ANTONI GAUDÍ PAESAGGIO COME DIMORA
ANTONI GAUDÍ PAESAGGIO COME DIMORA PROGETTI DI UN DIALOGO TRA NATURA E ARCHITETTURA
A cura di Maria Antonietta Crippa Fotografie di Marc Llimargas Testi di Jaon Bassegoda Nonell, Maria Antonietta Crippa, Joan Morel Núñez, Francesc Navés Viñas
Sfide e contraddizioni nell’attualità di Gaudí
Architetture, in contesti urbani e con giardini, come paesaggi
S
e è vero che oggi siamo così compenetrati dall’architettura da dimenticarne spesso la storicità, considerandola una seconda natura, si deve però anche riconoscere che si può comprenderla solo come artefatto storico che si eredita, segnato a sua volta da invarianti e mutamenti conseguenti ai modi di abitarla e percepirla come misura e qualità del nostro vivere pubblico e privato, feriale e festivo. Nella crescente dissoluzione di stratificati ordinamenti territoriali, gli edifici, con i loro contesti urbani o con i giardini, ci appaiono infatti più inscritti in trame di dinamiche relazioni percettive che oggettivati nella staticità di scene materiali. Acquistano importanza in essi, come componenti variabili di un paesaggio che ci avvolge: i confini, costituiti da muri, cancelli, alberi; le soglie, segnate da percorsi, aperture, trasparenze; i dialoghi tra spazi interni e spazi esterni; il mutare giornaliero e stagionale di ombre e colori. Anche a questo riguardo Gaudí è stato genialmente profetico; lo attestano i progetti residenziali illustrati in questo volume e realizzati nel cuore antico di Barcellona, nelle sue aree urbane più moderne, nei borghi ai suoi margini, nei pochi casi di interventi lontani dal capoluogo catalano. Gli fu infatti spontaneo comporre ogni luogo secondo una sintassi paesaggistica che, ancora oggi, non ha perso nulla del suo fascino coinvolgente. Paesaggio è parola la cui radice etimologica, connessa a quella di “paese” o contrada cui si appartiene, ha indicato a lungo il tema di dipinti di vedute elaborate prospetticamente, a partire da punti di vista particolari, con forte predilezione per contesti naturali, poco o per nulla segnati da presenze di artefatti umani. Il lemma ha però acquisito di recente un senso più ampio. Lo evidenzia la recente Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000, che lo definisce: «Determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Esso è dunque inteso oggi come realtà fisica e antropologica insieme, al contempo obiettiva e vissuta come identitaria. Nel patrimonio gaudiano l’esperienza paesaggistica raggiunse il proprio diapason nel Parco Güell, capolavoro dell’arte contemporanea nella fusione di pittura, scultura, architettura e nell’esuberante moltitudine di invenzioni di forme con diversi materiali come maiolica, ferro, soprattutto pietre cavate dal sito. Esito di un pretesto – dar cornice a una piccola borgata-giardino di sessanta case immerse nel verde, con riferimenti a modelli inglesi –, il suo progetto venne polarizzato attorno a due nuclei tematici. Il primo è l’imponente sistema architettonico in tre episodi: la bianca grande scala simmetrica; alla sua sommità, la sala ipostila o tempio dorico, con funzione originaria di mercato pubblico appoggiato a sua volta sopra un serbatoio d’acqua; la vasta terrazza, sovrastante il tempio, conclusa al perimetro dal sedile continuo, serpentinato in modo da formare nicchie accoglienti piccoli gruppi. Emerse qui, in certe strane irregolarità formali, un Gaudí «folle che può permettersi di sbagliare perché molto amato dalle muse»1. Il secondo è costituito dalla trama di ponti, viadotti, percorsi coperti in pietra, ripetuti nella «maggiore varietà di strutture in pietra che mai al mondo sia stata concentrata in una sola opera»2. Gli alberi sparsi negli spazi liberi fanno da controcanto alle eleganti costruzioni in pietra sbozzata che, percorse in salita, portano a un elementare calvario, un piedestallo con tre nude croci al culmine della Muntanya Pelada, dal quale si può vedere la città e il mare. Dopo la Sagrada Familia, il Parco Güell è ora il complesso più visitato, il più logorato da una frequentazione incontrollata oltre che da maldestri interventi di restauro; è certamente il paesaggio gaudiano più gioioso e insieme quello che paga il prezzo più alto di un consumo sconsiderato, per il successo riconosciutogli dal pubblico di ogni età e provenienza, inimmaginabile fino agli anni Ottanta del secolo scorso. I
MARIA ANTONIETTA CRIPPA
Gaudí, dapprima dimenticato, poi inattuale, ora figura di richiamo mondiale Il percorso della ricezione e comprensione internazionale dell’architettura dell’architetto catalano, si caratterizzò subito secondo il doppio registro di uno spontaneo coinvolgimento, stupito e commosso, e di studi con fondamento storico critico. Si tratta di un fenomeno che non ha paragoni nella storia occidentale degli ultimi due secoli, a conferma del quale ripetutamente si segnala l’ammirazione espressa, in varie occasioni, da architetti celebri, come l’americano Louis Sullivan lieber meister di F.L. Wright, Walter Gropius, Le Corbusier e altri maestri della prima stagione moderna. Meno note sono devozione e condivisione esplose nel giovane architetto giapponese Kenij Imai (1866-1945), fino a segnare il corso della sua vita. Appena laureato all’università Waseda di Tokio, intraprese un viaggio di formazione in Europa nel quale desiderava incontrare l’architetto già notato da qualche critico d’architettura, le cui opere aveva visto riprodotte, nel 1922, in una rivista nord americana. Del suo soggiorno in Barcellona nel 1926, sei mesi dopo la morte di Gaudí, resta traccia in un breve saggio3 di mano dello stesso Imai: nel taller della Sagrada Familia egli ebbe un colloquio con Domènec Sugrañes (1878-1938), allievo e collaboratore di Gaudí; si aggirò curioso nel cantiere della inusuale cattedrale, popolato da sculture gigantesche di lumache e rane e da sfere rivestite con vetro colorato mosaicato, mentre qualche scalpellino lavorava blocchi di pietra dalle forme strane. Gli sembrò di essere stato trasportato in un mondo preistorico prodotto da un grande artista moderno, l’unico veramente tale allora in Spagna, benché ai margini dell’attenzione della cultura mondiale e barcellonese. Dovettero passare molti anni di oscuramento della sua memoria, in tutta la penisola iberica e persino in Catalogna, per l’avvio di un’iniziativa memorabile, messa in moto dal direttore della Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona (etsab), Amadeo Llopart, approvata dal Ministero nazionale della Cultura (Consejo Nacional de Educación), caldeggiata dai pochi appassionati sostenitori della prosecuzione dei lavori del maestro, rimasti interrotti, Ràfols, Puig Boada, Martinell, Bergòs, Cirlot, Gomes-Prats, Cirici Pellicer. Con decreto del 3 marzo 1956, venne attivata, presso l’etsab, una Càtedra Gaudí per risvegliare l’interesse per il grande catalano. Suo primo direttore fu il professor José Francesco Fontanals (1889-1965); nella seduta inaugurale esplicitò gli scopi della nuova istituzione, denunciando anche responsabilità fino a quel momento disattese. Gaudí – disse – non deve restare «nell’isolamento, lontano dalle tendenze che avevano acquisito prestigio e seguaci negli stessi anni nei quali maturava la creatività del nostro amato e ignorato maestro. Io ricordo Gaudí, piccolo di statura e penetrante nello sguardo […] mentre discuteva con il suo ammiratore, don Eusebi Güell Bacigalupi. La sua vita concentrata, quasi da anacoreta, si dispiegava nel laboratorio dove gli stampi per le sculture architettoniche coprivano pareti e soffitti […]. Dopo la sua morte i barcellonesi si dimenticarono di lui e della sua opera, che riuscì a trovare prestigio tra noi solo quando personalità straniere di paesi lontani la colmarono di lodi»4. Collocata nel 1977 a Pedralbes, frazione di Barcellona, negli edifici della cavallerizza della Finca Güell appositamente restaurata, la Càtedra venne diretta dal 1968 dal professor Juan Bassegoda (1930-2012)5, che fu il riferimento più importante, per molti anni, di studiosi locali e internazionali di Gaudí. Con la sua recente scomparsa, la sede in Finca Güell venne chiusa, la Càtedra riportata in università, mentre si mise in moto una riorganizzazione complessiva in Barcellona e dintorni – di sedi d’archivio e centri per studi, esposizioni e pubblici dibattiti sul catalano ormai molto celebre – tuttora in via di assestamento. Oggi si può pertanto ritenere conclusa la lunga stagione di divulgazione e di ricerche, durata tra il 1956 e il 2000 circa, che ebbe come referente principale la Càtedra di Bassegoda, cordiale e generoso comunicatore del genio guadiano, con il quale anch’io ho avuto preziosi momenti di confronto e sostegno collaborativo per le pubblicazioni su Gaudí in Italia. La sua rete di rapporti era estesa al mondo intero. Merita di essere almeno ricordata qui, tra le innumerevoli azioni promozionali che fecero capo a lui, la nomina di dottore architetto catalano honoris causa che egli volle fosse riconosciuta, nel 1976, al celebre George Collins (1917-1993). Lo studioso nord americano, per l’occasione, in una breve e densa prolusione presentò Gaudí come architetto visionario, anticipatore di tendenze artistiche e di tecniche moderne, influente nella forma mentis di un numero molto vasto di architetti del xx secolo6. Emergeva, in quegli anni, la sempre più ampiamente diffusa convinzione di un’attualità senza frontiere della produzione di Gaudí, alla quale venne però subito contrapposta un’acuta interpretazione della sua inattualità. La prima era connessa ai mutati orientamenti del progetto d’architettura e della sua storiografia, più precisamente alla crisi dei più dogmatici principi razionalisti moderni. La seconda venne inaugurata dal napoletano Roberto Pane (1897-1987) tra il 1964 e il 1982, anni della prima e seconda edizione del suo volume su Gaudí 7. In esso Pane fece ruotare tutta la propria indagine intorno al tema pivot dell’arte intesa come «vivente immagine della libertà» in quanto esperienza umana e artistica capace di una paradossale accoglienza di forme le più diverse, arte dagli II
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esiti eccelsi nella produzione di Gaudí, nella libertà della ricerca costruttiva e formale fiorita da talento, cultura e religiosità fusi nella sua personalità in espressioni insieme etiche ed estetiche. Il critico partenopeo la contrappose alla meccanica connessione tra funzionalismo, nel suo svolgimento razionalista, e moralità, criterio valutativo della produzione d’architettura moderna dai primi storici militanti. Invitò a considerare Gaudí uomo e artista testimone di un “sublime disinteresse” nel perseguimento di un’architettura autenticamente organica, perché sostenuta da mestiere fondato su fattori autonomi propri – geometria, statica, tecniche costruttive, materiali e forma – e su stimoli – etici, religiosi e sociali – eteronomi. L’inattualità gaudiana nel secolo xx coincideva dunque, per lui, con la geniale complessità organica e antropologica dei suoi progetti. L’organicità apparentava in modo sostanziale l’artificio architettonico alla natura; la ricchezza antropologica le restituiva la forza di ierofania. Detto altrimenti, Gaudí era inattuale perché agli antipodi di un razionalismo meccanicista e di un ottimismo ormai senza ragioni, di fronte all’orrore della città moderna e alle banali oscurità del linguaggio funzionale carico di retorica, per impegni declamati ma non vissuti. L’impegno di Pane rese la felice e moderna inattualità del suo Gaudí chiave interpretativa e termine di confronto obbligato fino a tempi recenti. Venne ripresa benché formalmente capovolta, nel volume che raccolse gli atti di due convegni napoletani, pubblicato nel 2008 a cura di Giulio Pane, figlio di Roberto, dal titolo Attualità di Antoni Gaudí. Vi sono stati raccolti: importanti saggi di autori nazionali e internazionali; la trascrizione di vivacissimi, a tratti polemici, dibattiti tra i partecipanti; un manifesto conclusivo sulla provocante attualità di intenzionalità e metodo operativo dell’architetto catalano, contrapposti agli aridi formalismi moderni e post moderni dilaganti. L’insieme ha il grande pregio di offrire un quadro schietto di posizioni non tutte convergenti, prendendo le distanze da facili e banali mitizzazioni e/o denigrazioni del genio catalano ancora oggi molto diffuse. Gaudí venne proposto come figura divisiva nell’architettura moderna dagli anni cinquanta del Novecento in poi, polemicamente attuale nella «ispirazione fantastica e insieme strutturalmente conseguente» dei suoi progetti8; nella capacità di stimolare una «interpretazione di bisogni civili e sociali sempre più complessi e articolati […], che esprimano in modo compiuto i nuovi valori positivi (se ve ne sono) di una vita associata in crisi di identità e di futuro»9; nella sua sottrazione «all’irrigidimento funzionale, alla mera rispondenza economica tra investimento e profitto, nonché all’asservimento al culto dell’immagine e alle regole del moderno packaging e marketing»10; nel contrasto alla «progressiva scomparsa di tutto il patrimonio di saggezza costruttiva e di varietà artigianale, di cui il suo mondo [di Gaudí] era ancora partecipe e di cui sentiamo, come tecnici e come persone umane, estremo bisogno»11.
Gaudí, brand culturale e turistico di Barcellona Che l’architetto catalano sia personalità determinante, per comprendere il senso delle arti europee tra xix e xx secolo, può essere ritenuta oggi consapevolezza diffusa a livello mondiale. Occorre però aver presente che, se si escludono pochi appassionati studiosi, nella maggioranza dei casi agisce un’attrattiva con carattere sognante, priva per lo più di elaborazione critica e qualificata solo da potente suggestione emotiva, che non è in grado di appropriarsi di fattori tuttavia, più o meno chiaramente, percepiti, quali la coesistenza di componenti tradizionali e innovative, alimentata da religiosità e adesione accentuatamente nazionalistica alla vita civile; l’effervescenza di un immaginario popolare ancora comunicativo; un fiducioso senso storico che, mentre attraversa e poi abbandona gli stili, attiva un dialogo continuo con le estetiche occidentali nell’oscillazione di riferimenti a Grecia, Roma, medioevo, anche nella variante mudéjar, rinascimento, barocco. Quest’attenzione muove da latenti ragioni antropologiche di natura culturale. Cantore di un inedito dialogo tra natura e storia grazie anche alla lezione di Viollet-le-Duc12, Gaudí ha evocato speranze di nuove figure di luoghi da abitare. Le sue architetture contengono anche una lezione di metodo, accessibile forse a scala mondiale, nell’ampiezza e popolarità dell’immaginario e nel rafforzamento di ogni tipo di competenza artigianale. A questa sua attuale attrattiva internazionale, contribuisce non poco il fatto che la sua produzione preceda cronologicamente le tragedie europee del xx secolo: non vi sono in essa echi delle due guerre mondiali e l’emergere e poi franare di violente utopie politiche. A queste considerazioni occorre aggiungere un importante dato di fatto: il rapido avanzamento del cantiere della Sagrada Familia il cui completamento è stato ripetutamente rifiutato da molti architetti, Pane compreso1314. Come è noto, la facciata della Natività della chiesa è divenuta in questi ultimi anni il brand turistico più efficace di Barcellona, sia tramite riproduzione fotografica che in figura stilizzata. L’architettura più complessa di Gaudí, rimasta interrotta ma tuttora cantiere aperto in via di conclusione entro il 2026, si è così imposta come attrazione internazionale travolgendo i più solidi clichés storico critici, ridotti a deboli mormorii. Il rifiuto, ripetuto in più occasioni, di un’élite specialistica di prendere III
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in serio esame il progetto esecutivo in corso, non ha imposto alcun freno all’attrattiva per quest’icona e per un cantiere non comune sotto molti punti di vista. La forza del richiamo, di alto valore simbolico15, della grande incompiuta gaudiana non dà segni di flessione, coinvolge anzi sempre più anche le altre architetture di Gaudí. A fronte di ragioni alte di cultura qui solo accennate, si deve ammettere che la generalizzata attenzione per le architetture di Gaudí negli ultimi decenni è stata incrementata in termini esponenziali dalle logiche del turismo di massa, che hanno mirato sempre più prepotentemente a catturarle come oggetti-merce, in una tragica banalizzazione di problemi di religione, natura e abitare, possibili veicoli di speranze, ansie, rêveries individuali e collettive, oltre che temi sociali di enorme rilevanza.
Prospettive e auspici A Barcellona, dal 2012, l’Universidad Politècnica de Catalunya e The Gaudí Research Institute, di recente istituzione con sede in un edificio della Colonia Güell in Santa Coloma de Cervelló, con il supporto, quale ente operativo, della società Gaudí Barcelona Projects, si sono impegnati a incrementare studi – come dichiarano nel sito internet dedicato – a un Gaudí total che comprenda «sus valores y su caràcter creativo, multidisciplinar y innovador, y las possibilidades de su applicaciòn en el siglo xxi». Fulcro del nuovo impegno è dunque, ancora una volta e a una scala di comunicazione planetaria fino ad ora impensabile, la convinzione dell’attualità feconda di Gaudí. L’iniziativa più importante, attorno alla quale ne ruotano molte altre rilevanti, è la catena di sette convegni internazionali biennali, a partire dal 2014 e fino al 2026, anno della chiusura programmata del cantiere della Sagrada Familia. Ho partecipato, nel 2016, alla seconda sessione del secondo Gaudí World Congress del 5 al 7 ottobre in Barcellona; la prima, dal 21 al 23 giugno, si era svolta a Shanghai. Vi è emerso, da una parte, che la produzione gaudiana ha ormai larga e multiforme presenza nei Paesi asiatici, dall’altra che la cerchia piuttosto ristretta degli studiosi di antica data dell’architetto catalano si sta allargando alle nuove generazioni con apporti significativi. Il terzo Gaudí World Congress si è aperto il 6 e 7 luglio 2018 nella città di Astorga e proseguirà fino al 2019 facendo tappa a Barcellona, a Pechino e a Rancagua in Cile. Gli organizzatori di questi convegni biennali intendono essere inclusivi; mirano sia all’approfondimento di studi storici che all’attivazione di tutela e restauro delle opere gaudiane, sempre più drammaticamente urgenti, valorizzando anche iniziative di soggetti privati. Se Casa Batlló, dopo i restauri, è già da tempo divenuta museo di se stessa, lo stesso processo è stato attivato per Casa Vicens e Casa Bellesguard. A fianco dell’iter convegnistico così progettato, trovano spazio anche attività di altre istituzioni impegnate a vario titolo in gestione, conservazione e completamento dei monumenti gaudiani: dalle amministrazioni comunali, nel cui perimetri si trovano edifici del grande architetto, come quelle di Astorga e León, alla Fundació Junta Constructora del Temple Expiatori della Sagrada Familia, ad altre entità culturali dedite alla sua memoria. Quest’inclusione in un unico contesto, propositivo a scala mondiale di un Gaudí total, configura tale ampiezza di sguardo e tale immediatezza di connessioni tematiche da risultare molto vivace, attraente e tuttavia disorientante, oltre che specchio, riflettente a dimensioni ingigantite, l’enorme successo turistico di tutta l’architettura di Gaudí. L’auspicio è che tale dispendio, di mezzi e di energia comunicativa, consenta un reale incontro con il grande catalano e le sue architetture, favorisca ulteriori scavi anche filologici e la valorizzazione di un patrimonio di contributi, come quelli raccolti in questo volume, appartenenti ad una stagione di studi con meno mezzi ma animata da grande passione. Abbandonare l’immaginario collettivo contemporaneo, che si va formando anche entro le maglie di questo turismo di massa, all’aggressione mercificante, senza contrastarla con corretta documentazione e con costante approfondimento storico critico, sarebbe grave irresponsabilità, di istituzioni e persone di cultura, nei confronti di speranze e sentimenti collettivi vivi e però anche minati dall’inaridimento, di senso storico e di umane solidarietà, esploso in questi ultimi decenni.
Note 1 R. Pane, Antoni Gaudí, Comunità, Milano, 2 a ed., 1982 (1a ed. 1964), p. 166. 2 Ivi, p. 168. 3 K. Imai, Las tendencias de la arquitectura moderna en Europa, pubblicato nel 1928 in Giappone, tradotto in catalano e inserito dapprima nella rivista “Temple” che registrava l’attività del cantiere della Sagrada Familia, poi con molti altri scritti pubblicato in: J. Bassegoda i Nonell, L’Estudi de Gaudí. Selecció d’articles publicats a la revista temple entre 1971 i 1944, Junta Constructora de la Sagrada Familia, Barcelona 1996, pp. 310-12. Qui, a p. 309, Bassegoda tracciò un breve profilo di Imai: ne segnalò la conversione al cattolicesimo nel 1948, la carriera di professore universitario, cinque saggi su Gaudí, il progetto e la costruzione, nel 1962, della chiesa di San Felipe a Nagasaki, con due torri coperte di ceramica memori della lezione gaudiana. 4 Trascrizione da manoscritti di Ràfols (qui mia traduzione), in J. Bassegoda i Nonell, L’Estudi de Gaudí, cit., pp. 97-98. Per l’istituzione della Càtedra, in questa stessa raccolta cfr.: J. Bassegoda, La Càtedra Gaudí, pp. 90-91; Els inicis de la Càtedra Gaudí, pp. 96-100; C. Baulies, L’altre Temple de Gaudí, pp. 101-02. 5 Juan Bassegoda i Nonell, laureato architetto presso l’etsab, nel 1956, divenne l’anno successivo presidente della Asociación Amigos de Gaudí, nel 1968 ebbe la cattedra di Storia dell’Architettura nella etsab (fino al 2000) e la direzione della Càtedra Gaudí, che tenne dopo il pensionamento, con il titolo di direttore onorario, tra il 2000 e il 2010. Studioso e grande divulgatore nel mondo della figura e dell’opera gaudiana, autore di più di trenta volumi, tradotti spesso in più lingue, e di circa 1500 saggi, quasi tutti su Gaudí, venne anche chiamato in più occasioni a restaurarne gli edifici, oltre a molti altri in Barcellona. Fu anche membro e presidente della barcellonese Reial Acadèmia Catalana de Belles Artes de Sant Jordi e membro corrispondente delle accademie di San Fernando de Madrid e Santa Isabel de Sevilla. 6 J. Bassegoda i Nonell, Acte académic d’investidura com a doctor “Honoris Causa” al professore George R. Collins (1917-1993), in Id., L’Estudi de Gaudí, cit., pp. 80-89. 7 R. Pane, Antoni Gaudí, cit. 8 G. Pane (a cura di), Attualità di Antoni Gaudí, clean, Napoli 2008, p. 7. 9 Ivi. 10 Ivi, p. 8. 11 Ivi, p. 187. 12 Ho, da parte mia, avviato un’interpretazione del debito contratto da Gaudí nei confronti di Viollet-le-Duc nel saggio The Continuity of Forms and the Fluency of Space in Gaudí’s Dialogue with History and Nature, per il Gaudí Second World Congress, Shanghai-Barcelona 2016, nella sessione barcellonese del 4-7 ottobre 2016, ora in corso di stampa. 13 R. Pane, Antoni Gaudí, cit., pp. 277-280. 14 Pane formulò il proprio giudizio in un contesto radicalmente differente dall’attuale. A mio parere il contributo che il cantiere della Sagrada Familia ha dato alla conoscenza del pensiero e del metodo gaudiano meriterebbe di essere confrontato in modo approfondito con l’interpretazione delle fasi del progetto proposta da Pane; cfr. qualche accenno in: M.A. Crippa, Pane, interprete d’eccezione di Antoni Gaudí, in S. Casiello, A. Pane, V. Russo (a cura di), Roberto Pane tra storia e restauro. Architettura, città, paesaggio, Università degli Studi di Napoli Federico ii, Marsilio, Venezia 2010, pp. 86-91. Segnalo che, da molti anni ormai, ho assunto un atteggiamento critico diverso da quello della gran parte dell’élite internazionale nei confronti della continuazione del cantiere del tempio, opponendomi sempre ai pervasivi riverberi e alle spesso tragiche conseguenze dell’attuale turismo massmediatico. Di proposito, dunque, non ho preso le distanze dalla continuazione del cantiere della Sagrada Familia, che seguo anzi con interesse. 15 Gaudí ha ridato vitalità al simbolismo cristiano, sulla base di approfondite conoscenze liturgiche e teologiche, grazie all’amicizia con importanti ecclesiastici catalani.
Maria Antonietta Crippa Luglio 2018
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Sommario
© 2001 Lunwerg Editores, Barcellona-Madrid Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati © 2001 Marc Llimargas per le fotografie, salvo diversa segnalazione © 2001 Editoriale Jaca Book Srl, Milano per l’edizione italiana
Prima edizione italiana settembre 2001 Nuova edizione italiana settembre 2018
Traduzione dei testi originalmente in spagnolo Leonardo Servadio Le didascalie delle fotografie in bianco e nero sono di Joan Bassegoda Nonell, quelle delle fotografie a colori di Marc Llimargas
Copertina e impaginazione Break Point/Jaca Book
Fotolito Target Color, Milano
INTRODUZIONE di Maria Antonietta Crippa UNA DIMORA PER L’UOMO NELL’ARMONIA DEL COSMO di Maria Antonietta Crippa Coordinate del contesto storico contemporaneo Il profilo di una ricerca solitaria ma non individualistica Idee per l’architettura
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DIMORE DI CITTÀ E DI CAMPAGNA di Joan Bassegoda i Nonell Villa «el capricho» Casa Vicens Proprietà Güell Palazzo Güell Cantine Güell Casa Calvet Palazzo vescovile di Astorga Casa de los Botines Casa Bellesguard Tre progetti non realizzati da Gaudí Due case di campagna La città-giardino, poi parco Güell Casa Batlló Casa Milà
46 46 46 48 48 49 50 50 51 51 52 52 52 58
GIARDINI E PARCHI di Francese Navés Viñas Un progetto che lega architettura e natura Parchi e giardini nella Barcellona contemporanea Giardini annessi alle case e giardini in pietra Il Parco Güell Il Giardino Di Can Artigas
ISBN 978-88-16-60566-4
GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO di Juan Morell Núñez
Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma agosto 2018
Il modernismo, l’artigianato, l’industria Breve profilo storico dell’artigianato catalano e suo recupero da parte di Gaudí I più importanti collaboratori di Gaudí Le tecniche artistiche di Casa Calvet
Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su
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ANTOLOGIA DAI PENSIERI E CENNI BIOGRAFICI
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TAVOLE A COLORI di Marc Llimargas
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Bibliografia essenziale
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Introduzione di Maria Antonietta Crippa
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a storia dell’architettura occidentale del xix e del xx secolo è fortemente mobilitata, in questi ultimi decenni, dal tentativo di superare sintesi consolidate, il cui impianto fondamentale risale agli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Si producono molte monografie relative ai grandi protagonisti, continuamente rivisitati nelle loro realizzazioni, nella peculiare ideologia e quanto alla formazione personale; si elaborano provvisori aggiornamenti, di progetti di architettura e di città, estesi ad omogenee aree geografiche, più che relativi a tendenze figurative o ideologiche; si tiene aperto il dibattito, tipicamente razionalista e novecentesco, tra prevalenza del metodo progettuale, rispetto all’esito formale, e produzione di spazi e forme in continuità con la tradizione, attraversando meteore formalistiche come il Postmoderno; si cercano temi di continuità tra Otto e Novecento, riportando in auge un tradizionalismo di grande qualità e non indifferente alle componenti tecnologiche; si recupera l’unitaria dimensione culturale dei luoghi e del paesaggio, spesso qualificata da un unico modo di vita urbano, anche per scoprire i nessi ancora attivi tra cultura, dunque artificio dell’architettura, e natura. In questa mobilità e varietà, della valutazione storico-critica attualmente in essere, non solo si coglie l’ormai evidente insufficienza delle interpretazioni stabilizzate, ma si percepisce la carente messa a fuoco di fattori capaci di individuare, oltre lo stato di fatto fino ad ora registrato, i germi di un possibile futuro. Impetuosamente, seppur faticosamente sul piano critico, si va diffondendo una nuova percezione dello spazio abitato che chiamerei sentimento ecologico, non intendendolo però soltanto, secondo l’orientamento ufficiale, come esigenza di sviluppo sostenibile. Tale sentimento invoca soprattutto il ritorno alla continuità e alla singolarità dell’habitat, al suo essere ogni volta unicum irripetibile, luogo in cui convergono specifici caratteri naturali, scelte storiche di intere comunità, fondate su matrici culturali di lunga durata, dinamiche di trasformazione, di continuità spaziali e formali e di modifica, interventi risolutivi di personalità geniali. Si tratta dell’affiorare di un fattore più potente della nozione pur importante di localismo o di regionalismo. La dimensione ecologica dell’architettura, la sua capacità di ospitare miti e riti della vita quotidiana e pubblica custodendone anche l’efficace trasmissione nel tempo, ne fa emergere la natura di luogo simbolico della vita associata e di relazione, dei gruppi umani e dei singoli. Nel nuovo sentimento ecologico affiora dunque una esigenza simbolica che, mentre è per natura propria difficilmente incasellabile sotto il profilo logico, è però capace di scuotere immediatamente l’immaginario collettivo e personale. Gaudí ha oggi grande fortuna presso coloro che non sono architetti, perché in lui essi trovano espresso in massimo grado tale ritorno al simbolico nella prepotente emergenza di un immaginario accattivante, non solo nella figurazione ma anche nella plastica e nella spazialità delle costruzioni. Gli architetti invece esprimono spesso maggiori riserve rispetto agli inesperti, perché ancora impregnati della lezione razionalista novecentesca e talvolta di quella storicista ottocentesca. Tuttavia è possibile cogliere in molti progetti recenti, non più come fatto raro o stravagante, tracce significative della lezione guadiniana. La messa a fuoco della dirompente energia simbolica, importante più che nella qualificazione formale nel riverbero ecologico, dell’architetto catalano è argomento delicato da trattare; può essere facilmente equivocato e stravolto in una esaltazione romantica e onirica, che scaglia il personaggio e le sue opere fuori dal proprio contesto storico – non solo la Catalogna ma l’intero Occidente, soprattutto l’area mediterranea – e dalle sue contraddizioni. Gaudí non è stato cosmopolita, né internazionalista, né antistorico e antitradizionalista, né mistico sincretista. Forse si potrebbe anzi dire che, di tali tendenze circolanti in ambito occidentale nell’arte e nell’architettura tra xix e xx secolo, egli 9
INTRODUZIONE
è stato, non del tutto inavvertitamente, la coscienza critica, esplorando a fondo il proprio ancoraggio alla tradizione, esprimendo un quasi assolutizzato regionalismo e un senso del sacro totalmente inscritto nei termini di una religione positiva. Fino ad oggi la sua produzione e la sua personalità sono state studiate, anche con notevoli contributi, come blocco compatto, come fenomeno isolato, come eccentricità. Lo si è collocato per lo più maldestramente, nelle sintesi storiografiche, nel contesto del Modernismo, variante catalana della belga e francese Art Nouveau, riconoscendone la grandezza di costruttore e di architetto, ma depotenziandone fino all’annullamento la speranza progettuale. Il suo progetto d’architettura, in altri termini, ha meritato di essere segnalato nel coro delle grandi imprese del xix e del xx secolo, ma non di essere studiato come possibilità espressiva ricca di suggerimenti per la contemporaneità e per il suo futuro. Le sue dimore, la sua cattedrale, i suoi giardini, osservati in questi termini, vengono cioè troppo spesso proposti come eccentriche e suggestive emergenze, prive di conseguenze storiche sul paesaggio abitato. Del resto, un destino analogo, di emarginazione dal divenire storico occidentale, ha avuto a lungo, ancora presso molti ha, l’Espressionismo tedesco, pur rappresentato da molti protagonisti di primo piano dell’architettura contemporanea. Si può anche aggiungere che i più recenti approfondimenti critici della fase matura della ricerca di Le Corbusier fanno affiorare una intensità simbolica, ancora da esplorare in modo adeguato, ma già registrata come eccedenza, come uscita dalla grande corrente razionalista della quale l’architetto svizzero-francese era stato protagonista di primo piano in Europa. Perfino la ricerca di Mies van der Rohe, dopo gli studi approfonditi degli archivi da parte di Fritz Neumeyer, appare sotto una nuova luce, non certo materialistica o qualificata solo da un rigore metodologico logico-poetico. Vi sono dunque importanti tendenze, opere, personalità dell’architettura del xix e del xx secolo che, insieme a Gaudí, ancora attendono di essere esplorate con parametri critici fino ad oggi espunti dalle riflessioni, sotto l’effetto di pressioni ideologiche delle quali solo ora si cominciano a cogliere i limiti. Per le ragioni qui espresse in estrema sintesi, alcune casi editrici europee, l’italiana Jaca Book e la spagnola Lunwerg come promotrici, hanno accolto l’ipotesi di affrontare con approfondita criticità opere, pensiero e storia di Gaudí e delle sue interpretazioni, restituendo valore di fonte a testi come quello di Bergós, già pubblicato, ed esaminando temi e problemi dell’architettura gaudiniana – il giardino, il parco, la casa, il sacro – in volumi distinti, che consentano sia una contestualizzazione storica sufficientemente ampia, sia l’offerta di documentazione inedita e l’apertura di nuove riflessioni. Se Bergós infatti ha potuto scrivere un racconto della vita e delle opere di Gaudí con carattere testimoniale, per la conoscenza diretta del personaggio e dell’iter attuativo delle sue realizzazioni, gli autori che hanno partecipato all’approfondimento dei temi trattati nel volume che ora si presenta – la dimora rurale e urbana, il parco e il giardino – e quelli che si occuperanno del sacro nell’interpretazione gaudiniana, in un prossimo testo già in cantiere, sono mossi dalla preoccupazione di restituire la peculiarità ecologico-simbolica del contributo dell’architetto catalano all’abitare contemporaneo. La fotografia di Llimargas accompagna con grande efficacia e maestria il metodo euristico dei tre volumi, scoprendo l’ordine, il rigore compositivo, la moderna qualità prospettica, intrecciata ad una fertilità immaginativa eccezionale, dell’opera guadiniana; ordine, rigore e qualità prospettica che la gran parte delle fotografie in genere trascurano, accontentandosi di una superficiale corrispondenza emotiva.
UNA DIMORA PER L’UOMO NELL’ARMONIA DEL COSMO di Maria Antonietta Crippa
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UNA DIMORA PER L’UOMO NELL’ARMONIA DEL COSMO
Colonna in pietra del primo piano di Casa Milà con scritte a rilievo. La struttura statica dell’edificio è composta solo da colonne, senza altri muri portanti oltre quelli in facciata, nei quali si aprono, sul paseo de Gràcia, ampie finestre.
Coordinate del contesto storico contemporaneo
G
li autori di questo volume, primi nella ormai folta schiera internazionale degli studiosi convinti della crescente importanza di Gaudí, offrono una interpretazione unitaria del suo progetto di dimora, tema nel quale l’architetto catalano ha dato un contributo all’architettura contemporanea, oltre i confini occidentali, di eccezionale originalità e tuttora ricco di profetici segnali. Il taglio critico del volume, inoltre, mette la dimora in stretta connessione con il progetto di parchi e giardini, dal momento che mondo artificiale dell’architettura e natura sono termini continuamente interagenti nell’immaginario e nell’iter progettuale gaudinia13
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Cupola del salone principale di Palazzo Güell. Si tratta di una volta con profilo di paraboloide di rotazione, che scarica il proprio peso su archi a catenaria. L’apertura in chiave aperta è sovrastata da un alto pinnacolo-lanterna, nel quale varie aperture consentono il passaggio della luce. Fori circolari, disseminati sulla superficie della cupola, permettono la penetrazione, all’interno della sala, della luce naturale.
Corte di Casa Milà verso calle Provença. Da destra sale la scala che porta al piano principale, dove si trova l’appartamento dei coniugi Milà-Segimon. Il basamento, il fusto e il capitello delle colonne vennero sbozzati in modo rustico; contenitori per piante pensili vennero collocati negli intercolumni.
no, costituendo insieme un interessante abbozzo di risposta ad esigenze ecologiche, oggi drammaticamente improrogabili. Il progetto gaudiniano di dimora approda infatti, oltre che ad una felice reciprocità dialogica tra artificio costruttivo ed elementi naturali paesistici, ad una gioiosa assimilazione e trasfigurazione di elementi della natura in componenti architettoniche, all’interno dello stesso processo formativo della costruzione. Questo secondo sviluppo matura tramite la messa a punto di componenti costruttive o figurative inedite nella storia dell’architettura; si pensi, ad esempio, all’uso della catenaria o delle superfici rigate. Oppure viene alla luce nell’invenzione di paesaggi artificiali o di giardini in pietra, luoghi di fantasia, come 14
il variopinto e ondulato prospetto di Casa Batlló o il misterioso mondo di «fantasmi» che popolano il tetto di casa Milà. Le prime e i secondi possono essere agevolmente esplorati come sintesi tra acuta osservazione di fenomeni naturali, intelligenza costruttiva e fervido immaginario, capace di allusioni simboliche dai plurimi significati. Tuttavia testimoniano anche, anzi soprattutto, il vitale emergere, nel talento creativo dell’architetto catalano, di una energia cosmica che lega in unità materia e spirito, uomini e cose, architettura e natura. Di questo impeto creativo si può riconoscere oggi il carattere profetico; esso apparve invece antistorico alla stragrande maggioranza degli architetti e dei critici contemporanei di Gaudí. Le sue costruzioni videro la luce, infatti, negli stessi anni nei quali l’opzione utopica e secolarizzante prevalse nel mondo dell’architettura europea, che propose, in termini radicalmente diversi da quelli dell’architetto catalano, la realizzazione di nuovi spazi urbani e di contesti abitativi per risolvere alla radice le sperequazioni conseguenti al violento inurbamento e alla rivoluzione tecnologica, esplose tra la seconda metà del xix secolo e l’inizio del xx. E indispensabile ricordare qui brevemente quanto accadde, in Occidente, nell’arco temporale nel quale fu professionalmente attivo l’architetto catalano, per ben caratterizzarne la singolarità. Tra la seconda metà del secolo xix e i primi decenni del xx la storia dell’architettura contemporanea segnala il passaggio da una fase di compresenza di eclettismo e architettura dell’ingegneria a quella della prima e più dirompente espressione di una modernità che fu eminentemente razionale, se si esclude l’esplosiva e fulminea stagione espres15
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Interno del piano nobile di Casa Milà, in fase di ristrutturazione nel 1968. Sono ben visibili: la nuda struttura portante, i pilastri in pietra, le catene in ferro, le barrette metalliche e le voltine in mattoni. All’origine i soffitti erano rifiniti in stucco a rilievo, che la signora Milà distrusse nel 1926.
sionista tedesca, con scarse ricadute sui temi dell’abitare. Tale razionalità maturò nei suoi termini fondamentali negli anni Venti e Trenta, tra le due guerre mondiali. A snodo tra prima e seconda fenomenologia si pone, a cavallo dei due secoli, la tendenza Art Nouveau, affiorata dapprima in Belgio, ma presto diffusa in tutta l’Europa con declinazioni ornamentali ora più a carattere floreale ora più geometrico e con diversa denominazione – Modern Style, Floreale, Liberty, Modernismo, Sezession – nelle differenti aree nazionali. Gli effetti ormai maturi della cultura illuminista, della rivoluzione industriale e della rivoluzione urbana concorrevano, in questo stesso arco temporale, a trasformare radicalmente l’ambiente antropico, urbano e rurale, e i termini delle qualificazioni professionali di ingegneri e architetti. Due dati, in particolare, si dimostravano, già alla fine del xix secolo, catalizzatori di dirompenti trasformazioni. In primo luogo, lo furono le innovazioni tecnologiche, che consentivano la rapida diffusione di costruzioni in ferro e cemento armato, e l’incremento esponenziale del comfort domestico, con l’utilizzo di luce, acqua, gas nelle abitazioni. Non meno importante fu la rapida diffusione di nuove forme insediative, che implicarono presto la necessità del controllo dello sviluppo urbano, tramite piani regolatori, ma videro contemporaneamente l’esplodere di due distinti tipi di costruzioni residenziali: la villa o il villino, con giardino, come residenza isolata e normalmente suburbana della famiglia mononucleare, e l’alloggio sociale, il condominio, sul quale gli 16
Veduta dall’alto dell’edificio della Scuola provvisoria della Sagrada Familia (1909). La copertura a volte in mattoni ha la forma di due conoidi aventi come generatrice una retta sull’asse della costruzione, in corrispondenza della quale corre l’unica catena in ferro della struttura.
Disegno della Scuola ove è leggibile il collegamento tra i muri dal profilo di paraboloide iperbolico e la copertura a conoidi. L’emergenza sulla destra corrisponde ai servizi.
architetti si esercitarono a lungo, differenziandolo tipologicamente tra blocco residenziale urbano borghese e casa popolare. L’attività edilizia si spostò su questi fronti in modo massiccio tra il 1890 e il 1914, dando luogo ad una diffusa mentalità protorazionalista, semplificatrice e antimonumentale, dapprima assunta da impresari costruttori ma, con breve scarto temporale, fatta propria anche da architetti sempre più consapevoli della inattualità della loro formazione accademica. Prese presto corpo una insistita attenzione ai processi industriali, per cogliervi una possibile, immediata ricaduta nel contesto della produzione edilizia; le sempre più pressanti richieste di comfort e di innovazione tecnologica implicarono una diffusa indifferenza per la profusione d’ornato e le ricercatezze stilistiche sulle quali per lunghi secoli si era esercitato l’artigianato europeo. Trasformazioni di questo tipo non maturarono gradualmente, ma per rapidi e violenti scarti, in oscillazioni di gusto e attraverso conflitti ideologici che la storiografia contemporanea ha ricostruito con grande accuratezza. In molte aree esse diedero luogo, tra l’altro, ad una sostanziale convivenza di tardo Eclettismo, Art Nouveau e Protorazionalismo nei primi decenni del xx secolo, con accentuazioni nazionali diverse ma secondo un unico trend culturale esteso a tutto il mondo occidentale. Emerse nel frattempo la necessità di definire nuovi programmi di sviluppo a scala urbana, sia per la domanda sempre in crescita di residenze operaie, sia per il configurarsi di capacità riformistiche a scala nazionale, orientate a conseguire il miglior utilizzo delle nuove risorse tecnologiche ai fini di un benessere allargato al maggior numero possibile di persone. 17
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Studio per l’alzato dell’Hotel Atracción a New York, realizzato dall’architetto Marcos Mejía López nel 1995, in base agli schizzi originali del 1908 di Gaudí e ai disegni di Juan Matamala Flotats del 1965.
Studio di Marcos Mejía López, che ottenne la laurea d’architetto alla Cátedra Gaudí nel settembre del 1995, sulle proporzioni dell’Hotel a New York. Sul tema si realizzò una esposizione presentata all’Hotel Rey Juan Carlos i, a Barcellona, il 21 dicembre 1993 e un film, per il programma «Stromboli» della televisione catalana.
A partire dal 1880, in un contesto sociale e politico fortemente influenzato dal pensiero socialista e da quello marxista, videro la luce in Europa molte organizzazioni finalizzate al confronto e ad una attiva collaborazione tra artisti, artigiani e proprietari di industrie collegate al mondo dell’edilizia, in vista di un incremento industriale che consentisse di raggiungere, nella produzione di componenti dell’edilizia e dell’arredo, un livello qualitativo competitivo con quello dell’arte e dell’artigianato tradizionali. I più celebrati, fra questi raggruppamenti, sono le inglesi Arts and Craft attive dalla fine dell’Ottocento, le austriache Wiener Werkstätte, fondate nel 1903, il Deutscher Werkbund, del 1907, nel territorio della Germania. Negli Stati Uniti l’impetuoso sviluppo industriale diede luogo, intorno al 1870, all’invenzione del grattacielo a struttura metallica, soprattutto destinato ad ospitare uffici. La costruzione metallica anche per edifici di modesta altezza rivaleggiò, qui molto prima che in Europa, con l’edilizia tradizionale in muratura e in pietra. Implicò immediatamente una catena di attività specializzate di supporto, lo studio della prefabbricazione dei componenti e la loro produzione industriale. Grandi costruzioni in ferro e vetro vennero realizzate sia in Europa che in America già alla fine del xix secolo. A quest’epoca erano già stati messi a punto l’ascensore elettrico, gli impianti di riscaldamento e di illuminazione, la climatizzazione e i sistemi antincendio per gli uffici. L’elettricità, in particolare, consentì una meccanizzazione crescente delle funzioni abitative, scatenando una domanda sempre più generalizzata di comfort. Divenne prevalente la tipologia costruttiva ad ossatura portante, o a scheletro, in sostituzione di quella tradizionale a muri portanti, di più rapida esecuzione e pertanto in grado di ridurre la durata di immobilizzazione dei capitali investiti in questo campo da privati e imprese. Il cemento armato, introdotto più tardi del ferro, fu utilizzato dapprima soprattutto in Europa. Nei primi anni dopo il 1900 i fratelli Perret a Parigi e Heilmann e Litmann a Monaco misero a punto costruzioni con scheletro in cemento armato lasciato in vista, aprendo la strada ad una nuova estetica, che i processi produttivi avrebbero presto piegato ai propri interessi speculativi. In America il cemento armato venne dapprima utilizzato soprattutto per silos e depositi; solo dopo il terremoto del 1906 se ne introdusse l’uso massiccio nell’edilizia civile. 18
Disegno ricostruttivo di una delle sale da pranzo dell’Hotel a New York nell’interpretazione di Juan Matamala Flotats, che ereditò dal padre alcuni schizzi originali di Gaudí e conosceva, per tradizione orale, la forma generale dell’edificio che Gaudí aveva soltanto abbozzato.
Pianta schematica dell’Hotel a New York, elaborata sulla base degli studi di Juan Matamala Flotats, pubblicati nel 1989 nel volume El gran Gaudí di Joan Bassegoda, e delle ricerche di Marcos Mejía López.
Sequenza di colonne al centro della grande sala ai piani alti dell’Hotel Atracción di New York, secondo Juan Matamala. Ricorda la forma del sostegno del cimborio della Sagrada Familia, che Gaudí definì in un modello in gesso.
In questi stessi anni gli ingegneri raggiunsero un alto livello estetico nel progetto di infrastrutture territoriali o di grandi complessi edilizi, grazie ad una raffinata ricerca di razionalità disciplinare, della scienza delle costruzioni in particolare, applicata all’uso di nuovi materiali. Si pensi ad esempio agli eleganti ponti di Maillard in cemento armato o a complessi di enormi dimensioni, come la Jahrhunderthalle di Max Berg a Breslavia del 1913, anch’essa in cemento armato. La rapida industrializzazione dell’edilizia, in alcuni paesi già esplosa nei primi decenni del xx secolo, comportò l’utilizzo di nuovi materiali antincendio, quali l’amianto e il fibrocemento; si produssero ceramiche smaltate non gelive per paramenti murari, fu inventato il linoleum per i pavimenti; il mercato fu invaso dal vetro soffiato prodotto industrialmente per consentire l’apertura di grandi finestre. Ragioni di questo tipo comportarono, tra l’altro, anche un aumento notevole del costo della casa. Divenuta in tutto il contesto occidentale il tema progettuale più importante, la nuova abitazione, isolata o condominiale, non si sviluppò secondo procedure lineari. Mentre ad esempio gli alzati, i prospetti su strada in particolare, conservarono a lungo configurazioni eclettiche o Art Nouveau in molte città europee, ovunque si introdussero rapidamente nuove organizzazioni funzionali interne. All’internazionalizzazione dell’habitat fece riscontro, nell’Ottocento storicista, la consapevolezza da parte di molti del peso della rapida perdita della qualificazione locale e regionale del paesaggio. Forse per primo il francese Viollet-le-Duc mise a confronto diversi modi di abitare nelle civiltà delle più diverse latitudini. Le conseguenze della crescita incontrollata di molte città occidentali – come Chicago, New York, Parigi, Berlino, Vienna e Barcellona – alimentarono anche un diffuso antiurbanesimo, un rifiuto delle condizioni di vita imposte dalla metropoli, tema privilegiato dalle utopie socialiste del xix secolo, ma resistente a lungo, per gran parte del secolo successivo, nel modello howardiano, più volte ripetuto e reinterpretato, della città-giardino, che eccitava l’immaginario collettivo col sogno di una sintesi, fra il meglio del contesto urbano e di quello rurale, in un unico modo di vita. Contemporaneamente, sempre a partire dalla seconda metà del xix secolo, nelle maggiori città occidentali si moltiplicarono le realizzazioni di complessi a destinazione pubblica, talvolta di scala gigantesca e con carattere monumentale – quali grandi magazzini, stazioni ferroviarie, teatri, parchi –, nel quadro di processi di modernizzazione tra i quali ebbero valore di modello di riferimento europeo la rapida trasformazione di Parigi, decisamente pilotata dal barone Haussmann e voluta da Napoleone iii, e la costruzione del Ring di Vienna, più rispettosa, rispetto alle procedure francesi, del tessuto storico della città. In generale si può ritenere che, a partire dal 1890 circa, la questione dell’habitat passò in primo piano, diventò il principale tema d’architettura, nelle forme distinte della casa isolata e dell’alloggio sociale, ponendo le premesse di quelle ricerche, d’architettura e d’urbanistica allo stesso tempo, che sarebbero state al centro dell’attenzione, negli anni Venti e Trenta del secolo successivo, dei maggiori architetti pionieri di totalmente nuove forme insediative. La fitta lottizzazione dei terreni, il fenomeno sempre più vivace della differenziazione della rendita urbana dei suoli, l’accentuarsi di processi speculativi stimolarono il ceto borghese a prediligere ville suburbane, per le quali esigevano la immediata messa a punto delle innovazioni tipologiche. Nella stragrande maggioranza dei casi, i fenomeni in corso a scala urbana implicarono l’inevitabile correlazione di tali tipologie edilizie alle forme del lotto, ad un controllato contenimento dei volumi, alla valorizzazione di giardini, in ogni caso di dimensioni limitate, per il cui godimento si moltiplicarono, nel disegno della casa, le terrazze, le finestre, i balconi, gli accessi secondari. Comodità d’uso, comfort, economicità dei consumi divennero componenti essenziali anche di questi progetti, imponendo una sempre più rigorosa razionalizzazione e tempestività dei processi costruttivi. 19
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Pergolato sull’angolo tra la calle un tempo denominata de Sant Gervasi, ora de las Carolinas, e il vicolo di Sant Gervasi nel giardino di Casa Vicens, scomparso con le modifiche del 1927. La struttura a mattoni a vista scarica su tozze colonne in pietra.
Logica e importante conseguenza di questi fatti fu il generale abbandono dell’organizzazione planimetrica e del disegno dei prospetti, della facciata su strada in particolare, di ascendenza accademica, a favore di configurazioni asimmetriche, di libere emergenze di volumi, di eliminazione di gerarchie di valore rappresentativo nei prospetti, di riduzione ai minimi termini degli spazi di rappresentanza entro la dimora, ormai spoglia delle ostentazioni ridondanti nelle case ottocentesche. Gradualmente venne alla luce una vera rivoluzione dei modi di vita quotidiana, nella quale ebbe certamente rilievo importante il rapporto tra committenza e progettista. Nacquero in questo frangente molte riviste d’arte, di decorazione, d’arredamento. La casa Art Nouveau, la casa protorazionalista, la casa organica divennero note per questa via ad un largo pubblico. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento leggi nazionali incrementarono e sostennero finanziariamente la realizzazione di quartieri operai. Progetti di questo tipo, che implicavano configurazioni urbane di vaste aree e pertanto anche infrastrutture e luoghi pubblici, attrassero sempre più l’interesse di architetti di successo, che vi sperimentarono, fino al limite della individuazione dell’Existenzminimum, la razionalità economica del processo edilizio e le sue possibilità estetiche. Dopo la prima guerra mondiale la circolazione delle idee divenne più rapida e sistematica, fino ad imporre la percezione di una unità delle esperienze e delle innovazioni a scala mondiale. All’inizio degli anni Venti, Adolf Behne e Walter Gropius per primi si fe20
Porta della Proprietà Miralles prima del restauro del 2000. Mancano la pensilina metallica e la croce in ferro, collocata in alto. A questo lavoro partecipò Domingo Sugrañes, autore anche della casa rurale valenziana visibile nel giardino.
Schizzo di Domingo Sugrañes con la porta della Proprietà Miralles, la casa rurale valenziana, oggi scomparsa, e l’edificio che non si riuscì mai a costruire.
cero paladini di una architettura moderna internazionale ormai pienamente affermata. La loro visione di habitat contemporaneo comportava una decisa squalifica delle tradizioni storiche e locali. Questa linea di tendenza, presto vincente, chiamò gli architetti a staccare la loro professione dalla dimensione di servizio a realtà sociali concrete e dalla densità simbolica inscritta nella storia dei luoghi, per immaginare invece una possibilità di innovazione dell’habitat fondata su una teorica interpretazione delle necessità delle singole persone e della vita associata, ed estesa omogeneamente a tutto l’orbe antropizzato. L’architetto in questo modo proponeva se stesso come figura di primo piano nella sfera della promozione sociale, facendo del suo progetto il catalizzatore per l’avvento di una nuova società democratica. Consapevoli della difficoltà dello scopo, che li entusiasmava perché faceva loro percepire imminente, anzi già in corso, il superamento di problemi di stile a favore di una più grande causa di giustizia sociale, gli architetti occidentali più celebri solidarizzarono a partire dal 1928 riunendosi in Congressi Internazionali di Architettura Moderna (ciam), nei quali come è noto giocò un ruolo di primissimo piano Le Corbusier. A questi anni risale l’emergere di una doppia polarità dell’architettura, presto denominata del Movimento Moderno: da una parte divenne chiara la sua funzione sociale in stretta connessione con il progresso tecnologico; dall’altra si manifestò la sua originale qualificazione estetica – in stretto dialogo con l’estetica, l’immaginario, i metodi compositivi delle avanguardie artistiche –, fondata sulla volontà di una insistita coerenza, che finì per divenire identificazione, tra tecnica e forma. 21
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Da una parte dunque si trattò di far coincidere, almeno tendenzialmente, l’utile e il bello: il razionalismo trascolorò talvolta per questa ragione in un radicale funzionalismo. Dall’altra, attraverso la produzione delle maggiori personalità che influenzarono presto gli ambiti di formazione professionale, la nuova sensibilità estetica diede luogo ad un linguaggio tendenzialmente antiornamentale, ma ricco di variazioni soggettive, che agli inizi degli anni Trenta l’americano Hitchcock avrebbe battezzato col nome di Stile Internazionale. Molti architetti, come in forma altamente suggestiva e propositiva seppe fare Le Corbusier, intrecciarono le due componenti senza fossilizzarsi in eccessivi schematismi; altri invece furono testimoni esemplari o della prima tendenza, come Hannes Mayer, o della seconda, come Mies van der Rohe. In questo modo la matura tecnica costruttiva moderna e le invenzioni figurative delle avanguardie artistiche vennero poste al servizio di una rivoluzione sociale pacifica: il progetto d’architettura divenne ipotesi per favorire, anzi provocare, l’avvento di «uomo nuovo» e di una «nuova società». In questi stessi anni, nella Russia che diventava Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche attraverso una rivoluzione violenta, si passava rapidamente dal simbolismo macchinista dell’avanguardia dei costruttivisti alla retrocessione in un pomposo eclettismo di maniera, imposto dalla burocrazia e dallo stalinismo. Il rapidissimo excursus storico or ora tracciato senza pretese di completezza, un excursus più attento al dato di fatto delle grandi trasformazioni ambientali avvenute nel corso di poco più di un secolo che alla contemporanea circolazione di idee, ha il solo scopo di delineare, sullo sfondo del tema che questo volume prende in esame, i tratti essenziali del processo di modifica dei modi di abitare, dalla forma urbis alla dimora. Ho cercato infatti di evidenziare le ragioni per le quali il tema dell’habitat contemporaneo possa aver implicato, presso molti architetti e nella prima costruzione storiografica del Movimento Moderno, una riduzione della casa a meccanismo, dotato di ogni comfort e fondato – come del resto la contemporanea idea di città – sullo sviluppo di un progetto concepito esclusivamente come risposta razionale ad una casistica di bisogni della persona singola e della società, più o meno ampia, anzi teoricamente illimitata. Non è mia intenzione far di ogni erba un fascio e dichiarare negativo in toto il processo che qui ho sommariamente descritto. Al contrario ritengo che esso costituisca un patrimonio di esperienze ancora oggi fondamentali, altamente differenziate al loro interno. Di diverso peso e significato sono ad esempio le soluzioni proposte, in uno stesso contesto, da Bruno Taut, Martin Wagner, Ernst May; non priva di interesse la formula dell’asta continua, a 3 o 4 piani e con appartamenti di traverso, talvolta associata a giardini privati, che le loro ricerche hanno privilegiato. Anche i prototipi di abitazione dei maggiori architetti del Movimento Moderno nel Werkbund di Stoccarda del 1927 al quartiere Weissenhof, disegnato da Mies van der Rohe, non sono da ritenere archeologia di una modernità ormai inattuale. Lo stesso KarlMarx-Hof voluto dalla municipalità di Vienna, con i suoi 1.600 alloggi disposti nella forma simbolica di un grande bastione, non è privo di fascino, né può essere giudicato solo sotto il profilo ideologico. L’elenco potrebbe continuare, ricordando, nei Paesi Bassi, il quartiere nel piano per Amsterdam Sud di Berlage, del 1917; il suggestivo insediamento in cotto rosso, voluto dal sindacato degli operai diamantiferi, di de Klerk del 1919-21, o il complesso Kiefhoeck di Oud e van Eesteren del 1925-27. Per la Francia occorrerebbe riflettere sul Plan Voisin del 1925 di Le Corbusier e sull’esperienza dell’alloggio sociale promossa dai diversi sindaci degli arrondissements di Parigi. Le immagini che questi e molti altri esempi dell’abitare moderno evocano, se messe a confronto con le dimore di Gaudí, consentono di percepire una discontinuità, una diversità di atteggiamento globale, che credo valga la pena di continuare ad esplorare senza pregiudizi di sorta più che di contrapporre come due fronti privi di reciproco influsso. 22
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La cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp (19501955), di Le Corbusier, in uno stile organico lontano dalle sue fredde costruzioni razionaliste degli anni Trenta.
Foto dei membri del Primo Congresso Internazionale di Architettura Contemporanea (ciam) a La Sarraz nel 1928. Sono riconoscibili, tra i membri sostenitori del Razionalismo, Le Corbusier, Sigfried Giedion, García Mercadal.
Lo scarto infatti può contenere, come io ritengo, un messaggio importante per il prossimo futuro. Per coglierlo occorre evitare mitizzazioni, svalutazioni avventate, bilanci del tutto improponibili e comunque intempestivi.
Il profilo di una ricerca solitaria ma non individualistica Gaudí manifesta, a paragone con molte personalità sopra evocate, una energia immaginativa assolutamente singolare. A mio parere ciò è dovuto al fatto che egli attinge, in una ricerca del tutto solitaria ma non di carattere individualistico, alla dimensione del sacro nella sua qualificazione più nitida, in termini che risultano incomprensibili se si resta ancorati ad una estrinseca dipendenza delle sue immagini dalla confessione religiosa cattolica. Questa fu certamente da lui partecipata con una estrema radicalità, in uno scandaglio del senso dell’esistenza e della storia che lo portò al recupero di quello che – con Eliade, Dumézil e Ries1 – possiamo chiamare sacro o senso religioso stratificato nel percorso della cultura occidentale, ma, al tempo stesso, unitariamente fondato in una matrice indoeuropea. Gaudí, potremmo anche dire, ha esplorato sub specie arquitectonica il mistero della vita e del suo destino, riuscendo a rielaborare personalmente e con crescente libertà - sia nei confronti di canoni stilistici ormai fossilizzati, sia rispetto a didattiche qualificazioni etiche dell’immaginario - tutto il patrimonio figurativo, orientale ed europeo, raggiunto dalla sua memoria, direttamente e indirettamente, tramite riproduzioni fotografiche. In lui, dimensione sociale del sacro, suo fondamento metafisico, sua concreta espressività in ambito cristiano si saldano, non solo scatenando una produzione d’architettura che compagina segni e simboli precristiani e cristiani, dell’Occidente e dell’Oriente, in modo nuovo. Egli inventa anche forme allusive inedite e sintesi figurative, nella organicità dei suoi complessi architettonici, che aprono il varco al recupero di un dato primordiale della cultura indoeuropea, del quale Eliade ci ha resi avvertiti: l’essere l’atto del costrui23
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Portico della cripta della chiesa di Gaudí, rimasta incompleta, nella Colonia Güell a Santa Coloma de Cervello, con voltine a mattoni piatti, in forma di paraboloide iperbolico.
re, dell’edificare, qualcosa che affonda le proprie radici nel mito cosmogonico per il quale erigere una dimora per gli uomini è atto che implica «ricreare il Mondo». Si consideri ad esempio la necessità di Gaudí di segnalare con le croci cosmiche, svettanti nelle più diverse costruzioni e nel suo paesaggio, l’orientamento nello spazio. Per i «primitivi», scrive Eliade, «in ultima istanza, la divisione dello spazio in quattro orizzonti equivaleva a una fondazione del Mondo. L’omogeneità dello spazio conosciuto era in un certo senso assimilata al Caos [...] insistiamo su un fatto: l’uomo delle società ‘primitive’ e tradizionali crea il proprio mondo – il territorio che occupa, il suo villaggio, la sua casa – secondo un modello ideale, in particolare quello degli Dei che creano l’universo. Ciò non vuol dire, certamente, che l’uomo si considera uguale agli Dei, ma soltanto che non può vivere in un caos, che prova il bisogno di collocarsi sempre in un mondo organizzato; orbene il modello di quest’ultimo è il Cosmo»2. A questo principio fondamentale mi interessa subito approdare: l’architettura per dimore di Gaudí – le sue case con i giardini e i parchi – costituisce un vero cosmo, un principio d’ordine nel caos circostante; un ordine costruito in analogia e in armonia con il cosmo intero, opera di Dio e prima sua rivelazione. Da questo principio primo ne discendono altri, sviluppati entro la stessa logica cosmologica e simbolica. Occorrerebbe svilupparne una descrizione dettagliata, per darne adeguata evidenza. A mio parere è questo il punto di vista più importante a partire dal quale esaminare, oltre che l’intero patrimonio figurativo messo a punto da Gaudí nelle sue costruzioni, anche la sua curiosa compaginazione architettonica in immagini complessive – all’apparenza priva di una immediatamente percepibile coerenza logica – e la stessa articolazione spaziale e costruttiva. Ritengo che comunque sarebbe indispensabile il supporto di uno storico delle religioni per cogliere con precisione l’ampia sacralizzazione dei luoghi messa a punto dall’architetto catalano. Quanto ho qui segnalato mi pare tuttavia sufficiente per identificare l’indubbio carattere sacro e l’evidente qualità «cosmica» di tutta l’architettura gaudiniana, in particolare 24
Intradosso della sequenza di cupole rivestite con ceramica frammentata, a calotta emisferica e con struttura prefabbricata a mattoni piatti, nella sala ipostila del Parco Güell.
quella delle sue dimore, dei suoi giardini, dei suoi parchi, oltre che delle costruzioni con esplicita funzionalità religiosa. Grazie a questo preciso ancoraggio al sacro, tutta la sua invenzione di spazi raggiunge, io ritengo, una caratterizzazione di dimora, nettamente distinta da quella dei protagonisti del Movimento Moderno, in termini che intendo qui di seguito evidenziare. Non credo che sia solo per ragioni artistiche che la Casa Milà e il Parco Güell siano stati inscritti nell’elenco delle realizzazioni del patrimonio mondiale dell’unesco, quali capolavori che assommano innovazioni figurative, tipologiche e tecnologiche. La loro esemplarità è infatti a livello di una proposta di habitat contemporaneo di portata ben più ampia, non meccanicamente ripetibile, ma da meditare a fondo per affrontare adeguatamente problemi di sviluppo compatibile, attualmente vivi a scala mondiale. Come ricorda Norberg Schultz, al termine habitat e al verbo abitare si associa oggi un insieme vasto di atti, che si stende ben oltre il proteggere se stessi e i propri familiari con un tetto sulla testa e un certo numero di metri quadri a disposizione. Abitare, egli ricorda, è infatti «incontrare altri esseri per scambiare prodotti, idee, sentimenti, ossia per sperimentare la vita come moltitudine di possibilità»; è «accettare un certo numero di valori comuni», è «scegliere un piccolo mondo personale». Questi tre livelli identificano tre forme abitative: quella collettiva, della città; quella pubblica, degli edifici di uso comune; quella privata, della casa, dove la persona e le sue primarie relazioni familiari trovano piena espressione. In sintesi, conclude lo studioso: «Possiamo anche dire che l’abitare consiste di orientamento e identificazione. Dobbiamo scoprire dove siamo e chi siamo, affinché la nostra esistenza acquisti significato»3. L’osservazione riporta al legame uomo-Mondo, uomo-Cosmo al quale sopra si è accennato. L’interrogativo che la mobilita – «dove siamo, chi siamo» – è pressante, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, nella cultura occidentale segnata dalla crisi di fiducia in una certa concezione della modernità e della sua espressione tecnologica omologante. Dopo la prima fase eroica o pionieristica vissuta da grandi personalità quali Le Corbusier, Mies van der Rohe, Gropius e Frank Lloyd Wright, per non citare che i più noti, una fase 25
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Casa-modello per promuovere l’urbanizzazione del Parco Güell. Progettata da Francisco Berenguer, dal 1906 al 1925 vi abitò Gaudí; attualmente ospita la Casa-Museo Gaudí.
che esprimeva – come già si è detto – totale fiducia nel mito del progresso e che riteneva che i progetti d’architettura e di urbanistica potessero organizzare una società alternativa a quella esistente, si è tornati a considerare questione densa di incertezze il nesso architettura e società. Si inseguono pertanto nervosamente, nel progetto, un impegno democratico e una istanza ecologica, ma senza intravederne, almeno per ora, una capacità propositiva. Si è nel frattempo intuito e concettualmente formulato il principio che l’uomo come abitante non si relaziona in prima istanza a spazi ideati al tavolo da disegno, per quanto alta sia la loro qualità formale e funzionale. Suoi riferimenti indispensabili sono innanzitutto i luoghi, realtà antropiche territoriali storicamente stratificate, nelle quali ha preso corpo una precisa identità culturale di famiglie, di comunità, di popolo. È stato ancora una volta Norberg Schultz a dare evidenza, alla fine degli anni Settanta del Novecento, al tema. Fondandosi sulle tematiche heideggeriane del luogo e sulla trasposizione di senso di una formula latina, genius loci, al termine luogo, in un’opera divenuta presto famosa4 egli ha fatto propria la consapevolezza di una radicale dissoluzione della nozione tradizionale di luogo nella cultura contemporanea, dissoluzione che si è manifestata, a suo parere, sia nella diffusa percezione ed esperienza sociale di sradicatezza che nella incompiutezza figurativa della maggior parte dei progetti contemporanei, prigionieri di un funzionalismo di matrice illuminista. Il dibattito conseguente ha chiamato in causa molti studiosi; ha promosso un nuovo atteggiamento progettuale volto al recupero di tale dimensione tramite un regionalismo, critico nei confronti di una accentuata internazionalizzazione dei modi di vita e dei linguaggi architettonici, capace di valorizzare la qualità locale, persino vernacolare, del progetto. Ha spostato inoltre l’attenzione degli architetti sulle componenti di modifica di realtà preesistenti da parte di un nuovo progetto, ridimensionando decisamente la convinzione che fosse possibile inventare spazi per le dimore degli uomini nel vuoto mentale di una tabula rasa, priva di riferimenti alla storia e ai caratteri ambientali, specifici di ogni contesto. Anche sotto questo punto di vista Gaudí ha anticipato i tempi, per quella sua capacità di muoversi creativamente tra invenzione e innovazione, puntando più a modificare i contesti ambientali e architettonici sui quali interveniva che a stravolgerli radicalmente. 26
Chiusura del Parco Güell presso l’entrata da calle Olot.
Le sue più interessanti innovazioni maturano, come è noto, più dall’attenta osservazione della natura e da una approfondita riflessione del valore del patrimonio storico-artistico che egli eredita, che non dalla volontà di correre precipitosamente verso un solare avvenire. Non intendo affermare che Gaudí sia estraneo alle contraddizioni sociali e politiche del suo tempo, né che le sue realizzazioni possano assurgere a modello per una proposta di habitat contemporaneo tout court. Non si tratta, io credo, di contrapporlo a tutti gli altri grandi maestri a lui coevi, come figura di contraltare che ne sveli eventuali limiti. A mio parere la sua funzione storica, nel contesto dell’architettura contemporanea, è stata ed è quella di segnalare direzioni di ricerca fino ad ora non adeguatamente esplorate, ma, come dimostra il suo itinerario di ricerca se ben compreso, praticabili. In particolare Gaudí ha reso pensabile e immaginabile nel contesto culturale contemporaneo, mi pare importante ribadirlo, un senso del sacro esteso, per sua natura, al di là dell’edificio chiesa, alla dimora, al giardino e al parco. Egli ha restituito in toto il valore di dimora alla casa, costruzione direttamente influente sul singolo e sui suoi rapporti umani primari, in quanto – direbbe Bachelard5 – suo guscio, domicilio per il recupero della propria interiorità, soglia di una intimità da rispettare, da proteggere e da valorizzare. Il filosofo contemporaneo Emmanuel Lévinas, nel più noto dei suoi scritti, Totalità e infinito, ricorda che, «nel sistema di finalità in cui si situa la vita umana, la casa occupa un posto privilegiato. Non il posto di un fine ultimo. Se può essere ricercata come scopo, se si può godere della propria casa, essa non manifesta, con questa possibilità di godimento, la sua originalità [...] Il ruolo privilegiato della casa non consiste nell’essere il fine dell’attività umana, ma nell’esserne la condizione e, in questo senso, l’inizio»6. Con questa formula la dimora non è qualificata innanzitutto dalla sua estensione spaziale geometrica: «Il luogo della dimora», precisa infatti Lévinas, «si produce come un fatto originale rispetto al quale (e non viceversa) deve essere spiegata l’apparizione dell’estensione fisico-geometrica». E prosegue: «La funzione originaria della casa non consiste nell’orientare l’essere con l’architettura dell’edificio e nello scoprire un luogo»; consiste invece nel consentire l’apertura di uno spazio interiore all’uomo, nel rendere possibile lo svolgimento di una interiorità, un luogo-non luogo, l’utopia dell’io, dice Lévinas, cioè «lo spazio per l’utopia in cui l’<io> si raccoglie dimorando a casa sua», una interiorità che abilita a vivere «il lavoro e la proprietà». 27
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Per l’architetto, che progetta dimore, è essenziale riconoscere la verità di quanto Lévinas afferma, perché essa capovolge il metodo progettuale moderno, che all’estensione fisico-geometrica, formalmente ordinata in spazio per la vita degli uomini, attribuisce il valore di evento autonomo. Mi pare che si possa concludere che Lévinas segnala qui, tramite l’identificazione dell’inerenza profonda della dimora al l’interiorità della persona, che, non la professione dell’architetto per quanto supportata dai vantaggi offerti dalle tecnologie moderne e dai contributi delle scienze umane, ma l’esistere dell’uomo, il suo prendere possesso delle relazioni con il mondo, la sua autocoscienza svolta in cultura sono all’origine dei caratteri fondamentali dell’estensione fisico-geometrica della dimora. L’architetto, in altri termini, è interprete, non demiurgo della vita sociale. Il progetto d’architettura contemporanea, al modo dei razionalisti e degli organicisti, cioè come sistema di risposte funzionali a un elenco più o meno lungo di bisogni materiali e spirituali, porta pertanto in sé la contraddizione di non essere forma spaziale che asseconda lo svolgersi della interiorità della persona, ma modello comportamentale sostanzialmente imposto. Al contrario, dice ancora Lévinas, la dimora è origine, proprietà, concretizzazione dell’interiorità, «raccoglimento che si riferisce ad una accoglienza», ritiro, protezione, «esistenza economica», ma non in modo meccanico, poiché: «L’isolamento della casa non fa spuntare magicamente, non provoca «chimicamente» il raccoglimento, la soggettività umana. Bisogna rovesciare i termini: il raccoglimento, opera di separazione, si concretizza come esistenza in una dimora, come esistenza economica». Ho voluto riprendere il pensiero del filosofo francese in alcuni passaggi salienti, perché essi descrivono la sequenza di percezioni da me vissute attraversando gli interni delle case di Gaudí, a Bellesguard, nelle case Calvet, Batlló, Milà. È emozionante infatti l’intensità di raccoglimento che essi provocano con la loro varietà e continuità fluida di forme, colori e luci. La psichica «separazione» dal resto del mondo che essi generano dà luogo ad un raccoglimento che non è affatto esito di una segmentazione dello spazio tra interno ed esterno e, all’interno, tra i diversi locali. È piuttosto la percezione del distendersi della propria interiorità, che consente una efficace evidenza dell’essere, con tutto se stesso, nel luogo. L’architettura di queste case, non trovo espressione più adeguata di questa per sintetizzarne l’esperienza, è favorevole ad una «umanizzazione» della singola persona, in quanto ne risveglia le capacità di raccoglimento e di ospitalità, di individualità e di comunione, di isolamento e di partecipazione, di festa e di riflessione. La casa, forma e spazio normalmente irrigiditi, nelle ricerche degli architetti contemporanei, in poche componenti morfologiche e topologiche, risveglia, nelle realizzazioni di Gaudí, la memoria di una primordiale dimora, alla quale possiamo dare il nome di grotta, utero materno, cosmo, cielo, mare che rispecchia in sé il cielo. Qualunque sia il nome al quale viene associata l’esperienza che essa consente, possiamo riconoscere che la memoria ritrova in essa con immediatezza la tracce di una originaria felicità, di un paradiso non del tutto perduto. È davvero una grave perdita la non perfetta conservazione degli interni delle dimore di Gaudí, la loro modifica o il loro adattamento a musei di costume, che possono soddisfare al massimo la curiosità superficiale di turisti distratti. È una grave perdita lo smantellamento degli oggetti da lui fatti realizzare dagli artigiani, il «restauro» interpretativo delle parti più deperibili delle sue costruzioni. Con la scomparsa dei caratteri originali degli ambienti, della qualità materica degli oggetti e delle superfici, della fluidità tra interno ed esterno degli spazi, si perde infatti la possibilità di esperire con forza una componente fondamentale del progetto gaudiniano: la sintetizzo, con terminologia ben nota nel Medioevo e prolungatasi anche nella prima stagione rinascimentale, come relazione di analogia tra l’uomo, inteso come microcosmo, e il mondo, come macrocosmo. 28
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Particolare della facciata di Casa Milà, in pietra calcarea di Vilafranca del Penedès lavorata a grandi blocchi interconnessi con giunti in malta di calce.
Il terzo fronte dell’originalità di Gaudí è il dialogo continuo delle sue architetture con lo spazio naturale, il costante rapporto tra artificio e natura, tra dimora e giardino, sia quest’ultimo composto da autentica vegetazione oppure in pietra. Rientra in questa relazione il suo interesse perla città-giardino, certamente condiviso col conte Güell. Tuttavia il contributo più autentico dell’architetto catalano, quando progetta giardini e parchi, è non di natura urbanistica ma architettonica, non per la qualità sorprendente degli interventi architettonici, ma in quanto egli ordina lo spazio naturale arricchendolo di metafore e simboli senza prevaricarlo, ma facendone emergere l’intrinseca, naturale, strutturazione organica. Il giardino di Gaudí mi ricorda «il giardino delle rose» evocato nel primo dei suoi Quattro quartetti dal poeta inglese T.S. Eliot, un luogo che riporta alle memorie dell’infanzia, ma che è anche simbolo di un passato e di un futuro che vivono nel presente, poiché: «Il genere umano / Non può sopportare troppa realtà. / Il tempo passato e il tempo futuro / Ciò che poteva essere e ciò che è stato / Tendono a un solo fine, che è sempre presente»7. Il giardino in Gaudí mi appare metafora, non del Paradiso terrestre, ma della forza di memoria dell’uomo, distensione ancora una volta della sua interiorità. L’uomo, ricorda Eliot, non è in grado di sopportare «troppa realtà», quell’eccesso di realtà che il tempo di una storia e delle sue prospettive future porta alla luce; è però capace di cogliere, nell’istante, l’intensità attuale della vita come nodo di un dramma in svolgimento. Analogamente giardini e parchi di Gaudí non sono luoghi di sospensione della memoria o di riposo, sono al contrario il territorio del suo risveglio, di un sommovimento di sentimenti e ragioni che apre ad una inquieta ricerca di senso. 29
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Idee per l’architettura Le invenzioni più sorprendenti di Gaudí non sono da ritenere, io credo, frutto di un talento istintivo privo di verifica razionale e produttivo tramite incontrollate pulsioni. Al contrario egli deve aver «covato» a lungo le proprie intuizioni, deve aver messo a punto, attraverso un costante affinamento dei propri sensi e del proprio gusto, le scoperte più avvincenti, fino a farle maturare in spazi e immagini, dei quali a noi è dato cogliere soltanto il brillante risultato e l’apparentemente inesauribile fecondità di fioritura. A mettermi sulla strada dell’ipotesi che ho or ora indicato è soprattutto l’analisi delle idee di Gaudí, espresse in scritti autografi e in riflessioni estemporanee raccolte da allievi. Isidre Puig Boada8 li ha ordinati in due distinte sezioni: una comprendente gli scritti giovanili autografi ritrovati e, l’altra, i pensieri che Gaudí offriva nella sua maturità agli allievi. Il confronto tra i contenuti della prima e quelli della seconda sezione segnala una precoce, originale e unitaria concezione del progetto d’architettura, già ben enucleata negli anni immediatamente successivi alla laurea. Permette inoltre di rintracciare una sostanziale coerenza tra teoria e pratica professionale; una sintesi senza sbavature tra fattori autonomi ed eteronomi dell’architettura; infine, il costante privilegio di due temi – la casa e l’edificio religioso – non identificati nel significato, ma compresi nell’unico orizzonte sacro. Se gli edifici costruiti sono il riferimento più importante, esaustivo anzi dal punto di vista storiografico, per riconoscere il genio di una personalità, le fonti scritte come quelle che ora intendo brevemente sottoporre ad esame consentono di esaminare le intenzioni espressive non sempre reperibili nell’opera conclusa. Nel caso di Gaudí esse sono ancora più importanti, a causa della scarsa documentazione grafica di suoi progetti a noi pervenuta, carenza che impedisce una adeguata ricostruzione del suo iter di ricerca. Mi soffermo in primo luogo su alcune parti degli scritti giovanili, privilegiando innanzitutto quelle in cui viene messo a fuoco un principio costante della progettazione gaudiniana. Lo esprime con chiarezza già nel manoscritto di Reus, del 10 agosto 1878, La decorazione9, nel suo complesso dedicato soprattutto al tema della chiesa. Vi afferma l’imprescindibile unità di costruzione e decorazione in architettura. La decorazione, a suo parere, sia negli arredi che negli edifici, esige «il rispetto di una infinità di condizioni» che, «chiarite in modo adeguato e ordinato», ne costituiscono il fondamento: essa è superflua se motivata soltanto da imitazioni stilistiche; complicata, se ridotta ad accumulazione di «piccole idee» che la rendono «povera e costosa»; nociva se si sovrappone alla «composizione estetica», «appesantendo l’oggetto e togliendogli nobiltà e semplicità»10. Il giovanissimo studioso, che dal Dictionnaire raisonné de l’architecture française du xie au xvie siècle11 di Viollet-le-Duc ha appreso la preminenza del momento costruttivo in architettura, riconosce all’ornamento il compito di rendere l’architettura bella, caratterizzata, geometricamente strutturata, ordinata per grandi masse, ricca di colori, logica ma non nei termini di un razionalismo ad oltranza. Ricordando le formule razionali degli Entretiens12 di Viollet-le-Duc, egli afferma infatti: «Non bisogna far dipendere tutto dalla necessità. Ritengo che il problema sia il seguente: per soddisfare l’intenzione artistica della nostra epoca è indispensabile cercare mezzi più economici di quelli attuali, per non essere limitati nei progetti, e poter invece raggiungere facilmente lo scopo estetico-morale»13. Accoglie dunque favorevolmente il perseguimento di una economicità tramite l’assunzione dei moderni processi produttivi industriali. Del resto, pochissimi anni dopo lo scritto sulla decorazione, nel 1881, avrebbe pubblicato in due tranches, sulla rivista «La Renaixença»14, un suo saggio critico sullo stato dell’artigianato in Spagna, esaminando la produzione esposta a Barcellona. Si sarebbe dichiarato soddisfatto della qualità dei manufatti – tessuti, ricami, arredo, oggetti in metallo, ceramiche, prodotti tipografici – perché di «buona fattura», una fattura tuttavia «non sufficientemente valorizzata dall’ideazione». A suo parere vi sono infat-
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Particolare del soffitto in ceramica invetriata e frammenti di vetro, nella copertura della sala ipostila del Parco Güell. La decorazione copre lo spazio di una colonna eliminata e venne realizzata da José María Jujol. Particolare del soffitto decorato da Jujol nella sala delle colonne doriche del Parco Güell. Vennero utilizzati frammenti di ceramica, di vetri colorati, di maiolica e di porcellana. Tribuna al piano nobile di Casa Batlló, con grandi finestre tra le colonne in pietra arenaria, scolpita in forme vegetali e ossee.
ti «buone qualità in attesa di potenziamento industriale» da accelerare anche tramite un addestramento didattico, capace di «trasmettere una sensibilità per i prodotti industriali» e di introdurre alla «strada della vera originalità, non quella che si limita a distruggere le idee con insignificanti variazioni della forma»15. La qualità ornamentale di un’architettura e di un oggetto d’arredo chiede dunque un esercizio di ideazione accurato. È uno scopo – afferma nell’ouverture dello scritto sulla decorazione – che si persegue solo nello sviluppo adeguato di una capacità intuitiva, coltivata nell’osservazione della natura, della conoscenza dei progressi tecnologici del proprio tempo e dei materiali a disposizione, della conservazione di una continuità non passiva, cioè non esclusivamente stilistica, della tradizione. Stupisce che il giovane catalano abbia ben individuato, fin d’ora e con estrema chiarezza, le tre principali componenti del suo futuro esercizio progettuale. In questo contesto la decorazione gli appare il momento compositivo nel quale, in libertà, l’architetto porta il progetto non solo oltre la logica delle necessità, economiche e funzionali, ma anche oltre 31
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l’intrinseca razionalità del costruire; essa è «essenziale nel conferire carattere, non è altro che il corrispettivo del metro e del ritmo in poesia»16. La ricostruzione storiografica del contesto nel quale Gaudí è cresciuto e ha maturato le proprie idee non ha ancora messo bene a fuoco il rapporto tra il patrimonio da lui acquisito dai maestri e lo scatto di originalità del suo genio. Non ci si può esimere dal chiedersi se i termini dell’unità di principio tra costruzione e decorazione - attorno al quale articola razionalità, gusto, economia, carattere, colore, geometria, bellezza - sia precoce opzione personale, filtro messo a punto in anni nei quali tale unità era dato di fatto non sottoposto al vaglio critico. Gaudí valuta, già nel manoscritto sulla decorazione, che la chiesa è da ritenere momento di sintesi di tutte le componenti dell’architettura e suo episodio limite; nella sua orbita, sarebbe anzi meglio dire nello stesso orizzonte di senso, presta tuttavia subito grande attenzione anche alla casa, soffermandosi sul legame tra dimore e famiglia. Scrive infatti, probabilmente tra il 1878 e il 1881: «La casa è la piccola nazione della famiglia [...] Alla casa di proprietà si è dato il nome di casa paterna. Chi non ha presente qualche bell’esempio in campagna o in città? Lo spirito di guadagno e i cambiamenti dei costumi hanno fatto scomparire dalla città la maggior parte delle case di famiglia; quelle che rimangono sono in uno stato così deplorevole e disagevole che finiranno come le altre. Il bisogno di una casa paterna non è solo di un’epoca e di una famiglia in particolare; è da sempre necessità di tutti». L’ouverture di Appunti sulla casa familiare (paterna)17 è un inno al nucleo fondamentale della vita associata che essa ospita, analoga, per autonomia di vita e costumi, all’unità di una nazione, di un popolo. Nel riferimento a un pater familias e ad una proprietà essa trova stabilità nel tempo e valido fondamento di valori. Il testo, certamente specchio della sua formazione d’architetto aperto alle istanze di igiene, benessere e antiurbanesimo di matrice inglese molto diffuse in Europa, testimonia anche un forte radicamento nel mondo rurale, contadino e artigianale, dal quale egli proveniva. La sua attenzione non si rivolge immediatamente alla casa borghese, ma alla «necessità di tutti». Non nasconde il disagio nei confronti della crescita abnorme e troppo rapida delle città, che strappa molti dal «paese natale» e Li costringe nelle «case dell’emigrazione». Plaude all’ipotesi di abbandonare il centro urbano congestionato per risiedere negli spazi ampi, luminosi e verdi, delle aree suburbane. Favorevole alla «autonomia dell’abitazione», al suo «buon orientamento» e alla «abbondanza di aria e luce», accenna all’immagine, quasi medievale, di una casa cittadina dalla configurazione turrita, «una casa né grande né piccola», che si può trasformare «in un palazzo, arricchendola e ingrandendola; riducendo e risparmiando sui materiali e gli ornamenti», può divenire «la modesta abitazione di una famiglia agiata». Prefigura una dimora-tipo ideale collocata nell’area della nuova espansione di Barcellona, da poco rapidamente disegnata secondo l’avveniristica e uniforme scacchiera di Cerdà, come risposta alle esigenze del veloce traffico veicolare e ad una diffusione omogenea di servizi collettivi. Mentre l’urbanista Cerdà aveva immaginato, per il suo tessuto urbanistico, una qualità edilizia con utopico carattere residenziale ugualitario e a crescita teoricamente illimitata, Gaudí vi propone, come in realtà accadrà nel giro di pochi anni, l’organizzazione di quartieri più o meno eleganti «a seconda delle ricchezze e della posizione». In questa scelta, che contempera l’accettazione della moderna forma urbana con la predilezione per l’elegante edificio residenziale, egli si dimostra giovane architetto disponibile a farsi interprete delle esigenze della nuova borghesia urbana. Il suo atteggiamento, è importante ricordarlo, non si discosta molto, fatte salve le peculiarità di storia e cultura locali, da quello delle più significative personalità d’architettura del xix e xx secolo. È inevitabile in particolare il riferimento alle Prairie Houses della prima e feconda stagione di Frank Lloyd Wright. Quest’ultimo infatti seppe abilmente 32
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Iscrizione «Jesus, Maria, Joseph» nella facciata della Nascita della Sagrada Familia, con due angeli che suonano la tromba, per i quali fece da modello il disegnatore Ricardo Opisso.
farsi interprete delle esigenze del gruppo alto-borghese degli industriali, attivi nel Loup di Chicago, ma desiderosi di vivere nelle campagne libere del suburbio, di proteggere il proprio nucleo familiare raccolto attorno a un «focolare», quel camino che Wright reinterpretò come centro della dimora, generatore di una espansione spaziale che la immergeva nella natura. In questa prima fase Wright coinvolse inoltre le più disparate competenze artigianali per raggiungere una configurazione architettonica che fosse nello stesso tempo antiurbana e «moderna», una sintesi inedita e tecnologicamente aggiornata per celebrare i tradizionali valori della famiglia. L’architetto catalano è mosso da esigenze molto simili, benché culturalmente definite in tutt’altri termini, e declinate in un territorio e in una economia, europea e catalana, sottoposta a un ritmo più lento di innovazioni. Egli dettaglia con estrema precisione la sua casa ideale: è «cinta da un muretto, di contenimento del terreno del giardino, sufficientemente alto per proteggerla dagli sguardi della strada, e circondata da un muro traforato». All’unità residenziale, composta da un unico blocco edilizio e da un giardino, le automobili accedono tramite una lunga rampa che conduce ad un sotterraneo, dal quale, tramite una comoda scala, si esce all’aperto su una terrazza. Da questa la vista coglie «il giardino e, tra le foglie dei pioppi e dei platani, l’abitazione», completamente isolata e immersa nel verde. Lo spazio interno compendia esigenze igienico-sanitarie, «di orientamento» corretto e di coordinazione «amena» delle stanze, tutte aperte tramite grandi finestre verso il giardino. Vi sono due sale da pranzo, l’una estiva e l’altra invernale. A nord vengono posizionati la sala da pranzo estiva, lo studio e altri locali minori; a sud la sala da pranzo invernale, i salotti, le camere da letto e, ben distinti, la cucina e i locali ausiliari. Fra le camere da letto a sud e lo studio a nord, si trova un ampio, «sorprendente portico, dove sono esposte le terrecotte, nido per i passeri della zona. Nell’angolo opposto si vede una serra in ferro e 33
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vetro, un giardino d’inverno che comunica con le stanze degli ospiti e che può essere adibito a salone per le grandi feste della famiglia». La parola d’ordine che Gaudí inventa per definire il carattere dell’arredo è che esso viene trasmesso «di padre in figlio». Lo immagina di una funzionalità semplice e comoda, ben definita in ogni particolare; si sofferma su oggetti e riproduzioni che compongono i «ricordi della famiglia, le imprese storiche, le leggende della terra, le delicate concezioni dei nostri poeti, gli spettacoli e le scene di Madre Natura; tutto quanto abbia significato e susciti stima». Della dimora così concepita individua infine due scopi principali: «in primo luogo, grazie alle condizioni igieniche, fa sì che coloro che vi crescono e vi si sviluppano siano forti e robusti; secondariamente, attraverso le qualità artistiche, conferisce loro, quando è possibile, la nostra proverbiale fermezza di carattere. In una parola bisogna far sì che i figli che nascono nella casa siano veri figli della casa familiare». È inevitabile il richiamo alle riflessioni dell’inglese Ruskin, certamente noto all’architetto catalano. Nel volume Le sette lampade dell’architettura, vademecum degli architetti europei e americani della seconda metà dell’Ottocento, così formulò il ventottesimo aforisma, del capitolo sulla Lampada della memoria: «Io dico che se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case sarebbero come templi che noi non oseremmo tanto facilmente violare e nei quali diverrebbe per noi salutare privilegio poter vivere. Dev’essere una ben strana dissoluzione degli affetti naturali, una ben strana ingratitudine verso tutto quello che le nostre dimore ci hanno dato e i nostri genitori ci hanno insegnato, una ben strana coscienza della nostra infedeltà nei confronti dell’amore di nostro padre, oppure la consapevolezza che la nostra vita non è tale da rendere sacra la nostra dimora agli occhi dei nostri figli, quella che induce ciascuno di noi a desiderare di costruire per se stesso, e a costruire soltanto per la piccola rivoluzione della sua vita personale. Io vedo queste miserande concrezioni di calce e argilla che spuntano come una precoce fungaia nei campi limacciosi intorno alla nostra capitale [...] Le guardo non solo con l’incurante repulsione della vista offesa, non solo col dolore che dà un paesaggio deturpato, ma con il doloroso presentimento che le radici della nostra grandezza nazionale debbano essere incancrenite ben in profondità dal momento che sono piantate in modo tanto instabile nella loro terra natia»18. Il dramma morale ed estetico di Ruskin fu vissuto anche dal giovane Gaudi: è noto, infatti, che i primi passi della sua esperienza professionale hanno oscillato tra adesione a forti impulsi socialisti e rapporti privilegiati col ceto nobiliare e alto-borghese, suo possibile cliente. Il giovane catalano, subito segnalatosi a quest’ultimo per la sua genialità, non era indifferente alla vita sociale del tempo, alle sue contraddizioni, alle spinte progressiste e agli ideali umanitari più vivi del momento. Se negli scritti giovanili incontriamo un architetto impegnato a definire, con sintetica sistematicità, alcune intenzioni di fondo della sua professione, nelle riflessioni raccolte dagli allievi a partire dal 1914 ci è possibile scorgere un uomo ormai del tutto dedito al suo mestiere, completamente immerso in una ricerca senza paragoni nel suo ambiente, concentrato inoltre sul cantiere della cattedrale della Sagrada Familia, al quale aveva deciso di dedicarsi in modo esclusivo proprio a partire da quell’anno, scelta che lo avrebbe sempre più isolato nel fervido suo mondo simbolico e religioso. I giovani architetti barcellonesi lo cercano per apprendere da lui il segreto di un rapporto tra immaginazione e costruzione esploso in assoluta singolarità e con grande verve innovativa nelle opere che essi possono vedere in città. Dalle riflessioni estemporanee, che essi trascrivono fedelmente, emergono tratti del temperamento gaudiniano che possono distrarre l’attenzione dagli aspetti più squisitamente architettonici: in particolare l’inclinazione morale dalle forti tinte ora doloristiche ora gioiose, l’accentuazione di tematiche nazionalistiche e confessionali, la perentorietà di molti luoghi comuni. A un attento esame delle parti più strettamente pertinenti l’architettura, si coglie invece, anche se solo per frammenti, uno sviluppo rigoroso delle premesse giovanili, pragmaticamente collegato ai lavori conclusi o ancora in corso. 34
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Casa-modello nel Parco Güell, che Gaudí acquistò nel 1906 e dove abitò sino al 1925. Benché firmato da Gaudí, in realtà il progetto era di Francisco Berenguer e la realizzazione del costruttore José Pardo Casanovas.
Esterno della casa di Manuel Vicens Montaner in calle de las Carolinas, costruita tra il 1883 e il 1888, in uno stile che ricorda l’Estremo Oriente. Fu ristrutturata in più momenti; le modifiche più radicali vennero realizzate, tra il 1925 e il 1927, dall’architetto Juan B. Serra de Martínez.
La villa «El Capricho» a Comillas, in Cantabria, a seguito dell’ultimo restauro. Era stata concepita come garçonniere per don Máximo Díaz de Quijano, cognato del marchese di Comillas; attualmente ospita un ristorante.
Il Mediterraneo, l’albero, la luce sono elementi del mondo naturale che l’architetto catalano nomina con insistenza e precisione, come riferimenti per una «imitazione» non pedissequa nelle membrature architettoniche, per una ricerca di armonia, di proporzioni, di vibrazioni, di qualità plastica. Egli conferma a più riprese l’unità di decorazione e costruzione, proponendo una dipendenza, di stampo medievale, di tutte le arti figurative e plastiche dall’architettura. Ha ormai maturato una propria originalità di metodo progettuale e di espressività; ha attraversato tutti gli stili classici, ha «lavorato» con essi, egli dice; è consapevole del prezioso insegnamento che egli continua a trarre dalla natura e dal passato storico a lui noto, ma si rende anche pienamente conto di aver messo in moto un deciso scatto costruttivo 35
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Interno del grande salone di Palazzo Güell, visto dalla sala-corridoio in corrispondenza della facciata principale. Il piano alto, chiuso da serramenti, serviva per ospitare l’orchestra in occasione di concerti o di rappresentazioni teatrali.
Scuderia nel sotterraneo del Palazzo Güell in carrer Nou de la Rambla. I piloni fungiformi e la rampa elicoidale per i cavalli sostengono volte con mattoni in piatto. Il palazzo fu costruito tra il 1886 e il 1888 e venne inaugurato in coincidenza con l’Esposizione Universale di Barcellona.
e figurativo, del quale non conosce il destino ma sente la responsabilità. È cosciente di muoversi creativamente in una vertiginosa oscillazione tra continuità della tradizione e sua profonda innovazione, una oscillazione che egli sperimenta sul fondamento solido di una indefessa razionalizzazione del proprio percorso di ricerca. Ha messo a fuoco una netta distinzione fra statica e architettura, ma conosce i virtuosi scambi ai quali le due componenti possono dar luogo. Sa ad esempio che le strutture statiche da lui inventate possono svolgere anche funzione ornamentale; ma non ne deduce l’inutilità dell’ornamento sovrapposto o del colore. Conosce i problemi del cantiere, la fatica di guidare le maestranze spingendole al tempo stesso a dare il meglio di se stesse; è esperto nella valutazione dei delicati equilibri tra costi e soluzioni formali e tecniche. Non disdegna la commistione di tecniche costruttive tradizionali con materiali nuovi, quali il ferro o il cemento armato. Può spesso assumere egli stesso il ruolo di artigiano, dove lo ritiene necessario, grazie alle competenze trasmessegli dal contesto familiare dal quale proviene e alla cura che ama dedicare ad ogni aspetto del suo mestiere, anche perché spinto fino all’ossessione dall’interesse di coprire l’in36
Particolare del primo sottotetto di Casa Bellesguard, completamente realizzato in mattoni a vista, detti picholines perché larghi solo 10 cm; le voltine sono costruite con mattonelle.
tero universo artistico con proprie ricerche, oltre che di valorizzare la vasta qualificazione artigianale catalana. Ha messo a punto un proprio sistema di geometrie, che non cessa ancora oggi di stupire chi ne penetra la complessità, e che egli ritiene paradossalmente fattore di semplificazione del processo costruttivo, un sistema da lui esplorato fino ad inventare figure di cui l’informatica ci restituisce oggi l’estrema raffinatezza e ricchezza di passaggi, oltre alla peculiarità di membrature statiche il più possibile prive di discontinuità formale. Ha messo a punto intelligenti soluzioni funzionali per le abitazioni, ove contempera razionalità ed economia, e ha distinto, tra le tecniche costruttive, quelle più adeguate per le costruzioni di città, per le costruzioni rurali e per quelle di montagna. Si avverte in più modi la forza di attrazione che lo spinge a lasciarsi totalmente assorbire dalla costruzione della cattedrale della Sagrada Familia, dove l’intreccio dei problemi, già tutti affrontati nella realizzazione dei progetti precedenti, si impone però ad una scala e quindi ad una complessità nuove. Già ho detto che per lui la casa, inserita nel paesaggio urbano o rurale, nella città compatta o nella città-giardino, è un microcosmo in analogia con il macrocosmo naturale; nella maturità mette a fuoco con estrema precisione che l’edificio religioso è figura emblematica dell’intero macrocosmo, è monte sacro, Gerusalemme celeste, figura che raccoglie il meglio del mondo naturale e lo trasfigura in immagine di lode a Dio. 37
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Se, nel mettere a punto il microcosmo dell’abitazione, a Gaudí non interessava la separatezza tra abitazione e contesto, al contrario ne cercava la continua osmosi, ora, nella cattedrale, può portare tutto il mondo naturale al suo interno, trasfigurandolo in un luogo con carattere cosmico e centrato sulla presenza di Dio tra gli uomini. Non posso soffermarmi qui su questo argomento, che esula dal tema proprio di questo volume, ma indubbiamente è nel suo sviluppo che si compie il percorso creativo di Gaudí. Un pensiero, tra i tanti della maturità, mi pare sintesi del cammino che l’architetto catalano ha già condotto fino al 1914-16, anni in cui abbandona le ultime sue opere civili, la Casa Milà e il Parco Güell: «Un giorno, trovandomi in presenza del vescovo di Maiorca», racconta egli stesso, «si parlò della meravigliosa persistenza dell’immagine sulla reti38
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Soffitto in cannicciata con finitura a stucco, in un appartamento di Casa Milà. Opere di questo tipo, modellate dagli stuccatori a rilievo dopo che Sugrañes e Canaleta avevano disegnato a mano le forme di base, si trovano in tutti gli appartamenti della casa.
Chiusure in forma di cappello nei camini del tetto di Casa Milà, costruiti con mattoni disposti di piatto e consolidati con malta di calce. Gaudí lasciò la direzione dei lavori nel 1911, pertanto è impossibile sapere quale sarebbe stata la decorazione con la quale li avrebbe finiti.
na, magnifica macchina fotografica; uno dei commensali disse che si trattava chiaramente di un fatto straordinario, dato che [la vista] era il primo senso dell’uomo. Io fui sorpreso e, volendone parlare (era una di quelle cose a cui talvolta si pensa), gli dissi: Non è solo il primo senso, ma anche il senso della gloria, perché san Paolo dice che la gloria è la visione di Dio; è il senso dello spazio, della plasticità, della luce; l’udito non è altrettanto perfetto, perché richiede tempo; la visione è [vista] dell’immensità; la vede chi l’ha e chi è privo [della vista]»19. La vista è senso della gloria, è visione di Dio, in quanto senso dello spazio, della plasticità, della luce: a questo approdo la ricerca di Gaudí giunge presto. Le sue case e i suoi giardini, spazi chiusi-aperti entro ambienti più vasti, rimandano con immediatezza – nel gioco di strutture, forme e immagini – alle componenti fondamentali del cosmo: la solidità e varietà della terra; la cangiante bellezza del cielo, e del mare che fa da specchio al cielo, l’orizzonte e i quattro punti cardinali. Nella visibilità dell’ordine cosmico reso ordine architettonico è trascritta la traccia della presenza divina: ovunque, in paradossale varietà, si rintracciano centri, assialità, figure d’orientamento, coordinamento gerarchico degli spazi. 39
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Lo sguardo di Gaudí, la sua vista come senso della gloria, ha catturato un rapporto tra totalità e frammento, del quale ho potuto qui dare solo qualche fuggevole spunto. Il lettore attento, con il soccorso dei ricchi testi degli altri autori di questo volume e con le fotografie di Marc Llimargas, può scoprirne il continuo affiorare. Il progetto di Gaudí, infatti, caratterizzato da forte tenuta razionale, nondimeno riesce a portare il nostro sguardo, oltre tale livello, verso la percezione di una gloria, purché si sia disposti a lasciar decantare le emozioni più superficiali e a dare il tempo necessario perché tale gloria si manifesti.
Note 1 Della vasta produzione di questi autori si vedano in particolare: M. Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1973; Id., Spezzare il tetto della casa. La creatività e i suoi simboli, Jaca Book, Milano 19972; J. Ries, Il sacro nella storia religiosa dell’umanità, Jaca Book, Milano 19952. Ries dirige inoltre in questi anni, presso la stessa casa editrice milanese, una serie numerosa di pubblicazioni sul tema, tra le quali spicca per importanza il Trattato di Antropologia del Sacro, a più mani e in più volumi, non ancora concluso. 2 Cfr. M. Eliade, Spezzare il tetto della casa, cit., pp. 65-66. 3 Cfr. C. Norberg Schultz, L’abitare. L’insediamento, lo spazio urbano, la casa, Electa, Milano 1995, p. 7. 4 Cfr. C. Norberg Schultz, Genius Loci. Paesaggio ambiente architettura, Electa, Milano 1979. 5 Cfr. G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1970. 6 E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 20009, pp. 155-177. 7 Cfr. T.S. Eliot, Opere, Bompiani, Milano 1986, p. 263. 8 Cfr. A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, a cura di I. Puig Boada, profilo di Puig Boada di J. Bassegoda Nonell, cura dell’ed. it. con saggio critico e appunti di M.A. Crippa, Jaca Book, Milano 1995. 9 Ibidem; del testo su La decorazione si vedano alcune parti nella sezione antologica di questo volume. 10 Ibidem, passo riportato nella sezione antologica di questo volume. 11 10 voll., Bauce-Morel, Paris 1854-1868. 12 Cfr. E. Viollet-le-Duc, Entretiens sur l’architecture, 2 voll. e atlante, Paris 1863-1872. 13 Cfr. A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, cit., passo riportato nella sezione antologica di questo volume. 14 Ibidem, pp. 83-88. 15 Ibidem, passo riportato nella sezione antologica di questo volume. 16 Ibidem, passo riportato nella sezione antologica di questo volume. 17 Ibidem, testo integralmente riportato nella sezione antologica di questo volume. 18 Cfr. J. Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, Jaca Book, Milano 2016, pp. 212-213. 19 Cfr. A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, cit., passo riportato nella sezione antologica di questo volume.
DIMORE DI CITTÀ E DI CAMPAGNA di Joan Bassegoda Nonell
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DIMORE DI CITTÀ E DI CAMPAGNA
Sala di passaggio, situata tra la facciata e il grande salone di Palazzo Güell, al tempo nel quale era abitata dalla famiglia Güell, con le colonne in marmo lucido di Garraf concluse da archi a curva catenaria dello stesso materiale.
S
ono quattordici le case, di città o di campagna, ideate da Gaudí. A Barcellona egli ha progettato e diretto la costruzione di Casa Vicens (1883-1888), situata in calle de las Carolinas 24, nel quartiere di Gràcia; di Palazzo Güell (1886-1888) in calle Conde del Asalto, oggi carrer Nou de la Rambla, 3 e 5; di Casa Calvet (1898-1899) in calle de Caspe 48; di Casa Bellesguard (1900-1909), nella calle omonima, all’interno del quartiere di Sant Gervasi de Cassoles; vi sono inoltre due piccoli interventi nelle case Clapés ( 1900), in calle Escorial, e Santaló (1900), in carrer Nou de la Rambla, oltre alla ristrutturazione dell’appartamento del marchese di Castelldosrius (1902) in calle Junta de Comercio. Le sue due opere principali in Barcellona sono Casa Batlló (1904-1906) e Casa Milà (19061911), entrambe sul paseo de Gràcia, la prima al numero 43 e la seconda al 92 di questa grande, prestigiosa arteria della capitale catalana. 43
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DIMORE DI CITTÀ E DI CAMPAGNA
Sala da pranzo di Casa Batlló con vista sulla terrazza posteriore: tavolo, sedie e panche in legno di rovere, prodotti da Casas & Bardés, vennero acquistati dagli «Amigos de Gaudí»; oggi sono visibili nella Casa-Museo Gaudí al Parco Güell.
Fuori Barcellona, Gaudí ha progettato la Proprietà Güell in avenida de Pedralbes 7, a Les Corts de Sarrià (1883-1887), antica municipalità nel 1897 assorbita da Barcellona; la villa «El Capricho», a Comillas in Cantabria (1883-1885); il Palazzo Vescovile di Asterga, nel León (1887-1893); la Casa de los Botines in plaza de San Marcelo nella città di León (1891-1892); l’abitazione delle Cantine Güell a Garraf, al margine del territorio comunale di Sitges (1895-1898); la portineria, la sua casa e la ristrutturazione di quella di Eusebio Güell nel Parco Güell, che si trova nel quartiere della Salute di Gràcia (1902-1914); lo chalet di Catllaràs a La Pobla de Lillet nel territorio del Berguedà (1905) e la Casa Damián Mateu a Llinars del Vallès, nel territorio del Vallès Orientale (1906). Stilò anche un progetto preliminare (1904) di casa con giardino per il pittore Graner; l’edificio avrebbe dovuto sorgere in calle de Santa Eulalia, oggi rinominata de la Inmaculada, nel quartiere di Sarrià; venne eretto solo il cancello del giardino, oggi scomparso. L’architetto catalano si è dedicato al progetto di abitazioni nel corso di tutta la propria attività professionale fino al 1914, data dopo la quale operò esclusivamente al cantiere della Sagrada Familia, dove costruì anche la piccola abitazione del cappellano custode del Tempio. A parte la Sagrada Familia, i lavori più importanti di Gaudí sono quelli eseguiti su incarico di Eusebio Güell, un ricco industriale, tipico rappresentante della seconda generazione della borghesia catalana, nobilitata dal re Alfonso xiii. Per lui l’amico architetto progettò la proprietà di Les Corts, nel 1925 divenuta sede del Palazzo Reale; il Palazzo sul carrer Nou de la Rambla a Barcellona, dal 1950 di proprietà della Diputación Provincial che vi ha collocato il Museo di Arte Scenica; le Cantine di Garraf, oggi trasformate in ristorante; lo chalet di Catllaràs, attualmente usato dalla diocesi di Solsona come casa di accoglienza per bambini. Altri suoi importanti committenti borghesi, ricchi e molto noti, furono i Vicens, i Figueras, i Batlló e i Milà. Casa Vicens è diventata nel 1890 proprietà della famiglia Jover, che tuttora vi abita. Il committente, Manuel Vicens, era un agente di cambio e operatore di borsa, un broker che seppe capire prima di altri il genio di Gaudí. Casa Bellesguard, dei Figueras, per anni clinica oncologica del Dr. Guilera, è attualmente residenza dei discen44
Interno dell’appartamento al piano principale della Pedrera, al tempo nel quale era abitato dalla coppia MilàSegimon. Ora è sede delle esposizioni della Fundació Caixa de Catalunya. Alla morte di Gaudí, nel 1926, la decorazione venne completamente modificata.
denti di quest’ultimo. La famiglia Batlló continuò ad abitare la propria residenza, in paseo de Gràcia, fino al 1940. Capolavoro gaudiniano, oggi, dopo vari cambi di destinazione d’uso, viene utilizzato come centro per riunioni di diverso tipo o per feste. La famiglia Milà occupò, fino al 1945, l’appartamento principale della casa sul paseo de Grècia, che, a seguito di varie traversie, è stata acquistata dalla Caja de Ahorros de Cataluña per farne un centro culturale e una sede espositiva. I Calvet, a loro volta, hanno venduto il proprio edificio in calle de Caspe alla famiglia Llensa Boyer, che tuttora ne occupa l’appartamento principale e il primo piano, mentre ha affittato gli altri appartamenti e trasformato l’ufficio al piano terreno in ristorante. La villa «El Capricho» a Comillas, costruita per Máximo Díaz de Quijano, è rimasta proprietà dei marchesi di Comillas fino agli anni Settanta, quando fu venduta; oggi è un ristorante. Il Palazzo Vescovile di Astorga fu lasciato incompleto da Gaudí e successivamente finito da un altro architetto; non è mai stato abitato dai vescovi della diocesi, attualmente è adibito a Museo Stradale e Ferroviario. Casa de los Botines, a León, nel 1931 divenne proprietà di una cassa di risparmio; oggi, dopo un adeguato restauro, è sede del centro culturale della Caja España. La casa nel Parco Güell, preesistente a questo e modificata da Gaudí per essere abitata da Eusebio Güell, dal 1923 è diventata una scuola e ha subito diversi ampliamenti e ristrutturazioni. La Casa Damián Mateu in Llinars del Vallès è stata demolita nel 1939. Come conseguenza delle trasformazioni avvenute nel tempo, gli unici interni autenticamente gaudiniani tuttora esistenti sono quelli di Casa Vicens e del Palazzo Güell; tuttavia, nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell, dove l’architetto visse dal 1906 al 1925, vi sono mobili originali, che provengono dalle Case Calvet, Batlló e Milà. Anche nel Museo di Architettura della Real Cátedra Gaudí, sito nei padiglioni di entrata della Proprietà Güell, sono conservati alcuni pezzi delle Case Batlló e Milà. In generale si può ritenere che il grande architetto catalano abbia progettato gli edifici residenziali prestando costantemente attenzione al benessere di coloro che li avrebbero abitati, basandosi sul buon senso e con grande cura, in particolare, per una corretta ventilazione e un buon uso della luce naturale, in quanto elementi di intima relazione tra in45
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terno ed esterno degli edifici. Durante il periodo giovanile egli realizzò tre edifici per abitazioni, caratterizzati da un prevalente orientalismo rielaborato con fertile fantasia. Villa «El Capricho» (1883-1885). Costruita a Comillas, la villa «El Capricho» era la garçonnière di don Máximo Díaz de Quijano, cognato del marchese di Comillas: una casa con seminterrato per ospitare i locali di servizio; un piano terreno, dotato di ampi saloni, una grande sala da pranzo, le camere da letto e i bagni. Fastosa, con una torre cilindrica il cui unico scopo era di consentire la vista del mare cantábrico, essa era l’immagine di un autentico capriccio di uno scapolo ricco e ozioso. La terrazza è chiusa da ringhiere di ferro, forgiate in modo da costituire anche delle panche; quando vi si accomodano, gli ospiti avvertono di essere situati nel cuore del bosco di castagni che circonda l’edificio. L’ampia sala da pranzo, a tutta altezza, ha per soffitto il sottotetto e guarda sul giardino attraverso ampie finestre con apertura a ghigliottina, i cui contrappesi sono costituiti da tubi metallici che vibrano se mossi, con diversi toni musicali. Nel complesso l’edificio ha un aspetto giovanile, col suo porticato a colonne e la torre rivestita da piastrelle di ceramica verde invetriata. Del resto l’architetto, quando la progettò, era un giovane di 31 anni, che intendeva ispirarsi alle architetture orientali. La torre ricorda infatti un minareto di Ispahan e i modi costruttivi delle Arts and Crafts inglesi, che egli aveva conosciuto attraverso la rivista «The Builder». Casa Vicens (1883-1888). Casa Vicens fu costruita per un broker che ambiva ad avere una bella residenza con giardino, in una stretta via del quartiere barcellonese di Gràcia. La profusione di piastrelle nei rivestimenti dell’edificio ha dato luogo alla falsa supposizione che il signor Vicens fosse un ceramista. Il blocco edilizio è costituito da un piano seminterrato, destinato a cucina e servizi; dal piano principale, con grande sala da pranzo, scala, vestibolo e fumoir, dal piano alto con camere da letto. Nella sala da pranzo si trovano un altro caminetto di ceramica e mobili di legno di limoncina, eseguiti su disegno, che servono anche per esporre una raccolta di pitture a olio di José Torrescasana. Le pareti recano graffiti che rappresentano l’edera rampicante; sul soffitto, negli spazi tra i travetti di legno, è posto del papier mâché policromo con foglie e frutti di corbezzolo. Due sculture di terracotta, opera di José Riba García, collocate sopra la porta, completano l’arredo di questo singolare spazio. Di fronte ad essa si apre una veranda con persiane in legno, che guarda verso il tramonto. Una scritta in catalano, nel fregio della veranda, ricorda che lì il sole invernale è tiepido, l’ombra gradevole in estate, mentre il fuoco del camino è ardente come l’amore. Sono espressioni del romanticismo tipico dell’epoca. Nel fumoir dominano una falsa cupola a muqarnas, in stile musulmano, e una paretina rivestita in ceramica smaltata, con decorazioni di garofani dipinti a olio. Una lampada in cristallo, con iscrizioni in arabo antico, ma aggiunta in epoca successiva all’intervento gaudiniano dal secondo proprietario che l’aveva comperata a Tangeri, si intona con l’ambiente di tipo orientale. Al piano alto, le due camere da letto hanno le pareti intonacate e affrescate con rappresentazioni di canne, passiflore, rose e giunchi, le piante che Gaudí vide presso il torrente Cassoles, che scorreva vicino alla casa. Negli spazi tra le travi sono collocati pezzi di ceramica invetriata policroma, con figure di foglie di vite rampicante. Nella cancellata del giardino si vedono foglie di palma in ferro colato, tema vegetale che invade la facciata della casa, in parte ricoperta da piastrelle in ceramica in forma di garofani e palme viste in situ, prima che cominciassero i lavori di edificazione. Manuel Vicens Montaner possedette un’altra casa nel paese di Alella, nel territorio del Maresme, per la quale Gaudí progettò un caminetto di legno e metallo, attualmente visibile nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell, e un armadio angolare di legno con finiture in ottone, attualmente nella casa dei discendenti della famiglia Vicens a Barcellona. Proprietà Güell (1883-1887). Nei vasti terreni agricoli a Les Corts de Sarrià, posseduti da don Juan Güell Ferrer, l’architetto Juan Martorell Montells aveva costruito per lui un 46
Angolo fumatori di Casa Vicens, esotica e pittoresca realizzazione del giovane Gaudí con finte voltine in stucco nel soffitto, applicazioni di papier mâché alle pareti, fascia di rivestimento alla loro base in ceramica dipinta.
Tribuna della sala da pranzo di Casa Vicens prima delle modifiche, dove alcune semplici persiane basculanti davano ombra allo spazio aperto sopra la zona pranzo. Nel fregio si leggono le scritte: «Oh, l’ombra de l’ estiu», «De la llar lo foch, visca lo foch de l’ amor» e «Sol, solet, vine’m a veure».
edificio residenziale in stile caraibico, avendo Juan Güell accumulato le proprie ricchezze a Cuba e nella Repubblica Dominicana. Il parco, sul modello di quelli francesi, ricco di pini, eucalipti, cipressi, magnolie e palme, arrivò a coprire una superficie di 30 ettari. Il figlio Eusebio Güell i Bacigalupi, a partire dal 1883, dopo aver acquistato altre proprietà limitrofe, diede incarico a Gaudí di ristrutturare l’edificio; di inserire nel giardino due lontane, una dedicata a Santa Eulalia e l’altra a Ercole; di predisporre un maneggio e un pergolato, con archi a catenaria in ferro e decorazioni a rami d’erica; di disegnare tre porte con inferriata. La principale di queste è chiusa da un drago in ferro battuto, che rappresenta Ladone, il mitico guardiano che, con le Esperidi, custodiva il giardino dell’albero dai pomi d’oro. Essa si trova tra la casa del custode e una scuderia, per quattordici cavalli, con maneggio coperto da una cupola a forma di iperboloide di rotazione. La casa del custode ha il piano terreno sollevato su uno zoccolo di pietra e le pareti esterne coperte da ornamentazioni, in malta di calce, con motivo vegetale di tipo arabo nazarita; all’interno le pareti sono invece trattate solo con gesso a vista. La sala da pranzo ha una copertura a cupola iperbolica con volta alla catalana, mentre gli altri locali sono coperti non dalle più usuali travi e solette, ma da volte a sesto ribassato, il cui estradosso costituisce la base per il pavimento delle camere da letto, a loro volta concluse da cupole in mattoni. Per facilitare l’aerazione interna, le tre cupole del complesso rimangono aperte al loro culmine grazie a comignoli rivestiti di piastrelle, dall’effetto cromatico sorprendente. I due piani della costruzione sono collegati da una stretta scala, sotto la quale un tempo venne posizionato un servizio igienico. La scuderia, sul lato opposto, è coperta da volte uguali tra loro, in muratura e sostenute da una sequenza di otto archi a catenaria, che consentono di realizzare all’esterno un cammino di ronda, su archi a sesto ribassato e che circonda la struttura, e di aprire quattordici finestre a trapezio, che illuminano e arieggiano l’ambiente. Completano lo spazio interno un piccolo vestibolo, con servizio igienico, e la scala ripida, con i gradini a triangolo, che permette di arrivare al fienile e alla terrazza. Dalla scuderia si passa da una parte alla stanza del palafreniere e, dall’altra, al maneggio, un locale a pianta quadrata che dà luogo in alzato, tramite pennacchi, a una cupola su pianta circolare di sezione iperbolica, sormontata da lanterna con cupolina in forma di paraboloide di rotazione. La pavimentazione del maneggio è in mattoni, posati a coltello e nel disegno di anelli, al cui centro si apre lo scolo dell’acqua usata per la pulizia di cavalli e carrozze, formato da una pietra circolare forata con una «G» in bassorilievo, l’iniziale del nome Geli, ora diventata il logo della Real Cátedra Gaudí, che in questo edificio ha la propria sede, con archivio, museo di opere di architettura e biblioteca. È importante ricordare che questo edificio è stato costruito con muri a secco, tecnica antica e popolare, per la cui esecuzione Gaudí fece venire a Barcellona diversi operai specializzati da un’azienda del conte Güell in quel di Sucs, nella provincia di Lleida, dove questo genere di costruzione tradizionale era ancora molto usato. Tutti gli edifici all’entrata della Proprietà Güell sono coperti con volte in muratura alla catalana, senza supporto di travi di alcun tipo, tecnica anch’essa tradizionale in Catalogna fin dagli inizi del xv secolo. La dimora di Juan Güell e gran parte del giardino furono ceduti, dai figli di Eusebio Güell, alla Casa reale di Spagna che, tra il 1919 e il 1924, ampliò l’edificio destinandolo a Palazzo Reale, comunemente indicato come Palacio de Pedralbes, ora sede del Museo Municipale della Ceramica. La Real Cátedra Gaudí occupa invece la casa del custode, la scuderia e il maneggio; vi si accede dalla grandiosa cancellata in ferro battuto che rappresenta il drago incatenato, Ladone, che Ercole vinse prima di rubare i pomi dorati dal giardino delle Esperidi, una citazione mitologica raffigurata come omaggio al marchese di Comillas, suocero di Eusebio Güell, morto nel 1833, e protettore del sacerdote poeta Jacinto Verdaguer, che gli aveva dedicato il poema epico La Atlántida, ispirato all’undicesima fatica di Ercole, relativa appunto al suo furto dei pomi dorati dal giardino delle Esperidi. Per ricordarlo Gaudí realizzò la grande scultura in ferro battuto, una raffigurazione tridimensionale ottenuta con strisce di piombo, dimostrando notevole abilità nell’arte di forgiare, appresa nella bottega dello zio a Reus. 47
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Palazzo Güell (1886-1888). Conclusi i lavori nella Proprietà Güell, Gaudí ricevette l’incarico per il progetto di un palazzo per don Eusebio, in calle Conde del Asalto, oggi Nou de la Rambla, in Barcellona, nella zona detta del Raval, dall’altra parte del torrente della Rambla. L’ubicazione fu scelta perché al numero 30 del carrer Nou de la Rambla vi era la casa, costruita dal capomastro Pedro Casany, di don Juan Güell Ferrer; padre di Eusebio, e si voleva mettere in comunicazione il nuovo edificio con quello preesistente tramite un passaggio coperto nel cortile comune dell’isolato. La nuova costruzione fu subito molto ammirata, ma anche criticata; edificata tra il 1886 e il 1888, venne inaugurata mentre si svolgeva l’Esposizione Universale di Barcellona del 1888. Gaudí vi introdusse soluzioni costruttive, diverse tra loro e singolari. Al piano delle cantine, costruito con pilastri in mattoni a forma di fungo e con volte in muratura, fu collocata la stalla per i cavalli, dotata di una serie di aeratori che, come camini, trasportano gli odori fino al tetto. La parte fuori terra dell’edificio è realizzata invece in pietra proveniente dalle cave che don Eusebio possedeva sulla costa di Garraf. L’accesso all’atrio avviene attraverso due porte, in forma di catenaria e chiuse da grate di ferro, sulle quali è sovrapposto uno scudo della Catalogna, forgiato anch’esso in ferro battuto a rilievo. Sopra la scuderia si trova un ammezzato; qui era stato situato l’ufficio-studio del proprietario, in locali con muri e pavimenti in pietra levigata e copertura a travature di ferro. Al piano nobile, i soffitti, in legno di cipresso ed eucalipto, svolgono una funzione sia strutturale che decorativa. La facciata verso la strada è a tre registri sovrapposti. Quello intermedio chiude un grande salone, il cui volume si sviluppa per tutta l’altezza dell’edificio, tramite una copertura in forma di cupola a paraboloide di rotazione nella quale numerosi, piccoli fori a stella consentono l’arrivo della luce naturale, che attraversa alcune piccole finestre della torre soprastante di forma conica. Nel salone un altare è collocato in un vano, isolato tramite una porta; quando i suoi battenti vengono aperti, tutto lo spazio antistante diventa cappella. Quando la porta resta invece chiusa, il salone, che dispone anche di un organo, può essere usato per balli o per concerti di musica. Il grande vano è decorato da pitture di Alejo Clapés, che rappresentano i miracoli di santa Isabella, in omaggio a Isabel Lopez Bru, sposa di don Eusebio. Dal salone si accede alla grande sala da pranzo, decorata con rivestimenti di legno dall’architetto Camilo Oliveras Gensana, amico di Gaudí. Ai piani superiori si trovano le camere da letto della famiglia: all’ultimo piano trovano posto i locali per il personale di servizio, con arredi in metallo e legno che anticipano soluzioni adottate, più tardi, dagli architetti del Movimento Moderno. Sul tetto è spettacolare il cono che sovrasta il salone; suggestivi anche i comignoli e gli aeratori, in mattoni quelli collegati alla cucina e ai servizi, in ceramica gli altri, ma tutti, una ventina, disegnati nelle più varie forme geometriche, costituite da intersezioni di coni, elicoidi, sfere e piramidi. Nel 1910, in occasione della esposizione dedicata a Gaudí a Parigi, don Eusebio incaricò l’architetto Juan Alsina di realizzare rilievi e planimetrie dell’edificio, che furono stampati su fogli di grandi dimensioni. Possiamo, su questi, leggere bene i diversi modelli di colonne introdotte e i particolari di arredi e decorazioni. Il palazzo venne inaugurato nel 1888; da allora nel suo salone sono stati eseguiti concerti, si sono messe in scena rappresentazioni teatrali, si sono svolte cerimonie religiose, alle quali ha partecipato l’alta società di Barcellona. Cantine Güell (1895-1898). Una volta completato il palazzo, don Eusebio diede a Gaudí l’incarico per la costruzione di un nuovo edificio delle Cantine Güell sulla costa di Garraf, a sud di Barcellona, in una zona rocciosa e agreste, in vista del Mediterraneo, nel sito dove già c’era un edificio destinato a cantina per il vino, un tempo proprietà del Capitolo della Cattedrale di Barcellona. Nell’archivio municipale di Sitges, località al cui territorio appartiene la proprietà di Garraf, si conserva un disegno di progetto assai schematico, siglato da Gaudí e datato 1895. Tra il 1895 e il 1898, questi, con l’aiuto di Francisco Berenguer Mestres (1866-1914), che dal 1883 era suo fedele collaboratore, costruì il nuovo edificio al di sopra delle antiche cantine, su più piani. La costruzione, a sezione triangolare, metteva a disposizione altre cantine, un’abitazione e, all’ultimo piano, una cappella. Dalla strada si ac48
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cede all’ingresso, ornato da un’originale inferriata a rete, e all’abitazione del custode, dal disegno grazioso, in pietre e mattoni. Il rivestimento esterno del nuovo organismo è in pietra locale, per una sua perfetta integrazione al contesto naturale circostante che si può contemplare dall’ultimo piano dove, di fronte alla cappella, si apre una veranda, sostenuta da sottili colonne inclinate, secondo il profilo ad angolo acuto della copertura. Gli archi e le volte interne alla costruzione hanno tutti profilo a catenaria; la robustezza dell’insieme dà una sensazione di equilibrio e di solidità. La cappella ha un altare in pietra, un crocifisso e alcuni candelabri in ferro battuto. Sopra di essa si alza un campanile a vela che regge una campana, con incisa la data 1897, chiamata Isabel in omaggio alla contessa Güell. Il proprietario utilizzava questo edificio anche come punto di appoggio per andare a caccia.
Vista frontale del vano antistante all’ascensore in Casa Calvet. Il meccanismo è della ditta Cardellach, la cabina in legno intagliato e ferro forgiato è dei fratelli Badia, fabbri, e degli ebanisti Casas & Bardés. Colonne e balaustra sono in granito artificiale.
Sedile e armadio, in legno di rovere lavorato, nel negozio di tessuti al piano terreno di Casa Calvet, nei quali si riconosce la grande competenza di Gaudí nei lavori di falegnameria. Porta vetrata, per l’ingresso al negozio al piano terreno di Casa Calvet, con struttura in legno di rovere lavorato a sgorbia, maniglie in ottone e lampade in cristallo dipinto.
Casa Calvet (1898-1899). Gaudí aveva già costruito una casa di appartamenti, in calle de Caspe a Barcellona, per il fabbricante di tessuti Pedro Mártir Calvet quando questi gli affidò un nuovo incarico. La proposta sollecitò vivacemente il suo interesse, poiché si trattava di apportare innovazioni alla tipologia edilizia residenziale con appartamenti in affitto, molto diffusa nell’ambito dell’ampliamento di Barcellona avvenuto nel corso del xix secolo. L’edificio ha una facciata su strada, in arenaria di Montjuïc, con balconi in lastra unica scolpita in rilievo. In corrispondenza al piano principale, il prospetto è dotato di una complessa balconata i cui bassorilievi rappresentano funghi, in omaggio alla passione di micologo del proprietario; nella parte alta, invece, si vede una cornucopia traboccante di frutti. Nella parte alta del prospetto sulla strada si trovano alcune finiture ricurve, al culmine delle quali sono collocati globi di pietra con croci in ferro battuto. Al di sotto sono state collocate tre sculture, i busti di san Pietro Martire, di san Ginés notaio e san Ginés istrione, in ricordo del proprietario, Pedro Mártir Calvet, e dei santi patroni del suo paese natale, San Ginés di Vilassar. La complessità scultorea della facciata è tale che, per realizzarla, non furono sufficienti i disegni di progetto, ma fu anche necessario predisporre un modellino in gesso, al quale collaborarono Francisco Berenguer Mestres, l’architetto Juan Rubió Bellver e lo scultore Lorenzo Matamala Piñol. Il piano interrato della costruzione è destinato a magazzino per tessuti, mentre al piano terreno si trovano l’entrata allo stesso magazzino, l’ufficio, un negozio e l’accesso ai piani superiori. Sopra la porta principale campeggiano, in rilievo su pietra, la lettera «C», iniziale di Calvet, e un cipresso, simbolo di ospitalità. Il primo atrio è occupato da alcune panche in legno, collocate lungo le pareti rivestite con piastrelle in ceramica dal vivo colore azzurro cobalto, e da specchi illuminati da lampade di ottone dalle forme barocche. Tra due cortiletti, il vano della scala padronale risulta perfettamente illuminato e consente di dar aria alle stanze. Al suo centro è collocato l’ascensore, la cui cabina straordinaria, in legno lavorato e ferro battuto, è un’autentica opera d’arte. Il primo pianerottolo della scala poggia su colonne tortili in granito artificiale; ha inoltre le pareti affrescate con rappresentazioni di viti, grappoli d’uva e con il motto poetico della gara letteraria di quegli anni, detta Juegos Florales: «Fede, Patria e Amore». Sui tutti i pianerottoli dei piani successivi si aprono due porte, che danno accesso ad altrettanti appartamenti. Le porte del piano principale invece si aprono su una grande terrazza, soprastante al magazzino, divisa in due settori: su quello più piccolo si affaccia un appartamento affittato, mentre nel settore più grande si affaccia l’appartamento dei Calvet. Il loro appartamento, il principale, è dominato da un salone di rappresentanza, il cui arredo, attualmente ricollocato nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell, era composto da sofà, poltrone, sedie, sgabelli, specchio in legno dorato e ottima tappezzeria. Per questo appartamento Gaudí aveva progettato i soffitti in canniccio e gesso modellato, non realizzati a causa di uno sciopero dei gessai; il proprietario, appassionato di botanica, volle sostituirli con cassettoni in legno, di tipo commerciale, decorati con pitture di fiori e piante. In quest’area, che ricorda i giardini romantici, sono collocate grandi fioriere in pietra artificiale, dalle forme decisamente barocche, che fanno corona alla fontana a getto, collocata sul fondo e in stile rococò. Il prospetto sul retro è in mattoni intonacati e stuccati, con i balconi chiusi da balaustrate in pietra arti49
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ficiale. Sugli stucchi furono incise le iniziali del proprietario, «pmc», e ghirlande policrome, di cui resta solo qualche frammento. Di notevole qualità sono i mobili di legno, sia nell’ufficio che nell’appartamento del proprietario. Nell’ufficio si trova un divisorio, con diversi sportelli per servire i clienti, in legno di rovere lavorato a sgorbia; nella parte esterna, destinata ai clienti, vi sono sedili bifronti anch’essi di rovere, realizzati senza viti né chiodi. Anche altri grandi armadi hanno la dignità di vere e proprie sculture. Le sedie, le poltrone e i tavoli di legno intagliato dalle forme organiche ideati per questo ufficio sono stati di recente riprodotti dagli originali, ancora in Casa Calvet, ottenendo un rimarchevole successo commerciale. Nel 1900 l’Ayuntamiento di Barcellona istituì il premio per il miglior edificio realizzato in città nel corso dell’anno precedente: esso venne attribuito alla Casa Calvet, come ricorda una placca di bronzo, opera dello scultore Andrés Aleu e su disegno dell’architetto Buenaventura Bassegoda, visibile in facciata. Palazzo Vescovile di Astorga (1887-1893). Don Juan Bautista Grau Vallespinós fu nominato vescovo di Astorga, in provincia di León, dopo essere stato vicario generale dell’arcidiocesi di Tarragona, dove aveva consacrato un altare per la cappella del collegio femminile «Jesús-María» disegnato da Gaudí nel 1880. Chiamò ancora, nel 1887, l’architetto conterraneo perché gli progettasse una nuova sede vescovile, dal momento che, appena insediatosi ad Astorga, il palazzo antico era stato devastato da un incendio. I procedimenti burocratici per l’autorizzazione all’edificazione durarono due anni, e pertanto solamente il 24 giugno del 1889 si poté porre la prima pietra del nuovo palazzo; il progetto era già completo nel 1887, anno nel quale era stato presentato al Ministero di Grazia e Giustizia, che ne avrebbe sovvenzionato la costruzione. I lavori procedettero con relativa lentezza; nel 1893, poco dopo la morte del vescovo Grau, Gaudí rinunciò alla direzione dei lavori, a seguito di disaccordi insorti col Capitolo della Cattedrale. L’edificio non fu portato a termine fino al 1915; il suo terzo piano e la copertura non sono opera di Gaudí. L’architetto propose nel disegno del paramento esterno in granito del Bierzo un’efficace interpretazione dello stile gotico; nell’interno realizzò volte in mattoni con nervature rifinite con ceramica invetriata prodotta nel vicino paese di Jiménez de Jamuz. Nel piano seminterrato del palazzo, circondato da un fossato, hanno spazio un magazzino e una scuderia per i cavalli; il piano immediatamente superiore è destinato all’accoglienza e agli uffici; al piano principale si trovano l’appartamento del vescovo, il salone del trono, la sala da pranzo di rappresentanza, la cancelleria e la cappella. Gli ambienti sono spaziosi e dotati di ampie finestre. Il palazzo è circondato da un piccolo giardino, in un contesto magnifico, nei pressi della cattedrale di Astorga, prospettante, dall’alto, sulle mura romane. Casa de los Botines (1891-1892). Mentre era ancora attivo al cantiere del Palazzo Vescovile di Astorga, Gaudí ricevette anche l’incarico di progettare un complesso per appartamenti in affitto in plaza de San Marcelo a León. I proprietari Fernández y Andrés avevano ereditato un’impresa commerciale di tessuti da Juan Homs Botinàs. Alla casa diedero il nome «de los Botines», deformazione del cognome del commerciante catalano loro antenato stabilitosi a León. L’edificio occupa un intero isolato ed è dunque visibile su quattro lati; è composto, in altezza, da un piano interrato con funzione di deposito scantinato, anch’esso circondato da un fossato, e da quattro piani dei quali quello terreno è destinato all’attività commerciale. Al primo piano sono stati ricavati due appartamenti per i proprietari; negli altri soprastanti se ne sono invece ricavati quattro, da affittare, per ogni piano. Il rivestimento esterno della costruzione, perimetralmente delimitata da quattro torri angolari, è in pietra calcarea disposta secondo una composizione dalle vaghe reminiscenze gotiche. La copertura in ardesia è sostenuta da una robusta travatura lignea nel sottotetto. Gli appartamenti erano concepiti in modo da risultare ben ventilati e confortevoli, illuminati da finestre sulle facciate e sui cortiletti interni, con chiusure in legno. La struttura statica della casa è costituita solo dai pilastri di fondazione, da piloni ai piani e dalle 50
Portico di ingresso del Palazzo Vescovile di Astorga, con archi a sguancio, lavorati a grandi cunei in granito del Bierzo in scarico su contrafforti inclinati dello stesso materiale.
Un salone di Casa Batlló, oggi utilizzato come sala per accoglienza e banchetti, con l’arredo originale: il lampadario a gocce, che pende al centro del soffitto, è stato successivamente sostituito con un altro in ferro e cristallo.
travature di ferro; sono portanti solo le murature esterne; la suddivisione interna dei locali poté essere pertanto composta senza impedimenti.
Vista di Casa Bellesguard, nel quartiere di Sant Gervasi. L’edificio, a pianta quadrata, è sovrastato da una torre angolare a tronco di piramide, alla cui base si trova una piccionaia; in alto si vedono una corona, la bandiera catalana e una croce cosmica a bracci uguali, rivestita da cristalli colorati.
Casa Bellesguard (1900-1909). Nella parte alta del quartiere barcellonese di Sant Gervasi, la vedova di Jaime Figueras possedeva un terreno sul quale permanevano alcune rovine di un palazzo reale, detto di Bellesguard, una casa di campagna che il re Martino i di Aragona aveva fatto ripristinare nel 1410 e alla quale aveva dato il nome di Bella vista (in catalano bell esguard), dietro suggerimento del suo segretario, il poeta Bernat Metge. Qui Martino i sposò in seconde nozze Margarita de Prades, in una cerimonia officiata dall’antipapa Benedetto xiii, motivo per il quale Gaudí conferì al disegno dell’edificio una qualità stilistica che ricordava il tardo gotico catalano. La costruzione, in mattoni ricoperti da ardesia locale in modo da inserirsi perfettamente nel contesto circostante, si compone di un piano terreno, di un piano nobile, di un piano alto e del sottotetto. La pianta è un quadrato le cui diagonali indicano la direzione dei quattro punti cardinali. Sull’angolo sinistro della facciata principale si alza una torre che raggiunge i 35 metri dal suolo. La sua parte alta accoglie una colombaia, in forma di piramide tronca, sopra la quale svettano una corona, la bandiera catalana con paletti elicoidali e una croce cosmica a quattro bracci uguali. Azzurra è la corona, rossa e oro la bandiera, bianca la croce: i colori sono stati ottenuti incollando sulla superficie, con malta di calce, frammenti di cristallo colorato. All’interno, le superfici ondulate delle pareti e degli archi sono finite a intonaco bianco. Di grande effetto sono i due sottotetti sovrapposti, quello inferiore con una serie di nervature in mattoni larghi 10 cm, che si appoggiano ai muri delle facciate. Il secondo sottotetto è formato da una volta anch’essa in mattoni. Un cammino di ronda merlato, con diverse scale, ne segna il perimetro. Gaudí lavorò in questo edificio dal 1900 al 1909; ma la sua costruzione, i sedili del giardino e la facciata sono stati completati, dopo la sua morte, da un collaboratore, l’architetto Domingo Sugrañes. Tre progetti non realizzati da Gaudí. Dal 1899 al 1902 Gaudí si occupò di tre costruzioni, per le quali si limitò a firmare i progetti, poi autonomamente realizzati dalle impre51
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se di costruzione. Si tratta della casa del pittore Alejo Clapés Puig, che aveva decorato il Palazzo Güell e avrebbe decorato l’appartamento dei Milà nella Pedrera; è l’edificio in calle del Escorial (1899) a Barcellona, che oggi non presenta alcuna caratteristica gaudiniana. Quando la figlia maggiore di don Eusebio Güell si sposò con il marchese di Castelldosrius, andò a vivere in una casa di calle Mendizábal, oggi calle Junta de Comerç, costruita nel 1852. Gaudí si occupò della sistemazione del suo appartamento principale, del quale resta, visibile nel prospetto posteriore, un bovindo, con ante scorrevoli realizzate da Puntí nel 1902. Per l’amico Pedro Santaló Castellví, Gaudí firmò infine il progetto di una casa per appartamenti in calle Conde del Asalto, oggi carrer Nou de la Rambla (1900), molto vicina al Palazzo Güell. Anche in questo edificio non appaiono oggi tracce di originali idee gaudiniane. Due case di campagna. Nel 1905 e nel 1906 Gaudí realizzò due case fuori città meritevoli di attenzione. La prima, del 1905, è la casa per i tecnici delle miniere di carbone di Catllaràs, a La Pobla de Lillet, che rifornivano il cementificio Asland. La compongono quattro piccoli appartamenti, su due piani, e un sottotetto coperto da una volta a botte dal profilo a catenaria. Notevole, in questo edificio, era una scala semicircolare, dalla soluzione ingegnosa, che fu eliminata in una ristrutturazione. Restano però le fotografie e una documentazione nei disegni di progetto. Nel 1906 Gaudí, in collaborazione con il suo aiutante Francisco Berenguer Mestres, realizzò una casa isolata dotata di torre circolare chiamata «La Miranda». Fu eretta a Llinars del Vallès e venne distrutta nel 1939. È stato possibile fortunatamente farne accurati disegni di rilievo, in base ai quali si pensa oggi di ricostruirla. La città-giardino, poi Parco Güell (1900-1914). Si cominciò a costruire la città-giardino, oggi Parco Güell, nel 1900, nella parte alta di Barcellona, per ospitarvi 60 case isolate. H progetto tuttavia non fu portato a termine; anzi, sia per la notevole distanza del luogo dal centro urbano che per le rigide condizioni stabilite da Güell per la vendita degli appezzamenti di terreno, furono completati e abitati soltanto tre edifici. Uno di questi è Casa Trias, il cui progetto, del tutto autonomamente dall’intervento gaudiniano, fu stilato dall’architetto Julio Batllevell Arús nel 1904. La seconda abitazione era l’antica Casa Larrard, già in situ quando Güell comperò il terreno. In essa visse don Eusebio Güell a partire dal 1906 e vi morì il 9 luglio del 1918. Gaudí vi aveva realizzato vaste ristrutturazioni; aveva aggiunto, in particolare, alcuni balconi in pietra nei prospetti e una cappella al piano terreno. Nel 1923, quando l’edificio fu destinato a scuola pubblica, venne completamente trasformato. Il terzo intervento edilizio, realizzato tra il 1902 e il 1904, fu opera di José Pardo, impresario nelle opere del parco, secondo il progetto di Francisco Berenguer, firmato però da Gaudí. L’edificio era stato concepito come casa-modello del sito, da mostrare ai potenziali acquirenti. Sviluppato su tre piani, con seminterrato e un ampio giardino, esso fu acquistato nel 1906 da Gaudí, che vi abitò, insieme col padre e con la nipote, fino al gennaio del 1925, quando si trasferì nel cantiere della Sagrada Familia. Casa Batlló (1900-1906). La ristrutturazione della facciata, delle pareti divisorie interne e l’ampliamento del patio di un edificio costruito nel 1875 al numero 43 del paseo de Gràcia a Barcellona diede a Gaudí l’occasione di realizzare una delle sue composizioni più intense e di più viva ispirazione poetica. Un sasso gettato in uno stagno coperto di ninfee fiorite causerebbe la stessa impressione di mobilità che scuote la facciata principale di Casa Batlló, dalla superficie ondulata, coperta di dischi policromi in ceramica e di frammenti di vetri rotti variopinti, la cui collocazione avvenne sotto la guida dello stesso Gaudí, che dava indicazioni dalla strada. Giustamente questa facciata è stata paragonata alla serie di dipinti Les Nymphéas di Claude Monet (1840-1926). La facciata di Casa Batlló non assomiglia solo a uno stagno di ninfee, sembra anche un magnifico gioiello tempestato di pietre preziose, che in realtà altro non sono che vetri 52
Ritratto di don José Batlló Casanovas, committente del progetto in paseo de Gràcia 43, realizzato tra il 1904 e il 1906. Lo stesso Casanovas aveva commissionato anche le sculture del retablo d’altare a José Llimona, Carlos Mani e Juan Matamala; il figlio Felipe Batlló Godó conservò il retablo a Madrid, fino a quando i suoi eredi, i figli, lo donarono alla Sagrada Familia.
Vestibolo del piano nobile di Casa Batlló, dove termina la scala monumentale che sale dall’atrio del piano terreno. La luce naturale filtra da due lucernari dalle forme curve, che si aprono su un cavedio.
rotti forniti gratuitamente dalla fabbrica Pelegrí, ubicata nella Granvía di Barcellona. Se il rivestimento fosse stato risolto con graffiti o con motivi in marmo, sarebbe certamente risultato molto più costoso. I cristalli per il rivestimento della facciata e per le vetrate cucite a piombo dell’ampio finestrone del primo piano, così come le strutture delle porte interne del salone principale, furono realizzati dai laboratori Pelegrí. Sulla terrazza posteriore della casa di calle del Clot che ormai non esiste più, l’impresario Bayó conservò un vaso pieno di frammenti di vetri rotti, avanzati dalla costruzione. Inoltre, dal momento che Gaudí ha sempre composto i suoi edifici prestando eccezionale attenzione a forme e strutture dei decori applicati con tecniche artigianali note e praticate in gioventù, con saggia previdenza la maggior parte dei pezzi di ceramica, da lui utilizzati, furono riprodotti in abbondanza; oggi, nelle cantine della casa, ce n’è una buona riserva che si può utilizzare qualora si rompessero le piastrelle originali. In corrispondenza al piano principale, che ospitava l’appartamento della famiglia Batllò, la facciata è modellata in arenaria scolpita con motivi vegetali su sottili colonne; in essa risaltano gli eleganti infissi delle finestre e le vetrate piombate, dai vividi colori, disposte in andamento ricurvo. Sulla sua sommità sono stati collocati due sottotetti sovrapposti, «cappello e ombrello» diceva Gaudi: quello inferiore, con un piccolo balcone che ricorda vagamente la forma del carciofo, dispone su un fianco di due carrucole per sollevare i mobili dalla strada ai vari livelli della casa. Nel sottotetto soprastante era posto il deposito dell’acqua. All’esterno, la copertura che conclude la facciata ha un carattere a un tempo di vitalità animale e di sapore leggendario, aspetto che ha porto il destro alle interpretazioni più strane; alcuni vi vedono ad esempio un drago in lotta con san Giorgio, benché del santo qui non vi sia traccia. Invece, in una torretta cilindrica, nella quale trova spazio una 53
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scala a chiocciola, chiaramente si leggono gli acronimi di Gesù, Maria e Giuseppe, tracciati nella particolare calligrafia di Gaudí e realizzati in ceramica smaltata di colore eburneo, disposti ad andamento elicoidale sotto una croce cosmica in ceramica di Maiorca. Il riferimento simbolico qui è dunque la Sacra Famiglia, non san Giorgio. La gioiosità di questo progetto informa anche il brillante e policromo prospetto posteriore, ornato da fiori ottenuti con frammenti di ceramica. Di aspetto allegro e ingenuo sono anche i camini sul tetto e la cromatica armonia del doppio patio di luce o cavedio, che contiene la scala e l’ascensore. Le sue pareti sono state rivestite con piastrelle in ceramica smaltata, alcune lisce, altre in rilievo, in diverse tonalità di azzurro. Nella parte superiore, sotto il lucernario, i pezzi sono di un colore azzurro oltremare intenso, che va schiarendosi progressivamente man mano che si scende ai livelli inferiori. Nella parte bassa, dove la luce scarseggia, sono praticamente bianchi. Se si guarda dal basso verso l’alto in questo canale di luce, si percepisce un azzurro intermedio uniforme; la soluzione consente infatti una accorta distribuzione della luce, più intensa in alto, più debole in basso. Per la stessa ragione, chiaro esempio della rigorosa logica di Gaudí, le finestre che affacciano sul cavedio sono tanto più grandi quanto più basso è il livello al quale sono collocate. Questo concorre ulteriormente a uniformare la diffusione della luce naturale ai vari livelli. Le finestre, inoltre, dispongono nella loro parte bassa di una specie di persiana lignea a librettino che, aprendosi, permette il passaggio di aria fresca. Il risultato è utile e gradevole. La ricerca della migliore illuminazione e della ventilazione naturale degli edifici erano per Gaudí una vera passione. Attorno al patio, coperto da un lucernario a due falde sostenuto da archi parabolici in ferro laminato, è stato realizzato un passaggio perimetrale, anch’esso concluso da una tettoia ad archi parabolici, dal quale si accede ai ripostigli. Questo edificio manifesta la maturità creativa raggiunta da Gaudí, la sua visione di architetto che gode del proprio lavoro, in questo caso libero dalle complicazioni simboliche alle quali dovette sottostare nella cattedrale di Maiorca, nel Palazzo Vescovile di Astorga e nel Collegio di Santa Teresa di Gesù. Se si dovesse definire in qualche modo la Casa Batlló, si dovrebbe dire che è un sorriso architettonico, una esplosione di piacere compositivo, opera di un uomo che ha raggiunto il pieno dominio di uno stile proprio, che gli consente di esprimersi al di fuori di imitazioni o riferimenti a qualsiasi tendenza, contemporanea o storica. Casa Batlló, nel paseo de Gràcia, rientra in un isolato che è stato chiamato della discordia, perché vi si trovano, fianco a fianco, edifici caratterizzati dallo stile più personale e maturo dei maggiori architetti catalani dell’epoca. Al numero 35 si trova infatti Casa Lleó Morera, progettata da Lluís Domènech i Montaner; al 37 Casa Mulleras, opera di Enrique Sagnier Villavecchia; al 39 sorge Casa Delfina Bonet, disegnata da Marceliano Coquillat Llofriu; al 41 si vede Casa Amatller di Josep Puig i Cadafalch; al 43 Casa Batlló di Gaudí, dove prima sorgeva Casa Luisa Sala Sánchez, progettata da Emilio Sala Cortés, autore anche del successivo edificio, al 45, per Emilia Adrià. Eretta tra il 1875 e il 1877, nel 1900 Casa Batlló era proprietà di don José Batlló Casanovas, che diede all’architetto Gaudí e al costruttore José Bayó Font (1878-1970) diversi incarichi. All’inizio egli pensava di abbattere il vecchio edificio per costruirne uno nuovo, ma nel 1904 cambiò idea e ritenne sufficiente una ristrutturazione. Di una precedente casa, ancora di campagna, è rimasta nel piano interrato una grotta, che un tempo veniva usata come dispensa e che Gaudí mantenne, come fece anche nella sua casa del Parco Güell. Nel 1970 il costruttore Bayó spiegò a chi scrive in che modo sia stato realizzato il restauro negli anni tra il 1904 e il 1906: registrazione e trascrizione della conversazione sono conservate nell’archivio della Real Cátedra Gaudí. Si tratta di un documento di grande importanza, essendo Bayó l’impresario sia del cantiere della Pedrera che di quello del primo mistero glorioso nel Rosario Monumentale di Montserrat. José Bayó aveva 92 anni, ma la sua voce era ancora stentorea e la sua memoria eccellente; la sua testimonianza fu data nello stesso periodo nel quale diversi oggetti, provenienti dalle case Batlló e Milà, passarono al Museo di Architettura della Real Cátedra Gaudí. 54
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Coronamento della facciata di Casa Batlló, nelle cui forme ondulate in ceramica invetriata, a forma di scaglie di diversi colori, si è ritenuto di rintracciare, senza fondamento, il dorso del drago di san Giorgio. A sinistra si vede la torre cilindrica della scala a chiocciola che dal quarto piano porta all’abbaino, conclusa dalla croce cosmica in porcellana maiorchina.
Nell’Archivio Municipale di Barcellona sono conservati i piani di progetto, firmati da Gaudí il 6 maggio 1904; presso la Cátedra Gaudí si trova invece un disegno a matita della facciata. L’autorizzazione per l’esecuzione dei lavori fu richiesta il 7 novembre 1904; i lavori però cominciarono prima della sua approvazione. Nonostante l’Ayuntamiento avesse ingiunto la loro interruzione, questi proseguirono, fino a che, nell’aprile 1906, José Batlló chiese l’autorizzazione a dare in affitto gli appartamenti. In quest’opera Gaudí fu assistito da Francisco Berenguer Mestres e dagli architetti Domingo Sugrañes Gras, José Canaleta Cuadras e José María Jujol Gibert. Quest’ultimo modellò in argilla i candelabri dell’oratorio, che ospitava un retablo dedicato alla Sacra Famiglia, con sculture e dipinti di José Llimona Bruguera, Carlos Mani Roig e Juan Matamala Flotats. I lavori in legno e gli arredi erano invece opera di Casas & Bardés, creatori delle forme organiche delle panche, delle sedie e del tavolo della sala da pranzo. I fabbri furono Luis e José Badia Miarnau, mentre le piastrelle venivano dalla fabbrica di Sebastián Ribó e da quella di Jaime Pujol Baucis. Il bulbo, detto testa d’aglio, della cuspide della torre cilindrica di facciata, sopra il quale è posta la croce, fu eseguito nella fornace della fabbrica La Roqueta di Santa Catalina, presso Palma di Maiorca. Quando lo tolsero dagli imballaggi, gli operai del cantiere si resero conto che alcuni degli elementi anulari che componevano il sostegno della croce si erano rotti; il fabbricante allora assicurò che li avrebbe sostituiti. Gaudí, trovando quella strana screpolatura molto decorativa, volle conservarla: riempì di malta di calce la base del bulbo, per dargli consistenza, e con chiavi e rondelle di bronzo saldò su di essa i frammenti degli elementi anulari. Le modifiche strutturali portate a termine tra il 1904 e il 1906 riguardavano l’allargamento del patio; la totale modifica della parte bassa della facciata principale; un nuovo rivestimento delle facciate, quella principale e quella posteriore; la sovrapposizione, al culmine della facciata principale, della doppia copertura con sezione in forma di catenaria e composta da un pannello di muro in mattoni, rivestiti, nella parte verso la terrazza, con pezzi di piastrelle policrome, e, nella parte verso la strada, con tegole coronate da una specie di spina dorsale di pesce, ottenuta sia con pezzi quasi sferici che con pezzi a forma di coppo; questi hanno diversi colori che passano, da una punta all’altra della linea di colmo, dai toni gialli a quelli verdi e azzurri. L’appartamento della famiglia Batlló fu ristrutturato tramite la costruzione di pareti divisorie ad andamento curvilineo, e tutte le stanze vennero decorate. La realizzazione risultò molto diversa dalla definizione prevista nei disegni di progetto. In primo luogo, fu predisposto un modello in gesso della facciata principale, che Gaudí continuò a trasformare personalmente finché, dalla geometrica forma iniziale molto semplice, arrivò alla superficie ondulata definitiva. La sua realizzazione non avvenne sulla base di disegni, ma sotto il controllo di Gaudí, che diresse personalmente i lavori dando istruzioni al costruttore e ai muratori. Per i parapetti dei balconi, in ferro colato, venne preparato un modello di gesso in scala 1:1 nel cantiere della Sagrada Familia, e consegnato al fonditore perché lo riproducesse. Questo parapetto e l’altro di dimensioni maggiori, sulla terrazza del quarto piano, sono fissati alla parete solo con due ancoraggi, senza appoggio sulle lastre in arenaria lavorata del balcone. La balaustra presenta inoltre due asole chiuse da corrimano ritorti in forma elicoidale e saldati con un ribattino di ferro. I parapetti delle terrazze sono in marmo di Carrara, anch’essi ad andamento elicoidale. Anche le colonne in pietra di Montjui’c del piano terreno, del piano nobile e delle due tribune del primo piano sono state definite sulla base di modelli in gesso: divennero snelli modellati ossei decorati con motivi vegetali. Tra loro rimasero cinque spazi vuoti, aperture che ricordano vagamente delle bocche: di qui all’edificio deriva il soprannome di «Casa degli sbadigli», in catalano «Casa de los bostezos». Per sostituire la nuova facciata a quella preesistente, fu necessario sganciare quest’ultima dalla soletta, dal secondo piano in su, e demolirne la parte bassa. José Bayó raccontava di aver passato quattro giorni e quattro notti di angoscia, mentre veniva compiuta questa delicata operazione. L’impresario non disponeva allora di strumentazioni adeguate; il 55
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lavoro si svolgeva infatti solo con l’aiuto di una carrucola e di funi di canapa. Una vecchia fotografia mostra le semplici impalcature di pali e tavole di legno legate con la corda. La ristrutturazione effettivamente realizzata da Gaudí comportò una radicale modifica della parte bassa della facciata; e una trasformazione della sua parte alta, con rispetto delle finestre esistenti, che comportò la lavorazione del rivestimento esterno in mattoni, fino a dargli una forma superficiale ondulata, per intonacarlo successivamente e quindi coprirlo con frammenti di cristalli, di diversi colori, e dischi in ceramica smaltata, anch’essi policromi. Per decorare la fontana nel giardino della casa di cura nella Colonia Güell a Santa Coloma de Cervelló, l’architetto avrebbe successivamente usato dischi di ceramica simili a questi. Quando la prima luce del mattino illumina la facciata, sembra che essa si animi, come per inseguire l’immaginazione poetica di Gaudí in una danza, armoniosa ed equilibrata, al suono di soavi e dolci melodie. Secondo il parere di Leonardo da Vinci, la natura è ricca di energie latenti, in attesa di essere liberate: l’architettura incantevole di Casa Batllò, grazie all’immaginazione e alla forza creativa del suo costruttore, rappresenta proprio la liberazione di un segreto della natura. Il progetto iniziale prevedeva una torre cilindrica al centro della facciata, tuttavia, per non danneggiare l’aspetto dell’edificio al suo fianco, la Casa Amatller di Josep Puig i Cadafalch del 1901, Gaudí spostò la torre su un lato e costruì la piccola terrazza per celare alla vista la parete intermedia. Inoltre, ebbe la delicatezza di porre una modanatura, a raccordo semplice ed elegante, con quella della casa vicina. Per raccordarsi, in alto, con il suo cornicione, fece persino scolpire un aggetto, in pietra di Montjuïc, oggi privo di senso, perché, quando all’edificio di Puig i Cadafalch vennero successivamente aggiunti altri piani, il cornicione venne meno. In facciata, in corrispondenza al piano terreno, si aprono le porte della scala e del magazzino e due finestre, sotto le quali si trovavano le prese d’aria per la cantina. Le porte sono chiuse da grate in ferro battuto, dipinte, come i balconi, con biacca di piombo colore avorio punteggiato d’oro, cioè carbonato di piombo, che impedisce l’ossidazione. Gaudí la usò sia qui che per Casa Calvet; avrebbe voluto servirsene anche per la Pedrera, ma non vi riuscì. Una parte dell’atrio di ingresso, isolata tramite una porta a vetri, ospita la grande scalinata che conduce all’appartamento principale, residenza della famiglia Batllò. Dall’altro lato della porta a vetri si trova la guardiola del custode; accanto a questa ci sono una seconda scala, con i pianerottoli pavimentati con marmo bianco, e l’ascensore, con la cabina in rovere e rifinito con cornici in ferro ricurve a sostegno di cristalli dalla superficie ondulata, che permettono il passaggio della luce naturale. Una volta nell’atrio, si può salire al piano nobile con la scala in legno intagliato, esclusiva dell’appartamento padronale, oppure raggiungere la scala che porta agli appartamenti in affitto, ai quali si accede dai pianerottoli dei piani; si può salire infine anche con l’ascensore. L’unica porta del primo piano è l’entrata di servizio dell’appartamento dei Batllò; agli altri piani le porte sono due, in rovere, identificate nel sopra-porta non da un numero, bensì da una lettera in oro al centro di un medaglione rotondo. Le lettere, scritte con la grafia personale di Gaudí, vanno dalla «a» alla «i»; la «g» è elaborata con cura particolare, giacché corrisponde all’iniziale del cognome dell’architetto. La scala nobile porta in una anticamera, che immette in una sala dove si trova un caminetto, con focolare affiancato da panche a sedere in muratura, il tutto rivestito in materiale refrattario di colore rosso scuro e raccolto sotto un arco che isola quest’angolo gradevole e accogliente. Le solari stanze affacciate sul viale si raggiungono da questa sala, illuminata solo da una finestra che dà sul patio, una sala dove è intensamente palpabile il senso dell’intimità della casa: No place like home. Alle tre grandi stanze si accede attraverso porte in rovere e cristalli con telaio di piombo, di grande imponenza, dalle superfici curve trattate solo con vernice trasparente, che permette di apprezzare le venature del legno. Il salone centrale ha un sorprendente soffitto modellato in forma elicoidale con gesso a rilievo. Entro un vano chiuso da ante di rovere, è stato collocato un altare ornato da un retablo ligneo, intagliato dallo scultore José Llimona Bruguera con l’incisione più volte ripetuta dell’invocazione «Amen» e con la sigla «jmj» («Jesús, María y José»): la scultura rappre56
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Interno dell’appartamento al piano nobile della Pedrera, con la decorazione sulle pareti di Alejo Clapés, il soffitto a stucco ondulato di Gaudí e una Nike di Samotracia, lì collocata dai proprietari Milà.
senta la Sacra Famiglia, nella bottega da falegname di san Giuseppe a Nazaret. Sopra l’altare furono posti un crocifisso in bronzo, realizzato dallo scultore tarragonese Carlos Mani Roig, alcuni candelabri, disegnati da José Maria Jujol e le cartegloria, dipinte da Juan Matamala. Dietro l’altare, in una piccola dépendance, c’è la sagrestia. Dal 1945 ospita un tabernacolo in legno dorato e dipinto, opera di Juan Rubió Bellver, che si trova ora presso una collezione privata, mentre il retablo è stato portato nel Tempio della Sagrada Familia. La grande sala da pranzo si trova nella parte posteriore dell’appartamento e si affaccia su una vasta terrazza. Ragguardevoli sono qui le cornici delle porte in legno di rovere, intagliate da artigiani di Casas & Bardés, tutte diverse le une dalle altre, ciascuna una vera e propria opera scultorea. Negli anni Quaranta le porte furono smontate, quando l’appartamento venne trasformato in ufficio. Gli originali, già esposti in diverse mostre all’estero, sono conservati, in parte, nel Museo di Arte Moderna e, in parte, nel Museo di Architettura della Real Cátedra Gaudí. In occasione dell’ultimo restauro, realizzato nel 1991, queste cornici sono state riprodotte, mentre la sala da pranzo è stata riportata alla sua forma originaria, seppure senza il tavolo, le sedie e le panche, custodite nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell. Uscendo dalla sala da pranzo sulla terrazza, si vedono nel pavimento due lucernari che danno luce al piano inferiore. In questa terrazza c’era un pergolato, ad archi in ferro con intrecci in fili, anch’essi in ferro, che reggevano rami di erica, un pergolato utile perché qui batte un sole spietato. Sul muro mediano, inoltre, il pergolato terminava con una decorazione in ceramica con sostegni per vasi di piante rampicanti. Gli archi di ferro, infine, cadevano in grandi vasi, anch’essi ricoperti di piastrelle, che si sono conservate. Il pavimento era rivestito con piastrelle in grès e mosaico, recuperate dal preesistente edificio. All’ultimo piano, inizialmente si raccolsero i servizi comuni e le lavanderie. Nel 1983 fu restaurato però il sottotetto inferiore, per farne un piccolo museo. Il resto del piano superiore è accessibile da quando, nel 1998, è stato costruito un collegamento che sale dal patio. Da qui si accede al camminamento sulla terrazza soprastante, che permette di vedere da vicino i comignoli policromi modellati in forme elicoidali, coperti da cappelli conici, i cui rivestimenti sono costituiti da frammenti di cristalli nella parte bassa e, sulle cuspidi, da ceramica policroma. In cima ai cappelli conici erano in origine collocate sfere di cristallo, piene di sabbia tinta di vari colori; con il restauro del 1983 queste sono state sostituite da sfere di cemento, rivestite da piccoli frammenti di ceramica invetriata. Dalla terrazza si vede anche la parte posteriore del tetto, rivestita in ceramica e con un’apertura dalla quale ci si può sporgere sul paseo de Gràcia, mentre, all’estremo opposto, si può ammirare la croce in ceramica sopra il bulbo di maiolica. Per pavimentare la terrazza, Gaudí volle usare i pezzi del mosaico di grès tolti dalla casa all’inizio dei lavori e lasciò che i muratori li ricollocassero a proprio piacimento, senza seguire disegni. Purtroppo questo mosaico non è stato conservato. Il 29 dicembre 1907, la giuria del concorso municipale per il miglior edificio dell’anno selezionò, insieme alle opere degli architetti Amargos, Sagnier, Falqués, Viñolas, Bassegoda, anche Casa Batlló di Gaudí. Il premio alta fine fu conferito al Colegio Condal di Buenaventura Bassegoda in calle Cameros, oggi calle Amadeo Vives. La giuria in quell’occasione affermò che la Casa Batlló «è costruita con singolare ingegno; in essa l’eminente architetto Antoni Gaudí ha mostrato una fervida inventiva negli innumerevoli particolari modernissimi che la adornano». Il fatto che Gaudí avesse vinto quel premio già nel 1900, con Casa Calvet, è molto probabilmente la ragione per la quale la giuria premiò il lavoro di un altro architetto. Dopo aver subito danni non indifferenti nel corso della guerra civile del 1936-1939, durante la quale ospitò un centinaio di rifugiati, Casa Batlló fu venduta a una compagnia di assicurazioni; venne restaurata una prima volta nel 1940 e, in fasi successive, dal 1983 fino a oggi, continuano i lavori di recupero. L’organismo edilizio costituisce un punto di riferimento fondamentale per l’architettura barcellonese. Si è presto meritato, infatti, l’attenzione delle autorità competenti: nel 1962 fu incluso nel catalogo dei monumenti della città; nel 1969 venne dichiarato monumento na57
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Anticamera e salone al piano nobile della Pedrera, quando ancora era abitata dalla famiglia Milà; la decorazione originale delle pareti, cambiata nel 1926 in uno stile classico di gusto di dona Rosario Segimon de Milà, era stata realizzata da Alejo Clapés Puig. Si ritiene che Gaudí abbia abbandonato il cantiere nel 1911.
zionale e, dal 1982, è considerato Bene Culturale dalla Generalidad de Cataluña. Durante la notte è sempre investito dalla luce di un valido impianto illuminotecnico, inaugurato nel settembre 1984, che esalta la qualità della sua architettura e dei suoi decori. Sintesi di ingenuità e di ingegno, di immaginazione e di scienza di quella geometria, appresa dalla natura, che caratterizza tutte le architetture gaudiniane, Casa Batlló tuttora impressiona e sorprende chi la osserva; chi vi ha abitato, vi è stato felice e ne ricorda lo spazio, confortevole, bello e funzionale. La sensibilità plastica di Gaudí, l’illimitata passione per il suo lavoro, il profondo senso religioso che informò la sua vita sono i fattori dai quali è sorta questa architettura, che desta ammirazione e infonde piacere, che emoziona e fa respirare l’anima. Casa Milà (1906-1911). Mentre, sul finire del 1905, José Bayó Font stava concludendo, su incarico di Gaudí, l’arredo dell’appartamento Batlló, ricevette la visita di don Pedro Milà Camps, autentico gentiluomo, dalla raffinata eleganza sottolineata dal bastone da passeggio. Dopo che Bayó gli ebbe mostrato l’appartamento, nel salutarlo Milà, toccandogli familiarmente la spalla, disse: «Ora occorre mettere mano alla costruzione della mia casa, all’angolo tra il paseo de Gràcia e calle Provença: la voglio in pietra con commettiture in oro, opera mai realizzata prima d’ora». Gaudí ha costruito davvero in pietra Casa Milà, da cui il nome «Pedrera», ma l’idea delle commettiture in oro rimase solo una frivolezza, una boutade, un’esagerazione del cliente. Un altro legame si può rintracciare tra Casa Milà e Casa Batlló: i moduli esagonali della pavimentazione della ditta Escofet, inizialmente progettati per la camera da letto della Casa Batlló, vennero utilizzati nella Milà. Lo scultore Juan Bertrán - collaboratore di Gaudí al Parco Güell, alla Sagrada Familia e alla Colonia Güell - preparò una forma in cera grigia che Gaudí ritoccò personalmente. Secondo José Bayó, presente alla scena, Gaudí ne lavorò a mano la forma proprio nel cantiere di Casa Batlló. Quando si uniscono sette moduli esagonali del mosaico a disegni in rilievo e di colore verde pallido, si formano le figure di un’alga (del genere Sargassum), di una conchiglia (cefalopodo della classe Ammonites e di un polipo (Echinodermus della classe Ophiuroideus). I pezzi esagonali, tuttora in produzione ma in cemento compresso dal colore grigio scuro, sono utilizzati dall’Ayuntamien58
Caricatura di Picarol ne «L’esquella de la torratxa» del 1° aprile 1910, intitolata Wotan barcelonés, quando la Pedrera venne messa a confronto con lo spirito delle opere di Wagner, di grande successo a Barcellona a partire dal 1883.
Casa Milà nel 1911, quando Gaudí abbandonò i lavori: in facciata, al terzo piano, è l’unico parapetto in ferro alla cui realizzazione, ad opera dei fratelli Luis e José Badia Miarnau, Gaudí presiedette personalmente.
Casa Milà eccitò l’immaginazione dei caricaturisti dell’epoca; in questo disegno di J.G. Junceda, pubblicato in «Cu-Cut» il 23 marzo 1910, il bimbo dice: «Papà, vorrei una ciambella pasquale guarnita di uova grande come questa».
to per la pavimentazione dei larghi marciapiedi del paseo de Gràcia. Il 2 febbraio 1906 Gaudí firmò il progetto per la casa del nuovo committente e diede inizio ai lavori della sua seconda importante architettura sull’elegante viale barcellonese. Pedro Milà Camps, detto Perico dai familiari e dagli amici, sposò Rosario Segimon Artells, una signora nata a Reus e vedova di un ricco indiano, che non apprezzava le idee di Gaudí; per compiacere il marito abitò dapprima, senza protestare, al primo piano della Pedrera, ma, alla morte di Gaudí, cambiò l’arredo da lui predisposto con mobili in stile Luigi xvi, da lei preferiti. Una parte di Casa Milà fiancheggia il paseo de Grècia, mentre il lato di maggiore lunghezza si affaccia su calle Provença; tra i due si alza una stretta parete d’angolo. L’edificio, occupato da appartamenti da affittare, è composto da un piano seminterrato, destinato ad autorimessa e ripostiglio; dal piano ammezzato, per gli uffici; dal piano nobile, occupato interamente dall’appartamento Milà, servito da una scalinata indipendente che sale dal cortile di calle Provença; da quattro piani, ognuno con due appartamenti con accesso principale da un ascensore, cui si arriva dalla parete di facciata sull’angolo, e con una scala di servizio, in fondo al cortile. Il sottotetto, sostenuto da archi a curva catenaria, ospita lavatoi e ripostigli; al di sopra, il tetto a terrazza è occupato da quei comignoli, alcuni dei quali in realtà sono semplici sfiatatoi, che hanno reso celebre questa costruzione. Le facciate verso il paseo de Gràcia e calle Provença sono in pietra di Vilafranca, tagliata in grandi blocchi e ancorata alle travature di ferro, che – insieme con i pilastri in mattoni, pietra o ferro colato – costituiscono la struttura dell’edificio. Negli appartamenti Gaudí articolò in serie i locali, dotandoli inoltre di ampie vetrate che permettono di traguardare da un estremo all’altro. La luce naturale entra liberamente attraverso grandi finestre e porte-finestre, che si aprono sui balconi dai parapetti in ferro modellato e con il piano più basso di tre gradini rispetto al pavimento degli appartamenti, per consentire una vista più libera, dalle stanze, sulla strada sottostante. Sembra quasi che le fronde degli alberi entrino negli appartamenti. I soffitti dei corridoi e delle stanze sono rivestiti in gesso modellato, con scritte e figure sempre diverse che danno una gradevole sensazione di armonia e di soave movimento; nessuno, che abbia vissuto o che viva in un appartamento della Pedrera, può dimenticare tale sensazione. L’atrio dell’appartamento Milà aveva mobili 59
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Casa Milà nel corso dei lavori di costruzione; ben leggibile, nelle pietre di rivestimento provenienti da Vilafranca, il taglio secondo profili a sinusoide, per movimentare la facciata e per aumentarne la resistenza strutturale, perseguendo nello stesso tempo l’unità scultorea dell’insieme.
di eccezionale fattura; vi erano panche, un armadio e una cappella – tutti in rovere intagliato dagli ebanisti Casas & Bardés –, attualmente custoditi nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell. Per il resto l’appartamento fu arredato con mobili in stile e pitture murali di Alejo Clapés, scomparsi a seguito dei cambiamenti introdotti dalla signora Milà nel 1926. È impresa non facile tentare di individuare una caratteristica comune nelle abitazioni progettate da Gaudí. L’architetto infatti non era solito ripetere le soluzioni già attuate, ma studiava ogni volta soluzioni formali particolari, ricche sempre per ingegnosità e logica costruttiva, oltre che perfettamente aderenti alle esigenze chi le avrebbe abitate. Non riuscì mai ad abitare una casa che egli stesso aveva progettato. Da studente visse in povere pensioni nei quartieri vecchi della città. Quando terminò gli studi, nel 1878, prese in affitto un modesto terzo piano in una casa di calle del Call 11, nel vecchio quartiere ebraico. Successivamente, e fino al 1906, visse dapprima in un appartamento in calle Diputación, poi in calle del Consejo de Ciento, sempre nell’Eixample, la zona allora investita dallo sviluppo urbano di Barcellona. Dal 1906 al 1925 abitò nella costruzione che doveva fungere da prototipo per il previsto ma non realizzato quartiere di città-giardino del Parco Güell, un piccolo edificio progettato da Francisco Berenguer e costruito da José Pardo. Lì visse in un appartamento ammobiliato in modo assai modesto, senza mai preoccuparsi di rinnovarlo con arredi particolari. Sistemò soltanto il giardino, collocandovi un pergolato ad archi, coperto d’erica. Durante l’ultimo anno della sua vita dormì nel cantiere della Sagrada Familia, in un letto posto accanto al suo studio. Aveva progettato abitazioni stupende, ma, per sé, predilesse la povertà francescana. 60
GIARDINI E PARCHI di Francesc Navés Viñas
GIARDINI E PARCHI
Veduta posteriore della fontana di Casa Vicens, all’epoca dell’ampliamento del giardino. Nel 1946 questa realizzazione di Gaudí venne demolita.
Un progetto che lega architettura e natura
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er comprendere il senso dei giardini di Gaudí e la loro relazione con le architetture delle abitazioni, occorre far emergere tre aspetti del suo intervento sulla natura: il progetto di parchi e giardini e gli interventi sul paesaggio, come fatti autonomi; l’uso dei motivi vegetali nell’ornamentazione degli edifici; l’impiego di forme, tratte dalla natura, per organizzare la struttura degli edifici. Nel primo tema rientrano: i giardini e le corti annesse alle case isolate o agli edifici residenziali urbani; i parchi concepiti con approccio paesaggistico, come il capolavoro del Parco Güell, ideato come parte di un nuovo brano di città, e il giardino privato di Can Artigas; le proposte scultoree di rilevanza paesaggistica, quali il disegno del primo mistero glorioso del Rosario Monumentale nel Parco naturale di Montserrat, anteriore di molti anni alla land art; infine, il mimetismo che lega le forme della cripta della Colonia Güell con la pineta e la montagna mediterranee. 63
FRANCESC NAVÉS VIÑAS
GIARDINI E PARCHI
Il decoro floreale e con forme vegetali, cioè il secondo tema, è dovuto invece al costante e notevole interesse di Gaudí per la botanica, la zoologia e la geomorfologia. In gioventù fu osservatore del Baix Camp di Tarragona e, all’inizio dei suoi studi universitari, scelse di frequentare il corso facoltativo di Scienze naturali. La predilezione per il decoro floreale accomuna peraltro tutti i movimenti modernisti europei dell’epoca: l’Art Nouveau di Francia, Belgio e Olanda; le Arts and Crafts di Glasgow; la Sezession di Vienna; il Modernismo di Praga; infine il Modernismo catalano degli architetti Domenech i Montaner e Puig i Cadafalch. Forse è a causa di questa comunanza che l’opera gaudiniana a lungo è stata assimilata all’architettura e al progetto di paesaggio modernisti. In realtà essa supera di gran lunga tale movimento, promuovendo un naturalismo mediterraneo, secondo un approccio che ha consentito al suo inventore di realizzare anche «i giardini di pietra», fra i quali i più importanti sono la terrazza della Pedrera e i rilievi della facciata della Natività nella Sagrada Familia, nonché la forma a cipresso delle sue torri. Il terzo tema è leggibile nel disegno strutturale dei suoi edifici, che segue le forme delle superfici rigate, tipiche di quegli elementi del mondo della natura nei quali prevalgono le linee isostatiche, essendo in gioco la resistenza dei materiali alle pressioni esterne. Far sì che la struttura statica si manifesti nella forma dell’edificio, o dei singoli elementi dello stesso, è caratteristica essenziale dell’architettura organica o naturalista. Lo testimoniano le note colonne a forma di fungo di Frank Lloyd Wright e di Alvar Aalto. Tale scelta giunse tuttavia al grado più alto di qualità solo in alcune opere della maturità di Gaudí: nei piloni arborei della cripta della Colonia Güell; nel bosco di pilastri nella Sagrada Familia; nei muri, inclinati secondo l’angolo della scarpata naturale della terra, dei viadotti del Parco Güell. L’architetto catalano ammirò nell’albero la perfetta struttura statica che, con le radici ancorate al suolo e la moltiplicazione dei suoi rami, è massimamente adatta per resistere alle spinte dei pesi e del vento, grazie alla sua conformazione generale che minimizza l’intensità delle pressioni assiali, orizzontali, di flessione e di torsione. Si può ritenere che, sviluppando una propria maturità, Gaudí si sia progressivamente staccato dal Modernismo, per volgersi, con sempre maggior libertà, a un proprio originale naturalismo. Egli ricercava infatti il modo per sfruttare al massimo, come accade in natura, la resistenza dei materiali; oggi qualificheremmo la sua produzione come architettura sostenibile. A ragione lo si può ritenere al contempo architetto, paesaggista, urbanista, scultore e pittore, oltre che gran conoscitore della logica costruttiva. Benché non abbia avuto discepoli nel senso stretto del termine, è legittimo inscrivere, nella sua stessa linea di ricerca, l’architettura delle cooperative vinicole di César Martinell, in particolare le Cellers di Gandesa e El Pinell di Brai nella Terra Alta, e le forme di alcuni edifici di Muncunill, come la Casa Freixa e l’attuale Museo della Scienza di Terrassa.
Parchi e giardini nella Barcellona contemporanea Per cogliere a fondo lo stile singolare dei giardini di Gaudí, e il loro influsso, occorre paragonarlo all’intreccio di orientamenti culturali tipicamente catalani, propri cioè della regione nella quale si sviluppò la maggior parte delle sue opere. Si tratta sia della diffusa e tipica sovrapposizione eclettica degli stili dell’epoca, sia dei criteri diffusi per l’architettura dei giardini e del paesaggio, sia delle principali scelte urbanistiche di quel momento. L’eclettismo, predominante nel corso dei secoli xix e xx, rende difficile ritrovare uno stile ben definito nel disegno dei giardini del tempo, la cui lettura deve individuarne la composizione, la funzionalità, l’influsso del clima e della vegetazione. 64
Colonne arborescenti della navata laterale della Sagrada Familia, realizzata dopo la morte di Gaudí, in corrispondenza del lato dove potrà in futuro sorgere la facciata della Gloria.
Sotto il profilo compositivo, un giardino geometrico-razionalista è organizzato in trame agricole, in linea con gli antichi giardini chiusi, quelli ad esempio medievali e ispanoarabi, o quelli, ordinati secondo precisi assi, del Rinascimento e del Barocco. Un giardino paesaggistico-naturalista, invece, è più strettamente dipendente dalle caratteristiche del paesaggio naturale, in linea col giardino cinese, giapponese e inglese. Non rientrava nella tradizione della Catalogna il legame tra giardino e palazzo reale; i pochi giardini privati antichi sono quelli dei nobili e dei borghesi, i quali sempre predilessero l’architettura, come simbolo del proprio prestigio sociale. Nel progetto dei giardini di Gaudí prevalgono decisamente il naturalismo e la cultura mediterranea: l’uno, nel modo con cui l’architettura si fonde col paesaggio; l’altra, nel caratteristico uso della vegetazione locale, nell’integrazione con l’ambiente naturale e nell’uso accorto della poca acqua a disposizione per l’irrigazione nel corso dei mesi estivi. Egli utilizzò soprattutto le tipiche piante della macchia mediterranea: querce e pini, arbusti perenni, manti di edera; inoltre introdusse alcune specie provenienti da diverse zone mediterranee, come le mimose o gli eucalipti, e da zone subtropicali, come le palme. I grandi terrazzamenti introdotti nel Parco Güell sono tipici delle coltivazioni agricole mediterranee su pendio. Il Laberint d’Horta, in Barcellona (1792-1804), progettato dal proprietario, il marchese di Alfarrás, insieme con l’architetto J.A. Desvalls e l’ingegnere Bagutti, è il miglior esempio di giardino moderno, romantico e mediterraneo, annesso a un palazzo nobile in stile italiano. Vi si notano i bossi tagliati in prossimità del palazzo; il labirinto di cipressi, l’elemento più originale; le due scalinate laterali, con tempietti a loggia; il padiglione centrale, nella parte più alta, da dove si domina tutto il giardino e il vicino stagno o safareig, dal quale si attinge l’acqua per l’irrigazione, come si usa nelle masserie catalane. 65
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Chalet di Eusebio Güell a Clot del Moro, presso il cementificio della Compañia Asland a Castellar de N’Hug, progettata dall’architetto Eduardo Ferrés Puig, specializzato in costruzioni in cemento armato.
Tutto lo spazio a verde, geometricamente organizzato, è circondato a sua volta da un giardino paesistico romantico, nel quale una grotta-cascata e alcuni canali si perdono nel bosco mediterraneo della montagna. All’epoca in cui nella piazza del teatro, nel Parco Güell, si tenevano rappresentazioni che imitavano le tragedie classiche greche, anche nel Laberint d’Horta si davano spettacoli analoghi. Molti giardini di questo tipo sorgono attorno alle grandi masserie agricole, agli antichi palazzi, alle case di villeggiatura costruite nei paesi attorno a Barcellona. Recentemente essi hanno subito radicali trasformazioni, divenendo di proprietà pubblica. Dalla fine del xix secolo, la pubblica amministrazione barcellonese si impegnò in grandi opere di trasformazione urbanistica, quali l’Eixample, cominciato nel 1864 dall’ingegnere Ildefonso Cerdà, e nella realizzazione e acquisizione di parchi. È inevitabile segnalare il contrasto evidente, nella stessa città, tra il modello urbanistico della città-giardino, diffuso soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, seguito nel progetto per il Parco Güell e il modello urbanistico reticolare dell’Eixample, tramite il quale non solo si perseguirono le idee igieniste degli urbanisti utopisti riassunte nello slogan «urbanizzare la campagna e ruralizzare la città», ma si potenziò anche la città medi-terranea compatta, composta da edifici allineati su strada con aree a verde retrostanti, adulterate quando i cortili degli isolati vennero chiusi. Il primo parco pubblico urbano fu la Ciudadela di Barcellona, realizzato nel 1874 dal capomastro Josep Fontserè Mestres (1829-1897), direttore dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1888. Il parco, concepito dapprima in continuità con l’Eixample Cerdà e successivamente radicalmente modificato, comprendeva i viali di circonvallazione, con edifici che attualmente ospitano il Parlamento e musei, un giardino paesaggistico, dotato di un lago e di ima cascata monumentale, e il giardino della plaza de Armas. Il concorso internazionale per il suo progetto fu indetto nel 1872; il disegno di Fontserè, con lo slogan ecologista «I giardini sono per la città quel che i polmoni sono per il corpo umano», ne prevedeva l’adattamento alla trama dell’Eixample. La configurazione 66
Ponte ad arco rampante sul fiume Llobregat nel giardino di Can Artigas a La Pobla de Lillet, dove Gaudí lavorò a partire dal 1905.
del parco fu influenzata dai giardini di Longchamps di Marsiglia, in particolare nella parte della cascata; dai giardini di Lafontaine di Nîmes e da quelli del Luxembourg di Parigi. Vi collaborarono scultori come Novas, Vallmitjana, Flotats. La vegetazione, composta soprattutto da gruppi di alberi, arbusti e rampicanti tipici del clima mediterraneo, collocati organicamente tra lago e cascata, venne disposta dal paesaggista Ramón Oliva. Fontserè progettò anche il Parco Samà di Montbrió del Camp (Tarragona), nel 1881: un giardino privato del marchese di Miranao e Samà, con carattere marcatamente romantico. La zona arida è stata trasformata in un paradiso con cascate, fontane, laghi e grotte che imitano le montagne. Lina falsa grotta, a forma di collina con cascata, ricorda una soluzione simile, ideata da Gaudí, per il Parco de la Ciudadela. Il progetto risente dell’influsso dei giardini romantici europei dell’epoca, in particolare di quelli di Alphant, a Parigi, che influiranno anche sui progetti gaudiniani. Nel 1905, l’urbanista Léon Jausseley elaborò un piano di collegamenti tra Barcellona e nuovi comuni contigui, che prevedeva, in linea teorica, varie aree a verde, l’apertura della via Diagonal e il tracciamento di percorsi alberati. Tali innovazioni sarebbero state adottate solo parzialmente, in un successivo adeguamento. Nel 1920 il paesaggista francese Jean-Claude-Nicolas Forestier e l’architetto paesaggista, direttore dei Parchi di Barcellona, Nicolau Rubió i Tudurí cominciarono a sistemare la montagna di Montjuïc e alcune zone di Collserola, con architetture in stile mediterraneo novecentista. L’Esposizione Universale del 1929, che si svolse a Montjuïc, suggellò il successo di tale architettura novecentista analoga all’Art Déco europea. Forestier aveva già proposto un Piano Verde per la capitale cubana, l’Avana, e un altro piano per Buenos Aires, le cui idee influenzarono il suo allievo, Rubió i Tuduri; questi, nel 1926, propose una riserva di spazi verdi per Barcellona, secondo semicerchi concentrici che si allargavano fino alla Sierra de Collserola ed erano bloccati dai fiumi Besòs e Llobregat. 67
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A questo scopo, in qualità di direttore dei parchi pubblici della città, acquistò alcune aree rurali con le quali riuscì a porre parzialmente in essere questa corona di anelli. Fu l’occasione per realizzare alcuni dei migliori progetti di spazi verdi della capitale catalana: il Parco Turó; il giardino del Palazzo Reale di Pedralbes, nell’antica Proprietà Güell, della quale Gaudí aveva realizzato gli accessi; la plaza Macià e la sistemazione della Diagonal tra le due zone verdi; il Parco del Guinardó, progettato da Forestier; il giardino della piazza della Sagrada Familia, di fronte al sito dove sarebbe sorta la facciata della Passione. Verso gli anni Settanta, ormai molto anziano, Rubió i Tuduri avrebbe progettato lo specchio d’acqua della plaza Gaudí, che riflette la facciata della Natività, l’unica costruita personalmente da Gaudí. Forestier aveva a suo tempo portato a Barcellona molte specie sudamericane di alberi subtropicali, che ormai sono diventati tipici nei giardini della città, come quelli che fan bella mostra di sé sulla plaza Sagrada Familia. Nel breve quadro di sviluppo del verde a Barcellona or ora tracciato, emergono due concezioni fondamentali e ben distinte dell’architettura dei giardini mediterranei: da una parte, quella romantica di Fontserè, che avrebbe acquisito singolare accento naturalista in Gaudí, basata sui principi paesistici del francese Alphant; dall’altra, la concezione geometrica del giardino novecentista, di Forestier e di Rubió, applicata a quello che si chiamava allora il clima dell’arancio. Le due concezioni influenzeranno in modo significativo, fino ai nostri giorni, l’architettura dei giardini e del paesaggio non solo in Catalogna, ma anche in tutta l’area mediterranea e nel mondo. Nel 1940 l’architetto Lluís Riudor Carol, primo paesaggista catalano, assunta la direzione dei Parchi di Barcellona, realizzò un giardino paesistico su un pendio vicino alla porta principale del Parco Güell. Da lui sono stati inoltre attuati i migliori giardini tematici della città, continuati dal suo successore alla direzione dei Parchi, l’architetto Joaquim Casamor d’Espona: il Giardino Costa i Llobera, composto da cactus; il Giardino Mossèn Cinto Verdaguer, di piante bulbose; il Giardino Rosaleda Cervantes. A lui si deve anche la trasformazione in verde pubblico di alcune aree urbane, secondo il piano previsto da Rubió. In questo stesso arco temporale, cioè tra la fine del franchismo e l’insediamento del regime democratico, si è anche avuto un grande sviluppo urbano, mentre le campagne sono andate spopolandosi. La diffusa speculazione sui suoli ha portato alla scomparsa di molte aree libere e di giardini privati attorno ai centri abitati. Solo nel 1976 è stata stilata la Legge sui Suoli per frenare il caos urbanistico, cui fece seguito, negli anni Ottanta, il Piano Generale Metropolitano di Barcellona, col quale si è affermata una politica dei parchi pubblici architettonici, concomitante col pieno sviluppo democratico. In questi parchi si è data minore importanza alla vegetazione, mentre si è prestata attenzione alle zone polifunzionali, per la cui realizzazione si è diffuso un simbolismo spesso gratuito. Tuttavia, l’attenzione alla conservazione dell’ambiente e allo sviluppo dell’ecologia ha consentito, dal 1990 in poi, di recuperare l’idea di un verde ecologico in continuità con la tradizione dei giardini mediterranei dell’inizio del secolo xx. La nuova tendenza ha avuto grande successo in occasione delle Olimpiadi di Barcellona del 1992, quando trionfò il Razionalismo mediterraneo, che consentì di aprire la città al mare e di predisporre attrezzature e parchi pubblici nei quartieri più degradati.
Giardini annessi alle case e giardini in pietra Al mondo della natura Gaudí prestò attenzione già durante l’infanzia, trascorsa al Mas de la Calderera a Riudoms; poiché soffriva di febbri reumatiche che non gli permettevano di correre con gli altri ragazzini, egli divenne presto un attento osservatore della natura del Baix Camp, delle sue rocce e delle sue montagne, della tipica vegetazione con i campi di 68
Particolare delle sculture della cascata del Parco de la Ciudadela, realizzate dai migliori scultori del momento. Secondo Matamala, Gaudí si occupò della grotta sotto l’acquario, dove c’era un sedile curvo legato ai muri, precedente probabile del sedile serpentinato del Parco Güell.
Grotta o cavità della cascata del Parco Samà, dall’aspetto accentuatamente romantico nel contrasto tra il proprio carattere, che ricorda gli antichi ninfei, e il giardino, circondato da un paesaggio secco e roccioso.
mandorli, ulivi e noccioli, degli insetti e degli altri animali della campagna. La natura fu la prima maestra che lasciò in lui segni importanti per l’attività successiva, poiché sviluppò le sue capacità di attenzione e di immaginazione, qualità fondamentali per un architetto e per un progettista di paesaggi. In un certo modo, dunque, la malattia divenne per lui occasione per una originale maturazione personale. Ancora studente collaborò alla progettazione di giardini con Josep Fontserè, autore di due parchi in stile romantico-naturalista mediterraneo: il Parco de la Ciudadela e il Parco Samà, dei quali già si è detto. Ebbe modo, in particolare, di eseguire i calcoli della struttura del serbatoio idrico nella parte alta del Parco de la Ciudadela, da dove l’acqua sarebbe scesa alla cascata e quindi al lago, dal quale sarebbe stata recuperata per irrigare il giardino. Disegnò anche la ringhiera monumentale della piazzetta Aribau, la porta di accesso al parco e l’inferriata in ferro battuto e ghisa. Gli si attribuisce la grotta che sta sotto alla cascata, il cui aspetto naturalista ritroviamo in tutti i suoi progetti successivi. Il giardino della casa unifamiliare che Gaudí progettò, nell’antica municipalità di Gràcia, per Vicens, un operatore di borsa, ha subito diverse trasformazioni per via dell’espansione urbana di Barcellona. Tra il 1883 e il 1888, l’architetto collocò la casa nella parte posteriore del terreno, per far sì che il giardino fosse il più ampio possibile. Lo divise in tre ambiti: un primo, di ridotte dimensioni, per separare la casa dalla strada; un secondo, di fronte all’area nobile della casa, e un terzo, laterale, con alberi da frutta. Gaudí propose qui un giardino romantico, di aiuole circolari con palme e palmizi, con una fontana a getto, in ceramica laccata di verde, e con una cascata. La recinzione era costituita da un muro di pietrame con inferriata; alla casa si accedeva attraverso una porta in ferro battuto con rappresentazioni di palmizi. La facciata fu rivestita da piastrelle di ceramica, a scacchi bianchi e verdi, e da mattoni. Su qualcuna delle piastrelle fu riprodotto il garofano. Gaudí affermava che le piante riprodotte erano quelle cresciute in situ prima dell’intervento edilizio. All’interno della casa la veranda e la sala per i fumatori prospettano sul giardino. Il soffitto della sala da pranzo è decorato con rilievi di foglie e frutti del corbezzolo, tipico arbusto mediterraneo; le rappresentazioni di palme e palmizi ornano invece i vetri della veranda. Nel 1900 la casa fu acquistata dal signor Jover ed è tuttora di proprietà dei suoi eredi. Nel 1925, su richiesta del proprietario, un discepolo di Gaudí, conservando la continuità stilistica, ne progettò l’ampliamento; con l’acquisto di un terreno sul retro della casa, venne ampliato anche il giardino. Nel 1927 la strada, attualmente denominata calle de las Carolinas, fu allargata fino a occupare tutta la superficie del giardino sul lato dell’entrata; scomparvero anche un palmizio e la fontana, che in un secondo tempo fu riprodotta a scala più piccola nella Cátedra Gaudí. La porta di ferro invece fu ricollocata su un lato del giardino. Nel 1946 e nel 1962 parti del giardino vennero vendute. Nei settori rimasti, si vedono ora un palmizio delle Canarie, alcune palme e una magnolia. Per evitare che giardini come questo, che fanno parte di case di rilevante importanza, finiscano per scomparire, è necessario che i Cataloghi del Patrimonio registrino non solo gli edifici, ma anche i giardini. Il Giardino delle Esperidi (1884-1887), insieme agli spazi di accesso alla Proprietà Güell di Pedralbes, dove in precedenza si trovava la masseria dei Feliu, vennero realizzati da Gaudí su richiesta del conte Güell. Secondo Joan Bassegoda, questo giardino è stato disegnato in omaggio al suocero del conte, il marchese di Comillas. Vi sono ancora i resti della vecchia palizzata, nella porta posta attualmente nel giardino della farmacia e di fronte al muro di cinta del cimitero di Les Corts. La vegetazione è costituita da pini, querce e alberi da frutta, poiché qui è ripreso il tipo di giardino della mitologia greca. Nel piccolo giardino di fianco all’edificio sono stati mantenuti gli alberi esistenti; vi è stata inoltre collocata una fontana, a forma di drago, e un pergolato a catenaria. 69
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Casa Calvet, edificio residenziale nella zona dell’Eixample di Barcellona, un tempo occupata da industrie tessili, presenta, nelle verande e nelle terrazze della facciata posteriore, una decorazione in pietra con motivi di funghi, a ricordo del fatto che il proprietario era appassionato micologo. Per la stessa ragione sulla facciata verso la strada sono stati riprodotti un grande fungo del genere Morchella rotunda, un ovolo (múrgula in catalano), e un gruppo stilizzato a forma di cappello di Cratarellus cornucopoides, entrambi commestibili. Tutta la facciata su strada di Casa Batlló è ispirata invece all’ambiente acquatico del Mediterraneo: la decorazione in piastrelle dal colore verde, azzurro e bianco dà la sensazione che l’edificio si trovi sott’acqua, quasi tosse una allegoria dell’Atlàntida di Verdaguer. Anche i balconi ricordano le grotte sottomarine, per quanto c’è chi vi veda teschi o maschere del Carnevale di Venezia. Nel patio interno, gli piastrelle passano, salendo verso l’alto, dall’azzurro cobalto al bianco. Casa Milà, il capolavoro tra gli edifici residenziali, rivela quanta attenzione Gaudí abbia riservato al controllo della luce nei cortili interni, seguendo le contemporanee teorie del cromatismo e del simbolismo, come si vede nelle «sopracciglia», che proteggono le aperture delle finestre. Qui Gaudí cominciò anche a modellare le superfici curve, tema successivamente sviluppato nella cripta di Santa Coloma, nel Parco Güell e nella Sagrada Familia. Il progetto non rispettò completamente le rigide ordinanze comunali: ad esempio il pilone di base con funzioni strutturali usciva da tutti gli schemi. La facciata fu concepita come una grande scultura in pietra di Garraf nella parte bassa, in pietra di Vilafranca nei piani superiori. Il disegno prese ispirazione dalle forme della montagna: è come una gran pietraia. Potrebbe essere ripreso dalla montagna di Montserrat, da Sant Miquel del Fai, da Els Cingles de Fra Gerau a Prades, o dalla Cala Coves di Minorca, dove peraltro Gaudí non era mai stato. E notevole il «giardino in pietra» sul tetto, con i comignoli che fan pensare a personaggi immaginari. Sembra uscito da una guerra stellare ed è per questo che il poeta Gimferrer lo ha chiamato Jardí deis Guerrers. In occasione dell’ultimo restauro, sono stati ritrovati i colori originali, sono stati tolti i comignoli che erano stati aggiunti con l’aumento del numero degli appartamenti e il tetto terrazzato è tornato a essere visitabile, adatto anche per incontri pubblici. Da lì si possono scorgere altri tre capolavori gaudiniani: la Casa Batlló, il Parco Güell e la Sagrada Familia. Dal 1883 fino alla morte, nel 1926, Gaudí diresse il progetto della Sagrada Familia, continuato in seguito da architetti suoi amici. Immaginò l’interno del tempio come un bosco di colonne arborescenti, dove i capitelli dei pilastri ricordano i nodi del legno; dai capitelli si alzano, come rami, colonne più sottili terminanti in piccole porzioni di volte iperboliche, che suggeriscono l’immagine delle foglie. Il materiale costruttivo varia in relazione al carico che sostengono i diversi elementi strutturali: le parti basse, che portano il peso maggiore, sono in basalto; quelle più in alto sono in porfido e granito; quelle il cui carico è minore sono in pietra calcarea. La sezione delle colonne varia anch’essa in rapporto all’altezza, come nei rami degli alberi, che diventano sempre più sottili. Senza dubbio Gaudí ha tratto ispirazione dal grande eucalipto che si innalzava accanto al suo studio. Il variare della forma in funzione dell’altezza è inoltre particolarmente evidente in alberi tropicali quali il baobab (Cieba pentandra) e la ceiba (Adansonia digitata). Idee tratte dalla natura traspaiono in tutte le parti della cattedrale, ma soprattutto nel bosco di colonne dell’aula, bosco sacro nel quale si manifesta la presenza divina. Riferendosi in particolare ai pinnacoli della facciata, l’architetto Gustavo Gabarró, autore di una tesi sul naturalismo di Gaudí, segnala che la loro forma ricorda l’umile sedo (Sedum sp.) delle zone aride di Tarragona. Isidro Puig Boada e Joan Bergós, allievi dell’architetto catalano, nei loro libri forniscono un ampio commento descrittivo della vegetazione riprodotta sulle tre porte della facciata della Natività, simbolo delle tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità. 70
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La fontana di Casa Vicens, in un primo momento appoggiata al muro di cinta che prospettava sul vicolo di Sant Gervasi, divenuta anche portico tra il terreno originario e quello di ampliamento. Sul fondo si vede la cappella della fonte di Santa Rita. La fontana venne eliminata nel 1946, la cappella nel 1963.
Sul portale della Speranza, in una zona marina è rappresentata la flora e la fauna della regione del Nilo, dove ebbe origine la speranza messianica. Qui è rappresentata la fuga dall’Egitto del popolo ebraico. Vi si trovano piante acquatiche, come il papiro (Cyperus papyrus), il fior di loto indiano (Nelumbo nucifera), la ninfea bianca (Nimphaea alba), la pontederia (Pontederia cordata), la talia (Thalia dealbata), la tifa a foglie larghe (Typha latifolia), il cardo (Eringiiun sp.) e la vite rampicante (Vitis vinifera). Nel portale centrale, della Carità, sono rappresentate la flora e la fauna della Catalogna, cioè il bosco mediterraneo. Nella parte alta ci sono: il cipresso di Grecia (Cupressus sempervirens), la falsa acacia (Robiniapseudoacacia), l’albero di Giudea, o di Giuda o dell’amore (Cercis siliquastrum), l’ortensia (Hidrangea macrophylla), il glicine (Wisteria sinensis), le foglie di palmizio (Phoenix dactylifera), il giglio (Lilium candidum), il giaggiolo del Giappone (Iris kaempferi), il giaggiolo acquatico (Zantedeschia aethiopica), la alfalfa (Medicago sativa), l’ulivo (Olea europaea), il mandorlo (Prunus amygdalus), l’albicocco (Prunus armeniaca), il pesco (Prunus persica), il ciliegio (Prunus avium), il melo (Malus sp.). Qualcuna di queste specie è usata nei giardini mediterranei. Nel portale della montagna, dedicato alla Fede, è invece riprodotta la flora della Palestina, con riferimenti alla simbologia cristiana: la violetta (Viola odoris), l’aloe (Aloe vera), il melo (Malus communis) e la passiflora (Passiflora caerulea). Nella Casa-Museo Gaudí è conservato uno stampo di foglia di passiflora. Nel complesso si tratta di piante palestinesi, per quanto vi siano anche specie americane. Nel 1999, per una ricerca svolta nel Dipartimento universitario delle Costruzioni, l’autore di questo testo e Noemí Pérez, esperta in giardinaggio, disposero su un piano le diverse specie vegetali presenti nella facciata della cattedrale, indicandone le principali caratteristiche e la selezione delle parti – foglie, fiore o frutto – fatta da Gaudí per la decorazione della facciata. Fra gli esempi gaudiniani di raccordo dell’architettura con la natura, non può essere trascurato l’inserimento della cripta della Colonia Güell nel contesto paesaggistico. E chiaro l’intento di mimetizzare il più possibile l’edificio nel bosco di pini, soprattutto tramite i colori: il nero e il bruno dei mattoni bruciati sono analoghi ai colori del sottobosco del71
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la pineta e della corteccia degli alberi. Attorno alle finestre è posta una ceramica di colore verde, che ricorda le foglie aghiformi dei pini, mentre al di sopra delle finestre la ceramica, bianca e azzurra, rimanda al colore del cielo mediterraneo. Nei colori si può anche scoprire un significato religioso, di elevazione spirituale. Come in altri edifici, si ritrova, anche qui, il tema della grotta prima dell’ingresso. Tra il 1896 e il 1916 venne preparato il percorso paesaggistico alla Santa Grotta di Montserrat, il luogo dove era stata rinvenuta l’immagine della Vergine nera di Montserrat. L’incarico di studiare le quindici stazioni del Rosario fu affidato a importanti architetti, scultori e forgiatori. Nel progetto gaudiniano per il primo mistero glorioso (1916) è forte la caratterizzazione naturalistica: l’architetto propose di scavare una grotta, orientata a est, in modo che, nel giorno di Pasqua, il sole nascente avrebbe fatto risplendere la scultura della Risurrezione e gettato luce fin nel fondo della cavità, esaltando la primavera, stagione nella quale le piante aromatiche diffondono le loro fragranze e si sentono cantare gli uccelli.
Il Parco Güell Progettato e realizzato da Gaudí tra il 1900 e il 1914, il parco attualmente è pubblico; si sviluppa su un terreno di 15 ettari sulla Montaña Pelada di Barcellona, un terreno montuoso con dislivelli di circa 70 metri, parallelo alla Sierra de Collserola, con orientamento verso sud e vista sul mare, verso Montjuïc e verso la città, verso il Turó de la Rovira e Sant Pere Màrtir protetto dai venti del nord. Esso venne inizialmente progettato come città-giardino voluta da Eusebio Güell, in stile mediterraneo naturalista e ricco di valori simbolici. L’idea non fu tuttavia portata a termine. 72
Scala addossata alla cripta della chiesa del Sacro Cuore, a Santa Coloma de Cervelló, prima di interventi recenti di modifica. La chiesa avrebbe dovuto essere dedicata al Santo Sepolcro, ma, rimasta incompleta, se ne dedicò la cripta al Sacro Cuore. Pianta schematica della chiesa della Colonia Güell, secondo una ipotesi messa a punto da Rainer Graefe di Innsbruck e Jos Tomlow di Zittau.
Individuazione, nel Parco Güell, del Turó de les Tres Creus, detto inizialmente Turó de les Menes, o delle miniere, perché lì si estraeva ferro. Pianta del teatro greco e della sala ipostila del Parco Güell, tratta da un saggio di Salvador Sellés Baró, pubblicato nell’«Anuario de la Asociación de Arquitectos» del 1903.
Le peculiari qualità ambientali hanno contribuito, più di tutto, a caratterizzare la città di Barcellona: il mare, la Sierra de Collserola e i fiumi Llobregat e Besòs costituiscono i suoi limiti ancora oggi. In tempi come gli attuali, di generale omologazione dei centri urbani, questi fattori ambientali danno stabilità ai caratteri distintivi del luogo. I turons, come quello della Montaña Pelada, sono rilievi che precedono la Sierra de Collserola e hanno costituito a lungo le terrazze naturali della città. Sulle loro falde venivano coltivati i terreni e si insediavano i villaggi che successivamente, tra il 1897 e il 1921, sono stati inglobati nel centro urbano. La Montaña Pelada ha questo nome perché, benché anticamente coperta da bosco mediterraneo, fu successivamente deforestata. Sono sopravvissuti in essa solo alberi adatti alla terra arida, come carrubi, ulivi e mandorli. Il suo paesaggio è simile a quello della campagna di Tarragona, dal terreno in pendenza, roccioso, con uno strato di terra assai ridotto. Sui suoi pendii, in quello che è oggi conosciuto come il quartiere della Salute, allora confine municipale di Gràcia, fino al 1850 si trovavano alcune masserie, ville estive e residenziali della borghesia di Gràcia. A partire da questi nuclei, vennero realizzate allora le strade di connessione con Barcellona, che all’epoca si stava ampliando nell’Eixample. Nel 1899 Eusebio Güell i Bacigalupi comperò i terreni della montagna da Salvador Samà Torrens, marchese di Miranao e Samà, che aveva fatto fortuna nelle Indie ed era in seguito diventato un industriale e un esponente del partito liberale. Egli possedeva un parco, esempio del miglior giardino romantico del xix secolo in Catalogna, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Originariamente questi terreni erano stati proprietà di Antonio Larrard, di professione banchiere e industriale, che vi aveva costruito la sua casa per le vacanze in una antica masseria. Nel 1900 Eusebio Güell diede a Gaudí l’incarico di studiare per questa zona un nuovo insediamento, secondo l’immagine dei cottages inglesi e i principi urbanistici della cit73
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GIARDINI E PARCHI
Veduta sotto la neve dell’area del Parco Güell con il Turó de les Tres Creus a destra. Per il Calvario si scelse questa ubicazione, perché il toponimo del luogo è Montaña Pelada, termine equivalente a Calvario o Golgota. Gaudí modificò nel 1906 la casa, acquistata come propria residenza nel parco, per poter vedere il Calvario dalla sala da pranzo.
tà-giardino. L’architetto aveva già progettato e costruito per lui la residenza urbana, il palazzo nel carrer Nou de la Rambla, oltre che gli accessi e i padiglioni della sua proprietà di Pedralbes. I due uomini restarono legati fra loro per quarant’anni, lino alla morte di Güell: condividevano le idee catalaniste, l’amicizia col poeta Jacint Verdaguer e l’ammirazione per le culture mediterranee, soprattutto quella greca. Güell aveva studiato a Nîmes, in Francia; alcune figurazioni simboliche del parco potrebbero provenire da questa città e dal suo parco, opera di La Fontaine. Egli aveva anche viaggiato molto in Inghilterra, dove aveva conosciuto le idee di Ruskin, Howard e Morris, dai quali venne influenzato nell’ideazione della città-giardino che tentò di far attuare nel Parco Güell. Partecipò intensamente alla vita politica catalana e fu tra coloro che attivamente promossero la Lega regionalista della Catalogna, fondata nel 1901 da Prat de la Riha. Güell identificava la lingua con la nazione. Contribuì inoltre in misura non piccola alla Renaixença; il poema Canigó di Jacint Verdaguer, un libro che esaltava l’identità del popolo catalano, fu in parte scritto a casa sua. Come lui, anche Verdaguer amava le escursioni ed era naturalista; con Güell compì, in particolare, un viaggio in Svizzera, paese che entrambi ammiravano moltissimo per la bellezza delle montagne, che Verdaguer paragonava a quelle della Catalogna – il secondo paese più montuoso d’Europa dopo la Svizzera, appunto. Nel federalismo cantonale del paese elvetico, ambedue vedevano inoltre un sistema che avrebbe potuto essere adottato anche in Spagna. In quel periodo romantico facilmente si accendeva l’esaltazione per il nazionalismo, anche negli Stati più piccoli. Molte figure simboliche, realizzate nel parco, sono in stretto rapporto con il catalanismo mediterraneo. 74
Grande nevicata al Parco Güell nel 1910. Sul fondo la casa dove, dal 1906 al 1925, abitò Gaudí. In primo piano pezzi prefabbricati per il sedile ondulato della piazza del teatro greco.
Tra il 1900 e il 1907 si procedette all’attuazione del progetto di urbanizzazione. Le idee per il progetto della città-giardino barcellonese derivavano direttamente da quelle della città-giardino inglese: si doveva lasciare sgombra da edificazioni circa la metà del territorio, per dar spazio al verde e alle attrezzature pubbliche, suddividendo il resto del terreno in sessanta lotti triangolari di dimensione compresa tra 1.000 e 2.000 metri quadrati. Tutto il nuovo quartiere sarebbe stato recintato e con accessi controllati. Le condizioni di edificazione erano molto rigide: sarebbe stato possibile edificare solo su 1/6 della superficie di ogni lotto, la restante parte era destinata a giardino privato. L’altezza degli edifici doveva essere limitata e la loro ubicazione studiata in modo tale da non coprire la vista del mare e da ricevere la luce del sole. L’acquirente era tenuto a pagare un canone per il mantenimento delle aree pubbliche del parco; non sarebbe stato ammesso l’uso industriale dei terreni, né l’introduzione di alcun macchinario che potesse disturbare i residenti. Allo scopo di favorire la riforestazione della montagna, non sarebbe stato possibile tagliare alberi di prestabilite dimensioni, senza il permesso del responsabile dell’insediamento. Nei limiti urbanistici prefissati, sarebbe stata lasciata ad ognuno piena libertà nella scelta di uno stile secondo il quale edificare la propria abitazione e disporre il giardino. L’incarico per la realizzazione dell’insediamento fu affidato all’impresario José Pardo Casanovas. A differenza di quanto solitamente accade in Catalogna dove, quando si deve realizzare un nuovo quartiere residenziale, non appena sono state predisposte le strade di accesso, si cominciano a vendere i lotti senza che sia stato allestito alcun servizio, Güell mise in vendita i lotti solo dopo aver collocato i cavi elettrici, l’impianto per l’illuminazione notturna, le tubature dell’acqua, le fognature e i cavi del telefono. 75
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Già nel 1907, tuttavia, ci si rendeva conto che il progetto stava fallendo: erano infatti stati venduti solo due lotti all’avvocato Martín Trías, che vi aveva edificato la sua casa, dove ora vi abitano i suoi eredi. Nel 1907 lo stesso conte Güell andò a vivere nella Casa Larrard, che Gaudí circondò con un giardino e riadattò nel migliore dei modi; il conte vi risiedette fino alla morte, avvenuta nel 1918. Su richiesta del conte, anche Gaudí, nel 1906, traslocò dalla casa in calle del Consejo de Ciento dell’Eixample per andare a vivere nel parco, in un’abitazione che era stata costruita dal suo collaboratore Berenguer come esempio per promuovere lo sviluppo del nuovo quartiere. Per l’occasione l’architetto scrisse una lettera a un amico, nella quale spiegava che andava al Parco Güell perché l’inquinamento acustico e ambientale dell’Eixample era diventato insopportabile, indice dell’affermarsi in lui di idee ecologiste. Nella casa del Parco Güell egli abitò col padre e con la nipote, che morirono rispettivamente nel 1906 e nel 1912. Qui si organizzò il giardino privato, con temi presenti anche in altri suoi progetti, come il pergolato metallico perimetrale a catenaria, con piante rampicanti come le begonie e i gelsomini. Pergolati simili si trovano infatti nel giardino di Pedralbes e in quello della Scuola provvisoria della Sagrada Familia, in forma di chioschi, usati per tenere lezioni all’aperto. Nella casa del Parco Güell, il pergolato guardava verso il giardino e verso il Turó de les Menes. Gaudí visse qui fino al 1925, quando si trasferì nel cantiere della Sagrada Familia. Lasciò la casa in eredità al Patronato della Cattedrale. Cause probabili del fallimento del progetto di città-giardino furono i regolamenti comunali restrittivi e la reticenza della borghesia barcellonese all’idea di trasferirsi in quella zona. La borghesia, infatti, per tradizione sceglieva altri luoghi per le vacanze, come Sarrià, Pedralbes, La Bonanova e Horta. Tra il 1906 e il 1909 era stato completato il tempio greco e nel 1914 venne terminato il noto sedile, in ceramica invetriata, della piazza centrale: i due luoghi dai simbolismi più marcati all’interno del giardino. In fase di lavori avanzati, lo stesso Güell battezzò l’insediamento col nome inglese di «Park Güell»; del resto il luogo ospitò, nella piazza centrale e nella sala inferiore con colonne, molte feste e rappresentazioni. Nel 1923 gli eredi di Güell vendettero tutta l’area alla città di Barcellona, che la destinò a parco pubblico. Per quanto, a suo tempo, vi fosse chi criticò l’acquisto da parte dell’Ayuntamiento, le idee paesistiche e urbanistiche secondo le quali Gaudí aveva organizzato lo spazio ne favorirono la riconversione. Nella storia della Catalogna i nuovi insediamenti, che avrebbero dovuto favorire il costituirsi di nuovi parchi e di spazi pubblici importanti, hanno visto invece riservate al verde solo le zone marginali. Eccezioni a questa tendenza generale sono state, a parte il Parco Güell, il paseo Maristany di Camprodón, della fine del xix secolo; il nuovo quartiere del Golf de Puigcerdà, dell’architetto Bonet Castellana; il nuovo quartiere e la nuova strada di Ronda de S’Agaró, degli architetti Masó e Folguera, realizzati tra il 1923 e il 1935. Dal momento della sua destinazione pubblica, il parco ha subito diversi interventi. In primo luogo vi è stato installato un sistema di irrigazione; la Casa Larrard-Güell, inoltre, è stata trasformata in scuola pubblica. Negli anni Sessanta, Riudor ha progettato un parco contiguo all’entrata, noto come «Giardino d’Austria», come museo di scultura a cielo aperto e di libero accesso, ciò che costituisce oggi uno dei suoi principali problemi. Nel 1963 l’associazione Amigos de Gaudí ha comperato l’edificio che era stato la sua residenza e l’ha trasformato in Casa-Museo; nel 1969 essa è stata dichiarata Monumento nazionale e nel 1984 l’unesco l’ha inclusa nel Patrimonio dell’Umanità. Nel 1987 è stata restaurata sotto la direzione degli architetti Elías Torres e Martínez Lapeña, con la collaborazione di Joan Bassegoda e Francesc Mañá. Attualmente si sta elaborando la proposta di collegare tra loro i turons del parco, si studia inoltre come migliorarne gli accessi e come integrare la parte nord della montagna, che non era compresa nel primo progetto di insediamento e il cui elemento principale è la Font de Sant Salvador. 76
GIARDINI E PARCHI
Disegno di Juan Matamala della casa di Gaudí nel Parco Güell. Vi si vedono il padre Francisco Gaudí Serra, l’architetto, la nipote Rosita Egea Gaudí e, sulla porta, Vicenta, la donna a servizio.
Il Parco Güell è palesemente in stile naturalista mediterraneo. Il naturalismo vi è ben leggibile nella sua totale integrazione al paesaggio naturale. Non imita la natura, come avviene nei giardini romantici quali il Parco Samà, ma è composto da elementi che si fondono in essa. La sua mediterraneità appare chiara nel modo in cui è stato affrontato il rimboschimento del monte, appunto con vegetazione mediterranea, alberi coltivati già in situ. I viadotti hanno inoltre permesso di costituire terrazzamenti come quelli visibili nelle zone mediterranee coltivate, che facilitano la cultura dei terreni e ne evitano l’erosione, consentendo di ridurre al minimo la manutenzione e di attuare un giardinaggio sostenibile. Per comprendere bene l’importanza di questa realizzazione, basta paragonare questo luogo all’aridità del terreno che ancora oggi caratterizza gli altri rilievi di Barcellona. Dell’insediamento del Parco Güell sono state dunque realizzate solo le parti pubbliche: la recinzione; il mercato coperto con la sua grande piazza, uno dei suoi aspetti più significativi; i padiglioni di entrata; la scalinata; la sala delle colonne dalla eccellente acustica; la piazza superiore rifinita con la panca-parapetto rivestita in ceramica disegnata da Jujol; la cisterna, pensata per fornire acqua che irrigasse tutto il parco. Gaudí elevò un muro di cinta attorno al nuovo insediamento, poiché questo si trovava fuori dalla città; lo rivestì in pietra e lo concluse, in alto, con un profilo a carena rovesciata rivestito da frammenti di ceramica. Erano previste diverse porte principali, ma fu realizzata solo quella più monumentale, affiancata da due padiglioni, su calle Olot, mentre restò a progetto quella sulla strada del Carmelo. La porta originale dell’ingresso era in legno, oggi sostituita da quella del vecchio giardino di Casa Vicens, in ferro, con motivi di foglie di palmizi. I padiglioni, con pianta ad andamento curvo e dai volumi a carena, ricordano le fantasiose forme romantiche dei castelli di Luigi ii di Baviera. Entrando, sulla sinistra si trova il padiglione che avrebbe dovuto ospitare l’Amministrazione della città-giardino, dotato anche di una sala per accogliere i visitatori e di un telefono, fatto poco abituale a quell’epoca. Sulla destra invece si trova il padiglione progettato per ospitare la portineria con la casa del custode, più grande dell’altro e articolato su due piani più soffitte. Le parti più caratteristiche dei due edifici, in muratura di pietrame, sono le coperture carenate, rivestite con frammenti di ceramica in due colori. Sull’edificio riservato all’Amministrazione si eleva una torre, con superficie in forma di iperboloide rivestito in piastrelle, come le cornici delle finestre, e sovrastato da una croce greca, i cui quattro bracci sono orientati in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Sono ben visibili, su entrambi i padiglioni, i camini di ventilazione a forma di fungo. Quello dell’edificio della portineria, con il suo rivestimento in ceramica rossa a macchie bianche, ricorda chiaramente il fungo Amanita muscaria, in catalano chiamato reig bord. Gaudí aveva già usato nella Casa Calvet la decorazione a funghi. Alcuni motivi decorativi traggono ispirazione da eventi che ebbero luogo in quel periodo, come ad esempio l’opera Hansel e Gretel, rappresentata poco tempo prima al Liceu di Barcellona: Güell e Gaudí erano entrambi wagneriani. La casa con l’Amanita muscaria, nella fattispecie, sarebbe quella della strega, l’altra, invece, quella dei ragazzini. Dalla porta principale, situata nella parte più bassa del parco, si accede alla grande scalinata, rivestita di ceramica bianca nelle alzate e nelle pedate dei gradini, che sale verso la vasta sala delle colonne, pensata per ospitare il mercato del nuovo quartiere residenziale urbano. L’area sotto la scala era destinata invece a garage per le vetture. La scalinata si scompone in due settori per ospitare, al centro, tre fontane in successione lineare. La prima – a cascata, con grotte, formazioni rocciose e iris acquatiche – ricorda un giardino giapponese in miniatura. La seconda offre allo sguardo lo scudo della Catalogna entro un grande medaglione in ceramica, da dove spunta una strana serpe a tre bracci. Da questo punto del parco si poteva accedere direttamente alla casa di Eusebio Güell. La terza fontana è dominata dal celebre drago, o salamandra variopinta, dalla cui bocca sgorga l’acqua che alimenta il sistema di distribuzione e che proviene dallo sfioratore della 77
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La casa dell’avvocato Martín Trias, su progetto dell’architetto Julio Batllevell Arús (18641928), nell’unico terreno della città-giardino, divenuta poi Parco Güell, che il proprietario Güell riuscì a vendere.
grande cisterna, situata sotto la sala delle colonne. Il drago è figura-simbolo posta a protezione delle acque locali. Le colonne e gli archi della cisterna, impermeabili, sono costruiti con cemento Portland, una novità all’epoca, e sottostanno alle 86 colonne del tempio dorico. Secondo il progetto originale, lo spazio qui predisposto doveva essere utilizzato come mercato coperto, attivo due giorni alla settimana. Non appena venne realizzato si intuì però che il progetto non sarebbe andato a buon fine. Gaudí gli assegnò allora un’altra destinazione d’uso: quella di sala per le feste organizzate da Güell, poiché, come già è stato detto, questi era andato ad abitare nella vecchia Casa Larrard, che si trova proprio accanto alla sala delle colonne. Alcune colonne sono cave e servono da canale per convogliare nella cisterna l’acqua raccolta dal teatro greco soprastante. Tale cisterna ha una capienza di 1.200 metri cubi e vi si può accedere solo attraverso una botola. Nella parte centrale del tempio dorico sono state soppresse quattro colonne, allo scopo di lasciare uno spazio libero al centro, utilizzabile come palcoscenico teatrale. Nella originaria sede dei capitelli delle colonne eliminate sono stati realizzati, su disegno dell’architetto Jujol, dei plafoni, adatti a reggere grandi lampade per le feste notturne, coperti con frammenti di ceramica e di vetro colorati, ricchi di una espressività plastica fuori dal comune. Il loro fondo, di colore verde e turchese e con decori che evocano persino la simbologia azteca, ricorda il Mediterraneo al sorgere del sole. Questo spazio ha eccellenti qualità acustiche. Il fusto delle colonne in stile dorico è in pietra rustica, rivestito nella parte bassa con mosaico di ceramica bianca; i capitelli sono lisci e sostengono la copertura composta da una serie di cupolette appoggiate su travi leggermente ricurve, anch’esse rivestite in ceramica bianca in modo da disegnare un profilo che ricorda le onde del nostro mare. Per preparare gli elementi della copertura della sala, 78
Dove ora è il Turó de les Tres Creus o Calvario, nel tratto più alto del Parco Güell, Gaudí aveva dapprima immaginato di realizzare una cappella con planimetria ispirata al Santo Sepolcro di Gerusalemme. Solo in un secondo momento decise di costruire questo Calvario o Golgota, in pietra sbozzata.
Pianta della Cueva Grande, grotta sottostante al Turó de les Tres Creus, dalla quale si estraeva il ferro che veniva direttamente fuso in un forno situato nella parte bassa del Parco.
Gaudí utilizzò un sistema prefabbricato. Il suolo della piazza soprastante poggia infatti su calotte in mattone fabbricate a piè d’opera. Nel suo complesso la sala, vista dalla scalinata, dà l’impressione di un tempio dorico il cui fregio è sottolineato in basso da gocce che scendono a gruppi di quattro, mentre, nella parte alta, le gargouilles hanno la forma di teste di leone. Per sostenere meglio il peso, le colonne esterne sono inclinate nella direzione delle linee di forza. Non tutte si appoggiano sui piloni della cisterna, qualcuna scarica il proprio peso sul terreno. La sala-tempio si trova sopra lo spiazzo della vecchia Casa Larrard; al suo margine c’era già un muro che Gaudí ha inglobato, come parete del tempio. Qui sgorga una fonte di acqua minerale, che Güell mise in commercio. La piazza centrale del parco è chiamata «piazza del teatro greco» o «teatro della natura», perché qui si svolgevano rappresentazioni all’aria aperta. Non pavimentata, allo scopo di consentire di raccogliere l’acqua che filtrava nel suolo, essa è definita dal perimetro del sedile serpentinato e rivestito da ceramica dai colori verde, azzurro e giallo sullo schienale; alla base e sulle sedute, dalla forma ergonomica secondo i principi del Bauhaus, il rivestimento è invece in frammenti di ceramica bianca. La decorazione, in una figurazione che anticipa di molti anni l’arte astratta di Miró, Braque e Picasso, fu terminata nel 1914. Nel mosaico a frammenti sono stati inseriti scritte e simboli di connotazione religiosa e catalanista, in parte persi con il restauro del 1989. Il sedile, che si snoda a serpentina generando superfici concave e convesse, consente, a chi lo desidera, di sedere solo o in compagnia. Vi si ravvisa una concezione funzionalista avanzata, praticata nell’attuale architettura del paesaggio. La panca ha inoltre canaletti di scolo e ingrossamenti nelle sedute, che servono per far defluire l’acqua piovana. Al margine della piazza c’è un muro di contenimento in pietra, al di sopra del quale corre la strada principale fiancheggiata da palmizi. 79
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In questa zona del teatro, dove si trovano molte grotte e dove, nel corso degli scavi, si rinvennero numerosi fossili, un muro di pietra serve da rinforzo per superare il dislivello. Nel parco si dipanano 30 chilometri di strade che passano sopra viadotti-ponti, costruiti tra il 1900 e il 1902, per superare i non indifferenti pendii con ampie rampe curve, sostenute da muri inclinati che contengono le spinte del terreno. Con profetica visione urbanistica, Gaudí separò la circolazione pedonale da quella dei veicoli. Costruì una strada principale, di 10 metri di larghezza, che gira attorno alla piazza del teatro, entra dal Carmelo ed esce da San Josep de la Muntanya. Aprì due strade, larghe 5 metri, per accedere ai lotti residenziali, attraverso viadotti-ponti, con pendenze del 6%, che mediano gli scarti di livello senza incidere nella montagna. Per i pedoni sono state predisposte anche stradine di 3 metri, con pendenze del 12%, raccordate tra loro con scalinate. I viadotti, elementi tra i più caratteristici del parco, facilitavano il traffico e proteggevano i camminamenti pedonali sottostanti dal sole e dalla pioggia. Sono chiamati Pont Alt, Pont Mig e Pont Baix; sono sostenuti da colonne in mattoni e da volte murate rivestite da pietre locali; i grossi conci dei capitelli hanno spesso forma di stalattiti. Le loro pareti e i loro pilastri sono angolati secondo il pendio naturale del terreno, per contenerne le spinte e per confondersi con la vegetazione. Variano continuamente le colonne, le volte, i capitelli, le panche e le fioriere, ognuna sempre armonizzata con la vicina vegetazione. Il Pont Baix, o Viadotto del Museo, è formato da due file di piloni inclinati, che si elevano come fossero alberi e con capitelli a tronco di cono, quasi funghi che si raccordano alle volte. Tali perfette forme arboree ricordano certi pilastri degli edifici disegnati da Frank Lloyd Wright e da Alvar Aalto. Nel Pont Mig, o Viadotto del Carrubo, i pilastri hanno forme più usuali in architettura: le colonne esterne sono inclinate, mentre quelle centrali a conci regolari sono verticali e poggiano su un basamento. Va segnalato che un carrubo, ormai morto, è stato conservato nel sito dove era stato trovato, in mezzo al viadotto. Nel Pont Alt, o Viadotto degli Alberi, sono notevoli le volte a nervature, le grandi fioriere di pietra con agavi americane, le panche all’esterno. Nella zona di Casa Larrard, si trova il Portico o Viadotto della Lavandaia, così detto per la figura scultorea del contrafforte: è questo il famoso sottoportico con le pareti e i piloni, inclinati secondo la pendenza naturale del terreno, che dall’interno ricorda un’onda e che si conclude con una rampa elicoidale. È circondato da un bosco di pini bianchi con qualche quercia, in perfetta armonia con l’architettura. Nella parte alta del parco si trova il cosiddetto Turó de les Menes, un belvedere lastricato nel sito dove c’era precedentemente una miniera di ferro e nel quale, in un primo momento, era prevista la collocazione di una cappella. Vi si alzano ora tre croci che rievocano il Calvario, nello stile del talayote. Anche qui, nel corso dei lavori, sono state trovate grotte contenenti fossili. La vegetazione che Gaudí ha voluto in questo parco è fondamentalmente il nostro bosco mediterraneo, il querceto e la pineta, con arbusti di tino, lentisco, aladerno ed edera. Compare anche la macchia mediterranea, con la palma, la quercia spinosa, la ginestra, il cisto e con erbe aromatiche, come il rosmarino, il timo, la lavanda, la salvia. Tutte queste specie mediterranee si sono ben adattate alla locale scarsità di precipitazioni nella stagione estiva. Nel bosco compaiono, qua e là, alberi da frutta e da giardino propri di altre zone mediterranee. Si notano cipressi che occhieggiano tra le fronde dei pini, come nei boschi della Grecia. I palmizi delle Canarie sono raccolti in gran quantità lungo la strada principale, alternati a grandi pietre: una sistemazione nella quale qualcuno crede di scorgere l’allegoria dei grani della preghiera del Rosario; il nudo terrazzamento sovrastante sembra segnalare che, dopo l’oasi di palme del deserto, compare il monte. Si trovano inoltre qui i carrubi e gli ulivi, le agavi e i fichi d’india, piante grasse e spinose, di solito poste a difesa dei terreni coltivati. Nelle macchie di vegetazione appaiono 80
GIARDINI E PARCHI
Contrafforti del muro, sul perimetro del teatro greco nel Parco Güell, a sostegno di alcuni portavasi, la cui unitaria composizione imita le palme che si trovavano in situ prima della costruzione del Parco.
i fiori degli alberi da frutto, che spuntano prima delle foglie non appena il clima invernale si fa più mite: si vedono allora il bianco e il rosa dei mandorli, dei ciliegi, dei meli, dei peri e il rosa vivo del siliquastro. In inverno compare il giallo vivo di qualche mimosa, albero tipico delle aree marittime dell’Australia meridionale, collocata nel vicino giardino paesaggistico. I pittospori formano siepi che fiancheggiano alcuni sentieri, mentre nella curva del Portico della Lavandaia si trovano filari di magnolie e un albero perenne, proveniente dall’America, che in estate si copre di fiori bianchi. Per storici come Bassegoda e Lahuerta, le colonne doriche del luogo progettato come mercato e che sostengono il teatro greco ricorderebbero il tempio di Delfi; sarebbero quindi una memoria della cultura greca e mediterranea, omaggio più precisamente alla Grecia, che nel 1830 aveva conquistato l’indipendenza dall’Impero turco e, per analogia, omaggio anche al desiderio di indipendenza del popolo catalano.
Il giardino di Can Artigas Progettato nel 1905, il giardino privato della famiglia Artigas occupa un terreno di quattro ettari, vicino alla fabbrica e all’abitazione dei proprietari. È studiato per essere confacente al clima umido del luogo in cui si trova. La Pobla de Lillet, nel territorio prepirenaico del Berguedà, al margine della provincia di Barcellona. Il giardino si trova vicino al bel paese di Castellar de N’Hug, che è tra quelli in cui meglio è conservata l’architettura popolare catalana, nel parco naturale del Cadí, uno dei pochi monti calcarei della catena montuosa che ricorda le Dolomiti. Da questo monte nasce il fiume Llobregat, che forma le spettacolari cascate dette Las Fonts del Llobregat, dalle quali viene l’impetuosità e il suono incantevole dell’acqua di un affluente del fiume, che, nella parte alta del suo corso, scorre in una stretta gola della montagna, esattamente nella zona in cui viene a trovarsi il giardino. Nella stessa area sorge anche la sorprendente ar81
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chitettura della vecchia fabbrica di Clot del Moro, il cui progetto, redatto dall’architetto Pedraza, palesemente risente dell’influsso modernista gaudiniano. Nel sito scorre dunque rapida, infossata in un’angusta gola, l’acqua di un torrente affluente del Llobregat, entro un paesaggio carsico ricco di grotte calcaree e di boschi di pioppi cipressini (Populus nigra), di pini silvestri (Pinus sylvestris) e di altre piante caduche, tipiche del clima atlantico: a questa preesistente situazione ambientale è stata data una forma definitiva nel progetto di giardino, realizzazione gaudiniana solo recentemente scoperta, perché lontana da Barcellona dove si sono focalizzate le indagini sul maestro catalano. Il primo scritto in cui viene citato questo giardino è un articolo del 1971, che ne mette in luce lo stile. Lo stesso giornalista estensore dello scritto insieme a studiosi della Cátedra Gaudí compirono successivamente ulteriori indagini; interpellarono anche persone del luogo che avevano lavorato alla sua realizzazione. Tra queste c’era un muratore, che aveva lavorato per l’industriale tessile Artigas, e persone del villaggio, che avevano conosciuto Gaudí e ricordavano che alcune piante erano state portate lì dal Parco Güell. Nel 1989, nell’ambito dello svolgimento del iv Corso di dottorato della Cátedra Gaudí, l’architetto Josep Lluís Dalmau Miralles rilevò graficamente la planimetria del giardino. Nello stesso anno l’Ayuntamiento di La Pobla de Lillet, che aveva affittato il giardino, diede incarico alla Cátedra Gaudí di studiarlo e restaurarlo. Il lavoro di restauro, eseguito dall’architetto Joan Bassegoda nel 1995, ha rappresentato anche un momento importante nella riconversione in zona turistica della zona industriale del Berguedà. L’architetto polacco Witold Burkiewicz, borsista, eseguì un piano dettagliato del giardino e raccolse altre informazioni da una persona che aveva lavorato presso la casa degli Artigas e aveva visto alcuni schizzi tracciati da Gaudí su grandi fogli, durante un soggiorno di un paio di giorni in quella casa. Gli schizzi andarono però distrutti nel periodo della guerra civile spagnola. Dall’insieme delle informazioni e dei dati raccolti maturò la convinzione che Gaudí è l’autore del progetto del giardino, anche se non si sono rintracciati documenti scritti che lo testimonino. Nel 1905 l’architetto fu ospite, per due giorni, nella casa dell’industriale tessile Joan Artigas Alari, poiché si stava occupando della direzione dei lavori di uno chalet-rifugio, sul monte di Catllaràs, che sarebbe stato usato dagli ingegneri al lavoro nella miniera di lignite della Compañia Asland, di cui Eusebio Güell era proprietario. Nel corso di quel breve soggiorno, Artigas chiese a Gaudí di occuparsi del progetto di un giardino contiguo alla fabbrica. L’architetto scelse il sito presso il greto sassoso di un torrente affluente del fiume Llobregat, redasse una bozza di progetto e, in seguito, da Barcellona, inviò un muratore della squadra di José Pardo, l’impresario del Parco Güell; questi lavorò per sei mesi alla realizzazione di una grotta accanto alla fabbrica e alla preparazione delle altre aree del giardino, completato nel 1910, sulla base di un bozzetto di Gaudí, da un costruttore della zona che aveva lavorato col muratore incontrato, del quale si è detto sopra. Gaudí riprese qui gli stessi principi del Parco Güell, attenendosi però al carattere della vegetazione, tipica di un ambiente umido, e al paesaggio della stretta valle in cui scorre il torrente. La roccia calcarea invece è la stessa del Parco Güell, la stessa cioè delle montagne del Baix Camp di Tarragona. Il giardino custodisce una grotta dove si trova la sorgente Magnesia, di acqua ferro-magnesica. Come si è detto, anche nel Parco Güell c’era una sorgente di acqua simile a questa, che Eusebio Güell mise in commercio. Accanto alla sorgente si trovano due sedili di pietra; alle pareti della grotta, che si compone di pietre non sgrossate e volte ad arco simili a quelle dei viadotti del Parco Güell, vi sono due aperture che guardano verso il torrente. Sul corso d’acqua sono stati realizzati tre ponti. Il primo, quello più basso e prossimo alla fabbrica, già esisteva prima che si disegnasse il giardino. Il secondo si presenta, agli occhi di chi segue il sentiero, subito dopo la grotta; collega due diversi livelli ed è formato da un arco rampante che, una volta superato il corso d’acqua, consente di raggiungere 82
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Il fiume Llobregat, a un solo chilometro dalla sorgente, corre, sotto il primo ponte ad arco rampante, con gli antichi pioppi, nel giardino di Can Artigas a La Pobla de Lillet. Recentemente restaurato, il giardino è ora proprietà municipale.
con pochi gradini un belvedere di forma cilindrica e con copertura conica in pietra, che domina il giardino e ne costituisce l’emergenza più emblematica. Seguendo la sua balaustrata si giunge al terzo ponte, in lastre di pietra e a un solo arco, che collega il giardino a una zona tranquilla e appartata, con sedili e tavoli. I due ponti nuovi sono rivestiti con rocce. I loro parapetti, in cemento armato modellato a forma di rami, accompagnano tutto lo sviluppo dei collegamenti. Protezioni costruite in questa forma sono tipiche dei giardini romantici; simili elementi si trovano anche nel ponte del grande stagno del Parco Samà, costruito nello stesso periodo in cui venne realizzato il Parco de la Ciudadela. Gaudí deve averlo visto, poiché alla preparazione di quel parco lavorò come aiutante di Fontserè. In alcune parti i parapetti, simili a quelli del viadotto superiore del Parco Güell, hanno un’anima metallica rivestita con pietre di piccole dimensioni e, sui montanti in pietra, fioriere rivestite anch’esse in pietra. Nel terzo ponte i montanti formano archi longitudinali di pietra, a mo’ di pergolato. Tra le sculture in pietra, due cariatidi, all’inizio del terzo ponte, ricordano quelle dei contrafforti del viadotto inclinato della Lavandaia, nel Parco Güell. Una maestosa aqui83
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la si erge, a presidio, sul culmine di uno dei rami della scala del secondo ponte, vigilando sull’ambiente circostante: si tratta di un tipico elemento gaudiniano, che prende origine dal simbolismo mitico e cristiano. La flora atlantica, insieme al bosco di pino silvestre e ad alberi caduchi, rende mutevole l’aspetto del giardino al variare delle stagioni. In autunno domina il giallo dei pioppi, che sinuosamente accompagna lo spumeggiare bianco del fiume e si mescola al colore delle rocce, alle macchie rosse, arancioni e gialle dei ciliegi, degli aceri, degli alberi di rovere, nel verde azzurro della pineta. In inverno la spoglia struttura slanciata dei pioppi accentua la grandiosità delle rocce del giardino. In primavera il verde chiaro, dei pioppi e delle altre piante caduche, stempera il colore ocra delle rocce e la forte tonalità della pineta. La strettezza della gola e l’orientamento del giardino sull’asse est-ovest, perpendicolare al corso dell’acqua, contribuiscono a far sì che la sua immagine cambi nel corso del giorno, col variare delle ombre proiettate dalla luce solare. In inverno, quando i raggi solari giungono bassi, il contrasto è ancora più accentuato. Gaudí introdusse nel giardino piante simili a quelle del Parco Güell. Nelle fioriere del terzo ponte, invece delle agavi americane che si trovano nei vasi di pietra del viadotto superiore del Parco Güell, pose delle iucche, specie esotiche più resistenti al freddo, che si trovano anche nell’America settentrionale. Collocò anche glicini sui pergolati e palmizi, della specie Trachicarpus fortunei, originari dei monti del Giappone, mentre nel Parco Güell aveva introdotto palmizi delle Canarie. Certamente sarebbe stato più corretto utilizzare specie da giardino di clima atlantico, ma è un errore, comune a molti architetti paesaggisti, quello di voler introdurre specie e concetti, tipici di un certo clima, in contesti diversi. Al riguardo citerei il caso dell’architetto brasiliano Burle Marx, che cominciò progettando giardini, nella sua zona tropicale, di concezione e con vegetazione europea. Soltanto a seguito di un viaggio a Berlino avrebbe scoperto la bellezza della flora tropicale tipica del proprio paese; solo allora si decise a usare concetti cromatici e naturalisti, per progettare i giardini di Brasilia, coerenti con lo stile conosciuto come «tropicale». L’architetto Ribas Piera, nel libro Jardins de Catalunya, riconosce questo giardino della famiglia Artigas come marcatamente romantico, degno del re Luigi ii di Baviera. Egli ritiene che gli elementi più importanti sono le preesistenze naturali; in esso inoltre non trova la maestria esibita da Gaudí nel Parco Güell. A mio parere ciò dipende dal fatto che questo non era un paesaggio noto all’architetto, che soggiornò qui per un tempo troppo breve. D’altro canto non v’è dubbio che si tratti di un giardino di notevole plasticità scultorea. Realizzato contemporaneamente al Parco Güell, in esso si manifestano somiglianze e differenze, come giustamente evidenzia Bassegoda nel suo libro Jardines de Gaudí. Sono diverse in primo luogo le dimensioni: di 14 ettari il Parco Güell, di 4 ettari il giardino di Can Artigas. Il primo è destinato a un uso pubblico, il secondo è solo per uso privato. L’acqua è un bene scarso nel primo, poiché si trova solo nella cisterna sotterranea, invece nel secondo il corso d’acqua diventa l’asse principale su cui si impernia il progetto. Aggiungerei, come differenza non secondaria, la vegetazione: mediterranea, con poche variazioni stagionali, nel Parco Güell, se si prescinde dalle piccole macchie di fiori; marcata da forti differenze cromatiche col variare delle stagioni, perché vegetazione caduca, nel giardino Artigas. Simili invece sono le decorazioni in pietra, che è sostanzialmente la stessa in entrambe le zone, oltre che le forme di alcune fioriere e sculture, ispirate evidentemente da una medesima concezione stilistica.
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GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO di Juan Morell Núñez
GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
Prospetto posteriore di Palazzo Güell, rivestito in pietra di Garraf, nel quale la tribuna del piano nobile è chiusa da veneziane in legno, mentre il balcone è coperto da un ombrello, anch’esso in legno. Il tetto è disseminato di camini, decorati con ceramiche e disposti attorno ad un alto cono forato, che consente il passaggio della luce all’interno della grande sala principale.
Il Modernismo, l’artigianato, l’industria
I
l Modernismo catalano, come tutti i movimenti equivalenti negli altri paesi europei (Art Nouveau, Jugendstil, Liberty, Arts and Crafts, Sezession) e come già avvenne per il Barocco, implicava l’integrazione totale delle diverse arti: architettura, pittura e scultura; si fondava inoltre sulla supremazia del lavoro artigianale rispetto alla crescente produzione industriale, priva di qualificazione individuale. Tale stile non avrebbe potuto esistere senza l’opera degli artigiani e senza la loro maestria manuale: furono loro a concretizzare quel che gli architetti avevano ideato e tradotto in progetti o anche solo in schizzi. In questo contesto, la relazione tra l’architetto Gaudí e i suoi artigiani ha avuto un carattere particolare. Nei cantieri dei suoi edifici si lavorava come nelle botteghe medievali: Gaudí infatti coordinava gli artigiani e, dirigendo le operazioni, continuamente con87
JUAN MORELL NÚÑEZ
trollava la qualità del lavoro e la sua adeguatezza al contesto. Le sue procedure oggi non sarebbero attuabili, così come sarebbe impossibile introdurre il minimo cambiamento in un qualsiasi prodotto industriale; l’architetto deve adattarsi infatti a quel che l’industria offre e deve progettare tenendo conto dei prodotti di serie, fatto che costituisce una limitazione alla sua creatività. Nei progetti di Gaudí – tutti unici e diversi, in quanto opera di autentico artigianato, rispondenti a differenti necessità e concepiti con tale aderenza al contorno da sembrare collocati lì da sempre – l’unione e l’armonia delle parti, totale, li rende sempre simili a sculture monolitiche. Non vi sono eccessi né mancanze, non ornamenti superflui, come accade nella forma di un uccello o in quella di un aeroplano, interamente funzionali al volo. Le sue architetture sono assimilabili a orchestre musicali, nelle quali il suono di ogni strumento si armonizza agli altri; sono tutte paragonabili a cattedrali gotiche, delle quali, con un solo colpo d’occhio, possiamo apprezzare la facciata, nella sua interezza e nel suo slancio verticale, ma nelle quali possiamo anche soffermarci a osservare i preziosi basso-rilievi del portale, che, d’altronde, giocano un ruolo paritetico a quello di ogni altra parte della costruzione. Ciò vale per tutti gli edifici, chiese o case che siano – per il Parco e il Palazzo Güell, per le Case Vicens, Calvet, Batlló e Milà –, dove la pietra, la ceramica, il cristallo, il ferro e il legno sono a tal punto bene integrati tra loro da sembrare inseparabili. Tra Gaudí e gli artigiani che con lui lavoravano c’era una relazione di piena fiducia: l’architetto sapeva che dagli uomini e dai materiali poteva aspettarsi il miglior risultato. Consegnava loro un modello, da lui manualmente preparato, dell’oggetto che voleva che essi realizzassero. A volte il modello era a scala naturale; altre volte, soprattutto nelle prime opere, era accompagnato da una dettagliata descrizione scritta, che ne specificava anche i colori. Non lasciava spazio all’improvvisazione o agli errori di interpretazione. Inoltre, se un pezzo che aveva commissionato non lo soddisfaceva, ne richiedeva una nuova esecuzione. È nota l’impressionante abilità che egli aveva nell’eseguire personalmente la maggior parte degli elementi che disegnava, poiché non era solo un teorico che lasciava agli esecutori l’impegno di risolvere i problemi pratici. Conosceva esattamente tutto ciò che avrebbe potuto esigere e, in caso di dubbio, sapeva dimostrare praticamente quali procedimenti seguire, ai fabbri come ai falegnami e ai muratori. Questi potevano, dunque, apprezzare come il maestro dominasse la materia e la sorprendente semplicità di esecuzione della maggior parte degli incarichi da lui affidati. È ovvio che mai Gaudí avrebbe potuto portare a termine alcuno dei suoi geniali edifici, se avesse dovuto eseguire personalmente tutte le opere artigianali in essi contenute. Per questo si servì di pochi artigiani assai qualificati, che collaborarono con lui nel corso dell’intera vita professionale, dal 1878 al 1926: gli furono sempre fedeli gli stessi professionisti, coi quali andava d’accordo e sui quali poteva contare pienamente. Lavorava sempre con le stesse imprese, così che non doveva cercare nuovo personale a ogni nuovo incarico. I cambi di personale avvenivano solo per il normale avvicendamento, dovuto ai decessi e all’arrivo di nuovi apprendisti. È già stato mostrato con precisione da Ràfols come fossero qualitativamente differenti le opere che questi maestri artigiani eseguivano quando lavoravano per Gaudí, rispetto a quelle che realizzavano per proprio conto. Uno dei grandi meriti dell’architetto, finora non adeguatamente riconosciuto, è stato quello di aver conservato le più diverse componenti della tradizione artigianale catalana, senza però ignorare le novità apportate dall’industrializzazione; in altri termini, non volle restare ancorato al Medioevo, come invece auspicavano i romantici. In linea col Modernismo, cercò piuttosto di armonizzare artigianato e industria, ovvero cercò di ottenere prodotti di serie, senza però perdere quella qualità e quell’impronta del lavoro manuale che rendono l’esito diverso rispetto a quello seriale delle macchine. Come architetto e artigiano egli usò, inoltre, di quel che l’industria offriva, solo quanto gli interessa88
GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
Inferriata della porta principale di Casa de los Botines di León, lavorata nei laboratori dei fratelli Badia di Barcellona nel 1892.
Vista di Casa Vicens dal giardino sul retro; realizzata dal collaboratore di Gaudí Francisco Berenguer Mestres e dal pittore Alejo Clapés Puig.
va, ritenendolo comunque subordinato alla qualità dell’invenzione artigianale di opere originali, non viceversa. Fu cioè uomo del proprio tempo che, disponendo dei due modi di produzione, industriale e artigianale, si impegnò a prendere da entrambi il meglio. La capacità di fondere diverse arti non è certamente una qualità posseduta solo da lui; questa tensione, unita alla volontà di arricchire l’architettura, intendendola come arte totale e nobile, come arte del comporre, distingue infatti il Modernismo in tutte le sue manifestazioni europee coeve. Aspetto fondamentale dell’armonica fusione di artigianato tradizionale e industria è anche l’abbandono degli stili architettonici antichi, scelta peraltro molto frequente al tempo 89
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GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
Camini del tetto di Palazzo Güell, composti tramite intersezioni di semplici solidi geometrici quali tronchi di cono e di piramide, ornati da frammenti di azulejos.
di Gaudí. Delle tradizionali figurazioni architettoniche questi usò l’essenza, non la forma: se si vuole, ne recuperò lo spirito. L’analisi e lo studio dei risultati del passato sono dunque per lui il punto di partenza, mai l’obiettivo finale; così fu anche per le tecniche artigiane tradizionali, dalle quali non copiò mai le forme, bensì i procedimenti. Lo fece inoltre per migliorarli e innovarli, sempre spingendosi più avanti, con il sostegno fornitogli dall’industria. Inoltre, da buon artigiano-architetto, ovvero da artigiano dell’architettura, Gaudí ha costantemente approfondito le sue scelte architettoniche. Le sue creazioni conoscono infatti un’evoluzione continua e inarrestabile, sono tutte capolavori e allo stesso tempo autentici saggi: sono continuamente perfezionati e superati, traendo profitto dai risultati raggiunti, ma irripetuti e irripetibili.
Breve profilo storico dell’artigianato catalano e suo recupero da parte di Gaudí Di quali artigiani poteva disporre Gaudí ai suoi tempi? L’artigianato catalano del xix secolo affondava le proprie radici nel Medioevo. A quei tempi il lavoro passava dal padre al figlio, il quale doveva attraversare un rigoroso periodo di apprendistato mai presso la bottega paterna, per acquisire un preciso controllo della qualità dei pezzi realizzati. Gli artigiani erano raccolti in corporazioni, in confraternite poste sotto la protezione di un santo patrono, il che conferiva ai membri il diritto di essere inumati o tumulati nei sepolcri della corporazione, per esempio nel chiostro della cattedrale di Barcellona. Quando uno di loro moriva, la vedova e gli orfani venivano aiutati economicamente dal gruppo confraternale. I fabbri lavoravano il ferro usando l’energia fornita dai fiumi per muovere i pesanti martinetti, che colpivano il metallo scaldato nella fucina, in catalano detta farga, termine dal quale sono derivati molti toponimi, come per il gallego-portoghese ferreira. Questi opifici erano numerosi nella zona pirenaica, dove particolare fama acquisì la cittadina di Ripoll, nota in Europa per le armi da fuoco, vendute in tutta la Spagna. Esempi del lavoro di fabbriceria artigianale in stile romanico sono le inferriate della collegiata di Cardona, gli elementi in ferro delle porte di molte chiese e diversi og90
Inferriata a foglia di palma, della specie Chamaerops humilis, nel giardino di Casa Vicens, realizzata in pezzi in ferro fuso disposti sopra un reticolo in ferro laminato. La parte alta e i lampioni furono realizzati dal fabbro Bonaventura Batlle.
getti di uso liturgico, come i candelabri, le croci, i turiboli. Le migliori realizzazioni in stile gotico sono le inferriate delle cattedrali di Barcellona, Gerona, Tarragona, con i loro chiavistelli e i tipici ornamenti a forma di carciofo o «cespo» che le concludono in alto, così come alcuni orologi da campanile; inoltre le armature, le spade e gli scudi, nella cui lavorazione si evidenzia la raffinatezza di questi artigiani, visibile anche nell’uso ornamentale di metalli nobili per la composizione di tarsie, secondo una tecnica appresa dagli Arabi. Altra attività artigianale di rilievo è quella del calderaio, il lavoro del padre di Gaudí dal quale egli, vedendolo all’opera, apprese, come lui stesso riferisce, la geometria dello spazio. In questa attività si usava soprattutto il rame martellinato per modellare ogni sorta di contenitore di uso domestico: tegami, recipienti per liquidi, cioccolatiere, alambicchi per ottenere alcool o grappa dal vino a bassa gradazione. Si usava anche, ma in misura minore, l’ottone. La fusione, invece, era esclusivamente realizzata con il bronzo; serviva per fabbricare campane e, in tempi più recenti, anche pezzi di artiglieria. La produzione di ceramica è attività molto radicata in tutta la Spagna; ha tradizione millenaria per quel che attiene la fabbricazione di oggetti usati in cucina e nel commercio. Con questo materiale erano costruite le anfore con le quali i Romani portavano in Italia il vino, il grano e l’olio prodotti in Spagna. La qualità della ceramica (terra sigillata) prodotta durante la dominazione romana era particolarmente elevata. In epoca araba si introdusse la ceramica invetriata e con riflessi metallici, tecnica che giunse all’apogeo nel periodo dell’arte gotica e di quella barocca. Venne allora usata a profusione – per influsso di quel che avveniva in Italia, dove curiosamente era giunta, attraverso la Catalogna, da Maiorca, isola dalla quale prende il nome di «maiolica» – oltre che per i pavimenti, anche per gli zoccoli e per i rivestimenti delle pareti, persino per i paliotti d’altare. Dell’epoca barocca va segnalata la ceramica popolare, usata nella raffigurazione dei lavori degli artigiani, oltre che come cartabuono in architettura. Molto attiva era ancora, ai tempi di Gaudí, la fabbricazione di oggetti in vetro soffiato, realizzati con la stessa tecnica messa a punto dai Romani, che consentiva di ottenere pezzi di dimensioni limitate, da utilizzare per esempio per le vetrate delle chiese o del91
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le finestre delle case, assemblate col piombo. Sarà solo con la rivoluzione industriale che si produrranno grandi superfici di cristallo laminato, privo di quelle imperfezioni tipiche del vetro fatto a mano. I muratori catalani fecero ampio uso, fino ai primi decenni del secolo xx, di tecniche costruttive messe a punto nel Medioevo e, in qualche caso, fino dall’epoca anteriore al dominio romano. Fra queste, la costruzione in muri di terra cruda, impastata e pressata, usata dagli Iberi ma anche dagli Arabi, ancor oggi praticata nello Yemen o in Marocco. Gaudí usò la tecnica dei muri in terra cruda per le scuderie della Proprietà Güell, per le quali si servì di muratori di Sucs (Lleida), ancora abili in questo tipo di costruzione. La volta in muratura, chiamata anche maó de pia o alla catalana, benché la si ritrovi in tutto il Mediterraneo è però di origine romana; venne sviluppata in Catalogna a partire dal basso Medioevo; il primo esempio documentato risale al 1407. Con essa, invece delle pesanti volte di pietra allora usuali, si potevano ottenere volte o cupole molto leggere e resistenti, spesse quanto uno, due o più pannelli di laterizio, costruite con un materiale poco costoso che consentiva una messa in opera semplice, senza complicati ponteggi e sagome, e che per di più non esigeva un gran numero di operai. Ne sono esempi luminosi, nell’architettura gaudiniana, i tetti della Casa Milà (con i loro comignoli, con i camini di ventilazione e con le terminazioni dei vani delle scale), quelli delle case Batlló e Bellesguard, tutti i viadotti e i muri di contenimento del Parco Güell e il famoso sedile, realizzato, come tutto il resto, in elementi di laterizio prefabbricati e poi messi in opera. Con la sola eccezione di Casa Milà, tutte le opere gaudiniane avrebbero potuto essere costruite da operai romani o medievali; per esse infatti non si usarono moderne gru, bensì semplici carrucole e ponteggi in legno. Gaudí utilizzò l’industria moderna solo nelle decorazioni, le cosiddette arti minori, non nella costruzione. La ceramica invetriata, nelle facciate degli edifici con mattone a vista, è un Leitmotiv del modernismo catalano, che tornò in voga con l’Esposizione Universale di Barcellona del 1888. Gaudí, come molti tra i suoi colleghi, disegnò piastrelle di questo tipo per alcuni dei suoi edifici. Nei rivestimenti esterni di Casa Vicens impera la ceramica in piccole lastre adornate da vari disegni floreali; lo stesso avviene nella villa «El Capricho» a Comillas (Santander). In alcune delle piastrelle di serie poste sul parapetto sopra il sedile del Parco Güell, l’artigiano Jujol, prima della cottura, incise poesie mariane; le piastrelle vennero poi casualmente distribuite sul sedile stesso. La cappella reale della cattedrale di Palma è stata rivestita in piastrelle di ceramica locale, in forma di foglie di ulivo e con scudi dei vescovi della diocesi, così come la volta della cappella della Trinità, la cui decorazione non è stata però portata a termine. La torre di Casa Batlló è sovrastata da un bulbo con croce a quattro bracci, un pezzo unico in ceramica, preparato, come i tondi anch’essi in ceramica della facciata, a Maiorca. Le altre piastrelle, con preziose variazioni tonali, furono preparate da Pujol y Bausis, di Esplugues de Llobregat, mentre il rivestimento a scaglie della copertura fu confezionato da Sebastián Ribó. L’unico sistema conosciuto per collocare piastrelle sulle superfici bombate era quello di ridurle in frammenti, seguendo la stessa procedura del mosaico, posizionando cioè un pezzo per volta. Gaudí inventò un sistema più semplice e pratico, utilizzato per la prima volta nella Proprietà Güell: consiste nel posare una piastrella intera di ceramica smaltata quando il cemento è ancora fresco, per poi romperla con un martello e adattare i frammenti alla superficie. Si tratta del trencadís, termine che deriva dalla voce catalana trencar, cioè rompere. Vi sono esempi di trencadís nei comignoli del Palazzo Güell, nel Parco Güell, nonché nelle terminazioni dei vani delle scale e in qualche comignolo di Casa Milà. Per il Parco Güell gli amici diedero a Gaudí i loro piatti rotti, che vennero applicati, come in un collage di ceramica, sul famoso sedile e sul comignolo del padiglione di ingresso, col fungo rivestito di ceramica rossa a macchioline bianche ottenute con fondi 92
GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
Toeletta di doña Isabel López Bru de Güell, dapprima nel palazzo in carrer Nou de la Rambla, successivamente custodite nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell, ma di proprietà della famiglia Güell.
Poltrona e tavolo del negozio al piano terreno di Casa Calvet in calle de Caspe 48, in legno di rovere lavorato a forme organiche dagli ebanisti Casas & Bardés.
di tazze da cioccolata. Anche nei plafoni delle volte della sala ipostila del Parco Güell, Jujol ha mescolato frammenti di ceramica con fondi di bottiglie di cristallo, di caraffe e di ampolle. Si deve inoltre ricordare che, in cima alle torri della Sagrada Familia, Gaudí ha collocato resistenti cristalli di Murano, perché non facilmente accessibili, esposti agli agenti atmosferici, a grande altezza; sarebbe costosissimo, se non impossibile, sostituirli. Con gli stessi cristalli recentemente è stata decorata anche la volta della navata centrale della cattedrale. Tutti gli architetti modernisti catalani hanno disegnato pavimenti per la fabbrica Escofet, specializzata in pavimentazioni a mosaico, come testimoniano i preziosi cataloghi riccamente illustrati. Si trattava di definire un gran numero di pezzi diversi da posare. Per la ditta Escofet, Gaudí ideò invece un pavimento, originariamente per Casa Batlló ma poi collocato nella Casa Milà, che utilizzava un solo tipo di piastrella di forma esagonale, facilmente adattabile ad ogni tipo di superficie, per quanto irregolare; inoltre essa permetteva di formare, con altre sei piastrelle adiacenti, diversi disegni di animali marini: polipi, stelle marine, conchiglie. Con un solo stampo metallico – che fortunatamente si è conservato – si ottenevano piastrelle non di grandi dimensioni, ma che, grazie al materiale impiegato e alla loro compattezza, risultavano molto resistenti. I lavori in ferro erano quelli più facili per Gaudí, figlio di un calderaio. Fin dall’inizio della sua attività egli disegnò oggetti di ferro, come l’inferriata del Parco de la Ciudadela, i lampioni di plaza Reial e di plaza del Palau, i prototipi di due diversi modelli di lampione per l’illuminazione pubblica di Barcellona commissionati dal Consistorio, nonché una fontana per plaza de Catalunya e alcuni vespasiani, esternamente camuffati da fioriere, che purtroppo non superarono mai la fase di progetto. Tutte le realizzazioni di Gaudí, del resto, contengono lavori in ferro di grande qualità. Nel Palazzo Güell vi sono: l’importante inferriata, che impedisce di guardare dalla strada nel vestibolo; l’originale scudo della casa reale aragonese; le mensole, che sembrano appese ai soffitti lignei e alle tribune a protezione della controfacciata dell’edificio, mentre in realtà la sostengono. È importante anche la banderuola che sormonta la cupola centrale del palazzo. I pezzi vennero realizzati nell’officina di Juan Oñós. Dello stesso artigiano è l’opera principale in questo campo, la famosa inferriata dell’ingresso della Proprietà Güell, 93
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del 1885, col suo poderoso drago, le cui ali sono composte da verghe di ferro intrecciate. L’inferriata oscilla su un asse verticale, legato a un pilastro sormontato da un arancio composto da delicate foglie di antimonio. È anche notevole la fontana, con erogatore a forma di drago, che apparteneva anch’essa alla Proprietà Güell, ora nell’area del Palazzo Reale di Pedralbes. I caratteristici balconi di Casa Milà hanno ringhiere forgiate in ferro battuto. Gaudí diresse personalmente, per sette ore, la realizzazione della prima, nell’officina di Luis e José Badia (eredi di Juan Oñós); istruì poi gli operai perché procedessero allo stesso modo nel realizzare le altre. Le intelaiature delle principali porte di ingresso di questa casa, che sostengono elementi in cristallo, traggono ispirazione dai carapaci delle tartarughe. Nell’inferriata di Casa Vicens, Gaudí volle disegnare i caratteristici palmizi, fusi in una forma di terracotta ripresa da una pianta vera. Nella Casa Batlló vediamo i parapetti dei balconi a forma di maschere: Gaudí ne realizzò in gesso il modello, dal quale venne ripreso lo stampo per la fusione. Anche nella sua architettura religiosa Gaudí introdusse molti lavori in ferro. In questo materiale sono stati fusi tutti gli oggetti liturgici della cripta della Sagrada Familia: il leggio, il candelabro triangolare, il portacero pasquale con base di marmo, il crocifisso, le lampade delle cappelle, le grate, che chiudono i finestroni delle cappelle radiali. Merita una segnalazione particolare la griglia che riveste la parte bassa della colonna del portale centrale della facciata della Natività: una maglia di cavetti, per realizzare la quale si è dovuta disegnare un’apposita macchina. Anche nella cattedrale di Maiorca sono stati posti importanti arredi in ferro forgiato: le lampade dei pilastri; l’inferriata scorrevole che chiude la cappella maggiore; la scala per accendere i ceri dell’altare; la lampada in forma di tiara; il baldacchino, non terminato, dell’altare maggiore. È decisamente magnifica l’inferriata dell’ingresso del Collegio di Santa Teresa di Gesù. Il legno svolge un ruolo importante nelle opere di Gaudí: già in una delle sue prime realizzazioni, la Cooperativa Obrera Mataronense, egli costruì archi, in forma di catenaria, in legno nella sala della tintoria. Il maestro falegname che collaborò alla maggior parte dei suoi lavori, sia nelle opere in legno con funzione strutturale che in quelle di ebanisteria fine, fu Juan Munné, già attivo per le famiglie Güell e López. Nella Proprietà Güell realizzò le magnifiche logge della rotonda, le ante delle finestre e delle porte della scuderia. Le ante delle finestre dell’edificio della portineria mostrano un deciso influsso giapponese. Nel Palazzo Güell i soffitti in legno non hanno funzione ornamentale, bensì strutturale: non sono infatti sostenuti, come avviene usualmente, dalla travatura, poiché questa semplicemente non c’è. La Casa Batlló ha porte di rovere con aperture per la ventilazione, stupende finestre a ghigliottina nell’appartamento principale e porte che isolano un altare nella sala da pranzo, come avviene anche in Palazzo Güell, le quali all’occorrenza consentono di trasformare in cappella la sala stessa. Nelle case Vicens, Batlló, Milà, nel Palazzo Güell e nella casa del marchese di Castelldosrius, Gaudí usò porte scorrevoli fabbricate da Eudaldo Puntí, le cui ante, all’aprirsi, restavano nascoste nella parete in muratura. Come complementi ai lavori di falegnameria, l’architetto predispose anche ingegnose serrature per armadi; in Casa Vicens la loro forma triangolare bloccava contemporaneamente i due sportelli. Molto belli sono i loro pomi in ottone fuso e dorato, di forma strana, ricavata dallo stringere in mano un pezzo di argilla. In questo modo si è ottenuto un modellato del tutto naturale, il migliore possibile per una maniglia. I suoi mobili si segnalano non solo per la bellezza, ma anche per la comodità, essendo ergonomici e privi di arbitrarietà, anzi rispondenti a criteri funzionali. Gaudí ha disegnato mobili esclusivi per le sue case. Ha anche ideato il proprio tavolo da lavoro, distrutto nel 1936, realizzato dal laboratorio Puntí con sculture di Lorenzo Matamala. 94
GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
Mobili dell’atrio della Pedrera ora al primo piano della Casa-Museo Gaudí nel Parco Güell: sedili, armadi, porte e decorazioni a incastro che circondavano le colonne.
Seggiolina in legno di rovere, un tempo nel negozio al piano terreno di Casa Calvet, oggi nella Casa-Museo Gaudí.
Caso a sé stante è quello dei mobili per la cripta della Sagrada Familia: i posti a sedere nel presbiterio, il pulpito portatile, i confessionali, gli armadi della sacrestia con decori in ferro e ante a libro, e le ante della porta del Rosario, nel chiostro, distrutte nel 1936 e riprodotte dopo il 1939 dalla Corporazione dei Falegnami. Sono componenti squisitamente eseguite da Munné, che ne realizzò i modelli in scala ridotta. Lo stesso artigiano si occupò anche di tutte le opere di ebanisteria per il Palazzo Vescovile di Astorga dal 1889 fino al 1893, quando Gaudí abbandonò l’incarico. Fu infine sempre lui a predisporre, per la Casa de los Botines a León (1892), le porte, i corrimano, le scale e i tramezzi, raggiungendo un livello esecutivo magistrale. Tra il 1912 e il 1917 preparò le famose panche della cripta della Colonia Güell, anch’esse, tranne dodici, distrutte nel 1936, ma successivamente ricostruite, nel 1956, dal falegname Gurb, di Gràcia. Collaboratori per lavori in legno dell’architetto catalano furono anche i maestri ebanisti Casas & Bardés, dapprima operai nell’officina di Edualdo Puntí, poi attivi presso Gaudí; a loro si devono i mobili per le case Calvet, Batlló e Milà, nelle quali Munné aveva realizzato i lavori di carpenteria. Nelle cornici delle porte di Casa Batlló l’innovazione consisteva nel fatto che erano intagliate secondo le venature naturali del legno, con un risultato finale a priori imprevedibile. Casa Milà è costruita con una struttura decisamente moderna, a piloni, travi metalliche e piccole volte in laterizio, che permettono variazioni dimensionali e distributive dei locali. Un tempo l’originalità strutturale dell’edificio restava nascosta dietro i soffitti di canniccio intonacato, diversi tra loro e con disegni fantasiosi, persino con poemi, alla realizzazione dei quali partecipò Jujol. E degno di nota il suggestivo vestibolo dell’appartamento padronale in Casa Batlló, ricco di accenni ad animali marini, dotato di un fantasioso caminetto a muro, mentre un soffitto, modellato a vortice intorno alla lampada, sovrasta la sala da pranzo. Singolari sono i soffitti di Casa Vicens, in cartone compresso e dipinto con motivi vegetali, che sembrano in gesso. Pur ricorrendo a vetri tradizionali, nella cattedrale di Palma di Maiorca Gaudí li compose secondo un sistema geniale, che consisteva nell’obbligare il passaggio della luce solare attraverso due cristalli, in un colore primario, sovrapposti e un cristallo trasparente, in grisaille, il tutto protetto esternamente da altri cristalli trasparenti. Per la realizzazione dei cartoni di queste vetrate, egli ebbe la collaborazione degli artisti Llongueras, Ivo Pascual e Torres Garcia. Sono giunti a noi tre esempi di cristalli predisposti per questo lavoro, poi utilizzati diversamente. Nelle facciate e nei comignoli di Casa Batlló furono introdotti frammenti di vetro azzurro e rosa, avuti gratuitamente da una fabbrica, essendo scarti di un lavoro di laminatura; nello stesso modo, nella cuspide della torre di Casa Bellesguard, sono decorati lo scudo araldico elicoidale e la corona omaggio a Martino i di Aragona, ultimo monarca della casa di Barcellona. Va infine ricordato l’uso di fondi di bottiglie di champagne nell’unico camino decorato, al di sopra dell’intonacatura, nella terrazza di Casa Milà.
I più importanti collaboratori di Gaudí Tra tutti gli artigiani collaboratori del grande catalano, merita segnalazione particolare l’importante architetto José María Jujol y Gibert (1879-1949), che con Gaudí collaborò solo come artigiano, dal 1906 in poi. Era un portentoso disegnatore, dotato di un dominio assoluto del colore. Oggi, giustamente, si dà molta importanza non solo ai lavori da lui eseguiti come collaboratore di Gaudí, ma anche a quelli successivi, realizzati per proprio conto come architetto. Tra i collaboratori di Gaudí, non v’è dubbio che Jujol sia stato quello a lui più simile, anche se non arrivò mai a eguagliarlo. Lo evidenzia il paragone tra le loro opere, dal quale 95
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non si evince certo che le realizzazioni di Jujol non fossero di alta qualità; è evidente anzi che questi possedeva notevoli capacità artigianali e artistiche, pur senza arrivare al livello di grande architetto, costruttore e decoratore, raggiunto dal maestro Gaudí. Nelle architetture realizzate dal solo Jujol risalta l’uso degli archi a catenaria, il geniale disegno dei mobili, la capacità di riciclare parti industriali e materiali di risulta per la creazione di interni gradevoli e suggestivi, ricchi di colore. Collaborò con Gaudí nella cattedrale di Maiorca e nella Casa Milà, ma il suo intervento più importante fu, nel Parco Güell, la decorazione del lungo sedile e delle volte della sala ipostila. È doveroso menzionare anche alcuni importanti artisti: in primo luogo Lorenzo Matamala Piñol (1856-1927), scultore che aveva dapprima lavorato nel laboratorio di Eudaldo Puntí. Successivamente si mise in proprio; infine, nel 1887, dietro richiesta di Gaudí del quale era molto amico, con i propri dipendenti, entrò nel cantiere della Sagrada Familia. Sue sono le sculture naturaliste dei capitelli della cripta, gli animali dei contrafforti dell’abside e le cuspidi dei loro pinnacoli in forma di piante, riprodotte naturalisticamente. Piñol collaborò assiduamente con Gaudí già a partire dal 1878; sono infatti suoi anche il tavolo da lavoro dell’architetto, realizzato nel laboratorio Puntí, il mobilio del Panteon e i capitelli nella villa «El Capricho» di Comillas, i lampioni di plaza Reial, oltre a diverse opere del Parco de la Ciudadela a Barcellona. Una sua importante realizzazione è la scultura con San Giorgio, sopra la porta principale della Casa de los Botines a León. Matamala sposò la figlia dello scultore Juan Flotats, autore del magnifico basso-rilievo dell’Annunciazione che decora la chiave di volta dello spazio centrale nella cripta della Sagrada Familia. Il figlio, Juan Matamala Flotats (1893-1977), lavorò assiduamente con Gaudí, soprattutto nel cantiere della Sagrada Familia, e divenne suo biografo. L’architetto catalano, per realizzare gli angeli della cattedrale di Maiorca, scattò una serie di fotografie a modelli in posizioni diverse; successivamente predispose scheletri portanti a intelaiatuta metallica ricoperti a loro volta da una maglia metallica. Nel Tempio della Sagrada Familia escogitò invece un altro sistema, rapido e iperrealista: poiché gli sembrava troppo elevato il costo delle squadre di scultori necessarie per scolpire il gran numero di statue predisposte per la facciata della Natività, si servì di stampi a calco diretto da persone e animali. Grazie alla collaborazione di Matamala e del suo gruppo, lo scheletro strutturale della Sagrada Familia prese rapidamente forma, sia internamente che esternamente. Dell’interno infatti si può apprezzare l’evoluzione grazie a quattro diversi modelli strutturali delle navate, qualcuno in notevoli dimensioni, che permisero a Gaudí di sperimentare, a costi contenuti, le soluzioni successivamente elaborate per migliorare il progetto, prima della sua attuazione, senza correre il rischio di vederselo superato all’atto della costruzione. Tra questi modelli, che furono distrutti nel 1936 e ricostruiti a partire dal 1939, rivestono un particolare interesse: quello per la facciata della Natività, in scala 1:25, dipinto da Jujol e presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1910, e i modelli strutturali parziali: delle navate (pilastri, archi e volte), in scala 1:10, dei finestroni e della copertura della navata centrale. A partire dal 1921 si cominciò anche a realizzare il modello, poi distrutto, della facciata della Gloria. Tra i costruttori di modelli attivi per Gaudí si deve menzionare soprattutto Juan Ber-tran, della bottega di Matamala, il quale, nel 1898, realizzò il plastico della facciata di Casa Calvet. Oltre a collaborare per la realizzazione della facciata di Casa Batlló, per Casa Milà egli predispose i modelli dei comignoli e delle terminazioni dei vani delle scale sulla terrazza. A partire dal 1909 collaborò con Gaudí anche lo scultore Carlos Mani Roig (18661911), autore del pregevole crocifisso dell’oratorio di Casa Batlló (1907) e del progetto della scultura della Vergine del Rosario, che avrebbe dovuto essere collocata al centro della facciata di Casa Milà e che fu causa di dissensi, se non della definitiva rottura, tra l’architetto e i committenti. Su richiesta dell’Ayuntamiento, Gaudí corredò il progetto 96
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Modelli in gesso a scala 1:10 dei camini piccoli e grandi del tetto di Casa Milà, preparati da Gaudí e dai suoi collaboratori, depositati in un primo momento nelle cantine della Pedrera in costruzione, oggi al Museo di Architettura della Real Cátedra Gaudí.
Modello in gesso a scala 1:10 di una delle prese d’aria del tetto di Casa Milà, che restarono in possesso fino al 1970 del costruttore José Bayó Casanovas (1878-1970); da allora si trovano al Museo di Architettura della Real Cátedra Gaudí. Balcone del piano nobile della Pedrera durante la costruzione, nel 1909; evidente il vigore delle colonne in pietra di Vilafranca, lavorate a scalpello, in punta di mazza, per ottenere una tessitura a forti vibrazioni luminose. 97
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GAUDÍ E L’ARTIGIANATO CATALANO
di Casa Milà con un plastico in gesso della facciata. Preparò modelli anche per il restauro della cappella della SS. Trinità nella cattedrale di Palma di Maiorca; altri, purtroppo persi, furono predisposti per le nuove tombe dei re Jaime ii e Jaime iii di Maiorca. Il più importante di tutti i modelli gaudiniani, non in gesso, è senza dubbio quello «stereostatico» realizzato per la chiesa della Colonia Güell, scomparso anch’esso nel 1936 e ora ricostruito: esso costituisce una geniale rivoluzione del moderno metodo progettuale, applicato in una costruzione non conclusa ed elaborato senza calcoli o disegni. Alla sua realizzazione collaborarono Bertran e gli architetti Canaleta e Berenguer. Meritevole è anche l’attività di Juan Munné, costruttore delle centine e delle sagome per la Colonia Güell. Preparò anche gli stampi per numerosi componenti, prefabbricati in laterizio, del Parco Güell: le volte dei tre viadotti, le nervature e le colonnine che li adornano, gli stampi esagonali per i plafoni ricurvi, in mattoni ricoperti di ceramica, che decorano le scalinate. Il figlio Agustín, che lo aiutava, realizzò la famosa Lavandaia, che adorna un contrafforte situato all’inizio del portico, proprio sul retro della casa di Eusebio Güell. A lui sono inoltre attribuiti gli stampi per il rivestimento decorativo prefabbricato, a base di pietrame, della facciata di Casa Bellesguard.
Scale e accesso all’ascensore di Casa Calvet, con colonne tortili in granito artificiale, fasce e inferriate in ferro forgiato; le pareti lavorate sono a stucco modellato da scritte, riferite ai Juegos Florales di poesia, e da figurazioni di racemi d’uva.
Le tecniche artistiche di Casa Calvet A conclusione, si ricordano qui sinteticamente le tecniche artistiche impiegate in Casa Calvet, edificio che ottenne il premio, assegnato per la prima volta dall’Ayuntamiento di Barcellona, al miglior edificio terminato nell’anno 1899. Si tratta di un compendio di eccellenti opere di diverse specializzazioni artigianali. È impeccabile, in particolare, la muratura in pietra arenaria di Montjuïc, la stessa che era stata utilizzata nelle costruzioni medievali della città. La facciata principale dell’edificio sembra una grande ancona barocca in pietra, con lastre posate in piano e ricche di rilievi dal sapore romano, come si coglie in un confronto con l’acquedotto di Tarragona. Sculture decorative abbondano nelle logge, nei balconi aggettanti a mo’ di mensola, nei parapetti dei balconi, nonché nella cuspide del coronamento con due fastigi a vertice acuto mistilinei e coi busti dei santi Ginés e Pietro Martire, patroni del proprietario Pedro Mártir Calvet e del suo paese natale, Vilassar. Pietra artificiale armata è stata utilizzata nelle colonne ioniche del vestibolo e nelle colonne tortili della scalinata, oltre che nelle ricche fioriere della terrazza in controfacciata, preparate nel laboratorio di Salvador Boadas. All’interno dell’edificio, le volte in laterizio sulle scale, come in tutti gli edifici contemporanei di Barcellona, sono ancorate solo a una parete, a parte naturalmente i ballatoi. Il loro progetto fu tracciato dagli escaleristas, muratori specializzati capaci di costruire la curva della scala appendendo una catena ai due piani estremi di sostegno, invertendone poi la forma ottenuta. Infine, elementi costruttivi di produzione industriale sono utilizzati nei locali laterali del piano terreno, grandi travi in metallo a mo’ di grata. I pavimenti, in mosaico, sono stati preparati dalla nota ditta Escofet. Nelle pareti del vestibolo e nel patio fu disposta una decorazione a stucco, a imitazione dei rivestimenti in mattoni e con combinazioni calligrafiche, nel modo in cui in molte facciate coeve rivestite di mattoni o di pietrame si imitavano le pietre squadrate. Una analoga decorazione si ritrova nel rilievo policromo, realizzato sugli archi della scala e, all’esterno sui parapetti della facciata posteriore, con imitazione del mosaico in ceramica. L’uso ornamentale della ceramica è stato riservato alle pareti dell’ingresso principale, in piastrelle disegnate da Gaudí in modo tale che, combinandone quattro di diverse tonalità, azzurre e bianche, si ottiene un disegno di foglie con andamento a spirale. Troviamo qui il ferro battuto, in primo luogo nel battiporta con figure di significato allegorico – la croce batte una cimice, simbolo del peccato – elaborato da Juan Oñós. 98
Prospetto posteriore di Casa Calvet nel 1901, quando erano ancora visibili i graffiti a disegni, in diversi colori, di ghirlande e delle iniziali del proprietario «pmc» (Pedro Mártir Calvet).
In ferro sono anche i parapetti dei balconi e i due balconcini della facciata principale, situati sotto i fastigi a sostegno della gru fissa per sollevare i mobili. Dello stesso materiale sono: la parte superiore delle balaustre in pietra artificiale, dei balconi retrostanti, in forma di grata arrotondata; la grata della scala, in reggetta ritorta a forma di circoli concentrici; le porte dell’ascensore, realizzate in una combinazione di barre in ferro battuto e di maglia a rete; le lampade del vestibolo. Casa Calvet ospita anche importanti lavori in legno: le porte dell’ingresso principale e dei due negozi; quelle del vestibolo e degli appartamenti; la cabina dell’ascensore; i corrimano della scala; le panche del vestibolo e quelle dei pianerottoli, collocate tra le porte degli appartamenti; i mobili, in parte conservati; le persiane delle due facciate. Notevole il fatto che, a seguito di uno sciopero degli stuccatori e poiché bisognava concludere 99
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rapidamente, Gaudí fece realizzare in legno i soffitti degli appartamenti, con affreschi a motivi floreali. Sono magnifici i mobili dell’ufficio al piano terreno, realizzati dalla falegnameria Casas & Bardés, in legno di rovere, senza chiodi, ma con incastri in legno. Per questo motivo resistettero alla bomba esplosa, in un attentato anarchico, in calle de Caspe: i vari pezzi di cui si componevano infatti si separarono, per effetto dell’esplosione, senza rompersi. L’ottone fuso e dorato, tipico del Modernismo, fa da complemento al legno nelle finiture dell’ascensore; compare nelle maniglie e negli spioncini delle porte, la cui forma particolare fu realizzata da Gaudí comprimendo con le dita un pane di creta fresca. Un’eccezione è la maniglia d’argento della porta che, dalla loggia dell’appartamento padronale, accede al cortile.
ANTOLOGIA DEI PENSIERI E CENNI BIOGRAFICI
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ANTOLOGIA DEI PENSIERI
DAGLI SCRITTI AUTOGRAFI La decorazione Mi sono prefissato di fare degli studi seri sulla decorazione. Il mio proposito è di renderla interessante e comprensibile. La decorazione è fattore di perfezione Esaminando alcune fotografie dell’Alhambra, ho osservato che le colonne, che hanno un diametro limitato, si accorciano se si allunga il capitello per mezzo di modanature nel fusto; ritengo opportuna l’applicazione di colori, specialmente alla base, in modo che rimanga scoperto un pezzo corto di fusto. La stessa situazione si ritrova nelle varie sale dove, per sostenere le volte, vi sono colonne piccole che ingrandiscono la stanza o l’elemento architettonico; qui l’immaginazione può giocare nella somiglianza con i baldacchini gotici. Questo vale anche per le fasce sovrapposte, le cui linee si muovono in direzioni opposte; in altre parole, se la linea interna segue il disegno o motivo nel senso della lunghezza, quella esterna segue la larghezza; quest’ultimo effetto è ottenuto con le iscrizioni arabe. Temi della decorazione La decorazione, per essere interessante, deve rappresentare oggetti portatori di idee poetiche, che costituiscano un motivo. I motivi possono essere storici, leggendari, d’azione, emblematici, favolistici, inerenti a ciò che fa l’uomo e alla sua vita, alle sue azioni e alle sue passioni. E, quanto alla natura, possono rappresentare il regno animale, vegetale, o essere topografici. Condizioni per la bellezza Perché un oggetto sia sommamente bello, occorre che la sua forma non abbia nulla di superfluo, che rappresenti dunque solo le condizioni materiali che lo rendono utile; bisogna tener presente il materiale di cui si dispone e gli usi ai quali l’oggetto deve prestarsi; si avrà così la forma generale. Il fatto di tener conto della durevolezza dell’oggetto e del materiale permetterà di essere precisi nella forma di molte parti; le altre saranno valorizzate dal contrasto; in altre parole, dando una forma piacevole ad alcune parti, quelle vicine saranno rese molto più gradevoli. E se, date le condizioni dinamiche o atmosferiche, non si avessero forme riuscite, bisogna ricorrere a motivi puramente ornamentali per valorizzare la forma, facendola scomparire nella sua parte meccanica e materiale, ed evidenziandola dove soddisfa completamente la necessità. Sono circostanze che vengono precisate dal «carattere» dell’oggetto. Il carattere Il carattere può essere definito il criterio dell’ornamentazione. Ai giorni nostri, il carattere dipende dalla nazionalità, dagli usi e dalla ricchezza di colui che lo impiega. Gli oggetti pubblici devono avere un carattere severo, in contrasto con gli oggetti usuali della famiglia o dell’individuo. 102
ANTOLOGIA DEI PENSIERI
Un oggetto pubblico deve rispondere allo scopo con il proprio carattere, gravità, grandezza della forma e semplicità; per arricchirlo sarà necessario non mitigarlo con idee più dolci e, naturalmente, decifrabili, bensì mediante idee geometriche; le prime sono preferibili in casi particolari. La geometria La geometria presenta alcune grandi possibilità per gli edifici pubblici e religiosi. I templi greci ed altri edifici sono a pianta rettangolare, hanno le colonne coniche, le metope quadrate ed i frontoni triangolari. La decorazione è caratterizzata da un’infinità di cavità che decorano le membrature e le palmette; tali cavità non sono altro che segni perpendicolari alla linea orizzontale che seguono, ecc. Le cattedrali [presentano] l’arco del cerchio nelle volte quasi paraboliche, i trafori, la combinazione di cerchi, le forme piramidali nelle guglie, inoltre i capitelli, gli intrecci di forme geometriche. Le grandi masse Le grandi masse costituiscono sempre di per sé un elemento dell’ornamentazione delle parti alte. Ad esempio, nei rocchi di due metri che componevano le colonne del Partenone, quale decorazione si poteva desiderare per il capitello, il cui abaco era più alto del «gomito» degli atleti, l’impronta dei quali sarebbe stata microscopica di fianco all’echino? Quale ornamentazione era migliore del far brillare in tutta la loro purezza dimensioni simili? E cosa meglio del farla realizzare, se possibile, mediante profili sottili ma vigorosi, delicati in alcune parti, per indicare la finezza e la ricchezza del materiale e valorizzare la grandezza? La colorazione La decorazione è stata, è e sarà colorata. La natura non ci presenta nessun oggetto monotonamente uniforme. Tutto, nella vegetazione, in geologia, in topografia, nel regno animale, mantiene sempre un contrasto cromatico più o meno vivo. Ed è per questo motivo che dobbiamo necessariamente colorare tutto o in parte un elemento architettonico; si tratta di un colore che talvolta diverrà evanescente, ma nella maggior parte dei casi questo sarà un modo per conferire al colore stesso un’altra qualità che gli è propria ed è preziosa: l’antichità.
Appunti sulla casa familiare (paterna) La casa è la piccola nazione della famiglia. Come la nazione, anche la famiglia ha una storia, relazioni con l’esterno, cambiamenti di governo, e così via. La famiglia indipendente ha una casa sua; quella non indipendente ha la casa in affitto. La dimora di proprietà è il paese natale, quella in affitto è la casa dell’emigrazione; per questa ragione la casa di proprietà è l’ideale di tutti. Non si può pensare a una casa di proprietà senza famiglia: si concepisce in questo modo solo quella in affitto.
Alla casa di famiglia si è dato il nome di casa paterna. Chi non ne ha presente qualche bell’esempio in campagna o in città? Lo spirito di guadagno e i cambiamenti dei costumi hanno fatto scomparire dalla città la maggior parte delle case di famiglia; quelle che rimangono sono in uno stato così deplorevole e disagevole che finiranno come le altre. Il bisogno di una casa paterna non è solo di un’epoca e di una famiglia in particolare; è da sempre necessità di tutti. Si cercano l’autonomia dell’abitazione, il buon orientamento e l’abbondanza di aria e luce, di cui le dimore umane sono generalmente prive, in quel gran numero di torri, nei cui pressi si dà il caso strano che la maggior parte delle famiglie abbia la propria normale residenza. Per trovare queste qualità, agli abitanti delle città estere non dispiace allontanarsi dal centro cittadino, se lo permettono i numerosi mezzi di comunicazione, di cui fortunatamente anche noi iniziamo a disporre. E, fatto ancora più strano, la casa con più possibilità è quella che serve meno. Dunque è giusto che approfittiamo dei mezzi di cui disponiamo, che pensiamo ad una vera casa per la famiglia, e che, sintetizzando abitazione cittadina e torre, diamo origine alla casa paterna. A questo scopo, immaginiamo che una casa, né grande né piccola, e che potremmo definire normale, si trasformi in un palazzo, arricchendola e ingrandendola; riducendola e risparmiando sui materiali e sugli ornamenti, essa diventerà, invece, la modesta abitazione di una famiglia agiata. Immaginiamo una casa avita dell’Eixample, grande in base alle possibilità del proprietario, situata in un quartiere più o meno elegante a seconda della ricchezza e della posizione; essa è cinta da un muretto di contenimento del terreno del giardino, sufficientemente alto per proteggerla dagli sguardi dalla strada, e circondato da un muro traforato (dove al tramonto si appoggiano le braccia delle fanciulle che desiderano vedere i passanti). Un piccolo palco comunicante con la porta dell’abitazione interrompe la terrazza. Dentro la casa, su un lato, si snoda una lunga rampa, destinata alle vetture; di fronte, si trova una scalinata dalla cui sommità si scorge il giardino e, tra le foglie dei pioppi e dei platani, l’abitazione. Le stanze, raggruppate secondo le esigenze dell’orientamento, formano un insieme ameno, con le grandi finestre delle camere da letto, lo studio e la sala dove si ritrova la famiglia a mezzogiorno; la sala da pranzo per l’inverno e i salotti sono a sud; a nord sono lo studio, la sala da pranzo per l’estate e altre dipendenze. La cucina e le sue dipendenze ausiliarie sono separate dal gruppo delle camere e situate nella stessa direzione. Fra la camera da letto e lo studio, ombreggiato da acacie e allori, c’è un sorprendente portico dove sono esposte le terrecotte, nido per i passeri della zona. Nell’angolo opposto si vede una serra in ferro e vetro, un giardino d’inverno che comunica con le stanze per gli ospiti e che può essere adibito a salone per le grandi feste di famiglia. Ovunque internamente dominano la semplicità come sistema, il buon gusto come guida e la soddisfazione delle esigenze e delle comodità come obbligo. Tutto è formalmente definito. Ci sono i ricordi della famiglia, le imprese storiche, le leggende della terra, le delicate concezioni dei nostri poeti, gli spettacoli e le scene di madre natura; tutto quanto abbia significato e susciti stima. In una parola: di padre in figlio.
Da ultimo, la casa che immaginiamo ha due scopi: in primo luogo, grazie alle condizioni igieniche, far sì che coloro che vi crescono e si sviluppano siano forti e robusti; secondariamente, attraverso le qualità artistiche, conferisce loro, quando è possibile, la nostra proverbiale fermezza di carattere. In una parola, bisogna far sì che i figli che nascono nella casa siano veri figli della casa familiare.
RIFLESSIONI RACCOLTE DAGLI ALLIEVI TRA IL 1914 E IL 1926 Lo spirito di osservazione A causa della mia debolezza, spesso dovevo astenermi dal partecipare ai giochi dei miei compagni, fatto che stimolò in me lo spirito di osservazione. Così, una volta che il maestro spiegava che gli uccelli hanno le ali per volare, gli dissi: «Le galline della nostra masseria hanno delle ali molto grandi ma non sanno volare: servono per correre più velocemente». Mediterraneo i La virtù sta nel giusto mezzo; Mediterraneo significa a metà della terra. Sulle sue sponde di luce mediana e a 45 gradi, quella che definisce meglio i corpi e ne mostra la forma, sono fiorite le grandi culture artistiche, proprio grazie a questo equilibrio di luce: né troppa, né troppo poca, perché entrambe queste condizioni accecano e i ciechi non vedono; nel Mediterraneo si impone la visione concreta delle cose, sede dell’arte autentica. La nostra forza plastica è l’equilibrio fra il sentimento e la ragione: le razze del nord ostacolano, soffocano il sentimento e, per la mancanza di luce, inventano fantasmi; mentre quelle del sud, per via dell’eccesso di luce, trascurano la razionalità e generano mostri; sia con la luce insufficiente che con quella abbagliante, la gente non vede bene e il suo spirito è astratto. Le arti mediterranee saranno sempre di gran lunga superiori a quelle nordiche, perché si dedicano all’osservazione della natura: in generale le popolazioni nordiche producono opere belle ma non eccellenti, sono invece molto dotate per l’analisi, la scienza, l’industria... Questo spiega, per contrasto, le creazioni mediterranee. Il grande libro della natura i Il grande libro, sempre aperto e che bisogna sforzarsi di leggere, è quello della natura; gli altri libri derivano da questo e contengono, inoltre, interpretazioni ed equivoci degli uomini. Ci sono due rivelazioni: una, quella dei principi della morale e della religione; l’altra, che guida mediante i fatti, è quella del grande libro della natura. Gli aeroplani presentano un assetto simile a quello degli insetti con le ali piatte e non rigide, che, da secoli ormai, volano perfettamente. La costruzione si prefigge di proteggerci dal sole e dalla pioggia. L’imitazione [della natura] arriva fino alle membrature architettoniche, dal momento che gli alberi furono le colonne; in un secondo momento vediamo i capitelli ornarsi di foglie. Questa è un’ulteriore giustificazione della struttura della Sagrada Familia. 103
ANTOLOGIA DEI PENSIERI
Il grande libro della natura iii Quest’albero è prossimo al mio creatore: è lui il mio maestro! Giardini Nel nostro paese c’è una grandissima varietà di fiori colorati e profumati; nel nord essi sono scarsissimi e senza profumo, soffrono della monotonia del verde, che devono combattere con forme curve e sinuose. Noi non abbiamo monotonia, per questo possiamo usare forme rettangolari. Solo le curve, però, trovano ragion d’essere nel nostro paese, per la sua irregolarità planimetrica. La vegetazione del nostro paese è composta da fiori e arbusti, mentre gli alberi ad alto fusto sono scarsi (nel nord sono abbondantissimi), da ortaggi, verdure, mandorli e alberi da frutta; nei sentieri, qualsiasi tipo di fiore e di pergolato è a portata di mano. Il piccolo giardino di città è una fontana con un percorso intorno, un incrocio, un viale ad anello carico di fiori. Bellezza ii La bellezza è lo splendore della verità; lo splendore seduce tutti, per questo l’arte è universale. La scienza e il raziocinio, al contrario, sono accessibili solo a certe intelligenze. La luce La qualità essenziale dell’opera d’arte è l’armonia; nelle opere plastiche, essa nasce dalla luce, la quale conferisce rilievo e decora. Sospetto che la parola latina decor significhi luce o qualcosa di molto simile, che esprime chiarore. La luce che raggiunge il culmine dell’armonia è quella inclinata a 45°, la quale, essendo mediana, non colpisce i corpi né in senso verticale né in senso orizzontale; essa permette una visione davvero perfetta dei corpi e ne coglie tutte le sfumature. Questa è la luce mediterranea. I popoli del Mediterraneo (che significa «a metà della terra») sono i veri depositari della plasticità, [come testimoniato dall’arte in] Egitto, Grecia, Italia. L’architettura, dunque, è mediterranea (la gente del nord, invece, ha propensione per la scienza), perché è armonia di luce; essa non esiste fra le popolazioni del nord, dove c’è una triste luce orizzontale, e neppure nei paesi caldi, dove questa è verticale. Gli oggetti non si distinguono bene né con il limitato chiarore del nord, né con il bagliore delle zone torride. In un caso come nell’altro, la gente non vede, di conseguenza il suo spirito è astratto. I tedeschi e gli indiani hanno entrambi elaborato una geometria senza figure, astrazione dell’astrazione. L’avvenire è nostro; gli altri paesi mediterranei sono logori, pertanto è ora che ci espandiamo; non possiamo privare l’umanità delle nostre realizzazioni. Le arti L’architettura è la prima fra le arti plastiche; la scultura e la pittura hanno bisogno della prima. Tutta la sua eccellenza 104
ANTOLOGIA DEI PENSIERI
deriva dalla luce. L’architettura è l’ordinamento della luce; la scultura è un gioco di luce; la pittura è la riproduzione della luce mediante il colore, scomposizione della luce. Originalità iii L’originalità consiste nel tornare alle origini; originale è, dunque, ciò che con mezzi nuovi fa ritorno alla semplicità delle prime soluzioni. Risulta, quindi, originale risolvere la semplicissima basilica primitiva con la complessità della stabilità individuale delle volte, come è stato fatto nella Sagrada Familia. Originalità v Non si deve voler essere originali; chiunque deve sapersi riferire a quanto è stato compiuto in precedenza; se non lo fa, non concluderà niente, cadrà in tutti gli errori già commessi nel corso dei secoli. Non dobbiamo disprezzare l’insegnamento del passato. Ciascuno porta in sé lo stile, che sorge spontaneamente senza che ce ne accorgiamo. Le mie idee sono di una logica indiscutibile; l’unico [difetto] che riscontro in esse è che non sono mai state applicate, e che debba essere io il primo [a farlo]; è l’unica ragione che, in ogni occasione, mi farà dubitare. Gli occhi Un giorno, trovandomi in presenza del vescovo di Maiorca, si parlò della meravigliosa persistenza dell’immagine sulla retina, magnifica macchina fotografica; uno dei commensali disse che si trattava chiaramente di un fatto straordinario, dato che [la vista] era il primo senso dell’uomo. Io fui sorpreso e, volendone parlare (era una di quelle cose a cui talvolta si pensa), gli dissi: «Non è solo il primo senso, ma anche il senso della gloria, perché san Paolo dice che la gloria è la visione di Dio; è il senso dello spazio, della plasticità, della luce; l’udito non è altrettanto perfetto, perché richiede tempo; la visione è [vista] dell’immensità; la vede chi l’ha e chi è privo [della vista]».
Il colore I greci, i cui templi erano di marmo pentelico, un marmo cristallino come lo zucchero, trasparente e di una bellezza per niente volgare, non ebbero dubbi nel dipingerli; il colore, infatti, è vita; esso è un elemento che non dobbiamo disprezzare, bensì infondere nelle nostre opere. L’architetto ii Architetto vuol dire anche capo degli operai, colui che dirige i lavori, e come tale è uomo di governo nel senso più elevato della parola; egli, infatti, non trova una costituzione già fatta, ma la fa lui stesso. Per questo, dei grandi uomini di governo si dice che sono costruttori di popoli. Ciò spiega perché, quando l’architetto interviene personalmente nella realizzazione del progetto, quest’ultimo risulta sempre superato, al punto che, per avere dei disegni identici all’opera, essi dovrebbero essere rifatti compieta- mente al termine dei lavori. Le Corbusier Il modellino che ho visto di quest’architetto è un insieme di parallelepipedi; sembra il marciapiede di una stazione dove hanno scaricato delle casse di imballaggio, alcune delle quali ricordano degli scaffali; quest’uomo ha la mentalità di un falegname. Lavorare negli stili classici Quando dovevo fare alcuni progetti in un particolare stile tradizionale, cercavo di calarmi nelle circostanze e nelle caratteristiche dello stile in questione, a quel punto potevo creare liberamente; così feci greco il colonnato della piattaforma del Pare Güell, feci del gotico a Bellesguard e a Maiorca, e del barocco nella Casa Calvet. L’uso delle curve
L’architettura non coincide con la stabilità. Questa è una parte di quella; la stabilità non corrisponde in toto all’architettura. Un ponte di ferro è meccanico, non è bello. L’architettura è arte; la meccanica costituisce lo scheletro, l’ossatura, ma è priva della carne che conferisca armonia, ossia della forma avvolgente; una volta ottenuta l’armonia, si avrà l’arte.
Gli stili architettonici che potremmo definire cilindrici sono rigidi, pieni di masse inerti che non hanno niente a che vedere con la stabilità, e costituiscono un ostacolo per la luce. La loro rigidezza e la loro uniformità esigono l’impiego di fasce, scanalature e modanature che conferiscano varietà. Con l’uso ragionato delle superfici curve non sono necessarie le modanature; esse sono di per sé adattabili a qualsiasi tipo di situazione e volume; poiché permettono di evitare qualsiasi tipo di massa passiva o inerte, hanno maggior luce, una luce che gioca con il suono in modo meraviglioso.
Ordine di qualità
Architetto e ingegnere i
In architettura la forma si trova al quarto posto: 1°, ubicazione; 2°, misura: 3°, materia (colore); e 4°, forma. Il senso del tatto restituisce la [percezione della] forma, ma non la situa; quello della vista situa la forma e ce ne comunica il colore e le misure. Dopo queste quattro qualità, viene la stabilità e seguono le altre.
L’architetto si distingue dal costruttore ingegnere per il fatto che il primo rende la costruzione superiore dal punto di vista spirituale, ossia la destina alla divinità. Anche la casa o la costruzione destinata all’uomo partecipa di tale superiorità; per essere completa, una casa deve avere uno spazio dedicato a Dio (o al suo culto o glorificazione). Non
La stabilità
è una novità introdotta dal cristianesimo; tutte le popolazioni pagane, infatti, avevano un luogo dedicato ai lari (dèi tutelari della famiglia), come testimoniato da 2.000 figurine custodite nel museo della Campania, rinvenute in ambienti destinati al loro culto. Tradizione e innovazione A differenza del tradizionalismo archeologico, adottato da alcuni, e dell’improvvisazione arbitraria, adottata da altri, ho seguito una tradizione viva, profondamente ragionata. Per questo, nel restauro della cattedrale di Maiorca è difficile discernere gli elementi gotici autentici da quelli nuovi che li completano; qui le parti plateresche e barocche hanno cambiato funzione, e completano l’opera senza che sia facile scoprirlo. Ho introdotto la colonna dorica arcaica nel Pare Güell, come avrebbero fatto i Greci di una colonia mediterranea; il casale medievale di Bellesguard è profondamente gotico e attuale al contempo; quanto alla casa in affitto di Carrer de Caspe, essa è strettamente imparentata con il barocco catalano. Questo significa calarsi nel tempo, nell’ambiente e nei mezzi, e coglierne lo spirito. L’abitazione umana Un bell’appartamento ha bisogno di 150 metri quadrati di superficie, riducibili a 120 con un po’ di ingegno. Di conseguenza, una casa, per poter avere due appartamenti ad ogni livello o piano, necessita di 300 metri quadrati. Una camera da letto, né grande né piccola, misura 4x4 metri; diminuendo una delle due dimensioni, si può aumentare l’altra. I bagni devono essere spaziosi, con un angolo per vestirsi, il lavabo e il WC; bisogna fare in modo che sia possibile circolare attorno alla vasca da bagno. Una costruzione «povera» (calcolando le giuste sezioni) costa 4 duros al metro [quadrato]; oggi anche di più. Una rampa di scala che si rispetti è larga 1,25 metri. Lo stesso dicasi di un corridoio ampio; nelle case degli operai misura 1 metro. Casa Milà ha una superficie di 48.000 metri quadrati ed è costata 400.000 duros. Casa Calvet è costata 100.000 duros e Casa Batlló (ampiamente rinnovata) 80.000 duros. Un bagno deve essere spazioso, e avere un angolo per potersi vestire comodamente e uno che possa accogliere le due o tre persone che devono lavare un inabile o un paralitico. Non è necessario che sia vicino alle stanze da letto, dato che gli ospiti e le persone della servitù potranno averne bisogno in qualsiasi momento della giornata, quindi non solo di prima mattina, quando ci si alza dal letto. Oggigiorno la toeletta non necessita una ventilazione direttissima, né deve trovarsi in ballatoi o luoghi appartati; grazie al sifone idraulico si trasforma in una camera come tutte le altre. Nelle case dove non c’è molto spazio, il WC viene collocato nella stanza da bagno (altro motivo per cui quest’ultima deve essere accessibile a qualsiasi ora), dato che fare il bagno stimola l’urina e l’espulsione delle sostanze fecali. La sala da pranzo e il salone devono essere attigui, poiché gli amici sono invitati a mangiare e non c’è festa in cui non si mangi; il salone e la sala da pranzo sono separati da una vetrata e comunicano mediante due porte di dimensioni medie, oppure attraverso una sola ma grande. In questo 105
ANTOLOGIA DEI PENSIERI
modo la vista spazia da ciascuna delle due stanze verso l’altra. Un corridoio o passaggio e una scala, in case medie, devono misurare [in larghezza] 1,20 o 1,25 metri; nelle case degli operai si fanno dei corridoi da 1 metro e scale da 0,9 o 1 metro. Di frequente la camera da letto di servizio dà sulla scala. Ma qualsiasi camera da letto necessita di una ventilazione diretta, ed è inammissibile che il luogo in cui si dorme sia una stanza interna. Le cucine devono essere ventilate grazie a uno speciale cortile, affinché gli odori non raggiungano la scala o le altre stanze. Elementi portanti ed elementi portati L’errata distinzione fra elementi portanti ed elementi portati dà luogo a una discontinuità imperfetta fra il montante, o colonna, e l’arco, o architrave, discontinuità che si pretende di dissimulare inserendo elementi decorativi quali capitelli, mensole, imposte... Similmente, nel Medioevo si ricorreva all’ornamentazione per nascondere forme strutturali false; era una decorazione generalmente poco visibile, poiché ripetitiva, secondo il criterio seriale, senza cura della proporzione e dell’ubicazione. Modanature Una modanatura non è completa se non è ornata da foglie, ovuli, onde, e così via; in altre parole, se non è caratterizzata da una superficie avvolgente parabolica. Di conseguenza, impiegando le superfici curve non c’è spazio per le modanature. Costruzioni rurali Devono essere fatte con i materiali della stessa terra e impiegati in modo che possano essere realizzate dal contadino in persona, quando il lavoro dei campi gli concede un momento di tregua. Non esistono muri più semplici, efficaci e rigogliosi dei rovi, perché, fiorendo e perdendo le foglie, variano costantemente. I muri di rovi, i margini, le capanne e le torrette devono essere fatte di terra (muri) e pietre a secco, vale a dire senza malta (la malta, infatti, esige il costoso intervento del muratore). Il fatto che le pietre siano collocate a secco significa resistenza nulla alla tensione e, quindi, adozione di forme in equilibrio. Non è una novità, poiché già a Maiorca le costruzioni megalitiche, le capanne delle vigne e i margini sono antichissimi. Costruzioni di montagna Occorre non forzare nulla, e lasciare le cose in franca asimmetria: blocchi di edifici, corpi diseguali, e così via. La simmetria si addice maggiormente a ciò che è piatto, e volerla applicare alle costruzioni di montagna equivale a privarle di adattamento e di carattere, a ottenere una freddezza inespressiva a costi elevati. Parc Güell i Quando il dottor Torras i Bages venne a vedere le opere del Parc Güell, dopo aver passeggiato per un po’ e con la
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ANTOLOGIA DEI PENSIERI
testa leggermente piegata in avanti, a causa della miopia, disse: «Vedo che ha sfruttato la topografia del terreno per ottenere il massimo della comodità», un commento appropriato come del resto tutte le espressioni del grande vescovo: vedendoci poco dal punto di vista fisico, egli possedeva un’ampia visione mentale. Parc Güell ii Lo scopo è accrescere e rendere agevoli le comunicazioni fra le varie zone del Parco utilizzando unicamente i materiali stessi della terra. Se il Parco fosse stato costruito con la terra, sarebbe stata fatta una serie di scavi e di terrapieni complementari; tuttavia, poiché si rivelò necessario asportare la roccia, ci si rese conto che era preferibile togliere solo la parte necessaria alla realizzazione di alcuni viadotti, invece di rimuovere l’eccezionale mole per fare dei terrapieni con pietre. Casa Vicens Quando andai a prendere le misure della proprietà, essa era totalmente coperta da quegli stessi fiorellini gialli che ho adottato come tema ornamentale nelle ceramiche. Trovai anche un’esuberante palma, le cui palmette fuse nel ferro riempiono la quadrellatura del cancello e della porta di ingresso della casa. Lleó Poiché durante l’inverno sarebbe stato necessario interrompere i lavori, non cominciai l’esecuzione fin quando la pietra delle facciate e tutti gli elementi strutturali non furono pronti; per questo motivo, la gente del luogo è stupita dalla rapidità con cui venne montata la struttura di quel grosso ingombro. Poiché in questo luogo nevica abbondantemente, ricoprii il casale con uno strato di ardesia disposta obliquamente, e le torri d’angolo con stoffa ruvida, lasciando scoperte di proposito alcune pietre, perché vi si impigliassero i fiocchi di neve; alla prima nevicata furono molti i curiosi accorsi a contemplare lo spettacolo.
Casa Milà ii L’opera è concepita come un monumento alla Vergine del Rosario, poiché Barcellona è priva di suoi monumenti. E, dato che il costo sarebbe molto elevato, ho deciso di risparmiare sulla costruzione: Casa Milà è edificata con parsimonia, ma i materiali impiegati hanno un alto coefficiente di resistenza. Casa Milà iii Non mi stupirebbe che in futuro questa casa venisse trasformata in un grande albergo, data la facilità con cui si possono cambiare la distribuzione e il numero dei bagni. Casa Milà iv L’idea originaria prevedeva la costruzione di una doppia rampa attorno al grande cortile, per permettere l’accesso delle vetture ai vari piani (era necessario ottenere una pendenza del 10% al massimo). Ciò esigeva un grande sviluppo della rampa e, quindi, un grande spazio (doppio rispetto a quella della casa); in secondo luogo avrebbe comportato la necessità di ingressi importanti e di soffitti molto alti. La soluzione finale consisteva dunque in una serie di abitazioni signorili collocate al piano terreno. Tuttavia, sebbene le dimensioni originarie della casa fossero superiori a quelle reali, la superficie era insufficiente per sviluppare quest’idea. Quando si costruisce una casa, capita sempre che ci si debba limitare nelle dimensioni e nelle soluzioni, contrariamente a quanto succede per la chiesa. Geometria ii La geometria, per l’esecuzione delle superfici, non complica, anzi ne semplifica il processo costruttivo; la geometria più complessa è l’espressione algebrica dei concetti geometrici, la quale, non potendo essere espressa per intero, causa malintesi; questi ultimi scompaiono di fronte ai corpi nello spazio.
Casa Calvet
Perfezione delle forme continue
Arrivato il momento in cui i gessai avrebbero dovuto cominciare i soffitti, che dovevano essere molto ornati, essi si misero in sciopero; per evitare che i lavori rimanessero bloccati e per dare una lezione ai gessai, decisi di sostituire i soffitti piani con semplici soffitti di legno di dimensioni limitate. Questo mi obbligò a prestare molta attenzione ai particolari nei battenti delle aperture, finemente scanalati, e a mettere negli impalcati alcuni ornati che li amplificassero, richiamando la modanatura dei battenti.
Le forme continue sono quelle perfette. Solitamente si distingue tra elementi portanti ed elementi portati con palese inesattezza, dato che sia gli uni che gli altri sono contemporaneamente portati e portanti. Tale distinzione crea il punto imperfetto, che nasce dalla soluzione di continuità, quando si passa dall’elemento portante a quello portato. Nelle aperture, passando dai montanti all’architrave, si colloca un qualche ornamento (capitello, imposta, mensola), atto a distrarre l’attenzione da quello spazio, irrisolto dal punto di vista meccanico. Si copre una carenza concettuale con
un particolare gradevole alla vista, si risolve in tal modo il problema di carattere strutturale in modo decorativo. Le forme poliedriche e quelle inequivocabilmente dette geometriche sono poco presenti in natura. Anche l’uomo crea dei piani (porte, tavole) che con il tempo diventano curvi. Stabilità e forma Il concetto di stabilità e il concetto di forma sono separati; la stabilità e la forma convergono, procedono parallelamente, o divergono a seconda del caso. Aggetti azzardati A casa Vicens, Gaudí eresse una torre d’angolo, sostenuta da mensole di file di mattoni in un crescendo di aggetti. Un muratore, quando vide la torre aumentare in altezza, avvertì Gaudí che sarebbe caduta; l’architetto gli disse di stare tranquillo, ma l’uomo, spaventato, al momento di sporgere [nello sbalzo], rimase in attesa della catastrofe che credeva imminente. Quando Gaudí lo seppe, gli disse gridando: «Tu vedi solo i mattoni che sporgono in fuori, senza ricordarti di quelli disposti internamente!». Cemento armato La costruzione in cemento armato è quella più razionale, in quanto tutti gli edifici sono sottoposti a vibrazioni e a movimenti difficili da analizzare (dilatazioni, contrazioni). Tutto questo significa flessione e, quindi, armatura. I brani qui trascritti sono tratti dal volume: I. Puig Boada, El pensament de Gaudí. Compilació de textos i comentaris, Publicacions del Collegi d’Arquitectes de Catalunya, Barcelona 1981. Del volume esiste per ora solo l’edizione italiana: A. Gaudí, Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi (a cura di M.A. Crippa, Jaca Book, Milano 1995). Dagli scritti autografi giovanili si sono selezionate per questo volume le prime parti, a carattere generale, del manoscritto di Reus del 1878 su Ornamentación e il breve scritto Apunts sobre la casa familiar (pairal). Dalla seconda parte, «Gaudí ens parla», si sono tratti i seguenti brani: Del Mediterrani: L’esperit d’observació; Mediterrani i; El gran llibre de la Naturalesa i; El gran llibre de la Naturalesa iii; Jardins. De les arts: Bellesa ii; La llum; Les arts; Originalitat iii; Originalitat iv; Els ulls. De l’arquitectura: L’estabilitat; Ordre de qualitats; El color; L’arquitecte ii; Le Corbusier; Treballar dintre dels estils clàssics; Us de les enguerxides; Arquitecte y enginyer i; Tradició i innovació; L’habitació humana; Sustentants i sustentats; Mottlures; Costruccions rurals; Costruccions a muntanya; Parc Güell i; Parc Güell ii; Casa Vicens; Lleó; Casa Calvet; Casa Milà i; Casa Milà ii; Casa Milà iii; Casa Milà iv. De geometria: Geometria ii; Perfecciò de les formes contínues. De l’estabilitat: Estabilitat i forma; Els voladius esglaiadors; Formigó armat.
Casa Milà i La superficie della pietra, arricchita con le piante rampicanti e i fiori dei balconi, avrebbe conferito un colore sempre vario alla casa.
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CENNI BIOGRAFICI
Cenni biografici
Scarse le notizie raccolte sulla vita di Antoni Gaudí. Abbastanza note le vicende dei primi anni e degli ultimi, più oscura è la stagione intermedia, coincidente con i momenti decisivi della sua maturazione umana e professionale. Nato da Francesc Gaudí i Serra, calderaio, e da Antonia Cornei i Bertran il 25 giugno 1852, Antoni Plàcid et Guillem Gaudí i Cornet riceve la sua prima educazione nella città di Reus, in provincia di Tarragona, terra aspra, pietrosa, disegnata da vaste colture di ulivo, vite e mandorlo. L’infanzia è percorsa da ricorrenti malattie reumatiche, che accentuano l’innata capacità di osservazione e l’amore per la natura. Compiuti gli studi di base e quelli superiori presso gli Scolopi a Reus, si reca nel 1868 a Barcellona: qui, nel 1869, frequenta i corsi preparatori presso la Facoltà di Scienze, per potersi iscrivere alla Scuola Superiore di Architettura, dove inizia gli studi di architetto nel 1873, per concluderli ufficialmente il 15 marzo 1878. Nel 1876 muore la madre e nel 1879 la sorella Rosita. Allievo architetto dal rendimento discontinuo e diseguale, attratto prestissimo dagli scritti dell’architetto restauratore e storico Eugène Viollet-le-Duc e di John Ruskin, oltre che dagli studi di letteratura classica e di estetica accessibili in altri corsi universitari, anche per ragioni economiche deve lavorare, mentre è ancora studente, presso molti studi di noti professori e architetti di Barcellona. Dal 1878 si consacra totalmente all’attività professionale, vissuta all’inizio con l’intensità di chi vuole coinvolgersi con la vita culturale del paese, fino ad occuparvi una postazione significativa e, in un secondo momento, dopo profonda maturazione umana e religiosa, con radicale spirito di servizio e di totale distacco da ogni forma convenzionale di relazione e di vita pubblica. Temperamento appassionato, vivace, brusco, dagli umori mutevoli e portato alle scelte paradossali, dotato di una straordinaria capacità immaginativa, maturata anche nella attenta considerazione delle forme naturali, Gaudí vive con vigorosa partecipazione ogni avvenimento del suo paese, e, pur non implicandosi mai direttamente in politica, condivide le più accese idee catalaniste; è attento alle ragioni dei movimenti operai; frequenta numerose personalità ecclesiastiche di primo piano, partigiane del rinnovamento liturgico che prende le mosse in Europa in questi anni; ha, come clienti e mecenati, personalità di grande rilievo della borghesia catalana. Decisivo è l’incontro con Eusebio Güell i Bacigalupi, poi primo conte Güell.
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Molte fonti attestano che, dopo un breve periodo di intensa partecipazione alla vita mondana, egli cambia comportamento, diventando schivo, isolato, del tutto indifferente al successo, presente per quasi tutta la giornata nel cantiere della Sagrada Familia, di cui, a partire dal 3 novembre 1883, assolve all’incarico di architetto capo; assiduo frequentatore della chiesa di San Filippo Neri; dedito a dure penitenze (il digiuno, durante la Quaresima del 1894, lo porta in fin di vita) e completamente staccato dalla ricchezza. Sia che si ipotizzi un momento di conversione radicale, sia che si ritenga che egli abbia maturato consapevolezze già vive nella giovinezza, ciò che è certo è il fatto che vive una vita caratterizzata da «eccezionale misura di indipendenza e irriducibilità ai canoni della società organizzata» (R. Pane). La sua vivacissima genialità e il suo brusco temperamento non impediscono d’altra parte ai molti amici, anche giovani, e ai collaboratori dell’ultimo periodo della sua vita di considerarlo un uomo buono, «prossimo ad una santità eroica» (C. Flores), di animo intensamente affettuoso e cordiale. Nel 1904 l’Ayuntamiento di Barcellona gli assegna il primo premio per il miglior edificio modernista della città, la Casa Calvet. Nel 1906 si trasferisce con la nipote e il padre nella casa da lui stesso progettata nel Parco Güell, dove resta solo molto presto, poiché il padre muore nel 1906 e la nipote Rosa Egea nel 1912. Nel 1910 si apre a Parigi una esposizione a lui dedicata al Grand Palais, organizzata dalla «Société nationale des Beaux-Arts», su richiesta del direttore del Salon d’Automne, G. Boucher: è l’unica, lui vivente, fuori dalla Spagna. Non vi si reca, mantenendo la sua ormai consolidata abitudine di viaggiare poco. Nel 1922 il Congresso degli Architetti della Spagna, in svolgimento a Barcellona, dà la sua piena adesione all’opera gaudiniana. Il 7 giugno 1926 è investito da un tram mentre si reca alla chiesa di San Filippo Neri, prima di andare al cantiere del Tempio. Muore il 10 giugno all’ospedale di Santa Creu. Il 12 giugno si svolgono i funerali, ai quali «una immensa ala di popolo era allineata sui quattro chilometri di strada lungo il percorso del corteo. Era chiaro che un grande uomo era morto» (G. Collins). Nel 1956 viene istituita, presso la Scuola Superiore di Architettura di Barcellona, la Real Cátedra Gaudí, di cui è primo titolare J.F. Ràfols i Fontanals. L’architettura gaudiniana vede un continuo incremento di interesse della critica e di persone di ogni parte del mondo.
TAVOLE A COLORI di Marc Llimargas
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CASA MILÀ (1906-1911) Cortile interno, particolare delle finestre. Cortile interno, particolare del parapetto in ferro forgiato.
CASA MILÀ (1906-1911) Cortile interno. Cortile interno, particolare di una colonna.
Pagine precedenti: L’interno dall’esterno L’esterno dall’interno
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CASA MILÀ (1906-1911)
CASA MILÀ (1906-1911)
Cortile interno, particolare di una finestra
Cortile interno, particolare del cielino della scala. Pagine seguenti: CASA BATTLÓ (1904-1906) Tribuna del piano principale verso il paseo de Gràcia.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Prospetto interno, particolare. Pagine seguenti: Prospetto interno, particolare del parapetto. Prospetto interno, particolare. Ingresso da calle Provença, particolare.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Cortile interno. Finestra del cortile interno. Pagina a fianco: Particolare del prospetto interno.
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CASA MILÀ (1906-1911) Colonna in pietra al piano nobile. Pagine seguenti: Particolare della scala del piano nobile. Porta principale dell’abitazione. Corridoio dell’abitazione.
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CASA BATTLĂ&#x201C; (1904-1906) Camino-focolare del piano principale. Pagina a fianco: Porta interna del piano principale.
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CASA BATTLĂ&#x201C; (1904-1906) Particolare della struttura di una porta del salone. Pagina a fianco: Porte del salone principale.
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numero di pagina presente nella scansione. ELIMINO?
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PALAZZO GĂ&#x153;ELL (1886-1888) Soffitto a cassettoni in legno e ferro forgiato dellâ&#x20AC;&#x2122;ingresso, particolare. Pagina a fianco: Sala del mezzanino.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Particolare della struttura interna del sottotetto. Pagina a fianco: PALAZZO GĂ&#x153;ELL (1886-1888) Particolare della struttura delle scuderie del palazzo.
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COLONIA GÜELL (1898-1914)
CASA MILÀ (1906-1911)
Intradosso della volta del portico.
Archi a catenaria del sottotetto. Pagine seguenti: COLONIA GÜELL (1898-1914) Sedili nel portico della cripta. PARCO GÜELL (1900-1914) Particolare della struttura del viadotto.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888) Cupola del salone. Pagina a fianco: PARCO GÜELL (1900-1914) Sequenza di colonne doriche.
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PROPRIETÀ GÜELL (1883-1887)
PROPRIETÀ GÜELL (1883-1887)
Interno della cupola della rimessa per carrozze.
Struttura delle scuderie.
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CASA BATTLĂ&#x201C; (1904-1906) Particolare della vetrata del salone. Pagina a fianco: Vetrata del salone con finestre a ghigliottina.
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CASA BATTLÓ (1904-1906) Cortile laterale con rivestimento in ceramica. Pagina a fianco: Scala secondaria. Pagine seguenti: PALAZZO GÜELL (1886-1888) Particolare del soffitto a cassettoni neomudéjar nella sala sud.
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MANCA PEZZO ILLUSTRAZIONE_ ricostruire al centro unire i file. Oppure rifare la scansione smontando il libro per recuperare la parte mancante che è in piega
PALAZZO GÜELL (1886-1888) Porta e boiserie nella sala sud. Soffitto a cassettoni dell’ingresso. Pagina a fianco: Soffitto a cassettoni neomudéjar nella sala del tè
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CRIPTA DELLA SAGRADA FAMILIA Sede per le celebrazioni allâ&#x20AC;&#x2122;altare maggiore.
CASA CALVET (1898-1899) Panca, vista anteriore e posteriore. 152
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CASA CALVET (1898-1899) Sedia, vista posteriore e laterale.
CASA CALVET (1898-1899) Sedia. Schienale, vista anteriore Sedia. Schienale, vista posteriore. Poltrona. Schienale, vista anteriore, particolare. In basso a destra: CASA BATTLĂ&#x201C; (1904-1906) Panca. Particolare dello schienale, vista anteriore.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Particolare di un rilievo scolpito della porta. Pagina a fianco: Parquet del salone.
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CASA BATTLÓ (1904-1906) Panca della sala da pranzo, attualmente nella Casa-Museo Gaudí del Parco Güell. Pagina a fianco: Poltrona della sala da pranzo. Pagine seguenti: CASA CALVET (1898-1899) Poltrona del salone.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Particolari delle realizzazioni in gesso sul soffitto delle abitazioni.
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Pagine precedenti: CASA VICENS (1883-1888)
CASA BATTLÓ (1904-1906) Vista del tetto.
PARCO GÜELL (1900-1914) Copertura del padiglione nord.
Particolare della torre belvedere. VILLA «EL CAPRICHO» (1883-1885) Particolare della torre del belvedere. 166
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PARCO GÜELL (1900-1914) Esempi di trencadís o ceramica a frammenti.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888) Particolare di una torre di aerazione. Pagina a fianco: PARCO GÜELL (1900-1914) Particolare di una torre di aerazione.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) TrencadĂs del muro di cinta e del balcone del padiglione nord.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888)
CASA BELLESGUARD (1900-1909)
Particolare della vetrata all’ingresso.
Vetrata lungo la scala.
Pagine precedenti: CASA BATTLÓ (1904-1906) Particolare della vetrata della tribuna principale.
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PALAZZO GĂ&#x153;ELL (1886-1888) Particolare delle realizzazioni in ferro forgiato nella sala delle carrozze. Pagina a fianco: Particolare della porta della cappella del salone.
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PROPRIETÀ GÜELL (1883-1887) Particolari della porta all’entrata in ferro forgiato e ghisa. Pagina a fianco: PALAZZO GÜELL (1886-1888) Scudo in facciata, capolavoro in ferro battuto.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888)
CASA VICENS (1883-1888)
Particolare dello scudo della facciata. Particolare del paracarro in ferro di una delle porte di ingresso.
Particolare dell’inferriata all’ingresso.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888)
CASA BATTLÓ (1904-1906)
Grata del portale di ingresso con l’iniziale del cognome del proprietario.
Inferriata in una delle porte di ingresso.
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COLONIA GÜELL (1898-1914)
PARCO GÜELL (1900-1914)
Grata di una finestra della cripta.
Grata del padiglione sud. Porta di ferro forgiato e ghisa.
PARCO GÜELL (1900-1914) Porta di ferro forgiato e ghisa.
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CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Particolare del prospetto dei balconi in facciata. Pagina a fianco: CASA BATTLĂ&#x201C; (1904-1906) Particolare del parapetto dei balconi in facciata.
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PROPRIETÀ GÜELL (1883-1887) Particolari del riempimento ceramico del montante della porta. Particolari delle decorazioni sul muro della rimessa delle vetture.
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PROPRIETÀ GÜELL (1883-1887) Muro della portineria. Murature dei parapetti della copertura della portineria.
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PALAZZO GÜELL (1886-1888)
TEMPIO DELLA SAGRADA FAMILIA
Ingressi in facciata.
Grotta della facciata della Nascita con l’Incoronazione della Vergine.
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CASA CALVET (1898-1899) Particolare della tribuna del piano nobile. Iniziale di Calvet e cipresso della porta principale.
TEMPIO DELLA SAGRADA FAMILIA Interno della cupoletta della porta della Vergine del Rosario. Interno da scolpire della nuova lanterna. Pagine seguenti: CASA MILÀ (1906-1911) Particolare delle finestre in facciata. CASA BATTLÓ (1904-1906) Particolare dell’ingreso.
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PARCO GÜELL (1900-1914)
PARCO GÜELL (1900-1914)
Padiglione nord.
Particolare del muro perimetrale.
Pagine precedenti: Veduta dei padiglioni all’ingresso. La casa di Gaudí.
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PARCO GÜELL (1900-1914)
PARCO GÜELL (1900-1914)
Copertura del padiglione sud.
Copertura del padiglione nord.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) Padiglione di ingresso, particolare. Finestra del padiglione sud, nella quale si riflette la croce cosmica. Pagina a fianco: Padiglione di ingresso, particolare. Pagine seguenti: Scalinata di accesso alla piazza centrale.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) Particolare della fonte-grotta nella scalinata centrale.
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PARCO GÜELL (1900-1914)
PARCO GÜELL (1900-1914)
Particolare della salamandra.
Particolare del soffitto della sala ipostila, realizzato da José M. Jujol.
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PARCO GÜELL (1900-1914)
PARCO GÜELL (1900-1914)
Particolare del soffitto della sala ipostila.
Particolare del soffitto della sala ipostila. Pagine seguenti: Particolare del soffitto della sala ipostila. Veduta esterna della copertura della sala ipostila. Trencadís nella spalliera del sedile della piazza centrale.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914)
PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914)
Interno del viadotto.
Interno del viadotto.
Pagine precedenti: Particolari del portico del viadotto.
Pagine seguenti: Veduta esterna del viadotto.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) Sedili-parapetto della strada di collegamento.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) Il muro di contenimento e il parapetto della strada di collegamento. Pagina a fianco: Scalinata del TurĂł de les Menes.
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PARCO SAMÀ (1881), progettato e realizzato dal capomastro Josep Fontserè Mestres. Ponti in pietra del giardino.
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PARCO SAMÀ (1881), progettato e realizzato dal capomastro Josep Fontserè Mestres. Grotta-cascata artificiale.
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PARCO GÜELL (1900-1914) Fico d’India e sua fioritura.
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PARCO GÜELL (1900-1914) Il carrubo e il suo frutto.
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PARCO GĂ&#x153;ELL (1900-1914) Particolare di una colonna del viadotto. Particolare della corteccia di un pino.
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COLONIA GĂ&#x153;ELL (1898-1914) Particolare di una colonna del portico. Particolare della corteccia di una palma.
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COLONIA GÜELL (1898-1914)
CASA VICENS (1883-1888)
Foglie di palma.
Particolare dell’inferriata all’ingresso.
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Modellazioni naturali della roccia in una caverna a Montroig.
CASA MILĂ&#x20AC; (1906-1911) Modellato di una porta. Pagine seguenti: TEMPIO DELLA SAGRADA FAMILIA Facciata della Nascita. Particolare del portale della CaritĂ .
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TEMPIO DELLA SAGRADA FAMILIA Facciata della Nascita. Portale della Carità. Lilium candidum. Facciata della Nascita. Portale della Speranza. Particolare del gallo.
TEMPIO DELLA SAGRADA FAMILIA Facciata della Nascita. Portale della Fede. Nelumbo nucifera. Facciata della Nascita. Portale della Carità. Particolare del tacchino. Pagine seguenti: Facciata della Nascita. Portale della Carità. Particolare degli uccelli. Vedute dell’interno.
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UNA DIMORA PER L’UOMO NELL’ARMONIA DEL COSMO
Bibliografia essenziale La bibliografia su Antoni Gaudí è di ampiezza sterminata; se ne è data pertanto una sintesi che comprende i più importanti testi a carattere generale, con particolare attenzione ai temi dell’abitare e dei giardini e parchi. Dei testi, dove è stato possibile, si è indicata innanzitutto l’edizione originale, quindi la lingua e l’anno delle successive edizioni rintracciate. Si sono segnalati inoltre saggi e testi monografici, dove esistenti, dei temi trattati in questo volume. 1902 J. Pujol i Brull, Arte e Industria, «Arquitectura y Costrucción», n. 116, Barcelona. 1910 J. Martorell, Estructuras de ladrillo y hierro atirantado, «Anuario de la Asociación de Arquitectos de Cataluña», Barcelona. 1911 a.r., Exposición Gaudí en Paris, «Anuario de la Asociación de Arquitectos de Cataluña», Barcelona. 1921 B. Conill, La serralleria d’en Gaudí, «De l’art de la Farja», n. 13, Barcelona. 1926 N. Rubió i Tudurí, El problema de los espacios libres, Ayuntamiento de Barcelona, Barcelona. 1926 J. Bergós Massó, Les conferències de l’Ateneu: el cas Gaudí, «Vida Lleidatana», n. 14, Lérida. 1926 Miscellània d’escrits de Antoni Gaudí: La seva vida, les seves obres, la seva mort, apareguts al volt del seu trapàs ara per primera vegada reunits en volum amb unes notes biogràfiques i illustracions, Políglota, Barcelona. 1929 J.F. Ràfols, F. Folguera, Gaudí, Canosa, Barcelona; (Aedos, Barcelona 1952; 1960 catal.). 1949 J.F. Ràfols, Modernismo y Modernistas, Destino, Barcelona (cast.; 1982 catal.). 1949 J.E. Cirlot, El arte de Gaudí, Omega, Barcelona 1950. 1951 A. Cirici i Pellicer, El arte modernista catalán, Aymà, Barcelona. 1952 N. Pevsner, The strange architecture of A. Gaudí, «Listener», n. 7. 1953 J. Bergós, Materiales y elementos de construcción, Bosch, Barcelona (catal.). 1954 J. Bergós, Antoni Gaudí: l’home i l’obra (catal.), Ariel, Barcelona; Gaudí, el hombre y la obra, Universitat Politécnica, Barcelona 1974 (cast.); Gaudí. L’uomo e l’opera, Jaca Book, Milano 1999, Lunwerg 1999 (cat. e cast.). 1954 C. Martinell, Gaudinismo, Amics de Gaudí, Barcelona (catal.). 1957 H.-R. Hitchcock, Gaudí, The Museum of Modern Art, New York. 1958 Le Corbusier, J. Gomis, J. Prats Vallés, Gaudí: fotoscop, R.M., Barcelona. 1958 a.r. Exposición Gaudí en al Museum of Modern Art de Nueva York, «American Club», Instituto de Estudios Norteamericanos, Barcelona. 1958 K. Imai, La moral del artista, «Annual Journal of Tomon Architectural Society», n. 2, Tokyo. 1960 G.R. Collins, Antonio Gaudí, G. Braziller, New York (it. 1960; cast. 1961, ted. 1962). 1960 J. Johnson Sweeney, J.L. Sert, Gaudí, F. A. Praeger Architectural Press, New York-London (2a ed. 1970); Il Saggiatore, Milano 1961. 1961 P. du Colombier, Revanche de Gaudí, «La Revue Française», maggio, Paris. 1962 N. Pevsner, Gaudí. Pioneer or Outsider?, «Architect’s Journal», n. 15, London. 1963 G.R. Collins, Antoni Gaudí. Structure and Form, «Perspecta», n. 8, Yale University. 1963 H. Teshigawara, Gaudí, «Japan Interior Design», n. 3. 1964 R. Pane, Antoni Gaudí, Comunità, Milano (2a ed. 1983). 1965 E. Casanelles, Nueva visión de Gaudí, Polígrafa, Barcelona (cast.); ed. ingl. 1968; ed. giapp. 1978. 1966 M. Ribas Piera, Consideraciones sobre Gaudí a través de sus obras urbanisticas, «Cuadernos de arquitectura y urbanismo», n. 63, Barcelona. 1967 C. Martinell Brunet, Gaudí, su vida, su teoría, su obra, Collegi Oficial d’Arquitectes de Catalunya i Balears, Barcelona; Gaudí, His Life, His Theories, His Work, Blume, Barcelona 1975.
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