare Uomo primo; Homo erectus o Uomo intermedio; Homo sapiens o Uomo moderno; e altre forme successive o prossime. Secondo i luoghi in cui furono scoperti o la fantasia dei loro scopritori, le ramificazioni dei tre stadi portano nomi differenti. HOMO HABILIS, “l’Uomo abile”, comparso fra 3 e 2,5 milioni di anni fa, condividerà la savana con Homo rudolfensis, i cui resti – che servono da riferimento, in questo caso un cranio (si chiama tipo) – sono stati scoperti a Koobi Fora, in Kenya, presso il lago Rodolfo, l’attuale lago Turkana. Twiggy, dal nome della top model londinese particolarmente sottile, è un giovane Homo habilis, scoperto, come il tipo della specie, nella gola di Olduvai, in Tanzania; altri ancora sono George e Cinderella. Verso 2,5 milioni di anni fa, Homo habilis (o Homo rudolfensis), dalla culla africana si lancia verso nuovi territori. Ben presto si avventura, attraverso il Vicino Oriente, in Europa e in Asia, come attestano i suoi resti o i suoi utensili, datati forse a più di 2 milioni di anni fa, ritrovati a Yiron in Israele, a Saint-Eble nel Massiccio Centrale francese, in Pakistan, o a Longuppo in Cina.

Scena familiare di Homo erectus


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Si è invece certi che 1,8 milioni di anni fa è a Dmanissi, nel Caucaso (Georgia), dove è generosamente rappresentato da resti dello scheletro, da utensili e da residui della parte carnea della sua alimentazione. Per comodità lo si chiama Homo georgicus. HOMO ERECTUS. Verso 1,8 milioni di anni fa appare in Africa e in tutti i luoghi dove è presente l’Uomo primo da cui discende (forse Homo rudolfensis), Homo erectus, “l’Uomo in piedi”, anch’egli preceduto da una forma più antica, da alcuni battezzata Homo ergaster, “l’artigiano”. Per 500.000 anni Homo erectus, longilineo, buon corridore, abile cacciatore, affiancherà Homo habilis, il quale sembra scomparire circa 1,3 milioni di anni fa. Chiamato Sinantropo in Cina, Atlantropo in Algeria, Pitecantropo in Indonesia, Homo erectus ha dato vita per lo meno a quattro discendenti. In effetti è demograficamente troppo poco rappresentato per una superficie ormai troppo ampia perché un unico flusso genetico circoli fra tutte le sue popolazioni. Homo erectus diventerà quindi: Homo sapiens in Africa e nell’Asia continentale o solo in Africa, Homo neanderthalensis in Europa e nel Medio Oriente, Homo soloensis a Giava, Homo floresiensis nell’isola di Flores.


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Arrivato in Europa, Homo erectus rimarrà prigioniero delle nevi durante le glaciazioni e dell’acqua nei periodi interglaciali. Questo isolamento produrrà una deriva genetica all’origine di una specie particolare: l’Uomo di Neandertal, che deve il nome alla valle di Neander in Germania, dove fu scoperto nel 1856. UOMO DI NEANDERTAL. Poderoso nella struttura e muscoloso, aveva un grosso cuscinetto sopra alle orbite, naso possente, fronte e mento sfuggenti in una faccia allungata e massiccia, un po’ proiettata in avanti nella parte centrale che gli dava quell’aspetto tanto denigrato. Possedeva, invece, un cervello di misura rispettabile e un apparato locomotore molto moderno. L’avventura di questi Uomini coprirà centinaia di migliaia di anni: nati dunque in Europa (in Inghilterra, cacciano l’ippopotamo sulle rive del Tamigi), si spostano più tardi verso il Vicino Oriente e l’Asia centrale, fino all’Uzbekistan e alla Siberia. Meno di 30.000 anni fa queste orde si assottigliano fino a scomparire per ragioni ancora poco chiare.

L’Uomo di Neandertal caccia l’ippopotamo


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HOMO SOLOENSIS, o Uomo di Giava, discende anch’egli dall’Homo erectus continentale, ma è isolato dal mare invece che dai ghiacciai. Per circa un milione di anni si sviluppa a Giava come specie autoctona e finisce per acquisire i tratti di un Uomo con notevole capacità endocranica, scoperto in riva al fiume Solo, da cui il nome della specie. HOMO FLORESIENSIS, o Uomo di Flores, sembra invece discendere da un Homo erectus già insulare, forse l’Uomo di Giava. Tuttavia, trovandosi isolato, a partire da 800.000 anni fa, su una piccola isola scarsamente popolata, con un ecosistema più povero, meno cibo e meno prede, ha subìto, come tanti altri mammiferi nelle medesime circostanze, per squilibri ormonali e ricerca mal spiegata di una sorta di ideale energetico, il nanismo insulare. Homo floresiensis è alto circa un metro, ha un cervello di circa 400 cm3, ma produce utensili molto belli. I suoi resti di 18.000 anni fa, scoperti di recente, mostrano che conosceva anche il fuoco.


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HOMO SAPIENS La comparsa di Homo sapiens costituisce un problema. Per alcuni nasce da Homo erectus, dovunque questi si trovi, in Africa e in Asia continentale. Per altri, nasce sì da Homo erectus, ma in un unico focolaio africano, dal quale si diffonderà altrove, come a suo tempo Homo habilis o Homo rudolfensis, l’Uomo primo. Homo sapiens approda in Australia 50.000 o 60.000 anni fa e raggiunge l’Europa nello stesso periodo. In Dordogna (Francia) viene scoperto nel 1868 nelle terre del signor Magnon, in una grotta, un cro, nella lingua locale. Prende allora il nome di Cro-Magnon, che ben presto designerà tutti gli Homo sapiens arcaici d’Europa. Nel corso delle sue peregrinazioni incontra Homo soloensis, Homo floresiensis e i Neandertaliani, discendenti dei primi coloni dei territori su cui si insedia. Ogni volta, dopo alcune migliaia di anni di coabitazione con i suoi predecessori, è lui solo a restare, mentre la popolazione autoctona si estingue. Prima di affrontare i differenti aspetti della


vita degli Uomini preistorici, osserviamo brevemente il comportamento dei primissimi attori, i Preumani. Sarà un’osservazione breve, perché l’unica documentazione che abbiamo è il loro scheletro: forma, articolazioni, microstruttura e contenuto biochimico; i loro denti: microusura, microstruttura; il loro ambiente. Vivendo in zone di foreste non fitte, di savane più o meno alberate, di praterie o steppe, questi esseri gustavano frutti, rosicchiavano giovani germogli, dissotterravano tuberi e non si lasciavano scappare eventuali piccole prede: lo testimoniano le loro dentature. Tutti questi predecessori sono ormai stabilmente eretti, camminano più o meno bene secondo le specie e alcuni continuano ad arrampicarsi. Come i primati, vivono in società; come gli esseri sociali, comunicano (grida, suoni, gesti, mimiche). Per sfuggire ai predatori devono essere vigilanti, rifugiarsi tra gli alberi o nelle grotte, elaborare strategie di difesa, di alimentazione, di sopravvivenza, a un livello pari alla loro mente in crescita. Passiamo agli Umani: dove vivevano, che cosa mangiavano, come si coprivano il corpo? Quali le loro strategie di esistenza e di sussistenza?


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L’ H

ABITAT

Per 3 milioni di anni, l’habitat è stato nomade, ma ci sono mille modi di essere nomadi! Il nomadismo è un opportunismo: se la raccolta è fruttuosa, se la selvaggina è abbondante in un qualche luogo, per qualche tempo, il vagabondaggio si arresterà fino a quando un nuovo spostamento si imporrà perché più piacevole o più importante (ricerca di un altro alimento o di materia prima, competizione, motivi meteorologici...). Poiché l’Uomo fabbrica utensili di pietra e di osso, consuma anche carne, e giacché la pietra, l’osso, i denti si conservano meglio dei vegetali, lo studioso di preistoria può ritrovare i luoghi dove l’Uomo ha soggiornato. Distinguerà, fin dalle epoche più remote, i campi base (prova che gli Umani vivevano in società e vi portavano il cibo per condividerlo), gli accampamenti provvisori, i laboratori di taglio, le aree dove veniva smembrata la selvaggina... Un campo base rappresenta un insediamento prolungato con una grande varietà di utensili, molti di grandi dimensioni. I più antichi di questi campi base sono un vero guazzabuglio: si dorme dove si mangia, dove si taglia la pietra, dove si seziona la carne.

Un habitat di Homo erectus


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E poi i comportamenti si affinano e il territorio poco a poco si organizza e si specializza. Non si dorme più dove si prepara la carne, ma le aree dove si svolgono queste attività restano molto vicine. La tappa successiva sarà l’allontanamento di queste stesse aree; le medesime funzioni potranno essere distanti parecchie decine o centinaia di metri. Si distingueranno allora i laboratori di fabbricazione degli utensili, identificabili dal gran numero di schegge di pietra o di osso e di scarti. Il luogo dove la selvaggina viene scuoiata e smembrata sarà riconoscibile per la scarsa varietà degli utensili, seppur con abbondanti schegge di pietra, come nei laboratori di taglio. Negli accampamenti provvisori, insediamenti brevi, luoghi di attività legata all’alimentazione, soste per fabbricare pochi utensili, le vestigia sono modeste. I primissimi, trovati a Hadar e a Omo (Etiopia), intorno al lago Turkana (Kenya), risalgono a 2,5 milioni di anni fa e più. Dopo queste informazioni generali, vediamo qualche esempio di strutture di habitat scelte nel tempo e nello spazio.

Capanne di cacciatori di renne (Homo sapiens)


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LA CAPANNA DI OLDUVAI Tanzania, 1,8 milioni di anni fa A Olduvai, su un suolo di habitat risalente a 1,8 milioni di anni fa, compare per la prima volta una struttura. Piccoli massi di basalto, con un diametro medio di 10-15 cm, ma a volte di 25 cm e più, sono raggruppati in mucchietti alti 30 cm, separati da intervalli fra i 60 e i 75 cm. Questi mucchietti disegnano un cerchio di circa 4 metri di diametro e quindi un’area centrale piatta quasi sprovvista di oggetti, mentre pietre tagliate e resti di cucina (ossa) sono disseminati per terra all’esterno. Tutti sono d’accordo nell’interpretarla come una struttura costruita, un riparo o un’abitazione, dove i mucchietti di basalto servivano per bloccare pali o archetti, legati insieme da pelli o fogliame. È la prima “architettura” del mondo!


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LA TENDA DEL LAZARET Francia, 160.000 anni fa Circa 160.000 anni fa, al Lazaret, vicino a Nizza (Francia) Homo neanderthalensis utilizza una falesia: vi addossa una tenda di pelli, tenuta perpendicolare alla parete rocciosa per mezzo di una tettoia. Realizza così un’ampia capanna lunga 11 metri e larga 3,50. La distribuzione dei resti sul terreno rivela numerose informazioni: molte conchiglie circondavano due focolari, scavati in piccole depressioni. Poiché queste conchiglie si possono trovare ancor oggi attaccate ad alghe sulla vicina spiaggia, sono state interpretate come prove di giacigli d’alghe, evidentemente scomparse: sul luogo sono rimaste solo le conchiglie. Attorno a questi “materassi” gli studiosi di preistoria hanno rinvenuto artigli di lupo; ne hanno dedotto che si usassero come coperte delle pellicce, con le zampe verso l’esterno del giaciglio: dopo la scomparsa delle pelli, sono rimasti solo gli artigli.


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IL VILLAGGIO DI MEZIRIČI Ucraina, 15.000 anni fa Il terzo tipo di habitat preso in esame, molto più recente dato che ha solo 15.00010.000 anni, è rappresentato dalle capanne rotonde di Meziriči in Ucraina. Gli ultimi mammut percorrono ancora le steppe: quando l’Uomo riesce a catturarli per nutrirsene e ricavarne abiti, o quando ne trova i cadaveri o gli scheletri, impara a sfruttarne le ossa per fabbricare utensili, ma anche a usarle come materiale da costruzione. Una delle capanne comprende 385 ossa! Alla base, 25 crani, 20 bacini, 10 ossa lunghe; sopra, 12 crani, 30 scapole, 20 femori, 15 bacini, 7 colonne vertebrali parziali; a coronare il tutto, 35 zanne; numerose vertebre o frammenti di ossa nei buchi; 95 mandibole accatastate all’esterno: una doppia parete di protezione o riserva di combustibile. Dei fori praticati nelle ossa permettevano, con l’aiuto di tendini, di assemblarle o di tendere delle pelli tra l’una e l’altra, realizzando così pareti divisorie per gli spazi interni.


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A volte due ossa lunghe perforate, piantate verticalmente ai due lati del focolare, ne sostenevano una terza, orizzontale, formando cosĂŹ un sistema rotante che doveva funzionare come una specie di spiedo. Altre volte delle ossa piantate davanti all’entrata avevano un foro che serviva da spioncino per vedere chi arrivava... Delle pelli ricoprivano il tutto per renderlo impermeabile. Il villaggio di MeziricĚŒi contava parecchie di queste abitazioni dove alloggiavano piĂš di 50 individui; di forma subcircolare, avevano da 8 a 24 m2 di area abitabile e la disposizione delle ossa era diversa in ogni capanna. Un centinaio di questi villaggi sono stati identificati in Ucraina, in Russia, in Bielorussia, in Moravia, in Polonia.


GLI UTENSILI Gli utensili sono tutti gli oggetti che l’Uomo ha utilizzato (utensile di primo grado) e quelli di cui ha cambiato la forma (utensile di secondo grado: ne occorre un secondo per agire sul primo). L’Uomo, opportunista, dapprima si è servito di ciò che aveva a portata di mano, pietra, osso, legno, corno; fra queste quattro categorie la pietra è la più resistente. Si studia quindi soprattutto l’utensile di pietra, usata come tale o tagliata. Inizialmente si è detto: “L’utensile è l’Uomo”, ma molti animali usano oggetti a prolungamento del loro corpo. Poi si è detto: “L’utensile lavorato è l’Uomo”, ma lo scimpanzé, per esempio, strappa le foglie da un ramo per renderlo liscio e adatto a “pescare” nei loro buchi formiche o termiti. Allora si è detto: “L’utensile permanente e in quantità è l’Uomo” ed è vero che, appena compare, l’utensile diviene presto una necessità: non c’è Uomo senza utensili. Questa terza definizione, la meno sbagliata, merita una qualche sfumatura e dunque, anziché “l’Uomo”, occorre dire: “Gli Homininae di 3,5-2,5 milioni di anni fa”. Questi Homininae sono sicuramente i soli primati superiori ad aver lavorato la pietra. Quindi la pietra tagliata è proprio la nostra invenzione e la sua presenza firma la nostra presenza, quella dell’Uomo o dei suoi immediati progenitori. Quando si parla di utensili, si deve tener conto delle loro tre grandi caratteristiche: – la continuità: all’opposto di quanto avviene nell’evoluzione biologica; – la tesaurizzazione: le novità spesso si assommano; – l’arricchimento: alla crescente efficacia si aggiunge la diversità degli utensili e la diversità delle loro funzioni.


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Per misurare l’evoluzione dell’efficacia, applichiamo il seguente piccolo conteggio: per ogni periodo pesiamo un chilo di pietre tagliate (dello stesso tipo, selce per esempio) e misuriamo la lunghezza del taglio (la parte utile e utilizzata della pietra tagliata). Per: – 1 kg di pietre tagliate di 2 milioni di anni fa, otterremo 10 cm di taglio; – 1 kg di 500.000 anni fa, 40 cm; – 1 kg di 50.000 anni fa, 200 cm; – 1 kg di 20.000 anni fa, 2.000 cm; – 1 kg di 10.000 anni (microliti), 7.000 cm. Usiamo ora un altro sistema per mostrare i progressi della tecnica e degli strumenti umani in generale, tenendo conto, questa volta, del tempo (come durata). Prendiamo due quadranti di 12 ore, dove un’ora vale 100.000 anni: – il primo quadrante sarà occupato solo dagli utensili detti olduvaiani, dai loro antecedenti e dai loro rari sviluppi (circa 1,2 milioni di anni); – le prime undici ore del secondo quadrante saranno occupate dagli utensili detti acheuleani (circa 1,1 milioni di anni) e l’ultima ora dallo straordinario miglioramento delle dimensioni, dalla diversificazione delle tecniche e dei prodotti, dall’invenzione degli utensili levigati, degli utensili metallici, degli utensili di acciaio... Come per l’habitat, scegliamo alcuni esempi di depositi di utensili.


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IL DEPOSITO DI GOMBORÉ Etiopia, 1,5 milioni di anni fa Il primo deposito che abbiamo scelto, risalente a 1,5 milioni di anni fa, è quello trovato a Gomboré, Melka Kunturé, in Etiopia. Detto olduvaiano, appartiene a Homo habilis o ai primissimi Homo erectus (Homo ergaster). Composto essenzialmente da utensili su ciottoli e da materiale di percussione, contiene anche schegge e schegge lavorate. Gli utensili su ciottoli presentano una grande varietà: sono i chopper, o strumenti con margine tagliente ottenuti per distacco di schegge su una o ambedue le facce; i poliedri, ottenuti mediante successivi distacchi multidirezionali; i rabot e i grattatoi massicci, ottenuti mediante una serie di distacchi verticali lungo un margine, e i becchi a intacco o denticolati su ciottoli. I materiali di percussione sono costituiti da percussori attivi e percussori passivi o incudini.


Dalle schegge grezze o ritoccate si fabbricano anche raschiatoi, grattatoi, utensili a intacco o denticolati, strumenti con ritocchi vari. Non dimentichiamo infine i nuclei di pietra restanti dopo il taglio. Le rispettive proporzioni di ognuna di queste categorie variano molto secondo il sito di provenienza e l’uso a cui erano destinate. Questo elenco un po’ tecnico ha come unico scopo mostrare la diversificazione degli utensili, e quindi delle attività, di quei periodi antichissimi. Gli utensili tagliano e sezionano la selvaggina, pelano o raschiano i tuberi. I percussori schiacciano i semi, i gusci di alcuni frutti, le ossa con il midollo e i crani per estrarne le “cervella”; servono anche per il taglio, che viene praticato in questo caso con un percussore duro (pietra su pietra).


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LA BELLA SIMMETRIA DEGLI UTENSILI DI NADUIYEH, Siria, 500.000 anni fa La Siria, come del resto tutto il Vicino Oriente, ha prodotto una superba successione di culture lungo l’ultimo milione di anni. Abbiamo scelto il sito di Naduiyeh perché, oltre agli utensili, ne ha rivelato generosamente l’artigiano, un Homo erectus, grazie a parti del suo cranio ritrovate in loco. Lo strato archeologico che corrisponde a queste scoperte è un suolo di habitat con resti di alimentazione carnea (uri, antilopi, gazzelle ma anche cavalli, cammelli, tartarughe, uccelli).


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Il clima era dolce e secco e favoriva la crescita di graminacee, pini, ginepri. Il deposito di utensili è costituito per la maggior parte da bifacciali molto standardizzati, lavorati assai accuratamente. La loro forma, spesso ovaleggiante o a mandorla (amigdala), viene ottenuta per mezzo di un percussore tenero di legno o di corno. Alcuni a lama trasversale potrebbero chiamarsi accette. Gli utensili su schegge sono invece piÚ rari in questo sito, a cui possiamo facilmente attribuire mezzo milione di anni.


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IL DEPOSITO DI TELARMACHAY Perù, 9.000 anni fa Dallo scioglimento dei ghiacciai, circa 10.000 anni fa, gli altopiani delle Ande, sopra ai 4.000 metri, vengono colonizzati dalla vegetazione, da numerosi branchi di cervidi e di camelidi (vigogne e guanachi) che vanno a pascolarvi e dai cacciatori che si nutrono di questi grandi erbivori. A Telarmachay, in Perù, a 4.420 metri di altitudine, gli Uomini preistorici, che si spostavano in funzione delle piogge e dei relativi movimenti di selvaggina, erano insediati in modo non meno confortevole. L’habitat e i focolari erano protetti da paraventi di paglia o di pelli e da muretti in pietra e l’habitat stesso era suddiviso in aree specializzate: il laboratorio per il taglio della pietra, per la preparazione delle pelli, zone riservate alla macellazione della carne e zone di soggiorno: “sala da pranzo” e “camere”.


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Gli utensili (su schegge) sono, nel complesso, ricchi e accuratamente tagliati a un tempo: – in pietra, si tratta soprattutto di oggetti bifacciali per la caccia, da applicare sulle frecce lanciate con il propulsore, ma anche di grattatoi per le pelli; – in osso, bulini, lesine, spatole e ancora grattatoi completano l’attrezzatura precedente. Percussori, mole e pestelli in pietra sono stati utilizzati, inoltre, per rompere le ossa o lavorare i vegetali raccolti. Infine, numerose corna di cervidi devono essere servite, come di frequente, per rompere la pietra e poi tagliarla mediante percussione e ritoccarla mediante pressione.


IL CIBO Procurarsi il cibo, per i Preumani, era probabilmente una questione di ricerca individuale. Con la coscienza (?), la parola (?), l’utensile e lo sviluppo di un’alimentazione onnivora, negli Umani si instaura una divisione per sesso nel compito di procurarsi il nutrimento, così come si giunge all’insediamento di campi base e all’organizzazione della spartizione degli alimenti. Si pensa che le donne, con a carico i bambini, si occupassero più della raccolta e della cattura di piccola selvaggina e gli uomini, più mobili, della caccia e forse della caccia in gruppo. Si è molto dibattuto per sapere se il consumo di carogne avesse preceduto o accompagnato la caccia vera e propria: l’Uomo è certo abbastanza coraggioso, audace, furbo e opportunista per aver praticato subito ambedue in funzione delle circostanze. Cacciare è sempre consistito nel catturare la preda senza subire danni; perciò si è dovuto farla cadere in trappola o colpirla da una distanza sempre maggiore, perché la sicurezza aumentava in proporzione alla distanza. Dopo le pietre da lancio (bolas, anche raggruppate in una sorta di rete da scagliare verso l’animale o fra le sue zampe), si sono sviluppati spiedi, lance, zagaglie e giavellotti vari. Poi sono state inventate attrezzature per scagliarli ancora più lontano: il propulsore (un bastone vegetale o animale con un uncino all’estremità su cui è assicurata la base della lancia, moltiplicando la forza del lanciatore) e, più tardi, l’arco. Accanto alla caccia, si è evidentemente sviluppata la pesca, con gli stessi strumenti, poi con utensili sempre più specializzati e sempre più efficaci (arponi, fiocine, ami, reti di tutti i tipi). Infine, la raccolta di vegetali selvatici (piante, semi, frutti), funghi, lumache, conchiglie non richiedeva alcun utensile. Anche la raccolta di animali con conchiglia lascia delle tracce: i depositi di lumache del Capsiano in Nordafrica (10.000 anni fa) o i molteplici cumuli di conchiglie delle coste sudamericane, delle lagune del golfo di Guinea, delle isole del Morbihan (Téviecien, 8.000 anni fa) sono alcuni dei più famosi tra mille esempi. L’Uomo di Neandertal caccia l’orso


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In modo schematico, potremmo riassumere così la nostra storia alimentare: – 10 milioni di anni fa: insetti, frutti + tuberi; – 3 milioni di anni fa: frutti, tuberi + carne; – da 800.000 a 500.000 anni fa: frutti, tuberi, carni, crude o cotte; – da 12.000 a 10.000 anni fa: frutti, tuberi, graminacee, carni, crude o cotte, di selvaggina o di animali domestici. Come sappiamo, la Preistoria inizia soltanto 3 milioni di anni fa. Poiché i resti dell’alimentazione carnea si conservano mille volte meglio di quelli dell’alimentazione vegetariana, abbiamo accesso soprattutto ai primi (ossa, lische, denti) e alle raccolte di gusci, nella misura in cui questi non erano deperibili (frutti di mare, lumache). La lettura dell’usura dei denti o ricerche biochimiche sulle ossa o sui denti hanno permesso di completare, talvolta di precisare in modo magico, il quadro dei regimi alimentari. Per esempio, si sono potuti distinguere Neandertaliani di periodi temperati con alimentazione soprattutto vegetariana, Neandertaliani di periodi freddi con alimentazione prevalentemente carnea (usura dei denti di Krapina in Croazia), Neandertaliani golosi di carne di renna più che di bisonte, Neandertaliani dal gusto raffinato che preferiscono l’acqua di una sorgente a quella di altre due, sebbene a uguale distanza dal loro habitat. E ancora, scrutando la chimica interna delle ossa degli Uomini neolitici centroamericani, si è scoperto che il loro consumo di mais coltivato ebbe inizio 7.000 anni fa. Vediamo ora tre esempi di acquisizione di cibo (consumo di carogne e caccia) e tre menu.


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La pesca di Homo sapiens


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IL CONSUMO DI UNA CAROGNA A BAROGALI Gibuti, 1,5 milioni di anni fa Una macellazione evidente è quella dell’elefante (Elephas recki) di Barogali nel Gibuti, ucciso da uomini o scoperto morto e conteso ad altri predatori. Dato che sono rispettate le unità di luogo, di tempo, di selvaggina e di attività, si può pensare che in effetti si tratti dello sfruttamento opportunista di un’unica carcassa: lo scheletro era completo, il cranio spezzato (per estrarre il cervello, chiamato in termini alimentari “cervella”), le due parti della mascella inferiore erano squartate (per estrarre la lingua), le ossa lunghe spezzate o schiacciate (per estrarre il midollo). 550 utensili per uccidere (bolas sfaccettate, bolas picchiettate), per macellare e tagliare (chopper, coltelli, schegge) erano mescolati alle ossa e distribuiti sulla stessa area occupata dai resti sparsi di quest’unico animale. Le autorità del Gibuti furono così colpite dalla chiarezza di questa scoperta e dalla sua spiegazione che le dedicarono un francobollo.


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UN APPOSTAMENTO A PINCEVENT Francia, 12.000 anni fa Durante il Maddaleniano, sulle rive della Senna presso Fontainebleau, il campo di Pincevent ci informa sulla caccia alla renna. La renna, con il suo pelo spesso, fitto, caldo in inverno, più corto in estate, è una dispensa vivente di 120-150 chili; alta m 1,20 al garrese, lunga fino a 2 metri, vive in branchi di 200-300 capi nella tundra e nella foresta fredda; i larghi zoccoli le permettono di spostarsi sulla neve senza affondare; le corna, a palchi appiattiti e allargati, possono raggiungere m 1,50 in ampiezza e pesare fra i 3 e gli 11 chili. Nelle loro migrazioni stagionali, questi animali attraversano i fiumi a nuoto, ma passano volentieri a guado se ne hanno la possibilità. È il caso di Pincevent. I cacciatori vi avevano piantato le loro tende circolari, fatte di pelli tese su un’armatura di rami e di corna di renna, e tendevano imboscate appostandosi sul passaggio dei grandi erbivori. Questo periodo è stato chiamato “civiltà della renna” (così come si è chiamata la cultura eschimese della Groenlandia “civiltà della foca”, o quella del Paleolitico superiore nell’Europa centrale “civiltà del mammut”).


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In effetti gli Uomini utilizzavano tutto della renna: la carne (arrostita, bollita, affumicata, essiccata), le frattaglie (per i pittori di Lascaux formavano l’88,7% dei loro panini imbottiti!); le pelli fornivano i capi di abbigliamento (cappucci, stivali, mocassini), i “teli” delle tende, i giacigli, le borse, gli otri, le borracce, i più svariati recipienti. Una volta consumato il midollo, le ossa venivano trasformate in bulini, lesine, lisciatoi, aghi, utensili per i ritocchi, percussori... o scolpite a perle e a rondelle per superbi ornamenti. I denti, grezzi o levigati, venivano aggiunti alle collane o utilizzati come raschiatoi. Le corna, accuratamente tagliate, servivano per fabbricare bottoni e aghi con la cruna (i primi!), propulsori, raddrizzatori di zagaglie, arponi; i tendini e i legamenti diventavano filo per cucire, corregge per le trappole; le scapole, piatti; il grasso, combustibile per le lampade a olio e l’impermeabilizzazione delle pelli... La renna è quindi materiale, ma sarà anche modello: la si troverà incisa, dipinta, scolpita in numerosi siti, su numerose pareti.


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LA CACCIA NELLA BAIA DELL’INDIPENDENZA Groenlandia, 5.000 anni fa Circa 14.000 anni fa l’ultima glaciazione svuota lo stretto di Behring; dall’Asia, gli uomini passano in Alaska, dove cacciano il mammut, il bue muschiato, il caribù; sono attrezzati con punte bifacciali lanceolate e con microliti della cultura siberiana. Poi, 8.000 anni fa, il clima si riscalda: il grande ghiacciaio nordamericano si apre, rivelando a poco a poco ai cacciatori, per la prima volta, le immensità del grande Nord canadese, le isole Victoria, Banks, Melville, Regina Elisabetta, Ellesmere e la Groenlandia. Dovendo ormai misurarsi con le rive dell’oceano Artico e con la nuova selvaggina, foche, trichechi e balene, si adattano alla caccia e alla vita ai confini tra terra e acqua, alla banchisa in inverno e all’inlandsis tutto l’anno. Punte da lancio immanicate, bifacciali o peduncolate, rimarranno accanto ad arponi molto larghi, a punte di freccia per gli archi, a lame, a bulini levigati. Pur continuando a cacciare il caribù e il bue muschiato, pescano nei laghi e nei fiumi, ma si lanciano anche in mare all’inseguimento dei mammiferi marini: inventano le “baleniere” in pelle e, ben presto, i galleggianti per non perdere la selvaggina arpionata, i kayak, gli umiak, gli sci, le slitte con i cani...


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UN MENU DI HOMO HABILIS A OLDUVAI Tanzania, 1,8 milioni di anni fa Il primo menu scelto è quello di Homo habilis, costruttore della capanna di Olduvai in Tanzania, 1,8 milioni di anni fa. Ebbene, questo menu, estremamente variato e quindi molto opportunista, si componeva di grossa selvaggina come di piccole prede. La grossa selvaggina comprendeva, in ordine di importanza, bovidi, suidi, equidi, seguiti dalle carni di carnivori (iena, sciacallo, volpe, mangusta, genetta...), giraffidi, rinocerontidi, ippopotamidi, elefantidi, dinoteridi, primati, calicoteridi, e, in alcuni siti di caccia specializzata, di coccodrilli e cheloni (tartarughe). A questi piatti forti dobbiamo aggiungere, come antipasto o come dessert, il lunghissimo elenco delle piccole prede: uccelli (fenicotteri, anatre, avocette...), roditori (scoiattoli, ricci, talpe...), pipistrelli, toporagni, lepri, pesci (siluri...), serpenti (pitoni, vipere...), lucertole, camaleonti, anfibi (rane, rospi...).


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IL MENU DI CIBI COTTI DELL’UOMO DI PECHINO Zhoukoudian, Cina, 700.000 anni fa L’Homo erectus di Zhoukoudian o Sinantropo o Uomo di Pechino, risalente a 700.000 anni fa, viveva in un clima dolce, in un paesaggio di praterie piuttosto che di foreste. Forse primo fra tutti gli Uomini, aveva la padronanza del fuoco (solo un sito in Israele, di un’epoca prossima, potrebbe competere con Zhoukoudian). Questo Uomo poteva dunque cuocere i cibi per consumarli o conservarli. Possiamo farci un’idea del menu di carne di questo cugino dell’Estremo Oriente grazie alle ossa di animali ritrovate sul terreno: rinoceronte, cavallo, elefante, castoro, maiale, bovidi, cervidi, montone, cammello e persino macaco. Gli utensili per cacciare, squartare, tagliare erano realizzati su grandi schegge, di quarzo, quarzite o selce, materie prime raccolte sul terreno alluvionale del fiume Zhoukou. Alcuni begli utensili in osso, delle punte e dei picconi completano il deposito di questo Uomo, decisamente ben attrezzato!


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LE SEMINE DEL GIORDANO DI HOMO SAPIENS Israele, Giordania, 11.000 anni fa L’ultimo esempio di alimentazione da noi scelto, e si impone, è quello che inaugura l’economia di produzione. È un esempio preso dal Vicino Oriente, nella valle del Giordano, la regione che registra la datazione più alta – 11.000 anni – per la domesticazione di piante e per l’agricoltura vera e propria (semine). La prima domesticazione abbastanza inaspettata potrebbe essere stata quella del fico: effettivamente nei siti abitati si sono trovati resti di fichi e di semi vuoti, a testimonianza che i frutti sono maturati senza impollinazione e che gli alberi, riprodotti per talea, sono stati dunque portati dall’Uomo. Nello stesso periodo o leggermente più tardi, i primi “agricoltori” che raccolgono e immagazzinano da tempo il grano selvatico lo semineranno, attorno a 11.000 anni fa, e lo miglioreranno ottenendo, verso 10.000 anni fa, la spelta e poi il farro (tutte specie di frumento del genere Triticum). Al tempo stesso diversificheranno la produzione, e di conseguenza il loro menu, coltivando l’orzo, la segale, le lenticchie, i piselli, i ceci, le vecce, l’erba medica e il trifoglio.


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Questi stessi Uomini, accompagnati da gran tempo dal cane, addomesticheranno e poi alleveranno, nell’ordine, le capre (a partire dallo stambecco), i bovini (a partire dall’uro), gli ovini (a partire dal muflone), i suini (a partire dal cinghiale)... Cereali e leguminose immagazzinati, carne a portata di mano, ecco l’Umanità avviarsi verso un’era di prosperità. La popolazione umana, stimata a 500.000 persone 12.000 anni fa, passa a 5 milioni attorno a 10.000 anni fa! Appena qualche migliaio di anni più tardi, sarà l’America centrale (circa 7.000 anni fa) e poi andina a offrire mais, fave, fagioli, zucche, patate, pomodori, avocadi, patate dolci, pistacchi... Con la moltiplicazione dei viaggi, delle comunicazioni e degli scambi, le scoperte degli uni e quelle degli altri oggi fanno parte dell’alimentazione di base di tutta l’Umanità o quasi.


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IL VESTIARIO Poiché il Primate è peloso e l’Uomo che ne discende è nudo, è chiaro che in un qualche punto di questo lungo percorso gran parte dei peli è scomparsa. Dato però che anche qui le ossa non ci sono di alcun aiuto, ci accontentiamo dei soli ragionamenti. Si dice, per esempio, che il raddrizzamento del corpo (10 milioni di anni fa) o il bipedismo esclusivo (4 milioni di anni fa) o la fabbricazione di utensili (3 milioni di anni fa) abbiano comportato nuove traspirazioni (per regolare la temperatura del corpo) facilitate dalla scomparsa del pelame. Alla stessa maniera, non è facile dedurre il vestiario da frammenti di scheletro. Il buon senso ci ha suggerito da tempo che l’Uomo preistorico fosse vestito con pelli di animali! Immaginiamo infatti che vedendo gli animali da lui cacciati e macellati provvisti di pelliccia, l’Uomo fosse abbastanza furbo da coprirsene quando faceva freddo. Certi ornamenti che potevano essere stati fissati sugli abiti (100.000 anni fa), dei bulini (40.000 anni fa), degli aghi con la cruna (20.000 anni fa), dei fermagli, delle spille, dei bottoni ancora più recenti, suggeriscono l’incontestabile evoluzione delle mode preistoriche.


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LE SIGNORE DI LESPUGUE Francia, circa 23.000 anni fa La statuetta di Lespugue, chiamata Venere, come le altre statutette femminili del Paleolitico superiore, è stata scoperta nel 1922 nella grotta dei Rideaux, nell’Alta Garonna (Francia). Risale a circa 23.000 anni fa, è scolpita in avorio di mammut ed è alta 147 mm. La testa ovoidale, piccola e protesa in avanti, è perfettamente liscia frontalmente, mentre sul retro presenta una lunga capigliatura ben tagliata, resa da tratti paralleli incisi; il collo elegante, ben staccato; il torace minuto con le spalle cadenti, racchiuso dalle braccia in posizione simmetrica, con gli avambracci posati sul seno; i seni con l’attaccatura bassa, così pesanti da ricadere sul ventre; la schiena senza rilievi, lievemente curva per la posizione della testa protesa; la statura non grande; il ventre corto e rotondo; le natiche larghe ma poco inarcate; le cosce forti, curiosamente coperte sul retro da una specie di perizoma fatto di striscie intrecciate che terminano in frange; infine le gambe corte e serrate e piedini appena accennati. La mia scelta della Venere di Lespugue per illustrare il vestiario è paradossale. In realtà io sono quello che l’ha svestita del suo sedicente perizoma. Penso che questa statuetta, che di faccia rappresenta una donna, sul retro ne rappresenti di fatto due!


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Se sono giunto a questa conclusione è perché le natiche sono capovolte. Se osserviamo il retro della statuetta, la prima signora mi parrebbe una giovane donna seduta sulle natiche dell’altra; la seconda (capovolgendo la statuetta) sembra una donna meno giovane, la cui testa è stata interpretata come i piedi e le gambe dell’altra, il busto come le sue cosce, la capigliatura accuratamente intrecciata come il suo perizoma. Sarebbero quindi due donne nude, con il corpo e le capigliature molto differenti, forse simbolo di due età diverse. Questo esempio non sembrerebbe aiutare molto la descrizione del vestiario del Paleolitico superiore, e tuttavia... Vediamo altre Veneri della stessa epoca: quella di Avdeevo (Kursk), in Russia, reca sul polso destro un bracciale a doppio anello e una cintura a cercine; quella di Brassempouy (Landes), in Francia, ha sulla testa una quadrettatura incisa che potrebbe rappresentare una capigliatura molto ricercata o un cappuccio; quella di Willendorf (Spitz), in Austria, presenta anch’essa un’acconciatura molto accurata con piccole gobbe allineate; quella di Malta (Siberia) sfoggia un abito con cappuccio. Poiché queste stesse genti inventeranno più tardi l’ago con la cruna, significa che sapevano usare i tendini animali come filo per fare nodi, unire borse o reti e, sicuramente, cucire degli abiti.


GLI ORNAMENTI DEL TASSILI Sahara, 12.000 anni fa I periodi più antichi delle pitture rupestri del Tassili n’Ajjer risalgono all’epoca del Sahara verde. Giraffe, antilopi, elefanti, ippopotami, pantere, struzzi e scimmie frequentavano il paese e i suoi stagni. Sull’arenaria gialla, rosa o nera del massiccio si può sfogliare uno straordinario album di immagini evidentemente codificate. Ma se il loro simbolismo ci sfugge in gran parte, i pochi abiti e ornamenti dei personaggi appartengono sicuramente al mondo delle popolazioni che li hanno disegnati. E che cosa vediamo? Le facce, quando sono visibili, e i corpi, spesso nudi, a volte dipinti o scarificati. Ma i visi si nascondono, quasi sempre, sotto maschere a muso o a corna che ricoprono la


faccia tutta o in parte. In alcuni casi una mascherina nasconde gli occhi e un copricapo piumato o una cuffia con orecchie completano l’ornamento della testa. Talora il punto vita è segnato da una cintura, alla quale sono attaccati un perizoma o una gonna di rafia, secondo il sesso. Collane, bracciali ai polsi e sugli avambracci e cavigliere completano gli ornamenti di questi personaggi, a volte molto grandi (“Teste rotonde”), a volte molto piccoli (“Diavoletti”). Borsa in mano o attaccata al polso, talora un arco o un bastone forcuto sono gli accessori di queste creature. Si è loro attribuita una dozzina di migliaia di anni e un’origine incontestabilmente del Sud.


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L’UOMO DEL TIROLO Italia, 5.300 anni fa L’eccezionale conservazione di questo corpo imprigionato nel ghiaccio a -5°/-6°, ininterrottamente dalla morte, ha fatto sì che ormai conosciamo perfettamente l’abbigliamento e anche l’equipaggiamento di questa epoca (Neolitico), in questa regione (le Alpi). Quest’uomo di circa 35-40 anni, con i capelli tagliati, portava, procedendo dall’alto, un berretto di pelle d’orso, legato al mento con una correggia di cuoio, una specie di lunga camicia in pelle di capra, un perizoma di cuoio conciato fermato sulla schiena e sul ventre da una cintura in pelle di vitello. Indossava anche dei “gambali” in pelle di capra, attaccati alla cintura da giarrettiere di cuoio, un mantello di erbe intrecciate e annodate. Quanto alle scarpe in pelli cucite, contenevano un’imbottitura di erba secca, tenuta ferma da una rete di lunghi fili d’erba intrecciati. L’uomo portava alla cintura anche una borsa di cuoio contenente alcuni utensili di


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selce e il necessario per accendere il fuoco, un pugnale di selce con il manico di frassino in un fodero di erbe intrecciate e due funghi infilati all’estremità di una correggia; un pendaglio di marmo bianco era appeso al collo con un laccio di cuoio. Inoltre aveva accanto a sé un’ascia di rame, un arco di legno di tasso, una faretra di cuoio con 14 frecce di salice, di cui solo due con impennatura di piume e punta di selce, pronte all’uso. Una gerla di larice e nocciolo e due secchi di corteccia di betulla completavano la sua panoplia. Questo personaggio, chiamato familiarmente Ötzi, resta avvolto nel mistero, perché ci si domanda e ci si domanderà ancora a lungo che cosa facesse, da solo, a 3.200 metri di altitudine.


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CONCLUSIONE

Appassionato a tutto ciò che lo circonda, l’Uomo, a partire dalle origini e per tentativi successivi, moltiplicando le proprie esperienze con il rigore del ricercatore, ha via via migliorato la propria alimentazione, l’alloggio, gli utensili, il vestiario. La sua evoluzione dipende dalle sue trovate per garantirsi la sopravvivenza e, spesso, le comodità. Ma, col passare dei millenni, dipende anche dalla sua sensibilità, dal suo bisogno di non accontentarsi più del solo necessario. Preoccupato di un aldilà, seppellisce i suoi morti con determinati riti: le prime cerimonie. Animato da nuove aspirazioni, ricerca la bellezza, si adorna il corpo e gli abiti, decora utensili e armi.

A partire da 50.000 anni fa, inizia a riprodurre il suo immaginario sulle pareti di roccia, disegnando e incidendo. Ma è verso 30.000 anni fa che Homo sapiens trova l’espressione più compiuta della sua arte, aiutato nella sua ispirazione dalle capacità accumulate, dalla varietà della lunga serie di utensili e dei diversi materiali di cui ha bisogno. In tutti i continenti, le sculture e le pitture rupestri sono le sconvolgenti testimonianze dell’arte e dei culti delle origini. Dedicheremo ad esse il nostro prossimo libro per completare questa lunga e appassionante avventura dell’Uomo prima che entri nella Storia.

Grotta di Bernifal, Périgord (Francia), 17.000-9.000 anni fa


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GLOSSARIO ACHEULEANO stadio del Paleolitico, definito a St. Acheul (Francia), comprendente, ormai in modo arbitrario, il periodo dei primi utensili simmetrici (bifacciali).

INLANDSIS (dallo svedese inland, interno del paese, e is, ghiaccio) ghiacciaio continentale che forma una calotta spessa fino a 2 km che ricopre la Groenlandia continentale e l’Antartide.

AMIGDALA (dal latino amygdala: mandorla) utensile a forma di mandorla, ottenuto da ciottoli o blocchi di pietra (selce, basalto...), lavorato simmetricamente sulle due facce. Ha vertice appuntito e margini laterali taglienti. È detto anche BIFACCIALE.

MADDALENIANO ultimo stadio del Paleolitico, definito a La Madeleine (Dordogna, Francia); periodo caratterizzato da utensili in pietra e osso assai perfezionati e da un’arte rupestre compiuta.

ARPONE arma da lancio per catturare grossi pesci o cetacei. È un’asta di osso o corno con un’estremità a uncino ed eventualmente uno o più ordini di uncini, o denti, disposti obliquamente lungo l’asta stessa. BOLA (dallo spagnolo bola, palla) utensile da caccia formato da una o più cordicelle ai cui estremi sono legate altrettante pietre tondeggianti. CALICOTERIDI famiglia di grandi mammiferi fossili vicini ai rinoceronti. CHOPPER (dall’inglese to chop, spaccare) ciottolo lavorato con un margine tagliente; utensile della pebble culture, cultura del ciottolo. COGNIZIONE (dal latino cognoscere: conoscere) capacità di comprendere ciò che ci circonda; Homo è dotato di facoltà cognitive. DENTATURA la serie e la disposizione dei denti nella mascella. La dentizione ne designa la crescita. DINOTERIDI famiglia di grandi mammiferi fossili vicini agli elefanti. GENETICO (dal greco genesis, origine, generazione) aggettivo derivato da GENE, il materiale biologico che contiene e determina il carattere ereditario degli esseri viventi.

MICROLITE (dal greco mikros, piccolo, e lithos, pietra) utensile in pietra molto piccolo. NEOLITICO (dal greco neos, nuovo, e lithos, pietra) chiamato anche “età della pietra levigata”, succede al Paleolitico, alla fine dell’ultima glaciazione, circa 12.000 anni fa; periodo caratterizzato dalla sedentarizzazione, che fa dell’Uomo un agricoltore e un allevatore. PALCO ciascuno dei rami di cui sono formate le corna dei maschi dei cervidi (renne, alci, cervi, daini...). PALEOLITICO (dal greco paleos, antico, e lithos, pietra) chiamato anche “età della pietra tagliata”, inizia con le origini del taglio della pietra e termina con il Neolitico. RABOT (termine francese) grattatoio massiccio, tagliato generalmente su ciottolo, che presenta un fronte convesso su un piano e ripido sull’altro. TALEA, RIPRODUZIONE PER In alcune specie di piante, un ramo con gemme, piantato in un terreno molto umido, o messo in un vaso con acqua, produce radici e foglie, generando una nuova pianta con gli stessi caratteri di quella da cui deriva. UMIAK imbarcazione eschimese a scafo affusolato rivestito da pelli di foca tese su un’armatura di legno. Differisce dal kayak (tutto chiuso dalle pelli di foca e monoposto) perché ha la parte superiore scoperta ed è a più posti.


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Ringraziamenti particolari vanno ai miei colleghi: Jean Chavaillon, Malika Hachid, Danielle Lavallée, Sultan Muhesen, Henry de Lumley, Jean-Luc Piel-Desruisseaux e alla memoria dei miei grandi vecchi Louis Leakey e André Leroi-Gourhan, dai quali ho tratto diverse informazioni.

{ { { { { AUSTRALOPITHECUS

PARANTHROPUS

TOUMAI

HOMO SAPIENS

ORRORIN

HOMO FLORESIENSIS

ARDIPITHECUS

HOMO ERGASTER

KENYANTHROPUS

HOMO HABILIS

HOMO SOLOENSIS

HOMO ERECTUS

HOMO RUDOLFENSIS

HOMO NEANDERTHALENSIS


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(PANTONE 200 C film)


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