La musica nel Medioevo. Atlante storico - Jaca Book - estratto

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Giacomo Baroffio, Frédéric Billiet, Christopher Bonfield, Susan Boynton, Anna Maria Busse Berger, Mauro Casadei Turroni Monti, Christelle Cazaux-Kowalski, Ettore Cirillo, Martine Clouzot, Paola Dessì, Margot E. Fassler, Riccardo Fedriga, Elena Ferrari Barassi, Manuel Pedro Ferreira, Alessandra Fiori, Jean-Marie Fritz, F. Alberto Gallo, Paweł Gancarczyk, Emmanouil Giannopoulos, Paolo Gozza, Nicoletta Guidobaldi, David Hiley, Sofia Lannutti, Elizabeth Eva Leach, Silvia Lusuardi Siena, Pieter Mannaerts, Sandra Martani, Francesco Martellotta, Vera Minazzi, Neil Moran, Alan V. Murray, Elisabetta Neri, Massimo Parodi, Nils Holger Petersen, Alejandro Planchart, Susan Rankin, Donatella Restani, Stefania Roncroffi, Cesarino Ruini, Tilman Seebass, Dorit Tanay, Christian Troelsgård, Anne Walters Robertson, Vasco Zara, Sławomira Zeranska-Kominek

ATLANTE STORICO DELLA MUSICA NEL MEDIOEVO Progetto editoriale di VERA MINAZZI A cura di VERA MINAZZI e CESARINO RUINI Introduzione e conclusioni di F. ALBERTO GALLO


INDICE

EDITORIALE, Vera Minazzi

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INTRODUZIONE, F. Alberto Gallo

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I. IL MEDITERRANEO TARDOANTICO I,1. I PRIMI SIMBOLI MUSICALI CRISTIANI, Donatella Restani I,2. PRIME FORME DI CANTO CRISTIANO, Giacomo Baroffio

10 12 20

I,3. LA BASILICA PALEOCRISTIANA E LA TRANSIZIONE DALLA LITURGIA «PARLATA» ALLA LITURGIA «CANTATA»,

Ettore Cirillo e Francesco Martellotta I,4. L’EREDITÀ GRECO-LATINA NEL PENSIERO MUSICALE MEDIEVALE, Paolo Gozza I,5. PER VOCE SOLA. LO IUBILUS E IL CANTO SENZA PAROLE, Riccardo Fedriga

II. TRA ORIENTE E OCCIDENTE: DUE TRADIZIONI SI FORMANO II,1. IMMAGINE E REALTÀ, Tilman Seebass II,2. I «DIALETTI» DEL CANTO GREGORIANO, Christelle Cazaux-Kowalski II,3. IL CONCETTO DI MUSICOLOGIA: BOEZIO, Paolo Gozza II,4. AGOSTINO. LA MUSICA, I NUMERI E LA RELAZIONE, Massimo Parodi II,5. CANTO LITURGICO E POLITICA IMPERIALE CAROLINGIA, Cesarino Ruini II,6. LA NASCITA DELLA SCRITTURA MUSICALE, Mauro Casadei Turroni Monti II 7. ICONOGRAFIA MUSICALE BIZANTINA, Tilman Seebass II,8. CANTARE LA PAROLA: LA CANTILLAZIONE DELLE SACRE SCRITTURE, Sandra Martani II,9. CANTORI BIZANTINI: L’ARCHETIPO DEL CORO DI ANGELI, Neil Moran II,10. BISANZIO ALLE PORTE DI ROMA, Sandra Martani II,11. LA PAROLA E L’INEFFABILE: L’ARTE PSALTICA, Sandra Martani II,12. IL SIMANDRO, UNO «STRUMENTO» DEI MONASTERI BIZANTINI, Emmanouil Giannopoulos II,13. I TRATTATI BIZANTINI DI TEORIA MUSICALE, Christian Troelsgård

III. L’EUROPA DEL ROMANICO, DEL GOTICO E DEL GREGORIANO III,1. A SCUOLA DI MUSICA: UNA TEORIA PER LA PRATICA, Cesarino Ruini III,2. MEMORIZZAZIONE DEL CANTO GREGORIANO, Anna Maria Busse Berger III,3. IL RUOLO DEI BENEDETTINI, Giacomo Baroffio III,4. LE CHIESE ROMANICHE, «CULLE» DEL CANTO GREGORIANO, Ettore Cirillo e Francesco Martellotta III,5. MUSICA, LITURGIA E SPAZIO ARCHITETTONICO: L’ESEMPIO DELLA CATTEDRALE DI CHARTRES, Margot E. Fassler III,6. ARCHITETTURA E MUSICA: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO, Vasco Zara III,7. VOCES: VOCE DELL’UOMO, VOCE DELLA NATURA, Jean-Marie Fritz III,8. GIOVANI CANTORI NEI MONASTERI E NELLE CATTEDRALI, Susan Boynton III,9. MUSICA E LITURGIA NEI MONASTERI FEMMINILI, Stefania Roncroffi III,10. LA MUSICA NELLE ILLUSTRAZIONI DEI MANOSCRITTI, Tilman Seebass III,11. «CANTATE, EXULTATE, JUBILATE, PSALLITE»: TROPI E SEQUENZE, David Hiley III,12. CANTO GREGORIANO E CULTO DEI SANTI, Stefania Roncroffi III,13. LE HISTORIAE NEI PAESI BASSI, Pieter Mannaerts III,14. SCULTURA, AFFRESCHI, ARTI MINORI, Tilman Seebass

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INDICE

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III,15. LA SCOLASTICA E LA MUSICA, Paolo Gozza III,17. LE «ARMONIE CELESTI» DELLE CATTEDRALI GOTICHE, Ettore Cirillo e Francesco Martellotta

130 132 136

IV. LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA MEDIEVALE

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III,16. ARCHITETTURA E MUSICA: ORDO, PONDUS ET MENSURA, Vasco Zara

IV,1. CONCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEL SUONO NEL MEDIOEVO: DALL’UDITO AL PAESAGGIO SONORO, Jean-Marie Fritz IV,2. LITURGIA NELLA CITTÀ. MUSICA NELLA CITTÀ, Nils Holger Petersen IV,3. LA MUSICA COME STRUMENTO DRAMMATICO: IL DRAMMA LITURGICO, Susan Rankin IV,4. MUSICA PER LA «FESTA DEI FOLLI»: MUSICA E DIVERTIMENTO, Frédéric Billiet IV,5. IL GIULLARE: UN OGGETTO CULTURALE DEL MEDIOEVO, Martine Clouzot IV,6. I TROVATORI: LA MUSICA NEL REPERTORIO LIRICO ROMANZO, Sofia Lannutti IV,7. LE CANTIGAS DE SANTA MARÍA, Manuel Pedro Ferreira IV,8. L’ORDINE TEUTONICO E LA MUSICA, Paweł Gancarczyk IV,9. MUSICA E GUERRA, Alan V. Murray IV,10. IL GIARDINO D’AMORE, Sławomira Zeranska-Kominek IV,11. MUSICOTERAPIA E MEDICINA MEDIEVALE, Christopher Bonfield IV,12. IL SUONO DELLA SALUTE? MUSICA LITURGICA E OSPEDALI, Christopher Bonfield IV,13. MALATTIA E SALUTE IN ILDEGARDA DI BINGEN, Margot E. Fassler IV,14. LE IMMAGINI DEI MUSICISTI, Martine Clouzot IV,15. LA MATERIA PRIMA SONORA: GLI STRUMENTI MUSICALI, Elena Ferrari Barassi IV,16. INTERMEZZO: LE MUSICHE SENZA NOTE, F. Alberto Gallo IV,17. IL SACRO E IL PROFANO NELLA PRODUZIONE DI CAMPANE, Silvia Lusuardi Siena ed Elisabetta Neri IV,18. IL SUONO DELLE CAMPANE NELLO SPAZIO MEDIEVALE, Vera Minazzi

V. L’EUROPA POLIFONICA V,1. LE POLIFONIE SEMPLICI, Paola Dessì V,2. LA RICOSTRUZIONE DELL’ABBAZIA DI SAINT-DENIS: ASPETTI MUSICALI, RITUALI E POLITICI, Anne Walters Robertson V,3. EVOLUZIONE DELLA SCRITTURA MUSICALE, Mauro Casadei Turroni Monti V,4. L’ORGANUM A NOTRE-DAME-DE-PARIS E NEGLI ALTRI PAESI, Alejandro Planchart

142 146 150 154 160 164 168 170 174 178 182 186 190 194 198 208 210 214

218 220 224 228 232

V,5. TRA ORALITÀ E SCRITTURA: IL PROCESSO COMPOSITIVO DELLA POLIFONIA A NOTRE-DAME,

Anna Maria Busse Berger

V,12. L’ITALIA DELL’ARS NOVA, Alessandra Fiori

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RISCOPERTA E «INVENZIONE» DELL’ANTICHITÀ NELL’IMMAGINARIO MUSICALE UMANISTICO, Nicoletta Guidobaldi

260

L’EREDITÀ DELLA MUSICA MEDIEVALE. CONCLUSIONI, F. Alberto Gallo

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NOTE E BIBLIO-DISCOGRAFIA

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

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V,6. L’ARS NOVA FRANCESE, Elizabeth Eva Leach V,7. GUILLAUME DE MACHAUT A REIMS, Anne Walters Robertson V,8. ARCHITETTURA E MUSICA: ANALOGIE FRA PROCESSI COMPOSITIVI E ARCHITETTURA, Vasco Zara V,9. IL CONTESTO INTELLETTUALE DELLA NOTAZIONE RITMICA, Dorit Tanay V,10. MUSICA, CANTO DEGLI UCCELLI, NATURA, Elizabeth Eva Leach V,11. VERSO EST, LA POLIFONIA IN POLONIA, Paweł Gancarczyk

6 INDICE


III,6. ARCHITETTURA E MUSICA: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO Vasco Zara

Le corrispondenze tra architettura e musica non si esauriscono nel solo retaggio acustico o matematico-speculativo. Architettura è anche decorum, rivestimento scultoreo, disposizione e distribuzione spaziale che sottintendono un ritmo, un percorso, senza che questi divenga necessariamente cerimonia. Un’immagine il cui significato si dispiega allora quale speculum in ænigmate. In questo senso, il rapporto analogico tra suono e pietra si risolve in linguaggio simbolico: Singende Steine – pietre che cantano. «Che vengono a fare nei vostri chiostri, dove i religiosi si dedicano alle sacre letture, quei mostri grotteschi, quelle straordinarie bellezze deformi e quelle belle deformità?», tuona san Bernardo nella celebre Apologia ad Guillelmum abbatem. Rimemorano al monaco in preghiera il salmodiare che dovrebbe condurlo alla meditazione e alla comunione. «Cosa significano scimmie immonde, leoni feroci, bizzarri centauri mezzi uomini?». Al pari d’altri esseri fantastici, sono suoni scolpiti nella roccia, note di una melodia il cui ritmo è cadenzato dal passo della preghiera. Questa almeno l’interpretazione dei capitelli delle doppie colon-

ne che circondano i chiostri romanici delle abbazie benedettine di Sant Cugat del Vallès e Gerona, nel Nord della Spagna, capitelli la cui successione adombra il canto dell’inno Quod chorus al santo martire Cacufane, patrono di Cugat, e alla Mater dolorosa protettrice di Gerona. Ipotesi suggestiva, che sembra dare risposte inattese, inedite e sorprendenti al monito del fondatore di Clairvaux. Smentita però nelle sue premesse scientifiche da un fragile quanto improbabile comparativismo, capace di trasformare un gallo ed un leone in una tigre e l’aquila in un elefante, al fine di rispettare le ferine corrispondenze sonore di due remoti – per distanza e cultura – trattati musicali: il Sangita-ratnakara di Sarngadeva e il Naradasiksa, capostipiti della più raffinata teoria musicale indiana, ove effettivamente si illustrano i precetti semantici che sovrintendono all’antropoformismo sonoro. Ma i processi analogici, per quanto profondi, non possono estendersi ad infinitum verso un universalismo privo di conferme, empiriche o documentali che siano. Il rischio non è quello di invalidare una teoria, quanto piuttosto l’abbandono d’ogni seguito possibile, se alla radice patentemente insostenibile. 2

1. Capitello della torre-portico di Saint-Benoît-sur-Loire, in Francia. Leoni con personaggio al centro. La sproporzione tra le belve, per altro pacifiche, e la persona conferma la duttilità del romanico nel riportare la varietà della creazione sia vegetale che animale all’interno dei luoghi di culto.

Sant Cugat del Vallès, monastero romanico nei pressi di Barcellona, è noto per il suo chiostro con coppie di colonne, una verso l’esterno (giardino) una verso l’interno (porticato). Il costruttore e scultore del portico è Arnau Cadell che fu al monastero tra il 1204 e il 1207. La numerazione dei capitelli qui riportata è quella proposta da Marius Schneider nell’opera Singende Steine. A partire da questa numerazione, connessa all’orientamento del chiostro, e dalla lettura delle sculture dei capitelli, Schneider svolge la sua interpretazione che porta ad una esplicitazione musicale dei capitelli: ad ogni animale (P=Pavone; L=Leone; B=Bue; ecc.) Schneider fa corrispondere una nota dal valore di croma. Il pentagramma a corrisponde ai capitelli scolpiti, b-c-d-e-f corrispondono a varianti del canto secondo diversi manoscritti, mentre c ne sarebbe il modello tipo, sorta di Ursatz primigenia scaturita dal paragone, e da cui le altre discenderebbero. Tale approccio metodologico, smentito dalla ricerche sulla trasmissione e l’insegnamento orale del canto, è oggi seriamente messo in discussione dagli studiosi. Riportiamo qui l’esempio dell’esplicitazione musicale schneideriana per il lato nord del chiostro. (Rielaborazioni grafiche da Marius Schneider, Singende Steine: Rhythmus-Studien an drei katalanischen Kreuzgängen romanischen Stils, Bärenreiter-Verlag, Kassel 1955).

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b

a

ore 20

ore 22 61 60 59 58 57 56

unn o( SUD estate) no)

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ore 12

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ore 8

ore 6

ore 10

Motivo ornamentale Pavone Bue Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Bue Motivo ornamentale Motivo ornamentale Pavone Motivo ornamentale Motivo ornamentale Leone che vince il bue Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Aquila con lepre tra gli artigli Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Leoni Motivo ornamentale Motivo ornamentale Uccelli rapaci Animale fantastico Motivo ornamentale Motivo ornamentale Pavone Motivo ornamentale Pavone Uccelli canterini Uccelli canterini Animale fantastico (toro?) Motivo ornamentale Motivo ornamentale Pavone Motivo ornamentale Motivo ornamentale Centauro segue buoi Animale fantastico divora uomini Pavone Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Scene bibliche Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Pavone Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale Motivo ornamentale

ate

Lavori del bottaio

ESTERNO 1 Pavone (Caccia) 2 Pavone 3 Lotta 4 Boscaiolo 5 Sirene 6 Il ricco malvagio 7 Cavaliere che uccide i leoni 8 Pavone 9 (Lotta) 10 Caccia e salvataggio del boscaiolo 11 Motivo ornamentale 12 Motivo ornamentale 13 Scena claustrale 14 Motivo ornamentale 15 Scena claustrale 16 Motivo ornamentale 17 Animale fantastico 18 Pavone 19 Motivo ornamentale 20 Pavone 21 Motivo ornamentale 22 Pavone 23 Motivo ornamentale 24 Leoni 25 Motivo ornamentale 26 Costruzione di un chiostro 27 Motivo ornamentale 28 Giovani aquile 29 Giovani aquile 30 Animale fantastico 31 Pavone 32 Gallo 33 Animale fantastico 34 Motivo ornamentale 35 Lotta 36 Danza dei giullari 37 Pavone 38 Pavone 39 (Lotta?) 40 Scene bibliche 41 Scene bibliche 42 Scene bibliche 43 Leoni e cavalieri 44 Scene bibliche 45 Scene bibliche 46 Scene bibliche 47 Scene bibliche 48 Scene bibliche 49 Pavone 50 Pavone 51 Scene bibliche 52 Scene bibliche 53 Scene bibliche 54 Scene bibliche 55 Pavone 56 Motivo ornamentale 57 Scene bibliche 58 Scene bibliche 59 Scene bibliche 60 Scene bibliche 61 Pavone 62 Lotta 63 Motivo ornamentale 64 Motivo ornamentale 65 Motivo ornamentale 66 Pavone 67 Pecora 68 Lotta 69 Motivo ornamentale 70 Motivo ornamentale 71 Lotta 72 Leone vinto

Est

INTERNO

III,14.4

c

a. Scena biblica: Adorazione dei Magi. b. Scena biblica: Virtù con scudo che abbatte un Vizio. c. Leone che vince il bue.

68 69 70 71 72 1 2 3 4 5 6 7

ore 24

ore 2

ore 4


3a

3b

3d

Il modello esplicito di riferimento è tuttavia privo di simili ambiguità: il deambulatorio di Cluny III. Evidentemente, non solo la scientia, ma pure l’ars musica assunse un ruolo referenziale di primo piano nell’elaborazione cultuale cluniacense. Tra i capitelli che ornavano il coro dell’ecclesia maior, almeno due (ma solo IV,15.8 uno è giunto integro) presentano su ciascuna faccia otto figure, maschili e femminili, di jongleurs accompagnati da cartigli affeIII,1. renti gli otto modi musicali: 1-2 1. Hic tonus orditur modulamina musica primus 2. Subsequitur ptongus numero vel lege secundus 3. Tertius impingit Christumque resurgere fingit 4. Succedit quartus simulans in carmine planctus 5. Ostendit quintus quam sit quisquis tumet imus 6. Si cupis affectum pietatis respice sextum 7. Insinuat flatum cum donis septimus almum 8. Octavus sanctos omnes docet esse beatos

98 III,6. ARCHITETTURA E MUSICA: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

3c


3. Negli anni ’80 dopo il Mille la chiesa di Cluny, divenuta il luogo di maggiore richiamo monastico ed anche ecclesiale della cristianità, 5 si dimostrava troppo piccola per l’affluenza. L’abate Ugo, in carica da quarant’anni, nel 1088 intraprese la nuova costruzione (Cluny III). I lavori si svolsero subito in modo organizzato e ad un tempo frenetico. Già nel 1095 papa Urbano II consacrava alcuni altari, tra cui l’altare maggiore nel coro, e la parte absidale fino al transetto era quasi completa. La chiesa di Cluny era parzialmente funzionante. Il pieno funzionamento ci fu nel 1121, infatti fu abbattuta la navata maggiore della vecchia chiesa; nel 1131, dopo un crollo nel 1125, papa Innocenzo III celebrava la consacrazione definitiva. Cluny, che con il corpo anteriore raggiunse i 187 m, era la più alta e vasta chiesa della cristianità, maggiore della stessa basilica imperiale di Spira; sarà superata in dimensioni solo dal San Pietro rinascimentale e barocco. Cluny si opponeva a Spira, simbolo del potere imperiale, e la sua potenza non era solo ecclesiale, ma anche politica. Fu una reale sorgente di influenza delle arti e in particolare della scultura. Poco ci è rimasto, come spiega Liana Castelfranchi, ma di grande importanza: «L’unico frammentario capolavoro rimastoci, alcuni capitelli del coro, ci fa intuire il livello culturale cui doveva ispirarsi la grande decorazione scultorea. Il programma iconografico dei capitelli del coro si ispirava al principio quaternario che nella cultura teologica regolava l’universo intero e che qui si applicava, tra l’altro, agli otto toni della musica gregoriana: un’iconografia dunque coltissima e resa con grande eleganza nel rapporto continuo tra delicate figure e il fragile fogliame del capitello corinzio».

III,16.

3a. Cluny III; capitello, I modo. 3b. Cluny III; capitello, II modo. 3c. Cluny III; capitello, III modo. 3d. Cluny III; capitello, IV modo. 4. Miniatura dal Tonario d’Auch, donna che danza. L’immagine del Tonario d’Auch (1000-1050) è caratterizzata dalla leggerezza della figura che sembra sollevarsi da terra mentre danza. Non si può non ricordarsi di tale immagine quando si è di fronte al capitello dell’abside di Cluny III (1095 ca.) dedicato al IV tono (vedi 3d). Anche qui una figura sembra librarsi nell’aria. Una stessa iconografia sembra così confermarsi nel corso del secolo. Ms. Lat. 1118, f. 114, Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

Scartata la possibilità d’una relazione mimetica tra figuræ, tituli ed ethos dei modi – in ragione della posizione del semitono nella gamma il modo di Re risuonerebbe ad esempio con indole marziale, mentre quello di Mi d’un più funebre lamento, senonché le equivalenze umorali variano e si contraddicono nel tempo a seconda del contesto di produzione –, l’attenzione si è posta sulla modernità delle scelte lapicide e sui possibili modelli di riferimento pittorici e letterari. Sebbene infatti musici e danzatori non fossero ammessi quale parte attiva all’interno del rito liturgico, proprio a partire dal XII secolo aumentano le riproduzioni miniate di strumentisti e giocolieri all’interno di codici musicali, come il Tonario d’Auch. Si è speculato poi sull’eventualità di un rapporto visivo gerarchico, latente nelle posizioni (I modo: figura seduta > II modo: figura in piedi), nel genere (I modo: maschile > II modo: femminile), nello strumento (I modo: monocordo speculativo > II modo: danza profana) e nel segno (III modo: resurrezione divina, si suona la lira del Cristo-Orfeo > IV modo: esequie mortali, il monaco porta il tintinnabulum che I,1.11 apriva le processioni funebri). Infine, si è ipotizzato che l’intero programma scultoreo, non limitato ai soli capitelli in questione ma considerato nella sua totalità, trasformi a Cluny III il deambulatorium Angelorum che è il coro d’ogni edificio sacro in uno specchio armonico del cosmo, tripartito secondo l’insegnamento boeziano in: musica mundana (tramite i capitelli raffiguranti le quattro stagioni, i quattro fiumi del paradiso, i quattro elementi), humana (con le rappresentazioni del Quadrivio, delle virtù cardinali, dei quattro umori) ed instrumentalis (gli otto modi del cantus planus). Medio termine tra i due esempi sopra riportati: Castel del Monte, il palazzo reale a pianta ottagonale voluto da Federico II di Svevia attorno al 1240. Plurimi e specifici fattori contestuali – l’applicazione ossessiva della forma ottagonale; l’indefinita destinazione d’uso di un edificio che castello non è, privo dei requisiti tanto militari (non v’è sistema di difesa), quanto regali (nessuna

5 4 III,2.2

5. Pianta di Castel del Monte ad Andria, in Puglia.

III,6. ARCHITETTURA E MUSICA: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

99


III,7. VOCES: VOCE DELL’UOMO, VOCE DELLA NATURA Jean-Marie Fritz

1

In latino il termine voces ha un’accezione ben più ampia della nozione moderna di voce; si applica infatti sia alla voce umana sia al suono di uno strumento, come il corno, le grida degli animali o il rumore degli elementi naturali. Nel Medioevo la voce è strettamente legata al soffio (e dunque al concetto latino di anima, nel senso di spiritus) e comprende pertanto ogni tipo di suono (grida, parole o canti) emessi da un essere vivente (latino animal) o anche dal vento che agita gli alberi. Come differenziare allora la voce degli animali da quella umana? La questione interessa la zoologia come la grammatica e la logica; la fantasia letteraria e il mito, dal canto loro, si dilettano nel confondere i percorsi, immaginando animali dotati di voce umana, come le sirene. Nel suo trattato Ars grammatica, Donato (IV secolo) distingue due tipi di voce – articolata (articulata) e confusa (confusa) – in base all’unico criterio della trascrivibilità: solo la voce articolata può essere scritta1. Nelle sue Institutiones, Prisciano (VI secolo) aggiunge al criterio della scrittura (literata-illiterata) quello del senso (articulata-inarticulata), a seconda che la voce rimandi o meno ad una volontà

102 III,7. VOCES: VOCE DELL’UOMO, VOCE DELLA NATURA

del locutore di esprimere significati. Prisciano distingue così quattro tipi di voce: – vox articulata et literata: la parola; – vox articulata et illiterata: il fischio o il gemito umano; – vox inarticulata et literata: il gra-gra della rana; – vox inarticulata et illiterata: il muggito2. L’inarticolato può dunque essere scritto, come il gra-gra della rana e, corrispettivamente, l’articolato può non essere trascrivibile. Da Donato a Prisciano la frontiera si è fatta sempre meno netta: la voce umana può essere situata al di qua del trascrivibile, quella dell’animale al di là del non-trascrivibile. Il corpus aristotelico fornirà risposte complementari a questa problematica. Nei suoi commentari al De interpretatione, la definizione aristotelica del nome («suono vocale che possiede un significato convenzionale»)3 porta Boezio ad interrogarsi sul nome privo di significato proprio (come scindapsos o blityri, equivalenti di aggeggio, o arnese...) e sui suoni significativi, che non rientrano nella categoria dei nomi, come l’abbaiare del cane (segno di rabbia) o il gemito dell’uomo (segno di dolore)4. Il nome deve essere interpretato secondo il significato convenzionale, mentre il


I,1

1. Particolare di un mosaico del III secolo di Dougga, Tunisia, che raffigura l’episodio narrato nell’Odissea di Ulisse con le sirene, che appaiono sotto forma di uccelli con il busto di donna. Museo del Bardo, Tunisi. Stando alla tipologia che Richard de Fournival farà nel suo Li Bestiaires d’Amour verso la fine del XII secolo, le sirene possono essere di tre specie: due sono metà donna e metà pesce, mentre la terza è metà donna e metà

uccello. Fournival inoltre distingue fra le sirene che suonano la tromba o l’arpa ed altre che cantano. La presente immagine che viene dal Nord Africa tardoantico fa parte della casistica iconografica studiata dai medievali e confluita nei bestiari. Le sirene del mosaico appartengono tutte alla medesima tipologia, sono donne uccello, mentre svolgono perfettamente i diversi ruoli previsti da Fournival: le due ai lati suonano, mentre quella al centro, senza strumenti, canta.

Il suono vocale, a differenza del semplice rumore, presuppone la presenza della trachea e dei polmoni, in quanto legato alla respirazione, mentre il linguaggio richiede un elemento supplementare, la mobilità della lingua, propria dell’uomo e di certi uccelli come il pappagallo. Le differenze non sono più legate alla trascrivibilità o alla volontà di produrre significati, ma rimandano al corpo e alle sue componenti; l’anatomia si è sostituita alla grammatica. La musicalità del canto degli uccelli, che affascinò i compositori del Medioevo a partire dal celebre cucù del canone inglese del XIII secolo Sumer is icumen in (L’estate è arrivata), rapV,10. presenta un’ulteriore sfida; Aristotele e la Scolastica spiegano il 1 fenomeno prendendo in considerazione l’ambiente e l’umore. Gli uccelli cantori, come l’usignolo, sono di umore sanguigno e si rifanno all’elemento aria, al contrario dell’asino, malinconico e IV,10 terreno, che non può far altro che emettere un orribile raglio5. La voce è dunque tanto espressione del corpo e del biotopo, quanto dell’anima e dell’interiorità.

2

grido animale o umano contiene in sé il proprio significato; il primo appartiene all’ambito delle istituzioni, il secondo a quello della natura. Nella sua Storia degli animali (IV, 9), Aristotele modifica ulteriormente il suo approccio. Gli esseri animati sono in grado di produrre tre tipi di fenomeni sonori: il semplice rumore (psophos, sonus), come il ronzio dell’ape, il suono vocale (phone, vox) come il grido, e il linguaggio (dialektos, sermo). Questo ordinamento è chiaramente gerarchico e si fonda su criteri anatomici.

2. Schizzo di Villard de Honnecourt (1220-1250) che raffigura nella parte alta due uccelli, difficilmente interpretabili come pappagalli con uno sguardo ornitologico moderno. Nella parte bassa abbiamo un menestrello da strada che ci appare nudo, accompagnato dall’abituale cane che si esibisce, un altro cane è presso un’elegante figura femminile che tiene appollaiato su un polso un uccello che a sua volta probabilmente vorrebbe essere un pappagallo. La posa a «s» della figura femminile è un raffinato esempio di iconografia gotica, raffigurazione che non toglie la possibilità di trovarci di fronte a un menestrello donna. IV,5.3


III,8. GIOVANI CANTORI NEI MONASTERI E NELLE CATTEDRALI

Susan Boynton

Nel Medioevo i giovani cantori erano i depositari iniziali della memoria istituzionale e musicale, assimilando le tradizioni e trasmettendole alla generazione seguente. I ragazzi erano presenti in gruppi significativi nelle comunità monastiche benedettine fino al XII secolo, quando il numero degli oblati incominciò a decrescere. Abbiamo invece meno informazioni sui ragazzi cantori nelle chiese non monastiche. Un documento molto importante è costituito dalle prescrizioni per il servizio pasquale dei vespri presso la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, dove i bambini del coro papale cantavano specifici segmenti degli Alleluia alternandosi con la schola1 degli adulti. Un’altra prova del fatto che i cori delle cattedrali comprendessero piccoli cantori si trova nel decretale di Lanfranco di Canterbury, dell’XI secolo, che specifica come l’inno Inuentor rutili, per l’accensione del fuoco nuovo alla vigilia di Pasqua, dovesse essere cantato da due ragazzi in una chiesa cattedrale2. Già nel periodo carolingio, abbiamo testimonianza che gli oblati nelle comunità monastiche venissero formati per le esecuzioni liturgiche attraverso un’educazione di base che consisteva nell’imparare a leggere e cantare salmi ed inni3. La routine quotidiana dei giovani monaci assomigliava probabilmente a quella descritta intorno al Mille nei «colloqui» del monaco anglosassone Aelfric Bata4. Per quanto immaginari, questi dialoghi riflettono il passaggio senza cesure fra apprendimento e servizi liturgici nella vita quotidiana degli oblati. L’immagine dell’educazione nei monasteri, colta solo con un rapido sguardo nei colloqui di Aelfric Bata, concorda con le testimonianze contenute nei consuetudinari monastici, che offrono le informazioni più dettagliate sulla vita quotidiana dei ragazzi oblati nell’XI e XII secolo. Dai consuetudinari sappiamo chi insegnava a cantare ai ragazzi, in quali momenti e con quali metodi. Un unico docente, spesso il bibliotecario, insegnava sia la lettura che il canto, con l’aiuto di un assistente. Vari momenti del giorno erano occupati da esercizi con supervisione, e gli insegnanti si facevano carico di punire i bambini oblati per esecuzioni ritenute insoddisfacenti5. A Cluny, nell’XI secolo, i ragazzi imparavano le melodie nella sala del capitolo ascoltandole dagli insegnanti e ripetendole dopo di loro, come è riportato nel consuetudinario scritto dal monaco cluniacense Ulrico di Zell intorno al 10806. Qualche notizia in più sui giovani cantori nelle chiese non monastiche comincia ad apparire nel XIII secolo. Alcuni ordinali delle cattedrali del Nord della Francia, come Beauvais e Laon, attestano l’importanza dei bambini cantori in quasi tutti gli aspetti della liturgia. Gli ordinali costituiscono anche la fonte di informazione migliore su alcune esecuzioni speciali a cui i giovani cantori prendevano parte durante le festività degli ordini minori, nel periodo attorno a Natale. Erano due le giornate mag-

104 III,8. GIOVANI CANTORI

giormente affidate ai piccoli cantori: la festa di San Nicola l’8 dicembre, e quella degli Innocenti il 28 dicembre. Entrambe le celebrazioni fornivano l’occasione per la cerimonia IV,4 del Vescovo Bambino, in cui uno degli accoliti o dei bambini del coro veniva nominato vescovo per un giorno, e i ragazzi del coro tutti insieme potevano scegliere certi elementi della liturgia per quella sola giornata. La ritualizzazione clownesca di queste tradizioni sottolineava lo status peculiare degli ordini minori all’interno della gerarchia ecclesiastica. Un esempio di tali cerimonie con i ragazzi come protagonisti è conservato nel cosiddetto Livre de Jeux de Fleury (Orléans, Médiathèque Municipale, Ms 201). Questo dramma liturgico del XII secolo, che rappresenta la Strage degli Innocenti, era destinato probabilmente ad essere inscenato il 28 dicembre, quando gli accoliti celebravano un ufficio speciale, e forse anche la cerimonia del Vescovo Bambino; le rubriche presentano gli accoliti come gli Innocenti7. Nello stesso manoscritto, quattro drammi legati a san Nicola potevano forse far parte della cerimonia del Vescovo Bambino, e quindi avrebbero richiesto la partecipazione di giovani cantori. A partire dal XIII secolo, l’istituzione di scuole corali e il sovvenzionamento di posti per i coristi, istituzionalizzò la loro istruzione ed il ruolo musicale nei cori delle chiese secolari. Dal XIV e XV secolo, ordinali e regolamenti forniscono dettagli ancor più precisi sulle responsabilità dei ragazzi cantori in ambito musicale8. In Inghilterra, lo sviluppo della polifonia nei secoli XIV e XV accrebbe la loro importanza nelle cattedrali, poi nelle chiese collegiate, nelle cappelle private, nelle abbazie e nelle chiese parrocchiali9. Lungo tutto il Medioevo, i piccoli cantori sostennero una serie di ruoli in campo musicale, cantando sia in coro sia come solisti, intonando salmi, antifone, inni e lezioni di salmodia. Inoltre collaboravano alla preparazione della lista quotidiana assegnando canti e letture ai vari membri della comunità. I consuetudinari dei monasteri femminili fanno pensare che i compiti musicali richiesti alle fanciulle differissero di poco da quelli riservati ai maschi. Ad esempio, l’ordinale ed il consuetudinario dell’abbazia di Barking assegnano i generi più semplici di canto alle bambine più giovani della comunità, le infantes, che partecipavano alla liturgia 1


2

meno spesso delle poco più adulte iuvenculae. Queste erano allieve delle scuole che potevano sostituire le novizie nel coro10. In occasione di certe festività, i bambini solisti eseguivano un repertorio speciale che comprendeva inni processionali, l’invitatorio e il graduale della messa11. In molti luoghi, uno dei ruoli principali per i giovani cantori era la processione della Domenica delle Palme, quando era previsto che cantassero l’inno processionale Gloria laus, una performance resa spesso più efficace e spettacolare da un particolare scenario architettonico, come quello delle porte del monastero o delle mura della città. I ragazzi cantavano le strofe alternandosi con gli adulti che cantavano il ritornello. In altre fasi della processione, essi potevano eseguire canti associati a bambini nel racconto scritturale della Domenica delle Palme, come l’antifona Osanna filio Dauid. Attraverso la loro esibizione nella Domenica delle Palme i piccoli cantori rappresentavano simbolicamente i bambini menzionati nella narrazione evangelica e nei testi liturgici che commemorano l’entrata in Gerusalemme12. Alcune rappresentazioni visive dell’entrata in Gerusalemme stabiliscono questa connessione ritraendo la processione della

1. Elaborazione grafica della Processione della Domenica delle Palme scolpita sull’architrave del XII secolo della chiesa di San Leonardo al Frigido a Massa, in Toscana. Attualmente l’originale si trova alla Cloister Collection del Metropolitan Museum of Art di New York. (Disegno ricostruttivo di D. Blandino).

Domenica delle Palme: ne è un esempio l’architrave della chiesa di San Leonardo al Frigido in Toscana, che mostra cantori in processione che si muovono verso bambini che reggono rami di palma13. Anche se i bambini nell’immagine non stanno cantando, si può dire che rappresentino i Pueri hebreorum menzionati nei testi dell’antifona cantata per la processione della Domenica delle Palme. Sulla parete ovest della cattedrale di Wells, il simbolismo dell’entrata in Gerusalemme si fonde con quello dei bambini cantori in sembianza di angeli cantori. La facciata sembra essere stata disegnata per rispondere alle esigenze del rito di Sarum: sette piccoli coristi cantano il Gloria laus da una posizione elevata, mentre i canonici della cattedrale incedono verso le porte principali. Nella Domenica delle Palme i coristi erano disposti dietro ad aperture tonde (a quadrifoglio) nella facciata, che venivano raggiunte attraverso un passaggio al di sopra della porta ovest. Sulla superficie esterna delle aperture attraverso cui cantavano i bambini c’erano decorazioni a quadrifoglio, molti di essi contenevano rappresentazioni di angeli; si otteneva così un parallelismo visivo con le voci eteree dei bambini14.

2. Parte bassa della facciata verso ovest della cattedrale di Wells nel Somerset in Inghilterra. La costruzione della facciata risale alla terza e quarta decade del XIII secolo. Sopra i portali si vedono le aperture a quadrifoglio dalle quali i ragazzi cantori facevano pervenire le loro voci accompagnando i canonici che in forma processionale entravano nella chiesa. È il secondo ordine di quadrifogli che ci mostra l’esistenza di una intercapedine nella quale potevano salire i cantori; essi si trovavano così a fare da pendant, «statue viventi», alle sculture angeliche presenti negli altri quadrifogli.

III,8. GIOVANI CANTORI

105


III,9. MUSICA E LITURGIA NEI MONASTERI FEMMINILI Stefania Roncroffi 1, 1a. Tela di anonimo castigliano, Monache clarisse in coro, Galleria Parmeggiani, Reggio Emilia. Fine del XV secolo. (1a) Particolare delle monache cantanti.

1

Gli studi sul canto gregoriano riguardano prevalentemente gli usi e le consuetudini liturgiche e musicali di comunità religiose maschili, tanto che per parecchio tempo si è creduto fosse praticato esclusivamente da voci virili. Ricerche più recenti, basate soprattutto sull’esame di manoscritti musicali e di regole emanate dai vari ordini religiosi, hanno messo in luce il ruolo centrale del canto all’interno delle istituzioni femminili medievali. La preghiera cantata era ritenuta la più efficace presso Dio e per Ildegarda di Bingen (1098-1179) la musica contribuisce al grande progetto salvifico dell’uomo. Autrice di una settantina di canti, raccolti in un unico ciclo intitolato Symphonia armoniae caelestium revelationum e di uno dei primi drammi liturgici medievali, l’Ordo virtutum, questa monaca musicista per eccellenza conIV,13 cepisce il canto e la musica come mezzi per riavvicinare il genere umano alla perduta condizione dell’Eden, per ricreare le melodie dei cori angelici e stimolare efficacemente al bene. Al di là di

106 III,9. MUSICA E LITURGIA NEI MONASTERI FEMMINILI

1a

figure eccezionali, come quella di Ildegarda, che si è dedicata alla musica in modo inconsueto e singolare, il canto era ampiamente praticato nei monasteri femminili, e nelle principali regole monastiche susseguitesi nel corso dei secoli è spesso citato come espressione di lode a Dio. Sant’Agostino († 430), a cui spetta il merito di aver elaborato la prima regola destinata a una comunità femminile, sottolinea il ruolo fondamentale del canto nella giornata di preghiera e richiede esplicitamente una particolare espressività nell’esecuzione, esortando le monache a meditare nel cuore le parole proferite con la voce. Nei secoli seguenti le regole di Cesario di Arles, di Donato di Besançon nonché la versione al femminile di quella di san Benedetto da Norcia rimarcano l’importanza della preghiera cantata, diurna e notturna, raccomandando perizia nell’esecuzione, puntualità e disciplina. La regola che maggiormente mette in luce l’importanza della pratica musicale nelle comunità


femminili medievali fu redatta nel XII secolo da Pietro Abelardo. Il canto è più volte menzionato e sono fornite indicazioni per una buona esecuzione e partecipazione da parte di tutte le monache. Il capitolo nono è interamente dedicato alla maestra del coro, che ha il compito di impartire lezioni di musica, lettura, scrittura e composizione, custodire in un armadio apposito i libri, farli ricopiare e restaurare, affidare i posti in coro, stabilire i lettori e i cantori solisti. In nessun’altra regola la cantrix è deIV,12 scritta con tanta precisione, ma certamente doveva essere una figura presente nelle varie comunità e ricoprire incarichi di rilievo. Nel XIII secolo, con l’avvento degli ordini mendicanti, il ruolo del canto e della musica assume connotati nuovi. Santa Chiara propone una preghiera recitata, sobria, intima, senza ostentazione, espressione di una vita votata alla completa povertà, al digiuno, alla penitenza. Elimina quindi il canto dall’ufficio liturgico per evitare la discriminazione tra religiose abili nella

musica e il gruppo passivo delle altre. Tuttavia, negli anni immediatamente seguenti, le situazioni mutarono e fin dal 1263 il canto divenne parte integrante della liturgia quotidiana delle clarisse. Nella prima metà del XIII secolo sorgono anche i primi monasteri domenicani femminili, dove si rispettavano le regole previste dall’ordine (clausura, digiuno, silenzio, abito, parlatorio e lavoro) e venivano dedicate circa sette ore e mezzo giornaliere alla preghiera, in gran parte espressa nel canto. Le monache, non avendo come i frati il compito della predicazione, dedicavano più tempo alla preghiera corale, con cui potevano sostenere spiritualmente i confratelli nel loro apostolato. Le varie comunità monastiche, indipendentemente dall’ordine di appartenenza, avevano la necessità di dotarsi di vari libri, indispensabili per svolgere il servizio liturgico. Splendidamente decorati, questi volumi di largo formato riportano le musiche e i testi dei canti da eseguire per tutto l’anno: si tratta prevalente-

2

2. Capolettera miniato con all’interno monache domenicane in coro. Salterio 39 (poco dopo il 1461), Biblioteca del convento di San Domenico, Bologna.

III,9. MUSICA E LITURGIA NEI MONASTERI FEMMINILI

107


IV,9. MUSICA E GUERRA Alan V. Murray

1

A confronto delle testimonianze che ci sono giunte sulla musica religiosa e persino su altri generi di musica secolare, quelle sulle forme musicali, gli strumenti e le pratiche correlate alla guerra medievale sono relativamente scarse. Si tratta di un ambito di studi trascurato sia dai musicologi sia dagli storici militari1. Possiamo trovare molte informazioni nei racconti di viaggio e in fonti analoghe, in particolare quelle sulle crociate baltiche e la guerra dei Cent’anni, che ci forniscono dettagli quali i nomi e i compensi di musicisti e cantanti che accompagnavano re e signori nelle campagne militari. Tuttavia, la maggior parte di tali esecutori non era in realtà impiegata in situazioni di combattimento: gli strumenti erano per la maggior parte troppo preziosi e troppo fragili per essere messi a rischio su un campo di battaglia e, se si escludono trombe, tamburi e simili, non producevano un volume sonoro sufficiente per essere uditi. Ma la musica era considerata parte essenziale dello stile di vita dei nobili e, specialmente nel tardo Medioevo, i musicisti venivano spesso portati nelle campagne militari come parte dell’entourage di personaggi facoltosi, per fornire intrattenimento nei quartieri militari o negli accampamenti2. Per contro, nei combattimenti la musica militare aveva tre funzioni principali: comunicare ordini, allarmi e altre informazioni tattiche, aiutare a mantenere ordine e disciplina, incoraggiare il proprio esercito intimorendo al tempo stesso il nemico. La musica strumentale rispondeva a tutte e tre le funzioni, ma gli strumenti dovevano essere relativamente economici, resistenti, facili da riparare e, soprattutto, udibili negli altissimi livelli di rumore della battaglia. Nella cristianità occidentale, la cavalleria costituiva la componente principale nella maggior parte degli eserciti, dal periodo carolingio fino al XIV secolo, e molti ordini erano comunicati per mezzo di corni e trombe, che potevano essere suonati con una mano sola ed essere uditi a distanze consi-

174 IV,9. MUSICA E GUERRA

derevoli. Nessuno strumento, tuttavia, poteva produrre molte variazioni nei suoni che emetteva, e pertanto gli ordini non erano fissi, ma variavano a seconda del contesto o delle disposizioni decise per una particolare battaglia o campagna militare. Una serie di note era usata spesso per preparare la cavalleria a muoversi: un primo squillo segnalava alle truppe di prepararsi, un secondo di montare a cavallo, un terzo di andare. Tali comandi erano usati anche per suonare l’allarme, radunare le truppe che si fossero disperse durante il foraggio o nell’inseguimento del nemico, per segnalare alle riserve di unirsi in combattimento, o per chiamare rinforzi3. Corni e trombe sono menzionati frequentemente anche nella letteratura e nelle narrazioni storiche come elementi essenziali in battaglia; l’esempio più celebre è l’olifante, il corno appartenuto al paladino Orlando nella Chanson de Roland e nei successivi adattamenti e nelle traduzioni come il Karl der Grosse di Der Stricker. Nelle città, le guardie potevano essere equipaggiate con trombe, ma il metodo più comune per dare l’allarme era suonare le campane, come ad esempio nel Nord Italia o a Riga in Livonia, dove nel XIII secolo una «campana grande» (campana magna) veniva usata per segnalare l’avvistamento di forze nemiche e chiamare a raccolta i difensori della città4. Il mondo musulmano e quello bizantino avevano sviluppato una gamma più ampia di strumenti per uso militare. Negli eserciti ayyubidi, mamelucchi e ottomani, la fanteria era accompagnata da musicisti che suonavano corni, trombe, zampogne, flauti e cembali, mentre tamburi e timpani venivano suonati camminando, a cavallo, o perfino a dorso di cammello. La forma più sviluppata di musica militare nel mondo islamico si trovava nel corpo dei giannizzeri dell’Impero ottomano, in cui ogni ufficiale di alto grado disponeva di una banda composta da sei a nove musicisti, che suonavano motivi assai sonori e stridenti che incorag-


1. Scena dalla vetrata di Carlo Magno a Chartres. In ventuno medaglioni viene raccontato il viaggio di Carlo Magno in Oriente per le crociate e la lotta per arrestare in Spagna l’invasione araba secondo la Cronaca dello Pseudo-Turpino. Qui si inserisce la tradizione della Chanson de Roland, l’eroico nipote di Carlo Magno che sconfigge Ferraguto fermando gli Arabi in Spagna, ma che nell’attraversare i Pirenei al ritorno è tradito da Gano e subisce l’imboscata di Roncisvalle. È così, come mostra la presente illustrazione, che Carlo Magno riporta la scena in cui Orlando soffia con forza inusitata nel corno, l’Olifante, per chiamare lo zio. Orlando muore, ma salva il mondo carolingio dall’invasione e viene fatto santo, come Carlo Magno. Da qui si giustifica la loro presenza, e la raffigurazione di gesta guerresche, nelle vetrate di una cattedrale. 2. Sulla strada verso Mecca i pellegrini sono accompagnati da musiche suonate con strumenti che erano gli stessi usati nelle guerre. Nella miniatura sono presenti anche i naqqarat portati a coppie sui cammelli: tamburi piccoli simili ai timpani, di forma semisferica con copertura in pelle. Al Hariri’s Maqamat, Ms. Arabe abasside, Baghdad, 1237. 3. Raffigurazione di un orologio meccanico ad acqua con suonatori tipici di banda militare con trombe d’ottone e strumenti a percussione. La miniatura si trova nel Libro della conoscenza dei meccanismi ingegnosi (1204-1206) dello scienziato arabo al-Jazari, opera che potremmo considerare un compendio di scienza ad uso pratico con indicazioni per costruire congegni meccanici e automi anche musicali. Manoscritto di Isma’il ibn al-Razaz al-Jazari, inizio del XIV secolo. Ms. Ahmet III 3472, Museo Topkapi, Istanbul. IV,1.7

4. In un manoscritto che riguarda la storia del regno di Murad III è rappresentata una banda militare ottomana di notevoli dimensioni; nel particolare qui riprodotto figurano trombe, tamburi, timpani, strumenti tipici delle bande militari turche che ebbero un’influenza decisiva sulle bande dei reggimenti europei di fine XVIII secolo.

2

3 4


5

giavano i propri soldati e terrorizzavano gli occidentali5. Si sostiene spesso che l’uso in Occidente dei tamburi e di nuovi strumenti a fiato e ad ancia sia il risultato delle crociate ma, sebbene gli scrittori europei commentino sovente la grande varietà di strumenti in uso presso gli eserciti musulmani, ci sono poche prove dirette che tali strumenti fossero adottati dai crociati. È più probabile che questi sviluppi abbiano avuto luogo in aree in cui c’erano contatti stabili e di lunga durata fra il mondo musulmano e l’Occidente, come nella penisola iberica e in Sicilia, o attraverso le steppe euroasiatiche e la Russia. Un’illustrazione nel manoscritto della cronaca di Pietro da Eboli, scritto attorno al 1200, mostra per esempio un’entrata trionfale del re Tancredi di Sicilia (che regnò dal 1190 al 1194), con una processione di militi armati di lancia e musicisti che suonano tamburi, cimbali e trombe. I turbanti indossati da entrambi i gruppi li fanno individuare come sudditi musulmani del re, che furono una componente significativa degli eserciti siciliani nel XII secolo6. Dal XIII secolo in avanti, l’utilizzo sempre più frequente della fanteria, formata da soldati professionisti o da milizie motivate e ben addestrate, come in Lombardia, nelle Fiandre, in Scozia e in Svizzera, portò con sé l’uso generalizzato di pifferi e tamburi, che rimasero la combinazione tipica della musica militare negli eserciti europei sino alla fine del XVIII secolo. I tamburi non erano ben rullanti come gli strumenti moderni e pertanto producevano un suono più sordo, ma comunque molto udibile. Il piffero (a volte descritto come fistula, zufolo o flauto) era a canna cilindrica e relativamente poco costoso e facile da costruire; emetteva un suono alto e penetrante che poteva essere udito facilmente anche al di sopra dei tamburi e del fragore generale della battaglia. Verso la fine del XV secolo, la maggior parte degli eserciti emulava gli Svizzeri nell’uso di picche, che potevano essere lunghe fino a 6 metri, insieme con alabarde e simili armi ad asta.

176 IV,9. MUSICA E GUERRA

6

Per la fanteria era importante mantenere una formazione serrata ed evitare scompaginamenti durante gli spostamenti, e così la musica ritmata di pifferi e tamburi era usata per regolare il passo di marcia7. Le forze svizzere includevano anche suonatori di corno e di zampogna, sebbene i loro suoni fossero usati principalmente per sostenere il morale e spaventare le forze nemiche8. Il canto era un altro mezzo importante per sollevare e mantenere il morale, prima e durante il combattimento, anche se le fonti in merito sono ancora più scarse di quelle relative alla musica strumentale. Il poeta anglo-normanno Wace, nel suo poema Roman de Rou, registra come nella battaglia di Hastings del 1066 un giullare (jongleur) di nome Taillefer avanzasse alla testa della cavalleria normanna cantando le gesta di Carlo Magno, Orlando e Oliviero per incoraggiarla; ma questi casi devono essere stati rari, perché voci singole non potevano essere udibili a distanze significative9. Era invece molto più efficace, sia sul piano acustico sia su quello psicologico, quando intere unità cantavano all’unisono. Canti e inni dei pellegrini, come il tedesco In Gotes namen varen wir («Viaggiamo nel nome di Dio»), venivano cantati dai crociati in cammino verso la Terra Santa, mentre si ha notizia che i fanti,


5. In questa miniatura del XV secolo è rappresentata la conquista di Damietta da parte del re Luigi IX di Francia. Museé Condé, Chantilly. L’illustrazione mostra l’incontro di crociati con strumenti musicali del mondo arabo. Non si ritiene però che sia in occasione delle crociate, un «incontro» fatto di scontri, che abbia avuto origine l’assimilazione di strumenti musicali arabi da parte degli Europei. L’assimilazione sarebbe piuttosto stata facilitata in zone dove, come in Spagna, si sono sviluppate forme di pur limitata convivenza civile. 6. Immagine allegorica delle forze militari del Cantone svizzero di Berna, personificate come orsi (stemma del cantone) con picche e alabarde e suonatori con piffero e tamburo. Spiezer Chronik, Mss. h.h.I.16, f. 1, Burgerbibliothek, Berna. 7. Portabandiera dei contingenti della Confederazione Svizzera, accompagnati da un suonatore di corno, al centro della scena, da uno zampognaro, sulla destra, e da suonatori di tamburo. Amtlicher Berner Chronik, Mss. h.h.I.3, f. 8, Burgerbibliothek, Berna.

7

nelle crociate in Livonia, suonavano il tamburo e cantavano affrontando i nemici pagani10. L’uso più regolare ed entusiastico del canto, tuttavia, si ebbe presso gli eserciti del movimento riformista degli hussiti in Boemia, che combatterono numerose campagne per opporsi alle crociate lanciate contro di loro dalle potenze cattoliche confinanti, tra il 1420 e il 1436. I soldati hussiti andava-

no in battaglia accompagnati da predicatori e cantando inni in ceco, il più famoso dei quali è Kdož jsú Boží bojovníci («Voi che siete combattenti di Dio»)11. Questo, come la maggior parte degli esempi che conosciamo, indica che la pratica del canto era comune soprattutto nei conflitti religiosi, dove la fede dei soldati costituiva il fattore principale nella loro motivazione a combattere.

IV,9. MUSICA E GUERRA

177


pubblica «civica», riservata alle riunioni e ai movimenti di folle, libera da qualunque spartizione, sono exploit urbanistici abbastanza straordinari all’epoca, date le difficoltà tecniche ed economiche di realizzazione. Oltre a Piazza San Marco a Venezia, che secondo Jacques Heers costitui-

Dopo la falcidie demografica provocata dalla peste del 1348-49 e nonostante il proseguire di conflitti, come la guerra dei Cent’anni che interesserà Francia e Inghilterra sino alla metà del secolo successivo, la seconda parte del Trecento vede una decisa ripresa della vita urbana. Nei comuni italiani, ormai retti da oligarchie, nelle signorie, nelle città capitali di regni, si sviluppa una impressionante attività costruttiva. L’assetto del centro urbano, delle sue piazze e delle infrastrutture è caratterizzato da una rinnovata cura degli edifici che, in generale, si esprime in un’alta qualità estetica del costruito. Secondo lo storico dell’urbanistica Vittorio Franchetti Pardo, «la città si fa messaggio politico». In ogni centro urbano le procedure, le normative e le tecniche edilizie possono differire, ma la linea concettuale è sempre la medesima e questo vale per edifici pubblici, privati ed ecclesiastici. In Inghilterra, e non solo, sono l’università e i collegi che dopo la peste creano le condizioni per un nuovo urbanesimo. Centro urbano come messaggio politico, piazze come «sale pubbliche» che non concernono solo le attività di governo e amministrative, ma il commercio e le arti, indispensabili ormai a quella «estetica civile» che sempre più affianca l’arte religiosa espressa negli edifici ecclesiastici. Attorno alla schematica cartina della seconda metà del Trecento alcune planimetrie esemplificative di paesaggi urbani dell’Europa medievale.

3. Il Guildhall di Londra fungeva da vera casa comunale nel pieno centro della City. L’edificio era incastonato in un tessuto fortemente costruito e popolato da grandi famiglie, realtà ecclesiastiche, collegi e orti. L’intento era stato quello di fornire al londinese un centro per la vita civica e un «luogo tranquillo, isolato dall’agitazione delle strade circostanti». V,7.2

IV,8.2

4. Reims ci appare, pur col monumentale complesso della cattedrale, una straordinaria città mercantile. Il primo mercato, installato proprio sul sagrato, dipendeva direttamente dalla cattedrale. 5. Elbing ci riporta nei territori colonizzati dai cavalieri teutonici. Il castello dei cavalieri è l’edificio da cui prende l’avvio il centro urbano. In questa tipologia la «città nuova» è quasi sempre un agglomerato di forma geometrica che si aggiunge al nucleo più antico.

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a. St. Michael Bassishaw b. famiglia Dode c. orti d. Guildhall e. ampliamenti f. cappella g. fontana h. (Balliol) College i. Guildhall yard j. collegio k. Blackell l. St. Lawrence Jewry

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PARIGI, RIVA SINISTRA

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abate di St. Denis

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2. Quartiere di Parigi sulla riva sinistra subito dopo l’Île Saint-Louis. Dimostrazione di una città capitale in cui i nobili di fuori Parigi si procurano una residenza; importante la presenza dei canonici, mentre i collegi si espandono ben oltre la collina di Sainte-Geneviève, che precede, sulla riva sinistra, questo quartiere ed è sede della Sorbona.

LONDRA, IL GUILDHALL

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V,5.5

1. Beauvais è un esempio dell’ampliarsi del quartiere vescovile. I canonici con i loro edifici, veri palazzetti signorili, mostrano l’affermarsi di un ceto sociale urbano capace di contrapporsi anche al vescovo. Spesso i canonici danno luogo ad un paesaggio molto originale con la costruzione di edifici destinati a scopi specifici, come la casa dell’elemosina, la scuola, la cantoria.

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6. Lubecca, città libera imperiale a capo della Lega Anseatica, ci mostra una grande cattedrale attorno a cui si articola una organizzatissima urbanistica mercantile. È un esempio di grande piazza pubblica che è al contempo piazza di mercati e sede delle amministrazioni municipali. 7. Urbino, una delle più caratteristiche città italiane rette da una signoria, i Montefeltro, sviluppa una piazza pubblica suddivisa in due spazi senza soluzione di continuità. Nel primo spazio c’è il Palazzo Ducale di Federico, facente anche le pubbliche funzioni della signoria, con accanto il palazzo del duca Antonio; nel secondo spazio ci sono la cattedrale e gli edifici ecclesiastici.

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218 V. L’EUROPA POLIFONICA

casa canonicale a. cattedrale di St-Pierre b. sala capitolare c. chiostro d. antica cattedrale e. collegiata di NotreDame-du-Châtel f. vescovato g. collegiata di St-Nicolas h. cantoria

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8. Bologna è un’eccellente dimostrazione di una piazza come rappresentazione di potere. I palazzi delle famiglie sconfitte nella competizione per il potere della città sono sostituiti dai palazzi con pubbliche funzioni e la fazione dei notai, vincente, occupa un palazzo accanto alla nuova chiesa «municipale» di San Petronio. Su Piazza Maggiore si aprirà dal 1390 una fiera con giochi e giostre. Ma queste «belle realizzazioni» di una piazza

palazzi de principi palazzi dei prelati + collegi a. St-André des Arts b. St-Cosme

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V. L’EUROPA POLIFONICA

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1. Notre Dame 2. corte capitalare 3. palazzo vescovile 4. St-Symphorien 5. St-Pierre-auxNonnains 6. francescani casa canonicale a. mercato vecchio b. mercato del grano c. mercato dei tessuti di lana d. mercato dei cavalli e. mercato della lana

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del Duomo: sono le «sale pubbliche» per l’organizzazione di feste, grande concorso di popolo che implica il controllo civico di un vasto spazio in grado di accoglierlo. (Le planimetrie sono derivate da J. Heers, La città nel Medioevo, Jaca Book, Milano 1995).

100 m

St-Denis

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ELBING (ELBLĄG) a. castello dei cavalieri b. Vorburg c. convento dei domenicani d. chiesa di St. Niklaus

e. palazzo comunale f. ospedale dello Spirito Santo g. chiesa parrocchiale

LUBECCA

REGNO DI NORVEGIA

Regno d’Inghilterra e territori dipendenti

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sce un esempio unico nell’Occidente medievale, luogo simbolo del potere politico organizzato, ma vissuto dalla popolazione come se fosse un villaggio, abbiamo i casi di Firenze e Siena. Analogamente ai fiorentini, il «buon governo» senese costruisce Piazza del Campo separata dalla Piazza

IV,2.6

I Lussemburgo

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CROAZIA

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REGNO DI NAPOLI

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BULGARIA

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GRANADA

BOLOGNA, PIAZZA MAGGIORE

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a. palazzo comunale b. palazzo del podestà c. palazzo dei notai d. San Petronio e. palazzo del Cambio

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GRANDUCATO DI LITUANIA

IMPERO ROMANO GERMANICO

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MAGHREB

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MOLDAVIA

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REGNO DI POLONIA

Reims Beauvais Parigi REGNO DI FRANCIA

REGNO DI CASTIGLIA

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REGNO DI DANIMARCA

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REGNO D’INGHILTERRA

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a. palazzo di Federico b. palazzo del duca Antonio c. piazza pubblica d. duomo


4 Ambito: cattedrale chiesa collegiata convento diocesi monastero

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222 V,1. LE POLIFONIE SEMPLICI

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Nota di lettura della carta Nella carta i luoghi, si tratti di città o di luoghi extraurbani, sono indicati con un pallino nero quando non si conosce l’ambito di appartenenza del manoscritto (come nel caso di Barcellona). Sono indicati con un pallino nero anche quando, per favorire la lettura, uno o più manoscritti vengono elencati in un riquadro chiaro, distanziato dal luogo e ad esso collegato con una linea di richiamo (come nel caso di Venezia). Negli altri casi è il simbolo dell’ambito del manoscritto, come da legenda nella carta, a fungere da elemento localizzatore (si veda ad esempio Bologna). Le zone di colore più scuro, in Scandinavia ed Est Europa, indicano regioni in cui è attestata con certezza la presenza del fenomeno.

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libro corale per religiose ad uso privato

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A mezzo secolo dagli inizi dei primi studi sulla polifonia semplice, il fenomeno appare per la prima volta nella sua evidente ampiezza spazio-temporale, con una diffusione che dai territori della Sicilia arriva sino alla Scandinavia così come dalla Spagna penetra nell’Europa dell’Est, in un arco di tempo che copre senza interruzione un millennio di storia musicale e che coinvolge tutti gli ordinamenti ecclesiali, secolare e regolare o monastico, nelle declinazioni maschili e femminili. La carta mostra con efficacia il radicamento e la permanenza del fenomeno offrendone una visione diacronica unitaria. Essa, infatti, mette insieme tutti i manoscritti contenenti esempi di polifonia semplice dei quali è nota la città d’origine, il periodo storico e/o l’ambito religioso d’uso. Sono pertanto compresi anche quegli esempi polifonici rinvenuti come aggiunte in testi con destinazione non liturgica come: trattati (Melk, XV secolo, benedettino), trattati musicali (Bergamo, XV secolo, carmelitano; Pesaro, XIV secolo, francescano), le Sententiae di Isidoro di Siviglia (Göttweig, XIV secolo, benedettino), la collezione di documenti legali del Codex Jadrensis (Zara, XI-XIII secolo, benedettino), i frammenti (Melk, XV secolo, benedettino). Per ciascuna città sono indicati uno o più manoscritti. Ciascun manoscritto è identificato da ambito religioso e data. In alcuni casi tale indicazione è relativa ad un corpus di manoscritti: Aosta, cattedrale, XIV secolo (2 manoscritti); Arco (Trento), francescano, XVIII (2); Cividale, cattedrale, XIII (2), XIV (3), XIV-XV (3), XV (2); Gerace, cattedrale, XV (7); Padova, cattedrale, XIV (2); Padova, francescano, XVII-XIX (2); Diessen, agostiniano, XIV-XV (2); Melk, benedettino, XV (3); Mondsee, benedettino, XV (2); Salisburgo, benedettino, XV-XVI (3); Sankt Lambrecht, benedettino, XIII (2); Fribourg, benedettino, XV (2); Breslavia, chiesa, XV (2). Rimangono esclusi i numerosissimi esempi di polifonia semplice rinvenuti in manoscritti sparsi nelle biblioteche di tutta Europa per i quali non è stato al momento possibile ipotizzare una precisa città di provenienza. Sono state evidenziate, nonostante ciò, alcune aree di territorio, rappresentate nella carta con un colore più scuro, dove è possibile attestare con certezza la presenza del fenomeno grazie al reperimento di fonti locali come: manoscritti magiari e scandinavi per i secoli XII-XVI, manoscritti della Boemia, della Moldavia e della Slesia per i secoli XIV-XVI.

O

4. Diffusione del fenomeno.

agostiniano benedettino carmelitano cartusiano cisterciense cisterciense femminile clarissiano olivetano domenicano domenicano femminile francescano premostratense servita vincenziano

Tago

Barcellona


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del Nord

Enkhuizen Monnickendam

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Utrecht

Amsterdam

Stralsund Mechelen Windesheim

Lüneburg

Osnabrück Xanten

Dordrecht

St-Baafs

Münsterbilzen Roermond

Cambrai

Obbrussels

Breslavia

Erfurt

Aquisgrana

Marienberg

Neustadt

Tongeren Treviri

Parigi

Magonza

Chotusitz

Abensberg

Hohenbourg Hauterive

Re no

Wonnental

Saint-Maurdes-Fossés

Basilea

Frisinga

Melk

Neuberg San Gallo Vorau Seckau Einsiedeln Mondsee Schnals St. Lambrecht Grebenzen Engelberg Novacella Cavalese

Mezzolombardo

Cividale

Cassano

Pernate

Pergine Borgo Valsugana

Bologna Firenze

Zara

Pesaro

Pisa

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Perugia Volterra

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Stroncone Radda in Chianti

Padova

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Gubbio

Sarteano

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Brescia

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Aquileia

Verona Lucca

Arco di Trento

San Bernardino

Padova

Piacenza Bobbio Asti

Farfa Montecassino Putignano

Siena S a r d e gn a

Locorotondo Napoli

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Altomonte Cosenza Soriano Calabro

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Trento

Danubio

Losanna Aosta

Bergamo

Göttweig St. Florian

Polling

Fribourg

Vienna

Moosburg Diessen

Sélestat

Ginevra

Wilhering

Reichersberg

Schäftlarn

Salisburgo

Gerace

Marsala Si c i l i a

Venezia

Cividale


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