La visione dell'invisibile di Tania Velmans. Introduzione di Mauro Della Valle

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Tania Velmans

DAL CATALOGO Tania Velmans ICONE il grande viaggio

LA VISIONE DELL’INVISIBILE

Tania Velmans ORIENTI CRISTIANI Jutta Dresken-Weiland MOSAICI DI RAVENNA Viktor Lazarev L’ARTE RUSSA DELLE ICONE Mahmoud Zibawi ICONE senso e storia

S. Korunovski, E. Dimitrova MACEDONIA l’arte medievale A.I. Komec L’ARTE RUSSA DEI MONASTERI

ISBN 978-88-16-57539-4

€ 20.00

In copertina: Xxxx Sul retro: Xxxx

Tania Velmans

LA V ISIONE DELL’INV DELL’IN V ISIBILE

L’IMMAGINE BIZANTINA O LA TRASFIGURAZIONE DEL REALE

La più geniale allieva di André Grabar, nota per le sue opere sull’icona e sull’arte del Cristianesimo orientale, affronta qui le caratteristiche di ciò che chiamiamo arte bizantina. Il senso di uno spazio che diviene luce, la frontalità dei personaggi che divengono soprannaturali, colori come l’oro o il blu che trasformano il tempo nell’eterno. In definitiva, icone e affreschi ci portano a fare l’esperienza del sacro. Qui l’Oriente rispetto all’Occidente cristiano affida all’arte una forza sacra che trasforma lo spettatore in protagonista di un’esperienza mistica. Ma Velmans va anche controcorrente e vede nel XIII secolo, quando l’Occidente conquista Costantinopoli, sorgere nel mondo bizantino un’istanza umanistica, ricca della tradizione classica greca, che l’Occidente ancora non sperimentava. Un’opera rivoluzionaria rispetto ai troppi stereotipi coi quali guardiamo all’arte bizantina. Tania Velmans si è formata con André Grabar ed è una delle maggiori specialiste di pittura murale bizantina. GIà Directeur de Recherche al CNRS e responsabile seminariale all’Institut National de Langues et Civilisations Orientales, INALCO, membro corrispondente dell’Accademia Europea delle Scienze, delle Lettere e delle Arti ed autrice di numerose opere sull’arte e la civiltà del mondo bizantino, tra le quali per Jaca Book: L’arte della Georgia 1996; Bisanzio. Lo splendore dell’arte monumentale 1999; ha contribuito al volume Il Mediterraneo e l’Arte. Da Maometto a Carlomagno, 2001. Ha curato Il viaggio dell’icona. Dalle origini alla caduta di Bisanzio, 2002; Le grandi stagioni dell’arte antica e medievale, 2020 e Icone. Il grande viaggio, 2021. È vincitrice del premio Gaston-Schlumberger e dirige due riviste specializzate. Ha condotto missioni nella quasi totalità dei paesi che possiedono opere d’arte bizantine e ha insegnato in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.

€ 49 0

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Indice

Nota editoriale

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I. La sacralità dell’immagine e l’estetica

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II. Lo spazio astratto e i valori teologici che lo sottendono

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III. La ricerca di uno spazio profondo e il paradosso della sua limitazione (xii-xv secolo)

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IV. Prestiti e invenzioni per la rappresentazione del tempo

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V. Le inquietudini escatologiche e i monumenti funerari

107

VI. Le inquietudini escatologiche II. Pessimismo occidentale e ottimismo orientale

171

VII. Dottrine e correnti mistiche come fattori determinanti dell’iconografia e dello stile. L’esicasmo

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Apparati

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Note

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La visione dell’invisibile

l’estetica da questo generata. Al primo sguardo vi si ravvisa il nuovo stile, che nondimeno è ancora in divenire. La maggior parte delle figure resta voluminosa e i volti, malgrado una leggera tendenza all’astrazione, si mantengono assai spesso arrotondati1. Tuttavia, la profondità di cui tali figure necessitavano veniva accordata solo eccezionalmente e sempre meno spesso col procedere del tempo. La fedeltà all’estetica dell’antichità si può ancora riscontrare in una composizione come quella del Buon Pastore nel cosiddetto mausoleo di Galla Placidia (Tav. 2) (vi secolo)2, dove Cristo esegue con la parte superiore del corpo un movimento rotatorio che si inscrive nella terza dimensione, mentre le pecore sono disposte una dietro l’altra su una terrazza di roccia a gradini. Per mezzo della sua forma, questa terrazza approfondisce leggermente lo spa-zio senza il concorso di alcuna linea di fuga. La comparazione delle decorazioni della cupola dei due battisteri ravennati, edificati a mezzo secolo di distanza l’uno dall’altro, permette di rilevare la progressione parallela dello stile e dell’elaborazione dello spazio figurativo. Queste due calotte sono occupate dal medesimo soggetto e dallo stesso schema iconografico: il Battesimo di Gesù attorniato dal corteo degli apostoli in piedi; solo lo stile e la posizione delle figure nello spazio le differenziano. Nel Battistero degli Ortodossi o Neoniano, la cui cupola fu decorata con mosaici (Tav. 3) dopo la prima metà del v secolo sotto l’episcopato di Neone, gli apostoli sono raffigura-ti di tre quarti, in movimento, e i loro corpi possiedono un certo spessore grazie al modellato. Essi sono separati da piante rigogliose e un drappeggio ondeggia al di sopra delle loro teste, facendo risaltare il dinamismo della processione. Nel Battistero degli Ariani, decorato cinquant’anni più tardi (Tav. 4) (493-526), gli apostoli si presentano frontalmente, immobili, e la linea, divenuta sovrana, prende il posto del modellato. Si ottiene in tal modo una smaterializzazione dei corpi che, in assenza di ogni altro elemento, riduce considerevolmente la pro-fondità del campo. Le piante dalle curve aggraziate che separavano i discepoli sono divenute rigide palme, e il drappeggio è scomparso. Nel Battesimo del medaglione centrale della prima calotta il paesaggio descrive un semicerchio, come in numerose pitture antiche, il che gli conferisce una certa profondità. Nel secondo medaglione, esso è dominato da una linea orizzontale, costituita dall’acqua del Giordano, che lo rende parallelo al piano. 24

Lo spazio astratto e i valori teologici che lo sottendono

2. Il Buon Pastore, mosaico del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

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La visione dell’invisibile

7. In alto: processione dei martiri, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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Lo spazio astratto e i valori teologici che lo sottendono

8. In basso: processione delle martiri, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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La visione dell’invisibile

Questa suggestione di spazio interno è diffusa nelle miniature del Rinascimento carolingio, in particolar modo nelle immagini degli evangelisti, come si vede nel Vangelo di san Medardo di Soissons (fol. 180 v.), dove l’im-magine dell’evangelista Giovanni è posta in una cornice che ricorda da mol-to vicino quella del dittico, malgrado un certo fraintendimento del modello. Nello stesso periodo, il fol. 25 v. della Bibbia di Grandval (Tav. 24) mostra, nella scena di Giosuè e il popolo di Israele, non solo la linea che definisce il soffitto, ma anche i cassettoni di cui è ornato. Si è a un passo dagli interni di Duccio (vedi Tav. 16). Potrebbe meravigliare che la pittura bizantina non abbia voluto tenerne conto, con l’eccezione di qualche miniatura. Quando questo contorno appare in una decorazione parietale, cosa alquanto rara, si estende solo su una parte del campo figurativo e il suo effetto è dunque limitato. Nei Primi passi di Maria nella Kariye Camii (ca. 1315) esso occupa solo il centro del pannello, come un paravento posto in quel punto16, e non crea alcuno spazio supple-mentare per le figure. Si tratta, ancora una volta, della compresenza di ricerca e timore della profondità. La linea spezzata del soffitto è anche usata per i portici con ali laterali. Ma anche in questo caso il principio delle rappresentazioni greco-romane viene rifiutato. Negli affreschi bizantini del xiii-xv secolo, il portico è rappresenta-to in due modi differenti: le sue ali sono talmente aperte che esso è presso-ché identificabile con una superficie, come si vede nella Lavanda dei piedi di Crkvata a Ivanovo (vedi Tav. 22); oppure, se le ali si protendono decisamente in avanti, tutta l’architettura è arretrata verso il fondo e rimpicciolita. L’antico modello di spazio chiuso (la linea del soffitto) era diffuso a Bisanzio nella rappresentazione di dettagli che non incidevano sulla forma dello spazio di una composizione nel suo insieme. Esso diviene allora un motivo che serve a ornare le superfici delle porte17 o i banchi posti accanto agli evangelisti18. Questi esempi mostrano, tra l’altro, quanto l’Ultima cena di Monreale (vedi Tav. 15) sia isolata nella pittura bizantina, e fino a che punto la sua quinta dal disegno innovativo resti senza seguito. Se la linea spezzata del soffitto viene rifiutata, è perché suggerisce uno spazio tridimensionale e avvicina lo spazio fittizio dell’immagine a un interno reale 70 e dunque profano. Per di più, per

La ricerca di uno spazio profondo e il paradosso della sua limitazione (xii-xv secolo)

24. Bibbia di Moûtier-Grandval, 840 ca., Giosuè e il popolo di Israele, British Library, Londra, Add Ms 10546, fol. 5v.

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La visione dell’invisibile

La ricerca di uno spazio profondo e il paradosso della sua limitazione (xii-xv secolo)

27. Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano, 1328, affresco, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo, Siena.

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La visione dell’invisibile

37. Lamentazione, 1164 ca., affresco della chiesa di San Panteleimon, Nerezi, Repubblica della Macedonia del Nord.

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Le inquietudini escatologiche e i monumenti funerari

di fronte al cadavere del proprio figlio: «Vedendoti adagiato sul dorso, la Purissima, o Verbo, ti piangeva come una madre: mia dolce primavera, mio dolcissimo bambino, dov’è finita la tua bellezza?»51. Il Threnos fu incluso nel ciclo della Passione, numerosi episodi del quale testimoniarono a loro volta la nuova sensibilità. Manifestamente, la morte aveva cessato di essere nell’intimo delle coscienze il riposo provvisorio in attesa della fine dei tempi, come succedeva in passato, per diventare proprio dramma e incertezza. Nicodemo non fa dire a Maria nel suo Vangelo: «Sono atrocemente ferita, straziata nel profondo dell’animo, o Verbo, nell’assistere a questo iniquo assassinio»52? Certo, questo testo fu scritto nel iv secolo, ma non conobbe ampia adesione che nel xiii, quando ispirò Giorgio di Nicomedia, Simeone Metafraste e, in Occidente, san Bonaventura (xiii secolo)53. Quando si pensa alle crocifissioni imperturbabili e serene del passato – come quelle del vi secolo in cui Cristo era rappresentato con gli occhi aperti poiché non si osava mostrare un Dio morto –, il Threnos, così come le parole di Maria riprese dall’ufficio, appaiono sorprendenti perché si supponeva che la Theotokos fosse consapevole della divinità di suo figlio. Ciò che viene espresso per bocca di Maria è semplicemente la disperazione di una madre di fronte al cadavere del proprio figlio. Ora, la disperazione ingenerata dal lutto non è scontata come si potrebbe pensare. Ancora ai giorni nostri il protestantesimo non la accetta, ed esistono inni gioiosi che l’assemblea canta durante l’ufficio funebre. Nel corso del medesimo ufficio la Chiesa ortodossa evoca certo la resurrezione dei morti nell’ultimo giorno, esprimendo comunque una profonda afflizione, simile a quella attribuita alla Vergine. Tuttavia, l’iconografia bizantina è prima di tutto consolatoria e vuole essere un sostegno per il cristiano. La diffusione del Giudizio finale avviene dunque parallelamente a quella della Deesis, immagine di intercessione e dunque di speranza. Nello stesso modo, il Threnos è “raddoppiato” da un’immagine che proclama e nega simultaneamente la morte e la resurrezione di Gesù, il Cristo di Pietà54. Se il soggetto si diffuse in seguito in Italia con il nome di Pietà, il suo significato, come il suo schema, è molto diverso da quello bizantino. A Bisanzio esso ha dato luogo a numerose varianti, ma generalmente Cristo è rappresentato in busto e ben dritto, le mani incrociate sul petto e recante la 119


La visione dell’invisibile

È così che venne creato un ciclo di quattro immagini rappresentanti la partenza di Stefano Nemanja per il monte Athos, il suo arrivo a Chilandari, la sua morte e la traslazione delle sue reliquie a Studenica105 (Tav. 43). Queste quattro scene sono state disposte in modo da evocare raffronti con scene della Passione e dell’Antico Testamento, a cui sono state accostate nella biografia del sovrano. La sua partenza per il monte Athos corrispondeva dunque alla Via Crucis, il suo arrivo all’Entrata di Cristo a Gerusalemme; l’immagine della sua morte era ricalcata su quella dei santi, più in particolare su quella di san Saba di Gerusalemme, mentre la traslazione delle sue reliquie era ispirata a un episodio veterotestamentario, la Traslazione delle reliquie di Giacobbe106. Questi parallelismi hanno la loro importanza, perché mostrano che per creare un nuovo ciclo sulla vita e la morte di un sovrano (proclamato santo, è vero) ci si lasciava guidare da numerosi testi e uffici, completandoli con riferimenti provenienti da immagini religiose. Il ciclo in questione è raffigurato per la prima volta nella chiesa della Madre di Dio del monastero di Studenica (1208-1209), fondato da Stefano Nemanja. È situato nel nartece, munito di due cappelle che furono aggiunte alla chiesa nel 1233-1234 dal nipote di Stefano Nemanja, Radoslav. Di questo ciclo, la cappella sud ha conservato la Traslazione delle reliquie, una serie di ritratti di Nemanjidi e di vescovi serbi e alcune immagini religiose. Nella parte nord del nartece, una rappresentazione della morte del re Radoslav nelle vesti del monaco Jovan è posta vicino all’immagine dei Giusti nella mano di Dio (ca. 1233), che illustra il Salmo 23, 1-6 e suggerisce la beatitudine paradisiaca promessa dopo la morte107. Anche a Sopoćani una cappella era stata consacrata a san Simeone; vi era rappresentato il ciclo che ne narrava la vita e la morte. L’immagine meglio conservata è quella della Traslazione delle sue reliquie. In questo pannello, un gruppo di nobili trasporta il catafalco col defunto vestito da monaco; ecclesiastici preceduti da una grande icona della Vergine portata da un uomo vengono loro incontro. L’icona suggerisce, come apprendiamo dalla biografia del sovrano, che questi ha pregato di fronte all’immagine taumaturga prima della morte ma, indipendentemente da questa circostanza, la presenza dell’icona santifica le spoglie del defunto. L’architettura che compare sullo sfondo della composizio138

Le inquietudini escatologiche e i monumenti funerari

43. Stefano Nemanja, xiii secolo ca., affresco del monastero di Studenica, Repubblica di Serbia.

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La visione dell’invisibile

atipica e non si lascia inquadrare in nessuno dei due gruppi stilistici definiti in precedenza. È questo il motivo per cui non ha avuto veri successori. Detto questo, ogni artista è più o meno in debito con la propria epoca. Teofane, mistico e passionale, tormentato e febbrile, è vicino allo spirito di Nicola Cabasilas, che aveva aggiunto una nota toccante, quasi passionale, alla partecipazione del fedele agli atti liturgici. Questi chiedeva al cristiano di rivivere il dramma sacro durante l’ufficio «con tutte le forze del suo essere», il che implica anche i sensi190. Parla anche del parossismo dell’amore – il Philtron-Eros – che Cristo prova per la creatura, dei brividi e del turbamento che il fedele avverte di fronte alla Passione (La vita in Cristo)191. I santi tormentati di Teofane esprimono questi brividi e questo turbamento che egli ha forse personalmente sperimentato, vivendo il sacro dramma nello spirito e nel corpo come raccomandava Cabasilas. L’opera di Andrej Rublëv ha suscitato un numero minore di interpretazioni contraddittorie rispetto a quella di Teofane. Nondimeno, alcuni autori la considerano un prolungamento del Rinascimento associato a tratti specificamente russi, mentre altri vi vedono un’influenza esicasta. È anche vero che essa si discosta alquanto dai due gruppi di decorazioni tipicamente bizantine di cui si è parlato in precedenza, ma per ragioni differenti da quelle addotte a proposito dell’opera di Teofane. Una cosa è certa: la condanna da parte degli esicasti dell’umanesimo profano, base del Rinascimento dei Paleologhi, non ha lasciato Rublëv indifferente. Nella sua opera, la linea è sovrana a scapito del volume e del modellato. La maggior parte dei volti – anche quelli dei tre angeli nella celebre icona della Trinità (Tav. 58) – è di tipo tradizionale192. I lunghi nasi affilati, i menti appuntiti e gli ovali allungati, così come gli oc-chi interamente contornati testimoniano il ritorno ai princìpi fondamentali dell’estetica bizantina e annunciano l’arte postbizantina in Russia. In questa icona le pieghe del panneggio sembrano tracciate a penna, tanto sono fini e incisive193. Il modo di Rublëv di sovrapporre colori trasparenti caldi e freddi in strati levigati non appartiene né alla tradizione bizantina né al Rinascimento, ma si deve a una sua personale iniziativa; ciò conferisce alle sue icone un aspetto diafano e immerge i santi in una luce dorata. Queste qualità, assieme 222

Dottrine e correnti mistiche come fattori determinanti dell’iconografia e dello stile. L’esicasmo

58. Andrej Rublëv, Trinità o Ospitalità di Abramo, 1420-1430 ca., tempera su legno, Galleria Tretjacov, Mosca, Federazione russa.

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