ATLANTE STORICO DEL MEDIOEVO
ATLANTE STORICO DEL MEDIOEVO CULTURA E SOCIETÀ
progetto di
Inos Biffi, Costante Marabelli, Claudio Stercal a cura di
Roberto Barbieri
Sommario
© 2021 Editoriale Jaca Book Srl, Milano Tutti i diritti riservati Prima edizione italiana settembre 2007 Editoriale Jaca Book Srl, Milano Grafica e copertina Jaca Book /Paola Forini
La cartografia, i disegni e le piante sono stati realizzati da Daniela Blandino
Stampa e legatura Tipolitografia Pagani Srl Passirano (BS) giugno 2021
ISBN 978-88-16-60650-0 Editoriale J aca Book via Giuseppe Frua 11, 20146Milano; tel. 02 48561520 - 342 5084046 libreria@jacabook.it; ebook: www.jacabook.org Seguici su
Introduzione 1. La problematica della caduta di Roma e la fine di un mondo universale e unitario (M.R.)
7
8
2. Continuità romana e cambiamenti cristiani: il sogno romano-barbarico (M.R.)
16
3. Il monachesimo in Occidente (J.M.L.)
22
19. La mentalità simbolica (I.B.)
106
20. Nuove fondazioni monastiche (R.B.)
112
21. Attorno all’anno Mille (R.C.)
118
22. Fra i secoli xi e xii: un cambio di passo (R.B.)
122
23. Le istituzioni signorili e feudali (A.V.)
130
24. I Cisterciensi (C.S.)
134
4. Un sapere rifondato: «La cultura cristiana» di Agostino (C.M.)
30
25. Le città, i comuni e i commerci
138
5. La donna e l’ascetismo (A.C.)
34
26. Pensiero e pensatori arabi (S.M.)
144
6. La Bibbia nel Medioevo (I.B.)
36
27. La ragione nel Medioevo (I.B.)
150
7. Le sedi vescovili e le grandi chiese metropolitane (J.M.L.)
40
28. Il romanico
156
29. Sacerdotium e regnum (R.B.)
162
8. Le grandi stagioni delle missioni fra i popoli barbarici (R.B.)
46
30. Le forme del diritto (A.V., R.B.)
166
9. Dalla tarda antichità al primo Medioevo: i pellegrinaggi (F.-G.L.)
52
31. Il re, imperatore in casa propria, e il farsi delle nazioni (A.V.)
170
32. Le eresie medievali: religiosità e cultura (L.P.)
174
33. Ordini mendicanti e il loro impegno culturale (C.M.)
182
34. Conflitti e fazioni nelle città e fra le città (G.M.)
188
35. La transizione degli studi e il corpus filosofico-scientifico nei suoi progressivi incrementi (C.M.)
192
36. Il testo, le dispute e le summae (I.B.)
198
10. Il rinnovamento della civiltà attraverso i Carolingi (M.R.)
58
11. Caratteristiche civili e giuridiche (C.W.)
62
12. L’età delle invasioni (secoli vi-viii). L’arte (R.C.)
68
13. Le Rinascite nel Medioevo (C.M.)
72
14. La liturgia in epoca carolingia (M.N.)
78
15. Gli scriptoria e la produzione libraria (C.M.)
82
16. Scuole e metodo d’insegnamento nel Medioevo (I.B.)
88
37. Le università (I.B.)
204
17. La «rinascenza carolingia». L’arte (R.C.)
94
38. Il pensiero ebraico (P.A.)
210
18. La lingua e la produzione letteraria nell’alto Medioevo latino (E.M.)
98
39. Le corti itineranti: Federico ii (C.V.)
218
40. I trovatori (R.M.)
222
Introduzione Angelo Comastri
41. L’Occidente e Bisanzio. Le varie fasi di un doloroso distacco (R.B.)
226
42. L’attrattiva del Mediterraneo (R.B.)
230
43. Feste e fiere (E.D.)
234
44. Il gotico
238
45. Le enciclopedie (C.M.)
242
46. Le tecniche e i saperi (E.D.)
246
47. Ricchezze, povertà e beni comuni (G.C.)
250
48. Teologia e filosofia nei secoli xiii-xiv (C.M.)
254
49. Una società bloccata? Una società tra dinamismo e immobilità (R.B.)
260
50. I poteri e le libertà (S.S.)
264
51. Laicità e diritti (C.F.)
268
52. La natura e le scienze (C.M.)
272
53. Dalla fine del Medioevo all’inizio dell’epoca moderna: i pellegrinaggi (G.-F.L.)
276
54. Nuovi atteggiamenti e nuovi generi narrativi (J.H.)
280
55. La campagna e la città nel Trecento europeo (R.B.)
284
56. Le relazioni tra Europa e mondo dal xii al xv secolo (J.H.)
290
57. Dal Quattrocento al Cinquecento: verso una nuova era (R.B.)
296
Contributi
306
(M.R.) Michel Rouche - (J.M.L.) Juan María Laboa - (C.M.) Costante Marabelli - (A.C.) Averil Cameron - (I.B.) Inos Biffi (R.B.) Roberto Barbieri - (F.-G.L.) Fernando e Gioia Lanzi - (C.W.) Chris Wickham - (R.C.) Roberto Cassanelli (M.N.) Marco Navoni - (E.M.) Enrico Menestò - (A.V.) Augusto Vasina - (C.S.) Claudio Stercal - (S.M.) Stefano Malaspina (L.P.) Lorenzo Paolini - (G.M.) Giuliano Milani - (P.A.) Patrizio Alborghetti - (C.V.) Claudia Villa (R.M.) Roberto Mussapi - (E.D.) Edoardo Demo - (G.C.) Giovanni Ceccarelli - (S.S.) Stefano Simonetta (C.F.) Claudio Fiocchi - (J.H.) Jacques Heers
La storia della cultura medievale, nelle sue forme espressive e con i suoi principali esponenti, attraversa, in queste pagine, i suoi momenti, le sue fasi e le sue dimensioni essenziali e si intreccia con il contesto della vita politica, sociale, religiosa e artistica. Così è nato questo Atlante storico del Medioevo, per orientarsi in mille e più anni della storia dell’Occidente, cercarne le strade e individuarne i ricchi e complessi percorsi. Si trova, in tal modo, posto in evidenza un grande patrimonio culturale e, a un tempo, vengono riconosciuti i conflitti, le lacerazioni e i contrasti. L’attenzione si pone sulle concezioni cruciali nel crescere di un mondo, l’Occidente, che nel primo lungo periodo è oggetto di confronti e contributi esterni e poi, dopo il Mille, si affaccia verso nuovi mondi carico di curiosità, ma anche di voglia di dominio. Si viene a scoprire, inoltre, che al suo interno si sono sviluppate alcune concezioni, alcuni modi di essere e di agire che garantiscono nel tempo la crescita della persona, della laicità e delle libertà. Ci si imbatte in una cultura, in alcuni grandi personaggi e in alcuni momenti, altissimi e fondamentali nella storia del sapere universale, dove il cristianesimo, nelle sue varie istituzioni ed espressioni, dopo la straordinaria inventiva del mo-
nachesimo in un mondo che si era parcellizzato, offre un impulso basilare e garantisce l’equilibrio dei poteri a vantaggio delle libertà delle città e delle persone, dopo aver affermato il valore e difeso i corpi sociali comunitari. Questo Atlante è uno strumento per orientarsi non soltanto attraverso la ricca cartografia, ma anche attraverso le immagini esplicative dei diversi passaggi, dei diversi momenti della sua storia più che millenaria. Il percorso si svolge considerando alcuni temi generali, sullo sfondo delle principali tappe della storia politico-sociale: la concezione, la elaborazione e la trasmissione del sapere, la produzione giuridica, l’arte e, oltre al monachesimo, gli ordini mendicanti e la vita religiosa e liturgica. Con l’ausilio di planimetrie, di mappe, di riferimenti alle immagini artistiche come veicolo di conoscenza visiva, di manoscritti, di codici, di riprese fotografiche, tanti secoli di storia vengono illustrati e documentati. L’opera diretta da Inos Biffi, storico della cultura e del pensiero medievale, è accompagnata da una regia editoriale che valorizza i numerosi contributi da parte di medievisti di diversi Paesi e generazioni diverse. I lettori, grazie a questo Atlante storico illustrato, sono di fronte a uno strumento sintetico che offre gli elementi basilari per la conoscenza del Medioevo europeo e del suo contesto.
7
1. La problematica della caduta di Roma 1. e la fine di un mondo universale e unitario Gli storici pagani accusarono i cristiani perché avevano posto fine ai sacrifici agli dei. Gli storici cristiani Paolo Orosio e Salviano dichiararono, il primo, che il «veleno gotico» aveva fatto marcire lo Stato romano dall’interno, il secondo, che i barbari avevano vinto perché erano più virtuosi dei cristiani romani. Quale fosse la risposta, veniva comunque accettata l’idea pagana di declino, di caduta inesorabile, di fine del mondo, quando tutti erano d’accordo nel riconoscere che il barbaro puzza, che balbetta un latino incomprensibile. La risposta che seppe superare queste polemiche nell’ampiezza dei punti di vista fu quella di sant’Agostino
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Due miliari della Via Nova Traiana, tra Charac Mouba e Madaba, verso Amman, attuale Giordania. All’inizio del ii secolo d.C. Traiano annette direttamente all’amministrazione dell’Impero la provincia dei Nabatei fino ad allora protettorato romano. Rappresenta l’estrema periferia orientale del dominio romano nel momento di sua massima espansione.
con la sua Città di Dio (413-424). Per lui, non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo. Una civiltà crolla, un’altra nasce e, del resto, i barbari che arrivano sono da convertire. La storia dunque non si ferma. Questa nuova concezione della storia, storia santa dal tracciato lineare irreversibile, non ha più niente a che vedere con la concezione pagana di un destino fatale in cui l’età del ferro segue quella dell’oro in modo meccanico e circolare senza fine. L’invasione rilancia la storia verso l’avvenire. Così si spiega come sant’Agostino sia stato il grande pensatore dell’alto Medioevo, colui che dà speranza alle sue creature. Forse non vi è stato nessun declino ma un cambiamento dietro la facciata apparente d’una Roma immobile ed eterna. Dietro e sotto la continuità, c’è un cambiamento nella civiltà romana molto prima dell’ingresso dei barbari. Si potrebbe chiamarla mutazione nel senso genetico secondo il quale strutture interne ed esterne cambiano senza intervento esterno. Ciò non toglie che alle mutazioni della
civiltà romana (nuova religiosità, ricerca della gioia di vivere a spese della sicurezza militare, fiscalità divorante e strutture sociali congelate) si aggiungano successi incontestabili, notoriamente quelli del diritto come sostituto della guerra che attirò i barbari. Le loro distruzioni furono incontestabili, ma non totali. È dunque meglio parlare di perdite piuttosto che di declino o di abbandoni più o meno volontari. Tuttavia la credenza pagana nel decadimento non è scomparsa. Era inevitabile che entrasse in relazione, o si confondesse, con i testi cristiani dell’Apocalisse che rivelavano i
La Curia nel Foro Romano ricostruita al tempo di Diocleziano. Rappresenta, con il Senato, il cuore del potere giuridico e politico lungo tutta la storia di Roma fino a tutta l’età imperiale. Cristo consegna la Legge a Mosè. Roma, mosaico del soffitto, dalla chiesa a pianta circolare di Santa Costanza, oggi Musei Vaticani.
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Capitolo primo
La problematica della caduta di Roma e la fine di un mondo universale e unitario
tempi ultimi, quelli della fine della storia. Poiché c’è barbarizzazione a livello dei costumi, la Chiesa deve operare l’acculturazione del messaggio cristiano per ridare speranza alle popolazioni e sostenerle nelle numerose sventure che si susseguono, tra le quali la grande peste del vi secolo, le carestie, le catastrofi del clima, ecc. Ci furono o no fasi di credenze escatologiche e di attesa della fine del mondo durante l’alto Medioevo? Un primo esame dei testi consente di rispondere affermativamente e di mostrare come i contemporanei hanno superato le disgrazie dei tempi. Movimenti messianici appaiono in epoca merovingia. La caduta di Gerusalemme, nel 638 presa dagli Arabi, fu
Brescia, Santa Giulia, Museo della Città. Anta sinistra del dittico di Boezio. I santi Gerolamo, Agostino, Gregorio.
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Grado, duomo di Sant’Eufemia.
interpretata come l’avvicinarsi del giorno del giudizio. Non c’è passo, fino all’incoronamento imperiale nell’800 a Roma, che non sia il risultato di un calcolo sull’ultimo millennio. La consacrazione ha lo scopo di combattere il millenarismo. La Roma pagana è morta, la Roma cristiana è sempre viva. Viene adottato il sistema dell’era cristiana, nella forma concreta presente in tutte le cronache e gli atti ufficiali: l’anno dell’era dell’Incarnazione.
Roma, Santa Costanza, chiesa a pianta circolare. Mosaico del Buon Pastore, inizio v secolo, Ravenna, mausoleo di Galla Placidia. L’originario martyrium di San Lorenzo fu trasformato nel mausoleo della figlia di Teodosio, di suo marito Costanzo iii e di suo fratello Onorio. Come nei martyria milanesi la pianta del mausoleo è a croce greca con una navata leggermente più lunga. I bracci presentano volte ad arco, il braccio centrale è più alto degli altri ed è coperto da una volta a spicchi.
11
Capitolo primo
La problematica della caduta di Roma e la fine di un mondo universale e unitario
Capsella argentea di San Nazaro, Milano, Museo Diocesano: fu adibita da Ambrogio a custodire le reliquie degli apostoli inviate da papa Damaso. Vi si raffigurano complesse scene religiose di difficile interpretazione simbolica. La cartina rappresenta l’Impero romano nel suo momento di massima espansione.
Missorio argenteo dell’imperatore Teodosio (Madrid, Real Academia de la Historia). Un capolavoro splendidamente lavorato a bassorilievo e a incisione, celebra il potere imperiale. Teodosio vi appare al centro di un portico del palazzo, mentre in basso vi è la personificazione della Terra.
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III
Eboracum (York)
BRITANNIA
Sarcofago della catacomba del Vaticano, Museo Pio Cristiano. Mosè colpisce la roccia e Gesù guarisce l’emorroissa.
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Nisibis (Nusaybin) Antiochia
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Oriente (Prefettura) Italia-Africa-Illirico (Prefettura) Gallie (Prefettura)
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Invasioni e incursioni barbariche Divisione dell’Impero tra Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente) nel 396
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La storia ha ormai un inizio e un centro (la nascita di Cristo), ma la fine deve ancora venire. Mentre il Messia e i mistici si moltiplicano in epoca carolingia, è evidente che con le invasioni e, successivamente, con i disordini dovuti alla feudalità, l’azione della Chiesa non sempre riesca. Efficace sotto Carlo Magno, la sua acculturazione lo è meno intorno al Mille, quando ricompare il millenarismo.
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Capitolo primo
La problematica della caduta di Roma e la fine di un mondo universale e unitario
Se i terrori dell’anno Mille sono solo un mito della storiografia romantica, ciò non toglie che le emozioni popolari furono ben reali e, con l’espediente dei pellegrinaggi, poi delle Crociate, la Chiesa riuscì a orientare le sue energie verso Gerusalemme. Per la prima volta il peso delle masse popolari si fa sentire tramite il fervore religioso. La mentalità escatologica fu probabilmente molto più importante della mentalità costantiniana di unione e anche di fusione fra Chiesa e Stato, illustrata dalla falsa donazione di Costantino apparsa nell’viii secolo. Carlo Magno e Ottone non hanno riprodotto Costantino, non più di quanto san Pietro e san Paolo abbiano fondato Roma di nuovo al posto di Romolo e Remo.
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Dittico in avorio di Probiano, vicarius della città di Roma, anta di destra, Berlino, Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz. Intorno al 400 le botteghe romane dell’avorio produssero un nuovo tipo di oggetto di lusso, destinato a grande fortuna: erano i dittici commissionati dai consoli per distribuirli ad amici e colleghi come oggetti commemorativi della propria carica istituzionale.
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Ravenna, mausoleo di Teodorico: monumento che esprime anche con la sua struttura e le sue forme il tentativo di sintesi fra cultura romana e cultura germanica.
Miniatura dal Commentario dell’Apocalisse del Beato di Liébana, monaco vissuto nella seconda metà del vii secolo. Fu realizzato nel 1047 a León per i sovrani Ferdinando i e la moglie Sancha, Biblioteca Nazionale di Madrid. Era cioè destinato alla cappella palatina, la basilica di San Isidoro. Fol. 246v: «Quando i mille anni saranno compiuti, satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della Terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare», Ap 20,7-8.
2. Continuità romana e cambiamenti il sogno romano-barbarico
Tuttavia fecero scrivere le loro leggi in latino, mentre i Romani conservarono la propria lingua. E questa fu la personalità delle leggi. La giustizia germanica pratica il sistema dei preti giurati e l’ordalia. La vendetta obbligatoria (faida) può essere fermata solo tramite oblazione (wergeld). L’arianesimo barbaro che consentiva ai re di essere capi della Chiesa fu il più grosso ostacolo all’intesa fra vincitori e vinti. Fu la causa della scomparsa dei Vandali e degli Ostrogoti. I Visigoti finirono col convertirsi al cattolicesimo nel 589, i Longobardi nel 680. Da questo momento divenne possibile la fusione fra Romani e barbari. Ciò avvenne spesso a vantaggio della civiltà romana. I governi ostrogoti e visigoti a Ravenna e a Toledo adottarono cerimoniale e funzionari di tipo imperiale. Nelle capitali come Parigi, Metz o Pavia i re hanno un governo centrale che riscuote le imposte romane, conia soldi o terzi di soldo d’oro o con il peso e il titolo dell’Impero romano, anche se vi si trova incisa l’effigie del re barbaro. In Gallia come in Spagna il sovrano è
Per comprendere il contatto fra le due civiltà, barbara e romana, occorre conoscere l’originalità dell’apporto dei Germani. Fos sero tribù armate oppure eserciti tribali accompagnati dalle loro donne, bambini e schiavi, i popoli barbari non erano molto numerosi: 80.000 i Vandali, 60.000 i Burgundi, forse 100.000 i Longobardi. La loro formazione etnica era molto varia. Per proteggerla, Visigoti e Ostrogoti rifiutavano i matrimoni misti. Ostrogoti e Longobardi si riservavano di portare le armi. Legati a Roma con trattati d’alleanza (federati), furono pagati secondo le leggi dell’ospitalità. Burgundi, Visigoti, Ostrogoti e Longobardi ricevettero una certa parte di introiti fiscali o di terre. Anglosassoni e Vandali ne scacciarono gli occupanti, mentre i Franchi, gli Alemanni e i Bavaresi si stabilirono su terre libere. Sul piano della lingua i barbari determinarono la scomparsa del latino in Inghilterra, respingendolo a centocinquanta chilometri dall’antica frontiera dell’Impero.
La cartina rappresenta la parte occidentale dell’Impero così come si viene configurando nel vi secolo e sotto la pressione delle diverse popolazioni barbariche.
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Impero romano al tempo di Diocleziano (284-305) rd S co t i No Divisione dell’Impero l J u ti de da parte di Teodosio (395) nia Mare ber I Unni ni i Vandali, Alani, Suebi tan i Angl r B i Ostrogoti l g An ni Frisi ni Visigoti Sasso S as s o Longobardi Londra Burgundi Alemanni Turin Franchi Franchi ni gi S as s o B ri Angli e Sassoni Magonza Parigi Treviri tann i Britanni DOMINIO i Scoti e Pitti ann DI SIAGRIO em l Spedizioni marittime dei Vandali A u gi
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cristiani:
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il successore diretto del fisco romano, padrone del demanio e delle terre incolte. La nozione romana di Stato come fonte del bene pubblico coesiste tuttavia con quella, dei Franchi in particolare, di patrimonialità del regno. I Merovingi se lo spartiscono tra fratelli come fosse una proprietà privata. Hanno il diritto di banno (costringere e punire) su tutti i sudditi. Principe romano, il re barbaro è anche capo di guerra, dotato
La cattedra di Massimiano, vescovo di Ravenna (546-556), Museo diocesano, Ravenna. È in legno rivestito di placchette d’avorio; probabilmente l’opera fu realizzata a Costantinopoli e donata dall’imperatore Giustiniano. Ravenna, Sant’Apollinare Nuovo, mosaico con il corteo delle sante vergini e martiri, navata interna, lato sinistro. La chiesa, originariamente parte del palazzo di Teodorico, e quindi ariana, dopo la riconquista giustinianea – durante la guerra greco-gotica negli anni centrali del vi secolo – venne riconsacrata e modificata nei mosaici con i cortei della navata centrale: a sinistra, le vergini e martiri e, a destra, i martiri.
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Capitolo secondo
Placca visigota decorata con incrostazioni di cristallo, dal Tesoro di Torredonjimeno, Barcellona, Museo di archeologia.
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Durante il loro insediamento, i Visigoti conservarono per un certo periodo le tradizioni artistiche dell’epoca delle migrazioni. La fibula in forma d’aquila, con placca centrale a rilievo, decorata con pasta di vetro e pietre dure, esprime un modello tipico dell’oreficeria gota. Madrid, Museo archeologico nazionale.
Continuità romana e cambiamenti cristiani: il sogno romano-barbarico
di mundeburdio, quella potenza misteriosa ancora pagana che gli conferisce la vittoria; ma mantiene e diffonde l’istituzione locale fondamentale: il conte responsabile della città sul piano finanziario, giudiziario e militare. Nelle società dei regni barbarici le funzioni pubbliche continuano a essere prerogativa dell’aristocrazia senatoriale romana. Padroni di grandi domini coltivati da schiavi, sono il modello imitato dai nobili germanici. A partire dal 700, salvo che nelle regioni meridionali, la fusione fra le due aristocrazie è completa, mentre in Inghilterra la nobiltà germanica domina da sola. La loro ricchezza proviene da uno sfruttamento del suolo che si basa sulla divisione fra l’ager (terra coltivata) e il saltus (la terra incolta). I Germani abbandonano progres-
Il recinto del presbiterio di Saint-Pierre-aux-Nonnais a Metz, del vii secolo, è un raro insieme di decorazione architettonica del mondo merovingio che si è conservata. Oggi si trova presso il Musée d’Art et d’Histoire di Metz.
sivamente la loro tecnica della radura coltivata in modo itinerante, ma portano le loro pratiche d’allevamento. Le piccole proprietà sono più numerose delle grandi. Borghi, strade e città continuano a svilupparsi eccetto alcune definitivamente distrutte come Aquileia. Il commercio mediterraneo converge su Ravenna, Marsiglia e Barcellona. Il sistema monetario, fondato sull’oro, continua fino verso il 700. In breve, la civiltà romana si mantiene.
Dal tesoro di Guarrazar, la corona votiva di Recesvinto, come segno supremo della regalità visigota; si distingue per una lavorazione accurata che unisce motivi classici con l’utilizzo delle pietre al modo bizantino e con tecniche di oreficeria visigota. Forse prodotta a Toledo in una bottega di corte. Madrid, Museo archeologico nazionale. Chiesa di San Juan de Baños, Valencia, Castiglia, l’edificio più antico della Spagna visigota. L’epigrafe sulla facciata ne permette la datazione al 699, con la dedica da parte di re Recesvinto.
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Continuità romana e cambiamenti cristiani: il sogno romano-barbarico
Colonia
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Reticolo delle strade romane in Gallia nel v secolo.
Atrebates
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Regione d’origine dei Franchi Nord Territorio dei Franchi nel 482 del are Frisoni Conquiste di Clodoveo (486) M Conquiste di Clodoveo (486-511) Acquisizioni successive Sassoni Estensione massima El del regno nel VI secolo Tournai Aquisgrana Colonia TURINGIA Magonza 531 Rouen Cambrai Treviri Soissons Worms Metz ALEMANNIA Ratisbona Reims Parigi 496, 506, 537 Dan S e n REGNO DI SIAGRIO ub io BAVIERA 486 Strasburgo Orléans Nantes Tours 497 Loira Digione Autun Poitiers Besançon AQUITANIA BURGUNDIA 507 532-584 Clermont-Ferrand Milano Lione Bordeaux Pavia Ga REGNO DEGLI OSTROGOTI ro nn 493-553 Ravenna a VASCONIA Avignone Tolosa 531 PROVENZA Arles 537 Narbona Marsiglia
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Il contesto di Ravenna nel vi secolo.
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Zone limitrofe alle due città spesso adibite a cimiteri Edifici
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Inghilterra e Irlanda nel vi secolo. Regno dei Franchi Territorio con propria organizzazione politica Territorio non ancora cristianizzato e incluso nell’organizzazione franca
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Confini della Gallia e del regno visigoto Confini del regno svevo prima della conquista visigota Confini del dominio bizantino
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Le tre fasi del consolidamento dei Franchi fino al consolidarsi della loro area di dominio in età merovingia.
Saginsis
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Vie romane Vescovati metropolitani Vescovati
La Penisola iberica durante la prima espansione degli Svevi e dei Visigoti.
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3. Il
monachesimo in
Occidente
La nascita di comunità monastiche sia nelle campagne sia all’ombra delle cattedrali fu frequente nel primo Medioevo in Occidente. Paolino di Nola ed Eusebio di Vercelli furono esempi di connubio fra il ruolo di vescovo e la vocazione ascetica, fra la direzione spirituale dei monaci e un’intensa vita di preghiera. Fondamentalmente, il monachesimo europeo lo si deve comunque a Cassiano e a Girolamo. Su richiesta di vescovi e asceti che ne riconoscevano l’autorità in materia, Cassiano, uomo dotato di una buona formazione e di una profonda esperienza cenobitica, scrisse due opere che hanno esercitato un’influenza decisiva sulla formazione del monachesimo europeo: le Istituzioni monastiche e le Collazioni monastiche. In esse viene descritto ciò che si
Croce di san Patrizio e di san Colomba di Kells, Irlanda, v secolo.
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Monastero di Sant’Onorato a Lérins, chiostro interno doppio.
deve osservare in un monastero per raggiungere la purificazione dell’anima, dopo aver lottato con successo contro gli otto peccati capitali: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e orgoglio. Dal canto suo, sia per il suo stile di vita sia per quanto scrisse a favore del monachesimo, san Girolamo è considerato uno straordinario difensore e diffusore del monachesimo stesso. I monasteri si moltiplicarono in Italia, in Francia e in Spagna. Martino di Tours, Onorato di Lérins, Agosti-
no d’Ippona, Patrizio d’Irlanda, Isidoro di Siviglia e Martino di Braga sono nomi ben noti di autori di regole monastiche e di creatori di monasteri che evangelizzeranno, in modo particolare, le campagne dell’Europa romana. Il fondatore più decisivo sotto questo aspetto fu san Benedetto, nato a Norcia verso l’anno 380 e autore della Regola dei Benedettini – i monaci che, nell’arco di quindici secoli, popoleranno ed educheranno l’Europa –, nonché fondatore di alcuni monasteri, come Montecassino e Subiaco.
San Benedetto raffigurato in un affresco del x secolo, Roma, San Crisogono, chiesa inferiore. L’affresco prova che a partire dal x secolo venivano riprodotte scene della Vita Sancti Benedicti. La simbologia del volto, incorniciato dal cappuccio appuntito, manifesta forza di volontà, intelligenza e fermezza. Il Sacro Speco di Subiaco, dove iniziò la missione di Benedetto.
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Capitolo terzo
San Gregorio Magno scrisse la Vita di san Benedetto e quello che conosciamo del santo fondatore lo si deve proprio a queste pagine. La Regola di san Benedetto costituisce una sintesi creativa dei numerosi testi esistenti nei monasteri del vi secolo. Essa consta di sette parti: prologo, principi costituzionali, principi spirituali, preghiere, organizzazione comune, rapporti fraterni e conclusione. I temi centrali della sua spiritualità sono l’obbedienza, l’uso esemplare della parola e, soprattutto, l’umiltà. Dopo la morte di san Benedetto e per più di due secoli, la sua Regola non fu né molto nota né applicata. È a Luxeuil e a Bobbio, i monasteri di Colombano, che questa Regola venne co-
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Interno della chiesa di San Giorgio a Reichenau-Oberzell, importante monastero che fu sede di uno Scriptorium guida; le pareti della chiesa sono ornate da un importante ciclo di affreschi.
Il monachesimo in Occidente
nosciuta e apprezzata e per la prima volta esercitò un’influenza. Questo santo monaco irlandese, di stirpe reale e amante dello studio, girò instancabilmente per l’Europa centrale evangelizzando le popolazioni e convertendo i re. Morì nel 615, quando il monastero di Bobbio stava incominciando a sviluppare la sua spettacolare influenza culturale e a trasformarsi in uno dei principali centri di diffusione spirituale nella penisola italiana. L’instancabile riproduzione di manoscritti di opere, di carattere sia religioso che profano, influì in modo provvidenziale sulla trasmissione ai posteri della cultura classica. Nella Regula monachorum di Colombano, vero e proprio insieme di pratiche penitenziali monastiche, viene evidenziato che «la confessione e la penitenza liberano dalla morte», e si stabilisce che il monaco debba confessare quotidianamente le proprie colpe e dare fedelmente corso alla penitenza imposta. Le sanzioni, generalmente, consistevano in digiuni a base di pane e acqua, nella recita di salmi e nel castigo inflitto con il flagello.
Gli attuali Paesi Bassi, la Germania, alcune zone della Polonia e della Boemia, la Danimarca e la Svezia furono evangelizzate in gran parte dai monaci anglosassoni di tradizione benedettina. Villibrordo con i suoi undici compagni, Bonifacio, Pirminio, Anscario e molti altri monaci sassoni, franchi e visigoti, portarono in queste regioni la fede, la cultura e la Regola di san Benedetto. Fu un’opera di cristianizzazione e, nel contempo, di civilizzazione. Grazie, in particolare, a Colombano, in tutto il vii secolo il codice benedettino viene menzionato insieme ad altre rego-
Dallo Scriptorium di Tours. Sacramentario di Marmoutier, in cui l’abate Raganaldo benedice il suo popolo, Autun, Bibliothèque de la Ville, fol. 173v. L’abate benedice il suo popolo, una folla di piccole figure inginocchiate, delineate in oro su sfondo verde, come in un vetro tardoantico. Salterio di Utrecht; illustrazione e testo del salmo 42. Utrecht, Universiteitsbibliotheek.
le, come un testo al quale ispirarsi e dal quale trarre consigli e precetti utili per la vita comunitaria. Un secolo più tardi, la Regola di san Benedetto incomincia lentamente a imporsi sulle altre regole. Montecassino, la Santa Montagna, si trovava sulla via dei pellegrini che si recavano in Terrasanta e dei viaggiatori diretti in Oriente. Qui vivevano «degli uomini semplici» ai quali si unirono monaci di altri monasteri. Montecassino si trasformò in un grande centro monastico nel quale andò creandosi una coscienza benedettina, e fu qui che Carlo Magno (787) ricevette una copia della Regola, la quale lentamente si propagò altrove. L’anglosassone Bonifacio contribuì in misura notevole alla sua diffusione, decretando nel nuovo monastero di Fulda la disciplina prevista dalla Regola, l’osservanza e le abitudini monastiche stabilite da san Benedetto. Nel cosiddetto Concilio germanico dell’anno 742, ordinò che da quel momento in poi la Regola di san Benedetto costituisse la norma che erano tenuti a osservare sia i monaci che le monache. Benedetto d’Aniane, chiamato
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Capitolo terzo
Il monachesimo in Occidente
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Mappa delle fondazioni monastiche legate a Lérins e alla regola di sant’Onorato.
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L’itinerario completo di san Colombano di Bangor.
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Carta di insieme del monachesimo occidentale fino al x secolo.
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Il dettaglio degli spostamenti degli ultimi anni di san Colombano verso la fondazione di Bobbio.
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derazione dei suoi precetti che cozzava con la severità e l’esagerazione di altre regole. Come è accaduto di frequente nella vita ecclesiastica, la potenza e la ricchezza dei monasteri suscitò la brama dei signori feudali, che li gravarono di imposte e cercarono di tenere per sé le loro rendite. Le conseguenze furono nefaste per la disciplina e la vita religiosa di molti monasteri, che attraversarono periodi di decadenza e di impotenza, anche se alcuni importanti monasteri continuarono a svolgere un ruolo brillante. Così Fulda in Franconia, Corvey in Sassonia, San Gallo in Svevia e Reichenau nei pressi del lago di Costanza.
da Carlo Magno e da Ludovico il Pio a dirigere i monasteri dell’Impero, la impose nel concilio degli abati che lui stesso convocò ad Aquisgrana nell’817. Da quel momento in poi l’Europa monastica sarà fondamentalmente benedettina. Oltre a motivi politici, evidenti nel deciso appoggio dei re franchi, e alla convinzione che non fosse opportuno lasciare eccessiva autonomia ai monasteri, su questa decisione influirono anche altri fattori, come il manifesto entusiasmo di san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi per la figura e l’opera di san Benedetto e, in particolar modo, per i suoi meriti intrinseci: la chiarezza, la struttura organica e la mo-
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Soisson-BMV Châlon-s.-M. Parigi, Rebais S. Maur-des-Fossés
Sedi episcopali con discepoli di Lérins nei secoli V-VI Fondazioni di Lérins nei secoli V-VI Monasteri sotto l’influsso di Lérins Monaci di Lérins in altri monasteri Lérins citato come modello nei privilegi dei secoli VII-VIII Discepoli (vescovi) di maestri formati da Lérins Sedi episcopali con discepoli di Cesario Monasteri con regole di Cesario
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Bobbio
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Capitolo terzo
Il monachesimo in Occidente
Monasteri legati alla regola e alla spiritualità di Colombano nel vii secolo.
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St. Omer Marchiennes Therouanne
St. Bertin
Le missioni di Bonifacio e Villibrordo.
Maastricht Stavelot
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Vermand St. Quentin Montivillers Laon Jumieges Soissons Reims Metz Reuil-s-Marne Hautvillers Verdun Meaux Jouarre Oxoma Mont-St-Michel Strasburgo Parigi Rebais Montier-en-Der Remiremont Saginsis Faremoutiers St-Malo Annegray Sens Fontaine Moutier-St-Jean Moutier-la-Celle Luxeuil Lure Orléans Auxerre Avallon Costanza Basilea Bregenz Cousance Andecavis Tours Besançon San Gallo St-Ursanne Bèze Nantes Moutier-Grandval Jussamoutier Bregille Bourges St-Colomban Autun Nevers Marmande San Colombano Chalons-s-Saône Jouet Romainmôtier a r Monte Colombano Charenton i u Mâcon G Monte Colombano St-Maurice Ginevra Agaunne V
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Utrecht S. Salvator Susteren
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Territori di missione di Willibrordo e Bonifacio Monasteri fondati da Bonifacio Monasteri fondati da Willibrordo Monasteri fondati da altri anglosassoni Monasteri fondati o riformati da Pirminio Vescovadi eretti da Bonifacio Vescovadi riorganizzati da Bonifacio Vescovadi con discepoli di Bonifacio
Erfurt Büraburg Colonia Ohrdruf Amöneburg-S. Michael Fulda Malonne Magonza Würzburg Kitzingen Treviri Worms Echternach Ochsenfurt Niederaltaich Tauberbischofsheim Heidenheim Spira Hornbach Wissembourg Neuwiller Solnhofen Ratisbona Passau Marmoutier Schwarzbach Frisinga Strasburgo Gengenbach Augusta Schuttern Murbach Salisburgo Reichenau Costanza Basilea
4. Un sapere rifondato: «La cultura cristiana»
30
di
Agostino
Agostino di Ippona, pur non appartenendo cronologicamente al Medioevo ma alla cultura della tarda antichità, rappresenta per i medievali un’autorità, un vero maître-à-penser, costante punto di riferimento del pensare cristiano, sia per i contenuti sia per il metodo. È passato attraverso le fragilità e le incertezze della sua epoca, alla ricerca di un antidoto alla sua decadenza, e lo ha trovato in una fede cristiana che gli aprì nuovi orizzonti di intelligibilità, fornendo una nuova chiave per ridare senso alla sua esistenza e alla storia dell’umanità. Il suo punto di partenza è quello di un intellettuale che, attraverso le lettura dell’Ortensio di Cicerone, intuisce che la vocazione dell’uomo è la sapienza; ma egli la via verso la sapienza fatica a trovarla per un pregiudizio intellettualistico che lo attira nell’illusione della gnosi manichea e gli fa avere un atteggiamento di sufficienza (per non dire di disprezzo) per la rivelazione biblica. La sua sofferta e complessa conversione, dentro la quale si pongono l’incontro con l’interiorità metafisica dei «libri dei platonici» e la sorpresa per il senso spirituale delle Scritture che lo affascina nella predicazione di Ambrogio, si conclude con l’accoglienza della grazia divina di Cristo. Questo evento crea in lui una nuova progettualità che fin dall’inizio vede strettamente coincidenti ricerca filosofica e vita cristiana, in un medesimo «studio per la sapienza», cioè in un medesimo amore per Dio e per il nucleo più autentico di sé («Dio e l’anima desidero conoscere»). Le prime pietre di questo indirizzo sapienziale sono rappresentate dai Dialoghi di Cassiciàcum (386-387) nei quali si delinea il proposito di valorizzare e di riordinare le forze intellettuali per l’acquisizione della sapienza. Si applica anche a un’«opera in più libri sulle discipline», quando ancora si trova a Milano, un progetto di enciclopedia di arti liberali (grammatica, dialettica, retorica, geometria, aritmetica, musica) e filosofia inteso come ascesi alle realtà incorporee (Dio e anima): l’esercizio intellettuale è visto come purificazione dell’animo (exercitatio animi), come tappa del ritorno neoplatonico a Dio. Rientrando in Africa, Agostino “sogna” di poter coltivare, nella grazia battesimale di Cristo e in un ritiro “monastico”, questo ritorno “filosofico” o “studio della sapienza”. Ma il
Sant’Agostino in una raffigurazione rinascimentale di Vincenzo Foppa. Milano, Civici Musei del Castello Sforzesco. De civitate Dei, di Agostino, in un manoscritto del xv secolo. L’Aia, Museo Meermanno Westreenianum. Nella miniatura appaiono Ottaviano, Varrone, Cicerone.
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Capitolo quarto
senso e il progetto della sua vita viene mutato dall’assunzione degli incarichi pastorali (presbitero nel 391 e vescovo nel 395) che lo impegnano maggiormente nella cura per la verità cristiana, attinta dall’interpretazione della Scrittura, difesa dalle eresie e proposta nella predicazione. Guardando autocriticamente al suo precedente progetto delineato nel De ordine, nelle Ritrattazioni egli scriverà: «Mi rammarico… di aver dato troppo peso alle discipline liberali sulle quali grande è l’ignoranza di molti santi, mentre alcuni, pur conoscendole, non sono dei santi». Qualcuno ha parlato anche di una “seconda” conversione, poiché i compiti pastorali hanno corretto l’indirizzo degli studi e hanno indotto Agostino a riformulare la sua idea della cultura. Appena diventato vescovo,
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De civitate Dei, di Agostino, in un manoscritto del xv secolo. L’Aia, Museo Meermanno Westreenianum. Nella miniatura appaiono Ottaviano, Varrone, Cicerone, particolare.
Un sapere rifondato: «La cultura cristiana» di Agostino
si esprime metodologicamente e programmaticamente nell’opera intitolata De doctrina christiana (in gran parte composta nel 396, ripresa e terminata nel 426), che si avrebbe ragione a tradurre «la cultura cristiana». Questo trattato, in 4 libri, segnerà dal punto di vista del metodo, orientandola, l’intera vicenda culturale dell’Occidente latino. Agostino si rivolge agli studiosi scripturarum, a chi vuole cioè affrontare lo studio della Bibbia, fondamento di un’autentica cultura cristiana, cioè di quell’intelligenza dell’intera realtà che prende le mosse e può essere coltivata a partire dalla fede nella rivelazione («se non crederete, non avrete intelligenza», Agostino ripete continuamente questa frase di Isaia). La Scrittura è per Agostino segno (signum) di una realtà (res), che è l’autorivelazione o verità divina: occorre dunque ricercare e trovarne (invenire) il significato, impiegando tutti gli strumenti di intelligenza, per poi comunicarlo (proferre). Non bisogna confondere il fine con i mezzi: il primo punto metodologico è dato dalla distinzione e articolazio-
ne unitaria tra frui (godere) e uti (usare): solo Dio è oggetto di cui godere, quindi fine di ogni intelligenza e desiderio, tutto il resto si può solo usare per amare e godere di Dio (e questo vale anche per lo studio della Scrittura). E la «carità gemella», il duplice precetto dell’amore (ama Dio e ama il prossimo), diventa il primo criterio per accettare un’interpretazione della Scrittura. Nella scala delle virtù che conducono all’amore di Dio, la scienza delle Scritture si colloca dopo il timore di Dio che spegne la superbia e la pietà che ci rende docili alla sua Parola, sia quando la comprendiamo sia quando non la comprendiamo; acquisita, questa scienza poi alimenta la speranza, procura una fortezza che allontana dai beni effimeri, induce alla misericordia per il prossimo e infine purifica l’«occhio col quale si può vedere Dio, nei limiti in cui questi può essere visto da quanti muoiono a questa vita». La scienza biblica, a cui Agostino dedica il De doctrina christiana, si colloca nella – ed è orientata alla – sapienza cristiana. La dinamica interna a questa ermeneutica del testo sacro genera criterio e mezzi per operare scelte critiche dentro gli strumenti e i valori culturali che erano disponibili al tramonto dell’antichità. Secondo il Marrou, il De doctrina christiana ha rappresentato un vero e proprio manifesto programmatico della nuova cultura cristiana. Ciò verso cui si indirizza l’intelligenza cristiana è la realtà di cui è segno la Scrittura, e per questo fondamentale interesse acquista, e valore di autenticità, tutto ciò che favorisce l’interpretazione del segno come tale, e valore di inautenticità quanto la impedisce. Nella critica alla cultura data, viene espunta ogni istituzione umana solidarizzante con le pratiche magico-superstiziose del paganesimo, mentre sono valorizzate le istituzioni generate dalla convenzione umana per utilità o per necessità (es. l’alfabeto). C’è poi un sapere profano («appreso al di fuori della Chiesa dall’istruzione scolastica»), che l’uomo non istituisce ma raccoglie e divulga, e che può essere d’aiuto per l’intelligenza della realtà significata dalle Scritture. Parte di questo sapere riguarda gli aspetti sensibili (dati storici, proprietà fisiche dei corpi, dati tecnici), parte gli aspetti intelligibili. In quest’ultimo ambito, «la scienza del ragionamento (= dialettica o logica) è la più utile per esaminare e risolvere ogni genere di questioni che si riscontrano nei libri sacri». «Il modo giusto di fare deduzioni – dice Agostino – si può facilmente apprendere nelle scuole estranee alla Chiesa. La verità dei giudizi invece deve essere ricercata nei libri sacri in uso nella Chiesa». Agostino, dopo averle separate dalle connivenze con l’idolatria che devono essere individuate con acutezza e diligenza,
mostra una grande apertura per le risorse intellettuali elaborate nel paganesimo, e non solo nella loro strumentalità: oltre le arti liberali, «consone con il servizio della verità», i pagani hanno anche posto «alcuni utilissimi precetti morali» e «alcune verità sul culto dell’unico Dio»; i loro filosofi poi quando dicono «cose vere e in accordo con la nostra fede, non solo non sono da temere ma da espropriare come possessori abusivi di ciò che anche noi dobbiamo usare». Occorre tuttavia essere consapevoli che la scienza dei pagani è «molto piccola» se confrontata con quella delle divine Scritture nelle quali ci sono «tante altre cose che non si trovano assolutamente altrove». Lo studioso di Sacra Scrittura, scientificamente equipaggiato ad indagarne il senso, deve sempre essere cosciente che, come dice Paolo: «La scienza gonfia, la carità costruisce». Ed è appunto poi la carità che impone, a chi comprende, di comunicare (proferre) ciò che ha compreso. In questo modo l’intelligenza della fede diventa un servizio e un patrimonio comunitario. Buon interprete è colui che è capace anche di esprimere nel modo più luminoso ed efficace il frutto della sua interpretazione. E a questo scopo sovviene l’eloquenza, l’arte di proporre la verità che si avvale delle regole della retorica, altro strumento elaborato e tenuto in gran conto dai pagani, anche se Agostino mostra quanti e quali modelli di eloquenza ci siano negli scrittori della Bibbia. In Agostino si delinea così l’ideale del dotto cristiano impegnato nell’intelligenza della Rivelazione (res) attraverso un’esegesi biblica (interpretazione del signum) che valorizza il sapere umano avvalendosi di tutti gli strumenti di comprensione e di espressione che esso è in grado di fornire ed elaborare, armonizzati dentro una crescita sapienziale che arricchisce e fortifica la Chiesa intera.
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5. La
donna e l’ascetismo
La letteratura agiografica e similare, d’Oriente come d’Occidente, permette di inoltrarsi in due temi di ricerca che hanno assunto sempre più importanza negli ultimi anni, e cioè la storia della donna e l’ascetismo. Le Vite di sante donne, come Macrina, sorella di Gregorio di Nissa, Melania, Olimpia e molte altre, sono un tratto saliente di questo periodo, e anche un ovvio oggetto di studio in termini contemporanei. Nel suo insieme, ovviamente, questa letteratura agiografica dedicata alle donne, ma in questo primo periodo scritta quasi esclusivamente da uomini, è permeata di stereotipi
Sant’Agnese con santa Caterina d’Alessandria nel Salterio di Genlins.
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Santa Margherita di Antiochia. Alcuni episodi del suo lungo martirio. Convertita al cristianesimo dalla nutrice, la giovane fu sottoposta a crudeli supplizi, fino al martirio. Vilaseca (Spagna), chiesa di Santa Margherita.
maschili, per cui non si deve presumere che rappresenti un quadro necessariamente realistico di come effettivamente andassero le cose. Delineare i soggiacenti modelli e schemi di questo genere letterario e la loro influenza sui singoli testi è quindi una delle considerazioni primarie, oltre ad essere un tema di ricerca in se stesso. Eppure, nei confronti del mondo classico, la documentazione letteraria di questo periodo offre una non comune possibilità di serie ricerche sulla condizione delle donne in differenti zone e in differenti classi. La ricerca che si occupa delle donne cristiane si associa spesso a un vivo interesse per l’ascetismo, certo dovuto in parte alla qualità stessa del materiale a disposizione, perché sembra difficile immaginare una Vita di santa che non sia un testo ascetico. Abbiamo inoltre a disposizione un buon numero di testi ascetici diversi, in cui spesso si fa menzione delle donne, per non parlare di tutta la massa di scritti sulla verginità in cui le donne costituiscono l’inevitabile sottotema. Anche se l’ascetismo della tarda antichità si interessava
dell’intero benessere del corpo – abiti, regime alimentare, pulizia e bagni, abitazioni – certo la massima preoccupazione riguardava le restrizioni alla sessualità che occupano larghissimo spazio nella voluminosa letteratura. A partire dalla Vita di Antonio, un testo di Atanasio della metà del quarto secolo, primo classico di spiritualità ascetica cristiana, la sessualità in sé e il sospetto e la diffidenza maschile verso le donne come potenziale veicolo di tentazione, vennero inseriti in un’alta percentuale di scritti cristiani della tarda antichità. Esistono però altre ragioni, ugualmente pressanti, per spiegare l’interesse attuale degli studiosi verso l’ascetismo, e nascono dalla sua connessione con i temi dell’individualismo e della vita privata, soggetti che hanno richiamato su questo periodo l’attenzione degli studiosi. Siamo di fronte a un’affascinante combinazione di un apparente aumento dell’interesse per l’individuo che si associa alla negazione della maggior parte delle forme di gratificazione umana, non ultimo il piacere sessuale. Non ci si deve sorprendere, quindi, che tutto ciò
abbia suscitato un così vivo interesse. Il matrimonio divenne uno dei temi di discussione, e molti dei più importanti scrittori di questo periodo si sono impegnati in vigorose dispute sull’argomento; la scoperta di alcune lettere di Agostino – che un tempo non gli erano state attribuite – sul tema della sessualità umana, suscitò un intenso interesse tra gli specialisti che avviò ulteriori studi di queste lunghe e dolorose ricerche scavate nel profondo dell’anima sul tema del matrimonio, nel corso delle quali egli di fatto decise – molto a suo merito – in opposizione alle opinioni correnti di parecchi suoi contemporanei, che dopo tutto non lo si poteva considerare un male, un peccato.
Santa Caterina di Alessandria, visitata in prigione dall’imperatrice.
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6. La Bibbia nel Medioevo
1. La Bibbia rappresenta per eccellenza il Libro del Medioevo. Non solo nelle molteplici espressioni immediate e proprie della Chiesa, ma anche come fonte generale e determinante della cultura medievale, del resto intimamente connessa con la vita ecclesiale. La Bibbia, anzitutto, ricorre ed è svolta, sotto forma di pericopi, nelle diverse espressioni della liturgia – a cominciare da quella eucaristica –, in stretta relazione con la celebrazione delle feste dell’anno sacro; ne alimenta le orazioni e i canti. Dalla Bibbia sono attinti: la predicazione e la catechesi; i testi e le immagini dei sacramenti e in generale della ritualità; biblico ne è il linguaggio e la simbolicità, come bibliche sono le risorse e i temi dell’esperienza spirituale. Alla Bibbia si ri-
L’altare e le anime dei morti per la parola di Dio. Beatus di Urgell, La Seu di Urgell, Museo diocesano, fol. 106.
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Adamo ed Eva raffigurati dopo la colpa. Roma, catacomba dei Santi Pietro e Marcellino.
chiamano i ritmi del tempo sacro e profano; i modelli di comportamento, gli “esempi” e il diffuso immaginario; i motivi della poesia, dei drammi e delle narrazioni. Sulla Bibbia – come su un testo di scuola (sul Salterio, in particolare) – avviene l’insegnamento nella sua stessa fase elementare, per ritornare in quella più altamente teologica; variamente, la Bibbia, nella mediazione della liturgia e della ritualità, alimenta le manifestazioni feriali o solenni della “città”, le concezioni del potere e le tipologie dell’autorità. Le vicende e i personaggi biblici sono raccontati nella pittura, nella scultura e nelle svariate forme del sacro; le stesse riappaiono nelle miniature, nelle vetrate e nelle «Bibbie dei poveri», che con la loro vivacità e semplicità si imprimono nella visione e nella memoria dei fedeli. Così, una cattedrale, nel suo insieme, è una Bibbia che si è fatta arte; essa traduce in plastica raffigurazione la “storia della salvezza”. Gli artisti conoscono la Scrittura e le sue “storie” direttamente o indirettamente – si pensi alla Historia Scholastica (Storia scolastica) di Pietro il Mangiatore (ca. 1100-
1179) – e vi ricorrono come al loro principale e inesauribile cantiere ideale e spirituale, e il loro impegno consiste nel raffigurarla, mentre nelle cave di pietre estraggono la materia che verrà utilizzata e plasmata dalla loro genialità. 2. In ogni periodo medievale la Bibbia sta alla base della formazione e dell’insegnamento: col Salterio, in particolare, ci si esercita in quello “elementare”; a partire dai libri scritturistici si tengono le “lezioni” nella scuola e nel monastero. Teologia scolastica e teologia monastica sono alimentate di Scrittura. La persuasione comune è che la Sacra Scrittura sia la Parola di Dio
La Cena. Lavanda dei piedi. Dalle Pericopi di Enrico ii, opera del Maestro Liuthar. Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 4452, fol. 105v. I personaggi assumono una fissità da cerimoniale liturgico.
Lavanda dei piedi, particolare.
adeguata e completa, e che l’educazione cristiana e l’attività teologica non possano essere altro che lo sforzo di penetrazione e di comprensione della Scrittura. «Il principio della sufficienza della Bibbia» e del suo valore è il grande lascito dei Padri ai medievali (Congar). La teologia è assolutamente in funzione dell’intelligenza biblica. Le attività speculative, secondo sant’Anselmo d’Aosta, sono usate in quanto la Scrittura o le contiene o non le nega, ritenendo che «la Sacra Scrittura ci invita a investigare la ragione». Né diverso è il pensiero di Abelardo, il maestro della dialettica: la «somma del sapere sacro», che egli elaborò con l’utilizzazione della dialettica e di tutte le risorse della logica, non sarà intesa se non come un’introduzione alla «divina Scrittura» e alla «intelligenza della divina pagina» (divinae paginae intelligentia). «Ti prego – scrive al figlio Astrolabio – leggi con frequenza la Sacra Scrittura; e tutto il resto che ti avvenga di leggere altro, sia in funzione di essa». «Sino alla fine del xii secolo la teologia sarà essenzialmente e, si può dire, esclusivamente, biblica, e si chiamerà sacra
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Capitolo sesto
Pagina o sacra Scrittura» (Congar), mentre il docente ordinario di teologia è chiamato «maestro nella sacra Pagina» o «nella Sacra Scrittura»: le sue lezioni principali consistono in commenti biblici. 3. Se la Bibbia alimenta così sostanzialmente la “scolastica”, non meno profondamente – anzi ancora di più – essa alimenta la formazione e la spiritualità monastica, che vive tutta di sacra Pagina. I libri biblici, sia in se stessi sia nell’abituale ricorrenza liturgica, sono oggetto della quotidiana “lezione divina”: il sermone monastico è intriso di Scrittura; i testi scritturistici, cantati o recitati, sono variamente assimilati: il monaco li medita, li “rumina”, fino alla saturazione, ne assorbe lo spirito, la mentalità, il linguaggio; ne attualizza le figure, leggendovi in fi-
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Dal libro di Lindisfarne (Irlanda). Iniziali “Chi-ro” del Vangelo di Matteo. Londra, British Library, Cotton ms. Nero D. iv, fol. 29r.
La Bibbia nel Medioevo
ligrana le proprie vicissitudini spirituali. Esattamente da questa esclusiva convivenza della Bibbia col monastero, meno direttamente toccata – rispetto alla “scolastica” – dalla cultura nuova con le sue questioni e speculazioni, i suoi dibattiti e i suoi impegni, ha origine la teologia monastica, appunto più biblica, più liturgica, più orante e personalizzata, volta all’esperienza, in certo modo più bella, e più tradizionale. Si pensi al celebre Commento di san Bernardo di Clairvaux, paragonabile a una concordanza biblica vivente, tanto il suo parlare e il suo sentire trasudano Scrittura. Del resto il Medioevo doveva possedere e utilizzare delle concordanze bibliche. 4. Quanto al metodo esegetico, era di due tipi. Il metodo grammaticale attento alla lettera, ma non privo talora di lacune, a motivo di una conoscenza incompiuta della lingua originale e della storia biblica, e sostituita maldestramente con un allegorismo artificiale. E il metodo simbolico spirituale, inteso a cogliere lo “spirito” oltre la lettera, e quindi il contenuto veritativo,
quello morale e quello profetico. Quattro erano i sensi colti nella Scrittura, sui quali, «come fossero ruote, si muove tutta la sacra Pagina». (Guiberto di Nogent). Secondo il noto distico medievale: La lettera insegna quanto è avvenuto (la storia), l’allegoria quello che devi credere, la morale quello che devi fare, l’anagogia il fine a cui devi tendere. 5. Per la comprensione della Scrittura i medievali dispongono, come guida, specialmente dell’esegesi dei Padri, che si è agglutinata e si è trasmessa col testo biblico. Nascono nel Medioevo le “Glosse”, cioè le Bibbie accompagnate e come circondate dai
Mosè e il suo popolo escono dall’Egitto al cospetto del Faraone, Vetrata di Canterbury, cattedrale, fine xii secolo.
testi (“autorità”) scelti come florilegi dai commenti dei Padri – e di altri scrittori sacri –, che offrono ai maestri del Medioevo i contenuti e gli orientamenti dell’interpretazione. Essi dispongono, così, di una vera “Bibbia patristica”, largamente utilizzata per la costruzione della teologia, con i suoi pregi e con i limiti del suo carattere antologico, lontano dagli “originali”. 6. E sempre in funzione dell’esegesi biblica, alla scuola dei Padri i medievali utilizzano un’altra risorsa: le «arti liberali» – ossia il trivio (grammatica, dialettica, retorica) e il quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) – in conformità con la teoria elaborata da Agostino nel De doctrina christiana: «Le scienze o le arti profane, le arti liberali, appartengono di diritto a Cristo e occorre ridarle al loro vero proprietario, facendole servire a una intelligenza più approfondita delle Scritture» (Congar). Questa concezione, attraverso Cassiodoro, Gregorio Magno e Isidoro, passerà nell’istituzione e nel regime scolastico, con Alcuino e la rinascita carolingia.
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7. Le sedi vescovili metropolitane
e le grandi chiese
Le popolazioni barbare che confluirono nell’Impero romano dopo le emigrazioni e gli abitanti autoctoni acquisirono via via un’uniformità grazie alla cristianizzazione dei barbari, dovuta, in primo luogo, al governo vescovile il cui potere registrò una crescita, particolarmente nell’amministrazione delle città. Fra i vescovi, emerse un gruppo più importante e superiore, quello dei cosiddetti arcivescovi, che avevano il diritto di assistere e consacrare i vescovi della loro provincia. Con i vescovi, l’Occidente cristiano andò dividendosi in territori: le diocesi, che, generalmente, si formarono sulla base delle antiche divisioni amministrative romane o dei nuovi spazi popolati dai numerosi abitanti obbligati ad abbandonare le città dopo le invasioni in cerca di sostentamento, mettendosi a lavorare nelle proprietà terriere dei vecchi e nuovi signori.
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Nella Renania, Colonia fu una città sede di diocesi; una delle principali chiese fu quella di San Pantaleone (966-980).
In effetti, la maggior parte delle città doveva la propria importanza, quasi sempre relativa, meno alla presenza di un sovrano o di un alto funzionario che a quella del vescovo il quale, con il passare del tempo, andò assumendo crescenti funzioni pubbliche, di supplenza o di organizzazione pubblica. In Occidente, il cristianesimo, religione prima di tutto urbana, garantì la continuità di queste città. E se la città vescovile conservò una certa funzione economica, ciò è dovuto allo sviluppo dei magazzini che facevano capo al vescovato o dei monasteri che erano situati all’interno della città. Non possiamo dimenticare, d’altro canto, la funzione che il vescovo svolgeva come “difensore della città”, nei frequenti momenti di calamità o di assenza delle autorità pubbliche, di aggressione esterna o di invasioni indesiderate. Sorsero in questo contesto le varie forme di devozione ai santi vescovi del passato, che rafforzarono l’autorità dei vescovi del presente. L’unità urbanistica delle città che andarono creandosi si costituì intorno alle cattedrali, così come il rinnova-
mento culturale fu una conseguenza delle scuole cattedrali. Non ci sono dubbi circa l’esistenza di uno stretto rapporto fra la sempre maggior diffusione della cristianizzazione e la crescente costruzione di cattedrali, fra la – sia pur limitata – espansione culturale e le scuole vescovili. È altamente esemplificativo conoscere le cause e le conseguenze della fondazione da parte di Carlo Magno degli arcivescovati di Colonia, Treviri, Magonza, Salisburgo e Magdeburgo, da cui dipendeva una quarantina di vescovati, dopo la cruenta conquista delle terre dell’Est. L’imperatore era consapevole delle potenti forze sociali, spirituali e religiose della Chiesa, motivo per cui volle porre i nuovi territori sotto la tutela dei vescovati e dei monasteri. D’altro canto, i vescovi erano spesso nominati fra i membri delle grandi famiglie, e questo spiega anche gli importanti compiti politici che avevano, sia come vescovi sia per familiarità di relazione. L’arcicappellano della corte carolingia, ad esempio, oltre a svolgere funzioni strettamente vescovili, era
Si può anche dire che il mondo tardoantico conosce uno sviluppo nuovo grazie alla Chiesa che attira verso di sé gli elementi migliori e più colti dell’aristocrazia senatoriale per farne dei vescovi. Il vescovo diventa infatti colui che perpetua l’assetto della città romana dove costruisce chiese. Protettore dei poveri, ha tale influenza sociale che i re cercano d’impadronirsi della sua nomina e di influire sulla sua elezione tramite il clero. I concilii di Gallia e Spagna hanno un ruolo capitale per il regresso del paganesimo e la diffusione di una nuova cultura romana e cristiana. A partire dalle opere di Agostino, di Boezio, di Cassiodoro e di Isidoro di Siviglia (che scrisse le Etimologie nel 636), l’eredità romana è ripresa per essere insegnata in nuove scuole, cattedrali o monastiche. Inoltre la Chiesa vede il suo dinamismo rinnovato dall’ascesa del movimento monastico. Avuto inizio in Egitto, a partire dal 461 conquista l’Irlanda che adotta la nuova cultura latina. In Italia il romano san Benedetto, fondatore di Montecassino, perfeziona fra il 530 e il 556 una regola comunitaria molto flessibile che si diffonde lentamente in Europa, mentre monaci irlandesi dalle pratiche eremitiche rigorose approdano nella Gallia del Nord per evangelizzare queste terre pagane. Nello stesso tempo il papa Gregorio Magno (590-604), primo monaco diventato Papa, invia missionari nell’Inghilterra sassone. Il Papato organizza la nuova Chiesa d’Inghilterra e mantiene stretta relazione con i missionari. Roma diventa allora il centro di una Chiesa d’Occidente che introduce la germanità nella romanità. Contestualmente avviene la sistemazione organizzativa della Chiesa con la conferma delle sedi episcopali fondate nei secoli precedenti sul solco della struttura imperiale. Sant’Ambrogio arcivescovo di Milano ebbe un ruolo nella Chiesa tardo antica e medievale che superò il suo tempo e la sua più diretta area di influenza. Riproduciamo della faccia posteriore dell’altare aureo di Vuolvinio: Ambrogio che incorona Vuolvinio, artefice del mirabile altare; Il Battesimo di Ambrogio.
consigliere del monarca, ponendosi allo stesso livello dei suoi familiari. Anche la diffusione del cristianesimo da parte dei grandi missionari dovette essere sostenuta dall’istituzione di nuove, importanti diocesi in cui l’arcivescovo dirigeva l’azione dei missionari, nominava i responsabili e mante-
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Capitolo settimo
neva i rapporti con il potere politico. Così san Bonifacio, dopo il suo instancabile lavoro in Baviera e in Turingia, dimostrando che il primo seme aveva dato i suoi frutti e che era necessaria un’opera più sistematica, creò i vescovati di Salisburgo, Nassau, Frisinga, Ratisbona, Erfurt e Würzburg.
In area carolingia si ebbero grandi momenti di creatività artistica di cui furono esempi grandiosi le miniature. L’Evangeliario di Lorsch (anno 810, Scuola di corte di Carlo Magno), di cui si raffigura l’evangelista Luca, fu uno dei più importanti. L’Evangeliario è oggi conservato diviso in due parti, la prima presso la Biblioteca Nazionale di Bucarest in Romania, la seconda, cui si riferisce questa immagine, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 50.
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La chiesa di San Michele, Hildesheim, Bassa Sassonia. La città e la diocesi furono in prima linea nel consolidamento della Chiesa nel cuore del mondo tedesco. Esse furono fondate nell’anno 955 dall’arcivescovo Bernward, consigliere dell’imperatrice Teofano, moglie di Ottone ii e madre di Ottone iii, di cui Bernward fu precettore nell’età formativa.
Le sedi vescovili e le grandi chiese metropolitane
La valida organizzazione in diocesi e in territori metropolitani favorì il lavoro congiunto in sinodi provinciali e nazionali nei quali si discutevano i problemi religiosi, morali e culturali di comune interesse. I vescovi si preoccupavano del clero e della popolazione, ed erano realmente gli unici fattori di moralità in quest’epoca. Tuttavia, la politica che equiparava i vescovi ai grandi del regno per il loro stile di vita, e la conseguente formazione di potenti clientele, ipotecò politicamente la Chiesa, un ostacolo, questo, di difficile soluzione. Di fatto, gli stessi vescovi erano coscienti che, da una parte, la Chiesa vedeva garantita la propria sicurezza solo sottomettendosi al governo di un imperatore che esercitasse un vero e proprio potere religioso,
I pannelli dell’antependio di Magdeburgo, la principale diocesi della parte orientale del mondo tedesco, sono degli avori che rappresentano l’incredulità di Tommaso e Cristo davanti a Pilato, conservati a Monaco, Bayerische Nationalmuseum.
e, dall’altra, che questa situazione secolarizzava, di necessità, la Chiesa. I vescovi erano potenti, ma a rischio di perdere la libertà religiosa. La riforma gregoriana dell’xi secolo fece della libertà delle elezioni ecclesiastiche uno dei suoi cavalli di battaglia, ottenendo un maggiore assoggettamento a Roma e la conseguente centralizzazione ecclesiale. Le lotte dei papi con gli imperatori o con gli stati ebbero molto a che vedere con questo tentativo di attrarre nel proprio cerchio di influenza i vescovi che, con la loro autorità e il loro potere, erano in grado di determinare il successo o meno del confronto. A partire dalla fine dell’xi secolo le diocesi meglio organizzate erano amministrate attraverso un capitolo nel quale si riunivano varie cariche (quella di decano, cancelliere, tesoriere e maestro di cappella) e un certo numero di canonici, a seconda dell’importanza della sede, cariche che, generalmente, erano in mano all’aristocrazia signorile e consolare.
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Capitolo settimo
Le sedi vescovili e le grandi chiese metropolitane
Mare del Nord
Armagh
t l a n
t i c o
Un quadro d’insieme delle sedi di diocesi metropolitane e di sedi episcopali fino all’inizio dell’xi secolo. Si è voluto dare anche un quadro della situazione della Chiesa facente parte dell’Impero d’Oriente.
c e a n o
A
Canterbury
O
Magdeburgo Colonia Rouen Magonza Erfurt Treviri Tours Würzburg Ratisbona Sens Bourges Salisburgo Besançon Bordeaux Lione Aquileia Vienne Milano Grado Arles Narbona Ravenna
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Braga
Merida
Toledo
Spalato Tarragona
Siviglia
Roma
M
Diffusione della Chiesa in Occidente Patriarcati intorno al 600 Sedi metropolitane intorno al 600 Nuove istituzioni ecclesiali dal 600 al 1050 Diffusione della Chiesa in Oriente Patriarcati intorno al 600 Sedi metropolitane intorno al 600 Nuove istituzioni ecclesiali dal 600 al 1050
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Eraclea Adrianopoli Traianopoli
Durazzo Tessalonica
Rusaddir (Melilla) Diffusione della Chiesa primitiva Comunità nel I secolo d.C.
Tanaïs (Azov)
a
r
M
Bosforo Cherson o Ner Neocesarea r Ma Costantinopoli Nicomedia
Valarschapat Dvin
Sebaste
Cizico Nicea Larissa Antiochia Cesarea Sardi Iconio Anazarbus Efeso Corinto Atene Antiochia
e dSiracusa i t e r r a Gortina n e o Cirene
Tarso Ierapoli Laodicea
Alessandria
Seleucia
Sidone Gerusalemme
8. Le grandi stagioni delle missioni fra i popoli barbarici 1. Le invasioni avevano arrestato la diffusione del cristianesimo, bloccato lo sviluppo o sradicato l’iniziale presenza della Chiesa; le esperienze religiose di questi popoli erano molto diversificate. In tutti i casi, il fatto religioso influì profondamente sul tipo e il modo di integrazione e di assimilazione. Celti, Latini, abitanti dell’Impero bizantino erano, con diversi gradi di adesione, cristiani: le eresie intorno ai temi centrali della rivelazione avevano interessato in varia misura le regioni dell’Impero, anche se le maggiori divisioni si erano create in Oriente e in Africa settentrionale. Molti fra gli stessi invasori, per influenza dei Goti – quando però l’arianesimo aveva esaurito la sua spinta –, furono seguaci di quella eresia. Essi si ponevano separati
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La cripta di Saint-Paul di Jouarre fu parte di un monastero dell’epoca di Colombano ed era destinata ad accogliere le spoglie di una famiglia potente.
e intransigenti dovunque s’insediassero. Il caso limite fu quello dei Vandali, che con maggior rigidezza applicarono questa separazione etnica e religiosa, con un’aperta persecuzione dei cattolici nel proprio regno. Gli Anglosassoni erano pagani e, scacciando i Celti, sradicarono il cristianesimo dall’Inghilterra. I Franchi, tutti, e una parte dei Burgundi, si convertirono al cattolicesimo tra la fine del v e l’inizio del vi secolo e ciò facilitò la loro integrazione con le popolazioni romane e celtiche. Comunque si riproponeva il grande problema di evangelizzare l’Occidente, anche perché gli ultimi arrivati, i Longobardi, erano da poco tempo approdati all’arianesimo, e altrove occorreva approfondire e consolidare la vita cristiana fra popoli di recente conversione. Fu il pontificato di Gregorio i (590604) a dare una svolta decisiva. Egli mirò a rafforzare la Chiesa in Occidente sia rivolgendosi ai popoli recentemente convertiti sia cominciando nuove evangelizzazioni. Con lui furono poste le prime basi per l’edificio dell’Oc-
Il trono di Dagoberto era una sella romana; lo schienale fu aggiunto nel secolo xiii, quando Sugero abate di Saint-Denis lo fece restaurare. Conservato presso il Cabinet des Medailles della Bibliothèque Nationale di Parigi. Per il re come per gli aristocratici franchi era profondo l’attaccamento per la tradizione antica trasmessa dalla Gallia senatoria, fonte con Bisanzio della regalità e della simbologia del potere. Nel vii secolo il fondatore del monastero di Saint-Benoît-sur-Loire, Mumma, fece fabbricare questo reliquiario in onore di Pietro e Maria. Tesoro del Monastero di Fleury. La lamina di Agilulfo. Firenze, Museo del Bargello. Costituiva il frontale di un elmo appartenente a un grande guerriero longobardo. Al centro il sovrano siede sul trono. È la prima raffigurazione del genere per un principe germanico. Due soldati completano il gruppo centrale, al quale si avvicinano due vittorie in volo, che portano labari in segno di vittoria. Dalle mura fortificate, alle due estremità, escono due personaggi offerenti. La rappresentazione della sovranità regale attinge a una matrice bizantina e orientale.
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Capitolo ottavo
Le grandi stagioni delle missioni fra i popoli barbarici
Il complesso circolare di Trelleborg, Danimarca, è percorso da due strade che si intersecano formando una croce; ogni quarto di cerchio conteneva quattro fabbricati longitudinali disposti a quadrato. Le case di abitazione erano ordinate a forma di falce davanti alla fortificazione.
Cartina degli spostamenti e delle scorrerie delle popolazioni scandinave e ungare.
2. Verso il Mille il quadro delle evangelizzazioni è ampio. Già all’alba del x secolo missionari tedeschi e anglosassoni s’erano mossi fra le popolazioni scandinave: nello Jutland meridionale dopo un’estesa evangelizzazione, con l’appoggio dello stesso re Harald Dente Azzurro, nacquero solide Chiese locali. Lo stesso re (960) si convertì. Una reazione pagana (985) lo costrinse alla fuga; ma anche suo figlio Sven, che aveva appoggiato la rivolta, approdò alla fede del padre. Durante il regno di Canuto, figlio di Sven, missionari anglosassoni diffusero il cristianesimo in tutte le isole danesi. In Norvegia, verso il Mille, i re Olaf i e ii, educati in Inghilterra, guidarono una lotta antipagana che non ebbe immediatamente risultati. A partire dall’isola di Gotland si diffusero su tutto il territorio svedese missionari che provenivano da diversi Paesi. Nel 1008 il re Olaf si fece battezzare, ma soltanto verso la fine dell’xi secolo la Svezia fu cristiana. Il centro di irradiazione della Chiesa verso il
Insediamenti degli ungari Influssi politici scandinavi Influssi commerciali scandinavi
t i c o
Mare del Nord
Novgorod
A
t l a n
Hastings (1066) Rouen Verdun
c e a n o
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Re Olaf di Norvegia in un affresco della cattedrale cattolica di Trondheim.
Sarà il monachesimo a compiere l’evangelizzazione dei popoli del Nord. Possiamo ricordare l’opera dei monaci benedettini, del clero d’Aquitania e dei monaci irlandesi che girarono la Gallia e i territori di influenza franca (con Eligio, Armando e altri) per consolidare una fede che si stava indebolendo, e del monaco Agostino e i suoi quaranta confratelli che sbarcarono nel Kent nel 597. Nel 601 re Etelberto si fece battezzare. Per tutto il vii e l’viii secolo continuò la missione nell’isola e nel 755 tutte le isole erano evangelizzate. Ma già alla fine del vii secolo monaci anglosassoni imitarono gli Irlandesi ed erano sul continente a evangelizzare, in comunione con Roma, i Frisoni (Villibrordo) e la Germania (Winfried [Bonifacio]). La sua presenza animò tutta la Chiesa a nord delle Alpi, con la Chiesa franca ancora in crisi.
Kiev
Lechfeld (955)
O
cidente cristiano, che si venne formando tra la fine del vi e la metà dell’ viii secolo; affermò d’altra parte la propria libertà dall’imperatore, il primato papale ed estese la propria autorità al di là dei confini imperiali. Verso i Longobardi dapprima raggiunse un compromesso con Agilulfo, poi contò sulla regina Teodolinda (di stirpe bavara, cattolica), su suo figlio Adaloaldo e sugli ambienti recentemente convertiti. Soltanto nel 672 i Longobardi approdarono definitivamente alla Chiesa.
Bordeaux Padova Marsiglia
Luni
Mar
Nero
Roma Capua
Rusaddir (Melilla)
Otranto
Bisanzio
Palermo (1069-1071)
Direzioni principali delle scorrerie degli Ungari Prima fase di espansione scandinava Seconda fase di espansione scandinava
M a r M ed i t e r r a n e o
Antiochia
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Capitolo ottavo
Le grandi stagioni delle missioni fra i popoli barbarici
Nord scandinavo avrebbe dovuto essere la diocesi, appositamente costituita, di Amburgo-Brema; inizialmente, in area scandinava le diocesi furono costituite in dipendenza da quell’arcivescovo. Anche dall’Inghilterra, dati i legami esistenti, partirono molti missionari. Soltanto più tardi furono create arcidiocesi indipendenti: nel 1004 quella danese, nel 1152 quella norvegese e nel 1164 quella svedese. Gli scandinavi di Francia, i Normanni, s’erano invece convertiti già nel 911-912, quando il loro capo Rollone aveva ricevuto in feudo da Carlo il Semplice la Normandia. Ottone i aveva preposto alla missione presso gli Slavi l’arcivescovado di Magdeburgo. Adalberto, figlio di un duca boemo, era stato educato in quella città e fu nomi-
nato vescovo di Praga – diocesi legata all’arcivescovo di Magonza dalla sua fondazione nel 976 – nel 982. Per difficoltà interne alla nobiltà boema si recò a Roma, dove visse alcuni anni, quindi ricevette da Ottone iii il mandato di evangelizzare e di formare i missionari presso gli Slavi. Si recò in Ungheria dal principe Varik, che si convertì diventando Stefano i. Si stabilì in Polonia; si spinse in Prussia e trovò la morte quando, dopo molti successi presso quelle popolazioni, nel 997 fu catturato e decapitato dai pagani. Subito venerato come martire, fu seppellito prima a Gniezno in Polonia, poi a Praga, in Boemia. A metà del x secolo, Miezsko duca di Polonia aveva unificato, con il suo eser-
cito di cavalieri, le tribù polacche; sposò una principessa boema e si fece battezzare (966). Grazie a missionari provenienti dalla Boemia il popolo lo seguì. Percependo il possibile abbraccio soffocante dell’Impero tedesco, nel 990 donò il proprio regno al papa.
Venceslao, duca di Boemia e martire († 935), in una statua rinascimentale. Praga, cattedrale di San Vito. Nella cartina la distribuzione della Chiesa di Boemia e di Ungheria.
Osek (Ossegg) Praga 973 1344 Dan ub io
Mappa del Castello di Praga alla fine del x secolo.
Broumov Braunau) Litomyšl (Leitomischl)
Želiv (Seeleu)
Olomouc (Olmütz)
Raigern Nová Rǐse Turoč Zips (sec XII) (Neureisch) S. Benedikt Vyˇsši Brod Zobor Jászó Lelesz Bozók (Hohenfurth) Nitra Ság Pásztó Bratislava Eger (Erlau) Esztergom Vác Csorna Gyor Buda Samló Bél Zirc Zsámbék Dra va Szentgotthard Veszprém Jánoshida Oradea Földvár Tihany S. Gottardo) Kalocsa Báta Arad Türje Szekszárd Mures Pécsvarad Zalavár Pécs Csanád Samogyvár
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50
Sav Djakovo a S.Demetrius
Titel Danubio
Cluj Kolozsmonostor Alba Iulia Sibiu
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Tratto romano della via Cassia tra Montefiascone e Viterbo, nel Lazio settentrionale, usato dai pellegrini romei, come è oggi. La cartina illustra le principali vie di pellegrinaggio verso le tre mete fondamentali: Gerusalemme, Roma e Santiago. Il pellegrinaggio a Gerusalemme non venne mai meno: e i musulmani, avendo anch’essi Gerusalemme come città santa, ne ebbero rispetto. Tuttavia il flusso dei pellegrini diminuì, e non solo per le difficoltà che potevano venire dagli Arabi, i quali erano peraltro interessati al movimento economico collegato ai pellegrini. Sorgevano infatti, in Europa, più prossime mete di pellegrinaggio, quali Santiago de Compostela, e i santuari nei luoghi dove la storia faceva provvidenzialmente addensare testimonianze e memorie.
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Galway
Newcastle Alborg Mare Viborg del Nord Rendsburg Leicester Amburgo Lubecca Canterbury Londra Hannover Bruges Calais Magdeburgo Le Havre Colonia Magonza Mont St-Michel Parigi Praga Treviri Würzburg Nantes Worms Cracovia Norimberga San Sebastian Tours Nevers Pamplona Basilea Costanza Passau Vienna La Coruña Bordeaux Losanna Lucerna Innsbruck Oviedo Santiago Lione Le Puy Aosta León Braga Milano Aquileia Tolosa Avignone Susa Porto Burgos VeneziaTrieste Genova Logroño Coimbra Arles Belgrado Ravenna Salamanca SaragozzaNarbona Luni Zara Marsiglia Madrid Lerida Firenze Mar Nero Merida Lisbona Ancona Sofia Toledo Barcellona Roma Foligno Adrianopoli Valencia Faro Costantinopoli Siviglia Durazzo Alghero Montecassino Bari Cadice Nicea Nicomedia Napoli Valona Salonicco Benevento Otranto Corfù Cagliari
t i c o
Il labirinto, simbolo universale del cammino dell’uomo, come appare inciso sul pilastro destro del portico del duomo di San Martino a Lucca.
preziose dei luoghi di Cristo (che pure venivano onorati anche così nascosti). Venne poi la stessa madre di Costantino, Elena, che si fece pellegrina in tarda età, e diede impulso ad una nuova stagione di pellegrinaggi ai Loca Sancta, per i quali vennero edificate grandiose basiliche. Numerosissimi furono i pellegrini, ormai sicuri, e lo spirito del pellegrinaggio cri-
Dublino
t l a n
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non solo essi si recarono alle grandi basiliche sorte nell’epoca costantiniana sui luoghi di Gesù, ma anche ovunque una memoria rimaneva viva e tangibile e testimoniata da reliquie e miracoli. Andarono quindi alle tombe dei martiri (ricordiamo la tomba di san Giorgio a Lydda) e dei confessori, e in particolare a Roma, dove ci si recava alle sepolture dei martiri: già onorate nelle sepolture catacombali, furono poste in onore da papa Damaso (366-384); ci si recava anche là dove erano vive le memorie di santi monaci in Oriente, o là dove vi erano oggetti del tutto particolari come il Volto Santo a Edessa. Dal iv secolo, finalmente in pace dopo la libertà religiosa proclamata da Costantino nel 313, i cristiani poterono recarsi a Gerusalemme, che riprese il suo nome mentre venivano innalzate le nuove basiliche sui luoghi ritrovati. L’antica Gerusalemme, infatti, pur distrutta da Tito nel 70 e da Adriano nel 130 e da questi sostituita da una nuova città, Aelia Capitolina, aveva custodito nel sottosuolo le memorie
A
Le conchiglie che decorano questa pagina di un Libro d’ore che ricorda la devozione a san Giacomo sono uno dei simboli che identificano il pellegrino. Miniatura fiamminga, fine xv secolo. Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 28345, fol. 265r.
Medioevo:
c e a n o
Nei secoli tra il v e il ix il grande fenomeno del pellegrinaggio dei cristiani presenta una notevole evoluzione: inizialmente infatti si definisce nelle sue mete iniziali, in Oriente e in Occidente, in Terrasanta e a Roma, poi, dopo l’espansione islamica, nelle sue mete soprattutto europee. I primi cristiani si erano recati in Terrasanta per mettersi anche letteralmente al seguito di Gesù nei luoghi della sua vita: ma poiché il cristianesimo non era e non è una religione “del libro” ma di una presenza, di un evento tangibile, il Cristo risorto presente “qui ed ora”, le mete dei cristiani si moltiplicarono, e
al primo
O
9. Dalla tarda antichità i pellegrinaggi
Palermo
Roncisvalle Somport Monginevro Moncenisio Gran San Bernardo Sempione San Gottardo Brennero Tarvisio M. Bardone Giogo-Osteria Bruciata Alpe di Serra
Messina Patrasso
Principali passi pirenaici, alpini e appenninici
M
Pellegrinaggi Gerusalemme Roma Santiago de Compostela
a r
Efeso
Cesarea
Konya Attalia
Corinto Tarso Rodi Modone Corone Mira Famagosta Candia Nicosia M e d Laodicea Sidone i t e r Tiro r a n San Giovanni d’Acri e o Cesarea Giaffa Alessandria Gaza
Antiochia Tripoli Damasco Cafarnao Nazaret Gerusalemme Betlemme Hebron
Il Cairo S. Caterina del Sinai
Capitolo nono
stiano è qui ben rappresentato da quanti, raggiunta la meta, vi si stabilivano, per vivere santamente e prendersi cura dei pellegrini. Questi viaggi possono essere considerati i prototipi dei pellegrinaggi cristiani, e proprio per la loro modalità. Infatti: Eteria e Paola non si muovono da sole, ma con altre; si muovono infiammate dal desiderio della grazia e con l’aiuto di Dio; visitano le “sante meraviglie” in tutto il mondo, ripercorrendo le strade degli Ebrei, sostando nei luoghi della vita di Gesù, toccando le reliquie con mano commossa e fermandosi in preghiera.
L’incontro sulla via di Emmaus fra Gesù e due suoi discepoli nella sera di Pasqua, in un avorio spagnolo del xii secolo: Cristo è rappresentato in abbigliamento di pellegrino con bastone, bisaccia e borraccia. The Metropolitan Museum of Art, Pierpont Morgan Foundation, New York.
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L’accoglienza dei pellegrini come opera di misericordia: particolare dell’affresco del refettorio della Seu Vella di Lérida, xiii secolo.
Dalla tarda antichità al primo Medioevo: i pellegrinaggi
Col tempo, si moltiplicarono le mete di pellegrinaggio: si andava dovunque ci fossero reliquie a testimoniare la certezza della presenza di Cristo nella sua Chiesa, cioè nei suoi apostoli e martiri, sempre assimilati a Cristo stesso. Tale felice situazione si protrasse per circa due secoli. Nella stagione in cui s’incrociarono e si fusero le etnie slave, germaniche e latine in Europa, si verificò, alla metà del secolo vii, un evento che spostò l’asse dei pellegrinaggi: conquistate dai seguaci di Maometto la Palestina, la Siria e l’Egitto, le mete di pellegrinaggio presenti in quei luoghi divennero meno accessibili, mentre d’altro canto in Europa le nuove nazioni che si andavano formando via via si riconobbero in altri santi, che divennero in breve, per quanti li veneravano, emblema della propria identità e punto di riferimento spirituale. Mentre il flusso dei pellegrinaggi verso Roma e le grandi basiliche patriarcali si attenuava anche per le vicende storiche in Italia (dalla guerra greco-gotica alla discesa dei Longobardi fino alla loro definitiva sconfitta), si sta-
bilizzarono, come mete, la sepoltura di san Martino a Tours (che sarà nei secoli successivi capotesta di uno dei cammini francesi verso Santiago de Compostela), i luoghi della memoria di san Patrizio in Irlanda (il Purgatorio di San Patrizio, pellegrinaggio particolarissimo) e soprattutto quel grande complesso di pellegrinaggi che prese il nome di “via michelita”, che attraversa tutta l’Europa, dall’Inghilterra meridionale all’Italia meridionale, unendo i diversi luoghi in cui si ricorda la presenza e l’azione prodigiosa dell’arcangelo Michele. Non mancarono i primi luoghi mariani, e vediamo definirsi come
Ospitare i pellegrini, dal ciclo delle Sette opere di misericordia; vetrata del rosone settentrionale della cattedrale di Friburgo in Brisgovia, Germania. Affresco della cappella di Sant’Eraldo, abbazia di Novalesa, Piemonte, fine xi secolo. Di ritorno da un pellegrinaggio, Eraldo indossa l’abito monastico e da abate rende il monastero anche ospizio per i pellegrini romei che attraversano le Alpi occidentali.
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Capitolo nono
meta di pellegrinaggio il santuario di Our Lady of Glaston bury in Inghilterra (vi secolo) e quello della Madonna degli Eremiti di Einsiedeln, che unisce la venerazione per un santo eremita e la Vergine da lui venerata in una piccola immagine. Intanto, la perdita di alcune preziose sepolture, prima fra tutte quella dell’apostolo Giacomo in Spagna, preparava invece provvidenzialmente il loro ritrovamento, che caratterizzerà la grande stagione dei pellegrinaggi tra il ix e il xiii secolo, nei quali le numerose vie verso la tomba di san Giacomo (ritrovata nell’814) si intersecheranno con quelle verso i luoghi di san Michele e successivamente, a partire dal 1087, verso san Nicola a Bari.
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Dalla tarda antichità al primo Medioevo: i pellegrinaggi
Al confine fra la Bretagna e la Normandia, oggi in territorio bretone, sorge il santuario di Mont-Saint-Michel, sul promontorio già detto di Mont-Tombe, dove nell’viii secolo il vescovo sant’Oberto (Aubert) edificò un oratorio, in seguito a tre apparizioni dell’arcangelo Michele.
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Statuetta in rame dorato dal santuario di Monte Sant’Angelo (Foggia). È questo il più antico dei santuari dedicati a san Michele, ed è detto Basilica celeste per la dedicazione angelica. San Michele apparve quattro volte, nel 490, nel 492, nel 493 e nel 1656. Le fonti sono molto antiche: l’inizio del santuario si può collocare tra il v e il vi secolo; le prime testimonianze scritte si trovano in due lettere di papa Gelasio i indirizzate ai vescovi di Larino (493/494) e di Potenza (492/496), Giusto ed Erculenzio, e in una nota del Martirologio Geronimiano alla data 29 settembre. Il testo più completo è quello, più tardo, dell’viii secolo, detto Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano. Michele è l’arcangelo che protegge le soglie, metafora della soglia della vita; compare all’inizio e alla fine dell’opera di Dio: posto a guardia del Paradiso terrestre da cui sono cacciati Adamo ed Eva, pesa le anime dei morti, e compare al Giudizio finale; il profeta Daniele lo indica come colui che viene in aiuto (10,13 e 10, 21) e «il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo» (12,1). La sua caratteristica portante è quella di contrastare Satana, con cui lotta alla fine dei tempi (Ap 12,7-8). Il suo nome, Mi kà’ èl in ebraico, significa: «Chi come Dio?». La Sacra di San Michele sorge sul picco del monte Pirchiriano, che chiude la Val di Susa in Piemonte, presso Chiusa, l’antica Clusa Longobardorum. Il culto di san Michele è attestato qui già nei secoli v e vi. La fondazione risale al x secolo, quando il vescovo di Ravenna Giovanni Vincenzo volle farsi eremita e si stabilì qui. Nel 999 è attestato che vi fece edificare un monastero con ospizio per i pellegrini.
10. Il rinnovamento i Carolingi
della civiltà attraverso
Carlo Magno e Ludovico il Pio riunirono una grande area di un milione e duecentomila chilometri quadrati forse popolata da quindici milioni di abitanti. Il loro obiettivo fu quello di rendere omogeneo quell’insieme disparato con la fede romana e cristiana. Gli scrittori contemporanei usano il termine rinnovamento per indicare che, grazie alla cristianizzazione, Germani e Romani formavano, come dopo il Battesimo, una nuova creatura e che avevano conosciuto un rinascimento. Questa seconda nascita del mondo barbaro è un ingresso in nuove strutture politiche e culturali. Infatti, se per i barbari lo Stato è una comunità di persone senza domicilio fisso che esercitano congiuntamente il potere attraverso i nobili e il re, se questo «Stato» può essere rafforzato solo con il giuramento di raccomandazione (commenda-
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tio) e il bottino delle conquiste, questo sistema di governo vale quanto il capoguerriero che lo dirige. Questo accadde in gran parte sotto Carlo Magno. Ma quando, con i suoi chierici sapienti, Ludovico il Pio non si accontenta più del diritto di banno e vuole affermare al seguito dei primi consiglieri carolingi che lo Stato è bene pubblico, la Res Publica cristiana – cioè uno stato cristiano che tiene conto delle esigenze di salvezza dei fedeli nel quadro di quanto sant’Agostino ha detto nella Città di Dio –, allora la politica imperiale che mira a questo rinnovamento può solo cercare l’unità. Carlo Magno, riunendo il popolo in armi il 1° maggio di ogni anno (placito generale), ne approfitta per pubblicare le leggi che vengono chiamate capitolari. Ma Ludovico il Pio non può sopprimere la personalità delle leggi: ogni popolo conserva la propria e
Corona ferrea del regno italico, con cui si incoronava il designato imperatore re d’Italia, a Pavia nella chiesa di San Michele. L’anello interno era ritenuto di ferro, in realtà d’argento, oro lavorato a sbalzo, smalti cloisonnés, pietre ovali, ix secolo, Monza, Museo del Duomo. Dittico della Passione, opera di età carolingia, Milano, Museo del Duomo. Incoronazione di Carlo Magno da parte dei Romani, a sinistra; a destra, Carlo Magno e papa Leone iii siedono in giudizio. Gothae Weltchronik, 1270. Gotha, Forschungs und Landes Bibliothek, ms Memb. i 90, fol. 78v.
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Capitolo decimo
i Frisoni come i Sassoni vedono la loro messa per iscritto. È necessario anche mantenere dei regni minori: Aquitania, Italia e Baviera. Mentre la nozione di capitale centrale riappare con Aquisgrana, sede del governo, i grandi ufficiali continuano a esercitare incarichi sia pubblici che privati. Solo l’arcicappellano che dirige gli scribi, il cancelliere che si occupa degli atti ufficiali e il conte del palazzo che giudica i processi d’appello sono alti funzionari. Nelle città o nei gaue (territori di campagna) i conti hanno le stesse funzioni di prima.
Carlo Magno e Alcuino, all’interno di una raccolta di manoscritti (Hamersleben, terzo quarto del xii secolo), Hannover, Kestner Museum, Inn. Nr. 3927, fol. iv.
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Rabano Mauro condotto dal suo maestro Alcuino consegna la sua opera al vescovo di Magonza Otgar (Fulda, 840), Vienna, Oesterreichische Nationalbibliothek, ms 652, fol. iv.
Il rinnovamento della civiltà attraverso i Carolingi
Sono pagati con i proventi di una terra fiscale (honor) e presiedono tre sessioni del tribunale all’anno (mall). Alle frontiere sono raggruppate diverse contee sotto la direzione di un markgraf (margravio), il conte della marca o marchese. Per evitare i loro abusi di potere, Carlo Magno li fa sorvegliare da tournée itineranti di inviati reali (i missi dominici). Infine, per rafforzare il suo potere, Carlo Magno introduce i legami fra uomo e uomo nello Stato. Invita tutti gli uomini liberi a entrare in relazione di vassallaggio con un potente signore o con lui stesso. Spera che la relazione quasi carnale creata dalla raccomandazione nelle mani di un grande, accompagnata da un beneficio per pagare il servizio militare, strutturi anche la società in una piramide di fedeltà convergente sulla sua persona. Arriva persino a costringere vescovi e abati a praticarla. L’unica vera potenza centralizzata è la Chiesa. I Carolingi l’hanno capito molto bene e cercano in tutti i modi di farne un ingranaggio dello Stato, poiché sono i chierici che vogliono il rinnovamento. Molto spesso Carlo Magno designa il vescovo
o nomina un abate laico in qualche monastero. I suoi capitolari legiferano per la Chiesa. Anche se Ludovico il Pio tenta di restituire un po’ di autonomia al clero, concepisce tuttavia la società del suo tempo con la visuale dei chierici, dei monaci e dei laici. Abbiamo visto che Carlo Magno moltiplica i legami da uomo a uomo e le cerimonie di raccomandazione con le mani. Questi contratti sono indissolubili e devono durare tutta la vita dei due contraenti. Ora, a causa delle innumerevoli spartizioni che avvengono sotto Ludovico il Pio, certi grandi laici sono costretti, a ogni cambiamento di re in Borgogna, a prestare giuramento, fino a sei volte di seguito. La forza del legame viene intaccata. La fedeltà al signore più vicino appare meno pericolosa. In caso di disordine si preferiscono anche giuramenti fra uguali (convenientiae, nel Mezzogiorno) o fra gente della stessa professione (gilde). Spesso anche i legami di sangue appaiono più solidi e più pregnanti. Le faide fra famiglie aristocratiche sono molto violente.
Pagina iniziale della Vita Caroli di Eginardo, cod. 529, fol. iv (Kat. Nr. 1i). L’interno della Cappella Palatina di Aquisgrana, voluta da Carlo Magno con riferimento alle chiese imperiali bizantine. Trono di Carlo Magno, Aquisgrana.
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civili e giuridiche
cerche archeologiche hanno scoperto delle villae abbandonate durante il secolo v e ciò documenta lo sfuggire alle invasioni di molti proprietari terrieri romani. Si ha però menzione di altri che rimasero e la Chiesa sopravvisse in tutte le città transalpine, così che i legami con il mondo romano non furono rotti del tutto; ma come risultato della conquista franca si ebbe un profondo cambiamento della Gallia settentrionale. Come si può trovare negli scritti di Gregorio di Tours, morto nel 594, la Gallia a sud della Loira rimase assai meno seriamente interessata al fenomeno: c’erano molti meno Germani. In gran parte del Sud-Ovest non c’era nessuno, i Visigoti si erano trasferiti in Spagna e anche i Franchi si stabilirono appena l’ebbero conquistata. L’aristocrazia senatoria quindi era sopravvissuta quasi totalmente, come pure nelle città del Mezzogiorno, che non erano molto cambiate dagli anni dell’Impero. Anche la vita politica continuava. La cultura letteraria rimase molto raffinata per tutto il vi secolo, cominciando a declinare soltanto nel vii. Gli aristocratici diventavano spesso vescovi, come il già ci-
Cartina dell’Europa carolingia e postcarolingia, secoli viii e ix. Si considerino con attenzione le conseguenze per la storia europea di oltre un millennio della suddivisione di Verdun.
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Massima espansione carolingia Confine occidentale del regno di Lodovico Confine del regno di Lotario Confine orientale del regno di Carlo il Calvo
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Fibula circolare decorata ad alveoli policromi, sempre visigota e reperita negli scavi della tomba 8 di Azuqueca.
società occidentale. Per quanto riguarda la permanenza della civiltà romana oltre le Alpi dobbiamo distinguere le diverse situazioni. Nella Gallia settentrionale le radici romane erano poco profonde; probabilmente la maggior parte della popolazione aveva cominciato a parlar latino al più presto soltanto dalla metà del secolo v, con l’incompleta conversione al cristianesimo delle campagne. Lungo gli estremi confini, la cultura urbana del Mediterraneo si era diffusa appena e soltanto le più grandi città, come Treviri o Parigi, erano importanti centri economici. In quest’area, d’altronde, si era stabilita la maggior parte dei Franchi; in verità, la lingua franca rimpiazzò il latino al limitare della Gallia, nella parte romanizzata della Germania occidentale ed in parte del Belgio. Dentro queste regioni le ri-
RE
Placca rettangolare visigota di fibbia di cintura decorata ad alveoli policromi, Azuqueca, nei pressi di Guadalajara, Spagna.
talia, durante gli anni 568-605, che fu così caotica che ancor oggi non si riesce chiaramente a capire come sia avvenuta. Il danno compiuto al tessuto della società romana fu in proporzione più o meno inverso alla facilità della sua conquista: da un lato possiamo vedere che l’Italia ostrogotica procedette per lungo tempo come una semplice continuazione dell’Impero, come pure con minor successo la Spagna visigotica; dall’altro lato sia nella Gallia settentrionale, conquistata dai Franchi, sia nell’Inghilterra anglosassone, quasi tutti gli aspetti della civiltà romana sopravvissero soltanto in frammenti. Quanto poi all’Italia longobarda, sebbene fosse un territorio dove il permanere romano ebbe un grande rilievo, da un punto di vista sociale vi si trovavano caratteristiche completamente diverse dal mondo ostrogotico. Se inoltre si aggiungono a questi contrasti più larghi le grandi differenze delle singole società di ciascuna provincia romana, diventa assai chiara la grande difficoltà che si trova per poter descrivere adeguatamente la natura della sopravvivenza romana e l’integrazione dei popoli germanici nella
A
Le popolazioni germaniche avevano occupato le province del l’Impero d’Occidente con la forza, ma non tutte con le stesse modalità. Gli Ostrogoti conquistarono l’Italia con relativa facilità mediante un’azione militare durata quattro anni (490-494); probabilmente non fecero gravi danni, eccetto nel territorio davanti a Ravenna. Clodoveo completò la conquista di gran parte della Gallia in due decenni (486-507), forse in meno di sei campagne; mentre i primi re franchi – insignificanti – avevano combattuto contro i Romani, lungo i confini settentrionali della Gallia, in modo frammentario durante un secolo, prima che Clodoveo li unificasse tutti con la forza verso la fine del v secolo. Per non parlare della conquista di due terzi dell’I-
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11. Caratteristiche
(OMAYYADI)
Gaeta
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Capitolo undicesimo
tato Gregorio, ma potevano anche essere generali dell’esercito, che era principalmente formato da romani, a differenza delle altre regioni dell’Occidente. L’autorità franca era riconosciuta, i re esercitavano il loro potere, ma la società cambiò molto lentamente. Nell’Italia longobarda, probabilmente, la rottura fu più netta. Si dice di alcuni re e duchi longobardi molto ostili verso i possidenti fondiari romani, molti dei quali probabilmente fuggirono; lo affermava due secoli dopo Paolo Diacono, ma la sua fonte non è cristallina. Tuttavia la società e le istituzioni romane erano radicate assai più profondamente che nella Gallia settentrionale, e i suoi Longobardi erano relativamente pochi – si suppone che fossero un ventesimo della popolazione italiana. In tal modo non c’è da sorprendersi che i capi longobardi si fossero rapidamente insediati nelle città italiane e avessero adottato un modo di vivere romanizzato; nel secolo
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Elsa di spada longobarda e sigillo di re longobardo.
Caratteristiche civili e giuridiche
viii,
da quando cioè si cominciò ad avere più informazioni del l’Italia longobarda, si potevano trovare numerosi proprietari terrieri con nomi romani, anche se sopraffatti come numero da quelli di nome longobardo; le caratteristiche dell’amministrazione e delle società urbane sembra dovessero molto alla loro origine romana. Il permanere delle città come importanti centri politici e sociali, e come punti focali per la popolazione, è un buon indice del mantenimento delle strutture sociali dell’Impero romano. In Italia sopravvissero bene, specie nelle terre di maggior influenza longobarda, Pianura Padana e Toscana settentrionale, come pure nel territorio bizantino della Romagna; le aree in cui furono più deboli erano gli Appennini, in particolare quelli meridionali, la maggioranza dei quali rimasero bizantini; la continuità aveva a che fare più con il benessere dell’economia agricola locale che con la presenza dei Longobar di. Perfino nelle aree più germanizzate dell’Impero, i capi delle tribù adottarono velocemente un aspetto della società romana: il possesso della terra. Gli aristo-
cratici franchi e lombardi – e, in verità, anche quelli visigoti ed anglosassoni – erano grandi proprietari terrieri o, presto, divennero tali. I contadini dipendenti (tenants) e schiavi, che fossero Germani o (più spesso) romani, difficilmente considerarono che la società fosse di molto cambiata con i nuovi padroni. L’assunto della gerarchia sociale romana, cioè che ci fossero ampie differenze di ricchezza e di status politico-legale fra ricchi e poveri, fu presto adottato dai Germani. Legalmente, Franchi e Longobardi erano tutti uguali, ma in realtà essi ebbero un’aristocrazia: dall’viii secolo ciò fu riconosciuto attraverso le distinzioni giuridiche che erano strettamente connesse al possesso della terra, esattamente come era stato ai tempi di Roma. La maggiore differenza era che la loro importanza poli-
Carlo Magno e il figlio Pipino in una pergamena del x secolo, foglio del Liber legum di Lupo di Ferrière, Modena, Bibioteca capitolare, Ord. i 2.
tica trovava origine dall’essere capi militari, conti (in Gallia) e duchi (in Italia), e non dall’essere dignitari civili: l’esercito era diventato il fondamento dello Stato. Questa era una caratteristica germanica, ma è significativo che i Romani nella Gallia meridionale e nell’Italia bizantina si fossero molto militarizzati; la società era divenuta ovunque più semplice, e c’era molto da combattere fra gli stati e, talvolta, persino tra le città. Le nuove aristocrazie militari del vii e dell’viii secolo erano molto differenti dalle aristocrazie senatoriali del vi secolo; esse erano meno interessate alla cultura classica e spesso analfabete; i loro discendenti sarebbero diventati i signori feudali dei secoli xixii. I loro antenati, però, frequentemente erano stati parimenti senatori. Il cambiamento era motivato in parte dal crollo dell’organizzazione dello Stato romano. I re germanici avrebbero voluto preservare l’apparato dell’Impero, perché avrebbero ricevuto più potere e, attraverso il fisco, più ricchezza. Re ambiziosi, come il visigoto Ataulfo, l’ostrogoto Teodorico, il franco Clodoveo, si videro come i veri eredi degli imperatori.
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Capitolo undicesimo
Ma il sistema tributario si spezzò con la pressione delle invasioni. Gli Ostrogoti lo mantennero efficacemente, ma rapidamente decadde nella Gallia franca, e scomparve intorno alla metà del secolo vii; i Longobardi non imponevano nessuna tassa, eccetto i dazi sul commercio. Invece i re derivavano la loro ricchezza dalle loro stesse terre. Non possedevano denaro sufficiente per avere un esercito salariato o, eventualmente, anche una burocrazia salariata. A dire il vero, al di fuori dell’Italia, la stessa organizzazione della burocrazia era debole, per cui Franchi e Visigoti avevano rilevato non l’amministrazione centrale, quanto quella locale dell’Impero; persino i Longobardi non entrarono mai in possesso delle capitali dell’Occidente, Ravenna e Roma, ed avevano a che fare con uno stato fondato sull’amministrazione locale delle città che controllavano. Il ri-
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Evangeliario di Ottone iii, omaggio delle province dell’Impero al sovrano in trono. Monaco, Clm. 4453, foll. 23v, 24r.
Caratteristiche civili e giuridiche
sultato di questa situazione fu il fondare sulla terra gli obblighi militari, cosicché il governo militare e la responsabilità amministrativa locale finirono nelle mani dei grandi possidenti fondiari, in alcuni casi, soprattutto Gallia e Italia bizantina, con l’aiuto della Chiesa. La terra divenne la sorgente diretta del potere politico, e potere politico e potere militare divennero virtuali sinonimi. Quel che alcuni storici hanno chiamato il mondo feudale cominciava a delinearsi con una certa chiarezza intorno ai secoli vii e viii. Il campo giuridico ci mostra con eloquenza quanto gli stati germanici assunsero dall’Impero romano. I re germanici avevano legiferato molto presto per i loro sudditi: il primo codice visigoto rimasto, quello di Eurico, è datato intorno al 475, e la prima versione della franca Lex Salica è datata intorno al 505. Ciascuna di queste leggi, eccetto quelle dei re anglosassoni, era stesa in latino, un fatto che già di per sé mostra l’influenza dei valori romani. Alcuni di questi codici hanno contenuti ovviamente molto influenzati dalla legge romana, come nel caso dei Visigoti e dei Burgundi; le leggi
franca e longobarda sono molto più germaniche. I Franchi e i Longobardi, ma non (come ora si pensa) i Visigoti, legiferavano solo per i loro sudditi, non per i Romani, ma la mancanza di elementi romani nei testi nondimeno è chiara. D’altra parte, sotto certi aspetti, la legge longobarda mostra più influenze romane di quante ne mostri la legge franca. La Lex Salica è espressa molto semplicemente, e non cerca di coprire tutte le regole di cui la società franca aveva bisogno per funzionare. È chiaro che molte cause legali erano lasciate alle comunità locali e, probabilmente, ai signori locali. L’Editto di Rotari del 643, il testo giuridico fondamentale dei Longobardi, è molto più lungo e sistematico, e le leggi dei successori di Rotari, soprattutto Liutprando (712-744), potevano essere complesse e ingegnose;
Situla esagonale in avorio e gemme. Aquisgrana, Domschatz.
in misura maggiore delle leggi dei Franchi, queste erano destinate all’uso dei tribunali pubblici più o meno di modello romano, e siamo in possesso di documenti giuridici che testimoniano il loro uso in questo senso. I re franchi, quando decretavano le leggi, poteva sembrare che semplicemente fingessero di essere Romani. Nell’Italia longobarda, nonostante la forza della tradizione germanica, molte delle strutture amministrative delle città romane sopravvissero, e i re longobardi ne fecero grande uso. Intorno al 750, l’Italia longobarda era probabilmente il più raffinato ed evoluto tra i regni germanici sopravvissuti (i Visigoti erano appena stati conquistati dagli Arabi). Come risultato, quando Carlo Magno conquistò quasi tutte le popolazioni dell’Europa continentale e diede inizio alla grande serie delle riforme culturali e amministrative che, sotto molti aspetti, riunificarono la società aristocratica europea, fu dall’Italia che prese molte innovazioni. Il mondo franco del Nord e il mondo longobardo-romano del Sud stavano per creare una nuova sintesi.
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12. L’età
delle invasioni (secoli vi-viii).
I popoli, in prevalenza germanici, che tra il v e vi secolo disgregano a ondate successive l’unità dell’Impero romano, atomizzandone le strutture sociali e culturali, segnano l’irrompere di costumi, saperi artigianali e orientamenti estetici completamente diversi da quelli radicati nell’orizzonte mediterraneo. Senza voler necessariamente ricorrere, in un diverso contesto, al paradigma della “tesi Pirenne”, si pensi alla reintegrazione dell’uso – da tempo abbandonato – dell’inumazione dei defunti con il corredo, a identificazione del loro rango sociale, o all’assenza di esperienze edilizie in gruppi di forte connotazione nomadica. La loro scarsa forza numerica, d’altra parte, e l’insuperato primato della civiltà classica, di cui Bisanzio era divenuta di fatto fulcro ed erede, ne favorirono l’assorbimento – più o me-
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Fermaglio di borsa anglosassone, dagli scavi di Sutton Hoo, Londra, British Museum.
L’arte
no rapido e profondo a seconda delle situazioni – con scambi fruttuosi di esperienze, come emerge soprattutto nel caso dell’oreficeria, con la quale si manifesta quella propensione verso le arti suntuarie (per nulla “minori”, come la critica rinascimentale riterrà di classificarle, subordinandole alle “maggiori”) che costituisce una delle cifre fondamentali della produzione artistica dell’incipiente Medioevo. Ne sono testimonianza flagrante la tomba, eccezionalmente ricca, di un principe sassone a Sutton Hoo (Suffolk), o quella, ritrovata a Tournai, del padre di Clodoveo, Childerico i (morto nel 481), che restituì, tra altri preziosi oggetti (in gran parte rubati nel 1831), i resti del manto di seta purpurea ornato da oltre trecento api e cicale d’oro, simbolo d’immortalità. La regina Teodolinda, moglie del re longobardo Agilulfo, fondando alla fine del vi secolo la basilica palatina di Monza dedicata a san Giovanni Battista, la dotò di uno straordinario complesso di suppellettili liturgiche, tra le quali spicca la legatura di Evangeliario (forse a sua volta donatale da papa Gregorio Magno), formata da
due valve d’oro decorate con smalti policromi e cammei antichi, di equilibrio compositivo ancora sostanzialmente “classico”. Corone votive e croci in oro (oggi divise tra il Museo Arqueológico di Madrid e il Musée de Cluny a Parigi) vennero ritrovate nel 1859 a Guarrazar presso Toledo, offerte a una chiesa della capitale visigota dai sovrani Suintila (621-631) e Recesvinto (649-672). Il comune credo religioso cristiano induce alla concentrazione dell’interesse delle élite di potere, che proseguono una consolidata tradizione di evergetismo, sugli edifici di culto che, pur non potendo più aspirare ai raggiungimenti strutturali ed estetici delle età precedenti, guardano a questi (ad esempio nel caso del battistero di Poitiers) come privilegiato modello. La perduta sicurezza dei trasporti e l’abbandono dello sfruttamento delle cave di marmo hanno come immediata conseguenza il ricorso in modo massiccio al legno e ai materiali “poveri”, nonché ai monumenti antichi come a vere e proprie “cave” da cui trarre materiali eterogenei da coordinare in una
Angelo, particolare di Maria con il Bambino, miniatura dal Libro di Kells, Irlanda, fol. 7v. Chioccia con i pulcini. Vassoio e sculture a tutto tondo in metallo dorato, occhi di pietre incastonate. Secoli vi-vii; si veda il Vangelo di Matteo: «Ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini». È quindi immagine della Chiesa che raccoglie i fedeli. Monza, Museo del Duomo.
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Capitolo dodicesimo
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Santa María di Quintanilla de las Viñas. Arco trionfale: le due grandi impostecapitello raffigurano a sinistra la luna-Chiesa e a destra il sole-Cristo.
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La cartina indica i principali siti citati nel testo.
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La chiesa di San Pedro de la Nave mostra l’articolazione di una pianta a croce greca con una triplice navata di tipo basilicale sul lato occidentale.
Un’esperienza singolare è costituita dall’arte detta “insulare” (delle isole britanniche e dell’Irlanda), caratterizzata da un’originale produzione di croci monumentali in pietra e soprattutto dalla decorazione del libro (Libro di Kells, di Lindisfarne, di Durrow) che costituirà una delle radici della “rinascenza carolingia”.
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Nell’interno dell’edificio è conservata la decorazione scultorea originale, con i quattro capitelli posti sulle colonne all’incrocio dei bracci della croce.
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Esempio di imposta decorata caratteristica delle chiese visigote.
ze a tutta evidenza impoverito e semplificato. Roma, come in parte Ravenna, costituisce in questo panorama un’eccezione, un’“isola” bizantina nella quale proseguono senza soluzione di continuità pratiche raffinatissime di decorazione ad affresco e a mosaico (oratorio di Giovanni vii). Come il ruolo dell’oreficeria è limitato in sostanza alla suppellettile ecclesiastica, così quello della scultura lo è all’arredo liturgico (lastre d’altare, plutei e transenne), al quale oggi è spesso affidata la sola memoria delle costruzioni scomparse. Il rilievo plastico delle forme si riduce sino a dissolversi nel puro segno grafico dell’incisione, imparentato dunque alla produzione epigrafica (sono le stesse botteghe a realizzare entrambi), e ibridato con il sostrato locale. In ambito visigoto si assiste nel vii secolo all’affermazione di una vera e propria scultura monumentale (San Pedro de la Nave, Zamora; Quintanilla de las Viñas), che precede di poco l’invasione musulmana (711), il secondo decisivo strappo nei confronti dell’antico assetto geopolitico.
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nuova grammatica espressiva, o semplicemente da riutilizzare (molta statuaria antica finì nei forni per ricavarne polvere di marmo, base per lo stucco). Un documento particolarmente significativo è costituito da un testo normativo inserito nel corpus delle leggi longobarde noto come Editto di Rotari (vii secolo), sorta di articolato tariffario di maestranze edilizie menzionate come “magistri comacini” (di Como? Oppure “cum machinis”, abituate cioè a lavorare sulle impalcature?), polifunzionali e polivalenti, operanti in un contesto di competen-
L’età delle invasioni (secoli vi-viii). L’arte
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13. Le Rinascite
nel
Medioevo
La storia del Medioevo occidentale si può considerare come una serie di “rinascite”. La “rinascita” è ormai una categoria storiografica: momento in cui elementi di un passato recuperato rigermogliano in nuove situazioni e divengono strumento per soddisfare bisogni epocali.
Prima della rinascita “carolingia” Dall’occupazione dei popoli germanici (dal iv secolo) alla definitiva rottura dell’unità romano-cristiana del Mediterraneo con l’avanzata dell’Islam (secoli vii-viii), la cultura dell’Occidente subisce gravi arretramenti, ma tra i secoli v e vii, radicandosi, con intensità e tempi diversi, il cristianesimo nelle varie regioni nord-occidentali, si costituisce tra Irlanda e Roma
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Sacramentario di Drogone di Metz. “Te igitur”. Parigi, Bibliothèque Nationale, ms Lat. 9428, fol. 15v.
un asse geografico come luogo di nuovi flussi e riflussi culturali. Tra i secoli vii e viii, nelle terre del Nord insulare si produce una rinascita religiosa e culturale che, grazie ai particolari e sempre più stretti rapporti con la Chiesa romana, si nutre di ammirazione per i valori della Roma cristiana e latina. I missionari irlandesi e poi anglosassoni fanno rifluire gli effetti di questa rinascita nella Gallia merovingica, poi nella Germania in corso di evangelizzazione e nelle zone longobarde. I Carolingi in ascesa politica nel regno franco, avvertendo l’esigenza di una rigenerazione non solo morale ma anche dogmatico-intellettuale del clero, aprono ulteriormente agli influssi insulari e alla romanizzazione del culto.
Rinascita carolingia Carlo Magno, conquistandosi un impero, non si lascia sfuggire l’importanza dell’apporto degli uomini di cultura
(di ogni etnia) a beneficio di una forma che stabilizzi le sue conquiste militari. La politica culturale di Carlo Magno si orienta verso: 1) l’unificazione liturgico-religiosa (privilegiando il potenziale educativo del rituale romano), 2) innalzamento religioso-culturale del clero per contrastare adeguatamente la persistente superstizione anticristiana e la non domata minaccia islamica, 3) ridare allo scritto (nell’espressione più universalmente condivisibile della lingua latina) il ruolo (già avuto nelle amministrazioni romana e merovingica) di strumento di governo. Si promuove una cultura letteraria di base (si è parlato di “rinascita grammaticale”) impartita da una rete di scuole monastiche o cattedrali disseminate in tutto l’Impero. Questa rete ha il suo luogo di eccellenza nell’“Accademia palatina” (Alcuino) dove, alla presenza dell’imperatore stesso, i vertici della cristianità dotta si confrontano e illustrano il loro sapere. A corte, dapprima domina la presenza dei sapienti italiani, poi la personalità dell’anglosassone Alcuino, infine arrivano gli Irlandesi e lo spagnolo Teodulfo. In quest’ultima fase si dà
grande impulso allo studio delle sette arti liberali (trivio: grammatica, retorica, dialettica; quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia) e la biblioteca di Aquisgrana si arricchisce dei libri più rari. Tutta questa rinascita ha una continuità e un affinamento nei successori di Carlo Magno, nonostante la divisione dell’Impero e le lotte tra i figli di Ludovico il Pio. Il principe carolingio più colto, chiamato anche “imperatore filosofo”, fu Carlo il Calvo, imperatore nell’875. Epoca postcarolingia A proposito del x secolo, ci si è chiesto se sia stato un “secolo di ferro” o di rinnovamento. Nonostante tutto (la crisi
Il re Davide principale autore dei salmi, emblema del legame fra rinascita culturale e potere regale in età carolingia. Salterio del ix secolo. Angers, Bibliothèque Municipale, ms 18-14.
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Capitolo tredicesimo
politica dell’Impero, la crisi del Papato, l’affermazione di potentati regionali che sempre più tolgono ossigeno alle strutture e funzioni ecclesiastiche, i saccheggi e le nuove invasioni di Normanni, Arabi, Ungari), si può parlare di un’altra rinascita che vive dell’eredità carolingia in un contesto sicuramente molto diverso. Eccone alcuni volti: 1) la vita monastica, compromessa da saccheggi e dai giochi dei poteri locali, torna a
La badessa di Essen (973-1011) Matilde è raffigurata con il fratello Ottone dentro un prezioso riquadro nel cosiddetto primo Crocifisso di Matilde. Essen, Domschatz. Statua di Santa Fede. Conques, Tesoro dell’Abbazia.
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Ildegarda di Bingen, grande e coltissima mistica del xii secolo. Iconografia dell’opera Scivias. Quinta visione della prima parte: la Sinagoga trattiene nelle braccia Mosè che porta le Tavole della legge e nel suo ventre Abramo con il figlio Isacco e i profeti. Sulla testa porta un diadema che richiama l’aurora.
Le Rinascite nel Medioevo
rivivere in molteplici nuove forme preoccupate di sottrarsi ad ogni potere che possa asservirla e snaturarla; 2) la promozione della cultura e il mecenatismo di imperatori e vescoviconti del rifondato Sacro Romano Impero Germanico, inaugurati dalla casa di Sassonia e proseguiti fino alla morte di Enrico iii (1056); 3) il risveglio della vita urbana e mercantile nel Nord Europa (Lotaringia, Franconia) che crea le condizioni per lo sviluppo successivo di nuove scuole vescovilicittadine, caratterizzate in modo profondamente diverso da quelle monastiche.
Secolo xi Se la rinascita culturale carolingia e post-carolingia fu essenzialmente “grammaticale”, cioè letteraria, appena venata di interessi scientifici (secondo un asse che dalla Spagna mozarabica raggiungeva la Germania ottoniana e il regno an-
glosassone), la novità dell’xi secolo è rappresentata da uno spirito maggiormente disputativo-razionalistico: si è parlato di una “rinascita della dialettica” dentro la cornice di un profondo rinnovamento religioso popolare antifeudale. I responsabili ecclesiastici diventano sempre più coscienti che la funzione sacerdotale non può più essere subordinata ai meccanismi di un potere feudale sacralizzato. In questo momento è forte la spinta verso una cultura disputante e desacralizzante (nel senso di un ripensamento delle forme del sacro vigenti). Le discipline emergenti sono il diritto (con le connesse tecniche interpretative e argomentative) e la dialettica, il cui studio tra viii e xi secolo si è affermato molto lentamente, ed ora è considerata come una grande risorsa per la determinazione del vero. La dialettica, in funzione di un ripensamento del
Cameo raffigurante Lotario ii, pronipote di Carlo Magno, parte centrale del Crocifisso detto di Lotario, Aquisgrana, Domschatz.
sacro, genera qualche intemperanza e soprattutto un’ampia riflessione sui limiti dello stesso strumento dialettico nella sua applicazione al dogma. Anche sul versante del quadrivio e della medicina, si valorizzano le acquisizioni che sempre più filtrano dal mondo arabo.
Secolo xii Nel xii secolo, sullo sfondo di un grande slancio dell’economia mercantile, c’è una rinascita religiosa. I Cisterciensi fanno risorgere lo spirito originario della Regola di Benedetto e considerano i doveri del monaco come una “scuola di carità” che insegna l’unificazione interiore e il progresso nell’amore liberante di Dio. La rudezza del “nuovo monastero” è trasfigurata dalla forza del desiderio e asseconda un culto interiore in cui il monaco si sente coinvolto personalmente nella storia d’amore narrata nel Cantico dei
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Capitolo tredicesimo
Cantici (quintessenza di tutta la storia salvifica). Bernardo e altri scrittori cisterciensi nella frequentazione di questo libro manifestano lo stesso bisogno di sapienza poetica. Nei Certosini rinasce l’orientale lumen (luce d’Oriente), la vita solitaria degli anacoreti del iv secolo in Egitto; Ildegarda di Bingen, Elisabetta di Schönau, Gioacchino da Fiore, con l’autorevolezza riconosciuta dei loro doni visionari e interpretativi, con forza riportano in primo piano la funzione di guida spirituale degli antichi profeti. Rispuntano le tentazioni manichee nel popolo eretico dei Catari, e l’idea di una storia guidata non dall’istituzione ma dallo Spirito fa rinascere in forme diverse le tensioni ereticali dei primi
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xiv secolo, Giovanni Boccaccio, Decamerone, Giorno 1 Novella, 7, fol. 25v. «Bergamino con una novella di Primasso e dell’abate di Gligno onestamente morde una avarizia nuova venuta in messer Can Grande della Scala», dalle miniature del Palatinus latinus 1989, Biblioteca Apostolica Vaticana.
Le Rinascite nel Medioevo
secoli cristiani. Di fronte ai nuovi bisogni e alle inquietudini spirituali nel popolo, di fronte al diffuso «risveglio della coscienza» (Chenu), vi è una forte ripresa dell’apostolicità delle origini cristiane che prende forma nel movimento dei canonici regolari e poi degli ordini mendicanti. Anche la rinascita degli studi, riscontrabile nella prima metà del secolo, complessa e ricca di nuovi stimoli, si fondava su alcuni bisogni di una società rinnovata: 1) dare seguito sul piano della formazione clericale (culturale, giuridica e teologica) all’esito della lotta sulle investiture che impegnò la Chiesa tra xi e xii secolo; 2) elaborare un sapere adatto a una società civile in profonda trasformazione e alla ricerca, nell’eredità dell’antichità classica, dei modelli cui ispirarsi; 3) dare adeguata espressione letteraria al «risveglio della coscienza» che esigeva nuove finezze mentali (intellettuali e sentimentali). Tutti questi bisogni condussero gli uomini del xii secolo («nani sulle spalle di giganti») a rivisitare con occhi nuovi e a valorizzare i lasciti molteplici degli antichi e ad aprirsi
alle nuove fonti filosofico-scientifiche che la seconda metà del secolo farà scoprire. Sempre nel corso del xii secolo, il movimento delle traduzioni e gli entusiasmi che l’accompagnavano rappresentano la premessa della rinascita legata allo sviluppo dell’università.
Rinascite dei secoli xiii-xiv L’ingresso in Occidente dei nuovi saperi greco-arabi, e in particolare dell’aristotelismo, crea l’esigenza di riorganizzare la dispensazione del sapere: nasce così l’istituzione universitaria e all’interno di essa si definiscono alcune aree di studio. Anzitutto quella dei singoli settori disciplinari che si riappropriano di
xiv secolo, Giovanni Boccaccio, Decamerone, Giorno 1 Novella, 7, fol. 25v., particolare.
risorse nuove, che diventano oggetto di commenti e di “questioni” dialetticamente condotte. Poi quella di una teologia che si confronta continuamente con i contenuti e con lo spirito di questo sapere estraneo alla rivelazione e si rigenera su basi solidamente scientifiche. Concentrazione su scienze e teologia “scientifica” fanno un po’ dimenticare altri aspetti della cultura profana e religiosa, cui fu invece molto sensibile gran parte del secolo xii. Retrocede «l’amore delle lettere»; Gilson parlava di «esilio delle belle lettere», soffocate dal latino scolastico della filosofia e della teologia. Un nuovo gusto per l’eleganza letteraria ritorna nel xiv secolo in Italia con Petrarca, Boccaccio, Salutati. Verso il 1375 l’attrattiva per i “classici” e l’eloquentia ritorna all’università di Parigi. Gerson si libera dalle tecniche della scrittura scolastica e «ritrova le libere forme dell’eloquenza patristica»: il nuovo culto dell’eloquenza latina (nei modelli medievali: Bernardo, Giovanni di Salisbury) sembrerà al teologo parigino Nicola di Clémanges († 1437) inseparabile da un risveglio religioso.
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14. La
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liturgia in epoca carolingia
È risaputo che nel 754, in occasione della sua incoronazione a re dei Franchi alla presenza del papa, Pipino il Breve emanò un decreto con il quale rendeva obbligatoria nel suo regno la liturgia di Roma, con la conseguente soppressione dei locali riti gallicani. A monte di questa decisione agiva una particolare lettura della disciplina liturgica considerata come fonte anche per la disciplina civile: l’unificazione, secondo il modello di Roma, della liturgia diventava infatti segno dell’unità stessa del Regno, contro ogni frazionamento particolaristico che trova anche nelle diverse tradizioni liturgiche locali una sua forma espressiva. Eliminate quelle in favore dell’uniformità, anche il frazionamento particolaristico all’interno del Regno veniva fortemente ridimensionato. Coerentemente con quest’impostazione, il vescovo di Metz, Crodegango († 766), introdusse nella sua Chiesa il canto romano e i libri liturgici romani; altrettanto fece, verso l’anno 760, per la Chiesa di Rouen il vescovo Remedio.
Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Altare maggiore. Opera di Vuolvinius, magister phaber, è nella faccia anteriore d’oro e presenta dodici scene della vita di Cristo; sulla faccia posteriore, in argento dorato, figura il più antico ciclo agiografico ambrosiano con dodici scene della vita del santo. Fu commissionato da Angilberto i, arcivescovo di Milano fra l’824 e l’859, e contiene effettivamente le reliquie del santo vescovo Ambrogio e dei martiri, i cui corpi egli volle a Milano, Gervasio e Protasio.
Carlo Magno continuò l’opera intrapresa dal padre Pipino il Breve e ne approfondì e amplificò il progetto unificante: esso aveva il suo punto di appoggio nel criterio di quella “romanità” che verrà fatta rivivere nel nome stesso del suo impero (il Sacro Romano Impero). Se dunque bisognava trovare, per così dire, un “cemento unificante” capace di unire popoli diversi per storia e tradizione, questo fu innanzitutto identificato nel diritto romano, con la conseguente soppressione delle usanze giuridiche locali (soprattutto quelle proprie della tradizione germanica); ma accanto al diritto di Roma, fu posta anche, come secondo “collante”, la liturgia di Roma: questa volta, tuttavia, lo stesso principio usato a livello locale dal padre Pipino fu progressivamente applicato da Carlo Magno a livello dell’intero Impero. Nell’attuazione di questo progetto, grande spicco ebbero alcuni ecclesiastici che coadiuvarono Carlo Magno nel campo della cultura e della politica ecclesiastica. Infatti, se si voleva unificare l’Impero attraverso l’unica e genuina tradi-
zione liturgica romana, occorreva che si procurassero i testi liturgici propri della Chiesa di Roma, in sostituzione di quelli in uso nelle tradizioni locali dei vari popoli. Carlo Magno fece allora chiedere a papa Adriano, attraverso il monaco Paolo Diacono, che gli venisse inviato un sacramentario romano immixtum, privo cioè di infiltrazioni esterne, e che si potesse quindi definire romano “puro”: tale libro liturgico sarebbe stato conservato nella cappella palatina di Aquisgrana come esemplare normativo cui riferirsi nell’attuazione della riforma. Roma tardò notevolmente a soddisfare tale richiesta, probabilmente perché un vero sacramentario romano immixtum era difficilmente reperibile e identificabile. Alla fine, papa Adriano si risolse nell’inviare quello che poteva essere considerato il sacramentario con minor tasso d’infiltrazioni esterne, e cioè il cosiddetto sacramentario Gregoriano: la redazione inviata a Carlo Magno in tale occasione fu chiamata, dal nome del papa, «adrianea». È tuttavia risaputo che la natura del Gregoriano è quella di essere un sacramentario
Trascrizione planimetrica della chiesa dalla pianta di San Gallo (830), con indicazione a tratteggio dello spazio percorribile da parte dei laici verso la tomba del santo nella cripta. Metz, cattedrale e chiesa maggiore di Saint-Pierreaux-Nonnais, ipotesi di restituzione planimetrica del coro e del podio absidale nella sistemazione del vescovo Crodegango (post 753). Questi fu uno dei grandi vescovi franchi di età carolingia.
papale, riservato cioè alla sola liturgia solenne celebrata dal pontefice in Roma. Se ne resero subito conto alla corte carolingia, dove, dopo aver ricevuto da Roma, nell’anno 785786, il sacramentario «adrianeo», dovettero constatare che non era utilizzabile per la liturgia quotidiana. Si procedette allora alla composizione di un supplemento che raccogliesse quei formulari di messe mancanti nell’esemplare inviato da Roma, ma assolutamente necessarie perché le celebrazioni lungo l’anno liturgico risultassero complete: in quest’appendice troviamo infatti una serie di messe per le domeniche e per i giorni feriali, per i comuni dei santi, per circostanze particolari o per particolari categorie di persone (per i vivi e per i morti, per il re e per i monaci, per il tempo di guerra, di siccità e di carestia). Dall’unione del sacramentario «adrianeo» e del supplemento si ottenne il germe di quello che sarà poi il Messale Romano che andrà diffondendosi in tutto l’Occidente. Paradossalmente dunque, pur essendo partita con il progetto di estendere l’unica liturgia romana attraver-
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Capitolo quattordicesimo
La liturgia in epoca carolingia
so libri liturgici di pura tradizione romana, l’operazione promossa da Carlo Magno approdò a un “ibridismo” liturgico, dove elementi romani furono accostati a elementi di tradizione germanica, oltretutto tipici di una spiritualità devozionale sconosciuta alla tradizione liturgica antica. La cosa è dimostrata proprio dalla serie delle messe quotidiane presenti nel supplemento: ogni giorno della settimana è infatti consacrato a una devozione specifica, con forte sfumatura popolare, sicché la domenica prevedeva la messa in onore della Santissima
Trinità o per chiedere la grazia dello Spirito Santo, il lunedì veniva dedicato alla penitenza e alla richiesta di remissione dei peccati, il martedì alla devozione per gli angeli, il mercoledì per domandare la sapienza o la virtù dell’umiltà, il giovedì per chiedere la grazia della carità e contro le tentazioni della carne, il venerdì era dedicato alla croce o alle piaghe del Signore, il sabato a Maria santissima. Devozioni queste talmente radicate nella pietà popolare da aver valicato i secoli ed essere giunte fino ai nostri giorni.
Coperta dell’evangeliario di Ottone iii. Monaco, Staatsbibliothek.
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I santi titolari delle prime chiese edificate nel principato croato furono di provenienza carolingia, proprio come santa Marta, seguita dai santi Ambrogio, Marcellina e Anselmo, che furono raffigurati nel reliquiario di Nona. Nona, Croazia, Tesoro della chiesa parrocchiale, già Cattedrale. Nona, Croazia, Tesoro della chiesa parrocchiale, già Cattedrale, particolare.
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15. Gli
scriptoria e la produzione libraria
La precarietà politica dell’Occidente che inizia dal v secolo non compromette immediatamente né la produzione né il commercio dei libri: nell’anno 500, almeno in Italia, il patrimonio librario dell’antichità era ancora quasi interamente disponibile. Ma i pubblici poteri e le istituzioni (a Roma nel corso del iv secolo vi erano ancora 28 biblioteche pubbliche) furono sempre meno in grado di garantire conservazione e riproduzione dei libri. Questo compito passò alla Chiesa intorno al vi secolo. Papa Agapito vuole creare in Laterano presso la sua abitazione una biblioteca e un grande centro di studi paragonabile a quello antico di Alessandria d’Egitto o a quello contemporaneo attivo, a opera dei Nestoriani, nella città siriana di Nisibe. Cassiodoro, già ministro del re ostrogoto Teodorico, divenuto monaco si ritira a Vivarium (Cala
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Libro di Durrow, doppia pagina all’inizio del Vangelo di Giovanni, foll. 192v-193r.
bria) con la sua imponente biblioteca e avvia la sua comunità alla copiatura dei manoscritti. Il libro è ormai oggetto raro e costoso, scritto non più su papiro ma su pergamena (pelle ovina) e si inventano nuove scritture (onciale e semi-onciale) perché le pagine contengano più parole. Copiare bene un libro diventa un atto, un servizio religioso; Cassiodoro riconosce al monaco amanuense una nuova dignità: «Predicare agli uomini con la mano, dischiudere linguaggi con le dita, dare in silenzio la salvezza ai mortali, e contro le insidie del demonio purificarsi con penna e inchiostro. Tante ferite a Satana quante parole di Dio scrive il copista» (Inst. 1,30). Spesso i monaci riutilizzano i fogli gia scritti dopo averne raschiato i contenuti (palinsesti oggi recuperabili con la lampada a raggi ultravioletti) per copiare i testi di loro maggiore interesse (Bibbie, libri liturgici, scritti cristiani, grammatiche) sacrificando parte della letteratura profana, ritenuta meno utile alla salvezza. Questo fenomeno durò dal 550 circa al 750. Presto (v secolo) la cultura latina appassionò i monaci irlan-
desi che trascrissero i pochi libri che importavano dalle Gallie, sviluppando una bella scrittura semi-onciale dai caratteri propri, che si mostra nelle sue forme migliori nel Libro di Kells. L’amore per la cultura latina e i libri che la veicolavano si potenziò quando (secoli vi-vii) i monaci missionari usciti dalla loro isola attivarono importanti scriptoria nei monasteri da loro fondati in Scozia e Inghilterra (Iona, Lindisfarne, Malmesbury) e sul continente (Luxeuil, Corbie, Bobbio, San Gallo). Con la rievangelizzazione degli Anglosassoni (vii secolo) un cospicuo nucleo di libri (pagani e cristiani, latini e greci) confluì costantemente da Roma (poi da altre parti della cristianità) in Inghilterra. Venivano orga-
Scriptorium irlandese. Libro di Durrow, pagina col simbolo del Vangelo di Marco. Dublin, Trinity College Library, ms a.iv.5, fol. 84v. Libro di Durrow, pagina col simbolo del Vangelo di Giovanni, fol. 191v.
nizzate autentiche spedizioni per procacciarsi libri sul continente, come per esempio quelle di Benedetto Biscop, fondatore dei monasteri gemelli di Wearmouth (674) e Jarrow (682). Nei secoli vii-viii le opere di Aldelmo e Beda il Venerabile rivelano una considerevole presenza di opere cristiane e classiche, documentate da una produzione scrittoria indigena (prima in onciale, poi in minuscola). Sul continente (particolarmente in Italia) guerre, incendi e saccheggi, fuga forzata dei monaci (Montecassino, per esempio, è abbandonato dal 580 al 720) provocarono nel vii secolo l’interruzione della cultura scrittoria ereditata dall’antichità, che poté riprendere solo nell’viii secolo nei toni minori delle scritture corsive. Sulla scia dell’irlandese Colombano, tra vii e viii secolo, i missionari anglosassoni Villibrordo (dalla Northumbria) e Bonifacio (dal Wessex) e i loro successori fino al ix secolo esercitarono un influsso sul continente, particolarmente sulla Chiesa franca e in Germania, dove sorsero le sedi episcopali di Magonza e Würzburg e una costellazione di monasteri (tra
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Capitolo quindicesimo
Gli scriptoria e la produzione libraria
Libro di Kells, ms a.i.6 (58), fol. 200r: lista dei nomi ebraici, Biblioteca del Trinity College di Dublino.
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L’evangelista Matteo. Il fascino dell’ellenismo ispirò ai committenti carolingi la produzione di opere che riprendono direttamente lo stile pittorico e iconografico della tarda antichità. Vangeli dell’incoronazione. Vienna, Hofburg, Weltliche Schatzkammer, fol. 15r.
At
no ea
scrittura destinata a rimpiazzare tutte quelle “scritture nazionali” che erano derivate, in forme più o meno calligrafiche, dall’antica corsiva romana (minuscole “visigotica”, “beneventana”, “merovingica”): essa fu poi chiamata minuscola carolina, il suo prototipo è la Bibbia dell’abate Mordrammo di Corbie (772-780) e il suo successo fu dovuto alla politica di Carlo Magno e successori e perdurò fino al xii secolo. Non a caso, mentre ancora il suo Impero si andava costruendo, Carlo Magno conferì la leadership dell’organizzazione culturale all’anglosassone Alcuino, originario di York, dove vi era uno dei più ingenti e accurati depositi librari dell’epoca. Nella corte imperiale si formò una straordinaria raccolta di opere classiche, il cui prezioso elenco è conservato in un ms. di Berlino (Diez B. 66). Dallo scriptorium della palatina uscirono copie che andarono ad arricchire le principali abbazie dell’Impero che a loro volta scambiavano libri copiati nella nuova e leggibilissima scrittura carolina con altre abbazie. I principali scriptoria carolingi furono: Tours, Fleury,
Oc
cui Fulda, Hersfeld) che divennero subito importanti centri di raccolta e di diffusione di libri. «Gli Anglosassoni portarono con sé una scrittura, libri, una mentalità liberale e il principio che una biblioteca ben fornita e strutturata fosse alla base dell’istruzione ecclesiastica» (Reynolds e Wilson). Opere antiche (classiche e cristiane) introvabili sul con tinente ricominciano a circolare perché riprodotte e conservate nei centri inglesi. Negli stessi anni, dalla Spagna visigotica spodestata dall’arrivo degli Arabi, giungono in Germania i fondatori dei monasteri di Reichenau e Murbach. Alla vigilia della rinascita carolingia si viene formando una nuova
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Iona Lindisfarne Jarrow Wearmouth York
Ferrières, Auxerre, Lorsch, Reichenau, San Gallo, Fulda. I testi non furono solo copiati, ma anche riletti ed emendati con cura filologica: progressivamente si desiderò avere non solo copie di opere sconosciute, ma anche le copie più accurate, calligrafiche e decorate da miniature di grande raffinatezza e da coperte preziose. Con il declino politico dei Caro lingi, andò in crisi anche la produzione libraria che riprese in epoca ottoniana (x secolo e soprattutto con Ottone iii) grazie agli scriptoria non solo dei monasteri ma anche di prestigiose sedi vescovili. Il monachesimo modellato su Cluny ristabilisce una rete internazionale di relazioni intermonastiche a be-
Oxford Malmesbury Corbie Hersfeld Parigi Magonza Fulda Würzburg Tours Murbach Lorsch Auxerre Reichenau Luxeuil San Gallo Cluny Bobbio Fleury Bologna Montecassino
La cartina indica i luoghi principali citati nel capitolo.
Vivarium
Mar Medi terra n
Incipit del Vangelo di Marco. Vangeli dell’incoronazione. Vienna, Hofburg, Weltliche Schatzkammer, fol. 77r.
eo
L’Assunzione di Maria, in Vite di santi, proveniente da Jumièges, fol. 4. Rouen, Bibliothèque Municipale, ms Y 109.
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Capitolo quindicesimo
neficio del commercio e della produzione librari. Sotto il profilo del recupero e della conservazione di importanti classici latini, il più grandioso avvenimento dell’xi secolo fu lo stupefacente risveglio culturale e artistico di Montecassino soprattutto sotto l’abate Desiderio (1058-1087). Nel xii secolo ai monasteri si affianca il grande sviluppo delle scuole cattedrali e cittadine, portatrici di una cultura più dinamica e specializzata (con interessi più marcati per il diritto, la medicina, la dialettica, il quadrivio, la letteratura “allegorizzata” o “moralizzata”); la cultura strettamente ecclesiastica si apre sempre più all’“umanesimo”: nei palinsesti i classici appaiono più di frequente nella scrittura superiore. Per dare un’i-
Lucio Anneo Seneca, Le Tragedie, manoscritto di scuola bolognese. Milano, Biblioteca Ambrosiana.
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Omilario, fol. 1: lettera iniziale ornata. Epinal (Alsazia, Francia), Bibliothèque Municipale, ms 65.
Gli scriptoria e la produzione libraria
dea dell’incremento del lavoro degli amanuensi (monastici e capitolari) in questo secolo: per scrittori come Ovidio e Seneca «abbiamo un numero di codici 4 o 5 volte maggiore rispetto alla totalità dei secoli precedenti» Negli ultimi decenni del xii secolo si guarda, come a novità da ricercare avidamente e ricopiare, ai testi della scienza e della filosofia greco-araba tradotti in latino che la cultura universitaria del secolo xiii riprodurrà con nuove metodologie. Con l’inizio del Duecento gli scriptoria in maggior parte sono secolari, se non laici, in una logica commerciale, sottoposti alla concorrenza e alla moda. Fin dal secolo xii (ancora a partire dalla Francia del Nord) la scrittura carolina cede il passo alla gotica: c’è una gotica corale, per i libri liturgici e di lusso, e c’è una gotica universitaria che interpreta le esigenze degli studiosi che popolano le università e gli studia dei nuovi ordini mendicanti (scrittura serrata che si avvale di molte abbreviature convenzionali). Ogni centro di studio caratterizza il proprio stile di scrittura: Bologna elabora la littera bononiensis,
Parigi la parisiensis, Oxford l’oxoniensis. Negli ambienti universitari, l’accresciuto bisogno di libri ne condiziona la fattura: vi concorrevano tante competenze specializzate (preparazione delle pergamene, scrittura, decorazione, legatura) che dovevano provvedere a una rapida produzione in serie. Chi era interessato ad avere una copia si rivolgeva allo stazionario presso il quale l’autore aveva depositato la propria opera, trascritta a pezzi (peciae) di testo, ognuno corrispondente a un fascicolo di pochi fogli, venduti a tariffa. I grandi ordini mendicanti, soprattutto per dotare adeguatamente le biblioteche dei loro numerosi studia provinciali e conventuali, moltiplicarono gli effetti della produzione universitaria con loro laboratori di scrittura. Nel contesto universitario diventa più frequente la proliferazione dei testi teologici, filosofico-scientifici, giuridici e Bible moralisée. Particolare. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 166, fol. 18v.
molto meno attiva la ricopiatura dei classici e delle loro versioni in volgare, più richieste dal pubblico colto aristocratico e alto-borghese. Questo pubblico fu anche destinatario negli ultimi secoli del Medioevo di libri d’ore e salteri splendidamente miniati, bibbie moralizzate, libri di viaggi, opere letterarie illustrate dei moderni scrittori in volgare. Altri fatti degni di nota: si diffonde nel Trecento l’uso della carta che abbassa i prezzi del libro, facilita la lettura e la ricopiatura personali; i librai, per sostenere la concorrenza, sostituiscono le scritture librarie con le scritture documentarie (delle cancellerie e dei notai) che creano un vero e proprio caos che fa rimpiangere la leggibilità della minuscola carolina. L’intol leranza si cominciò a manifestare con il Petrarca, ma il vero creatore della lettera antica (antico nome dell’umanistica rotonda) fu, verso il 1400, l’umanista Gian Francesco Poggio Bracciolini, che interpretò le forme della carolina, in cui si trova riscritta la maggior parte dei classici dal ix al xii secolo, come la scrittura degli antichi Romani.
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16. Scuole e metodo d’insegnamento nel Medioevo 1. Allo sfaldarsi della struttura scolastica romana, e nella situazione nuova che si viene creando con gli accessi di altri popoli, la scuola passa – si potrebbe dire – dallo stato laicale a quello cristiano: nell’area della Chiesa, che di fatto raccoglie l’eredità classica precedente, si costituiscono nuovi luoghi culturali: il monastero, la cattedrale o l’episcopio, il presbiterio. Veramente, l’originalità cristiana non manca di temere alterazioni da parte di un sapere nato pagano, e una forma di sospetto o di cautela ci sarà sempre. Riferimenti e modelli nella dialettica con la cultura pagana saranno soprattutto Agostino, Boezio, Cassiodoro, Isidoro, Gregorio: tutti all’origine della “nuova cultura cristiana” e tutti maestri del Medioevo più avanzato.
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2. Al principio della teoria della scuola cristiana e della sua applicazione, particolarmente il De doctrina christiana (ii, 40) di Agostino, che conferisce precisa e indiscussa finalità alle “arti”, disponendole in funzione della Scrittura, os-
sia del Libro per eccellenza, su cui condurre la lectio, ossia l’insegnamento. Insegnare significherà nel Medioevo legere; questo varrà non solo per l’insegnamento della sacra doctrina, ma per ogni disciplina, dalla lingua latina, al diritto, al-
La sacerdotessa Diotima di Mantinea insegna a Socrate la dottrina dell’amore. Diotima è un’invenzione dell’arte poetica di Platone; egli raffigura una maschera emblematica della maestra che insegna le verità ultimative con cui Socrate ironicamente si nasconde e insieme si rivela. Un antico bassorilievo proveniente da Pompei, i secolo d.C., conservato al Museo archeologico di Napoli. I sette filosofi è un mosaico del i secolo d.C. proveniente da Pompei, conservato al Museo archeologico di Napoli. Gli studi più recenti hanno accertato che si tratta della scuola platonica: il primo personaggio rappresenta Eraclide Pontico, nell’atto di tenere un discorso; segue Speusippo, nipote di Platone e suo successore; viene dunque Platone stesso, che indica il globo celeste; in alto un personaggio ospite; vengono poi Eudosso di Cnido, Senocrate (secondo successore di Platone) e Aristotele, in atteggiamento polemico, pronto a rispondere.
la medicina. Secondo il progetto agostiniano, ormai l’unica sapienza è quella cristiana: le competenze classiche, quelle racchiuse nel trivium (grammatica, retorica, dialettica) e nel quadrivium (aritmetica, geometria, musica, astronomia), vanno usate nella misura della loro utilità all’intelligenza del testo biblico, nella sua “lettera” (littera), nel suo “senso” (sensus), nella sua “sentenza” (sententia), o giudizio, come diranno più avanti i medievali. Del resto il libro della Scrittura, e propriamente il Salterio, farà da “sillabario”: su di esso i fanciulli impareranno a leggere e acquisiranno «una prima educazione religiosa e morale» (Riché). «Per il maestro dell’Alto Medioevo non ci sono frontiere tra la formazione umana religiosa e intellettuale dei fanciulli: egli è insieme educatore e professore» (Riché): Paolo Diacono, Commentario alla regola, foll. 2v e 3; San Benedetto e l’abate Giovanni (a sinistra); Cristo tra i simboli degli evangelisti e gli angeli in adorazione. Montecassino, Biblioteca dell’Abbazia, ms 105.
aspetto formativo globale, questo, che è indubbiamente uno dei valori che appartengono connaturalmente all’orizzonte dell’insegnamento programmato dall’istituzione ecclesiastica medievale. 3. Le conseguenze di questa prevalenza delle “arti” e di questo convergere del sapere nella Chiesa, col suo unificarsi specialmente nella Scrittura, saranno, da un lato, l’identificazione tra il «mondo colto» e il «mondo dei chierici» (Congar) e, dall’altro lato, l’inadeguatezza dello schema in cui si costituisce e si trasmette il sapere: il cerchio delle “arti” si rivelerà sempre meno adeguato rispetto alle esigenze dei contenuti della filosofia; verrà quindi «ritardato il fiorire della filosofia a vantaggio della scienza sacra e, nel campo del sapere profano, a vantaggio delle arti liberali» (Van Steenberghen). La ristrettezza dei confini del trivio e del quadrivio si farà soprattutto sentire quando l’ingresso di Aristotele in Occidente sarà completo.
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4. Quanto ai luoghi dell’insegnamento nell’area a configurazione ecclesiastica, ricordiamo: – la scuola monastica, – quella episcopale, intorno alla cattedrale, – quella presbiterale, intorno alla “pieve”, – quella che si svilupperà, ancora a regìa e a direzione di monaci di grande levatura, presso il “Palazzo” o la corNell’immagine l’imperatore e la moglie si inchinano davanti a Maria. Carta miniata del Codex aureus di Spira, realizzato tra il 1045 e il 1046 presso l’abbazia di Echternach. Escorial di Madrid, Real Biblioteca, Cod. Vit. 17. Appartiene ai Vangeli commissionati da Enrico iii per la cattedrale di Spira.
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Isidoro di Siviglia ispira il copista di questa immagine che rappresenta la Tau che mostra la forma della croce di Cristo e passa attraverso Gerusalemme; l’Alpha e l’Omega rivendicate da Cristo per sé, come l’inizio e la fine. Sono tre fra le cinque lettere mistiche presso i Greci: inoltre la Gamma significa la vita umana, la Theta rappresenta la morte.
Scuole e metodo d’insegnamento nel Medioevo
te, «punto d’incontro degli intellettuali» (Riché), e sarà la “scuola palatina”, indice caratteristico della rinascita carolingia. 5. La scuola monastica ha un programma e una finalità ben precisi: quelli di formare dei monaci, facendo loro assimilare la Regola e la Scrittura, e avendo di mira la lectio divina, che «è più un esercizio spirituale che uno studio intellettuale» (Riché). Se è vero che l’«amore delle lettere» («amour des lettres») (Leclercq) non sarà generalmente rigettato, ma saprà anzi convivere bene col monastero, il monaco tenderà essenzialmente a nutrire e a coltivare il «desiderio di Dio» (le désir de Dieu), che è la ragione stessa della sua scelta e della sua vita monastica. I gradi in monastero sono la “lezione” (lectio), la “meditazione” (meditatio), la “contemplazione” (contemplatio). «Leggere e meditare significano più “gustare” che non comprendere» (Riché).
6. Se questo è vero per i monaci e per quanti erano “oblati”, fin dalla tenera età, in vista della vita monastica, non allo stesso modo valeva per quanti erano affidati al monastero per la cultura e l’educazione, ma con finalità differente da quella religiosa. I monasteri infatti assolsero anche, con varia vicenda, la funzione scolastica in generale, essendo, in tempi e regioni diversi, centri eminenti e unici di cultura, col risultato non solo della formazione professionale, ma anche dell’impronta formativa su quanti, secolari, avrebbero lasciato il monastero a cui non erano destinati. Grazie alla gratuità della “contemplazione” e all’ordinamento della vita secondo la Regola benedettina (Regula Benedicti), le scuole dei monasteri divennero, in un certo senso sorprendentemente, dei “centri di studio” («foyers d’études»), dotati di scriptoria, dove i testi della Dettaglio della Vergine omaggiata dalla coppia imperiale, tratto dal Codex aureus di Spira
tradizione classica e cristiana hanno ricevuto la possibilità di trasmissione, e dove arti “minori” hanno trovato incentivazione. Nel secolo viii «Beda il Venerabile [è] l’uomo più colto del suo tempo», e nello stesso secolo in Gallia «i monaci sono i soli letterati» (Riché). 7. Ma, con le scuole monastiche, luoghi di cultura e di formazione sono le scuole episcopali e canonicali, dove il responsabile è il vescovo e chi assume per lui il ruolo della responsabilità immediata dell’istruzione (lo scholasticus). Carlo Magno – che non era personalmente un modello di cultura – raccomanderà ai vescovi di istruire adeguatamente quelli che sono loro affidati, e gli storici parleranno della rinascita culturale carolingia, a vasto raggio d’influenza. Le scuole episcopali e canonicali, come quelle presbiteriali, si distinguono da quelle monastiche: esse appartengono alla città e alla civilizzazione urbana: «La
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“città” monastica rappresenta il passato, la città rappresenta l’avvenire» (Riché), e a essa sono connesse le nuove scuole, quelle “urbane”. Esattamente in prosieguo e come sviluppo delle scuole urbane – e d’altra parte con i tratti di una sua originalità – sorgerà l’università. «L’università con il suo apparato e il suo spirito nasce nelle scuole urbane e lascia alla loro routine intellettuale le scuole monastiche, rimaste solidali col conservatorismo feudale [...]. Le scuole urbane, ricolme delle generazioni che vengono alla ribalta, portano nella vita intellettuale e nell’organizzazione dell’insegnamento le stesse aspirazioni che le corporazioni e le magistrature municipali incarnavano nella vita sociale e nell’organizzazione della vita cittadina» (Chenu). In essa la fede cristiana acquisirà la condizione della scientificità, o quanto meno essa sarà oggetto del confronto con gli altri tipi di saperi e in modo tutto speciale con la figura di scienza comportata dall’ingresso della logica nuova o la dottrina del sillogismo. Si svilupperà, infatti, un nuovo metodo d’insegnamento che non si limita all’esperienza soggettiva del mistero cristiano, alla sua contemplazione, come era stato e come continuava ad avvenire nel monastero, in cui gli strumenti culturali erano ancora quelli tradizionali (la Bibbia, i Padri, la liturgia) e dove il metodo era quello della lectio divina. La sacra doctrina nell’ambito universitario, a sua volta, partirà sempre e programmaticamente dalla sacra Pagina e dalla sua “lezione” (lectio), ma a essa succederanno la “questione” (quaestio), la “disputa” (disputatio) e infine la “Somma” (summa) e tutta la materia teologica sarà investita dagli utrum, dai videtur quod non e si richiederà il respondeo o la determinatio del maestro per la soluzione. È il metodo scolastico, per il quale il pensare «è un mestiere, le cui leggi sono minuziosamente fissate», e che fa del tempo medievale il preciso opposto di un tempo sottomesso, “oscuro”, acritico.
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Prologo a Giobbe dalla Bibbia di Ripoll, Vat. lat. 5729, fol. 162v. Biblioteca Apostolica Vaticana. Nel x secolo a Ripoll dovette esistere un esemplare straordinariamente ricco che servì da modello per questa e anche per i rilievi con scene del Vecchio Testamento che figurano sul portale romanico della chiesa di Ripoll. La Bibbia obbedisce a una tradizione illustrativa europea. Il suo stile ha radici classiciste e presenta disegni tracciati con linee precise, cui sono stati aggiunti colori soavi, a volte persino tenui. Non esiste in Europa un solo codice altrettanto riccamente illustrato. Testi introduttivi e immagini dal i Libro dei Maccabei, Bibbia di Ripoll (Vat. lat. 5729, ff. 341v-342r).
17. La «rinascenza
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carolingia».
Un grande storico dell’arte del Novecento, Erwin Panofsky, invitava a resistere alla tentazione di individuare lungo l’accidentato arco cronologico del Medioevo “rinascenze” anticipatrici del Rinascimento propriamente detto, perché il rapporto con il passato classico e l’autorevolezza delle sue testimonianze non si è di fatto mai interrotto, costituendo anzi per molti secoli una sorta di fil rouge di relazioni dinamiche e complesse. Non vi è dubbio peraltro che gli anni che segnano, a partire dall’ottavo decennio dell’viii secolo, l’affermazione politica di Carlo Magno (768-814) e del suo progetto di renovatio Imperii (la riproposizione di un impero ispirato al modello romano, innervato nel cuore dell’Europa, e al tempo stesso cristiano) si pongano a emblematico capofila di tale linea, sia per quanto concerne la rielaborazione di precedenti esperienze (dalla decorazione “insulare” del libro, di vivace espressività, alle isolate “rinascenze” dell’età liutprandea e desideriana in Italia, legate agli ultimi mo-
L’arte
narchi longobardi), sia per la forza proiettiva futura, a premessa di una stagione “romanica” forse eccessivamente mitizzata. Sono anni di esplosiva vitalità edilizia: tra il 768 e l’855 si costruiscono 27 cattedrali, 417 monasteri e ben 100 residenze reali, tutti in gran parte scomparsi. L’arte carolingia d’altra parte è, innanzitutto, arte di corte, di una corte
Il Palazzo e la Cappella palatina sono i monumenti supremi dell’attività costruttiva di Carlo Magno e costituivano una novità nell’Europa a nord delle Alpi. Il tentativo di dare nuova vita alle forme dell’antichità romana che, insieme con la ripresa di tratti dell’architettura giustinianea e bizantina, costituisce la caratteristica dell’architettura carolingia, è particolarmente evidente nella ricostruzione del fronte occidentale e nella pianta. Il lungo portico collegava l’aula regia, a sinistra, con l’atrio della cappella, sulla destra. A metà circa della sua lunghezza era interrotto da una porta monumentale che dava l’accesso al palazzo. A destra in basso la ricostruzione dall’esterno della cappella palatina vista da sud.
“mobile” e itinerante, che attorno al 784-787 individua in Aquisgrana (dove già il padre di Carlo, Pipino il Breve, a causa della presenza di sorgenti termali, aveva fatto costruire una villa) un luogo particolarmente adatto per stabilirvisi. Nel 789 inizia la costruzione della cappella palatina, consacrata il 6 gennaio 805 da papa Leone iii, mentre accanto sorge il palazzo per il quale si assume un sistema modulare basato sul piede carolingio (0,333 m) e fondato su un modulo di 12 piedi (4 m), che rimanda alla Gerusalemme Celeste (Ap 21, 15-17). La cappella ha subìto ampliamenti e rimaneggiamenti (in particolare nel coro in età gotica), ma ha mantenuto sostanzialmente l’impianto originario ottagonale, coperto da cupola e circondato da un vano anulare a due piani (la tribuna del primo piano era riservata alla corte e alla loggia imperiale si accedeva direttamente dal palazzo). Secondo la testimonianza del biografo di Carlo, Eginardo, colonne e marmi vennero tratti dagli edifici di
Roma e Ravenna (il San Vitale è a tutta evidenza, insieme al San Lorenzo di Milano, uno dei modelli della cappella), a suggellare anche fattualmente il legame con l’antico. Alla metà dell’viii secolo Crodegango vescovo di Metz converte, con la Regula canonicorum, i membri del clero della cattedrale in “canonici” ai quali viene imposta una vita comune: alla domus vescovile si affiancano così i claustra destinati ai sacerdoti e ospitanti tutte le funzioni necessarie, dalle cucine al dormitorio. Tali disposizioni si diffondono con forza di legge in tutto il regno, così come si diffonde la riforma della regola benedettina di Benedetto di Aniane, tenacemente sostenuto da Ludovico il Pio che lo incarica di fondare l’abbazia di Inden-Kornelimünster presso Aqui sgrana. Un documento eccezionale di tale fervore religioso ed edilizio è costituito dal progetto di monastero, detto pianta di San Gallo, tuttora conservato nella biblioteca dell’abbazia svizzera, e realizzato a Reichenau intorno all’830 (ripro-
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Capitolo diciasettesimo
La «rinascenza carolingia». L’arte
duce infatti l’abbaziale di Santa Maria di Mittelzell dopo i lavori promossi dall’abate Erlebardo). Nell’età carolingia le chiese, che tornano a gareggiare per dimensioni con il San Pietro di Roma, subiscono una profonda rielaborazione spaziale con l’emergere di una doppia polarità: a quella tradizionale, a est, segnata dalla presenza dell’altare maggiore, fa da contrappunto a ovest un corpo di fabbrica di analoga importanza e sviluppo, detto convenzionalmente Westwerk. La sua prima testimonianza è nel monastero fondato ex nihilo a Centula/Saint-Riquier (Somme) da Angilberto, uo-
L’evangelista Marco (ms Lat. 8850, fol. 81v).
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L’evangelista Giovanni (ms lat. 8850, fol. 180v). Entrambe le splendide immagini fanno parte dell’Evangeliario di Saint-Medard di Soissons conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, uno dei vertici della produzione di miniature dell’età carolingia che si esprime in diverse e assai creative forme.
mo di stato e poeta, che ne ha lasciato testimonianza diretta nel Libellus (il complesso è andato distrutto, ma è conosciuto grazie a due incisioni del xvii secolo). La pittura, alternata alla plastica in stucco, è la forma privilegiata di decorazione (il principale ciclo superstite è quello di San Giovanni di Müstair nei Grigioni, con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento di monumentale e didascalica evidenza), che peraltro non esclude i preziosi e costosi mosaici, non solo a Roma, dove si prosegue una tradizione millenaria, ma anche ad esempio in Gallia (Germigny-des-Prés). Il vertice della figuratività carolingia è però raggiunto nella decorazione miniata del libro (strettamente legata al rifiorire della cultura letteraria) e nelle arti suntuarie, l’oreficeria (l’altare d’oro di Sant’Ambrogio a Milano, di Vuolvinio, ne costituisce la testimonianza più alta) e la lavorazione dell’avorio, che risorge impetuosamente dopo secoli di oblio e rinvia ancora alla raffinata ed elitaria cultura palatina promossa da Alcuino di York.
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18. La lingua e la produzione nell’alto Medioevo latino 1. Una delle più significative peculiarità della storia della civiltà occidentale è la presenza della cultura latina, di quella cultura, cioè, che risulta dall’unione della civiltà classica con il mondo cristiano; quasi tutti i popoli ne subirono l’influenza. Strumento principe della cultura è la lingua; espressione della lingua è la letteratura: a ragione si può
Uno dei maggiori manoscritti anglosassoni prodotti nello scriptorium di Monkwearmouth-Jarrow, come voluta e consapevole imitazione di stile mediterraneo e tardoantico nel testo, nella scrittura e nella miniatura. Viene raffigurato il profeta Esdra; secondo molti e per lungo tempo vi è riconosciuto il senatore Cassiodoro.
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Dittico in avorio di Boezio. Vi è raffigurato in un’opera del 487 il padre, senatore romano, di Severino Boezio, grande filosofo, pensatore e sfortunato ministro di Teodorico. Brescia, Santa Giulia, Museo della Città.
letteraria
quindi parlare di universalità della lingua e della letteratura latina. Il latino fu in principio – come si sa – una lingua di contadini e di rustici; poi, nonostante queste umili origini, è divenuto via via una lingua di cultura, estendendosi in tutta la parte occidentale dell’Impero romano. Più complessa è la storia del latino dopo la caduta dell’Impero. Il latino che si scrive e ancora si parla nella Romània (ovvero il gruppo dei Paesi latinizzati) dei secoli v e vi rappresenta l’esito di una lenta ma profonda evoluzione che questa lingua ha subìto in età tardo imperiale. Quello che più lo caratterizza, sia come lingua letteraria, sia come lingua popolare parlata, non è solo l’accentuarsi del divario tra i due registri (già presenti peraltro, sia pure in modo molto minore, nei secoli precedenti), ma sono anche e soprattutto i mutamenti ortografici, fonetici, morfologici, sintattici e lessico-semantici. Questo graduale processo di trasformazione porterà alla morte del latino come lingua parlata e alla nascita delle lingue nazionali.
Con il progressivo sfaldarsi dell’Impero romano d’Occidente sino alla fine convenzionalmente fissata al 476, e con il nascere e l’affermarsi dei regni barbarici (Visigoti, Ostrogoti e Franchi in Europa, Vandali in Africa), i valori della romanità non riescono, riguardo alla vita culturale e alla letteratura, a dare nuovi impulsi e a sostenere la nuova realtà sociale e politica: la Romània si fraziona politicamente e linguisticamente. In questa situazione le varie regioni dell’Europa si differenziano decisamente tra loro, sia per la qualità dei cambiamenti che colpiscono la lingua latina corrente, sia per i modi e i tempi con cui tali mutamenti si verificano; e queste differenze dipendono non solo dalla diversità delle lingue parlate da coloro che si insediarono nelle molteplici aree della latinità, ma anche da come il latino si era radicato in ciascuna provincia e dal livello di sopravvivenza della tradizione scolastica ed educativa tardoantica.
Dittico in avorio di Boezio, particolare.
È con il v secolo, dunque, che la pacifica coesistenza tra il latino letterario e il latino volgare parlato entra decisamente in crisi (una crisi provocata in particolare proprio dallo spegnersi dell’insegnamento tradizionale): il sermo vulgaris accelera il suo progresso evolutivo, mentre il latino letterario imbocca la via della decadenza che culminerà nei secoli vii e viii. Si apre così un lungo periodo che si può dire di transizione (più che di decadenza) segnato da sostanziale diglossia (cioè la disponibilità, da parte di uno stesso individuo, di due sistemi linguistici gerarchicamente ordinati e funzionalmente ordinati: uno serve per i gradi superiori di comunicazione, l’altro è riservato alla sfera privata o informale), in cui i livelli estremi della lingua, sebbene spinti a una distanza limite, continuano a coesistere conservando ancora dei legami comunque sempre più deboli, grazie soprattutto ad un’opera di intermediazione che solo un litteratus è in grado di esercitare garantendo l’atto comunicativo.
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Capitolo diciottesimo
Nel vi secolo si scrive e si parla ancora il latino; vasta è la produzione letteraria in quasi tutta l’Europa; la letteratura è ancora universale e le opere sono linguisticamente in linea con quelle delle epoche precedenti, né vi si intravedono caratterizzazioni geografiche particolari, anche se fin dalla prima metà del secolo si va accentuando il mutamento delle condizioni storiche: da una società romano-cristiana a una società germanico-cristiana. I primi decenni del secolo registrano il perdurare di una letteratura nella quale è più evidente l’impronta romano-cristiana e dove sopravvive la tradizione più o meno pagana o paganeggiante, come dimostra la silloge della
San Gregorio, Moralia in Job, iniziale ornata, ms 168, fol. 4v, Digione, Bibliothèque Municipale.
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Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, vi secolo. Inizio del libro vi. Manoscritto copiato nell’viii secolo, proveniente dall’abbazia di Luxeuil. Bibliothèque Nationale, ms Lat. 17655, fol. 19v.
La lingua e la produzione letteraria nell’alto Medioevo latino
Anthologia latina, formatasi intorno al 533 nell’Africa vandalica. La prima metà del secolo è dominata da due figure straordinarie che operano in Italia e con le quali – è stato scritto – «il mondo antico si congeda dall’Europa»: Severino Boezio (480 ca.-526) e Aurelio Cassiodoro (490 ca.-583 ca.). Il primo, ultimo grande esponente della classe senatoria romana, giustiziato per volontà del re Teodorico, si era fatto promotore di una significativa operazione culturale che avrebbe dovuto trasmettere alla latinità il patrimonio greco, mediante la traduzione in latino di Platone e Aristotele e di altri autori greci; il progetto, che gli riuscì solo in parte, nasceva dalla consapevolezza di divisione non solo linguistica tra l’Occidente e l’Oriente ormai in atto. Boezio tradusse alcune opere logiche di Aristotele, scrisse opere di filosofia e cinque di teologia, che serviranno come fondamento alla scuola medievale fino al xii secolo. Il suo capolavoro, la Consolatio philosophiae, scritto in carcere prima della sua morte, è divenuto un classico della
cultura cristiana, perché basato sulla convinzione del destino divino dell’uomo. Cassiodoro proviene invece da una famiglia di nobiltà provinciale; è “primo ministro” (magister officiorum) di Teodorico, poi dalla corte passa alla vita monastica; si ritira infatti in un monastero che fonda in terre di sua proprietà a Squillace in Calabria, il celebre Vivarium; qui, accanto alla preghiera, l’attività principe è lo studio e in particolare la trascrizione di manoscritti. Cassiodoro istituisce così una scuola superiore di studi latino-cristiani, dove l’obiettivo principale
Gregorio Magno e il suo scriba, Registrum Gregorii. Treviri, Stadtbibliothek, ms 171/1626. Il maestro dell’opera manifesta un profondo classicismo che permane anche nelle iconografie rivolte alla raffigurazione astratta del potere. Poema di Venanzio Fortunato, vi secolo. Inizio della prefazione con la quale dedica la propria opera al vescovo Gregorio di Tours. Manoscritto copiato nel ix secolo, proveniente dall’abbazia di Saint-Germain-desPrés, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms Lat. 14144, fol. 1.
è quello di salvare materialmente la vecchia cultura. La sua opera più importante (insieme con il commento ai Salmi), le Institutiones, è emblematica di questo progetto: nasce (ed è strutturata) infatti dalla convinzione che il sapere si divide in due grandi gruppi di discipline: quello delle scienze umane e quello delle scienze divine (la scienza suprema è quella che si riferisce alla Bibbia). Boezio e Cassiodoro sono la testimonianza del momento in cui cultura latina e Chiesa corrono parallele. Boezio è cristiano, ma può progettare un disegno culturale senza parlare della sua fede: nella sua posizione non c’è alcun atteggiamento integralista. Cassiodoro cerca di far convivere i due momenti senza antinomie e organizza un programma di studi dove la tradizione classica è inserita in quella cristiana. Progetti culturali, questi di Boezio e di Cassiodoro, che evidenziano due mentalità simili pur nelle evidenti differenze, diverse comunque da quelle di un altro grande italiano di questi anni, Benedetto da Norcia (480 ca.-550), autore della Regula dei
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La lingua e la produzione letteraria nell’alto Medioevo latino
monaci che immediatamente non ebbe grande fortuna, ma che grandissima ne avrà quando i Carolingi la imporranno in tutti i territori dell’Impero. La Regula è un testo tutto cristiano (riconducibile indirettamente al magistero di Agostino) che non ha riferimenti alcuni alla cultura classica. La Regula è un testo normativo che non comporta un impegno culturale (il rifiuto del mondo implica anzi la rinuncia alla cultura); è un testo concepito entro una chiara consapevolezza mistica. La figura chiave del cristianesimo non è infatti l’intellettuale, ma il santo.
tori quali Gregorio Magno, Gregorio di Tours, Venanzio Fortunato. In questi scrittori viva è la coscienza che la grandezza della romanità è entrata profondamente in crisi e che un irreversibile mutamento si sta consumando. Il mondo è cambiato. I Germani (anche con l’ingresso dei Longobardi in Italia) sono la nuova classe dirigente; la loro cultura – non scritta, ma fondamentalmente orale – non ha più tra i valori più alti la filosofia e la retorica, ma l’etnos, i legami di sangue, il coraggio in guerra. Con questa cultura deve confrontarsi
2. Le caratteristiche della letteratura altomedievale emergono interamente nella seconda metà del vi secolo, con au-
La fontana della vita: l’Evangeliario di Godescalco riprende alcuni tratti della pittura tardo-antica e bizantina quali la tridimensionalità, la corporeità, la restituzione della figura nello spazio. Parigi, Bibliothèque Nationale, Nouv. Acq. Lat. 1203, fol. 3v. Alcuni anni più tardi lo stesso miniatore tratta il tema bizantino della fontana della vita con ben diversa plasticità architettonica; si tratta dell’Evangeliario di Soissons.
Libro di Kells, fol. 5r: una pagina delle tavole del canone.
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La cartina indica le località citate nel capitolo.
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quella cristiana che è cultura scritta e ha come vertice la santità, ovvero la perfezione che si ottiene attuando il messaggio di un libro (la Bibbia). Nasce così un grande confronto storico, un processo di reciproche influenze e trasformazioni che registra non l’egemonia di una tradizione sull’altra, ma una sorta di vicendevole compensazione. È Gregorio Magno (504-604) colui che dà il segno alla nuova cultura. Praefectus urbi, monaco, ambasciatore di papa Pelagio ii a Costantinopoli, viene eletto papa nel 590. «Si suole definire Gregorio Magno un “Padre della Chiesa”, ma lo si chiama in questi termini per la grandezza spirituale della sua opera, non perché continui una tradizione culturale. Egli rappresenta già un’altra epoca» (Claudio Leonardi). La sua è l’opera di chi, pur avendo piena consapevolezza della tradizione antica, pone al centro del suo interesse la condizione del vero cristiano perché tutti possano entrarvi. Di Gregorio ci sono giunti un importante Epistolario, commenti alla Bibbia (ai Re, a Giobbe e a Ezechiele), una Regula pastoralis, un pro-
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gramma di vita e di lavoro per i vescovi, Omelie e i Dialogi che in quattro libri narrano la vita dei santi che vivono tra l’età di Totila e l’invasione longobarda. Il Registrum delle lettere rivela in Gregorio il grande maestro di giustizia e di pace nel mondo politico e di amministrazione in quello economico, gli scritti esegetici mostrano la sua abilità di unire la dottrina e la spiritualità, mentre i Dialogi narrano mirabilmente la storia dei viri Dei, i nuovi eroi, i cristiani perfetti, i santi. Gregorio fu un papa e uno scrittore grandissimo: il suo messaggio di fede e di cultura ha attraversato tutto il Medioevo. Contemporaneo di Gregorio Magno è un altro grande scrittore, Gregorio di Tours (538 ca.-594). Le sue opere, insieme con quelle di Venanzio Fortunato (530 ca.-600) che dalla nativa Valdobbiadene si sposta prima a Tours e poi a Poitiers, sono la prova di una vitalità letteraria ancora accesa nella Gallia di quest’epoca, sia pure di segno diverso dalla precedente. Ma sono soprattutto la prova che anche in letteratura è avvenuto un profondo mutamento. La sua Historia Francorum è infatti la prima grande epopea germanica scritta in latino. Protagonista della storia e quindi della prosa di Gregorio è un accadere ininterrotto, da un lato, di crudeltà e di misfatti, di usurpazioni e di uccisioni e, dall’altro, di azioni eroiche, di sorprese, di miracoli, di atti di bontà che egli narra con lo stesso spirito, misurato e contenuto. Così i santi e le loro gesta miracolose sono al centro sia della Historia, sia dei molti scritti agiografici di Gregorio, alla stessa maniera in cui lo sono la primitività e la ferocia della tradizione germanica. Nelle opere di Gregorio di Tours, come nella poesia di Venanzio Fortunato, evidenti e copiose sono le tracce di una lingua che muore e di nuove lingue che nascono. Venanzio Fortunato è colui che mantiene viva in questa fine secolo la poesia; è l’ultima voce di poeta classico. A Poitiers diviene amico di Radegonda, la regina che, lasciato il marito, si è chiusa in un monastero; per lei scrive poesie, a lei invia biglietti in versi. Ma Venanzio Fortunato è poeta per ogni occasione; per lui tutte le cose possono essere messe in versi. La maggior parte delle poesie è raccolta negli undici libri dei Carmina miscellanea (in cui sono contenuti i due celebri inni scritti a glorificazione della croce ed entrati nella liturgia cristiana: il Pange lingua e il Vexilla regis); scrisse anche numerose agiografie in versi e in prosa, tra le quali un poema in esametri sulla vita di san Martino di Tours. Venanzio Fortunato fu senza dubbio uno degli autori più apprezzati e imitati in tutto il Medioevo. Nel vii secolo il latino non si parla quasi più; il sermo vulgaris celebra l’ultimo momento della sua trasformazione nelle
La lingua e la produzione letteraria nell’alto Medioevo latino
parlate romanze. Il passaggio da un sistema linguistico unitario – che era sostenuto dalla forte e capillare struttura amministrativa giuridica e militare dell’Impero – a una pluralità di sistemi che, pur riconoscendosi nella comune lingua madre latina, si differenziano dando origine – come detto – alla varietà delle lingue romanze (italiano, francese, provenzale, castigliano, catalano, portoghese, rumeno, ladino), è ormai compiuto. La fine del latino come lingua abituale, familiare e immediata e il suo resistere come lingua dotta universale divenendo quindi lingua sociale particolare (la usa la Chiesa nella liturgia e nel magistero; se ne serve la scuola nell’insegnamento, nella speculazione filosofica e nelle altre varie manifestazioni; ne fa uso il potere politico nella legislazione, nell’amministrazione, nell’esercizio della giustizia), fanno sì che l’impalcatura linguistica non sia più riferita e collocata solamente nella struttura classica, ma si inserisca e si evolva nel linguaggio parlato che è ormai il romanzo e il germanico (nelle loro varie forme). Il latino medievale diviene così una lingua che trova le proprie norme ortografiche, fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessico-semantiche non più solo nella propria tradizione, ma anche in quella (recente) di altre lingue: quelle stesse che ha generato, ovvero le lingue romanze, e quelle che ormai lo accompagnano, estranee all’origine, cioè le lingue germaniche. In questo vii secolo muta la geografia delle letterature: in Italia e in Gallia, che erano state i centri più vivi della produzione letteraria, si verifica una grande povertà di testi, come se i Longobardi in Italia e i Merovingi in Gallia avessero annullato la romano-cristianità. Le opere più significative nascono in altre aree, in zone periferiche dove la tradizione romana ha forse retto, meglio che altrove, l’incontro-scontro con quella germanica: nella Penisola iberica e in Irlanda. La figura di gran lunga più rilevante e più nota della Spagna visigotica è Isidoro di Siviglia (570 ca.-636), la cui produzione è molto vasta. Compose infatti opere di carattere grammaticale, esegetico, teologico, storico. Isidoro ha avuto una grandissima fortuna per tutto il periodo medievale grazie soprattutto alle sue Etymologiae, vasta enciclopedia di tutta la conoscenza umana. 3. Ma è l’Irlanda a rappresentare, in questo tempo, un momento particolarmente significativo. L’Irlanda, a quanto pare mai conquistata dai Romani, conobbe il latino attraverso l’evangelizzazione cristiana che fu molto rapida e fece sorgere ovunque chiese e monasteri, dove si imparò ex novo il latino, si scrissero grammatiche e si creò una florida letteratura soprattutto religiosa. Ma quella irlandese fu anche una
cultura in espansione: da quella terra partirono missionari e dotti a evangelizzare l’Europa dando luogo a quel fenomeno detto “evangelizzazione di ritorno”. Un nome emerge tra i molti: Colombano di Bangor (543-615) che fonda in Francia i monasteri di Annegray, Luxeuil e Fontaines, nelle Alpi, San Gallo e in Italia, Bobbio; consigliere della regina Teodolinda, Colombano scrisse inni e sermoni. Accanto agli Irlandesi, gli Anglosassoni. L’Inghilterra, dopo l’invasione anglosassone, diviene terra di missioni provenienti dall’Irlanda e dall’Italia. Il sistema scolastico romano si fonde con la nuova cultura irlandese; l’Inghilterra, che si trova così a usufruire di una duplice influenza culturale, registra, in un ridotto spazio di tempo, da un lato, la scomparsa del paganesimo e, dall’altro, la costituzione di una fitta rete di monasteri e di vescovati che rinverdiscono la cultura scritta nell’ambito della tradizione cristiana. Il primo insigne scrittore anglosassone è Adelmo di Malmesbury (640-709), autore di un trattato sulla verginità scritto prima in prosa poi in poesia, di Aenigmata e di un epistolario. Il valore di Adelmo è attestato dall’entusiastico giudizio di colui che sarà la figura di gran lunga più importante della cultura altomedievale inglese, cioè Beda il Venerabile, il quale lo considererà il primo autore classico della letteratura inglese. La nuova cultura che è apparsa nel vii secolo si mostra pienamente nel secolo successivo. Il latino in cui si esprime questa cultura varia profondamente da regione a regione. La non uniformità è la cifra che distingue il latino letterario di questo periodo. «Tanti latini, quante parrocchie» è stato detto. E se precedentemente gli autori erano stati gallo-romani, ispano-romani, irlandesi, ora sono le popolazioni germaniche a esprimere risultati letterari di rilievo: l’anglosassone Beda nella prima metà del secolo, il franco (o forse aquilano o provenzale) Ambrogio Autperto dopo la metà e il longobardo Paolo Diacono alla fine del secolo. Beda il Venerabile (672-738) trascorse l’intera vita nel monastero di Jarrow in Northumbria a imparare, a insegnare e a scrivere, come lui stesso dichiara. Beda ci ha lasciato commenti della Bibbia, vite di santi e martirologi, storie del suo monastero, manuali scolastici e altro; ma ci ha lasciato soprattutto un capolavoro, la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, la storia della sua gente vista come la storia di un popolo guidato da Dio, per mezzo non solo dei re, ma anche dei santi. Una storiografia, dunque, concepita e sviluppata (con notevoli risultati stilistici) su due piani, quello storico e quello metastorico, della documentazione e della politica l’uno, dello spirito e del miracolo l’altro.
Ambrogio Autperto (fine vii secolo-784) scrive agiografie, sermoni, commenti biblici, trattatelli morali. Nel monastero di San Vincenzo al Volturno concepisce un modo diverso di considerare la vita cristiana. La sua è la testimonianza di chi, andando oltre la tradizione patristica, ha coscienza di una nuova realtà, ovvero della dimensione mistica (la vita divina a cui l’uomo misteriosamente partecipa), che dà fondamento alla vita della persona perché la libera dal vizio e le permette di guardare la verità e di trovare i modi per esprimerla. Paolo Diacono (725-799 ca.) è l’autore italiano altomedievale più prolifico dopo Gregorio Magno. Scrive opere di esegesi e sermoni, ma è anche poeta, agiografo e soprattutto storico. Nell’Historia Longobardorum, l’opera più importante, Paolo narra l’epopea del suo popolo, ormai sconfitto dai Franchi, con il rimpianto della grandezza perduta. Nell’Historia sono tuttavia compresenti due registri narrativi: quello della tradizione germanica e quello della romano-cristianità. Il primo è quello dell’epopea della germanità, dell’etnos, dell’orgoglio del sangue, della forza e del coraggio fisico, della grandezza della guerra. Il secondo, quello della pietà cristiana e della cristiana saggezza. Di fronte alla sconfitta del suo popolo, di fronte alla superiorità culturale e spirituale dei Franchi vincitori, Paolo ripensa alla storia dei Longobardi come al passaggio dalla barbarie alla civiltà, dalla grandezza germanica alla grandezza germano-cristiana. Siamo ormai a Carlo Magno (morto nell’814) e a quel fenomeno culturale chiamato “rinascita carolingia”. Un tempo si conclude e ne comincia un altro. Tutto questo succede in un momento in cui non si parla più il latino: il popolo parla le varie lingue germaniche o le lingue che dal latino sono nate; lingue, queste, che non possono ancora essere scritte, che non possono avere una letteratura. Carlo per questo sceglie il latino (che non scrive ma che sembra riesca a parlare) come lingua della sua amministrazione e della sua scuola, un latino che necessita ormai di una norma (quella dei grammatici) proprio perché non è più una lingua viva in senso stretto. Quella altomedievale, dunque, non è una cultura esclusivamente latina. Il latino – si è appena detto – finisce, irriconoscibile, nelle lingue romanze, accanto alle quali acquistano identità culturale anche le germaniche. Quella che comincia è un’età di plurilinguismo nella quale il latino (quel latino che continuamente si rinnova e si reinventa per non diventare un volgare romanzo, finendo per essere un latino diverso da quello dell’antichità) resiste solo come lingua dotta e come tale continua ad essere la lingua universale e civile dell’Europa.
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19. La
mentalità simbolica
1. Il Medioevo è profondamente segnato da una “mentalità simbolica”: le risorse del simbolismo hanno continuamente alimentato e plasmato ogni sua espressione. «Maestri di scuola e mistici, esegeti e naturalisti, religiosi e profani, scrittori e artisti hanno in comune la convinzione che ogni realtà naturale o storica ha un significato che trascende il suo contenuto immediato, e che è rivelato al nostro spirito da una certa densità simbolica. Rendere ragione delle cose non vuol dire soltanto offrirne la spiegazione mediante le loro cause interne, ma scoprire questa misteriosa densità» attraverso non una “dimostrazione” o una prova di tipo ari-
Un simbolo cristiano ricorrente soprattutto in età tardoantica è quello del Buon Pastore, che appare spesso con il flauto. Mosaico del Buon Pastore, cattedrale di Aquileia (Friuli).
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Mosaico romano-cristiano detto “dei cervi, del cantaro e della croce”. Secoli vi-vii, Museo di Sheitla, Tunisia.
stotelico (demonstratio), ma una “ostensione” (monstratio), dove la realtà profonda sale e si offre, apparendo nel segno (Chenu). La realtà – il cielo, la terra e tutto quello che contengono – non è intesa come un caos, ma un “cosmo”, opera di Dio, primo sapiente e architetto e costruttore, dove regnano ordine e bellezza; essa non è semplicemente accolta ed esaurita nella sua “naturalità”. C’è un “oltre” in ogni cosa che si tratta di scoprire e di portare alla luce. Lo si fa at-
Roma, Sant’Agnese, mosaico absidale. Al centro del catino è la figura della santa, della quale viene evocato il martirio con gli elementi simbolici del fuoco e della spada posti ai suoi piedi. Ai lati, le due immagini speculari dei pontefici si differenziano soltanto per ciò che recano in mano. Il personaggio di sinistra, con il modellino della chiesa, è da identificare probabilmente in papa Onorio i (640-642) committente dell’opera, quello di destra, con il volumen, è associabile a un suo immediato successore che si impegnò al compimento della costruzione della basilica.
traverso l’immagine e il simbolo che rimandano a un’altra dimensione: si tratti del mondo minerale delle pietre, o di quello vegetale delle piante, o di quello animale, reale o fantastico. Il mondo si trova penetrato e riscoperto da una “lettura” creativa – che vi discerne suggestioni, rapporti e messaggi interiori – investita da una “artificialità”, che la “utilizza” e la mette a disposizione di precise intenzioni e significati. La dottrina o la comunicazione ha due linguaggi o modalità di trasmissione e di didascalia: lo scritto o la parola, e l’“arte”, ossia la versione plastica, costruita ed elaborata. Il simbolo è precisamente il traguardo e la riuscita dell’incessante, laboriosa e raffinata relazione, collaborazione tra la natura, il pensiero, la fantasia e il sentimento. Così, la stessa realtà diviene tutta un’epifania, polivalente ed “estetica”, ed è posta nella condizione di essere ammirabile e ammirata, contemplata e gustata nel suo stesso uso.
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Capitolo diciannovesimo
La mentalità simbolica
2. Da questa sensibilità nascono i riti, con i loro dispiegamenti simbolici; essa fonda e alimenta il tempo liturgico, le festività, il mondo del “sacro”, i santi segni. In quest’orizzonte teologico e antropologico, che concretamente si annoda e si risolve in Cristo – Sintesi e Chiave della simbolicità – sorgono le cattedrali, che sono delle somme
Icona di Santa Maria in Trastevere, Roma. La Vergine, vestita nel costume imperiale bizantino, è raffigurata come Theotokos, seduta sul trono con ai lati due angeli che costituiscono una sorta di guardia personale. Contrassegnato dal nimbo quadrato, in basso a destra, è raffigurato il pontefice committente. Il grande formato della tavola, senza confronti a Bisanzio, contraddistingue l’opera come produzione romana. A Roma gli spazi dell’icona sono, infatti, di natura esclusivamente pubblica e non passano attraverso la dimensione personale.
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Santa Maria in Trastevere, Roma, mosaici con le storie di Maria, opera di Pietro Cavallini. I Magi recano i loro doni.
e selve di simboli, con i loro disegni, le loro geometrie, i loro calcoli e i loro orientamenti, le loro vetrate, le loro sculture e figure, i loro giochi di luce e di ombre; sorgono i monasteri – interamente progettati sotto la guida e la suggestione del simbolo – e sono costruite le città, con i loro spazi e le loro disposizioni. Le stesse scoperte e novità scientifiche non mortificano il simbolo, che convive con la scienza, e offrono allo spirito dilatazione, equilibrio e soddisfazione. La simbolicità medievale libera la realtà creata dai suoi limiti e dalle sue precarietà e apre la via al presentimento e all’espressione della religiosità, della “teologia”.
La discendenza di Davide, l’Albero di Iesse, è un simbolo biblico di Gesù nella sua ascendenza storica. In questo caso Roboamo, parte dell’albero, in una vetrata (del 1220) del transetto lato sud, ventesima vetrata, della cattedrale di Friburgo in Brisgovia.
3. Quanto alle fonti di ispirazione della mentalità simbolica medievale, sono Agostino e lo Pseudo-Dionigi: «I due filosofi di tipo platonico che sembrano i più connaturali al simbolismo letterario, estetico, religioso, culturale» (Chenu). D’altra parte, con due concezioni diverse di simbolismo: “segno” agostiniano e “simbolo” dionisiano sono assai distanti, benché ambedue derivanti dalla stessa ispirazione neoplatonica. Nel segno agostiniano è il soggetto conoscente il principio e la norma del valore simbolico, di là da un oggettivismo fondato sulla natura delle cose. Con Dionigi non è il soggetto che dà il suo significato ai segni, ma gli stessi elementi sono, prima ancora, per natura, delle rappresentazioni, delle analogie. Il simbolo è l’espressione vera della realtà; di più: è attraverso il simbolo che questa realtà si esprime. Per Agostino non c’è sacramento senza “parola” umana, mentre la simbologia cosmica di Dionigi tende a lasciare in secondo piano ogni riferimento alla storia, ivi compresa la storia sacra. Dalla composizione
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Capitolo diciannovesimo
di queste due fonti si costituisce e risalta esattamente quella «percezione simbolica dell’uomo e del mondo» (Gérard de Champeaux, Sébastien Sterckx), che tocca in profondità le più diverse espressioni della vita medievale. 4. In particolare, la mentalità medievale tutta intrisa di simboli spiega il suo metodo simbolico nell’esegesi biblica: un metodo che, a sua volta, viene da lontano, risalendo a Filone e passando dai Padri, anche in questo largamente ereditati dai medievali. «Un uso delle trasposizioni allegoriche era diventato, di là dal senso storico, come un secondo modo di leggere e di inten-
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Reliquiario della Vera Croce, realizzato da maestro Gerardo a Costantinopoli per Enrico di Fiandra, secondo imperatore latino d’Oriente (1206-1216). La montatura fu aggiunta a Venezia all’inizio del xvi secolo.
La mentalità simbolica
dere il testo». «Sull’esempio dei Padri i medievali saldano in uno stesso comportamento esegetico i procedimenti e le categorie ereditate dalla cultura ellenistica: presso gli autori pagani, presso Filone, Origene si era costituito un genere letterario per interpretare i testi (Omero, Virgilio, ecc.) di là dalla loro lettera, con uno sdoppiamento, in cui il corpo del racconto, del mito, del mistero, era di fatto disgiunto a supposto vantaggio di uno “spirito”, divenuto eterogeneo alla lettera. I cristiani (e Filone stesso) mantenevano certamente il dato storico primitivo: essi accettarono tuttavia, specialmente ad Alessandria, i metodi dei loro contemporanei. Attraverso Ambrogio, Agostino, Gregorio, questi metodi penetrarono l’esegesi medievale occidentale. Così l’allegorismo unisce la trasfigurazione cristiana della storia con una trasposizione morale nella quale i racconti biblici simboleggiano la vita interiore del giusto» (Chenu). Si tratta di un’interpretazione della Bibbia «in cui la storia – la littera – è il supporto di una trasposizione continua a realtà soprastoriche di cui gli eventi terreni sono figura» (Chenu).
5. I Padri avevano colto nella Scrittura una “lettera” e uno “spirito”. Affermava Origene: «Nelle sante Scritture difendiamo la lettera e lo spirito«; riscontriamo in esse una «narrazione della storia» e una «intelligenza mistica». E i medievali composero il distico sulla dottrina dei quattro sensi della Scrittura: La lettera insegna quanto è avvenuto (la storia), l’allegoria quello che devi credere, la morale quello che devi fare, l’anagogia il fine a cui devi tendere.
Raffigurazione dell’arcangelo Michele, a mezzo busto, in smalto e argento. Il medaglione a smalto (secoli xi-xii) e gli altri elementi decorativi dell’icona della Crocifissione vennero rimontati a Venezia dopo il sacco del 1204.
Sono il senso letterale o storico, il senso allegorico, quello morale o tropologico e il senso anagogico: «Sui quali, come fossero ruote, si muove tutta la sacra Pagina» (Guiberto di Nogent). Certo, in quest’esegesi “mistica” il grande rischio sarà l’allegorismo arbitrario, attentante alla fine lo stesso spessore simbolico: «Il valore simbolico tende ad evacuare la res nella sua densità terrestre» (Chenu). Esso non sarà evitato, ma una simile esegesi è in ogni caso il metodo per la lettura in profondità del multiforme senso della Scrittura, dov’è contenuta l’inesauribile Parola di Dio. Se si levasse il simbolo o lo si misconoscesse, tutta la civiltà e tutta la cultura del Medioevo risulterebbero incomprensibili e opache. La mentalità moderna, desueta a questo linguaggio poliedrico e versatile – e, da questo profilo, molto impoverita e ridotta come a una sola dimensione –, non manca di suscitare notevoli difficoltà. Da qui la necessità di esserne iniziati, per poterlo ricomprendere e gustare, moltiplicando i sensi della percezione della realtà, in cui sono addensati molteplici “misteri”.
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fondazioni monastiche
La cartina indica alcune delle principali fondazioni monastiche che aderirono alla riforma cluniacense. Abside e transetto della chiesa di Paray-le-Monial (Borgogna), una delle prime abbazie che furono costruite nei pressi di Cluny, per estendere la riforma.
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Mare del Nord
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Ramsey Ely Malmesbury Abingdon Glastonbury Canterbury Hohorst Hildesheim St.-Bertin Lewes Corvey Magdeburgo Gand Arras Colonia Brogne Paulinzella Rouen Stavelot Le Bec Reims Verdun Echternach Fulda Mt.-SaintBrevnov Lorsch St.-Martin -Michel Gorze Hirsau (Parigi) Marmoutier MoyenAuxerre Ratisbona Moutier Fleury Augusta Vézelay La Charité Reichenau Melk Digione Luxeuil St.-Jean San Gallo Souvigny d’Angély Citeaux Salisburgo Einsiedeln Santiago Limoges Paray Cluny Carrión de Compostela Vertemate Moirax Moissac Sauxillanges Oña Sahagún Milano Pavia San Benedetto Po Cardeña St.-Pons Fruttuaria Ganagobie Tolosa Silos Ravenna Grasse Bobbio S. Juan Camaldoli Lérins Vallombrosa Ripoll St.-Gilles Norcia Roma Farfa Subiaco Siviglia Grottaferrata Montecassino La Cava
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Cluny (Borgogna), la parte rinascimentale del monastero con alle spalle le torri campanarie di Cluny iii rimaste in piedi.
abbazie di insegnare loro il modo di attuare la regola benedettina. Fu chiamato anche a Roma dal papa a riformare i monasteri romani. Si formò quindi l’idea di una congregazione, cioè di un insieme di monasteri che si rifacevano alla regola attuata a Cluny. L’attività prevalente dei monaci era la celebrazione solenne della liturgia, infatti la maggior parte della giornata era spesa per la recita corale delle preghiere liturgiche della messa; una particolare attenzione era rivolta alla devozione dei defunti. Questa sensibilità s’accrebbe lungo la seconda metà del x secolo con la guida dell’abate Maiolo (954-994) e
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Cluny (Borgogna).
Guglielmo d’Aquitania, nel 909-910, mosso da vero atteggiamento religioso, destinò, in Borgogna, delle terre allodiali – cioè libere da vincoli feudali e che godevano quindi dell’immunità – per istituire un monastero. Nacque Cluny. In seguito, quest’autonomia facilitò il fatto che il monastero, dal punto di vista ecclesiastico, potesse dipendere direttamente dalla sede apostolica, cioè dal papa. Così il monastero borgognone, dedicato ai Santi Pietro e Paolo ed in regime d’esenzione, poté sottrarsi alle pressioni e alle ingerenze della feudalità laica e dell’episcopato locale. Le favorevoli condizioni materiali che consentirono l’avvio di Cluny non sarebbero state sufficienti a fondarne la grandezza se gli uomini che guidarono il monastero non fossero stati di una notevole statura religiosa. Il vero artefice della prima fase fu Oddone (927-942) che, durante il periodo in cui ne fu a capo, fece crescere la comunità rapidamente, attrasse molti monaci spinti da desiderio autentico ed accolse l’invito di un numero sempre crescente di
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Personaggi dell’aristocrazia spesso decidevano di fondare monasteri per la propria salvezza personale e per quella dei propri familiari – era una motivazione religiosa non sempre robusta, ma sicuramente non strumentale –, altri personaggi facevano questa scelta per estendere attraverso i monasteri il lustro ed il potere del proprio gruppo familiare. Almeno un figlio poteva essere destinato a questo compito. Ma questa usanza fece penetrare anche nel mondo monastico la simonia, cioè la compravendita delle cariche ecclesiastiche da parte del ceto nobiliare. Ovviamente, quando questo accadeva, veniva snaturato lo scopo delle istituzioni monastiche, il cui patrimonio fondiario faceva gola a molti.
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20. Nuove
M a r
M e d i t e r r a n e o
Capitolo ventesimo
Nuove fondazioni monastiche Cappella dell’infermeria
circa 1086-1097
Inf erm eri a
Cimitero
si estese nell’xi secolo con Odilone (994-1048) e con Ugo (10491109). I grandi abati di Cluny, tutti santificati dalla Chiesa, vissero uno stretto rapporto con i papi e diffusero gradualmente i progetti di riforma generale della Chiesa. Monaci ed ecclesiastici, formatisi secondo la spiritualità e la cultura del monastero borgognone, si assunsero, con altri eminenti personaggi del mondo ecclesiastico e laico del tempo, l’onere di avviare la lotta al nicolaismo (clero che si sposava o che aveva concubine) ed alla simonia: i mali più diffusi nella Chiesa di allora.
Torre Cluny ii
Oddone di Cluny, abate dal 927 al 942, in una raffigurazione tedesca del xii secolo.
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Bassorilievo in marmo che illustra il mese di dicembre e si trova nel refettorio dell’abbazia di San Benedetto Po, un tempo detta Polirone (nei pressi di Mantova).
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Cappella della Vergine
Refettorio Chiostro dei novizi
ex Cluny i
Durante un periodo in cui i papi per diverse ragioni si succedevano con grande rapidità, a Cluny fu invece garantita una grande stabilità nella guida e si ebbero pochi, grandi abati lungo due secoli. La loro spiritualità si diffuse soprattutto nei monasteri e nelle diocesi della Borgogna e della Lotaringia e contribuì non poco al formarsi della coscienza
circa 955/965
circa 1095-1108
circa 965/975
fine del 981?
Chiostro
Cluny ii
circa 1107-1110
Atrium
Mappa del monastero di Cluny nel 1042 secondo J.K. Conant.
Cappella del cimitero 1064?
Planimetria della basilica maggiore del monastero di Cluny, con le sue progressive estensioni, per diversi secoli la chiesa più grande del mondo cristiano.
Cantina
Foresteria Donne
Cluny (Borgogna), plinti della navata centrale verso l’entrata della basilica di Cluny iii.
Cortile Foresteria Uomini
Porta sud Stalla
Entrata
Stalla
Affresco che raffigura il martirio di san Biagio. Si trova nel priorato di Berzé la Ville, a pochi chilometri da Cluny stessa. Il priorato fu fatto costruire da Ugo di Semur, abate di Cluny dal 1047, come luogo personale di ritiro, di preghiera e di meditazione, negli ultimi anni della sua vita.
Cluny iii circa 1122-1125
circa 1135-1147
secolo xii secolo xi secolo x
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Capitolo ventesimo
Nuove fondazioni monastiche
Liegi St-Bertin Cambrai
Amiens
BRETAGNA
St-Quentin Soissons Rouen Beauvais 1023 NORMANDIA Reims Parigi Champagne Chartres
Tours
Oceano Atlantico
Poitiers
Treviri Metz Châlons
Sens Langres 1024 Auxerre Besançon
ANJOU 116
Colonia BASSA LORENA
Bourges 1031
Nevers
1022-1023 Autun Chalon
Lione
Limoges 1031 Périguex
Mâcon
Le Puy
TOLOSA Dinastia GUASCOGNA principesca TOLOSA Arcivescovato Tolosa Arles Vescovato Narbona Confine occid. del regno di Francia Concilio di Pace Cluny Nucleo del movimento di Pace Espansione negli anni 1020-30 VICH Espansione negli anni 1030-40 BARCELLONA
SAVOIA Vienne
1023 PROVENZA
della necessità di una Chiesa e di un Papato veramente universali, sovranazionali e sovrafeudali. L’esperienza cluniacense fu vista con grande simpatia dalla nobiltà e, per questo, attrasse a sé i figli cadetti delle casate più famose e fu scuola dell’aristocrazia franca orientale ed occidentale, che cominciò a respirare l’aria dell’humanitas che circolava nei monasteri. Altre esperienze e di altra origine si mossero dalla fine del x secolo in tutta la Chiesa: le principali furono quella di san Nilo (di spiritualità greca) che si diffuse prima in Calabria e poi a Roma (Tre Fontane e Grottaferrata), quel-
Il movimento cluniacense fu promotore delle tregue e delle paci di Dio. La cartina indica la diffusione in Francia. Il ponte sul fiume Trebbia a Bobbio, fra Emilia e Liguria, nel cuore dell’Appennino settentrionale, sulla via francigena, nei pressi del monastero fondato da san Colombano nel 615.
la di san Romualdo (1012), fondatore dei Camaldolesi, che ebbero una natura più eremitica, allargata e potenziata da san Pier Damiani, e san Giovanni Gualberto, fondatore (1025) di Vallombrosa. Ma non bisogna dimenticare in area franca Gorze (933), Brogne (950), Digione (989) e poi, nel Piemonte, Guglielmo da Volpiano fondatore di Fruttuaria, che diffuse la sua esperienza anche in Germania in apertura dell’xi secolo. Più tardi una nuova riforma dei Benedettini verrà proposta a Cîteaux da Roberto di Molesmes (1098). Questa grande vitalità contribuì non poco ai diversi momenti e alle diverse tappe della riforma ecclesiastica che prese avvio nella seconda metà dell’xi secolo. La riforma fu poi detta gregoriana dal nome del pontefice che per primo la sostenne.
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21. Attorno
all’anno
Un cronista dell’xi secolo, Raoul Glaber (Rodolfo il Glabro), mo naco cluniacense legato al grande abate Guglielmo da Volpiano, scrive che, appena passato il Mille, l’intero mondo, scosso da un improvviso quanto impetuoso desiderio di rinnovamento, si ricoprì di un «candido manto di chiese», segno visibile che i timori e i terrori millenaristici erano ormai superati e che l’umanità poteva guardare con fiducia al futuro. E tale fiducia era espressa in primo luogo dallo splendore dell’edificio di culto. Il passo, reso celebre dall’uso, in parte improprio, fattone da Le Corbusier, è spesso utilizzato per marcare il passaggio ad una nuova e rivoluzionaria esperienza costruttiva, quella “romanica” (termine impiegato nelle lingue inglese e francese solo dai primi decenni dell’Ottocento e parallelo a “romanzo” in ambito linguistico). La storiografia
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La creazione di Eva, particolare della porta bronzea del duomo di Hildesheim.
Mille
ha invece evidenziato un fenomeno più complesso, concernente i decenni che immediatamente precedono e seguono il tornante del Mille, e che dalla dinastia regnante si definiscono “età ottoniana”. L’area di influenza è territorialmente ridotta rispetto a quella carolingia, e assume come fulcro l’antica Lotaringia, Germania e Italia (una cultura del tutto distinta è espressa invece dal mondo asturiano). In architettura si seguono, anche per ragioni ideologiche, i modelli carolingi, selezionando preferibilmente lo schema della basilica cruciforme a doppia polarità. Un esempio in qualche misura emblematico è costituito dal San Michele di Hildesheim, voluto da Bernward, precettore di Ottone iii e consigliere della madre Teofano, nominato vescovo della città nel 992. Sempre a lui spetta la cattedrale, della quale sopravvive parte dell’arredo (come le porte bronzee con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, e la colonna istoriata che rimanda ai modelli monumentali romani di Marco Aurelio e Traiano). I nessi col mondo carolingio proseguono anche nella produzione
pittorica (Sankt Georg di Oberzell, Reichenau) e trovano nell’area padana una singolare fioritura, ibridata di cultura bizantina (affreschi del battistero di Novara e della basilica di San Vincenzo di Galliano, ricostruita da Ariberto nel 1007). Lo stretto legame tra corona e gerarchie religiose favorisce lo sviluppo culturale dei monasteri e in particolare dei loro scriptoria. Tra tutte spicca la personalità di un grande maestro anonimo della miniatura, detto Maestro del Registrum Gregorii, attivo a Treviri al tempo dell’arcivescovo Egbert, di impostazione solennemente classica (i fogli sono oggi conservati nella Stadtbibliothek di Treviri e nel Musée Condé di Chantilly). La miniatura ottoniana prosegue nei decenni immediatamente successivi al Mille esprimendo opere
119 La porta bronzea del duomo di Hildesheim.
Capitolo ventunesimo
Attorno all’anno Mille
Essen). Un eccezionale sviluppo ha la decorazione in avorio, che rispetto all’esperienza carolingia si amplia e si diversifica. Dalla forma semplice del pannello incastonato nella legatura o del dittico di diretta ascendenza tardoantica si passa ai rilievi combinati in serie narrative, come nel caso (oggi disperso in diversi musei) dell’antependium della cattedrale di Magdeburgo, la Chiesa dinastica. Anche in questa particolare produzione si afferma una figura eccezionale di artista anonimo, detto convenzionalmente Maestro di Echternach, al quale si devono due pannelli di inusuale e drammatico realismo, con Mosè che riceve le tavole della Legge e L’incredulità di san Tommaso (oggi a Berlino).
Crocifisso d’argento di Bernoaldo (Bernward), Dom und Dioezesan Museum Hildesheim.
La rotonda di Brescia.
Cartina dei luoghi artistici preminenti nel periodo.
Reliquiario esagonale di Conques, Tesoro dell’Abbazia.
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di grande rilievo come il Vangelo di Bamberga e il Codex aureus di Sankt Emmeram (Ratisbona) e di Echternach (oggi a Norimberga). Lo scontro tra Gregorio vii ed Enrico iv ne segnerà la fine. Il carattere sostanzialmente aristocratico dell’arte ottoniana trova la sua più alta espressione nella lavorazione dei materiali preziosi. La fronte d’altare (antependium) di Basilea (oggi nel Musée de Cluny a Parigi) presenta cinque figure allungate (Cristo, tre arcangeli e san Benedetto con l’imperatore Enrico ii e la moglie Cunegonda) private di ogni peso sotto arcate di pausata solennità. E così prosegue la transizione tra la statua di culto e la scultura monumentale (Madonna di
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22. Fra
i secoli xi e xii: un cambio di passo
Miriadi di piccole e medie cellule si mossero quasi contemporaneamente, con un sorprendente moto consentaneo che ha sempre stupito gli storici che hanno tentato di dare varie spiegazioni. In tutta Europa, infatti, si era sviluppata una comune energia di ripresa e di rinascita: così nacque un mondo che tratteneva i caratteri delle civiltà romano-germaniche, caratteri dei nuovi popoli che s’erano affacciati proprio allora nella
Il volume di Marc Bloch, I caratteri originali della storia rurale di Francia, è accompagnato da diciotto illustrazioni con cui viene documentata la forma dei campi e della loro proprietà dal Medioevo al Settecento. Proponiamo una rielaborazione della seconda tavola, attinente le Villeneuve nel territorio fra Parigi e Orléans, che ci aiuta a illustrare il xii secolo e i suoi mutamenti che sono oggetto del presente capitolo.
122
Analogamente Emilio Sereni, nella Storia del paesaggio agrario italiano, un testo base della storiografia italiana, per descrivere i territori agricoli e la loro forma, documenta l’impronta lasciata sul territorio dalla suddivisione fra i legionari romani nei pressi di Cesena in Romagna.
storia dell’Occidente. Erano elementi contraddittori, ma sovrabbondanti di forza e di ricchezza non soltanto potenziali; era un mondo che si manifestò totalmente nuovo. Si è ormai affermata la convinzione, documentata dagli studi sull’argomento, che sia da attribuire una grande importanza in questa rinascita al miglioramento del clima. Senza negare tale spiegazione occorrerebbe considerare anche le conversioni al cristianesimo di nuovi popoli – che significarono l’immissione nel concento europeo di nuove forze, fino ad allora dirompenti –, la stessa ripresa energica del sogno imperiale universalistico e il diffondersi delle diverse riforme monastiche e del romanico. Solo la considerazione di questi fattori può spiegare la ripresa di un mondo che ricominciava ad avere una unità spirituale sempre più larga, ed aiutare a comprendere il perché si assistesse a questa grande vitalità. Dati spirituali collegati con condizioni materiali assai favorevoli ad un decollo di civiltà s’inseriscono in diversi movimenti fra loro convergenti, anche se assai diversi fra loro come
origine e modalità, come la richiesta partita da Cluny, e fatta propria dalle coscienze più vigili e colte, di una Chiesa sempre più adeguata al proprio compito e sempre più libera. Si stava anche creando la situazione favorevole per una profonda riforma ecclesiastica. In linea generale flessibilità, mobilità, ricchezza di iniziativa furono i caratteri propulsivi di una rinvigorita realtà del l’Occidente e accomunarono uomini di tutti gli strati della società.
Le tracce di un piano di colonizzazione del secolo xii nei pressi di Villafranca Veronese. Reims, i nuovi borghi, oggi diremmo i nuovi quartieri, tra la fine del xii secolo e l’inizio del xiii. L’estensione si è prodotta in un primo tempo verso ovest con la sistemazione di due larghe strade. Sono poi stati lottizzati gli orti dell’arcivescovo e dell’abate di Saint-Remi lungo grandi assi direzionali. Si creò un paesaggio molto arioso, popolato di artigiani tessili.
123
Porta di Chacre
St. Nicaise St. Ladre aux Hommes
Città
Ospedale Orto di St. Remi Orto dell’Arcivescovo
1 Chiostro di Notre Dame 2 Vieille Couture 3 Couture 4 Bons Enfants 5 St. Remi
St. Ladre aux Femmes Vesle St. Ladre aux Hommes
Porta Vesle
Fra i secoli xi e xii: un cambio di passo
Mercato degli zoccoli
Capitolo ventiduesimo
Mercato delle erbe
Mercato
lle granaglie
Treviri (1250), il borgo della cattedrale, in tedesco Domfreiheit, si è sviluppato nella zona nord-occidentale della città fortificata romana e a lungo fu il solo nucleo densamente costruito e fortificato della città.
Nuovi borghi
Borghi e lottizzazioni a Chartres
St. André
Muret
e Eur
Beauvoir
Borgo
Castello St. Père
Cattedrale Convento Chiostro Palazzo vescovile Corti signorili St. Laurentius Mercato
Mercato degli abiti foderati di pelliccia
Pesa dei re
Mercato del pesce Mercato delle erbe
Macelleria della carne vaccina
Porte des Epars St. Michel
Ghetto Macelleria della carne ovina
Mercato dei tessuti di lana Loggia nuova
Macelleria dei giorni festivi
Grande loggia
Piazza del cambio
Montpellier, Francia meridionale, tessuto urbano molto diversificato e a compartimenti. Tutti i mestieri installavano i loro banchi nei pressi della grande chiesa, dove si trovavano anche i luoghi di riunione e il palazzo comunale.
Place de Consulat
Piccola loggia
NotreDame des Tables
Castello in Borgogna sulla strada verso Vézelay nei pressi di Semur-en-Auxois.
125
Hôtel de Ville
Recinto della cattedrale
Chartres. Otto nuovi borghi completano il popolamento e colmano i vuoti all’interno della cinta muraria esistente; si può notare il recinto della cattedrale accanto ai nuovi borghi.
1 2 3 4 5 6 7
Infatti, a zone decisamente popolate, si affiancarono zone che rimasero a lungo semideserte. Un esito della crescita demografica fu il movimento della popolazione verso la città e le borgate, oppure alla volta di nuove terre e nuovi villaggi da conquistare alle colture. Questa grande mobilità, prevalentemente contadina, oltre a modificare la composizione sociale ed i rapporti giuridici, diede luogo a forme di migrazione assai diverse da quelle che avevano caratterizzato l’Europa dal iii al x secolo.
maiale
124
rimasero come prima. Con l’xi secolo si rafforzò un processo che coprì l’arco di cinque secoli e riguardò tutta la parte occidentale del continente e anche parti rilevanti del centro e dell’Oriente europeo. Durante questi secoli l’Europa rurale assunse quella fisionomia che durò, in certi casi, fino al primo quarantennio del xx secolo. La coltivazione prese il sopravvento sul bosco e sulla foresta: fu quindi l’epoca, per Francia e parte della Germania, dei dissodamenti; per la Pianura Padana e le Fiandre, delle bonifiche; per la Spagna, della reconquista; per la Germania ad Oriente, delle grandi colonizzazioni. Le zone montagnose furono interessate solo in misura marginale da questo processo, che da alcuni storici viene definito la prima «rivoluzione agraria» europea. Questo fenomeno fu costante fino al xiv secolo, quando carestie e pestilenze ne bloccarono l’ascesa. E comunque, non avvenne in modo uniforme.
Antico Hôtel de Ville
carne di Macelleria della
Ecclesiastici, cavalieri, contadini e mercanti, uomini e donne del borgo, del castello e delle città, marinai delle città costiere ed imprenditori, a vario titolo e per varie ragioni, ritrovarono il gusto di giocare le proprie risorse, di impiegare capitali, di dissodare nuove terre e di avventurarsi nei commerci. Anche la politica e l’arte militare non furono più circoscritte nelle lotte feudali per la sopravvivenza e ancor meno furono determinate dalla mentalità tribale: anche queste realtà cominciarono ad avere un respiro più complesso, ma non per questo meno drammatico e conflittuale. In questo contesto si assiste alla prima, vera, «rivoluzione agraria» europea. Già durante il x secolo, a ben guardare, in tutte le campagne dell’Occidente aveva cominciato a muovere i primi passi il grande fenomeno di una profonda trasformazione dell’agricoltura, che ebbe notevole risonanza sulla vita degli uomini. Il numero degli abitanti, il paesaggio agrario, gli strumenti di lavoro agricolo, le tecniche produttive, i tipi di insediamento, i rapporti di proprietà e di dipendenza non
Mercato de
Auditoire
Fra i secoli xi e xii: un cambio di passo
Un insieme di fattori contribuirono all’aumento della popolazione e dei contadini che dissodavano, bonificavano e colonizzavano e furono: le condizioni di libertà di singoli e di villaggi, la quantità delle terre, i regimi di successione, i vincoli di vendita delle proprietà e le trasformazioni tecnologiche. Questa vitalità sociale ed economica portò anche alla formazione di nuove città mentre altre, antiche e nobili, si espandevano in diverse aree dell’Occidente. A parte il caso di Venezia, immune dalla mentalità feudale, e delle città regie come Pavia, che rimanevano sotto il controllo del monarca, queste città furono quasi tutte caratterizzate dallo svincolarsi progressivo, soprattutto nella Pianura Padana, dalle strutture strettamente feudali.
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Braunschweig. Esempio di città policellulare, formatasi per addizioni successive. Le sei comunità urbane della città tedesca sono distinte sia per la loro origine che per la loro natura.
Fu un movimento importante che gradualmente, già dal x secolo, avviò processi i quali andavano lentamente modificando il volto dell’Europa e del diritto. Infatti, attraverso le immunità e i privilegi, si vennero formando i diritti delle formazioni sociali e dei singoli a nuove e più estese libertà civili e personali. Proprio in Europa cominciò in questi secoli quel processo che diede sempre più valore al singolo, a prescindere anche dalla propria comunità di appartenenza o dal vincolo col sovrano. Ciò si può ben comprendere considerando la genesi delle autonomie cittadine, che portò lentamente a un rovesciamento della concezione della sovranità. Anche nel mondo rurale si assisté, nei medesimi secoli, al passaggio graduale dalla schiavitù al servaggio. Questo fu un cambiamento di grande rilievo, perché al servo venne attribuita consistenza di persona, e non di cosa. Si ebbero anche, in seguito, delle regressioni e delle involuzioni, legate alla concreta mentalità degli uomini e dei popoli.
MM erecrc ataoto
Capitolo ventiduesimo
Mercato Mercato
Münster Münster (Renania) (Renania)
Xanten Xanten(Renania) (Renania)
Mercato Mercato
Mercato Mercato
Osnabrück Osnabrück
Brema Brema
Come in parte s’è già visto, i vescovi avevano acquisito e svolto una funzione civile incentrata sulle città, centro delle loro diocesi. Ciò avvenne parallelamente al formarsi di altre potenze locali, dotate di giurisdizioni molto ampie. «Se il contado incastellandosi creò nuovi centri di potere che dilatarono i loro confini fino a formare vere e proprie unità territoriali, includendo i beni di coloro che in qualche modo si erano legati al castello, allo stesso modo le città divennero, fortificandosi, il centro politicamente e giuridicamente responsabile di tutto il circondario che già ad esse faceva capo economicamente ed ecclesialmente» (Rossetti). Le città tendevano a rompere con il regno e l’impero e si costituivano in vere res publicae autonome dotate di ordinamento proprio e, poiché non erano facilmente inseribili nei rapporti feudali, portarono alla rottura con questa forma istituzionale. In Italia anche l’aristocrazia feudale non fu estranea a questo movimento urbano ed a queste trasformazioni. Particolarmente forte fu la città dell’Italia centro-settentrionale,
Le sei comunità urbane di Braunschweig
Neustadt Hagen
Cattedrale di St. Etienne Palazzo vescovile Case canonicali St. Jean Baptiste Abbaye de la Règle St. Domnolet Ste. Affre St. Maurice St. André St. Génes
Castello
Burg
Snackenburg (Brandeburgo)
Alte Wiek
Città
Burg Mercato
Sack
e
Città 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Burg
Altstadt
Vienn
Limoges
1 2 3 4 5 6 7 8
Cattedrale di St. Blasii St. Ulrich St. Martin St. Magni St. Katharinen St. Andreas Domenicani Francescani
a b c d
Rathaus Mercato Vecchio Mercato dei cavoli Mercato della lana
Eger (Boemia)
Mercato
1 Abbazia di St. Martial 2 Cimitero 3 St. Michel-aux-liens
Entrate del borgo
Macelleria Macelleria
Castello
Diverse città tedesche, nell’ordine da sinistra a destra Xanten, Münster, Osnabrück, Brema, Snackenburg, Eger (Boemia), documentano come il mercato si fosse sviluppato nelle vicinanze del primo luogo di popolamento urbano. Limoges. Formazioni più complesse nei due agglomerati in almeno due tappe successive. Nella città e nel castello si realizzano degli insiemi di estensioni popolate di laboratori artigiani in prossimità di un mercato. In mezzo si è costituito un borgo chiamato “Entre-deux-villes”.
Mercato
127
Capitolo ventiduesimo
Fra i secoli xi e xii: un cambio di passo
mentre nel Mezzogiorno l’inserimento dei Normanni bloccò un analogo potenziale sviluppo della città meridionale. Nella Pianura Padana i vescovi avevano acquistato preminenza anche su vasti territori agricoli, che furono uniti giuridicamente alle loro città. Molti laici nobili divennero così loro vassalli e il contado fu sottomesso alla loro signoria. Situazione che, durante la riforma ecclesiastica, creò non pochi problemi ai papi riformatori e alle loro direttive. In questo contesto si spiega la necessità per Alessandro ii e Gregorio vii di appoggiarsi sulla pataria milanese.
Nei pressi delle antiche arene la Città (località) si circonda di una larga corona di chiese e monasteri, mentre il Puy, cinto di possenti fortificazioni, si sviluppa intorno a una dimora cimiteriale e all’abbazia.
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Saragozza. La città, al confluire nell’Ebro del Río Huerva, come appare dopo la conquista cristiana; con la zona degli Arabi, quella degli Ebrei e il Barrio Mozarabico.
Périgueux
Cimitero dei poveri
N.D. de la Daurade
Le città italiane, d’altronde, erano rimaste vive anche negli anni della crisi postcarolingia, in cui s’erano cominciate a profilare nuove funzioni sociali come quella degli artigiani, dei commercianti, dei notai che, con l’appoggio dei vescovi, si erano via via imposti come classe dirigente della città; nelle città italiane testimonianze di questi mutamenti sono evidenti, ma anche al di là delle Alpi si hanno documentazioni eloquenti di una vita cittadina che, man mano che trascorrevano gli anni lungo il secolo xi, s’affermava sempre di più. Già il governo di Ottone i aveva saputo valorizzare come fattore di mobilità politica a suo favore questa maggiore complessità sociale che si stava delineando. Feudatari minori nei confronti dei maggiori, vescovi nei confronti dell’imperatore, nuove classi sociali nei confronti del meccanismo signorile e feudale incentrato sulle campagne aprirono una dialettica sociale che ebbe nella città il suo centro più vivo e nelle rinate attività commerciali e artigianali la propria espressione economica.
I due principali esiti di questa situazione furono: la cosiddetta rivoluzione commerciale ed un notevole incremento della capacità produttiva, che interessò alcune città marinare italiane, quasi tutti i principali centri dell’Italia centro-settentrionale, ed alcuni delle Fiandre. Lo sviluppo degli altri centri urbani europei fu più legato ai meccanismi politici e istituzionali di natura signorile e feudale, oppure al formarsi dei primi fattori di accentramento monarchico e al ruolo dei ministeriali.
Beauvais. Il quartiere vescovile di Beauvais in Normandia: intorno alla cattedrale di Saint-Pierre, palazzetti signorili che comprendevano una grande sala, numerose camere, una torre, delle torrette, una scuderia, una dispensa. Si disponevano in ordine sparso nella via invadendo il quartiere. Saint-Seine-l’Abbaye. Un villaggio sorto intorno a un’abbazia nei pressi delle sorgenti della Senna in Borgogna.
1 Quartiere 1 Quartiere araboarabo mozarabo 2 Quartiere 2 Quartiere mozarabo ebraico 3 Quartiere 3 Quartiere ebraico
Ebr Ebr o o
Isle
St. Hippolyte
Città di Le Puy Saint-Front St. Front Hilaire St. Silain
St. Jacques
Borgo del santo
rva rva Hue Hue Rio Rio
Ste. Eulalie
Francescani
St. Martin
St. Jean Domenicani
St. Pierre aux liens Cappella di St. Jean Città Ste. Marie
St. Pè
Cimitero
MuraMura di terra di terra Muraglia Muraglia di terra di terra CintaCinta del quartiere del quartiere araboarabo
Cattedrale di St. Pierre
Vescovado Scuola di canto
Casa canonicale
1 2 3 4 5
Sala capitolare Chiostro Antica cattedrale Collgiata di Notre-Dame-du-Châtel Collegiata di St. Nicolas
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23. Le
istituzioni signorili e feudali
Nei primi tempi dell’viii secolo, nell’area franco-merovingia dell’Europa e poi più diffusamente nel continente, si venne formando un sistema di riorganizzazione militare-difensiva contro incursioni ed invasioni della cavalleria musulmana, ba-
Lo Schloessel, presso Klingenmuenster, sostituì nell’xi secolo una struttura a bastioni del primo Medioevo. Brescia fu una delle capitali del regno dei Longobardi. Il complesso di Santa Giulia. Il monastero di San Salvatore, poi di Santa Giulia, fu fondato come monastero benedettino femminile nel 753 da Desiderio, futuro re longobardo, e da sua moglie Ansa. Nell’attuale complesso spiccano la basilica di San Salvatore (ix secolo) edificata su una preesistente chiesa e su un edificio di epoca romana del i secolo e il sacello di Santa Maria in Solario con un imponente tiburio ottagonale.
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L’abbazia di Pomposa, fra Emilia, Romagna e Polesine, fu un altro complesso monastico di grande peso economico e politico, al pari di Santa Giulia. Sorta probabilmente nel vii secolo e molto influente fino a tutto il xiv, quando cominciò un lento declino.
sato essenzialmente sulla concessione usufruttuaria e temporanea di terre in beneficio da parte del re agli uomini del suo seguito, come soldo militare, in cambio di un servizio armato a cavallo, assicurato dietro giuramento di fedeltà personale al capo. Agli inizi dell’ix secolo, nell’ambito del Sacro Romano Impero, Carlo Magno estese ed elevò quello che viene chiamato il feudalesimo a sistema di governo, coordinandone più strettamente i tre essenziali elementi costitutivi: il beneficio
Loches (Turenna). Costruita tra il 1012 e il 1035 per il conte Folco Nerra, la torre principale – qui raffigurata – era all’origine di un complesso più vasto. I vescovi ebbero soprattutto nelle città dell’Impero romano-germanico una notevole importanza civile. Duomo antico di Brescia, detto la Rotonda, frammento lapideo con sant’Apollonio (xiii secolo) murato nella controfacciata.
(cioè l’elemento reale), il vassallaggio (cioè l’elemento personale) e l’immunità (cioè il regime di esenzione soprattutto in ambito giudiziario e fiscale). L’aristocrazia militare venne così inserita nello Stato carolingio, organizzata entro le maglie di un ordine gerarchico di vincoli di dipendenza, secondo una figura piramidale che aveva al suo vertice l’autorità imperiale; territorializzata mediante la costituzione di marche (ampie terre di confine) e di comitati, affidati a vassalli, rispettivamente marchesi e conti; e infine controllata mediante l’istituto del missatico (invio di ispettori imperiali, laici ed ecclesiastici). Già però nel corso del ix secolo, in seguito alla crisi d’autorità dei successori di Carlo Magno, si registrò una crescente divaricazione fra la sorte degli stati medievali (Impero e Regni), sempre più deboli, e quella dei grandi vassalli che, liberatisi di fatto dai vincoli di dipendenza e dai controlli del sovrano, pretesero e ottennero nell’877 (capitolare di Carisiacum [Quierzy]) il riconoscimento dell’ereditarietà dei feudi maggiori. Il processo di dissociazione fra poteri pubbli-
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Capitolo ventitreesimo
Le istituzioni signorili e feudali
Magonza Treviri Worms Spira
Chartres MAINE
Parigi
Châlons Troyes
Orléans
IA
Beauvais
SVEVIA
BRETAGNA
Colonia
Liegi
A
NORMANDIA
TE
ALSAZ
RA ND
FIA PONTHIEU Arras Amiens CAUX
LOREN
La cartina definisce per quanto riguarda la Francia le due diverse aree di prevalenza giuridica nelle forme di possesso e di utilizzo della terra.
BR
132
AB AN
feudali o parafeudali, imperatori e re si trovarono sempre più condizionati dalle aristocrazie militari e videro fallire ad uno ad uno i loro tentativi di riassumere il controllo: così i sovrani della dinastia di Sassonia che fra x e xi secolo, nel tentativo di deprimere la grande feudalità laica, rafforzarono la grande feudalità ecclesiastica (vescovi-conti e abati-mitrati); allo stesso modo Corrado ii il Salico, nel 1037, con la Constitutio de beneficiis (normalmente detta Constitutio de feudis) che sanciva l’ereditarietà dei feudi medi e minori e la giustizia dei pari, per frenare e ostacolare le spinte centrifughe della grande nobiltà laica ed ecclesiastica soprattutto nel mondo italiano, finiva per avvantaggiare la feudalità ai suoi livelli gerarchici medio-bassi, favorendo l’estensione della patrimonializzazione del feudo e il diffuso riscatto sul piano giurisdizionale dalla disciplina dei vincoli di dipendenza e dalla connessa prestazione del servizio armato. Tali mutamenti istituzionali, attraverso vari processi di mobilità fisica e socioprofessionale, contribuirono a dare una nuova dimensione e
ci e forze feudali si accentuò così ulteriormente, favorendo la patrimonializzazione e privatizzazione del sistema e il rafforzamento politico-sociale delle maggiori aristocrazie militari e signorili, ma su posizioni sempre più particolari e autarchiche; nel mentre il sistema feudale poté penetrare in forme più capillari e radicate nella società medievale, ricostituendone dalle basi l’organizzazione del potere, gli equilibri associativi e le forme di economia. Ma al tempo stesso tale processo era destinato a precludere ogni possibilità di successo ai reiterati tentativi operati in seguito da imperatori e re di riagganciare e reinserire le forze feudali al servizio dello Stato medievale. Mentre la Chiesa, dopo un iniziale atteggiamento antifeudale dei suoi papi, restò gradualmente coinvolta nel sistema così da costituirsi variamente nei tempi e a vari livelli su posizioni
ANJOU TURENNA Nevers POITOU Oceano Atlantico
B ORGOGNA (Ducato)(Contea)
BERRY
AUNISANGOULÊME ALVERNIA
Nimes Montpellier Tolosa Confine dell’area di diritto scritto (XII secolo) Centri di rinascita del diritto romano Sistemi consuetudinari Area di diritto scritto
Perpignano
Avignone Arles Aix-en-Provence
funzione economico-sociale alle forze feudali e a favorirne l’adattamento al moto di rinascita della vita cittadina, contrassegnato dalla mentalità del profitto e dall’economia di mercato. E pertanto esse vennero a costituire, in modo ora più ora meno apparente, l’ossatura politico-sociale-economica dell’esperienza comunale e signorile nelle città del regnum Italiae dal Medioevo all’età moderna.
Palazzo Berenguer Aguilar di Barcellona. Affresco che descrive il particolare di una battaglia, quella di Protopi, durante la Reconquista. La Penisola iberica, per la sua particolare modalità del costituirsi del potere attraverso la guerra contro i Mori, manterrà caratteristiche sue proprie. La piantina descrive gli scavi del castello di Weissenstein presso Wehrda (Marburgo): il primitivo corpo rettangolare (inizio xii secolo) fu ampliato con una struttura triangolare di rafforzamento difensivo. La struttura sociale del composito mondo tedesco non fu omogenea nelle diverse regioni ed ebbe anch’essa caratteristiche sue proprie.
Tale degenerazione del feudalesimo, dalle sue primitive connotazioni e destinazioni verso forme di particolarismo e interessi in larga misura privati, trovò un temporaneo freno, nel corso soprattutto del xii secolo; ma esso non fu tale, tuttavia, da arrestare la crisi del sistema: il maggiore sforzo in questo senso, nel tentativo cioè di riorganizzare l’Impero feudale, fu compiuto da Federico i di Svevia che cercò di riassumere al servizio del suo stato il controllo della feudalità dei regni a lui sottoposti. In funzione competitiva, anche la Chiesa romana dalla seconda metà del xii secolo cercò di imprimere un carattere feudale alla monarchia papale, mentre regni feudali si erano già costituiti o si stavano costituendo solidamente in Inghilterra e nell’Italia meridionale a opera dei Normanni invasori. Ma gli sviluppi successivi, col progressivo rafforzarsi di gran parte delle monarchie europee in senso accentratore e burocratico, videro l’emarginazione della feudalità dalle leve di potere dello Stato moderno e la progressiva valorizzazione politica delle borghesie cittadine.
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24. I Cisterciensi
L’Ordine cisterciense nasce, nel 1098, da uno dei tentativi condotti da Roberto, abate di Molesmes, di avviare un’esperienza che consentisse di vivere, con un più profondo e intenso coinvolgimento personale, secondo la Regola di san Benedetto (cfr. Exordium Cistercii i,5; Exordium parvum iii,6). Il tentativo, realizzato questa volta con una ventina di monaci del suo monastero, diede origine a una nuova fondazione: il Novum monasterium, che, a partire dagli anni 1115-1116, e poi definitivamente dal 1119, venne chiamato Cistercium, da cui il nome Cisterciensi. Sin dall’inizio, l’esperienza si caratterizza non come l’intuizione di un singolo fondatore, ma come il cammino di un gruppo. Lo stesso Roberto, infatti, l’anno successivo alla fon-
dazione del Novum monasterium, sarà richiamato a Molesmes per riassumervi la carica di abate (cfr. Exordium parvum v-viii) e vi resterà sino alla morte (1111). Secondo lo storico inglese Guglielmo di Malmesbury, il proposito dei primi Cisterciensi – condotto sotto l’auctoritas della regola benedettina – si può sintetizzare nello sforzo di cercare la ratio con la quale Dio ha creato e guida il mondo, per ispirare ad essa la propria vita (cfr. Gesta Regum Anglorum, l. iv, § 334, scritto prima del 1125). Progressivamente quella ratio fu individuata nella caritas, come attestano sia il primo testo normativo dell’Ordine, la Carta caritatis, composta tra il 1113 e il 1119, gli anni delle prime fon-
Disegno al tratto che riproduce il primo monastero di Clairvaux, fondato da san Bernardo.
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I principali monasteri cisterciensi secondo le diverse fondazioni.
Zone di alta densità monastica In tutto 525 abbazie alla fine del XII secolo
Chiesa dell’abbazia di Silvacane in Provenza.
Hovedö
Kinloss
Alvastra Nydala Gudvala Melrose Esron Soro Herrevad Eldena Tintern Oliva Loccum Kolbatz Buckfast Waverley Les Vaux Pontigny Lond Sulejów Nivelles Altenkampf La Trappe Leubus Molesmes Pforta Orval Savigny Wonchok Clairvaux Melleray Jedrejów La Grâce-de-Dieu Fontenay Morimond Zwettl Sept-Fons Cîteaux La Garde-Dieu Heiligenkreuz La Ferté Cadouin Hautecombe Sobrado Zircz Moreruela La Oliva Aiguebelle Chiaravalle Maulbronn Morimondo Taruca Fontfroide Le Thoronet Valbonne Alcobaça Santes Roma Casamari Valbuena Creus Senanque Fossanova Silvacane Valsaintes S. Stefano S. Spirito Boyle
Clairvaux: 80 fondazioni Cîteaux: 28 fondazioni Morimond: 28 fondazioni Pontigny: 16 fondazioni La Ferté: 5 fondazioni Fontenay
dazioni – La Ferté (1113), Pontigny (1114), Clairvaux (1115), Morimond (1115), Preuilly (1118), La Cour-Dieu (1119), Bonnevaux (1119) –, sia le molte opere dedicate al tema dell’amore dai grandi autori cisterciensi del xii secolo. A quest’acquisizione i monaci giunsero attraverso un intenso e faticoso itinerario, caratterizzato da molte difficoltà (ristrettezze di mezzi e persone, carestie, ostilità), ma anche da uno straordinario impegno nella ricerca di una forma di vita autentica. Basti pensare alla scelta di ricorrere a studiosi ebrei per verificare, sul testo ebraico, la correttezza delle diverse traduzioni latine della Bibbia (cfr. il Monitum della “Bibbia di Santo Stefano” del 1109) o alla scelta di inviare alcuni monaci a Milano per cercarvi gli inni autenticamente ambrosiani (cfr. la Lettera sull’uso degli inni del 1108-1113) e a Metz per approfondire la conoscenza del canto gregoriano (cfr. Bernardo di
Vitsköl
Mar Medi terra n
eo
Il corso d’acqua che oggi scorre presso Cîteaux. Ogni fondazione cisterciense doveva e deve sorgere nei pressi di un corso d’acqua canalizzato. Stefano Harding (co-fondatore dei Cisterciensi) e l’abate di Saint-Vaast d’Arras, mentre offrono ciascuno la propria abbazia a Maria. Digione, Bibliothèque Municipale, ms 130, fol. 104.
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Capitolo ventiquattresimo
Clairvaux, Prologus in antiphonarium quod cistercienses canunt ecclesiae). Non è difficile immaginare come un simile sforzo abbia caratterizzato anche altri settori della loro vita. I frutti di questo intenso lavoro cominciarono a vedersi a partire dagli anni 1112-1113, quando il Novum monasterium cominciò ad accogliere numerose nuove vocazioni – prima tra le quali quella di Bernardo e di un gruppo di suoi amici e parenti – a dare vita alle prime grandi fondazioni e a realizzare i primi grandi sviluppi nei campi della vita ecclesiale e culturale dell’epoca: non solo nella spiritualità e nella teologia, ma anche nell’agricoltura, nell’economia, nell’architettura, nella letteratura, nel diritto.
I Cisterciensi
L’esperienza cisterciense mette in luce, così, la sua capacità di assumere i grandi interrogativi del tempo e di offrire risposte adeguate, tradotte anche in concrete scelte di vita (cfr. la ricca e articolata proposta di statuti approvati nei Capitoli generali e raccolti negli Instituta generalis capituli apud Cistercium). Questo spiega la grande forza di attrazione esercitata dall’Ordine nel xii secolo e la sua ampia diffusione. A metà del xii secolo le fondazioni e affiliazioni avevano ampiamente superato le 300 unità, in tutta Europa, e grandi personalità avevano scelto di entrare a far parte dell’Ordine: non solo Bernardo di Clairvaux († 1153), ma anche Guglielmo di Saint-Thierry († 1145), Guerrico d’Igny († 1157), Amedeo di Losanna († 1159), Ottone di Frisinga († 1159), Aelredo di
Cîteaux, Indice degli Ecclesiastica Officia. Digione, Bibliothèque Municipale, ms 114, fol. 1v. Le Thoronet, fontana del chiostro.
136
Blandecques, veduta dell’abbazia e dei suoi mulini verso il 1460. Rotolo di carta dipinto. Saint-Omer, Bibliothèque Municipale, ms 1489.
Le Thoronet, galleria del chiostro e veduta del chiostro.
Rievaulx († 1167), Isacco della Stella († 1169 ca.), Gilberto di Hoyland († 1172), Baldovino di Ford († 1190), Giovanni di Ford († 1214), Adamo di Perseigne († 1221). Nel xiv secolo si assisterà, invece, al declino dell’esperienza cisterciense. Molte le cause: le devastazioni della Guerra dei Cent’anni (1339-1453); i danni economici e sociali prodotti dalla Peste Nera (1347-1352); le divisioni generate nella Chiesa dal Grande Scisma d’Occidente (1378-1417); l’esplosione dei nazionalismi, con la conseguente riduzione dell’autorità del Capitolo generale; il diffondersi di episodi di decadenza morale, favoriti anche dalla difficoltà di mantenere i rapporti tra i monasteri. I Cisterciensi persero, così, gran parte della loro vitalità e della loro capacità di incidere sul contesto sociale e culturale. Solo il recupero di un’autentica vita monastica e della sua geniale capacità di offrire risposte convincenti alle grandi questioni della propria epoca genererà, nei secoli successivi, nuovi entusiasmi attorno agli ideali dell’esperienza cisterciense.
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25. Le città, i comuni e i commerci Soprattutto nelle città delle aree più urbanizzate e sviluppate dell’Occidente, in particolare nell’Italia centro-settentrionale, nella valle del Reno e nella Fiandra si realizzò una forma istituzionale in cui confluirono e si consolidarono, fra xi e xii secolo, movimenti autonomistici locali, dapprima nelle città, poi nelle campagne. Un terreno particolarmente favorevole per lo sviluppo di tali autonomie in senso politico fu costituito dal regnum Italiae che comprendeva la parte centro-settentrionale della penisola. Qui, nel periodo del conflitto fra Papato e Impero per le investiture vescovili, che indebolì fortemente i tradizionali
Veduta delle torri della cattedrale di Bamberga (1201-1237) in Germania.
L’ampia cartina illustra le regioni europee più densamente urbanizzate e indica i nomi delle principali città. Città che spesso godevano di forme di autonomia rispetto all’imperatore, ai monarchi, alla feudalità laica o ecclesiastica, o al potere temporale del pontefice – in quanto sovrano nelle regioni del Patrimonio di San Pietro.
La visione aerea del centro di Parma e di Piacenza ci permette di illustrare due tra le città di media dimensione che ebbero un ruolo attivo e propulsivo nel pieno Medioevo dell’Italia settentrionale e comunale.
Colonie e fondaci di Genova e Venezia Sedi di fiere importanti Altri centri Città della Lega anseatica
Promotori e continuatori del movimento comunale nel Regno italico per lungo tempo furono in prevalenza nuclei familiari di estrazione aristocratico-militare, dotati di solito ampiamente del possesso o della proprietà terriera: dalla loro solidarietà giurata (coniuratio), non di rado realizzata con l’accordo e la tutela del vescovo locale, e mediante la costituzione di assemblee e consigli rappresentativi allargati e ristretti, nonché della magistratura collegiale dei consoli con poteri esecutivi, giudiziari e militari, sortì una nuova promozione della res publica; essa favorì la valorizzazione delle consuetudini cittadine, la tutela dei beni comuni e l’avocazione di fatto della gestione autonoma di una serie di diritti regali di particolare rilevanza politica ed economica, attraverso, pri-
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Bergen Depositi della Lega anseatica Åbo Oslo Itinerari terrestri e fluviali Stavanger Stoccolma Narva Novgorod Rotte veneziane Reval Edimburgo Mare Jaroslavl’ Rotte genovesi Kazan’ Pskov Newcastle del Rotte anseatiche Lödöse Visby Nord Aree tessili Mosca Dublino Riga Dorestadtiel Copenaghen Limerick Polock Malmō Danzica Kovno York Haithabu Rostock Smolensk Amburgo Vilna Stralsud Brema Lubecca Stettino Königsberg Londra Southhampton Soest Hildesheim Brandeburgo Torun Canterbury Varsavia Corvey Magdeburgo Brugge Rouen Colonia Lipsia Breslavia Francoforte Brest Lendit Kiev VladimirTreviri Norimberga Metz Volynskij Angers Provins Cracovia Ratisbona Bar-sur-Arbe Orléans Erfurt Basilea Troyes Augusta Vienna La Rochelle Chalon Santiago de Tana Zurigo Salisburgo Compostela Lione Bordeaux Buda Pest Coira Milano Bayonne Cahors León Belgorod AiguesTrieste Verona Burgos Mortes Caffa Venezia Vicina Pézenas Genova Firenze Belgrado Cherson Zara Saragozza o Marsiglia Ner Lisbona Ancona Mar Montpellier Toledo Trebisonda Sinop Barcellona Ragusa Roma Valencia Samsun Siviglia Cordova Napoli Bari Palma Sivas Costantinopoli Granada Cadice Durazzo Tessalonica Murcia Malaga Amalfi Cagliari Almeria Nicea Ceuta Ankara Corfù Focea Algeri Sale Palermo Bugia Messina Edessa Laiazzo Tebe Melilla M Orano Smirne Iconio a Atene Tunisi r M Aleppo Modone Rodi e d Tarso Qairouan i t Famagosta Mahadia Tripoli e r Beirut r a Candia Damasco n e Gerba o S. Giovanni d’Acri Tripoli Giaffa Gerusalemme Barca Alessandria Damietta Elat Cairo
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Lorem ipsum
poteri medievali, soprattutto nelle articolazioni periferiche del regnum (conti e vescovi), nuove condizioni economico-sociali in un clima di diffuso rinnovamento generale dell’economia di scambio valorizzarono soprattutto i centri urbani di mercato e ne fecero il luogo privilegiato d’incontro fra un’ancora vitale piccola e media nobiltà del contado e una borghesia cittadina, mercantile, artigianale e intellettuale ormai in forte crescita.
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Capitolo venticinquesimo
ma, una serie di singoli provvedimenti normativi (brevi), poi l’elaborazione di veri e propri statuti comunali. Assimilati al nuovo regime i residenti dei centri urbani e delle aree suburbane, le forze del comune tesero a penetrare, spesso contro la superstite nobiltà, nel territorio comitale (da comes, conte) e diocesano per sottoporlo alla propria giurisdizione e per controllarne e sfruttarne tutte le risorse annonarie al servizio di una popolazione urbana in continua crescita. Questo movimento, detto di comitatinanza, non riuscì però quasi mai ad
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Le città, i comuni e i commerci
affermarsi compiutamente per il dispersivo permanere di non poche signorie rurali, laiche ed ecclesiastiche; per indebolirle esso talora favorì l’emancipazione dei comuni rurali e intrecciò, su un orizzonte politico-diplomatico-militare ben più ampio, una serie di patti giurati intercittadini (leghe). Ma la loro efficacia per la durata di almeno un secolo, a partire dalla metà del xii secolo, fu frenata dalla politica di restaurazione imperiale attuata dagli Svevi e neppure fu risolutiva a tale effetto la pace di Costanza (1183) che pure riconosceva da parte di Federico i certe autonomie alle città veneto-padane.
Ginevra, planimetria degli scavi archeologici della cattedrale (D. Burneaud, 1983, campagna di scavi di Charles Bonnet. Bureau cantonal d’Archéologie). Sono ben visibili il gruppo episcopale del v secolo, con il battistero situato tra le due chiese e la cattedrale del vi secolo che incorpora il battistero.
Una scena di città dalla volta della chiesa di Saint-Savin-sur-Gartempe.
Come Giotto, o la sua bottega, raffigurano una città dell’Italia centrale nel 1315 ca., Assisi, chiesa inferiore di San Francesco.
Ratisbona, Baviera. Chiavistello del portale della Schottenkirche; rappresenta un monaco che lo chiude.
Uno dei motivi del contrastato affermarsi del movimento comunale e della sua inadeguata incidenza nella politica interna ed esterna doveva però risiedere anche nelle rivalità permanenti fra le famiglie consolari e nelle tensioni dei nuovi
Planimetria di Firenze nel xiii secolo.
Santa Croce
San Marco Cattedrale San Lorenzo Santa Maria Novella
Bargello Ponte alle Grazie
Badia Palazzo Vecchio
Ponte Vecchio Ponte Santa Trinità Ponte alla Carraia
Chiese Mura romane Seconda cerchia (XII sec.) Terza cerchia (XIV sec.)
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Capitolo venticinquesimo
Le città, i comuni e i commerci
Fornai
ria
Marienkirche
ceti emergenti, quelli appunto popolari, che il rapido sviluppo dell’economia di mercato aveva decisamente rafforzato. All’interno del comune aristocratico, già nel tardo xii secolo, si ritenne di poter sopire la crescente conflittualità fra le fazioni mediante l’istituzione della magistratura personale del po-
Archivi Sarti
Calzolai
Zecca Merciai
Rosticceri
Speziali
Lubecca, una delle principali città anseatiche. La grande piazza pubblica è anche la piazza di un mercato molto attivo e della sede dell’amministrazione municipale. Si è sviluppata intorno alla Marienkirche. Il mercato si snoda con grandi logge diversificate, con più file di botteghe o con banchi al centro, e con negozietti allineati lungo il borgo interno.
Pesci
Tessuti di lana
Rathaus
Cambiator i
Feltro
solo in poche città di particolare vitalità economica poté sovvertirlo e costituirsi come esclusivo regime popolare. Fra Duecento e Trecento, col manifestarsi nella vita comunale di posizioni di parte sempre più inconciliabili, in una situazione di ingovernabilità crescente e di insicurezza per l’accentuarsi delle rivalità faziose e dei pericoli esterni, si smarrì il senso delle libertà comunali e dei valori di convivenza civica e di autonomia e le superstiti forze comunali dovettero cedere il passo ai regimi autoritari delle nuove signorie cittadine.
Orafi
Genova. Le reti stradali nel 1250. Le grandi arterie relativamente strette rispondevano a due bisogni essenziali: una segna il tracciato della riva portuale, le altre partono dalle porte delle mura e convergono in direzione del porto. Il reticolo secondario contrappone la ripartizione regolare dei quartieri.
Mercato Frut ta e verd ura
Calzolai
Cera
Parigi, palazzi principeschi e dei prelati, sulla riva sinistra della Senna dove si sarebbe formata l’Università, erano proprietà di vescovi, abati, grandi signori e principi che si erano fatti costruire o avevano acquistato edifici che garantivano la loro presenza nella capitale, quando ne avevano bisogno.
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Fondaco
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Pienza. Esempio di città del principe voluta da Pio ii desideroso di fare del borgo di Corsignano un modello che rispondesse alle esigenze della buona amministrazione e alle concezioni più elaborate degli architetti umanisti. In questo contesto il palazzo comunale resta modestissimo di fronte agli edifici vescovili e alla residenza del principe.
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Londra, Guildhall, si trovava nel pieno centro della City. A partire dagli anni ’30 del xii secolo la City di Londra poteva disporre di un edificio che fungeva da casa comunale, e viene segnalato più volte in testi dei secoli successivi. Su questa stessa area nel 1411 venne costruito il nuovo edificio, d’aspetto sicuramente migliore e di maggiori dimensioni.
Agostiniani
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Garancières
Rue d’Autriche
Stampe
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Louvre
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Rue St. Thomas du Lou
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Hospice des Quinze-Vingt
Porta St. Honoré
St. Nicolas
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Vendôme
Laval Mercato
Grant rue St. Honoré
Collegi St. André des Artes St. Cosme
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Rue Froit M
Hotel de la Petite Bretagne
Rue des Orties
Palazzi dei prelati
Cattedrale
Rue Jehan St. Denise
Cordiglieri
Palazzi dei principi
Guildhall
Rue Beauvo
Rue du Chantre
Cluny
1 Palazzo Piccolomini 2 Palazzo episcopale 3 Palazzo comunale
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Rue Charafleuri
Famiglia Dode
Torre di Coiny
Rocheguyon
Rue du Coq
Port de Hourbon
Torre di legno
Collegio
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Vendôme
Quai de l’Ecole
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Thérouanne
Grand Alençon
Rouen
Chartres
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Arras
St. Michael Bassishaw Port des Passeurs
Rue des Poulies
Evreux
Rodez Lyon
St. Germain
Rue de la Croix du Trahoir
Abate di St. Denis
Cinta di Filippo Augusto
destà, ora interno ora invece forestiero; ma anche tale rimedio non risultò efficace, tanto che i ceti nobiliari perdettero gradualmente il controllo esclusivo delle leve di potere comunali a favore dei mercanti, degli artefici e dei ceti della borghesia intellettuale (giudici, notai, ecc.), già organizzati nelle associazioni di mestiere (arti), che si costituirono in comune di popolo con a capo un capitano del popolo, di solito a partire dalla metà del Duecento. Tale nuovo potere riuscì per qualche tempo in molti centri a coesistere con quello nobiliare-podestarile, ma
Antico Rathaus
Parigi, nella zona del Louvre, palazzo reale che con Filippo Augusto ebbe la sua prima vera espansione, sorsero edifici principeschi per una presenza in pianta stabile dei loro consiglieri presso la corte del re.
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Macelle
Pellicciai
Blackwell St. Lawrence Jewry
1 2 3 4
Ampliamenti Cappella Orti Fontana
Porte
26. Pensiero
e pensatori arabi
Alla realtà multiforme del pensiero arabo medievale possono essere condotte più attività umane (dalle scienze mediche alle scienze naturali, alla filosofia), opere di autori cronologicamente molto distanti l’uno dall’altro e sensibilità religiose non sempre coerenti.
Il kalam e la falsafa
nella risposta alla rivelazione. Legato alla radice klm, venne adottato anche per tradurre in arabo il termine logos; Tommaso d’Aquino definì i mutakallimun «loquentes in lege maurorum», coloro che parlano per conto dell’Islam. Nell’Islam il kalam compare già nel periodo del califfato omayyade (661-750) e raggiunge la propria maturità nella seconda metà dell’viii secolo; mentre la falsafa (traslitterazione di philosophia) è indentificabile con il frutto del notevole sforzo di traduzione del patrimonio culturale greco.
Fra i termini che esprimono l’attività del pensiero, il Kalam indica la speculazione islamica iscrivente l’uso della ragione
Verso la fine del ix secolo, infatti, i filosofi e i pensatori orientali si esprimono esclusivamente in lingua araba, e il baricentro culturale si è definitivamente spostato dall’orizzonte giacobita e nestoriano della teologia cristiana a quello della sfera politica e culturale dei califfi musulmani. Contemporaneamente, il numero dei testi tradotti aumenta: non più solo Aristotele, ma anche i peripatetici ed i neoplatonici. «Le traduzioni di alcune opere scientifiche greche furono eseguite nel periodo del califfato omayyade, ma la tendenza vera e propria alle traduzioni apparve sotto il califfato degli Abbasidi [750-1258]» (Marmura).
Le traduzioni Amuleto in oro e smalto policromo cloisonné: Spagna musulmana, secoli xii-xiv, Baltimora, Walter art Gallery.
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Acquamanile in bronzo a forma di cervo, con incrostazioni d’oro. Cordova, Spagna omayyade, secoli x-xi. Madrid, Museo archeologico nazionale.
1. È con il ix secolo che è possibile assistere – secondo De Libera – alla «nascita di una vera e propria filosofia araba», quando capillarmente si diffondono nel mondo culturale islamico traduzioni, prima in siriaco e poi in arabo, dei testi di pensatori greci.
Bracciale in oro e gemme. Spagna omayyade, secoli x-xi. Londra, Victoria and Albert Museum. Scena di scuola. Ms Arabe 5847, Maqmat di al-Hariri, fol. 148. Conversazione culturale, ibidem, fol. 5.
Se in un primo momento l’impulso a tradurre copre vasti ambiti disciplinari, già sotto il califfato di al-Mamun (813833) l’interesse si concentra quasi esclusivamente sulla filosofia. 2. Il centro delle attività culturali islamiche è Baghdad; ed è per l’iniziativa di intraprendenti traduttori-filosofi che qui vengono importati (in particolare da Bisanzio) sia i manoscritti dei filosofi greci, sia il materiale scrittorio per le nuove traduzioni. Baghdad vede inoltre funzionare un’istituzione che nel mondo arabo non ebbe pari, il Bayt al-hikmah (la Casa della Sapienza), dove i traduttori, stipendiati dal califfato, resero possibile l’acculturazione del mondo arabo e islamico. Testimonia il metodo di lavoro Hunayn ibn Ishaq (808873), «figura di punta del cristianesimo siro-arabo», le cui traduzioni greco-siriache sono servite come base a numerose versioni arabe successive.
145
Capitolo ventiseiesimo
Il testo originale veniva preparato collazionando più manoscritti greci, fino a ottenere un “testo critico”; Hunayn traduceva inizialmente il testo dal greco al siriaco; quindi con acribia i suoi collaboratori redigevano e correggevano la versione araba. 3. Oggetto della traduzione furono quasi tutte le opere di Aristotele, mentre di Platone non ci è pervenuto alcun testo: solo Ibn al-Nadim ricorda alcune opere platoniche tradotte in lingua araba. Vennero tradotti anche alcuni testi neoplatonici, in particolare la Teologia di Aristotele di Plotino. «Il testo più rappresentativo della filosofia baghdadita», che «a
Il re e il saggio. Ms. Sup. Pas. 913, Salila e Dimma.
146
Il minareto di Siviglia, detto Giralda, costruito fra il 1184 e il 1198. L’ultima opera dell’architetto Ahmad ben Bass.
Pensiero e pensatori arabi
partire dalla fine del xiii secolo ha esercitato la più grande influenza sull’Occidente latino», è, secondo De Libera, il Libro delle cause o Libro del puro bene (Kalam fi mahd alkhair), in larga parte dipendente da Proclo; sebbene non abbia svolto un ruolo significativo in al-Farabi, Ibn Sinna (Avicenna), Ibn Rushd (Averroè) o al-Kindi, è in Occidente, e in particolare a Toledo, che la sua importanza fu considerevole, e venne studiato fra gli altri da Alberto Magno e da Tommaso. 4. Pensatori di rilievo del primo periodo abbaside furono al-Kindi (Abu Yusuf Ya’qub al-Kindi) e al-Razi (Abu Bakr al-Razi). Il primo, nato intorno all’800 a Kufa, come altri filosofi islamici dopo di lui fu anche medico e scienziato; argomentò, in particolare nella sua opera più conosciuta (Sulla prima filosofia), per dimostrare che il mondo fu creato ex nihilo e in un tempo finito, e per sostenere la dottrina della resurrezione fisica.
Il principio metodico da lui adottato e spesso ricordato non è distante da quello diffuso nel pensiero medievale occidentale: «Non dobbiamo vergognarci di considerare buona la verità, né di acquisire la verità da qualsiasi fonte provenga, anche se proviene da razze lontane da noi, e da nazioni diverse da noi». Al-Razi (865-925), anch’egli medico, oltre che filosofo, ebbe invece la fama di pensatore libero o addirittura ateo: «Avanzò una feroce critica al fondamento delle religioni monoteistiche, la profezia, che considerava fomite di rivalità fra i popoli e di fanatismo» (Campanini).
5. Il x secolo vede altre due figure particolarmente significative: al-Farabi e Ibn Sinna (Avicenna).
Al-Farabi Chiamato il “Secondo maestro” (il “Primo maestro” sarebbe Aristotele), al-Farabi dopo la formazione a Baghdad trascorse buona parte della sua carriera scientifica prima ad Aleppo, quindi a Damasco; fra le sue opere, diversi commentari all’Organon di Aristotele; musicologo e strumentista, pen-
Siviglia, la Torre dell’Oro, edificata nel 1221, lungo il Guadalquivir a difesa del porto e della città, appartiene all’ultima fase della presenza almohade nella città andalusa. Mihrab del Mexuar dell’Alhambra, 1354-1365. Granada.
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Capitolo ventiseiesimo
satore politico (fu autore di una teoria platonica dello Stato), profondo e originale, è all’origine dei principali sviluppi della filosofia greca nell’Islam occidentale sia presso i Musulmani “spagnoli”, sia presso pensatori ebrei come Maimonide, lasciando il segno anche nella storia del pensiero latino, e in particolare in Alberto Magno. L’importanza filosofica di alFarabi è legata secondo De Libera a tre temi fondamentali per la filosofia medievale: una formulazione della distinzione fra essenza ed esistenza (tema che influenzerà Avicenna e giungerà fino a Tommaso d’Aquino), una rappresentazione dell’universo ispirata alla dottrina delle emanazioni di Plotino, una sintesi fra l’empirismo di Aristotele e la teoria delle
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A indicare la permanenza dei modelli costruttivi e culturali precedenti: la sinagoga di Santa María la Blanca di Toledo dimostra nei suoi principi fondamentali uno stretto legame con l’architettura almohade. Costruita nel xii secolo, quando Toledo era da tempo tornata cristiana, è una testimonianza della tradizione artistica mudéjar.
Pensiero e pensatori arabi
idee platonica. Agli occhi dei pensatori musulmani, infatti, la filosofia greca apparve come un corpus unico, in cui Platone ed Aristotele sono l’uno all’altro complementari.
Ibn Sinna (Avicenna) Ibn Sinna fu invece il più importante medico, astronomo e scienziato dell’Islam medievale; secondo il suo sistema “razionalistico” esistono, oltre ai principi logici, alcuni concetti intuitivi evidenti, indipendenti dalla ragione sensoriale (Marmura). Venne criticato in particolare da al-Ghazali (1058-1111), sostenitore di una posizione atomista, mentre al-Farabi e Ibn Sinna avevano accolto la teoria aristotelica della materia considerata potenzialmente divisibile all’infinito. Docente di giurisprudenza nella scuola-università di Baghdad, al-Ghazali sintetizza il suo insegnamento e il suo pensiero nell’Incoerenza dei filosofi; in quest’opera si concentra su venti teorie, presentando con chiarezza le opinioni avversarie,
ponendo le proprie obiezioni, evidenziando le critiche alle stesse obiezioni e rispondendovi, fino al raggiungimento di un’esauriente definizione. La falsafa della Spagna islamica, che affrontò temi non distanti da quelli sinora ricordati, è però giunta ad esprimersi almeno un secolo dopo la sua nascita in Oriente ed è – almeno inizialmente – riconoscibile in personalità isolate; solo nel xii secolo l’al-Andalus seppe esprimere personalità di spessore, e fra queste vanno ricordati Ibn Bagga (Avempace), Ibn Tufayl e Ibn Rushd.
Ibn Rushd (Averroè) In particolare Ibn Rushd (1126-1198), il cui nome venne latinizzato in Averroè, svolse le funzioni di giudice supremo a
Siviglia e a Cordova, e venne coinvolto nel processo di riforma degli Almohadi, che governarono il Maghreb e la Spagna fra xii e xiii secolo. Noto come il commentatore di Aristotele, la sua influenza risuona in Alberto Magno, in Dante, nei magistri artium parigini del xiii secolo e nelle scuole averroiste rinascimentali; sostenne – ricorda Campanini – «la non conflittualità della verità religiosa e della verità filosofica (il Vero non contrasta con il Vero)». Per il suo razionalismo, e molto più per lo studio dei suoi commenti ad Aristotele, Ibn Rushd può essere considerato come il paradigma dell’intelletto arabo in dialettica con la razionalità occidentale e il detentore di un’eredità araba che non si ferma solo alla trasmissione dei capolavori della filosofia greca; le elaborazioni scientifiche che segnarono il successivo cammino della civiltà europea portano il segno della presenza e del contributo culturale arabi.
Cartina che rappresenta la dominazione araba durante il Califfato abbaside.
Roncisvalle
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Parigi
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Medina Califfato abbaside Principati musulmani formalmente dipendenti dagli Abbasidi Limiti dell’influenza musulmana
La Mecca
Moca
Sana Aden
Samarcanda Neyshabur Herat Qandahar D E S I A B
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Mascat
Talas
Ferwan Kabul
27. La
ragione nel
Medioevo
Il Medioevo nel suo complesso e nell’insieme della sua durata – con tutta l’ambiguità dei suoi confini cronologici e della stessa espressione “Medioevo” – risulta un’incomparabile stagione di cultura della ragione. 1. Le forme e l’intensità di questa cultura varieranno e progrediranno, non senza conoscere momenti critici, soprattutto in relazione con la teologia, ma alla fine essa si collocherà all’interno stesso della riflessione sulla fede. Le obiezioni, d’altra parte, più che nei confronti della ragione come tale, si porranno per lo più contro un certo uso della “sacra dottrina”: i “sospet-
Concordia mensium, tavole sistematiche per descrivere il corso dei mesi.
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L’Ordo Quadratus nel quale i pensatori medievali raccoglievano l’ordinamento dell’universo e i numeri simbolici.
ti” sorgeranno specialmente da parte dell’ambiente monastico, preoccupato che il metodo della “ragione” e la passione o l’intemperanza razionale finiranno con il “razionalizzare” e quindi con l’alterare l’originalità stessa del mistero cristiano. Sarà l’angustia e l’apprensione di un Pier Damiani, peraltro dotato di raffinatezza e di gusto estetici singolari per la sua scrittura, o di Bernardo di Clairvaux, inquieto e allarmato, fino ad essere ingiusto, nei confronti della teologia d’Abelardo, giudicato intemperante e fanatico nell’uso della dialettica in teologia, fino al limite di infrangere lo stesso mistero. 2. Si può dire che una prima manifestazione della “ragione” nel Medioevo si ritrova nell’uso delle “arti liberali”. Soprattutto da Agostino – nel De doctrina christiana – il Medioevo riceve «l’idea che le scienze o le arti profane, le arti liberali, appartengono di diritto a Cristo e che occorre ridarle al loro vero proprietario, facendole servire a un’intelligenza più approfondita delle Scritture. Gli anatemi dell’inizio con-
tro il sapere umano non sono generalizzati e non durarono a lungo» (Congar). Questa concezione eserciterà un’influenza enorme nel pensiero medievale. La «nostra filosofia» (nostra philosophia), afferma Agostino, è centrata sulle Scritture, ma il sapere umano rende dei servizi preziosi all’elaborazione di questa sapienza cristiana. Questa concezione, attraverso Cassiodoro, Gregorio Magno e Isidoro, passerà nell’istituzione e nel regime scolastico, con Alcuino e la rinascita carolingia. 3. Due saranno le conseguenze del primato della sapienza cristiana e della funzione propedeutica delle arti liberali:
Un particolare del Giovane con cammeo, attribuito a Donatello. Il cammeo raffigura la biga alata, ossia il carro tirato da due cavalli e guidato da un auriga che nel Fedro di Platone rappresenta l’immagine dell’anima con le sue forze irrazionali, concupiscibili e irascibili (i due cavalli) e della ragione (l’auriga). Firenze, Museo del Bargello.
– Anzitutto il fatto che «la cultura medievale sarà nel suo insieme caratterizzata dal suo rapporto con la rivelazione e la salvezza, così come sarà essenzialmente una cosa di Chiesa, un bene della cristianità, poiché il mondo colto si identifica con quello dei chierici, e l’insegnamento è esclusivamente nelle mani della Chiesa. La scuola e le università obbediranno, bene o male, alla legge di questa cultura teologica e all’ideale della teologia-regina, servita e preceduta dalle arti e dalle scienze, sue ancelle» (Congar). – Questo “cerchio” delle arti liberali, in cui viene dispiegato e contenuto tutto il sapere profano, si rivelerà sempre meno adeguato rispetto alle esigenze e ai contenuti della filosofia, della fisica, metafisica ed etica. «L’organizzazione degli studi, preconizzata da sant’Agostino e adottata nell’alto Medioevo, ha per lungo tempo ritardato il fiorire della filosofia in Occidente, a vantaggio della scienza sacra e, nel campo del sapere profano, a vantaggio delle arti liberali» (Fernand Van Steenberghen).
151
Capitolo ventisettesimo
4. «La crisi di questa organizzazione scolastica, avvertita e preparata nel secolo xii, scoppierà nel secolo xiii con l’introduzione massiccia di Aristotele, dei suoi commentatori greci e arabi, cioè della scienza pagana, e verrà profondamente modificata. I quadri delle sette arti liberali saranno definitivamente spezzati: la “scienza divina” (divina scientia) conserverà sostanzialmente il suo primato, ma la “scienza umana” (humana scientia) comprenderà la “filosofia naturale” (philosophia naturalis), la “filosofia pratica o morale” (philosophia practica
Platone e Aristotele discutono vivacemente. Vengono così rappresentati in modo magistrale i rapporti strutturali fra i sistemi dei due grandi filosofi, che attraversano anche la cultura medievale. Luca Della Robbia, formella scolpita per il campanile del duomo di Firenze (oggi presso il Museo del Duomo stesso).
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Tentativo di razionalizzazione visiva della ripartizione globale dei continenti e degli oceani, sotto la cintura dello zodiaco.
La ragione nel Medioevo
sive moralis), la “filosofia razionale” (philosophia rationalis)» (Fernand Van Steenberghen). Allora le facoltà delle arti daranno un insegnamento sempre meno “formale” e sempre più “reale”: «Si sarebbero presto manifestate delle antinomie fra questo universo pagano e l’universo cristiano. Il grande dramma che domina la storia del pensiero nel xiii secolo è precisamente il conflitto dell’intelligenza cristiana con un paganesimo rinascente e minacciante. Questo conflitto si concretizza a Parigi nella crescente rivalità della Facoltà di teologia e sfocia nella grande condanna dell’aristotelismo nel 1277» (Fernand Van Steenberghen). Ma già nel xii secolo si incomincia ad intravedere la distinzione, oggi corrente, tra teologia, filosofia e scienze positive. 5. «Fermento filosofico per eccellenza» della cultura medievale fu certamente Aristotele, dal cui ingresso in Occidente fu in particolare contrassegnata la teologia nei suoi diversi “regimi metodologici”. Si riconosce comunemente che l’ope-
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Capitolo ventisettesimo
ra di Aristotele fu trasmessa all’Occidente in tre tappe, o con tre “entrate” (Congar). 1) La prima entrata, tramite Boezio, consiste nella Logica vetus: ossia le Categorie, che è l’analisi e la classificazione delle nozioni, e il Perí Hermeneias (De interpretatione) che esamina le proposizioni. Si tratta quindi specialmente di strumenti razionali dell’analisi testuale, particolarmente graditi e adatti per una teologia intesa – com’è nell’alto Medioevo, fino a sant’Anselmo d’Aosta – quale conoscenza e commento della Bibbia e dei Padri. 2) Con il suo secondo ingresso, ossia con la Logica nova e specialmente con gli Analitici Primi e Posteriori, Aristote-
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Testa-ritratto di Aristotele. Parigi, Bibliothèque Mazarin.
La ragione nel Medioevo
le si presenta maestro dell’arte del pensare. Viene introdotta nel xii secolo in Occidente una teoria del sapere e della dimostrazione. Questa teoria lascia la sua impronta sulla concezione della teologia come esigenza “razionale” (ricerca delle “ragioni”) e “questionale” (sviluppo delle “questioni nella “disputa” sul testo). Ecco allora una «teologia sotto il regime della dialettica» (Congar). 3) Ma il momento più critico e determinante è il terzo ingresso in Occidente di Aristotele filosofo con la sua fisica e metafisica, agli inizi del xiii secolo. In questa terza entrata egli si pone nell’Occidente cristiano ormai come maestro della conoscenza dell’uomo e del mondo, con una metafisica, una psicologia, un’etica. Portando una filosofia dell’uomo, della natura e delle realtà, poneva il problema della conciliabilità di tale filosofia con la concezione cristiana del mondo, dell’uomo, di Dio.
6. Infatti non mancò di farsi vivacemente sentire la reazione della Chiesa al riguardo. Ricordiamo le date principali: 1) Nel 1210 – sinodo di Parigi, «metropoli della scienza scolastica» (Grabmann) – e nel 1215 (nuovi statuti dell’Università di Parigi): si tiene un sinodo a Parigi in cui si proibisce di “leggere”, cioè di prendere come testi di insegnamento i libri di Aristotele relativi alla metafisica, alla filosofia naturale. Osserviamo che: – l’interdizione è locale: riguarda l’Università parigina, mentre una circolare del 1229, emanata dall’Università di Tolosa, attirerà gli studenti sottolineando il fatto che in essa si possono legere i libri di Aristotele interdetti a Parigi; – le interdizioni sono misure di difesa della scienza sacra contro le infiltrazioni della filosofia pagana di Aristotele; – e tutto questo rivela l’esistenza di un conflitto tra la facoltà delle arti e la facoltà di teologia.
chiesta affrettata e superficiale» (Van Steenberghen) – dalla famosa condanna da parte del vescovo Étienne Tempier di 217 articoli, alcuni dei quali sostenuti dallo stesso Tommaso d’Aquino. Questi, per parte sua, se da un lato polemizzerà contro la filosofia del celebre maestro della facoltà delle arti – noi diremmo della facoltà di filosofia – Sigieri di Brabante, dall’altro sosterrà fermamente il valore della ragione, la sua importanza nella formazione dell’intelligenza, nell’elaborazione della teologia – sempre nel primato della fede –, offrendo sia una molteplicità di opere teologiche costruite con ampio uso della ragione, sia un’ampia e analitica esegesi di quasi tutte le opere di Aristotele, interpretato nel suo dato storico o secondo la sua “intenzione profonda”. Tommaso è convinto che non si danno “doppie verità”, ma due ordini diversi di verità – quelle razionali e quelle rivelate – ma sempre provenienti da una fonte, cioè Dio.
155 2) D’altra parte, proprio in questa facoltà, si viene formando una nuova corrente favorevole al contatto con la filosofia nuova e a un uso più ampio del metodo speculativo. Una lettera di Gregorio ix del 7 luglio 1228 ai «maestri della facoltà di teologia di Parigi» (magistri in theologia Parisius regentes), mette in guardia i teologi contro l’abuso della filosofia richiamandoli alla natura della scienza sacra e alla subordinazione della filosofia alla teologia, che è la regina delle scienze. 3) Un altro documento importante, e di diverso tono, che sarà chiamato la Magna Charta dell’Università di Parigi – relativo alla presenza di Aristotele a Parigi –, è la lettera di Gregorio ix: Parens scientiarum Parisius del 13 aprile 1231. In essa si esortano i teologi a non ambire «ad apparire filosofi», ma a essere «esperti nella scienza divina»; e, per quanto riguarda i libri di Aristotele proibiti in precedenza, si dispone ancora che non vengano usati nell’insegnamento, ma si aggiunge: «Fino a quando non saranno purgati da qualsiasi sospetto di errore». In realtà Aristotele non fu corretto dalla commissione di esperti formata dal Papa; i lavori, se incominciati, si arrestarono. È, in ogni caso, importante la convinzione di Gregorio che «lo studio di Aristotele potrebbe essere proficuo per la scienza cristiana». Quanto all’interdizione sembra sia caduta in disuso dopo la morte di Gregorio ix (1241). 7. Il problema di Aristotele nella cristianità si riproporrà, e la crisi scoppierà in seguito, come appare dalle censure del 1270 e, soprattutto, del 1277, a Parigi – dopo «un’in-
8. D’altronde, la “confidenza” di Tommaso nella ragione non era condivisa da tutti i teologi: così, l’orientamento agostiniano-francescano apparve più cauto, per il timore che l’uso della filosofia “pagana” compromettesse o alterasse la «purezza della fede», come aveva scritto Gregorio ix. Secondo alcuni studiosi questa “diffidenza” fu all’origine di una certa iniziale coercizione della libertà del filosofo o di un minore sviluppo di una filosofia “autonoma”, e della “separazione” e poi della conflittualità tra fede e ragione che avrebbe contrassegnato almeno parte della cultura europea nei secoli successivi. Certo la peripezia della ragione nel Medievo fu complessa. Ma è indubbio che, particolarmente grazie alla sua progressiva presenza nella facoltà di teologia e al suo sempre più raffinato e sottile esercizio nell’elaborazione della “sacra dottrina”, la ragione ebbe nel Medioevo un prodigioso sviluppo, che fa dell’epoca medievale una stagione culturale di singolare e unica luminosità, che rifluirà più o meno consapevolmente nell’età moderna.
28. Il
romanico
L’Europa che dopo l’anno Mille cerca di riaversi dalle incursioni arabe e da quelle normanne è un territorio vastissimo e disgregato, in cui i Carolingi e gli Ottoniani hanno imposto la loro nuova redazione cristiana dell’Impero romano. L’arte delle corti carolinge e ottoniane è stata un’arte aulica, pienissima di ricordi e anche di oggetti antichi; altrove, si impongono altri linguaggi più popolari, meno attenti alla conservazione di quello status symbol del gusto antico tipico della cultura medievale. A partire già dal x secolo, e sempre di più via via che si procede nel corso dell’xi, il potere imperiale dovrà fronteggiare le istanze di riforma e di autonomia della Chiesa, che si
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manifestano anche con energiche campagne di committenza in campo artistico, si potrebbe dire con una volontà mediatica e comunicativa che produce chilometri quadrati di affreschi e di rilievi scolpiti, centinaia e centinaia di chiese nuove o rifatte per rinnovare le precedenti, oggetti liturgici di una preziosità quasi inconcepibile. È forse quest’“arte della Riforma” gregoriana il primo grande fenomeno trasversale dell’Europa romanica. A volerne tentare una geografia artistica, bisogna valutare il peso relativo del Nord e del Sud in questo grande movimento
Berzé la Ville nei pressi di Cluny e di Mâcon, particolare di un affresco del priorato, che rappresenta il martirio di san Biagio.
Basilica di San Michele a Pavia, splendido edificio del romanico lombardo, in essa veniva incoronato il re d’Italia, e nel caso fosse designato imperatore, ciò avveniva prima dell’incoronazione a Roma.
Chiesa di San Pietro a Paray-le-Monial, vista della facciata con i due campanili, a sinistra del corpo centrale della basilica il transetto e al centro il tiburio con la torre centrale poligonale secondo lo stile di Cluny.
Esterno e interno della rotonda di San Tomé ad Almenno (Bergamo). La destinazione originaria della costruzione del xii secolo è ancora dubbia, ma il modello che si ispira al Santo Sepolcro appare plausibile.
157
Capitolo ventottesimo
di rinnovamento. A nord delle Alpi – siamo ovviamente in un panorama tracciato a grandissime linee – c’è la fioritura monastica legata a Cluny, che diventa un monastero sempre più grande e magnifico, con tre chiese successive, l’ultima delle quali, oggi distrutta, era più vasta della basilica di San Pietro. A Sud, un altro monastero, quello di Montecassino, viene rinnovato ad opera dell’abate Desiderio, futuro papa Vittore iii, che ricostruisce la chiesa in forme basilicali di tradizione paleocristiana e romana, usa materiali antichi di spoglio per colonne e capitelli, e chiama da Costantinopoli mosaicisti capaci di realizzare per lui il magnifico pavimento a opus
Particolare di un mosaico pavimentale cosmatesco. Santa Maria in Cosmedin (1123 ca.), Roma.
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Planimetria della basilica superiore e del chiostro di San Clemente a Roma.
Il romanico
sectile. Il richiamo all’Antico è fondamentale per l’Europa romanica: si tratta molte volte del segnale di un gusto elitario, colto, che usa oggetti, materiali, motivi decorativi antichi o antichizzanti come status symbol, insegne di una classe sociale in grado di capire quanto prezioso fosse il retaggio di epoche che sfumavano nella memoria storica comune. Ma altre volte si tratta – o almeno questo è stato il frutto di molti studi importanti anche recenti – di un richiamo delibera-
Trani. Cattedrale di San Nicola Pellegrino. San Giorgio, particolare della porta di bronzo La cattedrale di Spira fu consacrata nel 1061. L’abside fu costruita dopo il 1062 e il transetto nell’occasione venne modificato e provvisto di una galleria alta all’esterno. Particolare della cattedrale di Spira: la navata centrale e l’abside.
159
Capitolo ventottesimo
Il romanico
to, che diventa funzionale alla comunicazione, si potrebbe dire alla propaganda della Chiesa. L’Antico coincideva con la nascita della Chiesa, con i tempi eroici delle catacombe e dei martiri: riproporre quel gusto significava ricostruire l’atmosfera pura ed eroica dei primordi, rispondere dunque anche con un messaggio visuale all’esigenza di riforma e di rinnovamento generale nell’Europa romanica. Ma contemporaneamente all’espressione di questo gusto antiquario che accomuna numerosissimi episodi in Italia e nel resto dell’Europa, altre correnti insistono per un diverso tipo di purezza, e per un diverso messaggio anche in campo artistico. Vicinissimo a Cluny, tra la fine dell’xi e l’inizio del xii secolo, nasce e si sviluppa con una subitaneità stupe-
Cartina con le principali opere del romanico.
Cattedrale di Worms, veduta della navata centrale.
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Ferrara, bassorilievo del duomo raffigurante i mesi dell’anno: settembre.
Cattedrale di Worms. Cattedrale imperiale voluta da Corrado ii prima del 1025, dove vi fu sepolto nel 1039. Enrico iii proseguì l’opera di costruzione voluta dal padre e vi fu sepolto nel 1056. Fu successivamente modificata sotto Enrico iv.
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O c e a n o
160
facente un altro movimento monastico, che troverà in san Bernardo di Clairvaux la sua personalità di punta. È l’ordine cisterciense che costruisce architetture spoglie ed essenziali, replicabili modularmente e rapidamente, in cui la luce assume un valore strutturante e simbolico; i monaci cisterciensi devono rifuggire dalle decorazioni scultoree e pittoriche, che li distrarrebbero dalla contemplazione e dalla preghiera.
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Palermo Monreale Cefalù
La ricerca dell’essenzialità, il dominio della linea e della superficie sulla concezione plastica e massiva dell’architettura romanica contemporanea è stata considerata alfiere dell’estetica gotica: sono le due anime della visualità europea, che coesistono già nella tarda antichità e continuano ad esistere parallele e alternanti lungo tutto l’alto Medioevo e qui si rivelano nella loro radicale contrapposizione.
161
29. Sacerdotium e
regnum
Nella concezione del primo Medioevo le società e le istituzioni erano parte di un’unica ecclesia universalis di cui sacerdozio e regno erano funzioni complementari e convergenti. Con la riforma ecclesiastica della seconda metà dell’xi secolo si aprì una nuova fase di questo rapporto e quindi della storia della Chiesa e delle istituzioni. Dalla libertà della Chiesa, voluta dai riformatori, si sprigionarono altre libertà: prima fra tutte quella delle città italiane nei confronti dell’imperatore e dell’aristocrazia feudale. D’altra parte, re e papi si trovarono spesso in concorrenza ed in conflitto, pur essendo in linea di
principio tesi verso il conseguimento del medesimo bene comune. La consapevolezza raggiunta dal Papato circa i propri compiti verso tutta la cristianità faceva sì che, da Gregorio vii in avanti, s’andasse verso quella che spesso viene chiamata teocrazia, che in realtà era una ierocrazia, cioè la netta prevalenza del sacerdotium sul regnum. Così il Papato del pieno Medioevo volle garantire l’unità e la pace della “Santa Romana Repubblica”, subordinando i re con i loro interessi agli obiettivi, non soltanto spirituali, del Papato. Tuttavia i sovrani lo seguirono con molte riserve e, a poco a poco, avocarono a
Un imperatore, bassorilievo del coro, chiesa di Gusdorf. Terzo quarto del xii secolo, Bonn Rheinisches Landesmuseum.
162
L’esercito del principe, in una raffigurazione dell’Exultet, Vat. Lat. 9820, Biblioteca Apostolica Vaticana. Il potere militare dipendeva in prima istanza dall’imperatore, ma seguiva la scala delle relazioni vassallatiche o delle libertà concesse alle città.
La formazione dello Stato pontificio in una cartina che ne segue le tappe fino al xiii secolo. Supplica di Enrico iv, Donizione, Vita di Matilde di Canossa, Vat. Lat. 4922, Biblioteca Apostolica Vaticana.
sé la volontà politica profana sviluppandola in relativa autonomia. Durante la lotta per le investiture, e quindi in seguito, i sostenitori dei diritti dei monarchi affermarono che anche il potere di re ed imperatori derivava da Dio; tale posizione fu rinforzata sul piano giuridico dall’applicazione del diritto romano che già nella seconda metà dell’xi secolo era stato utilizzato dai giuristi della riforma ecclesiastica per la soluzione di alcuni rilevanti problemi. L’esito di questa progressiva autonomia del potere monarchico fu il fatto che, durante il resto del Medioevo, la potestà dei re e degli imperatori fu fatta derivare direttamente da Dio, cosicché il loro potere veniva ad essere sempre più autonomo sia nella genesi che negli obiettivi. Naturalmente ciò legittimava i monarchi ad intervenire anche nel campo strettamente ecclesiastico e sacrale. I re divennero anche taumaturghi, come nel caso delle presunte guarigioni dei malati di scrofula da parte dei monarchi francesi ed inglesi, dall’inizio del xii secolo. Ciò significa che stavano riprendendo vigore anche antiche
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Area di sovranità pontificia (VIII secolo) Donazioni-restituzioni nominali ed effettive di Liutprando (728-741) di Pipino il Breve (756) di Carlo Magno (774) dopo la sconfitta di Desiderio re dei Longobardi di Carlo Magno (781-789) Dominio pontificio intorno al XII secolo
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Capitolo ventinovesimo
Sacerdotium e regnum
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DI
D ANIMARCA durante i secoli xii e xiii, il sostanzialeN predominio politico ord l e d e che il Papato aveva acquisito, pur certi di Oldenburg a r nel permanere, e in Contea M Holstein Lubecca frangenti nell’incrementarsi, della continua dialettica con il Ratzeburg regno tedesco e con le conseguenze relative sul suolo italiano. Amburgo
le campagne, allo svilupparsi della prima decisiva fase delle monarchie feudali da cui stavano per nascere le monarchie nazionali, al passaggio in Germania verso i principati territoriali. Naturalmente quanto stava sviluppandosi non intaccò,
Frisia
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Furono figure grandi,Franconia ma di Worms Halberstadtmetà del Marca POLONIA di Norimberga Brema Sassonia Frisia El Pomerania Marca di Verdun Trifels completamente che in due momenti ba Goslar Spira REGNO W Lusaziadiverse, Metz Ducato ese Verden Havelberg Ducato Landsberg di dovetteroEichstätt Paderborn Ratis r storici con caratteristiche proprie Ducato dell’Alta Merseburg REGNO Marca del Bran Slesia Ducato LangraviatoDI deburg Meissen Lorena Brandeburgo affrontare la questione delle relazioni sia Hohenstaufen Toul o Ducat Minden Osnabrück Colonia di Turingia Contea Strasburgo Naumburg della O Frisinga Marca di che con le autonomieOppeln di di il Papato Magdeburgo osa Aixder d’Olanda Utrecht Münster Altenburg conMeissen Hildesheim Liegi M Ducato Ratiborn Augusta 165 Bavier DI Halberstadt P OLONIA delle città comunali italiane. Marca di Sassonia di Marca di Bassa Lorena Vogtland Chie Cambray Goslar Lusazia Svevia Praga Landsberg Magonza Ducato di Gelnhausen Paderborn Ducato Eger Basilea Sa Merseburg Costanza Ducato Slesia Langraviato BambergaFRANCIAR EContea GNO DI B OEMIA Tribur Treviri Meissen Olomouc di Würzburg Besançon di Turingia Colonia di Naumburg della Marca di Worms Franconia Marca di Oppeln Aix Borgogna Altenburg Norimberga Contea Moravia Verdun Meissen Mosa Liegi Trifels SpiraRatiborn Coira del Tirolo Metz Losanna Vogtland Ratisbona Cambray Bassa Lorena Eichstätt Ducato dell’Alta REGNO Praga Gelnhausen Magonza D Sion Eger Lorena Vesc. di P Hohenstaufen Ducato anub GinevraDucato Ducato Strasburgo Bamberga io R E G Toul NO DI B OE MIA Tribur Treviri Trento Olomouc Frisinga d d’Austria di Passau di Würzburg Lione Augusta Aqu Ducato Marca di Worms Baviera Franconia DI Marca di Aosta Como Norimberga Tarentaise Bergamo di Moravia Verdun Verona Chiemsee Ivrea Trifels Spira Vienne Ducato Metz Milano Svevia Verona Ratisbona Basilea Eichstätt Padova Salisburgo Lombardia Ducato dell’Alta REGNO Valence di Stiria Costanza Po DContea Seckau Torino Hohenstaufen FRANCIA Ducato Toul Lorena Strasburgo ub Ducato andi Besançon Die Asti Piacenza i o Frisinga Viviers d’Austria Gurk di Passau Comacchio Borgogna Saluzzo Graz Contea Genova Ducato Augusta Baviera DI Lavant Ra Coira del Tirolo Ducato Embrun di Losanna Chiemsee Romagna R Avignone di Carinzia Digne Svevia Ducato Luni Sion Basilea Vesc. di Firenze Contea di Provenza Salisburgo di Patriarcato Ginevra Costanza Stiria Arles REGNO FRANCIA Contea Besançon Trento Pisa d’Aquileia Seckau Lione Aix di Ma D’UNGHERIA Marca diNizza Aquileia Marsiglia Gurk Aosta Siena An Borgogna Graz Como Bergamo Marca di Frejus Carniola Tarentaise Contea Verona Ivrea Toscana Lavant Coira del Tirolo Tolone o Vienne Ducato Milano Perugia Losanna Verona ne M Padova di Carinzia Lombardia Valence ra Po r Torino Sion S e Vesc. di Patriarcato Ginevra t Die i Asti RPiacenza EGNO Sutri ed Trento Viviers d’Aquileia Lione D’UNGHERIAComacchio r M Marca diSaluzzo Genova Corsica Marca di Aquileia Aosta Ravenna Ma PATRIMONIO Como Bergamo Carniola Tarentaise Embrun Verona Ivrea Romagna Avignone DI SAN PIETRO R Digne Vienne Milano Rimini Luni Verona Padova Contea di Provenza Firenze Lombardia Valence Fano Po Arles Torino Pisa Aix Die Nizza Asti Marca di Ancona I V REGNO Piacenza Viviers Marsiglia Siena Ancona Comacchio Saluzzo DI SERBIA Frejus E Genova N Regno di Germania Toscana Camerino Ravenna Tolone o E e Embrun Perugia Territori Romagna Rimini Marca di degli HohestaufenZ I A Avignone Digne an Luni Territori dei Welf rr Spoleto e Firenze Contea di Provenza Ma Fano it Arles Regno d’Italia re Sutri ed I Pisa Aix Ad M Abruzzo Nizza Marca di Ancona Territori imperiali in Italia R EGNO r riat Corsica a V Marsiglia ico M Siena Ancona DI SERBIA Frejus Territori della Chiesa E P ATRIMONIO Tivoli N Toscana Camerino Tolone o R EGNO DI S ICILIA E S AN P IETRO DI Territori acquisiti dalla Chiesa a partire dal 1266 Roma Anagni e Perugia Z IA Marca di an Territori annessi all’impero dal 1158 al 1231 rr Spoleto e Ma Confine del Sacro Romano Impero Germanico nel 1152 it re Sutri ed Ad Abruzzo r M riat Corsica a Regno di Germania Arcidiocesi ico M PATRIMONIO Territori Tivoli degli Hohestaufen Diocesi REGNO DI SICILIA DI SAN PIETRO Roma Territori dei Welf Castelli degli Hohenstaufen Anagni Regno d’Italia Territori imperiali in Italia Territori della Chiesa Arcidiocesi Regno di Germania Territori acquisiti dalla Chiesa a partire dal 1266 Diocesi Territori degli Hohestaufen Territori annessi dal 1158 al 1231 Castelli degliall’impero Hohenstaufen Territori dei Welf Confine del Sacro Romano Impero Germanico nel 1152 Regno d’Italia no Re
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Goslar fu preferita da Ottone i e forse anche da Ottone ii, ma non da Ottone iii. Nell’immagine, il palazzo imperiale di Goslar. Il fabbricato ad aula ha subìto nel xix secolo trasformazioni, mentre alcune sezioni della costruzione risalgono alla seconda metà del xii secolo, come i due piani della cappella di Ulrico e il collegamento laterale (1180).
da farlo risultare fondamento e sostegno di tutto l’Occidente anche sul piano civile. Mentre i re e gli imperatori avevano un rapporto indiretto di giurisdizione con il singolo suddito attraverso il feudatario o il signore bannale, il papa si poteva rivolgere direttamente ad ogni singolo cristiano. In tutta l’età di mezzo la Chiesa fu il luogo dove veniva spiegata la legge civile e morale e rappresentò il vero fattore unificante della società, il fondamento universalmente riconosciuto della res publica. Infatti, anche sul piano giuridico, qualsiasi disposizione di un re espressamente in contrasto con il diritto canonico poteva essere invalidata dalla Chiesa. Il pieno Medioevo emerse quando i fattori di novità, che si erano venuti formando durante l’xi secolo, si svilupparono in modo maturo di fronte al ruolo più complesso che il Papato era venuto ad assumere nei decenni a cavallo fra i secoli xi e xii. In quegli anni si poté assistere al consolidamento della struttura feudale – iniziò la seconda età feudale –, al maturare delle città e dei commerci, al sorgere di forme comunali di autogoverno nelle città e nel-
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concezioni magiche radicate su di una tradizione pagana, non del tutto sopita, del mondo germanico. Ma la distinzione, il distacco, non significarono la rottura della christianitas che, almeno per tutto il secolo xii e xiii, continuava a comprendere entrambe le sfere del sacerdotium e del regnum. D’altra parte il rafforzarsi, durante il xii secolo, delle diverse monarchie nazionali e feudali portò ad una loro progressiva autonomia, cosicché l’imperatore tedesco veniva ad avere una “preminenza puramente onorifica”. Per di più, durante tutta l’età medievale, l’imperatore continuò ad avere bisogno del papa per essere consacrato ed incoronato. Il Papato, vera guida internazionale quindi, mantenne un’indiscutibile superiorità, tale
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Territori imperiali in Italia Territori della Chiesa
30. Le
forme del diritto
1. Il diritto consuetudinario L’involuzione bassoimperiale dell’ordinamento statale e delle sue strutture giuridiche, aggravata dal prevalere in Occidente delle popolazioni germaniche, favorì il ripristino in Europa delle prassi consuetudinarie di carattere etnico-tribale, a svantaggio della norma unificante del diritto romano, con tutto che l’opera legislativa promossa dall’imperatore Giustiniano mediante la costituzione del Corpus iuris civilis avesse cercato di renderlo più incisivo e diffusivo ad un tempo. Nonostante i ripetuti tentativi dei capi dei regni romano-germanici di ispirarsi e adeguarsi a taluni princìpi generali della tradizione giuridica romana,
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Le autorità temporali. Exultet, Vat. Lat. 9820, Biblioteca Apostolica Vaticana. La data del rotolo si può porre fra il 981 e il 987 a Benevento, ai tempi del principato di Pandolfo, con arcivescovo Alfano.
prevalse, di fatto, nel corso dell’alto Medioevo, soprattutto nelle codificazioni delle monarchie barbariche, il particolarismo del diritto nella varietà delle forme e prassi consuetudinarie. Tale situazione in sostanza si protrasse durante l’età feudale, pur attraverso mutamenti non irrilevanti soprattutto dopo il Mille: nel permanere della confusione fra interessi pubblici e privati, si modificarono infatti i fondamenti del diritto consuetudinario, dalla loro natura prima prevalentemente etnico-tribale o sociale-corporativa a quella territoriale, con una copiosa fioritura di consuetudines loci. In queste di fatto vennero a tradursi e a rifrangersi le consuetudines o libri feudorum, parallelamente al trasformarsi delle signorie feudali in territoriali. Ma una conferma di questo processo venne precocemente dalle città, soprattutto dalle repubbliche marinare italiane, che già dall’xi secolo raccolsero e definirono per iscritto le consuetudini civiche a fondamento delle loro ormai prossime autonomie comunali e del conseguente diritto statutario.
La rinascita nel xii secolo del diritto civile e poi l’elaborazione del diritto canonico contribuirono, rispettivamente nell’ordine sociale e istituzionale del laicato e del clero della cristianità medievale, prima in sede teorica e poi pratica, a ristabilire e a diffondere le linee e i principi di una normativa generale (diritto comune).
2. Il diritto romano-bizantino Nel vi secolo l’imperatore bizantino Giustiniano aveva affidato al giurista Triboniano e ad altri giuristi il compito
La pesa delle anime, ovvero la raffigurazione della giustizia. Vetrata della cattedrale di Le Mans. Il popolo. Vat. Lat. 3784, composto a Montecassino fra il 1060 e il 1070 circa.
167
Capitolo trentesimo
di riordinare il corpus del sistema legislativo romano; così si era formato il Corpus iuris civilis. Nell’xi secolo i giuristi di Bologna si misero a studiare con attenzione il Corpus iuris civilis nello stesso periodo in cui veniva prendendo forma anche il diritto canonico. Quanto al Corpus iuris civilis, si tratta di una sistemazione organica di una serie di complesse e talora incoerenti e contraddittorie stratificazioni normative; essa costituì parte integrante e determinante del programma di restaurazione dell’autorità sovrana e risultò avere per circa un millennio nell’Impero bizantino, ma non solo in esso, un’importanza decisiva nell’organizzazione giuridica delle comunità e degli stati. Il Corpus fu concepito e realizzato secondo una fondamentale quadripartizione in Institutio
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Il popolo con il re. Exultet, xiii secolo, Museo diocesano di Salerno.
Le forme del diritto
nes (raccolta dei principi ispiratori della legislazione romana), Codex (repertorio ordinato per materie delle norme del diritto romano pregiustinianeo); Pandectae o Digestum (raccolta dei pareri legali e delle sentenze della giurisdizione romana) e Novelle (repertorio della nuova legislazione giustinianea). Esso venne a rappresentare nella tradizione medievale europea il modello razionale per eccellenza dei sistemi di convivenza propri della civiltà classica, ma ben presto se ne smarrì il significato di compilazione unitaria e sistematica, per studiarne, valorizzarne ed applicarne singole parti. E tuttavia, non di rado per canali sotterranei, già nell’alto Medioevo influì diffusamente sulla legislazione canonica della Chiesa cattolica, sulle consuetudini e sulla stessa attività normativa dei regni romano-germanici e sulla cultura giuridica che presiedette l’emanazione assai fertile degli editti e dei capitolari dal Sacro Romano Impero carolingio in poi.
Una fase assai importante e significativa nella recezione del diritto romano bizantino fu costituita dalla progressiva riscoperta del Corpus giustinianeo ben oltre i limiti assai angusti della conoscenza tradizionale di parti del Digesto o delle Novelle. Tale recupero sistematico agli studi scientifici del Corpus trovò il suo centro focale in Bologna a partire dal tardo xi secolo ed ebbe come iniziatori di una scuola di interpreti e commentatori (glossatori) i maestri Pepo ed Irnerio, che indubbiamente si avvalsero dei coevi sviluppi della dialettica e della retorica nell’ambito del rinnova-
Il popolo. Exultet, Vat. Lat. 9820, Biblioteca Apostolica Vaticana.
mento delle arti del trivio. Dal xii secolo in poi lo studio del diritto romano-bizantino tese a irradiarsi in Italia e in Europa e ad alimentare una cultura giuridica di carattere internazionale (diritto comune). Questa tradizione era però ben presto destinata a riverberarsi anche nelle realtà politico-istituzionali, particolari e universalistiche, dell’Europa tardomedievale: in Italia, soprattutto sui comuni, nel recupero del principio classico della territorialità del diritto su quello della personalità, proprio del diritto germanico e feudale; sui Paesi transalpini, nel processo di accentramento dei poteri monarchici contro il particolarismo feudale; infine diffusamente, nel più ampio panorama europeo, sul Papato e sull’Impero svevo, nei loro programmi di dominio sulla cristianità.
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31. Il re, imperatore in casa e il farsi delle nazioni
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Aquitania Bordeaux Perigord ia G uio n n a vern G Al Le Puy Baiona Redez I domini inglesi in Francia Dopo il trattato Tolosa Albi doca di Parigi (1259) ua ing Allo scoppio della Guerra dei Cent’anni (1337) Dopo la Pace di Brétigny (1360) All’abdicazione di Riccardo II (1399)
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Domini reali diretti alla morte di Luigi VII (1180) Conquiste di Filippo II Augusto (1180-1223) Conquiste di Luigi VIII e Luigi IX (1223-1280)
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Edimburgo Ulster t Galloway gh u a Irlanda Carlisle Conn Galway Limerick Dublino Lancaster ter Mu n s Cork Caernarvon York
Formazione dei domini di Enrico II Plantageneto (1154-1189) Eredità paterna e materna (1150-51) Dote della moglie Eleonora d’Aquitania (1152) Conquista del Regno d’Inghilterra (1154) Territori conquistati tra il 1169 e il 1188 Confini del Regno di Francia nel XII secolo
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Conquiste inglesi nelle isole britanniche di Tentativi di occupazione inglese Contea di della Scozia (XIII-XIV secolo) Caithness Stabili conquiste del Contea REGNO Galles (1277-95) di Ross e dell’Irlanda (1399) DI SCOZIA
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La Francia nel 1180 circa.
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170
NO
I poteri monarchici che si vengono formando nei territori dell’Occidente sono identificabili con le cartine: Le isole britanniche dal xii al xiv secolo, che mantengono intrecci apparentemente insolubili con il regno di Francia e la dinastia capetingia;
di risalire la china di quella che è stata definita un’anarchia ormai generalizzata, ricorrendo agli strumenti di potere che la tradizione feudale offriva loro assieme a quella propriamente dinastico-patrimoniale. Per riassumere il controllo della grande vassallità laica, comitale e marchionale, e dell’alto clero locale (vescovi e abati), essi tentarono di riattivare i circuiti dei rapporti gerarchici feudali, mediante concessioni beneficiali di sempre nuove terre (di qui la rinnovata spinta offensiva di quei re e le loro conquiste verso Sud, Est e Nord rispetto all’Europa continentale) per poter disporre di una clientela di armati sempre più nutrita e fedele, e attraverso soprattutto il potenziamento dell’istituto immunitario a favore in particolare del clero. Ma a lungo andare tale sistema di concessioni beneficialiimmunitarie, pur affiancate da ripetuti tentativi di introdurre il principio ereditario nella trasmissione del potere monarchico, si rivelò più capace di stimolare le spinte eversive delle grandi aristocrazie militari che non di consolidare il con-
REG
C’è un insieme di rapporti politici, istituzionali e sociali che può essere definito come “monarchia feudale”. La genesi di questa forma di potere e di organizzazione statale era accaduta nello sviluppo e soprattutto nella crisi dell’Impero carolingio (ix secolo), quando la dissociazione della grande vassallità dell’Impero dalle sorti della dinastia regnante accelerò il processo costitutivo delle prime vere monarchie feudali, quelle di Francia, Germania e Italia, contese fra gli ultimi discendenti carolingi e nuove schiatte di potenti emergenti nell’Europa continentale fra ix e x secolo. Inseriti nelle strutture fatiscenti del Sacro Romano Impero, i capi dei nuovi regni cercarono
propria,
Domini inglesi
senso degli armati attorno alla corona, disperdendone così le migliori risorse patrimoniali e dinastiche in avventurose e infruttuose spedizioni militari. Tale politica contraddittoria, complicata dalla permanente e più incisiva presenza della tradizione universalistica di Impero e Papato, frenò l’evoluzione della monarchia feudale, soprattutto in Italia e in Germania; effetti meno determinanti in senso negativo ebbe invece in
Planimetria della White Tower di Londra, simbolo del potere monarchico già in periodo plantageneto. Vetrata del deambulatorio della cattedrale di Canterbury. Thomas Becket: l’arcivescovo indossa le vesti liturgiche ed è coronato dal nimbo della sua santità. In una mano tiene il libro della Fede, con l’altra indica il cielo e benedice. Placca funeraria di Goffredo Plantageneto, conte d’Anjou e del Maine, proveniente dalla cattedrale di Le Mans (1153-1160). (Oggi al Musée de Tessé).
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Capitolo trentunesimo
Il re, imperatore in casa propria, e il farsi delle nazioni
to Sepolcro, ma non meno a sfogo delle prorompenti energie feudali concentrate nel continente europeo. Nel corso del basso Medioevo, nuove condizioni economico-sociali e riaffermate aspirazioni politico-costituzionali cospirarono al superamento degli equilibri tradizionali su cui poggiava la monarchia feudale, attenuando gradualmente le capacità di presa che le forze feudali avevano avuto sul potere regio; nel mentre questo tese a rafforzarsi, ma su nuove basi costituzionali che prevedevano un’articolata rappresentanza dei ceti nei Parlamenti nazionali: oltre a quelli tradizionali della nobiltà e del clero, anche e soprattutto quello della borghesia cittadina. E fu proprio quest’ultima che in età moderna contribuì, talora in modo decisivo, al servizio dei nuovi monarchi, ora a capo di stati accentrati, burocratici e assoluti, a sottrarre il potere regio all’ipoteca feudale.
Francia, dove il potere regio, pur attraverso molteplici condizionamenti, riuscì assai meno lentamente a evolvere in senso moderno, rimuovendo per gradi l’ipoteca delle forze feudali. Pur tuttavia, anche nel periodo di rinascita dell’Europa dopo il Mille, i tradizionali modelli feudali di potere presiedettero alla formazione di nuovi stati monarchici: così i regni iberici di Aragona, di Castiglia ed altri ancora che sortirono dal processo di riconquista cristiana contro gli invasori musulmani; così i regni costituiti dai Normanni prima nel mondo anglosassone, poi nell’Italia meridionale; così pure il regno di Gerusalemme fondato dai primi crociati in Terrasanta, a difesa del San-
Castello di Druyes-les-Belles Fontaines (Borgogna), del terzo quarto del xii secolo; fu utilizzato dal re di Francia Filippo ii Augusto all’inizio del secolo successivo durante l’espansione del suo potere. Aula che Enrico i di Inghilterra ha fatto costruire nel castello di Caen in Normandia. Edificio di pietra su un piano.
L’Europa del xiii secolo, dove sono comparse nuove entità monarchiche in Portogallo, in Castiglia, nelle due Sicilie e nel vicino Oriente.
Shetland (Norv.)
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32. Le
eresie medievali: religiosità e cultura
Le eresie medievali rappresentarono per oltre tre secoli (xiinizio xiv secolo) l’unica vera alternativa religiosa e culturale – e con i Catari, anche istituzionale, cioè un’antichiesa – all’ortodossia romana e al sistema dei valori della Christianitas. Dapprima si diffusero focolai in Francia (Vertus nella Champagne, ca. 1000; in Aquitania, 1018; ad Orléans, 1022; ad Arras, 1025; a Liegi e a Châlons-sur-Marne, 1046-1048), in Italia (a Ravenna, ca. 970; a Monforte d’Alba, 1028) e in Germania (a Goslar/ Hildesheim, 1052). Dopo la parentesi della Riforma, detta “gregoriana”, della seconda metà dell’xi secolo, che assorbì tutte le esigenze più radicali dello spiritualismo eterodosso, le eresie del xii secolo si presentarono nella nuova veste di “movimenti”, per il consenso che raccoglievano fra i laici in aree molto vaste mediante la predicazione
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Le mura della città di Carcassonne, uno dei principali centri di resistenza dei Catari durante la guerra.
itinerante dei fondatori: i Pietrobrusiani (dall’ex sacerdote Pietro di Bruis, che predicò nelle montagne del Delfinato e della Provenza fra il 1119 e il 1132), gli Enriciani (dal monaco Enrico, discepolo del precedente, che predicò nelle città di Le Mans, Losanna, Poitiers, Bordeaux, Tolosa fra il 1116 e il 1134), gli Arnaldisti (dal canonico Arnaldo da Brescia, che predicò a Brescia, a Parigi, a Zurigo, a Costanza e infine a Roma dagli anni trenta al 1155). Una dimensione europea ebbero poi i più grandi movimenti “popolari” di dissidenza religiosa, cioè i Catari (di provenienza, per irradiazione missionaria, dal Medio Oriente bizantino e slavo, comparsi a Colonia nel 1143 e diffusi in poco tempo in tutto l’Occidente, con prevalenza nel Sud della Francia e nell’Italia centro-settentrionale) e i Valdesi (fondati da Valdo negli anni ’70 a Lione, e di lì moltiplicatisi in Italia, Germania ed Austria). Di dimensione italiana furono, invece, gli Umiliati (in Lombardia e nell’Italia del Nord, dagli anni settanta fino a inizio Duecento, quando furono recuperati all’ortodossia da Innocenzo iii) e gli Apostolici-
proposte e valori che furono respinti. Alcune loro scelte non s’integrarono, sia all’interno della Chiesa che nella società cristiana medievale; altre ebbero un’utile funzione di stimolo e vennero in parte accolte. Così, ad esempio, l’evangelismo – una riscoperta che maturò lungo l’xi secolo e s’intensificò lungo il xii – coinvolse anche gli eretici nella rilettura e nel commento dei vangeli, ma con l’adozione dei consigli come vincoli ed obblighi per raggiungere la salvezza individuale, non già la perfezione. L’irruzione del vangelo nell’esperienza religiosa del laicato medievale ebbe effetti dirompenti, perché al modello di vita apostolico e della Chiesa primitiva venivano coscientemente ricondotte sia la protesta contro la Chiesa corrotta, la semplificazione della tradizione di magistero e delle istituzioni della Chiesa e del vastissimo patrimonio culturale della
Dolciniani (nella Pianura padana, in Trentino e in Piemonte, fra il 1260 e il 1307, quando furono soffocati da una crociata in Valsesia). Benché le eresie fossero “gemelle” delle riforme della Chiesa – generate dalle stesse crisi, con un’iniziale fase pienamente ortodossa (ad eccezione dei Catari, il cui dualismo era inconciliabile con la tradizione e fin da subito si posero in alternativa, come contro-chiesa) e animate dalla stessa tensione riformatrice – esse non si limitarono a una funzione di religiosità critica, cioè di stimolo, ma sostennero anche variamente
La cartina illustra la diffusione dei Valdesi in Europa dal 1177 alla seconda metà del xiii secolo.
Gourdon, 1240 ca Montpezatde-Quercy Castelnau-deMontratier Morlhon, 1214 Montcuq Beaucaire Parisot Sauveterre Najac Maissac, S. Antonin Losque 1240 ca Montauban,1224-1226 Corbarieu, S. Nauphary, Albi 1224-1226 1224-1226 S.Paul Cap Fiac Lautrec, 1227 ca de Joux, 1234 ca Lavaur Saix, 1220 ca Castres, 1238 Tolosa, 1225 ca Montespieu Lacroisille,1227 ca Hautpoul Puylaurens Appelle, Sorèze, S.Afrique, 1240 ca 1237 ca Avignonet Mas-S. 1242 Viviers Puelles, 1220 ca Narbonne, Leuc Pamiers, 1207 1190 Crampagna Limoux Pomas Durban, Carcassonne, Foix Fanjeaux 1244 ca 1194 Laurac, 1208 Lordat S. Paul Larnat
Liegi, 1202/1203 Magonza, 1233 Treviri, 1231
Leuhofen Ansfelden S. Florian Lengelfeld Weißkirchen Enns Langenlois Buchkirchen S. Valentin Stratzing Böheimkirchen Pupping Naarn Ollersbach Sindelburg S. Oswald S.Marienkirchen Anzbach Grieskirchen Neustadt Ybbs Gunskirchen S. Christophen Steyr S. Georgen Schwanenstadt Amstetten Wels Winklarn Aschbach Kammer Wolfsbach Kematen Haag Seitenstetten Sierning Haidershofen Weistrach S.Peter
Metz, 1199/1200 Toul, Strasburgo, 1192 1211/1212 Jonvelle, 1218 ca
Clermont, 1182/1183
Besançon, 1248
Schwäbisch Hall, 1248 Ratisbona, 1262 ca Pupping Lengelfeld
Drosendorf Nalb Langelois
S. Oswald Ybbs Kammer S. Christophen S. Peter
Gourdon, Coira presso Lione, 1177 1240 ca Dongo Montbrison Vienne, 1198 Parisot Montcuq Najac Nimes, Legnano Seregno Agen Bagnols Valence, 1204 ca Bergamo, Gruaro 1235 ca Pinerolo, Torino, S. Antonin Uzès 1218 Milano Corbarieu 1210 Alès Aigues 1220 Montélimar Auch, Tolosa, Albi Pavia Bollène Vives, RoncoVerona, 1199 1198 1225 ca Embrun, 1198 Orange Lavaur 1204 Piacenza, Luogo d’origine dei Valdesi Sisteron Cerea, 1203 ca Avignonet Beziers, 1192-1197 ca Avignone Carpentras Luogo abitato da Valdesi Genova Hautpoul 1194 ca Modena Arles, 1198 Montpellier, Luogo con presenza 1194 Huesca Limoux Faenza, 1206 Narbonne, 1199 ca Aix, 1198 Antibes di “schola” valdese Aragona 1190 ca Firenze, 1206 Larnat Marsiglia 1206 Prima attestazione di presenza S. Paul Ramatuelles valdese anteriore al 1218 Lerida 1237 Prima attestazione di presenza Catalogna valdese posteriore al 1218 Sede arcivescovile Taragona, 1192 Sede episcopale
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Capitolo trentaduesimo
Le eresie medievali: religiosità e cultura
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Ordine sconosciuto Concili catari Probabili sedi di una chiesa catara Viaggi di superiori catari occidentali che rivendicavano il possesso di un consolamentum valido: Nicetas 1166 ca Petracius 1175 ca Viaggi di superiori catari italiani in cerca di un consolamentum valido:
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Adepti dell’ordine di Sclavonia
Ordine sconosciuto Concili catari Probabili sedi di una chiesa catara Viaggi di superiori catari occidentali che rivendicavano il possesso di un consolamentum valido: Nicetas 1166 ca Petracius 1175 ca Viaggi di superiori catari italiani in cerca di un consolamentum valido: Caloiannes 1180 ca. Nicolaus 1180 ca. Johannes Judeus 1180 ca. Johannes Bellus 1180 ca. Garattus et Nazarius 1190 ca. (gli itinerari si fondano su ipotesi)
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Adepti dell’ordine di Bulgaria
Ordine sconosciuto Concili catari Probabili sedi di una chiesa catara Viaggi di superiori catari occidentali che rivendicavano il possesso di un consolamentum valido: Milinguii Nicetas 1166 ca Petracius 1175 ca Viaggi di superiori catari italiani in cerca di un consolamentum valido: Caloiannes 1180 ca. Nicolaus 1180 ca. Johannes Judeus 1180 ca. Johannes Bellus 1180 ca. Garattus et Nazarius 1190 ca. (gli itinerari si fondano su ipotesi)
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Chiesa di Drugonthia Melnikdi Bulgaria Adepti dell’ordine Costantinopoli Chiesa di Chiesa dei Latini Adepti dell’ordine di Drugonthia Bulgaria Chiesa dei Greci
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Adepti dell’ordine di Sclavonia
Adepti dell’ordine di Drugonthia
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storale degli eretici, a cominciare dall’itinerantismo e dal modo di predicare. L’itinerantismo è una struttura propria, una “forma” propria dell’essere eretici: l’ite come funzione della missione apostolica. I primi a capire che gli eretici andavano combattuti usando le loro stesse armi pastorali furono nel 1206 san Diego d’Osma e il suo canonico san Domenico (futuro fondatore dell’ordine dei Predicatori): di fronte all’insuccesso completo delle missioni di predicazione dei legati papali cisterciensi nel Sud della Francia e al loro completo sconforto, il vescovo castigliano «li esortò a riprendere la predicazione, dedicandovisi con più zelo, messo da parte tutto il resto; e [...] li esortò a presentarsi con tutta umiltà per agire e insegnare sull’esempio del divino maestro, e ad andare a piedi, senza oro né argento, imitando in tutto il modello apostolico». Nasceva, mutuata dagli eretici, che già la praticavano, la nuova predicazione verbo et exemplo, fatta di parola e di esempio, in continuo movimento, come gli apostoli. Senza avvertire il bisogno di essere mandati
Il consolidarsi dei Catari nella Francia meridionale e la prima fase della guerra.
V
Come l’eresia catara si diffuse da Oriente a Occidente, con l’indicazione dei vescovadi catari che furono i principali centri di diffusione.
quelli più solenni della “cena valdese” o del consolamentum cataro, condividere momenti anche di lavoro o mendicare un pasto o un alloggio occasionale come erano soliti fare gli Apostolici-Dolciniani: tutto questo creava simpatia e condivisione, proponeva la persuasione di fede e la diffusione delle convinzioni eretiche in modo umile e accattivante, più vicino e personalizzato. Domus era anche famiglia e lavoro familiare, e tramite i vincoli parentali e di lavoro le eresie si diffusero e si consolidarono in una dimensione sociale con un collante forte che si aggiungeva a quello strettamente religioso. Quando la Chiesa ebbe consapevolezza di ciò che stava accadendo (verso la fine del xii secolo) era troppo tardi. Soltanto i nuovi ordini mendicanti riuscirono lentamente a ricucire quella frattura di diffidenza e di lontananza del laicato adottando in tutto la pa-
Sa
176
di Dio e degli apostoli e sacramento di salvezza (Arnaldo da Brescia). Il monaco Enrico, e dopo di lui Valdo, ponevano in alternativa l’obbedienza al Nuovo Testamento con l’obbedienza alla Chiesa: «È più necessario obbedire a Dio che agli uomini» (At 5,29), per sciogliere il nodo dell’obbedienza alla Chiesa e per motivare il senso di una missio a predicare ricevuta direttamente da Dio, non per la tradizione dell’ordine ma dal vangelo stesso: «Ite et docete. Andate e annunziate il vangelo a tutti i popoli» (Mt 28,19). Si ricordi che Valdo fece tradurre la Bibbia perché fosse compresa da tutti. La religiosità domestica fu, senza dubbio, un modello di pastorale realizzato da tutti i grandi movimenti ereticali, ancor prima che la Chiesa iniziasse la repressione violenta e poi l’inquisizione, che costrinsero gli eretici alla clandestinità: andare per case, riunirsi in case o hospitia, dove erano accolti gli eretici forestieri, visitare i propri correligionari, discutere della fede, commentare i testi del vangelo, nei contesti privati e familiari celebrare i riti della fractio panis, della reverentia, o
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Patristica, sia le ragioni di comportamenti e di doveri nuovi. L’evangelismo, nella varia accezione ereticale, divenne forza di rottura dell’ordine costituito e fonte di autorità per la predicazione libera e “doverosa” dei laici, per una nuova e universale sacerdotalità (Valdesi e Umiliati). L’evangelismo alimentò e ravvivò anche la religiosità laica ortodossa; ma per gli eretici divenne un’opzione ideologica, quasi un’appropriazione esclusiva, per contrapporsi alla Chiesa e liberarsi della sua tradizionale mediazione di salvezza. Con il vangelo l’attuale Chiesa (romana) diventava inutile; i suoi sacramenti, inefficaci. Non era un evangelismo esemplare, per realizzare una perfezione maggiore (come avvenne in san Francesco), ma era considerato necessario in quanto vincolante per la salvezza e in quanto legittimante l’istituzione della Chiesa, se voleva essere Chiesa
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Conquiste di Simon de Montfort Domini dei principali vassalli della contea di Tolosa
Confine del dominio del Conte di Tolosa
Territori autonomi enclavi
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Capitolo trentaduesimo
(la missio), anzi, sentendosi autorizzati dallo stesso vangelo e «desiderosi di essere dottori della legge del Vangelo» (di esegesi evangelica), gli eretici predicavano assiduamente e ben preparati anche per le dispute pubbliche con il clero cattolico. Fu proprio il divieto della predicazione ai laici a provocare l’ereticazione, nella disobbedienza a quell’ordine, di movimenti come i Valdesi e gli Umiliati che erano totalmente cattolici. Soltanto la lungimiranza di Innocenzo iii consentì agli Umiliati e ai Valdesi convertiti, benché laici religiosi e nel caso degli Umiliati anche coniugati, la predicazione, soltanto esortativa però e penitenziale, non certo quella esegetica e dottrinale. Come del resto concesse a Francesco, con gli stessi limiti. Ma
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Valle d’Angrogna: “Coulège” dei “barba”. Secondo la tradizione, durante i mesi invernali vi si riunivano i “barba”, i predicatori valdesi itineranti del tardo Medioevo, per dedicarsi allo studio della Bibbia prima di ripartire per i loro viaggi.
Le eresie medievali: religiosità e cultura
gli Apostolici, nella seconda metà del Duecento, vollero proporre anche il vangelo, con traduzione letterale e perciò istrionesca e fatua, come quando il fondatore Gerardo Segarelli invitava i montanari ad entrare nella “sua vigna” (ite et vos in vineam meam), o quando si fece allattare per diventare come bambini. Al di là di questi e altri comportamenti, e al di là dell’ostilità verso la Chiesa, vi erano anche proposte di cultura e religiose non ritenute compatibili con la fede e la pratica cristiane; proposte oppositive, contrastate dalla gerarchia ecclesiastica e dalle autorità laiche della Christianitas. Si possono condensare in tre grandi opzioni. I fenomeni ereticali della prima metà dell’xi secolo si caratterizzarono per un radicale spiritualismo («alla ricerca del dio nascosto»), che riteneva superflua la funzione salvifica dei sacramenti e inutile la Chiesa stessa. Il valore principale, stimato al di sopra di tutto, era la verginità-castità. Conseguentemente gli eretici disprezzavano il matrimonio carnale, regolato e controllato dalle norme che la Chiesa proprio
in quel periodo stava definendo. Così leggiamo che gli eretici di Arras (1025), ispirandosi esplicitamente all’encratismo degli Acta Andree, nella versione latina di Gregorio di Tours, sostenevano che «i coniugati non erano in nessun modo da includere nel destino dei fedeli, non appartenevano al Regno». A significare che quel valore era considerato indispensabile per chiunque volesse salvarsi. L’intera comunità eretica di Monforte d’Alba (1028) praticava la verginità e castità, per liberarsi dalla condizione di corruptio in cui l’uomo era stato posto dalla cacciata dal Paradiso terrestre. Tema caro alla tradizione neoplatonica di Giovanni Scoto Eriugena (fine ix se-
Dettaglio del castello di Carcassonne. L’abside monumentale della cattedrale di Albi. L’aspetto militare appare quasi come una dimostrazione di potenza a futura memoria da parte dei vincitori della guerra contro i Catari.
colo), che si rifaceva (avendoli tradotti) ai maestri greci della castità. Essi, interrogati dall’arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano, esplicitamente difesero la scelta di vita casta e verginale: «Al di sopra di tutto stimiamo la verginità; pur essendo ammogliati, chi è vergine conserva la propria verginità, chi al contrario non è più puro, con il permesso del nostro superiore, può osservare perpetua castità. Nessuno di noi ha rapporti carnali con la propria moglie, ma la tratta amorevolmente come se fosse la madre o la sorella». All’obiezione ovvia dell’arcivescovo («Perché prendete moglie, se non lo fate per generare prole, onde ha origine il genere umano?»), il loro capo religioso Gerardo obiettò: «Se l’intera umanità si accordasse di non avere esperienza di corruzione, il genere umano si riprodurrebbe come le api senza rapporto sessuale». Nel secolo successivo furono soprattutto i Catari, e non per stima della verginità e castità in sé, ma per necessità ontologica e di liberazione dalla materia demoniaca, a sostenere con assoluta determinazione che «chiunque si deve salvare (cioè si
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Capitolo trentaduesimo
trova nella condizione di salvabilità, avendo ricevuto il consolamentum) non deve insudiciarsi contaminandosi con donne. E così nessuno può salvarsi nel matrimonio». Istituzione che non era vista soltanto come stato di «fornicazione giurata», di peccato, di adulterio, e perciò moralmente ignominioso e da condannare perché «non voluto da Dio», ma soprattutto (in forza dei loro miti originari che attribuivano al demonio la creazione e distinzione dei sessi, che consideravano la donna incinta demoniaca e alla quale era vietato il battesimo, anche in punto di morte, e che consideravano i bambini nati «figli del diavolo») era la precipua condizione ontologica di male e di dannazione. Ciò che nel Nuovo Testamento è chiamato matrimonio, era per loro simbolo dell’unione spirituale dell’anima
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Un codice monocromatico racconta le gesta dei Catari durante la guerra condotta contro di loro da Simon de Montfort: qui ne sono illustrati due episodi. La ballade de la croisade albigeoise.
Le eresie medievali: religiosità e cultura
con lo spirito, di Cristo con la Chiesa, e del vescovo con la sua Chiesa: era un matrimonio solo spirituale. Le eresie del xii e xiii secolo (ad eccezione del catarismo) sono definite abitualmente pauperistico-evangeliche, perché improntate e animate dalla predilezione per il vangelo e dalla scelta di povertà volontaria, che ne divenne il valore primario. L’imitazione di Cristo povero (tutti, infatti, si identificarono come pauperes Christi, pauperes spiritu) poteva generare eresia. La più elevata via di perfezione e l’autentica sequela Christi («Se vuoi essere perfetto...» di Mt 19,21) divenne sindrome di falsificazione («falso nomine mentiuntur», dice l’Ad abolendam del 1184 di Lucio iii, che condanna Valdesi, Umiliati, Arnaldisti, Enriciani, Pietrobrusiani, ecc.). Senza l’obbedienza alla gerarchia e l’umiltà, anche il nudus nudum Christum sequi diventò via di perdizione, non di perfezione. L’esempio tipico di uso ideologico della scelta povera contro la Chiesa è rappresentato da Arnaldo da Brescia, il «maestro di povertà». È vero che una fonte avversa (Ottone di Frisinga) gli attribuisce
il nesso gerarchia ecclesiastica-salvezza personale nella povertà: «Diceva che né i chierici che avevano proprietà, né i vescovi che detenevano diritti regali, né i monaci possidenti potevano salvarsi per nessuna ragione»; ma il vero problema era istituzionale, inerente alla Chiesa apostolica. La povertà da ricchezze e da potere (del papa su Roma e dei vescovi da regalia) diventava l’imprescindibile riferimento ideologico di legittimità per una Chiesa che avesse l’ambizione di definirsi apostolica e volesse continuarne l’azione salvifica. Infine l’eresia dualistica catara, la vera e più pericolosa eresia, contro la quale Chiesa e società civile ricorsero alla repressione e persecuzione. L’errore (credo) fu di assimilare ad essa tutte le altre, che invece erano assai meno pericolose. Proveniva dai Balcani e da Bisanzio, predicata e importata da missionari, lungo le strade dei crociati e dei mercanti. Si radicò più densamente nell’Italia del Nord e del Centro (con sei chiese), e nel Sud della Francia (con cinque chiese), contro cui fu organizzata la crociata contro gli Albigesi da Innocenzo iii (1209-1229). Aveva scuole, maestri, libri di esegesi e trattati di dottrina; strutture pastorali di base, le diaconie e gli hospitia. Poterono diffondersi facilmente sotto la protezione delle signorie feudali del Sud della Francia (in particolare nella contea di Tolosa) e sotto le presignorie di Ezzelino da Romano e di Oberto Pelavicino nella Marca Trevigiana e in Lombardia, così come crebbero indisturbati nelle città comunali italiane. Il fulcro di questa eresia era il dualismo: una visione dualistica del mondo e dell’uomo, in cui il male e la sua provenienza non erano un mistero. Due principi eterni, del bene e del male (dualismo assoluto della Chiesa catara di Desenzano e delle Chiese della Linguadoca) si fronteggiano da sempre e per sempre, senza che uno riesca a prevalere sull’altro. Un solo principio, quello del bene (dualismo moderato della Chiesa di Concorezzo e del Nord della Francia), che ha consentito ad un creatore minore (il demonio, «principe di questo mondo») di organizzare e dare forma ai quattro elementi «creando» questo mondo visibile, che perciò è malvagio e destinato ad essere consumato nel fuoco alla fine dei tempi. I Catari negavano il principio antropico (che l’uomo fosse cioè un ente creato, nella sua unità, da un solo dio; bensì che fosse costituito da un’anima angelica, sedotta da Lucifero e precipitata dal cielo – oves Israel que ceciderunt – e incarcerata in un corpo demoniaco); negavano il libero arbitrio, sostenendo che chi proviene dal principio malvagio compie necessariamente il male, mentre chi proviene dal dio buono compie necessariamente il bene. Il male morale è espressione automatica del male metafisico ed ontologico. Ma le due realtà, di bene e male, sono congiunte
e mescolate nell’uomo, e la salvezza della componente buona (cioè la parte angelica sedotta e precipitata dai cieli) si ottiene solo nella liberazione dalla materia. In tutto questo il mito gioca un ruolo decisivo, e l’esegesi neotestamentaria che essi compiono viene orientata dai miti originari e dalla chiave dualistica. Un esempio per tutti: nel prologo del Vangelo di Giovanni, nichil viene interpretato come il mondo visibile, che è il niente: «senza di lui (il Logos) fu fatto il niente», cioè la creazione del mondo non era divina. Invece che «senza di Lui non fu fatto nulla»; ovvero la partecipazione del Figlio alla creazione di Dio Padre. Nella salvezza “umana” Cristo ha un ruolo essenziale nel risveglio, per mostrarci la via di salvezza, ma non redime dal peccato gli uomini, né è uomo-Dio ma semplicemente un angelo (come anche Maria), né ha assunto vera carne ma solo apparente, né è realmente morto in croce (simbolo che disprezzano), né ha sofferto realmente, né si è addossato su di sé i peccati degli uomini, pagando e sacrificandosi per loro. Anzi, anch’egli viene considerato un salvatore-salvato, perché nell’orto degli ulivi peccò dubitando del Padre. Il dualismo cataro, alternativo al cattolicesimo, non fu solo un’interpretazione ed esperienza religiosa e un’ecclesiologia diversa (tanto meno una filosofia): fu una cultura, una visione, che frantumava i valori della società medievale. Oltre alla condanna del matrimonio con le sue particolari ragioni, possiamo aggiungere il rifiuto del giuramento (in sé malum, peccatum e non secundum Deum), perché voluto dal dio del Vecchio Testamento, cioè il demonio, per dominare sull’uomo (posizione incompatibile, antinomica, con la società medievale fondata sul giuramento politico feudale e comunale); il rifiuto del potere coattivo delle autorità civili ed ecclesiastiche, inconciliabile (in nome del Non occides) con la cultura giuridica e le esigenze dell’esercizio di qualsiasi potere, di qualsiasi istituzione, che per funzionare impongono a tutti l’osservanza delle leggi. Lo stesso rifiuto della pena di morte era motivato dal mito: uccidere un uomo (come anche un animale domestico) significava differire in una successiva esistenza (metemsomatosi) la liberazione dell’anima che in essi era stata posta, e quindi impedirne la salvezza. Quest’eresia costituì il principale pungolo avversativo per la Chiesa e la cultura medievali. Venne svuotata, culturalmente e religiosamente, con il recupero positivo del mondo visibile, della natura e del corpo umano, oggetto dell’amore di Dio e oggetto di redenzione (come predicato da san Francesco). Se le concezioni dei Catari avessero prevalso, non avremmo mai avuto l’Umanesimo.
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33. Ordini
mendicanti e loro impegno culturale
Il fenomeno degli ordini religiosi mendicanti è preparato da un’inquietudine che attraversa tutto il xii secolo: Chenu parlava di «un risveglio evangelico, fertile nelle sue peripezie come nelle sue forme», di un «ritorno alla vita primitiva della Chiesa», «luce interiore che suscita, con i “nuovi stati di vita”, una coscienza nuova dell’impiantarsi della grazia nel suolo della natura» (Chenu). Il bisogno di autenticità evangelica è avvertito dentro una cristianità sempre più a rischio di perdere il proprio sale a confronto delle novità economiche, sociali, intellettuali che si imponevano in Occidente, e anche dentro le strutture e le istituzioni storiche della Chiesa. Soprattutto il mondo cittadino e i suoi ceti plasmati dentro un’inedita ricchezza materiale, che inevitabilmente produceva nuove povertà materiali e spi-
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Colantonio. Francesco dà la regola ai Frati minori e alle Clarisse. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte.
rituali, rappresentava una zona sensibile alla deriva ereticale. Le forme dell’assistenza spirituale e caritativa degli ordini monastici e cavallereschi (servizi ospedalieri, elargizioni alimentari, aiuto ai viaggiatori, cura dei malati, protezione dei deboli, ecc.), richiedevano una reinvenzione. Occorreva che tutto ciò si radicasse anche nel nuovo humus urbano, con stili differenti. In questo contesto prendono corpo le figure carismatiche del laico penitente Francesco d’Assisi (1182-1226) e del sacerdote spagnolo Domenico di Guzmán (1170-1221). Domenico si autodefinì «umile servo della predicazione» e fu sensibile alla fame di verità che proveniva da una società disorientata da parole e atteggiamenti che rendevano irriconoscibile la Parola di Dio, che occorreva predicare anzitutto con l’autenticità di vita evangelica. Era la medesima ispirazione del “Poverello di Assisi”: «Vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio e seguire la dottrina e le orme del Signore nostro Gesù Cristo». Francesco d’Assisi non è un ecclesiastico come Domenico, «era un mercante che cambiò
status sociale facendosi penitente, quasi un eremita» (Leonardi), senza voler fondare un vero e proprio ordine religioso; tuttavia suscita un movimento «attorno a lui, per imitazione del suo modo di vivere, per il fascino della sua persona» (Leonardi). Neppure era Francesco, né voleva essere, uomo di cultura (si autodefinisce ignorans et idiota), ammonisce che «ogni frate predichi con le opere» (R. non bull. 17). A sant’Antonio da Padova che chiede di poter «insegnare la sacra teologia ai frati», lo concede purché lo studio non faccia concorrenza ed estingua lo spirito di preghiera e devozione. Domenico era invece un uomo istruito e alla radice del suo carisma c’è la vocazione a studiare per poter testimoniare la Parola dopo aver-
Tre scene della vita di Raimondo Lullo, francescano del xiii secolo: a. la conversione; b. la preghiera di fronte alla Vergine di Rocamadour; c. la preghiera di fronte a san Giacomo. Thomas Le Hyesier, Electorium Parvulum, antologia di Raimondo Lullo.
la fatta oggetto di contemplazione. Per strade diverse questi movimenti si ritrovarono nell’esigenza di rinunciare ad ogni possesso, individuale e collettivo, e di vivere di lavoro (come il resto delle persone a cui offrivano la loro testimonianza di radicalità evangelica) e, se necessario, anche di mendicità, come ogni povero della società. Questi nuovi religiosi, che vivono secondo una regola (la collaudata Regola di sant’Agostino i Domenicani, una nuova regola i Francescani), si chiamano tra loro “frati” ossia fratelli e vivono in spirito di fratellanza con gli altri uomini, si separano dal mondo vivendoci intensamente e caritatevolmente dentro, senza escludere alcun ambito della società. Così, molto presto sono attratti anche dalla novità del mondo studentesco, delle scuole, dove si forma la futura classe dirigente della cristianità. I frati mendicanti di entrambi gli ordini raggiunsero Parigi, capitale degli studi teologici (e non solo) molto presto, più o meno negli stessi anni: nel 1217 i Predicatori, inviati dallo
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Capitolo trentatreesimo
Ordini mendicanti e loro impegno culturale
avevano aperto a Parigi nello stesso anno (1229). Nel 1236 fu la volta del primo francescano: Alessandro di Hales; già rinomatissimo professore di teologia, inglese d’origine, prese il saio e mantenne la sua cattedra (a questa data, su 12 cattedre di teologia, 3 sono occupate da Mendicanti). La crescente presenza dei Mendicanti in università dava fastidio ai maestri secolari che presto mostrarono aperta ostilità, specialmente a Parigi. In quegli stessi anni, la spinta a forme di naturalismo, derivata dall’ammirazione per i contenuti della scienza araboaristotelica e dalla loro rielaborazione teorica e pratica ad opera degli intellettuali cristiani, rendeva necessaria agli occhi di chi aveva la massima responsabilità pastorale una presenza testimoniale e correttiva. Gli unici ad avere questa forza, in
stesso fondatore «per studiare», e nel 1219 i Minori che scelsero di abitare nel quartiere degli studenti. La loro presenza all’inizio fu tollerata a Parigi. Qualche anno dopo i Mendicanti giungono a Oxford, e in particolare i Francescani sono presto “adottati” dal più celebre maestro di quell’università, Roberto Grossatesta, che divenne (1229) il loro docente e patrono. La crisi dell’università parigina alla fine degli anni ’20, con l’esodo dei docenti secolari, favorì l’entrata tra i docenti dell’università del teologo domenicano Rolando da Cremona, già insegnante nello studium generale che i predicatori
La cartina illustra la diffusione dei Francescani in Europa fino al 1300.
virtù della loro spiritualità apostolica e della loro disciplina di gruppo, erano gli ordini mendicanti che il Papato, con sempre maggiore determinazione e concedendo loro numerosi privilegi, impegnò nelle scuole. Questi risposero all’appello concentrando in tal senso le loro migliori energie. I maestri secolari dell’università all’inizio degli anni ’50 trasformarono il loro fastidio in aperta ostilità per i Mendicanti e nel 1255 espulsero dall’università i regolari. Ciò provocò la reazione del papa Alessandro iv che optò a favore dell’insegnamento dei Mendicanti condannando gli scritti di Guglielmo di Saint-
Amour (1256), il quale aveva teorizzato la loro eversività. In questa occasione il papa impose anche che l’università parigina accogliesse tra i suoi docenti Bonaventura da Bagnoregio (francescano) e Tommaso d’Aquino (domenicano), che si rivelarono poi due tra i più grandi teologi di tutti i tempi. Quando un grande astro della scienza, come questi, sorgeva, l’ordine gli creava le condizioni migliori per sviluppare i suoi talenti: libri, segretari e scrivani erano posti al suo servizio, come capitò a Tommaso, Bonaventura e altri. Preesistenti movimenti religiosi, poco prima della metà del xiii secolo costituitisi come ordini mendicanti – i Frati della Beata Vergine Maria del monte Carmelo (Carmelitani) e gli Eremiti di sant’Agostino (Agostiniani) –, si misero, secondo i
La cartina illustra la diffusione dei Domenicani in Europa fino al 1300.
Oslo
Oslo
184 Stoccolma
Skara
Skara
Berwick upon Tweed Drogheda Dublino
Berwick upon Tweed
Viborg
Newcastle
Cashel
Cashel
Cambridge Utrecht
Reims
Metz
Parigi Provins Strasburgo Orléans Besançon Digione Bourges Poitiers Limoges
Nantes La Rochelle Santiago de Compostela
Bordeaux
Leon Palencia Burgos Vitoria Zemora Pamplona Calatayud Tolosa Salamanca Huesca Segovia
Lisbona
Saragozza
Toledo
Périguex Cahors Rodez Albi
Bristol Oxford Londra
Berlino
Lione Losanna Pavia
Würzburg Erfurt
Cividale
Avignone
Gyór
Venezia Bologna Ravenna
Genova Pisa Marsiglia Albenga Montpellier Firenze Narbona Sisteron Lérida Carcassonne Pinerolo Barcellona Perugia Roma
Trapani
Esztergom Pest
La Rochelle
Bistriza Santiago de Compostela
Pécs
Parigi Provins
Spalato
Assisi
Lisbona
Ragusa
Vitoria
Messina Palermo Catania
Cosenza
Siviglia
Tebe
Rodez Albi
Metz
Spira
Praga Ratisbona
Marsiglia Montpellier Narbona
Cividale Milano
Genova Albenga Pisa Firenze
Opole Cracovia
Olomouc
Vienna
Losanna Pavia
Avignone
Breslavia Litomelice Hradec
Strasburgo
Lione
Králové
Berlino Lipsia
Liegi Treviri
Sisteron
Barcellona Valencia
Barletta Bari Brindisi
Périguex Cahors
Burgos Palencia
Toledo
Reims
Lund
Magdeburgo Halberstadt
Orléans Digione Besançon Poitiers Bourges BasileaCostanza Limoges
Tolosa Pamplona Carcassonne Salamanca Huesca Segovia Calatayud Lérida Saragozza Zemora
Coimbra
Ancona
Bordeaux
Leon
Arbe
Napoli
Murcia
Ptuj
Nantes
Zagabria
Valencia Siviglia
Olomouc
Vienna
Milano
Opole Cracovia
Praga Ratisbona
Costanza Basilea
Utrecht
Arras Amiens Rouen
Breslavia Lipsia Litomelice
Odense
Lubecca Brema
Brugge
Colonia Liegi Treviri
Viborg Ribe
Cambridge
Magdeburgo Halberstadt
Amiens Rouen
Newcastle
Cork
Lubecca Brema
Brugge Arras
Coimbra
Drogheda Dublino York
Roskilde Lund
Ribe Odense
York
Bristol Oxford
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Ptuj
Gyór Esztergom Buda Pest
Bistriza
Pécs
Zagabria
Venezia Bologna Ravenna Arbe Ancona
Spalato Ragusa
Perugia Roma Barletta Bari
Palma Napoli
Brindisi
Murcia Cosenza
Negromonte Trapani
Messina Palermo Catania
Negromonte Tebe
Capitolo trentatreesimo
Ordini mendicanti e loro impegno culturale
loro specifici carismi, sulla scia dei Predicatori (Domenicani) e dei Minori (Francescani) convogliando le loro energie negli studi universitari e nell’apostolato sociale. Le migliaia di Mendicanti, di ogni ordine, che erano mandati a formarsi nelle sedi universitarie, in genere, una volta ottenuto il grado e svolto un breve magistero universitario (essenzialmente teologico e propedeutico alla teologia, essendo precluso l’insegnamento delle scienze lucrative – medicina e diritto), ritornavano nelle rispettive province a insegnare negli studia provinciali dell’ordine, o negli studia generalia o solemnia, aperti dagli ordini dove non c’erano strutture universitarie. Lo spirito di apostolato fece concepire ai Mendicanti l’istituzione di studia linguarum, scuole di lingue (arabo, ebraico, greco, siriaco, armeno, tartaro) per preparare i mis-
sionari. Dalla metà del xiii secolo, i Domenicani ne aprirono a Tunisi, Maiorca, Pera, Caffa e rimasero attivi per circa settant’anni. Raimondo Lullo (1235-1316), inquieto intellettuale catalano, appartenente al terz’ordine francescano, animato da forte missionarietà, aprì una scuola di arabo a Miramar (Maiorca) sottoposta al provinciale dei Minori dopo non essere riuscito a ottenenere che l’università di Parigi istituisse corsi di lingue orientali. Oltre a costituire, all’interno di ogni ordine mendicante, un ramo maschile e uno femminile, si crearono i terz’ordini che impegnavano alle rispettive spiritualità i laici.
Pedro Berruguete, san Pietro Martire, Santuario di San Pietro, Seveso.
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San Domenico, Beato Angelico, dal Trittico di Perugia, ivi, Galleria Nazionale dell’Umbria.
Sant’Alberto Magno in una miniatura del xiii secolo.
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34. Conflitti
e fazioni nelle città e fra le città
Dalla fine del xii secolo alla seconda metà del xiii in molte città italiane si diffuse la presenza di due parti aristocratiche in lotta tra di loro per orientare la linea politica del proprio comune nelle contese intercittadine. Prima la lotta di successione alla corona imperiale seguita alla morte di Enrico vi, poi la contesa tra Papato e Federico ii, quindi la lotta tra Carlo d’Angiò e gli Svevi per il regno di Sicilia catalizzarono gli scontri tra le città e, all’interno delle città, tra le parti, concorrendo alla formazione di due alleanze intercittadine che dalle parti fiorentine assunsero i nomi di guelfi e ghibellini. In alcune città gli esiti degli scontri interni determinarono l’esclusione della parte perdente che, rifugiandosi in città dominate dai propri alleati, con-
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I guelfi fuorusciti di Firenze e di Toscana cacciano i ghibellini di Reggio Emilia. Nuova Cronica di Giovanni Villani (1350-1375). Ms. Chigiano lviii, 296. Biblioteca Apostolica Vaticana.
tribuì alla diffusione e all’uniformazione delle alleanze. Le radici di quest’evoluzione, che fu caratteristica dell’Italia centro-settentrionale, sono da ricercarsi nella presenza di una milizia urbana estesa, in forte concorrenza al proprio interno per accaparrarsi risorse pubbliche e beni ecclesiastici. Fino al principio del Duecento tuttavia questa conflittualità si polarizzò in parti solo nei luoghi in cui esistevano due famiglie nettamente più potenti e prestigiose delle altre, come avvenne in molte città della Marca Trevigiana. Qui alcune stirpi di conti e marchesi erano spesso in concorrenza anche con il comune e tendevano quindi a scontrarsi con le famiglie che si identificavano con l’istituzione cittadina. A causa della loro tradizione di ufficiali pubblici avevano relazioni su scala regionale e tesero sin dal principio a raccordarsi tra loro per poter trionfare sui propri nemici in occasione di impegni militari come quelli occasionati dal passaggio di un candidato alla corona imperiale.
In altre regioni, nello stesso periodo i conflitti all’interno delle città tendono a presentarsi sotto la forma di scontri sociali tra milites (cavalieri) e pedites (fanti) in merito alla ripartizione delle spese fiscali, alla rappresentanza politica e all’opportunità di intraprendere campagne militari. In queste aree, dove il “popolo” cominciava a organizzarsi in maniera compiuta e unitaria, i conflitti privati tra casate aristocratiche potevano quindi risolversi nella formazione di societates militum altrettanto unitarie. Talvolta tuttavia gli stessi conflitti si riformulavano nella nuova opposizione faziosa attraverso la confluenza di famiglie militari nello schieramento “popolare”.
Autun (Borgogna). Capitello attribuito alla bottega di Gislebertus (1120-1130), raffigura la presentazione di una cattedrale. Episodi di guerra durante la Riconquista iberica; descrive un episodio dell’assedio di Banias. Ms. La Gran Conquista de Ultremar, Biblioteca Nazionale di Madrid.
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Capitolo trentaqattresimo
Como
Conflitti e fazioni nelle città e fra le città
Bergamo Brescia Milano Crema Lodi Cremona
Novara Vercelli Pavia Torino Tortona Asti Alessandria
Piacenza
Vicenza Verona
Tutti questi conflitti diversi tesero ad assumere una forma simile nel momento in cui, per effetto della lunga lotta tra Federico ii e il Papato, le occasioni di schierarsi nella stessa guerra interregionale si moltiplicarono. Fu allora che molti tra gli aristocratici che avevano conti in sospeso con il proprio comune si coalizzarono contro di esso e lottarono per assumerne il controllo. Nel corso del 1240 la diplomazia pontificia tese a reclutare quanti potevano sostenere la guerra contro Federico ii favorendo alleanze inedite e passaggi di fronte. Dopo una pausa dovuta alla morte dell’imperatore, questa campagna di reclutamento proseguì, intensificandosi in occasione dell’organizzazione della riconquista del regno
Treviso Venezia Padova
Mantova
Parma
Reggio Emilia
Ferrara
Modena Bologna
Imola Faenza
San Cassiano
Rimini
La cartina indica le città dell’Italia settentrionale, variamente schierate fra le due fazioni principali del tempo.
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Nella cartina le principali città dell’Italia centro-settentrionale.
Feltre Como Ivrea
Biandrate
Bergamo Monza Milano
Bassano
Brescia
Verona
Vicenza
Belluno
Treviso
Venezia Padova Crema Lodi Vercelli Pavia Cremona Mantova Torino Piacenza Tortona Asti Borgo Alessandria Parma Ferrara San Donnino Modena Comacchio Aqui Reggio Emilia Bologna Genova Ravenna Imola Forlì Cesena Faenza Rimini Bertinoro Novara
Pistoia Lucca
Fiesole
Fano Senigallia Urbino Fossombrone Ancona Pisa Iesi San Gimignano Poggibonsi Arezzo Gubbio Monteriggioni Volterra Fabriano Siena Cortona Gualdo Tadino Casole Montepulciano Perugia d’Elsa Assisi Chiusi Foligno Città della Pieve Bevagna Trevi Penna San Giovanni Orvieto Todi Spoleto Firenze
Viterbo
Roma
di Sicilia affidata a Carlo d’Angiò. Attorno al 1260 il fronte papale e angioino provvide a prendere contatto con le parti che nell’Italia Padana e in Toscana avevano combattuto contro Federico, con quelle che in Emilia e in Lombardia avevano partecipato alle crociate bandite contro i suoi alleati superstiti Ezzelino e Oberto Pelavicino per coinvolgerle nell’impresa siciliana. Il buon esito dell’impresa consolidò fortemente le parti di questo circuito e gli garantì in molti casi le risorse per arrivare e restare al potere. Fu in questa occasione che ebbe luogo la più significativa ondata di esclusioni che coinvolse numeri di persone molto più grandi di quanto non era avvenuto in precedenza (a Firenze furono allontanate tra banditi e confinati circa tremila persone) e che fu più duratura. In molti casi queste esclusioni si ridussero notevolmente nel corso del
Viterbo, Palazzo dei Papi.
tempo, ma il vocabolario che le aveva prodotte si consolidò definitivamente. Verso la fine del Duecento, in molte città la notevole forza assunta dai movimenti di “popolo” portò a nuovi scontri politici che riguardarono anche il peso che le organizzazioni di parte dovevano avere nella costituzione comunale. Gli esiti furono differenti: in alcuni casi le parti furono marginalizzate, in altre egemonizzarono il comune e diedero vita a signorie personali o familiari. Vi furono nuove ondate di esclusioni, meno estese di quelle precedenti, ma che facevano ricorso a strumenti più violenti. L’arrivo in Italia di Enrico vii nel 1310 costituì per la maggior parte delle fazioni escluse, in maggioranza tendenti a identificarsi come legate alla causa imperiale, un’occasione di rivincita. Fu solo allora che i termini di “guelfo” e “ghibellino” assunsero una valenza generale e vennero a designare due grandi alleanze intercittadine con a capo, rispettivamente, Firenze e Milano, il cui conflitto caratterizzò buona parte del Trecento italiano.
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35. La
transizione degli studi e il corpus filosofico-scientifico nei suoi progressivi incrementi
Nel secolo iv d.C. è già una rarità trovare nell’Occidente latino chi conosca bene la lingua greca, indispensabile per accedere direttamente alla letteratura profana e cristiana e alle fonti filosofico-scientifiche. Già da allora s’impose l’esigenza di traduzioni o di “salvataggi” in forma di parafrasi di questo patrimonio. Agostino legge la traduzione di una parafrasi delle Categorie di Aristotele e i libri platonicorum (= Enneadi di Plotino) nella versione latina di Mario Vittorino. Il neoplatonico cristiano Calcidio tradusse e commentò un passo (17a53c) del Timeo di Platone. Ma tutti questi sforzi andarono perduti o rimasero a lungo inattivi durante l’alto Medioevo. Le opere di Agostino, lette durante l’intero Medioevo, furono
Parmenide, vissuto tra i secoli vi e v a.C., in una testa ritrovata a Elea, sua città natale, nel 1967.
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Platone, testa-ritratto conservata presso i Musei Vaticani.
invece, per il forte condizionamento subito dal neoplatonismo, un canale di conoscenza indiretta di quest’ultimo.
Gli ingressi tardoantichi e altomedievali All’inizio del vi secolo, l’Occidente romano, politicamente succube dei Germani, e l’Oriente greco-bizantino sono ormai culturalmente estraniati. Boezio, consapevole della carenza in campo scientifico della cultura latina, sembra avere un progetto di conservazione di quanto poteva ancora attingere da fonti greche. Questo disegno ebbe realizzazione parziale. Boezio consegna ai posteri la traduzione latina dell’Interpretazione e delle Categorie di Aristotele e un’introduzione a quest’ultime, l’Isagoge, composta da Porfirio (neoplatonico del iii secolo). Con queste traduzioni, i loro commenti e alcuni trattati sulla sillogistica da lui stesso scritti, Boezio in qualche modo riuscì
a trasmettere al Medioevo un complesso di conoscenze di logica aristotelica che nel xii secolo, quando esso si completerà di altre acquisizioni, sarà chiamato “logica vecchia”. La cultura occidentale comincia a riscoprire il valore di questi testi solo con la “rinascita dialettica” dell’xi secolo. Se per Aristotele, fino al xii secolo, la conoscenza fu minima, per Platone le cose non andarono meglio. La parziale traduzione di Calcidio fu ripresa in considerazione solo nella prima metà del xii secolo a Chartres; e due altri dialoghi, Menone e Fedone, furono tradotti da Enrico Aristippo solo intorno al 1156, con influsso molto marginale; un secolo dopo Guglielmo di Moerbeke tradusse il Commento al Parmenide
Testa-ritratto, che ci è giunta quasi dimezzata e probabilmente rappresenta Proclo, l’ultimo grande neoplatonico (410-485 d.C.). Plotino (205-270 d.C.) in un busto conservato nel Museo di Ostia.
di Platone di Proclo che però non è utilizzato prima del 1350. Nel Medioevo tuttavia non circolò solo l’indiretto platonismo «cristiano» di Agostino o il neoplatonismo di Boezio (specialmente della Consolazione della Filosofia), ma anche, a partire dalle traduzioni carolingie del ix secolo, quello contenuto nel corpus teologico dello Pseudo-Areopagita (composto tra v e vi secolo da un cristiano che subisce l’influsso del filosofo pagano Proclo).
«Translatio studiorum» (Trasferimento degli studi) Per capire come la cultura filosofico-scientifica, perduta dall’Occidente, vi abbia fatto massicciamente ritorno nel secolo xii, bisogna compiere una diversione che si ricollega ad alcuni eventi lontani nel tempo e nello spazio: 1) Tra la fine del v e il vi secolo, l’esigenza di rafforzare la teocrazia nell’Impero bizantino spinge alla condanna e alla diaspora
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Capitolo trentacinquesimo
dei dissidenti religiosi (nestoriani e monofisiti giacobiti) e alla rottura con ogni residuo di filosofia pagana (chiusura della scuola d’Atene nel 529). Intellettuali dissidenti si rifugiano entro i confini dell’Impero persiano (Nisibe) o in territorio siriano-anatolico (Harran); in questi contesti il patrimonio filosofico-scientifico greco conobbe particolare coltivazione e traduzioni in siriaco; 2) Nel mondo bizantino (almeno fino all’xi secolo), nonostante il privilegio della continuità con la lingua della filosofia e delle scienze antiche, si elaborò poco di originale in questi settori (fanno eccezione ad esempio Temistio, Simplicio, Giovanni Filopono), verso i quali si mantenne sempre molto forte l’ostilità dei teologi. La cultura antica fu
Arca di Noè. La Seu di Urgell, Museo diocesano, fol. 82v.
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La torre di Tàvara; Beato di Tàvara, Madrid, Archivio storico nazionale, ms.1097, fol. 167v.
La transizione degli studi e il corpus filosofico-scientifico nei suoi progressivi incrementi
trattata in modo formalistico e pedante; tuttavia fu merito dei Bizantini la conservazione dei testi greci (di cui si giovarono poi i traduttori latini dei secoli xii-xiii) e giustamente sono stati chiamati «bibliotecari del mondo» (Baines). Alle misure anti-filosofiche di Giustiniano scampò Giovanni Filopono ad Alessandria, dove si riuscì a tener vivo un interesse scientificofilosofico anche dopo l’arrivo degli Arabi; 3) I continuatori di questa dissidenza intellettuale e i loro centri di studio raggiunsero l’apogeo nel vii secolo e con il loro lavoro (anche di traduzione in arabo) trasmisero contenuti e passione scientifica dentro l’Islam. Nel x secolo la transizione era compiuta e la filosofia e scienza greche, all’epoca degli Abbasidi, è un dato operante (anche se avversato dai settori dell’integralismo religioso) nella società araba. Questo sapere raccolto e rielaborato dai filosofi di Baghdad si trasmise all’Occidente attraverso la sua diffusione fino all’Andalusia. Quando nell’xi secolo iniziò la riconquista cristiana della Spagna, nelle biblioteche di questa regione si trovò concentrato il meglio di questo sapere
greco-arabo, disponibile per essere tradotto in latino e andare incontro ai bisogni della cultura cristiana occidentale.
Il movimento delle traduzioni Infiltrazioni in Occidente (che raggiungono la Germania e l’Inghilterra) della matematica, dell’astronomia e della medicina greco-arabe si verificano già nei secoli x-xi (monaci mozarabici di Ripoll, Gerberto di Aurillac, Costantino Africano, Pietro Alfonso). Ma il movimento delle traduzioni che rivoluzionò l’Occidente ebbe luogo solo dopo le riconquiste cristiane di Toledo (1085) e di Saragozza (1118), nelle quali avevano nei decenni precedenti trovato rifugio
San Gerolamo: Chronica, manoscritto dell’viii-ix secolo; Lucca, Biblioteca Capitolare. Nella miniatura è rappresentato il Buon Pastore.
numerosi intellettuali arabi in fuga dall’Andalusia. La valle dell’Ebro, con l’arrivo dei cristiani, per la mediazione di traduttori ebrei, diventa una fucina di traduzione, attirando le curiosità intellettuali degli occidentali. Ciò che colpì maggiormente fu il sapere di impronta aristotelica, messo in valore dagli Arabi. A Toledo fra i traduttori il più fecondo è Gerardo di Cremona (1114-1187), poi Michele Scoto († 1235), operativo in Spagna e poi alla corte di Federico ii a Napoli. In un secondo tempo si imposero le traduzioni fatte sui testi greci di Aristotele preservati dai Bizantini. Tra il 1125 e il 1150 Giacomo di Venezia, che ha rapporti con la Grecia, traduce numerose opere di Aristotele dal greco. Lo stesso avviene con il diplomatico Burgundio Pisano (1110-1193), che non traduce solo Aristotele, ma anche Giovanni Damasceno, Giovanni Crisostomo, Nemesio e Galeno. Bartolomeo di Messina, alla corte di Manfredi di Sicilia (prima metà del xiii secolo) traduce, oltre a opere aristoteliche, Ippocrate e Ierocle.
195
Capitolo trentacinquesimo
Derry
A
t l a n
t i c o
Lindisfarne Mare Armagh Bangor del Jarrow Nord Wearmouth Kells Ripon Kildare Whitby Durrow York Roscarbery Chester Clonard Lan Carvan Ramsey Glendalough Evesham Amburgo Brema Glastonbury Abingdom Exeter Utrecht Hildesheim Winchester Canterbury Colonia Magdeburgo Corvey Halberstadt Mont-St-Michel Jumièges Corbie Liegi Aquisgrana Landéveinec LaonStavelot Fulda Hersfeld St-Denis Treviri Magonza Parigi Reims Praga Metz Chartres Bamberga Spira Orléans Nantes Tours Auxerre Strasburgo Ratisbona Fleury Passavia Luxeuil Poitiers Digione Mondsee Augusta Santiago de Autun Limoges S. Gallo Frisinga Salisburgo Compostela Oviedo Clermont Cluny Coira Aurillac Lione León Cividale Conques Vienne Vercelli Milano St-Sever Verona Aquileja Albeida Braga Pavia Aniane Vaison Leyre St- Michel Pomposa Arles Bobbio Parma Ravenna Zamora de Cuxa Lucca Fiesole Saragozza Gerona Marsiglia Merida Vic Arezzo Urgell Toledo Farfa Servitanum Barcellona Roma Cordoba Valencia S. Vincenzo al Volturno Montecassino Capua Siviglia Napoli Salerno
c e a n o
O
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La recezione dell’intero corpus aristotelico in Occidente si compie in tre momenti: 1) fino al 1150-60 c’è solo la «logica vecchia»; 2) dalla metà del xii secolo la «logica nuova» integra la vecchia e completa l’Organon di Aristotele; 3) tra la fine del xii e l’inizio del xiii secolo sono conosciuti i «libri naturali» (prevalentemente Fisica, Anima, Cielo e Metafisica). All’inizio, all’intelligenza di queste opere non giovò la molteplicità e la frammentarietà delle traduzioni, talvolta condotte sui testi autentici, talaltra su parafrasi, dal greco o dall’arabo. Personaggi terminali di questo processo sono, nel xiii secolo, Roberto Grossatesta (non solo traduttore) e Guglielmo di Moerbeke. Il Grossatesta, vescovo di Lincoln, dà fra l’altro una versione rivista dell’intera Etica a Nicomaco e di un «corpus ethicum» di commento. L’attività di traduttore (dal greco) e di revisore di Guglielmo di Moerbeke, confratello di san Tommaso presente alla corte pontificia tra 1260-1285, esprime interesse sia a un aristotelismo più genuino, scevro da contaminazioni arabe (traduce o ritraduce Aristotele e i suoi commentatori greco-bizantini: Alessandro di Afrodisia, Simplicio, Filopono, Temistio, Ammonio), sia a completare la conoscenza del neoplatonismo (Proclo) e ad ampliare le conoscenze mediche e matematiche. Oltre l’aristotelica, in Occidente altre sono le presenze filosofiche attivate tra xii e xiii secolo: quella pseudoermetica del Libro dei xxiv filosofi (apocrifo arabo del xii secolo), quella neoplatonica procliana che con le traduzioni di Moerbeke si organizza in un corpus (Elementi di teologia, Tre opuscoli, commenti a Timeo e Parmenide platonici), quella araba e avicenniana, quella ebraica e infine quella averroistica. Le prime traduzioni di Averroè di Cordova († 1198), il “Commentatore” di Aristo tele, si diffusero in Occidente intorno al 1225-1230 dalla corte di Federico ii con le opere di Aristotele tradotte dall’arabo; inizialmente questi commenti non fanno sospettare che saranno poi la fonte ispirativa della deriva eterodossa che si manifesterà nell’università parigina intorno agli anni 1260-1277.
La transizione degli studi e il corpus filosofico-scientifico nei suoi progressivi incrementi
Secoli VI-VII Centro di studio Secoli VIII-IX Centro di studio monastico Centro di studio urbano Secoli X-XI Centro di studio monastico Centro di studio urbano Secoli VIII-XI Centro di studio monastico attestato nei secoli VIII-XI Centro di studio urbano attestato nei secoli VIII-XI
Rossano Vivarium Cartagine
La cartina indica i più vivi centri di produzione culturale fino all’xi secolo.
M a r M ed i t er ra n e o
Regno imperiale tedesco Regno di Borgogna Regno di Danimarca Regno di Francia Regno d’Inghilterra Regno d’Italia Regno di León Regno di Castiglia Regno di Navarra Marca di Spagna Marca di Verona e del Friuli Patrimonio di San Pietro Principato di Benevento Principato di Salerno
197
36. Il
testo, le dispute e le summae
1. La cultura medievale è fondata sui “testi”, che anzitutto si tratta di conservare e assimilare. «L’insegnamento, delle scuo le, riveste essenzialmente la forma di una spiegazione testuale. L’atto essenziale e il regime normale della pedagogia medie vale sarà la “lettura” – lectio –; il maestro, il dottore, si chia merà lector» (Congar). Lectio significa quindi insegnamento, da cui anche oggi i termini lettore, letterato. La stessa lectio potrà essere rapida (cursoria) o ampia (expositio), e si svilupperà secondo «tre spessori»: la “lettera”, o il significato letterale e immediato; il “senso”, o il contenu to del significato letterale; e la “sentenza”, che dà il pensiero profondo o la vera intelligenza del testo stesso.
Prisciano, Institutiones.
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San Tommaso d’Aquino, nell’interpretazione del pittore fiammingo Giusto di Gand; fu probabilmente eseguito nel 1476 per lo studiolo di Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Oggi al Louvre.
Scriveva Giovanni di Salisbury: «Chi aspira alla filosofia impari la lezione, la dottrina, la meditazione»; e Ugo di San Vittore: «In due cose principali si è istruiti in vista della scien za: la lezione e la meditazione», dove la meditazione indica l’assimilazione personale, mentre la lezione e la dottrina «ri guardano la trasmissione del sapere acquisito» (Chenu). «Si ha la lectio quando si viene informati circa le cose che sono scritte – regole e precetti –» (Ugo di San Vittore). 2. Ovviamente il “Libro” è fondamentale nella facoltà di teologia, dove i corsi ordinari del magister – maestro in sacra Pagina (Magister in sacra Pagina) – sono tenuti come lettura della Bibbia. Ma anche nelle altre facoltà la base dell’insegnamento è il libro: in grammatica gli autori sono Donato con l’Ars minor e l’Ars maior e Prisciano, con le Institutiones; in retorica è Cicerone con il De inventione, la Rhetorica ad Herennium (pseudociceroniana), e Quintiliano con l’Institutio oratoria; in
medicina l’Ars medicinae e in seguito il Canone di Avicenna o altri trattati arabi; in diritto i diversi libri del Corpus iuris e in filosofia le opere di Aristotele via via che nella facoltà delle arti si fa posto alla filosofia.
più o meno validi e pertinenti, questi testi si troveranno fran tumati e perderanno, con il passare del tempo, la loro linfa vitale: «La scolastica morirà di questo annientamento testua le» (Chenu).
3. In un simile statuto scolastico inevitabilmente i testi «diventeranno principio di stagnazione», quasi il loro conte nuto fosse un «sapere definitivo». Il risultato sarà che essi, «invece di aprire le intelligenze alla conoscenza degli oggetti, delle realtà, tenderanno a diventare essi stessi gli “oggetti” del sapere» (Chenu). Sovraccaricati e schiacciati dai commentari,
4. Ma prima di questo esito si devono rilevare due fenome ni del più vivo interesse culturale.
Severino Boezio, De consolatione philosophiae, manoscritto del xv secolo. Montpellier. San Gregorio, Vincenzo Foppa (1468), Cappella Portinari, chiesa di Sant’Eustorgio, Milano.
1) Anzitutto, la nascita della “questione” – quaestio –, e quindi della “disputa” – disputatio –. Proprio dalla “lettura” testuale sorgono facilmente degli interrogativi. Ad essi si risponde con una spiegazione o tra riga e riga (annotazione o glossa interlineare), o ai margini del testo (glossa marginale), oppure con l’istituzione del genere letterario delle “questioni”, occasionate dal testo ma disposte e consolidate in sé, sotto l’insegna dell’utrum, che apre l’inter rogazione, e svolte con una propria tecnica e un proprio me todo. Il sorgere della “questione” rivela la profonda esigenza
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Capitolo trentaseiesimo
critica del sapere medievale, che non si accontenta del “dato”, ma tende alla sua giustificazione e “razionalizzazione”. Siamo di fronte a un «progresso tecnico capitale, costituti vo della scolastica, sia nella sua mentalità profonda sia nel suo comportamento redazionale» (Chenu); il maestro non è più un semplice esegeta, ma uno che introduce all’intelligibilità delle cose e che “determina” o “decide” in rapporto ad essa. Nasce così la teologia come “intelligibilità” della fede. «Pensare è un mestiere le cui leggi sono minuziosamente fissate» (Chenu). È il metodo scolastico, che fa dell’università medievale il tempo e il modello di un pensiero critico, tecnico e libero. Ma anche questo metodo ha un rischio intrinseco che
Vetrate di Laon: le arti liberali La retorica;
200
L’astronomia;
Il testo, le dispute e le summae
non sarà poi evitato, e porterà al verbalismo, al giuoco vuoto e formale, senza presa sulla realtà. Siamo all’artificiosità e al «formalismo dialettico». – Crescendo, poi, e dilatandosi sempre più dal testo e dalla “lezione”, le questioni tendono a distaccarsene e ad assumere una loro consistenza autonoma sia dal punto di vista reda zionale – ecco allora la raccolta delle “questioni” sui diversi argomenti –, sia dal punto di vista dell’ordinamento scolasti co, ecco allora le “dispute”, che entrano a far parte della vita specialmente universitaria; diventano un esercizio pubblico, inserito nel calendario dell’anno scolastico, con i giorni fissati
e dedicati alle dispute sulle diverse questioni. Il maestro, per esempio, della facoltà di teologia ha tre compiti: «“Leggere”, disputare, predicare». Il momento culminante della “dispu ta”, cui docenti e alunni partecipavano appassionatamente, dopo essere stato istruito e condotto dall’assistente (baccellie re), era autorevolmente concluso dallo stesso maestro, che in seguito ne curava la pubblicazione. – Quando il tema della disputa non era prefissato, si ave vano le dispute chiamate “quodlibetali”, o ad argomento im provvisato. Le dispute rappresentavano uno degli esercizi più signifi cativi dell’attività magisteriale. Possiamo ricordare che nello spirito e nel dinamismo del la questione e della disputa si venne formando e costruendo
La musica;
l’“articolo”, che sarà l’unità elementare di una “Somma”, for mata da un insieme, più o meno numeroso, appunto di arti coli. 2) Il secondo fenomeno cui assistiamo nel contesto del me todo della “lezione” è il ricorso alle testimonianze della tradi zione o ai testi frammentati e selezionati di Padri e di dottori, ossia alle “autorità”. «L’autorità, le “autorità”, sono la legge del suo lavoro» (Chenu). – Il termine “autorità” – auctoritas –, che prende rilievo in questo contesto pedagogico e istituzionale, sta ad indicare non il valore personale, poniamo di Agostino o di Gregorio, ma un loro “testo”. – Questi testi sono utilizzati attraverso delle raccolte ope rate con la defloratio o il procedimento del florilegio. Questo genere di raccolte di “sentenze” – sententiae – raggiunge il suo capolavoro con il Liber sententiarum di Pietro Lombar do, con il quale «dei testi abilmente scelti e organizzati com
201
Capitolo trentaseiesimo
pongono un corpo dottrinale degno di diventare classico» (Chenu). E infatti le sentenze di Pietro Lombardo saranno, fino al 1500 e oltre, il testo di teologia, che conoscerà in numerevoli commentari, che rappresenteranno la materia di scuola del Magister. «L’opera del Lombardo – scrive Joseph de Ghellinck – resta nel passato teologico alla base delle grandi costruzioni che fanno la gloria della dogmatica catto lica». Famosa con il Liber Sententiarum di Pietro Lombardo è la Glossa e la Concordia discordantium Canonum del cano nista Graziano (ca. 1140). – Colui che ha dato avvio al genere delle Sententiae collo candole in una prospettiva dialettica e ponendo il problema critico della loro interpretazione è stato Abelardo con il suo Sic et non. «Con il suo Sic et non, Abelardo apre brutalmente
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La medicina;
Il testo, le dispute e le summae
il problema dell’interpretazione (delle Sententiae), imposto decisamente dalle gravi lacune dei testi: imprecisioni, disac cordi, risposte unilaterali, asserzioni polemiche, in breve tutti gli inconvenienti che derivano da citazioni staccate dai loro contesti storici, letterali, dottrinali che davano ad esse il loro senso. Abelardo rivendicò arditamente il ruolo della dialettica per risolvere questo problema». Infatti, «La compilazione ha finito con l’annientare la let tura degli originalia, come si diceva, ossia delle opere stesse nella loro vivente integrità, dopo esserne stato il felice effet to. I sentenziari hanno “cliché” i testi, fuori contesto e con scelte spesso discutibili, conservandoli come in erbari: non si ricorre più alle fonti, il raffinamento dialettico si sostitui sce alla lettura vivificante, le forme si stilizzano, i vocaboli si irrigidiscono» (Chenu). Non meraviglia allora quanto umoristicamente afferma Alano di Lilla: «L’autorità possiede un naso di cera, che può, quindi, essere girato verso l’uno o l’altro senso».
Abelardo, nel suo Sic et non, propone delle regole per la soluzione delle antinomie delle auctoritates, per cercare «la composizione della divergenza (adversitatis remedium)». – Quando, poi, non sia possibile superare le “resistenze” del l’“autorità”, l’atteggiamento di rispetto (reverentia) si esprime nell’«esporre con riverenza» (exponere reverenter) o nello «spiegare rispettosamente», con carità, senza arroganza e disprezzo (pie interpretari), il che significa: «Non dissimula re le loro insufficienze, le loro imprecisioni, le loro divergen ze, e neppure tacciarle d’ignoranza o di errore». In tal modo l’auctoritas per i medievali entrava cosciente mente e intenzionalmente «a servizio della loro sintesi perso nale e, all’occorrenza, a servizio della verità di fede maldestra mente espressa, qui o là, da questo o da quel Padre» (Chenu).
La teologia.
5. Dall’esigenza di superare gli inconvenienti del metodo delle “lezioni” e delle “questioni”, per trovare un ordine lo gico e intrinseco della materia e dell’insegnamento (ordo disciplinae), sono venute le “Somme” (Summae), che sono tra i prodotti più tipici del fervore intellettuale e dell’esigenza di “ordine” mentale del Medioevo. Scrive Tommaso d’Aquino nel Prologo alla sua “Somma di teologia”: «Abbiamo notato che i novizi in questa disciplina trova no un grande ostacolo negli scritti dei vari autori: in parte per la molteplicità di questioni, articoli e argomenti inutili; in parte anche perché le cose che essi devono imparare non vengono insegnate secondo l’ordine della materia, ma piut tosto come richiede il commento di dati libri o l’occasio ne delle dispute; e finalmente anche perché quel ripetere sempre le medesime cose ingenera negli animi degli uditori fastidio e confusione».
203
204
università
Aberdeen 1494 S. Anrew 1413 Glasgow 1451
Dublino 1312
Copenhagen 1478
an
ti
La cartina illustra la diffusione delle università fino alla fine del xv secolo, indicandone anche l’origine.
Chelmno 1386
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Lovanio 1431
Colonia 1388 Erfurt 1392
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A
tl
Greifswald 1456
Lüneburg 1471
Oxford
Lipsia 1409
Magonza 1476 Treviri 1473
Parigi Nantes 1460 Angers 1432
Orléans 1235
Poitiers 1421 Dôle 1437
Raimondo Lullo chiamato all’università di Parigi a esporre le sue visioni del cosmo nel biennio 1297-1299.
Rostock 1432
Cambridge 1209
n
ed espressi in varietà di specializzazioni, dalla grammatica alle scienze naturali e alla matematica, dalla dialettica alla teologia. Sono scuole ecclesiastiche, anche se non mancano – come in Italia – scuole private, laiche. 3. Ma l’università si distingue come una realtà nuova, strettamente solidale con la città e con le specializzazioni professionali che la contrassegnano. «Dalla fine del seco lo xi nascita delle università e rinascita delle città sono indissolubilmente legate» (Verger): esse nascono come indici della libertà e vivacità cittadina, cui danno rinomanza e in cui si dispongono secondo una figura autonoma e garantita. «Il xiii secolo – osserva Le Goff – è il secolo delle università, perché è il secolo delle corporazioni». Universitas, infatti, significa società o corporazione, che raccoglie le specializzazioni professionali, dove gli addetti a un mestiere ricevono statuto giuridico e personalità morale riconosciuta dai pubblici poteri.
ea
1. L’università medievale, ossia «una delle creazioni più ori ginali della civiltà medievale»; «il grande motivo di vanto del Medioevo»; «l’istituzione più significativa della nuova cristianità». Sono le definizioni di quanti hanno studiato – tra gli altri, Verger, Pernoud, Chenu – questa singolare “corporazione” di docenti e di alunni, che venne a istituir si e a occupare uno spazio sempre più definito all’interno della società medievale e che trovò nel xiii secolo il suo mo mento di maggiore identificazione. 2. I precedenti dell’università sono assai antichi: lo “studio” (studium) universitario trova le sue origini nelle scuole canonicali ed episcopali, che, insieme con le scuole monastiche, hanno rappresentato i luoghi dell’istruzione e della cultura medievale. In particolare, ricco di centri scolastici e di scuole cattedrali è il xii secolo, con Chartres, Orléans, Laon, Reims, Parigi, dai programmi e dai metodi risalenti per lo più all’ispirazione di Alcuino e all’impostazione carolingia
Oc
37. Le
Bordeaux 1441
Cracovia 1397
Tubinga 1477 Gray 1291
205
Friburgo 1457 Ingolstadt 1472
Basilea 1460 Besançon 1450
Vienna 1384 Bratislava 1467 Buda 1395
Verona 1339 Vicenza 1204
Ginevra 1365
Cahors 1332 Valence 1459
Praga 1348
Würzburg 1402 Heidelberg 1386
Grenoble 1339
Cividale 1353 Treviso 1318 Vercelli 1228 Pavia 1389 Montpellier Padova 1363 Pécs 1367 Orange 1365 Torino Mantova 1433 1421 Tolosa 1233 Cremona Ferrara 1391 1413 Palencia 1214 Pamiers 1295 Avignone 1413 1414 Bologna 1360 Valladolid 1418 Aix 1409 Coimbra 1308 Firenze 1349 Lucca Saragozza 1474 Huesca 1354 Perpignano 1447 Salamanca 1416 Arezzo 1215 Piacenza 1248 1369 Pisa Calatayud 1415 Lérida 1300 1343 Fermo 1398 Sigüenza 1489 Siena Perugia 1371 Alcalá 1499 Lisbona 1411 Gerona 1446 1357 Orvieto 1378 Barcellona 1450 Roma
Valencia 1500 Siviglia 1254 Mar
Prima del 1200 Fondazione di università per iniziativa del papa per iniziativa di sovrani
1201 1300
1301 1400
Mediter
ra
ne
o
Napoli 1224 Salerno
1401 1500 Università non realizzate di cui rimangono lettere di fondazioni papali o imperiali (paper universities) Università scomparse intorno al 1500 Spostamenti successivi di una università
per iniziativa di città
Università sorte in seguito a spostamenti di professori
per iniziativa di vescovi
Scuola già esistente elevata al rango di università
per iniziativa di capitoli o altre istituzioni ecclesiastiche
Studium urbis Studium 1303 curiae 1245
Catania 1444
Capitolo trentasettesimo
4. Anche i docenti e gli studenti assumeranno, così, autonomia giuridica, comportante una serie di diritti: «Diritto di sciopero, di secessione, e monopolio nel conferimento dei gradi universitari». L’università, così intesa, diviene un mondo a sé – intimamente congiunto con la vita sia cittadina sia ecclesiale – e insieme con tratti e stile propri; un mondo dal comportamento caratterizzato, con le sue luci e anche con i suoi disordini, le sue violenze, dotato di speciali esenzioni che non mancano di suscitare reazioni. Gli universitari sono sottratti alla giurisdizione civile. La corporazione cittadina dei “lavoratori intellettuali” è un’istituzione della Chiesa. Gli appartenenti all’università sono considerati dei “chierici”, dove “chierico” non è tanto opposto a “laico”, quanto a non-istruito, mentre l’insegnamento è ritenuto una funzione ecclesiastica.
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Il cuore di Bologna è quello di una città universitaria, sede della prima facoltà di Diritto fin dall’xi secolo.
Le università
Non ci sono negli “studi” universitari dei laici in senso stretto: tutti godono dei privilegi dei chierici; non pochi rimangono celibi e accedono agli ordini sacri. Possono, infatti, essere detentori dei “benefici” della Chiesa con le cui rendite risolvere l’assillante problema economico: il compenso dei discepoli – oltre a non essere idealmente approvato a motivo della gratuità del sapere, che è un impagabile dono di Dio – è in genere assai precario. Secondo il motto diffuso: «Gli scolari non sono buoni pagatori». 5. La presenza della Chiesa nell’università si esprime soprattutto come presenza del Papato, che diviene l’alleato onnipotente della corporazione dello studium, non raramente in reazione con il vescovo locale, dal quale l’università tende sempre più a diventare – almeno per diversi aspetti – “esente”. D’altronde, «l’atteggiamento del Papato non era affatto disinteressato» (Verger): «Come gli ordini nuovi, così gli intellettuali sono sottomessi alla sede apostolica, che li favorisce per addomesticarli»; essi «sono in una certa misura, ma sicuramente, diventati degli agenti pontifici» (Le Goff).
I papi avvertono che l’università – dalla quale non pochi di loro provengono e in cui alcuni di essi sono stati docenti – è un «luogo» determinante per la Chiesa sia sul piano dottrinale sia su quello operativo. 6. Secondo l’ideologia di matrice agostiniana, tutte le scienze – quelle quindi del trivio e del quadrivio (che formano la materia della facoltà delle «arti») – sono in funzione della «sacra dottrina», o della teologia, alla quale servono come delle “ancelle” nei confronti della regina: la teologia è la «regina delle arti» (regina artium). Non sorprende, perciò, la vigilanza, non raramente preoccupata, della Chiesa, sulla facoltà di teologia dell’università, dove ormai si elabora la “scienza della fede”, che si raffinerà progressivamente, fino
Chartres, portale reale della facciata occidentale, metà xii secolo. La Scuola di Chartres fu una delle scuole che dettero origine alle università francesi.
a diventare una professione, un “mestiere”, soprattutto grazie ai successivi ingressi di Aristotele nel l’Oc cidente latino – qualcuno ha parlato di tre ingressi: l’Aristotele della logica antica (vetus), quello della logica nuova (nova), con la teoria del sapere, e quello della fisica/metafisica. La nuova cultura, che trova il suo ambito naturale specialmente nella facoltà delle “arti”, non potrà non farsi sentire in quella di teologia e recarvi il rischio di compromettere l’identità della «sacra dottrina». La presenza di un aristotelismo non sempre ortodosso nella facoltà delle arti, e l’insinuarsi delle dottrine aristoteliche in teologia susciteranno reazioni ecclesiastiche vivaci e forti dibattiti dottrinali. I papi si mostreranno, almeno inizialmente, molto critici riguardo alla «lettura», cioè all’insegnamento pubblico delle opere “naturali” (fisica e metafisica) del “filosofo”. In particolare, oltre alla teologia, nell’università si elabora il diritto, canonico e civile, cioè quel sapere con cui venivano formati i funzionari della Curia romana.
207
Capitolo trentasettesimo
Anche da questo profilo si può, allora, comprendere il sostegno dato dalla Sede apostolica all’inserimento in università dei nuovi ordini religiosi, i “Mendicanti”, una volta ancora aventi con il Papato una relazione diretta, indipendente e talora in opposizione all’autorità ecclesiastica locale e ai maestri secolari, che nei Domenicani o Francescani – dopo tutto non pienamente integrati nell’università e solo parzialmente impegnati nella difesa della corporazione universitaria – vedono dei concorrenti nelle cattedre. 7. Possiamo fare un accenno alle università più prestigiose. La prima è certamente Parigi, dove già era fiorente la scuola cattedrale, la scuola presso i canonici regolari di San Vittore, o quella “libera” intorno a Santa Genoveffa che ha visto docente
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Lo studio della medicina fu molto considerato ed ebbe uno spazio importante in molte università. Un frate coglie bacche di mirto a scopo terapeutico. Parigi, Bibliothèque Nationale, xiv secolo.
Le università
Abelardo. Nel secolo xiii Parigi diviene la città universitaria per eccellenza. A Parigi avviene, non senza polemiche vivaci nei riguardi dell’autorità religiosa e civile, la precisa e matura configurazione dell’entità universitaria con i suoi diritti e le sue indipendenze. Sarà la città di Tommaso, di Bonaventura, di Sigieri, la città specializzata in teologia e in «arti». Il papa Gregorio ix la doterà della magna charta con la bolla Parens scientiarum Parisius (Parigi madre delle scienze) nel 1231. Le lodi a Parigi si sprecheranno: essa è la «nobilissima città di tutti gli studi» (omnium studiorum nobilissima civitas), la civitas philosophorum, «solo paragonabile ad Atene, che, quale madre della sapienza, accoglie tutti quelli che provengono da ogni parte del mondo». Ricordiamo anche: Bologna, forse sorta dalle scuole di notariato, che si segnalerà per lo studio del diritto canonico e civile o dove la corporazione assocerà solo gli studenti; e, ancora, Oxford, Montpellier, specialmente nota per la medicina.
Alcune università sorgeranno per secessione – come Padova da Bologna o Cambridge da Oxford. Altre nasceranno invece per fondazione, come Napoli a opera di Federico ii o Tolosa, voluta dal papa e posta come «centro di studi nel regno dell’eresia catara»; ragione che a sua volta ci fa comprendere l’interesse ecclesiastico per l’università. 8. La grande meta nell’università medievale, dove lo studente passa diversi anni, secondo le facoltà e gli ordinamenti, è il conseguimento della licenza di insegnare, valida per tutta la cristianità (licentia ubique docendi), assicurata dal Papato stesso. Uno dei caratteri dell’università medievale è, infatti, l’internazionalità: Parigi, Bologna, ecc., sono centri europei, mentre la lingua latina da tutti compresa favorisce e permette il superamento dei confini per la comunione culturale.
L’applicazione di un cauterio a un paziente, Oxford, xiv secolo.
9. Nell’università medievale, e soprattutto nella facoltà delle arti, matureranno le nuove esigenze nella ricerca e si profileranno le autonomie scientifiche. Si stabilirà, non più in posizione “ancillare”, la scienza filosofica, e progressivamente si passerà dalla “lezione” (lectio) – basata in ogni facoltà sui testi – alla “questione” (quaestio) e alla “disputa” (disputatio). Ne risulterà il metodo “scolastico”, che fa dell’università medievale il tempio e il modello di un pensiero critico, tecnico e libero, tuttavia accompagnato dal rischio intrinseco – e non evitato – del verbalismo, del gioco vuoto e formale, senza presa sulla realtà.
209
pensiero ebraico
Ocean
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Bibbia commissionata da re Sancho di Navarra che includeva 635 scene della Bibbia ebraica e 105 scene del Nuovo Testamento. Un testo che tentava un dialogo fra ebrei e cristiani nella Penisola iberica durante la Riconquista.
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Pagina dell’opera di Maimonide, Guida dei perplessi, Barcellona, 1348.
Saragozza
questo periodo, e che darà luogo a una tradizione che continuerà anche nei secoli successivi al Medioevo. L’Ebraismo che è per sua essenza una regola di vita – una risposta data alla chiamata di Dio e sancita attraverso l’alleanza biblica: risposta che genera il popolo di Dio –, vede nell’esecuzione dei precetti e non nella riflessione il proprio fine.
La filosofia
Cordova
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La cartina indica alcuni tra i principali centri di cultura ebraica in Occidente.
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– quello della filosofia; – e quello della qabbalah o dell’indirizzo mistico
In parallelo, continuano gli studi classici tradizionali – pur con caratteristiche specifiche –, ossia l’esegesi biblica e talmudi ca. Ognuna di queste specializzazioni è generalmente legata a un luogo e a un periodo.
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Il mondo ebraico medievale occidentale è caratterizzato da una molteplicità di forme e interessi. Anche se la Bibbia – come sem pre è accaduto nella storia del popolo dell’alleanza – rimane il libro per eccellenza, il testo imprescindibile, i pensatori di questo periodo si trovano di fronte a situazioni e questioni tali che li spingono ad accostare la Scrittura da nuovi punti di vista:
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38. Il
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iterraneo Alessandria Egitto
1. La necessità di indagare attraverso la ragione il contenuto della fede – sia per necessità intrinseca (dare sistematicità ai testi biblici e talmudici), sia in risposta agli attacchi che provengono dall’interno (come la grande fioritura di movimenti e sette reli giose) e dall’esterno (Islam prima e Cristianesimo dopo) – porta i pensatori ebrei a ricorrere alla filosofia. Attraverso la ragione, e in particolare la ragione greca, filtrata soprattutto dalla rilettura effettuata dagli Arabi, si vuole dare una nuova forma all’Ebrai smo: una forma che lo avvicina molto a quella delle due grandi religioni – cristiana e musulmana – con cui viene a contatto in
Toledo, Sinagoga del Transito (1357).
2. Tuttavia un’indagine razionale non è mai mancata. – Nella Bibbia stessa abbiamo tutta una serie di passi che si sforzano di delineare l’immagine di Dio, del cosmo e dell’uomo: i pensatori medievali, mediante la loro teoria sul duplice livel lo della Scrittura, il primo letterale che riguarda tutti i lettori e il secondo più profondo riservato ai filosofi, daranno luce a tutte quelle concezioni che non sono immediatamente visibili. Sarà così possibile vedere nel passo di Esodo 3,14 (la rivelazione del nome: «Io sono colui che sono») la corrispondenza in Dio dell’esistenza e dell’essenza, nei primi due capitoli di Genesi la creazione dal nulla e in Genesi 1,26 («Facciamo l’uomo secondo
Cinque rabbini, miniatura, Italia settentrionale, 1400 ca. Tema è il Pesach e l’esilio dall’Egitto. I rabbini sono benestanti, indossano abiti dai colori vivaci e cappelli differenti.
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Capitolo trentottesimo
la nostra immagine, come nostra somiglianza») l’elemento che contraddistingue l’uomo da tutte le altre creature, la ra gione. – Sempre nella Bibbia è già in atto anche una «spiritua lizzazione del concetto di Dio» attraverso l’introduzione di molte correzioni, note come correzioni degli scribi, attribu ite a Esdra, di termini che si riferiscono in modo antropo morfico alla realtà divina: il Targum, traduzione aramaica della Bibbia, porterà a perfezione questo metodo. Metodo che sarà seguito anche dalla versione greca.
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– Vi sono poi nel testo rivelato libri che iniziano a inda gare razionalmente su argomenti vari. Caso emblematico è il libro della Sapienza, che sorge in ambiente alessandrino, ambiente profondamente segnato dalla filosofia greca, ma possiamo anche richiamare alla mente Qoèlet, oppure Giob be, con la sua analisi del problema del male.
Il pensiero ebraico
– Anzi, l’ebraismo talmudico si spinge oltre e presenta prin cipi «di una metafisica, di una cosmologia, di una psicologia e di una mistica», però non avvertirà mai «la necessità di creare una sintesi filosofica o teologica» (G. Vajda). E secondo alcuni studiosi non è possibile trovare neppure un singolo termine appartenente alla filosofia greca nella letteratura rabbinica. – Infine Filone di Alessandria (20 a.C.-40 d.C.), il «più gran de e più famoso rappresentante della filosofia giudaica ales sandrina» (I. Epstein), attraverso il ricorso all’allegoria vuole mostrare che nella Scrittura sono contenute verità profonde che sono vicinissime a quelle del platonismo. D’altra parte, nella tradizione ebraica Filone sarà completamente ignorato, e i filosofi ebrei medievali lo riscopriranno attraverso gli scritti dei Padri della Chiesa, sui quali ebbe una profonda influenza. 3. L’interesse per gli studi filosofici nasce fuori dall’am biente occidentale, ossia sotto l’influsso del pensiero islamico,
di cui la filosofia ebraica seguirà gli sviluppi sia culturali sia geografici. – I testi che serviranno ai pensatori ebrei per l’elaborazione delle loro teorie sono quelli della tradizione greca: le traduzio ni fatte direttamente dal greco, ma anche dal siriaco in arabo di buona parte delle opere di Platone, di Aristotele e dei suoi com mentatori, e dei testi neoplatonici. Oltre a questi si aggiungono gli scritti dei primi filosofi arabi: al-Kindi (ca. 800-ca. 873), alFarabi (ca. 870-950), Avicenna (980-1037), Avempace (ca. 10851138), Averroè (1126-1198) e altri. – Le linee di pensiero che vengono messe a disposizione della riflessione attraverso questi testi sono quelle del kalam (teologia speculativa araba), del neoplatonismo e dell’aristotelismo. Ogni filosofo, secondo la propria sensibilità, attingerà in modi diversi ai vari materiali dando così origine a una scuola più vicina alle posizioni del kalam, oppure dei neoplatonici, oppure degli ari
La mappa del Tempio di Gerusalemme secondo la Kennikott Bible, Soria, Vecchia Castiglia, 1306. Miniatura che raffigura uno sposalizio, tratta da uno dei più importanti libri ebraici sulle leggi e le usanze, scritto a Toledo all’inizio del 1300, ripetutamente copiato e talvolta illustrato. Questa scena si trova in un manoscritto realizzato a Mantova nella prima metà del xv secolo e destinato a un rabbino.
stotelici, ma saranno presenti anche sintesi di vari autori, che porteranno a una riflessione eclettica, e reazioni a queste nuove forme di pensiero. – Già nel ix secolo abbiamo i primi filosofi ebrei, tra i quali Saadiah Gaon (882-942), capo dell’accademia di Sura, il primo a delineare un kalam ebraico, e Isaac Israeli (ca. 855-ca. 955), nato in Egitto e trasferitosi successivamente in Tunisia, «il primo autore, dopo Filone, che reintegri nel pen siero ebraico idee filosofiche attinte direttamente dalle fonti greche. Il suo pensiero ci offre l’esposizione di una filosofia ebraica neoplatonica» (C. Sirat). – Ma sarà a partire dalla metà del x secolo che nella Spa gna musulmana, l’Andalusia, la filosofia e la scienza ebraica produrranno le loro opere di maggior rilievo. Fino alla metà del xii secolo, quando i nuovi poteri politici avverseranno gli studi, la filosofia ebraica parteciperà pienamente allo sviluppo
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Capitolo trentottesimo
culturale, e la lingua delle sue opere sarà quella del Paese, cioè l’arabo. Ed è proprio la conoscenza di questa lingua che, permettendo la lettura di tutte le fonti che abbiamo sopra menzionato, porterà a realizzare una sintesi e un’organizza zione del pensiero ebraico con almeno un secolo di anticipo su quello cristiano. 4. Il più autorevole pensatore neoplatonico di questo periodo è Salomon ibn Gabirol, filosofo e poeta (ca. 1020-1057), cono sciuto dai latini come Avicebron, Avicembron o Avencebrol. La sua opera maggiore, Mekor chayyim, che per mancanza di cita zioni rabbiniche ha portato gli autori cristiani a pensare che si trattasse di un autore musulmano o arabo cristiano, è stata tra dotta nel xii secolo in latino con il titolo di Fons vitae. Quest’o
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Uno scienziato indica con un astrolabio a Maimonide il corso delle stelle. Barcellona, 1348. Cpenaghen, Biblioteca reale, Cod. Heb. xxxvii
Il pensiero ebraico
pera, che non poté essere letta in ebraico prima del xiii secolo, e anche allora solo parzialmente, ebbe un profondo influsso sulla qabbalah. Ibn Gabirol, nella linea neoplatonica, presenta una vi sione del mondo caratterizzata dalla continuità: gli esseri inferiori procedono da quelli superiori. In questo universo tutte le crea ture sono composte di materia e forma, e anche le sostanze spiri tuali hanno una materia, pur essendo questa di natura spirituale. Al vertice di questa catena Ibn Gabirol pone Dio, che viene però presentato con i caratteri del Dio biblico: il creato non è opera di processione, ma «opera di un principio supremo che egli chiama Volontà» (É. Gilson). Sempre nella linea neoplatonica poi indivi dua nel ritorno alle sfere superiori il fine della vita umana, il quale è raggiunto tramite la speculazione. Tra i molti altri autori che hanno caratterizzato i secoli xi e xii e che meriterebbero di essere ricordati, ci limitiamo ai nomi di Bahya ibn Paquda, Abraham bar Hiyya – il primo a scrivere opere filosofiche in ebraico (M. Keller) – e Yoseph ibn Zaddik.
5. Yehudah Ha-Lewi (1085-1141) – considerato, insieme a Salomon ibn Gabirol, il più grande poeta ebreo del Medioevo –, è critico verso l’eccessivo uso fatto dai suoi contemporanei del razionalismo aristotelico per la comprensione del pensiero reli gioso. Al tempo di Yehudah l’aristotelismo rivestiva un ruolo im portante nella filosofia islamica, ma non in quella ebraica. Il suo testo fondamentale, Il re dei Khàzari, racconta della conversione all’ebraismo – conversione storicamente avvenuta nell’viii seco lo – di questo re e del suo popolo ad opera di un saggio ebreo. Il re viene sollecitato «a indagare sulle credenze e sulle fedi», in sogno, da un angelo. Dopo aver ascoltato il filosofo, il cristiano e il musulmano, e non avendo trovato risposte soddisfacenti alle
Mishnah Torah, manoscritto miniato. Perugia, 1400. Mosè con le due Tavole dei Comandamenti, composto da Rabbi Moahe e tratta da una Bibbia tradotta dall’ebraico in spagnolo.
proprie domande, il re interpella l’ebreo. È nel «Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, che fece uscire i Figli d’Israele dall’Egit to con segni e con miracoli», che «mandò Mosè con la sua Leg ge», per l’ebreo, che si deve credere e non nel Dio della specula zione. E all’obiezione del re: «Non avresti dovuto dirmi, o ebreo, che tu credi nel Creatore del mondo, in Colui che lo ordina e lo governa…; e cose simili a queste, che sono il ragionamento di chiunque ha una religione»; l’ebreo controbatte: «Questa che tu dici è la religione speculativa, e ad essa conduce il raziocinio, e vi sono in essa grandi dubbi, e se interroghi su di essa i filosofi non li trovi d’accordo su una sola azione, su una sola opinione» (Y. Ha-Lewi). In un momento in cui l’indagine filosofica penetrava profondamente l’ebraismo «non poteva mancare una reazione teologica e nazionalista… Questa reazione non doveva tuttavia arrestare lo sviluppo della filosofia ebraica; essa anzi raggiunse il suo punto culminante fin dal xii secolo, nell’opera di Mosè Mai monide» (É. Gilson).
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6. A partire dalla metà del xii secolo per la filosofia ebraica si apre un nuovo periodo: sotto l’influsso della filosofia islamica i pensatori ebrei si orienteranno verso l’aristotelismo. Abraham ibn Daud (ca. 1110-1180) fu il primo a seguire l’aristotelismo, tuttavia sarà Maimonide (1135-1204) che darà forma più com piuta al nuovo orientamento filosofico. Maimonide, Rambam – acronimo di rabbi Moshe ben Maimon –, nasce a Cordova nel 1135, ma la sua attività si svolgerà principalmente in Egit to: tuttavia la sua opera riveste un’importanza fondamentale per il pensiero occidentale. Con lui la filosofia aristotelica, pur non sostituendo completamente quella neoplatonica, diventa il prin cipale riferimento per l’elaborazione del pensiero ebraico. Nella sua opera più importante, La guida dei perplessi – conosciuta in traduzione latina dai grandi scolastici del xiii secolo –, Rabbi Moshe affronta le difficoltà che trovano gli uomini di scienza del suo tempo ad accordare le idee filosofiche con quelle bibliche. È il metodo allegorico che permette a Maimonide di mostrare che nei testi biblici sono contenute le verità profonde della filosofia, e che tra filosofia e Bibbia non vi è discordanza. La sua elaborazio ne di un pensiero che si sforza di accordare la Bibbia alla filosofia aristotelica sarà di grande importanza per gli autori cristiani che nel xiii secolo si troveranno di fronte allo stesso problema. 7. Nell’epoca successiva a Maimonide la filosofia ebraica si sposta nelle regioni cristiane – Spagna, Mezzogiorno della Fran cia –, e la lingua usata non è più l’arabo, ma l’ebraico: si assiste così a un grande movimento di traduzione delle opere dei pen satori ebrei, che erano state scritte in arabo, in ebraico. «“La gui da” di Maimonide fu l’opera tradotta che esercitò il maggiore in flusso; in ordine d’importanza vengono i commentari di Averroè ad Aristotele» (M. Keller). Fu proprio sotto la spinta di Averroè che la filosofia ebraica si orientò verso un maggiore razionalismo, generando forti reazioni da parte delle comunità ebraiche, rea zioni che si protrassero per tutto il xiii secolo e parte del xiv. 8. Sono due i pensatori che, nel secolo xiv, per la loro levatu ra meritano di essere ricordati: Levi ben Gershom (1288-1344) e Hasdai Crescas (1340-1412). Levi ben Gershom, conosciuto anche come Gersonide, scrisse supercommentari ai commenti di Averroè su Aristotele. Dopo Maimonide è il più grande pen satore aristotelico ebreo del Medioevo. Hasdai Crescas criticò l’assoggettamento del pensiero ebraico alla filosofia aristotelica: pur non essendo contrario alla filosofia, sottolineò l’importanza dell’osservanza dei comandamenti, e mise in primo piano l’amo re per Dio, da preferire alla conoscenza intellettuale degli aristo telici.
Il pensiero ebraico
9. Dopo Crescas altri pensatori ebrei proseguiranno il lavoro speculativo. Tuttavia la loro filosofia «diverrà più eclettica e un maggior numero di filosofi accetterà una posizione religiosa più ortodossa» (M. Keller). La Qabbalah 1. Qabbalah, che significa “tradizione”, è il termine usato per indicare il movimento mistico che a partire dal Medioevo si è svi luppato all’interno dell’ebraismo: anche se risulta difficile stabilir ne gli inizi possiamo asserire che le sue prime tracce, per quanto riguarda la qabbalah speculativa, nel xii secolo, sono presenti in Provenza, e successivamente, nel xiii secolo, in Aragona e Casti glia, mentre per la qabbalah pratica, nel secolo xii, nella valle del Reno. Intento della qabbalah, pur nelle sue varianti, è la compren sione e l’assunzione a opera dell’uomo del mistero divino e del suo agire: il mistico vuole penetrare, attraverso la meditazione sulla Scrittura – interpretata privilegiando il metodo mistico –, la realtà di Dio, e avere, al suo interno, un ruolo attivo. 2. Le origini del misticismo ebraico si possono far risalire alla stessa Bibbia. Il testo della creazione, la visione di Isaia, la descri zione del carro divino di Ezechiele, le narrazioni apocalittiche di Daniele sono alcuni dei testi che, raccontando la formazione del mondo e descrivendo la divinità, forniscono materiale essenziale alle riflessioni mistiche. 3. Possiamo individuare due momenti, precedenti quello me dievale, in cui assistiamo al diffondersi di dottrine esoteriche: – il momento palestinese, ii-v secolo, in cui gli scritti, anonimi o pseudo-epigrafici, hanno come tema il viaggio dell’anima verso la visione del trono di Dio e della sua gloria. Allo stesso tempo appare la meditazione, basata sul racconto della creazione, sull’o rigine del mondo. Infine abbiamo il Shi’ur qomah (La misura del corpo), che descrive le dimensioni del Creatore del mondo, dando la possibilità a chi le conosce di accedere al mondo futuro. – e il momento babilonese, iii-vii secolo. Pur cambiando il luo go, gli argomenti rimangono gli stessi: è in particolare sulla visione del trono che si ferma l’attenzione di questi mistici. Di questo am biente è il Sefer Yetzirah (Libro della creazione), una riflessione, in chiave neoplatonica, sulla nascita del mondo. La meditazione di questi mistici, sia palestinesi sia babilonesi, è essenzialmente incentrata sulla visione di Dio che appare in trono come re. La visione è raggiunta dopo un lungo viaggio, preceduto da pratiche di purificazione, compiuto dall’anima attraversando le varie stanze – che tengono il posto occupato dai cieli nella me
ditazione gnostica – del palazzo divino, ed essa non lascia spazio alla riflessione sulla natura del Creatore. Ma soprattutto è carat teristica del mistico ebreo – caratteristica che lo distingue dagli gnostici – il suo permanere in una distanza infinita rispetto al Cre atore: tra i due non è possibile alcuna confusione. 4. Negli anni medievali, dopo secoli di silenzio, sono due i mo vimenti che caratterizzano la rinascita della qabbalah: quello del chassidismo tedesco e quello che – sorto nel Sud della Francia – giungerà a pieno compimento nella qabbalah spagnola. Il Chassidismo tedesco Tra il xii e il xiii secolo sono tre membri della famiglia dei Kalo nimidi che danno origine alla rinascita mistica nelle terre renane. Shemu’el ben Kalonimos (metà del xii secolo), suo figlio Yehu dah ha-Chassid (morto nel 1217) ed ‘Ele’azar di Worms (morto attorno al 1230) elaborarono una nuova forma di pensiero eso terico: le idee di questi autori furono raccolte nel Sefer Chassidim (Il libro dei devoti). Gli argomenti affrontati da questa nuova corrente sono più numerosi di quelli con cui si era intrattenuta la mistica precedente: permane la mistica del trono, ma accanto a essa si pone una nuova riflessione sulla natura di Dio – sulla sua unità –; abbiamo inoltre una psicologia mistica, la meditazione sui comandamenti – con la conseguente nuova importanza attribuita all’esegesi della Scrittura –, e un’interpretazione teologica della storia. Ed è questa lettura teologica della storia che, introducendo le teorie mistiche nella vita di ogni giorno, porterà alla nascita di un nuovo concetto: quello della Chassiduth. La Chassiduth, che conduce all’amore di Dio, è raggiunta dal pio non nella vita spe culativa ma in quella morale: vita morale che è caratterizzata da tre elementi, ossia «l’ascetica rinuncia alle cose di questo mondo, la perfetta serenità dello spirito, e un altruismo di principio spinto agli estremi» (Ghershom Sholem). La qabbalah spagnola La qabbalah spagnola è caratterizzata da due correnti: la teoso fico-teurgica e l’estatica. – La corrente teosofico-teurgica – che ha nel Sefer Zohar (Libro dello splendore) la sua classica espressione – si caratterizza per l’idea che la realtà profonda divina sia resa disponibile alla meditazione dell’uomo, che è in grado di penetrare Dio nella sua intimità. Questo nuovo oggetto di contemplazione viene posto, almeno all’inizio, accanto a quello della mistica della merkavah, la mistica del trono: nel Sefer Bahir, testo del xii secolo influenzato
dalle concezioni gnostiche dell’universo, la visione della vita di Dio si aggiunge all’antica contemplazione della sua Gloria in tro no, e diventa oggetto di riflessione parallelo. La realtà profonda di Dio, oggetto della contemplazione, è l’En-sof – l’Infinito –, il più nascosto dei misteri; ad esso si aggiungono i suoi dieci attributi, le Sefiroth. En-Sof e Sefiroth sono il piano superiore del quale quello inferiore, il mondo, è immagine. Pur sostenendo l’interazione tra i due mondi, il Sefer Zohar non utilizza il concetto neoplatonico di processione: le Sefiroth sono separate dall’uomo. L’unità origina ria esistente tra Dio e i suoi attributi è stata spezzata dal peccato del primo uomo: così la Shechinah, il decimo attributo, che viveva in profonda comunione con l’En-sof, così come le altre Sefiroth, vive esiliata. Il male, frutto di questa frattura, è da allora presente nel mondo. Compito dell’uomo, e in particolare di Israele, che ha ricevuto la Torah per questa ragione, è la restaurazione dell’armo nia iniziale. Torah, precetti e tutte le pratiche che contraddistin guono la vita dell’uomo giusto hanno come radice l’amore, quello stesso amore che garantiva l’unità divina: amore che, solo, può nuovamente riunire il mondo umano a quello divino. – La corrente estatica è essenzialmente antropocentrica, è l’e sperienza del singolo in sé ad avere il ruolo preminente, senza che l’esperienza mistica svolga un ruolo attivo all’interno della real tà divina. Massimo esponente di questo movimento è Abraham Abulafia (Saragozza 1240-dopo il 1291): i suoi scritti sono con temporanei al Sefer Zohar. Abulafia definisce la sua qabbalah come profetica (estatica) e dei nomi. L’uomo è da lui considerato come immerso nel mondo sensibile: l’esperienza che gli esseri umani hanno attraverso i sensi li riempie di immagini mondane. Profondamente connotato da queste immagini sensibili, l’uomo è come annodato a una realtà molteplice che non gli permette di accostarsi alla vera fonte unitaria della sua esistenza. Abulafia, per sciogliere i nodi che legano l’uomo al mondo, elabora una tecnica che ha come oggetto la meditazione sull’alfabeto ebraico: invece delle mitzwoth (precetti), tipiche della qabbalah teosofica, abbiamo una via di pensiero spirituale. Le lettere, scelte per il loro carattere astratto, quindi non legato ai sensi, vengono combinate in modo da formare il nome di Dio. Oltre a questa tecnica com binatoria, vi sono metodi di respirazione, canto, movimenti del corpo e procedimenti di concentrazione che avvicinano la visio ne di Abulafia alle correnti mistiche orientali. Al culmine della meditazione l’uomo sperimenta l’irruzione in sé della vita divina: questo, che è il momento più alto dell’esperienza, è connotato da Abulafia come profetico: l’anima, anche in questa corrente della qabbalah, secondo il vincolo biblico, pure al vertice della con templazione rimane se stessa e non si confonde con Dio.
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39. Le
corti itineranti: Federico ii
L’assenza di capitali storiche, cioè di sedi amministrative fisse, centri di burocrazia e di uffici, favorì, nei secoli dell’alto Me dioevo, la mobilità delle corti imperiali. I documenti dell’età carolingia e ottoniana rivelano che gli imperatori, impegnati ad amministrare la giustizia, dirimere controversie, assegnare nuove terre a feudatari diversi, furono costretti a muoversi, con un seguito ragguardevole di armati e di funzionari civili, delegati alle più diverse incombenze. Anche il viaggio a Roma, per l’incoronazione, rappresenta un momento di queste con
tinue peregrinazioni lungo percorsi che, raggiunta la Pianura Padana attraverso i passi alpini, potevano condurre alla sede papale lungo la via Adriatica, a est, o la via Francigena, dove si seguiva, in parte, l’antico tracciato romano della via Cassia. La testimonianza secondo la quale il cancelliere Bruno di Colonia, fratello dell’imperatore Ottone i, si muoveva portando sempre con sé i suoi libri, è utile per immaginare quanto i viaggi e gli itinerari imperiali, con relative soste presso monasteri reali, abbiano giovato alla circolazione di testi e di idee.
La cartina indica il regno di Sicilia durante il dominio dell’imperatore Federico ii di Hoenstaufen. La battaglia di Bouvines, 27 luglio 1214, Nuova Chronica di Giovanni Villani, fol. 68v..
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Anche nel Duecento, il caso della corte di Federico ii ap pare esemplare. L’imperatore, ultimo erede della dinastia normanna insediatasi a Palermo nel xii secolo, spostò la sede degli archivi da Palermo a Foggia, dove si fece costruire un palazzo; quindi non visitò più la capitale normanna, dopo il 1236, muovendosi incessantemente lungo la via Adriatica, con una tale rapidità da favorire la leggenda dell’ubiquità dell’imperatore. Il primo lungo viaggio fu intrapreso nel 1212, quando fu eletto imperatore dai principi tedeschi; allora, muovendo da Palermo, raggiunta Roma, dove, come re di Sicilia, fece giu ramento di vassallaggio al papa, approdò per mare a Genova; quindi, attraversando Pavia e Cremona, raggiunte Verona e
Ragusa M
La battaglia di Cortenuova, 27 novembre 1237, Nuova Chronica di Giovanni Villani, fol. 76v.
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Pescara
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Il sultano d’Egitto al-Kamil e Federico ii, raffigurati davanti a Gerusalemme, 1227-1228. Nuova Cronica di Giovanni Villani [fol. 75r (l. vii,17)].
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Trani Bisceglie Bari Monopoli Molfetta Benevento Capua Gaeta Brindisi BENEVENTO Napoli (enclave papale) Puglia Taranto Salerno Ischia Lucania Amalfi Capri Otranto Montecassino
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Crotone Squillace Lipari
Calabria
Cultura genovese Messina Reggio Calabria Palermo Cefalù Trapani Stretto di Messina Monreale Calatafimi Etna Marsala Corleone Paternò Catania Mazzara Sciacca Sicilia Caltagirone Girgenti Siracusa (Agrigento) Noto Ma r Gozo
M e d i t e r r a n e o Malta
Trento, arrivò a Coira, evitando il Brennero, tenuto dai conti di Baviera che gli erano ostili. Dopo Costanza e Basilea, Fede rico percorse l’Alsazia e fu in diversi luoghi fino all’incorona zione – come rex Romanus – ad Aquisgrana, presso il sepolcro di Carlo Magno. Dopo il lungo soggiorno in Germania, dove abitò di preferenza ad Hagenau, pur percorrendone tutte le regioni (Alsazia, Renania, Franconia, Sassonia, Turingia e Lo taringia), Federico tornò in Italia nel 1220, con un esercito radunato nella piana di Lechfeld, a sud di Augusta. Dopo l’incoronazione imperiale a Roma (1220) fu a Capua, quindi nuovamente in Sicilia per ristabilire il suo potere; mentre il decennio successivo lo vide continuamente in movimento fra l’Italia settentrionale (Dieta di Cremona, 1226), le residenze del Sud e la spedizione in Terrasanta, che da Brindisi (1228) lo condusse a Cipro, Acri e Gerusalemme. Federico fu nuo vamente in Germania nel 1235, quando a Worms celebrò il suo matrimonio con Isabella d’Inghilterra; quindi riprese a guerreggiare in Italia con i comuni dell’Italia settentrionale, a
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Capitolo trentanovesimo
Le corti itineranti: Federico ii REGNO DI GERMANIA
San Leo
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Terracina
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Pesaro Fano Sant’Angelo Urbino Senigallia in Vado Fossombrone Ancona Mercatello Osimo MASSA Cagli S. Lorenzo Iesi Numana TRABARIA in Campo Serra S. Quirico Staffolo Castelfidardo Arezzo Città di Recanati Fabriano Cingoli Castello Macerata Civitanova Gubbio Siena Montecchio Montemilone Matelica DUCATO Gualdo S. Severino Tolentino DI SPOLETO Porto Tadino L. Trasimeno Assisi Nocera Camerino Fermo S. Giorgio San Ginesio Santa Ripatransone Perugia Spello Bettona Visso Vittoria Foligno Bevagna Amandola Radicofani Trevi Montefalco Ascoli Piceno Norcia Todi Acquapendente Orvieto Acquasparta Cascia Spoleto Bagnorea Cesi L. di Bolsena S. Gemini Narni Terni Montefiascone Miranda Amelia Stroncone Orte Viterbo Otricoli Rieti Toscanello Soriano Montalto Magliano AspraMontasola Vetralla Corneto Civita Castellana Sutri SABINA PATRIMONI DI Nepi Civitavecchia SAN PIETRO L. di Bracciano IN TOSCANA Tivoli Roma Poli Trevi Palestrina CAMPAGNA E Anagni Alatri Sora MARITTIMA Segni Velletri Veroli Ferentino Cori Frosinone Supino Ninfa Ceccano Ceprano Sermoneta Sezze Piperno Firenze
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Ravenna Bagnacavallo ROMAGNA Imola Faenza Cervia Forlì Forlimpopoli Bertinoro Cesena Meldola Rimini
MARCA DI Lombardia VERONA Aquileja Trieste Bergamo Brescia Vicenza Treviso Milano Verona Padova Venezia Lodi Torino Mantova Piacenza Parma Po Modena Ferrara Alessandria Cremona REGNO Bologna Ravenna Genova D’ITALIA Romagna San Marino Firenze Ancona Pisa rno A Siena DUCATO DI Ma Toscana SPOLETO re Spoleto A dr STATO DELLA ia Termoli ti C HIESA Corsica c Roma Bari Anagni Puglia Brindisi Gaeta Napoli Taranto Salerno REGNO DI Amalfi SICILIA T ir Sardegna re no Calabria Cagliari Te ver
Bologna Medicina
Trapani Mazzara
Confine del Sacro Romano Impero Germanico Regno d’Italia Spedizioni di Federico Barbarossa 1158 1174 Città della Lega lombarda nel 1167 Regno normanno di Sicilia 1194 Hohenstaufen 1266 Angioini
Palermo
Messina
Reggio
Sicilia
Enna Catania Agrigento Siracusa
Stato della Chiesa all’inizio del XII secolo Sotto l’autorità del papa Domini feudali All’inizio del XII sec. V crociata 1202-1204 La Repubblica di Venezia prima della IV crociata Acquisizioni territoriali genovesi
La cartina degli Stati pontifici durante il xiii secolo.
La cartina indica il quadro d’insieme della Penisola italiana nel xiii secolo, riprendendo alcuni episodi esplicativi del secolo precedente.
Lla fortezza di Castel del Monte, che fu costruita dopo il 1240 a pianta ottagonale, con le torri pure ottagonali a ogni angolo, che sporgono di tre quarti dalla facciata. Non vi sono elementi costitutivi specificamente militari, ma il castello era destinato a eventi di alta società come era la caccia nel Medioevo.
Lucera di Puglia, nei pressi di Foggia, dove fu edificato il più importante palazzo dal punto di vista politico da parte di Federico ii; la fortezza di Lucera, invece, fu sede delle truppe musulmane di Sicilia mantenute al proprio servizio dall’imperatore svevo come truppe scelte.
Cremona e nella Marca Trevigiana, secondo le alterne vicende di un conflitto perennemente in corso, mai risolto fino alla sua morte che avvenne a Castel Fiorentino, in Puglia. In questa vita movimentata, nella quale si mosse con tutta la corte, talora precedendola, in tappe forzate, per conferma re il mito della sua perenne presenza, ovunque, Federico amò incontrare dotti e uomini di cultura, rappresentanti di molte lingue e di religioni diverse. L’imperatore contribuì a costrui re il mito di un’aula che si proponeva come luogo privilegiato di sviluppo e discussione di modelli culturali: favorì l’elabo razione del volgare illustre promosso da poeti che furono an che funzionari e notai della sua cancelleria, valorizzò gli studi scientifici e matematici, s’interessò a traduzioni dall’ebraico e dall’arabo, soprattutto affrontò il problema della riorganiz
Fortificazione costruita per Federico ii a Siracusa (1232-39); si vede una sala interna a due navate su colonne.
zazione dello stato e dell’amministrazione della giustizia con una raccolta di leggi, il Liber Augustalis, promosso da una commissione di giuristi della quale fece parte Pier della Vigna. Sebbene alcune residenze appaiano favorite, soprattutto nella Capitanata, dove l’imperatore restaurò o fece costruire i castelli di Lagopesole, di Melfi e di Castel del Monte, vicino a Barletta, la vita e gli incontri dovettero avvenire anche ne gli accampamenti dell’Italia settentrionale; o durante le soste, quando abbiamo notizie del soggiorno a Verona, nel mona stero di San Zeno, o addirittura del lungo assedio di Parma (1248), segnato da una sconfitta nella quale perse, con il te soro della corona, anche la sua copia personale del De arte venandi cum avibus poi offerta, da un mercante milanese, a Carlo d’Angiò. In tal modo questa corte perennemente iti nerante, nella quale l’imperatore era accompagnato dal suo serraglio e dalla sua biblioteca, svolse un fondamentale ruolo di circolazione di libri, di idee e di modelli culturali dei quali era insieme ispiratrice e garante.
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40. I
trovatori
«Tan m’abellis vostre cortes denman/ Qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire:/ Ieu sui Arnaut que plor e vau cantan…». Nel canto xxvi del Purgatorio di Dante incontriamo un per sonaggio che si esprime in una lingua strana, anche se non del tutto straniera al nostro orecchio: «La vostra cortese do manda tanto mi piace/ Che non posso e non intendo a voi celarmi:/ Io sono Arnaldo, che canto e piango…». Questo il significato letterale dei versi nella lingua oscura – anche se non del tutto per noi, con cui l’anima si presenta: è Arnaldo Daniello, trovatore. Dante lo fa parlare nella sua lingua per attestarne, da parte sua, la piena conoscenza, ma non solo: ne vuole fissare memoria incancellabile.
Quella lingua e quella tradizione sono alle basi della civiltà poetica che con Alighieri, nel xii secolo, giunge al vertice mai più raggiunto in un futuro peraltro meravi glioso, civiltà che perdura nella poesia di ieri e di oggi, nell’opera di Tasso, Foscolo, Baudelaire, Leopardi, Rilke, Eliot, Yeats, Luzi, Bonnefoy. Chi sono i “trovatori”? Il termine stesso battezza in loro l’essenza della poesia, che non consiste in un’artifi ciosa creazione dal nulla, ma in un trovare, uno scoprire, con perizia magistrale, similmente alla forma che Miche langelo cercherà e troverà, nascosta, nell’anima del mar mo. Col trovatore noi incontriamo la figura del poeta che
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scopre, che si lancia in un’avventura per trovare, come nel buio di una mi niera alla ricerca del diamante o dell’o ro. E trovare richiede estrema perizia: l’ispirazione, lo slancio avventuroso, indispensabili per la partenza, non ba stano. I trovatori sono tra i primi a scrivere po esie in lingua volgare romanza, vale a dire non in latino, e i primi in assoluto nella storia letteraria d’Europa a costituire una scuola poetica. Nascono in Francia, ma il loro idioma diventa subito una lingua poe tica adottata tanto dai Catalani quanto da gli Italiani, diffusa dal Portogallo all’Un gheria, una comune lingua imperniata su raffinatissime, spesso oscure, liriche inter rogazioni sul tema portante dell’amore.
Alceo e Saffo. La poesia dei trovatori è forse, nel prodigioso, rinascente xii secolo, il sintomo più forte di rigenerazione di un aspetto della realtà umana (poiché la poesia è tale, non un semplice genere), che da più di mille anni si manifestava saltuariamente e con pochissime opere memorabili, dopo lo splendore dell’età di Augusto, con i capolavori di Virgilio, Catullo, Orazio, Lucrezio, Properzio, Tibullo, Ovidio.
Tre episodi del Roman de la Rose di Jean de Meung in una miniatura, di un manoscritto del 1370, esempio della visione allegorica della vita che caratterizza quell’epoca.
Sono compositori di testi poetici e musiche, quindi di poesia lirica nel sen so letterale, come accadeva ai favolosi primordi della lirica greca di Saffo, Al ceo, Anacreonte, Archiloco. Autori, qua si mai esecutori: le poesie venivano cantate e accompagnate musicalmente dai giullari, veri e propri interpreti, che alternavano il can to della lirica a varie forme di intrattenimento spettacolare, dalla danza al gioco: la poesia moderna, similmente all’antica lirica greca, nasce quindi come teatro, seppur monologan te, voce fisicamente percepita, accompagnata da musica, pensiero e desiderio e in forma di suono. La lingua dei trovatori, definita “proven zale” dagli Italiani, si impone in tutto il mondo romanzo, e con essa il tema dell’amor corte
Una scena del Lancillotto di Chrétien de Troyes, scritto in volgare d’oil.
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Capitolo quarantesimo
La cartina descrive approssimativamente il limitare delle zone delle lingue volgari romanze o germaniche nei secoli xi-xv. Non soltanto ai tempi di Petrarca e del primo Umanesimo il latino mantenne il suo ruolo di lingua colta e di veicolo delle scienze. Infatti per oltre tre secoli, a partire dal Cinquecento, il latino rimarrà la lingua delle scienze, delle lettere, della diplomazia – e naturalmente della Chiesa. Nonostante l’emergere di letterature nelle lingue nazionali, il prestigio del latino rimarrà immutato anche nei Paesi luterani e ortodossi e continuerà a influenzare con forza la cultura europea soprattutto nella scrittura dei nuovi saperi scientifici quali la matematica, la fisica e la biologia. Ogni altra lingua veniva considerata inadeguata, così il mondo scientifico continuerà a scrivere in latino i propri trattati. Francesco Petrarca dipinto da Andrea del Castagno, pittore veneziano del xv secolo.
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Poèmes de Guillaume de Machaut, poeta e musicista, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms fr. 1586, fol. 103r.
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Dialogues de Pierre Salmon. Pierre Salmon conversa con re Carlo vi di Francia, Ginevra, Bibliothèque Publique et Universitaire, ms fr. 165, fol. 4.
bruciava, distruggendoli, i trovatori e Cavalcanti, Guinizelli e Petrarca, e lo stesso Dante della Vita nuova, ora rigenera e splende nella luce di Dio. A metà, nell’intervallo tra Inferno e Paradiso, là dove l’u mano e il divino s’incontrano, prima della luce definitiva, nel Purgatorio, Dante colloca Daniello, e altri suoi colleghi, trovatori, quasi avessero tracciato il percorso che, grazie ad Alighieri, si svela essere la strada per il Paradiso. Definisce Arnaldo il «miglior fabbro del parlar materno». Secoli dopo, nel 1922, Thomas Stearns Eliot, ringraziando il poeta amico Ezra Pound per le correzioni al suo capolavoro, La terra desolata, gli dedicava il libro: «Per Ezra Pound. Il miglior fabbro».
raffinatissima, poi con Alighieri, in forma insuperabile, noi as sistiamo alla nascita pressoché contemporanea di una poesia e di una lingua; poiché, se è vero che Dante adotta una lingua già esistente, essa è nata da poco, e sarà la poesia di Dante (e di poeti suoi coevi) a modificare e nutrire, a generare la lingua neonata. Da quel momento un’incessante fioritura, un prodi gio, la Scuola Siciliana, poi il Dolce Stil Novo, il miracolo che vede bruciare in terra toscana i versi di Guinizelli, Cavalcanti, poi Petrarca, poi La Vita Nuova, il romanzo d’amore di Dante in versi e prosa che assomma e supera tutta questa tradizio ne di ricerca dell’assoluto attraverso il volto e l’apparizione di una donna. E altre prodigiose opere in lingue volgari, le ballate di Villon che rappresentano una Parigi simile ai gironi danteschi, e insomma la grande poesia europea rinasce dopo milleduecento anni dai fasti romani. Poi un passo ulteriore, la Divina Commedia, dove l’avven tura dell’amore nel nome di una donna diviene viaggio totale, discesa all’Inferno fino alla luce del Paradiso, e il fuoco che
por tog he se
se, amore destinato a sofferenze perché versato a una dama sposata, a un’impossibile coniugazione finale. Come il teatro, dopo l’età sacrale del v secolo greco, a poco a poco si sfianca e si disperde, fino a ridursi a intrattenimento farsesco di co mici ambulanti, così la poesia perde la sua centralità e, a parte qualche gemma epica, conosce un languore di secoli e secoli. I trovatori costituiscono l’antecedente della rivoluzione copernicana operata poco dopo da Alighieri, che sceglierà la lingua volgare, confinando il latino alla sfera della speculazio ne teorica. La poesia moderna d’Occidente nasce e palpita in volgare: con i trovatori prima, in forma embrionale ma già
I trovatori
Roma
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Siracusa
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41. L’Occidente e Bisanzio. Le varie fasi di un doloroso I due mondi erano separati da una notevole divergenza di interessi, soprattutto in Italia meridionale, dove avvenivano continui scontri fra i Bizantini, che detenevano il legittimo potere, e le diverse forze che si succedevano nelle regioni me ridionali: i Longobardi di Benevento e Salerno, le città ma rinare come Amalfi, Napoli e Gaeta, e poi, dalla fine dell’xi secolo, gli aggressivi Normanni. La consapevolezza bizantina di essere i veri eredi della tradizione romana, sostenuta fino a quel momento da un’accertabile superiorità culturale, milita re ed economica, complicava i rapporti anche sul piano reli gioso. Il periodo più felice della millenaria storia bizantina era cominciato dopo la crisi iconoclastica (metà del ix secolo) e durante il x secolo era stato guidato da grandi imperatori che raggiunsero l’apogeo nei primi decenni dell’xi secolo (Basilio ii, 976-1025).
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Salonicco, chiesa di Santa Sofia, veduta esterna della parte absidale.
distacco
Un aggravarsi dei rapporti fra le due Chiese si verificò nel 1054, mentre era patriarca Michele Cerulario. Questi ebbe uno scontro molto aspro con la legazione pontificia guidata da Umberto di Silva Candida che, il 16 luglio 1054, depose la bolla di scomunica sull’altare maggiore della basilica di San ta Sofia davanti al patriarca Michele a nome di papa Leone ix, che in realtà era defunto qualche giorno prima. Era una situazione assai intricata, con personaggi poco propensi alle mediazioni e assolutamente convinti della validità delle pro prie tesi, quindi prevalsero gli elementi di rottura. Michele Cerulario scomunicò a sua volta il papa e i due legati papali, cioè Umberto e Federico di Lorena, abate di Montecassino e futuro papa Stefano ix (1057-1058). In realtà, recenti studi tendono a spostare la data della rot tura definitiva al 1204, quando Costantinopoli fu presa dai crociati. Prima di allora vi erano stati diversi tentativi di ri avvicinamento. Nel 1071, infatti, Michele vii chiese aiuto a Roma e all’Occidente, per difendersi dai Turchi selgiuchidi
che premevano sul cuore dell’Impero d’Oriente quando, a Manzikert, l’esercito bizantino subì una pesante sconfit ta che portò in mano turca Armenia, Cappadocia e parte dell’Asia Minore. Nuove realtà subentrarono e resero più difficoltosi i rap porti: erano gli interessi delle città marinare italiane come Venezia, la presenza attiva dei Normanni nel Mediterraneo e l’inizio delle crociate che aumentarono fino a rendere insa nabili i reciproci pregiudizi. Lungo il xii secolo l’Occidente ebbe molte occasioni di relazione e di riavvicinamento con Bisanzio. Erano ragioni politiche come quelle degli imperatori Corrado iii e Federi co i, oppure prevalentemente economiche come quelle delle città marinare italiane, o religiose. Durante il governo di Ma nuele i Comneno (1143-1180) ci furono diversi tentativi di
Costantinopoli, chiesa di Sant’Irene, navata centrale.
accordo. Era un mescolarsi di autentiche esigenze di unità fra i cristiani (oggi diremmo ecumeniche), con diversivi tattici dei politici dell’uno e dell’altro fronte. La diplomazia bizantina si trovava a suo agio: ora si inseriva nel conflitto fra Papato e Im pero, ora s’alleava col Barbarossa contro i Normanni, ora ten tava di rientrare nei giochi politici italiani. Ma le forze fresche venivano da Occidente ed erano assai arroganti e irrispettose della memoria storica della capitale imperiale. Così, l’opinio ne pubblica bizantina, di antica tradizione e molto suscettibi le, difficilmente li tollerava, covava antipatia nei loro confron ti e non vedeva di buon occhio i tentativi di conciliazione. Le distanze che avevano provocato lo scisma del 1054, sul piano della mentalità corrente – che contava molto a Bisanzio – era no ancora saldamente radicate. S’aggiunga inoltre la vicenda della costituzione dei vescovadi latini dopo la riconquista del la Siria e della Terrasanta da parte dei crociati o la vicenda di Antiochia – una delle principali città dell’Impero d’Oriente, prima della conquista islamica –, che i crociati s’attribui
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Capitolo quarantunesimo
L’Occidente e Bisanzio. Le varie fasi di un doloroso distacco
rono senza badare a sottigliezze. Agli occhi di Bisanzio il Papato romano era il responsabile morale delle crociate, sia pure messe in atto dagli intemperanti baroni occidentali. Se l’allontanamento della pressione musulmana sul fronte meridionale dell’Impero poteva rappresentare l’aspetto più gradito della vicenda, nel campo dottrinale cominciarono più insistenti le discussioni sui poteri che il Papato vantava. Il massacro di Latini, soprattutto Veneziani, compiuto a Costantinopoli nel 1182 fornì quindi un pretesto per l’accre scersi di reciproche diffidenze accompagnate anche dal desiderio di vendetta; d’altronde, lo strapotere acquisito
La cartina descrive l’Impero d’Oriente nel periodo 1025-1030. La cartina riguarda il periodo 1204-1240.
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Territori occupati dai Normanni - 1100 circa Territori persi tra il 1071 e il 1100 Territori recuperati sotto Giovanni I e Manuele I Comneno (1118-1180)
IMPERO SERBO
Impero latino Venezia Impero di Nicea Impero di Trebisonda Despotato dell’Epiro
IMPERO BULGARO
Mistrà, Peloponneso, chiesa della Madre di Dio, Odighitria, La guarigione del cieco, affresco della volta del nartece.
L’Impero negli anni 1025-1030
nella città dai mercanti occidentali rafforzava l’odio bizan tino. Però entrambe le comunità erano consapevoli della fede comune e dell’essere popoli cristiani. Quest’ideale di fraternità, che neanche lo scisma del 1054 aveva bloccato, si sarebbe interrotto soltanto nel 1204, con la sconsidera ta azione dei crociati voluta dai Veneziani. Quest’azione avvenne durante un Papato come quello di Innocenzo iii, che aveva l’unità con la Chiesa bizantina come pensiero dominante della sua concezione e delle sue scelte. La gestione dell’Impero latino d’Oriente (1204-1261), che ne derivò, non fu meno disastrosa, anche perché inde bolì il lato orientale dell’Europa in maniera irreparabile. I Turchi erano pronti a minacciare direttamente l’Occidente e un’altra grande parte del Mediterraneo e della sua com plessa civiltà si trovava sull’orlo della dispersione.
229
42. L’attrattiva
del
Mediterraneo
Bisanzio e il Vicino Oriente – Terrasanta compresa –, Mezzo giorno di Francia e d’Italia furono costantemente preda di un irrefrenabile desiderio di possesso da parte dei ceti nobiliari e mercantili dell’Occidente. La stessa vicenda complessa delle crociate va compresa, in parte, sotto questa luce. Ma soprattut to i due Mezzogiorni erano terre ricche, dove i prodotti agricoli
Toledo, xii secolo, chiesa di San Román, costruita da maestranze andaluse che mescolano il romanico con la tradizione architettonica e decorativa araba dando luogo allo stile mudéjar. La chiesa fu consacrata nel 1221.
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Venezia, Pala d’Oro, basilica di San Marco. Raffigurazione dell’Anastasis, uno smalto prodotto da una bottega di Costantinopoli. L’insieme è uno straordinario esempio di fronte d’altare. Più volte rimaneggiata e ampliata fino alle dimensioni attuali. Una prima parte fu commissionata a Costantinopoli dal doge Pietro Orseolo (976-978); del tutto rifatta nel 1105 per iniziativa di Ordelafo Faliero, venne ulteriormente ampliata dal doge Pietro Ziani (1205-09) con materiali predati nel saccheggio di Costantinopoli.
crescevano con più facilità, dove la vita delle corti era molto raf finata ed evoluta, dove l’insediamento di aristocratici normanni o tedeschi (Italia) e franchi (Francia) poteva sfruttare un’utile posizione strategica e le numerose risorse necessarie alla vita sociale e politica dei regni e dell’Impero, e dove le città mari nare italiane vedevano la possibilità di rafforzare i loro traffici. Il fascino del Mediterraneo, del suo clima e delle sue terre, e la volontà di impadronirsene, ancora una volta avrebbero portato a modificarne profondamente la geografia politica. Il mondo «provenzale» Il complesso mondo del Mezzogiorno di Francia chiamato anche, con una certa inesattezza, provenzale o, meglio, paese d’Oc – dal volgare neolatino che vi si parlava e scriveva –, «non costituì mai un’unità politica» (Marrou) e, proprio nel tornante fra i secoli xii e xiii, vide cambiare il suo volto. Nel xii secolo re gno capetingio e mondo d’Oc erano profondamente differenti.
Tradizione ellenistica e scienza geografica araba confluiscono nella raffigurazione del Mediterraneo in questo planisfero di al-Idrisi, geografo e storico marocchino che per incarico di Ruggero ii di Sicilia redasse, nel 1154, Il libro di Ruggero. Bodleian Library, Oxford, ms Pocock 375, 204b-205a. Il colonnato del chiostro di Saint-Trophime ad Arles, città provenzale di storica importanza, dove fra l’altro facevano tappa i pellegrini che dall’Italia si recavano a Santiago de Compostela.
La cultura e la civiltà che si espressero in questi territo ri meridionali furono il frutto precoce del pieno Medioevo europeo. Fin dai tempi dei Visigoti e dei Carolingi questo mondo aveva mantenuto una sua profonda originalità: era la regione transalpina più profondamente romanizzata e legata al resto del mondo latino, soprattutto Catalogna e Italia occi dentale. Già nel xii secolo si pose all’avanguardia sul fronte della produzione letteraria, quando i trovatori inventarono una lingua poetica dolcissima e delle forme letterarie assai ricche di suggestione che si imposero come modello e orien tamento a tutta l’Europa medievale sia di lingua romanza sia di lingua tedesca, i Minnesänger. La cultura d’Oc era nata nelle corti feudali e signorili, dove un fiorire vitale particolarmente raffinato e sontuoso aveva inventato questi caratteri che via via s’affermarono nel resto dell’Occidente. All’inizio del xiii secolo si avevano già i sintomi di una de cadenza: una stagione breve e fragile quindi; dalla gravissima
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Capitolo quarantaduesimo
Maiorca, Torre centrale del castello di Capdepera, xi secolo.
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Con Ruggero ii i re normanni di Sicilia, oltre a fondare una nuova forma di Stato molto organizzata, con un solido apparato e con precise norme giuridiche, diedero impulso sul piano artistico a una rinnovata stagione bizantina coinvolgendo maestri mosaicisti della stessa Costantinopoli. A Palermo nella chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio (della Martorana) un grande mosaico – commissionato dal dignitario Giorgio d’Antiochia – raffigura Cristo che incorona re Ruggero ii.
L’Italia meridionale Travagliato fu anche il destino del Mezzogiorno d’Ita lia. Fin dai tempi degli imperatori della dinastia sassone, ma in quanto eredi di un desiderio carolingio, i governanti tedeschi avevano aspirato a ricostituire l’Impero romano nella sua integralità territoriale, almeno sul suolo occiden tale. Il Mezzogiorno d’Italia era quindi parte dei loro sogni ricorrenti. Il Papato, per ovvie ragioni sostenute dalle città del Cen tro-Nord della Penisola, ed i Normanni avevano ostacolato questo disegno, praticamente mortale per loro, ora alleandosi ora rimanendo nemici, ma sempre pronti a opporsi ogniqual volta lo spauracchio tedesco si fosse affacciato al Sud. L’imperatore svevo ereditava non soltanto il Mezzogiorno italiano, che così finiva praticamente in mani tedesche, ma an che l’azione politico-giuridica compiuta precedentemente dai Normanni.
Quali erano i caratteri dell’eredità normanna? Questo territorio complesso e ricco di civiltà e di stratificazioni etniche e culturali aveva avuto nei Normanni la guida mi litare e politica che era stata capace di condurre con abile energia all’unificazione di realtà assai diverse: principati longobardi, emirati musulmani, province dell’Impero bi zantino, città autonome e fiorenti. La loro azione fu as sai aggressiva verso l’esterno, soprattutto verso l’Impero bizantino, cui i territori della Grecia occidentale avevano mirato fin dall’xi secolo, mentre, all’interno di questo mo saico meridionale, un misto di spregiudicato pragmatismo e di notevole cultura giuridica consentì loro di formare un sistema di governo incentrato su una burocrazia fedele al
La cartina illustra il Mediterraneo e l’Europa nei secoli xiii e xv nei loro aspetti politico-dinastici, soprattutto per quanto riguarda gli Aragonesi e gli Angioini.
Terre della dinastia angioina Terre della Corona d’Aragona Aree di influenza angioina Principali rotte commerciali catalane
monarca, in grado di effettuare una puntuale pressione fi scale, e sull’«organizzazione feudale della milizia». Avevano creato «un potere sovrano capace di controlla re e trasformare i rapporti sociali» (Delogu), in altri termini avevano posto le basi per uno stato centralizzato, nel quale il ruolo del monarca e dei suoi ministri e funzionari era efficace e operativo. Un Mezzogiorno riportato in valore era così ambìto dall’Impero da un punto di vista politico e dinastico e dalle città marinare, Genova e Pisa, dal punto di vista economi co. Erano territori allora considerati in grado di produrre ricchezza e sostegni indispensabili per un’azione politica di largo raggio e profondità. In questa situazione di centralismo feudale, dove conti e baroni fornivano l’ossatura dell’amministrazione e dell’eserci to, le fiorenti città meridionali furono sempre più emarginate dalla vita politica.
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HENNEGAU (1253-58) GERMANIA Valenciennes ANGIÒ E MAINE (AL 1290)
POLONIA (1370-82)
FRANCIA CARLAT UNGHERIA-CROAZIA Budapest (1343-49) (1310-87) Aigues-mortes a Venezia Jaca onte m e i P Montpellier Navarra Belgrado Marsiglia Genova Saragozza Huesca Firenze STATI Collioure Perpignano ARAGONA Girona Provenza Pisa PONTIFICI Salona Lleida CATALOGNA L’Aquila Corsica Tortosa Barcellona Benevento (nominalmente Roma Valencia Tarragona aragonese) Lucera Napoli Jativa Trani Durazzo Bari Costantinopoli Amalfi Alicante Sardegna Taranto Iglesias DUCATO Almeria Cagliari DI ATENE Orano Corfù Palermo (1311-88) Annaba Algeri Bugia Trapani Sicilia Messina Efeso Catania Isole Tunisi Atene Siracusa Ionie (conti Orsini) Mahadia Rodi Cipro Ca sti gli
crisi provocata dalla diffusione dell’eresia catara furono toc cate soltanto la Linguadoca e la contea di Tolosa. La tragica crociata albigese (1208-1209) fornì certamente il pretesto alla nobiltà neustriana (Simon de Montfort in testa) di scatenare i propri appetiti di ricchezza e la propria sete di dominio a spe se di un mondo più evoluto e complesso di quello del CentroNord della Francia. Nel Sud della Francia la borghesia di To losa tentò invano di sostituire la propria attività all’ispirazione trobadorico-cavalleresca «ormai sfinita».
L’attrattiva del Mediterraneo
Kerkenna
Malta
Djerba Tripoli
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CASTELROSSO REGNO DI (1450-1522) GERUSALEMME (1277-91)
Acri
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Trondheim Bergen Stoccolma Edimburgo Mare del Nord Amburgo Lubecca Londra
Reval Visby
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Potenze marittime: XV secolo Venezia Possessi Lipsia Torun Brugge Aree di influenza Colonia Erfurt Breslavia commerciale Nantes Astrahancommerciali Parigi Colonie Cracovia Tana Genova La Coruña Vienna Ginevra Bordeaux Possessi Lione Moncastro Aree di influenza Avignone GenovaMilano Caffa Venezi a Poti commerciale Belgrado Firenze ero Colonie commerciali Saragozza Marsiglia Pisa r N a M Lisbona Toledo Hansa Trebisonda Barcellona Valencia Sinop Roma Città anseatiche Barletta Costantinopoli Cadice Palma Rasht Almeria ColonieTabriz commerciali Napoli Ceuta
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Aleppo Taranto Tessalonica Palermo Chio Smirne Antalya Antiochia Messina Tunisi M ar Modone Famagosta M ed ite Beirut Rodi rra Candia Damasco neo Acri Giaffa Tripoli Alessandria Il Cairo
Edessa Baghdad
Compagnie commerciali Peruzzi (1336 ca.) Sede Succursali Medici (1434-1494) Sede Filiali Itinerari commerciali Vie terrestri o fluviali Rotta italiana Rotta anseatica
La cartina indica i principali centri commerciali, i luoghi di fiere e le vie di comunicazione. Le feste principali si svolgevano dove avvenivano le fiere più frequentate.
Compagnie commerciali Peruzzi (1336 ca.) Sede Succursali Medici (1434-1494) Sede Filiali Itinerari commerciali Vie terrestri o fluviali Rotta italiana Rotta anseatica
REGNO
Aree tessili Mare del Nord
NORVEGIA Bergen Oslo
DI
SVEZIA Falun Uppsala
Jönköping Ålborg
Edimburgo
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REGNO
DI
Regno di Scozia t i co
Reykjavik
Jean Fouquet, Ore di Etienne Chevalier, recto. New York, The Lehmann Collection. La discesa dello Spirito Santo. È quasi impossibile trovare espressi momenti di festa nelle rappresentazioni scritte o pittoriche medievali, salvo per grandi eventi della vita cristiana, come in questo caso la Pentecoste, oppure l’Adorazione dei Magi.
Vyborg Roval grano, tele, legname, pesce, pellicce, ferro
GRANDUCATO DI
Narva
Stoccolma
MOSCA
CANATO DI
Novgorod
KAZAN’ Pskov REGNO DI Riga ANIMARCA Helsingborg D sale, panni, Mosca York prod. industr., Copenaghen Chester Skanör vino Kaunas Flensburg Smolensk Yarmouth Lubecca Stralsund Danzica Vilnius Amburgo Bristol Stettino Plymouth Londra GRANDUCATO Amsterdam Torun DI Berlino Portsmouth Brugge Braunschweig LITUANIA Calais Gant Colonia Varsavia Poznan REGNO I MPERO DI St-Malo Rouen Magonza Francoforte Breslavia POLONIA Lublino Kiev Rennes Parigi Praga Reims R O M A N O Leopoli spezie, sale, Cracovia Strasburgo Norimberga Tours Troyes vino, ferro Astrahan’ G E R M A N I C O Augusta Linz REGNO Tana CANATO PRINCIPATO DELLA Digione DI Vienna La Coruña Basilea Limoges DI MOLDAVIA Aviles Innsbruck Buda ASTRAHAN’ Ginevra Besançon CANATO Bordeaux Bolzano Pest Lione Moncastro DI CRIMEA FRANCIA Santander REGNO Villach Milano León Taman DI Tolosa Bayonne Porto Venezia UNGHERIA Cherson Caffa Genova Brasov Medina Burgos Narbona Firenze prod. industr., spezie, seta, grano, del Campo Marsiglia Pisa Mar Ner tessuti, armi, ferro cotone, schiavi, sale, Madrid o REGNO DI miele, pellicce Niš prod. industr., TATO DELLA S Varna Ragusa Lisbona Toledo Sinop Barcellona tessuti, armi Cuenca Trebisonda CHIESA PORTOGALLO REGNO Cattaro Roma DI Valencia Cordoba Costantinopoli CASTIGLIA Durazzo I M P E R O REGNO Bari Sivas Siviglia Napoli DI Tessalonica Regno Gibilterra Bursa N APOLI Ceuta Granada di O TTOMANO Tangeri Granada grano, Focea lana, Palermo Bugia Smirne schiavi Algeri Fes Aleppo Antalya Atene Tunisi Modone M a r Siracusa Me Famagosta Baghdad dit err Candia Tripoli an eo tappeti, seta, Beirut Damasco spezie, cotone, Vie di comunicazione t l a n
Potenze marittime: XV secolo Venezia Possessi Aree di influenza commerciale Colonie commerciali Genova Possessi Aree di influenza commerciale Colonie commerciali Hansa Città anseatiche Colonie commerciali
O
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La cartina illustra le potenze e le compagnie commerciali nei secoli xiii-xv.
dai dazi per le mercanzie trasportate, alle liberazioni di arre stati per debito), nonché un’adeguata protezione ai mercanti e ai loro clienti, favorendo la libertà di movimento per uomi ni, bestie e merci, anche attraverso la stipulazione di apposite “paci di fiera” e tregue. Presenti in Europa fin dai secoli dell’alto Medioevo (se ne ha notizia, ad esempio, per la Gallia merovingia e per la Spa gna visigotica), le fiere aumentano di numero e di importanza
quello commerciale, ma poco per volta il secondo soppianta decisamente il primo. Se, infatti, in un primo tempo tale for ma di mercato periodico viene tenuta sui sagrati delle chiese o negli spazi a essi immediatamente adiacenti, con l’ingrandi mento e la crescita d’importanza economica della manifesta zione, le fiere vengono trasferite fuori dalle mura delle città, in un luogo appositamente destinato a esse. Le fiere d’età medievale e della prima età moderna rivesto no una fondamentale funzione economica, quella di supplire alle non indifferenti difficoltà di svolgimento dei traffici com merciali, in un’epoca in cui lo scambio è più l’eccezione che la regola, tanto che, se si facesse riferimento a una geografia del le fiere nell’Europa del periodo, si noterebbe come esse siano più numerose là dove la presenza di città con le loro botteghe è più scarsa e meno ramificata. Inoltre, e anche questo è un aspetto di non secondaria importanza per spiegare il loro suc cesso, durante il periodo di fiera il potere politico accorda a chi le frequenta franchigie di notevole rilevanza (dalla libertà
REGNO
DI INGHILTERRA
Newcastle
A
Come indicato dalla stessa etimologia della parola fiera (dal latino feria, “giorno festivo”, “vacanza”), feste e fiere in età medievale sono tra loro strettamente legate. Di solito, infatti, la fiera ha una cadenza (per lo più, ma non sempre) annuale e viene effettuata in coincidenza con una festa religiosa, in particolare in occasione dei festeggiamenti del santo patrono del luogo in cui viene svolta. Lo scopo è chiaramente quello di rendere più semplice l’incontro tra produttori e potenziali acquirenti o tra mercanti, in modo da favorire lo svolgimento delle contrattazioni, soprattutto di quelle riguardanti beni di uso non corrente, siano essi beni capitali (come il bestiame o gli attrezzi agricoli) o beni di consumo durevole (come tutti i diversi tipi di tessuto: di lana, cotone, lino, ecc.). Inizialmen te l’appuntamento festivo ha un valore prevalente rispetto a
O c e a n o
43. Feste
Itinerari terrestri e fluviali Rotte marittime
Centri commerciali Più di 50 000 abitanti Meno di 50 000 abitanti Sedi di fiere importanti Centri di traffico di schiavi
Tripoli
grano, allume, vino, schiavi
Alessandria IMPERO DEI Elat Il Cairo MAMELUCCHI At-Tur
Capitolo quarantatreesimo
dopo l’xi secolo, di pari passo con la ripresa commerciale e la decisa crescita demografica. Già con il xii secolo si è a cono scenza dell’esistenza di manifestazioni la cui importanza supe ra i limiti del mercato locale, assumendo rilevanza regionale, se non addirittura interregionale. Con il xiii secolo c’è l’affer marsi in maniera stabile di eventi di carattere internazionale, a fianco di altri che mantengono un’importanza minore. Per i secoli successivi si assiste alla nascita di nuovi eventi spe cializzati in qualche mercanzia particolare (spesso nella com pravendita di bestiame) o aventi una funzione esclusivamente finanziaria (le cosiddette “fiere di cambio”).
Feste e fiere
La differenza principale che distingue le grandi manife stazioni di carattere internazionale da quelle meramente di funzione locale è costituita dagli operatori che vi partecipa no, dalle mercanzie che vi vengono poste in vendita e dalla complessità delle transazioni finanziarie effettuate durante il loro svolgimento. Nelle fiere internazionali, infatti, i mercanti provengono da tutti gli angoli dell’Europa, commerciano solo determinati tipi di merci (quasi sempre di grande valore) e si servono abitualmente per le compensazioni dei crediti e dei debiti di lettere di cambio. È il caso delle fiere francesi della Champagne. Si tratta di sei manifestazioni che formano un ciclo annuale e che vengono tenute in quattro località non distanti da Parigi (Troyes, Provins, Lagny, Bar-sur-Aube) a
cui partecipano mercanti fiamminghi, tedeschi, italiani e fran cesi che comprano e vendono tessuti, seterie, spezie, materie tintorie, pellami, pellicce, cera, ecc. Se la funzione economica delle fiere nel corso dei secoli assume un’importanza maggiore rispetto a quella più propria mente “ludica”, ciò non toglie che quest’ultima scompaia del tutto, anzi. È proprio durante le manifestazioni fieristiche che viene permesso lo svolgimento di giochi altrimenti proibiti, come quelli d’azzardo, la cui pratica è spesso minuziosamente regolata da precise norme che ne prevedono la libertà di effet tuazione in periodo di fiera.
Sandro Botticelli, L’adorazione dei Magi, Londra, National Gallery.
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Particolari delle decorazioni dipinte del soffitto ligneo della cattedrale di Teruel in Aragona, xv secolo, che esprimono momenti di festa di corte.
Giulio Romano. Palazzo Te, Stanza di Psiche, prima metà del xvi secolo. In pieno Rinascimento la festosità verrà raffigurata in modo pagano.
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44. Il
gotico
Nel paesaggio politico dell’Europa gotica emerge con eviden za il formarsi delle nazioni europee, antenate dirette di quelle moderne – la Francia, l’Inghilterra – e con altrettanta chiarez za, la tendenza opposta alla frammentazione comunale, cioè alla nascita di piccole ma potentissime città, ricche dei com merci e delle proprietà agrarie, accanitamente volte a difende re la propria autonomia nei confronti dei poteri “universali” dell’Europa feudale, l’Impero, la Chiesa. Se la popolazione dell’Europa feudale, appunto, aveva vissuto dispersa nelle campagne, aveva dovuto fuggire dai monasteri e dalle città a rischio degli attacchi normanni e arabi, ora la gente si con centra nei paesi e nelle città, vive a stretto contatto, comunica rapidamente, condivide bisogni ed emozioni.
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Narbonne, cattedrale, un edificio preesistente completamente rinnovato secondo i principi e le tecniche dell’architettura gotica. Una veduta della volta.
L’arte dell’Europa gotica vive di questi nuovi protagonisti e reagisce ai nuovi bisogni. Li interpretano con speciale fi nezza e tempestività i nuovi ordini mendicanti, specialmente i Francescani e i Domenicani, i primi più sensibili al versante emozionale e patetico dell’espressività, i secondi più vicini ai contenuti ufficiali e dogmatici della Chiesa. È un fenomeno trasversale, che in pochi anni dall’apparizione dei due fon datori, all’inizio del Duecento, conquista l’Europa, il Medio Oriente, Bisanzio, e arriva in Cina, in Giappone, in un impeto missionario che rinnova i tempi della nascita del cristianesi mo. Nella basilica di Assisi, sepolcro di san Francesco, una serie di botteghe chiamate dall’Umbria, dall’Inghilterra, da Roma, da Firenze, nel giro di pochi anni traghetta il linguag gio pittorico dalle premesse bizantine di metà Duecento alla “nuova pittura” di Giotto, che tra gli ultimi anni del secolo e i primi del Trecento rivoluziona il linguaggio medievale, atten ta a rappresentare la figura umana nel proprio spazio reale e abitabile, percorsa dalle emozioni e dagli affetti.
Nel Sud dell’Europa la pittura resta forse il medium prefe rito dagli artisti, nel suo versante di pittura murale, che offre episodi travolgenti come quello della giottesca cappella degli Scrovegni a Padova o come gli straordinari affreschi a tema religioso e civile dei pittori senesi, Simone Martini e i fratelli Lorenzetti. La civiltà delle cattedrali, nel Nord dell’Europa – in Francia, in Germania, in Inghilterra, a Praga –, dà invece preminenza alla decorazione plastica, cui è affidata la mes sa in scena dei soggetti biblici e agiografici destinati al vasto pubblico che affollava gli edifici sacri. Poiché l’architettura gotica tende a svuotare i muri, a evidenziare la struttura for
Matteo Giovannetti, Il pescatore con la rete, particolare degli affreschi della camera del Guardaroba, 1343. Palazzo dei Papi, Avignone. La sua straordinaria personalità artistica dominò la scena avignonese per quasi venticinque anni; fu il pictor papae. Padova, Cappella degli Scrovegni. Giotto, Il tradimento di Giuda.
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Capitolo quarantaquattresimo
Il gotico
pontificia da Roma ad Avignone segna un momento capitale proprio in ordine ai contatti tra le culture: traslocato in terra francese, il potere pontificio deve costruire una nuova corte in un luogo vergine e sprovvisto della condizionante tradizione figurativa romana. Attira artisti da ogni dove, li pone a contat to tra loro; alla fine, l’artista prediletto ad Avignone sarà Mat teo Giovannetti, viterbese di formazione senese, che dà della pittura di Simone Martini una versione colorita e aneddotti ca, amatissima dalla cosmopolita società avignonese. Sono le premesse e le radici del linguaggio gotico internazionale, che dominerà per tutta la fine del Trecento e l’inizio del Quat trocento, e che troverà alla fine due poderosi antagonisti: i maestri fiorentini del primo Quattrocento in Toscana, e Jan van Eyck e i pittori delle Fiandre molto più a nord.
zando la capacità dei sostegni fino a estremi acrobatici – come nella Sainte-Chapelle di Parigi, che non ha più muri ma solo pilastri, colonnette, nervature –, il racconto pittorico non tro va spazio sulle pareti, e si affida alle vetrate, che chiudono le finestre e acquistano colore e leggibilità per mezzo della luce. Il Nord e il Sud del mondo comunicano, ma mantengono diversità rilevanti: nel corso del Trecento, però, le opere degli artisti italiani diventano veri e propri status symbol, pubblica mente apprezzati da Boccaccio e Petrarca, ricercati dai col lezionisti di ogni Paese d’Europa. Il trasferimento della sede
Avignone. Veduta d’insieme del Palazzo dei Papi, edificato sul precedente palazzo episcopale con un’intensa attività edilizia promossa da tutti i pontefici avignonesi da Giovanni xxii (1316-1334) a Urbano v (1362-1370).
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Parigi, Sainte-Chapelle, particolare della vetrata dell’Esodo. L’Eterno parla a Mosè davanti all’arca dell’Alleanza.
La cartina dà conto delle principali località dove ci furono espressioni del gotico.
P it t i
Tournai Valencienne Amiens Cambrai St. Germer de Fly Noyon Soissons Braine Evreux Reims Parigi Meaux Etampes Arras
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Mar Me diter
Monumenti distrutti L’inizio dell’arte gotica nel XII secolo Espansione dell’arte gotica nel XIII secolo
rane
o
Cartagine
REGNO DEI VANDALI
Marsala
241
45. Le
enciclopedie
Vincenzo di Beauvais, Speculum Naturale, Lo specchio della natura. Il carro del Sole è parte dell’Hortus deliciarum. Le sette arti liberali secondo l’Hortus deliciarum di Herrad di Landsberg. La filosofia è la regina, al centro; sulla sua corona spiccano tre teste raffiguranti l’etica, la logica e la fisica, e dal suo petto sgorgano
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Boezio, Cassiodoro e Isidoro nei secoli vi-vii, nel cuore della pro fonda crisi della cultura classica originata dalle invasioni barba riche, impostarono un’intensa e rispettosa opera di rivisitazione del sapere tramandato dalla Tarda Antichità latina. Raccolsero lo scibile che trovavano in questo mondo che finiva (o già finito), lo confermarono nel suo valore e lo finalizzarono a nuovi com piti educativi. Qui sta l’inizio dell’“enciclopedismo medievale”. Propriamente, forse solo Isidoro meriterebbe il nome di autore enciclopedico per l’ampiezza dei suoi interessi, ma anche gli altri due hanno condiviso, con tratti peculiari, un’ansia di trasmissio ne ordinata e finalizzata del sapere. L’enciclopedismo medievale non comportò solo una raccolta casuale di dati; occorre capire i motivi della loro selezione e del loro ordinarsi, collocandoli nei bisogni dei diversi contesti. Boezio puntò soprattutto sulla cultura scientifico-filosofica, di cui avvertiva una carenza nel mondo latino; volle ovviarvi pro prio nel momento in cui i rapporti con il mondo greco (che in tale settore aveva prodotto le più grandi imprese) erano compro
le sette fonti della sapienza. Socrate e Platone sono collocati ai suoi piedi, ma sul suo cartiglio si legge “ogni sapienza viene da Dio”. Nella parte alta del cerchio, si trova la grammatica, poi in successione in senso orario la retorica, la dialettica, la musica, l’aritmetica, la geometria e l’astronomia. In basso si trovano i copisti, i poeti e i narratori che rappresentano la vita intellettuale nei suoi rischi, alcuni uccelli neri sembrano ispirarli.
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Capitolo quarantacinquesimo
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messi. Se non produsse una vera e propria enciclopedia, certa mente fu una fonte imprescindibile degli enciclopedisti succes sivi per tutti gli aspetti che trattò (dialettica, aritmetica, musica, terminologia teologica). Cassiodoro, dopo aver collaborato come Boezio con il re barbaro Teodorico, nel 550 si ritirò dalla politica per dedicarsi alla meditazione e allo studio nel monastero cala brese di Vivarium (in zona bizantina). L’impegno intellettuale, per questa scelta, è da lui concepito come esercizio che accresca il desiderio di Dio. Egli avverte che i tempi rendono sempre più impraticabile il modello di trasmissione del sapere legato all’in segnamento di scuola: il futuro della cultura può essere garantito da una dedizione esclusiva, “religiosa”, in un luogo riparato dalle agitazioni – il monastero –, dove formare una biblioteca quale deposito per selezioni e valorizzazioni del sapere (sacro e profa no) in funzione dell’ascesi cristiana. Ma egli si limita a direttive, a una metodologia riorganizzativa del sapere. Nel vii secolo con le Etimologie di Isidoro di Siviglia appare invece un’organizzazione del sapere molto articolata che tiene insieme le arti liberali (gram matica, retorica, dialettica, matematiche), medicina, diritto, te ologia, storia, geografia, zoologia, cosmologia, arti edificatorie, agricoltura, strumenti di lavoro. Storicamente esse si offrono nel momento della fusione del popolo visigotico con quello romano, quando la lingua latina, considerata erede diretta dell’universa lità ebraica, diviene il mezzo più efficace per superare la babele linguistica. Per Isidoro l’etimologia («origine dei vocaboli» data dalla «forza» dell’interpretazione) è «ciò che rende l’esame di ogni realtà più facile»; la lingua latina fatta più forte e significa tiva (specie per azione dei barbari), in ogni campo dello scibile, dallo scavo spesso duro e accidentato dell’etimologia, diviene la chiave per intravedere l’«armonia inconoscibile della lingua di vina». Quest’opera di Isidoro ebbe una grandissima diffusione (ci sono rimasti più di mille manoscritti) e ultilizzazione in tutto il Medioevo, diventando la base e il modello per altri analoghi lavori di raccolta enciclopedica. Nell’alto Medioevo si danno due momenti enciclopedici rap presentati dal De natura rerum (La natura) di Beda (672-735) e dal De universo (L’universo) del “precettore della Germania” Rabano Mauro (780 ca.-856). La prima opera è un’enciclope dia incentrata sul mondo fisico, che, pur dipendendo da Isidoro, «riuscì ad alimentare in modo intelligente la sua scarsa eredità» (Grant). La seconda, come suggerisce il titolo, ambisce a rappre sentare la totalità dello scibile che, come in Isidoro, comprende il divino, il naturale e l’umano (coi suoi bisogni e soprattutto quello fondamentale di orientarsi in una realtà intesa come mistero di schiuso). Rabano rivela il suo intento: «Ho pensato di scrivere un opuscolo che non trattasse soltanto della natura delle cose e
Le enciclopedie
delle proprietà delle parole, ma anche del loro significato misti co» (Prefazione). Prima ancora che le scoperte dei nuovi saperi rivelati all’Oc cidente dal movimento delle traduzioni provocassero una spinta alla specializzazione delle conoscenze, si registra il Liber floridus di Lamberto di Saint-Omer composto tra il 1090 e il 1120 (più tardi tradotto in francese come Le Livre fleurissant en fleurs), che si presenta come un metaforico mazzo di fiori raccolti dal pra to del Paradiso «a cui possono volare fedeli api per suggervi la dolcezza paradisiaca», poetico modo per indicare un’antologia (ricavata da altri predecessori) di nozioni «di storia biblica, cro nologia, astronomia, geografia, teologia, filosofia e di conoscenze naturali». Con il xii secolo s’impone l’esigenza di dare sistema al sapere e ciò si rende particolarmente visibile nel Didascalicon di Ugo di San Vittore (1096-1141) che più che trasmettere no zioni cerca di coordinare il sapere profano (le arti o “filosofia”) e il sapere sacro (Bibbia) e di indicare, come una guida, le fonti dei vari saperi, ossia i libri ove trovare il meglio di ogni discipli na e il modo di studiarli. Nel quadro di un’“ottimistica” ricerca integrale di sapienza (filosofia) ripartita in quattro aree (teorica, pratica, meccanica e logica), lo schema delle sette arti liberali (trivio: grammatica, retorica, dialettica; quadrivio: aritmetica, mu sica, geometria, astronomia) si colloca in un più ampio sistema dove ricevono dignità anche le arti servili o meccaniche, intese come attività in cui l’uomo «trova con l’esercizio della ragione quei mezzi di cui gli altri viventi dispongono per dono di natu ra», «può rivelare meglio la sua grandezza», «tanto che ormai possiamo giustamente ammirare non solo la natura, ma anche l’uomo inventore e artefice». Più che enciclopedia, schema di una possibile raccolta enciclopedica, è egualmente La divisione della filosofia di Gundisalvi. Alla fine del secolo troviamo il De naturis rerum di Alessandro Nequam dove si esalta Aristotele, anche se le novità sono ancora piuttosto la medicina salernitana, le Questioni Naturali di Adelardo di Bath e le nuove curiosità provenienti dal mondo arabo (è il primo in Occidente a parlare della bussola). La cultura enciclopedica del De naturis, impegna ta a interpretare i fenomeni naturali, ha tuttavia finalità religiose e morali: riceve la sua struttura dai sei giorni della creazione e funge da prefazione a un commento dell’Ecclesiaste (il cui tema è la morale religiosa). Tra la fine del xii secolo e i primi decenni del xiii, circolano in latino parti considerevoli delle opere aristotelico-enciclopediche degli Arabi (al-Kindi, al-Farabi, Avicenna) e con il progressivo fluire di questo sapere si assiste a un incremento quantitativo e a uno studio specializzato nei vari ambiti delle conoscenze scienti fiche. Da un lato, questo sapere provocò, nei professori di scuola,
approfondimenti monodisciplinari; dall’altro, la massa di tutto questo nuovo sapere reclamava delle sintesi che lo rendessero dominabile con tavole, schemi, indici alfabetici per la consulta zione e con interventi riflessivi del compilatore (allegorie morali, trasfigurazioni in exempla, ecc.), in continuità con la secolare tra dizione monastica di un sapere non fine a se stesso, ma funziona le a un perfezionamento ascetico. Nella società urbana del secolo xiii, in presenza di nuovi fruitori di cultura tra le classi emergen ti, l’enciclopedismo così rinnovato nei contenuti giunge al suo apogeo con le opere di Tommaso di Cantimpré (Liber de natura rerum, 1230-1245), Bartolomeo l’Inglese (De proprietatibus rerum), e soprattutto Vincenzo di Beauvais (Speculum maius). Il vivo interesse per antropologia, zoologia, botanica, mine ralogia, astronomia, astrologia e meteorologia che Tommaso di Cantimpré (1201-1272) rivela nel suo Liber, si perde a confronto del nuovo programma lanciato da Alberto Magno – suo confra tello, già suo maestro di teologia a Colonia – di «rendere intelligi bile Aristotele ai latini» (particolarmente l’Aristotele “naturale”) con estese opere di parafrasi e commento. Tuttavia Alberto nel suo scritto Sugli animali si rifarà a Tommaso, così come Bartolo meo l’Inglese (Bartholomaeus Anglicus) e Vincenzo di Beauvais. Alla fine del secolo, il Der Naturen Bloeme di Giacomo di Maer lant è quasi l’esatta traduzione in antico fiammingo dell’opera di Tommaso. L’enciclopedia del francescano Bartolomeo l’Inglese (composta a Magdeburgo probabilmente tra il 1242 e il 1247), pur non nascendo dalla scuola, è molto vicina allo spirito ordina to della scolastica, e mira dichiaratamente ad accomunare gli ele menti di conoscenza naturale «sparsi negli scritti dei santi e dei filosofi» come propedeutica alla teologia. Scritta per l’istruzione dei frati non avviati agli studi universitari ma che necessitano di una cultura aggiornata e adeguata al dialogo evangelizzatore con i nuovi ceti borghesi, questo tipo di enciclopedia diventa uno strumento di formazione e d’informazione per la predicazione e di riflesso per le masse laiche destinatarie del suo messaggio. Abbiamo per esempio una versione “moralizzata” (cioè ricca di applicazioni etiche) dell’enciclopedia di Bartolomeo nel Tracta tus septiformis de moralitatibus rerum di Marco di Orvieto (ofm) composta tra il 1281 e il 1291. La tendenza all’enciclopedia mo ralizzata è espressa da Giovanni di San Giminiano (op, 1320 ca.), da Berengario di Landora (gen. op, 1312-1317) e Giacomo di Losanna (op, 1270-1322), dall’anonimo del Multifarium (1326 ca.), da Pietro Berchorius con il suo Reductorium morale (1340 ca.), dai cisterciensi Enrico di Schüttenhofen (seconda metà del xiii secolo) e Ulrico di Lilienfeld († 1358). Lo Speculum maius (il più grande specchio del mondo), la più gigantesca enciclopedia medievale realizzata negli anni 1230-60
sotto la direzione del domenicano Vincenzo di Beauvais (11901264) per impulso della dirigenza dell’ordine, articolata in tre «specchi»: «naturale», «dottrinale», «storico» (cui si aggiunge un apocrifo e tardivo «specchio morale»), intende raccogliere “il meglio di tutti i libri” per l’istruzione dei frati predicatori impar tita negli studia annessi a tutti i conventi. Lo «specchio naturale», storia naturale esposta secondo l’ordine dei sei giorni della cre azione, fu aggiornata dopo una prima stesura (ne restano due versioni diverse) in conseguenza dell’apporto esegetico dato dall’incontro di Alberto Magno con i libri naturali di Aristotele. Il secondo “specchio” racchiude l’organizzazione dei contenu ti scientifici (dal trivio, alla morale, all’economia, alla politica, al diritto, alle arti meccaniche, alla medicina, pratica e teorica, alla fisica, alle matematiche o quadrivio e infine alla teologia) e si ispira sia a Ugo di San Vittore sia ad al-Farabi. Il terzo “spec chio” è la storia dell’uomo in cammino verso la salvezza, d’im pronta agostiniana. In passato si era ritenuto che l’opera fosse stata commissionata dal re Luigi ix, in realtà fa parte del pro gramma domenicano di dotare ogni studium di validi strumenti di formazione (si affiancava quindi ad altre iniziative della ratio studiorum programmata dai Domenicani, come la correzione e concordanza sul testo biblico, la composizione di trattati su vizi e virtù, agiografie, somme penitenziali e giuridiche, commenti delle Sentenze del Lombardo). Ruggero Bacone (1210 ca.-1292 ca.), in polemica con la “scolastica” parigina e le “specializzazioni” scientifiche quali ad esempio gli approfondimenti in forma di parafrasi di Alberto Magno, ritenuti dispersivi, cerca una formulazione dell’organi cità dei saperi, lanciando quello che voleva essere e rimarrà solo un progetto: un’enciclopedia anticonformista (che egli conside rava come antidoto ai mali della Chiesa dell’epoca) intesa non come totalità di un sapere dato, ma come strumento per il raf forzamento dei superiori valori morali racchiusi nell’inesauri bile e assoluta verità della Scrittura. Teologia, filosofia e diritto sono intesi, nella storia del mondo intero (cristiano, precristiano, extracristiano), come sforzi convergenti (anche se non sempre consapevoli) di analizzare questa verità. Pertanto questo scibile deve essere riappropriato attraverso una nuova “cognizione delle lingue” (anzitutto dell’ebraico, del greco e dell’arabo) grazie alla quale rimane ancora tanto da scoprire, e ristrutturato secondo l’oggettività della ragione (che, nella sua radicalità “matemati ca”, assurge a «scienza prima», ontologia pitagorica del mondo) e spinto verso nuovi orizzonti di utilizzazione dal potere di ri produrre sperimentalmente i fenomeni naturali e di escogitare, sempre su base sperimentale, nuove combinazioni o invenzioni di forme («scienza sperimentale»).
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46. Le
tecniche e i saperi
Per lungo tempo si è ritenuto che solo con la tarda età mo derna e, ancor più con la rivoluzione industriale, fosse stato possibile avviare un progresso costante e continuo nelle tecni che. Tuttavia già Marc Bloch nel 1935 rileva come l’uomo del Medioevo fosse «per eccellenza un homo faber, non soltanto
Miniatura della Relatio de innovatione ecclesie sancti Geminiani. Modena, Archivio capitolare, cod. ii, 11, fol. 1v. Nella prima miniatura, sulla destra di Lanfranco, l’architetto, vediamo quattro operarii: due scavano le fondamenta con le pale dalla punta metallica, altri due portano via la terra caricandola su gerle. Nella seconda tre uomini con martelline innalzano le pareti: una didascalia li nomina come artifices; dietro, due operarii recano sulle spalle grandi canestri contenenti mattoni.
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Nel medesimo codice la miniatura in alto mostra la contessa Matilde che incontra le autorità ecclesiastiche modenesi. La seconda rappresenta la solenne ricognizione alle reliquie di san Geminiano eseguita materialmente da Matilde, Lanfranco e dal vescovo di Reggio davanti a tutta la popolazione nel 1106.
perché seppe creare, ma anche perché […] egli seppe imitare o adattare e dalla fusione di questi apporti riuscì a costruire una civiltà della tecnica» [M. Bloch, Le “invenzioni” medievali, in Idem, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma-Bari 1972, p. 210]. Successivi contributi e ricerche compiuti sulle tecniche in agri coltura, nell’industria, nei traffici mercantili e, soprattutto, nello sfruttamento dell’energia hanno contribuito ad appro fondire le conoscenze in materia. Grazie ad essi il Medioevo non poteva più essere rappresentato come un periodo debole, privo di innovative capacità tecniche, ma piuttosto, per usare le parole di White, come «il periodo durante il quale l’Europa acquisì le conoscenze e le capacità tecniche che dopo il 1500 le consentirono di impadronirsi del resto del mondo» [L. White, Lo sviluppo tecnologico (500-1500), in Storia economica d’Europa, i, Torino 1979, pp. 117-118], tanto che è proprio nel corso dell’arco di tempo compreso sostanzialmente tra l’viii ed il xvi secolo che si produsse quella che Lilley ha definito «una se conda rivoluzione tecnologica» (dopo la prima verificatasi nel
Neolitico) ed essa «è durata ininterrottamente dal Medioevo ai giorni nostri». Per poi aggiungere: «durante le prime fasi della rivoluzione industriale – grosso modo fino al 1800 – le tecni che adottate erano ancora in gran parte di origine medievale […]; al contrario, non è possibile considerare la tecnologia
Ricostruzione del meccanismo di trasmissione del movimento in un mulino idraulico, con acqua cadente. Schizzi di Villard de Honnecourt, 1220-1250, che raffigurano una sega ad azionamento idraulico e macchinari per costruzioni edili. Rocca San Silvestro, Maremma pisana: sorse intorno al Mille come castello fabbrica. Era un villaggio fortificato voluto dai signori Della Gherardesca, dove funzionavano impianti di trasformazione del rame e del piombo argentifero, come quelli qui raffigurati, in una ricostruzione basata sugli scavi archeologici. Gli uomini che vi vivevano e lavoravano erano sotto il costante controllo del signore che stava nella sua rocca al centro del castello.
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Capitolo quarantaseiesimo
Le tecniche e i saperi
XIII
secolo
XII
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IX-X
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Diffusione del mulino ad acqua
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XII-XIII
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XII
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secolo
zione. Di grande impatto e dalle notevoli conseguenze anche per i secoli a venire sono le innovazioni introdotte anche nella pratica mercantile. Si tratta delle innovazioni nelle tecniche dei trasporti e dei mezzi di trasporto, sia di quelli via terra (con lo sfruttamento dell’energia del cavallo e del mulo – signifi cativa a partire dall’xi secolo in poi – e il conseguente uso di carri a due e quattro ruote), sia di quelli connessi con la na vigazione (come, ad esempio, l’adozione del timone unico di poppa in luogo dei due laterali; l’affermazione della bussola; la diffusione delle carte nautiche; l’introduzione di nuovi tipi di imbarcazione come la cocca baltica). Ma si tratta anche delle innovazioni nelle pratiche d’affari connesse con una sempre maggiore circolazione monetaria e un accresciuto uso della moneta; con uno sviluppo di rigorose forme contabili (come la partita doppia); con la diffusione di nuove strutture associati ve più consone a un ampliamento degli orizzonti geografici di traffici mercantili sempre più internazionali; con l’adozione di nuovi strumenti come l’assicurazione e l’assegno bancario, ecc.
Una cartina che indica tempi e presenze di mulini in Europa. La carta illustra la diffusione dei torchi da stampa dopo l’invenzione da parte di Gutenberg.
t i c o
Il torchio di Gutenberg a Magonza.
IX-X
t l a n
248
O
A
Una zecca tardomedievale con una fornace e un mantice per la fusione e il conio delle monete (1484, Berna).
dell’ambiente in modo da renderla utilizzabile dall’uomo. Il mulino, poi, è un impianto non specifico: può essere utilizzato non solo nella macinazione dei cereali, ma pure per molti altri scopi, purché in presenza di alcune modifiche, talvolta di rilie vo, talaltra marginali. È il caso, ad esempio, dell’introduzione e dell’applicazione di un congegno particolare sino al x secolo mai usato su larga scala: la camma. È proprio la camma, infatti, a permettere di risolvere un problema complesso sotto il profi lo della tecnologia: la trasformazione del moto rotatorio (carat teristico del mulino da grano) in moto alternato, rendendo in tal modo l’impianto idraulico utilizzabile per usi diversi dalla macinazione e applicabili a una miriade di attività di trasfor mazione (dalla follatura dei panni di lana, alla produzione della carta; dalla lavorazione dei metalli, alla fusione dei minerali; dalla segatura del legname, alla molitura del vetro; dalla torci tura della seta, alla battitura dei pellami e così via). Le innovazioni medievali non riguardano, in ogni caso, solo aspetti tecnici connessi con le attività agricole o di trasforma
A
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medievale come una fase di perfezionamento di conoscenze già sviluppate nell’epoca classica» [S. Lilley, Rivoluzione industriale progresso tecnico (1700-1914), in Storia economica d’Europa, iii, Torino 1979, pp. 172-173]. Di gran rilievo sono, in particolare, le tecniche adottate per lo sfruttamento dell’e nergia, o meglio, per l’uso di fonti di energia inanimata, quali quelle dell’acqua o dell’aria. Il mulino idraulico, ad esempio, era già conosciuto fin dal i secolo a.C., ma le attestazioni che lo concernono sono piuttosto sporadiche e scarse, per aumen tare solo con l’viii secolo ed intensificarsi ulteriormente con il secolo successivo. Esso ha la particolare caratteristica di es sere un convertitore artificiale di energia: trasforma l’energia
o an e c
secolo
Leida
Rouen Parigi
Anversa Colonia Etvil Magonza
Lipsia
Bamberg Haguenau Strasburgo Norimberga Orléans Ingolstadt Digione Basilea Augusta Beromünster Lione Grenoble Venezia
Avignone Lisbona
Foligno
Toledo Roma
Valencia Siviglia Mar Me diter r
Centri di stampa prima del 1471 Centri di stampa sul finire del XV secolo
aneo
Subiaco
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47. Ricchezze, povertà
250
e beni comuni
Nella cultura medievale ricchezza e povertà sono pensate in modo dialettico tanto che, al modificarsi di uno dei due con cetti, segue inevitabilmente la revisione dell’altro. Nell’alto Medioevo l’idea di ricchezza è legata a quella di esercizio del potere poiché dal possesso della terra – unica forma di investimento conosciuta – derivava anche tutta una serie di diritti feudali. Di conseguenza, la povertà non è tanto conce pita come indigenza ma soprattutto come assenza di diritti, subalternità nei confronti di chi ha il potere. Un primo cam biamento si ha con il monachesimo in cui maturano alcu ni spunti presenti nei Vangeli e negli scritti dei Padri della Chiesa. Con la riforma gregoriana dei secoli x-xi, la variegata esperienza monastica si formalizza sul piano economico in un vero e proprio modello, articolato su tre punti-chiave: 1) i monaci, ispirandosi allo stile di vita di Cristo, abbracciano la povertà individuale e vedono nella rinuncia al possesso il mezzo attraverso cui accrescere la propria ricchezza spiri tuale (abrenuntiatio); 2) si ammette la proprietà in comune
Effetti del buon governo in città. Affresco di Ambrogio Lorenzetti, (xiv secolo), Palazzo Pubblico, Siena.
dei beni e si auspica una gestione produttiva del patrimonio monastico (dispensatio); 3) i beni comuni, quando eccedono le necessità dei monaci, devono essere redistribuiti ai pove ri (largitio). Nel xii secolo, questo modello è adottato dalla Chiesa nel suo complesso, la quale sancisce anche la dottrina dell’inalienabilità del proprio patrimonio. Non solo si vieta il commercio dei beni ecclesiastici, ma si mira al suo accre scimento attraverso una gestione che deve essere efficiente e orientata alla pubblica utilità. Avarizia e simonia, ossia te saurizzazione sterile e commercio dei possessi della Chiesa a fini personali, divengono le principali infrazioni a questo modello che, progressivamente, è codificato nel diritto ec clesiastico. Dall’xi secolo, l’economia europea inizia a essere investita dalla cosiddetta “rivoluzione commerciale” e da nuove for me di ricchezza, come le merci e il denaro, che si affiancano alla terra, segnando così l’ascesa sociale della borghesia ur bana. Tuttavia, per lungo tempo i laici non si preoccupano di
tradurre in termini teorici questi cambiamenti, privilegiando una cultura pratica fatta di manuali sulle tecniche commer ciali e di innovativi strumenti contabili e finanziari. È invece la teologia scolastica – che si sviluppa attorno ai grandi centri universitari – ad avviare, nel corso del Due cento, un’ampia riflessione sull’economia con una serie di scritti sul commercio, il credito e il denaro. Non è un caso che la maggioranza di questi teologi faccia parte di quegli ordini mendicanti che – come i Domenicani e i Francesca ni – stavano riproponendo con successo l’ideale monastico della vita povera. Alcuni fondamentali principi economici derivano infatti dal concetto di povertà volontaria, definita come rinuncia a esercitare il diritto alla proprietà considera to attinente a ogni essere umano (abrenuntiatio iuris). Men tre i Domenicani accettano il possesso in comune dei beni, i Francescani lo rifiutano ammettendone il solo uso di fatto (usus facti). Ai seguaci di san Francesco non è consentita nemmeno la proprietà dei generi di prima necessità: cibo,
vestiario e alloggio non vanno posseduti, ma semplicemente utilizzati. Tra i più rigoristi si diffonde poi l’uso povero, in base al quale ogni frate – per non rischiare di infrangere il voto di mendicità – deve imparare a stimare il valore sog gettivo che ogni bene può avere. Si rafforza così l’idea che il modo corretto di rapportarsi alle ricchezze materiali non sia quello di possederle, bensì quello di saperle usare. Nelle opere dedicate all’economia dei laici, il modello pensato per monaci, chierici e frati mendicanti si combina con alcune nozioni del diritto romano e della filosofia gre ca. Ne nasce una complessa concezione dell’economia che considera la ricchezza materiale in funzione della sua utilità pubblica (bonum commune). Il profitto è visto in termini po sitivi quando è capace di stimolare una circolazione di merci e denaro di cui si giova la collettività, mentre è condannato quando è teso all’arricchimento personale e all’accumula zione sterile. È da questa prospettiva che bisogna partire per comprendere l’atteggiamento della Chiesa medievale in
Pietro distribuisce l’elemosina, affresco della Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze, realizzato tra il 1425 e il 1427 da Masaccio.
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Capitolo quarantasettesimo
materia di usura. Da un lato, i teologi condannano il pre stito a interesse perché, influenzati dalle idee di Aristotele, ritengono che il denaro sia solo un mezzo per misurare il va lore dei beni, un oggetto incapace di generare altro denaro. Dall’altro, la scolastica elabora anche una serie di deroghe in virtù delle quali molte attività di credito risultano compa tibili con la morale cristiana. Si sviluppa l’idea che il denaro inserito in processi economici produttivi acquisti un valore aggiunto trasformandosi da oggetto inanimato in capitale potenzialmente fruttifero. L’usuraio e il mercante-banchiere
Colantonio, particolare di una delle tavolette della predella del polittico di San Vincenzo Ferrer (xv secolo). Proveniente dalla chiesa di San Pietro Martire a Napoli, l’opera è conservata nella Galleria nazionale di Capodimonte.
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Ricchezze, povertà e beni comuni
rappresentano in modo esemplare questa doppia visione. Il primo, dato che accumula sostanze invece di investirle, non può guadagnare da un denaro che nelle sue mani resta ste rile; l’usuraio si comporta come un simoniaco perché vende una ricchezza che non è di sua proprietà. Il secondo, quasi fosse un frate mendicante, antepone il buon uso dei beni al desiderio di possederli poiché investe i suoi profitti in attivi tà produttive; per il mercante-banchiere il credito è solo uno tra i tanti affari che conduce riuscendo a coniugare ricchezza privata e utilità collettiva. Nel Quattrocento, quando finalmente la cultura “laica” inizia a riflettere sull’economia, finisce per adottare l’idea precedentemente sviluppata di una ricchezza orientata all’investimento e al bene comune. In questo stesso seco lo si assiste anche al superamento del concetto di povertà ereditato dall’alto Medioevo. Il diffondersi di molte istitu
zioni pensate per assistere i poveri – ospedali, orfanotrofi, monti di pietà – spinge a tracciare delle distinzioni proprio a partire dal principio della pubblica utilità. Si scopre così che i poveri non sono tutti uguali: alcuni, se aiutati econo micamente, possono essere reinseriti nel tessuto produttivo della società, mentre altri sono irrimediabilmente perduti e va loro garantito il solo diritto alla sopravvivenza fisica. So
prattutto però la povertà materiale finisce di rappresentare un modello di vita a cui rifarsi, per divenire una condizione sociale ambigua.
Il duomo di Siena visto dall’alto. Per il sorgere di uno dei primi monti di pietà e per la predicazione di san Bernardino da Siena, la città può essere simbolica delle forme di solidarietà sociale sorte nel Medioevo.
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48. Teologia
e filosofia nei secoli xiii-xiv
Già nel xii secolo, mentre si comincia ad avvertire la gravità delle provocazioni lanciate, sul piano metodologico e sul pia no dei contenuti, dall’“aristotelismo” progressivamente intro dotto in Occidente dal movimento delle traduzioni, mentre la teologia dei monasteri ricerca ed elabora un’intelligenza della Parola che riceve tutta la sua forza dall’esperienza di vita mistica, la teologia delle scuole lascia orientare il proprio bi sogno di intelligenza della fede dai due modelli di razionalità allora disponibili: il modello della dialettica (la disputationis disciplina), che tende a ristabilire le verità col superamento della contraddizione, e il modello della scienza matematica o apodittico che tende a sopprimere i margini dell’opinabilità
Eloisa e Abelardo in una miniatura.
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San Tommaso d’Aquino, nel Trittico di San Pietro martire, Firenze, Museo di San Marco.
e a ridurre ogni potenziale di dissenso. Due vie che conce piscono l’intelligenza della fede come un complesso scienti fico, insieme di verità stabilizzate nella mente ad opera della ragione. La dialettica, per usare un’immagine di Chenu, agì da lievito per «l’impasto denso ed insieme delicato del testo biblico e del suo apparato di “sentenze” patristiche». Essa assunse consistenza e coscienza in teologia con Abelardo: il Sic et Non, con la sua famosa prefazione, si può considerare il manifesto della vocazione disputativa della teologia nel xii secolo. La teologia elaborata nelle università del xiii secolo, sia sul versante strettamente esegetico (commento dei libri biblici) sia su quello più accentuatamente dialettico (dispute, summae), è una teologia che ricerca costantemente l’illumi nazione dell’autorità (divina o umana, patristica o filosofica) attraverso l’argomentare razionale. L’altro modello (apodittico), già applicato alla teologia da Boezio (secolo vi), veniva rilanciato nella seconda metà del secolo xii anche dalla circolazione di altri esempi di organiz zazione del sapere: gli Elementi di Euclide, il Liber de causis e la Elementatio physica di Proclo. Si muovono in questa linea l’Arte della fede cattolica di Nicola di Amiens e le Regole del diritto celeste di Alano di Lilla. Ma soprattutto Gilberto Por retano aveva affermato con vigore «il principio del trasferi mento alla teologia dei procedimenti costruttivi (regulae, axiomata, principia) abituali in ogni disciplina razionale» (Chenu). Verso il 1200 non c’era una comune concezione della scienza sacra. Due sono le tendenze: una si richiamava a Pier Lombardo († 1160) non solo per il metodo ma anche per i contenuti che, limitando lo spazio ad autorità e questioni filosofiche, si muoveva su un terreno teologicamente più si curo e rassicurante di un fondamentale agostinismo; l’altra a Gilberto Porretano († 1154), erede dello spirito di Chartres, che aveva sviluppato una costruzione speculativa profonda mente unitaria basata su principi metafisici che egli fa valere e spinge alle loro conseguenze tanto sul terreno della filosofia quanto su quello della scienza sacra. Quando l’aristotelismo fatto conoscere dalle traduzioni si diffonde, trova più facile accoglienza in quei teologi che si muovevano nella linea di Gilberto. Nei primi decenni del xiii secolo, vediamo crescere il ri corso in seno alla scienza sacra alle nuove dottrine filosofiche, ad esempio, in Guglielmo di Auxerre, Filippo il Cancelliere e soprattutto Guglielmo di Auvergne. Inoltre la pratica uni versitaria del commento alle Sentenze del Lombardo (che a cominciare da Alessandro di Hales negli anni ’20 si affianca al commento biblico) diventa sempre più occasione e luogo per
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Le Sentenze di Pietro Lombardo, inizio del secondo libro, con la raffigurazione dell’autore. Ms 36, fol. 44v. In origine presso la biblioteca del Collegio dei Gesuiti, Luigi il Grande, di Parigi. Oggi presso la Biblioteca della Sorbona. La Sapienza personificata, nella Bibbia latina, Digione.
Capitolo quarantottesimo
la discussione dei problemi (quaestiones) teologici in cui ci si avvale di ricorsi alle, o di confronti con, le argomentazioni filosofiche nuove. I teologi della prima metà del xiii secolo, formati alla Fa coltà delle arti dalla logica aristotelica (vetus e nova), sicu ramente (nonostante i ripetuti divieti dei suoi libri naturales nelle scuole tra 1210 e 1250 ca.) leggevano privatamente le opere tradotte dello Stagirita e dei suoi complementi arabi
Colonia, città della Renania dove ha insegnato il maestro di san Tommaso, sant’Alberto Magno, e dove ha insegnato lo stesso Aquinate. Questa raffigurazione di Hans Memling (1489) che illustra lo sbarco di sant’Orsola e delle compagne nel porto fluviale, può aiutare a conoscere la città tedesca dove hanno operato i due grandi teologi. Dal reliquiario di Sant’Orsola, Bruges, Groeninge Museum.
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Lungosenna del Louvre a Parigi nel xix secolo, nei pressi del Quartiere Latino dove sorgeva la città universitaria nel Medioevo. Monet, 1867, Gement Museum, L’Aia.
Teologia e filosofia nei secoli xiii-xiv
ed ebraici mostrando un eclettismo che tendeva a far spazio a elementi di aristotelismo rielaborati personalmente e discussi con discernimento critico, dentro l’impianto filosofico-teolo gico agostiniano che era stato dominante per tutto il xii seco lo: «L’idea d’un conflitto tra una “filosofia agostiniana” e una “filosofia aristotelica” – sottolinea Van Steenberghen – è as solutamente estranea a questi teologi». L’aristotelismo inoltre si offriva temperato dal neoplatonismo dei peripatetici arabi (soprattutto Avicenna e gli pseudoaristotelici Libro delle cause e Teologia di Aristotele), che ne avevano dato una lettura “spi ritualistica” componibile con il neoplatonismo di Agostino. Intorno alla metà del secolo xiii, Bonaventura e Alberto Magno, in modi diversi, interpretano l’esigenza dei loro tem pi, ormai pregni di aristotelismo, di assimilare alla sapienza cristiana l’enorme e accattivante patrimonio della scienza fi losofica greca (e della sua rielaborazione arabo-ebraica). Bo naventura propone una riduzione delle arti alla teologia, cioè il disporsi organico delle scienze verso la conoscenza salutare
della Rivelazione divina espressa dalla Bibbia: «Ogni scienza diviene fonte di progresso nella fede e nell’unione a Dio attra verso l’amore, meta suprema della teologia» (Van Steenber ghen). Per il teologo francescano il sapere razionale o filosofia («conoscenza certa della verità che è disponibile all’indagi ne»), metodologicamente distinto dalla teologia («conoscenza santa della verità proposta alla fede»), ha, pur coi suoi limiti, un valore positivo d’illuminazione la cui destinazione più alta è però quella di subordinarsi alla scienza sacra. Questa poi è concepita come conoscenza pratica, in funzione del cresce re della santità. Entro questo quadro, Bonaventura non si limita ad adottare una filosofia già data, ma ne “costruisce” criticamente una in modo originale, difficile da qualificare univocamente. Si tratterebbe, per Van Steenberghen, di un
Fossanova (Lazio meridionale), l’abbazia: navata centrale e chiostro, dove spirò san Tommaso d’Aquino (1274).
aristotelismo eclettico neoplatonizzante come quello di alcuni teologi suoi predecessori della prima metà del secolo, ma al quanto più evoluto e assunto con più maturo discernimento e senso critico, e soprattutto composto in sintesi sapienziale con una teologia e una concezione della vita spirituale dominate dall’influsso agostiniano. Alberto Magno nel suo diverso progetto concede di più alla filosofia che, prima di essere rifiutata o ecletticamente strumentata alle esigenze della teologia, e per meglio servi re alla teologia stessa, richiede di essere approfonditamente compresa per quello che è. Non si tratta di epurare i testi o di raccoglierne, pur mediante una critica, ciò che è utile, ma anzitutto di leggerli: egli vuole «rendere comprensibili ai La tini» i temi e le parti della filosofia aristotelica perché leggen done e interpretandone i testi ci si renda conto criticamente e senza preconcetti del loro intrinseco valore. Il contatto coi testi aristotelici e lo sforzo di ridirne con parafrasi il senso è un esercizio che globalmente produce un ampio chiarimen
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Capitolo quarantottesimo
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to metodologico che gli consente poi di precisare la natura e i metodi propri di teologia, filosofia e scienze particolari, e di porsi come punto di riferimento di quasi tutte le correnti dottrinali del suo secolo (tomismo, neoplatonismo, mistica te desca, movimento scientifico). Tommaso d’Aquino, discepolo di Alberto, con grande acutezza e generosità si rese conto fino in fondo che, se la scienza sacra si origina nella rivelazione, nondimeno essa ha una solidarietà con ogni altro sapere dell’uomo ed ha quindi uno strutturale bisogno di evidenza: è desiderio di verità. Ve dere la verità di Dio è l’unico fine in cui convergono scienza sacra e filosofia. In questo senso, a differenza di Bonaventura, per lui la teologia non è conoscenza pratica ma speculativa come la “filosofia prima” di Aristotele. La metafisica, anzi ché costituire un “sistema” (di origine pagana) alternativo (o potenzialmente alternativo) al “sistema” della conoscenza attraverso la fede, se rettamente costruita nell’evidenza non può che integrarsi nella scienza sacra e contribuire alla sua solidità epistemologica. Quindi, il valore della sapienza teo logica (opera dell’uomo) dipende anche dall’elaborazione di una buona filosofia. L’aristotelismo, nel suo realismo di fon do, cioè nel suo rispetto della realtà, è per Tommaso un com plesso di verità che conferisce nuova limpidità alle certezze che danno senso all’esperienza umana e l’aprono al senso più compiuto proveniente dalla rivelazione. L’apertura alla filoso fia, già di Alberto, è intesa da Tommaso come imprescindibile infrastruttura, come ingrediente della teologia, che è scienza della fede subalternata alla scienza (rivelata) di Dio. La teolo gia è così scienza (secondo il modello aristotelico) che mutua i suoi principi primi dalle verità rivelate da Dio (scienza di Dio), ma impiega i rigorosi procedimenti della ragione e le verità filosofiche – per esplicitare tutta la verità accessibile e salutare per l’uomo – che quei principi contengono. In que sto senso la teologia è scienza della fede (ove “della fede” è tanto genitivo soggettivo che oggettivo) e la filosofia, nel suo rapporto con essa, si configura come il livello di quelle verità che, trovate dall’autonoma ricerca della ragione, “precedono” e danno consenso (infrastruttura) razionale all’adesione per fede alla rivelazione. Tanto Bonaventura quanto Alberto e Tommaso devono però misurare le rispettive valutazioni sull’aristotelismo con un movimento dottrinale di radicalismo filosofico chiamato forse impropriamente «averroismo latino» che trova visibilità a partire dagli anni 1265-1270 e che ha per protagonisti alcuni maestri della Facoltà delle Arti: Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia. La riscoperta di Aristotele nella sua ampiezza e in
Teologia e filosofia nei secoli xiii-xiv
tegralità e il suo definitivo diritto di cittadinanza nell’insegna mento universitario modificarono il ruolo dei maestri delle arti: apparivano ormai come ricercatori in un ambito che po teva considerarsi istituzionalmente non subalterno ai teologi. «Essere filosofi – dice Sigieri – non consiste tanto nel cercare la verità quanto piuttosto che cosa intendono dire i filosofi». Un atteggiamento che era già di Alberto: «Nulla ho detto se condo il mio pensiero, riferii solo le tesi dei Peripatetici, se qualcuno vuole le dimostrazioni, esamini attentamente i loro libri e non lodi o rimproveri me ma loro», mentre a Tommaso premeva in ogni caso l’unica verità: come teologo si impone di «scrutare più profondamente ciò che intende dire Agostino e come sta la verità in proposito»; ma anche «lo studio della filosofia» non è per lui solo «finalizzato a sapere che cosa ne pensano gli uomini, ma come sta la verità». L’autonomia della filosofia dei maestri delle Arti, sganciata dalla verità, finiva per giustificare o solidarizzare con altre “autonomie” e favo rire nella società cristiana una corrente eterodossa con risvolti devastanti sul piano dei costumi. Intorno al 1270 grandi mae stri come Bonaventura, Alberto e Tommaso reagirono contro questo aristotelismo radicale sul piano del dibattito filosofico. Infine l’autorità ecclesiastica intervenne condannando una se rie di tesi che si andavano affermando in ambito universitario, specialmente presso i maestri delle arti: prima nel 1270, poi, in modo energico, nel 1277 il vescovo di Parigi Tempier stig matizza 219 proposizioni che, secondo vari accenti, si offriva no come espressione del “necessitarismo” tipico del pensiero greco antico e alternative alla concezione “creazionistica” biblico-cristiana. Fu questo un evento che determinò una se rie di conseguenze. Il gruppo di aristotelici radicali si dissolse. Ma certe tesi condannate (16) si potevano riscontrare anche nelle opere di Tommaso d’Aquino, che era considerato un teologo molto indulgente verso l’aristotelismo; e un’altra con seguenza fu di provocare un fronte anti-tomista, soprattutto tra i Francescani: Guglielmo de la Mare compose un Correttorio a frate Tommaso in cui criticava l’Aquinate e propone va delle soluzioni più “agostiniane” o “bonaventuriane”. Ai Francescani fu vietato di leggere la Summa di Tommaso (che comunque era stimato un grande maestro) senza questo Correttorio. I Domenicani difesero il loro confratello scrivendo opere titolate Correttorio del corruttorio di Tommaso. Contro i pericoli dell’aristotelismo radicale si instaurò una corren te, soprattutto tra i maestri francescani, che è stata chiamata “neoagostinismo”. Essa tenta di risolvere armonicamente un conflitto tra la filosofia di Aristotele e la teologia di Agostino. Questa teologia agostiniana, per Bonaventura e i suoi conti
nuatori, non è una teologia speculativa, ma pratica, concepita cioè come una sapienza vertice di un’esperienza: «Un sapere privo di gusto – dice Bonaventura – non vale nulla». Contro l’intellettualismo dei maestri delle arti si valorizza un sapere in funzione della vita. Questi teologi che vogliono essere degli “spirituali” seguono i moniti di Bonaventura: «Non annac quare il vino della sacra Scrittura con l’acqua della filosofia». San Tommaso, non avendo lo stesso timore e con la stessa me tafora, aveva invece affermato che, come nelle nozze di Cana, l’acqua della filosofia poteva trasformarsi nel vino della teolo gia. Il francescano Ruggero Marston «rimprovera a Tommaso di essere uno dei più detestabili teologi filosofanti (theologi philosophantes) che pensano di elaborare una teologia vera fondandosi su una filosofia falsa» (Putallaz). Sicuramente le condanne contribuirono a radicare l’idea che la filosofia fosse qualcosa da accettare con molto discernimento, da sfogliare (De perlegendis philosophorum libris), non solo senza crederci fino in fondo, ma nella consapevolezza della sua strutturale idolatria o mondanità (così Olivi). I teologi neoagostiniani non sono animati da una preoccupazione di «integrazione» (come Tommaso), quanto piuttosto da una preoccupazione di equilibrio nella sintesi, nonostante, ad esempio, la difesa della ragione naturale in Matteo d’Acquasparta («più qualcu no progredisce nell’intelligenza, più progredisce nella fede») o gli sforzi di Riccardo di Middleton e Guglielmo di Ware (rispettivamente dottore solido e dottore fondato), che cercano «una sintesi prudentemente nuova» tra Bonaventura, Aristo tele e anche Tommaso. Il tono prevalente è quello di una te ologia che si sente sapere pratico, sempre meno invischiabile con la scienza filosofica. Una radicale separatezza dell’ordine naturale (filosofico) e dell’ordine soprannaturale (teologico) è il lascito del dibattito che era seguito alle condanne del 1277, sanzionate da scomunica. In Duns Scoto (1265-1308), all’inizio del xiv secolo, si avverte, in un’esasperazione dialettica, tutta la distanza del la concezione della realtà biblico-cristiana, la cui dinamica sta nell’assoluta libertà dell’azione divina e nella risposta di fede dell’uomo, da quella di origine filosofica e greca data da un complesso sistema di universalità e necessità scientifica. Scoto ne cerca il punto di articolazione. Nell’itinerario della nostra vita non possiamo aspirare a una teologia in sé, una comprensione adeguata di Dio e di tutta la realtà. La fede, che è l’inizio della nostra teologia e si trova nella convergenza di due libertà, la divina e l’umana, per dar corso a una compren sione discorsiva su Dio deve fare affidamento su una naturale intelligenza del reale che non rischi la dispersione (e la con
taminazione con i “dogmi” dell’“aristotelismo”), e questa è la metafisica intesa come scienza dell’ente in quanto ente, cioè dell’essere comune alla creatura e al Creatore. Questa scienza è l’unica infrastruttura umana (filosofia al massimo rigorosa e al massimo ristretta) che serva a rielaborare i dati della fede in una scienza teologica. Anche per Ockham (1288-1347), come per Scoto, il pro blema è «la possibilità di ragionare scientificamente riguardo a Dio e di conciliare l’aristotelismo con l’onnipotenza divi na» (Guelluy). La sua soluzione è molto radicale: tra scienza e fede non vi può essere punto di contatto; una verità cono scibile unicamente mediante la rivelazione non può divenire l’oggetto di un sapere veramente scientifico. La scienza finisce per essere solo scienza della natura (mondana e non divina). Inoltre essa non può presupporre la fede, e quindi la teologia (che parte dalla fede) non può essere una scienza. Contro san Tommaso, se le premesse di ogni dimostrazione debbono ap parire più evidenti delle conclusioni, è impossibile giungere a proposizioni evidenti, scientifiche, partendo da dati di fede. Anzi, la teologia diviene «critica» della possibilità conoscitiva dello strumento dimostrativo nei confronti della verità rivelata di Dio. Senza il momento privilegiato dell’intuizione del suo oggetto, essa diventa un insieme di proposizioni suscettibili di analisi logica. Se la teologia ockhamista compromette qualsi asi progetto di teologia speculativa, ciò però non significa che si sia ricercata una sua unificazione al fine pratico dell’amore di Dio; anzi, Ockham insiste esplicitamente sull’impossibilità di unificare in questo modo il frazionamento della teologia: «Essa – egli dice – comporta e contiene più conoscenze real mente distinte, tra le quali talune sono puramente pratiche e altre speculative». In definitiva essa si offre come «uso diver sificato della ragione nell’esame delle molteplici questioni e giudizi che potevano presentare un interesse per la salvezza dell’anima umana» (Biard).
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49. Una società bloccata? Una tra dinamismo e immobilità L’Occidente medievale, come ci appare, è il risultato di una quantità numerosa di fattori che hanno diverse origini. Il sostrato preromano che si caratterizza nelle diverse po polazioni e territori, il profondo lavoro di unificazione poli tica, giuridica e sociale operato soprattutto in età imperiale nei territori extra pomerio, di cui la rete viaria, le centuria zioni del territorio agricolo e la rete urbana sono l’espressio ne più evidente.
Cavalieri in combattimento. Sinopia, particolare, Pisanello. Mantova, Palazzo Ducale.
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La povertà fu una costante della società medievale, ma raramente è rappresentata. In questo caso è un povero soccorso da un santo, Martino di Tours; prevale cioè l’esempio edificante, su qualsiasi analisi sociale. La miniatura della scuola di Jean Fouquet è opera di Jean Colombe. È quindi un testo di consultazione personale. Libro d’Ore di Louis de Laval, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms lat. 920, fol. 300v, metà xiv secolo.
società
L’immissione delle popolazioni germaniche insieme con il cristianesimo ha radicalmente modificato quanto Roma aveva costruito. Questo atlante ha delineato le trasformazio ni più profonde che sono avvenute lungo il periodo alto medievale e successivamente i caratteri essenziali del pieno Medioevo soprattutto nei termini culturali e delle concezio ni prevalenti. Si è visto un continuo e multiforme dinamismo politico, si sono viste le trasformazioni delle concezioni giuridiche che hanno avuto nel confronto costante con il diritto canonico un fattore costitutivo. Aristocrazie e nobiltà di origine sena toria romana, di origine militare germanica si sono spartite, spesso in conflitto fra loro, il compito della guida di socie tà che non possono essere definite soltanto agricole, che in alcune regioni dell’Occidente hanno avuto un fitto reticolo urbano che si è mantenuto collegato con il proprio territorio circostante (agricolo) e che ha visto progressivamente l’e spandersi dei ceti artigiani e mercantili, che presto si è orga
nizzato in forme corporative. Non è più messo in discussio ne il ruolo della Chiesa nelle sue varie componenti (Papato, vescovi, diocesi, abati, monachesimo, ordini mendicanti…) nel costituirsi della società dell’Occidente europeo. La riforma gregoriana dalla seconda metà del secolo xi immette nella storia dell’Occidente un proprium che, re centemente assai bene studiato (Paolo Prodi, Harold J. Berman), può essere definita una prima “rivoluzione” dei rapporti politici e giuridici. La guerra e i ceti militari, ma anche l’organizzazione mili tare delle società urbane, sono una costante della vita politi ca ed economica che naturalmente si manifesta e si sviluppa in forme diverse nel lungo arco di tempo che si sta consi derando e nei vari contesti in cui si esprimono. Le crociate sono un modo particolare e impegnativo di fare la guerra dalla fine del secolo xi, in modo fortemente aggressivo verso l’esterno. In precedenza le guerre stagionali avevano con sentito ai Franchi nell’alto Medioevo di imporre la loro ege
Una possibile raffigurazione del povero può essere questo Figliol Prodigo di Hieronymus Bosch, Rotterdam, Museo Boijmans Van Beuningen. Figure simboliche del potere nel Medioevo: l’imperatore Carlo Magno e re Artù, in una vetrata, da un ciclo dedicato ai nuovi eroi. Lüneburg, Municipio, portico sud, vi vetrata (anno 1410).
monia politica su tutto l’Occidente; un’altra forma di guerra stagionale è quella che caratterizza i lunghi conflitti fra le città comunali italiane. La riconquista nella Penisola iberica plasma la società e attribuisce a Castigliani, Aragonesi, Catalani, ecc. specifiche caratteristiche, che si riverseranno prima sul Mediterraneo e verso il Vicino Oriente e poi anche oltre Atlantico e lungo i mari del mondo coloniale portoghese e ispanico. Allora è lecito porsi le questioni se fosse l’Occidente ri conducibile alla fissità tripartita fra guerrieri, sacerdoti e lavoratori di stampo indoeuropeo; se potesse accadere il passaggio di individui fra una classe o un ceto e un altro e se le corporazioni cittadine fossero un vincolo assoluto; se è possibile affermare che il feudalesimo è un modo di produ zione e di organizzazione sociale non sgretolabile. In realtà molti sono i caratteri comuni alle diverse realtà dell’Occidente, ma molte sono le specificità regionali, che poi divengono nazionali. Le società cittadine e successiva
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Capitolo quarantanovesimo
Una società bloccata? Una società tra dinamismo e immobilità La carta indica su scala europea le rivolte cittadine e contadine. Sono un indicatore della sostanziale fissità dei livelli profondi della società medievale.
Lubecca 1381 Londra
Sviluppi dal 1291 al 1353
Gent 1324-28 Douai St.-Quentin Amiens Rouen 1358 Parigi
Rivolte contadine 1381 Data iniziale Area di diffusione Rivolte urbane 1340-1375 1375-1400
Sviluppi dal 1353 al 1417 Sviluppi dal 1417 al 1501 Già cantoni fra il 1353 e il 1481
Magonza
I 13 cantoni dopo il 1513 Paesi alleati
Norimberga
Paesi soggetti
Strasburgo
Legenda carta 7 Venezia Possedimenti nel 1340 Conquiste nel 1395-1420 Confini nel 1454
Zurigo
Milano Domini dei Visconti nel 1339 Domini dei Visconti nel 1354 Domini dei Visconti nel 1402 Confini nel 1454
1386 Milano
1363-84 Le Puy
Venezia
Montpellier Béziers
Legenda carte 9-10 Obbedienza romana Prevalente obbedienza romana Obbedienza avignonese Prevalente obbedienza avignonese Obbedienza conciliare (pisana) Area neutrale Territori musulmani Chiesa greco-ortodossa
Firenze Siena
LUCERNA
Conflitti di posizione che non modificano le strutture di fondo, una sorta di lunga partita a scacchi dove il campo. In questo contesto si possono leggere gli eventi che portano al Grande Scisma d’Occidente, che viene illustrato da queste due cartine. Prima fase: 1378-1409; seconda fase: 1409-1417. I cardinali collegati al loro regno nazionale eleggono prima un papa romano e un papa avignonese, con i loro successori; quindi
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nella seconda fase si aggiunge un papa pisano con i suoi successori. È l’imperatore Sigismondo che convince il papa pisano Giovanni xxiii a convocare il concilio di Costanza (1414-1418). Ma se ne uscì soltanto con l’abdicazione di Gregorio xii, che contestualmente emanò la lettera di convocazione del concilio, che così veniva legalizzato, e del conclave per eleggere il nuovo e unico papa, Martino v, nel 1417.
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La carta indica su scala europea le rivolte cittadine e contadine.
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Metà del X secolo
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RD IE I N E RI TE D E I UT ON ICI
Conclusa l’età comunale e in pieno xv secolo, l’Italia settentrionale assiste al tentativo di formazione di Stati regionali; i principali sono il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Il processo è illustrato dalla cartina.
Primi tre cantoni (1291)
VA L
La carta illustra il formarsi della Confederazione Elvetica nelle sue varie fasi. All’interno dell’Impero si vengono formando Stati regionali, soprattutto nelle zone intermedie utilizzando i vincoli feudali e dinastici, come nel caso della Borgogna. Sono formazioni statali che normalmente non hanno lunga durata. La Svizzera risulta essere l’unica eccezione a causa della sua specifica natura: l’essere formata da cantoni di montagna, tradizionalmente portati all’autonomia e all’individuazione di un comune nemico: i duchi di Asburgo. Inoltre gli Elvetici furono abili a sfruttare la loro posizione geografica e la loro grande perizia militare. In realtà, apparendo assai pericolosi per gli assetti politici che si intendevano consolidare nella prima metà del xvi secolo, verranno resi “neutrali”.
mente le città capitali di regni o di ducati si configurano con una forte predisposizione alla fluidità, anche se permangono numerose realtà ai margini e senza possibilità di sviluppo. Il sostrato sociale e produttivo tende alle permanenze e a mutazioni lentissime. È una società bloccata nel senso che i ceti e le culture dominanti tendono a creare modelli di rife rimento che possono irrigidire quasi ritualisticamente i pro cessi sociali; anche quando avvengono trasformazioni sociali profonde, ma quando tendono a stabilizzarsi, come i grandi mercanti, costituiscono modelli di riferimento o rituali, che si rifanno a quelli della nobilità e dell’aristocrazia. Il mondo produttivo sia rurale che cittadino tende a man tenersi come un sostrato bloccato.
CA
La corte signorile di Husterknupp, Renania, in tre fasi del suo sviluppo: metà x secolo; inizio xii secolo ca.; metà xii secolo.
Legenda carta 6
Canterbury Dover Brugge
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poteri e le libertà
Alla confusione, molteplicità e stratificazione dei poteri ca ratteristiche del mondo medievale, d’altra parte, fa da contral tare un fitto groviglio di autonomie, franchigie e privilegi con cessi a talune aree o categorie (i nobili, il clero, gli universitari, gli appartenenti a una data corporazione, ecc.). Poteri e libertà sono strettamente intrecciati, sino a costituire, in un certo sen so, due facce della stessa medaglia. Le libertà di cui può dispor re un uomo come il fabbro Jacques sono libertà da determinati poteri e, nel contempo, dipendono dalle autorità alle quali egli è soggetto; lo stesso dicasi per le libertà collettive che possono
Beauvais. Archi rampanti della cattedrale, secoli xii-xiv, l’edificio gotico più alto di Francia. Cartina della Francia nel 1154. Guardando la carta geopolitica della Francia, all’avvento sul trono inglese di Enrico ii Plantageneto (1154), ci si trova di fronte a un vero e proprio puzzle di domini, collegati al sovrano francese e al re d’Inghilterra da legami di natura assai varia
essere riconosciute alla comunità cui Jacques appartiene (la sua città) o al suo gruppo sociale (l’associazione di categoria alla quale è iscritto). Può per esempio accadere che risieda in un centro urbano i cui abitanti sono tenuti a rispondere del pro prio operato solo al loro re; che cioè il borgo ove vive goda del privilegio di dipendere direttamente – ed esclusivamente – da un potere superiore, quello regio, che lo preserva dai possibili arbitri e abusi dei signori locali e, nello stesso tempo, gli rico nosce un’ampia autonomia amministrativa. Altrove, invece, le cose possono andare in maniera diversa: Beauvais, un’altra del le città della Francia settentrionale assediate dagli Inglesi nel 1346, non è mai riuscita ad affrancarsi dal dominio del vescovo locale, mentre chiunque abita nei villaggi della campagna intor no a La Roche-Derrien o a Beauvais è assoggettato alla giustizia del signore del contado. In definitiva, il meccanismo attraverso cui, nel Medioevo, un individuo (come pure, in talune circostanze, una comunità o una corporazione) può preservare o perdere le proprie liber-
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Galleria del chiostro di Gloucester, seconda metà del xiv secolo, che re Edoardo iii d’Inghilterra (1337-1367) fece rimodellare stilisticamente, con linee curve che si aprono a ventaglio nelle volte.
Nella Bretagna del xiv secolo, come in quasi tutta l’Europa tardomedievale, le vicende belliche, dinastiche e feudali avevano prodotto un gran numero di situazioni estremamente complesse sotto il profilo giuridico, tanto che su certi territori si sovrappo nevano poteri, leggi e diritti di diversa origine e natura. Basti pen sare, per citare un altro esempio, a una regione come l’Aquitania, che da un punto di vista formale fece sempre parte del regno di Francia, ma nella quale per oltre due secoli l’esercizio effettivo del potere spettò al monarca inglese, che a sua volta deteneva quel dominio in feudo (ossia vi governava in qualità di vassal lo del sovrano francese). In un contesto simile, ovviamente, era impensabile che potesse darsi un modo univoco di concepire il potere, inteso come la capacità che un soggetto – o un gruppo – ha di determinare la condotta altrui, di impartire ordini ad altri individui in relazione a uno specifico ambito: nella cultura me dievale, infatti, il termine potestas è utilizzato in accezioni profon damente diverse, che indicano le varie tipologie di potere cui una stessa persona (o comunità) può essere sottoposta.
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La Roche-Derrien, Bretagna, anno del Signore 1347. Pochi mesi prima, Jacques Clavier, di professione fabbro, ha pre so parte all’eroica resistenza opposta dai suoi concittadini di fronte agli assalti delle truppe inglesi, ma da ormai un anno la roccaforte è caduta nelle mani dei soldati di Edoardo iii d’In ghilterra. In breve tempo, dunque, Jacques, che per tutta la vita era stato soggetto al re francese Filippo vi di Valois e, sul pia no locale, all’autorità del duca di Bretagna, si ritrova suddito della Corona d’Inghilterra; già in passato, tuttavia, a suo padre e, prima di lui, al nonno era capitato di dipendere dai sovrani inglesi, poiché il loro duca (vale a dire il potere cui sottostavano direttamente) aveva di volta in volta ritenuto più conveniente riconoscersi vassallo del re d’Inghilterra o di quello francese.
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50. I
Langres IMPERO ROMANO GERMANICO Lione
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Capitolo cinquantesimo
tates è assimilabile al modo in cui chi gioca a battaglia navale mantiene intatta o meno la propria flotta: tutto dipende dalle coordinate delle caselle in questione, ossia, nel caso del nostro uomo medievale, dal fatto di trovarsi in una posizione sogget ta all’influenza di un numero più o meno grande di poteri. La sua libertà appare quindi in continua ridefinizione, variando al variare delle condizioni in cui viene a trovarsi. Così, l’ascesa al
trono di un sovrano deciso a difendere le proprie prerogative di fronte ai tentativi di intromissione della Chiesa nella vita po litica del regno (si pensi a Enrico ii in Inghilterra, o a Filippo il Bello in Francia) può portare a ridiscutere i labili confini fra la giurisdizione temporale e quella spirituale, con conseguenze importanti per la vita dei sudditi, tanto laici che ecclesiastici: un fatto simile può per esempio comportare una riduzione dei
A complicare i rapporti di potere nella società medievale era in special modo la fitta rete di relazioni di tipo feudale. Reims, cattedrale, bassorilievo che raffigura un orante, nello stesso modo con cui veniva esercitato l’omaggio vassallatico.
Le due fasi della Guerra dei Cent’anni che è il frutto finale degli intrecci dinastico-feudali fra la monarchia inglese e quella francese. La generale tendenza a una cristallizzazione dei rapporti sociali e alla formazione di oligarchie di governo si manifestò in modo particolarmente complesso e ricco di avvenimenti nella situazione interna di Inghilterra e Francia e nelle relazioni tra i due regni. Contemporaneamente fu lotta per la supremazia all’interno delle oligarchie nobiliari, feudali e di toga, negli ambienti di corte francesi e borgognoni e un conflitto fra i due regni. I due regni sarebbero usciti assai cambiati alla fine della lunga guerra, ma il processo di trasformazione fu reso lungo e doloroso dalle tensioni che attraversarono le loro monarchie e i loro ceti dirigenti.
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privilegi fiscali del clero, oppure limitare il potere di scomunica della Chiesa e attenuare la persecuzione nei confronti degli ere tici da parte della giustizia civile. Del resto, la compresenza e la difficile convivenza di due poteri, lo Stato e la Chiesa, ognuno dei quali è costantemen te incline ad ampliare la propria sfera d’intervento a discapito dell’altro, contribuisce a rendere ancor più complesso il quadro politico dell’Occidente latino nel periodo compreso fra il ix e il xv secolo. Quello dei rapporti fra regnum e sacerdotium, anzi, è il principale nodo teorico intorno al quale si dipana l’intera riflessione politica medievale, nel tentativo – sostanzialmente vano – di dare all’Europa cristiana, o almeno a parte di essa, un assetto stabile, fondato su una precisa definizione delle rispetti ve competenze istituzionali o, in alternativa, sull’individuazione di un’unica autorità suprema (di volta in volta il Papa, l’Impera tore o un sovrano nazionale).
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Lo scontro fra Enrico ii d’Inghilterra e l’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, conclusosi nell’anno 1170 con l’assassinio di quest’ultimo nella sua cattedrale, è l’emblema delle tensioni sorte per tutto il Medioevo fra i vertici ecclesiastici e i detentori del potere temporale. Vetrata della cattedrale di Canterbury, allegoria della parabola del Seminatore, esposta da Cristo nella quarta finestra, 1180.
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I poteri e le libertà
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51. Laicità
e diritti
Pochi sono i periodi storici che possono vantare tanti ritratti stereotipati come il Medioevo. L’immagine di un’epoca arretrata nel campo dei diritti e di una cultura assorbita nella dimensione religiosa è forse tra le più fuorvianti. Man mano che ci si accosta ai documenti del Medioevo emerge infatti un quadro molto più vivace e ricco di quanto si possa immaginare. Tra il xii e il xiii secolo, quando iniziano a svilupparsi i comuni e gli stati nazionali, il Medioevo elabora una visione innovativa dell’uomo, delle sue capacità, del suo ruolo nel mondo. In questo torno di tempo si sviluppa la contrapposizione tra cultura laica e cultura religiosa, tra diritti delle comunità e diritti dell’individuo, tra il mondo dei
Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini (la moglie), 1434, Londra, National Gallery. Forse non è un vero ritratto della moglie di Giovanni Arnolfini, che visse a Bruges e nel 1426 aveva sposato la figlia tredicenne di Lorenzo Trenta di Lucca, scomparsa prematuramente.
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Christine de Pisan, in una miniatura che la raffigura.
monasteri e dei castelli e quello delle città e delle università. Il Medioevo è abituato a distinguere, all’interno della massa dei cristiani, due grandi classi di individui: i chierici e i laici. I chierici non sono solo coloro che hanno ricevuto gli ordini sacerdotali (o alcuni ordini), ma in larga misura sono i litterati, gli uomini colti, che padroneggiano il latino, che insegnano nelle scuole e nelle università. Perciò non è singolare che i chierici rivendichino una superiorità rispetto ai laici. Quest’idea trova espressione persino nei documenti di due grandi papi del xiii secolo: Innocenzo iii (all’inizio del secolo) e Bonifacio viii (alla fine) ricordano che il compito dei laici è obbedire e non comandare. In una società di grande spiritualità dove il peso politico, culturale ed economico della Chiesa e delle sue istituzioni si fa sentire a tutti i livelli, diventa difficile isolare gli elementi di una cultura “laica” in senso moderno. Ma dal xii secolo prende corpo un movimento, in certa misura, di laicizzazione. Il laico diventa un soggetto che fa cultura, che scrive e che legge. Questo avviene nelle corti francesi e inglesi, alla corte di
Federico ii di Svevia (imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia), dove si scrivono poesie, si discute di filosofia e si incontrano sapienti musulmani ed ebrei. I comuni italiani favoriscono la nascita di una cultura dei laici. Sono infatti il grande sviluppo urbano e la nascita di nuove professioni, dal mercante al notaio, dal giureconsulto al funzionario delle istituzioni cittadine o regie, a richiedere un’istruzione per chi non è destinato alla vita ecclesiastica. Brunetto Latini, Dante Alighieri (in Italia) e persino una donna, Christine de Pizan (in Francia), sono tra gli esempi più chiari di una cultura che esce dall’ambito ecclesiastico. Secondo lo studioso Ruedi Imbach nasce nel tardo Medioevo una nuova filosofia: tanto quella delle università consiste soprattutto in commenti di altri testi (in particolare di Aristotele) o di opere orientate all’insegna-
Jan van Eyck, L’Agnello mistico, 1425-33, Gand, cattedrale di San Bavone.
mento dei chierici, quanto la filosofia dei e per i laici nasce da problemi specifici di un individuo o di un gruppo sociale. Inoltre nelle stesse università si sviluppano le facoltà di diritto e medicina, che sono destinate a professioni laiche. Sul finire del Medioevo si sviluppa una cultura esterna alle università, che è coltivata da uomini politici come Coluccio Salutati o cortigiani, e che ha in sé i germi del futuro umanesimo. A questo processo di diversificazione della cultura si accompagna uno sviluppo della dottrina giuridica e filosofica che mette sempre più l’accento sull’individuo e sui suoi diritti e poteri. L’uomo del Medioevo vive all’interno di una complessa realtà giuridica. Esiste il diritto canonico elaborato dagli uomini di Chiesa ed esiste il diritto civile che prende le mosse dalla rilettura del diritto romano. Vi è il diritto feudale e vi è il diritto consuetudinario. Sullo sfondo delle elaborazioni normative i giuristi immaginano anche un diritto naturale e un diritto delle genti. Sul piano pratico per tutto il Medioevo le giurisdizioni locali e quelle di più alto
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Capitolo cinquantunesimo
livello, secolari e canoniche, restano intrecciate e solo lentamente si affermerà il diritto statale escludendo i diritti locali e le consuetudini. Ma quale principio anima questa pluralità di ordinamenti? Essi sono per lo più intesi in modo oggettivo come una sorta di armonia, una situazione di giustizia a cui l’uomo si deve adeguare. Questa concezione è però destinata a cambiare. Nel xii secolo nascono nuovi gruppi sociali,
Hugo van der Goes, Pala Monforte o L’adorazione dei Magi, 1468, Berlino, Staatliche Museen.
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Laicità e diritti
nuove città, nuove comunità rurali. E tutti rivendicano diritti rispetto alla tradizione, mentre i detentori dei poteri, dai vescovi ai conti, dai duchi ai sovrani, cercano di mantenere le prerogative assegnate loro dalla consuetudine e dalle leggi esistenti. All’etica di Pietro Abelardo che mette in rilievo la piena responsabilità dell’uomo nelle sue decisioni, alla descrizione dei rapporti amorosi tra amanti lontani, tra cavalieri e dame, tipica dell’amore cortese e a una filosofia della natura che offre all’uomo la possibilità di conoscere i segreti meccanismi del mondo, corrisponde lo sviluppo di un’idea soggettiva dei diritti che riguardano le singole persone. È una
lunga strada che prende avvio nelle pieghe del diritto canonico e che alla fine del Medioevo emerge in grandi intellettuali come il francescano Guglielmo di Ockham e come Jean Gerson, cancelliere dell’Università di Parigi, nel momento in cui si farà più forte lo scontro tra i poteri laici e quelli eccle-
Antonello da Messina, Ritratto di uomo, 1475-1476, Londra, National Gallery. L’insieme di queste immagini particolari tratte da grandi opere documenta perfettamente la trasformazione antropologica che l’Umanesimo italiano e fiammingo stavano portando nell’arte e nella cultura dell’Occidente.
siastici, tra il diritto positivo e il diritto naturale o divino. Nel diritto matrimoniale e nel diritto dei contratti la volontà del singolo e le sue intenzioni vengono sempre più prese in considerazione. Anche nella valutazione della colpevolezza si cerca di considerare le intenzioni del reo. Il diritto inizia a essere inteso come un potere del singolo di agire all’interno di una sfera che è di sua competenza e nella quale può prendere delle decisioni grazie alla ragione di cui è dotato. Alla fine del Medioevo, “laico” non è più sinonimo di ignorante e all’uomo si attribuisce giuridicamente un potere che egli mette in atto sulla base della propria ragione.
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52. La
natura e le scienze
1. Tardoantico e alto Medioevo «La scienza raggiunse il più basso livello nell’Europa occidentale approssimativamente tra il 500 d.C. e il 1000» (Grant). Quando il cristianesimo era debole e privo di influsso, agli inizi dell’Impero romano, furono ancora scritti grandi testi scientifici, come per es. l’Almagesto di Claudio Tolomeo (ii secolo), ma la scienza naturale greca, quella fondata su osservazione e raffinatissimi calcoli e speculazioni matematiche – come osserva Grant – «prodotta da un esiguo numero di uomini… era una fragile impresa capace di avanzare e preservarsi solo per il tempo in cui l’ambiente intellettuale le fosse favorevole». Durante i primi secoli dell’era cristiana religioni misteriche, ricerca di una salvez-
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Beatus di Gerona, Mapamundi, Gerona, Biblioteca della Cattedrale, foll. 3v, 4r.
za ultraterrena, culture magico-esoteriche invasero i campi della filosofia e delle scienze inducendo a un’idea negativa del mondo fisico, tenuto in dispregio e avvicinato/esorcizzato attraverso forze magiche occulte. Le grandi acquisizioni scientifiche restarono asfitticamente imprigionate e trasmesse senza stimoli per ulteriori ricerche nell’opera riassuntiva degli enciclopedisti del periodo tardo antico. I Latini non furono originali in campo scientifico e più che alla ricerca scientifica furono sensibili agli aspetti naturali che si prestavano a moralizzazioni (Questioni naturali di Seneca) o suscitavano curiosità per le loro stranezze (Storia naturale di Plinio), aspetti che presso i medievali a lungo condizionarono in modo quasi eslusivo la percezione della natura. Il cristianesimo dei primi secoli oscillò tra apprezzamento e inutilità delle arti liberali, ma non poté esimersi (specialmente dal iv secolo in poi) dal confronto tra gli elementi del racconto del Genesi e le spiegazioni fisiche del mondo date nel contesto ellenistico e ormai inserite nel
patrimonio di ogni uomo colto, nei numerosi commenti ai sei giorni della creazione (Hexaemeron). L’idea fondamentale dei pensatori cristiani sul mondo fisico, creato dalla sapienza di Dio, è quello di una realtà interpretabile, con un suo linguaggio manifestativo (come già diceva san Paolo), degli invisibilia di Dio. Non fu difficile vedere nella natura come un libro diverso, ma complementare, rispetto alla Bibbia, il libro che narra la storia delle relazioni tra Dio e gli uomini. Le tecniche ermeneutiche del Libro si trasferirono spontaneamente sulla natura: come c’è una lettera e un significato profondo, così c’è un significato profondo che passa nei fenomeni naturali. La natura diventa così simbolo, e la “scienza” della natura una decodificazione di simboli.
De proprietatibus rerum, Bartholomaeus Anglicus (1230).
2. Dal x al xii secolo La cultura occidentale si apre a una curiosità diversa per la natura tra x e xii secolo, stimolata da un sapere scientifico antico che rispunta rielaborato dagli Arabi in Spagna. Come già in antico, la cultura scientifica non fu fenomeno popolare neppure nell’Islam, dove poté svilupparsi nell’ostilità dei settori religiosi solo per il mecenatismo di alcuni principi, sensibili alle raffinatezze intellettuali di filosofi e scienziati. Nel 999, colui che da giovane aveva avidamente ricercato le scienze arabe nei monasteri spagnoli, Gerberto d’Aurillac, era a capo della cristianità col nome di Silvestro ii. Mentre nel secolo xii si attivò con tutta la sua forza il “movimento delle traduzioni”, si veniva radicando l’idea della natura come complesso ordinato di fenomeni, indagabile dalla ragione, che ne cercasse le cause naturali, e un crescente apprezzamento per la “sapienza mondana” o
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Capitolo cinquantaduesimo
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“filosofia del mondo” intesa come questa ricerca. Questa fu la sensibilità della scuola di Chartres, dove si valorizzò ampiamente il Timeo di Platone, in cui si parlava del mondo fisico come di «animale intelligente, uno e perfetto». Non era in discussione l’opera del creatore divino, si voleva sottolineare che anche la natura ha una sua causalità e “ordine”, “nesso” e “serie di cause”. Lo sforzo fu di conciliare il Demiurgo di Platone e i sei giorni del Genesi mediante un’interpretazione dei rispettivi “miti” (una genesi “secondo la fisica”). Ma quest’equilibrio era instabile. Già Eriugena nel ix secolo aveva parlato di una «natura che è creata e crea» e non è un caso che a ridosso della tendenza chartriana e come sua esasperazione nel 1210 a Parigi vengano condannati Amalrico di Bène e Davide di Dinant (e lo stesso Eriugena loro lontano ispiratore) che rispettivamente sostenevano: «Dio è tutto in tutto, è pietra nella pietra» ed «è Dio stesso che si offre visibile, materia dei corpi e mente delle anime».
La natura e le scienze
la struttura del mondo naturale aristotelico) e dell’annessa scomunica fu immediato e duraturo e impresse una svolta.
3. Aristotelismo. Prime resistenze. Università Il movimento delle traduzioni consentì l’ingresso in Occidente 1) di una concezione del mondo aristotelico-neoplatonica, 2) di originali rielaborazioni arabe di particolari settori scientifici (matematica, astronomia e medicina – non osteggiati dalla cultura coranica predominante). L’accoglienza in regime cristiano di queste scienze greco-arabe cui progressivamente si aggiunse una conoscenza più diretta dell’aristotelismo fu tra xii e xiii secolo assorbita con interesse, anche se nella prima metà del secolo xiii si registrano divieti vari dell’autorità ecclesiastica di rendere oggetto di insegnamento universitario i “libri naturali” di Aristotele e dei suoi commentatori arabi. Verso la metà del secolo questa preoccupazione sembra superata, il credito di Aristotele è generale e teologi, come Alberto di Colonia e soprattutto Tommaso d’Aquino, tendono a considerare fondamentalmente compatibile (e talora an-
5. Nominalismo
Grammatica, dialettica, retorica, in Petronio Arbitro, Satyricon, ms del xiii secolo, Parigi, Bibliothèque Sainte-Geneviève. Dio, supremo architetto, Miniatura della Bibbia Moralizzata, xiii secolo, Vienna, Osterreichische Bibliothek, cod. 2554. Homo quadratus, Codice latino di santa Ildegarda, Lucca, Biblioteca statale, ms 1492, fol. 9r.
che salutare) il “naturalismo” aristotelico rispetto alle dottrine rivelate, anche se l’accettazione di questo naturalismo esigeva attenzione critica.
4. Condanna del 1277 Negli anni ’60, nella Facoltà delle arti di Parigi, anche per la diffusione dei commenti di Averroè, si sviluppa un aristotelismo integrale che tendenzialmente vuole costituirsi come fonte di verità, distinta dalla rivelazione e con la pretesa di una propria autorità indiscutibile dall’esterno, quindi in quanto tale non misurabile neppure dalla fede. Si hanno le reazioni di singoli teologi, ma alla fine, nel 1277, con l’assenso di papa Giovanni xxi, il vescovo di Parigi e l’arcivescovo di Canterbury condannano 219 tesi, per colpire questi aristotelici radicali, ma più in generale per distinguere nettamente la concezione creazionistica cristiana dei rapporti tra Dio creatore e mondo e la concezione greca (aristotelica e neoplatonica) che si basava essenzialmente sulla necessità del mondo. L’impatto di questa condanna (che di per sé non respingeva tutto l’aristotelismo e
Per rimanere sul piano della conoscenza della natura, rivendicando la dipendenza del mondo dall’assoluta libertà di Dio, la caratteristica del mondo creato diviene la contingenza (Dio può creare attraverso cause secondarie e naturali, può anche produrre direttamente senza intermediari, svincolato da ogni necessità) e viene rifiutata l’idea di una connessione necessaria tra le cose contingenti. Nei primi decenni del xiv secolo, Guglielmo di Ockham, su queste basi teologiche, fu condotto all’empirismo radicale e al nominalismo (per quanto riguarda la natura è vero solo ciò che è intuito in un fatto sperimentato, tutto il resto non ha realtà, è creazione linguistica, “nome”). Al mondo radicalmente contingente può applicarsi un principio di economia (il “rasoio” di Ockham): la spiegazione più semplice è da preferirsi, e con questo si sgombrava il campo da tutte le sovrastrutture intellettuali che rendevano complicata e confusa la percezione del mondo. Le premesse della scienza naturale dovevano essere di derivazione empirica e le conclusioni potevano avere valore solo di verità ipotetica, non prefiguranti in maniera necessaria il mondo nella sua contingenza. Questo “nominalismo” (empirismo e rifiuto della realtà dell’inosservabile) pervase tutta la cultura del xiv secolo (e successivo) con l’idea di liberare la teologia dalla scienza della natura e di relativizzare la spiegazione aristotelica della natura (si arrivò anche a teorizzare che ogni spiegazione della natura è solo probabile e che l’aristotelismo non è la più probabile). Se i teologi ockhamisti vedevano nella pretesa dimostrativa della scienza aristotelica una minaccia per la teologia, i maestri delle arti, pur influenzati da Ockham, mantenevano con un’attitudine critica nei confronti di Aristotele anche la convinzione del suo alto grado di plausibilità nelle spiegazioni scientifiche. La preoccupazione era quella di «salvare i fenomeni» (con l’una o con l’altra ipotesi, più o meno plausibili) nella persuasione che «la realtà fisica non era garantita dai meccanismi di spiegazione». Prevale la forma ipotetica (che tra l’altro metteva al sicuro da un contrasto con la teologia) e viene anche incoraggiata la tendenza a immaginare tutti i mondi possibili senza riguardo alla realtà fisica: mondi, come si diceva, «secondo l’immaginazione». Tutta questa speculazione andrà appunto in crisi di fronte alla pretesa di Copernico e Galilei che l’eliocentrismo non fosse più una semplice ipotesi, ma la realtà delle cose.
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53. Dalla fine del Medioevo all’inizio dell’epoca moderna: i pellegrinaggi Tra la fine del secolo xiii e la fine del xv, quando nel 1492 inizia tradizionalmente l’età moderna, vediamo affermarsi i grandi pellegrinaggi mariani, a seguito dei prodigi che fecero sorgere grandi santuari, e vediamo l’inizio delle “Nuove Gerusalemme”. Nel 1294 si colloca la venuta tradizionale della Santa Casa a Loreto, dove si trova una reliquia eccezionale, il luogo stesso dell’incarnazione: ciò che assimila la collina marchigiana ai Loca Sancta; della Santa Casa si trovano poi nei tempi successivi numerosissime “repliche” (valga per tutte quella di Praga, che ripropone perfettamente la costruzione come la si vede a Loreto). Queste sono anche testimonianze di una tendenza di cui abbiamo una prima traccia nell’antichità, all’inizio del secolo v, l’epoca del vescovo san Petronio: infatti, san Petronio
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I pellegrini al Santo Sepolcro, nel Liber Peregrinationis di Ricold de Montcroix, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms fr. 2810, fol. 274.
(attestato vescovo a Bologna tra il 431 e il 450) fu il primo a riportare misure dei Loca Sancta a Bologna, dove a lui si attribuisce la fondazione di una “replica” di Gerusalemme, la Sancta Jerusalem Bononiensis, che con la sua ricostruzione, pur ampiamente successiva all’epoca del fondatore (il complesso si costituisce sostanzialmente tra i secoli viii e xii), divenne meta sostitutiva per quanti non potevano recarsi in Oriente. Ugualmente all’inizio del secolo xii si colloca la nascita di una particolare Nuova Gerusalemme nel cuore dell’Etiopia, il santuario di Lalibela che ebbe visione delle chiese che doveva costruire. Si afferma dunque la tendenza a replicare i Luoghi Santi, tendenza che in Europa darà origine ai Sacri Monti: primo fra tutti, proprio all’inizio dell’età moderna, quello di Varallo, fondato da padre Bernardino Caimi che aveva riportato le misure dei Luoghi Santi dopo esservi stato nel 1478. Ma soprattutto questa è l’epoca in cui il pellegrinaggio assume nettamente una precisa connotazione giubilare, con la
ricerca dell’indulgenza plenaria che caratterizza il Giubileo, che, con la sua prima ufficiale indizione nel 1300, si rifà tuttavia a tradizioni precedenti accertate e alle indulgenze che ci richiamano ancora una volta all’identità culturale e religiosa locale, come quella promulgata in occasione della solenne traslazione delle reliquie di san Thomas Becket. Sorgono poi altre mete mariane di pellegrinaggio, legate all’identità nazionale: è il caso della Madonna di Monte Lussari, al confine tra Italia, Austria e Slovenia, che si data al 1360, della Madonna di Czestochowa in Polonia, che si può datare dal 1382, del Santuario delle Saintes-Maries-de-la-Mer nel Sud della Francia (1448) e poi ancora dei santuari della
Edicola del Santo Sepolcro o Calvario, xii secolo, chiesa di Santo Stefano, Bologna. Ambone e bassorilievi del xiv secolo. Vera Cruz di Segovia, chiesa del Santo Sepolcro, alla cui costruzione ebbero parte canonici del Santo Sepolcro e Templari.
277
Capitolo cinquantatreesimo
Dalla fine del Medioevo all’inizio
Madre di Dio Protettrice presso il monastero di Rila in Bulgaria (1469) e della Madonna di Altötting (1489). L’epoca dei grandi pellegrinaggi che richiamano pellegrini da tutta la christianitas volge per ora al termine (riprenderà successivamente, in particolare nei secoli xix e xx) e le grandissime mete, quelle irrinunciabili, vengono sostituite da mete più prossime, dal moltiplicarsi di santuari locali, spesso mariani, che verranno via via sorgendo legati alle vicende dei singoli e diversi Paesi e nazioni.
Chiesa di San Francesco, Pescia (Toscana). Francesco scaccia i demoni dalla tomba di Bonaventura Berlinghieri. Da: «San Francesco e sei scene della sua vita» Padova, la Basilica del Santo. La basilica di Sant’Antonio divenne da subito meta di pellegrinaggi da ogni parte d’Europa
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dell’epoca moderna: i pellegrinaggi
Tra questi, possiamo distinguere il continuo e ininterrotto flusso di pellegrini verso i due santi francescani: san Francesco, morto nel 1226, presto onorato con le grandi chiese gotiche di Assisi, e sant’Antonio da Padova, morto nel 1231, e pure subito onorato con una grande basilica; sono testimonianza di devozione a grandi santi che pure, come il taumaturgo di Padova, non disdegnavano di impegnarsi nelle piccole faccende quotidiane, come il ritrovare le cose perdute. Intanto, a testimoniare i mutamenti dei tempi, i grandi ospizi per pellegrini vanno via via mutando destinazione, e divengono i grandi ospedali dove nascono la medicina moderna e la moderna assistenza, sostenute dalle confraternite. Tuttavia sarebbe un errore pensare che il pellegrinaggio conosca una flessione sostanziale all’inizio dell’epoca moderna: si tratta piuttosto del nascere di molte mete locali che vanno sostituendo le grandi mete universali.
279
54. Nuovi
atteggiamenti e nuovi generi narrativi
I grandi viaggi verso la profonda Asia, le avventure strabilianti dei mercanti lungo le vie carovaniere o attraverso gli oceani, ancor più la scoperta di nuovi mondi al di qua e al di là del l’Atlantico hanno naturalmente influito sugli animi dell’epoca. Tutto ciò fu, senza ombra di dubbio, un grande shock psicologico che, attraverso ogni forma di comunicazione, attraverso i libri, i sermoni dei preti, la corrispondenza d’affari o le lettere di famiglia, attraverso nuovi temi iconografici per le feste e gli spettacoli, e perfino tramite le comuni chiacchiere della strada, viene rapidamente trasmesso all’insieme delle popolazioni. Cia-
Gerusalemme e i Luoghi Santi, di Buchard del Monte Sion, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms fr. 90-87.
280
Le livre des Merveilles, xv secolo, Parigi, Bibliothèque Nationale, ms fr. 2810, fol. 226. È la raccolta dei diari di viaggio di Marco Polo, Oderico da Pordenone (francescano), Giovanni Hayton (premonstratense), Ricold de Montcroix (domenicano).
scuno desidera la nuova avventura: quella di un’umanità aperta, all’improvviso, a più vasti orizzonti. Non è più il tempo in cui i mercanti viaggiatori mantenevano il segreto sulle loro peregrinazioni e, comunque, non sentivano assolutamente il bisogno di farle conoscere. Ora comincia timidamente una letteratura sui viaggi, o piuttosto una letteratura descrittiva di mondi sconosciuti. I grandi cambiamenti nelle mentalità nascono quindi da quest’impegno letterario, dal bisogno di far conoscere. Certamente, molti autori rimangono ancora fedeli alle vecchie abitudini e si preoccupano di più di seguire le tradizioni, le leggende e gli intrecci, che non attenersi al concreto. Il genere più in voga, negli anni del Trecento e pure del Quattrocento, è quello dell’Enciclopedia descrittiva dei Paesi e dei regni e, in essa, il meraviglioso primeggia su tutto. Tale è il celeberrimo Milione di Marco Polo, scritto in francese e poi tradotto in latino e in italiano, che, dettato da un profondo conoscitore del lontano Oriente, riporta una quantità di storie e di miracoli, e si struttura più come un piacevole passatempo che non come una relazione.
Questo libro s’inserisce perfettamente nelle collezioni delle Meraviglie, opere che appassionano particolarmente i principi e i cortigiani di Francia e d’Inghilterra; alcuni di questi libri furono perfino scritti da autori di professione che non avevano mai lasciato i loro Paesi ma dissertavano “meravigliosamente” su altri. La stessa caratteristica si rintraccia in Marco Polo, nei lunghi capitoli e nei bei racconti sul grande Nord siberiano, sul lago Baikal, sull’Oriente artico e, con caratteristiche opposte, sull’isola di Madagascar e sulle rive orientali
Carta Walsperger, metà xv secolo, in cui si riproduce l’immagine medievale del mondo costituito da Europa, Asia, Africa, con al centro Gerusalemme.
dell’Africa, Paesi dove non era mai andato. Ci si compiace, a prezzo di approssimazioni e di sogni, di spaziare col pensiero attraverso terre lontane, abbandonando il proprio ambito di vita quotidiana. Poco a poco, tuttavia, questa letteratura prende un corso nuovo e si aggancia alla realtà. I lettori esigono delle informazioni più precise su cui poter esercitare il proprio spirito critico. I racconti di pellegrinaggi che, a lungo, si erano limitati a una serie di veloci annotazioni, di un’asciuttezza esasperante, sui luoghi santi, sulle devozioni, le reliquie e i miracoli, sui riti da seguire, diventano sempre più ricchi di notizie sulle circostanze del viaggio, sui contrattempi e le disavventure, soprattutto le avventure di mare, e sui Paesi attraversati, gli splendo-
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Capitolo cinquantaquattresimo
Nuovi atteggiamenti e nuovi generi narrativi
Carta Nautica di Albino Canepa, xv secolo, che rispecchia la conoscenza geografica e la fitta rete di itinerari mediterranei. Società Geografica Italiana, Roma.
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ri delle città, i costumi degli abitanti, i loro lavori e i loro sistemi di governo. Di ritorno a casa, il pellegrino s’affretta a scrivere i suoi ricordi, per se stesso, per i suoi, per il suo gruppo e per soddisfare così mille curiosità. Numerosi sono questi racconti di viaggi a Gerusalemme che, ricopiati in parecchi esemplari, tradotti in lingue comuni, talvolta messi in versi, compaiono nelle biblioteche; si collezionano questi racconti, si compongono libri di brani scelti, talvolta illustrati da buoni pittori. La grande novità fa presto a passare di città in città, a valicare i monti; tutti sono a caccia di ciò che non si è visto; vogliono sapere prima e approfittare delle scoperte. La grande novità e apertura verso il mondo è che l’uomo non giudica più se stesso con lo stesso metro; egli vuole superarsi e prende coscienza di appartenere a un insieme ben più vasto delle sue tradizionali comunità, che hanno costituito il quadro della sua infanzia, della sua educazione, della sua attività. È diventata quasi un’ossessione il profondo desiderio di arricchirsi e di identificarsi in altra maniera. Questa nuova ansia di sapere non è soltanto la conseguenza di uno stato d’animo; essa cerca di conoscere con più esattezza la natura dei mondi scoperti e di quelli che si potevano solo intravedere attraverso le cortine dei racconti fantastici.
283
55. La campagna e la città nel Trecento europeo
La cartina descrive l’Europa nella seconda metà del xiv secolo, intorno al 1360.
L’insieme della campagna borgognona con visibili il bosco, il pascolo, il terreno coltivato, come appare oggi.
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(Dinastia dei Zijanidi)
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Il Ducato di Borgogna nel 1363 Acquisizioni di Filippo l’Ardito (1363-1404) Appannaggio dei figli di Filippo l’Ardito Acquisizioni di Filippo il Buono (1419-1467) Acquisizioni e riconquiste di Carlo il Temerario (1467-1477) Acquisizioni temporanee di Carlo il Temerario Aree di influenza borgognona
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Il tentativo della Borgogna di ritagliarsi un proprio ampio spazio di autonomia viene illustrato in questa cartina.
Suddivisione del Sacro Romano Impero Germanico Domini dei Lussemburgo Domini dei Wittelsbach Domini degli Asburgo Domini dei Savoia Domini dei Visconti
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REGNO DI SCOZIA
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284
loro campi cintandoli e formando le prime rilevanti enclosures. In Scandinavia passarono dall’agricoltura all’allevamento, come pure in Castiglia dove, sotto diretto impulso del sovrano, fu creata la mesta, la potente confraternita degli allevatori di bestiame, soprattutto di ovini, dediti alla transumanza. Se eliminò aspetti ormai consunti del sistema curtense, la crisi del 1300 mantenne comunque ben salda la figura del signore, cioè del proprietario che fa rendere terreni e risorse non lavorati direttamente. Questa situazione provocò spesso un ricambio di chi deteneva il potere e la proprietà della terra. L’azienda signorile non era comunque l’unica forma di orga-
le loro aziende in modo più produttivo, ricorsero spesso anche più banalmente e drammaticamente a furti, a violenze e a puri latrocini nei confronti del mondo contadino. Il reddito signorile mediamente diminuì, anche se non tanto per i grandi proprietari che consolidarono il patrimonio, e nemmeno per i nuovi proprietari piccoli e medi di Toscana e Catalogna. In Inghilterra i signori inglobarono le terre comuni, chiusero i
1. L’azienda agricola signorile si modificò in diversi modi secondo le regioni e relativamente all’atteggiamento che i signori ebbero di fronte agli avvenimenti. Quest’organizzazione, eredità dell’età antica e dell’età carolingia, mantenendo tutta la sua importanza vitale, in questo periodo non scomparve, ma trovò una duttile evoluzione. Pur nella varietà delle risposte che i signori seppero dare, la crisi economica non fece scomparire i signori, né le loro aziende; la signoria si trasformò, si adattò, ma sopravvisse, quando addirittura non si rinforzò. Spesso cambiò padrone. Questa fase di transizione provocò differenze regionali e locali della produzione e trasformazioni strutturali. Gli imprenditori agricoli, per gestire
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Capitolo cinquantacinquesimo
nizzazione dell’economia rurale, le proprietà allodiali (terre libere da vincoli signorili) di media grandezza ebbero sorte alterna: per un verso furono avvantaggiate dalla maggior disponibilità di terre e quindi le dimensioni delle aziende aumentarono, per un altro verso, essendo inserite nel mercato, soffrivano delle medesime oscillazioni delle aziende agricole signorili. Comunque disponevano di una notevole duttilità, che consentiva loro di assorbire meglio quanto accadeva. Per dedicarsi a colture più proficue, come vite e luppolo, o all’allevamento, i proprietari tentavano di impadronirsi delle strutture comunali della terra, venendosi a scontrare con la forte
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La campagna e la città
resistenza delle comunità rurali. I braccianti invece trassero giovamento dalla riduzione della popolazione; si stima che, intorno al 1400, la loro remunerazione si fosse stabilizzata ad un livello relativamente alto. Anche le condizioni giuridiche dei lavoratori dei campi subirono in questo periodo importanti trasformazioni. Nell’Italia dei comuni invece le condizioni dei contadini peggiorarono, poiché essi non godevano dei medesimi diritti dei cittadini. Nel cuore delle Alpi, alcune comunità montanare – organizzate su ampie strutture comunitarie di arativo, pascolo, bosco, economicamente sostenute dall’allevamento e dai pedaggi del traffico alpino – si sottrassero alle pretese dei signori e dettero origine a confederazio-
Monastero cisterciense di Heiligenkreuz. Vetrata con i membri della famiglia ducale di Babenberg (1290), che fu poi soppiantata dagli Asburgo.
Le opere di misericordia in un affresco della sala del Pellegrino nell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena.
Il mese di Giugno, Très Riches Heures du Duc de Berry, Chantilly, Musée Condé, ms 65, fol. 6v
Palazzo Castiglioni a Masnago (Varese), Sala dei vizi e delle virtù: la vanità.
nel Trecento europeo
ni realmente indipendenti. I passaggi di mano e di proprietà avvenivano con notevole rapidità, cosicché tali trasferimenti cominciavano ad essere legati a norme dettate dalla legislazione scritta e alle leggi del mercato, piuttosto che alle antiche ed immemorabili consuetudini. 2. Nelle città i sopravvissuti alla peste si trovarono in condizioni abbastanza favorevoli, poiché il diminuito prezzo del grano rendeva possibile un miglioramento dell’alimentazione. Il forte calo demografico portò tuttavia a modificare profondamente l’organizzazione del lavoro e del commercio; erano scomparsi numerosi artigiani, lavoratori specializzati, apprendisti e, con la diminuzione del numero degli artigiani, i successivi periodi della produzione artigianale dovettero fare i conti con la scarsità di mano d’opera. Basti fra tutte la notizia che, nel 1366, Firenze giunse ad autorizzare l’importazione di schiavi pagani. Se la peste aveva colpito gli uomini, aveva lasciato indenni i beni. La maggior disponibilità di ricchez-
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Capitolo cinquantacinquesimo
za non fu ripartita sull’insieme delle botteghe artigiane per contribuire alla loro generale ripresa, ma andò a vantaggio di quei settori mercantili che stavano procedendo da tempo alla conquista delle corporazioni. Fu privilegiata la produzione di beni di lusso, acquistabili da una clientela dotata di larga disponibilità finanziaria; infatti un numero relativamente ristretto di uomini aveva preso il sopravvento nelle città e nelle campagne europee, ed esercitava un forte dominio economico. Costoro, disponendo di una notevole quantità di ricchezza, orientavano la produzione ed i consumi. I tessuti, ad esempio, erano più lussuosi, più raffinati, di maggior pregio, ma assai più costosi. Il maggior prezzo compensava la caduta di produzione ed il vantaggio era per i commercianti, piuttosto che per i produttori-artigiani e i lavoratori. In questo quadro si colloca l’incremento della domanda della seta. In sintesi,
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Mantova, castello di San Giorgio (fine xiv secolo).
La campagna e la città
per utilizzare questa maggior ricchezza disponibile che affluiva verso le città a causa dello squilibrio tra l’aumento dei prezzi artigianali e la flessione del prezzo dei grani, si verificarono l’orientarsi della produzione artigianale verso i beni di lusso richiesti da un mercato più raffinato ed elitario e il conseguente dominio che veniva ad esercitare su di essa un numero ristretto di gruppi commerciali. La prosperità dell’economia urbana trecentesca quindi è, più che altro, un fenomeno abnorme di involuzione in chiave aristocratica dell’economia cittadina. Era una produzione destinata a pochi, che privilegiava pochi, e sfruttava una posizione di vantaggio assoluto rispetto all’economia rurale. Numerose furono anche le trasformazioni all’interno delle società urbane. In questo periodo le relazioni e i collegamenti fra città e campagna erano continui e fittissimi, la clientela rurale era un’importante componente anche delle grandi fiere; anzi, la città era il centro di distribuzione dei beni prodotti dal locale artigianato e dei beni d’importazione. Le diverse città si trovavano, secondo le regioni
cui appartenevano, in possesso di gradi differenti di perizia tecnologica. Si era di fronte a un mosaico di ambienti ed esperienze tale da rendere impossibile ogni generalizzazione. Le più significative attività imprenditoriali, come la bottega della lana – che necessitavano di una manodopera numerosa ed ingenti risorse finanziarie per l’acquisto delle materie prime ad esempio su mercati lontani –, erano nelle mani di mercanti imprenditori, che ne organizzavano il processo produttivo. Praticamente l’industria del xiv secolo estendeva il dominio della città sul contado, anche non immediatamente vicino. Il mercante, che dirigeva l’industria singolarmente o associato ad altri, deteneva il capitale, la strategia, il portafoglio degli ordini, spesso i macchinari, e curava l’approvvigionamento delle materie prime, era a capo di un sistema organizzativo,
Palazzo Borromeo a Milano, Il gioco dei tarocchi, nel salone d’onore, inizio xiv secolo.
nel Trecento europeo
non di una manifattura o di una fabbrica come diremmo oggi. Infatti i luoghi di produzione erano presso gli artigiani, che curavano le diverse fasi del processo produttivo. Una bottega della lana era anzitutto un ufficio, un negozio per la vendita al dettaglio. La struttura della fabbrica nascerà molto più tardi. Queste trasformazioni del processo produttivo fecero cambiare anche l’organizzazione delle arti, o gilde, o corporazioni. Vi fu uno svuotamento dall’interno che lasciava intatta la tradizionale forma giuridica, ma che la privava delle sue principali caratteristiche economiche e sociali: l’uguaglianza, la mutua solidarietà e lo spirito comunitario. Col tempo questi elementi originari divennero ricordo del passato e l’insieme corporativo venne assoggettato alla dinamica del profitto.
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56. Le relazioni tra Europa dal xii al xv secolo Le relazioni dell’Europa con l’Asia erano continuate, anche se in modo non omogeneo, lungo tutti i secoli del Medioevo. In particolare l’interesse per i traffici con l’Oriente – anche Estremo – era stata una costante ed una direttrice fondamentale della vita economica già dall’xi secolo, ma con maggior vigore dopo il xii. La Via della Seta era da tempo costituita e, grazie alla preponderanza dei Mongoli nel cuore dell’Asia che avevano imposto la pax tartarica, si erano aperte grandi possibilità per gli imperi coloniali genovesi e veneziani, che avevano le loro teste di ponte sul Mar Nero e nel Vicino Oriente. D’altra parte la realtà dei Mongoli aveva solide radici al di qua degli Urali nelle steppe dell’attuale Russia con la leggendaria Orda d’Oro.
290
Alessandria d’Egitto nell’immaginazione di Gentile e Giovanni Bellini, xv secolo: La predica di San Marco ad Alessandria, Milano, Pinacoteca di Brera.
e mondo
Ma il favorevole flusso dei traffici, favorito dai Mongoli che consentivano agli Europei di aggirare gli ostacoli dell’intermediazione del mondo islamico nelle relazioni con l’India e con l’Estremo Oriente, fu prima indebolito e poi spesso ostacolato lungo il xiv e il xv secolo dal rafforzarsi dei Turchi prima selgiuchidi poi ottomani in Asia Minore, in Mesopotamia e nel Vicino Oriente e dal rinnovarsi di una potenza musulmana in Egitto, prima con i Mamelucchi poi con gli stessi Ottomani. L’interesse per l’oceano Atlantico e per l’aggiramento dell’Asia nacque soprattutto da parte genovese a cavallo fra xiv e xv secolo. La contemporanea solidità che aveva acquisito il regno iberico del Portogallo, dopo aver terminato già da un secolo la completa riconquista, aveva reso i Lusitani particolarmente disponibili a questo disegno. Fu in quel frangente che il mondo africano, quello dell’attuale Zaire meridionale e dell’Angola settentrionale, ovvero l’antico reame del Congo, entrò in contatto con gli Europei. Durante uno dei tentativi di trovare un pertugio che aprisse
all’oceano Indiano, i Portoghesi di Diogo Cao risalirono il grande fiume zairese. Questo contesto di vivace ricerca di nuove vie di comunicazione con l’Oriente indiano ed Estremo avviò le scoperte geografiche, che furono rese possibili dall’evoluzione delle tecniche di navigazione e di costruzione delle navi.
Viaggiatori e scoperte Le origini delle grandi scoperte geografiche sono naturalmente molto varie e complesse: demografiche, poiché gli uomini dell’Europa occidentale cercavano nuove terre da col-
Navicula dei pellegrini, Augusta, 1511. Carta della Spagna, realizzata nel 1490 a Firenze da Henricus Metellus Germanus; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Inv. Nr. Cod. Cl xiii, 16.
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Capitolo cinquantaseiesimo
Le relazioni tra Europa e mondo dal xii al xv secolo
La carta illustra lo stato del mondo prima della scoperta dell’America alla fine del xv secolo.
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Unione di Kalmar (Norvegia, Svezia, Danimarca): 1397-1523 Principali vie di comunicazione Rotte dell’Oceano Indiano e del Pacifico
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Domini degli Asburgo Domini del re di Polonia (Jagelloni) Limite del mondo musulmano Impero romano germanico
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Capitolo cinquantaseiesimo
Le relazioni tra Europa e mondo dal xii al xv secolo
Via dei fratelli Polo Vie di Marco Polo
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il continente americano. Ma affermò sempre di essere andato nell’India orientale e fu un altro navigatore, il fiorentino Amerigo Vespucci, che prese coscienza dell’esistenza di questo nuovo continente e diede il proprio nome all’America.
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L’itinerario di Giovanni di Pian del Carpine verso la Mongolia.
I numeri accanto ai nomi di alcune località indicano l’anno della loro caduta in mano turca Rotte anseatich e Rotte euroasiatiche Vie terrestri euroasiatich e Vie carovaniere trans-saharian e
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Alessandria
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Pechino
Samarcanda Buhara
Malacca
Giappone
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La Via della Seta, ovvero il sistema delle comunicazioni dell’Eurasia fino all’inizio del xvi secolo, quando l’asse si spostò verso l’Atlantico settentrionale.
IMPERO
Costantinopoli
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Il tracciato dei viaggi dei fratelli Polo e di Marco Polo.
TURCHI
Sarai Venezia
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sta occidentale dell’India, a Calcutta: la strada delle spezie dell’India, direttamente dal mare, era stata scoperta. Durante questo periodo, il genovese Cristoforo Colombo formulò un progetto per andare in India dritto da ovest, sfruttando la rotondità della terra. Egli presentò il suo progetto al re del Portogallo, poi ai «re cattolici», Isabella di Castiglia e Ferdi nando di Aragona. Questo progetto fu accettato e, dopo uno scalo alle Canarie e una traversata di cinque settimane nell’ignoto, egli raggiunse non l’India, ma una piccola isola che chiamò San Salvador: aveva scoperto le Antille (che verranno chiamate «Indie Occidentali»). Colombo doveva effettuare altri tre viaggi, nel 1493, 1498 e 1502-1504 e scoprire allora
Oce
gione hanno adottato la caravella, buon veliero di poco peso, ma che non comportava nessun perfezionamento in rapporto alle conoscenze già acquisite da tempo. Le prime grandi spedizioni vennero organizzate dai re di Spagna e del Portogallo, sia direttamente per mezzo di loro capitani, sia attraverso marinai italiani al loro servizio: si è avuta così la scoperta delle isole dell’Atlantico (Canarie, Madera, Azzorre) poi della costa occidentale dell’Africa. Il principe portoghese Enrico il Navigatore mandò regolarmente piccole flotte di caravelle sempre più lontane, verso il Sud; altri viaggi furono organizzati sotto la guida di Italiani: i genovesi Antoniotto Usodimare e Antonio da Noli, il veneziano Luigi Cadamosto. Nel 1470 venne raggiunta la regione della Costa d’Avorio, qualche anno più tardi quella del Gabon. Infine, il portoghese Bartolomeo Diaz sorpassò, a Sud, il punto estremo dell’Africa, il Capo di Buona Speranza, nel 1487-88 e il suo compatriota Vasco da Gama navigò attraverso l’Oceano Indiano, verso est e, nel maggio del 1498, toccò la co-
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tivare; religiose, dipendenti dal desiderio di propagare la fede cristiana e di convertire popoli pagani, e infine economiche, per la volontà di trovare miniere d’oro e raggiungere Paesi lontani dell’Asia, nell’India o in Cina senza passare attraverso le terre dei musulmani. Per questo si pensava senza sosta a nuove strade. Noi sappiamo infatti che Marco Polo andò in Cina passando dall’Asia centrale, a nord dei Paesi musulmani. Per le rotte marittime, che potevano condurre in India o in Cina, si pensava occorresse fare il giro dell’Africa, costeggiandola; oppure lanciarsi direttamente verso ovest, attraverso l’Atlantico, facendo così il giro della terra (era da tempo che si sapeva che la terra è rotonda). Per tali scoperte marittime i capitani hanno utilizzato imbarcazioni a vela, naturalmente. Non era comunque necessario far ricorso alle grosse navi; occorrevano piuttosto imbarcazioni di piccole dimensioni, molto maneggevoli, capaci di navigare in basse profondità, di costeggiare e di esplorare le rive tra gli scogli, di risalire gli estuari e i fiumi. Per questa ra-
57. Dal Quattrocento al Cinquecento: verso una nuova era Il 1492 segna la fine “ufficiale” dell’Età di Mezzo. Ci si trova nella necessità di comprendere che cosa sia continuato, che cosa sia rimasto e che cosa sia cambiato da quell’anno, in quegli anni. Infatti, che cosa giustifica il sancire il passaggio ad una nuova età? C’è da chiedersi se sia soltanto una scelta compiuta da alcuni storici, e che altri storici hanno accettato e altri hanno messo in discussione. Ma sulla base di quali dati di fatto? Certamente il xv secolo era stato ricco di permanenze, soprattutto sociali ed economiche, e di novità, soprattutto politiche e culturali. Il fluire degli eventi fa emergere profondi elementi di continuità e fattori di novità – magari semplici indizi –, che si rilevano nelle situazioni e nelle circostanze del nuovo secolo e del nuovo tempo chiamato moderno. Questo
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Jan van Eyck, particolare dalla Madonna del cancelliere Rolin, Parigi, Louvre.
tempo, assai diverso dal precedente nei suoi esiti conclusivi, fu in realtà il frutto della continuazione del processo in atto da circa due secoli, se si osservano certi ceti sociali e gli indicatori antropologici; da un minor numero di anni, se si osservano gli indicatori politico-giuridici; forse non ancora iniziato, se si considerano certi indicatori economico-sociali e in galoppante trasformazione, se ne guardiamo altri ancora. Secolo ricchissimo di uomini e denso di eventi, il Cinquecento metterà in circolazione nuove risorse, fino ad allora confinate entro le diverse regioni dei diversi continenti della Terra, e sarà un secolo contraddittorio, spinto da forze laceranti, ma anche proteso a nuove sintesi. In questo secolo l’Europa nel suo complesso trovò una larga e aggressiva energia d’espansione attraverso gli oceani, imponendo in modo coloniale la sua forza politica, economica e culturale. Il nostro continente, proprio nel momento in cui si aprirà – con vigore, energia e violenza – verso l’esterno, improvvisamente si scoprirà diviso e lacerato nella sua più profonda co-
scienza, nel suo fattore di unità da oltre un millennio: il fatto cristiano. Quest’importante momento di coesione, infatti, che ha nell’unità fra i credenti uno degli elementi di sostanziale identificazione, non era più soltanto scosso da scismi, com’era avvenuto col mondo bizantino oppure nel xiv secolo all’interno dello stesso Occidente, ma si trovava diviso sui propri fondamenti nel nome della fede. Il passaggio verso più moderne forme di stato pose poi la necessità di definire con esattezza i confini fra i diversi territori: era l’evoluzione dalla fluidità delle vicende territoriali consentita dalla concezione feudale dello Stato – quando interessava il riconoscimento dell’autorità eminente di imperatore,
re o prìncipi da parte di signori o città –. Un’altra conseguenza delle evoluzioni politico-giuridiche fu il far valere, da parte delle case regnanti, i diritti dinastici ovunque fosse possibile ed il costruire, con oculate politiche matrimoniali, nuove condizioni che consentissero estensioni od accorpamenti territoriali. L’inevitabile conseguenza di ciò fu un impressionante sviluppo delle azioni militari, mentre i conflitti assumevano un nuovo e più sanguinoso volto. Se nei primi decenni del Quattrocento era cambiato lo scenario politico e sociale, c’erano tuttavia delle solide permanenze. L’Impero germanico era in fase di rilancio con gli Asburgo. Spagna e Portogallo costruivano le loro fortune d’oltremare e i regni dinastico-territoriali facevano i loro decisi passi verso una più spregiudicata pratica del potere e verso
Beato Angelico, Consegna a Lorenzo dei beni della Chiesa, particolare, affresco, Cappella Nicolina, Città del Vaticano. Beato Angelico, Elemosina di san Lorenzo, ibidem.
Antonello da Messina, Ritratto di uomo in nero, Lugano, Collezione Thyssen-Bornemisza.
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una nuova organizzazione istituzionale. L’Impero ottomano veniva a essere, a suo modo, non soltanto potenza mediterranea, bensì anche europea – così l’Islam rientrava nell’Europa orientale, mentre era scacciato da quella occidentale. In Italia tra le potenze dinastiche europee avveniva lo scontro per il controllo politico e territoriale delle maggiori realtà culturali ed economiche del tempo, che nella penisola prosperavano diffondendosi verso il resto dell’Europa e verso il Mediterraneo e l’Oriente. Anche sulla via della circumnavigazione africana e delle Indie occidentali i mercanti, soprattutto genovesi, erano numerosi ed attivi in Portogallo e in Andalusia; Siviglia
Ritratto di re Ferdinando il Cattolico (1500), Vienna, Kunsthistorisches Museum, Inv. 830.
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Mappa itineraria europea, di Martin Waldseemueller, 1520, xilografia in quattro parti riportata su tela, Innsbruck, Tiroler Landesmuseum, Ferdinandeum.
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era uno scalo ben collocato fra l’Italia e la Fiandra, ed i Genovesi vi si erano stabiliti diventando i quadri imprenditoriali e finanziari del regno lusitano. Di là controlleranno i flussi provenienti dal Nuovo Mondo. America in testa. Il nuovo mondo era preda degli Europei, ma ciò che vi proveniva scuoteva gli Europei cambiandone spesso azioni e comportamenti – anche quotidiani –, con l’arrivo di nuove colture agricole e di un flusso incalcolabile di ricchezze, che avrebbero provocato un’inflazione di notevole rilievo, forse la prima grande e conosciuta della storia economica, la cosiddetta «rivoluzione dei prezzi». Le potenze europee, sempre più aggressive, si pensavano ormai su scala mondiale e coloniale.
Ritratto di Isabella la Cattolica (1500), Madrid, Palacio Real, Patrimonio Nacional. Libro de Constituciones Catalanas, 1495, Pergamena, Barcellona, Archivo de la Corona de Aragon, Incunable 49.
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C’è da chiedersi quali e quanti centri affettivi muovessero la vita dell’uomo dei primi decenni del Cinquecento, che cosa stesse cambiando nella vita della gente, quali valori determinassero l’autocoscienza degli uomini e delle donne. Erano anni della storia dove, sul piano militare, si richiedevano sem-
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La cartina illustra la diffusione dell’Umanesimo e del Rinascimento fra i secoli xv e xvi.
A
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che stava cambiando qualcosa. Lungo il Quattrocento s’era operata infatti una trasformazione della mentalità delle classi dirigenti: riuscire, costi quel che costi, pare fosse l’obiettivo di ogni individuo che cercasse la fortuna politica, la gloria militare, come quella artistica, letteraria o economica. Il tempo del mercante spesso si paganizzava, come le risorse dei principi e dei condottieri.
Upsala
Aberdeen St. Andrews Glasgow
Armatura da cavaliere, probabilmente per Massimiliano i (1459-1519), Vienna, Kunsthistorisches Museum. Scene di corte a Ferrara, di Ercole de’ Roberti, Palazzo Schifanoia.
Dublino
Copenaghen Vilnius
Rostock
Cambridge
Königsberg Franeker Greifswald Deventer Brünswick Leida Francoforte sull’Oder Anversa Wittenberg Bruxelles Lovanio Lipsia Eltville Marburgo Rouen Caen Dresda Erfurt Jena Magonza Parigi Praga Friburgo Heidelberg Nantes Cracovia Orléans Norimberga Strasburgo Bourges Ingolstadt Tubinga Vienna Poitiers Melk Dole Basilea Presburgo Mantova Buda Pest Bordeaux Lione Spittal Ginevra Pavia Verona Graz Milano Vicenza Grenoble Fünfkirchen León Tolosa Venezia Valence Orange Torino Padova Montpellier Valladolid Perpignano Ferrara Avignone Bologna Coimbra Salamanca Saragozza Firenze Lerida Aix-en-Prov. Pisa Arezzo Madrid Alcalá Genova Siena Perugia Piacenza de Henares Toledo Barcellona Oxford
O c e a n o Lisbona
pre più uomini da impiegarsi in azioni belliche sanguinose, che risucchiavano risorse finanziarie sempre più ingenti. Ed infatti se, alla fine del Quattrocento, Savonarola aveva reagito con vigore da capo riformatore al processo di espulsione del popolo dalla vita cittadina esprimendo l’insoddisfazione antioligarchica di una rilevante parte della cittadinanza, o se Machiavelli, sfortunato segretario della sfortunata repubblica fiorentina, poteva osservare e riconoscere una pratica del potere svincolata dalla morale, significava probabilmente
Londra
Roma
Valencia Siviglia
Napoli Mar Me diter
Centri e scuole umanistiche Testimonianze di architettura rinascimentale Diffusione dell’arte rinascimentale Università
rane
Salerno
Bari
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Catania
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Un grande pittore veneziano, Giovanni Bellini, nella cui bottega transitano artisti italiani, fiamminghi e tedeschi, dipinge nel 1505 la Madonna del prato, Londra, National Gallery.
Da destra: Codice Vaticano Urbinate Lat. 10, fol. 175r, Evangeliario di Guglielmo Guraldi e Franco de’ Russi; pagina dal De Sphaera, Modena, Biblioteca Estense, Lat. 209, fol. 11r. Il Trionfo del tempo di Jacopo del Sellaio (1442-1493), dipinto verso la fine del Quattrocento, mostra l’apprensione neopagana per il tempo sotto la forma del vegliardo che regge la clessidra e trionfa su tutto e sta sopra tutto: sulla gioventù, sulla bellezza, sulla forza.
Francesco di Giorgio Martini, architetto che opera alla corte urbinate di Federico da Montefeltro, si dedica alle nuove forme di fortificazione richieste dal nuovo modo di combattere: il castello di Sassocorvaro, nei pressi di Urbino (Marche).
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Gérard David, Dittico della giustizia di Cambise, 1498, Bruges, Groeninge Museum. Particolare in alto a sinistra della prima tavola.
Andrea Mantegna, La corte dei Gonzaga, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi, dipinta fra il 1465 e il 1474. Questo indiscusso e precoce protagonista del rinnovamento rinascimentale in tutta l’Italia settentrionale ci apre al tema della famiglia dinastica e della sua corte, che trasforma radicalmente le città-stato medievali italiane e le conduce verso le nuove forme dell’Antico Regime. Le dinastie monarchiche e principesche sono già un nuovo aspetto delle forme del potere. Maria di Borgogna (1457-1482), figlia di Carlo il Temerario, moglie di Massimiliano i d’Asburgo, imperatore dal 1472 al 1510, in un ritratto di Michael Pacher, Kreuzlinger, Collezione Kister. Hugo van der Goes, Trittico Portinari, 1473-1482 ca., particolare dell’Adorazione di Gesù Bambino da parte dei pastori. Tommaso Portinari (1428-1501) fu banchiere fiorentino attivo a Bruges come direttore della banca dei Medici e fu finanziatore del duca Carlo il Temerario di Borgogna. L’influsso rinascimentale italiano in un palazzo principesco spagnolo: il palazzo di Collogudo, Guadalajara, costruito intorno al 1492-1495 dal primo duca di Medinaceli. Non presenta il minimo elemento di difesa e fu concepito come palazzo urbano..
Hanno contribuito a questo volume
Patrizio Alborghetti, Inos Biffi, Averil Cameron, Roberto Cassanelli, Giovanni Ceccarelli, Edoardo Demo, Claudio Fiocchi, Jacques Heers, Juan María Laboa, Fernando e Gioia Lanzi, Stefano Maria Malaspina, Costante Marabelli, Enrico Menestò, Giuliano Milani, Roberto Mussapi, Marco Navoni, Lorenzo Paolini, Michel Rouche, Stefano Simonetta, Claudio Stercal, Augusto Vasina, Claudia Villa, Chris Wickham.