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L’Intelligenza Artificiale oggi

più circoscritto a quello che gli abbiamo imposto, ma più ampio, e avrà capacità indipendenti.

R. P.: Cosa invece l’Intelligenza Artificiale non è ancora in grado di fare?

P. P.: Oggi una macchina non è capace di astrarre e di fare analogie, se non in parte, ma si sta cercando di sviluppare nuovi metodi per raggiungere questo obbiettivo. Inoltre, a oggi non abbiamo macchine coscienti di sé, né in grado di provare sentimenti, secondo me non tanto perché non sia possibile realizzarle, ma piuttosto perché noi stessi non sappiamo cosa sia davvero l’intelligenza. Stefano Mancuso parlava di intelligenza delle piante, illustrando come il mondo vegetale manifesti livelli di collaborazione straordinari. Noi invece abbiamo ancora molto da capire. Intanto, non sono convinto che l’uomo sia davvero così intelligente: come sostiene lo stesso Mancuso, se misuriamo l’intelligenza di una specie sulla base di quanto essa è in grado di sopravvivere, le piante sono più brave di noi, anche nella capacità di adattamento. Magari si adattano lentamente, ma lo fanno in modo brillante. Se domandiamo a qualcuno se tra due milioni di anni si immagina che l’umanità ci sia ancora, magari ci guarda perplesso, perché di fatto noi ci stiamo facendo del male, e non è un atteggiamento intelligente. C’è tanta strada da percorrere per comprendere cosa voglia dire intelligenza, capacità di adattarsi, di migliorare l’ambiente e di utilizzarlo a nostro vantaggio in modo non distruttivo. Sull’autocoscienza, su che cos’è il sentimento e cosa vuol dire provare emozioni, per quanto esistano tanti studi anche di ricercatori nel campo dell’Intelligenza Artificiale, il cammino è ancora lungo.

R. P.:Cos’è il Machine Learning?

P. P.: Il Machine Learning è una sotto-area dell’Intelligenza Artificiale che fa sì che le macchine, a partire dalla loro esperienza, migliorino il proprio comportamento. È composto da diverse tecnologie: dagli algoritmi genetici – Genetic Programming –, come anche dalle tecniche simboliche, cioè quelle tecniche che, a partire da regole date o da esempi simbolici (cioè scritti in linguaggio formale), sono capaci di inferire nuove regole. Diciamo che anche le reti neurali fanno parte del Machine Learning, e in questo momento stiamo avendo grandi successi proprio impiegando quello che chiamiamo Deep Neural Network, le reti neurali approfondite. È una nuova primavera, o forse addirittura estate, per l’Intelligenza Artificiale. Tuttavia dobbiamo stare attenti: il Deep Neural Network è molto utile in alcuni casi, ma in altri dobbiamo usare strumenti diversi. Ho detto prima che nel 1943 McCulloch e Pitts inventano il neurone artificiale. Negli anni ’60 Frank Rosenblatt crea un dispositivo fantastico, che si chiama Perceptron, che sa imparare dalla visione: per esempio riesce a riconoscere i caratteri. È una macchina, non un programma, ed è piuttosto rudimentale. Nel 1969 Marvin Minsky e Seymour Papert, due ricercatori famosissimi, pubblicano il libro Perceptron, in cui viene distrutto tutto il discorso relativo alle reti neutrali, perché viene dimostrato che quelle reti riescono a realizzare alcune cose ma non altre. Ad esempio non sanno svolgere alcune funzioni matematiche molto semplici, come la funzione XOR, abbastanza banale. Tutta la ricerca sulle reti neurali si ferma fino a metà degli anni ’80, quando un gruppo di ricercatori del MIT – il Parallel Distributed Processing Group– inventa gli algoritmi di apprendimento, che funzionano su reti a multistrato. È la Bad Equalization: il primo algoritmo funzionale, la propagazione all’indietro dell’errore lungo tanti strati di neuroni. Riparte quindi la ricerca: dal 2005 in poi a livello accademico, dal 2015 anche a livello mediatico.

Questi algoritmi funzionano, sono stati ottimizzati e ora disponiamo di una potenza elaborativa che prima non avevamo. Lo ripeto: non bisogna confondere il Machine Learning con il Deep Neural Network perché è vero che stiamo avendo grandi successi ma si tratta di una disciplina vasta. Ad esempio, stiamo usando algoritmi genetici per ottimizzare le reti neurali. Non è vero che funziona solo un paradigma. Pensiamo ad AlphaGO, la macchina che fa planning e gioca, vincendo, contro il grande campione di Go. Il gioco del Go è particolarmente complesso, tanto che, secondo diversi matematici, il numero delle posizioni sulla scacchiera del Go supera il numero di atomi che esistono nell’universo. Nel Go si usano le strategie di planning per trovare il modo di esplorare questo numero infinito di possibili stati e trovare la mossa migliore. Al

posto di impiegare un algoritmo matematico si usa il Deep Neural Network, che impara dall’esperienza, giocando prima contro gli umani e poi contro se stessa. Anche in questo caso si uniscono più paradigmi insieme. In realtà, non è corretto dire che nel Machine Learning e nell’Intelligenza Artificiale ci sono solo le reti neurali approfondite. La sfida più grande è integrarle, perché l’errore che spesso si è compiuto in Italia è stato quello di dividere la cultura umanistica da quella scientifica, separare il campo artistico dalla matematica. La cultura però è cultura a 360° ed è solo combinando le più diverse discipline che vengono fuori le innovazioni più interessanti. Pensiamo a Cornelius Escher: è un esempio che tutti i matematici usano.

R. P.: Perché bisogna investire nell’Intelligenza Artificiale?

P. P.: Ci sono 3 ragioni, legate a tre diversi ambiti. La prima è che l’Intelligenza Artificiale sta trasformando il mondo e la nostra società, e per questo tutti dovrebbero sapere, almeno in parte, come funziona. Non si tratta solo di parlare ad un’assistente vocale con il telefono, ma di essere consapevoli di cosa c’è dietro a tutto questo, anche per evitarne un uso improprio. In sostanza, il primo motivo ci riguarda tutti. Occorre impiegare l’Intelligenza Artificiale per favorire l’aumento del livello di democrazia e di partecipazione sociale evitando però effetti distopici – che ci sarebbero anche senza l’Intelligenza Artificiale –, spingendola verso un’intenzione benefica.

La seconda ragione è più profonda. In questo momento abbiamo un modello socio-economico, almeno a livello di tradizione, secondo il quale il capitale e il lavoro sono risorse scarse, mentre le risorse ambientali sono illimitate: è evidente che non è vero. Il problema è complesso: se vogliamo aumentare il benessere del genere umano e al contempo evitare di distruggere il pianeta e tutte le altre specie che lo abitano, abbiamo bisogno di parecchia intelligenza. Parliamo quindi di sostenibilità, dei 17 obbiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, ma dobbiamo stare molto attenti, perché il conseguimento di un obbiettivo potrebbe metterne a rischio altri. Per esempio, se per eliminare la fame si aumentano gli allevamenti intensivi e le monocolture, da un lato si produce più cibo, ma dall’altro si procura un danno spaventoso all’ambiente. Sono quindi necessari strumenti che aiutino a modellare la realtà – che è molto complessa – e a trovare soluzionia problemi molto difficili. Bisogna far emergere le problematiche che richiedono di essere affrontate in modo multidisciplinare e in questo l’Intelligenza Artificiale può dare un grande contributo.

La terza ragione è legata alle aziende. In Italia ci sono per lo più piccole e medie imprese, distretti industriali e centrali, che hanno bisogno di strumenti di Intelligenza Artificiale non solo per essere competitivi sul mercato, ma anche per migliorare l’ambiente di lavoro e i propri obbiettivi: quindi se ne servono non solo per una questione di business, ma anche per il valore che apportano alla società. Gli strumenti di Intelligenza Artificiale possono essere utili a tantissimi scopi all’interno dell’ecosistema aziendale. Secondo me non risolveranno tutti i problemi, ma sono mezzi importanti, direi indispensabili, soprattutto se li puntiamo nella direzione giusta. In caso contrario potrebbe verificarsi quello che tutti noi temiamo, e cioè che l’umanità si autodistrugga. Eliminare la vita sul pianeta è difficile, nel senso che la vita è un fenomeno molto robusto, ma cambiare le condizioni che ne permettono la sopravvivenza è abbastanza facile. Pensiamo al paradosso di Fermi. Si dice che Fermi, mentre costruiva la bomba atomica, si sia chiesto: «Esistono altre civiltà? Quante potrebbero essere le civiltà nella nostra galassia? Quanti pianeti ci potrebbero essere dentro la fascia abitabile – che è la fascia in cui l’acqua è allo stato liquido? Ma dove sono tutti quanti?». Molte le risposte: una è che se ci sono altri esseri intelligenti sono così distanti che non possono comunicare con noi o semplicemente non sono interessati a farlo. Un’altra spiegazione è che quando una civiltà raggiunge un certo livello di tecnologia, che è quella che le permetterebbe di lanciare dei segnali nello spazio o di riceverli, con una certa facilità si autodistrugge. La nostra intelligenza, secondo me, sta nel fatto che possibilmente riusciamo a superare questo momento e cerchiamo di non autodistruggerci. Ma per raggiungere questo obbiettivo dobbiamo sviluppare tante culture diverse, compresa l’intelligenza delle macchine.

L’IA come strumento nel mondo dell’arte

1 p. 30 Che la tecnologia sia entrata nelle nostre vite, rivoluzionandole, è un dato di fatto. La Quarta rivoluzione industriale ci ha travolti con ondate di innovazioni e una di queste è l’Intelligenza Artificiale. L’IA è entrata nel nostro quotidiano proprio come altre tecnologie hanno fatto anni prima, dalla fotografia al cinema a Internet, e nel mondo dell’arte continua ad aprire nuovi territori da esplorare.

La storia insegna che quando si creano nuove connessioni interdisciplinari, possono nascere progetti realmente innovativi: unendo la scienza, la neuroscienza, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), l’informatica, l’IA, l’ingegneria, e ancora altre discipline al mondo dell’arte, oggi si stanno creando nuovi strumenti al servizio dell’arte e dell’uomo.

Siamo in un’era in cui la tecnologia può essere “sfruttata” per creare e sperimentare nuove applicazioni a supporto delle collezioni d’arte e nuovi strumenti per realizzare opere.

E quando si tratta di musei, proprio l’Intelligenza Artificiale può essere usata a 360°: vedremo nei prossimi capitoli come viene impiegata oggi nelle varie realtà del mondo museale per organizzare internamente spazi, percorsi e collezioni, cercare nuove interconnessioni tra le opere, e come è diventata strumento al servizio del

1. Borderless World, Untitled, courtesy Mori Building Digital Art Museum / TeamLab Borderless. visitatore per aumentare la user experience. Analizzeremo come sta cambiando la comunicazione con i social e quali sono gli ultimi studi sulla percezione delle opere d’arte grazie all’impiego di sofisticate strumentazioni che usano l’IA. E infine valuteremo anche come ha portato a nuove definizioni funzionali nel mercato dell’arte.

Per quanto riguarda la produzione artistica, gli artisti, storicamente sempre in prima linea nella sperimentazione di nuovi strumenti, hanno creato opere d’arte usando algoritmi di IA, esplorando e mostrandoci una nuova dimensione estetica – aprendo così un dibattito molto vivace sulla creatività legata al ruolo dell’artista e della macchina.

Per renderci conto di quanto si stia discutendo sul tema “arte e nuove tecnologie” basta consultare la rete. Dai più importanti musei del mondo, alle gallerie d’arte locali, dalle grandi aziende private alle istituzioni culturali pubbliche, e ancora mostre, eventi, tavole rotonde: il tema è attualissimo.

Il 2018 è stato un anno ricco di eventi che hanno messo al centro delle discussioni il tema arte&IA. Nell’ottobre 2018 la nota casa d’aste Christie’s ha venduto per la prima volta un quadro generato con l’ausilio dell’IA, il ritratto di Edmond de Belamy di cui tratteremo. E nel dicembre 2018 il Metropolitan Museum (The Met), insieme a Microsoft e al Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha organizzato un Hackathon, una maratona di idee creative volte a esplorare come l’Intelligenza Artificiale possa connettere le persone all’arte. Sono nati tanti progetti che utilizzano algoritmi e Intelligenza Artificiale in generale e sono stati creati altrettanti seminari, talks ed eventi dedicati ad approfondire le intersezioni nascenti tra l’arte e le nuove tecnologie.

La vendita del ritratto di Belamy ha dato il via a convegni come Art + Tech Summit 2019: The A.I. Revolution1 , che ha riunito accademici, artisti, esperti del settore, rappresentanti di istituzioni globali, tra cui Google, Hyundai, MIT Technology Review, Pace Gallery e The Met in una serie di conferenze e tavole rotonde che hanno esplorato l’impatto dell’Intelligenza Artificiale su tutti gli aspetti del mondo dell’arte2. E ancora: i convegni e congressi tenuti da Museum Next, dall’ICOOM, dai musei internazionali, dalle associazioni pubbliche e private dedicate che hanno esposto e ana-

lizzato il nuovo impiego dell’Intelligenza Artificiale sia nel mondo museale sia nella produzione artistica. Il primo volume italiano a fare il punto su questo dibattito, con artisti e studiosi della scena internazionale, è Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN, pubblicato nel 2020 per Jaca Book a cura della filosofa dell’estetica Alice Barale.

Anche in Italia si è aperto il dibattito: un esempio tra tutti sono gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano che organizzano workshop e seminari dedicati al mondo dei Beni Culturali, sempre coinvolgendo professionisti e figure di spicco del settore, oltre ad aver creato una piattaforma multimediale interattiva con interessanti contributi fruibili, report e approfondimenti per il pubblico, un valido e ben costruito riferimento per sviscerare diverse tematiche legate all’IA, dalle questioni etiche agli aspetti sociali legati all’arte.

L’Intelligenza Artificiale può rappresentare un’opportunità largamente fruibile da cui trarre grandi benefici in termini di creazione di nuovi strumenti nel mondo della cultura, sempre considerando le responsabilità etiche a essa correlate, come ad esempio il rispetto della privacy.

In Italia, il 21 marzo 2018, è stato presentato dall’Agenzia per l’Italia digitale il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino che contiene «raccomandazioni e indicazioni su come sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, limitandone criticità e aspetti problematici, per sviluppare servizi pubblici sempre più a misura di cittadino»3 .

Le tematiche etiche sono state oggetto di discussione da parte di un gruppo di esperti della Commissione Europea che ha redatto un nuovo regolamento sull’IA e sul suo utilizzo, per garantire «la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone e delle imprese, rafforzando nel contempo la diffusione dell’IA, gli investimenti e l’innovazione in tutta l’UE»4:

Parlando d’Intelligenza Artificiale, la fiducia è un must, non un valore aggiunto. Con queste regole fondamentali, l’UE sta guidando lo sviluppo di nuove norme globali per garantire l’affidabilità dell’IA. Fissando gli standard, possiamo aprire la strada a una tecnologia etica in tutto il mondo e garantire che l’UE rimanga competitiva lungo la strada. A prova di futuro e a misura di innovazione, le nostre regole interverranno dove strettamente necessario: quando sono in gioco la sicurezza e i diritti fondamentali dei cittadini dell’UE.

Margrethe Vestager Commissario europeo per la concorrenza e vicepresidente esecutivo per un’Europa pronta per l’era digitale5

L’Intelligenza Artificiale è uno strumento potente in mano all’uomo: spetta quindi a noi usarlo con le corrette finalità. In questa direzione, nel mondo dell’arte si sono avviati tanti progetti di grande utilità e attualità: gli scenari d’arte e Intelligenza Artificiale che esamineremo nei prossimi capitoli.

1. Il robot umanoide Pepper creato per testare come la tecnologia robotica possa migliorare le esperienze dei visitatori nei musei. Courtesy Smithsonian Institution / Photo Sarah Sulik.

I musei: verso nuove frontiere

«Un museo è un luogo dove si dovrebbe perdere la testa.» Renzo Piano

Parlando di musei, gallerie e luoghi d’arte, l’Intelligenza Artificiale è e può essere ancor più largamente impiegata: è una tecnologia disponibile in diverse forme e applicabile per molteplici usi e in diversi contesti.

Quello cui si pensa spesso parlando di IA sono i nuovi robot. È un’idea molto diffusa, un immaginario collettivo maturato dopo decenni di film e libri che associano un futuro ipertecnologico ai robot. In realtà oggi nei musei vi sono robot straordinari in grado di leggere le emozioni dei visitatori e di interagire con loro per supportarli a livello informativo ed educazionale nel percorso di visita. Un esempio è Pepper1, il robot umanoide tanto amato dal pubblico, o i robot del progetto BrainControl Avatar, teleguidati da remoto anche da persone disabili.

Il coinvolgimento e la user experience sono temi attuali con cui alcuni musei si interfacciano in maniera innovativa. Ne sono un esempio i chatbot2 (chat + bot abbreviazione di robot), realizzati per dialogare con il pubblico e dare informazioni utili ma anche atti a conquistare i fruitori più giovani. Vi sono chatbot molto evoluti come IRIS+ del Museu do Amanhã (Museo del Domani) di Rio de Janeiro che conversano con i visitatori tramite grandi touch screen e li coinvolgono in iniziative ambientali rispondenti ai loro interessi.

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