THE JUBILEE IN ROME

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GIUBILEO


FERNANDO E GIOIA LANZI

GIUBILEO LUOGHI E CAMMINI

Prefazione di Juan María Laboa Capitolo introduttivo di Rino Fisichella

Libreria Editrice Vaticana


INDICE

International Copyright © 2015 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano All rights reserved Prima edizione italiana ottobre 2015 La traduzione dallo spagnolo del testo di J.M. Laboa è di Anita Taroni

Prefazione Sul punto di rinascere Juan María Laboa

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Capitolo introduttivo Il Giubileo straordinario della Misericordia 11 Rino Fisichella Capitolo 1 Giubilei e pellegrinaggi Capitolo 2 BONIFACIO VIII E IL CARD. STEFANESCHI: TRADIZIONE E INIZIATIVA DEL POPOLO DI DIO

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Capitolo 3 SEQUENZA STORICA dei GIUBILEI 44 Redazione Elisabetta Gioanola Copertina e grafica Jaca Book/Break Point Selezione delle immagini The Good Company, Milano Stampa e confezione Tecnostampa, Loreto - Trevi ottobre 2015

Capitolo 4 GLI ITINERARI VERSO ROMA

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Capitolo 5 ROMA, CHIESE E CAMMINI

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Capitolo 6 UN GIUBILEO IN TUTTO IL MONDO E I CAMMINI DI ROMA Le sette chiese Capitolo 7 BASILICA PATRIARCALE DI SAN PIETRO Corrispondente al Patriarcato di Costantinopoli Capitolo 8 BASILICA PATRIARCALE DI SAN GIOVANNI IN LATERANO Corrispondente al Patriarcato di Roma Capitolo 9 SAN GIOVANNI IN LATERANO BATTISTERO, TRICLINIO, SCALA SANTA E SANCTA SANCTORUM

ISBN 978-88-16-60524-4 Per informazioni: Editoriale Jaca Book Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02.48.56.15.20 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

Capitolo 10 BASILICA PATRIARCALE di SAN PAOLO FUORI LE MURA Corrispondente al Patriarcato di Alessandria

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Capitolo 11 BASILICA PATRIARCALE di SANTA MARIA MAGGIORE 147 Corrispondente al Patriarcato di Antiochia Capitolo 12 BASILICA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME

Capitolo 13 BASILICA PATRIARCALE di SAN LORENZO FUORI LE MURA Corrispondente a Patriarcato di Gerusalemme

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Capitolo 14 BASILICA DI SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA

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Le chiese della Litania Septiformis Capitolo 15 CHIESA DEI SANTI MARCELLINO E PIETRO

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Capitolo 16 BASILICA DI SAN CLEMENTE AL LATERANO

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Capitolo 17 BASILICA DEI SANTI COSMA E DAMIANO

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Capitolo 18 BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO

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Capitolo 19 CHIESA DI SANTO STEFANO ROTONDO

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Altre chiese Capitolo 20 ABBAZIA ALLE TRE FONTANE

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Capitolo 21 Basilica di SANTA MARIA IN TRASTEVERE

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Le Chiese del Giubileo 2016 Capitolo 22 BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DEI FIORENTINI 238 Capitolo 23 CHIESA di SANTA MARIA IN VALLICELLA

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Capitolo 24 CHIESA di SAN SALVATORE IN LAURO

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Capitolo 25 CHIESA E OSPEDALE DI SANTO SPIRITO IN SASSIA

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Capitolo 26 SANTUARIO DELLA MADONNA DEL DIVINO AMORE 249

Note 251 163

Indice dei nomi e dei luoghi

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Prefazione

Sul punto di rinascere Juan Mariá Laboa

La Chiesa sta vivendo un momento appassionante di approfondimento delle proprie radici evangeliche, di verifica e rinnovamento della sua presenza nel mondo, di accoglimento incondizionato degli insegnamenti di Gesù. Non c’è niente di semplice ed evidente ai giorni nostri, ma la fiducia incondizionata che abbiamo in Cristo ci dà l’entusiasmo e la speranza necessari a dedicarci con pienezza alla nostra testimonianza di cristiani. In questo senso, il Giubileo della misericordia indetto da papa Francesco rappresenta una grande occasione di riflessione, di discernimento e di scelta degli atteggiamenti e delle pratiche più consoni alla proposta di Cristo. Il Giubileo della misericordia si inaugura nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano ii, una prova ulteriore di come papa Francesco consideri il Concilio la pietra angolare della Chiesa attuale. Il fondamentale documento conciliare Gaudium et spes inizia con queste parole: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Paolo vi, nella sua allocuzione conclusiva, afferma poi che il Concilio ha voluto «servire l’uomo. L’uomo […] in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità […]; l’idea di ministero ha occupato un posto centrale». Questi furono rispettivamente il programma e il compendio del Concilio, e possiamo affermare che coincidono pienamente con la proposta del Giubileo. Il Vaticano ii e i papi del periodo post-conciliare hanno concentrato la loro attenzione principalmente sull’essere umano, sulle sue infermità e le sue grandezze, sul peccato e sulla grazia. Cinquant’anni straordinariamente intensi durante i quali il clero, i movimenti apostolici, i cristiani impegnati e le persone di buon cuore hanno 6

rivolto il loro amore verso Dio tenendo conto della fragilità e della santità delle creature, quelle creature che Dio tanto ama e che, sin dall’inizio, lo portarono a pensare all’incarnazione e a incarnarsi egli stesso «quando venne la pienezza dei tempi». Nonostante nell’arco di tutta la storia cristiana le innumerevoli organizzazioni cristiane e i credenti abbiano praticato la carità in tutte le sue forme in modo ammirevole e creativo, è a partire dalla Rivoluzione francese e dalla Rivoluzione industriale che molti cristiani hanno identificato la loro vita e la loro azione comune con gli emarginati, gli esclusi e i poveri, istituendo congregazioni religiose e organizzazioni di ogni tipo per intervenire con abnegazione nel mondo della prostituzione, dell’emarginazione e della malattia, in favore degli anziani soli e dei bambini abbandonati. I «preti operai» e le tante comunità cristiane popolari hanno scelto di condurre la stessa vita difficile del proletariato e dei poveri; i piccoli fratelli di Foucauld, così come altre comunità di credenti, si sono stabiliti all’interno delle aree urbane più emarginate e indifese, condividendo il lavoro e la vita dei loro abitanti. I giovani appartenenti ai movimenti apostolici hanno dato prova del loro essere cristiani lavorando fianco a fianco con gli operai e i contadini, e così, a poco a poco, è venuta a crearsi una Chiesa sempre più impegnata in prima persona e in senso pastorale verso i bisognosi. Molti di questi cristiani hanno messo in pratica ciò che il cardinale Lercaro propose nell’aula conciliare, ovvero che i vescovi concentrassero ed elaborassero la riflessione e l’obiettivo stesso del Concilio a partire dai poveri della terra, vale a dire da coloro con cui si è identificato Gesù. Tuttavia, a questa preoccupazione sociale, a questo cristianesimo così impegnato verso chi è privo delle forme di sostentamento più elementari, si accompagnano una società occidentale fortemente secolarizzata, razionalista e borghese, e una Chiesa tuttora colpita 7


Sul punto di rinascere

dal calo delle vocazioni e dall’abbandono dei giovani, motivi di grande sconcerto e quasi di paralisi all’interno dell’organizzazione ecclesiastica. Si può affermare che, di questi tempi, le Chiese occidentali siano debilitate nelle loro componenti e nella loro creatività, mentre le Chiese dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, nonostante le estreme difficoltà a livello sociale, stiano sperimentando uno spettacolare slancio giovanile e creativo. La forte sintonia di Francesco con le comunità cristiane di Ecuador, Bolivia e Paraguay, evidente nel suo ultimo viaggio, è il simbolo di una Chiesa più sensibile e attenta alle nuove comunità di credenti e pronta ad accoglierne gli stimoli. Il Giubileo della misericordia, che sarà celebrato universalmente, mostrerà il passaggio di questa misericordia attraverso i vasi comunicanti del Corpo Mistico. Problemi attuali In Occidente, e in particolar modo nella Chiesa, ci troviamo di fronte ad alcuni problemi che stanno mettendo alla prova la generosità dei cristiani e la loro capacità di risolverli in accordo con l’insegnamento di Cristo. Mi riferisco alle migrazioni sempre più consistenti dal Medio Oriente e dall’Africa subsahariana verso le coste greche, italiane e spagnole, o dai Paesi latinoamericani verso gli Stati Uniti, che pongono un incalzante problema di solidarietà. La persecuzione cruenta dei cristiani in Asia e in Africa ci indigna e ci addolora: mai nella storia cristiana si sono avuti tanti martiri, ma la debolezza della reazione internazionale suscita sdegno. La grave crisi economica che ha colpito molti Paesi esige dai cristiani un’eccezionale e continua risposta personale che passi attraverso strumenti adeguati. In Europa, la perdita delle radici cristiane e di punti di riferimento ecclesiali lascia spazio a una società in gran parte pagana, che ha dimenticato o marginalizzato molti dei suoi valori tradizionali. Allo stesso tempo, però, in tutte le diocesi nascono grandi movimenti di solidarietà civica e di fraternità cristiana che dimostrano quanto l’amore di Dio sia ancora vivo nei nostri cuori. Anche in questo senso, il Giubileo si propone come sprone per i cristiani in cammino. Problemi ecclesiali Le grandi trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali all’interno delle nostre società influiscono in 8

Sul punto di rinascere

maniera decisiva sulla vita e sulla mentalità dei cristiani. Gesù ci ha detto di prestare attenzione ai segni dei tempi, e la Chiesa deve tenerne conto e adeguare i suoi riti, segni e parole. La sensibilità propria di ogni tempo influisce sul modo in cui si comprendono e accettano le proposte ecclesiali. Giovanni xxiii ha insistito sulla necessità di rispettare i segni dei tempi; Paolo vi e Giovanni Paolo ii hanno aperto il dialogo ecclesiale ai cristiani di altre Chiese e ai membri di altre religioni e filosofie, mentre Benedetto xvi ha istituito il Cortile dei Gentili, luogo di incontro e di dialogo. I cristiani non perdono la loro identità; e la loro identità non deve essere un freno alla fraternità e alla collaborazione con tutti i figli di Dio. Gli incontri ecumenici di Assisi non sono un esempio di relativismo, ma della docilità dei credenti al comandamento di Cristo di amare il Padre, rispettarlo e ubbidirgli. Osservando tale situazione ecclesiale si può comprendere come questo Giubileo sia il più globale di tutti quelli che sono stati celebrati nel corso della storia. Si terrà a Roma e contemporaneamente in tutte le cattedrali del mondo e in alcuni dei santuari più noti. Dato il tema, è aperto a tutti gli esseri umani, a chiunque senta il bisogno della misericordia di Dio, delle carezze e della comprensione degli uomini suoi fratelli. La terra si trasformerà nell’intreccio dei sentieri percorsi dagli uomini di buona volontà, che si scambiano saluti, parole e aiuto. Siamo tutti emigranti, viandanti alla ricerca della felicità, figli del Padre che ci ha creato e ci ama. Siamo in cerca di un’esperienza religiosa più personale, e la troviamo nei fratelli che hanno bisogno di noi e che ci offrono il loro aiuto.

dellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida; incontri pieni di vita e al cui centro è stata posta l’attenzione verso le popolazioni bisognose e la creatività pastorale. Sin dal primo giorno del suo pontificato, il papa insiste sull’urgenza di offrire un modello di Chiesa che guardi alle necessità più stringenti degli esseri umani; una Chiesa che guardi meno a se stessa e che rivolga l’attenzione alle miserie e alle sofferenze, alle debolezze e alle contraddizioni degli uomini. Il Papa ci ha consegnato una definizione di Chiesa che corrisponde perfettamente alle parole di Gesù: «un ospedale di campagna». È la casa che accoglie chi è in difficoltà, che abbraccia e cura chi è malato, solo e abbandonato, afflitto e indifeso, i poveri, gli orfani e i bisognosi. È la Chiesa della misericordia che ha prestato ascolto a Gesù, l’unico modo per accordarsi alla misericordia permanente di Dio. I credenti sono predestinati a essere la buona novella per i poveri, perché i ciechi vedano, gli storpi possano camminare e i bisognosi siano evangelizzati, certi che chi non ama rimane nella morte. Francesco ha insistito sull’esigenza che la vita pratica, la vita concreta dell’istituzione e dei suoi membri, coincida con la dottrina che viene proclamata. Molto spesso la mediocrità dei cristiani, il loro pallore, la pratica rituale che si accompagna a una scandalosa mancanza di carità sono i segnali di una debolezza della fede. Una Chiesa incoerente rappresenta un grave scandalo sia per i cristiani, sia per i non credenti. Solo se pensiamo da cristiani, se sentiamo e agiamo da cristiani, riconosceremo la presenza del Signore nella nostra vita. Le parole incisive pronunciate da Cristo contro lo scan-

dalo causato dagli incoerenti devono farci interrogare seriamente riguardo al nostro modo di rispondere alle esigenze della fede. Dobbiamo parlare meno di una Chiesa come società perfetta, preoccuparci meno del suo potere e della sua influenza sulla società, e concentrarci di più sulla sua generosità e sul suo impegno, sulla sua capacità di amore e misericordia. Il Giubileo della misericordia dovrà essere un forte richiamo alla nostra coscienza, alla nostra pastorale, alla nostra catechesi, alla formazione dei nostri giovani. «Guardate come si amano», dicevano dei cristiani i pagani romani. Ai giorni nostri, l’aspirazione deve essere che la gente dica con spontaneità: «I credenti sono misericordiosi», così che le cattedrali, le basiliche, le parrocchie e i santuari siano considerati spazi in cui si manifesta la letizia della fede e la misericordia dei cristiani. Noi, pellegrini della vita e del Giubileo, che siamo in cammino, che entriamo con gioia nelle basiliche e nelle cattedrali, che visitiamo i luoghi sacri della nostra storia, che ci confessiamo e facciamo la comunione con il cuore contrito e pieno di speranza, dobbiamo compiere tali esperienze tenendo sempre presenti le parole del Signore in Isaia: «dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”» (Isaia 58,7-9).

In questo Giubileo, ogni cristiano deve essere per il prossimo la «porta» aperta per conoscersi meglio; la «comunità» in cui potersi integrare come membri amati e benvenuti; la «solidarietà» aperta e condivisa; il «cammino» che necessariamente percorriamo, ma che dobbiamo percorrere in compagnia fraterna, insieme ai tanti santi che nei secoli hanno partecipato ai vari giubilei, a partire da san Filippo Neri. Un Giubileo segno e strumento di un necessario cambiamento ecclesiale Papa Francesco è il primo pontefice americano, membro della Chiesa che ha celebrato le conferenze di Me9


Capitolo introduttivo

Il Giubileo Straordinario della Misericordia Le novità rispetto agli altri Anni Santi † Rino Fisichella

Il Giubileo Straordinario della Misericordia, voluto da papa Francesco, si inserisce in quella lunga storia degli Anni Santi che dal 1300 la Chiesa ha celebrato. Questo Giubileo, tuttavia, possiede diverse particolarità che, nel suo genere, ne fanno un unicum e permettono di comprenderne il reale significato. La scadenza Solitamente il Giubileo è legato a una scadenza che, nel corso della storia, si è andata fissando ogni venticinque anni. Due sole eccezioni nel secolo scorso vengono ricordate. L’anniversario della Redenzione nel 1933 da parte di papa Pio xi e nel 1983 indetto da san Giovanni Paolo ii. Il Giubileo della Misericordia si presenta per la prima volta non in relazione a una scadenza o un anniversario, ma come un anno tematico. Papa Francesco non intende sottolineare una scadenza, piuttosto richiamare tutta la Chiesa a vivere la misericordia. Il Papa sottolinea che tutti siamo chiamati, in questo tempo di grazia, a sentire nella nostra vita la misericordia del Padre e in forza di questa a diventare misericordiosi come lui. È questo certamente un motivo per cui, il 13 marzo 2015, proprio nel secondo anniversario della sua elezione al soglio pontificio, l’annuncio dell’indizione di un «Giubileo della Misericordia» ha sorpreso tutti e la notizia ha fatto in pochi minuti il giro del mondo. Il tema Se l’indizione del Giubileo è stata certamente inaspettata, il fatto che papa Francesco abbia voluto un Anno giubilare dedicato alla Misericordia non deve stupire del tutto. Tutto il suo pontificato, infatti, può essere letto alla luce della misericordia. Già nella sua prima santa Messa come Pontefice, nella parrocchia del Vaticano a Sant’Anna, aveva detto: «Il Signore mai si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Poco dopo nel suo primo Ange10

lus continuava affermando: «Il volto di Dio è quello di un Padre misericordioso». In questi due anni, inoltre, papa Francesco ha sempre indicato la misericordia come l’«architrave della fede», sia nei suoi gesti che nei suoi scritti, sino ad arrivare alla bolla di indizione dell’Anno Santo, Misericordiae vultus, in cui questo tema emerge come prioritario e fondativo della sua visione della fede. La Porta Santa/Le Porte Sante Uno dei segni peculiari di ogni Giubileo è, senza dubbio, la Porta Santa. La sua apertura segna l’inizio dell’Anno Santo, così come la chiusura la sua fine. Ogni fedele che la attraversa, alle condizioni stabilite, può vivere il dono dell’indulgenza giubilare. Solitamente la Porta Santa viene aperta nella basilica di San Pietro e poi nelle altre tre basiliche di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e San Paolo fuori le mura. Nel corso di questo Giubileo la Porta Santa sarà una Porta della Misericordia, «dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza» (MV 3). Nell’occasione di questo Giubileo, papa Francesco ha stabilito inoltre che in ogni chiesa particolare, nella cattedrale, oppure nella concattedrale o in una chiesa di speciale significato, così come nei santuari dove vi è sempre un grande afflusso di popolo, si apra per tutto l’Anno Santo un’uguale Porta della Misericordia. Questo desiderio del Papa esprime la sua intenzione che questo Anno, più dei precedenti, sia vissuto, oltre che nella straordinarietà del pellegrinaggio a Roma, nell’ordinarietà della vita delle singole diocesi. Allo stesso modo, è stato previsto un programma con alcuni grandi eventi che si svolgeranno a Roma, con la presenza del Santo Padre, ma ogni vescovo è invitato a far vivere il Giubileo nella propria chiesa locale. Per sottolineare ulteriormente questo aspetto, papa Francesco ha stabilito che si possa 11


Il Giubileo Straordinario della Misericordia

ottenere l’indulgenza recandosi in pellegrinaggio non solo in San Pietro o nelle basiliche papali, ma anche nelle Porte Sante aperte in ogni diocesi. Il logo Se si vuole, anche l’immagine scelta come logo dell’Anno della Misericordia è un segno di novità per esprimere la straordinarietà dell’evento. L’autore, P. Marko Ivan Rupnik, ha voluto rappresentare una scena molto cara alla Chiesa antica. Viene espresso l’amore di Cristo che, con la sua redenzione, porta a compimento l’incarnazione. Egli ha assunto su di sé tutta la natura umana nella sua risurrezione, quindi coinvolge e porta sulle sue spalle l’umanità intera. Nell’immagine, il Figlio ha ritrovato l’uomo smarrito, lo porta con sé, tocca la carne dell’uomo in profondità e con il suo amore gli permette di cambiare vita. È Cristo Buon Pastore che si carica la pecorella smarrita ricolmo dell’amore misericordioso. I due hanno un occhio in comune, per significare che Cristo vede con l’occhio di Adamo e Adamo vede con gli occhi del Figlio. Adamo scopre in Gesù, nuovo Adamo, la sua vera umanità rinnovata, come attesta il Vaticano ii nella Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22). I Missionari della Misericordia Un’altra caratteristica del Giubileo sono i Missionari della Misericordia. Questi sono sacerdoti inviati personalmente da papa Francesco il mercoledì delle ceneri, con una solenne celebrazione nella basilica di San Pietro. Dovranno essere segno della Misericordia che la Chiesa è chiamata a sperimentare in questo Anno Santo. I Missionari potranno essere invitati dai vescovi nelle proprie diocesi per animare missioni al popolo o iniziative che abbiano speciale riferimento alla Misericordia. Essi, quindi, saranno chiamati particolarmente a predicare e a confessare. A loro, infatti, papa Francesco concede l’autorità di assolvere anche i peccati riservati alla Sede Apostolica (cfr. MV 18). Il sacramento della riconciliazione In un anno interamente dedicato alla misericordia di Dio non poteva mancare un puntuale riferimento a quel sacramento che, in modo particolare, fa sperimen12

Il Giubileo Straordinario della Misericordia

tare l’amore e il perdono del Signore: la confessione. Questa si raccomanda, come sempre, come condizione per ottenere l’indulgenza. In questo Giubileo ad essa è dedicata un’attenzione particolare. Papa Francesco ci tiene che questa sia un momento di grazia e di accoglienza. Per questo, indicando il Padre Misericordioso della Parabola (cfr. Lc 15,11-32) come esempio per tutti i confessori, afferma: «Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono… I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini» (MV 17). Il pellegrinaggio «Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio» (MV 14). Con queste parole, in Misericordiae vultus, papa Francesco sottolinea l’importanza del pellegrinaggio, in particolare in occasione del Giubileo. Ogni giorno la basilica di San Pietro riceve migliaia di visitatori che spesso sono costretti anche a effettuare una lunga fila. Talvolta, però, il loro ingresso in chiesa è distratto non riuscendo a percepire l’importanza del luogo dove stanno entrando: in pochi si fanno il segno della croce e non tutti riescono a trovare un momento di raccoglimento per poter pregare. Purtroppo, entrare in San Pietro spesso non possiede più i tratti significativi di un pellegrinaggio, ma finisce per mescolarsi con altre visite fatte ai vari monumenti di Roma. In occasione del Giubileo della Misericordia, si è attuato un contesto per creare la giusta atmosfera di raccoglimento e il clima adatto di preghiera per poter arrivare alla Porta Santa non semplicemente come turisti affascinati dalla bellezza di un’opera d’arte, ma come veri pellegrini che impegnano la loro vita attraverso un gesto al quale si sono accuratamente preparati.

Le chiese giubilari Si sono individuate, infine, alcune chiese che, in maniera particolare, sono messe a disposizione per accogliere e preparare al passaggio della Porta Santa i pellegrini che giungono a Roma. Queste chiese «giubilari» sono: Santa Maria in Vallicella, San Salvatore in Lauro, San Giovanni de’ Fiorentini e il Santuario del Divino Amore. Fatta eccezione per il Divino Amore, il criterio principale con cui sono state scelte è la vicinanza alla Porta Santa della basilica di San Pietro. Questi luoghi di culto indicano tappe importanti in cui i fedeli si raccolgono per pregare e confessarsi per poi finalmente raggiungere la meta finale del loro pellegrinaggio. Oltre alla vicinanza, comunque, ognuna di queste chiese possiede caratteristiche peculiari che ne fanno un luogo adatto e particolare. San Maria in Vallicella, tradizionalmente detta «Chiesa nuova», custodisce il corpo di san Filippo Neri. Questa chiesa fu costruita per accogliere la nuova realtà fondata dal santo fiorentino, l’Oratorio secolare e la Congregazione dell’Oratorio. San Filippo fu l’inventore del Pellegrinaggio alle sette chiese. Questa pratica fu da lui inaugurata il giovedì grasso (detto in Toscana «Berlingaccio») del 1552 in opposizione al carnevale. Ai festeggiamenti pagani carnascialeschi si proponeva la devozione ad alcuni luoghi santi di Roma, le sette chiese principali della città: le basiliche di San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano, San Lorenzo, Santa Maria Maggiore, Santa Croce in Gerusalemme e San Sebastiano. La visita alle chiese aveva, anzitutto, un carattere penitenziale ed era effettuata meditando la Passione di Gesù. Il numero sette stesso, infatti, non indicava solo il numero dei luoghi da visitare, ma rimandava anche alle sette tappe di Gesù durante la Passione, in una sorta di anticipazione della via crucis dal cenacolo al Calvario. Nel corso di questo Giubileo Straordinario, il pellegrinaggio alle sette chiese possiede grande rilevanza perché offre un percorso di conversione per far giungere coloro che lo compiranno con fede, oltre che alla meta fisica del pellegrinaggio, a lasciarsi abbracciare dall’amore misericordioso di Dio. S. Salvatore in Lauro è la chiesa che a Roma è stata dedicata al culto di San Pio da Prietrelcina. Qui sono custodite alcune reliquie del santo come il mantello, un

guanto che usava per coprire le stigmate, alcune bende con il suo sangue e la stola con cui ha inaugurato la «Casa Sollievo della sofferenza», il grande ospedale da lui voluto a San Giovanni Rotondo. Tra i molteplici aspetti di santità di padre Pio, in occasione dell’Anno della Misericordia, è importante soffermarci sulla sua opera di confessore. Quotidianamente al suo confessionale giungevano moltissimi fedeli, provenienti dall’Italia ma anche da tutto il mondo, per ottenere l’assoluzione, ascoltare la sua parola o chiedere un consiglio. Numerose testimonianze riportano come egli non facesse certo sconti nella confessione, ma le sue parole sapevano scrutare l’animo nel profondo e ridare nuova vita con il perdono sacramentale. San Pio arrivava a trascorrere anche sedici ore al giorno confessando e, per questo, fu detto l’«apostolo del confessionale». In occasione del Giubileo, papa Francesco ha voluto che il suo corpo giungesse a Roma da San Giovanni Rotondo, per la celebrazione dell’invio dei Missionari della Misericordia. I Missionari, come si è accennato, sono una peculiarità di questo Giubileo Straordinario. Inviati personalmente dal Papa il mercoledì delle ceneri, esprimono il segno della Misericordia che la Chiesa è chiamata a sperimentare soprattutto in questo Anno. Insieme alle reliquie di san padre Pio, ci saranno anche quelle di san Leopoldo Mandic, anch’egli, con modalità diverse, un autentico apostolo della misericordia nel confessionale. Papa Francesco pone questi due santi di fronte ai Missionari della Misericordia e a partire da loro a tutti i sacerdoti come veri esempi di chi si è fatto simile in tutto a Cristo. S. Giovanni de Fiorentini richiama anch’essa alla figura di san Filippo Neri. Il santo fiorentino, infatti, vi è stato parroco per dieci anni e la sua memoria è qui tenuta viva dal suo busto, che contiene la reliquia della croce alla quale era solito rivolgere la propria preghiera. Inoltre, in questa chiesa si trovano la cappella della Madonna della Misericordia, impreziosita da statue e bassorilievi di grande pregio e raffinatezza. Questa chiesa, che rispetto alle precedenti è più vicina a San Pietro, pone dinanzi, in questa ultima tappa del pellegrinaggio prima della Porta Santa, la figura di Maria. Papa Francesco, nella Misericordiae vultus ne parla così: «Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella 13


Il Giubileo Straordinario della Misericordia

sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore. Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende “di generazione in generazione” (Lc 1,50)» (MV 24). Maria è colei che in prima persona ha sperimentato l’amore di Dio, e papa Francesco vuole proprio che ci rivolgiamo a lei perché «non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù» (MV 24). Il Santuario della Madonna del Divino Amore, situato a Castel di Leva, tra la via Ardeatina e la via Appia Antica, è il santuario al quale, senza dubbio, sono più affezionati e devoti i Romani. Questo santuario custodisce un’antica immagine della Madonna in trono con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba simbolo dello Spirito Santo (di qui il titolo di Madonna del Divino Amore) che era posta su una delle torri di cinta di un antico castello, il castello dei Leoni (da cui il nome Castel di Leva). Dal 1740, anno del primo miracolo, il salvataggio di un viandante da un branco di cani, l’immagine della Madonna è sempre stata meta di pellegrinaggi. La storia di questo culto si è intersecata con la storia stessa di Roma nel periodo dell’ultima guerra mondiale. Il 4 giugno 1944, dopo

Il Giubileo Straordinario della Misericordia

quasi nove mesi di occupazione, l’esercito nazista abbandonò la città senza opporre resistenza, mentre le forze alleate vi entravano per Porta San Giovanni e per Porta Maggiore, accolte da grande esultanza. Inaspettatamente l’occupazione terminò senza che si versasse ulteriore sangue e i Romani attribuirono questa grazia alla Vergine del Divino Amore. L’immagine, trasportata in quel periodo nella chiesa di Sant’Ignazio, al centro di Roma, era stata invocata da migliaia di fedeli che, su invito di Pio xii, avevano fatto a lei un voto solenne per la salvezza della Città Santa. In molte edicole, sparse per tutta Roma, è possibile trovare l’immagine della Madonna del Divino Amore, così come in tante case e quartieri. Ogni sabato, dal primo dopo Pasqua fino all’ultimo di ottobre, si tiene un pellegrinaggio che, partendo a mezzanotte, conduce i pellegrini dal Circo Massimo al santuario, passando per la via Appia Antica fino al Quo Vadis, la via Ardeatina, le catacombe di San Callisto e davanti al Mausoleo delle Fosse Ardeatine. Il Comitato organizzatore per il Giubileo del 2000 aveva affiancato il santuario ai tradizionali luoghi che da secoli accolgono i pellegrini che giungono a Roma per le celebrazioni dell’Anno Santo e quindi le quattro basiliche patriarcali e le catacombe. Ogni giorno nel santuario della Madonna del Divino Amore moltissimi pellegrini si confessano, pregano e partecipano alle celebrazioni. In questo Anno Giubilare il santuario viene indicato come luogo privilegiato per riscoprire o approfondire ulteriormente il sacramento della riconciliazione. Le migliaia di persone che in questo luogo sperimentano la fede ricordano che la misericordia di Dio non è fatta primariamente di ragionamenti o parole, ma ancora una volta della contemplazione del volto di Cristo.

La facciata e la cupola della basilica di San Pietro in Vaticano.

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giubilei e pellegrinaggi

Capitolo 1

GIUBILEI E PELLEGRINAGGI

Quanto accadde a Roma nel 1300, con l’aumento dell’afflusso di pellegrini desiderosi di contemplare il vero volto di Cristo, la Veronica, e le successive disposizioni di papa Bonifacio viii legarono inscindibilmente due idee precedenti: quella del perdono totale e universale e quella del pellegrinaggio, unendo per sempre gesti e caratteristiche dell’uno e dell’altro e collocandoli sulla grande scena universale della città papale centro della Christianitas, Roma, di cui mutarono il futuro. A Roma vennero intrecciate per sempre l’evoluzione del gesto del pellegrinare, con le sue precise caratteristiche rituali, e la scena urbana con le sue peculiarità architettoniche e artistiche, segnate da avvenimenti storici unici per portata. La città, dove prima ancora che a Gerusalemme si andava a venerare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, divenne immenso teatro della grande ritualità dell’ottenere il perdono e dell’onorare Dio glorificandolo con le meraviglie dell’arte e onorando ugualmente i suoi amici, i santi. Nell’indizione di un Giubileo1, gli uomini sono chiamati a mettersi in cammino per andare a ricevere il perdono che farà di loro persone del tutto nuove. Sono chiamati a uscire da se stessi, a farsi come il Figlio della parabola, che sperpera i suoi beni ed è atteso con ansia dal padre, che lo ha già accolto prima che lui si renda conto dei suoi errori e lo perdona. Lo perdona in assoluto, lo accoglie prima di ogni pentimento, scruta l’orizzonte e lo attende: «Mentre era ancora lontano, il padre lo vide e ne ebbe compassione» (Lc 15,20). La condizione di questo figlio è poi migliore di quella prima della partenza: sono per lui la veste migliore, l’anello al dito, i sandali ai piedi e la festa con l’imbandigione del vitello grasso (Lc 15,22-24). Il Giubileo cristiano ha le sue radici nel giubileo ebraico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. 16

Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé. Né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo, esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest’anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo» (Lev 25,10-13). Importanti e anche controverse sono le disquisizioni sulla pratica reale del Giubileo ebraico e dell’anno sabbatico2: si può comunque osservare che entrambi ristabilivano una situazione di originaria libertà: la terra non doveva essere lavorata e «avere il suo sabato» (Lev 25,1-7), ogni proprietario che l’avesse perduta ne sarebbe rientrato in possesso, chi avesse perduto la libertà per debiti sarebbe tornato libero. Queste remissione e liberazione (in greco aphesis, che è il secondo nome del Giubileo) erano segni del perdono divino, secondo il principio che Dio, e non gli uomini, è signore dello spazio, del tempo e degli uomini stessi. Infatti il riposo (Lev 25,2328), il riscatto della terra (Lev 25,13 e Lev 25,28), come pure la liberazione degli schiavi, competono a Dio e gli uomini liberati dalla schiavitù d’Egitto non potevano essere schiavi di altri uomini: «Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi» (Lev 25,39-42). A ricorrenza dunque, ogni sette e ogni cinquant’anni, si ritornava nella posizione precedente: un anno di grazia, di misericordia, sempre ricorrente, di cui si coglie l’eco nel profeta Isaia, quando annuncia la fine dell’esilio, l’anno di grazia del Signore che lo ha inviato a portare «il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore» (Isaia 61,1-2). È il brano che Gesù commenta nel suo primo annuncio pubblico

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Pagina precedente 1. Ugo da Carpi, La Veronica tra i santi Pietro e Paolo, inizi del xvi secolo, Archivio storico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano.

In queste pagine 2. Giotto, Polittico Stefaneschi (verso), Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana.

Il cardinale Jacopo Stefaneschi, autore del Libro dell’anno centenario e del giubilare, ebbe una funzione di primo piano nell’istituzione del Giubileo del 1300. Nel trittico commissionato a Giotto è raffigurato sul recto inginocchiato alla sinistra del trono di Cristo e sul verso mentre offre il trittico a san Pietro.

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(Lc 4,17-21), in cui dichiara che in Lui si compiva tale parola, e che quindi Lui stesso era l’espressione ultima e definitiva della misericordia del Padre. Per incontrare la misericordia che accoglie, nel Giubileo cristiano – di cui vedremo il definirsi – si trova l’invito a recarsi là dove, con una precisa ritualità intensamente e veramente vissuta, si ottiene il dono dell’indulgenza, dove al perdono della colpa si unisce la remissione della pena, per cui ci si trova interamente rinnovati, rimessi nella posizione originaria ottenuta con il sacramento del Battesimo, pronti all’immediato ingresso nella vita divina. Per godere di tale grazia, si è quindi chiamati a mettersi in cammino, e questo collega il Giubileo al grande gesto del pellegrinaggio, espressione della ricerca degli uomini di ogni tempo. Un cammino, per tornare all’inizio. Il pellegrinaggio, gesto simbolico universale Ci sono gesti dell’uomo sempre presenti, e in essi l’uomo comprende se stesso e vede svelato e realizzato il significato della sua esistenza: tra questi gesti, il pellegrinaggio è un viaggio, ma non un viaggio come gli altri, è l’archetipo di tutti i viaggi, di tutti i ritorni. Il viaggio L’uomo è stato prima nomade che sedentario, e lo è stato per molto più tempo3, alla ricerca del necessario nutrimento, quasi a esprimere l’insopprimibile e inesaudibile nostalgia di un altrove, luogo fisico e simbolico di pace e di armonia perduta: diremmo, un Paradiso perduto, un bene perduto. Anche oggi gli uomini sono in continuo movimento, e per molti di loro è divenuta una necessità tragica migrare, fuggire da guerre, da disastri, a costo della morte stessa. Esperienza insieme esteriore e interiore, in cui materia e spirito sono inscindibilmente legati4, il viaggio è da sempre una delle più comuni metafore della vita umana: Omero e Dante, per fare due esempi al limite del banale, hanno usato la metafora del viaggio per dare una rappresentazione amplissima della vita umana e del suo significato. Il desiderio che muove l’uomo A ben guardare, per Ulisse e Dante5, prima del pellegrinaggio con il suo fascino e i suoi segni, ci sono Itaca e il dilettoso colle.

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3. Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia, interno, volta a vela all’incrocio dei bracci. Al centro, la Croce, come stella polare e guida per ogni cammino, attorno alla quale ruota l’intero firmamento: così è espresso simbolicamente il concetto

di «Cristo centro del cosmo e della storia». Ai quattro angoli gli animali, simboli degli evangelisti (cfr. Ap 4,6), poiché riprendono l’incipit dei rispettivi Vangeli: uomo per Matteo, leone per Marco, bue per Luca, aquila per Giovanni.

Sulla facciata del Duomo di Modena sono rappresentati, in una sequenza emblematica e significativa: il Creatore, la Creazione, il Peccato dei progenitori, la Cacciata dal Paradiso terrestre, il Lavoro dei progenitori, i Sacrifici di Abele e Caino, l’Uccisione di Abele, l’Arca diNoè, infine Noè che esce dall’Arca con i figli Sem, Cam e Jafet, e insieme sembrano incamminarsi. Così, nelle immagini, vediamo che alle spalle dell’uomo c’è il Paradiso, al quale si desidera ritornare, il bene perduto che riempie di nostalgia. Verso questo bene, nella sua vicenda terrena, l’uomo si incammina scortato dalla misericordia di Dio che getta ponti di alleanza con gli uomini, di cui uno dei primi segni è quello dell’Arca di Noè, con il suo seguito di simboli: l’arcobaleno, la colomba, l’ulivo. Ma prima ancora dell’Arca, nella storia terrena dell’uomo si affaccia un originale – cioè dell’origine – assoluto gesto dell’amore di Dio a chi pure l’aveva rifiutato: il cielo si mostra prima immagine, prima manifestazione di Dio all’uomo, nell’altezza siderea e pur percepibile, il Mistero presente6. «Il cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un’esperienza religiosa... La categoria trascendente dell’altezza, del sopraterrestre, dell’infinito, si rivela all’uomo intero, alla sua intelligenza non meno che alla sua anima. Il simbolismo è un dato immediato della coscienza totale... queste scoperte primordiali sono legate al suo dramma in modo tanto organico che lo stesso simbolismo determina sia l’attività del suo subcosciente, sia le più nobili espressioni della sua vita spirituale. ... Il cielo “simboleggia” la trascendenza, la forza, l’immutabilità, semplicemente con la sua esistenza. Esiste perché è alto, infinito, immutabile, potente» (M. Eliade)7. All’inizio dunque, prima della strada, c’è il desiderio: o meglio, all’inizio, c’è il desiderabile. È il cielo che si affaccia dal cielo del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna, con al centro la croce di Cristo; è ciò che si affaccia da ogni cupola di chiesa, con le geometrie stellari del romanico e le sontuose altezze del barocco, dove le nubi si schiudono per rivelare la gloria divina e dare accesso ai cieli. Il Centro, il cielo Fin dalle origini l’uomo ha avuto l’esperienza primordiale di spazi «diversi», esperienza «paragonabile ad una fondazione del mondo e anteriore a qualunque ri20

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flessione sullo stesso»8. Qui si rivela una realtà assoluta, il sacro, si supera la condizione umana e si recupera quella divina: il che è, come conferma Eliade, «quello che un cristiano direbbe: il desiderio di recuperare la condizione dell’uomo anteriore al peccato originale»9, quando viveva in piena armonia con il Creatore e le altre creature. Sono i luoghi del perdono assoluto che si incontra nell’indulgenza plenaria, luoghi umani e divini si fondono, in cui l’ideale Asse del mondo, l’Axis mundi, collega Cielo, Terra e regioni inferiori, sono il centro del mondo, l’ombelico della terra: intorno ad esso, si stende l’universo, sempre percepito (in base alle osservazioni sensibili: nulla è più corporeo di un simbolo) come sferico e rappresentato quindi con un globo. Ognuno di questi luoghi è un centro: in essi è possibile accedere al Cielo, attingere il sacro, la pienezza della vita e della realtà, per cui inizia una vita nuova, più reale e vera10. Mosso da tale desiderio, l’uomo si muove verso questi luoghi, che costituiscono una trama di accesso al sacro/ cielo sulla terra11. Sono gli spazi sacri delle religioni, nati da una manifestazione o consacrati per mezzo di una opportuna ritualità, così che per essa si può ripetere in ogni città e in ogni casa la ierofania primordiale del cielo12. Disegnando il cielo sulla terra, l’uomo costruisce luoghi sacri, in cui la sua vita si può svolgere in piena armonia con il cielo stesso, che di giorno ha al suo centro il sole che porta vita e di notte, solcato dalle stelle, è la cupola che sovrasta la vita umana, al cui cuore la stella polare sta immobile, mentre tutto le ruota attorno. Come non ricordare il motto certosino: stat Crux, dum volvitur orbis e la felicissima e ineguagliata espressione con cui Giovanni Paolo ii iniziò la sua prima enciclica: «Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia»13, riscontrabile nelle chiese e nei luoghi consacrati dalla sua presenza in terra e da quella dei suoi testimoni. I cristiani, oltre a incontrare Cristo in ogni Eucaristia, si recarono dunque a tali luoghi: in Terra Santa, a Roma, poi là dove si trovavano le reliquie dei martiri: con il loro diffondersi14, si moltiplicarono i santuari15, in cui per prodigi e teofanie si percepisce la presenza divina, in tre modalità che richiamano i pellegrini. La prima è costituita dalle reliquie e dai prodigi: è per iniziativa di Dio che le reliquie si trovano, a volte al termine di lunghe peripezie, in un luogo invece che in un altro, e iniziativa di Dio sono i prodigi e le apparizioni. 22

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La seconda è la presenza eucaristica, comune a tutte le chiese: Cristo è realmente presente nell’Eucaristia, cibo per l’uomo attraverso la bocca e gli occhi (nell’adorazione eucaristica, come ben rende l’espressione quasi intraducibile manducare per oculos, mangiare attraverso gli occhi). La terza modalità della presenza di Cristo nei santuari, spesso neppure presa in considerazione, è quella del Suo corpo mistico, la Chiesa, clero e fedeli insieme, dovunque siano. Ricordiamo le efficaci parole di un etnologo, Paolo Toschi: «Non è chiesa soltanto quella che la facciata, i fianchi, l’abside racchiudono, ma giunge sino all’ultima casa dove giunge la processione, più lontano, dove si trova l’ultimo fedele»16. Anche questo tipo di presenza è comune a tutte le chiese, ma nei santuari diviene particolare e splendidamente eloquente. Se ne accorse Benedetto xiv che nella Bolla d’indizione del Giubileo del 1750 scrisse: «Inoltre la vista stessa dell’innumerevole moltitudine di fedeli che in questo stesso anno si concentra a Roma da ogni parte riempirà di giusto e santo piacere il vostro cuore. Riconoscendo ciascuno la propria stessa fede in tanti uomini di così diverse nazioni e lingue, rallegrandosi con tutti questi, con fraterno amore, presso la comune madre chiesa romana, sentirà piovere più abbondantemente su di sé le celesti benedizioni, qual rugiada che dalle cime del monte Hermon discende sopra gli abitanti della santa città»17. Caratteristica di tutte e tre le modalità è la concretezza: concrete sono le reliquie, concreta è l’Eucaristia, concrete sono le persone. La presenza nel cristianesimo del sacro sostanziale18 interviene sui segni del sacro e li moltiplica, perché per il cristiano «nulla è profano, tutto è santificabile»19. Questo stile contagia tutto l’universo della cultura cristiana e dei suoi mezzi di comunicazione: è per questo che la materialità di un cammino verso una meta non è il simbolo di un cammino spirituale, ma è un cammino spirituale, con quello che ne consegue. Spazio e tempo Nei luoghi scelti dall’iniziativa divina, come in quelli predisposti per il culto, lo spazio e il tempo sono rinnovati nel rito e nei suoi gesti, che richiedono adeguata organizzazione dello spazio e adeguata visione offerta agli occhi.

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4. Siria, Museo di Apamea, Il trasporto delle reliquie, mosaico dal pavimento della chiesa superiore di Huarte. Le reliquie, come segno concreto di presenza, sono prezioso e ambito fondamento delle comunità cristiane.

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I luoghi santi e Roma Nel regime messianico, insieme alla Terra Santa furono meta di pellegrinaggi le grandi basiliche di Roma. Come la Terra Santa fu il luogo emblematico della salvezza universale poiché là visse Gesù Cristo, tale divenne Roma, col risiedere in essa del suo Vicario in terra, e con le sue basiliche patriarcali, che ne facevano come una rappresentazione simbolica dell’universo. Infatti l’intera cristianità delle origini era radunata nella pentarchia, cioè in cinque diocesi, Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, ognuna delle quali ha una sua sede in Roma, secondo la seguente corrispondenza: San Giovanni in Laterano – Patriarca d’Occidente, il Papa; San Pietro in Vaticano – Patriarca di Costantinopoli; San Paolo fuori le Mura – Patriarca di Alessandria d’Egitto; Santa Maria Maggiore – Patriarca di Antiochia; San Lorenzo fuori le mura – Patriarca di Gerusalemme. Tutta la cristianità viene così ad essere «presente» e rappresentata in Roma, che diviene per ciò immagine e centro dell’universo: luogo del ritorno per tutti, nel quale sperimenta il perdono universale. In Roma, ecco i primi santuari, le basiliche romane, sorte quando ancora i luoghi di culto cristiani non avevano delineato una loro forma precisa, per cui le costruzioni ebbero come modello la forma delle grandi basiliche20, cioè dei luoghi di grande pubblica adunata sotto l’autorità imperiale: solo si sottolineò, con l’ingresso dal lato più corto del rettangolo e abside e altare all’estremità opposta21, l’idea di un progredire, camminare verso il luogo più sacro, dove nella celebrazione eucaristica cielo e terra si incontravano e fondevano. Il tratto più caratteristico delle basiliche era il quadriportico22, ampio spiazzo rettangolare nel quale stavano i catecumeni e i penitenti, coloro cioè che per qualche motivo non erano ammessi a partecipare ai riti. Venendo poi meno l’uso di lunghi catecumenati, e affermandosi invece quello di battezzare i bambini appena nati, il quadriportico si evolverà rapidamente nel nartece, portico antistante che accoglie e ripara, e nel sagrato: luogo particolarissimo, spazio diremmo di dialogo tra sacro e profano, essenziale momento che, senza aver già immesso nel luogo sacro, tuttavia già distacca dal mondo e prepara all’incontro col Signore. Nelle basiliche si presenta inizialmente una costante: le reliquie sono custodite nella cripta, e la basilica viene costruita ad corpus, cioè intorno, sopra il corpo del martire cui è dedicata: 24

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espressione architettonica del fatto che i martiri sono il fondamento della Chiesa. Toccare il divino I fedeli e i pellegrini possono dunque avanzare verso la cripta, o verso il luogo dove sono le reliquie, e toccarle, momento fondamentale per i fedeli23: in essa si realizza l’esperienza del sacro, che si conferma nei sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia. A quella del toccare, si aggiunge in molti luoghi la ritualità dello stare accanto, del fermarsi, spesso legata ai tempi del santuario. Qual è l’effetto di questo contatto? Innanzitutto c’è un dato oggettivo: è un contatto. Ciò che era distante si è unito, chi era lontano si è fatto vicino. Ed è un incontro, cambia: un incontro produce sempre un cambiamento, altrimenti non è incontro. Si cambia perché si è entrati in contatto con qualcosa da cui non si può più prescindere, è come quando si guarda un caleidoscopio: con un gesto, tutto si sposta e si riorganizza, prende un’altra forma, mostra un’altra immagine. La realtà si riorganizza intorno a un altro centro: intorno al centro, al sacro, alla vita reale. Le insegne Caratteristiche dei pellegrinaggi sono le insegne: quelle che documentano il cammino in generale e quelle che dichiarano le particolari mete. Nel primo gruppo troviamo il bastone, la borraccia, la mantellina di panno spesso, il cappello. Il bastone si chiama bordone: in latino tardo si chiamava burdo una razza di muletto, il bastone è il mulo del pellegrino e infatti ha un gancio di ferro cui appendere le cose, soprattutto la borraccia per la preziosa acqua, di solito una zucca scavata. Il cappello era a larghe falde: doveva infatti riparare dal sole e dalla pioggia tutto il corpo e non solo il capo; il nome petaso deriva dal latino petasus (a sua volta dal greco petánnymi, allargo). La mantella, corta per non ingombrare il passo, era di panno adatto a riparare dall’acqua: veniva detta anche sanrocchino, da san Rocco, il santo pellegrino romeo. Spesso il pellegrino portava dal luogo di provenienza immagini sacre, a tracolla o sulla schiena: e in tal modo anche si diffondevano i diversi tipi di immagini, con le relative storie. I pellegrini portavano poi le insegne della meta: la conchiglia chi andava a Santiago24, le chiavi incrociate, la Veronica, la Porta Santa (dopo l’istituzione del Giubileo

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5. Andrea Bonaiuto, Trionfo della Chiesa militante (13661367), Firenze, Santa Maria Novella, cappellone degli Spagnoli. Da notare il pellegrino al centro dell’immagine, in basso, con le insegne distintive di pellegrinaggi cucite sul cappello (petaso): la conchiglia per il pellegrinaggio compostellano e l’immagine della Veronica per quello romano. La visibilità delle insegne era prova del pellegrinaggio compiuto, garanzia dello status di pellegrino, nonché incentivo per chi le vedeva a compiere il relativo viaggio.

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6. Henri Matisse, la cappella del Rosario a Vence (Francia), porta del confessionale. All’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, costruendo la famosa cappella delle suore domenicane, Matisse realizza un arredo liturgico secondo criteri

che saranno codificati dal Concilio Vaticano ii. La ricchezza dei trafori dei riquadri allude alla ricchezza paradisiaca cui il sacramento della riconciliazione conduce.

romano) chi andava a Roma, come simbolo della sede di Pietro25, la croce o le palme (a ricordo duplice: la palma dell’entrata di Gesù in Gerusalemme e la palma del martirio) chi andava a Gerusalemme. In tal modo i pellegrini, ben identificati, avevano anche un proprio appellativo, rispettivamente jacobei, palmiti, romei26. Chi andava a Roma non solo metteva le chiavi, ma anche l’immagine di quelle reliquie che avrebbe visitato: la Veronica, la Porta Santa, poveri oggetti in stagno cuciti sulle vesti: costituivano quasi un salvacondotto che dichiarava lo stato di pellegrino, di povero di Dio, da accogliere e sfamare, perché si affidava in tutto alla provvidenza di Dio e alla carità del prossimo.

trova il suo compimento reale nel sacramento della penitenza, in cui si sperimenta il perdono. In questa ottica, i rituali sono come un’introduzione alla confessione, costituiscono il tempo, il modo, l’occasione di una presa di coscienza. Gli incontri (con le reliquie, i corpi santi, le immagini, i luoghi) sono, per confronto con la santità vissuta e documentata, mezzi per prendere coscienza dei propri peccati e pentirsene.

L’itinerario L’itinerario, nella ritualità dei pellegrini, è parte integrante della purificazione, ed è costituito da un percorso di avvicinamento, che può essere grandioso come quello del camino di Santiago, o avere dimensioni minori. Infatti può svolgersi anche tutto all’interno dell’edificio di culto: in ogni chiesa, l’avanzare stesso lungo la navata verso il centro costituisce un itinerario. È solo la distrazione che oggi spesso impedisce di cogliere nelle immagini sacre delle chiese e nelle memorie che vengono offerte alla visione le tappe di un itinerario di purificazione, che ha come primissimo esito un nuovo sguardo su di sé, quella consapevolezza del peccato che induce al pentimento e alla domanda di perdono. L’itinerario fa già parte dell’esperienza del sacro: è un già e non ancora, è già nell’area del centro, anche se non è il centro. Anche il Giubileo, fin dall’inizio, ha proposto un itinerario, senza specificare tuttavia l’ordine, alle quattro basiliche, che comunque riconducono tutte a Cristo, e propongono ciascuna un cammino di salvezza. In ciò, la Chiesa si manifesta come pellegrina, come luogo del pellegrinaggio che porta al perdono. La purificazione Per ottenere il perdono, è necessario purificarsi. Nei pressi dei grandi santuari si trova una fonte, e le fontane della piazza di San Pietro non sono meri ornamenti. L’acqua è necessaria all’economia rituale, perché introduce il tema del necessario cambiamento prima di accostarsi al luogo sacro. Non è ancora l’effetto della presenza divina, è l’introduzione ad essa. Il tema della purificazione, così annunciato nei rituali e nei simboli, 26

La forma della confessione L’indulgenza presuppone un fatto profondo e complesso: la coscienza del peccato, il riconoscersi peccatori. Come si può essere perdonati se non si sa di che cosa chiedere perdono? Per questo, l’accusa dei peccati è espressa con la stessa parola, «confessione», dal latino confiteor che significa «dichiaro apertamente», con cui si indica il luogo dove riposano le reliquie dei martiri (esempio per tutti è la «Confessione» nella basilica di San Pietro a Roma), che con il sacrificio della vita hanno dichiarato apertamente che Gesù è il Signore e l’hanno seguito e imitato nella testimonianza al Padre, sostenuti dallo Spirito. Il confessionale è stato ed è uno degli arredi fondamentali delle chiese, perché in essi avviene quel sacramento della penitenza e riconciliazione che riavvicina gli uomini a Dio e si offre come possibilità quotidiana di perdono e rinnovamento. La forma del confessionale, e soprattutto la sua decorazione, è sempre stata significativa: le fessure della grata disposte a disegnare la croce, l’immagine sovrastante che mostra la crocifissione, l’Arcangelo Michele che sovrasta tutta la struttura, con la sua bilancia che pesa il bene e il male dell’uomo, oppure con i santi Pietro e Paolo, a ricordare che Pietro ha il potere di sciogliere e legare, aprire e chiudere le porte del cielo, e Paolo simboleggia la Chiesa che accoglie il penitente e si fa missionaria. Oggi le strutture possono essere diverse, ma l’idea è la stessa. L’itinerario oggi L’itinerario è dato perché si operi la prima parte del cambiamento, quella che rende pronti a cogliere il frutto dell’esperienza del sacro. Caratteristica dell’itinerario è il procedere per incontri: tutto ciò che si trova nel cammino è significativo, sostiene e accompagna il mutamento del cuore. Lo splendore delle basiliche romane è bellezza che apre gli occhi e guida al cambiamento: le 27


7. La Danza di Maria, i Cantico. Ottateuco, Vat. Gr. 746, pergamena, ff. 508, xii secolo, f. 194v, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana. La danza è non solo espressione di gioia, ma anche di preghiera e ringraziamento, e ancora oggi vi sono comunità cristiane che esprimono la loro preghiera danzando.

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immagini dei santi nelle tele dipinte, i mosaici lucenti, le reliquie antiche o recenti, la decorazione stessa degli edifici, le facciate con le loro immagini, le absidi splendenti di storie sacre, le cupole vertiginose: sono tutti incontri su cui meditare, cui dare tempo. Le architetture e i dipinti non sono offerti al visitatore solo perché ne contempli il valore estetico, ma perché facciano di ognuno un pellegrino, e insegnino la storia della salvezza, con il linguaggio dell’arte e di una bellezza colma esplicitamente di senso, che la Chiesa da sempre ha usato per comunicare le verità della fede. È un insegnamento per immagini, e per mezzo della organizzazione dello spazio delle chiese: attraverso tutto questo, la Chiesa si presenta con tutta la sua storia e con lo spessore della testimonianza dei suoi santi. Il tempo Nella storia del Giubileo è esemplare l’uso del tempo, che veniva consacrato dedicandolo a Dio: le visite alle basiliche dovevano essere fatte 30 volte27 (poi successivamente ridotte di numero): al sacro, cioè, bisogna dare tempo, bisogna stargli accanto, star vicino ai santi, lasciare che operino e collaborino al cambiamento. Il perdono, la misericordia, la festa: il centuplo quaggiù Mosè e Aronne annunziarono al Faraone: «Dice il Signore, il Dio d’Israele: lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!». Il termine usato è hag, la cui radice significa «danzare», e collega il pellegrinare con la danza, che è espressione di gioia e di lode: anche Davide aveva danzato davanti all’Arca28. La festa è connessa al contatto con il sacro, ai suoi effetti: «giubilo», che in italiano significa fare grande festa, non è altro che la traduzione del latino jubileus, con cui san Gerolamo nel iv secolo tradusse il termine ebraico jôbel, che indicava, con la figura retorica della parte per il tutto, l’intero anno di grazia che si apriva al suono del «corno di ariete», cioè dello jôbel. L’effetto della purificazione e della prossimità al sacro, del perdono ottenuto, è la festa: non c’è santuario, grande o piccolo che sia, senza la festa, che è l’esperienza di un nuovo inizio29 e ha insita l’esigenza di comunicarsi, di condividere, di annunciare. La festa poi comporta sempre una dimensione conviviale: si mangia insieme. E il mangiare insieme è una delle più forti e incisive espressioni del partecipare di una medesima esperienza, di essere insieme nella vita30. 28

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Il ringraziamento C’è un modo di ringraziare che nei santuari si rende evidentissimo, ed è l’ex-voto o il pgr31. Possono essere tavolette dipinte, piccole lastre di pietra o marmo affisse, oggetti d’argento o altro materiale riproducenti simulacri di persone (spesso di bambini) o parti del corpo cui la grazia è relativa (gambe, occhi, e anche organi interni, eccetera), oppure ancora oggetti legati alla grazia ricevuta: stampelle, spalline di militari, abiti e scarpe da sposa, capelli. Il ritorno come esperienza Chi si fa pellegrino risponde a una chiamata, e spesso parte sull’esempio di qualcuno, che ha fatto trasparire il bene sperimentato. Quando si torna, si è portati a raccontare ciò che si è incontrato, e si avverte la responsabilità di una testimonianza: ci si rende conto che quanto è accaduto non può essere un pane mangiato da soli, ma deve essere condiviso. Allora si racconta e si distribuiscono i ricordi. Erano i brandea, i frammenti di tessuto fatti passare dalle fenestellae confessionis che si aprivano sulle reliquie dei corpi santi, perché le toccassero; ora sono oggetti anche assai brutti dal punto di vista estetico. Ma, a parte il giudizio sulla loro qualità estetica32, la funzione è importantissima33. Infatti, una volta tornati, tali oggetti avranno il compito di annunciare, con la loro stessa presenza, che il luogo santo c’è, è raggiungibile, rimane stabile, anche per chi non ci va, come una porta aperta e un’offerta. La casa, o il luogo nella casa dove è stata posta l’immagine sacra del santuario, vengono così in un certo senso santuarizzati, e diventano una replica del santuario. Ecco allora le immagini e anche le foto ricordo sui sagrati, le immagini, le cartoline, i rosari o altri oggetti che portano a casa un pezzo di cielo. Il mantello della misericordia Aveva cominciato sant’Elena, portando a Roma le reliquie della Passione di Gesù, così che Roma divenne una seconda Gerusalemme. La distribuzione delle reliquie diffuse la fama dei martiri, che vennero imitati, e ci furono altri santi, altre mete, altri percorsi. I santuari si sono moltiplicati perché si sono moltiplicati i santi e i segni prodigiosi, non per altro. Si è allargata così la misericordia di Dio, come un mantello su tutta la famiglia umana, un mantello universale di cui toccare i lembi. Perché non ci sia alcuno che possa dire: «Non ho un santuario vicino cui andare».

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La specializzazione dei santuari e il ruolo di Roma Non tutti i santuari sono uguali: c’è una rispondenza tra i pellegrini e i santi che venerano. Per vie misteriose, i moti dell’animo umano si dirigono all’una o all’altra meta a seconda delle specifiche necessità e contingenze34. A Roma soprattutto ci si reca per affermare l’unità della

Chiesa, l’obbedienza al Papa, la comunione dei santi, la centralità di Cristo: e per dire che si fa propria l’eredità degli apostoli, tornando e diffondendo l’annuncio dell’anno di grazia del Signore. Nelle bolle d’indizione dei Giubilei, si nota l’incredibile allargarsi delle forme della misericordia, facendosi sempre più interiori e spirituali le condizioni per ottenere l’indulgenza.

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BONIFACIO VIII E IL CARD. STEFANESCHI

Capitolo 2

BONIFACIO VIII E IL CARD. STEFANESCHI: TRADIZIONE E INIZIATIVA DEL POPOLO DI DIO Anche se si hanno cronache di grandi afflussi a Roma in anni precedenti il 13001, il primo Giubileo romano «ufficiale» è quello indetto da Bonifacio viii, che allora risiedeva in Laterano, del quale ci tramanda la cronaca il cardinale diacono Jacopo Gaetano Stefaneschi nel suo De centesimo seu Jubileo anno liber2. Il Pontefice volle dar credito a una «ambigua e quasi incredibile diceria sull’anno centenario allora prossimo a venire... la quale preannunziava che la potenza salvifica di quell’anno sarebbe stata tanto grande, che quanti in esso si fossero recati a Roma alla basilica del principe degli apostoli Pietro avrebbero conseguito pienissima purificazione da tutti i peccati» (De centesimo, p. 4). Il papa fece fare invano ricerche «negli antichi volumi» (De centesimo, p. 4), ma non trovò traccia scritta della «tradizione» e sospese ogni decisione. Così sopraggiunse «l’anno centenario» e dopo che «per quasi tutto il primo giorno di Gennaio3 rimase occulto il mistero della nuova remissione dei peccati» (De centesimo, p. 5) all’imbrunire «fra il silenzio, fin verso il mezzo della notte fonda, in breve esso si rivelò ai Romani, i quali accorsero in folla alla sacra basilica del beato Pietro... quasi reputassero che la grazia dovesse aver fine o fosse maggiore in quel giorno che di lì a poco era per terminare. Non possiamo affermare, essendone piuttosto incerti, se colà si dirigessero chiamativi da qualche sermone pronunziato la mattina nella basilica sull’anno centenario ossia giubileo, ovvero di propria iniziativa, o – com’è più conforme al sentimento della fede – tratti colà da un comando celeste che ricordasse loro il passato di quel centenario» (De Centesimo, p. 5). E qui è interessante notare4 che poteva essere stato proprio il card. Stefaneschi, canonico di San Pietro, quel predicatore. Possiamo presumere che egli stesso abbia accolto le voci circa il Giubileo, che ne abbia fatto oggetto di predicazione, informandone anche il pontefice, venendo così ad assumere 30

nella storia della Chiesa un ruolo probabilmente anche per lui inatteso. Fin dalla vigilia dell’inizio dell’anno5, primo giorno6 del 1300, una moltitudine aveva preso ad affluire a San Pietro, impaziente, temendo che alla mezzanotte cessasse il tempo del perdono. Nei giorni successivi «cominciarono a farsi più intensi la fede e il pellegrinaggio di cittadini e forestieri: e alcuni asserivano che nel primo giorno del centenario venisse cancellata l’impurità di tutte le colpe, negli altri invece vi fosse un’indulgenza di cent’anni» (De centesimo, p. 5); inoltre, particolarmente intenso fu il flusso dei pellegrini «nel giorno in cui a tutto il mondo si mostra l’effigie venerabile comunemente detta sudario o Veronica»7 (De centesimo, p. 5). Si fecero accurate indagini, e si trovarono testimoni: «Neppure mancò un vivente testimone dei tempi passati, il quale, affermando che il suo pellegrinaggio terreno contava centosette anni, essendo stato convocato proprio a questo fine, dichiarò alla presenza di molti, anche del medesimo pontefice, di ricordare come suo padre, nel precedente centenario, si fosse trattenuto a Roma per l’indulgenza fin quando gli erano bastate le provviste da contadino che aveva portato con sé; e come lo avesse ammonito che nel successivo centenario, se mai – cosa che non credeva – vi fosse giunto, il fanciullo non tralasciasse di recarsi a Roma»; affermò che «in ciascun giorno di quel medesimo anno vi si poteva lucrare l’indulgenza di cent’anni» (De centesimo, p. 6). Diffusasi la notizia di quanto stava accadendo, si trovarono altri che ricordavano il passato centenario, in Italia, e due uomini nella diocesi di Beauvais (De centesimo, p. 6). Il Pontefice allora «attento a non estinguere le manifestazioni dello Spirito» (De centesimo, p. 7), consultato il collegio cardinalizio, il 22 febbraio emise la bolla8 d’indizione dell’Anno Santo, iniziandola proprio con un attestato di fiducia nella tradizione orale: Antiquorum habet fida relatio: «C’è una rela-

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Pagina precedente 1. Affresco già collocato nella Loggia delle Benedizioni di San Giovanni in Laterano, ora all’interno della stessa basilica. Secondo l’interpretazione tradizionale, in questo affresco attribuito a Giotto, papa Bonifacio viii benedice dalla loggia lateranense i pellegrini accorsi per il Giubileo del 1300.

In queste pagine 2. Giotto, Polittico Stefaneschi (recto), Crocefissione di Pietro, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana.

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zione degna di fede degli antichi che a coloro che si recano nella venerabile basilica del primo degli apostoli in Roma sono state concesse ampie remissioni e indulgenze dei peccati»9, e stabilì altresì le norme per ottenere l’indulgenza plenaria. Quindi, in questa prima edizione, l’Anno Santo Romano venne indetto dal Pontefice dopo che il popolo di Dio, attingendo alla Tradizione, l’aveva già aperto. La bolla è datata infatti 22 febbraio 130010, festa della Cattedra di San Pietro: da allora la basilica di San Pietro ha superato in importanza quella di San Giovanni in Laterano. La coincidenza con la festa della Cattedra di San Pietro ribadì il primato petrino. All’uso popolare di accompagnare con il canto ritmato il pellegrinare, andarono incontro i versi apposti alle copie inviate da Bonifacio viii alla basilica di San Paolo e alle altre chiese per invitare al Giubileo: Annus centus – Romae semper est iubileus Crimina laxantur – cui poenitet ista donantur. Hoc declaravit Bonifacius et roboravit L’anno cento – a Roma è sempre giubileo Le colpe sono rimesse – al pentito sono condonate Ciò stabilì e convalidò Bonifacio Nella prima bolla c’è già la premessa di quanto verrà codificato in seguito: le visite rituali a mete privilegiate, i luoghi di San Pietro e San Paolo, la ricorrenza centenaria (poi intensificata). Ed è da notare che il tempo da dedicare alle visite non è affatto poco: si prevede una «frequentazione» delle basiliche, non un semplice avvicinarsi ai luoghi. Non solo il giungere alla meta, ma lo stare, il frequentare, il dare tempo sono fondamentali, perché quello che si auspica non è un’incursione nel sacro, ma una crescita sostanziosa, che necessita tempo e spazio perché sia profonda e radicata11. Tratti principali del pellegrinaggio giubilare saranno i seguenti: acquisto delle indulgenze, visita alle reliquie, ritualità di apertura e chiusura della Porta Santa, dimensione temporale, affermazione di appartenenza. Per l’onore di Dio e per l’esaltazione della fede Questa espressione12, contenuta nella bolla Apostolorum limina con cui Paolo vi il 23 maggio indisse il Giubileo del 1975, indica sinteticamente il senso di ogni Anno Santo. I pellegrinaggi cristiani avevano già una forma consolidata, e quelli a Roma erano una consuetudine di più di un millennio; da sempre la meta principale dei 34

pellegrinaggi a Roma erano state le reliquie che santificavano la città e ne facevano un luogo unico al mondo, un’altra Gerusalemme: e in particolare lo furono quando le conquiste islamiche resero molto difficile la visita alla Terra Santa. A Roma sono reperibili reliquie di quanti diedero alle origini la loro testimonianza; qui resero la loro testimonianza e insieme definirono le linee del contenuto della fede cristiana i santi Pietro e Paolo; qui Cristo, per il tramite del suo successore, ha fissato la sua sede terrena; qui infine, non in ordine di importanza, sono state raccolte memorie della Passione, quali il legno della croce di Gesù, il legno della croce del Buon Ladrone, il sudario della Veronica e altre. Per tutto questo Roma è divenuta come un’altra Gerusalemme. Le mete Le prime mete romane furono le reliquie dei martiri, e soprattutto dei due apostoli; poi, quando furono portate a Roma, quelle di Cristo. San Pietro e san Paolo sono sempre stati uniti nella venerazione, e insieme indicati come mete del primo Giubileo: ciò sottolinea due temi fondanti nella Chiesa, quello del primato di Pietro e dell’unità, e quello, con san Paolo, della missionarietà. Quando si trovavano nelle catacombe, le reliquie furono lì visitate e venerate, e i cristiani le seguirono quando da queste furono trasportate nelle chiese di Roma. Già nei primi secoli si delineò la mappa dei luoghi che i cristiani visitavano, mappa che l’imperatore Costantino, insieme alla madre sant’Elena, contribuì a definire, edificando le sue basiliche e le sue cappelle in continuità e ad ampliamento di luoghi già venerati. Coloro che erano stati scelti a imitare Cristo nella testimonianza fino alla morte erano considerati privilegiati e divenivano oggetto di venerazione presso gli stessi parenti e la comunità tutta. Non meraviglia quindi che i luoghi della loro sepoltura fossero oggetto di frequentazione assidua e abbelliti quanto possibile. Papa Damaso (366-384) incrementò fortemente il culto dei martiri e iniziò la costruzione delle basiliche ipogee ad corpus, cioè presso i corpi; con la libertà di culto concessa ai cristiani da Costantino, le reliquie dei martiri iniziarono a essere spostate dal luogo della sepoltura originaria e portate nelle diverse basiliche che via via venivano costruite. Il flusso dei pellegrini si mosse allora in superficie, tra le grandi basiliche dove

3-4. Dittico paleocristiano conservato nel museo sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana. In questa pagina, il lato destro raffigurante san Paolo. Alla pagina seguente, il lato sinistro raffigurante san Pietro. Queste immagini sono servite nel tempo a fissare le caratteristiche fisiognomiche dei due santi.

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si erano intanto accumulate le reliquie, e si diresse in particolare là dove erano quelle più care, quelle di Cristo stesso, portate a Roma dalla madre dell’imperatore, la regina Elena. Con la reliquia della Vera Croce, il sudario della Veronica, l’immagine Acheropita, i cristiani potevano anche a Roma gustare la concretezza della presenza di Cristo: intanto, la conquista della Terra Santa da parte dei musulmani rendeva estremamente complesso recarvisi, e i luoghi cui farsi pellegrini si concentrarono in Europa. Oltre che a Santiago, si andava a Roma, si andava alle reliquie di Cristo, dei martiri, dei confessori13. A Roma poi, soprattutto, si andava per contemplare il volto di Cristo nel sudario della Veronica. Reliquie e indulgenze Nell’avvicinarsi del 1300, però, la meta ultima non era tanto la visione delle reliquie quanto l’ottenere le indulgenze: a questa poi, si aggiunge, come ebbe a scrivere Giovanni Villani, cronista e pellegrino insieme, la particolare consolazione della esposizione ripetuta e solenne del sudario conservato in San Pietro: «per consolazione de’ Cristiani pellegrini, ogni Venerdì e dì solenni di festa si mostrava in San Pietro la Veronica del sudario di Cristo». Vogliamo con ciò sottolineare che la meta romana, dopo il 1300, sarà primariamente la visita ai luoghi designati per il conseguimento dell’indulgenza. Le più antiche insegne14 dei pellegrini, che documentano le mete frequentate, sono dei secoli xii e xiii, dunque precedenti al primo Giubileo, e portano ritratti dei santi Pietro e Paolo, del Volto Santo di Cristo, le chiavi del pontefice incrociate, sormontate o no dal triregno15; se ne trovano anche con la Scala Santa e le Porte Sante.

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La dimensione temporale L’indizione del Giubileo alla festa della Cattedra di san Pietro mette bene a fuoco come il Pontefice volesse porre al centro del pellegrinaggio il primato di Pietro; inoltre, la prima tradizione cui si riferisce è quella per cui si erano sempre ottenute indulgenze andando alla basilica del «principe degli apostoli», cioè san Pietro. Poi aggiunge la basilica di San Paolo: propone alle visite devote dei pellegrini che desiderano le indulgenze, le due basiliche, da visitarsi per trenta giorni continui o saltuarii e almeno una volta al giorno, dai romani, e

quindici dai forestieri16. E ottenere in tal modo l’indulgenza sarà possibile per tutto un anno, da Natale a Natale. Si aggiunge così alle visite alle basiliche per l’ottenimento delle indulgenze un tratto che risulterà tipico del pellegrinaggio giubilare, cioè la durata: sia per il numero delle visite da compiere, sia per il lungo tempo durante il quale è possibile farle. Anche negli altri pellegrinaggi, poiché le azioni umane hanno sempre una durata nel tempo, la dimensione temporale non è assente: tuttavia, nella ritualità giubilare, entra come elemento determinante. È nel tempo che avviene quella purificazione, quel cammino di conversione, quello specialissimo «corso di esercizi spirituali» che prepara all’indulgenza e all’immediata visione beatifica di Dio. In questa prospettiva acquista più pieno significato l’esposizione ripetuta della Veronica: chi si trovava in Roma poteva godere almeno quattro volte (due domeniche e due venerdì) di tale conforto. È lungo poi un anno intero il tempo a disposizione per ottemperare alle prescrizioni. Un altro aspetto della dimensione temporale è proprio nella cadenza dell’anno giubilare, che si definisce via via non solo in riferimento al forte significato degli anniversari per i cristiani, ma anche alla durata della vita umana stessa. È da sottolineare la progressione: dapprima ogni cento anni, solennissimo anniversario; poi l’intervallo scende a cinquanta, adeguandosi alla durata media della vita; poi si va a venticinque, superando l’esigenza naturale, perché, si può dire, la Grazia di Dio è più copiosa e provvida di qualunque misura terrena. Al pellegrinaggio verso Roma, si aggiunge, nella ritualità giubilare, un altro in Roma, quello della visita ripetuta alle basiliche17. Un altro elemento risulta fondamentale nella ritualità giubilare, in questo simile a quella di tutti gli altri pellegrinaggi: l’elemento della reciproca edificazione prodotta dalla vicendevole visione; è qui particolarmente esplicito papa Benedetto xiv, che scrive nella bolla: «Inoltre la vista stessa dell’innumerevole moltitudine di fedeli che in questo stesso anno si concentra a Roma da ogni parte riempirà di giusto e santo piacere il vostro cuore. Riconoscendo ciascuno la propria stessa fede in tanti uomini di così diverse nazioni e lingue, rallegrandosi con tutti questi, con fraterno amore, 37


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5. San Pietro in Vaticano. Le colonne tortili del baldacchino di Bernini in una veduta verso il pilone contenente le reliquie di santa Veronica. Queste colonne tortili, dalla ricca simbologia, possono essere considerate il prototipo cui si sono ispirati gli architetti del barocco.

6. San Pietro in Vaticano. Pilone di santa Veronica. Francesco Mochi, Santa Veronica, particolare del sudario con il volto di Cristo.

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7a, b. Incisione raffigurante una moneta con il ritratto di Bonifacio viii e il simbolo della Porta Santa. La scritta per eam iusti intrabunt (attraverso di essa entreranno i giusti) intende riportare le parole di Cristo, il cui volto campeggia al centro sopra l’architrave.

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8. Innocenzo x apre nel 1649 la Porta Santa in una rappresentazione dello stampatore romano Jacopo De Rossi in cui tutt’intorno appaiono le principali cerimonie giubilari.

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presso la comune madre chiesa romana, sentirà piovere più abbondantemente su di sé le celesti benedizioni, qual rugiada che dalle cime del monte Hermon discende sopra gli abitanti della santa città»18. Cuore del pellegrinaggio giubilare, ciò cui tutto conduce e che tutto afferma, è l’unità della Chiesa, la cui gloria è come documentata nei tesori anche d’arte, che ne propongono la dottrina ed esaltano i contenuti. È ancora Benedetto xiv che illumina sul significato stesso delle opere d’arte, dei monumenti, dei riti, che al pellegrinaggio fanno corona: «Quale maggiore felicità può provare un cristiano che vedere la gloria della croce di Cristo nel sommo grado di splendore, in cui riluce sopra la terra, e osservare con i propri occhi i monumenti della trionfale vittoria con cui la nostra fede ha superato il mondo?». La ritualità gestuale La ritualità giubilare ha per così dire due versanti: l’uno è costituito dalle cerimonie ufficiali di apertura e conclusione e dalle liturgie, numerose e di vario genere, che accompagnano tutto il corso dell’anno; l’altro è costituito dai gesti e dalle preghiere che al pellegrino vengono prescritti per ottenere l’indulgenza, o di cui si è stabilita nel tempo la consuetudine. Un Anno Santo viene indetto da una bolla nella quale il pontefice fissa le date di apertura e chiusura, e le modalità di acquisto delle indulgenze. Di norma la bolla viene promulgata sei mesi prima, in occasione della festa dell’Ascensione o della Pentecoste: è il documento più importante, che di volta in volta definisce i temi portanti dell’Anno Santo; non è però il solo documento, perché l’Anno Santo viene preparato da lettere ed esortazioni negli anni precedenti. Nel caso dell’Anno Santo 2000, già l’enciclica Tertio Millennio Adveniente, che ne aveva dato il primo annuncio, individuava un itinerario che partiva dall’Anno Santo della Redenzione (1983) e sottolineava, negli eventi e nei documenti pontifici, un percorso spirituale che conduceva al grande passaggio al terzo millennio, del quale quell’Anno Santo costituiva ponte e cammino guidato. Il fatto che tale itinerario di solito cominciasse comunque all’Ascensione o alla Pentecoste ricorda che è stato ascendendo al cielo che Cristo ha aperto la via ai suoi, e che nella Pentecoste l’effusione dello Spirito rende capaci della testimonianza piena, di essere cioè suoi fino in fondo.

La porta e la pietra Nel Giubileo del 1423, indetto da Martino v (14171431), probabilmente per la prima volta si effettuò il rito dell’apertura della Porta Santa (così detta perché simbolo di Cristo, e per i benefici effetti di santificazione nei fedeli che la varcano), poi ripetuto con maggior splendore nel 1450, con l’apertura di una Porta d’Oro in San Pietro. Ritorna qui la simbologia del portale, ma con una sottolineatura particolare, poiché si tratta, dal 1450, di una Porta d’Oro. Nel dare inizio all’anno di misericordia del Signore, il riferimento a Gesù Cristo si fa forte e palese: è Lui la porta. Ma di Cristo qui viene proposto il momento della croce, del passaggio per la porta stretta, che diviene aurea per i benefici effetti, perché immette nella misericordia e fa accedere alle indulgenze. Non è un caso che, durante l’Anno Santo, entrando nelle basiliche per ottenere l’indulgenza, sia prescritto il passaggio per questa porta, e non per i più ampi e monumentali portali, che enfatizzano invece il tema della gloria e del giudizio. La Porta Santa non viene semplicemente aperta, viene abbattuta: il Pontefice batte tre colpi, imitando Mosè che dalla montagna fece scaturire l’acqua per dissetare il popolo d’Israele pellegrino nel deserto. Al luogo sacro, dove come non mai per mezzo dell’indulgenza ci si avvicina alla visione beatifica, non si può accedere se non a condizioni precise e date; si può entrare solo grazie al Pontefice e si ottiene l’indulgenza solo secondo le prescrizioni. Il martello stesso19 è un simbolo: è strumento infatti di gente che opera con fatica, e rappresenta la fatica con cui il Pontefice, secondo i poteri ricevuti da Dio e per mezzo dei sacramenti, abbatte le porte dei peccati, converte le anime e le introduce alla salvezza. Il Pontefice batte tre colpi: il tre è evidentemente riferito alla Trinità e rimanda alle tre virtù cardinali, Fede, Speranza e Carità; li batte come fece Mosè (il quale è antefigura di Cristo nella guida del popolo di Dio nel deserto e nel compito assegnatogli di dissetarlo); si abbatte il muro, si toglie la pietra come si fece per il sepolcro di Lazzaro, quando Gesù disse: «Togliete la pietra». Con questo muro cadono le potenze terrene e la forza dei persecutori della Chiesa, e si aprono i cuori induriti. Qui il Pontefice è immagine di Cristo stesso; e di nuovo, nel murare nuovamente la parete a chiusura 41


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9. Xilografia dai Mirabilia Urbis Romae (xv secolo), Ostensione della Veronica. La Veronica, vera icona, cioè immagine di Cristo, impressa dal suo sudore misto a sangue, era mostrata ai pellegrini che cercavano la misericordia del Padre: Cristo infatti disse ai discepoli: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).

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10. F. Marchese, Itinerario sacro per i concorrenti al Giubileo, Roma 1675. Sono qui concentrate le quattro basiliche maggiori proposte ai pellegrini come itinerario sacro in Roma.

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dell’Anno Santo, è immagine di Cristo quando disse: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Questo avviene a Natale, perché nascendo in terra Cristo ha aperto le porte del cielo, e termina il tempo dei Giubilei ebraici, iniziando un tempo nuovo, ben rappresentato dal rinnovato crescere dei giorni dopo il solstizio invernale. Il rito avviene verso l’ora nona, in ricordo della Passione, quando, con l’apertura del costato di Cristo e la consumazione del sacrificio, nacque la Chiesa, rappresentata dal sangue e dall’acqua che dal costato zampillarono insieme, segno di natura divina e umana congiunte. Non è evidentemente senza significato il fatto che molte volte, all’apertura della Porta Santa, fossero presenti le insigni reliquie della Veronica e della lancia di Longino, il centurione che trapassò con quella il costato di Cristo morto, e successivamente si convertì. Le Porte Sante divennero in breve tempo quattro, nelle quattro basiliche maggiori, a loro volta simbolo delle quattro parti del mondo, così come risulta dalla divisione degli assi nord-sud est-ovest: si vuole così esprimere che le genti sono chiamate dalle quattro parti del mondo, e da esse, come dai quattro fiumi del Paradiso e dai bracci della croce, si diffonde ovunque la grazia, in ogni direzione, e si rivela l’universalità della salvezza. Il quattro infatti è il numero della totalità e dell’universalità. La ritualità fu definita nel Giubileo del 1500, indetto da Alessandro vi. Nelle quattro basiliche patriarcali fu aperta, accanto al consueto portale, una porta, detta Porta Santa, particolarmente ornata, che i pellegrini dovevano varcare per l’acquisto delle indulgenze e che era destinata a essere murata alla fine dell’anno e riaperta al successivo. Paolo vi dirà: «per simboleggiare il più facile accesso alla misericordia divina con l’acquisto dell’indulgenza giubilare». In San Pietro per questo si utilizzò una porta solitamente usata dal sacrestano; in San Paolo si individuò una porta murata e dimenticata, in Santa Maria Maggiore e San Giovanni si utilizzarono porte laterali. Al liturgista Giovanni Burcardo venne affidato il compito di preparare le preghiere e le cerimonie dell’apertura: tali riti, con poche variazioni, sono quelli odierni. Così, la Vigilia di Natale del 1499, Alessandro vi, al canto del Te Deum, venne alla Porta Santa, la percos-

se e batté con un martello da muratore e l’attraversò in ginocchio reggendo una candela accesa. Cardinali legati fecero lo stesso nelle altre basiliche patriarcali. C’è oggi da sottolineare che, dal Giubileo del 1950, che è l’ultimo nella cui bolla di indizione si fa riferimento alla prescrizione di visitare tutte le quattro basiliche, si registra un nuovo modo di significare questa universalità. Di fatto, non è più necessario recarsi a Roma, essendo possibile ottenere l’indulgenza visitando chiese della propria diocesi appositamente indicate e partecipando a celebrazioni comunitarie diocesane e anche parrocchiali a ciò finalizzate, senza che con questo venga meno la funzione unificante di Roma. Anzi, essa è esaltata, perché Roma può essere ovunque la medesima autorità che il Giubileo stabilisca che sia. Si fa incontro con eccezionale duttilità e fantasia alle esigenze di tutti, e manifesta così il suo trionfo. La ritualità delle preghiere All’inizio si era invitati a visitare solo le basiliche di San Pietro e San Paolo; poi il percorso è aumentato. Ora, dall’Anno Santo 1950, si propone la visita a un solo luogo: l’indulgenza si otterrà compiendo «un pio pellegrinaggio ad una della basiliche patriarcali o ad altra chiesa o luogo della città di Roma, designato dalla competente autorità, e ivi parteciperanno devotamente ad una celebrazione liturgica, specialmente al sacrificio della messa, o ad altro esercizio di pietà (ad es. la Via Crucis, il Rosario mariano)»20. L’attenzione viene spostata dall’itinerario al luogo in sé, a Roma stessa, nella quale le chiese designate, al fine dell’indulgenza, si equivalgono. Nella bolla d’indizione del 1983, si legge che l’indulgenza può essere ottenuta scegliendo uno dei modi proposti, che tutti comunque devono essere «espressione di rinnovato impegno di vita ecclesiale esemplare»21: si propongono celebrazioni e pellegrinaggi. Le celebrazioni comunitarie possono essere anche della

propria diocesi, ed essere esplicitamente giubilari, mentre i pellegrinaggi possono essere sia a Roma, a visitare una delle basiliche patriarcali, sia a uno dei luoghi indicati dai vescovi. Fine ultimo delle disposizioni delle bolle recenti sembra essere di rendere il più possibile accessibile quel rinnovamento di vita che consegue all’indulgenza: il pellegrinaggio viene esaltato nella sua dimensione interiore e nei suoi frutti. Alle basiliche patriarcali, alle sette chiese, o al santuario vicino a casa, ogni visita deve essere accompagnata dalle preghiere che le bolle di volta in volta indicano. Non manca mai la professione di fede e la preghiera secondo le intenzioni del Pontefice. Il fatto stesso che si andasse a Roma sottolinea il tema dell’appartenenza. Le prescrizioni poi, sospendendo almeno fino agli anni più recenti altre indulgenze, perché maggiore fosse l’affluenza a Roma, rafforzano ulteriormente questo tema. Si noti però che di norma la possibilità di ottenere l’indulgenza veniva variamente estesa l’anno successivo: questo non è senza significato, e va collegato con il rituale secondo cui il primo a varcare la Porta Santa debba essere il Pontefice, seguito dai fedeli22. Andare a Roma significava dichiarare la propria appartenenza alla Chiesa cattolica, affidare il proprio destino alla Chiesa, riconoscere che in nessun altro luogo c’è salvezza23. Il tema dell’appartenenza torna anche nelle preghiere, attraverso il Credo e il Pater noster: qui ci si affida alla volontà di Dio perché in tutto rifulga la sua Gloria; la preghiera inoltre, secondo le intenzioni del Papa, sottolinea il primato di Pietro e il richiamo all’unità. È soprattutto in ciò che il pellegrino vede nelle basiliche e nei luoghi visitati che viene condotto a sentirsi parte di una nuova famiglia, il cui albero genealogico è emblematicamente tutto contenuto nelle litanie dei santi.

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Capitolo 3

SEQUENZA STORICA DEI GIUBILEI

L’indizione del Giubileo del 1300 presenta alcuni aspetti notevolissimi: il primo, è che l’indizione stessa fu la risposta meditata a una pressante richiesta popolare, della cui fondatezza si fece ogni possibile accurata ricerca. Si unirono quindi l’iniziativa popolare all’autorità dell’istituzione e della gerarchia. Risulta quindi molto interessante constatare che fu la sola «tradizione orale» il fondamento della decisione papale: infatti, scorrendo le memorie riportate, si nota come anche i testi non rimandino ad altro che a quanto evidentemente si tramandava di padre in figlio e, data la scansione temporale, di nonno in nipote, secondo quanto risulta dalla testimonianza del card. Jacopo Stefaneschi. Il papa dunque rispose alla richiesta popolare. Nella sequenza storica dei Giubilei si può cogliere l’evolversi della sensibilità ecclesiale e l’allargarsi della misericordia: li riportiamo con la semplice successione delle date e l’indicazione delle peculiarità. 1. 1300. Bonifacio viii (1295-1303) Il Giubileo è qui chiamato «Centesima indulgenza»; erano stati usati anche i termini «Centesimo secolare» e «Indulgenza del Centesimo». Fu indetto dal Laterano, dove risiedeva il pontefice, il 16 febbraio, ma promulgato solennemente in Vaticano il 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di san Pietro, con effetto retroattivo al Natale 1299. Terminò il 24 dicembre 1300. Un’epigrafe dell’intera bolla è leggibile in San Pietro. Si dice: «plenissimam… concedimus veniam…peccatorum», e sempre di venia, cioè di perdono, si parla. Prescrizioni per ottenere l’indulgenza plenaria: confessarsi e visitare trenta volte due basiliche (quindici volte per i forestieri), quella di San Pietro e quella di San Paolo. Roma era piccola1, cinta da mura, le cui porte (le maggiori: Maggiore, San Sebastiano, San Paolo, San Giovanni, Portese, Latina, Santo Spirito, Salaria, Nomentana, San Lorenzo) erano sorvegliate giorno e notte. Ebbe tuttavia 44

una guida che elencava reliquie e antichi monumenti, e indicava i percorsi per le basiliche. Andarono a Roma (che contava all’epoca circa 20.000 abitanti) circa due milioni di pellegrini, tra i quali Dante, Casella, Cimabue e Giotto, che lascerà un affresco nella Loggia del Laterano, oggi all’interno. Nella bolla di chiusura Ad honorem Dei (25 dicembre 1300) si dice: «annus iste Iubileus trecentesimus». 2. 1350. Clemente vi (1342-1352) Il Giubileo fu indetto da Avignone, con la bolla Unigenitus Dei Filius; in considerazione del valore simbolico del numero 50 (per la legge mosaica il Giubileo era ogni cinquanta anni, la Pentecoste avviene cinquanta giorni dopo Pasqua) e anche perché «pochi, attesa la brevità dell’umana vita, possono pervenire all’anno centesimo», fissa al cinquantesimo anno il Giubileo, così chiamato per la prima volta. La bolla Unigenitus Dei Filius è la prima che illustra la dottrina delle indulgenze2. Prescrive inoltre di visitare, oltre alle basiliche di San Pietro e San Paolo, la basilica Lateranense3, e motiva: «di essa si legge che Costantino di inclita memoria, dopo essere rinato nel fonte del battesimo ed essere stato mondato dal contagio della lebbra dal beato Silvestro, allorché [questi] ne ebbe conoscenza da rivelazione di Dio attraverso i medesimi apostoli, la costruì ad onore del Salvatore e che il medesimo beato Silvestro la dedicò con un nuovo genere di consacrazione e di unzione, e sulle pareti di questa chiesa apparve visibilmente per la prima volta a tutto il popolo romano un’immagine dipinta del predetto Salvatore, [immagine] che deve venir venerata con maggior devozione... e perciò abbiamo ritenuto che essa debba essere venerata, nel senso che la medesima chiesa venga insignita del privilegio della predetta indulgenza…». Si stavano vivendo due momenti duri per la Chiesa: la cosiddetta cattività avignonese, periodo durante il qua-

le i Pontefici risiedettero in Avignone (1309-1377); e lo scisma d’Occidente (1378-1417), quando ai papi eletti vennero contrapposti degli antipapi. Il terremoto del 9 settembre 1349 aveva reso Roma quanto mai squallida, e impressionava che il tetto del Laterano, la madre di tutte le chiese, fosse crollato. Petrarca scrisse: «Quello che prima era il tempio degli apostoli è ora un amorfo cumulo di rovine che indurrebbe a pietà i cuori di pietre». Ma il Villani nella sua cronaca riporta: «E il Santo sudario di Cristo si mostrava nella chiesa di San Pietro per consolazione dei romei ogni domenica e ogni dì di festa solenne; sicché la maggior parte dei romei il poterono vedere». Le cifre poi sono esorbitanti, sempre secondo il Villani: per la Quaresima del 1350 sarebbero giunti a Roma 1.200.000 pellegrini, per Pasqua 800.000. Ma un biografo di Clemente vi accenna circa a 5.000 pellegrini al giorno. A Roma andò santa Brigida, che, in incognito, questuava tutto il giorno alla porta della chiesa di San Lorenzo in Panisperna a chiedere l’elemosina «per il pane dei poveri»4. 3. 1390. Urbano vi (1378-1389) La bolla Salvator noster Unigenitus dell’8 aprile 1389 porta a trentatré anni l’intervallo tra un Giubileo e l’altro in considerazione della vita terrena di Cristo, ed eccezionalmente si inizia tale celebrazione dal 1390. Urbano vi morì il 15 ottobre 1389; fu eletto Bonifacio ix (1389-1404), che con la bolla Dudum felicis recordationis dell’11 giugno 1390 confermò il Giubileo e l’intervallo di trentatré anni. Si visitarono le quattro basiliche maggiori: infatti, nel 1373, con la bolla Salvator Noster, papa Gregorio xi, da Avignone, aveva prescritto, per ottenere le indulgenze giubilari, anche la visita alla basilica di Santa Maria Maggiore, in considerazione della parte avuta dalla Vergine nella storia della salvezza. Con la bolla Dudum felicis recordationis si concesse ad alcuni, e a certe condizioni, di sostituire la visita alle quattro basiliche romane con la visita per trenta giorni entro l’anno ad «alcune altre chiese da indicarsi dai detti confessori ai fedeli stessi». 4. 1400. Bonifacio ix (1389-1404) Roma era dilaniata dai conflitti delle potenti famiglie Orsini e Colonna.

La Confraternita dei Bianchi Battuti, comunemente detti Bianchi, fu movimento religioso che nel 1399 percorse l’Italia da nord a sud al grido di «Pace e misericordia». La Confraternita si vuole nata in Provenza, forse in seguito ad apparizioni miracolose avvenute in diverse parti d’Europa allo scopo di riportare la pace negli animi. La prima notizia è del 5 marzo 1399, quando a Chieri (Torino) comparvero processioni di uomini, donne e bambini, coperti di tuniche bianche, incappucciati, che pregavano flagellandosi a sangue e chiedendo perdono dei peccati. Percorsero l’Italia facendo proseliti, ed entrarono in Roma cantando «Misericordia, eterno Dio». Papa Bonifacio ix, dopo i primi dubbi, ne condivise la pietà e partecipò alle processioni promulgando inoltre il «perdono di colpa e di pena» a chiunque avesse fatto penitenza per nove giorni, e concedendo l’Anno Santo del 1400. Ma non si è rintracciata la bolla di indizione. Vennero a Roma da diverse parti d’Europa numerose compagnie di battuti, in cappa bianca in segno di penitenza. A Roma scoppiò la peste, e portò tra loro la cosiddetta moria dei bianchi. Ne troviamo notizie nelle Croniche del lucchese Giovanni Sercambi. 5. 1423. Martino v (1417-1431) Anche per questo Giubileo manca la bolla di indizione. Fu comunque indetto ricollegandosi al Giubileo del 1390, anche per celebrare la fine dello scisma d’Occidente, chiuso dal Concilio di Costanza (1414-1418): gli antipapi Giovanni xxiii e Benedetto xiii erano stati deposti e papa Gregorio xii aveva rinunciato. Il nuovo papa era stato eletto l’11 novembre 1417 e aveva preso nome Martino v. Tornato a Roma, sua preoccupazione fu la riorganizzazione dello Stato pontificio; indisse il Giubileo, secondo quanto aveva stabilito da papa Urbano vi, che aveva fissato l’intervallo di trentatré anni tra l’uno e l’altro, in considerazione degli anni di Gesù. Della celebrazione non rimane alcun documento, ma pare che in questa occasione per la prima volta si sia celebrata l’apertura di una Porta Santa (o aurea)5. 6. 1450. Niccolò v (1447-1455) Fu indetto con la bolla Immensa et innumerabilia (la prima a stampa) del 19 gennaio 1449, con la quale si tornò alla scansione cinquantennale. Per l’apertura di una Porta d’oro in San Pietro, questo Giubileo fu detto Anno d’Oro; il rito si svolse contem45


capitolo 3

poraneamente a cerimonie analoghe nelle altre tre basiliche maggiori. Visto il gran numero di pellegrini, le visite alle basiliche furono ridotte a tre giorni, e le reliquie rimasero sempre esposte. Per una pestilenza, il Papa lasciò Roma, dopo aver prescritto che bastavano cinque giorni (invece che trenta) di permanenza in Roma per ottenere l’indulgenza. 7. 1475. Sisto iv (1471-1484) Il 1470 fu anno importante per i Giubilei, dato che papa Paolo ii (1464-1471), con la bolla Ineffabili Providentia del 19 aprile 1470, fissò a venticinque anni l’intervallo tra gli anni santi, e stabilì per l’inizio e il termine la vigilia di Natale. Forse sperava di poterlo indire personalmente, ma morì a soli cinquantun anni. La bolla è preziosa perché ripercorre la storia dei Giubilei e le motivazioni delle prescrizioni: fu riportata integralmente da Sisto iv, quando indisse il Giubileo del 1475. Prestabilito da Paolo ii, il Giubileo del 1475, innovativo rispetto alla precedente prassi, fu così celebrato dal suo successore Sisto iv (1471-1484), il quale, poco dopo la sua elezione, il 26 marzo 1472, emanò la bolla Salvator noster Dei Patris per confermare la decisione del suo predecessore. Viene ribadita la dottrina sul tesoro della Chiesa e quindi sulle indulgenze che il pontefice elargisce in forza del potere delle chiavi: Sisto iv riferisce integralmente la bolla Ineffabilis Providentia del suo predecessore che gli permette così di ripercorrere la storia dei Giubilei. La bolla Salvator noster (prima bolla a stampa, con il testo latino e italiano) confermò le disposizioni di Paolo ii: «annum Iubilaei praedictum a vigilia Nativitatis Domini nostri Iesu Christi»); mentre la bolla Quemadmodum operosi del 29 agosto 1473 indisse il Giubileo, chiamandolo così per la prima volta nella bolla d’indizione6. Fu ristrutturata ad opera di Leon Battista Alberti la viabilità romana e si fece un piano regolatore; fu ricostruito un ponte edificato da Marco Aurelio alla fine del iii secolo, crollato nel 792 e mai più ripristinato, detto per ciò Ponte Rotto, oggi Ponte Sisto. Si sistemarono gli acquedotti per fornire acqua potabile, e Roma fu ripulita; venne eretta la cappella detta poi Sistina, con opere successivamente cancellate per far posto al Giudizio Universale di Michelangelo. Alla fine dell’anno ci fu una inondazione del Tevere (si dovette andare a San Paolo in barca): per questo il tempo per l’indulgenza fu prolungato fino a Pasqua 1476. Per la prima volta il Giubileo è chiamato Anno Santo. 46

SEQUENZA STORICA DEI GIUBILEI

8. 1500. Alessandro vi (1492-1503) La bolla Inter multiplices del 28 marzo 1499, Giovedì santo, fu ripubblicata il 22 dicembre 1499; le disposizioni poi furono impartite con la bolla Inter curas del 20 dicembre 1499. Il 24 dicembre 1499 si inaugurò un viale che dal papa prese il nome di via Alessandrina (oggi Borgo Nuovo), via diritta che, simbolicamente, conduce da Castel Sant’Angelo a San Pietro. Alessandro vi dispose l’apertura dell’Anno Santo al suono di una tromba, ispirandosi agli anni giubilari della tradizione ebraica: «Nel giorno dell’espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese» (Lev 25,9); si definì anche la ritualità della Porta Santa. Nell’agosto 1500 si ristabilì il suono delle campane all’Angelus. In novembre il Tevere straripò, e per il disagio generale e gravissimo la chiusura dell’Anno Santo fu portata all’Epifania del 1501. Per la prima volta il Giubileo venne esteso a tutto il mondo l’anno successivo. 9. 1525. Clemente vii (1523-1534) Il Giubileo fu indetto dalla bolla Inter sollecitudines et coram nobis del 17 dicembre 1524. In Roma e in altre regioni c’era la peste. Si ristabilì l’uso della processione della Via Crucis al Colosseo, e furono coniate per la prima volta medaglie commemorative del Giubileo, con il ritratto del Pontefice sul recto e la Porta Santa sul verso. Per abbattere la Porta Santa, per la prima volta si usò un martello d’oro. 10. 1550. Paolo iii (1534-1549) Fu indetto da papa Paolo iii, che però morì il 10 novembre 1549; fu quindi papa Giulio iii (1550-1555) che, eletto il 7 febbraio, emanò nel 1550 la bolla Si pastores ovium, e aprì la Porta Santa il 24 dello stesso mese, usando un martello d’argento. È l’Anno Santo che vide attivi in Roma sant’Ignazio di Loyola e san Filippo Neri. Questi, a Roma dal 1527, aveva istituito la Confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti per soccorrere quanti, dimessi da ospedali o venuti comunque a Roma, vi vivevano patendo stenti e fame. La Confraternita divenne così efficiente che si trovò a essere protagonista della carità e del soccorso ai pellegrini di tutti i Giubilei successivi. Promosse inoltre, come specie di anticarnevale del Giovedì grasso, la visita alle sette chiese, che tanto influenzò

le visite giubilari e i pellegrinaggi in Roma. Si trattava di venti chilometri a piedi con canti e preghiere, e la sosta per una merenda a Villa Celimontana. Memorie di san Filippo si trovano in particolare in Roma nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove vediamo un quadro (di anonimo) del xviii secolo, un Convito durante la visita alle sette chiese a Villa Celimontana, e, di Gian Francesco Barbieri detto il Guercino, l’Estasi di san Filippo Neri (xvii secolo); e il celebre quadro di Guido Reni (xvii secolo) che lo mostra ai piedi della Vergine con il Bambino. 11. 1575. Gregorio xiii (1572-1585) La bolla Dominus ac Redemptor noster del 10 maggio 1574 fu pubblicata due volte, all’Ascensione, il 20 maggio, e alla iv Domenica d’Avvento del 1574. Gregorio xiii inizia la consuetudine di pubblicare in queste date, due volte, il documento che indiceva il Giubileo. Il significato del gesto fu così spiegato: il giorno dell’Ascensione si ricordava che l’indulgenza giubilare apriva la via del Paradiso ai peccatori pentiti, mentre l’ultima Domenica d’Avvento ricordava che al vecchio anno subentrava il nuovo, l’Anno Giubilare. Gregorio xiii diede avvio alla riforma del calendario, detto da lui poi gregoriano, nel 1582; istituì la festa della Madonna del Rosario a memoria della vittoria di Lepanto. Anche in quest’anno san Filippo Neri praticò la visita alle sette chiese.

Era anche in corso la guerra dei Trent’anni (1618-1648). 14. 1650. Innocenzo x (1644-1655) La bolla Appropinquandi dilectissimi filii del 4 maggio 1649 fu letta per l’Ascensione, il 13 maggio. 15. 1675. Clemente x (1669-1676) Bolla Ad Apostolicae vocis oraculum del 16 aprile 1674, promulgata poi all’Ascensione e in Avvento. 16. 1700. Innocenzo xii (1691-1700) Fu indetto con la bolla Regi saeculorum del 18 maggio. Innocenzo xii, già ottantenne, morì il 20 settembre 1700. In novembre ci fu l’inondazione del Tevere, per cui nelle visite prescritte San Paolo fuori le mura fu sostituita da Santa Maria in Trastevere, come già in precedenza. L’Anno Santo fu chiuso da Clemente xi, eletto il 23 novembre 1700 († 1721). 17. 1725. Benedetto xiii (1724-1730) Fu indetto con la bolla Redemptor et Dominus noster del 26 giugno 1724. Trecentosettanta schiavi riscattati giunsero a Roma da Tunisi, per merito della Congregazione di Nostra Signora della Mercede.

12. 1600. Clemente viii (1592-1605) Indetto con la bolla Annus Domini placabilis del 19 maggio 1599, il Giubileo, per malattia del pontefice, fu aperto il 31 dicembre 1599 e chiuso il 13 gennaio 1601. Vennero intere popolazioni da tutta Europa, e si parlava di tre milioni di pellegrini. Il Papa stesso visitò le basiliche sessanta volte, digiunava a pane e acqua il mercoledì e il sabato, frequentava gli ospizi, serviva i pellegrini, lavava loro i piedi e confessava in San Pietro. San Camillo De Lellis fondò l’ospedale Santa Maria Maddalena per pellegrini malati.

18. 1750. Benedetto xiv (1740-1758) Fu indetto con la bolla Peregrinantes a Domino del 5 maggio 1749; per la prima volta si trova prescritta la Comunione per lucrare le indulgenze. Per la prima volta vennero illuminate la cupola e il colonnato di San Pietro, per la festa del 29 giugno. Benedetto xiv consacrò il Colosseo alla Passione di Cristo, e san Leonardo di Porto Maurizio, che predicò in Roma in questo Giubileo, vi fece costruire le quattordici edicole delle stazioni della Via Crucis: per la prima volta il Papa fece la Via Crucis al Colosseo, dove poi fu lasciata una grande croce con tutte le stazioni, poi demolite negli ultimi decenni del 1800. Da allora comunque ogni anno si svolge qui la Via Crucis.

13. 1625. Urbano viii (1623-1644) La bolla Omnes gentes plaudentibus manibus, del 29 aprile 1624, fu di fatto emanata il 6 agosto. Anno funestato dalla peste e dall’inondazione del Tevere, tanto che l’apertura della Porta Santa fu effettuata, e fu l’unica volta, in Santa Maria in Trastevere

19. 1775. Clemente xiv (1769- 1774) Il papa indisse il Giubileo con la bolla Salutis nostrae auctor del 30 aprile 1774, promulgata il 12 maggio, all’Ascensione. Clemente xiv morì il 22 settembre, prima dell’inizio dell’Anno Santo, e la Porta Santa fu aperta da Pio vi (1775-1799), appena eletto, il 26 febbraio 1775. 47


capitolo 3

1800. Niente Giubileo Napoleone si affacciava alle porte d’Italia, e non era possibile fare programmi. Pio vi (1775-1799), che morì prigioniero di Stato in Francia, e Pio vii (1800-1823) non poterono né indire né celebrare il Giubileo. Tuttavia Pio vii, da Venezia, dove era stato eletto, emanò un’Enciclica, la Ex quo Ecclesiam datata al 24 maggio 1800, con la quale per due settimane si concedeva l’indulgenza plenaria e la remissione dei peccati a quanti avessero compiuto determinate pratiche di pietà. 20. 1825. Leone xii (1823-1829) La bolla Quod hoc ineunte saeculo è del 24 maggio 1824, e fu proclamata il 27, all’Ascensione. Il Giubileo fu detto della Restaurazione, per la partecipazione dei sovrani restaurati dal Congresso di Vienna. Tra le opere ingiunte si prescrive la santa Eucaristia (Bollario, 869), e Roma, paragonata a Gerusalemme, è detta caput orbis: «Salite dunque a questa santa Gerusalemme, città sacerdotale e regale che, resa capitale del mondo mediante la sacra sede del beato Pietro, è vista presiedere con la religione divina in misura più vasta che con il dominio terreno»7. 1850. Non ci fu Giubileo regolare Giubileo detto suppletivo, fuori dalla numerazione ufficiale. Per le guerre d’indipendenza Pio ix si era rifugiato a Gaeta. 21. 1875. Pio ix (1846-1878) La bolla Gravibus Ecclesiae et huius saeculi calamitatibus, del 24 dicembre 1874, fu emanata mentre Roma era occupata dallo Stato Italiano dal 1870. Il Giubileo non ebbe normale svolgimento: dal 1871 il Papa si era rinchiuso in Vaticano: non si aprirono le Porte Sante, mancarono i pellegrinaggi. Il Giubileo comunque fu esteso da subito alle diocesi cattoliche di tutto il mondo. 22. 1900. Leone xiii (1878-1903) Con la bolla Properante ad exitum saeculum dell’11 maggio 1899, festa dell’Ascensione, fu indetto un Anno Santo dedicato al Santissimo Sacramento. Ci fu l’esposizione del Santissimo alla messa di mezzanotte del 31 dicembre 1899, in tutte le chiese del mondo. A Roma si svolsero funzioni a porte chiuse per la non ancora chiarita situazione politica. Alla chiusura delle Porte Sante vennero murati venti 48

SEQUENZA STORICA DEI GIUBILEI

mattoni di venti montagne italiane sulle cui cime nel 1900 era stato eretto un monumento al Redentore. Ci furono peraltro avvenimenti funesti: l’assassinio di re Umberto i e una disastrosa piena del Tevere. Molti congressi internazionali vennero celebrati: da quello di Archeologia cristiana a quello degli Universitari, dei terziari Francescani, eccetera. Leone xiii si riteneva ancora prigioniero in Vaticano, e non ne uscì: fece i percorsi giubilari all’interno del palazzo, entrando sempre in ginocchio attraverso la Porta Santa. Vennero prescritte venti visite alle basiliche8. 23. 1925. Pio xi (1922-1939) Il Giubileo fu indetto dalla bolla Infinita Dei misericordia del 29 maggio 1924. Fu istituita la festa di Cristo Re. Il Papa uscì per la prima volta dal Vaticano per andare in San Giovanni; fu rimessa la grande croce al Colosseo e per la prima volta giunsero a Roma pellegrini in aereo. 24. 1933. Pio xi (1922-39) Fu il Giubileo straordinario per i 1900 anni dalla Redenzione, indetto da papa Pio xi con la bolla Quod nuper del 6 gennaio 1933. Il Giubileo fu aperto il 2 aprile 1933, Domenica delle Palme e chiuso il 2 aprile 1934, Lunedì di Pasqua. Il Papa parlò alla radio per la prima volta. 25. 1950. Pio xii (1939-1958) Il Giubileo fu indetto dalla bolla Jubilaeum maximum del 26 maggio 1949, festa dell’Ascensione. Si prescrisse una sola visita per basilica, senza vincoli di tempo, la recita di tre Pater, Ave e Gloria, più un quarto secondo le intenzioni del Papa, più un Credo in ciascuna basilica. Emblematiche le parole del radiomessaggio: «Uomini tornate a Dio, credete nella sua bontà e nella sua misericordia, ravvedetevi e specchiatevi davanti a Lui e vi troverete bisognosi di essere detersi dal suo perdono». Fu proclamato il dogma dell’Assunzione di Maria (1 novembre 1950) in corpo e anima. A pochi minuti dalla fine della cerimonia di chiusura, solennemente Pio xii annunciò: «La Tomba del principe degli apostoli è stata ritrovata». 1954. Pio xii (1939-1958) Non fu un Giubileo ma ne ebbe la valenza l’Anno mariano indetto dalla bolla Fulgens corona dell’8 settembre 1953, in occasione del primo centenario della procla-

mazione del dogma dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio, nel 1854. L’Anno santo venne aperto l’8 dicembre 1953 in Santa Maria Maggiore, e il giorno 1 novembre 1954 Pio xii proclamò la festa della Regalità di Maria, fissata al 31 maggio. 26. 1975. Paolo vi (1963-1978) Con la bolla Apostolorum limina del 23 maggio 1974 si indisse un Giubileo le cui parole portanti furono rinnovamento e riconciliazione. Si prescrissero: la visita a una delle quattro basiliche o ad altra chiesa di Roma designata dell’autorità ecclesiastica, e i pii esercizi della Via Crucis e del Rosario mariano9. Si contarono nove milioni di pellegrini e ci furono due udienze pontificie settimanali. Storico fu l’incontro con il Metropolita Melitone, rappresentante del Patriarca di Costantinopoli. 27. 1983. Giovanni Paolo ii (1978-2005) San Giovanni Paolo ii indisse l’anno straordinario per i 1950 anni dalla Redenzione (33 d.C.) con la bolla Aperite portas Redemptori del 6 gennaio 1983. La Porta Santa venne aperta in San Pietro il 24 marzo, solennità dell’Annunciazione; il Giubileo si chiuse il 22 aprile 1984, Domenica di Pasqua. «Sappiamo con certezza che non si chiude mai la porta della tua clemenza per coloro che credono nel tuo amore e proclamano la tua misericordia». Si prescrissero: a Roma visita alle quattro basiliche, o alle catacombe, o a Santa Croce, più un Credo, un Pater e una preghiera secondo l’intenzione del Papa; in altre diocesi, a una delle chiese stabilite dai vescovi. 1987-88. Giovanni Paolo ii (1978-2005) Questo Anno mariano, pure assimilabile a un Giubileo, fu annunciato da Giovanni Paolo ii il 1 gennaio 1987;

fece seguito l’Enciclica Redemptoris Mater del 25 marzo 1987. Il Papa si recò in Santa Maria Maggiore, presso l’immagine di Maria Salus Populi Romani il 6 giugno 1987, vigilia di Pentecoste: l’immagine fu portata solennemente in San Pietro. L’Anno fu concluso il 15 agosto 1988, festa dell’Assunzione. 28. 2000. Giovanni Paolo ii (1978-2005) La bolla di indizione Incarnationis mysterium, che ricorda La storia della Chiesa è il diario vivente di un pellegrinaggio mai terminato e sottolinea il tema del pellegrinaggio, fu promulgata il 29 novembre 1998, prima domenica di Avvento, ed era stata preparata dalla lettera apostolica Tertio millennio adveniente, del 10 novembre 1994. Il Grande Giubileo dell’Anno 2000 iniziò la notte di Natale del 1999, con l’apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro in Vaticano, che precedette di poche ore le celebrazioni inaugurali a Gerusalemme e a Betlemme, e l’apertura della Porta Santa nelle altre basiliche patriarcali in Roma. Per sottolineare il carattere ecumenico del Giubileo, nella basilica di San Paolo, apostolo delle genti, l’apertura della Porta Santa fu invece effettuata all’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18 gennaio). L’Anno giubilare fu chiuso il giorno dell’Epifania, 6 gennaio 2001. Come luoghi in cui lucrare l’indulgenza, furono indicate: la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, la basilica di San Lorenzo al Verano, il Santuario della Madonna del Divino Amore, le Catacombe cristiane. 29. 2015-2016. Francesco i (2013) La bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia Misericordiae Vultus fu emessa l’11 aprile 2015, e si apre con le parole: «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre».


GLI ITINERARI VERSO ROMA

Capitolo 4

GLI ITINERARI VERSO ROMA

Tutte le strade portano a Roma Per raggiungere le mete desiderate, i pellegrini si muovevano lungo le vie già tracciate: percorrevano sia le grandi vie (e quello che ne rimaneva) che segnavano le comunicazioni nell’impero romano, sia quelli minori, fino ai tratturi, che collegavano i diversi insediamenti umani. Le vie romane da tempo, quando si iniziarono a definire i Luoghi Santi come mete di pellegrinaggio nel Medioevo, mancavano di manutenzione: interrate o divelte le pietre, crollati i ponti, perduta nelle leggende la capacità di costruirli1, restavano tuttavia un tracciato prezioso, pur non costituendo le uniche strade possibili. I popoli, che proprio in questi secoli andavano definendo la loro identità, si recavano a Roma e ne tornavano, per le strade a loro più comode e vicine. Si definiscono così itinerari frequentatissimi, e anche una miriade di altri percorsi minori, di collegamento con quelli o autonomi, perché solitamente il pellegrino partiva dal proprio paese e dalla propria casa, iniziando da lì il pellegrinaggio e inserendosi nella via nel punto più prossimo. La ritualità prevedeva invece che i pellegrini si radunassero ai capitesta, che nel tempo si definirono come punti di riferimento ideale, dei santuari delle nazioni, in cui, in forza di una loro propria tipicità o di un precedente esemplare, si riconosceva e si manifestava l’identità nazionale del popolo. Storicamente si possono individuare quattro grandi percorsi, tre dei quali sono documentatati da cospicue testimonianze scritte, mentre il quarto è stato delineato grazie all’osservazione dei dati e della viabilità. Queste vie storiche vengono individuate attraverso i diari di viaggio e le testimonianze materiali, documentarie, archivistiche, di cui l’Europa e l’Italia sono ricche, così che non c’è quasi via che non possa dirsi di pellegrinaggio; non hanno un tracciato unitario e 50

si presentano come il grande alveo di un fiume in cui scorrano mille rivoli, ognuno dei quali, unendosi o meno con altri, va alla foce: ci sono tante strade romee quante regioni, e in ogni regione ce ne sono varie. Scegliere una o l’altra come esemplare sta tra il gesto di convenzione e la scelta arbitraria. In particolare, le vie romee, quando siano in qualche modo in linea con l’ingresso in Francia, sono dette anche francigene: prevaleva la prima denominazione se si pensava che la via conducesse a Roma, la seconda se fosse originata in Francia fino a toccare Santiago de Compostela. L’asse ideale Santiago-Roma, con le sue numerose varianti al suolo, è stata la spina dorsale dell’Europa medievale, alla quale si sono aggiunte le grandi direttrici dall’Europa del Nord e dai Paesi slavi. Si individuano così quattro percorsi storici, somma di una molteplicità: la via degli Inglesi o via di Sigerico; la via dei Francesi o degli Spagnoli e dei Portoghesi o via Francigena; la via dei Tedeschi o degli Annales Stadenses, individuate in base a diari di viaggio; e infine la via Romea degli Slavi, dedotta seguendo le grandi direttrici storiche dall’Europa centro-orientale verso l’Italia e poi Roma2. La via di Sigerico Appena nominato vescovo di Canterbury3, Sigerico4 nel 990 si recò a Roma a ricevere il pallio5 da papa Giovanni xv: partì dalla sua sede in primavera e giunse a Roma in luglio , facendo tenere da un suo funzionario un diario del percorso di ritorno. In esso sono sinteticamente elencate ottanta tappe, compresa Roma, e se ne deduce che il viaggio fosse iniziato da Canterbury, per proseguire verso Reims, Châlon-sur-Marne, Besançon, Losanna, per entrare in Italia attraverso il Gran San Bernardo, puntando poi verso Aosta, poi Ivrea, Santhià, Vercelli, Pavia, punto obbligato per l’attraversamento su barche del

1. Quadro sintetico delle principali vie di pellegrinaggio dall’Europa verso Roma. Nel dialogo degli uomini lungo queste vie si è formata l’identità culturale europea, che trova la sua espressione nelle opere delle arti e nelle tradizioni di ogni genere.

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2. Ospitare i pellegrini, dal ciclo delle Sette opere di misericordia. Vetrata del rosone settentrionale della cattedrale di Friburgo in Breisgrau, xiii secolo. La scena rappresenta una dama (figura della comunità ecclesiale cittadina) che accoglie e introduce il pellegrino/alter Christus, identificato dall’abito, nella propria città.

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3-4. Due grandi mete: la cattedrale di Santiago de Compostela, termine del pellegrinaggio compostellano, il portale maggiore della basilica di Santa Maria Maddalena a VĂŠzelay, capotesta francese del percorso borgognone.

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5. Portogallo, Lindoso (Viana do Castelo). La croce segna i tipici granai celtici, gli horreos, caratteristici del Portogallo e della Galizia.

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6. Ponte sul fiume Arga a Puente la Reina, dove le vie che hanno condotto i pellegrini da tutta Europa verso Santiago, passando i Pirenei a Somport o a Roncisvalle, diventano una sola.

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7. Il chiostro e la torre campanaria di St. Trophime di Arles, la cittadina provenzale dove facevano tappa i pellegrini provenienti dall’Italia.

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8. Il portale della chiesa di Notre-Dame la Grande a Poitiers in Francia, esempio fastoso di facciata romanica che ancora presenta le nicchie abitate dalle immagini dei santi.


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9. Guillaume de Diguleville, Pelerinage de la vie humaine, miniatura fiamminga della fine del xvi secolo. Bibliothèque Royale Albert ier di Bruxelles, ms 10176-78, f. 43v. Qui il vero pellegrino (a sinistra), che ricorda a ognuno la dimensione della vita come cammino, è messo alla prova dall’incontro con il demonio nelle vesti di un falso pellegrino che simboleggia le tentazioni nascoste e in agguato lungo il percorso.

Po. Dopo la traversata, il percorso proseguiva per Fidenza, valicando poi l’Appennino sulla strada tracciata dai Longobardi (di cui resta traccia nel toponimo di Mons Langobardorum che diviene Monte Bardone7) che, dall’attuale passo della Cisa, arrivava a Roma attraverso Luni, Lucca, Siena, Viterbo. È quella che viene chiamata Via Francigena per eccellenza, anche se è ormai assodato che molte sono le vie francigene.

10. A Canterbury, uno dei luoghi di partenza della via per Roma, la Trinity Chapel della cattedrale conservò fino al 1538 il reliquiario di san Tommaso Becket, venerato dai fedeli. Da Canterbury nel 990 partì il vescovo Sigeric, che ci ha lasciato il più antico diario (del ritorno) di una via Francigena, quella di Monte Bardone, da molti considerata l’unica.

La via di Tirri e Firri La via degli Annales Stadenses8 è la descrizione, in forma di dialogo fra due dotti giovani che si dilettano di trattare diversi argomenti9, degli itinerari che potevano percorrere i pellegrini dal Nord Europa per recarsi in 57


11. Croce celtica nel cimitero del monastero di Clonmacnoise in Irlanda. Le croci celtiche si caratterizzano per un ampio cerchio che circonda l’incrocio dei bracci, simbolo del cuore di Cristo, che rimanda alla Sua divinità e alla Sua misericordia.

12. Uno scorcio del santuario di Mont-Saint-Michel-au-péril-dela-mer in Normandia, che evidenzia la notevole capacità tecnica dei costruttori che hanno realizzato l’opera sulla base della roccia naturale in una perfetta continuità.

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pellegrinaggio a Roma e da lì a Gerusalemme. Considerati la guida più dettagliata del xiii secolo in lingua tedesca, la loro stesura risale probabilmente agli anni tra il 1240 e il 125610. Prendono il nome dalla città di partenza, Stade (Stadium), sull’estuario dell’Elba, e si compongono di tre itinerari che attraversano la Germania secondo tre direttrici. La più occidentale passa da Brema, attraversa il Reno a Duisburg, giunge a Reims in Francia. Da qui segue un tracciato a ovest di quello di Sigerico, e scende a sud fino a Lione, piega verso l’Italia, vi entra per il passo del Moncenisio e prosegue lungo la Val di Susa fino a Torino, poi Mortara e Piacenza, per seguire il classico itinerario di Monte Bardone fino a Roma. La seconda direttrice coincide con la prima fino a 11

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13. La Torre dell’orologio nell’abbazia di Cluny in Francia. Questa torre, che sovrasta il transetto destro inferiore dell’abbazia, testimonia ancora oggi la grandezza e la magnificenza della costruzione cluniacense, che presentava due transetti e che è stata smontata nel xix secolo per ricavarne materiale da costruzione. 14. La cattedrale di Notre-Dame di Sion in Svizzera. Esempio di cattedrale fortificata posta sulla sommità di un colle, sia per difesa che per essere visibile da lontano, mostrando a devoti e pellegrini la meta.

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16. L’interno della navata centrale nel Duomo di Spira (xi/ xii secolo) dedicato alla Vergine (Mariendom), la cui notevole elevazione smentisce il luogo comune secondo il quale l’epoca romanica fu caratterizzata da costruzioni basse.

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17. Il portale della cattedrale di Notre-Dame di Strasburgo, maestoso esempio di architettura gotica, caratterizzato da una profonda strombatura ricca di sculture e dal trumeau con la statua della Vergine col Bambino.

Duisburg, poi segue il corso del Reno fino a Basilea, attraversa la Svizzera fino a Losanna ed entra in Italia attraverso il Gran San Bernardo, seguendo poi fino a Roma l’itinerario di Sigerico. La terza direttrice, quella più orientale, da Stade punta praticamente al Brennero passando per Ghota, Augsburg e Innsbrück. Valicato il Brennero, questa direttrice si biforca in due direzioni: quella settentrionale attraverso Bolzano, Trento, Padova raggiunge Bologna, e si immette poi nella principale delle direttrici per Roma a partire dal xiii secolo, arrivata come tale fino ai nostri giorni, cioè la Bologna, Firenze, Siena, Bolsena, Roma. Il ramo orientale raggiunge Venezia attraverso Treviso, per immettersi sulla cosiddetta Romea degli Slavi, cioè Venezia, Rovigo, Ravenna, Forlì, Arezzo, Orvieto, Bolsena, Roma. La Via Romea degli Slavi La Romea degli Slavi non è documentata da diari: intendiamo il tracciato più a oriente che, partendo da Varsavia, dove confluivano i pellegrini del nord della Polonia, puntava a entrare in Italia attraverso il passo del Tarvisio. Su questo tracciato, che attraverso Czestochowa, Velehrad, Vienna, Graz, Klagenfurt, Villach, raggiungeva Tarvisio in maniera abbastanza lineare, confluivano poi alcune importanti diramazioni che trovavano il loro capotesta nei luoghi fondanti il cristianesimo delle varie nazioni attraversate: Cracovia per i Polacchi del sud, Praga per i Boemi, Levo/a per gli Slovacchi, Budapest e Pannonhalma per gli Ungheresi.

15. La chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Stade in Germania. La città di Stade, oggi sobborgo di Amburgo, era luogo di partenza dei tre grandi percorsi, di cui parlano gli Annales Stadenses, che conducevano i pellegrini di area germanica fino a Roma, da dove poi, proseguendo lungo la cosiddetta Francigena del Sud (già Appia Traiana), si potevano raggiungere i porti pugliesi per l’imbarco verso la Terra Santa. 15

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18. Val d’Aosta, strada romana che scende dal passo del Gran San Bernardo. Bell’esempio di lastricatura (basolato) che caratterizza le consolari romane, giunta in buono stato fino a noi.

19. Bologna, Santuario della Madonna di San Luca, opera dell’architetto bolognese C.F. Dotti nel xviii secolo. Custodisce l’icona del x/xi secolo, principale luogo di devozione mariana della città, crocevia di pellegrinaggi.

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20. Polonia, Czestochowa. Porta d’ingresso al santuario, detta dei Lubomirski (edificata a spese di Jerszy Lubomirski nel 1723). Sulla riproduzione dell’immagine qui venerata, campeggia a difesa l’arcangelo Michele, affiancato da san Paolo Eremita e sant’Antonio Abate.

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21. Boemia, Praga. Ponte Carlo, Crocifissione (da un modello bronzeo del 1629 conservato a Dresda); statue di E. Max del 1861.

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Entrati in Italia dal Tarvisio, attraverso Udine veniva raggiunta Venezia e da Venezia, superate Rovigo e Ravenna, il tracciato si immetteva a Forlì nella direttrice per Roma attraverso il valico consolidato fin dagli inizi del xiii secolo dell’Alpe di Serra. Valicato l’Appennino, la direttrice obbligata diveniva la Arezzo, Orvieto, Bolsena, antica tappa longobarda.

Tratto finale Da Bolsena, tutti i percorsi per Roma, si uniscono in uno solo. Si ha qui la memoria del miracolo eucaristico del 1263, che molto contribuì alla istituzione della festa del Corpus Domini, con cui la Chiesa, corpo mistico di Cristo, celebra l’Eucaristia e se stessa. Un sacerdote boe65


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22. Ungheria, Pannonhalma. Il complesso monastico sullo sfondo della pianura ungherese. Nei pressi nacque nel iv secolo san Martino, cui il monastero è dedicato e per questo meta di pellegrinaggi. È il luogo principale del cristianesimo ungherese: fu il primo monastero in Ungheria, fondato nel 996 dal principe Géza, il cui figlio, re santo Stefano i, consolidò il cristianesimo nel regno.

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23. Austria, Santuario di Maria Wörth sul lago Wörther. Chiesa del Rosario o invernale. Meta di devozione molto sentita in tutta la Carinzia.

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24. Cattedrale di Orvieto, la facciata. Edificata per accogliere il Corporale del Miracolo Eucaristico, presenta in facciata una mirabile sintesi della storia della salvezza nelle sculture e nei mosaici.

25. Raffaello, Miracolo della Messa di Bolsena, Musei Vaticani, Stanza di Eliodoro. La scena rappresenta il momento culminante del miracolo, che fece decidere il Pontefice a estendere alla cattolicità la festa del Corpus Domini.

26. Attivante degli Attivanti (1452-1517), Processione del Corpus Domini, Firenze, Biblioteca Laurenziana.

Nel corso dei secoli la processione del Corpus Domini, per l’importanza del suo significato, è stata indicata come «la madre di tutte le processioni».

mo, in tutto fedele ma che non riusciva a convincersi della transustanziazione ed era tormentato da questo dubbio, chiese a Dio un segno che confermasse la sua fede. Decise dunque di andare a Roma, alla tomba dei santi Pietro e Paolo: giunto a Bolsena, nella diocesi di Orvieto iniziò la celebrazione della Messa nella chiesa di Santa Cristina all’altare detto delle pedate11. Mentre teneva l’ostia consacrata sopra il calice, questa apparve di vera carne, tranne che nel pezzetto che teneva tra le dita. Il sacerdote, ormai ben credente, cercò di coprire

l’ostia, ma ogni goccia di sangue sul corporale con cui tentava di coprirla lasciava il segno di una figura umana. Turbato, interruppe la celebrazione, ripose l’ostia adeguatamente e, poiché il Papa si trovava in Orvieto, corse a raccontargli tutto, implorando perdono per la sua incredulità. Il papa Urbano iv dispose perché il vescovo di Orvieto si recasse a Bolsena a prendere il corporale e l’ostia. Così fu fatto, e un grande corteo da Orvieto mosse verso quello proveniente da Bolsena, incontrandosi presso il torrente Riochiaro12: l’insigne

reliquia fu posta nella chiesa di Santa Maria Prisca e San Brizio di Orvieto. Il miracolo accelerò la decisione che Urbano iv già meditava da tempo di istituire una festa in cui si celebrasse esplicitamente l’Eucaristia13. Con una bolla14 dell’11 agosto 1264, fissò per il 1265 l’iniziò della festa del Corpus Domini per tutta la Chiesa15. Nel 1290 papa Niccolò iv pose la prima pietra della nuova cattedrale, eretta per custodire la reliquia del miracolo. Oggi è protetta da un reliquiario capolavoro

d’arte orafa, che mostra in dodici riquadri la storia del miracolo di Bolsena e scene della vita di Gesù.

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Homo viator / homo faber La grande epoca dei pellegrinaggi è certamente il Medioevo: quando ci si mette in cammino sulle orme dei padri, in una ricerca quasi filologica dei loro passi e dei loro sentieri, bisogna però ricordare che quello che si incontra non è affatto quello che incontrarono loro. Sia per quanto riguarda i luoghi dei percorsi di avvi69


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27. L’interno della chiesa della Madonna del Parto a Sutri, quasi alle porte di Roma, con un particolare dei pellegrini raffigurati nell’affresco del vestibolo. Prima metà del xiv secolo. Da notare che i pellegrini sono tutti vestiti allo stesso modo, quasi indossassero una divisa confraternitale.

28. A Siena, nell’ospedale di Santa Maria della Scala, nel xiv secolo si costruisce una grande corsia chiamata «pellegrinaio»; siamo infatti sulla via Francigena e molti pellegrini passano da Siena. Il pellegrinaio è magistralmente affrescato da Domenico di Bartolo tra il 1441 e il 1444, e ci trasmette una straordinaria testimonianza di un ospedale e ospizio dell’epoca.

cinamento a Roma, sia anche per quanto riguarda la stessa Roma, occorre sottolineare che la maggior parte di quanto oggi si ammira e con bellezza testimonia e conduce alla fede non esisteva quando i pellegrini si muovevano prima e dopo il 1300. I pellegrini quindi non si spostavano per visitare le bellezze italiane, bensì per incontrare reliquie e testimonianze, cioè devotionis causa. La strada era proprio solo la strada. Molto è cambiato: sono nati paesi interi sulla via: per esempio, la pianta stessa della cittadina di San Gimignano, nel senese, denuncia la sua origine: è allungata, le case sono sorte lungo la via, seguendo quasi il flusso dei viandanti. Sono nati osterie e locande, rifugi,

ostelli, hospitalia, poi magari divenuti ospedali, oggi monumenti storici riscoperti come documenti preziosi e notevoli patrimoni storico-artistici. Ma quando il flusso è cominciato, non esistevano. Nel trascorrere della storia, sono aumentate le tappe perché sono sorte nuove devozioni. E, per onorarle, le chiese, i conventi, le pitture moltiplicano i temi di riflessione, così che intorno al nucleo di un prodigio o di una santa memoria si addensano opere mirabili che amplificano l’eco e la portata, stabilendo collegamenti tra temi e soggetti diversi, e proponendo continuamente nuovi approcci e nuovi incontri intorno ai temi universali della pastorale e della dottrina.

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1. Pianta di Coarelli della Roma arcaica le cui mura si sono trovate sotto le mura repubblicane, prova del fatto che Roma nasce come grande città dall’epoca dei Sette Re, erroneamente considerata mitica.

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Pagine seguenti 2-5. Nella cappella di San Silvestro del complesso dei Santi Quattro Coronati gli affreschi narrano la conversione di Costantino dopo aver rifiutato di sacrificare i fanciulli. Costantino sogna i santi Pietro e Paolo, e si reca da papa Silvestro, il quale gli mostra l’icona dei due santi; infine ecco la scena del battesimo di Costantino, per 1 immersione.

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Quali le vediamo oggi, le chiese di Roma e la città stessa sono frutto di una evoluzione plurisecolare, che ne ha mutato profondamente il volto, anche perché le drastiche riduzioni degli abitanti furono causate da distruzioni e «Sacchi» neppure immaginabili all’epoca imperiale. Roma nacque «città», urbs1. E la città è sempre depositaria di una «forma» che ne identifica l’origine e, diremmo, il destino; forma che si costruisce nel tempo anche come «esito» di un ruolo storico: e gli edifici come le vie ne sono l’espressione visibile, tangibile, vivibile e vissuta. Roma fu dunque urbs, in un certo senso, fin dall’inizio, fin da quando era un villaggio, radunando esuli dalle vicine comunità (come vuole la storia di Tito Livio); collegando diverse comunità insediate sulla sponda sinistra del Tevere, sembra avere nel suo destino di unire e integrare i popoli. Alla metà del vi secolo a.C. le si attribuiscono 30.000 abitanti, alla metà del iii secolo a.C. se ne calcolavano 187.0002, il che ne faceva una metropoli. La popolazione crebbe nell’epoca repubblicana, poi in quella imperiale: Augusto e i suoi successori governarono circa un milione di abitanti, che si stima giungessero a 1.700.000 sotto gli Antonini. Tutto cambiò con le invasioni barbariche: prima il Sacco dei Visigoti del 410, poi quello dei Vandali del 455, diedero inizio a un vero tracollo: quasi dimezzata dopo il 410, cui seguirono carestie e guerre, dopo il 455 e le guerre e carestie successive, la popolazione giunse a meno di 100.000 dopo la guerra gotica (535-553) e F. Gregorovius3 nella sua Storia della città di Roma stimò dai 30.000 ai 40.000 individui. La popolazione tornò ad aumentare molto lentamente durante l’alto Medioevo, furono stimati 85.000 abitanti prima del sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo, che li decimò; il susseguirsi di pesti e guerre annullavano le modeste riprese, e si era a 80.000 nel xii secolo e a 85.000 alla vigilia del Sacco del 1527, che li

dimezzò4. Seguì una modesta ripresa: 110.000 abitanti nel 1600, 156.000 al Giubileo del 1750, e così via. Un incremento notevole iniziò dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870: 200.000 abitanti divennero 500.000 all’inizio del xx secolo. Oggi Roma conta 2.700.000 abitanti. Questo elenco di numeri ci dà la misura dello spazio in cui svolse la vicenda della Chiesa in Roma con le sue chiese, vicende così emblematiche, come gli edifici stessi, nello stesso mutare delle forme, da assurgere a simboli. Della conversione di Costantino, al quale si attribuisce l’evento, fondamentale per la città stessa, della fondazione/edificazione di tre basiliche, si hanno versioni anche contrastanti: se infatti alcuni lo presentano pienamente convertito dopo la vittoria su Massenzio alla battaglia che terminò al Ponte Milvio (312), altri lo mostrano persecutore anche accanito dei cristiani fino alla vittoria su Licinio (326), cui seguì il battesimo da parte di papa Silvestro (che fu pontefice dal 314 alla morte, il 31 dicembre 335). E ancora, secondo lo storico Eusebio di Ceserea5, Costantino fu battezzato in punto di morte, nel 337, in una «villa» nei pressi di Nicomedia6, allora capitale dell’impero d’Oriente, da Eusebio7, vescovo di quella città, il quale aderì all’eresia ariana. Ma ecco l’altra versione, che troviamo già nel Liber pontificalis8 attribuito a papa Damaso, ripresa da Gregorio di Tours, da Beda il Venerabile, già nota nel v secolo, e che leggiamo negli Actus Silvestri9 (o Vita beati Sylvestri), che vuole Costantino battezzato a Roma da papa Silvestro i10. La vicenda, ripresa poi dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (e così divenuta universale: un falso storico divenuto storia11) è questa: a Costantino colpito dalla lebbra – malattia infamante e simbolo di peccato, vergogna, esclusione – fu dato dai sacerdoti del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, 73


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centro religioso e cultuale dell’antica Roma, un efferato suggerimento: sarebbe guarito immergendosi in una piscina colma del sangue ancora caldo di tremila fanciulli. Portati questi infelici sul colle, a Costantino che usciva dal suo palazzo si fecero incontro le madri dei giovinetti, sciolti i capelli e nudo il seno, in segno del lutto che stava per colpirle. Costantino ne ebbe pietà e, quasi fosse cristiano, si sentì colpevole di fronte a Dio di tanti delitti quanti sarebbero stati i bambini uccisi, fece sospendere l’eccidio, antepose la pietà a quello che riteneva il suo interesse, cioè la guarigione, liberò e rimandò i bambini colmi di doni alle madri ormai felici; la notte, gli apparvero in sogno i santi Pietro e Paolo, che egli ritenne dei, e che l’esortarono a rivolgersi a Silvestro, il papa che nel frattempo si era rifugiato sul monte Soratte per sfuggire alla persecuzione (ecco che l’imperatore viene presentato come persecutore): questi gli avrebbe mostrato una piscina, nella quale, immersosi tre volte, sarebbe uscito mondato. L’imperatore fece convocare Silvestro, che andò convinto di affrontare il martirio: ma Costantino, mitemente, gli narrò il suo sogno: allora il papa gli mostrò i ritratti di Pietro e Paolo (il che conferma l’esistenza e l’uso di ritratti diffusi), nei quali l’imperatore riconobbe gli uomini che gli erano apparsi; allora Silvestro lo fece catecumeno, lo fece digiunare una settimana e infine lo battezzò, e quando Costantino uscì dalla «piscina di pietà» che aveva preferito alla «piscina di sangue» era circonfuso di luce e rivelò di aver visto Gesù. Nei sette giorni successivi (iniziando a contare da quello del battesimo) promulgò editti che furono la sintesi di tutta la legislazione successiva favorevole ai cristiani; «L’ottavo giorno, Costantino andò alla chiesa di san Pietro, confessò piangendo le sue colpe e, preso un piccone, personalmente iniziò lo scavo per costruire la basilica, e portò via sulle sue spalle dodici carichi di terra»12. Non sfugga l’allusione all’ottavo giorno, quello della Resurrezione e del Giudizio finale, e al numero dodici, come se l’imperatore avesse portato sulle spalle l’eredità e il fondamento della Chiesa dei dodici apostoli. Se il primo sogno di Costantino13, la notte precedente la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312, portò alla definizione di uno dei più importanti e noti segni identitari del cristianesimo, il labaro con il Chi-Ro14 e la scritta Εν Τοú τ Ω. νíκα, In hoc signo vinces, e orientò positivamente il futuro unico imperatore verso il cristianesimo, e alla donazione al papa Melchiade (fu 76

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pontefice dal 311 al 314) del terreno su cui sorse la sede papale, la basilica di San Salvatore (consacrata poi nel 324 o 318 dal suo successore Silvestro i; oggi San Giovanni in Laterano), il secondo sogno portò alla fondazione, stando alla tradizione già riportata del battesimo, della basilica di San Pietro da parte dello stesso imperatore, che si affianca così al pontefice in modo assai significativo. Roma, che allora era ancora città di fastigi imperiali, e l’imperatore pure vi si recava, ma non era più capitale dell’impero né di alcuna sua parte15, è rimessa così al centro della storia come il luogo in cui potere temporale e spirituale si unirono, meglio ancora, dove il potere disarmato e mite della fede si mostrò più forte di quello armato, che lo servì. È questa la versione che viene poi ripresa nelle immagini in Roma di Raffaello, nella decorazione della Sala di Costantino, commissionata da papa Leone x nel 1517. Roma dunque si appresta a divenire la città del papa, la sede del vescovo che presiede nella carità tutti gli altri: e, nel tempo, con la costruzione delle grandi basiliche va affiancando alle grandi costruzioni del potere civile quelle della nuova religione. Dalla vittoria contro Massenzio a Ponte Milvio venne la sede dei vescovi romani, dalla guarigione definitiva venne la grande basilica sulla tomba di Pietro; tra l’una e l’altra, si colloca l’edificazione della basilica di San Paolo fuori le mura, la più grande, nel 324, secondo il Liber pontificalis, anch’essa durante il pontificato di Silvestro i; non moltissimi anni dopo, nel 364, sorse la basilica di Santa Maria Maggiore, nata in seguito a segni divini in onore della Vergine Maria. Nella Roma ancora imperiale poco dopo la metà del iv secolo sono già presenti le grandi basiliche cristiane, in forme monumentali, con i loro ampi quadriportici a ospitare catecumeni e pellegrini: si andava delineando la forma degli edifici di culto cristiano, che dovevano essere tali da ospitare grandi folle di fedeli e che «rovescia all’interno», secondo la felice espressione di H.-I. Marrou, l’architettura dei templi classici16, ponendo internamente le colonne che ne circondavano le celle con i simulacri degli dèi. Si diffonde pertanto «quel tipo di edificio di culto che gli archeologi chiamano “basilica” (il termine latino basilica serve a designarlo chiaramente, ma esso non

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6. La battaglia di Ponte Milvio che si trova nella sala di Costantino del Palazzo Apostolico Vaticano è una realizzazione della scuola di Raffaello, che in essa esprime tutta la comprensione e la stima per la classicità. Si noti la figura

di Massenzio nel fiume. L’immagine trasmette la coscienza di un nuovo mondo che inizia, nel quale sono i simboli cristiani a informare la storia.

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ha sempre questa precisa accezione e può applicarsi anche ad edifici di genere diverso). Si tratta di una sala rettangolare, divisa in navate, generalmente tre, separate da file di colonne; la navata centrale è più larga ed alta, in modo da permettere di illuminare l’interno mediante una serie di finestre situate in alto; l’entrata si pone su uno dei lati corti del rettangolo»17. È un procedimento che utilizza e trasforma tipologie architettoniche precedenti: inizia quindi un processo di risignificazione degli elementi formali dell’edificio18. È tutta l’area urbana che inizia a essere rinnovata e risignificata, e non solo per gli edifici, ma anche per le grandi processioni dei fedeli che si portavano dall’una all’altra, per esempio nelle processioni stazionali quaresimali. Ma il centro ideale della città venne spostato, e del Campidoglio Girolamo nel 403 poteva scrivere che era divenuto «sudicio per l’incuria» e ricoperto come gli altri templi da «fuliggine e ragnatele»: le sedi dell’antico popolo romano erano trascurate, e il popolo trovava nuovi diversi percorsi accorrendo alle tombe dei martiri19. E fu il cambiamento che rinnovò le sorti della città, proprio quando si avviava a un apparente declino. Ma questo è solo l’inizio di una vicenda che vedrà le basiliche rimanere, dopo i diversi saccheggi che devasteranno la città, come baluardi di bellezza e fede, anche contro la barbarie: ricordiamo la processione con cui, al sacco di Alarico, i cristiani poterono portare in salvo i sacri ministeria e anche i cittadini romani stessi, cristiani e non cristiani. Ormai altre erano le difese della città, e un goto, cristiano e potente, scosso dalla fede e dalla fermezza di una vergine consacrata cui aveva chiesto l’oro e l’argento dei vasi sacri, ottenne dallo stesso Alarico che i cristiani potessero portare in salvo se stessi e le sacre suppellettili, recandole, alte sul capo, in processione, alla basilica di San Pietro: e al corteo si unirono molti che cristiani non erano, ottenendo la salvezza in un modo dall’evidente significato simbolico, esaltato dalla narrazione di Orosio20: «spettacolo non solo inaudito ma anche miracoloso» 21. Nei grandi mosaici absidali delle basiliche spesso si vedono Betlemme e Gerusalemme, l’una a ricordo della nascita di Cristo, l’altra come immagine della Gerusalemme celeste cui tende il popolo di Dio. Ora tutte queste splendide rappresentazioni sono sta78

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te immaginate e realizzate dopo che la Gerusalemme terrena era stata distrutta, dopo che il centro della cristianità era stato spostato a Roma, che diviene una replica della Gerusalemme terrena ormai perduta, e un anticipo in immagine della Gerusalemme celeste, in quanto sede del vicario di Cristo. Roma dunque come Città Santa figura nelle sue chiese patriarcali dell’universa cristianità, tappa ineludibile nel cammino verso la Gerusalemme celeste annunziata dall’Apocalisse. Inconsapevolmente, e perseguendo un suo disegno, l’imperatore Aureliano (270-275) aveva coronato la città di mura, come di un ideale diadema radiato: lui che aveva prescritto il culto del Sole come religione ufficiale22 volle inscrivere la città nella forma di una stella a sette punte, figura del sole, in cui Aureliano stesso si identificava. Un «programma solare»23 cui fa, a nostro avviso, non riscontro ma seguito, e in giustapposizione, il programma urbanistico – sempre che ne avesse uno: ma può essere solo un rilievo a posteriori – di Costantino, che, fuori dalle mura aureliane, dalla città degli antichi dèi, pone altri riferimenti quali le basiliche del Salvatore, di San Pietro, di San Paolo. Giustamente si rileva che la basilica del Salvatore sorse come sede del potere pontificio in una zona spopolata fino al 1870, «quasi allegoria del seme del cristianesimo piantato nella mistica vigna»24; in corrispondenza, la basilica di San Pietro sarà il cuore della fede: «Il Trofeo di Pietro, la povera edicola innalzata nel ii secolo sulla tomba dell’Apostolo, era segno della sua vittoria sulla morte, analogo alla crux invicta di Cristo. La basilica costantiniana di San Pietro vedrà flussi ininterrotti di pellegrini, soprattutto quando Roma – con la caduta di Gerusalemme in mano agli Arabi – diventa l’unica vera città santa dell’Occidente, altera Jerusalem»25. Il Crismon, che diviene come una stella a sei punte, peculiare simbolo cristologico, sostituisce l’aquila sui vessilli costantiniani alla battaglia di Massenzio, la città abbandona i riferimenti precristiani e si avvia a divenire la Roma Sancta, centro del mondo, in attesa che sia possibile il viaggio alla vera Gerusalemme, quella celeste, che si rivelerà nell’ultimo giorno, quasi anticipato nelle innumerevoli volte lucenti d’oro delle grandi basiliche della cristianità, in Roma e non solo in Roma. A ragione quindi si vede nelle fondazioni costantiniane

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7. Basilica di Santa Sabina in Roma. Esemplare edificio paleocristiano, che presenta, secondo la consuetudine dei primi secoli, il reimpiego di capitelli del ii secolo.

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capitolo 5

«il segno visibile di un’autentica svolta storica, in cui l’antichità si chiudeva liberando forze che avrebbero plasmato in larga misura il destino dell’Europa per oltre quindici secoli»26. Al centro del nuovo corso, troviamo diversi elementi fondamentali, che ricorrono incessantemente nelle immagini e nei simboli: il volto di Cristo, che oggi il papa ricorda essere il «volto della misericordia del Padre», l’attesa della fine, la potenza della Croce, la persistenza della presenza salvifica nell’abbraccio della Chiesa apostolica, che allarga la sua rappresentanza ai santi di ogni epoca, in una meravigliosa creatività alla quale si affianca, in un complesso unico di riti e forme d’arte, la materna protezione della Madre di Dio, che pure nel tempo è stata, anche nei documenti del magistero, riconosciuta come corredentrice e figura della Chiesa stessa. I cammini iniziarono con le visite alle sepolture dei martiri, dove i pellegrini assistevano alle celebrazioni, passavano davanti alle tombe, si consideravano perciò «partecipi della santità che trasmetteva il luogo sacro» e spesso scrivevano le loro richieste sui muri, con una firma, una croce: graffiti «commovente documento del rapporto tra fedele e martire»27, con un comportamento che rispecchia lo stesso intento di chi scrive il suo nome e le preghiere sui quaderni predisposti nei santuari e in diversi luoghi santi. Sono peraltro cammini che hanno il loro ritratto ideale, insieme ritratto ed esortazione, nelle teorie di martiri, vescovi e santi che popolano mosaici e navate, grandi movimenti centripeti all’unico centro: il Cristo glorioso, variamente rappresentato. E proprio questi «cammini» modificarono la città e la percezione della stessa. Quando questa era ancora assai popolosa, all’epoca imperiale, con più di un milione di abitanti, già le comunità, fin dagli inizi, si muovevano con le loro processioni stazionali, quando, nella Quaresima, ci si radunava presso le chiese (le «stazioni» appunto) e la città diveniva teatro di una grande azione liturgica o paraliturgica penitenziale, per se stessa annuncio e testimonianza, delle quali c’è documentazione fin dai primissimi tempi. La statio era una veglia in preghiera, che richiama l’immagine della sentinella che sta di guardia all’accampamento, vigilanza accompagnata e 80

ROMA,

sostenuta da penitenza, carità, digiuno. Nella Depositio martyrum, del 336, la statio avviene presso la sepoltura del martire, dove la comunità si riuniva in memoria nel suo dies natalis. Dopo la preghiera di riunione, la “colletta”, intonata dal vescovo, si parte in una processione, al canto delle litanie, e da questo viene il nome letania. Di ciò si parla anche nel Liber Pontificalis. Le processioni stazionali disegnarono al suolo una nuova città e, nell’ovvia mutazione dagli inizi ai secoli successivi, sovrapposero, in un certo senso, i cammini cristiani, che ebbero nel iv secolo come punto di riferimento la basiliche cristiane, fuori dalle mura aureliane – un altro era il «centro» della nuova Roma –, a quelli processionali precedenti. Questi percorsi tracciano al suolo il disegno di una diversa socialità, immagine di una diversa civitas. La liturgia stazionale disegna un suolo consacrato, una nuova Roma28, e l’immagine urbana così delineata ha forte rilevanza politica: è la Roma sanctae plebis Dei, del santo popolo di Dio, che ha nel cuore un nuovo soggetto, i poveri, ed emargina le élites aristocratiche fino ad allora protagoniste29. In modo non molto diverso le processioni delle rogazioni minori, andando ai quattro punti cardinali, consacravano e consacrano, dove ancora in qualunque forma si facciano, la terra come casa degli uomini orientati a Dio, da cui implorano bene materiale e spirituale. Punto focale di questi cammini – immagini della Chiesa pellegrina – fu, alla fine del vi secolo, la grande litania septiformis promossa in Roma da san Gregorio Magno nel 590, quando volle così scongiurare la pestilenza che devastava la città: facesse o non facesse portare in processione le sante immagini, il gesto fu comunque concluso dalla visione dell’angelo sul castello di Crescenzio, da allora detto Castel Sant’Angelo, che puliva dal sangue la spada e la riponeva nel fodero (p. 236, legenda), mentre la pestilenza aveva miracolosamente termine. Fu una preghiera diremmo monumentale, una grande litania, detta septiformis perché sette processioni uscirono da sette diverse chiese, dove il popolo, il mercoledì 2 marzo 590, era stato convocato per categorie. Ci si doveva radunare presso le diverse chiese: dei Santi Cosma e Damiano, il clero; dei Santi Gervasio e Protasio, i monaci; dei Santi Pietro e Marcellino, le monache; dei Santi Pammachio, Giovanni e Paolo, i ragazzi; di Sant’Eufemia, le vedove; di San Clemente, le donne coniugate; di Santo Stefano Rotondo, cioè Santo Stefano al Celio,

CHIESE E CAMMINI

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8. Santa Prassede. Mosaico absidale, Volto di Cristo, Misericordia del Padre. Il nimbo crociato caratterizza la figura di Cristo, che con la mano sinistra tiene il rotolo della Legge e alza la destra in gesto di accoglienza.

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ROMA, CHIESE E CAMMINI

gli altri laici. I sette cortei confluirono tutti insieme in Santa Maria Maggiore, cattedrale sussidiaria, «figlia del Laterano», portando con sé l’intercessione dei santi martiri per invocare insieme l’intercessione della Vergine nella basilica che più di ogni altra esalta i suoi meriti presso Dio. Così, mentre, in un tempo e in una società pur cristiana ma ormai bisognoso di riforme sostanziali, le processioni in Roma consacravano il suolo della città che era stata imperiale, ormai desolata, devastata da invasioni e guerre, scarsamente popolata, i pellegrini iniziavano a percorrere le vie d’Europa alla ricerca delle reliquie degli apostoli e dei Santi, e insieme disegnavano una nuova geografia. Le processioni dei pellegrini affluenti tracciarono portarono nuovi percorsi sul suolo romano sotto la spinta di nuove sensibilità. E come la città, nella sua pianta e nelle sue strade, in-

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duca a esperienze dello spirito, diviene palese quando si consideri il significato attribuibile all’apertura della via che, alla vigilia del Giubileo del 1500 – quello nel quale si definì il cerimoniale –, Alessandro vi volle tra Castel Sant’Angelo e il Vaticano: la Via Alessandrina o Borgo Nuovo. Vennero abbattute le costruzioni medievali, e si aprì una «via diritta», eccezionale per l’epoca dal punto di vista urbanistico, ma soprattutto potente dal punto di vista spirituale e allegorico: la via diritta verso il cielo. Successivamente fu papa Sisto v ad aprirne altre, e in particolare la via Felice: una volta compiuto, il progetto viario di Sisto v avrebbe unito tutte le basiliche, ad eccezione di San Pietro, in una grande croce disegnata da strade30. Nuove presenze dopo il iv secolo, attraverso reliquie e relativi culti, avevano popolato la città, e le troveremo via via nelle chiese che i pellegrini incessantemente visitavano.

9. Santa Maria Nova, icona. L’icona rappresenta il tipo della Vergine Odighitria (cioè di Colei che mostra il Bambino, Via Verità e Vita). Durante i restauri degli anni Cinquanta del secolo scorso è stata individuata la presenza di uno strato pittorico più antico, al di sotto di una pittura duecentesca. I volti della Vergine e del Bambino sono le parti che conservano la pittura originale, databile all’avanzato vi secolo.

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1. Con l’apertura di una Porta della Misericordia in ogni cattedrale, concattedrale o chiesa di particolare significato, il Giubileo 2016 si può vivere non solo a Roma ma in tutto il mondo.

UN GIUBILEO IN TUTTO IL MONDO

Capitolo 6

UN GIUBILEO IN TUTTO IL MONDO E I CAMMINI DI ROMA Come ci sono momenti speciali, ci sono luoghi speciali: le tombe dell’apostolo Pietro e di san Paolo. Ecco qui in primo piano la tomba di Pietro, quella sepoltura che fin dal ii secolo fu oggetto di devozione, pietra su cui la Chiesa è stata edificata: il temine limen indica la tomba, come soglia del passaggio ultimo e definitivo della vita umana, e i limina Apostolorum, almeno inizialmente, altro non sono che le tombe dei santi, visitate, allora come oggi, per partecipare della loro santità. Il termine passò presto a indicare, per traslato, la sede petrina1. Sulle pietre di queste tombe sorsero presto imponenti basiliche: ma sembra che il tesoro dei meriti di Cristo sia tale da non poter restare confinato in un solo luogo: e negli anni alle due dette basiliche vennero aggiunte altre due basiliche, quella di San Giovanni in Laterano, residenza pontificia, e quella di Santa Maria Maggiore, luogo privilegiato di memorie della vita di Gesù e in particolare della sua nascita, nelle reliquie che custodisce e nei mosaici che la raccontano. Sono basiliche imponenti e solenni, i cui atri e portali danno in particolare la percezione di entrare in un luogo santo, nella chiesa di pietre che è segno e simbolo della Chiesa comunità dei redenti, e inducono ad alzare gli occhi al cielo2. Ma non bastava, e presto si aggiunse un simbolo particolare che divenne tratto distintivo dei luoghi giubilari: la Porta Santa, simbolo archetipo e fortissimo di ogni passaggio, di Maria Vergine Madre di Dio, figura della Chiesa stessa, di Cristo che disse di sé di essere la porta, e che chi entra per la porta è il vero pastore. Scrive Giovanni (Gv 10,1-21): «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma s’arrampica da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre, le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore per nome e le fa uscire fuori. Quando le 84

ha spinte fuori tutte, cammina davanti a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce» (cfr. anche: Gv 9, 24-38; Ez 34,1-19; 1 Pt 5,1-4; Eb 13,20). Per questo è stato possibile oggi indicare un altro tipo di Porta Santa: «Il confessionale, durante il Giubileo straordinario della Misericordia, sarà “la Porta Santa dell’anima”. E la celebrazione del sacramento della Riconciliazione occasione per un incontro vivo e vero con Cristo Misericordioso», come afferma mons. Krzysztof Nykiel, Reggente della Penitenzieria Apostolica, commentando le parole di papa Francesco nella Misericordiae vulnus. I luoghi del perdono sono aumentati negli anni: San Giovanni in Laterano fu aggiunto nel 1350, Santa Maria Maggiore fu aggiunta nel 1390. L’apertura delle Porte Sante nelle quattro basiliche suggellò la loro qualità eccezionale di spazi emblematici della Chiesa stessa (anche se non sono le uniche Porte Sante), che fanno di Roma il luogo unico cui tendere, il simbolo dell’intero mondo. Le Porte Sante sono, nel Giubileo del 2016, ancora più protagoniste, con le parole del Pontefice, che scrive, dopo l’apertura del Giubileo l’8 dicembre: «La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo

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come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa». Con queste parole tutto cambia, e secondo l’antico principio antropologico che vuole che il Centro del Sacro sia munito e difficile da raggiungere, ma che possano esistere i doppioni del Centro che ne rinnovano all’infinito offerte e possibilità, Roma, centro prezioso, si apre al mondo e va al mondo: se Roma è stata ed è il simbolo del mondo, con l’apertura delle Porte Sante in molti luoghi del mondo, il mondo intero diventa simbolo di Roma, e il Centro del Sacro è dovun-

que attingibile e offerto con misericordiosa saggezza. Le Porte Sante, ornate di rappresentazioni che ne richiamano il senso e la simbologia, sono dunque diffuse in tutto il mondo e contraddistinguono i luoghi dell’indulgenza giubilare. In Roma, possono essere come unite in un percorso, segno della conversione. Ma i luoghi in vari modi collegabili al detto percorso di conversione sono anche altri: sono, tra gli altri e in modo speciale, le chiese della Litania Septiforme, e quelle della famosa visita alle sette chiese pensata da san Filippo Neri per condurre a conversione riparando la colpevole e superficiale distrazione di chi è vittima del mondo. 85


3. San Pietro in Vaticano. La statua bronzea di san Pietro, opera di Arnolfo di Cambio precedente il 1296, accoglie i pellegrini a Roma.

capitolo 6

UN GIUBILEO IN TUTTO IL MONDO

S. Spirito in Sassia

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2. L’immagine schematica della città mette bene in evidenza il detto proverbiale secondo cui tutte le vie conducono a Roma: simbolicamente si può intendere che da qualunque punto il pellegrino parta ha modo di giungere nella città che conserva

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le reliquie dei santi Pietro e Paolo e che è sede del Vicario di Cristo. L’immagine mostra anche la localizzazione delle chiese coinvolte negli itinerari devozionali. 3

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Le sette chiese / Capitolo 7

BASILICA PATRIARCALE DI SAN PIETRO Corrispondente al Patriarcato di Costantinopoli

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4. Porta San Sebastiano. Porta Appia (oggi Porta San Sebastiano) appare nella sua imponenza dopo gli interventi di rafforzamento delle difese e innalzamento delle torri dovuti a Onorio e Teoderico. Il camminamento sulla destra può essere ancora percorso per un buon tratto a partire dal Museo delle mura, ospitato nelle torri.

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1. A. Lafréry, Le sette chiese di Roma, 1575, in Speculum romanae magnificentiae, editato nel relativo anno giubilare. L’immagine rappresenta le sette chiese mete devozionali per eccellenza negli anni giubilari, ognuna con la presenza di pellegrini inginocchiati. Come recita la didascalia originale, le quattro basiliche patriarcali, contrassegnate da una croce, si caratterizzano per l’immagine del Santo titolare.

Quella di San Pietro era ed è la basilica ad corpus di Colui che è stato il primo vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità. In essa tutto è di grande magnificenza: scegliamo qui di illustrare alcune immagini e aspetti particolarmente legati ai temi del Giubileo. Tutto nella basilica, dal grande abbraccio del colonnato alle immagini della facciata, dell’endonartece dell’inter-

no, guida in un percorso persuasivo che conduce alla confessione1 di Pietro, cioè al luogo dove egli fu sepolto dopo aver reso la sua testimonianza a Cristo, assistito dallo Spirito: è un invito non solo a guardare a lui come al pastore che guida il gregge dei fedeli, ma anche a imitarlo nella testimonianza. Tutto nella basilica inoltre afferma, mostrandone i frutti nelle opere umane e nella 89


2. San Pietro in Vaticano. Veduta dalla fine di via della Conciliazione, verso la facciata della basilica.

capitolo

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moltitudine dei fratelli, che lo Spirito ha continuato e continua ad assistere questo «presiedere» nella carità. «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam et tibi dabo claves regni Coelorum» (Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e a te darò le chiavi del Regno dei Cieli). Così si legge, dal vangelo di Matteo (Mt 16,18-19), intorno alla cupola della basilica. Pietro, principe degli apostoli e capo della cristianità, cui sono state consegnate le chiavi e affidato il gregge dei fedeli, accoglie nella chiesa dall’altorilievo2 posto al centro della facciata della basilica, sotto il balcone papale. Pietro fu il primo vescovo di Antiochia, dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono detti, forse per scherno o spregio, «cristiani», dal 37 al 67, poi andò a Roma (At 11,26), dove fu crocifisso. Ma se è documentata con certezza, anche se non senza contrasti, la sua sepoltura, assai meno concretamente è documentata la sua permanenza in Roma, per sostenere la quale gli argomenti più forti sembrano la tradizione radicata e ininterrotta, unita al fatto che nessun’altra Chiesa ha rivendicato la presenza e la successione di Pietro3. Diverse però sono le testimonianze indirette. La prima si trova nel vangelo di Giovanni (Gv 21,21), perché le parole di Gesù in questo passo vengono interpretate come allusione alla futura crocifissione dell’apostolo: «Pietro chiese a Gesù: “Signore, e di lui che sarà?” Gesù gli rispose: “Se voglio che egli resti finché io ritorni, che te ne importa? Tu seguimi”». Altra testimonianza si trova in una lettera di papa Clemente4: vi si dice che per invidia e gelosia furono perseguitati e martirizzati molti cristiani, tra cui Pietro e Paolo, «le più grandi e giuste colonne»5: anche se Clemente non fornisce dati certi su data, luogo e modalità del martirio, tuttavia è possibile collocarlo nel contesto della persecuzione di Nerone6. Vent’anni dopo questa lettera, ecco la testimonianza di sant’Ignazio di Antiochia7, che, scrivendo ai Romani, chiede che non intervengano per salvarlo dal martirio cui era stato condannato, e aggiunge: «Non vi comando come Pietro e Paolo», parole che sono state interpretate come allusione al soggiorno romano dei due apostoli come autorevoli membri attivi della comunità e come attestazione che la comunità romana era a conoscenza del soggiorno di Pietro. Anche in alcuni testi apocrifi si trovano preziosi indizi. Nella Ascensio Isaiae8 (4,2 e ss.), apocrifo del 100 ca., si

Le sette chiese / san pietro

annuncia in forma profetica che l’opera dei dodici apostoli sarà perseguitata da Beliar, uccisore della propria madre (Nerone), e che uno dei dodici, cioè Pietro, cadrà nelle sue mani. Anche l’Apocalisse di Pietro (ii secolo) allude a Roma: «Ecco a te, Pietro, ho rivelato ed esposto, tutto. Vai quindi nella città della fornicazione9 e bevi il calice che ti ho annunciato», ulteriore conferma che il martirio di Pietro e Roma era noto. La maggior parte della vita di Pietro dopo l’ascensione di Gesù si trova negli Atti di Pietro, apocrifo greco della seconda metà del ii secolo: qui si trova la descrizione dei miracoli di Pietro, della vicenda della lotta con Simon Mago, e soprattutto della sua crocifissione10. E, qualche decennio più tardi, tra il 175 e il 189, Ireneo di Lione attribuisce alla Chiesa di Roma «la più forte preminenza» (potentior principalitas) fra le altre, proprio in virtù della sua istituzione per opera di Pietro e Paolo (Adversus haer. 3,1-3)11. Origene († 250) poi nel Commentario alla Genesi, scrive: «Pietro sembra aver predicato nel Ponto, nella Galazia, nella Bitinia, nella Cappadocia, nell’Asia, ai Giudei della Dispersione. Finalmente, venuto a Roma, vi fu crocifisso con la testa all’ingiù». Per la sepoltura, viene in aiuto l’archeologia12, che ha portato al ritrovamento della tomba di Pietro, sotto l’altare tuttora visibile nella basilica. Questo ritrovamento è rafforzato dal graffito Petros eni, databile a prima della fine del ii secolo. La vicenda del ritrovamento e la sua certezza scientifica è stata attestata da Margherita Guarducci13: «Centro e cuore della basilica stessa, la Tomba di San Pietro è la giustificazione alla grandiosa costruzione architettonica»14: così è stato detto presentando i recenti restauri della tomba di San Pietro. La basilica risulta dunque oggi senza dubbi una basilica ad corpus15, che, centro della cristianità e sede papale, qualifica eccezionalmente Roma. La tradizione dunque vuole che Pietro, venuto a Roma, abbia affrontato il martirio nel circo fondato da Caligola (37-41) nell’Ager Vaticanus, durante la persecuzione di Nerone (54-68) che fece seguito al famoso incendio, e che poco discosto, nella vicina area cimiteriale, sia stato sepolto. Papa sant’Anacleto (o Cleto) (76-88) aveva eretto un’edicola sulla sua tomba, e già verso il 200 il presbitero Gaio poteva dire: «Io posso mostrarti i trofei degli apostoli, giacché sia che tu ti rechi in Vaticano sia che tu ti rechi 91


capitolo

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3. San Pietro in Vaticano. La navata centrale dall’ingresso verso il baldacchino di Gian Lorenzo Bernini e la zona absidale. 4-5. Alzato della navata maggiore dell’attuale basilica e delle grotte; e alzato e pianta della necropoli romana sottostante. Nella zona corrispondente alla lettera P (Campo P), la presunta sepoltura di Pietro sulla quale sono collocati gli altari pontifici medievali e moderni (elaboraz. e dis. K. Gaertner).

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6. Ricostruzione assonometrica del cosiddetto Campo P nella necropoli vaticana (da Apollonj Ghetti et al. 1951).

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7. Ricostruzione della memoria della tomba con baldacchino davanti all’abside (da Kirschbaum 1974). 8. Ricostruzione grafica della Memoria Apostolica eretta nel iv secolo attorno al «Trofeo di Gaio», edificato sulla tomba di Pietro (da Apollonj Ghetti et al. 1951).

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9. Ricostruzione 3D dell’antica basilica costantiniana di San Pietro (da Andaloro 2006).

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10. Ricostruzione 3D del braccio orientale del quadriportico. Il mosaico con la scena della Navicella è visualizzato da un disegno acquerellato del Barb. lat. 4410 del 1633 ca., Biblioteca Apostolica Vaticana; il mosaico del sepolcro di Ottone ii è visualizzato da una recente fotografia. (da Andaloro 2006).

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11. Grotte Vaticane, cappella della Madonna delle Partorienti, quadro pittorico di Giovanni Battista Ricci da Novara (1540 ca.-1627) con la riproduzione del mosaico della Navicella di Giotto.

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capitolo 7

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12 a, b. Fabbrica di San Pietro in Vaticano, frammento del muro rosso con le seguenti lettere greche: Petr[…] eni[…], interpretate con la frase Pétr[os] enì, «Pietro è qui», oppure, sempre nella prospettiva della presenza di Pietro, con un’invocazione a lui rivolta: Pétr[os] en i[réne], «Pietro in pace». 13. Grotte Vaticane, Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo, mosaico. Cristo benedice all’orientale e, insolitamente, san Pietro è alla sua sinistra e regge tre chiavi.

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14. Pianta della Basilica di San Pietro: vi sono indicati gli altari e i quadri musivi presenti nella basilica.

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sulla via Ostiense troverai i “trofei” di coloro che hanno fondato questa “Chiesa”»16. Sopra la porta d’ingresso della tomba di Popilius Heracla, ritrovata negli scavi del 1940-49, nella necropoli sotto la chiesa di San Pietro, una scritta risalente agli inizi del ii secolo, recita, come disposizione testamentaria agli eredi ut monumentu mihi faciatis in Vatica(ano) ad circum, «che mi facciate un monumento funebre in Vaticano nei pressi del circo» (Memoria Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 16, 1, 1986, pp. 9ss., citato in Brandenburg, p. 92). Costantino nel 324 completò l’opera e il Liber Pontificalis inoltre ricorda: fecit basilicam beato Petro…cuius loculum ex aere cypro conclusit, «costruì una basilica dedicata a san Pietro, la cui tomba rivestì di lamine di bronzo» (Brandenburg, p. 92), tomba che si trovava iuxta palatium neronianum, in Vaticanum, «accanto al palazzo neroniano, in Vaticano» (Lib Pont, i, 181). Costantino inoltre nel 324 fece costruire intorno all’edicola una basilica ad corpus. La tomba di Pietro si trovava sulle pendici della collina dell’area sepolcrale, e per la costruzione furono interrate parti del circo e della necropoli (grazie all’autorità dell’imperatore che, in quanto pontefice massimo, superò il divieto di toccare le sepolture). La basilica fu innalzata proprio sul luogo della tomba di Pietro. Il grande edificio rettangolare (60 x 90 m) presentava un grande quadriportico e cinque navate, separate da quattro colonnati di ventidue colonne. Presso la tomba di Pietro il pontefice battezzava assiso sulla cattedra lignea che di Pietro era stata; qui si radunavano i fedeli per le grandi liturgie, e come al centro dell’unità dei cristiani da tutte le parti convenivano pellegrini incessantemente, sprezzando fatiche e distanze17. Un’altra peculiarità della basilica di San Pietro era l’uso del transetto (trans saepta, «oltre i cancelli»), il primo a essere concepito come navata trasversale indipendente, alto come la navata centrale, ma meno ampio, e dotato di una propria copertura. L’abside era decorata da mosaici offerti da un figlio di Costantino (probabilmente Costanzo ii) che rappresentavano ancora una volta la Traditio legis, in cui si vede Cristo tra san Pietro e san Paolo in sostituzione forse di un originario mosaico color d’oro senza immagini, di cui forse rimane memoria nella Donazione di Costantino (1520) di Raffaello nelle Stanze vaticane. Papa Niccolò v (1447-1455), che poi vi fissò la residenza papale, pensò a una ristrutturazione della basilica che si 100

era fino ad allora conservata. Durante i lavori lunghi e non continuativi si ebbero diversi direttori, infine Carlo Maderno compì l’opera nel 1612. Durante i lavori, il 18 aprile 1506, Giulio ii di persona scese nello scavo delle fondamenta e chiuse in un vaso di terracotta dodici medaglie, di cui due d’oro e le altre di bronzo (con evidente riferimento a san Pietro, san Paolo e agli altri apostoli); da un lato avevano l’immagine di Giulio ii e dall’altro quella della basilica progettata da Donato Bramante. Collocò inoltre una lapide marmorea presso il muro principale con una scritta riecheggiante le parole di Gesù a Pietro: «Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Il nuovo edificio, con la cupola di Michelangelo, fu consacrato da Urbano viii (1623-1644) il 18 novembre 162618. A Maderno, morto nel 1629, successe Gian Lorenzo Bernini, cui si devono il baldacchino in bronzo, la Gloria che racchiude la Cattedra di Pietro, e il colonnato, espressione chiara di un’accoglienza che si scopre sempre più grande di quello che si credeva. Cristo, che porta la croce come un vessillo trionfante, è il centro visivo della facciata, e la cupola michelangiolesca, sovrastata dalla croce, ne mostra la gloria con l’allusione grandiosa al cielo: quasi anticipata trascrizione dell’incipit della prima enciclica di Giovanni Paolo ii: «Cristo, centro del cosmo e della storia». Il cosmo è rappresentato dalla cupola e la storia dal Battista, dagli apostoli e via via dai santi che fanno loro seguito e contorno sul colonnato. Sopra il portale centrale si trova l’altorilievo (opera del Bernini, con aiuti) che rappresenta la consegna a Pietro delle greggi dei discepoli, e rappresenta la scena narrata da Giovanni al cap. 21: «Pasci i miei agnelli», con la triplice confessione di Pietro; di fronte il cosiddetto Mosaico della Navicella19, che nel 1675 il Maderno realizzò rifacendo quello che Giotto aveva dipinto per il card. Jacopo Stefaneschi all’epoca del primo Giubileo: qui è ripreso il brano di Pietro salvato dalle acque, e dalla sua mancanza di fede, narrato da Matteo (Mt 14,22-33). Pio xii nel 1939 promosse una sistematica campagna di esplorazione del sottosuolo della basilica, per fugare ogni dubbio circa la stessa presenza in Roma di Pietro. Si ebbero due campagne, negli anni 1940-49 e 1952-64. Sotto l’attuale basilica si ritrovarono le tracce di quella costantiniana; sotto l’altare papale20 e il baldacchino del

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Bernini apparve una costruzione quadrangolare di età costantiniana: all’interno, vi si scoprirono due edicole sovrapposte, che si sono identificate con quelle di cui parla Gaio. Nello spessore del muro, in un vano foderato di marmo, si trovò una cassetta con ossa umane, pezzetti di stoffa di porpora imperiale intessuta di fili d’oro. Esaminati, risultarono essere i resti di un solo uomo, di robusta corporatura, di età tra i 60 e 70 anni, alto circa 1 metro e 65. Nel muro si scoprirono anche dei graffiti in lettere greche, inneggianti a Pietro: «Pietro è qui», dicevano. Quelle erano dunque le reliquie di san Pietro. Entrati nella basilica, tutto conduce a san Pietro, come centro e segno dell’unità della Chiesa: di lui vediamo, all’ultimo pilastro a destra della navata, la statua bronzea che lo raffigura in trono, attribuita ad Arnolfo di Cambio (xiii secolo); l’altare papale è posto in asse con la sottostante tomba dell’apostolo, e tra le colonne del ciborio del Bernini si scorge la custodia dell’antica cattedra di Pietro sormontata dall’immagine dello Spirito Santo. Tra i pilastri, lungo la navata, figure marmoree di fondatori di ordini religiosi accompagnano l’incedere verso la Confessione, a significare che nel cammino non si è soli, e che nella Chiesa ci sono provvidenziali compagni di viaggio. A destra entrando, due cappelle colpiscono l’attenzione: quella della Pietà e quella del Santissimo Sacramento. La cappella della Pietà è la prima a destra: prende il nome dal famoso gruppo opera del giovane Michelangelo (1499), che fu voluta qui da Benedetto xiv nel 1749. L’altare papale è sopraelevato rispetto al piano della navata: si trova in asse con la tomba di Pietro nella cripta, il cui accesso si apre davanti ad esso. È detto anche altare della Confessione di San Pietro: scendendo nella cripta si possono venerare le memorie di san Pietro, le cui reliquie sono poste, in un’urna, davanti a una grande icona di Gesù Cristo benedicente, come se fossero perennemente inginocchiate davanti al Figlio di Dio, e insieme con Lui benedicessero i fedeli. Sopra l’altare sorge il ciborio bronzeo del Bernini, con le colonne tortili ornate di tralci di viti e di api: le api sono simbolo dello zelo (zelo per la casa di Dio), mentre i tralci rappresentano un richiamo alla fioritura paradisiaca e all’Eucaristia. Queste colonne richiamano quelle della basilica antica, che si voleva provenissero dal tempo di Salomone, delle quali due visibili alla tribuna con la

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ALTARI E QUADRI MUSIVI NELLA BASILICA 1. Nicchia dei Palli 2. Altare della Confessione 3. Altare della Cattedra 4. Altare della Trasfigurazione 5. Altare di San Gregorio 6. Altare della Bugia (Morte di Anania e Saffira) 7. Altare della Crocifissione di San Pietro 8. Altare di San Giuseppe 9. Altare di San Tommaso 10. Altare del Sacro Cuore 11. Altare della Madonna della Colonna 12. Altare di San Leone Magno 13. Altare della Guarigione dello storpio 14. Altare della Resurrezione di Tàbita 15. Altare di Santa Petronilla 16. Altare di San Michele Arcangelo 17. Altare della Navicella 18. Altare di Sant’Erasmo 19. Altare dei Santi Processo e Martiniano 20. Altare di San Venceslao 21. Altare di San Girolamo 22. Altare della Madonna del Soccorso 23. Altare di San Basilio 24. Altare del Santissimo Sacramento 25. Altare di San Francesco d’Assisi 26. Altare di San Sebastiano 27. Altare di San Nicola

28. Altare di San Giuseppe 29. Altare della Pietà 30. San Pietro clavigero 31. Navicella 32. Battesimo di Cristo 33. San Pietro battezza i Santi Processo e Martiniano 34. San Pietro battezza il centurione Cornelio 35. Altare della Presentazione della Vergine 36. Altare della Madonna Immacolata

PILONI A. Sant’Andrea B. Santa Veronica C. Sant’Elena D. San Longino

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15. San Pietro in Vaticano. Dietro al fastigio della facciata di Carlo Maderno con le statue di Cristo e dei santi, svetta la cupola di Michelangelo. 16. San Pietro in Vaticano. Veduta della cupola dall’interno. Ogni cupola è immagine del cielo. Nell’anello che circonda la base della lanterna, si legge: s. petri gloriae sixtus pp.v a.mdxc pontif. v (a gloria di san Pietro, papa Sisto v, nell’anno 1590, quinto del suo pontificato).

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Pagine seguenti 17. San Pietro in Vaticano. La Confessione, cancello di accesso alle Grotte. 18. San Pietro in Vaticano. Il baldacchino berniniano verso la tribuna meridionale.

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19. San Pietro in Vaticano. Cathedra Petri, trono di Carlo il Calvo.

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20. San Pietro in Vaticano. Nel cuore del presbiterio, la Cathedra Petri e la Gloria di san Pietro, 1656-1666.

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21. San Pietro in Vaticano. Vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, veduta generale della cupola. Nell’anello che circonda la base della lanterna, si legge: qui crediderit et baptizatus fuerit saluvs (sic) erit (colui che avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvo).

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22. San Pietro in Vaticano. Vestibolo della cappella del Fonte Battesimale, San Pietro battezza il centurione Cornelio, lunetta nord, lato est.

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reliquia della Vera Croce. Alla sommità delle colonne tortili, quattro angeli; il tutto sormontato dalla Croce sul globo, segno della signoria di Cristo sull’intero cosmo. La cupola corona il transetto. Ai piedi dei pilastri che la sostengono quattro statue, allusive alle reliquie custodite in San Pietro: la sacra lancia con cui il centurione Longino trapassò il costato di Gesù; il sudario della Veronica col Volto di Cristo; il frammento più grande della Vera Croce ritrovata da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. Le statue sono quelle di san Longino (di Gian Lorenzo Bernini, 1639), di sant’Elena (di Andrea Bolgi, 1646), di sant’Andrea (di François Duquesnoy, 1640) e di santa Veronica (di Francesco Mochi, 1629-39). Dai grandi piloni dell’incrocio del transetto, intorno alla Confessione di Pietro e al grande ciborio del Bernini, si affacciano le tribune con le reliquie più preziose: la testa di sant’Andrea fratello di san Pietro, donata nel 1966 da Paolo vi Montini (1963-78) alla città di Patrasso, luogo del martirio del santo; la lancia di Longino, che papa Innocenzo viii Cybo (1484-92) aveva avuto in dono da Bajazet, figlio del sultano Maometto ii; il velo della Veronica, testimoniato qui dall’viii secolo; parte del legno della Vera Croce e uno dei chiodi della crocifissione. 110

23. San Pietro in Vaticano. Veduta dell’atrio con la sequenza dei portali sulla sinistra.

Il tiburio della cupola è fonte di grande luce: la cupola tutta poi è immagine del cielo. La Cattedra di San Pietro è contenuta nella gloria del Bernini, nell’abside, e viene celebrata il 22 febbraio, nel Natale Petri de Cathedra21. Di una cattedra lignea parla Tertulliano: era venerata nelle catacombe di Priscilla. Papa san Damaso (336-384) la portò in Vaticano. Papa Alessandro vii (1655-1667) fece porre nel reliquiario del Bernini il trono di Carlo il Calvo (sec. ix) che da allora venne detto Cathedra Petri. Alla sommità della gloria, lo Spirito Santo nella vetrata rappresenta efficacemente la divina ispirazione dei papi22. Alla base della gloria sono unite la Chiesa romana e la Chiesa greca: i dottori della Chiesa romana, sant’Ambrogio e sant’Agostino, con la mitria vescovile, e della Chiesa greca, sant’Atanasio e san Giovanni Crisostomo (senza copricapo): evidente allusione all’unità della Chiesa sotto un solo pastore. Al centro, in un bassorilievo, la scena del Pasce oves meas («pasci le mie pecore»), frase che Gesù rivolse a Pietro dopo avergli chiesto tre volte: «Pietro, mi ami tu?»; altri due bassorilievi mostrano la Lavanda dei piedi e la Consegna delle chiavi a Pietro. Nell’endonartece si aprono cinque portali. Quello centrale, del 1439-45, presenta, in rilievi bronzei: Cristo Pantocratore, l’Annunciazione, i santi Pietro e Paolo, il Martirio di san Pietro e il Martirio di san Paolo, opera del Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469); a destra si trova la Porta dei Sacramenti, opera di Venanzio Crocetti (1913-2003) del 1965, inaugurata da Paolo vi in occasione della riapertura dei lavori del Concilio Vaticano ii; più a destra ancora, la Porta Santa del 1949, opera di Vico Consorti (1902-79) per il Giubileo del 1950, con le storie dell’Antico e Nuovo Testamento; a sinistra del portale centrale, la Porta detta del Bene e del Male, del 1975-77, di Luciano Minguzzi (1911-2004): nel battente di sinistra è rappresentato il bene, in quello di destra il male; a sinistra ancora, la Porta detta «della morte», del 1947-58 di Giacomo Manzù (1908-91), cosiddetta perché da qui passavano i cortei funebri con le salme dei pontefici. Papa Giovanni xxiii (1958-63), bergamasco come Manzù, da poco eletto, sbloccò subito i lavori per questa porta, e in essa è rappresentato nei battenti interni mentre accoglie il vescovo Laurean Rugambwe, tanzaniano, da lui creato cardinale: fu il primo cardinale di colore. La Porta Santa del Vaticano di Vico Consorti rappresenta nei battenti il tema dato dalle parole di papa Pio xii: «Concedimi, o Signore, che questo Anno Santo sia

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24. San Pietro in Vaticano. Portale in bronzo di Antonio Averlino detto Filarete (1433-1445), già presente nella basilica precedente.

25. San Pietro in Vaticano. Porta Santa. La scritta sovrastante ricorda: gregorius xiii pont. max. Realizzata da Vico Consorti (1902-1979) per il Giubileo del 1950, svolge il tema suggerito da Pio xii: «Concedimi, o Signore, che questo Anno Santo sia l’anno del gran ritorno e del gran perdono». Vediamo rappresentati: Il Peccato e la Cacciata dal Paradiso terrestre, l’Annunciazione, Battesimo di Gesù, parabole del Figliol prodigo, del Paralitico, della Peccatrice, il Perdonare Settanta volte sette, il Rinnegamento di Pietro, il Buon Ladrone, le apparizioni di Gesù risorto a Tommaso e agli apostoli, la Conversione di san Paolo, e infine Cristo porta della salvezza, rappresentato da papa Pio xii che apre la Porta Santa.

l’anno del gran ritorno e del gran perdono»; inaugurata la vigilia di Natale del 1949, fu dono di Mons. Francesco Von Streng, vescovo di Lugano e Basilea e dai suoi fedeli come omaggio al papa della pace Pio xii, in ringraziamento al Signore per aver preservato la Svizzera dagli orrori della guerra. Si legge qui la storia umana in sedici formelle (dall’alto, da sinistra a destra): il Peccato e la Cacciata dal Paradiso Terrestre, l’Annunciazione, il Battesimo di Gesù, le parabole del Buon Pastore, del Figliol Prodigo, del Paralitico, della Peccatrice, il Perdonare «settanta volte sette», il rinnegamento di Pietro,

il Buon Ladrone, quindi le apparizioni di Cristo risorto a Tommaso e a tutti gli apostoli riuniti, la Conversione di san Paolo e, nell’ultima formella, Cristo come porta di salvezza, simboleggiato dal papa Pio xii che apre la Porta Santa nell’Anno Santo 1950. Oltre le porte bronzee, oltre i marmi, i mosaici e le sepolture preziose, le reliquie fanno, anche letteralmente, quadrato intorno a Pietro: la loro presenza è ciò che distingue il pellegrinaggio a Roma da quello alla più vicina chiesa parrocchiale, dove, diversamente ma ugualmente, Cristo è presente.

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Le sette chiese / Capitolo 8

BASILICA PATRIARCALE DI SAN GIOVANNI IN LATERANO Corrispondente al Patriarcato di Roma

Sacros lateran eccles / omnium urbis et orbis / ecclesiarum mater / et caput Sacrosancta lateranensis ecclesia omnium urbis et orbis eccelsiarum mater et caput (Sacrosanta chiesa lateranense madre e capo delle chiese di tutta la città e del mondo). Questa scritta, che si legge sulla facciata ed è ripetuta all’interno, ricorda che questa è la madre di tutte le chiese: nessun altra vanta questo titolo, poiché è stata la prima della cristianità occidentale. Nella basilica antica lo sguardo correva senza l’interruzione del pur bellissimo ciborio al grande mosaico così significativo, che aveva il volto di Cristo e la Croce salvifica al suo centro: sono i temi portanti di moltissime immagini della Roma paleocristiana e cristiana, poi variamente riprese nei rifacimenti, tanto che si potrebbe dire che il volto di Cristo, nelle reliquie come nelle immagini, annuncia in continuazione una presenza tangibile. La basilica fu iniziata all’epoca di papa Milziade, o Melchiade: sulla data d’inizio del pontificato (310 o 311, fu il trentaduesimo pontefice, di origine africana, ed è venerato come santo) ci sono incertezze, ma sicuramente morì nel 314. Fu testimone dell’ultima persecuzione dei cristiani: Massenzio aveva confiscato i beni della Chiesa, papa Eusebio, suo predecessore, era stato esiliato in Sicilia. Galerio, Augusto d’Oriente dal 305, aveva promosso una persecuzione contro i cristiani, ma, convinto sia dalla loro resistenza che dalla loro condotta, emise come ultimo suo atto un editto generale di tolleranza (Editto di Serdica), nel quale concludeva chiedendo ai cristiani di pregare per lui, già ammalato (morì nel giugno dello stesso anno), il loro Dio; furono anche restituiti i beni confiscati. La persecuzione tuttavia continuava nei paesi orientali sotto la giurisdizione di Massimino Daia, mentre in Occidente Massenzio rispettò l’editto di Galerio 112

e consentì l’elezione del nuovo pontefice, appunto Milziade, e la vita della Chiesa romana riprese in pace. Continuavano però le lotte per l’impero, e Costantino, figlio di Costanzo Cloro, contendeva a Massenzio il potere. Alla battaglia che si concluse al Ponte Milvio (28 ottobre 312), Massenzio fu sconfitto da Costantino, che aveva avuto il famoso sogno premonitore: avrebbe vinto nel segno della croce. L’anno successivo Costantino, che aveva ormai riunito tutte parti dell’impero romano sotto la sua potestà, emise l’Editto di Milano con cui permise ai cristiani la libertà di professare la loro fede e di ricostruire i luoghi di culto. Lui stesso donò, dal proprio personale patrimonio, i terreni per la costruzione di quel complesso di edifici che comprendeva la basilica Salvatoris, prima grande basilica cristiana. Si trattava di terreni di proprietà imperiale confiscati alla famiglia dei Laterani, e utilizzati per i Castra nova equitum singularium, la Nuova Caserma delle guardie scelte dell’imperatore: abbattuti gli edifici, sulla spianata fu eretta la basilica. L’imperatore, donati i terreni, profuse i suoi mezzi per abbellirla, così che, per lo splendore dei marmi e delle decorazioni auree, in breve fu detta «aurea». La costruzione probabilmente fu terminata nel 324, e i resti sono ancor oggi conservati sotto il rivestimento barocco degli anni 1646-50 del Borromini. La basilica presentava cinque navate (lunghezza 75 e larghezza 55 m) orientate est-ovest (la navata centrale larga il doppio delle laterali), suddivise da colonnati; la parte centrale giungeva fino ad abside semicircolare, separata dalla navata da uno pseudotransetto introdotto da una iconostasi sormontata da statue d’argento massiccio, che sostenevano una sorta di architrave arcuata al centro, detta arco siriaco, dietro la quale l’abside, che non presentava figure, splendeva di mosaici d’oro. Negli anni 428-30 furono aggiunte

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Pagina precedente 1. San Giovanni in Laterano. La ripresa dall’alto mette in luce la facciata e la pianta della chiesa a croce latina.

2. San Giovanni in Laterano. Mosaico absidale, Volto di Cristo e colomba dello Spirito Santo.

decorazioni figurative che si vuole siano state poi riprese da Jacopo Torriti che, nel 1291, fu incaricato del nuovo mosaico.

Pontificalis: «Ricca e splendida d’oro e di marmi, ad imitazione del palazzo de’ Cesari, la basilica fu chiamata aurea. Il libro pontificale ricorda i donativi dei quali Costantino l’arricchì, che in numero e splendore attestano la magnificenza imperiale del medio evo, e la storia e la favola s’intrecciarono insieme, cosicché si disse, e poscia si scolpì nei monumenti della basilica lateranense, che in questa, insieme all’arca sull’alleanza, si conservavano le tavole della legge, il candelabro d’oro, il tabernacolo e le stesse vesti sacerdotali d’Aron». Ed è assai plausibile l’ipotesi avanzata che le dimensioni del nuovo edificio, atti a contenere grandi folle, abbiano influenzato il successivo definirsi delle azioni liturgiche, fino ad allora svoltesi in ambienti ben più ristretti2. Al santo papa Gregorio Magno (590-604) si deve l’aggiunta dei nomi di Giovanni Battista (cui era dedicato il battistero) e di Giovanni Evangelista, ai quali era stato dedicato presso il Laterano un convento di monaci benedettini.

L’Armellini, alla fine del xix secolo, tratteggia i caratteri del grande edificio e ipotizza una interpretazione della tradizione medievale secondo la quale, alla dedicazione, sarebbe apparso il volto splendente del Salvatore. «La storia del Laterano cristiano si compenetra con quella dello svolgimento del cristianesimo in Roma, ne diviene come il simbolo, e può considerarsi siccome il glorioso Campidoglio della Roma di Pietro e di Paolo. La basilica costantiniana diventò la cattedrale di Roma ed ebbe il primato sulle stesse basiliche vaticana ed ostiense consacrate dai trofei apostolici. Il primo grande restauro del Laterano fu compiuto circa il secolo decimo da papa Sergio iii (904-911), un secolo innanzi che vi entrasse la grande Matilde per ratificare in quelle auguste mura la sua donazione a San Pietro. Nel Laterano fu da Innocenzo iii (1198-1216) adunato il concilio in cui fu deposto Ottone e intimata la quarta crociata, e nel Laterano echeggiò la voce del tribuno romano Cola di Rienzo. Ma per non ingerire confusione nel lettore, descriverò partitamente e brevemente i tre grandi monumenti che compongono il Laterano, ciò la basilica, il palazzo pontificio, il battisterio e gli oratorî annessi. Sorgeva la basilica nel mezzo dei palazzi lateranensi: fu in origine di estensione non grande e di stile severo, a cinque navate sostenute da più file di colonne. Fu dedicata a Cristo Salvatore, la cui immagine trionfale ivi la prima volta apparve mirabilmente alla luce del sole fuori delle catacombe innanzi al mondo romano; apparizione che nel medio evo fu intesa in senso miracoloso»1. Fu dunque come un prodigio che si potesse vedere pubblicamente il volto di Cristo nella Roma che ne aveva cacciato i seguaci fino a un decennio prima, con la grande persecuzione di Diocleziano del 304-305 che aveva oppresso i cristiani, i loro vescovi, e bruciato i libri sacri. Ed ecco che, con un incontro personale prodigioso, che il sogno di Costantino ben interpreta, non solo il cristianesimo è accettato, ma al vescovo di Roma vengono donate terre e sedi, e per Cristo si erigono imponenti luoghi di culto arricchiti di doni cospicui, come di nuovo l’Armellini illustra sulla scorta del Liber 114

L’immagine del Santissimo Salvatore conservata nel Sancta Sanctorum è ripetuta nel mosaico dell’abside e, all’esterno, in un tondo all’angolo del palazzo. L’immagine di Cristo è comunque centro visivo della basilica, e sul fastigio della facciata è il Cristo trionfante: la sua statua è al centro della teoria dei dodici dottori della Chiesa, e subito accanto a lui sono i due Giovanni, il Battista, il più grande dell’Antico Testamento, e l’Evangelista, il più amato degli amici della nuova storia. Qui sono conservate reliquie dei due Giovanni, e vengono esposte il giorno di Pasqua: il calice di Giovanni Evangelista, la catena con cui fu legato durante il viaggio da Efeso e la sua tunica miracolosa che fece resuscitare tre morti; le ceneri e il cilicio del Battista, e la testa di Zaccaria suo padre; inoltre si conservano la tunica che la Madonna cucì per Gesù, il panno con cui Gesù asciugò i piedi agli apostoli e la veste rossa impostagli dai soldati quando lo schernivano. Oggi, lungo la navata si è accompagnati all’altare papale dalla sequenza delle statue degli apostoli, sovrastate dalle figure dei profeti, e da scene dell’Antico e del Nuovo Testamento: le più preziose reliquie della basilica, quelle dei capi di Pietro e Paolo3, sono custodite in due reliquiari a busto d’argento, sotto il solenne

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ciborio gotico, opera di Giovanni di Stefano del 1367. L’altare papale sottostante, di marmo, racchiude un altare ligneo cui la tradizione vuole abbiano officiato gli stessi Pietro e Paolo. Nella cripta si trova una statua lignea di san Giovanni Battista. I passi e gli occhi di chi entra sono guidati alla gloria dell’abside4. In esso troviamo dunque gli stessi temi del v secolo: in particolare il volto di Cristo (che potrebbe anche essere l’originale) che sovrasta la croce, che nelle sue gemme rappresenta la sovrabbondanza dei doni celesti, porta al centro l’immagine del Battesimo di Gesù, e ai lati, quasi una Deesis, la Vergine e san Giovanni Battista. Dal cielo lo Spirito santo fa scendere la sua grazia in forma di acque che scendono sulla croce fino al monte su cui essa è elevata, e lo riempie fino a scorrere poi fuori di esso, nei quattro fiumi dell’Eden,

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Gigon (Gange), Pison (Indo), Tigri ed Eufrate, che scorrono dalla Croce salvifica ed elevata sul monte di Sion, alla quale si abbeverano i cervi simbolo delle anime e le pecore simbolo del gregge affidato a Pietro: i fumi scorrono intorno alla Gerusalemme celeste cinta da mura dalle quali si affacciano i profeti, difese da san Michele armato: entro le mura fiorisce la palma sulla quale poggia la Fenice, figura della Risurrezione e della vita eterna. La Croce è presentata come fondamento della salvezza e fonte della grazia. Campeggia sullo sfondo d’oro che rende presente la gloria: di fatto si tratta di una rappresentazione del Battesimo di Gesù, momento in cui egli viene manifestato come il Figlio di Dio. In questa prospettiva, la figura che appare dai cieli squarciati potrebbe anche non essere, come si ritiene di solito, il Figlio (che peraltro manca del nimbo crociato che sempre lo distingue), ma l’Eterno Padre, rappresentato, come in altre icone, con fattezze simili a quelle del Figlio. Fanno ala alla croce: a sinistra, la Madonna con Niccolò v inginocchiato e i santi Pietro e Paolo; a destra, i santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, e Andrea. Si notino le figure di san Francesco d’Assisi e sant’Antonio da Padova, inserite in questo schema bizantino per volontà di papa Niccolò v, che era francescano. Al primo pilastro della navata intermedia, a destra, si vede un affresco, voluto dal card. Jacopo Stefaneschi, attribuito a Giotto, in cui Bonifacio viii proclama il Giubileo del 1300. La basilica di San Giovanni in Laterano compare nell’affresco di Giotto in Assisi che, nella chiesa superiore della basilica, rappresenta il sogno di Innocenzo iii: Francesco sostiene il grande edificio, simbolo della Chiesa. Nella terza cappella di destra, dove è custodito il Santissimo, si trova una copia della Madonna di Czestochowa offerta da pellegrini polacchi nel 1975 per l’Anno Santo.

3. San Giovanni in Laterano. Pianta della basilica (da De Blaauw). 3

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4. San Giovanni in Laterano. L’interno attuale dopo il rifacimento del Borromini.

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5. San Giovanni in Laterano. Mosaico absidale. A modo di una Deesis bizantina, ai lati della Croce, le cui gemme simboleggiano i doni celesti, la Vergine con Niccolò v inginocchiato e i santi Pietro e Paolo e, a destra, i santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Andrea; ai piedi della croce, i quattro fiumi dell’Eden ai quali si abbeverano i cervi, simbolo delle anime, e le pecore, simbolo del gregge affidato a Pietro; tra i fiumi, la Gerusalemme con i profeti, difesa da san Michele, entro le cui mura si erge su una palma la Fenice, allusione alla Risurrezione e alla vita eterna. Sono presenti inoltre san Francesco d’Assisi e sant’Antonio da Padova.

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6. San Giovanni in Laterano. Particolare del mosaico absidale: la croce gemmata dalla cui base hanno origine i quattro fiumi del Paradiso. Pagine seguenti 7. San Giovanni in Laterano. Prima basilica costruita a Roma da Costantino dopo l’Editto di Milano (313), con il quale l’imperatore riconosceva la libertà di culto ai cristiani. Alle spalle sorge il battistero ottagonale, il più antico dell’Occidente cristiano. Sul fianco destro della basilica si trova il Palazzo Apostolico Lateranense, costruito da Sisto v, mentre al centro della piazza lo stesso papa innalzò l’obelisco che l’imperatore Costanzo ii aveva posto a decorazione del Circo Massimo.

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Le sette chiese / san Giovanni in laterano

Le sette chiese / Capitolo 9

SAN GIOVANNI IN LATERANO BATTISTERO, TRICLINIO, SCALA SANTA E SANCTA SANCTORUM Ma non si possono trascurare nel complesso lateranense i diversi edifici del Battistero, oggi San Giovanni in fonte, della Scala Santa e del Sancta Sanctorum, per la cospicuità delle memorie che testimoniano. Il Battistero fa parte degli edifici costantiniani, eretti all’epoca di papa Silvestro, e doveva ben mostrare la centralità del battesimo nella vita cristiana, battesimo che era amministrato dal vescovo stesso ed era preceduto da un’accurata preparazione. La professione di fede era l’atto di un adulto che compiva una precisa scelta di vita, e tutto nel rito e nell’ambiente doveva testimoniarlo. Troviamo nel battistero la pianta centrale che, a immagine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ricordava l’immissione nella pienezza della Grazia, mentre gli otto lati ricordavano l’ottavo giorno, quello della rinascita al giudizio, giorno senza tramonto.

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Si accede da un atrio a due absidi, i cui catini furono ricoperti di mosaici all’epoca di papa Ilario (461-468); rimane quello a est, ornato da candelabra1 tra racemi e girali su fondo verde, che alludono alla ricchezza della vita di Grazia. Al centro del catino campeggia l’Agnus Dei, cui si rivolgono quattro colombe, che probabilmente rappresentano gli evangelisti; sotto, corre un fregio di girali dalle quali pendono dodici croci, simboli degli apostoli. Nell’annesso oratorio di San Venanzio (edificato dai papi Giovanni iv, 640-642, e Teodoro, 642-649), torna, al centro dell’abside, il solenne volto di Cristo benedicente tra due angeli, che si affaccia sopra l’immagine della Vergine orante fra i santi Pietro, Paolo, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e i santi dalmati Venanzio e Donnino.

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Pagine precedenti 1-2. San Giovanni in Laterano. Battistero di San Giovanni in Fonte. Veduta esterna e antico ingresso del battistero di San Giovanni in Fonte.

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3. San Giovanni in Laterano. Veduta d’insieme dell’interno del battistero, v secolo. La struttura ottagonale allude alla Risurrezione. In questa pagina 4. Battistero lateranense. Cappella di San Giovanni Evangelista, mosaico della volta con Agnus Dei, ghirlande floreali e coppie di volatili affrontati a coppe di frutta. 5. Battistero lateranense. Mosaico dell’abside est dell’atrio con volute verdi e oro.

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7. Pianta del complesso del battistero lateranense. A Antico atrio A1 Abside est A2 Abside ovest B Battistero C Cappella di San Giovanni Evangelista D Oratorio di San Venanzio

6. San Giovanni in Laterano. Mosaico absidale dell’oratorio di San Venanzio, costruito nel battistero lateranense dai papi Giovanni iv (640-642) e Teodoro (642-649). Sono raffigurati Cristo, la Vergine, i santi Pietro e Paolo, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e i martiri dalmati Venanzio e Domno.

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Delle due sale per banchetti (triclinia) arricchite di absidi a mosaico, realizzate da papa Leone iii (795-816), ne resta visibile una, con il nome di Triclinio Leonino. Dopo diverse vicissitudini, l’abside, con il mosaico quasi interamente rifatto, è stata infine collocata nel 1743 in un’edicola di tipo neoclassico per volere di papa Benedetto xiv. Anche qui ricorre il volto di Cristo, che si vede attorniato dagli apostoli. L’edificio dove attualmente si trova la Scala Santa sorge sui resti del Patriarchio, residenza papale, costruita da Leone iii (795-815), che nella cappella privata, già dedicata a San Lorenzo, radunò insigni reliquie racchiuse in una cassa di cipresso. La Scala Santa vi fu collocata probabilmente per volere di papa Sergio iii. La sistemazione attuale, con le due scale laterali, è opera di Domenico Fontana, voluta da Sisto v. Portata, secondo la tradizione, dalla regina Elena, detta un tempo scala di Pilato2, la Scala Santa divenne oggetto di forte devozione, recando macchie incancellate del sangue di Cristo: la si sale devotamente, vivendola come scala al cielo analoga a quella della visione di Giacobbe. Fu la meta di un itinerario dei pellegrini che contemplava la vita di Gesù: la nascita in Santa Maria Maggiore, la Passione alla Scala Santa, la morte in Santa Croce in Gerusalemme, la resurrezione nel Sancta Sanctorum, con l’immagine acheropita del Salvatore. Da secoli, e anche oggi, i pellegrini salgono in ginocchio questi ventotto scalini, immedesimandosi nella Passione di Cristo e implorando: «Santa Madre, deh voi fate

8. San Giovanni in Laterano. Sulla sinistra la facciata della basilica. Sulla destra la costruzione che contiene il Sancta Sanctorum.

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9. Piazza di porta San Giovanni. Triclinio Leonino: nella nicchia Cristo affida agli apostoli la loro missione; sulla facciata, a sinistra Cristo,

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che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore». Al sommo della Scala Santa si trova il Sancta Sanctorum, che nel nome ricorda volutamente il luogo, nella tenda dell’Alleanza degli Ebrei, dove era custodita l’Arca con le tavole della legge; era luogo riservatissimo, essendo cappella privata dei pontefici. Affrescato splendidamente con le storie di san Lorenzo, diacono, uno dei primi martiri romani, associato per questo a santo Stefano protomartire, presenta un programma iconografico molto interessante. Tutta la cappella è percorsa da una fascia in cui, tra colonnine tortili, si affacciano le immagini della Madonna con il Bambino, e di numerosi santi; nei timpani, scene del martirio e della dedicazione della cappella. Il cuore della cappella stessa è l’immagine del Salvatore3, coperta da una lamina d’argento: mostra Cristo in trono, con il nimbo crociato, che tiene in mano il Vangelo e benedice. Dalle coperture, si scorge solo il volto. È una delle immagini dette acheropite: giunse a Roma forse nel 730, all’epoca dell’iconoclastia: la prima notizia che se ne ha ricorda che papa Stefano ii (752-757) nel 753 la portò in spalla in processione, scalzo, fino a Santa Maria Maggiore, per ottenere aiuto contro i Longobardi4. L’icona acheropita veniva spesso mostrata ai pellegrini in processioni solenni come quella dell’Assunta, durante le quali incontrava un’icona mariana, quella di Santa Maria Maggiore. A questa immagine ci si è rivolti, nei secoli, per scongiurare le calamità.

che regge la più antica rappresentazione del Vessillo pontificio, affida le chiavi a san Silvestro e il labaro a Costantino, mentre a destra san Pietro consegna la stola a Leone iii e le insegne a Carlo Magno. Il mosaico, di cui alcune parti sembrano essere originali, riveste l’edicola realizzata di Ferdinando Fuga nel 1743.

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10. La Scala Santa nel Sancta Sanctorum. 11. Immagine «acheropita» del Salvatore nel Sancta Sanctorum, protetta da lamine d’argento sbalzato. 12. Sancta Sanctorum. I santi Paolo e Pietro presentano papa Nicola iii, a sinistra, a Cristo in trono, a destra (affreschi 1278-79). 13. Sancta Sanctorum. Martirio dei due santi diaconi, Stefano a sinistra e Lorenzo a destra.

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Pagine seguenti 14-15. Sancta Sanctorum. Particolari degli affreschi con gli angeli accanto al Redentore.

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BASILICA PATRIARCALE di SAN PAOLO FUORI LE MURA Corrispondente al Patriarcato di Alessandria

Sull’arco trionfale che immette nel presbiterio si legge: teodosius cepit perfecit Onorius aulam + Doctoris mundi sacratam corporis pauli «Teodosio iniziò completò Onorio l’aula consacrata a Paolo dottore del mondo». Nella cripta della basilica, proprio sotto l’altare papale, al centro del transetto, è visibile il sarcofago del corpo del santo, con l’iscrizione Paulo Apostolo Mart..., meta di pellegrini insieme alla sepoltura di san Pietro. È quanto rimane dell’antica sepoltura di Paolo, che, martirizzato poco lontano, nel 67, ad acquas salvias1, fu posto nel sepolcreto lungo la via Ostiense, a due chilometri dall’omonima porta urbica, utilizzato fino al iv secolo2. La sepoltura di san Paolo fu venerata fin dal i secolo, e vi era stato eretto un martyrium3, cioè una piccola cappella funeraria, assai ampliata da Costantino, che realizzò basiliche dentro ma soprattutto fuori città. Il Liber Pontificalis attesta che la basilica di San Paolo, consacrata il 18 novembre 324 da papa Silvestro i, è la seconda in ordine di tempo, dopo quella di San Salvatore in Laterano. Dell’edificio, probabilmente a tre navate orientato in direzione opposta all’attuale, rimane la curva dell’abside, visibile nella cappella maggiore dell’attuale edificio: qui era la tomba di san Paolo, ornata di una croce dorata. La basilica fu ulteriormente ampliata all’epoca di papa Damaso (366-11 dicembre 384) nel 385, fu riconsacrata da papa Siricio (384-26 novembre 399) nel 390 e, giungendo alle dimensioni attuali, fu completata, come si legge sull’arco trionfale, all’epoca dell’imperatore Onorio nel 395. La grandiosità della basilica è finalizzata alle grandi rappresentazioni dell’arco trionfale e dell’abside, che mostrano Cristo giudice nello splendore della gloria. L’immagine di Cristo benedicente (alla maniera greca, cioè congiungendo il pollice e l’anulare) campeggia 132

sull’arco trionfale4, introdotta da Pietro, a destra, e Paolo, a sinistra, e attorniata dai ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse5: questa visione conduce a quella dell’abside. Nel catino, Gesù Cristo è in trono: intorno, da sinistra, sono san Luca, san Paolo, san Pietro e sant’Andrea, ognuno con la scritta del nome (Paolo, poiché apostolo delle genti, ha il nome in latino e in greco), e le palme, che, ai lati, con la loro verzura sono segno del Paradiso. Sul libro che Cristo tiene aperto si legge: venite benedicti patris mei percipite regnum; la scritta prosegue poi con abbreviazioni, e intera significa: «venite, benedetti del Padre mio, a ricevere il regno preparato per voi» (Mt 25,34). Si nota, ai piedi di Gesù, papa Onorio iii (1216-1227) che fece fare l’opera6. Nella fascia sottostante, tra due angeli, al centro della teoria degli apostoli, l’etimasia: il trono sormontato dalla croce, pronto per la venuta di Cristo giudice; la croce è gemmata, al centro si vede Gesù benedicente, accanto sono la corona di spine, la lancia, i chiodi, la spugna della Passione. L’etimasia, letteralmente «preparazione» (del trono), simboleggia la presenza invisibile di Cristo nelle riunioni liturgiche. L’intera scena vuol dire che Cristo, presente nella Chiesa, rappresentata dagli apostoli (che portano cartigli le cui scritte, unite, compongono il Gloria7), viene nel giudizio finale, che può compiere proprio per la sua obbedienza fino alla morte di croce. Ai piedi del trono, fra il sacrista Adinolfo e Giovanni Caetani, che fu abate dal 1212 al 1235, cinque fanciulli detti i santi innocenti, le cui reliquie sono qui custodite. Ai capi del transetto, due altari uguali: a sinistra, quello della Conversione di san Paolo, tra le statue di san Gregorio Magno e di san Bernardo, a destra, l’Assunzione di Maria tra le statue di san Benedetto e santa Scolastica. La controparete dell’arco trionfale presenta un mosai-

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Pagine precedenti 1. San Paolo fuori le mura. Atrio, facciata, chiesa e campanile del xix secolo. Veduta da ovest e dall’alto.

2. San Paolo fuori le mura. Veduta della navata maggiore della basilica verso occidente dal presbiterio. Da notare, ai lati dell’arco trionfale, l’immagine di san Pietro e destra e di san Paolo a sinistra.

3. San Paolo fuori le mura. L’interno della basilica attuale, con vista dal portale verso il presbiterio, ricostruita intorno alla metà del xix secolo nelle stesse dimensioni dell’edificio antico. Anche qui ritornano le immagini dei santi Pietro e Paolo.

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4. San Paolo fuori le mura. Disegno della raccolta Lanciani che documenta la perduta decorazione musiva della calotta absidale subito dopo l’incendio del 1823. 5. San Paolo fuori le mura. Particolare della parte inferiore del mosaico absidale con l’etimasia (lett. preparazione del trono per Cristo) sul quale sta la Croce con gli strumenti della Passione. 6. San Paolo fuori le mura. Arco trionfale con Cristo e i Vegliardi dell’Apocalisse; nel catino absidale, il mosaico donato dall’imperatrice Galla Placidia, restaurato nel xix secolo, in cui si vede Cristo in trono fra i santi Luca e Paolo a sinistra, Pietro e Andrea a destra. Ai piedi la commovente piccola figura di papa Onorio iii (1216-1227). Nella fascia sottostante, al centro l’etimasia, con ai lati un arcangelo e sei apostoli per parte.

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7. San Paolo fuori le mura. Ricostruzione assonometrica (K. Brandenburg). Nel transetto presso l’arco trionfale, il sarcofago dell’apostolo nell’abside della basilica costruita sopra la chiesa costantiniana. 8. San Paolo fuori le mura. Lastra tombale (400 ca.) Paulo apostolo mart. sotto l’odierno altare, collocato sopra la sepoltura dell’apostolo. I fori praticati nella lastra nell’alto Medioevo servivano per permettere il contatto dei brandea con le reliquie. 9. San Paolo fuori le mura. Transetto con l’ulteriore rialzo pavimentale del corpo longitudinale, sotto Gregorio i (590-604). Il sarcofago, racchiuso entro un podio, e l’altare soprastante corrispondono all’attuale disposizione. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg).

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10. San Paolo fuori le mura. Ricostruzione 3D della parete meridionale tra il terzo e il sesto intercolumnio.

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11. San Paolo fuori le mura. Altare della parete settentrionale del transetto con la rappresentazione della Conversione di san Paolo (V. Camuccini, 1771-1844) inquadrata da colonne corinzie di marmo pavonazzetto, dal restauro dell’antica basilica compiuto sotto papa Leone i (440461). 12. San Paolo fuori le mura. Pannello a mosaico raffigurante la Madonna col Bambino, nella tipologia della Odighitria, di provenienza non identificata, attualmente conservato nella cappella del Santissimo Sacramento. 13. San Paolo fuori le mura. Porta Santa, particolare del battente bizantino in bronzo del 1070, il martirio di san Paolo.

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co di tema analogo: il busto di Cristo che benedice alla greca, con il nimbo crociato, attorniato dai simboli degli evangelisti: Pietro e Paolo, in posizione inversa rispetto a quella della parte anteriore. Il cuore della basilica è la tomba di san Paolo: il sarcofago è ricoperto da una lastra marmorea del iv secolo, con l’iscrizione Paulo Apostolo Mart, nella quale si vedono chiaramente i fori attraverso i quali si facevano scendere sulla tomba i brandea, pezzi di tessuto che divenivano poi, avendo toccato il santo, reliquie essi stessi. Nella cappella del Santissimo Sacramento, già detta 140

del Crocifisso, si trova un Crocifisso ligneo attribuito al Cavallini: è quello che parlò a santa Brigida di Svezia, che vi veniva spesso a pregare, e che vediamo infatti raffigurata in una statua (Maderno, 1576-1736) in una nicchia a sinistra entrando. In questa cappella si trova anche una statua lignea di san Paolo, del xiv-xv secolo, mutila, veneratissima, e un’icona a mosaico, del xiii secolo, della Madonna Odighitria8, con la scritta in latino: Mater Domini, davanti alla quale sant’Ignazio di Loyola professò i voti nel 1541, dando inizio alla Compagnia di Gesù.

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La Porta Santa La Porta Santa ha i battenti bronzei cesellati e damaschinati in argento, con cinquantaquattro formelle che riproducono la storia della salvezza nelle scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, opera di Staurochios di Scio. Fu fusa a Costantinopoli nel 1070. La porta fu dono della famiglia dei Mauroni di Amalfi, quando la basilica era retta da Ildebrando di Soana, futuro papa Gregorio vii. Davanti alla basilica, un grandioso quadriportico della fine dell’800 riprende il tema del quadriportico dove

sostavano i catecumeni; il mosaico9 sulla facciata presenta l’Agnello mistico, trionfante, sul monte paradisiaco di Sion, dal quale sgorgano i quattro fiumi che dissetano gli agnelli (dodici come le tribù d’Israele e gli apostoli) e che escono dalle città di Betlemme e Gerusalemme, città sante perché in esse Cristo nacque e morì. Sotto, i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele; sovrasta tutto Cristo in trono tra i santi Pietro e Paolo. Il chiostro è fra i più belli della bottega cosmatesca dei Vassalletto; notevole è anche l’Oratorio di San Giuliano, dove oggi si trovano oggetti e ricordi, in cui 141


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si nota, oltre alle figure di Giuliano e di altri martiri, un affresco raffigurante un bellissimo Crocifisso ben eretto sulla croce, e vivo, secondo la più antica e ora meno consueta iconografia: paragonato con quello del Cavallini della cappella del Santissimo, si coglie bene il diverso spirito che ha guidato i due artisti. Costruzione monumentale, fu voluta dall’imperatore Teodosio10, che aveva appena fatto della religione cristiana l’unica lecita nel suo impero11, unitamente agli altri due regnanti, Valentiniano ii e Arcadio, e ne ordinò la costruzione con un rescriptum indirizzato al prefetto di Roma, Sallustio: per questo può essere detta basilica dei tre imperatori, e superò in magnificenza e ampiezza anche la basilica di San Pietro. Due volte dovette essere ricostruita, e forse entrambe le volte per un incendio: la prima ricostruzione fu all’epoca di Leone Magno (440-461) nel 442-44312, completata da Galla Placidia (421-450) che ebbe a cuore la basilica fondata dal padre, come ricorda la scritta sull’arco trionfale (placidiae pia mens decus homne paterni gaudet pontificis studio splendere leonis). Un incendio che durò cinque ore si sviluppò nella basilica la notte del 15 luglio 1823: si salvarono solo il transetto, il ciborio di Arnolfo di Cambio e alcuni mosaici, l’abside, l’arco trionfale, il chiostro e il candelabro. I muri dovettero essere ricostruiti. Era papa Pio vii, che proprio il 15 luglio cadde fratturandosi un femore: trovandosi in condizioni gravissime, non gli fu detto nulla. Morì il 20 agosto. La ricostruzione toccò al suo successore Leone xii, che con l’enciclica Ad plurimas invitò i vescovi a raccogliere offerte a tale scopo. I lavori procedettero celermente e Gregorio xvi poté consacrare il 5 ottobre 1840 l’altare papale; poi il 10 settembre 1854 Pio ix consacrò l’intera basilica. Per il 1874 furono completati i mosaici della facciata, e nel 1928 fu aggiunto il vasto quadriportico esterno.

14. San Paolo fuori le mura. Il quadriportico con il mosaico della facciata. La basilica, eretta da Costantino sulla tomba dell’apostolo, alla fine del iv secolo venne ricostruita in dimensioni assai maggiori, capovolgendone l’orientamento e adottando la stessa pianta di San Pietro in Vaticano, per conferire la medesima dignità liturgica ai due patroni della città. L’attuale basilica ripete le forme paleocristiane, ma è una ricostruzione dell’architetto Luigi Poletti successiva al terribile incendio del 1823 che 14 distrusse l’antica chiesa.

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15. San Paolo fuori le mura. Veduta del chiostro, opera della bottega del Vassalletto.

16. San Paolo fuori le mura. Ambiente coevo alla basilica, annesso a sud del transetto, con ogni probabilitĂ il battistero. Interno: l’architettura appartiene alla seconda fase edilizia, probabilmente del v secolo, la decorazione è del xx secolo.

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BASILICA PATRIARCALE DI SANTA MARIA MAGGIORE Corrispondente al Patriarcato di Antiochia

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La papale basilica patriarcale maggiore arcipretale liberiana di Santa Maria Maggiore, conosciuta semplicemente con il nome di «basilica di Santa Maria Maggiore», è una delle quattro basiliche papali di Roma. Il titolo di «liberiana» ricorda la fondazione di un primo edificio di culto, cui accenna il Liber Pontificalis, dove si legge che Liberio «fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae». Risale a questo periodo il racconto tradizionale relativo alla costruzione: nella notte tra il 4 e il 5 agosto 356 (o 364) la Vergine Maria apparve in sogno a Liberio (ma secondo un’altra versione apparve contemporaneamente anche a un certo Giovanni, un ricco patrizio che poi riferì il sogno al papa) e gli chiese di costruire una cappella nel luogo in cui il mattino successivo avesse trovato della neve fresca. L’evento è ripreso più volte all’interno nelle rappresentazioni che ornano l’edificio. È la prima chiesa mariana della cristianità1 e per questo è stata anche chiamata Santa Maria ad nives. Ancor oggi la Chiesa ne festeggia la dedicazione il 5 agosto. Secondo la Historia ecclesiastica, durante la notte si ebbe una miracolosa nevicata sul colle Esquilino, in cima al quale venne poi edificata la basilica. Nel 431 la Vergine Maria era stata solennemente definita Teotokòs, Generatrice di Dio, motivo controverso dall’eresia ariana. Papa Sisto iii (432-440) si era riproposto di illustrare a tutto il popolo cristiano l’infanzia di Gesù, e di onorarne la Madre: ampliò o riedificò completamente l’edificio, lo dedicò alla Vergine e lo arricchì di un oratorio riproducente la grotta di Betlemme, da cui il nome ad praesepe. Era il tempo in cui la festa della nascita di Gesù andava sempre più diffondendosi, e la Chiesa era sollecitata, spinta dalle lotte contro l’arianesimo2, a venerare sempre più ardentemente il Figlio di Dio, Uomo e consustanziale al Padre: l’esaltazione della maternità di Maria, generatrice di Gesù uomo e di Gesù Dio, era quanto mai

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Pagine precedenti 1. Santa Maria Maggiore. Veduta aerea della facciata. 2. Miracolo della Neve e la fondazione della basilica di Santa Maria Maggiore, nella fronte dello scomparto centrale del Trittico della Madonna della Neve. Opera di Tommaso di Cristoforo Fini, detto Masolino da Panicale, voluta da papa Martino v nel 1428, oggi al Museo di Capodimonte a Napoli. In queste pagine 3. Santa Maria Maggiore. Ricostruzione della chiesa del v secolo (elaboraz. H. Brandenburg; dis. S. Montanari). 4. Santa Maria Maggiore. Veduta aerea dall’abside, affiancata dalle cappelle Sistina a sinistra e Paolina a destra.

opportuna. Inoltre, dopo l’Editto del 313 che riconosceva al cristianesimo libertà di culto, era necessario intensificare una corretta diffusione del Vangelo contro le eresie che l’insidiavano, e incrementare l’attività missionaria, adeguando a questa esigenza l’anno liturgico e le forme della liturgia. Dopo la sostituzione del titulus Liberii con la dedicazione alla Vergine, la basilica fu detta definitivamente di Santa Maria Maggiore. La loggia settecentesca nasconde e custodisce i mosaici medievali di Filippo Rusuti, allievo di Jacopo Torriti e di Pietro Cavallini, in cui si legge la storia tradizionale della basilica. I mosaici sono disposti in due registri: in quello superiore, Cristo in trono, in quello inferiore quattro scene del miracolo della neve, secondo la versione della doppia visione, del devoto Giovanni e di sua moglie, e di papa Liberio, con la neve caduta sull’Esquilino, sul cui manto egli traccia la pianta della basilica3. 148

Dal vi secolo vi si conserva poi la reliquia della culla di Gesù, costituita da cinque assicelle di legno, portate forse da papa Teodoro i (642-649) da Gerusalemme. Collocata sulla sommità del colle Esquilino, questa basilica è la sola ad aver conservato la primitiva struttura paleocristiana, sia pure arricchita da successive aggiunte. Si ritiene che a papa Sisto iii si debba tutto il programma iconografico dell’arco trionfale (sotto al quale è l’iscrizione Xistus episcopus plebi Dei, Sisto vescovo al popolo di Dio) come esaltazione della maternità di Maria, madre di Gesù, in cui natura divina e umana si unirono. Ne risulta un ciclo musivo eccezionale per l’epoca, insieme ai mosaici della navata, pure dell’epoca di papa Sisto. In trentasei riquadri, dei quali ventisette originali, si leggono nei mosaici, su due registri, le storie di Mosè e Giosuè a destra, e di Abramo, Isacco, Giacobbe a sinistra: viene tratteggiata la sostanza della storia della salvezza, e si viene accompagnati alla

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5. Fronte della basilica di Santa Maria Maggiore. La basilica fu aggiunta da papa Urbano vi alle altre tre basiliche che i pellegrini erano tenuti a visitare durante il terzo Giubileo del 1390. 6. Santa Maria Maggiore. Ricostruzione dell’interno della chiesa del v secolo (dis. J.G. Gutensohn, 1824). Il soffitto a cassettoni sostituì le capriate a vista.

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«pienezza dei tempi» quando il Figlio stesso di Dio si rese presente. Si tratta di un ciclo figurativo eccezionale, forse il primo così completo della cattolicità. Questi rapporti, nonché la disposizione non sempre cronologica delle scene e del tutto funzionale a ogni singolo episodio e a rispondenze ritmiche all’interno della serie, sottendono l’utilizzo di un piano figurativo appositamente studiato, forse addirittura dal giovanissimo Leone non ancora papa4, che certo non mancò di essere esemplare per opere successive: in nessuna altra chiesa del iv e v secolo si sono conservate simili decorazioni5. Se l’arco trionfale risale a Sisto iii, l’abside fu ricostruita nel 1288 all’epoca di Niccolò iv, e i mosaici furono eseguiti da G. Torriti nel 1295. L’arco trionfale porta al centro l’etimasia, con la Croce sul trono, la corona, il libro dell’Apocalisse, eloquente richiamo al giudizio finale; ai lati, sono san Pietro e san Paolo. Tutto intorno, scene liete dell’infanzia di Gesù, abbinate secondo il contenuto a scene di dolore; alla base di esse, ai due lati, la città sante di Gesù, Betlemme e Gerusalemme, alle cui porte si assiepano i fedeli (sei per parte, a fare il numero degli apostoli). Si osserva dall’alto in basso: 1) la scena dell’annuncio a Maria e a Giuseppe (a sinistra) collegata con i due primi dolori (a destra): la presentazione al tempio – quando incontrano Anna e Simeone, e Simeone predice che a Maria una spada trapasserà il cuore – e l’avviso dell’angelo perché fuggano; 2) a Gesù in trono, custodito da Maria e adorato dai Magi (a sinistra), corrisponde (a destra) un altro momento sereno: la Sacra Famiglia è accolta in Egitto, e il re Afrodisio riconosce la divinità di Gesù e si converte6; 3) alla strage degli innocenti (a sinistra) corrisponde la visita dei Magi a Erode, che progetta la strage stessa. La due città, Betlemme e Gerusalemme, ricordano che alla nascita era già presente la profezia della Passione, e che la morte in croce è stata il prezzo della salvezza degli uomini: alle porte delle due città, il gregge degli eletti, simboleggiati dalle pecore. La parte frontale dell’abside presenta temi apocalittici: al centro dell’arco si impone l’Agnello in trono, ai lati ha il sole e la luna, e l’immagine dice la signoria di Cristo sul cosmo, analogamente all’etimasia dell’arco trionfale: ai lati, i vegliardi dell’Apocalisse acclamano l’Agnello, sotto i simboli degli evangelisti (que-

sti affreschi sono opera di Cimabue o del Cavallini). L’abside va letta dal basso all’alto. Nella fascia sottostante, al centro la Dormitio Virginis: Maria si addormenta attorniata dagli apostoli e la sua anima, rappresentata dalla figuretta biancovestita, viene subito accolta dal Figlio; ai lati, da sinistra a destra: l’Annunciazione, la Nascita di Gesù, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio. La dormitio segna il trapasso tra la vita terrena di Maria e la gloria in cielo cui il Figlio la conduce, e che vediamo nell’abside. L’incoronazione della Vergine è il momento più alto dell’itinerario del programma iconografico. Gesù e Maria siedono sullo stesso trono, nel cerchio della gloria, ai piedi hanno sole e luna, ai lati, angeli e santi: Pietro, Paolo, Francesco a sinistra, preceduti da papa Niccolò iii, che fece realizzare il mosaico, inginocchiato; Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Antonio da Padova a destra, preceduti dal card. Giacomo Colonna che donò il mosaico. Nella cappella maggiore e nell’abside, c’è dunque come il coronamento della vicenda umana, prefigurata nella Dormizione e Assunzione della Vergine, incoronata dal Figlio/sposo, che l’accoglie con il libro aperto e la scritta Veni electa mea et ponam in te tronum meum. Due sono le facciate: quella che si incontra per prima è la più recente, opera di F. Fuga (1761), coronata dalla statua della Madonna col Bambino, sopra il monogramma mariano. I due angeli del cancello rappresentano la verginità e l’umiltà. La facciata più antica rimane ora interna: i suoi mosaici, dietro la loggia, raccontano in diverse scene il miracolo della nevicata d’agosto e presentano in alto Cristo in trono con il libro aperto su cui è scritto: ego sum lux mundi. Quando si è all’interno, non bisogna dimenticare di voltarsi a guardare la vetrata policroma nel rosone della facciata: la bella Excelsa filia Sion, Maria con il Figlio benedicente, tra i segni dell’antica alleanza (il candelabro e le tavole della legge) e della nuova (il calice e l’ostia dell’Eucaristia), protetta dallo Spirito Santo. Immagine di Maria e della Chiesa tutta, è opera bella dell’ungherese Giovanni Hajnal, qui posta il 5 agosto 1995. La tradizione vuole che nel vii secolo papa Teodoro i (642-649) venendo da Gerusalemme portasse cinque assicelle della culla di Gesù (cioè della mangiatoia), mostrate ai fedeli a Natale e negli Anni Santi. Vennero 151


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7. Santa Maria Maggiore. Il mosaico dell’arco trionfale presenta al centro l’etimasia. Intorno scene della storia della salvezza dall’Annunciazione alla Fuga in Egitto; alla base delle scene, ai due lati, Betlemme a destra e Gerusalemme a sinistra. 8. Santa Maria Maggiore. Veduta della navata centrale dall’ingresso all’abside.

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9. Santa Maria Maggiore. Ricostruzione 3D dell’area presbiteriale nel v secolo. La calotta presenta la ricostruzione proposta da Christa Belting-Ihm del mosaico absidale raffigurante la Vergine in trono col Bambino entro girali vitinei.

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10-11. Santa Maria Maggiore. Catino absidale con l’Incoronazione della Vergine, angeli e santi, di Jacopo Torriti, e nella fascia inferiore storie della vita di Maria, di Pietro Cavallini. Alla pagina seguente, il particolare con la Presentazione di GesÚ al tempio.

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12-15. Santa Maria Maggiore. Particolari del mosaico della navata mediana. Sacrificio di Melchisedec e Ospitalità di Abramo; Mosè discute con i filosofi (registro inferiore), Adozione di Mosè da parte della figlia del faraone; Passaggio del mar Rosso (registro superiore).

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16. Giambettino Cignaroli (1706-70), La Vergine col Bambino appare a san Gaetano da Thiene, Vicenza, chiesa di San Gaetano. L’opera rappresenta la visione di san Gaetano, quando la Vergine, la notte di Natale del 1517, in Santa Maria Maggiore a Roma gli apparve e gli diede in braccio il Bambino: da questa visione il santo

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collocate in una cappella detta del Presepe, che Niccolò iv (1288-1292) volle risistemare commissionando l’opera ad Arnolfo di Cambio. Oggi vediamo il presepe di Arnolfo di Cambio nella cappella del Santissimo Sacramento, detta Sistina, perché voluta da Sisto v nel 1585. Qui, sotto l’altare papale (questa basilica, eccezionalmente, ha due altari papali), si apre una cripta, nella quale si trovano le assicelle della culla di Gesù: un giocoso Gesù Bambino saluta benedicendo dalla sommità del reliquiario; davanti, perennemente in adorazione nella statua che lo rappresenta, Pio ix7. Ai piedi della scala d’accesso, si trova la statua di san Gaetano di Thiene (opera del Bernini), che propagò l’uso del presepio in tutte le 160

famiglie; sull’altare si vede una Sacra Famiglia di Cecchino da Pietrasanta, e il tema dell’infanzia di Gesù è completato dal presepio di Arnolfo; la Madonna col Bambino è però opera più tarda, del Valsoldo. San Gaetano di Thiene, fondatore dei Teatini, nella notte di Natale del 1517 si trovava in Santa Maria Maggiore davanti alle reliquie della culla di Gesù: gli apparve la Madonna, che stringeva Gesù al seno, come fosse appena nato, e glielo porse, e il santo lo ricevette tra le sue braccia. L’altro polo della basilica, che si distingue dalle altre per la teoria dei confessionali, tutti usati, è la cappella Borghese o Paolina, cosiddetta perché voluta da Paolo v nel 1611 per onorare l’icona di Maria Salus Populi

trasse ispirazione per diffondere il presepe in tutte le case.

antico presepe monumentale oggi rimasto.

17-18. Santa Maria Maggiore. Due immagini con i resti del presepe in figure marmoree di Arnolfo di Cambio, 1289. Si tratta degli originali di quello che è forse il più

19. Santa Maria Maggiore. Icona con la Vergine Odighitria detta Salus Populi Romani, ora conservata sull’altare della cappella Paolina.

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Romani: questa immagine è carissima ai Romani, e tutti i santi venuti a Roma qui hanno pregato. Sull’altare, ritorna in un bassorilievo la visione di papa Liberio che traccia il perimetro della basilica nella neve. In questa basilica si trova, con le altre reliquie della vita di Gesù Bambino, la sepoltura di san Girolamo, di cui siamo invitati a ricordare, secondo quanto dice la costituzione conciliare Dei Verbum, che «Ignoratio Scripturarum ignoratio Christi est», l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo: ebbene qui, in questo ciclo eccezionale, la Scrittura è tradotta in visioni da contemplare, perché anche questo è un modo di conoscerla, e ne scaturisce un compito straordinario sia per gli artisti sia per chi presenta le meraviglie dei mo-

numenti. Vale la pena di ricordare anche che i “monumenti” sono, appunto, “ammonimenti”, insegnamenti. Una carta di Roma del xvi secolo8 rappresentò Roma come una stella – simbolo di Maria –, al cui centro è la Vergine, rappresentata dalla basilica di Santa Maria Maggiore, da cui partono come raggi strade rettilinee verso le basiliche di Santa Maria del Popolo, San Lorenzo, Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano, e verso la Colonna Traiana9. Ogni anno il miracolo della neve si rinnova. Con una nevicata artificiale accompagnata da musiche adeguate e giochi di luce, chiunque può rivivere il prodigios in una rievocazione che, in forme diverse, si perpetua dall’antichità. 161


Le sette chiese / Capitolo 12

BASILICA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME

1. Il rettifilo di collegamento tra le basiliche di Santa Croce in Gerusalemme e San Giovanni in Laterano.

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In questa chiesa, che san Giovanni Paolo ii salutò come «vero Santuario della Croce1» sono custodite le memorie più ricche della Passione, tra le quali spiccano frammenti del legno della Vera Croce, della croce di Disma il buon ladrone, il Titulus, la spugna, il dito di san Tommaso, spine della corona: tutte atte a far rivivere la Passione di Cristo fino all’incontro con il dubbioso Tommaso. Per questo, temi costanti di tutto il programma iconografico e decorativo, sono le storie della Vera Croce e del suo ritrovamento da parte di sant’Elena, e le reliquie della Passione. In questa chiesa, cui i papi anticamente solevano venire processionalmente2, scalzi, insieme al popolo, per la liturgia del Venerdì Santo, si intrecciano memorie imperiali e medievali, guidate da una tradizione ininterrotta, che fa di sant’Elena3, madre di Costantino la prima elargitrice di reliquie4. È una delle chiese di epoca costantiniana, sorta sulle pendici dell’Esquilino, utilizzando ambienti di un vasto complesso di edifici imperiali, detta anche, dal nome di uno di questi, «basilica sessoriana»5, di cui faceva parte appunto il Palatium Sessorianum o Sessorium. Il complesso fu donato da Costantino alla madre, e in un ambiente l’imperatrice fece riporre le preziose reliquie portate da Gerusalemme, dove, secondo la tradizione, confortata dai testi di Socrate Scolastico6, di Socrate Sozomeno7 e di Eusebio di Cesarea8, aveva ritrovato la Vera Croce. I diversi racconti pressoché coevi sono concordi nel riportare che la Vera Croce, ritrovata con quelle dei ladroni, fu identificata da un miracolo (la guarigione di una ammalata, la risurrezione di un ebreo). Vale la pena di ricordarli, anche perché sono confluiti nel racconto che si trova nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, che ne perpetuò la versione e la diffusione universale. Socrate Scolastico racconta che Elena, distrutto il tempio pagano sorto sul sepolcro, ritrovò tre

croci e il Titulus Crucis. La guarigione di una malata che ne toccò il legno permise di identificare la Vera Croce. Furono ritrovati anche i chiodi della crocefissione. Non molto diverso deve essere stato il racconto di Socrate Sozomeno, mentre Teodoreto di Ciro († 457 ca.) così scrive più dettagliatamente: «Quando l’imperatrice scorse il luogo in cui il Salvatore aveva sofferto, immediatamente ordinò che il tempio idolatra che lì era stato eretto fosse distrutto, e che fosse rimossa proprio quella terra sulla quale esso si ergeva. Quando la tomba, che era stata così a lungo celata, fu scoperta, furono viste tre croci accanto al sepolcro del Signore. Tutti ritennero certo che una di queste croci fosse quella di nostro Signore Gesù Cristo, e che le altre due fossero dei ladroni che erano stati crocifissi con Lui. Eppure non erano in grado di stabilire a quale delle tre il Corpo del Signore era stato portato vicino, e quale aveva ricevuto il fiotto del Suo prezioso Sangue. Ma il saggio e santo Macario, governatore della città, risolse questa questione nella seguente maniera. Fece sì che una signora di rango, che da lungo tempo soffriva per una malattia, fosse toccata da ognuna delle croci, con una sincera preghiera, e così riconobbe la virtù che risiedeva in quella del Signore. Poiché nel momento in cui questa croce fu portata accanto alla signora, essa scacciò la terribile malattia e la guarì completamente»9. Anche sant’Ambrogio, nell’elogio funebre dell’imperatore Teodosio, ricorda il viaggio di Elena e il ritrovamento della Vera Croce10. Secondo una tradizione antica e ininterrotta, Elena realizzò in un ambiente a lato del palazzo una cappella privata, dove, cosparso il pavimento con la terra riportata dallo scavo per il ritrovamento della Croce, collocò le reliquie; Costantino, utilizzando un atrio del palazzo, realizzò la basilica detta anche Heleniana e, per quella terra sparsa, anche in Hierusalem. Si entra nella chiesa, che ha attualmente forme set163


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tecentesche11, passando sotto il timpano curvilineo, coronato da un fastigio su cui campeggia la croce adorata da angeli: sulla cornice dalle movenze sinuose si vedono sant’Elena che regge la croce e Costantino all’esterno, e i quattro evangelisti ai lati della croce. Dopo un atrio ellittico, ci si trova in uno spazio tripartito, il cui vano centrale è assai ampio, tanto da dare l’impressione di una sola navata, scandita da dodici colonne di granito: il percorso visivo e spirituale conduce all’altare maggiore, protetto da un ciborio settecentesco, e soprattutto all’immagine di Cristo docente, assiso in trono, nella mandorla della Gloria, costituita da cherubini, che sovrasta su tutto come meta ultima; sul libro aperto si legge: Ego sum via veritas et vita. Il soffitto mostra la gloria di sant’Elena, presentata dalla Vergine alla Santissima Trinità, mentre l’Arcangelo Michele abbatte Lucifero, evidente allusione al trionfo del cristianesimo con il riconoscimento di Costantino. Qui, a ben guardare, si nota anche una singolare rappresentazione della Trinità, in cui il Padre, con alle spalle lo Spirito, guarda con affetto costernato il Figlio che, sulle nubi, piega il ginocchio davanti a Lui. È opera di Corrado Giaquinto (1703-1765). Dello stesso autore sono le altre opere che legano il legno della Croce su cui fu innalzato Cristo al serpente innalzato da Mosè per sanare gli Ebrei. Sono la tela del soffitto del transetto, la Apparizione della Croce nel Giudizio universale, e i due affreschi dell’abside Il serpente di bronzo (Nm 21,4-8) e Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe (Es 17,3-7): il serpente di bronzo elevato cui dovevano volgere gli occhi gli Ebrei morsi dai serpenti nel deserto per salvarsi è chiara antefigura di Cristo in croce, e rimanda alle parole: «Quando sarò elevato da terra trarrò tutti a me» (Gv 12, 32); Mosè stesso è poi antefigura di Cristo il quale fa scaturire la Grazia come Mosè aveva fatto scaturire l’acqua necessaria alla vita nel deserto. Tutti questi episodi sono legati dal tema del serpente, che è anche il bastone di Mosè. Il profeta, infatti, per convincere il faraone a liberare il suo popolo dimostrandogli che parlava a nome di Dio, gettò a terra il suo bastone che si trasformò in serpente, per poi ritornare bastone13. Un altro serpente compare poi nel racconto biblico, quando, per punire gli Ebrei che mormoravano contro Mosè, mandò fra loro serpenti velenosi che fecero molte vittime. Quando il popolo chiese di nuovo aiuto a Mosè, il Signore rispose alle sue preghiere ordinandogli di forgiare un serpente di 164

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bronzo (o rame) e di innalzarlo perché tutti potessero vederlo, e chiunque volgeva ad esso lo sguardo veniva risanato (Num 21,4-8). Nell’abside, sotto il catino, un grande affresco di Antoniazzo Romano e del figlio, realizzato tra il 1492 e il 1496, mostra la storia del ritrovamento della Croce14, secondo la versione del Leggendario dei Santi, presente all’epoca nella biblioteca della basilica: la figura di Elena che porta la Croce, alla quale si inginocchia il committente, card. Pietro Mendoza, separa il ciclo in due parti, da leggersi da sinistra a destra. A sinistra, si vede: Elena mentre parla con chi le ha indicato il luogo dove erano sepolte le croci, gli scavatori che le portano alla luce, la resurrezione di un giovane, il cui cadavere era stato posto sulla Croce. A destra, si vede: il re di Persia Cosroe15 che, dopo aver conquistato Gerusalemme, si impadronisce della Croce; l’imperatore Eraclio16 che gli va incontro per riscattarla e lo trova sul Danubio con l’esercito: si accordano per un duello, il cui vincitore avrà l’impero e la croce. Eraclio vincitore si incammina per ricollocare la Croce a Gerusalemme, ma la porta della città si chiude miracolosamente, e un angelo invita l’imperatore a entrarvi come Gesù; allora Eraclio si spoglia delle insegne imperiali, prende la croce in spalla, e così davanti a lui la porta si apre. Due immagini di Gerusalemme sullo sfondo aprono e chiudono il ciclo: quella della chiusura, dove entra Eraclio come pellegrino, è di fatto chiaramente Roma (di cui si distingue per esempio Castel Sant’Angelo); si noti che il dipinto è stato realizzato quasi in preparazione del Giubileo del 1500. Dal presbiterio, a destra dell’altare maggiore (dando le spalle all’entrata), si scende alla cappella di Sant’Elena e all’adiacente cappella di San Gregorio; sempre a sinistra, nel presbiterio, si apre l’ingresso alla cappella delle Reliquie o Santuario della Croce. La cappella di Sant’Elena, il Cubiculum Sanctae Helenae, si trova, con pochi cambiamenti, là dove era in origine: nella volta, un grande mosaico rappresenta Cristo benedicente e singolarmente sorridente, entro un rosone di cherubini, fra gli evangelisti, e nel libro aperto si legge: ego sum lux mundi. Il mosaico, attribuito a Melozzo da Forlì o a Baldassarre Peruzzi, è rifacimento e testimonianza di quello, perduto, voluto da Valentiniano iii17 a compimento di un voto della madre Galla Placidia e della sorella Honoria. Nelle pareti ancora Storie della Vera Croce, negli affre-

schi di Nicolò Circignani detto il Pomarancio (1590). La statua di sant’Elena, sopra l’altare, è una copia della Giunone Vaticana opportunamente adattata con l’aggiunta dei simboli della Passione. In questa cappella Elena aveva posto e venerava le reliquie della Passione, che si trovano però ora nella cappella delle Reliquie, di più recente realizzazione. Le reliquie infatti rimasero nella cappella semisotterranea della loro scopritrice fino al 1570, quando, forse a causa dell’umidità, vennero trasferite in altro ambiente, al quale però si accedeva dal monastero, con particolari permessi. Nell’Anno Santo 1925, volendo invece favorire la venerazione dei pellegrini, si pensò a una collocazione più degna e accessibile, e si ricavò dai locali della sagrestia una cappella dedicata18 detta Santuario della Santa Croce19. Vi si accede dunque dal presbiterio, si compie un percorso che inizia con la vista della Pars Crucis Boni Latronis, san Disma, conservata in una teca; si sale poi una scalinata scandita dalle stazioni della Via Crucis20 e da frasi del Nuovo Testamento e della liturgia del Venerdì Santo; poi, varcando una porta a forma di croce, si entra nel Vestibolo, dove l’angelo di una vetrata ricorda: o crux spes unica; qui si giunge alla visione delle reliquie, custodite in sei preziosi reliquiari ottocenteschi, che sostituiscono quelli più antichi confiscati nel 1798 dalla Repubblica Romana. I reliquiari, già custoditi in un armadio incastonato nella parete di fondo, dopo la traslazione dell’11 novembre 1997, sono ora sull’altare della cappella, completamente visibili e protetti da una teca di cristallo. La reliquia della Vera Croce, in tre frammenti, è posta in una stauroteca21 realizzata da Giuseppe Valadier nel xvii secolo22. Il Titulus Crucis23 è una tavoletta di legno con una parte dell’iscrizione Jesus Nazarenus Rex Iudaeorum in ebraico, greco e latino (con le scritte greche e latine tracciate da destra a sinistra, in omaggio alla lingua ebraica): oggi visibile insieme alle altre reliquie, se ne erano perdute le tracce, ma fu ritrovata durante i

lavori voluti dal card. Pietro Gonzáles de Mendoza24. Era stata riposta in una cassettina, chiusa con il sigillo del card. Caccianemici – titolare di Santa Croce e poi papa col nome di Lucio ii (1144-45), e murata in epoca imprecisata nell’arco tra il transetto e la navata centrale25: venne alla luce per caso durante detti lavori di restauro26. Che fosse considerata una reliquia è testimoniato dalla pellegrina Egeria (o Eteria) che si recò a Gerusalemme nel 383 e che, nel suo diario, riporta che veniva conservato, insieme alle altre reliquie della Passione, in una cassetta di legno, da cui erano estratte per offrirle alla venerazione dei pellegrini (Itinerarium Egeriae, 37,1). Oggi la basilica è custodita da Padri Cisterciensi, e ne porta il segno: agli altari di destra infatti le tele ricordano un miracolo di san Bernardo, in particolare il santo che induce l’antipapa Vittore iv a umiliarsi davanti a Innocenzo ii, la visione profetica della madre di san Roberto di Molesmes, fondatore dei Cisterciensi27, alla quale era apparsa in sogno la Vergine Maria che le aveva offerto un anello in pegno del figlio dicendo: «Io voglio per fidanzato il figlio che tu hai concepito: ecco l’anello del contratto». Nel Settecento fu Benedetto xiv a promuovere una nuova sistemazione dell’edificio e dello spazio circostante: infatti fu spianato il tratto tra questa e la basilica di San Giovanni in Laterano, realizzando così un collegamento viario diretto tra le tre basiliche in cui si fa memoria della vita di Gesù (Santa Maria Maggiore per la nascita, San Giovanni per il battesimo, Santa Croce per la Passione), a compimento dell’opera già iniziata da Sisto v con la sua via Felice nel xvi secolo. La rinnovata facciata (opera del 1743 di P. Passalacqua e D. Gregorini) venne portata avanti rispetto al campanile (tuttora romanico), che ora si vede alle spalle del complesso. Entrando, si noti che a destra quello che ora è l’andito del campanile era cappella di San Giacomo di Compostela, dedicazione che lega il pellegrinaggio romano a quello compostellano.

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Pagine seguenti 4. Santa Croce in Gerusalemme. C. Giaquinto, La Madonna presenta sant’Elena e Costantino alla Trinità, mentre san Michele sconfigge Lucifero, 1744, soffitto della navata centrale. 2. Santa Croce in Gerusalemme. Veduta frontale. La basilica fu voluta dall’imperatrice Elena, madre di Costantino, trasformando un’aula di rappresentanza del palazzo imperiale che sorgeva nell’area, il Sessorium, a lei donato. Era destinata a custodire le reliquie della Croce di Cristo, rinvenute dalla stessa imperatrice a Gerusalemme. 3. Il grande edificio a pianta circolare adiacente alla basilica è l’anfiteatro Castrense, parte del complesso imperiale costruito dagli imperatori Severi e inglobato nel circuito delle mura di Aureliano.

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5. Santa Croce in Gerusalemme. C. Giaquinto, Apparizione della Croce, 1744 ca. 6. Santa Croce in Gerusalemme. Veduta assiale della navata maggiore verso l’abside, restaurata nel 1743 sotto papa Benedetto xiv con colonne provenienti probabilmente dall’edificio di età costantiniana e medievale (1144-1145). Da notare il bellissimo pavimento comatesco. 7. Santa Croce in Gerusalemme. Fascia del catino absidale, Storie della Vera Croce, di Antoniazzo Romano (1452-1512): l’affresco del ritrovamento.

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8. Cristo benedicente nella mandorla della gloria regge il libro aperto sul quale si legge: Ego sum via veritas et vita, affresco di Antoniazzo Romano e soci, catino absidale.

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10. Santa Croce in Gerusalemme. F. Di Fausto, Sacello delle Reliquie, completato in occasione dell’Anno Santo 1950.

9. Santa Croce in Gerusalemme. G. Valadier, Reliquiario della Vera Croce, 1803.

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11. Pianta della basilica allo stato attuale. 1. Atrio 2. Cappella del Crocifisso 3. Cappella di San Giacomo di Compostela 4. Iscrizione di papa Benedetto vii 5. Navata centrale. Nella volta, C. Giaquinto, Glorificazione della Croce; nell’arcone trionfale, C. Giaquinto, Apparizione della Croce 6. D. Gregorini, P. Passalacqua, Ciborio 7. C. Giaquinto, Mosè che eleva il serpente di bronzo 8. Conca absidale. J. Sansovino e aiuti, Monumento sepolcrale del cardinale Francisco Quiñones e tabernacolo del Santissimo Sacramento. Nel semicatino, Antoniazzo Romano e soci, Storie della Vera Croce 9. C. Giaquinto, Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia 10. Cappella di Nennolina 11. Cappella Gregoriana 12. Cappella di Sant’Elena 13. Salita alla cappella delle Reliquie e Via Crucis 14. Cappella delle Reliquie

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Le sette chiese / Capitolo 13

BASILICA PATRIARCALE DI SAN LORENZO FUORI LE MURA Corrispondente a Patriarcato di Gerusalemme

Lorenzo era un giovane diacono: aveva il compito, come Stefano, di soccorrere i poveri con le offerte dei cristiani. Originario di Huesca in Spagna, secondo una tradizione, era stato conosciuto e condotto a Roma da Sisto ii, che poi lo nominò arcidiacono. Ordinata la persecuzione nel 257 da Valeriano, papa Sisto ii fu arrestato, e Lorenzo lo incontrò mentre veniva condotto al martirio: avrebbe voluto seguirlo, ma il Papa lo esortò invece a seguirlo nella virtù. Il prefetto, sapendo che l’arcidiacono custodiva i tesori della Chiesa, gli ordinò di consegnarli: Lorenzo chiese tre giorni di tempo, vendette i preziosi e distribuì il ricavato ai poveri, poi li radunò e li presentò dicendo: «Ecco i nostri tesori, li puoi trovare ovunque». Fu allora condotto al supplizio: il suo martirio impressionò e si tinse di leggenda. Papa Damaso parla di fruste, carnefici, fiamme, carboni ardenti, tormenti; la tradizione gli dà

come emblema una graticola, su cui si dice venne posto. Dopo un certo tempo, si rivolse ai carnefici: «Da questa parte sono ben cotto, rivoltatemi dall’altra». Era il 10 agosto 258, e Lorenzo aveva dimostrato che l’amore a Dio coincide con l’amore ai poveri. Il suo corpo fu poi traslato segretamente nel cimitero sulla via Tiburtina, e in seguito deposto nel cimitero su cui oggi sorge la sua basilica. Costantino stesso fece ornare la tomba di Lorenzo e fondò la basilica nel 330, poi ampliata da papa Pelagio ii, che nel vi secolo spianò il colle ed edificò una chiesa con scale interne per scendere alla cripta del Santo. Papa Adriano i nell’viii eresse di fronte ad essa un’altra chiesa con orientamento opposto: Onorio iii (1216-1227) nel xiii secolo le unì, facendo della prima il presbiterio della seconda. Semidistrutta nel 1943 da un bombardamento, è stata del tutto restaurata.

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1. San Lorenzo fuori le mura. Veduta aerea del complesso. La facciata e il portico con la torre campanaria appartengono al grande progetto radicale di rifacimento dell’edificio paleocristiano, avviato da papa Onorio iii (1216-1227) e continuato anche dopo la sua morte.

2. San Lorenzo fuori le mura. Pianta con indicazione delle diverse fasi costruttive. Con il tratteggio è indicata la prima fase, in colore nero la seconda (da Krautheimer 1959).

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Nel nartece, in suggestivi affreschi duecenteschi, si trovano le storie della vita di san Lorenzo, del suo omologo Stefano e di Enrico ii1. A destra dell’ingresso, in tre registri di sei quadri, si trova: Lorenzo che riceve da Sisto ii il comando di distribuire ai poveri i beni della chiesa, lava i piedi ai poveri della casa di Narciso, guarisce una donna cieca, distribuisce i beni ai poveri, viene benedetto dal Papa che gli predice il martirio, riceve da Valeriano l’ordine di consegnare i beni della chiesa, guarisce santa Ciriaca, viene flagellato, battezza un soldato convertito; seguono la decapitazione del soldato, Valeriano che condanna Lorenzo e il martirio di Lorenzo sulla graticola. Poi si osserva: il trasporto del corpo, la sepoltura, lo scambio della pace fra il centurione Ippolito, convertitosi, e i suoi servi, e Ippolito che riceve l’Eucaristia. A sinistra dell’ingresso, si presentano le storie di santo Stefano: Stefano predica al popolo, viene lapidato, viene sepolto, ritrovamento del suo corpo, trasporto in Gerusalemme; venerazione del corpo di Stefano, trasporto e arrivo a Costantinopoli, guarigione di una indemoniata, richiesta di un inviato dell’imperatore Giustiniano di portare il corpo di Stefano a Roma; seguono la traslazione a Roma, l’arrivo alla basilica e la guarigione della figlia dell’imperatore, il tentativo di furto di monaci greci e il Papa che autentica le reliquie. Ci sono poi le imprese di Enrico ii nelle guerre contro gli Slavi, con questa aggiunta: pentito dei suoi peccati, donò alla basilica un calice d’oro, e nel giorno della festa del martire offrì un banchetto a mendicanti e pellegrini.

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Alla sua morte, al momento della pesa delle anime, san Lorenzo intervenne e pose sulla bilancia dalla parte delle buone opere il calice donato, che la fece pendere dalla parte del bene: Enrico sfuggì così al diavolo. Sempre nel nartece, si trova un famoso sarcofago, del vii secolo, in cui putti vendemmianti alludono all’Eucaristia. All’interno della basilica, sopra l’arco trionfale dell’abside si è accolti dalla visione di Cristo e santi in un mosaico del vi secolo. Cristo è al centro, benedice alla maniera latina, porta la croce ed è assiso sul globo che rappresenta la totalità dell’universo, in segno di signoria totale. Gli stanno intorno san Pelagio, che offre la chiesa, san Lorenzo, san Pietro, santo Stefano, sant’Ippolito, con la corona del martirio. La funzione di Pietro come capo della Chiesa in quanto vicario di Cristo è comunicata dalla croce che egli, come Cristo, porta in mano. Ai lati, ritornano le immagini di Gerusalemme e Betlemme, città sante. Accanto all’ambone, un notevole candelabro per il cero pasquale, ornato di un mosaico a spirale. La tombe dei santi Lorenzo, Stefano e Giustino2 si trovano nella cripta, nel punto in cui si uniscono le due basiliche che costituiscono l’attuale. Davanti a questa basilica fu Pio xii, il 19 luglio 1943, quando visitò l’edificio e il quartiere distrutti da un bombardamento. Simbolo della ricostruzione è l’atrio, che, distrutto, è stato rifatto con il materiale recuperato. Pagine seguenti 6. San Lorenzo fuori le mura. Veduta d’insieme della navata centrale. 7. San Lorenzo fuori le mura. Veduta della navata con l’ambone duecentesco. 8. San Lorenzo fuori le mura. Veduta dell’attuale presbiterio con la sopraelevazione dovuta alla cripta. Da notare il ciborio quadrangolare sormontato da una copertura ottogonale.

3. San Lorenzo fuori le mura. Il portico antistante la facciata della basilica. 4. San Lorenzo fuori le mura. Cripta, tomba di san Lorenzo.

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5. San Lorenzo fuori le mura. Portico, particolare con capitello ionico e decorazione musiva con l’Incoronazione di Pierre de Courtenay.

9. San Lorenzo fuori le mura. Interno della basilica a matronei costruita da papa Pelagio ii (579-590), con la basilica annessa a ovest da Onorio iii (1216-1227). 10. San Lorenzo fuori le mura. Mosaico dell’arco trionfale commissionato da papa Pelagio ii: Cristo con gli apostoli Pietro e Paolo, e inoltre, a sinistra san Lorenzo e il donatore vescovo Pelagio, a destra i santi Stefano e Ippolito.

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11. San Lorenzo fuori le mura. Colonnato settentrionale. Dettaglio dei capitelli di spoglio di etĂ imperiale (primo e

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secondo a ovest) con frammenti di travi lignee di etĂ imperiale reimpiegati come architrave e pilastri decorati.

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12. San Lorenzo fuori le mura. Veduta verso est dal matroneo meridionale.


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13. San Lorenzo fuori le mura. Veduta dell’attuale presbiterio con il ciborio del 1148 firmato da Angelo e Sasso figli di Paolo.

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14. San Lorenzo fuori le mura. Il chiostro romanico.

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BASILICA DI SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA La Passio di San Sebastiano (v secolo) racconta che il martire, già saettato e curato da Irene, vedova di san Castulo, si ripresentò all’imperatore, che lo fece battere a morte e fece gettare il suo corpo nella Cloaca Massima. Il santo apparve allora in sogno alla matrona Lucina, le indicò dove trovare il suo corpo e le raccomandò di seppellirlo «ad Catacumbas... in initio cryptae iuxta vestigia Apostolorum» (alle Catacombe... all’inizio della cripta vicino alle reliquie degli apostoli, cioè di Pietro e Paolo). Lungo l’antica via Appia, al iv miglio, sorse per volere di Costantino l’imponente Basilica Apostolorum, edificata in onore degli apostoli Pietro e Paolo: la tradizione vuole che le loro reliquie fossero state nascoste nelle catacombe sottostanti durante la persecuzione di Valeriano del iii secolo, e vi rimasero per mezzo secolo. Qui venne poi sepolto san Sebastiano, martirizzato da Diocleziano, e dal quale hanno preso il nome sia le catacombe sia la basilica. La Depositio Martyrum, del 320-330, che ricorda le memorie di diversi martiri, pone in questo luogo la prima celebrazione della festa dei santi Pietro e Paolo il 29 giugno 258, all’inizio della persecuzione che portò a morte papa Sisto, Lorenzo e altri diaconi: e definisce la festa ad catacumbas. Ciò che attirava la devozione di fedeli e pellegrini era sempre la memoria apostolorum venerata nella chiesa. Probabilmente si trovava qui un monumento funebre di cui non è rimasta traccia. Papa Damaso (pontificò dal 366 al 384) fece porre una epigrafe che, tradotta, così recita: «Tu che vai cercando i nomi di Pietro e Paolo sappi che i santi dimorarono qui in passato. Questi apostoli ce li mandò l’Oriente, lo riconosciamo volentieri, ma in virtù del martirio (seguendo Cristo su per le stelle vennero nelle regioni celesti e nel regno dei giusti) Roma poté rivendicarli suoi cittadini. Questo voleva dire Damaso in vostra lode, o nuove stelle». 186

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Pagine precedenti 1. San Sebastiano fuori le mura, veduta aerea. La basilica risale all’età costantiniana, quando portava il nome di Basilica Apostolorum. Ancor prima della costruzione, alla metà del iii secolo d.C., è infatti attestato nel luogo il culto degli apostoli Pietro e Paolo. La basilica sorge su uno degli accessi al fitto ed esteso reticolo delle catacombe di San Sebastiano, uno dei complessi più antichi destinato alla sepoltura dei primi cristiani. In queste pagine 2. Oratorio di Onorio iii ad catacumbas presso San Sebastiano fuori le mura. Nella pianta è indicato con la lettera A. Il tratto a fianco di A è la volta sopra la scala, tratto verso l’ingresso alla costruzione, posteriore alla basilica, che si credeva luogo della sepoltura temporanea dei due apostoli, detta Platonia, dalla voce del basso latino platoniae, lastre di marmo utilizzate per rivestire le pareti.

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3. Oratorio di Onorio iii ad catacumbas. Dipinti murali della parete ovest con la Vergine in trono con il Bambino affiancata da due angeli e quattro clipei con teste di profeti; in basso, un serafino, un arcangelo, la Crocifissione e una figura femminile. 4. Oratorio di Onorio iii ad catacumbas. Interno verso la scala di accesso. 5. Oratorio di Onorio iii ad catacumbas. L’abbraccio di Pietro e Paolo a Roma (Concordia Apostolorum). Pagine seguenti 6. San Sebastiano fuori le mura. Veduta del deambulatorio absidale e delle arcate verso la navata maggiore. 7. Veduta aerea della basilica e del deambulatorio di San Sebastiano fuori le mura. Sono visibili il campanile medievale, la cappella e i lanternini del xvii secolo.

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capitolo 14

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All’interno della basilica si trova l’urna contenente i resti di san Sebastiano e la sua statua (di Giuseppe Giorgetti): il santo è riverso, trafitto dalle frecce. Le reliquie, poste in vasi di vetro chiusi in cassette di piombo e collocate dentro l’antica urna, sono collocate sopra l’altare. La chiesa ricevette l’attributo ad catacumbas per le catacombe di san Sebastiano, sulle quali venne costruita, ed è detta fuori le mura perché si trova fuori dalle Mura Aureliane. La chiesa fu distrutta nel ix secolo dai Saraceni, ma le reliquie del santo erano state messe in salvo nella basilica di San Pietro. Successivamente fu ricostruita da papa Niccolò i (858-867) e l’altare del martire fu riconsacrato da papa Onorio iii su richiesta dei Cisterciensi, cui fu affidata la cura della chiesa. 190

La forma attuale è frutto della sistemazione del xvii secolo. Presso queste catacombe si recava san Filippo Neri, giunto a Roma nel 1534, a meditare tutta la notte. Nel 1544, il Signore gli si presentò in forma di globo di fuoco che gli penetrò il petto spezzandogli due costole. A destra della cappella maggiore si trova l’altare di san Francesco, rappresentato in un quadro di G. Manuzio (xvi secolo); nell’altare delle reliquie, a destra, si conserva una freccia del martirio di Sebastiano, la colonna a cui fu legato, la pietra su cui rimane l’impronta dei piedi di Cristo quando si fece incontro a Pietro che stava per lasciare Roma. Non lontana si trova la piccola chiesa del Domine, quo vadis?, sorta sul luogo stesso ove la tradizione colloca l’incontro.

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Le chiese della Litania Septiformis / Capitolo 15

CHIESA DEI SANTI MARCELLINO E PIETRO

Due chiese sono in Roma dedicate ai martiri Pietro, esorcista cristiano, e Marcellino, sacerdote. Quella che si affaccia sulla via Merulana fu una delle tappe della Litania Septiformis. Si ipotizza che questa chiesa sia stata fondata da papa Siricio alla seconda metà del iv secolo, probabilmente dove era la casa di uno dei due martiri; nel 1256 papa Alessandro iv vi fece portare le loro reliquie. Nella cappella maggiore è la tela che rappresenta il martirio dei due santi. L’altra sorge sulla via Labicana, e da essa si accede alle catacombe dette appunto di Pietro e Marcellino, poiché vi furono deposti i loro corpi, ricomposti dopo il martirio. L’edificio attuale è del 1922 e conserva i muri di fondazione dell’edificio paleocristiano. Da qui si accede alle omonime catacombe, nelle quali si trova una famosa immagine di Cristo in trono affiancato da Pietro e Paolo, togati, e nella fascia inferiore l’Agnello mistico sul monte Sion dal quale sgorgano i quattro fiumi salvifici della Scrittura; ai lati si vedono, nell’ordine, Gorgonio, Pietro, Marcellino e Tiburzio, nell’atto di acclamare l’Agnello1. Pietro era un esorcista: cristiano, fu prima picchiato poi incarcerato, ma continuò a evangelizzare. Lo udì

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1. Veduta area del Mausoleo di Elena Augusta, o Torpignattara, o Ad Duas Lauros, sulla via Labicana. Qui, non lontano dal luogo del loro martirio nel 304, nelle catacombe che ne presero poi il nome, furono deposti i corpi di Pietro e Marcellino, di cui papa Damaso (366-384) scrisse la passio. Papa Siricio fece erigere una basilica, detta appunto basilica dei Santi Marcellino e Pietro.

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2. Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Merulana. Sorge dove nel 1750 venne ritrovata una piccola cripta presumibilmente edificata da papa Siricio (384-398) che la dedicò ai due santi nel giorno del loro martirio. La chiesa fu ricostruita nel 1751 per volontà di papa Benedetto xiv, con pianta a croce greca, opera di Girolamo Theodoli. La pala dell’altare, opera di Gaetano Lapis (1706-1773), raffigura il martirio dei santi titolari della chiesa.

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3. Pianta della Roma medievale con in evidenza la posizione delle cinque chiese della litania septiformis oggi esistenti e visitabili. 1. Santi Marcellino e Pietro; 2. San Clemente al Laterano; 3. Santi Cosma e Damiano; 4. Santi Giovanni e Paolo; 5. Santo Stefano Rotondo.

Artemisio, suo carceriere, che gli parlò di sua figlia Paolina, posseduta da un demone. Pietro guarì la giovane: alla diffusione della notizia, molti chiesero il battesimo. Ma Pietro non poteva battezzare e si rivolse all’amico sacerdote Marcellino. Secondo la passio descritta da papa Damaso, furono martirizzati in un luogo detto Silva nigra, poi ribattezzato Silva candida, lungo la via Cornelia. I due vennero convocati dal giudice e infine decapitati. Il loro carnefice, convertitosi, aiutò due matrone a ritrovare i corpi e a trasportarli in un cimitero detto ad duas lauros, sulla via Labicana. Era il 304. Artemisio, a sua volta, venne processato con la sua famiglia e lapidato. Le reliquie di Pietro e Marcellino furono distribuite in tutta Europa e il loro culto, oggi poco noto, fu assai sentito; Eginardo, consigliere di Carlo Magno, scrisse una De Translatione et miraculis sanctorum Marcellini et Petri (La traslazione e i miracoli dei santi Marcellino e Pietro). La diffusione del loro culto è testimoniata dalla citazione dei loro nomi in una delle più antiche preghiere eucaristiche, che risale all’epoca di papa Vigilio (537-555). La loro memoria liturgica è il 2 giugno.

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4. Santi Marcellino e Pietro, via Labicana, catacomba. Il Banchetto celeste: la sua raffigurazione era auspicio per i defunti di partecipazione alla mensa di Cristo in Paradiso. 5. Santi Marcellino e Pietro, via Labicana, catacomba. Nella fascia alta, Cristo tra i santi Paolo (a sinistra) e Pietro (a destra); nella fascia inferiore, ai lati dell’Agnello mistico, i santi martiri Gorgonio e Pietro a sinistra, Marcellino e Tiburzio a destra, tutti martirizzati nel 304. L’Agnello mistico si erge sul colle da cui scaturiscono i quattro fiumi del Paradiso.

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Pagine seguenti 6. Santi Marcellino e Pietro, via Labicana, catacomba. Adamo ed Eva dopo il peccato, ai lati dell’albero, ricordano la felix culpa che rese necessaria l’incarnazione di Cristo: come la colpa fu universale, così la salvezza che viene dall’incarnazione. 7. Santi Marcellino e Pietro, via Labicana, catacomba. Noè e la colomba, il cui ritorno all’arca con il ramoscello d’ulivo annuncia la prima alleanza.

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Le chiese della Litania Septiformis / Capitolo 16

BASILICA DI SAN CLEMENTE AL LATERANO

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1. San Clemente. Veduta aerea dalla zona absidale (da est). 2. San Clemente. Atrio della chiesa medievale e facciata.

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Su strutture romane del ii secolo, nel iii secolo fu edificato un Mitreo, sopra il quale fu edificata la basilica dedicata a Clemente, oggi detta basilica inferiore (riscoperta negli scavi del 18611). Quando nel 1084 i normanni di Roberto il Guiscardo saccheggiarono Roma, anche la basilica di San Clemente fu devastata, e sulle sue rovine, spianate, fu edificata, tra il 1099 e il 1120, l’attuale chiesa, utilizzando i muri precedenti. Nel mosaico absidale della basilica superiore, della prima metà del xii secolo, si vede il trionfo della Chiesa, che nasce dal Crocifisso: la Chiesa è paragonata alla vite, che la legge fa disseccare e che la croce vivifica. L’albero della vite allarga le sue fronde rigogliose nel cielo di cui l’abside è immagine: da esso, sorge la croce che porta Cristo, che ha fatto rifiorire l’albero. Ai lati della croce, la Madonna e san Giovanni Evangelista, nella posizione degli intercedenti. Il centro della croce coincide con il cuore di Cristo, che è raffigurato con gli occhi chiusi nell’accettazione della morte, ma in atteggiamento eretto, come di chi ha scelto, non subito, la croce per la salvezza degli uomini. Sui bracci della croce si vedono dodici colombe, immagini degli apostoli, mentre nelle volute rigogliose dei rami si scorgono, insieme ai dottori della Chiesa, i santi Ambrogio, Gerolamo, Gregorio, Agostino, scene di vita quotidiana, che stanno a indicare che la salvezza è giunta ai minimi dettagli della nostra vita. Dalla base dell’albero sgorgano i fiumi del Paradiso, cui si abbeverano cervi e pavoni, simboli delle anime immortali. Sulla croce, si protende dal cielo la mano del Creatore, che porta la corona della gloria. Ai lati dell’abside, a sinistra san Paolo e san Lorenzo, a destra san Pietro e san Clemente. Nella fascia affrescata (xiv secolo) più bassa nel presbiterio si trova l’affresco di Cristo con la Vergine attorniato dagli apostoli, di cui pure sono immagine le

pecore della fascia più bassa del mosaico, al centro delle quali l’Agnello con il nimbo dorato rappresenta ancora Cristo. Sull’arco che introduce al catino absidale, i simboli degli evangelisti stanno intorno a Cristo, nella gloria dei cieli, benedicente, sotto al quale, nell’intradosso dell’arco, si vede un monogramma cristologico apocalittico: infatti l’alfa e l’omega ai lati stanno a indicare che Gesù è principio e fine di tutte le cose. La scritta sul bordo spiega il significato della composizione: «Ecclesiam Cristi viti similabimus isti de ligno Crucis Iacobi dens. Ignatiiq. insupra scripti requiescunt corpore Cristo. Quam Lex arentem! Set Crux facit esse virentem». Sull’arco trionfale in un mosaico è rappresentato Cristo Pantocratore tra i simboli degli evangelisti; a sinistra ci sono i santi Lorenzo e Paolo e il profeta Isaia; a destra ci sono Pietro, Clemente e Geremia. Tra l’arco trionfale e il catino è teso un festone di fiori e di frutta, nascente da due anfore. Nel soffitto è dipinta la gloria di san Clemente2, e alle pareti, sopra il cornicione, a destra le Storie di sant’Ignazio e a sinistra le Storie di san Clemente accomunano e paragonano nell’esempio i due martiri3. Nella controfacciata, si vedono i santi Cirillo, a sinistra, e Metodio, a destra. A destra della cappella maggiore si trova la cappella dedicata a Cirillo e Metodio, con una grande icona (protetta da lamina di metallo prezioso) che rappresenta Gesù in trono e Leone xiii che gli offre la chiesa. La cappella fu infatti dedicata a loro, come apostoli degli Slavi, da Leone xiii nel 1888. Il collegamento tra san Clemente e i santi apostoli degli Slavi sta nel fatto che Clemente, papa sotto Traiano, venne esiliato in Crimea. Martirizzato, fu gettato nel mar Nero legato a un’ancora. La leggenda racconta che qualche tempo dopo le acque si aprirono mostrando una tomba costruita dagli angeli: questo prodigio si ri199


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3. San Clemente. Navata della basilica verso la zona absidale. 4. San Clemente. Pianta della basilica superiore e del chiostro, primo quarto del xii secolo (da Barclay Lloyd 1986).

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5. San Clemente. Mosaico absidale (xii secolo), particolare della Crocifissione, la Croce come Albero della Vita.

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6-8. San Clemente. Una veduta d’insieme del mosaico absidale e particolari.

9. San Clemente. Particolari del mosaico absidale con san Paolo e sant’Ambrogio (registro superiore, a sinistra).

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Le chiese della Litania Septiformis / San clemente al laterano

capitolo 16

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peteva una volta all’anno, per consentire la devozione. Furono Cirillo e Metodio a riportare le reliquie di Clemente a Roma; a loro qui è dedicato un altare, nella chiesa inferiore, che accolse le spoglie di Cirillo, morto a Roma nell’869. Questo altare è molto onorato dagli Slavi, che lasciano fiori e memorie. Nella grande basilica paleocristiana sottostante, a tre navate, si trovano affreschi eccezionali dell’xi secolo, come la rappresentazione dell’Ascensione di Cristo in cui compare l’effigie di papa Leone iv, con l’aureola quadrata perché ancora vivente quando fu realizzato il dipinto. Ci sono anche scene della vita di san Clemente, fra le quali la storia del santo che salva un fanciullo caduto in mare e lo restituisce alla madre dopo un anno. È anche narrato un episodio della Passio Sancti Cle204

mentis, la vicenda di Sisinnio, prefetto romano la cui moglie Teodora si era convertita; un giorno Sisinnio la seguì a una messa con i suoi uomini e volle farla arrestare: ma Dio accecò lui e i suoi servi, i quali, immaginando di trascinare via Teodora e Clemente, di fatto strascicavano pesanti colonne, esortati dalle grida di Sisinnio, che rimase cieco fino a quando fu tornato a casa. Ciò è narrato nella parte inferiore dell’affresco: sulle figure le scritte riportano le loro parole che costituiscono le più antiche frasi murali. I soldati si esprimono in una lingua intermedia tra il latino e il volgare. Sisinnio, accecato, ordina ai suoi uomini di legare e trascinare san Clemente, ed essi, pure accecati, trascinano a fatica una colonna di marmo. Queste le scritte, da sinistra a destra: Falite dereto co lo palo, Carvoncelle = «Carvoncello, spingi da dietro con il

10. San Clemente, basilica inferiore, Messa di san Clemente e punizione di Sisinnio. 11. San Clemente, basilica inferiore, nartece, Traslazione del corpo di san Clemente.

palo»; Duritiam cordis vestri, saxa traere meruistis = «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi»; Albertel, traite = «Albertello, tirate»; Gosmar = «Gosmario»; Fili de le pute, traite = «Figli di puttana, tirate». Negli affreschi si legge anche la storia di sant’Alessio, patrizio di Roma che rinunciò a beni e matrimonio, facendosi mendicante a Edessa; tornato a Roma, andò alla casa del padre, che non lo riconobbe: visse in un suo sottoscala per molti anni e, prima di morire, scrisse la sua vita in un biglietto che strinse in mano. Solo papa Clemente riuscì ad aprire la sua mano e a leggere il biglietto, con grande sorpresa dei genitori. Nel Mitreo è visibile anche una famosa rappresentazione del sacrificio di un toro, tipica del culto al dio Mitra.

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Le chiese della Litania Septiformis / Capitolo 17

BASILICA DEI SANTI COSMA E DAMIANO

Cosma e Damiano, medici, patroni dei Medici di Firenze, furono spesso fatti rappresentare dai loro protetti, in abiti quindi quattrocenteschi: sfugge quasi il fatto che fossero due fratelli nati in Arabia alla metà del iii secolo. Figli di cristiani, abilitatisi all’esercizio della medicina, si stabilirono a Egea, dove curavano gratuitamente ed erano da tutti amati. Grazie alla loro opera, ci furono numerosissime conversioni; caddero tuttavia vittime della persecuzione di Diocleziano e, dopo molti tormenti che nulla poterono contro di loro, furono decapitati nel 303. I confratelli nella fede accorsero per prendere e dividersi le loro reliquie, ma il dromedario che le trasportava non lo permise: «Non li separate nella sepoltura, perché non sono separati nel merito». Furono così sepolti insieme a Ciro, in Cilicia, dove fu loro eretto un grande sepolcro, meta di pellegrini e malati: da lì il culto si estese a tutto l’Oriente. Papa Simmaco (498-514) eresse per loro un oratorio, e papa Felice iv (526-530) fece venire a Roma le loro reliquie, e costruire una basilica al Foro Romano. Nell’abside si vede la presentazione di Cosma e Damiano, che recano in mano la corona del martirio a Cristo assiso sulle nubi e circondato dai santi Pietro, Paolo, insieme al papa Felice iv che offre la chiesa, e a san Teodoro1. Su una palma, a sinistra, è rappresentata la fenice; il mitico uccello invulnerabile, che rinasce dalle sue ceneri, è stato dai Padri della Chiesa assunto come simbolo di Cristo e dell’immortalità dell’anima. E una fenice su

una palma, albero che simboleggia l’Albero della Vita, allude alla risurrezione e di conseguenza alla croce che porta Cristo. La scritta dedicatoria recita: «Ai martiri medici, certa speranza di salvezza per il popolo». Presso la loro basilica in Oriente e presso quella romana, si praticava un rito particolare, l’incubazione. Consisteva in questo: i pellegrini malati sostavano durante la notte presso le reliquie, pregando a lungo e poi dormendo. I santi venivano a curarli nel sonno: medicavano e anche operavano, e al risveglio si vedevano gli effetti delle cure. Si nota in questa chiesa la cappella del Crocifisso, in cui si trova un Cristo bizantino, vestito, dell’viii secolo, che ripete le fattezze del Volto Santo di Lucca. Nella volta, si vedono storie della Passione di G.B. Speranza (1630). Nella cappella della Vergine e San Giovanni Evangelista si trova un quadro che rappresenta la Guarigione del paralitico alla porta Speciosa, opera di G. Baglione del 1644; alle pareti, scene della vita di Maria: a destra l’Adorazione dei Magi, a sinistra la Presentazione di Gesù al tempio, nella volta l’Assunzione e nell’intradosso l’Annunciazione. La tradizione riporta che un sacrestano della basilica romana aveva una gamba in cancrena: mentre dormiva, i santi medici gli segarono la gamba malata e la sostituirono con una sana, tagliata dal corpo di un nero, da poco morto. Il sagrestano si trovò la gamba sana, ma nera.

1. Santi Cosma e Damiano. L’antica sala del forum Pacis in cui fu allestita la chiesa del vi secolo, con il vestibolo d’ingresso del iv secolo.

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2-3. Santi Cosma e Damiano. Il mosaico absidale con Cristo, i santi Cosma e Damiano, il papa donatore Felice iv (526-530) e san Teodoro. A fronte, un particolare del Cristo.

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Pagine seguenti 4-5. Santi Cosma e Damiano. Particolari del mosaico absidale con i ritratti dei santi Cosma (a destra) e Damiano (a sinistra).

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Le chiese della Litania Septiformis / Capitolo 18

BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO

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I due fratelli Giovanni e Paolo, vissuti nel iv secolo, erano militari: il loro comandante Gallicano seppe che erano cristiani quando, in un momento in cui era angosciato da una probabile sconfitta, i due gli vennero in aiuto e gli insegnarono a pregare il vero Dio. L’imperatore Giuliano l’Apostata, per odio, cercò in ogni modo di farli dubitare della loro fede e della loro condotta, imponendo loro di sacrificare agli idoli, ma, davanti a un deciso rifiuto, li fece uccidere. Il sacerdote Crispo, il chierico Crisponiano e la pia

donna Benedetta furono uccisi per aver reso noto il luogo della sepoltura dei due fratelli, che Giuliano voleva restasse ignota perché non operassero conversioni. L’imperatore Gioviano, successore di Giuliano, fece invece ricercare i corpi dei martiri per onorarli, ne incaricò il senatore Bizante, il cui figlio, Pammachio, ritrovò i santi corpi. Nel soffitto a cassettoni, si legge la scritta vere germani (veri fratelli). 213


capitolo 18

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Pagine precedenti 1. Santi Giovanni e Paolo. Veduta aerea. La basilica, forse l’unico titulus paleocristiano riconoscibile archeologicamente, s’impianta su una domus di età imperiale verosimilmente donata alla Chiesa da una ricca famiglia della prima comunità. Sulla sinistra della basilica, celati dagli edifici moderni, sono i resti della biblioteca di Agapito, mentre sulla destra sono quelli del tempio del Divo Claudio e il convento dei Padri Passionisti, che officiano la basilica. 2. Santi Giovanni e Paolo. Facciata e vestibolo medievale. In queste pagine 3. Santi Giovanni e Paolo. Fianco meridionale della basilica presso il clivus Scauri (salita di Scauro, strada dell’antica Roma fra i colli Palatino e Celio). In basso, la navata laterale ricavata dalle precedenti domus romane; al di sopra, il claristorio della chiesa paleocristiana. 4. Santi Giovanni e Paolo. Domus romana sotto la chiesa. Affresco con finta decorazione in marmo, maschere dionisiache ed emblemi, figura femminile orante (a braccia levate, sulla destra in alto), iv secolo.

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5. Santi Giovanni e Paolo. Oratorio cristiano al primo piano delle domus romane situate sotto la chiesa: affresco con martiri e scene di martirio, tardo iv secolo.

La loro immagine nel quadro di Antoniazzo Romano li mostra ai piedi della Vergine con il Bambino, preceduti dai santi Giovanni Battista e Gerolamo. La chiesa, affidata alla custodia dei Padri Passionisti, ha oggi due fulcri: il sepolcro dei martiri, sotto l’altare maggiore, e la cappella, consacrata nel 1880, di San Paolo della Croce1, grande apostolo delle missioni al popolo2, che visse nel convento annesso alla chiesa dal 1773 alla morte nel 1775. Un suo simulacro è conservato sotto l’altare della cappella: la pala mostra san Paolo della Croce in estasi, sollevato da Cristo crocifisso che l’abbraccia staccando un braccio dalla croce.

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Le chiese della Litania Septiformis / Capitolo 19

CHIESA DI SANTO STEFANO ROTONDO

Questa chiesa, voluta da papa Leone i (440-461) negli ultimi anni del suo pontificato, venne consacrata successivamente da papa Simplicio (468-483): fu destinata ad accogliere le reliquie di santo Stefano, la cui tomba era stata scoperta nel 415 a Gerusalemme, reliquie ampiamente distribuite fra le Chiese della cristianità. Nel vii secolo, la chiesa, che deve il nome alla sua forma, accolse, in una cripta, le spoglie dei martiri Primo e Feliciano. Del significato simbolico della pianta circolare è opportuno qui sottolineare che questa forma, che subito immette nella pienezza della vita, si adatta particolarmente al titolo della chiesa che, dedicata al protomartire Stefano, conserva viva la memoria dei martiri. La pianta più antica presentava tre cerchi concentrici: il muro esterno, segnato da otto porte, il muro intermedio, poggiato su arcate aperte, infine l’ultimo cerchio, formato da ventidue colonne, sulla cui trabeazione si eleva il muro superiore. L’edificio sorgeva, come la basilica di San Clemente, dove era stato un tempio dedicato al dio Mitra. Torna qui dunque il tema dell’edificio circolare simbolo del cosmo, e della riconsacrazione della terra con la costruzione di un edificio cristiano là dove ne sorgeva uno precristiano. La decorazione, eseguita interamente da Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (1552-1626), presenta tutta la storia delle persecuzioni, con crude e suggestive rappresentazioni dei supplizi. Oltre al martirio di santo Stefano, al quale come spesso accade è associato il romano san Lorenzo, si vedono i cristiani avvolti in pelli di animali fatti sbranare dai cani sotto Nerone, san Vittorio gettato vivo nel fuoco all’epoca di Marco Aurelio, san Marino lacerato da unghioni di ferro,

sant’Agata cui fu recisa una mammella all’epoca di Diocleziano, san Vito, san Modesto e santa Crescenzia gettati nel piombo fuso, altri schiacciati sotto macigni o tagliati a pezzi. Siamo nel 1585: nel 1578, per uno smottamento del terreno, erano emerse le perdute catacombe di Priscilla, e da lì si erano ritrovate le sepolture e testimonianze della prima cristianità. Un conforto per la Chiesa che, nelle persecuzioni dei cristiani separati e in quelle perpetuate in terra di missione, stava affrontando una nuova stagione di martirio. Questa chiesa era tenuta dai Gesuiti, che nel Collegio Germanico educavano i seminaristi destinati alla missione. Non è forse un caso che, accanto alla cappella dei santi Primo e Feliciano, ci sia un’immagine della Madonna dei sette dolori, con una chiara elencazione degli stessi, come se la Vergine, insieme al Figlio, avesse sintetizzato nella sua esperienza di sofferenza il suo particolarissimo martirio-testimonianza e quello di tutti i martiri. Ecco dunque i dolori di Maria: la circoncisione di Gesù, la fuga in Egitto, Gesù perduto prima di ritrovarlo tra i dottori, la salita al Calvario, la morte, la deposizione, la sepoltura di Gesù. Maria non sparse sangue: la sua testimonianza sta nell’accettazione del dolore in vista della salvezza promessa fin dall’annunciazione. Nella prima cappella a sinistra sono ancora i mosaici (645 ca.) che mostrano Primo e Feliciano nella gloria del Paradiso, ai lati di una croce gemmata, al cui centro sta l’immagine di Cristo. Primo e Feliciano, probabilmente fratelli, furono flagellati, torturati, gettati alle fiere e infine decapitati all’epoca di Diocleziano.

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Le chiese della Litania Septiformis / Santo stefano rotondo

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Pagine precedenti 1. Santo Stefano Rotondo. Veduta aerea da ovest del nucleo dell’edificio conservato, con la parte centrale e il primo ambulacro. A destra, sul lato nord-est, il braccio di croce mantenuto ancora nell’originario secondo ambulacro. In alto, il monastero del xvi secolo.

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In queste pagine 2. Santo Stefano Rotondo. Interno, veduta verso sud dell’ambulacro dal braccio di croce nordorientale. 3. Santo Stefano Rotondo. Interno, veduta dell’interno verso sud. Al centro, le antiche colonne monumentali dell’arcata di sostegno del xiii secolo e le transenne dell’altare del xvi secolo.

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4. Santo Stefano Rotondo. Braccio di croce nordorientale con il pavimento marmoreo del v secolo restaurato e l’abside mosaicata aggiunta da papa Teodoro i (642-649). 5. Santo Stefano Rotondo. Pianta con indicazione della cappella dei santi Primo e Feliciano (lettera A). In colore è indicata la calotta absidale. 6. Santo Stefano Rotondo. Mosaico absidale di papa Teodoro i (642-649) con la Croce gemmata, il busto di Cristo e i santi Primo e Feliciano sul prato del Paradiso. 7. Santo Stefano Rotondo. Mosaico absidale, particolare di san Primo.

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ALTRE CHIESE / Capitolo 20

ABBAZIA ALLE TRE FONTANE

1. Pianta del sito dell’Abbazia alle Tre Fontane con due sezioni della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio e dell’adiacente monastero (da A. Barbiero, San Paolo alle Tre Fontane, Roma 1938, tav. xxii).

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Già citata dagli antichi itinerari in Roma, oggi è un complesso monumentale, curato dai Padri Trappisti. È il luogo del martirio di san Paolo, e completa la memoria del santo custodita nella basilica di San Paolo fuori le mura. Si trova ad aquas salvias, lungo l’antica via Laurentina, in una valletta ricca di acque, un tempo anche malsane, che deve il nome agli antichi proprietari romani. Il complesso presenta tre edifici di culto, oltre alle pertinenze del monastero. Qui, secondo la tradizione, presso un grande pino, fu decapitato l’apostolo (pur non essendo tra i dodici, san Paolo è considerato apostolo), come si legge: «S. Paolo fu decapitato nella massa appellata ad Aquas Salvias, ma vi si aggiunge che il martirio avvenne presso un pino. Benché apocrifo questo documento e ripieno di leggende, pure è scrittura assai antica e deve, come è ovvio comprendersi, meritare fede almeno nella parte che riguarda le notizie dei luoghi. Ora non sono molti anni, scavandosi dai rr. pp. trappisti non lungi dalla chiesa suddetta per un serbatoio d’acqua, si rinvenne a grande profondità del suolo un ripostiglio di monete antiche, precisamente dell’impero di Nerone, e molti frutti di pino (pigne), che l’azione del tempo aveva quasi fossilizzati. Una tale scoperta, della quale io detti un cenno … mi pare di qualche importanza in ordine alla circostanza narrata dagli atti suddetti dell’albero di pino sotto cui sarebbe stato decollato s. Paolo. In un angolo della medesima si conserva un frammento di colonna appartenuto forse all’antica basilica, sul quale, secondo una tradizione, sarebbe stato decapitato l’Apostolo». E ancora l’apocrifo narra il martirio: «Spiegando il velo di Plautilla, si bendò gli occhi, piegò ambe le ginocchia a terra e porse la testa, che tosto con un gran fendente recisa, fu udita da tutti pronunciare a gran voce

per tre volte in ebraico linguaggio il Nome adorabile del Signore nostro Gesù Cristo, e al tempo stesso dal collo e dalla testa dell’Apostolo sprizzava un’ondata di latte sulle vesti del carnefice e per terra»1. Secondo la tradizione, il capo di Paolo rimbalzò tre volte, e dalla ferita scaturì copioso latte, mentre dai punti toccati dal capo sgorgarono tre fontane: oggi le vediamo dentro la chiesa del martirio. Del complesso fanno parte, testimoniando la storia del luogo, tre chiese: l’abbaziale, dedicata ai santi Vincenzo di Saragozza e Anastasio, monaco greco, la chiesa del martirio di san Paolo e quella di Santa Maria Scala Coeli. Dalla via delle Acque Salvie, oltre un grande cancello, si è accolti da una statua di san Benedetto, la cui iscrizione ricorda la Regola: ausculta o fili / obedientia sine mora / ora et labora / huc properat caelos optat / qui cernere apertos / nec removet votum semita / dura pium / semper difficili quaeruntur / summa labore /arctam semper habet vita / beata viam «Ascolta o figlio: obbedienza senza indugio. Prega e lavora. Qui si affretta chi desidera vedere i cieli aperti; e la durezza del percorso non lo distoglie dal santo proposito. Sempre le cose difficili si ottengono con grande fatica. La vita beata passa sempre per uno stretto sentiero». San Benedetto riferisce di una prima comunità monastica sorta presso le Acque Salvie, costituita alla seconda metà del vi secolo presso la piccola chiesa dedicata a san Paolo; poi affidata a monaci greci, che ricevettero dall’imperatore Eraclio la custodia delle reliquie di sant’Anastasio, monaco persiano martirizzato per volere di Cosroe nel 624. Nel 650 il catalogo De locis sanctis Martyrum riferisce che il monastero è il luogo dove «è conservato il capo 223


capitolo 20

di sant’Anastasio e dove fu decapitato san Paolo». Qui una narrazione dell’viii secolo, che ricorda un miracolo, attesta la presenza di una chiesa dedicata alla Vergine, sulla quale sorgerà Santa Maria Scala Coeli, e di una chiesa dedicata a san Giovanni (di cui non rimane traccia). Dopo l’viii secolo, si trovano cenni a un monastero e a una chiesa dedicata al martire Anastasio, arricchito in seguito dalle donazioni di Carlo Magno e di papa Leone i, come attesta una bolla del 1255. Seguì poi un periodo di decadenza, fino a quando, nel 1080, papa Gregorio vii confermò donazioni e proprietà, fece fare restauri e chiamò un gruppo di monaci benedettini, che sostituirono i monaci greci. In seguito, la malaria falcidiò i monaci, fino a quando, nel 1140, papa Innocenzo ii affidò il monastero ai Cisterciensi. Si iniziò la bonifica del luogo, furono anche piantati molti eucalipti e si realizzarono restauri dell’abbaziale che, con l’arrivo di alcune reliquie di san Vincenzo di Saragozza, fu dedicata ai due santi e consacrata nel 1221. Dopo un periodo di grande prosperità, dal xv secolo iniziarono momenti difficili, e la trasformazione in Commenda da parte di papa Martino v decretò una lunga crisi. Nel 1808 i monaci cisterciensi furono costretti ad abbandonare le Tre Fontane e il monastero fu privato di tutti i suoi averi, mentre i testi e codici della biblioteca vennero trasferiti presso le biblioteche Vaticana e Casanatese. Nel 1867, finalmente, dopo vani tentativi di rivitalizzare il complesso, in occasione del Giubileo straordinario per il diciottesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo, si giunse a un nuovo inizio. Con la bolla del 21 aprile 1868 fu ricostituita una comunità affidata ai Cisterciensi Trappisti, a cui fu donata l’abbazia. Si diede avvio a grandi opere di restauro e di bonifica, e di lotta alla malaria, sconfitta anche grazie ai numerosi alberi di eucalipto piantati dai monaci; dopo il 1870 i Trappisti ottennero in enfiteusi perpetua 450 ettari in cambio, tra le altre condizioni, della piantumazione di almeno 125.000 alberi di eucalipto. Con la copertura di uno stagno e l’uso di zanzariere e di chinino, all’inizio del 1900 fu sconfitta la malaria, e oggi il luogo è quanto mai salubre. Poco dopo l’ingresso, si trova l’Arco detto di Carlo Magno, che deve il suo nome a una donazione fatta dal sovrano nell’805. Qui sono rimasti affreschi che rappresentano gli evangelisti con i loro simboli e anche, sopra l’arco centrale, parti delle figure della Madonna, san Benedetto, san Bernardo e altri santi. 224

altre chiese / abbazia alle tre fontane

Alla chiesa abbaziale dei Santi Vincenzo e Anastasio si entra passando da un portico del xiii secolo: l’interno, a croce latina a tre navate, presenta due cappelle a fianco dell’abside. Lo stile è del tutto cisterciense, severo e nudo, in mattoni a vista. Il soffitto è a capriate lignee, e nei pilastri della navata si vede la serie degli apostoli. La chiesa di Santa Maria Scala Coeli ricorda una visione, del 1138, che san Bernardo ebbe proprio in un piccolo oratorio in questo luogo: mentre stava celebrando una messa per i defunti, in presenza di papa Innocenzo ii, vide in estasi una scala sulla quale andavano e venivano angeli che portavano al cielo le anime liberate dal Purgatorio. L’oratorio era allora dedicato alla memoria di san Zenone, legionario martire insieme ai compagni, di cui si conserva memoria nella cripta. La forma attuale dell’edificio è del xvi secolo, e presenta una pianta ottagonale, sormontata da una cupola e da una lanterna; tre sono gli altari: a destra quello di san Zenone e compagni, al centro quello dedicato alla Vergine e a sinistra quello di san Bernardo, dove in una tela di Desiderio de Angelis è raffigurata la visione del santo. Nell’abside, un mosaico di Francesco Zucchi del 1591 presenta la Vergine in una sacra conversazione fra i santi cisterciensi Bernardo, Roberto di Molesmes e il papa Clemente viii, a destra, e i santi Vincenzo, Anastasio e il cardinale Aldobrandini, a sinistra. Sotto si apre la cripta, che ospita un altare cinquecentesco dedicato a san Zenone e ai martiri soldati: ai lati, due aperture mostrano un altare pagano, e sulla destra, un angolo dove, secondo la tradizione, venne tenuto prigioniero san Paolo prima della decapitazione. Un affresco mostra san Zenone e i suoi compagni. Una curiosità: qui è sepolto un benemerito della storia della Chiesa, il cisterciense Ferdinando Ughelli, abate del monastero, morto nel 1670, cui si deve Italia Sacra, una storia delle sedi vescovili italiane in nove volumi (1644-1662). Da qui, per un viale alberato, si giunge alla chiesa del Martirio di San Paolo, che è il luogo di più forte sacra memoria del complesso: la costruzione attuale risale al 1599, quando venne abbattuta l’antichissima costruzione preesistente. In facciata sul timpano, le statue di san Pietro e di san Paolo2. Nell’atrio, ancora i santi in due altorilievi. La navata, trasversale all’ingresso, presenta due cappelle ai lati dell’abside. Sul pavimento si nota un mosaico romano del ii secolo, proveniente da Ostia

2. Abbazia alle Tre Fontane. Ingresso al convento dall’arco di Carlo Magno.

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3. Abbazia alle Tre Fontane. Veduta del sito con in primo piano l’arco detto di Carlo Magno; dietro di esso la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio; sulla destra la chiesa di Santa Maria Scala Coeli e sul fondo la chiesa di San Paolo alle Tre Fontane. Incisione di Giuseppe Vasi, Roma 1776, Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano.

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capitolo 20

4. Abbazia alle Tre Fontane. Arco di Carlo Magno, la decorazione ad affresco della volta raffigurante Cristo benedicente entro clipeo affiancato da figure di angeli a mezzo busto e dai simboli degli evangelisti.

5. Abbazia alle Tre Fontane. Arco di Carlo Magno, un particolare di Angelo nella decorazione ad affresco della volta.

altre chiese / abbazia alle tre fontane

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Antica e dedicato alle Quattro stagioni, con le relative iscrizioni: ver (primavera), aestas (estate), autu(mnus) (autunno), hiems (inverno), dono di papa Pio ix. Sull’altare dedicato a san Pietro, a sinistra, si trova una copia della Crocifissione di Guido Reni (1575-1642) (l’originale è nella Pinacoteca Vaticana); sull’altare di destra, dedicato a san Paolo, la grande tela della Decapitazione di Bartolomeo Passarotti (1529-1592). Alla sinistra di questo altare si trova una colonna tronca, cui secondo la tradizione fu legato l’Apostolo durante il martirio. Le tre Fontane del prodigio si trovano in edicole a nicchia, lungo la parete della navata, a uguale distanza l’una dall’altra ma a diverso livello dal pavimento: furono chiuse nel 1950. Dietro l’edicola della fonte centrale, sulla parete dell’abside, è rappresentato il martirio di san Paolo; sopra questa, nel catino, si trova invece la Gloria dell’Apostolo, interpretando

la descrizione delle rivelazioni di santa Maria d’Oignies3, secondo cui l’anima di san Paolo fu presentata alla SS. Trinità dal protomartire Stefano. Sopra, nella lunetta, un affresco ritrae san Paolo a Cesarea davanti al governatore romano che commentò l’appello dell’Apostolo all’imperatore dicendo: «Appellasti a Cesare, a Cesare andrai». Sul portale, un targa marmorea recita: «Luogo del martirio di san Paolo dove tre fonti sgorgarono miracolosamente». La chiesa, detta anche della decapitazione di San Paolo, sorge alle spalle dell’abbaziale cisterciense, e fu riedificata da Giacomo della Porta. Sotto l’attuale piano pavimentale, furono scoperti i resti di un pavimento che si sviluppava su tre livelli declinanti: qui veniva raccolta in tre vasche l’acqua delle tre fontane, ancora oggi visibili. 227


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6. Abbazia alle Tre Fontane. Veduta della navata centrale, dal portale verso il presbiterio.

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7. Abbazia alle Tre Fontane. Veduta del portico e della facciata.

8. Abbazia alle Tre Fontane, monastero. Interno della sala del capitolo.

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altre chiese / Basilica di SANTA MARIA IN TRASTEVERE

ALTRE CHIESE / Capitolo 21

BASILICA DI SANTA MARIA IN TRASTEVERE

1. Santa Maria in Trastevere. Veduta aerea del complesso monumentale.

Santa Maria in Trastevere ha un forte legame con gli Anni Santi: infatti nel 1825 sostituì la basilica di San Paolo fuori le mura, semidistrutta da un incendio; altre due volte in passato era accaduto, a causa di epidemie. Fondata da san Callisto (217-222) verso il 221, o da san Giulio i (327-352), sarebbe la prima chiesa dedicata alla Vergine, e chiaramente contende questo onore alla basilica di Santa Maria Maggiore. Alla sommità del campanile romanico, in una grande nicchia sotto il tetto, una Madonna con il Figlio sul braccio destro, nella tipologia della Dexiocratusa, che esalta la potenza dell’intercessione mariana. La chiesa si presenta oggi nella forma datale all’epoca di Innocenzo iii (1130-1143). Il tema mariano è anticipato dai mosaici della facciata, del xiii secolo, sopra il portico settecentesco (progetto di Carlo Fontana del 1702). Si vede qui la Vergine allattante, simbolo della Chiesa che nutre i suoi figli, posta esattamente in asse all’immagine dell’Agnello mistico sulla fascia che corre lungo la sommità del mosaico; intorno a Maria, le vergini sagge con le lampade accese, incoronate, con il volto lieto, e le vergini stolte con le lampade spente, corrucciate e senza corona. All’interno subito l’occhio è attratto dall’abside splendente di mosaici che rappresentano il trionfo di Cristo e della Chiesa. Nell’arco trionfale, i profeti Geremia e Isaia, i simboli degli evangelisti, e i sette candelabri dell’Apocalisse ai lati della Croce apocalittica, dai cui bracci pendono le lettere greche alfa e omega, simbolo dell’inizio e della fine. Nel catino absidale, analogamente a quanto si vede in Santa Maria Maggiore, sotto il Padiglione dell’Empireo con la mano dell’Eterno Padre che porge una corona, ecco il Figlio sul trono gemmato, simbolo insieme della Gloria e della Croce, con la Vergine, incoronata, accanto, di cui con la destra cinge la spalla; regge il libro aperto 230

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con la scritta: Veni Electa Mea et ponam in te tronum meum («Vieni mia eletta e porrò in te il mio trono») cui risponde il cartiglio della Vergine: Leva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me («La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia»). Con queste parole del Cantico dei Cantici (2,6 e 8,3) Maria è ammessa a sedere sul trono del Re e insieme accolta come corredentrice: la sua vita e il suo corpo sono diventati una sola cosa con la vita di Cristo1. Sono le parole delle antifone della festa dell’Assunzione, eco anche della liturgia processionale2. Intorno al trono, a 232

destra, i santi Pietro, Cornelio, Giulio e Calepodio, a sinistra i santi Callisto, Lorenzo e il papa Innocenzo ii. Nella fascia sottostante, si trova al centro l’Agnello mistico, cui convergono dodici pecore, simbolo degli apostoli, uscenti dalle città sante di Betlemme e Gerusalemme; nella fascia fra le finestre, in sei episodi si percorre la vita di Maria: Nascita della Vergine, Annunciazione, Nascita di Gesù, Adorazione dei Magi, Presentazione al tempio, Transito di Maria (opere di Pietro Cavallini, 1291). Ma l’immagine più venerata e amata è quella detta

2. Santa Maria in Trastevere. Veduta dell’interno con il ciborio, l’altare e il catino absidale a decorazione musiva. 3. Santa Maria in Trastevere. La parte centrale del mosaico absidale con il gruppo della Vergine con il Cristo synthronoi, cioè seduti su un trono unico. Questo gruppo echeggia forse il momento culminante della processione dell’Assunta, che si svolgeva a Roma la notte del 15 agosto e portava per le strade della città le icone di Cristo e della Vergine.

Madonna della Clemenza, una icona della Theotokos, databile tra il v-vii secolo, che la tradizione vuole acheropita, raffigurante la Vergine in trono con il Bambino, onorati dagli arcangeli. La vetrata policroma della facciata presenta nel rosone una bella Excelsa Filia Sion, la Vergine Maria con il Figlio benedicente, tra i segni dell’Antica Alleanza (il candelabro e le tavole della legge) e della Nuova (il calice e l’ostia dell’Eucaristia), protetta dallo Spirito Santo. È opera recente, dell’ungherese Giovanni Hainal, qui posta il 5 agosto 1995. 233


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4-5. Santa Maria in Trastevere. Particolari del mosaico absidale. Da sinistra a destra: papa Innocenzo (che ha consacrato la basilica), san Lorenzo, papa Callisto (che aveva fondato la domus ecclesiae sulla quale è

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stata eretta la basilica); san Pietro, san Cornelio Martire (le cui reliquie sono nella basilica), papa Giulio (mitico fondatore della basilica), Calepodio Martire (le cui reliquie sono nella basilica).

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6. Santa Maria in Trastevere. Vergine in trono fra angeli. Icona (un tempo custodita nella cappella Altemps e oggi riposizionata sopra l’altare, nella sua collocazione originaria). La Vergine, vestita nel costume imperiale bizantino è qui raffigurata come Theotokos, seduta sul trono con ai lati due angeli che costituiscono una sorta di guardia personale. In basso a destra è raffigurato, contrassegnato dal nimbo quadrato, il pontefice committente. Il grande formato della tavola, che non ha confronti a Bisanzio, contraddistingue l’opera come produzione romana. A Roma gli spazi dell’icona sono, infatti, di natura esclusivamente pubblica e non passano attraverso la dimensione personale. 7. Santa Maria in Trastevere. Icona della Vergine, particolare della testa dell’angelo di destra.

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Le chiese del giubileo 2016 / Capitolo 22

BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DEI FIORENTINI

La chiesa di San Giovanni dei Fiorentini fu eretta per la comunità fiorentina, l’Università della Nazione Fiorentina in Roma. Papa Leone x, nato Giovanni di Lorenzo de’ Medici, concesse all’Università nel 1519 l’antica chiesa di S. Pantaleone juxta flumen, che i Fiorentini demolirono per costruire al suo posto la basilica che dedicarono al patrono di Firenze, san Giovanni Battista. San Filippo Neri1 fu nominato rettore di questa chiesa della nazione dei Fiorentini su richiesta degli stessi. Qui fondò la Congregazione dell’Oratorio, che aveva avuto i suoi inizi nella chiesa di San Girolamo della Carità, ed era erede della Confraternita dei Pellegrini, già sorta nel 1551 nella chiesa di San Salvatore in Campo.

Sull’altare maggiore campeggia la rappresentazione del Battesimo di Gesù di Antonio Raggi. Nella cappella dedicata a San Filippo Neri è poi conservato il busto del santo reliquiario della croce alla quale era solito rivolgere la preghiera, dono di Carlo Borromeo: la preziosa reliquia veniva portata in processione nel suo reliquiario. In varie occasione san Filippo, gravemente ammalato, si fece portare la reliquia e la volle su di sé, e ad essa attribuì le diverse guarigioni2. Una curiosità: nel campanile venne posta un’antica campana con la scritta in inglese Maria is my name, che si vuole provenga dalla cattedrale di San Paolo di Londra.

1. Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, veduta aerea.

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Chiese del Giubileo 2016 / SANTA MARIA IN VALLICELLA

Le chiese del giubileo 2016 / Capitolo 23

CHIESA DI SANTA MARIA IN VALLICELLA

1. Santa Maria in Vallicella, veduta dall’interno della crociera verso l’altare maggiore. È visibile l’immagine della Madonna col Bambino, e intorno la tela dipinta da Pieter Paul Rubens.

2. Santa Maria in Vallicella, veduta aerea. A lato, sulla sinistra, l’Oratorio dei Filippini (opera di Francesco Borromini).

Sulla facciata della chiesa di Santa Maria in Vallicella1 campeggia l’immagine in rilievo della Madonna con il Figlio, che si ritrova poi più volte nei dipinti dell’interno. In un grande riquadro sopra il portale si legge la scritta Tota pulchra es amica mea, espressione tangibile dell’affetto filiale di san Filippo Neri2, che invitava i suoi a chiamare «mamma» la Madre di Dio. In questa chiesa, affidata a san Filippo dopo che era stato in quella di San Giovanni dei Fiorentini, è la casa madre della Congregazione dell’Oratorio, detta appunto degli Oratoriani, da lui fondata, quando introdusse la necessità della gioia nella sua educazione cristiana rivolta a tutti senza eccezioni, in una Roma in cui non c’erano scuole e molti bambini e giovani erano abbandonati a se stessi. La chiesa precedente, a navata unica, di Santa Maria in Vallicella, la più antica in Roma dedicata alla Natività di Maria, nel 1575 (anno giubilare) fu affidata da papa Gregorio xiii3 a san Filippo, che aveva iniziato la sua azione pedagogica nella non lontana chiesa di San Girolamo della Carità. Il santo subito impegnò le forze dell’Oratorio nella costruzione del nuovo edificio, detto per questo ancor oggi Chiesa Nuova, che dedicò anche a san Gregorio Magno per gratitudine al papa. Nella sacrestia della vecchia chiesa si trovava un affresco trecentesco rappresentante la Vergine con il Bambino: l’immagine, già posta all’esterno di un bagno pubblico, colpita da un sasso aveva sanguinato ed era divenuta oggetto di venerazione: la Madonna era raffigurata secondo la tipologia della Kyriotissa (Dominatrice, Signora, da Kyrios, Signore), poiché sulle sue ginocchia siede il Re dell’universo. La Vergine infatti è il trono del Figlio, che benedicente regge il globo simbolo dell’intero creato sormontato dalla croce. San Filippo fece collocare l’immagine all’interno: nel 1608 venne poi posta sull’altare maggiore, dove fu coperta da una lastra di ardesia dipinta da P.P. Rubens4, 1

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Chiese del Giubileo 2016 / SAN salvatore in lauro

cui aggiunse nella tela circostante, angeli. All’interno, affreschi e tele parlano della Vergine, narrano la vita di san Filippo5. Ai lati della navata centrale, sopra gli archi di passaggio alle navate laterali, e sulla controfacciata, si trovano quindici tele ovali (1697-1700), rappresentazione della storia della salvezza di diversi autori. Tutto conduce alla gloria dell’Assunzione di Maria nel catino absidale e alla gloria della Trinità nella cupola, opere di Pietro da Cortona (1650). Fanno ala alla Madonna della Vallicella due dipinti di Rubens, che raffigurano, a sinistra, san Gregorio tra i santi Mauro e Papia6 e santa Domitilla tra i santi Nereo e Achilleo7. Nei pennacchi della cupola si vedono i profeti Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele, mentre sulla volta un affresco di Pietro da Cortona mostra la visione della Vergine avuta da san Filippo nel 1576 durante la costruzione della chiesa: la Madonna che sorreggeva una trave pericolante sopra la cappella del Santissimo e dell’affresco della Madonna. Nella cappella dedicata a san Filippo, a sinistra del presbiterio, si trovano le spoglie mortali del santo, sotto l’altare sul quale si trova il famoso dipinto di Guido Reni, del 1665, che lo raffigura in estasi davanti alla Madonna Kyriotissa. Nel complesso si trovano anche le camere di san Filippo, ricche delle sue memorie. Qui, nella cappella del santo ricostruita pietra su pietra nel 1635, a sinistra della porta si trova la croce che il santo aveva tra le mani al momento del suo trapasso. Da Santa Maria in Vallicella partivano i pellegrinaggi della visita alle sette chiese.

Le chiese del giubileo 2016 / Capitolo 24

CHIESA DI SAN SALVATORE IN LAURO

La chiesa, che deve il suo nome a un boschetto di lauri un tempo vicino, ospita una bella replica della Madonna di Loreto, ed è sede della comunità dei Marchigiani; sulla facciata, del 1881, campeggia un rilievo della Traslazione della Santa Casa (di Rinaldo Rinaldi), e la scritta Mariae Lauretanae Piceni Patronae. La chiesa, conosciuta dal 1177, è già nominata in una bolla di Urbano iii del 1186, dove è annoverata tra le filiali di San Lorenzo in Damaso. Ha oggi forme settecentesche. Come parrocchia fu eretta sotto il titolo Sanctae Mariae Nationis Picenae da Leone xii il 1 novembre 1824, con la bolla Super universam: le furono assegnati anche il titolo e i redditi di San Salvatore in Primicerio.

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1. L’immagine della Madonna nera di Loreto all’interno della chiesa di San Salvatore in Lauro.

2. San Salvatore in Lauro, veduta aerea.

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Chiese del Giubileo 2016 / santo spirito in sassia

Le chiese del giubileo 2016 / Capitolo 25

CHIESA E OSPEDALE DI SANTO SPIRITO IN SASSIA Nell’imponente complesso dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia1, oggi dedicato in gran parte a ospitare eventi culturali, si trovano unite memorie assai antiche di un grande xenodochio, uno dei più antichi della cristianità, e memorie della più recente spiritualità, per cui la chiesa dedicata allo Spirito Santo è oggi anche Santuario della Divina Misericordia. Un legame speciale unisce il Santo sudario della Veronica, la chiesa di Spirito Santo in Sassia e la Devozione alla Divina Misericordia con la sua immagine, che non è propriamente «non dipinta da mano d’uomo» ma che è comunque stata ispirata da una visione divina. Vicinissimo alla basilica di San Pietro e al Vaticano, tanto da essere compresa nella «Parrocchia della Papale Basilica di San Pietro»2 si trova la Porta di Santo Spirito3, che collega direttamente la basilica e Trastevere. Il nome originario era posterula Saxonum (la posterla4 dei Sassoni). In questa zona, che per ciò venne detta «città dei Sassoni», si trovava la schola Saxonum (Collegio dei Sassoni, concepito come xenodochium, cioè come alloggio per stranieri e per ospitare i giovani inglesi che venivano a farsi educare in Roma) cui erano annessi una chiesa e un cimitero5. La fondazione si attribuisce, all’inizio dell’viii secolo, nel 726, a Ine del Wessex, diciassettesimo re dei Sassoni6 che, avendo abdicato, venne con la sposa Ethelburga in pellegrinaggio a Roma, dove morì due anni dopo. I pellegrinaggi dalla futura Inghilterra erano frequentissimi: già vi era stato un predecessore di Ine, re Caedwalla7. All’inizio del ix secolo un’invasione di Saraceni, giunti risalendo il Tevere, portò all’incendio del borgo dei Sassoni, e la schola dei Sassoni fu danneggiata insieme a quelle di Frisoni, Longobardi e Franchi, minacciando da vicino la basilica di San Pietro. Il papa Sergio, già anziano, ne morì pochi mesi dopo, e il suo successore, Leone iv, riparò ai danni e curò la ricostruzione 244

della chiesa della schola, dedicata alla Vergine, Santa Maria in Saxia. Dopo un periodo di minor frequenza all’inizio del secondo millennio, papa Innocenzo iii (eletto all’unanimità l’8 gennaio 1198, a soli trentotto anni, pontificò dal 1198 al 1216)8 si prese assai a cuore la schola, la risistemò e la affidò all’Ordine Ospitaliero dello Spirito Santo (e per questo cambiò anche il nome della Porta, che divenne Porta di Santo Spirito), da lui riconosciuto nel 1198, e fondato da Guido di Montpellier9, e diede in dono all’Ospedale la chiesa di Santa Maria e le sue prebende. Era nato così, sotto i migliori auspici e saldamente retto dall’Ordine Ospitaliero, il Venerando Ospedale di Santo Spirito in Saxia, e la chiesa stessa fu dedicata allo Spirito Santo. Già all’inizio la struttura dell’ospedale poteva ospitare fino a trecento ammalati e seicento poveri. Tra le donazioni, si distinse quella di Giovanni Senza Terra, re d’Inghilterra10, che diede in concessione la chiesa di Wirtel e le sue rendite. Con il breve Ad commemorandas nuptias del 3 gennaio 1208, papa Innocenzo iii istituì per la prima domenica dopo l’ottava dell’Epifania una solenne stazione cittadina presso la Chiesa dello Spirito Santo, «dove ogni giorno viene deterso il volto di Cristo nei sofferenti e nei bisognosi», con una grande processione in cui lui stesso portò la Veronica, nella preziosa teca. Di questo ospedale si occuparono diversi papi, in particolare Sisto iv (1471-1484), che, visitandolo e riconoscendolo insufficiente, e in vista anche del Giubileo che stava per indire per 1475, ne decise la ricostruzione. La corsia Sistina deve a lui il nome. Lo dotò anche di due chiostri, uno per i frati e uno, più ampio, per le monache; l’ampliamento cinquecentesco prese il nome di Palazzo del Commendatore, e lo si deve a papa Gregorio xiii. Molte sono le glorie dell’Ospedale, non ultima quella di aver visto l’azione di san Filippo Neri e di san Camillo de Lellis, il quale, dopo il 1586 vi prestò assiduo servizio.

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Pagina precedente 1. Nella fotografia aerea, di fronte a Castel Sant’Angelo, all’imbocco del ponte Vittorio Emanuele ii, è visibile il complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia.

2. L’Ospedale e la chiesa di Santo Spirito in Sassia in un’incisione del xviii secolo. Da sinistra a destra si vedono: l’Ospedale, il Palazzo del Commendatore, la chiesa; in secondo piano, a sinistra, la cupola della cappella dell’Ospedale.

Papa Pio vi11 lo poté proclamare «il trono della Carità Cattolica». Ulteriori ampliamenti si devono a Benedetto xiv, a Pio vi e a Pio vii, che aggiunse un nuovo reparto e locali per l’insegnamento. All’inizio del 1900 iniziò una fase di successive demolizioni, che portarono alla situazione attuale: fu smantellata, per la sistemazione della zona, l’aggiunta di Benedetto xiv e, con l’apertura di via della Conciliazione, fu abbattuto l’intero fabbricato eretto da Pio vi; ciò portò alla costruzione di una nuova parte sul Lungotevere che comprende l’ingresso principale, essendo stato demolito quello in Borgo Santo Spirito. Il grande complesso, oggi in gran parte adibito a sede di congressi e manifestazioni culturali, si stende tra Borgo Santo Spirito, Lungotevere in Sassia e via dei Penitenzieri, e comprende su Borgo Santo Spirito la famosa Corsia Sistina, divisa in due parti da un imponente tiburio, diversi chiostri, il Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria (nella Sala Alessandrina, costruita da Alessandro vii), il Palazzo del Commendatore, e la chiesa di Santo Spirito in Sassia12. Qui nella sacrestia si ammirano le storie della Schola Saxonum, e nella chiesa nella prima cappella a destra si trova il quadro di Giacomo Zucca rappresentante la venuta dello Spirito Santo. Nella sacrestia si ammirano le storie della Schola Saxonum13. Il 1 gennaio 199414 venne istituito qui il Centro di Spiritualità della Divina Misericordia, per espressa volontà del Santo Padre Giovanni Paolo ii, presso la chiesa di Santo Spirito in Sassia.

All’origine di questa spiritualità, troviamo Maria Faustina Kowalska (1905-1938). Maria Faustina (in polacco Maria Faustyna) Kowalska, nata Helena Kowalska (Głogowiec, 25 agosto 1905 – Cracovia, 5 ottobre 1938), religiosa polacca, è stata propagatrice della devozione a Gesù misericordioso, e nel 2000 è stata canonizzata da papa Giovanni Paolo ii. Mistica e veggente, viene venerata in tutto il mondo come l’Apostola della Divina Misericordia e nel suo Diario Gesù le usa l’appellativo di «Segretaria della Divina Misericordia». Tentò di dipingere il quadro da sola, senza riuscirvi, e fu molto provata dalla incredulità dei superiori. Nel 1925, fu ammessa nella Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia e il 30 aprile del 1926 iniziò il noviziato ricevendo l’abito e il nome di Suor Maria Faustina. Poi, trasferita a Vilnius, incontrò don Sopocko, che si impegnò a realizzare le richieste del Signore Gesù («Guidato dalla curiosità piuttosto che dalla fede nella verità di queste visioni, chiesi a un pittore Eugeniusz Kazimirowski di dipingere questa immagine»)15. Nel suo Diario leggiamo quanto segue: «22 Febbraio, 1931. La sera, stando nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido. Gesù mi disse: Dipingi un’immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù, confido in Te. Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, e poi nel mondo intero. Prometto che l’anima, che venererà quest’immagine, non perirà. Prometto pure già su questa terra, ma in particolare nell’ora della morte, la vittoria sui nemici. … Voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia. Desidero che i sacerdoti annuncino la Mia grande Misericordia per le anime dei peccatori» (dal Diario di Faustina, 22 febbraio 1931). Il Diario di suor Faustina riporta inoltre: «Attraverso questa immagine concederò molte grazie, perciò ogni anima deve poter accedere ad essa» (Diario di Faustina, 15 dicembre 1933). Il dipinto per la prima volta fu mostrato in pubblico nel santuario della Madre della Misericordia il 26-28 aprile 1935; ora il quadro è venerato nella chiesa della

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Chiese del Giubileo 2016 / santo spirito in sassia

Divina Misericordia a Vilnius. In tutto il mondo è tuttavia più famoso e venerato il quadro di Lagiewniki, a Cracovia, dipinto nel 1944 da Adolf Hyla. Con la canonizzazione della religiosa e l’istituzione della Domenica della Divina Misericordia, la spiritualità, legata anche alla preghiera dell’omonima Coroncina16, si è allargata a tutto il mondo. La Domenica in albis, così detta perché in essa i battezzati deponevano la veste bianca, dal 2000, per volontà di papa Giovanni Paolo ii, è stata detta della Divina Misericordia, e in tal giorno è concessa, secondo determinate condizioni, l’indulgenza plenaria o parziale ai fedeli. Nel Diario di santa Faustina si leggono le parole di Gesù: «Desidero che la Festa della Misericordia sia di riparo e di rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla Santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine». È la più importante di tutte le forme di devozione alla Divina Misericordia. Gesù parlò per la prima volta del desiderio di istituire questa festa a suor Faustina a Płock nel 1931, quando le trasmetteva la sua volontà per quanto riguardava il quadro: «Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia». Negli anni successivi – secondo gli studi di don I. Rozycki – Gesù è ritornato a fare questa richiesta addirittura in quattordici apparizioni, definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla, come pure le grazie ad essa legate. La scelta della prima domenica dopo Pasqua ha un suo profondo senso teologico: indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia, come ha notato anche suor Faustina: «Ora vedo che l’opera della Redenzione è collegata con l’opera della Misericordia richiesta dal Signore». Questo legame è sottolineato ulteriormente dalla no-

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3. Facciata della chiesa di Santo Spirito in Sassia, oggi Santuario della Divina Misericordia. Sulla sinistra è visibile l’immagine di santa Faustina Kowalska e del Cristo rappresentato secondo la sua visione.

vena che precede la festa e che inizia il Venerdì Santo. Gesù ha spiegato la ragione per cui ha chiesto l’istituzione della festa: «Le anime periscono, nonostante la Mia dolorosa Passione (...). Se non adoreranno la Mia misericordia, periranno per sempre». La preparazione alla festa deve essere una novena, che consiste nella recita, cominciando dal Venerdì Santo, della coroncina alla Divina Misericordia. Questa novena è stata desiderata da Gesù, che ha detto a proposito di essa che «elargirà grazie di ogni genere». Per quanto riguarda il modo di celebrare la festa, Gesù ha espresso due desideri: che il quadro della Misericordia sia quel giorno solennemente benedetto e pubblicamente, cioè liturgicamente, venerato; e che i sacerdoti parlino alle anime di questa grande e insondabile misericordia divina e in tal modo risveglino nei fedeli la fiducia. 247


capitolo 25

«Sì – ha detto Gesù –, la prima domenica dopo Pasqua è la festa della Misericordia, ma deve esserci anche l’azione ed esigo il culto della Mia misericordia con la solenne celebrazione di questa festa e col culto all’immagine che è stata dipinta». La grandezza di questa festa è dimostrata dalle promesse: «In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene», ha detto Gesù. Una particolare grazia è legata alla Comunione ricevuta quel giorno in modo degno: «la remissione totale delle colpe e castighi». Questa grazia – spiega don I. Rozycki – «è qualcosa di decisamente più grande che la indulgenza plenaria. Quest’ultima consiste infatti solo nel rimettere le pene temporali, meritate per i peccati commessi (...). È essenzialmente più grande anche delle grazie dei sei sacramenti, tranne il sacramento del battesimo, poiché la remissione delle colpe e dei castighi è solo una grazia sacramentale del santo battesimo. Invece nelle promesse riportate Cristo ha legato la remissione dei peccati e dei castighi con la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia, ossia da questo punto di vista l’ha innalzata al rango di “secondo battesimo”. È chiaro che la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia deve essere non solo degna, ma anche adempiere alle fondamentali esigenze della devozione alla Divina Misericordia». La comunione deve essere ricevuta il giorno della festa della Misericordia, invece la confessione – come dice don I. Rozycki – può essere fatta prima (anche qualche giorno). L’importante è non avere alcun peccato. Gesù non ha limitato la sua generosità solo a questa, anche se eccezionale, grazia. Infatti ha detto che «riverserà tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia misericordia»,

Le chiese del giubileo 2016 / Capitolo 26

poiché‚ «in quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto». Don Rozycki scrive che un’incomparabile grandezza delle grazie legate a questa festa si manifesta in tre modi: tutte le persone, anche quelle che prima non nutrivano devozione alla Divina Misericordia e persino i peccatori che solo quel giorno si convertissero, possono partecipare alle grazie che Gesù ha preparato per la festa; Gesù vuole in quel giorno regalare agli uomini non solo le grazie salvificanti, ma anche benefici terreni, sia alle singole persone sia a intere comunità; tutte le grazie e benefici sono in quel giorno accessibili per tutti, a patto che siano chieste con grande fiducia. Questa grande ricchezza di grazie e benefici non è stata da Cristo legata ad alcuna altra forma di devozione alla Divina Misericordia. Numerosi sono stati gli sforzi di don M. Sopocko affinché questa festa fosse istituita nella Chiesa. Egli non ne ha visto però l’introduzione. Dieci anni dopo la sua morte, il card. Franciszek Macharski con la Lettera Pastorale per la Quaresima (1985) ha introdotto la festa nella diocesi di Cracovia e, seguendo il suo esempio, negli anni successivi lo hanno fatto i vescovi di altre diocesi in Polonia. Il culto della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua nel santuario di Cracovia Lagiewniki era già presente nel 1944. La partecipazione alle funzioni era così numerosa che la Congregazione ha ottenuto l’indulgenza plenaria, concessa nel 1951 per sette anni dal card. Adam Sapieha. Dalle pagine del Diario sappiamo che suor Faustina fu la prima a celebrare individualmente questa festa, con il permesso del confessore.

SANTUARIO DELLA MADONNA DEL DIVINO AMORE

La Madonna del Divino Amore è un’immagine trecentesca: la Madre di Dio che mostra il Figlio reggendolo con la destra, e sulla spalla sinistra si vede una stella, allusione alla verginità di Maria prima, durante e dopo il parto, secondo l’iconografia bizantina. Ai lati, angeli reggono un ampio mantello azzurro che sembra ricoprire un trono, e alle spalle un drappo bianco è appeso come fosse una tenda a onorare e insieme riparare la santa coppia incorniciata da una nicchia, sulla quale si libra lo Spirito Santo. E da questa presenza dello Spirito d’Amore viene il suo appellativo. Il 4 giugno 1944, portata l’immagine in Roma a causa dei bombardamenti, la Madonna del Divino Amore, dopo un intenso ottavario di preghiere, fu implorata

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con il voto di cambiare vita, costruire un nuovo edificio santuariale e un’opera di carità, perché preservasse la città di Roma da una sanguinosa battaglia finale fra Tedeschi e Alleati: e poiché i Tedeschi lasciarono la città la notte stessa, l’11 giugno papa Pio xii, nella chiesa di Sant’Ignazio in Roma dove era stata portata, celebrò una Messa di ringraziamento e proclamò la Madonna del Divino Amore Salvatrice dell’Urbe. Al vecchio santuario settecentesco si aggiunse quindi, molti anni dopo, un nuovo edificio moderno e suggestivo di luce, progettato da padre Costantino Ruggeri (1925-2007), la cui prima pietra fu posta l’8 gennaio 1996 proprio in vista del Giubileo del 2000, per accogliere i numerosissimi pellegrini che vi si recano. L’origine dal santuario, che sorge alla periferia della città, è relativamente recente e risale a una grazia ottenuta nel 1740 da un viandante, forse pellegrino verso Roma, che, smarritosi nella campagna e assalito da un branco di cani, invocò la Vergine rivolgendosi all’immagine che vedeva sulla vicina torre semidiroccata di un castello e implorando: «Madonna mia, grazia!». L’immagine si trovava allora, forse da un seguace di Pietro Cavallini, su una delle torri di cinta del Castello dei Leoni, che con voce popolare era divenuto Castel di Leva, edificato nel xiii secolo. I cani si quietarono subito, e il pellegrino stupito raccontò il fatto ai pastori che erano accorsi alle grida. Rimesso da costoro sulla via per San Pietro, non lasciò il suo nome, ma raccontò poi a tutti quelli che incontrava ciò che gli era accaduto. Il luogo divenne famoso, e la gente accorreva a pregare l’immagine miracolosa. Conseguenza dell’afflusso dei devoti fu il distacco del dipinto e la sua collocazione, nel 1742, in una chiesa vicina; subito ne venne edificata un’altra, di cui fu incaricato l’architetto Filippo Raguzzini (1690-1771), considerato il più originale progettista del Rococò a Roma. Il 19 aprile 1745, lu249


capitolo 26

Pagina precedente 1. La facciata del Santuario della Madonna del Divino Amore.

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In questa pagina 2. La Madonna del Divino Amore, affresco del xiv secolo, attribuito a un discepolo di Pietro Cavallini.

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nedì di Pasqua, l’immagine fu traslata nel nuovo edificio e papa Benedetto xiv concesse ai partecipanti l’indulgenza plenaria, lucrabile anche nei sette giorni successivi alla festa. Il 31 maggio 1750, Anno Santo, l’altare e la chiesa furono dedicati alla Madonna del Divino Amore. Il santuario conobbe momenti di gloria, come alla celebrazione del primo centenario nel 1840, ma anche in 250

seguito di abbandono e dimenticanza. La devozione riprese intensa quando un giovane sacerdote romano ne venne proclamato rettore nel 1931, don Umberto Terenzi, che lo resse fino alla morte nel 1974: ne è stata avviata la causa di beatificazione. In pochi anni la devozione si rinnovò, i pellegrinaggi ritornarono e molte edicole in tutta Italia e «madonnelle» in Roma ripetono l’immagine miracolosa. 251


note

note

Capitolo 1 La parola deriva dall’ebraico yôbêl, un corno di ariete al cui suono veniva proclamato l’anno del Giubileo. In greco venne infatti tradotta con aphesis che vuol dire «remissione», «rinnovo», «liberazione». 2 Diversamente da quanto è per il riposo del sabato, rigorosamente sia pur variamente sempre osservato, le norme per l’anno sabbatico e quelle per l’anno del Giubileo sembrano essere state, sia prima che dopo l’esilio, prescrizioni più teoriche che praticate: il pensiero che le informava è però chiaro. Cfr. J. Alberto Soggin, Il Giubileo e l’Anno sabatico, 13 novembre 1999, Pontificio Istituto Biblico, Roma, http://www. biblico.it/doc-vari/conferenza_soggin.html 1/4 3 Circa due milioni di anni fa comparvero i primi utensili nella Valle di Olduwai in Tanzania: da allora possiamo inferire che l’uomo si muovesse per la caccia seguendo la selvaggina. Con l’inizio dell’agricoltura, l’uomo si fermò, e iniziò la grande avventura della comunità stanziale. Diecimila anni di sedentarietà non cancellano gli altri, che hanno segnato l’animo umano nel profondo. Peraltro, se alcune comunità si sono fermate, moltissime sono rimaste nomadi, e anche in quelle sedentarie fondamentale era la funzione del viaggio. 4 Ma pensiamoci bene: quando mai non è così per l’uomo? Una delle tante bellezze del cristianesimo è che propone un modello di interpretazione della vicenda umana che tiene conto del reale, e unisce le due esperienze, quella della vita e della morte, individuando nella separazione tra corpo e spirito un fatto transitorio, che si concluderà all’ultimo giorno, quando, chiuso il tempo, carne e spirito si riuniranno per l’eternità, confermando il dato primo che si presenta all’osservatore anche distratto: l’uomo è inscindibilmente costituito di materia e spirito. 5 Omero racconta il tormentato e lunghissimo ritorno di Ulisse, Dante parla di se stesso. Ulisse ha lasciato la sua Itaca chiamato alla guerra di Troia, e ad essa vuole ritornare. Per Dante il caso è più complesso: c’è una diritta via, una condizione buona precedente, dalla quale si è allontanato, così che ora è irraggiungibile: quando riesce a uscire dalla selva oscura dove si è inoltrato, simbolo del peccato, gli appare un colle illuminato dal sole nascente, che viene detto dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia (Dante, Inf. 1,77-78). 6 La parola «mistero» deriva dal verbo greco myein che significa «chiudere» (le labbra): è evidente il richiamo duplice al fatto che del mistero non si deve 1

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parlare, e che non si può parlare, perché non ci sono parole umane: l’ineffabilità è una caratteristica del mistero, che non è descrivibile con parole umane, cioè in base a esperienze umane. 7 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp. 42ss. Mircea Eliade, antropologo e storico delle religioni, nacque a Bucarest nel 1907 e morì a Chicago nel 1986. 8 M. Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1967, pp. 25ss. 9 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1984, p. 395. 10 M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., pp. 36ss.; e Trattato di storia delle religioni, cit., p. 394. 11 A tale ricerca, ogni altra, in qualsiasi altra forma, può essere per analogia assimilata. 12 La costruzione di uno spazio sacro non è comunque mai puramente umana, ma si fonda sopra una rivelazione primordiale che «svelò l’archetipo dello spazio sacro, archetipo poi copiato e ripetuto all’infinito»: M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, cit., p. 382. 13 Giovanni Paolo ii, Redemptor hominis, 1, AAS (1979). Come non ricordare anche il cielo splendente nella notte del Mausoleo di Galla Placidia, dove l’identità tra la Croce e la stella polare è svelata? 14 Le reliquie venivano spesso donate, come fondamento della fede, a nuove comunità o a comunità amiche. 15 La testimonianza delle reliquie sostenuta da prodigi (guarigioni, visioni, eventi straordinari, segni particolari: pensiamo alle reliquie dei Magi che manifestano di voler stare a Milano) è all’origine dei santuari. I luoghi sacri cristiani diventano santuari grazie a un prodigio, un fatto che concretamente ha manifestato la potenza di Dio: è questo di più di iniziativa divina che attira le folle. 16 P. Toschi, L’antico dramma sacro italiano, Firenze 1926, vol. i, p. xii. 17 Bolla Peregrinantes a Domino, in «Bollario dell’Anno Santo», Edizioni Dehoniane, Bologna 1998, p. 311. 18 Il sacro sostanziale è quello del corpo eucaristico e del corpo ecclesiale. Cfr. Y. Congar, Situation du sacré en régine chreétien, in «La Liturgie après Vatican ii», Coll. Unam Sanctam, 66, Parigi 1967, pp. 385-403, citato in J. Ries, Il sacro nella storia religiosa dell’umanità, Jaca Book, Milano 1982, pp. 223. 19 J. Ries, Il sacro, cit., pp. 221-222. 20 Basilica è parola che indica il luogo dove il re, il basileus, o un adeguato funzionario, sedeva per amministrare la giustizia e attendere ai suoi compiti. 21 S. Benedetti, Architettura sacra oggi, Roma 1995. 22 Ne abbiamo ormai pochi esempi:

pensiamo alla basilica di Sant’Ambrogio a Milano. 23 È importantissimo per i pellegrini mettere la mano sulla tomba di sant’Antonio, toccare il muro della Grotta di Massabielle, passare in ginocchio davanti alla Madonna di Czestochowa, toccare i muri della Santa Casa e farne in ginocchio il giro, abbracciare la statua di san Giacomo a Santiago de Compostela, per citare solo i più noti. 24 Si tratta di un particolare tipo di conchiglia, il pecten maximus L., caratterizzato da nervature ricurve, che si trovava in grande quantità sulle coste atlantiche che i pellegrini raggiungevano dopo esser stati a Santiago, e riportavano come documento dell’avvenuto viaggio. Questi ricordi trovarono poi anche un uso pratico, per prendere cibo, acqua, offerte. Linneo ha poi chiamato pecten jacobeus una conchiglia simile, con spigoli vivi ai bordi, che si trova solo nel Mediterraneo, e così tutte e due senza distinzione sono diventate emblemi del pellegrinaggio. 25 Le due chiavi rappresentano il potere di aprire e chiudere le porte del cielo. 26 Si noti che due appellativi derivano dalla meta, jacobei e romei, e uno dall’insegna, palmiti. Inoltre jacobeo allude al santo, romeo al luogo. 27 Anche non consecutive. 28 Cfr. 2 Sam 6. 29 La «vocazione orgiastica» di cui parla Eliade (Trattato di storia delle religioni, cit., p. 272), con il suo riferimento al rinnovamento e alla rigenerazione della vita, è proprio la chiave dell’interpretazione della festa legata ai santuari e a determinati momenti della loro vita, nonché della vita dei pellegrini che vi si recano. Infatti l’orgia, «riattualizzando il caos mistico anteriore alla creazione, rende possibile il ripetersi della creazione». 30 Il significato forte del prendere cibo insieme è innegabile in tutte le culture: si potrebbe forse dire che ciò è stato come provvidenziale disposizione in vista dell’Eucaristia, cibo che tutti i cristiani condividono e che li unisce in un solo corpo. 31 La dizione «ex-voto» sottolinea il compimento di una promessa, uno scambio tra Dio e il fedele: che aveva un desiderio, ha promesso un ringraziamento di un certo tipo se il desiderio fosse stato esaudito, per cui il fedele ringrazia nel modo promesso. La dizione pgr (Per Grazia Ricevuta) sembrerebbe più adeguata a un intervento improvviso a favore del fedele, che magari ha appena il tempo di un pensiero o di richiamare alla mente un’immagine amata: è il caso degli incidenti, per esempio, da cui si esce illesi. Queste scritte, quasi sempre apposte

sugli oggetti donati in riconoscimento della grazia, hanno finito per dare il nome a qualunque oggetto venga portato al santuario con questo intento. 32 Su cui tutti, in primis l’autorità ecclesiastica, dovrebbero vigilare: non certo chi acquista, che prende ciò che trova a un prezzo adatto alle sue possibilità. Sulla vendita di oggettistica devozionale, si dovrebbe esercitare la stessa attenzione che si riserva al divieto di entrare in chiesa in calzoncini corti: ne va ugualmente dell’onore reso al luogo sacro. 33 È peraltro analoga a quella delle foto. 34 Emerge dalle diverse ritualità la diversa «specializzazione»: a Santiago, a Lourdes si va a chiedere, mentre a Fatima si va a ringraziare; a Czestochowa è sottolineato il senso dell’identità nazionale, a Guadalupe il senso della maternità di Maria, madre di tutti i popoli; a Loreto si cerca il perdono nella confessione; a Padova si cerca la quotidianità della grazia presso un santo potente taumaturgo. Non è facile cogliere questa specializzazione dei santuari. L’analisi infatti presuppone una osservazione partecipante, condizione essenziale per capire che cosa accade; presuppone una osservazione attenta e la disanima di quanto si è visto e sentito, in base a ciò che si è visto e sentito. In altre parole, per cogliere lo specifico dei santuari bisogna parlare con i pellegrini, ascoltarli e capire chi è il loro interlocutore, che cosa gli chiedono. Il tutto unito a una ricerca bibliografica veramente interdisciplinare, che cioè tenga conto di tutti i fattori in gioco e non estrometta per principio il mistero e la fede. Si segnalano a tal proposito gli studi del compianto prof. Paolo Giuriati del Centro Ricerche SocioReligiose di Padova. Capitolo 2 M. Giraudo, L’Anno Santo nella tradizione, in «Sapienza», vol. ii, n. 2, 1949, p. 81. 2 Citiamo il suo testo nella traduzione italiana curata da Claudio Leonardi, con testo critico di Paul Gerhard Schmidt e note di Antonio Placanica, Firenze 2001, indicandolo nel corpo del testo come: De centesimo, pagina e note. Iacopo Gaetano Stefaneschi (Roma 1270 ca. – Avignone 1343), di nobile famiglia romana presente dal x secolo, nipote per via di madre del card. Matteo Orsini, studiò a Parigi, poi a Bologna. Nominato canonico di San Pietro, si aggiunse il nome Caietanus come nipote di Giovanni Gaetano Orsini, cioè papa Niccolò iii, suo padrino, e fu sempre legato ai Caietani, e in 1

particolare a papa Bonifacio viii, nato Benedetto Caetani (1230 ca. – Roma 1303). Fu accanto a papa Celestino v, e fu creato cardinale da papa Bonifacio; alla sua morte, e dopo l’elezione di Bertrand de Got a papa col nome di Clemente v (1305), seguì in Avignone la curia pontificia. Narrò le vicende di Celestino v in un’opera in versi, l’Opus metricum, e, soprattutto, scrisse in prosa una preziosa memoria del Giubileo del 1300, il De centesimo seu iubileo anno liber. Generoso amante delle arti, fra le altre cose commissionò a Giotto il celebre mosaico della Navicella, che fu nell’antica basilica di San Pietro, poi rifatta dal Maderno nell’attuale. 3 Nel Bollario, p. 5, invece si legge che ciò accadde la sera del 24 dicembre 1299, ultimo giorno dell’anno secondo l’usanza della Curia romana che seguiva lo «stile della Natività». Tuttavia, Iacopo Stefaneschi, che c’era, scrive con chiarezza che ciò accadde «prima iuanuarii dies novelle misterium remissionis occoluit» (p. 4). 4 Con C. Frugoni, Due papi per un giubileo. Celestino v, Bonifacio viii e il primo Anno Santo, Milano 2000, pp. 196-197, citata nel De centesimo, p. 48, n. 15. 5 Già i Romani celebravano in questo periodo l’inizio del nuovo anno: erano giunti a ciò gradualmente, e tale inizio aveva oscillato a lungo tra il solstizio invernale e l’equinozio primaverile. Un primo calendario, di dieci mesi, attribuito a Romolo, fissava l’inizio dell’anno a marzo, mese dedicato a Marte, padre di Romolo e Remo, leggendari fondatori della città. Numa Pompilio avrebbe poi aggiunto gennaio e febbraio; gennaio, Ianuarius, posto sotto la protezione di Giano, garante di tutti gli inizi, e febbraio fungevano come da preparazione al capodanno, ancora fissato alle Idi di marzo. Ma già alla vigilia della riforma del calendario voluta da Giulio Cesare nel 46 a.C. il 1° gennaio, cioè le Kalende, aveva preso il sopravvento, come capodanno, sulle Idi di marzo. L’ingresso dei consoli, fissato nel 222 a.C. alle Idi di marzo, venne fissato nel 153 alle Kalende di gennaio, cioè al 1° gennaio, che si avviò così a sostituire le Idi di marzo come capodanno. Con la riforma del calendario voluta da Giulio Cesare, la riforma giuliana, il capodanno fu fissato definitivamente al 1° gennaio, mentre alle Idi di marzo rimanevano delle generiche festività collegate al rinnovamento cosmico. Con l’affermarsi del cristianesimo, inizialmente il problema fu se fissare il tempo dell’inizio della nuova era al momento del concepimento, l’Incarnazione, o a quello della nascita. La data del capodanno era stabilita secondo di-

versi «stili»: lo stile della Natività fissava il capodanno al 25 dicembre; quello dell’Incarnazione o fiorentino (in uso a Firenze) al 25 marzo; quello della Pasqua o francese, in uso in Francia fino al 1564, alla domenica di Pasqua; il veneto, in auge a Venezia fino al 1797, al 1° marzo; il bizantino, in auge nelle Puglie e in Calabria nel Medioevo, al 1° settembre. Lo stile attualmente in uso, che fissa il capodanno al 1° gennaio, è detto moderno o della Circoncisione, perché la circoncisione di Gesù è ricordata otto giorni dopo la nascita fissata al 25 dicembre. Peraltro, il 1° gennaio, che non fu nel Medioevo festeggiato come capodanno perché non legato a ricorrenze particolarmente significative o a eventi astronomici, non è neppure oggi sentito come vero capodanno né dalla Chiesa (che inizia l’anno liturgico all’inizio dell’Avvento) né dalla gran parte della gente, che pure in massa partecipa alle ritualità ora organizzate anche da diversi soggetti per una celebrazione enfatizzata del nuovo anno: il 1° gennaio rivela rapidamente la sua natura di data convenzionale, e l’inizio del nuovo tempo, almeno alle nostre latitudini, è più sentito forse alla fine dell’estate, quando riprendono, dopo la pausa della stagione calda che rallenta molte attività, in primis quella scolastica (con tutto l’indotto collegato), e fa sospendere il lavoro per periodi di vacanza e riposo. Nel Medioevo il vero capodanno era il 25 dicembre, collegato all’evento del solstizio e alla nascita di Gesù. 6 Per la verità la Curia Romana celebrava anche civilmente (ma allora tale distinzione sarebbe parsa sconcertante e artificiosa) l’inizio dell’anno il 25 dicembre, alla nascita di Gesù, prendendo questo come il momento iniziale di un nuovo ordine e di ogni nuovo anno. 7 Cioè la domenica dopo l’ottava dell’Epifania, quell’anno il 17 gennaio. Per la tradizione relativa, vedi Santo Spirito in Sassia. 8 Bolla è parola che deriva dal latino bulla= sigillo, Bolla viene detto il documento sigillato col piombo. 9 Ecco l’intero testo, nella traduzione di P. Perali che M. Giraudo riporta (op. cit. p. 81): “Bonifacio Vescovo, Servo dei servi di Dio, per la certezza dei presenti e per la memoria dei futuri. C’è relazione degna di fede da parte di vecchi che a coloro, i quali accedono alla onoranda Basilica del Principe degli apostoli in Roma, sono concesse grandi remissioni e indulgenze dei peccati. Noi, dunque, che secondo i doveri del nostro ufficio ricerchiamo e procuriamo con viva soddisfazione il vantaggio dei singoli, ritenendo certe e da rispettarsi tutte

e singole queste indulgenze, queste stesse, con l’autorità apostolica, confermiamo, approviamo e anche rinnoviamo e rafforziamo col patrocinio di questa scrittura. E, pertanto, affinché i Beatissimi apostoli Pietro e Paolo tanto più siano onorati quanto più devotamente le loro Basiliche saranno affollate dai fedeli, ed affinché gli stessi fedeli si sentano sempre più rinfrancati con una elargizione di doni spirituali per quel loro concorso, Noi, affidandoci alla misericordia di Dio Onnipotente e ai meriti e all’autorità dei medesimi apostoli, col consiglio dei Nostri fratelli e nella pienezza del potere apostolico, a tutti quelli che nel presente anno mille e trecento, cominciato da poco con la festa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, ed in qualunque altro centesimo anno seguente accederanno alle suddette basiliche con riverenza e veramente pentiti e confessati ed a quelli che veramente si pentiranno in questo presente centesimo anno ed in qualunque anno centesimo avvenire, non solo concediamo pieno e assai largo, ma anzi pienissimo perdono dei loro peccati: stabilendo che coloro, i quali vogliano esser fatti partecipi di simile indulgenza da Noi concessa, se saranno Romani, almeno per trenta giorni continui o intercalati e almeno una volta al giorno; se poi saranno pellegrini o forestieri allo stesso modo per quindici giorni accedano alle suddette Basiliche. E ciascuno tanto più meriti e tanto più efficacemente consegua l’indulgenza se le stesse Basiliche più ampiamente e più devotamente avrà frequentate. A nessun uomo giammai sia lecito infirmare questo pubblico atto della conferma approvazione innovazione concessione e costituzione Nostra, né gli sia lecito, con temerario ardire, contraddirvi. Se poi alcuno avrà avuto la presunzione di tentar ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo apostoli. Dato in Roma, presso S. Pietro, il 22 febbraio, l’anno sesto del Nostro Pontificato.” Copie della bolla furono inviate alle Chiese, con lettera esplicativa del segretario del Papa, Silvestro, che vi appose una cantilena divenuta ritornello dei pellegrini e dei predicatori. In questo e in altri documenti Bonifacio non usa il termine anno giubilare, ma parla di centesima indulgenza: in precedenza si erano usati i termini centesimo secolare e indulgenza del centesimo. 10 La bolla fu promulgata il 16 febbraio dal Laterano, e il 22 febbraio in San Pietro. Quest’ultima è la data che compare nell’epigrafe, che riporta l’intera bolla, fatta porre da Bonifacio

sotto il portico di San Pietro, presso la Porta Santa. 11 È peraltro la stessa logica delle preghiere per impetrare le grazie: tridui, novene, coroncine, di cui la pietà personale e comunitaria si è arricchita via via, altro non sono che modi diversi per applicare la mente e il cuore a un’adesione al progetto divino, fino a realizzarla nell’abbandono alla misericordia. 12 L’espressione, che riprende quella di Giovanni Monaco nel suo commento alla bolla di Bonifacio viii Antiquorum habet fida relatio, è contenuta nella bolla apostolica Apostolorum limina (Bollario, 1321). Tale commento, detto Glossa aurea in Sextum Decretalium D. Bonifacii viii, è fondamentale per la definizione della dottrina di Bonifacio viii sulle indulgenze; il testo fu poi pubblicato a Parigi nel 1535. Giovanni Monaco, cioè Jean Le Moine, o Lemoine, nacque a Crécy, di modesta famiglia, divenne dottore in teologia a Parigi; chiamato a Roma da Celestino v, che lo creò cardinale il 18 settembre 1294, fu vescovo di Arras e titolare della chiesa dei Santi Pietro Marcellino, e vice cancelliere pontificio; dopo l’abdicazione di Celestino v, rimase accanto a Bonifacio viii e poi a Clemente v, che seguì ad Avignone, dove morì il 22 agosto 1313/4. 13 «Confessori» sono detti quei santi che non morirono per il martirio ma professarono palesemente la fede. 14 Queste insegne erano di piombo o di stagno: materiali deperibili, per cui ne sono rimaste ben poche: le più antiche sono del xii secolo, le più recenti del xvi: poi vennero sostituite dalle medaglie con attaccaglia in uso fino ad oggi. 15 Ricordiamo che la prima corona, all’epoca di papa Pasquale ii, del 1099, allude al potere spirituale; la seconda, voluta da Bonifacio viii, al potere regale; la terza, voluta da papa Urbano v, al potere temporale. 16 Bollario, 4. 17 È difficile qui non pensare a tutti quegli itinerari che a Lourdes (il percorso di un giorno) e a Fatima (il triplice giro intorno alla cappellina), o nei Sacri Monti e nelle pratiche similari, conducono il pellegrino in un cammino materiale e spirituale che per così dire prolunga e approfondisce l’incontro con la Vergine, il Figlio, il Padre. 18 Bollario, 311. 19 C’è un cerimoniale preceduto da un’accurata preparazione, ma come per tutte le cose umane e gli eventi in diretta anche qui a volte si hanno delle sorprese, come lo sfarinìo di calcinacci all’apertura della Porta Santa nel 1975. 20 Bollario, 1334. 21 Bollario, 1518. 22 Fu lo stesso Bonifacio viii a iniziare

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quest’uso: il 25 dicembre 1300, chiudendo il primo Giubileo, Bonifacio concesse l’indulgenza anche a chi non avesse già compiuto tutti i riti, o fosse morto prima di averli espletati, o avesse intrapreso il pellegrinaggio senza poterlo concludere; e prorogò il termine per l’acquisto dell’indulgenza alla Pasqua del 1301. 23 Sempre fatto salvo il principio del card. Biffi, per cui «piove dove vuole»: principio per nulla contraddittorio, perché comunque l’acqua che dà la vita è evidentemente una sola. Capitolo 3 Papa Leone iv (848-852) aveva eretto una cinta muraria detta oggi delle Mura Leonine, per proteggere il Colle Vaticano e la basilica di San Pietro dai musulmani che l’avevano saccheggiata nell’agosto dell’846, durante il pontificato di papa Sergio ii (papa dell’844 alla morte) che si dice ne sia morto di dolore nel gennaio dell’847. 2 Bollario, p. 20. 3 Bollario, p. 31. 4 Santa Brigida di Svezia (1303-1373), mistica, veggente e fondatrice, di nobile famiglia, a sette anni ebbe la prima visione della Vergine, che le pose sul capo una corona, e a dieci le apparve Gesù Crocifisso. Sposa di Ulf Gudmarson, fece con lui molti pellegrinaggi; rimasta vedova, fondò un nuovo ordine dedito al culto della Passione. Le dobbiamo le Rivelationes, che molto influirono sulle rappresentazioni della vita di Gesù. 5 Bollario, p. 55. 6 Bollario, pp. 106-109. 7 «Ascendite itaque accincti renes in sanctam hanc Hierusalem, sacerdotalem regiamque civitatem, quae per sacram beati Petri Sedem caput orbis effecta latius praesidere conspicitur religione divina, quam dominatione terrena» (Bollario, p. 813). 8 Bollario, p. 927. 9 Bollario, p. 1535. 1

Capitolo 4 Ponti del diavolo vengono detti in molte leggende locali ponti in pietra che apparivano ormai non poter essere opera umana. Citiamo per tutti il Ponte Gobbo di Bobbio, sul fiume Trebbia, di epoca romana. 2 C’è da notare che la moltitudine di vie e di percorsi storici rivive oggi nelle riscoperte che tendono a promuovere non tanto la fede quanto il turismo: molti sono poi i percorsi delineati a tavolino, nel seguire oggi i passi effettivi di un santo, o le sue memorie. Non 1

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resta che appellarsi a quanto si dice sul camino verso Santiago, che «si parte turisti e si arriva pellegrini». A Thomas von Orla, in crisi dopo la guerra, protagonista de La vita semplice, un sacerdote dice: «Troverà certamente il suo Angelo. Chi cammina tanto, lo incontra di sicuro» (E. Wiechert, La vita semplice, Verona 1957). 3 Canterbury, l’antica Durovernum Cantiacorum, capitale dal 560 del regno anglosassone del Kent (Cantius), fu la prima sede vescovile inglese quando nel 597 sant’Agostino di Canterbury vi fondò la prima diocesi latina della Gran Bretagna. 4 Sigerico, educato nell’abbazia di Glastonbury, divenne vescovo di Canterbury; fu uomo di grande cultura. Per il suo diario di viaggio di cui qui si parla, cfr. W. Stubbs, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, vol. 63, London 1874. 5 Il pallio (dal latino pallium, mantello di lana) è un paramento liturgico cattolico, un tempo portato dai vescovi e oggi riservato al Vescovo di Roma e ad alcuni arcivescovi metropoliti: è simbolo della pecora portata sulle spalle da Cristo Buon Pastore: segno della comunione con il Papa, è simbolo dell’ufficio pastorale e della disponibilità al sacrificio. È tessuto con la lana di due agnelli bianchi benedetti il giorno di sant’Agnese, che ha come emblema un agnello perché, come dice sant’Ambrogio, morì sgozzata mentre invocava il suo Dio; è costituito da una strisca di lana bianca con frange e croci nere o rosse. I pallii benedetti sono conservati in uno scrigno d’argento presso la tomba di san Pietro. Gli arcivescovi dovevano richiederlo al Pontefice e andare di persona a riceverlo, senza possibilità di delega, per poter prendere possesso della sede. 6 Diciamo qui una volta per tutte che, stando agli usi dei pellegrini, non c’è dubbio che Roma fosse visitata solo per dovere d’ufficio o per devozione e non per diporto: in estate (quando cioè vi si giungeva muovendosi con i tempi medievali, per cui si viaggiava dalla primavera al primo autunno, per motivi climatici) l’aria di Roma era calda, umida e malsana, il Tevere straripava con penosa regolarità, ogni affollamento portava a pestilenze. In Roma Sigerico si recò in primo luogo in San Pietro, poi visitò una ventina di chiese, tra le quali tre dedicate a Maria oltre a Santa Maria Maggiore e Santa Maria in Trastevere, tre dedicate a San Lorenzo, quelle di San Valentino, Sant’Agnese, San Sebastiano, Sant’Anastasio, San Paolo, San Bonifacio, Santa Sabina, Santa Cecilia, San Crisogono, San Pancrazio, i Santi Apostoli,

San Giovanni in Laterano, Gerusalemme (Santa Croce in Gerusalemme), San Pietro in Vincoli. 7 Questo sventurato popolo mal compreso in Italia, cui ha fatto in realtà gran bene, spazzato via dai Franchi, ha lasciato notevolissime tracce nell’arte e nella toponomastica: basti pensare al nome della regione Longobardia che diventa Lombardia. La via di Monte Bardone univa le due parti delle conquiste in Italia, la parte a nord dove era la sede del regno, Pavia, e la parte a sud di Roma, cioè i ducati di Sutri, Spoleto e Benevento. 8 Per gli Annales Stadenses auctore Alberto cfr. Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, vol. xvi, Hannoverae 1858. 9 Il dialogo inizia con la domanda di Firri a Tirri: «Voglio andare a Roma, illustrami la via». 10 R. Stopani, Le vie di pellegrinaggio del medioevo, Le Lettere, Firenze 1991. 11 Santa Cristina, convertitasi al cristianesimo, appena undicenne subì numerosi e durissimi tormenti, anche dallo stesso padre, funzionario militare romano, che la fece gettare nel lago con una pietra legata ai piedi: la santa, secondo la leggenda, tornò a riva poggiando i piedi sulla pietra, che conservò le impronte dei suoi piedi: su questa pietra sarebbe stato eretto l’altare detto delle pedate. Cristina fu poi uccisa con un colpo di spada. Era la fine del iii secolo, e il culto di Cristina fu forte e molto diffuso. Il masso con le impronte dei suoi piedi si trova oggi nel cimitero paleocristiano, detto Catacomba di Santa Cristina. All’epoca del miracolo era inglobato nell’altare, e i pellegrini lo veneravano. La chiesa, romanica, fu consacrata nel 1077. 12 La tradizione vuole che fossero presenti san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio. 13 C’erano già state le visioni della beata Giuliana di Mont-Cornillon o di Liegi che aveva visto la luna traversata da una fascia scura: con il suo confessore aveva interpretato che ciò segnalasse la mancanza nella Chiesa di una festa dedicata all’Eucaristia. In seguito a ciò la festa era stata introdotta nella diocesi di Liegi nel 1246. Urbano iv era allora arcidiacono a Liegi. 14 La bolla Transiturus de hoc mundo. 15 L’Ufficio fu scritto da san Tommaso d’Aquino, e contiene il famoso inno Pange lingua, capolavoro di bellezza e teologia. Capitolo 5 La parola urbs indicava la città come complesso di edifici chiuso da mura. Sembra derivare dal verbo urvare, che 1

significa «tracciare il solco», e qui si intende il solco che delimita la cinta muraria. E pensando alla prima fondazione leggendaria di Roma, in cui Romolo traccia il solco sacro, è bello qui ricordarlo: come se Roma fosse l’urbs per eccellenza. Vedi: A.A.V.V., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, utet, Torino 1990. 2 A. Giardina (a cura di), Roma antica, Milano 2002. 3 F. Gregorovius (1821-1891), storico medievista tedesco. 4 G. Spini, Storia dell’Età Moderna, v. i, p. 121, Torino 1965. 5 Cfr. Vita di Costantino (61-63). Eusebio di Cesarea (265-340), vescovo, scrittore (in lingua greca), padre della Chiesa, autore di una notevole Storia della Chiesa che è preziosa fonte di notizie, fu anche consigliere e biografo dell’imperatore Costantino, di cui appunto scrisse una Vita. 6 Cfr. Annales Valesiani, 6.35. Nicomedia, oggi İzmut in Turchia, antica città dell’Anatolia, era divenuta capitale della parte orientale dell’Impero, secondo la divisione tetrarchica di Diocleziano, che qui pure era stato nominato Augusto nel 284; da questa sede nel 311 era stato promulgato un primo editto di tolleranza verso i cristiani. 7 Eusebio di Nicomedia († 341), nativo di Beirut, fu vescovo di Nicomedia, e fu seguace dell’eretico Ario. Eusebio di Cesarea nella sua Vita Constantini, ariano del iv secolo, famoso perché avrebbe battezzato l’imperatore Costantino i. 8 Il Liber pontificalis, o Libro dei papi, è antica e preziosa fonte, cosiddetta dal xv secolo, per la storia del cristianesimo, risalente al vii secolo, attribuita, almeno nella parte iniziale, a papa Damaso (pontefice dal 366 al 384); è un elenco cronologico dei pontefici dalle origini al ix secolo, e poi fino papa Pio ii (1464). Opera di funzionari curiali, presenta voci (anni di ministero, origini e vita, opere) via via più ricche, e dal vii secolo redatte da contemporanei. Le redazioni sono varie, fondamentali quelle di E. Duchesne (1886-92) e di T. Mommsen (1898). Cfr. H. Leclerq, Liber Pontif., in «Dict. d’arch. chrét.», ix, 1, p. 354; e A.A. Verardi, La genesi del Liber Pontificalis alla luce delle vicende della città di Roma tra la fine del v e gli inizi del vi secolo. Una proposta, in G.L. Potestà (a cura di), Da vescovi di Roma a papi. L’invenzione del «Liber Pontificalis», in «Rivista di storia del cristianesimo», Brescia 2013, pp. 7-28. 9 Per questo testo, vedi: A. Fraschetti, Dal Campidoglio alla basilica di Pietro. Aspetti del paesaggio urbano a Roma in epoca tardo antica, p. 15, n. 19, in M.

Andaloro, S. Romano, Arte e iconografia a Roma da Costantino a Cola di Rienzo, Milano 2000. 10 Vedi V. Grossi, L’imperatore Costantino alle radici dell’Europa?: http:// www.vatican.va/roman_curia/pont_ committees/scienstor/it/attivita/Doc/ Vittorino%20Grossi%20-%20Costantino.pdf; e M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2005, Hermes-Einzelschriften, 95). «Marilena Amerise aprì il sipario sul discusso battesimo di Costantino e la sua tradizione…ricostruendo, attraverso un ampio numero di fonti, le vicende del passaggio dalla narrazione nicomediense del battesimo di Costantino a quella romana. Eusebio di Cesarea, nella sua Vita di Costantino (61-63), racconta che l’imperatore ricevette il battesimo poco prima di morire, nel 337, in un sobborgo di Nicomedia. Tace tuttavia dell’officiante. Sul nome del battezzatore dell’imperatore si creò una vera difficoltà nella tradizione del riferimento della notizia. Quel nome corrispondeva a Eusebio di Nicomedia, un vescovo ritenuto vicino al pensiero di Ario. Le fonti per tale motivo non sono sempre omogenee, alcune dicono ad esempio che l’imperatore venne battezzato a Nicomedia, altre che ivi fu ribattezzato, ecc. Così Prospero di Aquitania, nel suo Chronicon del 455, riporta la notizia del battesimo nicomediense. La Cronica Gallica a. dxi, invece, afferma che Costantino fu “ribattezzato” a Nicomedia, pur non dicendo nulla di un eventuale “primo battesimo”, il legittimo, che per lui sarebbe stato quello romano». 11 M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2005, Hermes-Einzelschriften, 95). 12 Iacopo da Varazze, Legenda aurea, edizione a cura di A. e L. Brovarone, Torino 2007, pp. 84-85. 13 Eusebio di Cesarea narra nella biografia di Costantino (Vita di Costantino, 1,25-30), scritta subito dopo la morte dell’imperatore, che, mentre stava venendo a Roma per combattere Massenzio, Costantino invocò gli dèi, e, poco dopo mezzogiorno, insieme a tutto il suo esercito, ebbe l’apparizione di un incrocio di luci sopra il sole e della scritta èν τοú τω. νíκα. Nella notte successiva gli apparve Cristo stesso, in sogno, gli ordinò l’adozione del segno apparso in cielo come proprio vessillo. Costantino poi chiamò dei sacerdoti cristiani per apprendere di più della nuova religione. Eusebio ricevette il racconto dallo stesso Costantino. Non dimentichiamo peraltro la versione di Lattanzio (Sulla morte dei Persecutori,

44, 3-5): «Costantino fu esortato in sogno a far contrassegnare gli scudi dei suoi soldati con i segni celesti di Dio e a iniziare quindi la battaglia. Egli fece così e, girando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera greca (x), scrisse in forma abbreviata cristo sugli scudi». 14 Chi-rho, detto anche monogramma di Cristo: formato dalle lettere xp (che sono le prime due lettere greche della parola greca ΧΡΙΣΤΟΣ, cioè Christos). 15 Diocleziano, imperatore romano dal 284 al 305, dopo anni di turbolenze, giunse alla decisione di dividere l’impero per renderne più agevole il controllo dei territori che andavano dall’Atlantico alla Persia. Dal 286 d.C., il governo era esercitato da quattro sovrani, due Augusti e due Cesari. Le quattro parti erano divise in diocesi: Diocleziano riservò le due maggiori a sé e a Massimiano, e le due minori a Galerio (Illirico) e Costanzo Cloro (Gallia, Britannia e Ispania). Il potere supremo era riservato a Diocleziano (senior augustus). Ciascuno dei tetrarchi pose la propria sede dove più gli era garantito il controllo del suo territorio: Costanzo Cloro a Treviri (in Germania), Massimiano a Milano (in Italia), Galerio a Sirmio (l’attuale Sremska Mitrovica in Serbia), Diocleziano a Nicomedia (oggi İ zmut in Turchia). Roma dunque era fuori gioco. Ma il meccanismo della successione, dopo lunghi anni di tranquillità, si inceppò e seguì un periodo di guerra civile, che terminò quando Costantino, che già aveva vinto a Ponte Milvio, nel 324 sconfisse Licino e rimase unico imperatore. 16 H.I. Marrou, Decadenza romana o tarda antichità?, Milano 1979, p. 102. 17 H.I. Marrou, Decadenza romana o tarda antichità?, cit., p. 105. 18 Cfr. Sandro Benedetti: «Col paleocristiano si assiste ad un processo di utilizzazione e trasformazione di tipologie organizzative e costruttive dell’architettura pagana pre-cristiana contestuale ad un convinto processo di riconversione simbolica che, accentuando e modificando parcamente i vecchi impianti – siano essi quello della basilica-mercato o l’aula di udienza imperiale – mette a punto il nuovo organismo atto a divenire il luogo di culto cristiano... Elemento fondamentale del nuovo spazio è la grande sala, luogo dove il popolo affluisce per la preghiera e dove, attraverso la celebrazione eucaristica, si ripete il rito dell’ultima cena. La grande aula del mercato viene ruotata, viene direzionata longitudinalmente e polarizzata su uno dei lati corti del rettangolo, spostando l’ingresso sul lato corto. Lo spazio si presenta così nella sua profondità, scandito dai ritmi

architettonici laterali delle colonne, poste a dividere la navata principale dalle navate laterali. Il luogo della celebrazione eucaristica diviene così il fulcro dello spazio. Per segnalare questo nuovo centro simbolico tutte le strutture “convergono” e “tendono”, nei loro valori formali e visuali, verso di esso; mentre, a raccogliere e chiudere il movimento polarizzato, il fondo dell’aula rettangolare risuona spazialmente con una grande abside. Questa, a causa della forma semicilindrica, chiusa da catino e semicalotta, si evidenzia nettamente per forma e per significato dallo spazio dell’aula. La grande semicupola evidenzia la realtà liturgica e ne segna simbolicamente il ruolo sacramentale. La sintesi che viene a costituirsi tra “movimento” convergente verso l’altare delle sequenze formali – delle pareti, del pavimento, del ritmo delle arcate, dei cornicioni, del soffitto, delle finestre – e la risonante immobilità della curva dall’abside cupolata, concentra sul fondo il senso del processo di formalizzazione di tutto l’organismo: ricostituendo l’unità tra processo formale e significato simbolico dell’architettura» (S. Benedetti, Archiettura sacra oggi, Roma 1995). 19 A. Fraschetti, Dal Campidoglio alla basilica di san Pietro, in p. 11, M. Andaloro, S. Romano, Arte e iconografia a Roma, Jaca Book, Milano 2000, pp. 11 e sgg.. 20 Paolo Orosio (375 ca. – 420 ca.), sacerdote e storico, collaboratore di sant’Agostino d’Ippona, scrisse gli Historiarum adversos paganos libri vii (Sette libri delle storie contro i pagani). 21 A. Fraschetti, Dal Campidoglio alla basilica di san Pietro, cit., p. 21. 22 Suggestiva è l’idea, suggerita da M. Faggiolo, che il disegno delle mura aureliane possa essere ricondotto a due immagini, quella dell’aquila e quella di una stella a sette punte, come segno di definitiva consacrazione di Roma come Città del Sole e con riferimento ai sette pianeti reggenti, che rimandano ai sette colli, ai sette re, e magari, in un prosieguo del tempo, anche alle sette basiliche della Litania Septiformis. M. Faggiolo, Da Pietro a Pio ix. Le pietre miliari della Roma Sancta, in «L’arte degli anni santi», Milano 1984, pp. 24ss. 23 Cfr. ibidem. 24 Ibid., p. 30. 25 Ibid., p. 31. 26 H. Brandenburg, Le prime chiese di Roma, Milano 2004, p. 18. 27 B. Hamarneh, L’incidenza del pellegrinaggio nella diffusione degli stilemi artistici nel iv-v secolo, in «Communio», n.160-161, luglio-ottobre 1998 28 E. Parlato, Le icone in processione, in M. Andaloro, S. Romano, Arte e icono-

grafia a Roma da Costantino a Cola di Rienzo, Milano 2000, p. 72. 29 Cfr. E. Parlato, Le icone in processione, in M. Andaloro, S. Romano, Arte e iconografia a Roma da Costantino a Cola di Rienzo, Milano 2000, p. 73. 30 La via Felice «doveva correre tra i due stremi di piazza del Popolo e di S. Croce in Gerusalemme, tagliando a croce la via Pia nel quadrivio della Quattro Fontane. Il pellegrino entrato a Roma da Porta del Popolo avrebbe potuto percepire quasi l’influsso diretto di tre delle sette basiliche: due unite effettivamente dalla Strada Felice (Santa Maria Maggiore e S. Croce) e la terza presente idealmente come meta della via del Babuino (San Giovanni in Laterano)... oltre alla Strada Felice era progettato un rettifilo tra S. Giovanni e S. Paolo» M. Faggiolo, Da Pietro a Pio ix, cit., pp. 34-35. Capitolo 6 Th.l.L., vii/2, col. 1405, 66-78. A ciò va aggiunto che la visita alle tombe degli Apostoli fu resa obbligo canonico da papa Sisto v, che con la costituzione Romanus Pontifex del 20 dicembre 1585 stabilì che tutti i vescovi dovessero recarsi a Roma ogni tre anni ad veneranda limina Apostolorum, sottoponendo alla Sacra Congregazione del Concilio una relazione scritta circa lo stato della loro diocesi. 2 R. Guardini, I santi segni, in Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia 1980, p. 153. 1

Capitolo 7 Confessione è anche quella parte della chiesa ove è deposta la spoglia del confessore della fede. Confiteor significa «dichiaro apertamente». 2 Del 1612-14, opera di Ambrogio Buonvicino (c. 1552-1622). 3 Cfr. K. Baus, H. Jedin, Storia della Chiesa, vol. i, Milano 1976, pp. 145146. 4 San Clemente i (Roma?- Sebastopoli, 23 novembre 100), quarto vescovo e papa di Roma, dal 92 al 97. Una tradizione del iv secolo vuole che sia stato esiliato in Crimea e poi gettato in mare con un’ancora per ordine di Nerva. La lettera fu scritta da Roma a nome della sua comunità ai cristiani di Corinto, per allontanarli dai vizi mostrandone i gravi effetti. 5 «Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo i buoni apostoli. Pietro per l’ingiusta invidia non una o due, ma molte fatiche sopportò, e così col martirio raggiunse 1

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il posto della gloria. Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell’oriente e nell’occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell’occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza» (i Clemente papa, Cor 5,1-4). 6 Cfr. K. Baus, H. Jedin, Storia della Chiesa, vol. i, cit., p. 144. 7 Ignazio di Antiochia, detto l’Illuminatore (35 ca. – Roma, 107 ca.), discepolo di san Giovanni Evangelista, terzo vescovo di Antiochia (e successore di Pietro) fino al 100-107, quando fu vittima della persecuzione voluta da Traiano: fu arrestato, condannato e portato a Roma, per essere dato in pasto alle belve negli spettacoli del circo. Durante il lungo e lento viaggio, in prigionia, scrisse sette lettere. 8 L’Ascensione di Isaia è un apocrifo dell’Antico Testamento pervenutoci in greco su redazione definitiva di inizio ii secolo d.C. 9 L’identificazione di Roma con Babilonia ritorna più volte, come in Ap 14,8. 10 Altre testimonianze vengono da Dionigi di Corinto (Eusebio, Hist. Eccl, 2,25,8); Ireneo di Lione (Adversus haer. 3,1-3); Tertulliano, secondo il quale «Pietro venne a Roma fatto simile al Signore nel martirio» (De Praescriptione haeret. 36,3. ml. 2, c. 9) e battezzò nel Tevere (De Baptism. 4. ml. 1, 1203). 11 Ecco la traduzione latina dall’originale greco: «Sed quoniam valde longum est in hoc tali volumine omnium ecclesiarum enumerare successiones, maximae et antiquissimae et omnibus cognitae, a gloriosissimis duobus apostolis Petro et Paulo Romae fundatae et constitutae ecclesiae, eam quam habet ab apostolis traditionem et adnuntiatam hominibus fidem per successiones episcoporum pervenientem usque ad nos indicantes, confundimus omnes eos qui quoquo modo, vel per sibiplacentiam vel vanam gloriam vel per ceacitatem et sententiam malam praeterquam oportet colligunt. Ad hanc enim ecclesiam propter potentiorem principalitatem necesse est omnem convenire ecclesiam, hoc est eos qui sunt undique fideles, in qua semper ab his qui sunt undique conservata est ea quae est ab apostolis traditio» («Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest’opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prendiamo la Chiesa più grande e la più importante e conosciuta da tutti, fondata e istituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo, e, mostrandone

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la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi, confondiamo tutti coloro che in qualunque modo, o per infatuazione o per vanagloria o per cecità e per errore di pensiero, si riuniscono oltre quello che è giusto. Con questa Chiesa infatti, per la sua più forte preminenza, è necessario che concordi ogni Chiesa, cioè i fedeli che da ogni parte del mondo provengono; con essa, nella quale da coloro che da ogni parte provengono fu sempre conservata la tradizione che discende dagli apostoli»). 12 Gli scavi sotto l’altare della Confessione di San Pietro furono condotti sotto la direzione di monsignor Ludwig Kaas, da Enrico Josi, Antonio Ferrua, Engelbert Kirschbaum e Bruno Maria Apollonj Ghetti. I risultati di questi scavi sono stati pubblicati nel 1951. 13 M. Guarducci, Le reliquie di Pietro sotto la Confessione della Basilica vaticana, Città del Vaticano 1965; Pietro ritrovato, Verona 1969; La tomba di Pietro, Milano 1992. 14 V. Noè, Conferenza stampa sul restauro della tomba di San Pietro, 17 giugno 1998, riportata da «Avvenire», 18 giugno 1998. 15 Ad corpus vengono detti quegli edifici sacri costruiti sopra o e intorno alla sepoltura di un santo. 16 Così nell’Historia Ecclesiatica di Eusebio di Cesarea (ii,25,7). 17 M. Righetti, Storia liturgica, ii, Milano 1969, pp. 448ss. 18 Ben tredici architetti presiedettero ai lavori: Donato Bramante (1444-1514); Raffaello Sanzio (1483-1520) con Fra’ Giocondo e Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo (1445-1516); Antonio Cordini detto Antonio da Sangallo il Giovane (1483-1546) con Baldassarre Peruzzi (1481-1536); Michelangelo Buonarroti (1475-1564); Jacopo Barozzi detto Vignola (150773) e Pirro Ligorio (c. 1513-83); Giacomo Della Porta (1533-1602) e Domenico Fontana (1543-1607); Carlo Maderno (1556/1629), che concluse i lavori avendo come meta appunto una sospirata conclusione e la realizzazione di una armonia tra le tracce delle diverse mani. 19 Come è noto, uno dei simboli della Chiesa stessa è la nave, il cui albero maestro spesso è raffigurato come la Croce, e il nocchiero è Pietro, cioè il Pontefice romano. 20 È detto papale l’altare al quale solo il Pontefice può officiare. 21 Col termine dies natalis si indicava generalmente il giorno natalizio dei martiri alla vera vita presso Dio, cioè il giorno della morte terrena; però fu anche usato per indicare la ricorrenza

dell’inizio di un ufficio o del conferimento di un incarico. 22 Righetti, Storia liturgica, ii, cit., p. 465. Capitolo 8 M. Armellini, Le chiese di Roma dal sec. iv al xix, Roma 1891, pp. 92ss. Mariano Armellini (1852-1896), archeologo e storico, scrisse Gli antichi cimiteri cristiani di Roma e d’Italia, Le catacombe romane; la sua celebrità è dovuta soprattutto a Le chiese di Roma dal sec. iv al xix, in cui elenca moltissime chiese, anche scomparse, suddivise per rione. 2 H. Brandenburg, Le prime chiese di Roma, Milano 2004, p. 28. 3 I capi di Pietro e Paolo furono qui trasportati per volere di papa Urbano v nel 1370. 4 Il mosaico, del xiii secolo, derivato da un modello dell’xi secolo, è opera di Jacopo Torriti e Jacopo da Camerino. 1

Capitolo 9 Candelabra è detto nelle arti figurative un motivo ornamentale che, rappresentando spesso vegetali, si sviluppa in verticale, a modo di colonna, che separa e insieme unisce. 2 Se si tratti di quella di Pilato, e se sia stata percorsa da Cristo, può essere, ed è, controverso. La devozione di cui fu oggetto è certa. 3 Si ritiene che l’icona originaria sia stata eseguita a Roma tra il v e il vi secolo: presenta ora solo poche tracce di quel dipinto; papa Alessandro iii (11591181) fece sovrapporre all’originale quella che ora vediamo, dipinta su seta. 4 Davanti ad essa, quasi chiamandola a testimone, annullò pubblicamente i gravosi accordi già stipulati con il re dei Longobardi Astolfo, prima di rivolgersi per aiuto ai Franchi. 1

Capitolo 10 1 Dove sorse poi la Chiesa di San Paolo alle Tre Fontane. 2 Il Sepolcreto Ostiense o Necropoli di San Paolo, a due chilometri dall’omonima porta urbica, lungo la strada che portava al porto di Ostia, conosciuto dall’antichità, fu scavato sistematicamente nel 1918-19. Occupava un’ampia area tra la rupe tufacea, oggi detta Rupe di San Paolo, e la zona oggi sottostante la basilica del santo. 3 Si tratta di una piccola costruzione funeraria tipica dell’architettura paleocristiana: una cappellina spesso quadrata eretta sulla sepoltura, detta cella memoriae se non si tratta di un martire (se si tratta di un martire prende il nome di

martyrion) come espressione tangibile della volontà di perpetuarne il ricordo. È detta cella absidata quando presenta un vano, generalmente quadrato, con una sola abside, cella trichora quando le absidi sono tre. 4 Sottolineiamo che si tratta di un’immagine singolarmente simile a quella di San Giovanni in Laterano. 5 Sull’arco trionfale si legge, in alto, teodosius cepit perfecit Onorius aulam + Doctoris mundi sacratam corporis pauli e, lungo l’arco, placidiae pia mens operis decus homne paterni --gaudet pontifici studio splendere leonis. 6 Il mosaico originale del v secolo fu fatto restaurare da Onorio iii nel xiii secolo da mosaicisti veneti; rovinato dall’incendio, fu rifatto con le stesse tessere recuperate. 7 Fatto abbastanza inconsueto: di solito i dodici apostoli compongono con i loro cartigli le dodici affermazioni del Credo detto appunto apostolico. 8 Odighitria significa «che mostra la via»: la Vergine infatti mostra il Figlio, verità, vita e via, per tornare al Padre. È una delle tre tipologie attribuite dalla tradizione orientale all’Evangelista san Luca. Le altre due tipologie sono quella dell’Orante, che a mani aperte o giunte si rivolge al Figlio in preghiera, e quella della Tenerezza, in cui la Vergine ha un atteggiamento tenero verso il Figlio e ne tiene il volto accostato al suo. 9 I cartoni furono di F. Agricola e N. Cosoni, il mosaico fu eseguito tra il 1854 e il 1874 dallo Studio Vaticano del Mosaico. 10 Teodosio i dal 379 al 395 Augusto per l’Oriente, insieme a suo figlio Arcadio (dal 383 al 395 regnò col padre); Valentiniano ii come Augusto, aveva il governo dell’Italia, dell’Illirico e dell’Africa dal 371 al 392. 11 Codex Theodosianus, 16, 1-2. 12 Liber Pontificalis, i, 239. Capitolo 11 Per la verità le contende il primato quella di Saragozza, che si vuole fondata da san Giacomo il maggiore nel 40. 2 Ario, presbitero di Alessandria del iv secolo, considerava il Verbo quale seconda persona della Trinità, ma creato, anche se prima di tutte le altre cose, e quindi non propriamente Dio né consustanziale al Padre. 3 Committente dell’opera fu la famiglia Colonna: il lavoro fu eseguito in due periodi, la parte superiore prima del 1297 (anno in cui i Colonna furono banditi da papa Bonifacio viii che addirittura li escluse dall’indulgenza giubilare) e la parte inferiore degli anni 1306-1308, quando Clemente vii riaccolse i Colonna. 1

E. Kitzinger, All’origine dell’arte bizantina, Milano 2005. 5 Cfr. H. Brandenburg, Le prime chiese di Roma, Milano 2013, pp. 195ss. 6 Tema assai raro. 7 La statua è di Ignazio Giacometti, del 1883. 8 Di G.F. Bordino, 1588. 9 L’arte degli Anni Santi. 4

Capitolo 12 Visita pastorale del 25 marzo 1979. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum, iii, Torino-Roma, pp. 212-216. 3 Elena aveva sposato Costanzo Cloro, avendo già un figlio (Crispo) e da lui ebbe Costantino. Ma dovette farsi da parte quando Costanzo, divenuto imperatore, dovette contrarre un matrimonio «politico» con Teodora, figlia di Massimiano Erculeo (250 ca.-310). Quando Costantino prese il trono del padre, chiamò a corte la madre, le rese i dovuti onori e le attribuì il titolo di Augusta, facendone l’imperatrice. Elena approfittò della benevolenza del figlio per fare del bene. Aveva settantotto anni quando partì, nel 326, da Napoli per andare in pellegrinaggio in Terra Santa, e fu forse un pellegrinaggio penitenziale, per due omicidi di cui attribuiva a Costantino medesimo il mandato, quelli di Crispo, suo primo figlio e fratello di Costantino, e di sua moglie. Assistita da Costantino, Elena morì verso il 329, in località ignota: ma il suo corpo fu portato a Roma in un mausoleo sulla via Labicana, ad duas lauros, oggi Torpignattara. 4 Sant’Ambrogio riferisce di lei con ammirazione, perché dei chiodi di Cristo ritrovati fece dono al figlio, foggiandone uno in morso per il cavallo e facendone porre un altro all’interno di una corona, quella che sarà famosa e venerata come la Corona Ferrea (ora nel Duomo di Monza). L’intento evidente della regina era di consigliare al figlio la moderazione e di indicargli che non esiste sovrano terreno che non sia sottoposto a Cristo. 5 Il complesso risale all’imperatore Settimio Severo e fu ulteriormente risistemato da Eliogabalo (218-222): di esso facevano parte una villa, Palatium Sessorianum o Sessorium (forse da sedeo = sto seduto, donde: aula destinata a udienze) e anche delle terme, risistemate dall’imperatrice Elena, dette per ciò Terme Eleniane. Cfr. H. Brandenburg, Le prime chiese di Roma, Milano 2004, pp. 104-108. 6 Cfr. Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, xvii. Socrate Scolastico (380 ca.440 ca.) fu storico della Chiesa di cui scrisse, in greco, una Storia ecclesiastica, 1 2

in sette libri, continuazione di quella di Eusebio di Cesarea. 7 Salminius Hermias Sozomen (400 ca.450 ca.), storico, noto come Sozomeno o Sozomene, scrisse una Historia Ecclesiastica, ora perduta. 8 Eusebio di Cesarea (265 circa-340), storico, autore di una Historia Ecclesiastica in dieci libri e del De vita Costantini. 9 Teodoreto di Cirro (393 ca.- 458 ca.), vescovo di Cirro, in Siria, teologo della scuola di Antiochia, scrisse una Historia Ecclesiastica (pg, lxxxii 881-1280) in cinque libri, che inizia dove terminava quella di Eusebio di Cesarea, e continua fino al 429. Si ispirò ad Eusebio stesso, riportando una gran quantità di documenti altrimenti perduti. 10 Sant’Ambrogio, De obitu Theodosii, 41-48. 11 L’edificio si trova al centro di una vasta area archeologica, ricca di elementi disparati: villa, terme, tempio, aule di udienza, una cisterna, anfiteatro, ecc. La basilica costantiniana era costituita da un’aula rettangolare; una prima ristrutturazione si deve a papa Lucio ii, che nel 1144 fece suddividere l’aula in tre navate longitudinali, realizzò un nartece, eresse il campanile in laterizio ancora presente; dal x secolo è presente un monastero, fondato nel 980 da papa Benedetto vii, che ne fece costruire il chiostro. 12 Cfr. Es 4,1-9; 2 Ti 3,8-9. Il Faraone chiamò i suoi maghi, e i serpenti che essi fecero comparire furono divorati da quello di Mosè. 13 Questo serpente divenne poi per gli Ebrei, con il nome di Nehustan (che significa «di bronzo»), un idolo, il cui culto a fatica fu sradicato dal re Ezechia (716 a.C. -687 a.C.). Secondo una tradizione suggestiva, Nehustan nel giorno del Giudizio finale scenderà dalla colonna per raggiungere la valle di Giosafat, luogo dell’Ultimo Giudizio. 14 Un altro splendido ciclo sul ritrovamento della Santa Croce si trova in Arezzo, nella chiesa di San Francesco: è opera di Piero della Francesca, eseguita tra il 1453 e il 1464, ispirata anch’essa alla Leggenda Aurea. 15 Gerusalemme cadde in mano ai Persiani nel 614: furono distrutte molte basiliche e la reliquia della Croce trafugata. Eraclio, imperatore di Costantinopoli, nel 627-628 sconfisse i Persiani, uccise Cosroe (Cosroe ii di Persia, 570 ca.- 628, fu nipote di Cosroe i), e la reliquia ritornò trionfalmente a Gerusalemme. Fu poi portata a Costantinopoli nel 636, quando l’imperatore Eraclio, non potendo sostenere l’impeto dei Musulmani, lasciò la città e si mise in salvo con la reliquia. Due anni dopo, il patriarca Sofronio consegnò Geru-

salemme al califfo Omar, che ne ebbe grande rispetto. 16 Flavio Eraclio, meglio noto come Eraclio i (575-641), è stato un imperatore bizantino. 17 Valentiniano iii imperatore d’Occidente dal 425 alla morte nel 455. 18 Su progetto dell’architetto Florestano Di Fausto. Florestano Di Fausto (1890- 1965) è stato un ingegnere, architetto e politico italiano. 19 Realizzata in marmi policromi e completata da artistiche vetrate del Picchiarini e da mosaici (disegno di Corrado Mezzana), la Cappella fu inaugurata nel 1930 e del tutto ultimata nel 1952. 20 Quattordici gruppi bronzei di Giovanni Nicolini (1872-1956). 21 Reliquiario a forma di croce. 22 Giuseppe Valadier (1762-1839), figlio dell’orafo Luigi Valadier, di famiglia di origine provenzale, romano e attivissimo in Roma, è stato architetto, orafo e argentiere, grande esponente dell’arte neoclassica. 23 “Titulus” è il termine latino generico che indicava una iscrizione di qualunque genere, posta su un qualunque oggetto. 24 Pedro González de Mendoza (14281495) è stato cardinale e arcivescovo spagnolo. 25 Analogamente, in San Clemente, papa Pasquale ii (1099-1118), consacrando la nuova chiesa nel 1112, fece murare un frammento della Vera Croce dietro al crocefisso del mosaico absidale. 26 Ne dà testimonianza Stefano Infessura (1435 ca.-1500) umanista e cronista italiano legato alla famiglia Colonna, che ne parla, alla data 1 febbraio 1492, nel suo Diario della città di Roma. 27 San Roberto di Molesme, (1024 ca.1111), monaco benedettino, si ritirò a Molesme (Borgogna) per vivere più intensamente la Regola di san Benedetto: qui fu la culla del nuovo ordine, i Cisterciensi, dal nome della monastero di Cîteaux, insieme ai suoi due immediati successori, fondatori dell’Abbazia di Cîteaux, dove il nuovo ordine prese forma: santo Stefano Harding (di origine inglese, 1059- 1134) e sant’Alberico di Cîteaux (†1108). Capitolo 13 Enrico ii il Santo (978-1024) fu re d’Italia dal 1002 a 1024; imperatore del Sacro Romano Impero e ultimo della dinastia degli Ottoni. Nel 995 divenne duca col nome di Enrico iv di Baviera. È stato dichiarato santo. Anche sua moglie, Cunegonda, rientra nel novero dei santi della Chiesa cattolica. 2 Giustino (100-162/168), filosofo e apologeta, fu martirizzato a metà del ii secolo, a Roma. È autore della Prima 1

apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico. Capitolo 15 R. Lanciani, Roma pagana e cristiana, Roma 1892, p. 357. 1

Capitolo 16 Fondamentali sono stati gli scavi, iniziati dal 1857 da padre Joseph Mullooly O.P., allora priore del convento domenicano. 2 Di Giuseppe Chiari, 1714-1719. 3 Affreschi eseguiti da Pier Leone Ghezzi (1674-1754), Giovanni Odazzi (1663-1731) e Sebastiano Conca (1680-1764). 1

Capitolo 17 1

Teodoro fu anche patrono di Venezia. Capitolo 18

San Paolo della Croce (1694-1775) fu uno dei più famosi evangelizzatori popolari della sua epoca; mistico della Passione di Cristo, si dedicò alle missioni al popolo. Fondò la Congregazione religiosa dei Passionisti, che si dedicano all’annuncio nel segno della Passione, e le Monache Passioniste. I Passionisti sono chiamati a vivere una vita di solitudine e un impegno di comunicazione dei frutti dell’amor Crocifisso. 2 Le «missioni al popolo» consistono in un periodo serrato di predicazioni, di istruzioni catechistiche e di celebrazioni volte a risvegliare il senso di Dio, far conoscere la dottrina cristiana, far riprendere abitudini cristiane che erano state abbandonate. Le missioni al popolo non sono mai cessate del tutto e sono state recentemente riprese con forza. 1

Capitolo 20 Gli Acta Petri et Pauli, del v secolo e di origine greca, pubblicati da Friedrich Konstantin von Tischendorf (18151874), teologo e filologo tedesco. Vedi M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo iv al xix, Roma 1891, pp. 938-940. 2 Di Nicolas Cordier, detto il «Franciosino», che tra il xvi e il xvii secolo lavorò per il Vaticano. 3 Beata Maria d’Oignis, mistica brabantina (1177-1213), è la figura più rappresentativa del Movimento Beghino. 1

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note

Capitolo 21 1 J.-P. Hernandez, Un diadema regale nella palma del tuo Dio, in «Madre di Dio», n. 11, 2008. 2 A. Iacobini, in P. Piva (a cura di), L’Arte medievale nel contesto, Jaca Book, Milano 2006, pp. 463-499.

Capitolo 22 San Filippo Neri fu detto il santo della gioia cristiana, familiarmente Pippo bono. Fiorentino, frequentò il convento di San Marco, e il suo carattere allegro e amante della musica fu forse influenzato dalla lettura delle Laudi di Jacopone da Todi, che fece poi musicare, e delle Facezie del Pievano Arlotto, un libro umoristico scritto da un sacerdote fiorentino. Mandato a Roma per essere avviato al commercio, vi frequentò invece le scuole di teologia. Inizialmente ospite di un fiorentino, Galeotto Caccia, dei cui figli fu precettore, visse poi come eremita di strada. Sentì presto la vocazione ad assistere i malati e i sani, ai quali si rivolgeva così: «Quand’è che cominciamo a fare un po’ di bene». Fondò nel 1548, in vista dell’Anno Santo del 1550, con altri laici, la Confraternita della Trinità per assistere i pellegrini malati, presso la chiesa di San Giovanni in Campo. Nel 1551 fu ordinato sacerdote. La sua opera geniale fu l’Oratorio, incontri in cui riuniva gente di ogni tipo, per leggere insieme libri di ascetica o vite di santi e per pregare e cantare. I membri dell’Oratorio assistevano a turno i malati. Si deve a lui un pellegrinaggio per Roma, la Visita alle Sette Chiese, in contrapposizione agli eccessi del carnevale romano: ancor oggi questo itinerario viene proposto una volta al mese in un suggestivo pellegrinaggio notturno. Aveva un motto: «State buoni se potete». Morì il 26 maggio 1595, che divenne il giorno della sua festa. 2 P.G. Bacci, Vita di San Filippo Neri fiorentino fondatore della Congregazione dell’Oratorio, Torino 1757. 1

Capitolo 23 Nome dovuto a un vicino avvallamento. 2 Cfr. Basilica di San Giovanni dei Fiorentini. 3 La Congregazione fu da lui ricono1

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sciuta con la bolla Copiosus in misericordia, del 1575. 4 È ancor oggi visibile quando, con un complesso meccanismo, viene sollevato il dipinto di Rubens. 5 Sulle pareti e nella volta, episodi della vita di san Filippo, opere del 1620 di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio: Filippo ode cantare gli angeli, Filippo guarisce Clemente viii dalla chiragra, Filippo salva un figlio spirituale dall’annegamento, Filippo in estasi mentre assiste un infermo, Filippo cade nello scavo delle fondamenta ed è salvato da un angelo, Filippo in estasi in abiti sacerdotali, Morte di Filippo, Elemosina di Filippo all’angelo, Filippo resuscita Paolo Massimo, San Giovanni Battista appare a Filippo. 6 Le loro reliquie, già in Sant’Adriano in Foro, furono poste in Santa Maria in Vallicella nel 1599, per volontà del card. Cesare Baronio, seguace di san Filippo fin dall’inizio e suo successore nella direzione della Congregazione. Nell’Ospedale attiguo alla chiesa di San Girolamo alla Carità (demolita negli anni ’40 del xx secolo) era visibile un camino su cui era stata graffita a mano la scritta Caesar Baronius cocuus perpetuus, cui spesso era affidata la cucina. 7 Le reliquie di Nereo, Achilleo e Domitilla, rinvenute nel 1213 e inumate in Sant’Adriano in Foro nel 1228, furono poste nella chiesa loro intitolata, ma le teste furono poi traslate in Santa Maria in Vallicella. La chiesa venne assegnata in perpetuo alla Congregazione dell’Oratorio da papa Clemente viii nel 1597.84ss. Capitolo 25 «in strata publica iuxta Tiberim, ante basilicam Sancti Petri» (Gesta Innocentii; pl, ccxiv, col. cc). 2 Se ne hanno le prime notizie nel 1547, nel primo Liber Parochiae S. Petri Sacramentorum: parrocchia del tutto particolare, nella cui competenza erano numerose chiese e un ampio territorio del Vaticano e circostante. 3 La Porta si trova alle spalle dell’omonimo ospedale, sull’attuale via dei Penitenzieri. Si trovava sulle Mura Leonine, che furono erette da papa Leone iv, tra l’848 e l’852, tardiva protezione per il colle Vaticano e la basilica di San Pietro, saccheggiati dai musulmani nell’agosto dell’846, durante il pontificato di papa Sergio ii che, molto anzia1

no, ne morì di dolore dopo pochi mesi. 4 Posterla (o postierla, pusterla, posterula, pustierla) è detta una porta stretta – vi passa una sola persona per volta – che conduca ai camminamenti per le guardie di fortificazioni e castelli. Il nome deriva da posterus (dietro), e allude alla loro posizione nascosta. 5 Le scholae (dal greco scholé, luogo di studio) erano insieme albergo, ospizio, ospedale, chiesa. È vocabolo di uso vasto e vario, sempre connesso a corporazioni e sodalizi di diverso genere, dal religioso all’amministrativo, e viene usato anche come sinonimo di collegium. A Roma erano famose le diverse scholae che gli stranieri e i cittadini di altre città d’Italia costituirono vicino alla tomba dell’Apostolo. «Esse consistevano in edifici, ospedali, xenodochî, cimiteri e chiese, sedi di associazioni nazionali che avevano intenti religiosi e di assistenza ai connazionali che venivano in pellegrinaggio a Roma. La Schola Saxonum, la Schola Teutonum, la Schola Graecorum, la Schola Florentinorum, Senensium e altre furono così per secoli quasi delle colonie, con riconosciuti privilegi, che tutti i popoli europei del Medioevo fondarono in Roma e costituirono spesso l’antecedente di istituti ancor oggi fiorenti, creati dagli stranieri per studiare i portati della cultura e della civiltà italiane». Cfr. G. Calza, R. Morghen, Schola, in «Enciclopedia Treccani». Queste dei Sassoni si trovavano nei sobborghi sulla riva destra del Tevere, attuale rione Borgo, detto anche Civitas Leonina. 6 Il Wessex (West Seaxe, cioè Sassoni dell’Ovest) fu uno dei sette regni anglosassoni che precedettero il regno d’Inghilterra. Questo reame era situato nel sud e sud-ovest dell’isola. Fu un regno dal vi secolo, fino all’emergere del regno inglese nel ix secolo, e una contea tra il 1016 e il 1066. Ine (... – 728) fu 17° sovrano del Wessex, regno anglo-sassone nell’Inghilterra altomedievale, dal 688 al 726. Non vi sono prove che Ine e sua moglie abbiano ricevuto un culto liturgico come santi e che lo stesso Ina abbia fondato una scuola o un ospizio anglo-sassone a Roma, tuttavia è commemorato al 6 febbraio in tardivi martirologi inglesi e dell’Ordine Benedettino. 7 Caedwalla (659 circa – 20 aprile 689) fu re del Wessex dal 685 al 688 e conquistò la maggior parte dell’Inghilterra meridionale.

8 Innocenzo iii, nato Lotario dei Conti di Segni (1161-1216). 9 Guido di Montpellier (Montpellier, 1160 – Roma, 24 maggio 1208) è stato un religioso francese, fondatore dell’Ordine Ospedaliero dello Spirito Santo e della Confraternita dello Spirito Santo (1180). La tradizione vuole che fosse un cavaliere templare, della famiglia dei conti di Montpellier, dove costruì una Casa Ospitale, e fondò nel 1170 un ordine regolare di Frati Ospitalieri dediti all’assistenza degli infermi, dei fanciulli abbandonati e di quanti avessero bisogno di aiuti e di cure. 10 Giovanni Senzaterra, o Giovanni Plantageneto, o Giovanni d’Inghilterra (1166 1216), fu conte del Maine dal 1199 al 1203, duca di Normandia dal 1199 al 1204, re d’Inghilterra, duca d’Aquitania e Guascogna e conte di Poitiers dal 1199 al 1216. Perse il Ducato di Normandia a favore della Francia di Filippo Augusto. A lui si deve il primo documento che regolò i diritti fra i cittadini e i re, la Magna Carta. 11 Papa Pio vi (Giovanni Angelico o Giannangelo Braschi, 1717-1799). 12 Il disegno della chiesa è di Antonio da Sangallo, e quello del prospetto di Ottavio Mascherino; il ciborio è architettura di Andrea Palladio. 13 Cfr. P. De Angelis, L’ospedale di Santo Spirito in Saxia, dalle origini al 1300, Roma 1960; E. Howe, The hospital of Santo Spirit and Pope Sixtus iv, New York 1978; V. Cappelletti, F. Tagliarini, L’antico ospedale di Santo Spirito dall’istituzione papale alla sanità del terzo millennio, 2 voll., Roma 2001-2002. 14 Con decreto del Cardinale Vicario Camillo Ruini. 15 Per il diario di Suor Faustina, vedi: www.festadelladivinamisericordia. com/diario/diario-della-divina-misericordia.pdf 16 Nel 1935 Gesù richiese a suor Faustina una particolare forma di preghiera detta «Coroncina alla Divina Misericordia». La preghiera litanica è caratterizzata dalla ripetizione delle parole «Eterno Padre, Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero» e dall’invocazione, cara alle Chiese d’Oriente: «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale» cui si chiede: «Abbi pietà di noi e del mondo intero».

indice dei nomi e dei luoghi

A Adinolfo, sacrista 132 Adriano i, papa 177 Africa 8 Agostino, santo 110, 199 Alarico, re 78 Alberti Leon Battista 46 Alessandria d’Egitto 24, 132 Alessandro iv (Rinaldo dei Signori di Jenne), papa 193 Alessandro vi (Roderic Llançol de Borja), papa 42, 46, 83 Alessandro vii (Fabio Chigi), papa 110, 246 Ambrogio, santo 110, 163, 199, 203 Amburgo 60 America Latina 8 Anacleto, papa, santo 91 Andrea, fratello di Pietro, santo 110, 116, 118, 132, 136 Antiochia 24, 91 Antoniazzo Romano 164, 166, 172, 175, 214 Aosta 50 Aparecida 9 Arcadio, imperatore 142 Arezzo 60, 65 Arles, cattedrale di Saint Trophime 55 Armellini Mariano 114 Arnolfo di Cambio 87, 101, 142, 160, 161 Asia 8 Assisi 8, 116 Atanasio, santo 110 Augusto, imperatore 73 Aureliano, imperatore 78 Avignone 44, 45 B Baglione Giovanni 206 Bajazet, sultano 110 Baldassarre Peruzzi 164 Basilea 60, 111 Beda il Venerabile 73 Belting-Ihm Christa 154 Benedetto, santo 223, 224 Benedetto xiii (Pietro Francesco Orsini), papa 45, 47 Benedetto xiv (Prospero Lorenzo Lambertini),

papa 22, 37, 41, 101, 127, 165, 166, 193, 246, 250 Benedetto xvi (Joseph Ratzinger), papa 8 Bernardo, santo 132, 165, 224 Bernini Gian Lorenzo 38, 93, 100, 101, 102, 110, 160 Besançon 50 Betlemme 49, 78, 141, 147, 151, 152, 179, 232 Bolgi Andrea 110 Bolivia 8 Bologna 60 Santuario della Madonna di San Luca 63 Bolsena 60, 65, 68, 69 Bolzano 60 Bonaiuto Andrea 25 Bonifacio viii (Benedetto Caetani), papa 16, 30, 32, 34, 40, 44, 116 Bonifacio ix (Pietro Tomacelli), papa 45 Borromeo Carlo, cardinale 238 Borromini Francesco 112, 116, 241 Bramante Donato 100 Brema 59 Brennero, passo 60 Brigida di Svezia, santa 45, 140 Budapest 60 Burcardo Giovanni (Johannes Burckhardt) 42 C Caetani Giovanni, abate 132 Calepodio, santo 232, 234 Caligola, imperatore 91 Callisto, santo 230, 232, 234 Camillo de Lellis, santo 47, 244 Canterbury 50, 57 Casella 44 Castulo, santo 186 Cavallini Pietro 140, 142, 148, 151, 155, 232, 249, 250 Cecchino da Pietrasanta 160 Châlon-sur-Marne 50 Chieri 45 Cignaroli Giambettino 160 Cimabue (Cenni di Pepo) 44, 151 Cirillo, santo 199, 204 Clemente, santo 80, 199, 204, 205 Clemente vi (Pierre Roger), papa 44, 45

Clemente vii (Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici), papa 46 Clemente viii (Ippolito Aldobrandini), papa 47, 224 Clemente x (Emilio Bonaventura Altieri), papa 47 Clemente xiv (Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli), papa 47 Cluny, abbazia 59 Cola di Rienzo 114 Consorti Vico 110, 111 Cornelio, santo 232 Cosma e Damiano, santi 206, 208 Cosroe, re 164, 223 Costantino, imperatore 34, 72, 73, 76, 77, 78, 100, 110, 112, 114, 118, 132, 142, 163, 164, 166, 177, 186, 249 Costantinopoli 24, 141, 179 Costanzo Cloro, imperatore 112 Costanzo ii, imperatore 100, 118 Cracovia 60, 247, 248 Crocetti Venanzio 110 Czestochowa 60, 116 Santuario 64 D Damaso, papa, santo 34, 73, 110, 132, 186, 192, 193 Dante 19, 44 De Angelis Desiderio 224 Della Porta Giacomo 227 De Rossi Jacopo 40 Diocleziano, imperatore 114, 186, 206, 217 Domenico di Bartolo 70 Dotti Carlo Francesco 63 Duisburg 59, 60 Duquesnoy François 110 E Ecuador 8 Egeria, pellegrina 165 Eginardo, consigliere di Carlo Magno 193 Egitto 16, 151, 217 Elba 59 Elena, madre di Costantino, santa 28, 34, 37, 110, 127, 163, 164, 165, 166,

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indice dei nomi e dei luoghi

Eliade, Mircea 20, 22 Enrico ii, imperatore 179 Eraclio, imperatore 164, 223 Europa 8, 37, 45, 47, 50, 51, 54, 57, 80, 83, 193 Eusebio di Cesarea, vescovo 73, 163 Eusebio di Nicomedia, vescovo 73 F Felice iv, papa, santo 206, 208 Fidenza 57 Filarete (Antonio Averlino) 110, 111 Filippo Neri, santo 8, 13, 46, 47, 85, 190, 238, 240, 244 Firenze 25, 60, 206, 238 Fontana Carlo 230 Fontana Domenico 127 Forlì 60, 65 Francesco (Jorge Mario Bergoglio), papa 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 49 Francesco d’Assisi, santo 116, 118, 151, 190 Friburgo 51 Fuga Ferdinando 127, 151 G Gaetano di Thiene, santo 160, 160 Gaio, presbitero 91, 101 Galerio, imperatore 112 Galizia 54 Galla Placidia, imperatrice 136, 142, 164 Gerolamo, santo 28, 199, 214 Gerusalemme 16, 24, 27, 28, 34, 48, 59, 78, 116, 118, 141, 148, 151, 152, 163, 164, 165, 166, 179, 217, 232 Basilica del Santo Sepolcro 122 Giaquinto Corrado 164, 166, 175 Giorgetti Giuseppe 190 Giotto 18, 19, 32, 44, 97, 100, 116 Giovanni, Evangelista 21, 84, 91, 100, 114, 116, 118, 122, 125, 151, 199 Giovanni Battista, santo 114, 116, 118, 122, 125, 151, 214, 238 Giovanni Crisostomo, santo 110 Giovanni di Stefano 116 Giovanni e Paolo, santi 213 Giovanni Senza Terra, re 244 Giovanni iv, papa 122, 125 Giovanni xv, papa (Giovanni di Gallina Alba) 50 Giovanni xxiii (Baldassarre Cossa), antipapa 45 Giovanni xxiii (Giuseppe Angelo Roncalli), papa, santo 8, 100 Giovanni Paolo ii (Karol Wojtyla), papa, santo 8, 11, 22, 49, 100, 163, 246, 247 Gioviano, imperatore 213 Giuliano l’Apostata, imperatore 213 Giulio i, papa, santo 230, 234 Giulio ii (Giuliano della Rovere), papa 100 Giulio iii (Giovanni Maria Ciocchi del Monte), papa 46 Giustiniano, imperatore 179

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indice dei nomi e dei luoghi

Gotha (Germania) 60 Gran San Bernardo, valico 50, 60, 63 Graz (Austria) 60 Gregorini Domenico 165, 175 Gregorio di Tours, vescovo 73 Gregorio Magno, papa, santo 80, 114, 132, 139, 240 Gregorio vii (Ildebrando di Soana), papa 141, 224 Gregorio xi (Pierre Roger de Beaufort), papa 45 Gregorio xii (Angelo Correr), papa 45 Gregorio xiii (Ugo Buoncompagni), papa 47, 240, 244 Gregorio xvi (Bartolomeo Alberto Cappellari), papa 142 Gregorovius Ferdinand 73 Guarducci Margherita 91 Guercino (Giovanni Francesco Barbieri) 47 Guido di Montpellier 244 Guillaume de Diguleville 57 H Hajnal Giovanni 151, 233 Huarte (Siria) 23 Hyla Adolf 247 I Ignazio di Antiochia, santo 91 Ignazio di Loyola, santo 140 Ilario, papa, santo 122 Ine, re 244 Innocenzo ii (Gregorio Papareschi), papa 165, 224, 232, 234 Innocenzo iii (Lotario dei Conti di Segni), papa 114, 116, 230, 244 Innocenzo viii (Giovanni Battista Cybo), papa 110 Innocenzo x (Giovanni Battista Pamphilj), papa 40, 47 Innocenzo xii (Antonio Pignatelli), papa 47 Innsbrück 60 Ireneo di Lione, santo 91 Irlanda, monastero di Clonmacnoise 58 Italia 13, 30, 45, 48, 50, 55, 59, 60, 65, 73, 250 Ivrea 50 J Jacopo da Varazze 73, 163 K Kazimirowski Eugeniusz 246 Klagenfurt (Austria) 60 Kowalska Maria Faustina 246 L Lapis Gaetano 193 Leonardo di Porto Maurizio, santo 47 Leone i, papa 141, 142, 217, 224

Leone iii, papa, santo 127, 127 Leone iv, papa, santo 204, 244 Leone x (Giovanni di Lorenzo de’ Medici), papa 76, 238 Leone xii (Annibale Sermattei della Genga), papa 48, 142, 242 Leone xiii (Vincenzo Gioacchino Pecci), papa 48, 199 Leopoldo Mandic, santo 13 Lercaro Giacomo, cardinale 7 Levo/a (Slovacchia) 60 Liberio, papa 147, 148, 161 Lione 59, 91 Londra, cattedrale di San Paolo 238 Lorenzo, martire, santo 127, 128, 177, 179, 179, 186, 199, 217, 232, 234 Loreto 242, 243 Losanna 50, 60 Lubomirski Jerszy 64 Luca, Evangelista 21, 132 Lucca 57, 206 Luni 57 Lucio ii (Gherardo Caccianemici dell’Orso), papa 165 M Macharski Franciszek, cardinale 248 Maderno Carlo 100, 102, 140 Manuzio Gerolamo 190 Manzù Giacomo 110 Maometto ii, sultano 110 Marcellino, sacerdote, santo 192, 193, 194, Marco, Evangelista 21 Marco Aurelio, imperatore 46, 217 Maria d’Oignis, beata 227 Maria Wörth (Austria), santuario 67 Marrou Henri-Irénée 76 Martino v (Ottone Colonna), papa 41, 45, 148, 224 Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini) 148 Massimino Daia, imperatore 112 Matisse Henri 27 Matteo, Evangelista 21, 91, 100 Mauro e Papia, santi 242 Max Emanuel 64 Medellín 9 Medio Oriente 8 Melchiade (o Milziade), papa 76, 112 Melitone, metropolita 49 Melozzo da Forlì 164 Mendoza Pietro, cardinale 164, 165 Metodio, santo 199, 204 Michelangelo Buonarroti 46, 100, 101, 102 Minguzzi Luciano 110 Mochi Francesco 38, 110 Modena, Duomo 20 Moncenisio, valico 59 Mortara 59

N Napoleone 48 Nereo e Achilleo, santi 242 Nerone, imperatore 91, 217, 223 Niccolò i, papa, santo 190 Niccolò iii (Giovanni Gaetano Orsini), papa 151 Niccolò iv (Girolamo Masci), papa 69, 151, 160 Niccolò v (Tomaso Parentucelli), papa 45, 100, 116, 118 Normandia, santuario di Mont-Saint-Michelau-péril-de-la-mer 58 Nykiel Krzysztof 84 O Omero 19 Onorio, imperatore 88 Onorio iii (Cencio Savelli), papa 132, 136, 177, 177, 179, 189, 190 Origene 91 Orosio 78 Orvieto 60, 65, 68 Cattedrale 68 Chiesa di Santa Cristina 68 Chiesa di Santa Maria Prisca e San Brizio 69 P Padova 60 Pannonhalma (Ungheria) 60 Complesso del monastero 66 Paolo, apostolo, santo 16, 18, 27, 34, 35, 37, 68, 72, 76, 84, 86, 91, 98, 100, 110, 111, 111, 114, 116, 118, 122, 125, 128, 132, 134, 136, 140, 141, 141, 151, 179, 186, 189, 193, 194, 199, 206, 223, 224, 227 Paolo ii (Pietro Barbo), papa 46, 163 Paolo iii (Alessandro Farnese), papa 46 Paolo v (Camillo Borghese), papa 160 Paolo vi (Giovanni Battista Montini), papa 7, 8, 34, 42, 49, 110 Paraguay 9 Passalacqua Pietro 165, 175 Passarotti Bartolomeo 227 Patrasso 110 Pavia 50 Pelagio ii, papa 177, 179, 179 Petrarca Francesco 45 Piacenza 59 Pietro, apostolo, santo 16, 18, 19, 27, 30, 34, 35, 37, 42, 48, 68, 72, 76, 78, 84, 86, 89, 91, 93, 94, 98, 101, 102, 106, 108, 110, 111, 111, 114, 116, 118, 122, 125, 128, 132, 134, 136, 140, 141, 151, 179, 179, 186, 189, 190, 193, 194, 206, 224, 227, 234 Pietro, esorcista cristiano, santo 193, 194 Pietro da Cortona 242 Pio da Pietrelcina, santo 13 Pio vi (Giannangelo Braschi), papa 47, 48, 246

Pio vii (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti), papa 48, 142, 246 Pio ix (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa 48, 142, 160, 227 Pio xi (Achille Ratti), papa 11, 48 Pio xii (Eugenio Pacelli), papa 14, 48, 49, 100, 111, 111, 179, 249 Pirenei 54 Po 57 Poitiers, chiesa di Notre-Dame la Grande 55 Poletti Luigi 142 Pomarancio (Nicolò Circignani) 165, 217 Praga 60 Ponte Carlo 64 Primo e Feliciano, santi 217, 220 Puebla 9 Puente la Reina (Spagna) 54 R Raffaello Sanzio 68, 76, 77, 100 Raggi Antonio 238 Raguzzini Filippo 249 Ravenna 60, 65 Mausoleo di Galla Placidia 20, 21 Reims 50, 59 Reni Guido 47, 227, 242 Reno 59, 60 Ricci Giovanni Battista da Novara 97 Rinaldi Rinaldo 242 Roberto di Molesmes, santo 165, 224 Roberto il Guiscardo 73, 199 Roma 8, 11, 12, 13, 14, 16, 22, 24, 27, 28, 29, 30, 34, 37, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 57, 59, 60, 60, 65, 68, 70, 72, 73, 76, 78, 79, 80, 83, 84, 85, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 100, 111, 112, 114, 118, 142, 147, 161, 164, 177, 179, 186, 190, 193, 204, 205, 206, 214, 223, 236, 240, 244, 249, 250 Le sette chiese: Basilica patriarcale di San Pietro 11, 12, 13, 24, 27, 30, 34, 37, 38, 42, 43, 45, 47, 76, 78, 83, 87, 89, 93, 94, 98, 100, 101, 102, 106, 108, 110, 111, 142, 142, 190, 244, 249 Cappella del Fonte Battesimale 108 Cappella del Santissimo Sacramento 101 Cappella della Pietà 101 Confessione 89, 101, 102, 110 Basilica patriarcale di San Giovanni in Laterano 11, 13, 24, 32, 34, 44, 48, 76, 84, 114, 116, 116, 118, 161, 162, 165 Battistero (San Giovanni in fonte) 118, 122, 124 Scala Santa 122, 127, 128 Triclinio Leonino 127, 127 Basilica patriarcale di San Paolo fuori le mura 11, 13, 24, 34, 37, 42, 43, 44, 46, 47, 49, 76, 78, 132, 134, 136, 139, 141, 142, 145, 223, 230

Cappella del Santissimo Sacramento 140, 141 Oratorio di San Giuliano 141 Basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore 11, 13, 24, 42, 45, 49, 76, 83, 84, 127, 147, 148, 148, 150, 152, 154, 155, 158, 160, 161, 165, 230 Cappella Borghese o Paolina 160 Cappella Sistina con presepio 160 Basilica di Santa Croce in Gerusalemme 13, 49, 127, 161, 162, 163, 166, 174, 175 Cappella delle Reliquie o Santuario della Croce 164, 165, 175 Cappella di San Gregorio 164 Cappella di Sant’Elena 164 Basilica patriarcale di San Lorenzo fuori le mura 24, 177, 177, 179, 182, 183, 184, 185 Basilica di San Sebastiano fuori le mura 186, 189 Oratorio di Onorio iii ad catacumbas 189

Le chiese della Litania Septiformis: Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro 192, 193, 193 Mausoleo di Elena Augusta 192 Basilica di San Clemente al Laterano 193, 199 Cappella dei Santi Cirillo e Metodio 199 Basilica dei Santi Cosma e Damiano 80, 206, 206, 208 Basilica dei Santi Giovanni e Paolo 213, 214 Chiesa di Santo Stefano Rotondo 80, 217, 219, 220

Chiese del Giubileo 2016: San Giovanni Battista dei Fiorentini 13, 238, 240 Cappella della Madonna della Misericor- dia 13 Santa Maria in Vallicella 13, 47, 240, 241, 242 San Salvatore in Lauro 13, 242, 243 Chiesa e Ospedale di Spirito Santo in Sassia 244 Corsia Sistina 244, 246 Santuario della Madonna del Divino Amore 14, 49, 249, 250 Altre chiese: Abbazia alle Tre Fontane 222, 223, 225, 226, 227 Arco di Carlo Magno 225, 226, 227 Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio 222, 224, 225 Chiesa del Martirio di san Paolo 223, 224 Chiesa di Santa Maria Scala Coeli 223, 224, 225 Basilica dei Santi Quattro Coronati 72 Basilica di Santa Prassede 81

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indice dei nomi e dei luoghi

Basilica di Santa Sabina 79 Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio 80 Chiesa dei Santi Pammachio, Giovanni e Paolo 80 Chiesa del Domine, quo vadis? 190 Chiesa di San Girolamo della Carità 238, 240 Chiesa di San Lorenzo in Panisperna 45 Chiesa di San Salvatore in Campo 238 Chiesa di San Salvatore in Primicerio 242 Chiesa di Santa Maria del Popolo 161 Chiesa di Santa Maria in Trastevere 47, 230, 231, 233, 234, 236 Chiesa di Santa Maria Nova 83 Chiesa di Sant’Anna in Vaticano 11 Chiesa di Sant’Eufemia 80 Chiesa di Sant’Ignazio 14, 249

Castel Sant’Angelo 46, 80, 83, 164, 246 Catacombe di San Callisto 14 Circo Massimo 14, 118 Colonna Traiana 161 Colosseo 46, 47, 48 Mausoleo delle Fosse Ardeatine 14 Piazza San Pietro 27 Ponte Sisto 46 Porta Maggiore 14 Porta Nomentana 44 Porta Portese 44 Porta Salaria 44 Porta San Giovanni 14, 44 Porta San Lorenzo 44 Porta San Paolo 44 Porta San Sebastiano 44, 88 Porta Santo Spirito 44 Via Alessandrina (Borgo Nuovo) 46, 83 Via Ardeatina 14 Via Appia Antica 14 Via dei Penitenzieri 246 Via della Conciliazione 91, 246 Via Felice 83, 165 Via Labicana 192, 193, 194 Via Merulana193, 193 Via Ostiense 100, 132 Via Tiburtina 177 Villa Celimontana 47

Roncisvalle (Spagna) 54 Rovigo 60, 65 Rozycki Ignacy 247, 248 Rubens Pieter Paul 240, 241, 242 Rugambwe Laurean, vescovo 110 Ruggeri Costantino 249 Rupnik P. Marko Ivan 12 Rusuti Filippo 148

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S San Gimignano 70 Santhià 50 Santiago de Compostela 24, 27, 37, 50, 52, 54 Santo Domingo 9 Sapieha Adam, cardinale 248 Sebastiano, santo 186, 190 Sercambi Giovanni 45 Sergio iii, papa 114, 127 Siena 57, 60 Ospedale di Santa Maria della Scala (oggi complesso museale) 70 Sigerico di Canterbury, arcivescovo 50 Silvestro i, papa 44, 72, 73, 76, 122, 132 Simmaco, papa, santo 206 Simplicio, papa, santo 217 Sion (Svizzera), cattedrale di Notre-Dame 59 Siricio, papa, santo 132, 192, 193, 193 Sisinnio, prefetto romano 204, 205 Sisto ii, papa 177, 179, 186 Sisto iii, papa, santo 147, 148, 151 Sisto iv (Francesco della Rovere), papa 46, 244 Sisto v (Felice Piergentile), papa 83, 102, 118, 127, 160, 165 Socrate Scolastico 163 Socrate Sozomeno 163 Sopocko Michele, beato 246, 248 Speranza, Giovanni Battista 206 Spira, Duomo 61 Stade (Germania) 59 chiesa dei Santi Cosma e Damiano 60 Stati Uniti 8 Staurochios di Scio 141 Stefaneschi Jacopo Gaetano, cardinale 19, 30, 44, 100, 116 Stefano, protomartire, santo 127, 128, 177, 179, 217, 227 Stefano i, re, santo 66 Stefano ii, papa 127 Strasburgo, cattedrale di Notre-Dame 61 Sutri, chiesa della Madonna del Parto 70 Svizzera 60, 111 T Tarvisio, passo 60, 65 Teodoreto di Ciro 163 Teodoro i, papa 122, 125, 148, 151, 220 Teodosio, imperatore 132, 163 Terenzi Umberto 250 Terra Santa 22, 24, 34, 37, 60 Tertulliano 110 Tevere 46, 47, 48, 73, 244 Theodoli Girolamo 193 Tommaso, santo 111, 163 Tommaso Becket, santo 57

Torino 59 Torriti Jacopo 114, 148, 151, 155 Toschi Paolo 22 Traiano, imperatore 199 Trento 60 Treviso 60 Tunisi 47 U Ughelli Ferdinando, abate 224 Ugo da Carpi 18 Umberto i, re 48 Urbano iii (Uberto Crivelli), papa 242 Urbano iv (Jacques Pantaléon), papa 68, 69 Urbano vi (Bartolomeo Prignano), papa 45, 150 Urbano viii (Maffeo Vincenzo Barberini), papa 47, 100 V Val di Susa 59 Valadier Giuseppe 165, 174 Valentiniano ii, imperatore 142 Valentiniano iii, imperatore 164 Valsoldo (Giovanni Antonio Paracchia) 160 Varsavia 60, 246 Vassalletto, famiglia di marmorari 141, 145 Velehrad (Repubblica Ceca) 60 Vence (Francia), cappella del Rosario 27 Venezia 48, 60, 65 Vercelli 50 Veronica, santa 38, 110 Vézelay, basilica di Santa Maria Maddalena 52 Via degli Annales Stadenses 50, 57 Via degli Inglesi o di Sigerico 50, 59, 60 Via Francigena 50, 57, 57, 60, 70 Via Romea degli Slavi 50, 60 Viana do castelo (Portogallo) 54 Vienna 48, 60 Vigilio, papa 193 Villach (Austria) 60 Villani Giovanni 37, 45 Vilnius, chiesa della Divina Misericordia 246, 247 Viterbo 57 Vittore iv (Ottaviano dei Crescenzi Ottaviani), antipapa 165 Von Streng Francesco, vescovo 111

Crediti fotografici

Archivio Jaca Book per tutte le immagini ad eccezione di: © Fabbrica di San Pietro in Vaticano, pagg. 17, 110, 111 © BAMSphoto – Rodella, pagg. 15, 21, 88, 90, 113, 120-121, 126, 133, 142-143, 146, 149, 162, 166, 167, 176, 186-187, 191, 192, 198, 207, 212, 216, 230-231, 239, 241, 243, 245 © Fabbrica di San Pietro in Vaticano/ BAMSphoto – Rodella, pagg. 38, 39, 87, 92, 102-109 © Succession H. Matisse, by SIAE 2015, pag. 26 © Biblioteca Apostolica Vaticana, pagg. 29, 35, 36 © Governatorato SCV – Direzione dei Musei Vaticani, pagg. 18-19, 32-33, 68-69 Foto LaLupa/(CC)Creative Commons, 249 © Jaca Book/Arnaldo Vescovo, pagg. 79, 81, 115, 117-119, 122-125, 134-137, 140-141, 145, 152-153, 155-159, 181-183, 190, 200-203, 208-211, 218-221, 232-235

Riferimenti bibliografici relativi alle immagini

Le carte alle pagine 85 e 193 sono state realizzate da Daniela Blandino.

J.G. Gutensohn, 1824 C.J. Bunsen, J.M. Knapp, I.G. Gutensohn, Die Basiliken des christlichen Roms, München 1822-1827.

Apollonj Ghetti et al. 1951 Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949, relazione a cura di B.M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, S.J., E. Josi, E. Kirschbaum, S.J., prefazione di Mons. L. Kaas, Appendice numismatica di C. Serafini, 2 voll., Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1951 Kirschbaum 1974 E. Kirschbaum, Die Gräber der Apostelfürsten, Societäts Verl., Frankfurt a. M. 1974. Andaloro 2006 M. Andaloro, S. Romano (a cura di), La pittura medievale a Roma (312-1431). Corpus e Atlante, Corpus I, Jaca Book, Milano 2006.

Krautheimer 1959 R. Krautheimer (et al.), Corpus basilicarum christianarum urbis Romae, Città del Vaticano 1937-1980 (I, 1937; II, 1959; III, 1967; IV, 1970; V, 1980).

Z Zenone, santo 224 Zucca Giacomo 246 Zucchi Francesco 224

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