MANET

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Fred Licht

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SOMMARIO

Introduzione

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Edouard Manet

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Cronologia

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Note

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Indice delle tavole

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Bibliografia

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TAV. 50 Edouard Manet Argenteuil e particolare

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TAV. 51 Edouard Manet Nella serra, nelle pagine seguenti, particolari

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ma ancora acceso voyeurismo che aleggia sul­le piacevoli distrazioni descritte in La Sacra Fonte o nella scena principale de Gli ambasciatori, nella quale lo scrit­tore passeggiando lungo le belle rive soleggiate della Sen­na, vede il suo protetto Chad portare in barca M.me de Vionnet. Appena riconosce la coppia rimane incantato dalla bellezza poetica del momento. Subito, però, prende drammaticamente coscienza della situazione. È stato in­gannato, è stato tradito dai due amanti sulla barca. An­ che in Manet c’è un elemento di suspense causato dalla tensione tra la bellezza innocente della scena e la fasti­diosa sensazione di qualcosa di irrisolto, sospeso sui pro­tagonisti. Questo senso di non risolto è così fastidioso in opere come Nella serra, che cerchiamo di sviare i nostri sospetti focalizzando l’attenzione sui virtuosismi con i quali questi dipinti dell’ultima maniera di Manet sono stati realizzati. Questa sorta di analisi tecnica è abbastanza efficace nel caso di Monet ma è insufficiente per Ma­net. La sua pericolosa abitudine di porsi di continuo do­mande sul comportamento umano si pone al di là di valu­tazioni estetiche. Per parafrasare Frank Stella, ciò che si vede è esattamente ciò che non riusciamo a cogliere. Per certi versi, l’enigmatica impassibilità di Manet ci mette ancora più alle strette, tormentandoci non solo con il carattere misterioso della realtà, ma puntando deli­beratamente verso una soluzione che poi si dimostra am­bigua e alla fine deludente, quanto la ridicola mancanza di significato di quella realtà dalla quale abbiamo inco­minciato, che osserviamo ma che non riusciamo a pene­trare. La più affascinante di questo particolare gruppo di opere di Manet è indubbiamente il quadro originaria­mente intitolato Colazione, ma di solito conosciuto come Colazione nell’atelier (Tav. 52) per evitare di confonderlo con La co­lazione sull’erba (Tav. 23). A un primo sguardo, il dipinto rappresenta una sce­na piuttosto convenzionale di tranquilla convivialità bohémienne. Un uomo anziano, seduto sulla destra, die­tro al tavolo, ha pranzato in compagnia di un giovane che sta sul lato più vicino del tavolo, in posizione spicca­tamente centrale. Il tavolo è ingombro di

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avanzi del pa­sto, una domestica si avvicina sulla sinistra dallo sfondo, con in mano una caffettiera d’argento, suggerendoci che la colazione è appena finita. Sebbene di fatto il quadro non fu realizzato in uno studio, il disordine tipico di uno studio d’artista giustificherebbe l’informalità del mobilio. Questo, oltre alla singolare moda seguita da en­trambi gli uomini di portare il cappello in un ambiente chiuso, conferma che non siamo in un ambiente dome­stico ma nell’ambiente di lavoro di un artista. Al di là di questo, l’opera è del tutto vaga e siamo liberi di pensarla semplicemente come una scena di genere, in questo confermati dall’atmosfera pittoresca e curiosa dello stu­ dio d’artista. O meglio “saremmo” liberi di pensarlo se non fosse ancora una volta per le proporzioni piuttosto grandi del quadro, che lo pongono decisamente fuori dal contesto del quadro di genere, e per la sua palese mancanza di coerenza narrativa. È una scena di gioviale compagnia ep­pure l’atmosfera non è per nulla festaiola e non c’è nessu­no scambio di socialità tra i tre protagonisti. La mancanza di contatto umano ci porta a rimanere in tensione, ci met­te in allerta per qualcosa di non detto, ci sfida a scoprire la ragione per la quale l’artista ha scelto per l’opera pro­prio questo momento piuttosto che uno più significativo, rappresentando, per esempio, la gioia di pranzare in buona compagnia. Rimaniamo in attesa che ci venga spiegato ciò che abbiamo il diritto di sapere. È a questo punto che si è colti da un improvviso déjà-vu. La composizione è straordinariamente familiare, seb­bene sia presentata in un contesto poco consueto. Se sia­mo fortunati, il fastidioso sforzo di ricercare il significato autentico del quadro di Manet giunge a un risultato. È la tipica composizione utilizzata da secoli, con leggere va­riazioni, per raffigurare il soggetto della “scelta di Erco­le”. Sono solo i costumi moderni a impedirci di intuire subito il rimando. Naturalmente, l’altra La co­lazione sull’erba, con le sue nascoste allusioni alla mitolo­gia e all’allegoria, avrebbe dovuto fornirci subito la chia­ve di let-

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TAV. 52 Edouard Manet Colazione nell’atelier

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tura. Un giovane che occupa il centro della scena è affian­cato da ambedue le parti da una quantità di oggetti che hanno – o hanno avuto – uno specifico significato simboli­co. A sinistra del ragazzo, sul lato «sinistro» o sfavorevo­le, si trova un uomo comodamente abbandonato al pia­cere del fumo, ci sono ostriche che ancora oggi sono ri­tenute un potente afrodisiaco e tutti gli altri piaceri del­la tavola. Alla destra del giovane, sul lato destro, “virtuoso”, si trova un’armatura che è evidente simbolo della virtus maschile6, un gatto intento a lisciarsi per essere più pronto alla caccia, una donna al lavoro, impegnata in ciò che il suo ruolo nella vita le richiede. Possiamo com­prendere ancor di più tutto questo, ricordando la defini­zione di Charles Baudelaire del dandy come di un «Hercule désœuvré» e dedurre con certezza che il quadro rappresenta una «scelta di Ercole» in chiave moderna7. Per un attimo potremmo essere tentati di allontanarci, totalmente sicuri di aver trovato la soluzione dell’enigma di Manet. Ma ovviamente la soddisfazione per la riuscita del no­stro modesto esercizio iconografico dovrebbe metterci in guardia da possibili errori. Saltando direttamente alla conclusione di essere di fronte semplicemente a un altro tentativo di realizzare una allégorie réelle alla Courbet, cadiamo in una trappola studiata appositamente per noi da Manet8. Se c’è una qualche intenzione allegorica, un significato accertabile e specifico in Colazione nell’atelier, esso risiede solamente nel sardonico contrasto tra ciò che un tempo si sarebbe potuto capire osservando due diversi gruppi di nature morte alla destra e alla sinistra di un giovane. Nel quadro di Manet, l’Ercole putativo ha lasciato dietro di sé sia il vizio che la virtù e si trova radicalmente staccato da ciò che lo circonda. Pensiamo di riuscire a intuire la promessa di un più alto proposito, che ci permetta di distinguere il vizio dal­la virtù nel quadro, ma quando guardiamo ancora, ciò cui ci troviamo di fronte è solo una realtà casuale come ostriche, limoni, armature, un gatto, una donna al lavoro, un uomo che si gode il piace-

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Edouard Manet Colazione nell’atelier, particolare

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re effimero di una buona fumata dopo il pasto e un adolescente separato dall’arma­tura tanto quanto dalle ostriche. Con l’usuale trovata ironica di accostare passato e presente, Manet ci fa tornare alla memoria un’epoca più felice che ancora possedeva la miracolosa e fiducio­sa capacità di decifrare il significato spirituale dietro le apparenze. La facoltà di andare al di là dell’apparenza è ormai svanita. Ciò che i nostri sensi percepiscono può avere un ulteriore significato o può non averlo. Non siamo in grado di dirlo. Ai “pochi fortunati” di stendhaliana memoria ai quali si rivolge Manet piace essere stuzzicati da gruppi di oggetti del tipo di quello disposto per noi in Co­ lazione nell’atelier, illudendosi per un attimo di poter ancora evocare suggestioni di questo tipo. Molto più tardi James Joyce in Ulisse avrebbe of­ferto un simile servizio a chi di noi avesse voluto vedere le nostre povere esistenze investite di un significato più alto. Ma in pratica non possiamo fare nulla di meglio che rimpiangere la perdita di quelle facoltà che ci per­mettono di penetrare l’anima delle cose... facoltà che gli artisti di un tempo esercitavano con risultati davvero ammirevoli. Mentre per i quadri di uno o due personaggi sceglie formati quasi monumentali, Manet preferisce invece di­pingere scene di folla, come Ballo in maschera all’Opéra del 1873 (Tav. 53, 54), su tele piuttosto piccole. I soggetti ritratti da vi­cino che abbiamo analizzato, Colazione nell’atelier, Nel­la serra, Argenteu­ il, danno l’immediata impressione che l’intera attività sia stata interrotta nell’attimo inafferrabi­le che precede una decisione significativa. Le tele più piccole e affollate non contengono neppure l’indizio di una futura svolta drammatica e ci danno la sensazione di un’attività continua e furtiva che ci procura fastidio inve­stendoci col suo sfrenato eccitamento. Ballo in maschera all’Opéra è probabilmente il più im­portante capolavoro di Edouard Manet in questo genere. Da nessun’altra parte egli riesce a mescolare così perfettamente tecnica e contenuto, proprio come Flaubert accorda ar­moniosamente i ritmi della sua prosa alle vicende che va narrando. La vivace

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Edouard Manet Colazione nell’Atelier, particolare

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brillantezza di ogni pennellata rende perfettamente l’atmosfera elettrizzante di questa scena fatta di forti allusioni erotiche. Anche la disposizione dei colori racconta una storia che va all’unisono con il signifi­cato sociale dell’occasione descritta. Lo sfondo è fatto di una chiazza cangiante di nero, contro il quale i rosa, i blu, i verdi e i rossi sono sottolineati per contrasto come i ri­flessi di un gigantesco diamante. Gli aspetti foschi e quelli esaltanti dell’amore venale trovano in quest’opera la loro imparziale celebrazione. Ancora una volta, come Veláz­quez, Manet parla da persona inserita nell’ambiente. Ma­net non è un predicatore che inveisce contro questi cosid­detti turbatori della morale comune, come fa l’amico Zo­la. Zola è di una condizione sociale del tutto diversa e quando parla dei ricchi uomini che frequentano quelle cortigiane che contribuiscono a regalare a Parigi un’atmo­sfera così particolare, li giudica creature moralmente infe­riori a lui. Gli eleganti gentiluomini in Ballo in maschera sono invece trattati alla pari da Manet ed egli sa cosa stanno facendo perché lui stesso si è dedicato agli stessi piaceri, agli stessi vizi e ha vissuto gli stessi pentimenti. Nel 1832, quarant’anni prima che Manet dipingesse Ballo in maschera all’Opéra del 1873, Ludwig Bjòrne, nei suoi articoli da Parigi descriveva questo famoso e popo­lare divertimento:

TAV. 53 Edouard Manet Ballo in maschera all’Opéra

«Parigi, 24 gennaio 1831. Il Ballo sembra essere stato istituito solo per dimostrare di quanto poco spazio ed aria un uomo abbia bisogno per sopravvivere... E tuttavia è vero, lo spettacolo era magnifico, magico; era una fiaba da mille e una notte. Lo sfavillio di luci brillava come il sole, l’eccitante mescolanza di colori di­versi, di oro e di argento, di seta e di donne, di cristallo e di fiori, e tutto questo disposto ad arte a deliziare col lo­ro splendore i nostri occhi senza tuttavia abbagliarli. E poi ovunque la musica, come se fosse stata ricamata in quell’enorme tela... era così bello... attraverso gli angusti spazi che rimanevano vuoti si aggiravano gli uomini, ve­ stiti in nero; o forse invece che “uomini” sarebbe oppor­tuno dire

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Edouard Manet Ballo in maschera all’Opéra, particolare

l’“Uomo” perché sembravano tutti essere cre­sciuti insieme. Le caratteristiche individuali erano irrile­vanti, l’individuo diventava una cosa sola con gli oggetti, la vita si trasformava in quadro... Il grandioso salone d’ingresso dell’Opéra era decorato e illuminato splendi­damente quanto lo stesso teatro. La folla di persone che il teatro e i loggioni non riuscivano a contenere per mol­to tempo si riversava nel salone d’ingresso, per le scale e lungo i corridoi». Il brano indica molti degli stessi motivi utilizzati da Manet: la prevalenza di uomini vestiti di scuro che insie­me vanno a costituire un’unica macchia, l’effetto della luce del giorno dato dalla luce artificiale, la mancanza di coordinate o di centralità in una scena che è fatta di per­sone pressate le une contro le altre e che si muovono in continuazione. Il resoconto scritto di Bjòrne eguaglia in efficacia la bravura di Manet nel suggerire le mostruosità nascoste della società, rimanendo allo stesso tempo incorruttibilmente fedele alle oggettive osservazioni di superficie. L’urbana spensieratezza insieme alle minacce di oscu­ri dolori possono interessare lo sfaccendato parigino quando meno se lo aspetta. Nel 1878 Manet dovette la­sciare il suo vecchio studio. A ricordo dei molti momenti felici e tristi legati all’atelier, realizzò tre vedute diverse di rue Mosnier (Tavv. 55, 56 e 58), – che ora si chiama rue de Berne – vista dalle finestre del suo studio. La prima di queste è una ve­duta abbastanza fedele della strada come doveva appari­re dal punto di vista privilegiato dello studio di Manet. Questo quadro e le versioni successive dello stesso sog­ getto sono state spesso considerate il segno dell’accetta­zione da parte di Manet del modo di vedere le cose neu­trale e distaccato degli Impressionisti. Tuttavia anche un superficiale paragone con le note vedute cittadine dipinte da Claude Monet o da Camille Pissarro del Boulevard des Capucines (Tav. 57) prova che le differenze tra Manet e i pittori Impressioni­sti sono davvero enormi e molto più significative delle lo­ro somiglianze. In realtà, l’unica cosa che hanno in co­mune è l’utilizzo, per le loro opere, di una scena urbana all’aperto.

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TAV. 54 Edouard Manet Studio per Ballo in maschera all’Opéra e particolare

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Edouard Manet La rue Mosnier imbandierata, prima versione

Edouard Manet La rue Mosnier imbandierata, seconda versione

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Edouard Manet La rue Mosnier imbandierata, particolari

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Laddove gli Impressionisti spezzano il raggio di luce nei diversi componenti del prisma, il colore di Manet, se pure sovente steso a colpi di pennello irregolari, è com­patto. La sua sorprendente capacità di evocare un’atmo­sfera non è dovuta alla dispersiva mescolanza ottica che dona una qualità tremula e velata alla superficie delle opere impressioniste, ma nasce dal contrasto tra ampie zone di colori dominanti. Ancora più importante è la in­nata passione di Manet per il soffermarsi sull’elemento umano di una data scena. I parigini di Pissarro o di Monet, visti da finestre di appartamenti allo stesso piano, sono del tutto interscambiabili, ridotti di fatto a puntini di co­ lore vivace. Manet, invece, considera sempre la figura umana la protagonista di una scena enigmatica ma po­tenzialmente significativa. In questo caso, il lavoro dei la­stricatori di strada in primo piano (Tav. 58), sebbene non possieda assolutamente una funzione emblematica e monumentale come Gli spacca­ pietre di Gustave Courbet, è nondimeno una parte essenziale dell’impatto provocato dal dipinto. Il soggetto di Manet è la città in quanto immenso cantie­re. Per ispirazione, Rue Mos­ nier è più vicino ai Selciatori di Umberto Boccioni e all’idea futurista di città moderna che alle vedute di Parigi di Pissarro o Monet. La gente che anima Boulevard des Capucines, emana il proprio fascino per il fatto di costituire una componente indistinta di una scena dinamica. I lavoratori di Manet sono già ap­pieno la realizzazione dell’idea futurista della strada che invade la stanza. Diversamente dagli Impressionisti, Ma­net è interessato ai particolari. Persino l’insegna dalla scritta perfettamente leggibile «Le coin de rue. Vétements sur mesure» è prova del fatto che Manet non pen­sa alla città come a uno spunto, come può esserlo un co­vone di fieno o una pozza in giardino, ma come a un or­ganismo che contiene l’impronta del lavoro e del caratte­re dell’uomo. Una delle altre versioni, La rue Mosnier imbandierata (Tav. 56), contiene diversi cambiamenti significativi. Per celebrare il

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TAV. 57 Claude Monet Boulevard des Capucines

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Edouard Manet La rue Mosnier con i pavimentisti

grandissimo successo dell’Esposizione Universale del 1878 bisognava far sventolare le bandiere da tutti gli edi­fici parigini, come per le feste nazionali. Il tricolore sven­tola dalle facciate delle case illuminate dal sole e trasforma l’atmosfera da giorno lavorativo della versione prece­dente, in una chiave più spensierata. Ma la spensieratez­za di rue Mosnier imbandierata è interrotta con crudeltà da un uomo con una gamba sola, in tuta da lavoratore che si trascina lungo la strada deserta sulle grucce, un de­relitto abbandonato dagli altri abitanti della strada. An­cora un altro particolare rinforza la sensazione inquietan­te che le bandiere e la giornata assolata siano maschere ingannevoli che coprono una realtà totalmente differen­te: la scala che fuoriesce da un tombino nell’angolo in basso a sinistra della composizione, allude all’esistenza di un’altra Parigi, sotterranea, lurida e tetra. È la Parigi del­le fognature e dei cunicoli, dove degli uomini faticano nell’oscurità. Ciò che abbiamo qui non è soltanto com­passione, ma qualcosa di molto più sinistro che lascia l’animo turbato anche molto dopo che si è distolto lo sguardo dal dipinto. La scala che conduce giù nelle viscere nascoste della città ci ricorda quello che è il più ambizioso progetto di Manet. Nel 1879 il pittore consegnò un piano per la de­corazione del Municipio appena costruito, che prevede­va una serie di dipinti raffiguranti aspetti tipicamente contemporanei di Parigi come il suo commercio e il suo sistema di trasporti. Queste opere dovevano andare sotto un titolo unico che l’amico Zola aveva dato a uno dei suoi libri più celebri: Il ventre di Parigi, e includeva scene di lavoratori del sottosuolo. La sua lettera alle autorità municipali non fu neppure presa in considerazione. Solo Pattinaggio (Tav. 59), di piccole dimensioni, e l’allusiva scala de La rue Mosnier imbandierata ci danno un’idea del progetto. L’idea di Manet per una decorazione su vasta scala del Municipio fu probabilmente una pura chimera perché un artista che non ha mai lavorato nella sua vita a te­le più grandi di due metri e mezzo, che ha sempre incon­trato difficoltà nel crea-

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re rapporti spaziali strutturati in maniera chiara e le cui scene di folla si basano su rapide notazioni di figure volte a essere indagate più da vicino, avrebbe probabilmente fallito nel realizzare affreschi per grandi soffitti come quelli del Municipio. Il suo desiderio di lavorare ad un progetto così ambizioso è comunque di un certo interesse perché è in sintonia con una crescente disaffezione per i limiti della pittura da cavalletto, che in­cominciò a esprimersi nell’opera dei più insigni artisti non solo in Francia ma in generale in Europa. Pierre-Auguste Renoir, per esempio, inizia a concepire dipinti da esporre – sebbene non necessariamente da vendere – come trittici. Von Marées, Monet, Puvis de Chavannes e Gauguin, per cita­re solo gli artisti più all’avanguardia, incominciano ad aspirare a una dimensione architettonica, a coerenza e so­lidità nelle loro opere. L’intima, poco impegnativa opera da cavalletto non soddisfa più la nuova serietà dell’epoca. Un simile cambiamento della sensibilità è riscontrabile anche nella scultura. Stanno acquistando maggior credito monumenti potentemente espressivi indirizzati alla comu­nità, piuttosto che oggetti finemente lavorati tesi a soddi­sfare sofisticati conoscitori. Dal 1876 in avanti l’energia di Manet è minata dal ra­pido progredire della malattia che lo uccise nel 1883 dopo anni di atroci tormenti. Le ambiziose aspirazioni che do­veva nutrire, delle quali è data prova nel progetto per il Municipio di Parigi, sono perdute per sempre per noi. Ci restano schizzi straordinariamente vivaci che avrebbero potuto divenire parti di una vasta panoramica pittorica della vita parigina. Ballo in maschera all’Opéra (Tav. 53), Pattinaggio (Tav. 59), La prugna (Tav. 60), Al caffè o La birreria Reichshoffen (Tav. 61) e Al caffè concer­ to (Tav. 62), po­trebbero essere considerati frammenti o schizzi per un equivalente pittorico delle lunghe descrizioni della vita urbana di Zola. I luoghi di pubblico ritrovo, stazioni, birrerie, caffè e piste di pattinaggio diventano una cosa sola con i personaggi che li animano, la folla e l’ambiente urbano che la accoglie si condizionano l’una con l’altro. Singole figure, rap-

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TAV. 59 Edouard Manet Pattinaggio e alle pagine seguenti, particolari

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TAV. 60 Edouard Manet La prugna e particolare

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presentando in se stesse particolari atti­vità, sono in bilico tra il costituire ri­tratti individuali o generalizzanti personificazioni. L’idea di una allégorie réelle, introdotta per la prima volta da Courbet, che combini in maniera perfetta osservazione realistica e significato simbolico sembra essere il pensiero predominante nella mente di Manet in questo momento finale della sua vita. Troviamo ancora espressa in scala minore questa urgenza in ciò che era stato concepito co­me un ciclo di quattro dipinti rappresentanti le stagioni dell’anno: La Primavera o Ritratto di Jeanne de Marsy (Tav. 63) e L’Autunno o Ritratto di Méry Lau­ rent (Tav. 64). La più riuscita di queste opere in cui un individuo e l’ambientazione che gli è stata imposta si compenetrano fino a rendere umano l’ambiente e inanimato l’uomo è Un bar alle Fo­ lies-Bergère (Tav. 66), l’ultimo dei grandi capolavori di Manet e forse il suo più profondo testamento spiri­tuale. Possediamo un prezioso bozzetto preparatorio per quest’opera che è caratterizzata da uno straordinario ca­povolgimento nel corso della sua maturazione. Per secoli gli schizzi preparatori sono serviti ai pittori per definire le proprie composizioni. Un’idea spontanea ma ancora in­certa è delineata negli schizzi preliminari, una stesura provvisoria destinata a essere elaborata e perfezionata nel dipinto finito. Nella sua ultima grandiosa opera Manet capovolge questo processo con risultati sorprendenti. Il bozzetto preparatorio (Tav. 65) ci mostra una scena immedia­ tamente comprensibile. Una barista bionda con le mani incrociate sta leggermente a destra rispetto al centro del disegno. Il riflesso della sua schiena appare ancora più a destra insieme al riflesso di un uomo in bombetta che la guarda, col bastone sollevato fino al mento, come intento a ri­flettere. Dietro alla figura principale la vista spazia sul pubblico illuminato a giorno delle Folies Bergère con i candelieri di cristallo, il lampadario a forma di globo e una folla di spettatori seduti in galleria. L’esecuzione è rapida e rende magistralmente l’effetto di un coup d’œil sulla scena da parte di chi si fosse aggirato per le sale

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TAV. 61 Edouard Manet Al caffè o La birreria Reichshoffen

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TAV. 62 Edouard Manet Al caffè concerto e particolare

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TAV. 63 Edouard Manet La Primavera o Ritratto di Jeanne de Marsy

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di ristorazione del teatro, luogo di caccia favorito per uomini di mondo in cerca di una occasionale compagnia femminile. Sebbene Manet rafforzi la struttura del dipinto finito spostando la barista esattamente al centro della composi­zione, distrugge completamente l’oggettiva leggibilità della scena che era così facilmente comprensibile nel bozzetto. Invece di chiarire le relazioni tra le figure e gli oggetti, come fanno normalmente i pittori quando passa­no dallo schizzo all’opera finita, egli le rende esasperatamente ambigue. Invece di spostarsi da una prima conce­zione ancora confusa nel disegno a un’immagine chiara e del tutto comprensibile, trasforma la descrizione di una situazione tangibile e reale in una profonda riflessione sull’inadeguatezza delle percezioni umane. Come in Las Meninas di Velázquez lo specchio è il protagonista centrale, come in Velázquez lo specchio è utilizzato per creare un ponte di luce tra il mondo del di­pinto e il mondo nel quale noi spettatori viviamo, ma con una grande differenza. Velázquez usa lo specchio per mostrarci una situazione che non riusciremmo a cogliere senza il suo aiuto. Nello schizzo per Un bar alle Folies-Bergère lo specchio gioca un ruolo ancora molto simile. Cogliamo subito che l’uomo con la bombetta, intento a decidere se intraprendere un flirt con la barista, ha con lei la stessa relazione che noi abbiamo con il dipinto. Possiamo capire cosa si trova dietro alla barista, cosa è davanti a lei, cosa è lontano e cosa è vicino. Nella versione finale del dipinto lo specchio invece di guidarci, ci tiene in costante suspense. Impossibile distin­guere la realtà dalle immagini riflesse, ciò che è lontano da ciò che è vicino. Di fatto, lo specchio stesso è divenu­to un’illusione. Il modo in cui è orientato ci trae in in­ganno ogni volta. A prima vista, la figura femminile vista da dietro appare un riflesso della barista che ci sta di fronte. A un’osservazione un poco più approfondita, questa percezione si fa dubbia: la figura vista da dietro si protende in avanti, la barista invece resta diritta. La figu­ra vista da dietro sta conversando con un uomo il

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TAV. 64 Edouard Manet L’Autunno o Ritratto di Méry Laurent

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TAV. 65 Edouard Manet Un bar alle Folies-Bergère, studio preparatorio

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TAV. 66 Edouard Manet Un bar alle Folies-Bergère e alle pagine seguenti particolare dello specchio

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cui volto è a poca distanza dal suo, mentre la figura vista di fronte rimane isolata nello spazio, lontana da qualsiasi possibile interlocutore. Forse la figura vista di spalle è una seconda barista che sta servendo i clienti dal lato op­posto del banco? Non possiamo dirlo. Allora si pone il problema di stabilire dove si sarebbe dovuto posizionare lo specchio per produrre l’effetto che vediamo. Se lo specchio è situato dietro la barista che sta di fronte, allo­ra le bottiglie dietro di lei dovrebbero essere riflessi della bottiglia davanti a lei... Ma lo sono realmente? La nostra incapacità di stabilire coerenti rapporti tra gli oggetti si fa ancora più profonda quando prendiamo in considerazione lo sfondo. In che posizione rispetto alla barista – che è il nostro unico punto di riferimento – è la galleria con la sua folla assiepata? In che relazione sono tra loro i lampadari a globo e i due candelieri? Come si mantiene sospeso il trapezio con l’acrobata dagli stivaletti verdi nell’estremo angolo in alto a sinistra e perché nessu­no sta guardando in alto al numero acrobatico? Realtà e illusione non sono più distinguibili. Tutte le nostre capa­cità di capire ciò cui assistiamo ci abbandonano. Quando iniziò Un bar alle Folies-Bergère a mente sempre lucida Manet dovette comprendere che questa era l’ultima grande opera che sarebbe stato in grado di completare. La sacrale solennità non è qualcosa che co­gliamo in esso col senno di poi ma è chiaramente una parte integrante del dipinto. Manet ha preso congedo dal mondo, il mondo parigino che aveva amato e capito sen­za compromessi e sotterfugi. In Un bar alle Folies-Bergè­re descrive per l’ultima volta la frenetica vivacità di una città che aveva preso il posto una volta occupato da Ba­bilonia, Atene e Roma. Oltre all’inebriante bellezza della scena, descrive anche la sua volgarità di fondo e l’insop­portabile e dolorosa solitudine che città di tal genere pretendono in cambio dei loro divertimenti.

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Per capire quanto siano profonde le implicazioni di Un bar alle Folies-Bergère, ci basta paragonarlo al prece­dente Nana9 (Tav. 67). Al più banale livello d’interpretazione Nana, come Un bar alle Folies-Bergère, considera la prosti­tuzione uno degli aspetti più tipici di una società urbana febbricitante, in cerca di quei piaceri che rappresentano i privilegi dati dalla ricchezza. Il fascino e la repulsione ugualmente forti suscitati dall’amore venale, il suo straor­dinario potere di provocare desideri inconfessabili – proprio come la pubblicità genera il bisogno di oggetti e ser­vizi prima sconosciuti o ignorati –, la mescolanza di ecci­tazione e degradazione che le è propria, il suo soddisfare la nostra nostalgie de la boue, erano al centro dei di­scorsi politici e culturali del tempo. La narrazione atten­tamente congegnata che Zola stava per realizzare, è da Manet concentrata in un coup d’œil altrettanto ben stu­diato. Fremito erotico e noia, superficiale eleganza e squal­lore mal dissimulato sono sommati insieme in Nana. La complessa scena di Nana che volta le spalle a un vecchio amante per iniziare un’avventura con un uomo nascosto – che potrebbe essere lo spettatore-voyeur che guarda la scena – è posta davanti a noi senza che l’artista abbia la presunzione di giudicare e senza invitarci a scagliare la prima pietra. Eppure, paragonato a Un bar alle Folies-Bergère, la prima è una scena tratta da una comédie humaine in forma pittorica, che include spiritosi sottintesi. Si possono facilmente immaginare gli episodi precedenti e successivi che circondano il momento colto dall’artista. Un bar alle Folies-Bergère, al contrario, suggerisce una condizione senza tempo che non sfocia in nessun epilogo ma esprime una perenne condition humaine. Questa con­dizione caratterizza l’esistenza moderna in quanto tale. Nana appartiene alla narrativa. Un bar alle Folies-Bergère, grazie al suo disilluso realismo, assurge un’improvvisa rivelazione al grado di icona immutabile. Solamente un personaggio nella storia dell’arte euro­ pea esprime un tale inesorabile isolamento, paragonabile a quello

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TAV. 67 Edouard Manet Nana e particolare

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che trapela dalla barista di Un bar alle Folies-Bergère, ed è la figura di Cristo nell’Ultima cena di Leo­nardo (Tav. 68). Sarebbe perlomeno imprudente suggerire che Manet ne fosse consapevole o che mirasse a un paragone tanto elevato. Eppure colpisce il fatto che entrambe le fi­gure siano strutturate come rigidi triangoli visti da dietro un tavolo. Entrambi costituiscono l’imperturbabile cen­tro di una scena agitata e intensa. Solo che, laddove Cristo ha appena espresso in ma­niera chiara e irrevocabile il fatto che uno dei discepoli lo ha tradito, la barista possiede solamente la coscienza muta e animalesca di essere stata tradita da tutti, inclusi noi che le stiamo di fronte. Proprio come Cristo e Giuda si trovano l’uno di fronte all’altro nella Cena, senza che Cristo guardi Giuda, così la barista guarda un mon­do che l’ha tradita e rimane come perduta in una sorta di irrecuperabile trance. La parabola del destino di Manet in quanto artista si chiude con Un bar alle Folies-Bergère. Quest’unica, mae­stosa figura, isolata nel mezzo del divertimento parigino al massimo del suo splendore ci fa tornare indietro, al primo autentico capolavoro di Manet, La cantante di strada. Entrambe le opere affrontano il tema della tra­gedia dell’individuo moderno. La cantante di strada è colta in quell’attimo di verità desolante e terribile situato tra la perdita della propria identità di cantante di strada – un’identità che possiede mentre si esibisce nel ristorante che sta per lasciare – e il suo prossimo ingresso da anoni­ma comparsa nell’accalcata folla delle strade di Parigi. Sua sorella più giovane, la barista delle Folies Bergère, è colta allo stesso modo in un momento di massimo isola­mento, quando non rappresenta nient’altro che se stessa. A dispetto, o forse più a ragione proprio per la loro asso­luta irrilevanza, entrambe queste figure femminili assumono una dignità tale da lasciarci con l’impressione di essere stati testimoni di un martirio10. Un bar alle Folies-Bergère illustra appieno i due aspetti di una questione che ha tormentato l’esistenza di Manet. I suoi

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avversari lo hanno accusato di dipingere donne – oppure uomini – come se fossero oggetti di una natura morta. I suoi sostenitori hanno replicato a questa accusa con l’affermazione che il valore di un quadro non dipende dal fatto che rappresenti esseri umani o nature morte. L’artista, protestano i difensori di Manet, deve es­sere libero di scegliere i propri elementi compositivi in accordo con il bisogno estetico di una certa forma, di de­terminati ritmi o colori. Oggi noi, passati attraverso il trionfo dell’arte astratta, non dobbiamo decidere da che parte stare e possiamo ammirare Manet per aver assunto una posizione che stava al di là sia dei suoi critici sia dei suoi sostenitori. Possia­mo, e in effetti dovremmo, assumere una posizione più sfumata. In primo luogo, la summa di Manet, espressa in Un bar alle Folies-Bergère, ci dice chiaramente che l’ap­proccio dell’artista è giustificato non solo sulla base di li­bertà espressive ma dalle premesse stesse poste dalla so­cietà moderna. Sia la donna sia le bottiglie di birra da­vanti a lei sono offerte come diversivi, come merce in ven­dita, non per intuizione dell’artista, ma per la struttura di fondo della società moderna. Non è Manet che ha ridotto la donna a non avere un significato più profondo di un gruppo di bottiglie. Il vero responsabile della degradazio­ne che trapela dal quadro è, alla fine, un mondo i cui va­lori sono interamente basati sui principi di perdita e pro­fitto. Manet ha trasformato tutta l’opera in uno specchio. La difesa portata avanti dai sostenitori di Manet, che abbandonano il terreno del soggetto preferendo conside­razioni puramente formali, deve essere conciliata col fatto che nulla impediva a Manet di seguire la facile via intra­presa dagli Impressionisti. Per un artista interessato pri­ma di tutto a questioni formali, paesaggio e natura morta sono generi molto più adatti rispetto ai temi scottanti dell’ingiustizia, delle perverse deviazioni della società o di eventi politici quali l’esecuzione dell’arciduca d’Asburgo divenuto imperatore. Alla maniera dei vecchi maestri, Manet credeva ancora nell’importanza delle ge-

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TAV. 68 Leonardo da Vinci Ultima cena

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rarchie e non ridusse mai la sua rappresentazione del mondo al li­vello dell’imparziale e distaccata maniera degli Impressio­ nisti. Anche quando rappresenta oggetti di natura morta apparentemente neutri, ci dà una scala di valori. I fiori nel vaso di fronte alla barista e il fiore del suo corpetto, per esempio, sono realizzati con una dolcezza e una fre­schezza che invece manca nel modo di rendere le botti­glie, i candelieri o il volto della cameriera. Né dobbiamo trascurare opere come Suicidio (Tav. 69). Adolphe Tabarant inesplicabilmente lo chiama «rien qu’un incident de palette», suggerendo che Manet abbia realizzato l’opera con colori avanzati, recuperati pulendo la tavolozza alla fi­ne della giornata. L’ipotesi di Tabarant è a dir poco tetra. Il tema del suicidio è antico in pittura e può essere fatto risalire indietro fino alla pittura vascolare greca. Ma, senza eccezioni, il suicidio nell’arte prima del xix se­colo è sempre motivato da una sofferenza morale: Aiace non volendo accettare la maledizione della pazzia si getta sulla propria spada, Lucrezia redime la sua perduta inno­cenza accoltellandosi ecc... È solo nel xix secolo che il suicidio perde il risvolto morale ed è dettato da un’inesplicabile noia o spleen. Antoine Wiertz nel suo Suicidio e Adriano Cecioni nella scultura dal titolo Il Suicida rap­presentano entrambi scene di suicidio senza dirci il moti­vo per il quale il protagonista vuole metter fine alla pro­pria vita. Il quadro di Manet è un passo ulteriore, e si tratta di un passo importante nello sviluppo di questa tematica specificamente moderna. Sebbene non possa es­sere provato, è certamente più plausibile pensare che quest’opera sia un abbozzo preparatorio – come lo schiz­zo per Un bar alle Folies-Bergère – per un dipinto ambi­zioso piuttosto che una maniera bizzarra di utilizzare co­lore avanzato. Certamente la tecnica attenta e l’inclusione di insoliti dettagli, come il quadro alla parete, raffigu­rante forse il volto di Cristo, e il ricamo del copriletto, stanno a indicare che le capacità immaginative sono state impegnate a pieno nel corso dell’esecuzione del dipinto. Lo stesso può essere detto per la straordinaria

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Edouard Manet Un bar alle Folies-Bergère, particolare dei fiori

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trovata di lasciar scomparire il corpo tra le lenzuola, come se fosse stato gettato lì per puro caso nello stesso modo in cui si potrebbe gettare il pigiama mentre ci si sta vestendo per il giorno11. La contraddizione provocatoria che appare in così tante opere di Manet è portata al culmine in Suicidio. Se il soggetto fosse solo un pretesto per un fine stilistico, perché scegliere un soggetto così esplicitamente ricco di implicazioni emotive? Il modo di porre il problema, comunque, non è del tutto corretto. Il fastidioso paradosso tra un soggetto sensazionale e l’atteggiamento impassibile è evitato se si considera che il soggetto non si limita a ciò che è rappre­sentato, per esempio un suicidio, ma implica anche da parte dell’artista una coscienza della sua incapacità di esprimere reazioni emotive, intellettuali o morali verso la morte. Ci ha condotto a questo la distruzione di una sca­la comune di valori ai quali rapportare le più importanti questioni della vita: l’artista può indicare che cosa do­vremmo osservare e considerare ma non può più indicar­ci come dovremmo comprendere o assimilare ciò che ci ha mostrato. Naturalmente da un punto di vista storico Manet è uno di quegli artisti che indicano la strada verso una nuo­va concezione della pittura come di un’arte indipendente da realtà esterne, come la musica o l’architettura. Il con­cetto di una pittura che si basi esclusivamente sulle intui­zioni o, per citare Cézanne, sulla «sensation» dell’artista è intuibile con chiarezza dall’opera di Manet e lo stesso Manet deve avere senz’altro avuto forti presentimenti del­le conseguenze che potevano essere dedotte dalla sua ar­te. La sua opinione nei confronti di queste conseguenze, comunque, dovrà rimanere un mistero. Guardando all’eredità pittorica di Manet giungiamo da soli a comprendere che l’indipendenza conquistata dalla pittura, anche grazie alla dimostrazione da parte di Manet dell’esistenza di un’incomunicabilità imposta dal­lo stile di vita moderno, rappresenta una sorta di vittoria. Sicuramente le opere

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TAV. 69 Edouard Manet Suicidio

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di maestri come Vasilij Kandinskij, Piet Mondrian e dei loro colleghi successivi hanno arricchito il no­stro patrimonio culturale di incalcolabili tesori. Ma sebbene possa essere stata una vittoria per l’arte il distaccarsi dalla vita, fu per la vita una catastrofe l’essere privata del conforto dell’arte. Quando le madri di fami­glia si fermavano a pregare di fronte agli affreschi di Giotto, quando invitati illustri danzavano al di sotto dei soffitti affrescati da Pietro da Cortona, arte e vita si in­contravano su di un terreno comune. Da Edouard Manet in avan­ti essa è confinata alla terra di nessuno di un museo dove ci rechiamo soltanto quando ci distacchiamo dalle no­stre preoccupazioni dominanti.

CRONOLOGIA 1832 23 gennaio – Nasce a Parigi, al civico 5 di rue des PetitsAugustins (ora rue Bonaparte). Manet è il primogenito di Auguste Manet (1797-1862), alto funzionario del Ministero della Giustizia e di Eugénie-Désirée Fournier (1811-1895), figlia di un diplomatico di stanza a Stoccolma. 1844-1848 Studia al collegio Rollin dove conosce Antonin Proust (1832-1905). Nel corso di questi anni scolastici i due avrebbero visitato innumerevoli volte il Louvre in compagnia di Edouard Fournier, zio materno di Manet che, accortosi del talento del nipote per il disegno, lo incoraggia. 1848 Luglio – Manet non supera l’esame di ammissione all’Accademia Navale. Dicembre – l’artista s’imbarca come allievo pilota alla volta di Rio de Janeiro sulla nave mercantile Havre et Guadeloupe. Al suo rientro, viene bocciato per la seconda volta al concorso d’ammissione all’Accademia Navale. Con il consenso dei suoi, Manet intraprende finalmente la carriera artistica. 1849 Incontro con Suzanne Leenhoff (1830-1906), insegnante di pianoforte.

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1850 Settembre – Con Antonin Proust entra a far parte della bottega di Thomas Couture. Vi resterà per sei anni durante i quali viaggerà in Germania, Olanda, Cecoslovacchia, Austria e Italia. 1852 29 gennaio – Nasce Léon-Edouard Koëlla, detto Leenhoff (1852-1927), figlio naturale di Suzanne Leenhoff. 1855 Manet fa visita a Eugène Delacroix al quale chiede il permesso di copiare La barca di Dante custodita al museo del Luxembourg. 1859 Aprile – Il bevitore di assenzio non viene ammesso al Salon, nonostante il parere favorevole di Delacroix. Luglio: Manet incontra Degas al Louvre. 1860 Estate – l’artista si stabilisce a Batignolles con Suzanne Leenhoff e Léon. 1861 Maggio – Al Salon l’artista espone Ritratto del Signore e della Signora Manet e Il chitarrista spagnolo che riceve una menzione onorevole. 1862 25 settembre – Muore il padre. L’artista incontra Victorine Meurent, modella professionista che posa per La cantante di strada.

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1863 Maggio – Apertura del Salon des Refusés dove Manet espone tre acqueforti e tre quadri, tra cui La colazione sull’erba. 28 ottobre – Nozze con Suzanne Leenhoff in Olanda. 1864 Maggio – Al Salon espone Episodio di una corsa di tori e Cristo morto e due angeli. 1865 Gennaio – in preda ad una crisi di sconforto, l’artista distrugge molte sue opere. Maggio – al Salon espone Gesù deriso dai soldati e Olympia. Agosto – Partenza per la Spagna. 1866 Aprile – La giuria del Salon rifiuta Il piffero e L’attore tragico. Maggio – Nel suo resoconto del Salon, Zola prende le difese di Manet. Incontro con Cézanne, Monet, Zola, Renoir e Bazille. Il Café Guerbois (sito all’altezza dell’attuale civico 9 di avenue de Clichy) diventa il luogo d’incontro preferito di Manet e dei suoi amici. 1867 Maggio – L’artista allestisce, a sue spese, una “personale” nei pressi del ponte dell’Alma, a margine dell’Esposizione Universale. Anche Courbet dispone di un suo padiglione. 19 giugno – In Messico viene giustiziato l’Imperatore Massimiliano. Manet realizza numerose opere ispirate a questo soggetto. 2 settembre – Manet assiste al funerale di Baudelaire.

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1868 Maggio – Al Salon l’artista espone Ritratto di Zola e Giovane signora. Estate – Tramite Fantin-Latour avviene l’incontro con Berthe Morisot che, a settembre, poserà per Il Balcone.

Maggio – Apertura, presso lo studio fotografico Nadar della prima mostra della Société anonyme des artistes peintres (Prima mostra impressionista). Manet, benché sia stato invitato a parteciparvi, non invia opere. Il suo auspicio è “vincere il Salon”.

1869 Gennaio – L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano del Messico è rifiutata al Salon. Maggio – L’artista espone al Salon Il balcone, Colazione nell’atelier e cinque acqueforti.

1875 Maggio – L’artista espone al Salon Argenteuil.

1870 Luglio – Inizio della guerra franco-prussiana. Novembre – Come Degas, Manet si arruola nella Guardia Nazionale. 1872 Maggio – Al Salon l’artista espone Il combattimento tra il Kearsarge e l’Alabama. La Nouvelle-Athènes, a place Pigalle, diventa il nuovo luogo d’incontro dei suoi amici, prendendo così il posto del Café Guerbois. 1873 Maggio – L’artista espone al Salon Il buon boccale e Il riposo. Settembre – Incontro con Mallarmé. 1874 Aprile – La giuria del Salon accetta La ferrovia, ma rifiuta Le rondini e Ballo in maschera all’Opéra. Manet reagisce scrivendo un articolo intitolato “La Giuria di Pittura per il 1874 e Manet” in cui critica aspramente tale scelta.

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1876 Aprile – La giuria del Salon rifiuta Il bucato e L’artista. Manet decide allora di aprire la sua bottega al pubblico per mostrare i quadri non ammessi al Salon e altre opere. 1877 Marzo – L’artista contribuisce alla terza mostra impressionista prestando tre opere della sua collezione: due Monet e un Sisley. Aprile – la giuria del Salon accetta Faure nel ruolo d’Amleto ma rifiuta Nana. La tela sarà quindi esposta nella vetrina del negozio di Giroux sul boulevard des Capucines. 1879 Maggio – Manet espone al Salon In barca a vela e Nella serra. 1880 Gennaio – La salute di Manet si deteriora. Aprile – Mostra privata nei locali di La Vie moderne. Maggio – L’artista espone al Salon il Ritratto di Antonin Proust e Coppia al père Lathuille. 1881 Maggio – L’artista espone al Salon il Ritratto di Pertuiset e il Ritratto di Henri Rochefort che riceve una medaglia di seconda classe.

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1882 Gennaio – Le condizioni di salute dell’artista peggiorano. Maggio – L’artista espone al Salon Un bar alle Folies-Bergère e Jeanne. 1883 20 aprile – Manet subisce l’amputazione della gamba sinistra. 30 aprile – L’artista muore. 3 maggio – Manet viene sepolto al cimitero di Passy. Antonin Proust, Emile Zola, Philippe Burty, Alfred Stevens, Claude Monet e Théodore Duret sorreggono il drappo che copre il feretro.

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NOTE Charles Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, in Critique d’art, Paris, Gallimard 1992, pp. 343ss. 2 Per una affascinante analisi dell’opinione di Manet nei confronti del pro­prio status sociale, vedi T. Clark, Painter of the middle class. 3 Per il nuovo ruolo giocato dalle modelle vedi Ein Künstlerleben in Rom, ca­talogo della mostra, Norimberga. 4 W. Birger (Th. Thoré), Les Salons de W. Birger, Paris, 1870, pp. 424525. 5 L’avventura messicana e la farsa della nomina di Massimiliano a imperatore fu possibile soprattutto perché Napoleone sapeva che gli Stati Uniti, ancora impe­gnati nella guerra civile, non erano in condizione di sfidarlo. Appena si concluse la guerra civile, Napoleone preferì ritirare le sue truppe piuttosto che confron­tarsi con l’esercito americano. Senza l’appoggio delle forze di spedizione francesi il destino di Massimiliano fu segnato. Per uno studio esauriente degli eventi e per leggere uno dei migliori saggi sull’arte di Manet si veda O. Bätschmann, Die Erschiessung Maximilian von Mexiko, Francoforte s. M., 1993. 6 Sappiamo che Manet incontrò delle difficoltà nell’ottenere in prestito que­st’armatura da un amico. La sua presenza dunque non può essere considerata un motivo compositivo casuale privo di significato simbolico. 7 È stato più volte suggerito che il ragazzo al centro, si tratta del figlio di M.me Manet, e forse anche di Manet, abbia dinanzi a sé la propria vita, men­tre lascia alle spalle i suoi genitori. Le sfumature di questa interpretazione so­no errate. Le due figure sicuramente non rappresentano Manet o sua moglie. Ma presa in generale l’ipotesi è corretta e serve ad avvalorare l’interpretazione della «scelta di Ercole». 8 Il quadro di Courbet, fatto piuttosto singolare, è anche una rappresentazio­ne dello studio dell’artista e quindi sembra ad uno sguardo superficiale dar ra­gione all’interpretazione dell’opera di Manet in quanto scena allegorica riletta in chiave moderna. Ma dobbiamo fare attenzione. Nel caso di Courbet, l’inte­ro dipinto gira intorno alla figura dell’artista che costituisce il centro focale non solamente da un punto di vista compositivo e narrativo ma anche intellet­tuale. È lui che dà significato al quadro, la garanzia dell’onestà del suo intento didattico e che ci permette di trarne un insegnamento. Atteggiamento davvero lontano da quello di Manet che è sempre assente dai suoi quadri e rifiuta di garantirci una qualsiasi cosa che non sia l’onestà della sua osservazione e l’onorevolezza del suo mestiere. È irrilevante che gli specialisti siano ancora in disaccordo riguardo al vero 1

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significato dell’Atelier di Courbet. L’intenzione dell’artista fu senza ombra di dubbio quella di spiegarci qualcosa della sua arte e del posto occupato dall’artista nella società, proprio come un insegnante che educa a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Questo è precisamente il tipo di responsabilità che Manet rifiuta di assumersi. 9 Vedi W. Hofmann, Nana, Colonia 1973, per uno studio approfondito e inci­sivo di tutti i temi collegati al soggetto di Manet. 10 In Gesù deriso Manet ha dipinto un soggetto simile ma in termini tradizio­nali. Vittima e carnefice sono chiaramente individuabili. L’opera appartiene inoltre appieno alla tradizione della pittura di narrazione. Dobbiamo integrare il dipinto con la conoscenza di ciò che è accaduto prima del momento descrit­to dall’artista e di ciò che accadrà. In Un Bar alle Folies Bergère vittima e car­nefice (ciò è vero di tutte le interpretazioni del tema dell’amore venale del xix secolo) non sono più distinguibili né ci si preoccupa di come la situazione si sia venuta a creare o di come si concluderà. 11 È interessante paragonare il quadro di Manet con l’opera di un artista molto più convenzionale. Vincenzo Vela nella tomba della Contessa d’Adda rende il corpo inerme della contessa come un dettaglio sproporzionatamente piccolo in mezzo a un groviglio di lenzuola, cuscini, coperte e baldacchini. Solo che Vela non sottolinea l’aspetto di natura morta del cadavere. Se pure lo strano occulta­mento del corpo della contessa è paragonabile alla realizzazione di Manet, Vela riduce l’effetto attraverso l’intensa passione della sua eloquenza formale e col farci condividere il suo atteggiamento. Eppure la stessa disinteressata impassibi­lità di fronte alla morte, che costituisce parte integrante del temperamento mo­derno, è espressa, a un diverso livello di intensità, da entrambi gli artisti.

INDICE DELLE TAVOLE

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Tav. 5

Tav. 6

Edouard Manet, Madame Manet (Suzanne Leenhoff, 1830-1906) a Bellevue, 1880, olio su tela, cm 80,6 × 60,3, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Edouard Manet, Autoritratto con cappello (Autoportrait), 1878, olio su tela, cm 95,4 × 63,4, Artizon Museum, Tokyo.

Charles Gleyre, La sera o Le illusioni perdute (Le Soir ou Les Illusions Perdues), 1843, olio su tela, cm 157 × 238, Museo del Louvre, Parigi.

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Edouard Manet, Lillà bianchi in un vaso (Lilac Bouquet), 1883, olio su tela, cm 54 × 41, Alte Nationalgalerie, Berlino.

Hippolyte Delaroche, Oliver Cromwell che contempla il cadavere di Carlo i (Cromwell devant le cercueil de Charles ier), 1846, olio su tela, cm 226 × 291, Kunsthalle, Amburgo.

Honoré Daumier, La storia antica, Pigmalione (Pygmalion, Histoire ancienne), 1842, litografia, cm 22,9 × 18,9, The Metropolitan Museum of Art, New York.

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Gustave Courbet, Gli Spaccapietre (Les Casseurs de pierres), 1849, olio su tela, cm 161 × 259. Opera distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Versione preparatoria con un solo soggetto girato verso sinistra, 1849, olio su tela, cm 45,5 × 54,5, Collezione Privata, Milano.

Edouard Manet, La Venere di Urbino (copia da Tiziano), Copie d’aprés “La Vénus d’Urbino” par Titienne, 1857, olio su tela, cm 24 × 37, Collezione Privata.

Edouard Manet, Il bevitore d'assenzio (Le buveur d’absinthe), 1858-1859, olio su tela, cm 180,5 × 105,6, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.

Edouard Manet, Lola di Valenza (Lola de Valence), 1862, olio su tela, cm 123 × 92, Musée d’Orsay, Parigi.

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Thomas Couture, I romani della decadenza (Romains de la décadence), 1847, olio su tela, cm 472 × 772, Grand Palais (Musée d’Orsay), Parigi.

Edouard Manet, I piccoli cavalieri (Les petits cavaliers), 1860 ca., olio su tela, cm 45,7 × 75,6, Chrysler Museum of Art, Norfolk (Virginia).

Edouard Manet, Il chitarrista spagnolo (Le Chanteur Espagnol), 1860, olio su tela, cm 147,3 × 114,3, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Edouard Manet, Il balletto spagnolo (Ballet Espagnol), 1862, olio su tela, cm 61 × 91,5, The Phillips Collection, Washington.

Edouard Manet, Il buon boccale (Le bon bock), 1873, olio su tela, cm 94,6 × 83,3, Museum of Art, Filadelfia.

Edgar Degas, Il caffè-concerto agli Ambassadeurs (Café-Concert at Les Ambassadeurs), 1876-1877, pastello su carta (monotipo), cm 37 × 26, Musée des Beaux-Arts, Lione.

Edouard Manet, M.lle Meurent in costume di Espada (Mademoiselle V. en costume d’Espada), 1862, olio su tela, cm 165,1 ×127,6, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Jean Antoine Watteau, Gilles (Pierrot/Gilles), 1718-1719, olio su tela, cm 184 × 149, Museo del Louvre, Parigi.

Edouard Manet, La cantante di strada (La chanteuse de rue),1862, olio su tela, cm 171,1 × 105,8, Museum of Fine Arts, Boston.

Edouard Manet, Victorine Meurent, 1862, olio su tela, cm 42,9 × 43,8, Museum of Fine Arts, Boston.

Edouard Manet, Il vecchio musicista (Le vieux musicien), 1862, olio su tela, cm 188 × 248, National Gallery of Art, Washington.

Diego Velázquez, Trionfo di Bacco/I bevitori (Los bebedores o Los borrachos), 1628-1629, olio su tela, cm 165 × 225, Museo del Prado, Madrid.

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Edouard Manet, La colazione sull’erba (Le déjeuner sur l’herbe), 1862-1863, olio su tela, cm 208 × 264, Grand Palais-Musée d’Orsay, Parigi.

Marcantonio Raimondi, Il giudizio di Paride, 1513-1515, acquaforte e bulino, cm 295 × 443, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Francisco Goya, Maja desnuda, 1800 ca., olio su tela, cm 97 × 190, Museo del Prado, Madrid.

Edouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, cm 130,5 × 190, Musée d’Orsay, Parigi.

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Giorgione, Concerto campestre, 1509-1510, olio su tela, cm 118 × 138, Museo del Louvre, Parigi.

Francisco Goya, Maja vestida, 1800 ca., olio su tela, cm 97 × 190, Museo del Prado, Madrid.

Edouard Manet, Giovane donna sdraiata in costume spagnolo (Jeune femme couchée en costume espagnol), 1862, olio su tela, cm 95 × 113, Yale University Art Museum, New Haven (Connecticut).

Tiziano, La Venere di Urbino, 1538, olio su tela, cm 119 × 165, Galleria degli Uffizi, Firenze.

François Boucher, Mademoiselle O’Murphy, 1752, olio su tela, cm 73 × 59, Alte Pinakothek, Monaco.

Edouard Manet, Cristo morto e due angeli, (Le Christ mort et les anges), 1864, olio su tela, cm 179 × 150, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Jusepe de Ribera, Martirio di san Filippo, 1639, olio su tela, cm 234 × 234, Museo del Prado, Madrid.

Diego Velázquez, Vecchia che frigge le uova, 1618, olio su tela, 100,5 × 119,5 cm. National Gallery of Scotland, Edimburgo.

Wilhelm Trübner, Donna nuda con bouquet (Akt hinter dem Vorhang), 1872, olio su tela, cm 67 × 92, Stiftung Oskar Reinhart, Winterthur.

Nicolas Poussin, Martirio di sant’Erasmo, 1628-1629, olio su tela, cm 320 × 186, Pinacoteca Vaticana, Roma.

Gerard ter Borch, Donna che sbuccia una mela, 1661, olio su tela, cm 36,3 × 30,7, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Diego Velázquez, Las Meninas, 1656, olio su tela, cm 318 x 276, Museo del Prado, Madrid.

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Edouard Manet, Un monaco in preghiera (Un moine en prière), 1865, olio su tela, cm 146 × 114, Museum of Fine Arts, Boston.

Edouard Manet, Mendicante con ostriche (Mendiant aux huîtres), 1865-1867, olio su tela, cm 187,3 × 108, Art Institute of Chicago.

Edouard Manet, Il piffero (Le fifre), 1866, olio su tela, cm 160 × 97, Musée d’Orsay, Parigi.

Edouard Manet, L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano del Messico (Kejser Maximilians henrettelse), 1867, olio su tela, cm 48 × 58, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.

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Edouard Manet, Gesù deriso dai soldati (Jésus raillé par les soldats), 1865, olio su tela, cm 190, 8 × 148,3, Art Institute of Chicago.

Edouard Manet, Torero che saluta (Le Matador saluant), 1866-1867, olio su tela, cm 171 × 113, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Edouard Manet, L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano del Messico, 1867, olio su tela, cm 195,9 × 259,7, Museum of Fine Arts, Boston. (Peter Barritt/ Alamy Foto Stock)

Edouard Manet, L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano del Messico, (L’exécution de l’empereur Maximilien), 1868-1869, olio su tela, cm 251,4 × 304,8, Kunsthalle, Mannheim.

Francisco Goya, Esecuzione dei rivoltosi il 3 maggio 1808 (El tres de mayo de 1808 en Madrid o Los fusilamientos de la montaña del Príncipe Pío o Los fusilamientos del tres de mayo), 1814, olio su tela, cm 266 × 345, Museo del Prado, Madrid.

Edouard Manet, In barca a vela (En bateau), 1874, olio su tela, cm 97,2 × 130,2, The Metropolitan Museum of Art, New York.

Edouard Manet, Nella serra (Dans la serre), 1879, olio su tela, cm 115 × 150, Nationalgalerie Staatliche Museen zu Berlin, Berlino.

Edouard Manet, Ballo in maschera all’Opéra (Le bal masqué à l’Opéra), 1873, olio su tela, cm 59,1 × 72,5, National Gallery of Art, Washington.

Edouard Manet, Il combattimento tra il Kearsarge e l’Alabama (Le Combat du Kearsarge et de l’Alabama), 1864, olio su tela, cm 137,8 × 128,9, Museum of Art, Filadelfia.

Edouard Manet, Argenteuil, 1874, olio su tela, cm 148,5 × 114,5, Musée des Beaux-Arts, Tournai.

Edouard Manet, Colazione nell’atelier (Le Déjeuner dans l’atelier), 1868, olio su tela, cm 118 x 154, Neue Pinakothek, Monaco.

Edouard Manet, Studio per Ballo in maschera all’Opéra (Le bal masqué à l’Opéra), 1873, olio su tela, cm 46,7 × 38,2, Artizon Museum, Tokyo.

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Edouard Manet, La rue Mosnier imbandierata (La rue Mosnier aux Drapeaux), 1878, olio su tela, cm 65 × 81, Collezione Privata.

Claude Monet, Boulevard des Capucines, 1873-1874, olio su tela, cm 80,4 × 60,3, Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City.

Edouard Manet, Pattinaggio (Patinage), 1877, olio su tela, cm 92 × 71,7, Fogg Art Museum, Cambridge.

Edouard Manet, Al caffè/La Birreria Reichshoffen, 1878, olio su tela, cm 78 × 84, Collezione Oskar Reinhart, Winterthur.

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Edouard Manet, La rue Mosnier imbandierata (La rue Mosnier aux Drapeaux), 1878, olio su tela, cm 65,4 × 80, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles.

Edouard Manet, La rue Mosnier con i pavimentisti (La rue Mosnier aux Paveurs), 1878, olio su tela, cm 65, 5 × 81, 5, Collezione Privata.

Edouard Manet, La prugna, 1877, olio su tela, cm 73,6 × 50,2, National Gallery of Art, Washington.

Edouard Manet, Al caffè concerto (Au café-concert), 1879 ca., olio su tela, cm 47,3 × 39,1, The Walters Art Museum, Baltimora.

Edouard Manet, La Primavera/Ritratto di Jeanne de Marsy (Les Printemps/Jeanne de Marsy), 1881, olio su tela, cm 74 × 51,5, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles.

Edouard Manet, Studio per Un bar alle Folies-Bergère (Étude pour le bar aux Folies-Bergère), 1881, olio su tela, cm 56 × 47, Collezione Privata.

Edouard Manet, Nana, 1877, olio su tela, cm 154 ×115, Kunsthalle, Amburgo.

Edouard Manet, L’Autunno/Ritratto di Méry Laurent (L’Automne/Portrait de Méry Laurent), 1882, olio su tela, cm 72 × 51,5, Musée des Beaux-Arts, Nancy.

Edouard Manet, Un bar alle FoliesBergère (Un bar aux Folies Bergère), 1882, olio su tela, cm 96 × 130, The Courtauld Gallery, Londra.

Leonardo Da Vinci, Ultima cena, 1495-1498, dipinto murale a secco, cm 460 × 880, Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

Edouard Manet, Suicidio (Le suicidé), 1877, olio su tela, cm 38 × 46, Collezione Bührle, Zurigo.

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