THE ORIGINS OF RELIGIONS

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LE ORIGINI DELLE RELIGIONI


Julien Ries

LE ORIGINI DELLE RELIGIONI Prefazione di Fiorenzo Facchini

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


International Copyright © 1993 for the text by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved International Copyright © 2012 for the present illustrated edition by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved © 2012 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano per l’edizione italiana Traduzione dal francese di Isa Sestini Prima edizione italiana settembre 2012

INDICE Prefazione, di Fiorenzo Facchini Parte prima L’UOMO E IL SACRO 1. L’antropologia religiosa 2. L’esperienza del sacro 3. Il simbolo e il linguaggio simbolico 4. Il mito come spiegazione delle origini 5. Il rito nella vita dell’homo religiosus 6. Le strutture del comportamento religioso 7. Le religioni di tradizione orale, oggi 8. Homo habilis e symbolicus 9. Homo erectus, Homo sapiens e simbolismo della volta celeste 10. La scoperta della trascendenza 11. Nascita e crescita della coscienza religiosa nell’uomo

In copertina «Adorante» di Larsa, bronzo, oro e argento, cm 19,15 x 14,8, inizio del II millennio a.C., Museo del Louvre, Parigi. Retro Tuthmosis III (1490-1439/6 a.C.) come traghettatore, Nuovo Regno, XVIII dinastia.

Selezione delle immagini e impaginazione Pixel Studio, Milano Stampa e legatura Grafiche Flaminia, Foligno (Pg) luglio 2012 ISBN 978-88-16-60470-4 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA – Servizio Lettori, via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20-29; fax 02 48.19.33.61 e-mail: serviziolettori@jacabook.it; internet: www.jacabook.it

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Parte seconda DALLA PREISTORIA ALLE GRANDI RELIGIONI

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1. Culti funerari arcaici: l’uomo di Neandertal e del Paleolitico superiore 2. L’arte franco-cantabrica 3. Il messaggio religioso dell’arte parietale 4. Le prime istituzioni 5. La «magia» della caccia 6. L’arte religiosa dell’epoca delle caverne 7. Sedentarizzazione, cultura e religiosità 8. Riti funerari del Neolitico 9. Le case sacralizzate e i santuari 10. I miti agrari 11. Il culto delle dee neolitiche 12. Iscrizioni rupestri, menhir e culto astrale 13. La civiltà dell’Indo e la religione prevedica 14. La religione dell’uomo sumero-babilonese 15. Il messaggio religioso dell’Egitto faraonico 16. La Cina, il Dao e lo yin/yang 17. Religioni indoeuropee e religioni dell’India 18. Il messaggio di Zarathustra 19. Rivelazione di Dio e religioni monoteiste

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Conclusioni

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Bibliografia Indice dei nomi di luogo e di persona

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INDICE

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PREFAZIONE Esplorare le profondità dell’animo umano (è a questo livello che si pone il sentimento religioso) è certamente arduo, un’impresa difficile a compiersi sull’uomo attuale e ancora di più sull’uomo preistorico. Ma è lecito tentarlo. Il problema maggiore è quello metodologico: che cosa cercare e con quali approcci cogliere la storia del senso religioso. Soltanto un secolo fa, in assenza di documentazione paleoantropologica, la ricostruzione delle origini delle religioni, o forse meglio del fenomeno religioso nell’umanità delle origini, veniva fatta in base a diversi approcci (evolutivo, etnologico, sociologico, fenomenologico, ecc.), in cui finivano per prevalere o determinate impostazioni ideologiche o la trasposizione di sentimenti religiosi di popoli attuali, primitivi o evoluti, all’umanità del passato. Non è questo il metodo seguito da Julien Ries, il quale, rifacendosi ai metodi storico, fenomenologico ed ermeneutico utilizzabili, secondo Mircea Eliade, dallo storico delle religioni, si è basato essenzialmente sulla documentazione di cui attualmente si dispone nel campo della paleoantropologia, della preistoria e della protostoria e sulle relative interpretazioni; una documentazione che nell’arco di un secolo si è arricchita notevolmente per quanto si riferisce all’attività concettuale espressa nella tecnologia, nelle pratiche funerarie, nei pittogrammi dell’arte parietale e mobiliare e, in epoca più recente, nel culto della Dea Madre, nella trasmissione dei testi religiosi. I documenti di cui disponiamo collocano in epoca relativamente recente, nel Neolitico, la nascita delle religioni, intese come sistemi di credenze e riti. Anche se può rimanere il dubbio che l’assenza di sicuri documenti sulle religioni in epoche precedenti sia legata alla mancanza di strumenti adeguati per la trasmissione di riti e costumi, le religioni si innestano su una base, il senso religioso, che può ritenersi connaturale all’uomo. Si tratti dell’uomo moderno che vive nella città o pratica un’economia di caccia e raccolta o dell’uomo preistorico che affrescava le pareti delle grotte 20.000-15.000 anni fa o praticava riti funerari in epoche molto più remote, si può ritenere che il senso religioso sia antico quanto l’uomo. È questa la tesi di Julien Ries, sulla quale mi trovo pienamente d’accordo. Homo religiosus perché homo symbolicus fin dalle origini, da quando c’è l’uomo, dotato di intelligenza astrattiva, capace di porsi domande, di cogliere ed elaborare simboli, dalla percezione della volta celeste alla comunicazione simbolica. Certamente i contenuti dell’esperienza religiosa si presentano assai ricchi e diversificati nel periodo in cui fioriscono le grandi religioni, occidentali e orientali del mondo asiatico, ma è possibile mettere in evidenza una continuità con le esperienze precedenti, a cui si risale quasi insensibilmente dalle epopee religiose dell’uomo sumero-babilonese agli oranti del Neolitico, ai mitogrammi del Paleolitico superiore, alle pratiche funerarie del Paleolitico medio e inferiore. Ma, oltre a far emergere l’homo religiosus a partire dalle più antiche forme umane (Homo habilis e Homo erectus), Julien Ries offre, da vero Maestro, un quadro concettuale e metodologico sulla ricerca della storia delle religioni e presenta l’esperienza religiosa nelle diverse epoche con grande fedeltà ai documenti che si possiedono e in una coerente interpretazione. Nella sua opera, che ho l’onore di presentare in una nuova edizione notevolmente arricchita, l’Autore ha l’impareggiabile capacità di trasferire il lettore

PREFAZIONE

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nell’atmosfera del passato, quasi coinvolgendolo nell’esperienza religiosa presentata, si tratti della contemplazione della volta celeste o dei riti iniziatici delle grotte del Paleolitico superiore o dei templi neolitici. La suggestione si fa più forte per la ricchissima iconografia, che rende il volume particolarmente attraente. L’accostamento al fenomeno religioso che così si realizza fa emergere il senso religioso come una costante dell’uomo, in quanto dotato di capacità astrattiva e simbolica. Il riferimento al trascendente, soltanto intravisto o implicito nell’uomo paleolitico, evidente in varie grandi religioni degli ultimi millenni a.C. e presente in forma originale nel cristianesimo, rappresenta l’espressione più elevata del senso religioso nell’incontro tra il divino e l’umano. FIORENZO FACCHINI

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PREFAZIONE


PARTE PRIMA

L’UOMO E IL SACRO

Due statuette del tempio di Abu a Tell Asmar, Iraq, circa 2700 a.C. La statuetta maschile è in alabastro gessoso, quella femminile in gesso. Museo Nazionale di Baghdad, Iraq. Si tratta di statuette di piccole dimensioni, intagliate in pietra tenera e dai lineamenti sintetici. Gli occhi smisurati, lo sguardo diritto, diretto in alto. Si è considerato che, collocate nei templi, avessero la funzione di «preghiera continua», di intercessione per le intenzioni di chi le aveva portate. Sono state trovate anche in altri luoghi; si pensa che sempre avessero la funzione di intercessione presso la divinità. La compostezza, quasi rigida, e la tensione dello sguardo ne fanno un esempio tangibile dell’homo religiosus.


1. L’ANTROPOLOGIA RELIGIOSA 1. Sigillo cilindrico in marmo, con ariete in rame, e suo calco lineare, Uruk, Mesopotamia (Iraq), circa 3000 a.C. Vorderasiatisches Museum, Berlino. Il re nutre con rami dell’Albero della Vita il gregge della dea Inanna, nutre cioè il suo popolo secondo i dettami di Inanna. 2. Riparo sotto roccia presso Río Pinturas, provincia di Santa Cruz, Argentina, con pitture di impronte di mano in negativo ottenute soffiando attorno il colore. Si tratta, secondo Juan Schobinger e Carlos J. Gradin, delle più antiche impronte in negativo, IX millennio a.C. Sulla stessa roccia vi sono motivi a zigzag e altri ideogrammi con aggiunta in fase successiva di quadrupedi. La roccia prescelta è considerata luogo sacro sul quale si ritorna dopo generazioni e generazioni. Come le mani e le braccia alzate sono segno dell’orante, l’impressione di mani sulla roccia è un segno rituale.

STORIA DELLE RELIGIONI E ANTROPOLOGIA RELIGIOSA Mircea Eliade ha evidenziato tre vie o procedimenti utilizzati dallo storico delle religioni. La prima via è quella della storia in senso stretto. Si tratta di utilizzare tutte le risorse dell’euristica, o raccolta di documenti, e della critica o analisi di tali documenti, in modo che ciascuno di essi venga trattato secondo la sua specificità e le sue proprie dimensioni. Ogni documento religioso deve essere esaminato in quanto tale e secondo la scala religiosa, grazie alla quale esso si colloca all’interno del fenomeno religioso. Il fenomenologo denomina e classifica i documenti (sacrificio, preghiera, offerta, ecc.), poi cerca di comprendere la loro essenza e le loro strutture. Per fare ciò egli tiene conto del condizionamento storico-culturale di ogni documento, ma anche delle tracce del comportamento dell’uomo che ha vissuto o vive l’esperienza del sacro. La fenomenologia costituisce la seconda via di ricerca. Il lavoro del fenomenologo sfocia su una terza via: quella dell’ermeneutica, che esamina gli avvenimenti e i fenomeni come significanti e tenta di darne un’interpretazione. È la via che esplicita il senso degli avvenimenti. L’ermeneutica è la scienza dell’interpretazione. Il procedimento ermeneutico spinge lo storico all’incontro con l’autore di tali fatti, cioè con l’uomo stesso. Ciò significa che l’ermeneutica postula l’intervento dell’antropologia religiosa. Infatti quest’ultima ha il compito di prendere in esame l’uomo in quanto creatore e utilizzatore dell’insieme del simbolismo del sacro. Di recente creazione, l’antropologia religiosa fa parte dell’antropologia dei sistemi simbolici a cui hanno dato risalto i lavori di Carl Gustav Jung, di Henri Corbin, di Georges Dumézil, di Mircea Eliade, di André Leroi-Gourhan, di Gilbert Durand e di Julien Ries. Se l’antropologia è la scienza dell’uomo e un discorso sull’uomo, l’antropologia religiosa va al di là dei fatti religiosi per dedicarsi alla comprensione dell’uomo che vive il sacro. Essa intende studiare l’uomo a partire dalle sue rappresentazioni, dalla sua condizione specifica e dal posto che egli vuole avere nell’universo. A tal fine è necessario analizzare i fatti culturali e i fatti religiosi, nonché

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il discorso sull’uomo, in modo da arrivare alle strutture del pensiero dell’homo religiosus e poter comprendere i rapporti che egli intrattiene con una realtà misteriosa che lo supera. L’HOMO RELIGIOSUS Nell’intento di esprimere bene la totalità dell’uomo che vive l’esperienza del sacro, Eliade gli dà un nome: homo religiosus. Agli occhi di Eliade, quest’uomo «crede sempre nell’esistenza di una realtà assoluta, il sacro, che trascende questo mondo, ma che vi si manifesta e, per questo fatto, lo santifica e lo rende reale». Di conseguenza, homo religiosus ed esperienza del sacro sono inseparabili. Consideriamo questo homo religiosus quale lo conosciamo attraverso i fatti e i gesti della storia. Se analizziamo le sue pitture ritrovate in centinaia di grotte sinora scoperte, le sue migliaia di incisioni rupestri e i suoi disegni, se esaminiamo il suo comportamento riguardo ai defunti, se cerchiamo di interpretare i gesti delle sue

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3. Entrata della grotta I, in un tempio rupestre buddhista a Karla, in India. Sulla facciata si nota un Buddha che riceve una corona da due personaggi celesti raffigurati in volo. La coppia umana che vediamo – un’altra sta sul lato opposto dell’entrata – è interpretata da Michel Delahoutre come una coppia benefica. «Talvolta sono state interpretate come figure di donatori, ma si tratta piuttosto di figure la cui presenza è intesa come benefica: rotondità delle membra, vita sottile nella donna, spalle larghe nell’uomo, ombelico profondo. Tutto il corpo è dinamizzato dal flusso interiore della vita. Queste sono figure che esprimono l’ideale della vita, figure mentali, che rappresentano la sintesi delle osservazioni quotidiane della bellezza. Non sono dei ritratti». Sempre seguendo il pensiero di Delahoutre, va tenuto presente che nella grotta-tempio di Karla convergono tuttora molti pellegrini. Il pellegrino è alla ricerca di benefici e si sente così accolto dai personaggi all’entrata.

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mani levate verso la volta celeste, siamo obbligati a pensare a un’esperienza di relazione vissuta in maniera cosciente dall’uomo arcaico, a un comportamento relazionale con una Realtà misteriosa e ultraterrena. Identificato già attraverso le tracce culturali lasciate sin dai tempi preistorici, lungo migliaia di anni, egli ci dà conto di questa realtà attraverso un discorso pervenuto sino a noi grazie a dei segni e a dei simboli: è la scrittura mediante la quale egli consegna i suoi miti, le sue preghiere, i suoi riti e le sue credenze. Così i libri sacri dell’umanità costituiscono un prodigioso patrimonio che storici e altri specialisti tentano di analizzare per comprendere il discorso con cui l’homo religiosus e symbolicus ha tradotto la propria esperienza religiosa. L’insieme di questo discorso è coerente dal Paleolitico sino ai nostri giorni, cosa che ci porta a pensare a un’unità dell’esperienza spirituale dell’umanità. Paul Ricoeur e Mircea Eliade hanno insistito sulla logica del senso dell’universo sacro che il discorso dell’homo religiosus riflette. Il cosmo ha per l’uomo un significato sul quale si fonda la legge delle corrispondenze: collina originaria e tempio, ierogamia celeste e matrimonio, fertilità del suolo e fecondità della donna.

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4. Uomo in invocazione e adorazione, periodo Ramesside (1305-1080 a.C.). Testo con disegno su ostrakon (trattamento calcareo) proveniente dalla Valle dei Re. Si tratta di una invocazione al dio Thot in favore di uno scriba, Amunhotep. Prima del testo è stata disegnata la figura con le mani alzate a formare il simbolo del ka. È una invocazione gioiosa e confidente. L’uomo è preso dalla presenza del divino e si affida con gioia. 5. Particolare della pittura delle donne in lutto nella tomba di Userhet (XV secolo a.C.) presso Tebe, Egitto. La tomba di uno scriba è ricca di immagini di caccia e di lavoro dei campi. Questa figura quasi contrasta col resto delle scene ed esprime un dolore composto e profondo di fronte alla morte, ma ad un tempo sembra meditare sulla vita dopo la morte. Peraltro, tutto il complesso delle tombe egizie è un’affermazione di fiducia nella vita dell’aldilà.

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6. Parte alta del foglio 12 recto del Codice Cospi, conservato nella Biblioteca Universitaria di Bologna. Si tratta di uno della quindicina di codici precolombiani, unici a esserci pervenuti. Tonatiuh, dio del Sole, brucia del copal davanti a un tempio sovrastato da un albero in fiore; all’interno un uccello canta melodiosamente. Nella colonna a sinistra, alcuni segni dei giorni del calendario rituale. In questa immagine le costanti del sacro sono tutte presenti in modo simultaneo. La narrazione è mitica, simboli rari appaiono nella scena e il dio, in sembianze umane, esegue gesti rituali. 7. Maschera ventrale, Makonde, Tanzania (legno, h cm 59). Maschera che celebra il ritorno al villaggio dei giovani che sono stati iniziati alla vita adulta. Gli uomini che la indossano si coprono il volto con una maschera facciale femminile. Danza con molto contegno mentre una maschera maschile drammatizza le doglie del parto. I riti di iniziazione sono fondamentali per lo sviluppo della coscienza religiosa e sociale in tutte le civiltà tradizionali.

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LA RICERCA COMPARATA E LE COSTANTI DEL SACRO La fenomenologia e l’ermeneutica si sono valse della ricerca comparata dei fatti religiosi. E oggi l’antropologia religiosa si avvale di questo metodo. I primi tentativi di applicare il metodo comparato risalgono all’epoca ellenistica, caratterizzata dall’incontro delle religioni orientali con quelle del mondo mediterraneo. Nel corso dei secoli XIX e XX, a partire dalla scoperta di un complesso importante del patrimonio religioso, la ricerca comparata ha conosciuto un notevole sviluppo. Grazie ai lavori di Eliade e Dumézil, il metodo storicocomparato ha assistito al configurarsi di nuove prospettive. Limitando le proprie ricerche alla società e alla religione dei popoli indoeuropei, Georges Dumézil ha cominciato con una constatazione fondamentale: da una parte vi sono corrispondenze impressionanti all’interno del vocabolario del sacro, dall’altra esistono dati omologhi nel campo socio-religioso, e ciò prova l’esistenza di un’eredità costituita dalle tre funzioni: sovranità, guerra e fecondità. Mediante un raffronto genetico, Dumézil ha tentato di ottenere «un’immagine il più possibile precisa di un sistema particolare, la sopravvivenza del quale è costituita, in buona parte, da un certo numero di sistemi attestati storicamente». Mediante questo raffronto genetico Dumézil ha potuto determinare le strutture del pensiero religioso e della concezione sociale degli Indoeuropei. Mircea Eliade ha esteso e adattato questo metodo a tutto il campo della storia delle religioni e l’ha utilizzato in contemporanea con il paragone tipologico, il quale deve invece mettere in evidenza gli elementi costitutivi delle religioni (simbolo, mito, rito) come pure i processi storico-culturali della loro crescita nel corso della storia. Egli si è dedicato allo studio degli avvenimenti religiosi, esplorando però, attraverso di essi, il comportamento dell’uomo e il significato dei suoi gesti, delle sue azioni, dei suoi simboli, dei suoi miti e dei suoi riti. Oggi possiamo affermare che simbolo, mito e rito sono le costanti del sacro.

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1. Vaso di Uruk (calcare, h m 1,05), Uruk, circa 3000 a.C. Museo Nazionale di Baghdad, Iraq. «La capacità del re di portare al suo popolo i benefici divini (che si tratti di prosperità o di precetti morali) è dovuta alla sua relazione privilegiata con la divinità… Il famoso vaso di Uruk ci trasmette il messaggio con enfasi. Nel registro superiore il tempio è visto dall’interno, con tutto il suo arredamento caratteristico, e la divinità è presente, acconciata con il bicorno per accogliere il re che le rende visita, accompagnato da portatori la cui fila continua nel registro inferiore. I due ultimi registri, rispettivamente degli ovini e degli elementi vegetali, indicano le conseguenze dell’intervento reale: grazie al re che colma di doni la divinità, la società (animali cornuti) può approfittare dei benefici divini simbolizzati dall’elemento vegetale. La relazione del re con la divinità implica dei doni, ma forse implica altro. Effettivamente i testi più recenti ci parlano di una cerimonia chiamata matrimonio sacro, dove il re incontra la dea Inanna/Ishtar per riattualizzare annualmente l’alleanza fra gli dèi e gli uomini che determina la prosperità nell’anno seguente. Ci si può domandare se la scena non si riferisca già implicitamente a tale cerimonia, perché si nota che la divinità alla quale è associato il re (sul vaso di Uruk, ma anche su diversi sigilli cilindrici) è sempre una dea riconoscibile per il suo bicorno e per la sua lunga treccia. Da questo punto di vista i doni portati a quest’ultima ricordano molto quelli destinati a una fidanzata, come, per esempio, sono descritti dal mito di Enlil e Ninlil. Infine l’alleanza degli dèi con gli uomini, concepita in Mesopotamia come un’alleanza matrimoniale…» (JeanDaniel Forest e Nathalie Gallois).

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2. L’ESPERIENZA DEL SACRO UN’ESPERIENZA UNIVERSALE In reazione alle teorie sociologiche che ammettevano l’universalità del sacro ma identificavano sacro e mana, Rudolf Otto affronta il sacro servendosi di tre strumenti: l’intuizione come conoscenza del fenomeno religioso, la fede come esperienza del mistero, il patrimonio religioso come base storica. Ai suoi occhi il sacro si può spiegare unicamente mediante l’esperienza vissuta. Il processo con cui l’uomo coglie una realtà misteriosa, il «divino», si svolge in quattro tappe: dapprima compare il sentimento di essere una creatura, poi una sorta di terrore (tremendum), in seguito la sensazione di trovarsi di fronte a un mistero, e infine il fascino della scoperta (fascinans). Il sacro possiede tre aspetti. Esso è innanzi tutto il principio vivente e intimo di tutte le religioni: il «numinoso». Ma esso è anche un valore in sé e un valore per l’uomo: è chiamato sanctum, santo. Infine, in qualità di categoria a priori e di dato primario, il sacro costituisce una facoltà speciale che permette di cogliere il divino: esso è all’origine della religione interiore e della rivelazione di Dio nella storia, vale a dire all’origine di diverse religioni dell’umanità. Mircea Eliade ha ripreso questa analisi sviluppando ulteriormente il tema dell’universalità del sacro nell’esperienza umana. Egli considera il sacro come il fondamento di ogni esperienza religiosa e come l’elemento centrale della storia delle religioni. Secondo Eliade il sacro si manifesta come una potenza di ordine completamente diverso dall’ordine naturale: egli definisce tale manifestazione, che si compie sempre attraverso oggetti o persone del nostro mondo visibile, con il vocabolo ierofania. Ogni ierofania è composta da tre elementi: una realtà invisibile, misteriosa, divina; un oggetto o un essere naturale che funge da mediatore; una dimensione sacrale prodotta dal fatto della manifestazione della trascendenza attraverso una realtà contingente. L’homo religiosus è l’uomo che si dichiara testimone di ierofanie e che vive l’esperienza del sacro. UN FENOMENO LEGATO ALLA CULTURA E ALLE CREDENZE Il sacro non è un’invenzione degli storici delle religioni, ma è l’oggetto del loro studio. Le ricerche recenti dimostrano che è stato l’uomo delle grandi culture che ha creato la terminologia del sacro, allo scopo di descrivere un’esperienza specifica di cui egli si dichiara il testimone. L’analisi del suo discorso indica che egli ha avuto il sentimento della presenza di una potenza misteriosa ma efficace che determinava il suo comportamento. L’abbondante documentazione del vocabolario del sacro, come pure la convergenza dei suoi significati nelle diverse culture, costituiscono un dossier impressionante e illimitato. Sul Lapis niger scoperto a Roma nel 1899 e risalente alle origini romane, compare la parola sakros, un vocabolo che esprime un pensiero e un comportamento che si ritrovano in tutta l’area interessata dalle migrazioni indoeuropee. La radice sak- è all’origine delle formulazioni del sacro e forma il verbo latino sancire, che significa «conferire validità, realtà, far sì che qualcosa diventi reale». Dunque il sacro conduce alle basi del reale e interessa la struttura fondamentale degli esseri e delle cose. Questa concezione si ritrova presso gli Ittiti, in India, in Iran e in Germania, e ha avuto uno sviluppo notevole nel pensiero greco.

2. Figura di offerente. Un dono infatti viene offerto alla divinità, probabilmente Minerva. Si tratta di una statua in terracotta della «cultura di Lavinio», nel Lazio, che ha influenzato l’arte romana delle origini. La grande compostezza espressa da varie figure di Lavinio mostra una profonda religiosità.

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A Sumer il sacro si presenta come inseparabile dalla cosmogonia. Nel mondo babilonese e presso i Semiti dell’Ovest il sacro si trova sempre in un contesto religioso e implica l’accostarsi dell’uomo alla divinità, alla quale egli porta la propria offerta o consacra se stesso. In Egitto, fin dalle prime costruzioni, gli uomini hanno manifestato il desiderio di trascrivere il divino sulla pietra, contrapponendolo alla precarietà delle cose di questo mondo: il sacro vi si manterrà sempre presente per la durata di 3.000 anni. Nelle tre grandi religioni monoteiste lo statuto del sacro cambia, dal momento che l’uomo si trova di fronte a un Dio unico, personale e trascendente, che non parla più per mezzo di oracoli, ma che si rivela direttamente all’uomo ed esige la fede del suo fedele. Al sacro si accompagna la nozione di santità, che concerne il comportamento dell’uomo. Perciò l’esperienza del sacro subisce un profondo mutamento. Il sacro biblico non è più il sacro cananeo, poiché Jahvè segna con la propria impronta la storia patriarcale, l’Esodo, l’Alleanza, il movimento profetico e anche il culto. Nell’islam, che è ad un tempo religione, cultura e comunità, il sacro trova la propria origine in Allah, la volontà del quale determina tutta la vita del musulmano. Il sacro cristiano è il sacro del Dio vivente reso presente grazie alla mediazione di Gesù Cristo. In questo sacro in regime messianico l’uomo entra nella via della salvezza, che conduce la creazione alla sua pienezza: sacro e santità sono inseparabili. Fondato sulla dottrina e sulla terminologia del Nuovo Testamento, il sacro messianico è distribuito in quattro livelli: Gesù Cristo il mediatore, il sacro dei segni sacramentali, il sacro pedagogico e la santificazione del quotidiano.

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3. Rilievo, ad opera di Chen Zhao Fu, di una pittura rupestre sita a Huashan, nel Guangxi, Cina. Raffigura una danza rituale davanti a due cani, probabilmente considerati sacri. La posizione dei personaggi è quella caratteristica degli oranti con le braccia levate. 4. Graffiti rupestri sulla roccia di Naquane, Valcamonica, Italia. Serie di «oranti» del periodo Neolitico della civiltà camuna, immagine di una vera assemblea in preghiera. La roccia di Naquane non solo raffigura questa e altre scene, ma era essa stessa luogo sacro su cui ripetutamente intervenivano i Camuni.

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L’ESPERIENZA DEL SACRO

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3. IL SIMBOLO E IL LINGUAGGIO SIMBOLICO 1

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SIMBOLO E IMMAGINARIO Il segno e il simbolo sono due elementi essenziali dell’immaginario dell’uomo. Per immaginario Gilbert Durand intende «l’insieme delle immagini e delle relazioni tra le immagini che costituisce il patrimonio di pensiero di Homo sapiens». Il segno è una realtà che è dotata di una consistenza sua propria ma che, sia per convenzione sia per relazione naturale e intrinseca, rimanda a un’altra realtà: il fumo è il segno del fuoco. Ogni segno è un mezzo di comunicazione tra gli uomini. Il simbolo è un segno. Presso i Greci symbolon designava un oggetto tagliato in due parti, le quali venivano conservate da due persone diverse ed erano destinate a far riconoscere coloro che le portavano: identità, garanzia, pegno, testimonianza, alleanza, forze unitive. Il simbolo è un segno che rimanda a una realtà invisibile, con la quale esso mette in comunicazione l’uomo facendo passare la sua intelligenza dal visibile all’invisibile. Il simbolo realizza un’apertura al di là dello spazio e del tempo immediati: esso inizia all’invisibile. Esso quindi possiede una struttura di significante che conduce al significato. Il significante appartiene al mondo visibile: albero, volta celeste, sole. Ogni simbolo ha una base visibile, un aspetto identificabile. Il significato è la parte invisibile e sconosciuta, il contenuto che l’uomo deve scoprire. Gilbert Durand ha evidenziato il ruolo del percorso antropologico nella sim-

20 TESTATINA IL SIMBOLO E IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

1. Emblema dell’associazione segreta Ekpe, in Camerun (legno, fibre vegetali, ossa e pelli animali, zucche). Gli emblemi, secondo Ivan Bargna, sono costituiti da un graticcio su cui si dispongono vari elementi naturali o manufatti che tracciano le coordinate simboliche dell’unità del gruppo. Il quadrato è attraversato diagonalmente da due scopini, al centro un tamburo; teschi di animali sacrificati, zucche, corde, collane sono distribuiti fra le quattro porzioni in cui è divisa la superficie. 2. Riproduzione di una raffigurazione all’interno del tempio di Dendera in Egitto. La figura che forma un arco con il corpo simboleggia per gli antichi Egizi la volta celeste. La dea Cielo fa nascere ogni mattina il sole, che in questa illustrazione illumina il tempio dedicato a Hathor.

IL SIMBOLO E IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

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Due le grandi piramidi (oltre a quella della Cittadella), la Piramide della Luna, da cui la foto è scattata, e quella del Sole. Si tratta di una colossale montagna artificiale che dominava il più grande complesso urbano della Mesoamerica. Al di sotto della montagna c’è la grotta, in parte naturale e in parte artificiale. È il nesso con l’inframondo. La montagna si pone così come axis mundi tra cielo/terra e aldilà. La Piramide del Sole sarà di esempio alle costruzioni successive, specie dell’Altopiano, varrà per Toltechi e per Aztechi.

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3, 4, 5. LA MONTAGNA SACRA Il simbolo della montagna può consistere nell’aver nominato un monte «montagna sacra» o nell’aver realizzato una costruzione che simboleggia la montagna. (3) Al Vorderasiatisches Museum di Berlino è stata realizzata una ricostruzione dell’Etemenanki, la ziggurat di Babilonia. Trattasi dei Neobabilonesi, circa 600 a.C. Babilonia venne ricostruita dopo le distruzioni del VII secolo a.C. e tra gli importanti lavori ci fu la ziggurat, struttura piramidale con scale che porta a un tempio sulla sommità, caratteristica di una tradizione millenaria in Mesopotamia. (4) Viale dei Morti di Teotihuacan, Altopiano del Messico, e sullo sfondo la Piramide del Sole. La grande città di Teotihuacan si è sviluppata tra la fine del I e il VII secolo d.C.

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IL SIMBOLO E IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

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bolizzazione. Al punto di partenza di tale percorso si trovano gli impulsi provenienti dal cosmo e da tutto l’ambiente naturale, i quali però subiscono le pulsioni soggettive della psiche umana. Tra questi due poli avviene uno scambio incessante che costituisce il motore dell’immaginazione creatrice. Questo percorso antropologico permanente tra le pulsioni soggettive e le influenze oggettive provenienti dall’esterno è specifico dell’uomo. A causa di ciò Durand ha potuto affermare che «il simbolo è la carta di identità di Homo sapiens». L’universo del simbolo è un ambito privilegiato ed esclusivo dell’uomo.

una zona molto ricca sulla quale la coscienza non fa presa senza il simbolo. In seguito il simbolo conferisce alla coscienza la forza di amministrare le energie dell’inconscio e di penetrare in profondità fino alle radici stesse degli archetipi. Questi ultimi sono immagini primordiali e universali, radici indispensabili alla vitalità di Homo. Gli archetipi sono per la coscienza ciò che le radici vegetali sono per la pianta e per l’albero. Una terza funzione è stata rilevata da Vidal: il simbolo offre alla coscienza la possibilità di allearsi con le energie della «surcoscienza», grazie all’apertura sull’archetipo del divino. Per l’uomo questa è la scoperta dell’esistenza di una Trascendenza, di un Totalmente Altro con cui egli può fare alleanza. Ci troviamo nell’esperienza del sacro, nella quale l’uomo si percepisce come fattore di unità, ma anche come fattore di alleanza tra cielo e terra. In definitiva, il simbolo è indispensabile all’uomo per compiere la propria esperienza del sacro.

FUNZIONI DEL SIMBOLO Le ricerche di Gaston Bachelard, Gilbert Durand, Mircea Eliade, Maurice Godelier, Carl Gustav Jung, Raimon Panikkar, Paul Ricoeur, Julien Ries e Jacques Vidal hanno definito le funzioni del simbolo. Occorre partire dall’apparato simbolico costituito da tutti i possibili gesti dell’uomo e dalle immagini prime e universali (volta celeste, sole e così via). Provenendo dagli oggetti, le immagini destano la coscienza dell’uomo e vi introducono un elemento di unità che genera una dinamica. L’uomo diventa creatore. Tutta la cultura e tutte le culture del mondo sono creazioni le radici delle quali affondano nell’immaginazione simbolica dell’uomo. La creatività dello spirito umano (artistica, poetica, letteraria e architettonica) è basata su questa funzione biologica del simbolo. Il simbolo svolge un ruolo essenziale anche nel funzionamento della vita psichica umana. Esso stabilisce una relazione tra la coscienza e il subcosciente,

(5) Monte Kula Kangri, m 7.554, alla frontiera tra Tibet e Bhutan. I Kula, montagne sacre, sono stati istituiti secondo la tradizione a partire dal primo re tibetano. I Kula erano le divinità protettrici della classe dirigente. Il loro culto riguardava tutta la popolazione; venivano loro dedicate cerimonie stagionali, in estate e in inverno, con offerte, libagioni e sacrifici animali. Gli dèi-montagna erano anche i dispensatori dell’acqua e avevano quindi un rapporto privilegiato con l’ambiente. L’importanza degli dèi-montagna è progressivamente venuta meno data la conversione al buddhismo dei sovrani, ma la parola è sopravvissuta. Anche altre montagne in Tibet hanno mantenuto uno statuto di sacralità e sono attualmente meta di pellegrinaggi. La montagna è certo per il Tibet una realtà radicalmente imponente e, pur cambiando la religione, la sua importanza sacra non è scemata.

HOMO RELIGIOSUS E LINGUAGGIO SIMBOLICO Grazie al percorso antropologico che produce uno scambio incessante a livello dell’immaginario tra la vita psichica dell’uomo e gli impulsi esterni provenienti dal cosmo, Homo è in continua crescita. Questo è il segreto della crescita dell’uomo nel corso della storia. Attraverso il simbolo, il mondo gli parla e gli rivela modalità del reale che non sono evidenti per se stesse. Questa constatazione ci conduce a chiarire il ruolo del linguaggio simbolico nell’esperienza del sacro.

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6, 7. IL SOLE (6) Un monolito spettacolare della cultura azteca è la Pietra del Sole, del diametro di 360 cm; vi troviamo scolpito a bassorilievo il calendario azteco. Museo Nacional de Antropología, Città del Messico. Fu rinvenuto nel 1790 davanti al Palazzo Nazionale di Città del Messico e anche il suo simbolismo è stato oggetto di molteplici studi. Da quando nel 1792 León y Gama pubblicò il suo studio, si è scritto molto e poco è cambiato; infatti egli propose che si trattasse della rappresentazione di Nahui Ollin Tonatiuh (Sole 4 Movimento, cioè il quinto sole) e che si alludesse alle prime quattro creazioni infruttuose che precedettero il quinto sole. Secondo Eduardo Matos Moctezuma, la scultura fu eseguita nel 1479, in occasione della data 13 Canna durante il regno di Axayácatl, che coincideva con la data della mitica nascita del quinto sole. Al centro della scultura compare il volto solare con la lingua rappresentata da un coltello di ossidiana; sulla sommità del volto un triangolo è interpretato come raggio solare. (7) Parte alta della stele di Shamash, realizzata a Susa, in Mesopotamia, nel XXI secolo a.C., oggi al Museo del Louvre a Parigi. Sotto il Sole, alla sommità della stele, si compie una scena fondamentale. Il re, di cui ci è rimasto solo la parte dal busto in giù, innaffia l’Albero della Vita. Per questo suo gesto la divinità seduta sulla destra può conferirgli il potere simbolizzato dal cerchio e dal bastone che tiene in mano, simboli rispettivamente del femminile e del maschile. Nelle stele mesopotamiche i simboli astrali indicano la sacralità del luogo o della scena riprodotta.

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8, 9, 10. L’ACQUA (8) Circa 3.500 anni fa, nell’Egitto del Nuovo Regno, un dignitario fa dipingere nella sua futura tomba, a Tebe, un affresco raffigurante un giardino, con tutto il significato che gli attribuiva. Ci troviamo di fronte a un prototipo simbolico del giardino, luogo ordinato di acqua e di piante, segno di un’armonia originaria di ciò che è vivente e che permette la vita degli uomini, in contrasto con il disordine in cui la stessa natura sarebbe caduta. (9) Sultan Muhammad, La corte di Gayomars, dallo Shah-nama di Shah Tahmasp, 1525-1535, Collezione del principe e della principessa Sadruddin Agha Khan, fol. 20v. La miniatura, considerata nel genere uno dei massimi capolavori dell’arte persiana e islamica, raffigura la corte come un giardino percorso da cascate d’acqua. Al centro in alto il re Gayomars, più prossimi alcuni dignitari e via via la corte che può godere dello splendido giardino, quasi un paradiso terrestre prodotto dall’acqua che è la fonte della vita, vera protagonista simbolica della miniatura.

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(10) Statuetta di Gudea, re dello Stato di Lagash in Mesopotamia, scolpita verso il 2150 a.C. a Tello, antica Girsu (Iraq). Il re, di cui sono rimaste una ventina di statue, si faceva rappresentare seduto o in piedi con le mani congiunte e distribuiva le sue statue nei templi della città per attestare la sua pietà. Qui tiene tra le mani un vaso da cui esce l’acqua come da una sorgente. La simbologia del farsi mediatore per portare la vita alla sua terra è evidente. 10


11. Sigillo cilindrico (marmo, h cm 6,3, diam. cm 3,7) con a fianco il suo calco lineare, epoca Uruk, Mesopotamia (Iraq), circa 3000 a.C. Yale Babylonian Collection, New Haven, USA. La scena rappresenta il re-sacerdote, cioè il re mediatore tra la dea Inanna, di cui nutrirebbe le pecore con frasche dell’Albero della Vita, e il popolo che è rappresentato dalle pecore. Il re dunque trasmette alla società un alimento divino. In questa scena le frasche non sono quelle lussureggianti dell’Albero della Vita, ma il significato simbolico di mediatore non muta. 12. Graffiti rupestri nel Renegade Canyon, monti Coso, Sud-Est della California. Alcuni sciamani, secondo l’archeologo Campbell Grant, personificano degli esseri soprannaturali per sacralizzare la roccia che diviene oggetto di culto da parte della popolazione. La mediazione dello sciamano consiste nel mettersi in guise soprannaturali per far da ponte tra i due mondi.

In ogni ierofania o manifestazione del sacro sono identificabili un invisibile, un mediatore – che è il mezzo di manifestazione dell’invisibile – e una dimensione sacrale, tre elementi inseparabili e costitutivi della ierofania. Il mediatore può essere una pietra, un albero, una montagna, una caverna, un fiume, un uomo (profeta, sacerdote, sciamano). Questo mediatore costituisce la parte visibile del simbolo, ed è attraverso di esso che si compie l’epifania dell’invisibile, la sua rivelazione. Nel linguaggio simbolico il ruolo del mediatore è di capitale importanza. Un esempio eloquente del linguaggio simbolico come linguaggio di rivelazione si trova nell’Apocalisse (21,9-27), nella descrizione della Gerusalemme futura. Il testo moltiplica le citazioni di pietre preziose per significare la metamorfosi della nuova creazione. Il messaggio è denso: luce, libertà, compimento e pienezza. Anche il simbolo della montagna sacra è significativo in tutte le religioni, soprattutto nella rivelazione biblica, dove la montagna è comunemente il luogo delle teofanie (Sinai, Carmelo, Horeb, Sion). In un suggestivo studio della funzione simbolica di una serie di ierofanie, Eliade rileva quale sia il loro linguaggio e il loro messaggio per l’homo religiosus. Egli passa in rivista i culti solari, la mistica lunare, il simbolismo delle acque, le pietre sacre, i simboli della fecondità, del rinnovamento della vegetazione, dello spazio e del tempo sacri. Al termine di questo lungo studio, che costituisce l’essenziale del suo Trattato, egli dichiara di ritenere che la struttura e la funzione autentiche dei simboli, in quanto prolungamenti delle ierofanie e in quanto forme autonome della rivelazione, costituiscono dei dati di base per la comprensione dell’esperienza del sacro. Le diverse ierofanie non sono altro che manifestazioni puntuali, mentre il simbolismo celeste, il simbolismo lunare e il simbolismo acquatico costituiscono dei sistemi autonomi attraverso i quali noi percepiamo un’autentica rivelazione fondata sulla loro coerenza.

4. IL MITO COME SPIEGAZIONE DELLE ORIGINI MITO E MITOGRAFIA Nell’VIII secolo a.C. Omero (Iliade e Odissea) ed Esiodo (Teogonia, Le opere e i giorni) forniscono i primi documenti mitologici greci nei quali viene descritta la nascita degli dèi e, mediante l’azione di questi, la nascita del cosmo. Due secoli più tardi i filosofi ionici (Talete, Eraclito) conducono una critica severa a questa teogonia e a questa cosmogonia, e all’origine delle cose stabiliscono l’esistenza di un principio: per Eraclito di Efeso si tratta del logos, un’intelligenza divina. Platone (428-347 a.C.) raccoglie in un sistema le critiche contro i miti popolari, ma crea egli stesso dei miti filosofici allo scopo di offrire agli uomini delle immagini della verità. Nel III secolo Evemero secolarizza i miti considerandoli come racconti leggendari relativi ad alcuni personaggi storici e ad alcuni avvenimenti reali, una teoria che sarà ripresa dagli apologeti cristiani e dai Padri della Chiesa al fine di mostrare l’inconsistenza degli dèi pagani. Ma la corrente di pensiero neoplatonica reagirà vivacemente a tale posizione: per Plutarco, per Massimo di Tiro, per Plotino e Porfirio, il mito è un’immagine che riflette la verità, ne preserva il mistero e tuttavia inizia l’uomo ai segreti divini. Dopo i lunghi secoli del Medioevo, durante i quali ci si limitò a conservare la memoria dei miti, il Rinascimento riprende i documenti del mondo antico e li paragona con i racconti delle origini trasmessi dalla Bibbia. Questo lavoro comparato prosegue nel secolo dei lumi. Ma nella sua Scienza nuova (1725) Gian Battista Vico cerca nei miti una chiave di lettura che permetta di comprendere

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1. Particolare di cratere attico da Ruvo, Puglia, databile intorno al 400 a.C. Dioniso e Arianna circondati dallo stuolo festante dei seguaci in moto verso destra. Altezza del vaso: cm 75. Museo Archeologico Nazionale, Napoli, inv. 3240. Benché, ormai, la filosofia greca abbia sottoposto a critica le mitologie, l’arte prosegue a farne l’oggetto delle sue opere. Qui vediamo l’inizio del mito di Dioniso, riconoscibile dallo strumento a corde, che si innamora di Arianna abbandonata nell’isola di Nasso da Teseo, dopo che l’aveva aiutato a uccidere il Minotauro.

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2. Esempio di un mito delle origini ripreso dal Codice Boturini, un codice azteco postcolombiano. Si legge da sinistra a destra. Una popolazione parte dalla nativa città di Aztlan su un isolotto al centro del lago. In data 1 Coltello (cioè anno 1) hanno inizio le orme della migrazione. Incontrano il dio della guerra Huitzilopochtli, in una caverna nel monte curvo. Le tribù sono otto, guidate da quattro teomamaque, capi religiosi che portano i simboli degli dèi. Erigono un tempio al dio della guerra, ma l’albero sovrastante si spezza, mostrando un cattivo presagio. Sei figure piangenti chiedono consiglio all’immagine del dio. Seguendo il volere divino, il capo della tribù azteca si separa dalle altre e gli Aztechi proseguono la peregrinazione sempre guidati dai teomamaque. Arrivano infine alla meta, una nuova isola su un lago.

le culture, le civiltà e le religioni antiche. Tramite i miti egli determina le ere dell’umanità (infanzia, adolescenza, età adulta) e nei miti scopre un simbolismo che riflette delle verità eterne. Nel corso del XIX secolo si susseguono scoperte che conducono al costituirsi dei grandi repertori mitografici dei popoli, i quali verranno completati nel XX secolo. Avviata da Vico, l’ermeneutica del mito continua a svilupparsi. Gli ermeneuti romantici vogliono scoprire un linguaggio comune al genere umano. In questo linguaggio simbolico, espressione di una verità e di verità, essi cercano anche un messaggio. Friedrich Wilhelm Schelling insiste sul contenuto profetico del mito, il quale a suo modo di vedere si colloca nel processo di una rivelazione che illumina l’umanità. Nelle ricerche mitografiche del XX secolo la storia, la fenomenologia e l’ermeneutica hanno tracciato infiniti solchi in un campo già aperto da tre millenni. Accanto agli studiosi dediti alla definizione di un linguaggio – come per esempio Claude Lévi-Strauss – alcuni ermeneuti provvisti di un’ampia documentazione hanno fornito numerose chiavi interpretative e hanno posto il messaggio del mito sotto una nuova luce. A questo riguardo l’opera di Eliade, quella di Dumézil e quella di Ricoeur sembrano decisive per l’ermeneutica dei miti.

3. Incisioni rupestri al Comanche Gap, Nuovo Messico, USA. Probabile scena sciamanica così interpretata da Emmanuel Anati: «Incisioni rupestri a carattere narrativo, di popolazioni a economia mista. Figure di esseri atropo-zoomorfi rievocano il mito. Si notano le dimensioni diverse date alle immagini che fungono da soggetto e a quelle che fungono da determinativo».

NATURA E FUNZIONE DEL MITO Mircea Eliade ha cominciato la sua ricerca svolgendo un procedimento storico duplice: dapprima egli ha interrogato i miti ancora in vita nelle etnie attuali; in seguito ha preso in considerazione i miti dei popoli che hanno avuto un ruolo importante nella storia – Grecia, Egitto, Vicino Oriente, India –, ma presso i quali i miti si sono già trasformati e arricchiti. Infine, insieme a Paul Ricoeur, ha tentato di penetrare all’interno del mito e, mediante una ricerca fenomenologica ed ermeneutica, di scoprirne il senso. Il mito riferisce avvenimenti che risalgono alle origini, nel tempo primordiale e favoloso degli inizi. Così facendo, esso si riferisce a realtà che esistono nel mondo e di cui esso spiega le origini: cosmo, uomo, piante, animali, vita. Parlando dell’intervento di Esseri soprannaturali, esso descrive l’irruzione del sacro nel mondo. In effetti il mito è «una storia santa dei popoli», strutturata mediante un sistema di simboli. Esso è un significante. Grazie al mito l’uomo si colloca all’interno del cosmo, ma il mito diventa per lui un modello e stabilisce un comportamento che determina le azioni umane. Rivelando l’esistenza e l’attività di Esseri soprannaturali, di Antenati primordia-

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Pagine seguenti: 4. Caverna dipinta presso Laura, penisola di York, Australia. Grande istoriazione riguardante ciò che gli archeologi hanno tradotto come l’Epoca dei Sogni. Autore dei dipinti è una popolazione di cacciatoriraccoglitori. L’Epoca dei Sogni indica l’epoca delle origini e la pittura fa memoria del mito. Si notano, con varie sovrapposizioni, figure vegetali, animali e antropomorfe.

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li, il mito stabilisce un comportamento conforme a tali modelli. L’uomo deve compiere nuovamente l’atto iniziale, poiché esso è un archetipo. La ripetizione dell’atto iniziale proietta l’uomo nel tempo primordiale. Essa abolisce il tempo profano per raggiungere il tempo sacro delle origini. Il mito ottiene all’azione umana di compiere un’esperienza del sacro. Esso ha la funzione di destare e di mantenere la coscienza di un mondo diverso dal mondo nel quale si svolge la vita di tutti i giorni. Questo presuppone una iniziazione, cerimonia di un’importanza capitale, poiché senza la conoscenza è impossibile vivere e rivivere l’avvenimento primordiale. MITO E ORIGINI I miti cosmogonici costituiscono la storia santa dei popoli, una storia coerente che rivela il dramma della creazione del cosmo e dell’uomo e i princìpi che reggono il processo cosmico e l’esistenza umana. Attraverso i miti cosmogonici, l’uomo arcaico assume a suo modo, e in un simbolismo molto ricco, una storia delle origini. Grazie a questi miti noi comprendiamo la struttura della vita culturale e religiosa dei popoli arcaici. I miti delle origini raccontano e giustificano una situazione nuova che costituisce una modifica del mondo creato. Tra questi vi sono le genealogie, i miti sulle guarigioni, i miti sull’origine delle medicine e delle scienze mediche, ma anche i miti sulla nascita delle istituzioni e delle società. Tra questi miti sono annoverati anche quelli riguardanti i mutamenti della condizione umana, le mitologie solari e astrali, i miti sull’origine della morte, i miti sulla vegetazione e sulla fertilità. I miti sul rinnovamento del mondo sono importanti nel Vicino Oriente antico, nel pensiero indoeuropeo e in numerose società tradizionali. Questi miti sono imperniati sul movimento delle stagioni, sul nuovo anno, sull’intronizzazione del re, sul capro espiatorio, sull’iniziazione. Essi costituiscono una chiave interpretativa dei dipinti parietali delle caverne e delle incisioni rupestri. I miti escatologici, molto numerosi, riferiscono le catastrofi cosmiche: diluvi, terremoti, crollo di montagne, distruzione del mondo. Tuttavia essi si concludono spesso con l’immagine di una nuova creazione. IL MITO E IL SUO MESSAGGIO

5. Rilievo di una teoria di gemelli, citato da Campbell Grant nel suo studio sull’arte rupestre nordamericana. Un gran numero di figure simili è stato trovato lungo il corso del fiume Columbia: probabilmente si tratta di esseri mitici come gli dèi gemelli riconosciuti dai Navajo. I gemelli sono un’antica figurazione di sistemi miticorituali diffusi in varie parti del mondo in cui bipartizioni, polarità, dicotomie tendono a divenire coincidenza degli opposti o tensioni e simbiosi nello sforzo di rendere ragione sia dei ritmi cosmici sia degli aspetti contrastanti del reale.

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Per comprendere la collocazione e il ruolo del messaggio del mito, è necessario avere di fronte agli occhi la struttura simbolica del mito stesso e tenere conto dell’importanza dell’iniziazione nelle varie culture. Il mito è un’espressione simbolica attraverso la quale l’uomo interpreta le relazioni tra il tempo attuale e le origini. Mediante il racconto mitico, l’uomo percepisce il tempo primordiale come un’età dell’oro nel corso della quale il caos è diventato cosmo. È il tempo della creazione operata da Esseri soprannaturali, il tempo dell’origine del clan e delle sue istituzioni, il tempo sacro per eccellenza al quale occorre iniziarsi. Questo messaggio della storia santa è il fondamento della credenza dell’uomo nella divinità. Un secondo aspetto del messaggio del mito concerne la possibilità e la necessità per l’uomo di raggiungere il tempo dell’età dell’oro, al fine di regolare stabilmente la propria vita, di darle senso, significato ed efficacia. In questa nostalgia delle origini, mediante la celebrazione rituale del mito, l’uomo si sforza di collegarsi con il tempo delle origini. Un terzo aspetto del messaggio mitico è la sua determinazione del compor-

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tamento dell’uomo nella sua vita quotidiana, grazie all’imitazione umana dei modelli. Le azioni umane devono riferirsi ad archetipi, ciò conferisce loro coerenza, senso ed efficacia. Nell’India vedica, mediante il sacrificio, i sacerdoti e gli offerenti uscivano dal tempo profano e, attraverso il ritorno al tempo dell’età dell’oro, giungevano alla conquista dell’immortalità. Nell’Egitto faraonico il mito di Osiride produceva il passaggio dalla morte alla vita ultraterrena grazie al rito dell’imbalsamazione, il quale aveva lo scopo di ricreare un corpo immortale. I miti agrari e le feste del nuovo anno restituivano vita alla natura e alla vegetazione, ed erano posti all’origine della fertilità e della fecondità.

6. Siamo nel fulcro della mitologia egizia: la preparazione all’immortalità. Il dio Anubi mentre mummifica un uomo. Pittura murale, Nuovo Regno, XIX dinastia, circa 1279 a.C. Tomba di Sennedyem, necropoli di Deir el-Medina, Tebe, Egitto.

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IL RITO E LA CONDIZIONE UMANA «Rito» è una parola arcaica del vocabolario indoeuropeo che si è mantenuta presso i popoli indo-iranici e italico-celtici grazie alla presenza di collegi sacerdotali custodi dei rituali e delle celebrazioni. Nel Rigveda (X,124,5) questo vocabolo significa l’ordine immanente del cosmo. È il dharma, la legge fondamentale inerente alla natura. Da qui deriva il senso di ritu, che indica i compiti da svolgere in ogni stagione, in relazione al dharma. Da questa accezione, basata sull’ordine cosmico percepito dall’uomo arcaico, deriva il significato di ordine religioso e morale: necessità, rettitudine, verità. In India la parola ritavya designa i mattoni dell’altare del fuoco sacrificale che simboleggia l’anno, ma anche la potenza creatrice grazie alla quale colui che compie il sacrificio «sale» nei cieli. Il rito coinvolge la condizione umana e perciò si colloca all’incrocio tra l’uomo, la cultura, la società e la religione. Ben oltre a ciò, esso è legato al simbolo, al mito e al sacro. Ne consegue una serie di significati stabiliti dall’antropologia, dalla sociologia, dalla filosofia e dalla teologia, che si soffermano ciascuna su un aspetto del rito. La storia delle religioni tenta di circoscrivere e di sintetizzare questi elementi allo scopo di comprendere il fenomeno del rito in se stesso, ma anche necessariamente legato all’uomo e al suo comportamento nella vita personale e all’interno della società.

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Prima di dedicare al culto delle divinità il tempio appena costruito, il re di Babilonia e di Egitto, assistito da sacerdoti, procede alla consacrazione dell’edificio. I rituali conservati dimostrano che mediante parole e gesti consacratori veniva realizzata una concordanza perfetta con l’archetipo, l’edificio veniva separato dall’uso profano e, grazie alla relazione con l’archetipo celeste, riceveva efficacia e una nuova dimensione. Accanto a questi riti di consacrazione esistevano i riti di intronizzazione del re, il quale diveniva il rappresentante sulla terra della divinità. Nelle religioni antiche una seconda componente archetipica si manifesta nel simbolismo del centro: monte cosmico, albero della vita, centro del mondo, spazio sacro. Nei riti relativi al simbolismo del centro l’albero cosmico è l’archetipo degli alberi sacri. Esso permette all’uomo di salire al cielo. Una terza componente è il modello divino che l’uomo deve imitare. In Egitto i sacerdoti riproducevano i gesti di Thot, il dio che con la sua parola ha creato il mondo, e la vita della natura era legata all’azione primordiale del dio Osiride. A Babilonia la festa dell’akitu celebrava il nuovo anno e preparava la rinascita della vegetazione. In entrambe queste culture una serie impressionante di riti sulla fecondità e sulla fertilità connetteva la crescita della vegetazione alla potenza divina. Questo breve excursus tratto dall’abbondante documentazione sulle religioni del Vicino Oriente antico, i cui riti ci sono stati resi noti grazie alle tavolette e alle iscrizioni, mostra che per l’uomo delle prime grandi civiltà il rito costituiva un’espressione ierofanica. Tramite i riti gli uomini vivevano un’esperienza del sacro in rapporto con il mondo divino. Il rito costituiva l’elemento mediatore della ierofania. Grazie ai gesti e alle parole dei sacerdoti i riti di consacrazione

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RITO, ARCHETIPO ED ESPERIENZA DEL SACRO

1a-b. Il sacrificio è onnipresente nella tradizione dell’India vedica. Il primo disegno descrive l’agnihotra, il sacrificio svolto al mattino dal capofamiglia. La seconda immagine mostra il sacrificio del cavallo. Quando il re è scelto per governare, l’intronizzazione e la consacrazione sono effettuate secondo il rituale prescritto nel Veda e spetta al re eseguire il sacrificio più solenne, quello del cavallo. Da notare i mattoni, ritavya, dell’altare del fuoco sacrificale.

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Carl Gustav Jung ha utilizzato la parola archetipo come sinonimo di Urbilder e Motive: si tratta di immagini primordiali e di forze vitali presenti nell’inconscio collettivo che costituiscono il contenuto di tale inconscio. Tramite un linguaggio simbolico, queste immagini primordiali denominate archetipi veicolano dati arcaici sulla vita dell’umanità. Seguendo l’esempio di Eliade noi utilizziamo la parola archetipo nel senso di «modello primordiale». Nell’intento di definire l’archetipo, Eliade non ha preso in esame la psicologia del profondo, basata sull’inconscio collettivo, ma le religioni del Vicino Oriente antico, le prime religioni che si sono potute conoscere grazie alla testimonianza di documenti scritti. Egli constata che in Mesopotamia il Tigri è un fiume che ha come proprio modello la stella Anunit. In Egitto le denominazioni dei 42 nomi – le organizzazioni territoriali arcaiche con cui venivano distribuite le acque della piena del Nilo – provengono dai campi celesti. In Iran, nella tradizione zurvanita, ogni fenomeno terrestre corrisponde a una realtà celeste. Le città di Ninive e di Assur possiedono il loro modello celeste. Nel sacrificio vedico si trova l’idea della concordanza con un doppione cosmico che conferisce al sacrificio la propria efficacia. Il Tempio di Gerusalemme è costruito secondo un piano che viene dal Cielo (Esodo 25,1-9). Dunque l’uomo religioso di queste culture orientali volgeva il proprio sguardo a un modello celeste che gli serviva da forma esemplare, da schema che egli seguiva nella costruzione delle città e dei templi e nei suoi rapporti con il mondo celeste. Tramite l’archetipo celeste l’homo religiosus era consapevole di entrare in rapporto con la Trascendenza.

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2. Parte sommitale della stele, pervenutaci intatta, del codice di Hammurabi, Mesopotamia, XVIII secolo a.C. Museo del Louvre, Parigi. La scena riassume il simbolismo che riguarda la regalità. Il Dio, seduto sulla montagna cosmica, offre al re, che tiene il braccio alzato in segno di saluto o rispetto, le insegne dell’onnipotenza: il cerchio e il bastone. Il re dovrà riceverli per esercitare il suo ruolo di giudice supremo. 3. Disegno del pannello del tempio della Croce, nel centro cerimoniale di Palenque, Stato del Chiapas, Messico. Siamo nel periodo cosiddetto Classico della civiltà maya, VII secolo d.C. Al centro si identifica, scaturita dalla pianta del mais, la croce, albero cosmico: è l’axis mundi, che collega cielo/terra e inframondo e divide il cosmo in quattro parti.

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mettevano l’uomo e la società in rapporto con le divinità. Attraverso i riti, le azioni umane ottenevano forza ed efficacia da parte degli dèi.

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NATURA E FUNZIONE DEI RITI RELIGIOSI Non ci soffermeremo sulla tipologia dei riti, un argomento al quale sono stati dedicati numerosi lavori. Émile Durkheim e Marcel Mauss hanno costruito la loro tipologia secondo il punto di vista dei rapporti tra individuo e società; Max Weber si pone nell’ottica del significato vissuto; Joachim Wach si è collocato nel quadro dell’esperienza religiosa del gruppo sociale; Claude Lévi-Strauss ha optato per l’aspetto strutturalista del linguaggio, che permette di connettere il passato al presente. Per quanto riguarda la differenza tra i riti religiosi e i riti magici, osserviamo che la magia è caratterizzata da un desiderio di dominio tramite forze particolari, cosmiche, mentre la religione si volge verso la trascendenza. I riti religiosi operano nel contesto delle ierofanie, mentre i riti magici ricorrono a potenze che non sono in relazione con il sacro (kratofania). Il presente studio si limita all’esame del rito nell’esperienza esistenziale dell’homo religiosus posto in un contesto ierofanico. In quest’ottica il rito si colloca all’interno di un’espressione simbolica mediante la quale l’uomo cerca un con-

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4. Rilievo di uno degli scheletri trovati a Skuhl, non lontano dalla città di Haifa, in Palestina. Si noti, tra la cassa toracica e il braccio destro, la mandibola di un grande suide, il cui posizionamento, se intenzionale o meno, è stato oggetto di discussione tra gli studiosi. Questa sepoltura risale a circa 90.000 anni fa, nella stessa regione dei ritrovamenti di Qafzeh. 5. Cranio di Uomo neandertaliano scoperto in una piccola caverna a LaChapelle-aux-Saints, Corrèze, Francia. I Neandertaliani occuparono pienamente l’Europa fra 80.000 e 40.000 anni fa, ma la loro origine risale a 500.000 anni orsono. Il livello culturale e la vita spirituale dei Neandertaliani erano molto sviluppati. Resta non chiaro come in Europa si estinsero, soppiantati da Homo sapiens sapiens.

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tatto vitale con la Realtà trascendente, con il divino, con Dio. Esso si compone di una tecnica e di un sistema di simboli, utilizzati entrambi al fine di ottenere un’efficace esperienza vissuta del sacro. Fatto di gesti e di azioni accompagnati da un linguaggio verbale esplicito o implicito, il rito è destinato ad aprire un passaggio in direzione della realtà ontologica: è un percorso che porta dal significante all’essere. Compiuto da Homo sapiens e religiosus, il rito diventa luogo ed espressione delle credenze. I primi riti dei quali l’archeologia ci ha segnalato delle tracce sono i riti funerari di Qafzeh e dell’uomo di Neandertal, seguiti da quelli del Paleolitico superiore e del Neolitico. Le offerte deposte nelle tombe, l’ocra rossa sui cadaveri, la sistemazione delle tombe, le conchiglie inserite nelle orbite oculari, i trattamenti speciali riservati ai crani sono indici della credenza in una vita ultraterrena. In diverse grotte franco-cantabriche, quelle di Lascaux e di Rouffignac per esempio, si sono conservate le tracce di passi di adolescenti che sono state considerate indizi di cerimonie di iniziazione. I mitogrammi dei dipinti parietali rafforzano questa interpretazione e sembrano indicare che i miti di iniziazione siano molto antichi. Nel Neolitico gli oranti della Valcamonica, con le mani alzate verso il cielo, costituiscono testimonianze eloquenti dei riti di preghiera, dei quali troviamo

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6. Sepoltura doppia dalla necropoli di Oleniy Ostrov, lago Onega, Russia, fine VI-inizio V millennio. Nel corredo funerario si nota una testa d’alce scolpita (in nero). La sepoltura è un evento rituale in cui si esprime la simbologia di diversi popoli e culture. Qui si conferma l’importanza simbolica dell’alce per i popoli dell’estremo Nord, che da essa erano dipendenti per molti fattori della loro vita. 7. Conchiglie sul cranio fossile, di circa 20.000 anni fa, trovato nella grotta del Caviglione, una delle grotte del complesso dei Balzi Rossi (Grimaldi) che si estendono per centinaia di metri, fra Ventimiglia e Mentone, al confine tra Italia e Francia. Il trattamento del cranio ornato con la calotta di conchiglie è stato anche interpretato come il confezionamento di un copricapo sonoro per il defunto, oppure come un segno di vita, forse rappresentato dalle conchiglie. Calco del Musée de Préhistoire des Gorges du Verdon, Quinson, Alta Provenza.

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8. Nel periodo Maddaleniano (18.000-15.000 anni fa) c’è l’esplosione delle pitture rupestri nella zona franco-cantabrica. Tali figure non sono solo la testimonianza dell’importanza degli animali per un popolo di cacciatori, ma, come percepito da Leroi-Gourhan e dagli studiosi che hanno proseguito le ricerche, la disposizione degli animali e gli accoppiamenti (ad esempio bisonte con cavallo) esprimevano significati simbolici e mitici e non riguardavano narrazioni quotidiane. Nella illustrazione, un cavallo fra i tanti dipinti nella grotta di Lascaux, Dordogna, Francia. Alle figurazioni di animali si aggiungevano segni particolari quali segmenti, punti e frecce. 8

9. Famosissima statuetta in bronzo, oro e argento, cm 19,15 x 14,8, dell’inizio del II millennio a.C., oggi al Museo del Louvre, Parigi. Si tratta del cosiddetto «Adorante» di Larsa, città babilonese sulla riva est del basso Eufrate. La genuflessione è il segno che rappresenta la posizione di dipendenza dell’uomo rispetto al divino, così come la mano sulla bocca.

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IL RITO NELLA VITA DELL’HOMO RELIGIOSUS

raffinate espressioni nel mondo sumero: ad esempio il gesto delle mani giunte e la mano posta all’altezza della bocca nel personaggio adorante di Larsa e in quelli di Ur III. A partire dal III millennio i templi egizi e mesopotamici ospitano i riti di consacrazione, che nelle grandi religioni figureranno al primo posto fra tutti gli altri in quanto espressione di rapporti privilegiati tra gli uomini e gli dèi. I riti sacrificali sono contemporanei alla costruzione dei templi, dei santuari e degli altari: tramite il sacrificio di un oggetto, di un essere vivente, di un animale, l’homo religiosus stabiliva o ristabiliva i legami con la divinità. Essendo legato ai ritmi della natura e della vita, e legato anche alla cultura e alla società, il rito è ripetitivo. Sulla sua base viene stabilita una comunione con il divino secondo i suoi diversi aspetti e, mediante la celebrazione dei miti, esso fa riaccadere un avvenimento primordiale. All’interno della società il rito è principio di coerenza. Anche se compiuto in solitudine, esso fa riferimento a una comunità.

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6. LE STRUTTURE DEL COMPORTAMENTO RELIGIOSO 1

A conclusione di questa analisi – che riguarda da un lato i fatti religiosi (le ierofanie) mantenutisi dal Paleolitico fino ai grandi monoteismi, e dall’altro il comportamento dell’uomo nell’esperienza del sacro realizzata per mezzo di miti, simboli e riti – è indispensabile introdurre l’argomento delle strutture del comportamento dell’homo religiosus, cioè di Homo sapiens che vive l’esperienza del sacro. Qui si pone anche la questione della validità di un’antropologia religiosa e delle sue finalità. L’antropologia religiosa studia l’uomo in quanto creatore e utilizzatore dell’insieme simbolico del sacro, e in quanto detentore delle credenze religiose che guidano la sua vita e il suo comportamento. Parallelamente all’antropologia religiosa specifica di ogni religione (induista, buddhista, ebraica, musulmana, cristiana) si sviluppa un’antropologia imperniata sull’homo religiosus e sul suo comportamento nel corso dell’esperienza del sacro. Dopo il saggio di Durkheim e di Mauss, che bollavano il sacro esclusivamente con il marchio della società e del sociale, Rudolf Otto ha sviluppato la tesi dell’esperienza del sacro intesa come un’esperienza umana del trascendente, del «numinoso», del divino. Da allora i lavori di Eliade e di Dumézil hanno messo in evidenza l’importante ruolo della cultura e delle culture nella vita dell’homo religiosus, il quale è necessariamente legato a un gruppo e a una società. Homo sapiens, l’homo religiosus non vivono isolati dal loro ambiente culturale: essi sono creatori di cultura e la loro comparsa storica avviene in un ambiente caratterizzato da tradizioni culturali. Si tratta ora di rispondere a una domanda: quali sono le strutture che rendono l’uomo capace di vivere l’esperienza del sacro per mezzo di simboli, di miti e di riti? 2

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IMMAGINE, SIMBOLO E CREATIVITÀ In Sacro, simbolo, creatività, Jacques Vidal esamina in profondità la dinamica del simbolo nella vita psichica dell’uomo e la sua funzione nell’esperienza religiosa. Lo spazio dell’esperienza simbolica si apre su immagini tratte da oggetti esteriori, per esempio il cielo, la stella, la luna, l’acqua, l’albero, la pietra e così via. «Il simbolo non funziona su oggetti ma su immagini». Dal momento in cui ha inizio l’esperienza simbolica, avviene un passaggio dall’oggetto all’immagine. Bachelard ha mostrato che grazie all’immagine il simbolo diventa apportatore di vita, poiché l’immagine introduce un tema di unità e un tema di totalità, di agilità e di dinamismo. L’oggetto invece trasmette fissità e freddezza: da cui la debolezza del positivismo che ha escluso l’immagine e il simbolo come metodo di conoscenza. Mediante l’impiego di una dinamica di unità (centro) e di totalità (espansione), le immagini destano la coscienza, suscitano impulsi e conducono a immagini primordiali e ad archetipi, cioè alle spinte primordiali presenti nell’inconscio individuale e collettivo. Il simbolo in attività genera forze psichiche, ricollegando la coscienza al subcosciente. Ciò significa che esso invita la coscienza a scoprire radici costituite dalle immagini primordiali. L’archetipo, secondo Eliade, conferisce efficacia all’azione umana. Esso stabilisce una correlazione tra il mondo interiore e il mondo esteriore. Nasce così il senso creativo dell’uomo. IMMAGINARIO DELL’UOMO E PERCORSO ANTROPOLOGICO Per immaginario Gilbert Durand intende «l’insieme delle immagini e dei rapporti tra immagini che costituisce il patrimonio di pensiero di Homo sapiens». Nell’immaginario è presente un dinamismo organizzatore che è fattore di omogeneità nella rappresentazione. Gaston Bachelard ha mostrato che «gli assi delle intenzioni fondamentali dell’immaginazione sono i percorsi dei gesti principali dell’uomo nei confronti del suo ambiente naturale». Ma tale percorso è reversibile, poiché l’uomo assume anche l’impronta dell’ambiente in cui vive. Quindi, secondo Durand, nei simboli e nel loro funzionamento occorre tener conto del percorso antropologico: uno scambio incessante a livello dell’immaginario tra le pulsioni soggettive e assimilatrici della vita psichica umana e le intimazioni o

1. L’«Osservatorio» del Caracol di Chichén Itzá, nello Yucatán, Messico, costruzione della civiltà maya che mostra la grande attenzione agli astri e alle stelle. I diversi elementi architettonici indicano l’orizzonte dove un determinato corpo celeste sorge o tramonta. Alla curiosità, che oggi chiameremmo «scientifica», si unisce la venerazione per sole, luna e stelle, a cui si collegano le mitologie. 2. Sempre a Chichén Itzá troviamo la «Piattaforma di Venere», con riprodotto il simbolo dell’astro. 3. Una maloca della cultura Makuna presso il río Pira Paraná, nella parte andina della foresta amazzonica. La morfologia della maloca amazzonica è molto semplice e adattata dalle moltissime culture sparse sul territorio. L’ambiente forestale unifica e determina il modo di costruzione sia delle case sia della maloca, che da esse non differisce di molto. Così, pur determinata dall’ambiente, la maloca è sempre riconoscibile ed è perno e centro di una comunità. Sorge al centro degli insediamenti e la sua funzione non è solo di aggregazione sociale, ma di testimonianza della tradizione e di espressione della cosmovisione. L’edificio stesso è il microcosmo rivelato nelle cerimonie.

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4. Rappresentazione del monticolo scalonato di un tempio in cui si svolge una cerimonia musicale. Cultura Nasca, Perù. Se i riti di iniziazione sono per eccellenza il trasferimento dell’eredità ai neofiti, ogni cerimonia diviene veicolo di trasmissione della cultura religiosa, attraverso l’oralità e la musica, oltre che la simbologia plastica degli edifici e dell’abbigliamento. Pagina seguente: 1. Un momento di corroboree degli indigeni australiani. È sovente visto come insieme di danze, ritmi e canti che uniscono il gruppo. Esistono anche dei corroboree segreti delle donne, ai quali solo le ragazze giunte alla maturità sessuale possono partecipare. All’elemento di socialità è sotteso forse un carattere simbolico più profondo. 2. Particolare di una figura alusi in legno, cultura Igbo, Nigeria. Gli Igbo usano rappresentare le divinità principali in gruppi di sculture strutturate su modello familiare: il marito, la moglie, il figlio, futuro erede, ecc. Queste divinità tutelari, già ritenute raffigurazioni di antenati, sono dette alusi e vengono custodite entro recinti o su altari a loro dedicati. In segno di devozione, durante le celebrazioni, le statue vengono dipinte con terra e pigmenti e anche rivestite dalle donne.

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impulsi oggettivi provenienti dall’ambiente cosmico e sociale. Perciò nell’immaginario umano entrano continuamente in gioco due fattori: da una parte la vita psichica e i suoi imperativi che assimilano la rappresentazione dell’oggetto, dall’altra le reazioni dell’ambiente oggettivo che influenzano la vita psichica dell’uomo. Questo incessante percorso antropologico è un elemento essenziale per la spiegazione della crescita dell’homo religiosus in quanto persona.

7. LE RELIGIONI DI TRADIZIONE ORALE, OGGI

EREDITÀ E INIZIAZIONE A queste due strutture – cioè il complesso «immagine e simbolo» da una parte e dall’altra il «percorso antropologico» nel meccanismo dell’immaginario di Homo sapiens – occorre aggiungere una struttura esplicativa della crescita dell’homo religiosus nel corso della storia, dal Paleolitico fino ai grandi monoteismi: si tratta dell’iniziazione-tradizione, grazie alla quale si accede al patrimonio culturale e religioso formatosi nel corso dei millenni precedenti e conservato dalla memoria collettiva. Il concetto di «eredità» valorizzato da Georges Dumézil assume a questo punto tutta la sua importanza. L’iniziazione svela al neofita cose sacre, simboli e verità. Essa gli fa conoscere il senso profondo delle sue origini, del gruppo nel quale è integrato, del suo rapporto con gli altri e con il Totalmente Altro, la divinità. Essa gli rivela la verità fondamentale che costituisce la struttura della sua esistenza e orienta la sua esperienza del sacro. Essa è una rivelazione che lo porta a partecipare a un’eredità e a una saggezza che sgorgano dal patrimonio creato dagli antenati e trasmesso dalla memoria della comunità. Tale patrimonio veicola miti, simboli e riti, credenze, idee e rappresentazioni, scritture sacre, templi e santuari. Si tratta di un’eredità religiosa e culturale ad un tempo, che offre all’homo religiosus un capitale che egli può valorizzare e accrescere, fatto anche di immagini e di simboli che gli servono per vivere nuove esperienze del sacro. L’iniziazionetradizione è una struttura sociale, culturale e religiosa necessaria alla crescita dell’homo religiosus e dell’humanitas religiosa.

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Nel corso dei secoli XIX e XX l’Occidente ha sviluppato un interesse straordinario per lo studio delle religioni denominate «primitive», che attualmente vengono definite come religioni delle culture basate sulla tradizione orale. L’assenza di documenti scritti obbligava gli studiosi ad attingere le informazioni dai dossier di colonizzatori, di missionari e di altri osservatori. Pur lavorando secondo vedute ideologiche molto diverse, antropologi, etnologi e storici erano tutti alla ricerca dell’origine della religione e delle religioni, e la maggior parte di essi riteneva che i «primitivi» contemporanei rappresentassero uno stadio vicino a quello degli inizi. I diversi studi svolti in questo senso si rivelarono mal fondati e uno dopo l’altro vennero abbandonati. Dopo una pausa di alcuni decenni l’interesse per queste religioni è ricomparso, ma il punto di vista della ricerca è notevolmente cambiato. Esso riguarda specialmente i popoli dell’Africa Nera, dell’Oceania, delle regioni artiche, i Nativi dell’America del Sud e del Nord e i popoli altaici della Siberia. Queste popolazioni non sono più viste come Naturvölker, e dunque rimaste a uno stadio naturale, ma oggetto di interesse sono la loro vitalità e il loro continuum storico.


Antropologi del livello di Marcel Griaule, Edward Evan Evans-Pritchard e Ronald Godfrey Lienhardt e uno storico delle religioni come Mircea Eliade hanno evidenziato alcuni fenomeni essenziali della vita religiosa di questi popoli: miti, simboli, riti, iniziazione. Queste popolazioni considerano tutta la loro creatività umana come religiosa.

mondo o l’hanno ricreato. Per l’uomo tradizionale questa rivelazione è carica di conseguenze, poiché trasmette dei modelli significativi di tutte le attività umane: alimentazione, lavoro, educazione, matrimonio, arte, saggezza. L’uomo, così come esiste oggi, è il risultato di questa creazione delle origini. Se si vuole conservare questa opera e questa situazione, occorre riattualizzare periodicamente il mito e rigenerare il tempo. Questa ricreazione della cosmogonia e del mondo sollecita un ritorno all’età dell’oro. Ecco in breve il messaggio dei miti. Tale ritorno si compie attraverso la riattualizzazione dei miti, e ciò implica l’esistenza di determinate feste e di un preciso calendario delle loro celebrazioni. Ogni festa è prima di tutto una commemorazione di azioni divine, poiché non si devono assolutamente dimenticare gli Esseri soprannaturali né gli Antenati mitici. La festa è anche una celebrazione durante la quale la tribù rivive gli avvenimenti primordiali, raggiunge l’età dell’oro, ritrova e imita le azioni esemplari e divine. Essa rigenera le proprie forze in vista delle attività della vita quotidiana. Rivelazione, festa, memoria, riattualizzazione sono da un lato rivolte alle origini, dall’altro alla vita quotidiana. I miti costituiscono il quadro religioso delle società tradizionali, delle loro istituzioni e dell’attività quotidiana degli uomini e delle donne che le compongono.

I MITI E LA LORO RIATTUALIZZAZIONE Le società tradizionali di oggi veicolano miti viventi che forniscono «dei modelli per il comportamento umano e conferiscono un senso all’esistenza dell’uomo». Nella sua celebre tetralogia, Claude Lévi-Strauss ha analizzato circa ottocento miti dei Nativi americani. Dopo aver spiegato il passaggio dalla natura alla cultura mediante la scoperta del fuoco, delle tecniche culinarie e agricole e degli ornamenti (vol. 1), egli tenta di dimostrare la convertibilità dei codici alimentare, astronomico e sociologico (vol. 2), quindi passa a un’etica sociale (vol. 3) per arrivare infine alle opposizioni tra natura e cultura (vol. 4). Questi miti, dice Lévi-Strauss, non dicono nulla sull’ordine del mondo, sulla natura del reale, sull’origine dell’uomo, sul suo destino. Egli giunge alla conclusione che la struttura dei miti svela l’unità e la coerenza delle cose, integra l’uomo nella natura, ma non offre alcun messaggio religioso. Limitandosi a considerare il mito come linguaggio, lo strutturalismo di Lévi-Strauss si è accontentato di definirne una sintassi. Per l’uomo delle società tradizionali il mito è un linguaggio portatore di un messaggio denso di significati. Eliade ha dedicato una parte della propria opera ai miti viventi dei popoli tradizionali contemporanei, ed essa ci offre una griglia di lettura della loro religiosità. I miti riferiscono una storia sacra dei tempi primordiali. Essi raccontano come Esseri soprannaturali e Antenati hanno creato il

TRADIZIONE ORALE E INIZIAZIONE Nelle culture basate sulla tradizione orale, l’iniziazione degli adolescenti svolge un ruolo fondamentale. Universalmente attestata, essa è matrice della società, formatrice della cultura, supporto della religione e realizzazione dello stato di perfezione dell’homo religiosus. I riti di iniziazione esigono la preparazione di un luogo sacro, che è lo spazio in cui gli esseri soprannaturali ricreano il mondo, uno spazio che permette la comunicazione con il mondo trascendente. L’inizia-

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3. Palo di sostegno, sono normalmente otto, della copertura della togu, la capanna del consiglio dei Dogon (Mali), sede della «parola» che governa la vita della comunità. I pali evocano gli antenati che per primi sedettero in una capanna della parola. In basso, si vedono le impronte dei sandali del creatore dell’universo. 4. Nella Costa Nordoccidentale del Canada si è avuto un importante sviluppo di arte contemporanea ad opera di artisti di popolazioni indiane che, pur inseriti nell’attuale vita sociale, hanno mantenuto viva l’espressione plastica delle loro culture. Questo disegno haida è stato ripreso per un monile d’argento dall’artista Bill Read, della popolazione degli Haida, grande collaboratore e scultore del Museum of Anthropology di Vancouver. Il titolo dell’opera è La donna nella luna (1954). Ci troviamo di fronte a un tema prossimo ai temi mitici delle origini. Nel 1980 Read eseguirà una scultura in legno capitale per il museo, che sarà sita da sola nell’apposita sala «Raven e i primi uomini». Raven, l’uccello delle origini, sta sul guscio che si schiude da cui escono i primi uomini.

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5. Disegno realizzato con uno stampo in pietra intagliata dalla popolazione Inuit presso il lago Baker nei territori del Nord-Ovest, Canada. Raffigura uno sciamano inuit mentre prende il volo accompagnato dai suoi ospiti guardiani. Nelle culture dei nativi nordamericani gli spiriti guardiani recano benedizioni sui loro partner umani. 6. Maschera, Marka Dafing, Burkina Faso. La maschera rappresenta il volto di un genio; gli occhi dipinti riguardano la capacità di vedere l’invisibile.

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zione si compie durante un tempo sacro. Questo apre l’accesso al tempo delle origini, che il neofita può raggiungere mediante i riti: luogo sacro e tempo sacro sono due fattori preliminari dell’iniziazione. Essa inizia con un atto di rottura con la vita dell’infanzia: recinto sacro, sterpaglia, separazione dalla madre, isolamento in un bosco. Seguono le prove iniziatiche: danze, privazione del sonno, fame, sete, lancio di fiamme, riti di purificazione; in Africa e in Oceania la circoncisione; in Australia le urla prodotte da strumenti chiamati bull-roarers che si ritiene riecheggino la voce dell’Essere supremo. Segue infine la tradizione dei miti, mediante la quale il neofita viene introdotto nella sua comunità. Questa tradizione dei miti può estendersi per parecchi anni poiché essa costituisce l’accesso ai misteri; essa è una rivelazione.

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L’ESSERE SUPREMO

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Una vasta ricerca intrapresa all’inizio del XX secolo da Wilhelm Schmidt e da un’équipe di etnologi tra gli aborigeni dell’Australia ha attestato la credenza, in quelle tribù, nell’esistenza di un Essere supremo. Proseguita sotto la direzione di Schmidt da Koppers, Schebesta, Gusinde e altri, tale ricerca ha portato a identificare uguali credenze presso i Pigmei africani, i Boscimani, nella Terra del Fuoco e presso le popolazioni artiche e nordamericane. Numerosi etnologi e storici delle religioni hanno aderito alle posizioni di questi studiosi. Il dibattito fra Pettazzoni ed Eliade ha consentito di chiarire la comprensione di questa credenza in un Essere supremo mostrando che esso «è sempre un per-

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7-11. Disegni di Michela Rangoni Machiavelli: un rombo (bull-roarer) preistorico risalente al Maddaleniano, in Dordogna, Francia (7); un papua della Nuova Guinea mentre fa volteggiare un rombo (8); un rombo australiano (9); un rombo dell’Oceania (10); infine un altro rombo australiano (11).

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12. Figura realizzata negli anni ’50 del secolo scorso, su corteccia d’albero, da un popolo di cacciatori, gli Aborigeni australiani della Terra di Arnhem, estremo Nord dell’Australia. Si rievoca un mito dell’Epoca dei Sogni. Così ci viene descritta da Emmanuel Anati: «Una coppia di spiriti Mimi vaga per la foresta (le foglie) alla ricerca di cibo (piccole sacche appese alla spalla); hanno con sé gli strumenti che servono all’uopo: un’ascia di pietra, il bastoncino per scavare i tuberi e un dardo con il lancia-dardi».

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sonaggio primordiale e creatore». La primordialità e la creatività sono elementi caratteristici del pensiero mitico. Le ricerche attuali confermano tali credenze grazie all’analisi dei miti, dei riti e di tutto il simbolismo tradizionale. In Africa l’Essere supremo è il creatore e il signore del cosmo. Secondo numerosi miti un tempo egli viveva insieme agli uomini, ma in seguito se ne allontanò. Dalle tradizioni mitiche dell’America del Sud emerge un Essere supremo onnisciente, onnipotente e benefico, creatore e padrone dell’Universo. Fra i tratti essenziali del Dio supremo presso i Nativi d’America occorre sottolineare la sua collocazione al vertice della gerarchia e il suo controllo dell’attività umana. Egli è invisibile e associato al cielo, e ciò manifesta la sua trascendenza.

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13. Isola di Melville, mare di Arafura, estremo Nord dell’Australia. Sepoltura contemporanea di Aborigeni australiani. La presenza della croce e l’accettazione del cristianesimo non impediscono il mantenimento di ritualità tradizionali. 14a-c. Paramenti sacerdotali, Atelier d’arte liturgica di Yaoundé, Camerun. La Chiesa cattolica africana ha cercato di favorire un rinnovamento della liturgia che integrasse i simboli e le forme delle tradizioni africane. Su questi paramenti ritroviamo così i tre colori base della cromia africana, simbolo della condizione umana, e una serie di motivi geometrici o figurativi che tracciano una continuità fra cristianesimo e cosmologie africane: l’uomo e «i cerchi cosmici», l’ovale e i cauri, simbolo della fecondità e della vita, che associati alla croce sono «simbolo del riscatto della nostra salvezza» (Engelbert Mveng).

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8. HOMO HABILIS E SYMBOLICUS LA RECENTE SCOPERTA DI HOMO HABILIS 1

1. Il disegno riproduce la scheggiatura della pietra ottenuta mediante percussione diretta. Scelte le due pietre, quella da scheggiare e il percussore, si ottenevano una o più schegge e un utensile lavorato. Si ritiene che proprio con questa tecnica siano stati prodotti i primi manufatti litici. 2

A partire dal 1959, negli scavi di Olduvai in Tanzania e a est del lago Turkana in Kenya, sono stati scoperti dei resti di crani che risalgono a 2 milioni di anni fa. Nel 1964 Louis Leakey, Phillip V. Tobias e John Napier hanno attribuito agli uomini dai quali provenivano quei fossili il nome di Homo habilis, poiché la scoperta di ciottoli intagliati lungo il margine di una faccia (choppers) o di entrambe le facce (chopping tools) prova la loro abilità a fabbricare degli utensili. Questo ritrovamento conduce alcuni paleoantropologi a considerare l’Est africano come la culla dell’Umanità. Alcune scoperte molto recenti hanno ultimamente indotto Tobias a formulare l’ipotesi dell’esistenza, nel cranio di Homo habilis, delle aree di Broca e di Wernicke per il linguaggio articolato. L’insieme dei resti archeologici scoperti in Africa nel corso degli ultimi trent’anni consiste di selci intagliate – e tra queste vi sono numerose amigdale – di ciottoli usati come armi da caccia e come percussori, di ossa di animali riutilizzate, di strutture di capanne che fungevano da abitazioni e di resti di aree di lavoro. I paleoantropologi vedono già abbozzate in Homo habilis le caratteristiche fisiche, culturali e sociali che costituiranno la base dello sviluppo di Homo sapiens. Da ciò si deve desumere l’esistenza di una rete di rapporti coscientemente vissuti, famiglia, gruppo, territorio, la quale è indice in Homo habilis di un salto qualitativo rispetto al suo progenitore, l’Australopiteco. Homo habilis è un uomo nuovo. Homo habilis ci ha lasciato le tracce della prima cultura umana: industria, tec-

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nologia, strutture di abitazioni, economia di caccia e di raccolta di vegetali selvatici, oggetti e utensili. Questa cultura, chiamata olduvaiana dal nome della località in cui essa è meglio documentata, risale a più di 2 milioni di anni fa. È la più antica cultura umana. Essa testimonia la presenza di un’attività psichica in Homo habilis: capacità di elaborare progetti, di organizzare il lavoro, la caccia, di osservare l’ambiente circostante, la natura, le risorse vegetali e animali. Secondo Tobias, «Homo habilis fu il principale rappresentante dell’evoluzione ominide per la durata di 1 milione di anni». In più, la sua scoperta ha fornito l’anello di passaggio tra gli Australopiteci e Homo erectus. IMMAGINAZIONE CREATRICE E MESSAGGIO DELL’UTENSILE La cultura dell’uso dei ciottoli, chiamata anche Pebble Culture, offre informazioni preziose su Homo habilis: la serie degli utensili e degli alimenti consumati quotidianamente, l’ambiente naturale, il genere di vita. Essa fornisce anche il primo esempio di utilizzo di un intermediario tra la mano dell’uomo e l’oggetto da lavorare: l’utensile. L’utensile presuppone innanzitutto il gesto della presa manuale, e dunque l’esistenza di un bipede dalle mani libere. Nella cultura di Homo habilis la mano non è più l’utensile, come per gli animali, ma essa diventa motore dell’utensile e arricchisce progressivamente le sue modalità di azione: la mano è in diretta motricità sull’utensile. Con l’utensile si compie una fase del progresso umano, poiché la tecnica o il metodo di utilizzo dell’utensile esige una mediazione da parte dell’uomo: l’idea, il progetto. Per foggiare un chopper il suo costruttore deve innanzitutto farsi un’immagine dell’utensile compiuto, e ciò condiziona la scelta del ciottolo più adatto, scelta ancora più importante quando si tratta di foggiare un’amigdala. In secondo luogo egli deve avere un’idea di tutte le operazioni necessarie alla realizzazione del progetto. Pertanto

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2. Chopper ottenuto asportando una parte laterale del nucleo (larghezza 60 mm). Proveniente dall’Est Turkana, è stato rinvenuto alla base della formazione di Koobi Fora, Kenya, dove sono stati posti in luce importanti reperti faunistici, resti di Homo habilis e alcune decine di manufatti. 3. Blocchetto di roccia scura proveniente da Koobi Fora: un chopper che presenta diversi punti di stacco. 4. Grande chopper appartenente al periodo Olduvaiano e rinvenuto sulla riva destra del fiume Awash nella zona di Gomboré I, lo strato più antico del sito di Melka Kunturé, Etiopia. 5. Chopper raccolto negli strati più antichi di Olduvai, Tanzania.

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6. Panorama della gola di Olduvai, Tanzania. Il nome di Olduvai è ormai mitico per i paleoantropologi. Dagli anni ’60 del secolo scorso si sono susseguite importanti scoperte di fossili riguardanti sia il genere Australopithecus sia il genere Homo e si trattava dei primi uomini: Homo habilis. 7. Ricostruzione di capanna disegnata da Sacha Gepner sotto la guida di Yves Coppens. «A Olduvai, su un suolo di habitat risalente a 1,8 milioni di anni fa, compare per la prima volta una struttura. Piccoli massi di basalto, con un diametro medio di 10-15 cm, ma a volte di 25 cm e più, sono

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la tecnicità, un’invenzione di Homo habilis, non si limita a una questione di iniziativa, ma presuppone un importante intervento dell’intelligenza e dell’immaginazione umane. La variazione nella tecnicità e l’innovazione avvengono proprio grazie al funzionamento dell’immaginazione. Come nota André LeroiGourhan, due fattori intervengono: da un lato le facoltà intellettuali riflesse, poiché occorre cogliere i rapporti tra le fasi del lavoro e gli oggetti; dall’altro l’immaginazione simbolica, poiché l’uomo deve proiettare uno schema verso l’esterno. I fattori che hanno reso possibile la comparsa di Homo habilis sono stati la liberazione della mano e nello stesso tempo la crescita delle facoltà intellettuali riflesse, due elementi indispensabili per fare di Homo un creatore. NASCITA DELL’HOMO SYMBOLICUS Homo habilis possedeva delle tecniche di acquisizione, di fabbricazione e di consumazione. In lui esisteva la possibilità di concepire simboli espressivi che egli era in grado di tradurre in gesti, in suoni, in realizzazioni di oggetti. Il raddrizzamento del corpo era una condizione indispensabile non soltanto per l’evoluzione fisica e la liberazione delle mani, ma anche per la visione dell’oriz-

zonte e dell’ambiente circostante, stimolatori della scoperta. Ma tale condizione necessaria non era sufficiente. Occorreva anche un nuovo elemento psichico, una coscienza che fosse allo stesso tempo simbolica e creatrice. La documentazione archeologica ci fornisce la prova dell’esistenza di questa coscienza presso Homo habilis. Il taglio delle selci implicava sperimentazione, immaginazione e scelta del materiale e della forma. Nella cultura olduvaiana le zone adibite al taglio delle pietre ci hanno fornito una quantità di documenti sufficiente per constatare che i tagliatori di selce sceglievano i loro materiali tenendo conto della solidità, della qualità e del colore, e scartavano tutto ciò che non soddisfaceva determinati requisiti. La scheggiatura bifacciale attesta la ricerca di simmetria, una preoccupazione evidentemente estetica. La pratica della caccia implicava l’elaborazione di strategie collettive: alcuni resti di pasti rivelano che la caccia alla selvaggina di grossa taglia era un’attività comune. L’organizzazione dello spazio è un altro indizio della coscienza simbolica. Le strutture delle capanne presentano una ripartizione in tre aree: soggiorno, spazio riservato al taglio delle carni degli animali, zona di fabbricazione degli utensili. Secondo Yves Coppens questo periodo è di fondamentale importanza, poiché grazie alla mobilità e alla comparsa della coscienza riflessa, «l’Uomo per

raggruppati in mucchietti alti 30 cm, separati da intervalli fra i 60 e i 75 cm. Questi mucchietti disegnano un cerchio di circa 4 metri di diametro e quindi un’area centrale piatta quasi sprovvista di oggetti, mentre pietre tagliate e resti di cucina (ossa) sono disseminati per terra all’esterno. Tutti sono d’accordo nell’interpretarla come una struttura costruita, un riparo o un’abitazione, dove i mucchietti di basalto servivano per bloccare pali o archetti, legati insieme da pelli o fogliame. È la prima ‘architettura’ del mondo» (Yves Coppens).

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8. Nel disegno di Sacha Gepner un Homo habilis sembra mostrare il suo manufatto e ad un tempo sembra ammirarlo. Ammira il manufatto divenuto «forma» come doveva ammirare gli astri e la natura. «L’uomo si è preoccupato di rendere la sua vita di tutti i giorni, e ben presto anche quella che andava oltre la quotidianità, conforme all’immagine intellettuale, spirituale e simbolica che ne aveva; si è preoccupato di abbellirla. Lo studioso di preistoria se ne rende conto constatando con quanta cura i primissimi uomini fabbricassero e scegliessero gli oggetti di cui si servivano, anche i più futili e i più deperibili» (Yves Coppens).

9. HOMO ERECTUS, HOMO SAPIENS E SIMBOLISMO DELLA VOLTA CELESTE

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9. Nel disegno si mostra la scheggiatura della pietra mediante percussione, effettuata però non direttamente, pietra contro pietra, bensì su incudine, cioè lavorando il materiale grezzo su una pietra fissa a terra, avvantaggiandosi così di una maggiore stabilità e forza.

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la prima volta in tutta la storia della Vita estende il proprio territorio e prende coscienza del proprio sapere». Le prodigiose scoperte realizzate nella Rift Valley africana non ci dicono nulla, almeno esplicitamente, sulla religiosità di Homo habilis, ma poiché esse ci mettono in presenza della cultura che egli ha creato, esse ci forniscono la prova che questo Uomo è un homo symbolicus. La cultura olduvaiana stabilisce una certezza che ha conseguenze straordinarie per la paleoantropologia, l’antropologia e la storia delle religioni: l’homo symbolicus è nato 2 milioni di anni fa.

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(2) Ricostruzione da parte di Sacha Gepner di un pasto di Sinanthropus pekinensis. Homo erectus è l’inventore del fuoco, e infatti abbiamo molti reperti fossili di focolari dove egli si è diffuso. Questa ricostruzione riguarda una parte della grande grotta dove sono stati trovati resti fossili del Sinantropo. Siamo a Zhoukoudian, a circa 40 chilometri da Pechino. Si tratta di una collina chiamata Collina dei Denti di Drago, in cui si forma la grande caverna dove abitava l’Uomo di Pechino 700.000 anni fa. I suoi resti di focolari sono forse i più antichi al mondo tra quelli di Homo erectus.

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Pagina precedente: 1. Il più antico cranio di Homo ergaster/ erectus, datato a 1,6 milioni di anni fa, viene ritrovato a Koobi Fora, presso il lago Turkana, in Kenya. Probabilmente si trattava di un Homo erectus di sesso femminile. Calco del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna. Questa fotografia ci dà il primo piano di un essere che ha chiaramente una postura eretta: il suo sguardo poteva scrutare l’orizzonte e, inclinando indietro il capo, spaziare nella volta celeste. 2, 3, 4a-b. Homo erectus in Cina si chiama Sinantropo; le immagini qui raccolte riguardano la scoperta del Sinanthropus pekinensis.

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DA HOMO ERECTUS A HOMO SAPIENS I paleoantropologi denominano Homo erectus la specie umana comparsa nell’Africa orientale, a est del lago Turkana, 1,6 milioni di anni fa; essa ha popolato il Mondo Antico (Asia, Cina, Africa, Europa) ed è scomparsa circa 150.000 anni fa. Questa specie è succeduta a Homo habilis. In Asia le tracce più importanti di Homo erectus sono state rinvenute in Cina, a Zhoukoudian, e a Giava. Il suo volume cerebrale è andato costantemente aumentando da 800 cc a 1.250 cc. Egli viveva di caccia e della raccolta di vegetali selvatici, organizzava accampamenti a cielo aperto e si insediava di preferenza lungo i corsi d’acqua, il più vicino possibile alle rocce. Ha sviluppato una notevole industria litica e si è servito del fuoco per la cottura degli alimenti. Le prime tracce di fuoco si trovano a Zhoukoudian, nel Vicino Oriente e in Europa; queste ultime datano da 450.000 anni fa. L’uso del fuoco rappresenta un’invenzione geniale – il fuoco è la prima fonte di energia dominata dall’uomo – con la quale si compie un passo importante nei rapporti familiari e sociali, inoltre costituisce un indizio di religiosità: alcuni paleoantropologi parlano infatti di tracce di riti del fuoco. L’importante espansione dell’industria litica sembra testimoniare l’esistenza di un linguaggio necessario per la trasmissione delle tecniche. La scoperta di alcuni crani mutilati alla base farebbe pensare a rituali che attestano una credenza nella vita ultraterrena. Questi riti funerari, oltre ai riti del fuoco, sono le sole tracce visibili in nostro possesso della religiosità di Homo erectus, almeno fino ad oggi. Mediante un’evoluzione morfologica molto lenta, Homo erectus si è trasformato in Homo sapiens. I suoi rappresentanti più antichi sono vissuti probabilmente intorno a 300.000 anni fa. Circa 80.000 anni fa si sviluppa in Europa una sottospecie di Sapiens, l’Uomo di Neandertal, che scompare verso 35.000 anni fa

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per lasciare il posto a Homo sapiens sapiens, il quale ha un’origine molto antica ma proviene dall’esterno dell’Europa. Quest’ultimo subisce una notevole diversificazione dando origine alle attuali popolazioni del globo. I Neandertaliani sono ben conosciuti grazie alle numerose tombe rinvenute che testimoniano un livello di cultura e di religiosità molto sviluppato. Le tombe più antiche si trovano a Qafzeh in Palestina (90.000 anni fa); esse tuttavia, essendo opera di Homo sapiens, sono estranee a Neandertal. A partire dal periodo di Qafzeh la religiosità funeraria conosce un rapido sviluppo, segno della crescita della coscienza religiosa di Homo sapiens. TRACCE DI RELIGIOSITÀ Un gran numero di tracce della cultura di Homo erectus e di Homo sapiens ci è pervenuto. Le più importanti sono costituite dagli utensili. André LeroiGourhan ha messo in evidenza il legame tra tecnica e linguaggio e non ha esitato a sostenere che il linguaggio non è un risultato dell’ominizzazione, ma un elemento e un fattore di questa, poiché linguaggio e utensile sono espressioni di una stessa facoltà di simbolizzazione, caratteristica dell’Uomo. Abbiamo visto che questa facoltà di simbolizzazione funzionava perfettamente già presso Homo habilis. Perciò Yves Coppens ritiene che questo Uomo arcaico disponesse già di un linguaggio. In ogni caso i suoi utensili e la sua cultura mostrano che la sua facoltà di simbolizzazione era notevolmente sviluppata. Secondo Coppens, «qui è già presente l’Uomo, con tutte le sue caratteristiche funzionali e comportamentali». Alla luce delle ricerche di Leroi-Gourhan sul linguaggio, l’utensile e il simbolo nell’Uomo a partire dal Paleolitico inferiore, Jean Molino afferma che «la simbolizzazione è una proprietà essenziale della specie uma-

(3) Ricostruzione del cranio dell’Uomo di Pechino e della grande caverna. Nella caverna parte del soffitto crollò 300.000 anni fa, ma gli uomini continuarono a utilizzarla. La spedizione che scoprì l’Uomo di Pechino, cui partecipava anche il paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin, dovette perciò scavare al suo interno. (4) Pietre lavorate ritrovate a Zhoukoudian. Riferendosi alla vita dell’Uomo di Pechino, Yves Coppens scrive: «Gli utensili per cacciare, squartare, tagliare erano realizzati su grandi schegge di quarzo, quarzite o selce, materie prime raccolte sul terreno alluvionale del fiume Zhoukou. Alcuni begli strumenti in osso, delle punte e dei picconi completano il deposito di questo Uomo, decisamente ben attrezzato! Questo Uomo poteva dunque cuocere i cibi per consumarli o conservarli. Possiamo farci un’idea del menu di carne grazie alle ossa di animali ritrovate sul terreno: rinoceronte, cavallo, elefante, castoro, maiale, bovidi, cervidi, montone, cammello e persino macaco».

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5a-b. Le due immagini disegnate da Sacha Gepner per un volume di Yves Coppens riguardano un rito funerario dell’Uomo di Neandertal. In Spagna, presso Atapuerca, c’è un pozzo naturale in località Sima de los Huesos in cui 300.000 anni fa, forse anche prima, l’Uomo di Neandertal lasciava scivolare i morti lanciandovi delle pietre lavorate. L’illustrazione 5b ci mostra che «un superbo bifacciale acheuleano, tagliato con cura a forma di mandorla in un blocco di quarzite rosso-scura, è stato gettato nel pozzo. Questo bell’oggetto sembra attestare che, sensibile al simbolo, con questo gesto di offerta ai suoi morti l’uomo abbia piena coscienza della propria umanità» (Yves Coppens).

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na, altrettanto reale quanto le funzioni di nutrizione o di riproduzione». Tutta l’opera di Gilbert Durand procede in questa direzione. Agli occhi di Eliade, «è inconcepibile che gli utensili non siano stati investiti di una certa sacralità». L’autore prende ad esempio il ruolo degli utensili nella vita religiosa e nella mitologia delle popolazioni che si trovano ancora oggi allo stadio della caccia e della pesca. Egli considera anche le mitologie costruite intorno all’immagine delle lance che si conficcano nella volta celeste e permettono di salire al cielo, e sostiene che l’oscurità dei documenti preistorici non deve indurre «a rinunciare alla ricostruzione di un’enorme parte della storia della mente umana». In definitiva si può dire che da Homo habilis a Homo erectus e a Homo sapiens si è svolta una esperienza del sacro documentata dal messaggio degli utensili, da tracce di riti del fuoco e dalla testimonianza di riti funerari. LA VOLTA CELESTE La denominazione Homo erectus creata dai paleoantropologi in realtà non ha a che vedere con la posizione eretta, poiché Homo habilis possedeva già questa caratteristica. Tale denominazione si è mantenuta dall’epoca della scoperta a Giava di fossili umani (fine del XIX secolo) ai quali i paleoantropologi hanno dato il nome di Pithecanthropus erectus. Non si sapeva ancora nulla degli Australopiteci né d’altra parte di Homo habilis. Gli Australopiteci sono Ominidi

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Pagina precedente: 6a-b. La bellezza degli strumenti di Homo erectus si nota ancora in queste due punte dell’Uomo di Lantian, sempre in Cina, nella provincia dello Shaanxi. 7. Stupendo bifacciale dell’Acheuleano finale trovato a Ozzano dell’Emilia, Bologna. Strumenti del genere, prodotti sistematicamente, testimoniano la presa di coscienza umana della simmetria sulle due facce e sui due lati. In questa pagina: 8. Homo sapiens sapiens ci ha lasciato un enorme patrimonio di graffiti rupestri. Il graffito qui riprodotto si trova in Spagna, presso Salamanca, ed è stato inciso 5.000 anni fa. Un uomo è attorniato dalla volta celeste e dai suoi astri che quasi gli danzano intorno. 9. Rilievo di un graffito rupestre situato nel Capitol Reef National Park dello Utah, USA. Si tratta di un graffito della cultura Fremont (950-1200), dunque prima del contatto con gli Europei. Due figure umane osservano degli astri, due mezze lune e due cerchi concentrici. Il punto di vista sembra capovolto, come se gli esseri umani fossero visti dal cielo. In ogni caso si esprime la volontà di contatto degli uomini con i corpi celesti.

comparsi 3,5 milioni di anni fa; un esemplare di questa specie scoperto recentemente e divenuto celebre è Lucy. Gli Australopiteci erano bipedi e conoscevano perciò la posizione eretta, ma allo stato attuale delle ricerche le relazioni delle tre o quattro specie di Australopiteci conosciuti con il genere Homo non sono ancora state stabilite con certezza. Lo storico delle religioni non si interessa agli Australopiteci, che sono scomparsi senza lasciare tracce di cultura, ma si dedica allo studio di Homo, il primo esempio del quale è l’Homo habilis rinvenuto a Olduvai, in Tanzania, nel 1959. Questo Uomo si contraddistingue per il volume e l’impronta del cervello, per i denti, per la base del cranio che permette una posizione del capo più equilibrata sopra una colonna vertebrale più diritta. La grande novità in Homo habilis è la manifestazione di un comportamento culturale, segno della nascita dell’homo symbolicus. La condizione di bipede e la stazione eretta che hanno lasciato libere le mani hanno svolto un ruolo fondamentale nella creazione della cultura. Inoltre Homo habilis, stando in piedi, ha potuto volgere il proprio sguardo sull’ambiente circostante, sugli orizzonti lontani, sul paesaggio naturale con i suoi rilievi, tutte cose essenziali per la simbolizzazione. La mobilità della testa, mediante le vertebre cervicali, gli ha permesso di contemplare la volta celeste, un elemento determinante per la sua crescita psichica, intellettuale e religiosa. Homo habilis e Homo erectus hanno avuto per la prima volta una visione del cosmo, il quale ha lasciato un’impronta indelebile nel simbolismo umano: la volta celeste. Essa appare come il tetto della terra su cui poggia, tanto che più tardi, in diverse cosmologie, il disco della terra appare contornato da una catena di montagne, come colonne che reggono la cupola celeste. Praticando il taglio delle selci l’Uomo arcaico ha manifestato la propria coscienza estetica, poiché ha scelto i materiali in funzione dei loro colori. Immaginiamo quindi l’impressione che fecero su di lui i colori del cielo, le albe e i tramonti, l’arcobaleno – di cui abbiamo alcune riproduzioni nell’arte franco-cantabrica –. Ma c’erano anche i movimenti del sole, della luna e degli astri, come pure la successione del giorno e della notte; gli esempi che rappresentano quest’ultima si sviluppano notevolmente a partire dalla fioritura delle prime due grandi culture, in Mesopotamia e in Egitto, dove il simbolismo celeste e astrale svolge un ruolo cosmico, psichico e religioso ad un tempo. All’inizio del suo Trattato di storia delle religioni, Mircea Eliade ha posto uno studio sulla volta celeste. A suo modo di vedere, la semplice contemplazione della volta celeste ha provocato nella coscienza dell’uomo arcaico un’esperienza del sacro: l’altezza è una dimensione inaccessibile all’uomo, e le zone siderali hanno acquisito così il prestigio della perennità e del trascendente.

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1. Orante genuflesso di fronte a un disco solare con 13 raggi. I primi agricoltori del mais si rivolgono alle forze della natura. Pittura rupestre in colore rosso. Carrizo Plain, California, USA (rilievo da Van Tilburg 1983).

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Le culture prodotte da Homo habilis e da Homo erectus – e inoltre le tracce di riti del fuoco e di riti funerari lasciate da quest’ultimo – si rivelano come indizi di un’esperienza del sacro. Tale esperienza postula la scoperta della Trascendenza. Ma attraverso quale via l’Uomo arcaico è giunto a una percezione della Trascendenza? Con l’aiuto del metodo comparato genetico lo storico delle religioni può tentare di definire e di comprendere l’influenza della volta celeste sulla vita psichica dell’Uomo arcaico e sulla sua percezione della Trascendenza. Come primo passo, basandosi su fatti precisi attestati presso popoli di ieri e di oggi, egli costruisce una griglia di lettura della religiosità fondata sul culto del cielo e della volta celeste e sui vari culti uranici. In seguito, risalendo in senso contrario lungo il corso della storia e valendosi del duplice apporto chiarificatore dei fatti religiosi preistorici da un lato e delle recenti ricerche sul simbolo e le sue funzioni dall’altro, egli tenta di comprendere il comportamento di Homo sapiens, erectus e habilis. Un primo ambito di ricerca molto ricco è quello dei popoli privi di scrittura, oggi già ampiamente esplorato da diversi studiosi: Wilhelm Schmidt e gli etnologi della Scuola di Vienna, Raffaele Pettazzoni, Mircea Eliade e numerosi altri antropologi ed etnologi. Si è dunque visto che in Australia gli dèi supremi degli Aborigeni abitano il cielo e conservano diretti legami con esso. In India, in Africa e nella Terra del Fuoco, il Dio supremo conserva un simbolismo celeste molto preciso. Shangdi è il Cielo, Dio supremo nella Cina antica. Presso numerose etnie della Siberia, il nome del Grande Dio significa Cielo. Tengri, il termine arcaico turco e mongolo, designa la volta celeste e nello stesso tempo la divinità. Un secondo gruppo di documenti sulla volta celeste e sul suo significato religioso proviene dalle prime grandi religioni dei popoli che hanno inventato la scrittura: la Mesopotamia e l’Egitto. Seguono i popoli indoeuropei, presso i quali il cielo diurno e il cielo notturno possiedono funzioni religiose essenziali. Un terzo campo di indagine, attualmente in piena esplorazione, è quello delle iscrizioni rupestri, che ci forniscono un’abbondante documentazione sull’uomo orante, con le mani alzate in direzione della volta celeste. È questo il caso delle iscrizioni della Valcamonica. Illuminato da queste informazioni, lo storico delle religioni raggiunge l’Uomo del Neolitico e quindi Homo sapiens, del quale conosce i riti funerari, la credenza in una vita ultraterrena e i riti del fuoco, oltre ad altri riti che attestano la sua religiosità e dunque la sua coscienza della Trascendenza. La coscienza e il subcosciente di questo Uomo arcaico sono stati palesemente segnati, nel corso dei millenni, dalla contemplazione della volta celeste durante il giorno e durante la notte. All’origine della scoperta della Trascendenza operata da questo Uomo, scoperta che è il fondamento della sua religiosità, non vi è forse lo scambio incessante tra le sue pulsioni soggettive e le ingiunzioni oggettive che derivano dalla contemplazione della volta celeste? Riprendendo il loro cammino, lo storico, l’antropologo, l’etnologo continuano ad avanzare verso le origini e i tempora ignota. Essi avanzano sulle piste e le tracce culturali di Homo erectus e di Homo habilis, ciascuno dei quali a suo modo è un homo symbolicus. Per lunghi millenni, mentre perfezionavano lentamente e progressivamente le loro

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tecniche di taglio delle selci grazie alla loro facoltà di simbolizzazione, questi uomini hanno contemplato il mondo celeste: la volta del cielo, la sua forma e i suoi colori, la corsa del sole, il movimento notturno della luna e degli astri. Per Eliade «una contemplazione di tal genere equivale a una rivelazione». L’Uomo antico ha scoperto la Trascendenza non mediante un’operazione razionale, ma tramite l’impiego della propria immaginazione, cioè della propria facoltà di simbolizzazione. A questo stadio arcaico i miti non svolgono ancora alcun ruolo; essi interverranno più tardi, nella memoria di una storia santa delle origini. Il simbolismo della volta celeste ha fatto vivere all’Uomo antico la prima esperienza del sacro.

2. Disegno ripreso da un sigillo mesopotamico. Vi si vede riprodotta una ziggurat, simbolo della montagna sacra che appare incorniciata dalla volta celeste; sopra di essa, quasi a toccarla, il sole. Il nesso con la trascendenza è così sintetizzato in pochissimi tratti.

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3. Veduta posteriore dell’ahu Akivi, isola di Pasqua (Rapa Nui). Gli ahu, secondo Georgia Lee, erano forme di altari all’aperto; sopra gli ahu venivano issati dei moai. I moai sono statue monolitiche di pietra ricavate da tufo vulcanico (ve ne sono altri nelle isole Marchesi, in altre isole australiane e a Tahiti) e rappresentano i grandi antenati. Sono gli intermediari tra la vita terrena e l’aldilà. I moai avevano gli occhi, alcuni fatti da coralli. Così gli ahu con moai sono, sempre secondo Georgia Lee, direzionati cosmicamente nei confronti del sorgere del sole o del tramonto e nei confronti della volta celeste e degli astri. Sullo sfondo dell’immagine si vede il mare, a un paio di chilometri.

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4. Visione frontale dell’ahu Akivi. Pur avendo perso gli occhi e conservato solo le orbite, i moai mostrano chiaramente la loro posizione eretta e frontale. Una testa umana si unisce a un tronco rettangolare che arriva sino ai fianchi. Il collo sul davanti è ben marcato e si distacca sia dalle spalle che dal mento, mentre sul retro è quasi solidale col busto. Le braccia sono appoggiate in bassorilievo lungo i fianchi, le arcate sopracciliari sono marcate, il naso è prominente; il tutto dà a queste statue una tensione verso l’orizzonte e l’«altro mondo».

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5, 6, 7. Lo hogan dei Navajo. Le Sacre Persone quando emersero per la prima volta sulla superficie della terra crearono lo hogan, che è ad un tempo il «mondo navajo» e la casa cerimoniale. «Nel tetto dei primi hogan i divini architetti posero le costellazioni chiave, e così oggi il cielo – la copertura a volta del mondo – hogan è punteggiato di quelle stesse stelle» (Lawrence E. Sullivan). Lo hogan è il centro della comunità e, come capita per altre civiltà, il centro del cosmo; la sua copertura a cupola non è che la volta celeste.

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(5) I disegni di Mary E. Goodman (in Goodman 1982) sono un’ottima prefigurazione dello hogan in un cesto caratteristico dei Navajo; in basso, la via di uscita per lo spirito di chi lo ha intrecciato. L’apertura va sempre orientata verso est in tutte le cerimonie. Si noti poi uno hogan sullo sfondo della Monument Valley. (6) Cesto da matrimonio. Peabody Museum, Harvard University, Cambridge, Massachusetts. (7) Hogan abbandonato sull’altopiano Rainbow. Il territorio navajo è all’incrocio tra Colorado, Utah, Arizona e Nuovo Messico. Lo hogan è costruito solidamente con tronchi di pino, ma ha perso lo strato di argilla che lo ricopriva.

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11. NASCITA E CRESCITA DELLA COSCIENZA RELIGIOSA NELL’UOMO

Nel corso delle sue ricerche di paleoantropologo, Yves Coppens ha messo in risalto la coscienza di creatore di cultura propria di Homo habilis. A partire dalle sue prime realizzazioni l’Uomo non cessa più di creare e di fare scoperte, poiché la riflessione su ogni scoperta alimenta una nuova creazione. Così, alla luce delle proprie riflessioni, l’Uomo scopre le prime indicazioni sul suo destino nel cosmo, sulla sua natura e sulla sua origine. COSCIENZA DEL SACRO

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Orione Via Lattea

Yikáísdáhí

1. Mezin, presso Novgorod-Seversk, Ucraina: ossa di mammut dipinte con ocra rossa. Museo Archeologico di Kiev. La foto illustra un manufatto del Paleolitico superiore con meno di 30.000 anni di anzianità. Ma l’ocra rossa inizia ad avere un uso simbolico nel Paleolitico medio e inferiore, sino a 400.000 anni fa.

L’immaginazione dell’Uomo antico creatore di cultura, osservatore del proprio ambiente naturale e alla ricerca del proprio destino, si è trovata in relazione con i cinque grandi simboli di base: la volta celeste diurna e notturna, i simboli solari, i simboli lunari con i movimenti degli astri, i simboli della terra (ctonî) con la fertilità e infine i simboli dell’ambiente naturale, acqua, montagna, albero. La sensibilità dell’Uomo si desta nel contemplare la volta celeste, ed egli vive un’esperienza del sacro legata alle ierofanie uraniche. Secondo Eliade, nella sua immaginazione dimora «una luce di trascendenza proveniente dall’esterno». Senza dubbio questa prima esperienza del sacro, che è riecheggiata nella sua coscienza per migliaia di anni, ha condotto l’uomo a cogliere progressivamente i legami e i contrasti tra il cielo e la terra e, attraverso la visione delle altezze celesti, a riflettere sulla propria condizione nel cosmo. Questa prima fase dello sviluppo della coscienza religiosa è legata alla scoperta della Trascendenza e alla creazione di una prima cultura ancora rudimentale.

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coda dello Scorpione Venere

8, 9a-d. Gli stessi paesaggi del mondo navajo richiamano la trascendenza. Le grandi rocce della Monument Valley sono sculture-ponte tra il cielo e la terra. L’osservazione del cielo è particolarmente sviluppata nella mitologia navajo. Trudy Griffin-Pierce scriveva: «Dio Nero (9a), la diyin dine’é (Sacra Persona) responsabile di tutti i cieli, aveva scelto le Pleiadi, Dilyéhé (9b), a rappresentare tutte le costellazioni. Questo gruppo di stelle appare sulla tempia della sua maschera. Dilyéhé è l’esempio visibile di una sineddoche rituale – una parte che rappresenta il tutto – e l’esternazione della preoccupazione dei

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COSCIENZA DEL MISTERO DELLA VITA, DELLA MORTE E DELL’ESISTENZA ULTRATERRENA Gah heet’e’ii

Átsé’ets’ózí

Sq’tsoh

Navajo di mantenere lo stesso stato di interezza e completezza dei corpi appaiati di Madre Terra e Padre Cielo». «La Via Lattea, Yikáísdáhí (9c), nota anche come ‘Aspetta-l’Alba’, ricorda agli uomini di dire le loro preghiere al nascere del giorno per assicurare la continuità temporale». «La coda dello Scorpione, Gah heet’e’ii, simboleggia le relazioni appropriate con la selvaggina». «Orione, ’Atsé’ets’ózí (9d), come le Pleiadi, è una costellazione stagionale e rappresenta la continuità del tempo su base annuale. Un aspetto di reciprocità con il mondo naturale è il rispetto dell’alternanza stagionale, sia nei rituali che nell’agricoltura».

La riflessione sulla morte, che implicava la coscienza del mistero della vita terrena e ultraterrena, ha portato al costituirsi di una seconda fase. I primi riti funerari ci fanno cogliere e individuare questo momento storico nel percorso di Homo sapiens, e ce lo fanno intravedere alla fine del percorso di Homo erectus. Legati alle sepolture di Neandertal e di Qafzeh, i riti funerari costituiscono indizi inconfutabili dell’esistenza di una coscienza religiosa. Essi testimoniano che questi uomini provavano sentimenti di alterità e di affetto nei confronti dei defunti e che credevano in un’esistenza ultraterrena, come attestano le offerte trovate nelle tombe e la cura con cui è stato protetto il cadavere. Nel corso del Paleolitico superiore la diffusione delle sepolture, la loro sistemazione, gli ornamenti, le offerte, gli oggetti deposti accanto al defunto e l’uso regolare dell’ocra rossa, simbolo del sangue e della vita, indicano un nuovo sviluppo della coscienza della vita ultraterrena presso Homo sapiens sapiens. Mircea Eliade ha insistito sulla posizione fetale presentata da numerosi scheletri e sulla loro orientazione verso est. Quest’ultimo rito sembra indicare una particolare intenzione dei vivi: «unire la sorte dell’anima al corso del sole, speranza di una ‘ri-nascita’, cioè di

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una post-esistenza in un altro mondo». Le conchiglie incastonate nelle orbite oculari confermano questa credenza. Lo sviluppo dei riti funerari, da Qafzeh fino al Paleolitico superiore incluso, è il segno di una parallela crescita della coscienza religiosa, imperniata sulla credenza in una vita ultraterrena legata alla coscienza della Trascendenza. COSCIENZA DI UNA «STORIA SACRA» DELLE ORIGINI

2. La grande volta dei Bisonti Policromi di Altamira, Santillana del Mar, Spagna, capolavoro del Maddaleniano cantabrico. 3. Particolare di uno dei bisonti della grande volta: l’animale misura 146 cm di lunghezza.

Con l’arte franco-cantabrica si delinea una terza fase dello sviluppo della coscienza religiosa. I mitogrammi dipinti sui soffitti e sulle pareti delle grotte e le tracce di passi di adolescenti in numerose caverne decorate invitano lo storico delle religioni a dedurre l’esistenza di miti accompagnati da riti di iniziazione. Qualunque sia l’interpretazione attribuita a questa arte ci troviamo in presenza di un simbolismo molto ricco, indice di un’immaginazione individuale e collettiva molto fertile. L’esperienza del sacro legata a una percezione netta della

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4. Ricostruzione della Dea Madre di Çatal Hüyük (Turchia). La dea mostra i segni dell’abbondanza ed è assisa su fiere in guisa di trono. Impersona maternità, regalità e dominio. 5. Ricostruzione di uno dei santuari presenti fra le case di Çatal Hüyük. La Dea è schematizzata da un grande bassorilievo; sotto, le teste di toro sembrano emanare da lei. 6. Toro in terracotta proveniente da Tello (antica Girsu, Iraq), in Mesopotamia, cultura Ubaid, seconda metà del V millennio a.C. Simbolo maschile, rappresenta la forza istintiva da dominare e convertire nell’energia per sviluppare la vita. 7. Figura femminile della cultura mesopotamica di Halaf, VI millennio a.C. Museo del Louvre, Parigi. Evocatrici della fecondità del principio creatore, le figurine femminili del Neolitico sono le dee chiave di un sistema religioso che ruota intorno a un mondo agricolo e, ormai, sedentarizzato.

Trascendenza poggia su una memoria religiosa che fa riferimento alle origini, al cosmo e al mistero della vita. Per la prima volta l’Uomo antico menziona una storia sacra, ricordata e vissuta da un clan che sembra trarne modelli per la condotta della vita. Dunque la coscienza religiosa di una comunità fa la sua prima comparsa quando la sedentarizzazione non è ancora cominciata e l’esistenza si svolge ancora nel quadro di un’economia di caccia e di raccolta di vegetali selvatici. I millenni caratterizzati dall’arte delle caverne sono annunciatori di un mutamento nella coscienza individuale e collettiva dell’umanità. Siamo agli albori della nascita dei miti e della coscienza di una storia sacra delle origini. COSCIENZA DELL’UOMO E RAPPRESENTAZIONE DEL DIVINO Con il fiorire della civiltà natufiana e all’alba del Neolitico ha inizio una quarta fase nella formazione di una coscienza religiosa nell’uomo. I primi documenti di questa fase si trovano nel Vicino Oriente, intorno al medio Eufrate e in Anatolia. Scopriamo qui le prime raffigurazioni della divinità. Questa è rappresentata essenzialmente con sembianze umane femminili, ma talvolta ha anche l’aspetto di un toro. Questi due simboli del Divino si ritroveranno un po’ dovunque nel mondo mediterraneo. Jacques Cauvin fa notare che grazie a questi ritrovamenti disponiamo di una delle principali caratteristiche della diffusione della cultura neolitica. Secondo l’autore questi documenti dimostrano che non si tratta più di una semplice percezione della Trascendenza e del Divino, ma piuttosto della sua traduzione simbolica e della sua rappresentazione mediante significanti. Nella coscienza dell’homo religiosus del Natufiano è avvenuto un profondo mutamento che si manifesta in raffigurazioni divine del tipo di Mureybet e di Çatal Hüyük. Assistiamo al costituirsi di un nuovo simbolismo, che traduce un nuovo pensiero e attesta un importante cambiamento nell’immaginazione umana. Per la prima volta si manifestano in modo visibile i rapporti con le divinità. Compaiono gli oranti, con le braccia e le mani alzate verso il cielo. Nella coscienza

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religiosa dell’Uomo i gesti della preghiera esprimono un’autentica novità. Con la personificazione del Divino, secondo Cauvin, la credenza in un Essere supremo permette all’Uomo del Natufiano e del Neolitico di rivolgersi al suo Dio e ai suoi dèi «mediante lo sforzo della preghiera, rappresentato dalle braccia alzate verso il cielo». COSCIENZA DELLA PRESENZA DIVINA La personificazione del Divino e le sue rappresentazioni simboliche per mezzo di statue conducono l’Uomo antico a costruire templi, santuari e ziggurat, per permettere l’incontro dei fedeli con i loro dèi. Questa quinta fase nella formazione della coscienza religiosa si compie nelle grandi religioni a cominciare da Sumer, Akkad, l’antico Egitto e Babilonia. Cosciente della presenza divina, l’Uomo custodisce il proprio Dio nei templi e nei santuari dove la statua divina, vestita e ornata d’oro e di pietre preziose, diventa oggetto di un culto celebrato dal re rappresentato dai suoi delegati, i sacerdoti. Il tempio diventa la dimora divina sulla terra. Il luogo su cui esso sorge è una terra sacra: ogni ricostruzione dell’edificio avverrà in quello stesso luogo. A Babilonia le ziggurat costituiscono la scala che permette gli scambi tra Dio e l’Uomo. Nell’Egitto faraonico ogni mattino il sacerdote fa discendere l’anima del dio o della dea nella statua presente nel naos. Si definisce un calendario delle festività: i fedeli accompagnano la statua divina nei suoi spostamenti sulla terra, o in barca sul Nilo. La parola del dio si comunica tramite la divinazione, gli oracoli e la lettura del movimento degli astri. Dio parla e i suoi fedeli ascoltano. Le migliaia di tavolette della

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8. Riproduzione semplificata di un affresco dell’ipogeo di Thutmes III a Tebe, in Egitto, fine del XIV secolo a.C. L’albero, che ha un braccio a cui il faraone si sostiene, porge al faraone stesso una mammella perché possa nutrirsi di una linfa che solo il divino può dare. 9. Veduta della facciata nordorientale della ziggurat di Ur, nel Sud della Mesopotamia. L’epoca è Ur III, XXI secolo a.C.

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10. Gli dèi che proteggono il concepimento accompagnano una partoriente, la regina Ahmose, nella stanza dove sua figlia Hatshepsut nascerà (da Naville 1894).

Mesopotamia e di documenti scritti dell’antico Egitto ci hanno trasmesso i testi delle preghiere e gli oracoli divini. I fedeli sanno che la loro vita deve conformarsi alla volontà divina. COSCIENZA RELIGIOSA DEI FEDELI DEI TRE GRANDI MONOTEISMI Con i tre grandi monoteismi la crescita della coscienza religiosa giunge alla sesta e ultima fase. L’Uomo scopre il Dio unico, un Essere personale, spirituale e onnipotente, creatore del cosmo, della vita e degli uomini. Dio si rivela e interviene con tutta la sua potenza nella vita dei suoi fedeli e nella storia. Con Abramo la ierofania cede il posto alla teofania. Jahvè stringe Alleanza con il suo popolo e interviene continuamente in suo favore; non parla più mediante oracoli ma attraverso una Rivelazione, Parola viva e trasfigurante. Questo Dio esige la fede, un’esperienza religiosa che implica l’adesione a Dio e alla sua volontà. Alla stirpe dei profeti è affidata la missione di guidare i fedeli. Maometto prende coscienza della propria specifica missione e proclama il Dio unico e le sue esigenze nei confronti dei suoi fedeli. Infine Gesù Cristo, Verbo di Dio presente in mezzo agli uomini mediante i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione, realizza le profezie messianiche e fonda la Chiesa, incaricata di proseguire la sua opera e di formare, di generazione in generazione e alla luce dello Spirito Santo, i veri adoratori del Padre.

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NASCITA E CRESCITA DELLA COSCIENZA RELIGIOSA NELL’UOMO

PARTE SECONDA

DALLA PREISTORIA ALLE GRANDI RELIGIONI

Questi petroglifi (Largo Canyon, Nuovo Messico, USA) raffigurano i simboli evocatori di due tra i personaggi più importanti della mitologia navajo: i Sacri Gemelli. Il primo, Uccisore-di-Mostri, è indicato dall’arco, il secondo, Natoper-l’Acqua, dalla figura a forma di clessidra. Ambedue hanno liberato il mondo da esseri mostruosi che insidiavano le Sacre Persone.


di Neandertal sono numerose; in esse sono stati rinvenuti scheletri integri e ben conservati, poiché i morti sono stati sepolti in fosse scavate appositamente per accoglierli. A La Ferrassie un bambino di tre anni è stato posto in una tomba coperta da una lastra di pietra, segno di una relazione affettiva con il defunto. In alcune tombe vengono deposte delle offerte: in molti casi si tratta di offerte alimentari, ma vi sono anche offerte di tipo diverso, come quella di tre raschiatoi nel sepolcro 5 di La Ferrassie e quella di selci ben tagliate a La Chapelleaux-Saints. Negli scavi di Teshik-Tash, nell’Uzbekistan (Asia centrale), come scrive Gabriel Camps, è stato rinvenuto «lo scheletro di un giovane neandertaliano, di circa otto anni di età, il cui corpo era circondato da cinque trofei di stambecchi». Nella celebre tomba 6 di Shanidar in Iraq, che risale a 50.000 anni fa, uno scheletro posto in mezzo a un cerchio di massi era collocato su una lettiga di rami di efedra guarniti di fiori. A monte Circeo è stato rinvenuto un cranio in un sepolcro secondario, una sala riservata e non più utilizzata. Il Paleolitico superiore copre un periodo compreso tra 34.000 anni fa e il 9000 a.C. Con la comparsa di Homo sapiens sapiens, la produzione di utensili in pietra si perfeziona (lavorazione dell’osso, del corno di cervidi, dell’avorio), e assistiamo alla creazione e allo sviluppo dell’arte parietale e mobiliare. Nel 1868 la scoperta di cinque scheletri a Cro-Magnon in Dordogna (Francia) ha dato avvio a una vasta ricerca che ha portato al ritrovamento di un gran numero di tombe. Una delle prime preoccupazioni dei vivi era la protezione del corpo del defunto e soprattutto della sua testa: questo fatto è testimoniato dai ritrovamenti di Grimaldi, di Predmostí e di Pavlov in Moravia. La presenza di suppellettili nella

1. CULTI FUNERARI ARCAICI: L’UOMO DI NEANDERTAL E DEL PALEOLITICO SUPERIORE

1, 2. Nel 1909 Louis Capitan e Denis Peyroney scoprirono in Dordogna (Francia), in un riparo sotto roccia di La Ferrassie, resti umani attribuibili a sepolture intenzionali. Gli scavi proseguirono negli anni ’70 ad opera di Henri Delporte. La grotta, come è illustrato nel disegno, ha messo in evidenza resti di bambini e adulti e di strutture diverse per l’ubicazione dei vari scheletri. (1) Cranio rinvenuto a La Ferrassie. Calco del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna. (2) Pianta del riparo sotto roccia di La Ferrassie, dove sono ubicate le sepolture neandertaliane: il disegno indica le posizioni delle strutture e dei resti umani.

Nel 1856 a Neandertal nei pressi di Düsseldorf alcuni operai portarono alla luce i resti di uno scheletro umano. Altri fossili dall’aspetto simile furono scoperti in Belgio, a Spy, in varie zone della Francia, tra cui La Chapelle-aux-Saints e La Ferrassie e in Italia Monte Circeo. Questo Homo sapiens neanderthalensis ha popolato l’Europa da 80.000 a 30.000 anni fa. Egli si distingue da Homo erectus per diversi tratti anatomici e le sue attività caratteristiche sono la caccia, le sepolture e i riti funerari e il «culto dei crani». Nel 1933 René Neuville e nel 1965 Bernard Vandermeersch scoprirono alcune tombe a Qafzeh vicino a Nazaret (Israele). Gli scheletri erano accompagnati da tracce di ocra. Gli uomini di Qafzeh ci consentono di risalire a 90.000 anni fa. Questi due tipi di Homo sapiens, che praticavano la sepoltura, sono vissuti nella seconda parte del Paleolitico medio, che va da 200.000 a 35.000 anni fa. Questi uomini sono artefici di una nuova cultura, la cui produzione di utensili in pietra, detta musteriana, è caratterizzata dalla presenza di punte e di raschiatoi ritoccati su una sola faccia, e da bifacciali spesso di tipo molto piatto. Una delle preoccupazioni dei viventi era la cura dei defunti. Le sepolture di uomini

3. A Teshik-Tash, in una grotta nei pressi del villaggio di Iukary-Matsai, in Uzbekistan, è stata rinvenuta una sepoltura dell’Uomo di Neandertal. Lo schema mostra il cerchio di corna di capridi, con le punte rivolte verso il basso, che circonda il cranio e una parte dello scheletro postcraniale di un bambino neandertaliano dell’età di circa nove anni. 4. Cranio del bambino di Teshik-Tash. Calco del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna.

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tomba – conchiglie, denti, canini di cervo – rivela un progresso nel concetto simbolico della vita ultraterrena. Caso raro nel Paleolitico medio, si diffonde ora l’uso dell’ocra rossa. Quest’ossido di ferro, dal colore giallastro, diventa rosso se lavorato sul fuoco. La fabbricazione dell’ocra rossa finalizzata all’uso funerario è il segno evidente di una precisa volontà dei vivi. Si può ritenere che questo uso fosse dettato da esigenze estetiche e igieniche, poiché l’ocra ripuliva il terreno dai parassiti. Anche in quest’ottica il suo utilizzo è legato alla protezione del defunto nell’aldilà, dal momento che tale preoccupazione di pulizia implica il miglioramento delle condizioni del defunto. Ma l’interpretazione simbolica dell’ocra rossa ci orienta verso il colore del sangue: l’ocra rossa è il simbolo del sangue e perciò della vita, e suggerisce la fede in una vita post mortem, nell’afterlife. Verso la fine del Paleolitico superiore, parallelamente all’arte del periodo maddaleniano, troviamo un insieme di pratiche funerarie dal significato simbolico evidente: si tratta di manipolazioni di ossa scarnificate, di crani posti su pietre

piatte e ornati di conchiglie, come a Placard, di crani con placchette incastonate nelle orbite oculari (Mas d’Azil), pratica che andrà moltiplicandosi nel Mesolitico per divenire di uso generalizzato nel Neolitico. I «nuovi occhi» del defunto sono delle conchiglie il cui significato simbolico e religioso è la capacità di vedere durante la vita nell’aldilà. Le pratiche funerarie del Paleolitico medio e superiore sono significative. Un fatto incontestabile ed eloquente è la loro ripetizione e la loro permanenza per più di 80 millenni in Europa, in Asia, in Africa: non si tratta né di un caso né di un fatto accidentale. I riti, i gesti e il lavoro che i viventi dedicano alla sepoltura dei loro morti sono sicuramente segni di rispetto e di affetto, ma mostrano anche la credenza in una vita ultraterrena: la collocazione di alimenti e di suppellettili e le conchiglie incastonate nelle orbite oculari indicano l’idea di una continuità post mortem delle attività del defunto. Attraverso la sua attività funeraria, Homo sapiens di Neandertal, come Homo sapiens sapiens del Paleolitico superiore, dimostra di essere un homo religiosus preoccupato della vita al di là della morte.

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5. Ciottolo in calcare proveniente da Isernia la Pineta, in Molise, Italia. Si tratta di un habitat di Homo erectus risalente a 700.000 anni fa. Il ciottolo porta tracce di ocra rossa, testimonianza dell’antichità dell’usanza di questa colorazione che ci accompagna sino al Paleolitico più recente.

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6. A Shanidar, in Iraq, sono state scoperte nove sepolture neandertaliane risalenti a 60.000 anni fa. In una delle sepolture si trova una persona che era sopravvissuta all’atrofia di un braccio e a una gamba lesa; era anche priva di un occhio, non poteva cacciare, ma la comunità le aveva poi riservato una sepoltura che non era da tutti. Un’altra sepoltura, grazie all’analisi dei pollini, mostra che vi erano stati messi dei fiori in quantità. L’Uomo di Neandertal testimonia capacità di solidarietà con persone con handicap, e senso della bellezza. Non si seppelliscono solo i capi delle comunità.

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2. L’ARTE FRANCO-CANTABRICA

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L’ARTE DEL PALEOLITICO SUPERIORE L’arte preistorica si divide in due categorie a seconda del tipo di supporto sul quale è stata realizzata l’opera. Le opere eseguite su supporti fissi, come le lastre rocciose e le caverne, rientrano nel campo dell’arte rupestre denominata anche parietale. Quando le opere sono eseguite su supporti mobili si parla di arte mobiliare. L’arte preistorica è propria delle civiltà di cacciatori del Paleolitico superiore e interessa un periodo compreso tra 34.000 anni fa e il 9000 a.C. Nello spazio e nel tempo, l’arte rupestre franco-cantabrica ha avuto un’estensione minore dell’arte mobiliare, dato che essa è iniziata all’incirca 25.000-20.000 anni fa e si è conclusa attorno a 10.000 anni fa, contemporaneamente alla civiltà maddaleniana. Essa è fiorita soprattutto nel Sud-Est della Francia, sui Pirenei, in Spagna e sulle Asturie (monti Cantabrici) e in modo minore sulle coste europee del Mediterraneo. Poiché le tracce della sua esistenza sono particolarmente numerose nei ripari e nelle grotte della Francia e della regione dei monti Cantabrici, si parla di arte franco-cantabrica. L’arte del Levante spagnolo, invece, designa l’insieme dei dipinti parietali che non sono situati in grotte, come quelle della regione franco-cantabrica, ma in ripari posti sotto a rocce localizzate nella Spagna orientale. Le pitture e le incisioni delle grotte e dei ripari rocciosi dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Linguadoca francese costituiscono infine l’arte propria di una provincia denominata da Paolo Graziosi mediterranea. In questo insieme artistico del Paleolitico superiore, l’arte franco-cantabrica è rimasta il polo di attrazione delle ricerche scientifiche, e occupa una posizione di preminenza per la descrizione che essa offre di un’epoca prestigiosa per il numero e la qualità delle opere conservate. GLI STILI DELL’ARTE PALEOLITICA

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1. Accesso a un sistema di grotte a Monte El Castillo, Cantabria, Spagna. Le pitture rupestri si trovano in punti determinati di questo complesso sotterraneo che reca testimonianze preziose dell’uomo del Paleolitico. 2. Accumulazione di segni su una sporgenza rocciosa dalla forma suggestiva nella grotta di Niaux, Ariège, Francia. Alcuni dei segni sembrano avere un valore numerico, altri appaiono come completamento della forma naturale del supporto.

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André Leroi-Gourhan ha suddiviso l’arte paleolitica in quattro stili. Lo stile I (da 34.000 a 25.000 anni fa), comprende i graffiti illeggibili, i tratti, le incisioni, le coppelle. Queste opere primitive sono esempi di arte figurativa geometrica. Nello stile II (da 25.000 a 15.000 anni fa) troviamo rigidi profili di animali privi di dettagli. Lo stile III o preclassico comprende opere nell’esecuzione delle quali gli artisti hanno riprodotto le proporzioni della realtà visiva. In esse sono raffigurati i dettagli essenziali, come nel caso di Lascaux e di Pech-Merle. Lo stile IV, detto classico, va dal Maddaleniano medio alla fine del Paleolitico. In questa fase l’arte del Paleolitico superiore raggiunge il suo apogeo e i movimenti e le proporzioni delle forme sono riprodotti con realismo. Le opere dello stile IV sono state a loro volta divise in tre fasi di cui le ultime due si avviano alla decadenza. La prima fase costituisce invece l’esempio della massima perfezione artistica, con i dipinti di Altamira, di Niaux, di Font-de-Gaume, di Les Combarelles e di Les Trois-Frères. Le opere più significative della prestigiosa arte franco-cantabrica appartengono agli stili III e IV. L’INSIEME DELLE CIVILTÀ PRODUTTRICI DELL’ARTE FRANCO-CANTABRICA La civiltà castelperroniana, che trae il proprio nome dalla Grotta delle Fate di

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3. «La forma di una roccia è stata seguita dall’uomo con della pittura nera per evidenziare una figura di animale; la stessa figura viene accompagnata da ideogrammi» (Emmanuel Anati). Roccia di Las Chimeneas, Monte El Castillo, Cantabria, Spagna. Pagine seguenti: 4. Grotta di Santimamiñe, Spagna. Grotta con crepe e formazioni calcaree che doveva apparire agli uomini del paleolitico un grande bovide. Su questa parete sono stati tracciati bovidi e cavallo. 5. Scena famosa che lascia aperte le interpretazioni. Un bisonte ferito sembra caricare una figura umana con testa di uccello e sesso eretto. Secondo Anati le figure sono accompagnate da ideogrammi: vicino all’uomo c’è uno standard ad uccello e sopra il bisonte un dardo; c’è anche un segno a bâtonnet che sembra collegare i due ideogrammi. Sempre Anati ricorda che per Leroi-Gourhan il bisonte è una figura femminile, e questo potrebbe preludere a un rapporto sessuale. Grotta di Lascaux, Dordogna, Francia. 6. Testa e zampa, particolare della figura di un grosso uro. Anati nota anche in questo caso la presenza di un ideogramma che accompagna il pittogramma dell’animale. Grotta di Lascaux, Dordogna, Francia.

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7. Associazione di figure e simboli, isolati dalle numerose sovrapposizioni. Caverne du Volp, Ariège, Francia. Un personaggio-bisonte suona l’arco, strumento musicale ancora oggi in uso presso le popolazioni di cacciatori. Al centro, una figura zoomorfa, metà cervo e metà bisonte, è preceduta da una renna e associata a segni tra cui una silhouette femminile.

Châtelperron (Francia), si colloca in una fase di transizione (da 34.000 a 30.000 anni fa). Essa riproduce ancora l’opera dell’uomo di Neandertal, ma introduce anche le prime espressioni simboliche dell’arte paleolitica: incisioni su ossa e figure geometriche su piastre. Essa interessa praticamente l’area nella quale si svilupperà l’arte franco-cantabrica. La civiltà aurignaziana, dal nome di Aurignac nell’Alta Garonna (Francia), produce un’utensileria molto varia ed elaborata. Essa presenta abbondanza di suppellettili e costituisce l’esempio di un’arte che mostra il fiorire del pensiero simbolico. In essa troviamo raffigurazioni maschili e soprattutto femminili, riprodotte su massi rocciosi, come pure alcuni animali stilizzati. Tale civiltà si estende dal Vicino Oriente all’Atlantico, interessa il periodo compreso tra 33.000 e 26.000 anni fa e costituisce la prima manifestazione dell’arte paleolitica. La civiltà gravettiana è produttrice di un’arte che segna lo sviluppo dell’arte paleolitica (da 27.000 a 19.000 anni fa). Il suo nome deriva da La Gravette in Dordogna. Essa si estende in tutta Europa ed è suddivisa in diverse classi artistiche. Durante gli 8 millenni della sua esistenza, l’arte paleolitica si sviluppa ampiamente, producendo incisioni, dipinti e sculture. La civiltà solutreana trae il proprio nome dagli scavi del Crot-du-Charnier a Solutré-Pouilly in Senna e Loira (Francia). Questa civiltà si colloca nel periodo della massima perfezione del taglio della pietra, all’inizio dello stile III. Essa interessa soltanto la Francia (Massiccio Centrale, Pirenei) e la Spagna cantabrica. Ci ha lasciato alcuni dipinti raffiguranti animali (da 20.000 a 18.000 anni fa). La civiltà maddaleniana produce la più alta espressione dell’arte paleolitica (da 18.000 a 10.000 anni fa), con più di centocinquanta grotte decorate adibite a

santuari, la maggior parte delle quali sono situate nell’area franco-cantabrica. Il nome di questa civiltà deriva dal grande riparo roccioso della Madeleine a Tursac in Dordogna (Francia). L’esecuzione di opere d’arte parietali realizzate dai Maddaleniani nell’oscurità e nelle profondità della terra costituisce un fatto unico nella storia. La civiltà epipaleolitica inizia circa 10.000 anni fa. In Francia e in Spagna comincia la decadenza dell’arte animalistica. L’arte del Paleolitico giungerà ben presto al suo termine. L’ARTE FRANCO-CANTABRICA La civiltà maddaleniana in senso stretto si limita a interessare l’area francocantabrica. Caratteristica della sua arte mobiliare è un’abbondanza di forme e di motivi decorativi. L’arte parietale è realizzata in gallerie e in sale all’interno di grotte calcaree che vengono usate come santuari. Tra le grotte rinvenute, 150 circa, le più belle sono quelle di Le Gabillou, di Lascaux, di Les Combarelles, di Font-de-Gaume, di Rouffignac e Niaux in Francia; di Altamira, di Monte El Castillo, di Ekain, di Santimamiñe in Spagna. Esse costituiscono esempi di un’intensificazione straordinaria della pittura parietale. Cacciatori di animali di grossa taglia, i Maddaleniani li raffigurano in tutti i loro dettagli anatomici: cavalli, bisonti, cervi, mammut, rinoceronti, felini e caprini, qualche renna, qualche uccello, a volte alcuni pesci. Incisioni, coppelle e numerosi segni vengono eseguiti su strumenti, armi e utensili e riprodotti anche nelle pitture rupestri, insieme ad alcune figure (orecchie, corna, occhi e narici di animali) che si evolvono progressivamente verso la stilizzazione. Questo apporto di segni e di rappresentazioni non figurative, a volte molto complesse, è una caratteristica tipica della civiltà maddaleniana, importante per lo studio della comparsa, in Homo sapiens sapiens, della capacità di elaborare concetti e di servirsi della scrittura. I SANTUARI PALEOLITICI L’arte paleolitica parietale si esprime all’interno di santuari, costituiti da grotte e da caverne decorate, situati per la maggior parte in Francia e in Spagna e suddivisi in due categorie: i santuari posti all’ingresso delle grotte e relativamente vicini alla luce, e i santuari oscuri situati in profondità. Secondo André Leroi-Gourhan, questi ultimi sono succeduti ai santuari ricavati dagli ingressi, poiché nel periodo maddaleniano medio si è prodotto uno spostamento in massa verso il fondo delle caverne. Nei santuari vicini alla luce sono state rinvenute pareti scolpite, mentre le pareti e i soffitti dei santuari profondi sono ornati di dipinti. Questi due tipi di santuari sono esistiti nella stessa epoca. La zona che segna l’inizio del santuario è spesso indicata da punti o tratti incisi o dipinti, che forse erano destinati a orientare i visitatori, ma che comunque hanno un significato simbolico incontestabile. I dipinti presentano composizioni centrali che raffigurano associazioni di due o tre animali: bisonte-cavallo, bue-cavallo, bisonte-mammut, ma anche bisonte-cavallo-mammut, a volte accompagnati dallo stambecco, dal cervo e dalla cerva. Da un secolo gli studiosi della preistoria sono impegnati a penetrare il mistero di questi santuari e della loro ricchezza iconografica e artistica.

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8. Ultimo tratto, chiamato «Coda di Cavallo» (parte centrale), del complesso delle grotte di Altamira, Cantabria, Spagna. Questi «santuari» sono complessi: pitture, simboli e segni sulla roccia sono sparsi e organizzati con intenzionalità.

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3. IL MESSAGGIO RELIGIOSO DELL’ARTE PARIETALE 1

UN TENTATIVO ERMENEUTICO

1. Silhouette di cavallo, ripresa dalla grotta di Niaux, Ariège, Francia. 2. Rilievo di Henri Breuil della volta della cosiddetta «Sala dei Policromi» di Altamira, Cantabria, Spagna. Si tratta della più complessa e famosa sala di pittura delle grotte cantabriche. Qui si prende in considerazione il rapporto tra gli animali come evidenziato da Leroi-Gourhan. Diciotto bisonti stanno al centro, identificati con B1; ai bordi di questa distesa di bisonti troviamo un cinghiale D, due cavalli A di cui al centro in alto una grande testa, cerve C1b, due cinghiali C3.

Porre il problema del messaggio implica imboccare la via dell’ermeneutica, cioè della ricerca del senso. L’ermeneutica dell’arte rupestre si situa a due livelli. Un’ermeneutica descrittiva, che si interessa dello studio dell’uomo in situ e cerca di definire il senso che Homo sapiens sapiens del Paleolitico superiore – l’uomo maddaleniano – attribuiva ai santuari e alla loro decorazione; e un’ermeneutica normativa, che si propone invece di comprendere quale sia il senso di questa arte per la conoscenza dell’uomo e della condizione umana. Sulla base dello studio degli stili e della loro cronologia, André Leroi-Gourhan ha dimostrato che «l’arte paleolitica, durante tutto il suo sviluppo, è legata a una stessa base simbolica e segue una curva evolutiva coerente, paragonabile a quella delle altre arti conosciute che ricoprono lunghi periodi di tempo». Per l’ermeneutica questa dimostrazione è di capitale importanza, poiché permette di porsi il problema di definire il messaggio di questa arte e in particolare il suo messaggio religioso. Inoltre dal punto di vista religioso è importante stabilire per quanto tempo le grotte decorate sono state frequentate, poiché ciò consente di valutare la coerenza del pensiero dell’uomo maddaleniano.

Tratta dall’etnologia comparata così come veniva praticata all’inizio del XX secolo, un’altra spiegazione partiva dalla magia della caccia, esercitata da alcune tribù aborigene in Australia e altrove. I Maddaleniani avrebbero raffigurato dei bisonti, dei cavalli selvaggi, degli uri, dei mammut e dei cervi allo scopo di immobilizzare questi animali durante le battute di caccia che essi avrebbero compiuto in seguito. Vestiti da stregoni, gli artisti avrebbero eseguito nelle caverne delle cacce mimate, preludio di cacce autentiche. A questi sortilegi praticati dai cacciatori paleolitici occorrerebbe associare la magia riguardante la fecondità degli animali e della donna. Henri Breuil ha sviluppato a lungo questa ipotesi. Diversi autori sono ricorsi al totemismo. Sulle pareti e i soffitti delle caverne sarebbero rappresentati i totem dei clan maddaleniani: cavallo, bisonte, mammut... I grandi affreschi delle caverne non sarebbero scene di magia, ma rappresenterebbero le lotte e i combattimenti dei clan. Una spiegazione simile si fonda sul dogma evoluzionista del totemismo, secondo il quale ogni religione avrebbe la propria origine nel totem. Infine si è pensato allo sciamanismo, con guaritori che recuperano le anime dei malati. Alcune rappresentazioni umane, come quella di Lascaux, farebbero pensare non a stregoni, bensì a sciamani. Come è avvenuto per i partigiani del totemismo, ci troveremmo in presenza di un’esperienza «religiosa», in questo caso di un’esperienza dell’aldilà. Fondate su ideologie, queste teorie legavano fatti e documenti a un rigido schema di princìpi formulati a priori. Studiando Lascaux e Pech-Merle, Annette Laming-Emperaire fu colpita dall’associazione frequente del cavallo e del bisonte. André Leroi-Gourhan constatò che l’ipotesi del sortilegio venatorio era insufficiente, poiché partiva da un fatto secondario: le ferite presentate da alcuni animali. Inoltre il simbolismo delle lotte degli sciamani e di animali gravidi gli sembrava una base ermeneutica fragile. UNO STUDIO SISTEMATICO DEI DOCUMENTI

LE SPIEGAZIONI DEL PASSATO Una prima spiegazione partiva dal principio della gratuità dell’arte, «l’arte per l’arte». Gli artisti del Paleolitico si sarebbero comportati come bambini. Si sarebbero divertiti a dipingere le figure animali che popolavano l’ambiente circostante la loro vita di cacciatori. Questo punto di vista esclude dunque qualsiasi ricerca di un messaggio.

Partendo da indagini minuziose condotte nelle grotte, i nostri due autori hanno confrontato i risultati delle loro rispettive osservazioni e le loro analisi della documentazione, trovandosi d’accordo sui punti essenziali delle loro vedute. Leroi-Gourhan ha enumerato le specie rappresentate in più di sessanta grotte, e ha constatato un accostamento sistematico di figure delle quali egli ha analizzato anche la distribuzione spaziale nelle composizioni iconografiche. Negli

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3. Rilievo della volta di Ekain (a 150 chilometri da Altamira). Qui il rapporto tra gli animali si inverte e sono i cavalli a dominare l’insieme A; solo i cavalli e i bisonti sono colorati in ocra rossa, a significare che è il binomio più significativo. Nella zona alta periferica abbiamo quattro bisonti B1, un cervo C1 e uno stambecco C3. 4. Silhouette di bisonte, sempre ripresa da Niaux.

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5. Grotta di Rouffignac, Francia. Meandri su fondo rosso eseguiti con tratto digitale. 6. Sequenza di punti rossi. Grotta di El Castillo, Puente Viesgo, Cantabria, Spagna. 7. Figurazioni vulvari. Grotta di Tito Bustillo, Asturie, Spagna. 8. Pittogrammi, ideogrammi e psicogrammi. La Pileta, Malaga, Spagna. Questo dipinto marrone scuro raffigura un cavallo (pittogramma). Sul suo corpo un ideogramma è ripetuto per dieci volte. Costituito da due linee parallele, l’ideogramma è interpretato come «labbra» e ha il significato di «femminile». I segni sono stati eseguiti in tempi diversi con differenti tonalità di colore: rosso, marrone, nero. Tuttavia l’ideogramma è sempre il medesimo. Sopra il cavallo appare uno psicogramma: un rettangolo, che emana dei raggi, potrebbe essere stato aggiunto da una mano diversa. Un dipinto relativamente semplice che sembra nascondere una storia lunga e complessa (da Emmanuel Anati).

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insiemi parietali l’associazione bisonte-cavallo è costante; il cavallo e il bisonte o l’uro sono presenti nella stessa proporzione. Vi sono anche composizioni bisonte-cavallo + mammut, come pure composizioni formate da un maggior numero di personaggi, che in un’unica scena riassumono tutte le specie raffigurate nella grotta. Queste scene riassuntive si trovano più spesso verso il fondo della grotta o in luoghi appartati. Troviamo anche il gruppo bisonte-cavallo-stambecco-cervo accompagnato da segni appaiati. In questa unione di segni, che non è mai un accoppiamento, Leroi-Gourhan vede un simbolismo sessuale binario, poiché il cavallo sarebbe un simbolo maschile e il bisonte un simbolo femminile. Annette Laming-Emperaire inverte i componenti di questo simbolismo sessuale. In numerosi casi la zona che segna l’ingresso, i passaggi e la fine delle grotte è indicata da linee, da punti, da tratti e da altri segni. Ora, questi segni e questi tratti compaiono ripetutamente e in modo ordinato in un gran numero di raggruppamenti centrali. Basandosi su statistiche topografiche e sulla cronologia degli stili, Leroi-Gourhan formula un’ipotesi: anche questi segni sarebbero dei simboli di carattere sessuale, maschili e femminili. Egli trova una conferma della sua interpretazione nell’arte mobiliare. Infatti questi segni si notano anche sulle statuette scolpite nella roccia o modellate nell’argilla che compaiono all’ingresso delle grotte, su alcuni utensili e su piccole placche di pietra e di osso. La caverna stessa entra a far parte della composizione simbolica. Il sistema figurativo si è sviluppato a seconda della diversità delle forme delle caverne e delle particolarità etniche e culturali delle popolazioni a partire da un unico quadro concettuale, non solo nell’area franco-cantabrica, ma anche in altre zone d’Europa. Ci troviamo in presenza di un meccanismo che dimostra l’esistenza di tradizioni culturali simboliche che si differenziano da quelle del Vicino Oriente, del Sahara, dell’Africa del Sud. Quindi il blocco paleolitico franco-cantabrico – al quale occorre aggiungere il resto d’Europa – costituisce un insieme omogeneo, diverso da quello che seguirà il periodo del Paleolitico.

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Noi disponiamo dunque di una chiave di lettura dei santuari, della loro decorazione e dell’arte mobiliare e parietale del Paleolitico. Secondo Leroi-Gourhan, i dati essenziali di questa arte sono: «prevalenza dell’associazione tra due specie animali delle quali una è il cavallo e l’altra un bovide, intervento di un terzo elemento associato in modo variabile alla coppia fondamentale (mammut, stambecco, cervo), presenza eventuale di felini e del rinoceronte. Su questa struttura animalista, integrata nel quadro naturale della caverna, viene abbozzata una seconda linea simbolica, ispirata all’uomo, che si esprime negli stessi rapporti di posizione intercorrenti tra gli animali e si manifesta sia tramite rappresentazioni complete dell’uomo e della donna, sia, più spesso, tramite simboli geometrici». 8

UN SIMBOLISMO ESPRESSIVO DI UNA RELIGIOSITÀ I lavori di André Leroi-Gourhan e di Annette Laming-Emperaire hanno segnato una svolta decisiva. Essi mettono in evidenza l’esistenza di una elaborazione di concetti e di una struttura di pensiero comune, tra le popolazioni del Paleolitico superiore, che si manifesta con continuità per più di 20 millenni per mezzo di simboli riprodotti nelle grotte, nei ripari rocciosi e su alcuni oggetti, in tutta l’Europa paleolitica e soprattutto nell’area franco-cantabrica. Si tratta di un pensiero simbolico di notevole complessità, espresso da una tecnica altrettanto notevole. Homo sapiens sapiens ha raggiunto un livello culturale e sociale molto elevato. Ma questo homo symbolicus era anche un homo religiosus? La documentazione raccolta dimostra che questo Uomo aveva una percezione dello straordinario nella vita e della vita. Lo studio delle pratiche funerarie paleolitiche, caratterizzate dall’uso dell’ocra rossa, dalle offerte di alimenti e di oggetti, dalla decorazione dei crani e dall’inserimento di conchiglie nelle orbite, indica l’esistenza di tutto un campo emozionale e della credenza in una vita ultraterrena. Le pratiche funerarie e l’arte del Paleolitico sono inseparabili,

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poiché esse sono opera degli stessi uomini e di una stessa società. Questa constatazione ci invita a ricercare la dimensione religiosa dell’arte paleolitica. Del Paleolitico ci è pervenuta solo la rappresentazione esteriore, mentre il raggruppamento delle figure è esistito in un contesto orale, con il quale il raggruppamento simbolico era coordinato. Nei suoi lavori di antropologia, Leroi-Gourhan ha ipotizzato un legame tra la tecnica e il linguaggio. Infatti il linguaggio è legato all’utensile, poiché essi sono entrambi indici di coscienza, di intelligenza e di riflessione. Nel costituirsi del bagaglio intellettuale dell’uomo, il grafismo che inizia con il Paleolitico segna una nuova tappa. Insieme al grafismo inizia lo sviluppo della funzione simbolica, già attiva presso Homo erectus, come è dimostrato dalla fabbricazione di utensili. Questa funzione è una proprietà essenziale dell’uomo; essa si è espressa dapprima nella fabbricazione dell’utensile e nello sviluppo della tecnica, mentre una sua manifestazione più ricca e perfezionata è rappresentata dall’arte paleolitica. Essa suppone una percezione estetica, psìchica e intellettuale. L’arte figurativa è inseparabile dal linguaggio; secondo Leroi-Gourhan il linguaggio è nato «dal costituirsi di un’unione intellettuale tra fonazione e grafia». Questa unione fonazione-grafia, che ispira il raggruppamento simbolico dei dipinti delle caverne, ci permette di compiere un passo importante nella scoperta del loro messaggio religioso. I simboli dipinti sulle pareti e sui soffitti acquistavano il loro significato solo nel contesto di un discorso, che è esistito ma che noi non possediamo, poiché non poteva fossilizzarsi. Secondo Leroi-Gourhan, noi non possediamo altro che i mitogrammi di tale discorso.

miti delle origini (origine dell’uomo, della selvaggina, della morte, ecc.)». LeroiGourhan parla di mitogrammi: «essi consisterebbero in raggruppamenti complessi, le cui figure si organizzano in un tempo e in uno spazio che possiedono alcune proprietà spazio-temporali del mito». Contrariamente al pittogramma, che è una figura o una serie di figure, il mitogramma rappresenta alcuni personaggi che svolgono un’operazione mitologica. L’arte parietale franco-cantabrica possiede un’abbondanza di mitogrammi: i raggruppamenti e le composizioni sono costituiti da personaggi – animali, uomini e donne – che assumevano il loro senso autentico solo nel momento in cui venivano animati da un discorso. Attraverso la sua concezione del mitogramma, Leroi-Gourhan ci fa comprendere che le radici del pensiero mitico affondano nel terreno paleolitico. Questa seconda chiave di lettura dell’arte delle caverne ci invita a compiere una rilettura delle diverse composizioni, allo scopo di precisare l’ipotesi relativa ai miti cosmogonici – che rivelano la creazione del mondo – e ai miti delle origini – che rendono note tutte le modifiche subìte dal cosmo e le varie nuove situazioni. Agli albori dei tempi storici, nel Vicino e nel Medio Oriente, in Egitto e nel mondo mediterraneo la conoscenza di questi riti ci è trasmessa dai documenti scritti. A partire da questi primi documenti storici, procedendo in senso contrario lungo la storia e passando attraverso i documenti del Neolitico, giungeremo a interrogare, con un metodo comparato, i mitogrammi dell’arte paleolitica. Avremmo così una terza chiave di lettura di questa arte decorativa delle «cattedrali della preistoria». TENTATIVO DI SINTESI DEL MESSAGGIO RELIGIOSO DELL’ARTE PARIETALE

9. Pitture rupestri dei Cacciatori Evoluti della regione del Levante spagnolo. Sono rappresentate due figure antropo-zoomorfe con armi e utensili. Le interpretazioni possibili sono almeno sei: personaggi mascherati da tori; tori con corpo antropomorfo; spiriti totemici dal corpo umano e la testa di bovide; cacciatore e cacciato in simbiosi, in relazione dialettica con le armi; eroi mitici; due marionette, una sessuata e una con coda. Si potrebbero ipotizzare altre interpretazioni ancora. Ciò indica le difficoltà apparenti della lettura dell’arte preistorica quando manca una precisa chiave di traduzione (da Antonio Beltrán).

DAI MITOGRAMMI AI MITI L’ermeneutica descrittiva dispone di una prodigiosa documentazione che gli studiosi della preistoria hanno raggruppato, studiato, analizzato criticamente e decifrato. Il metodo della decifrazione del messaggio religioso esige pazienza,

Mircea Eliade ritiene «plausibile affermare che alle popolazioni paleolitiche fossero familiari un certo numero di miti, in primo luogo i miti cosmogonici e i

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12. Rilievo di Leroi-Gourhan, eseguito nell’abside della grotta di Lascaux, in Dordogna, Francia, che secondo lo studioso ci mostra l’accoppiamento di simboli maschili e femminili molto stilizzati.

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10. Rilievo della grotta di Les Combarelles, Dordogna, Francia. Associazione a tre: cavallo, mammut, bisonte. 11. Niaux, Ariège, Francia. Pannello III: grandi bisonti (2, 11, 12, 13), grandi cavalli (4, 5) e grande stambecco (7), piccoli bisonti (6, 8), piccoli cavalli (1, 9, 10) e piccolo stambecco (3). Sembrerebbe che gli animali formino raggruppamenti (3, 4, 6 e 1, 2, 5, 13, ecc.).

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13. Grotta di Les Combarelles, Dordogna, Francia. Mappa schematica e rappresentazione convenzionale dei diversi insiemi. Malgrado la loro complessità, le figure di Les Combarelles costituiscono uno dei migliori esempi di organizzazione topografica. La leggibilità è dovuta alla struttura stessa della grotta: un lungo corridoio dalle divisioni ben marcate.

ricerche comparate, esame minuzioso di ogni grotta, studio dettagliato delle varie composizioni. Attualmente disponiamo degli strumenti necessari per percorrere una tappa, senz’altro decisiva, del cammino ermeneutico. L’arte parietale paleolitica è un’arte religiosa, tipica di santuari situati nelle profondità della terra tra l’Atlantico e gli Urali, ma prima di tutto in Francia e in Spagna, e questa sua tipicità ha fatto nascere il concetto di «religione delle caverne». Le piccole placche, che hanno la stessa struttura simbolica delle grotte, sarebbero dei «santuari portatili». Ci troviamo in presenza di un’arte religiosa bipolarizzata, e ciò svela la dicotomia dell’arte parietale e dell’arte mobiliare. Tale dicotomia simbolica si ritrova ovunque, nella distribuzione delle figure animali e nei segni. Essa suggerisce la concezione di un mondo formato sul modello di una bipolarità complementare, dove l’essenza maschile e quella femminile costituiscono la struttura fondamentale. È quanto emerge dagli studi di André Leroi-Gourhan, Annette LamingEmperaire ed Emmanuel Anati. Una visione cosmogonica di questo tipo segnerà profondamente l’insieme dei concetti elaborati dall’uomo. Gabriel Camps considera che i mitogrammi dipinti sulle rocce e sui soffitti delle caverne sono indizi di racconti mitici o addirittura di miti fondamentali. Essi costituiscono probabilmente le radici dei grandi miti cosmogonici e dei miti delle origini che compaiono una decina di millenni più tardi. Forse questi mitogrammi servivano da documenti di iniziazione dei giovani dei clan maddaleniani; le numerose tracce di passi di giovani in un gran numero di grotte sembrano rafforzare la veridicità di questa ipotesi. Le volte decorate, collegate alle composizioni dipinte sulle rocce laterali tramite un arcobaleno, non suggeriscono forse le ierofanie celesti che ritroviamo nei miti e nei simboli dell’arcobaleno e del ponte, legami tra l’uomo e l’aldilà, e nei miti relativi alla sacralità del cielo e dei fenomeni celesti? Tutto questo, ricorda Eliade, non deve far dimenticare i miti delle origini degli animali, né i miti della fecondità animale e umana. Mentre l’ermeneutica descrittiva ci orienta verso questi diversi itinerari dell’espe-

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rienza del sacro vissuta da Homo sapiens sapiens del Paleolitico, l’ermeneutica normativa sottolinea l’importanza di tale esperienza, che si pone come elemento principale nella crescita spirituale dell’umanità. L’arte delle caverne è un gioiello del patrimonio artistico e religioso dell’umanità, e costituisce l’ambiente in cui avviene la nascita dell’uomo moderno; indizi di questa nascita sono: la realizzazione della prima grande tappa nello sviluppo dell’elaborazione di concetti; un balzo in avanti nella formazione del pensiero simbolico; l’emergere di una religiosità autentica fondata sull’esperienza del sacro; la formazione di una capacità di analisi, di sintesi e di trasmissione dell’immagine del mondo nel quale l’uomo si trova inserito. L’arte delle caverne è il primo segno di un’umanità capace di organizzare il mondo, di comprendere il cosmo e di vivere in esso l’esperienza del sacro.

14. Figura di toro sita nella cosiddetta «Rotonda» della complessa grotta di Lascaux, Dordogna, Francia (vedi la mappa in basso, dove nella «Rotonda» appare la figura del toro; c’è poi una sala chiamata «dei Tori», ma sempre in combinazione con il cavallo, carnivoro con erbivoro). 15. Mappa di Lascaux. Gli insiemi di figure sono stati convenzionalmente numerati da 1 a 12. La loro suddivisione topografica è nettamente delineata.

pozzi

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navata

passaggio

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rotonda sala dei felini

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4. LE PRIME ISTITUZIONI LE TEORIE

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Meno di un secolo fa alcuni etnologi e sociologi descrivevano la società primitiva basandosi su schemi che riproducevano quelli in uso nelle nostre società moderne. In seguito gli studiosi hanno compreso che occorre limitarsi a fornire poche indicazioni sulla vita sociale svoltasi nel corso della preistoria. Homo erectus possedeva già i requisiti per valersi di un linguaggio articolato. Si è giunti alla conclusione che almeno 400.000 anni fa le strutture della fonazione ci fossero davvero. Le prime tracce di vita sociale risalgono a quest’epoca lontana; sono stati rinvenuti segni indicativi della produzione del fuoco, un elemento essenziale per la vita comune. Inoltre nel 1966, sulle pendici del monte Boron a Terra Amata nei pressi di Nizza, è stato scoperto un accampamento stagionale di cacciatori. La costruzione di capanne, la produzione del fuoco, il taglio degli utensili e la caccia alla selvaggina di grossa taglia erano i motori della vita associativa di Homo erectus. Restano tali anche nella cultura di Homo sapiens, la cui vita sociale è cementata dal linguaggio articolato. È possibile affermare, come ha sostenuto Marcel Mauss, che il dono era il contratto sociale delle società primitive? L’archeologia delle società paleolitiche non sembra in grado di verificare questa tesi, tuttavia ci fornisce alcuni rudimentali documenti sulla vita sociale arcaica, come capanne, caverne e grotte con depositi di utensili, di ossa di animali consumati, di corna di cervidi e con delle tracce di focolari. Alcune recenti teorie sviluppate in America hanno tentato di precisare l’organizzazione del lavoro: l’uomo sarebbe stato lo specialista della caccia e dell’approvvigionamento, la donna avrebbe dedicato la propria vita a raccogliere i prodotti della terra e a mettere al mondo i figli. Da questa discussione è nata la teoria della cooperazione nella spartizione delle risorse alimentari, carni e vegetali. Alcuni sociologi in questa cooperazione nella spartizione degli alimenti hanno visto il primo elemento di stabilità dell’unione tra l’uomo e la donna.

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degli animali e l’esperienza di vita del cacciatore. Questa arte ha occupato un posto di straordinario rilievo nella vita degli uomini del Paleolitico superiore franco-cantabrico: si tratta di un fatto sociale e collettivo, che non soltanto testimonia una vera e propria unità spirituale, ma suppone anche l’esistenza «di una sorta di istituzione», che comportava la selezione degli artisti e l’istruzione di quelli più dotati. Il fatto culturale unico rappresentato dall’arte rupestre documenta una preoccupazione sociale che ci conduce a supporre l’esistenza

I FATTI

1. Scena di raccolta del miele. Figura tendenzialmente femminile: la società si organizza in funzioni diverse. Rilievo da graffito rupestre in sito La Araña, Bicorp, presso Valencia, Spagna.

L’epoca del Paleolitico superiore ci ha tramandato un maggior numero di documenti: nelle grotte e nei ripari sotto le rocce, negli accampamenti e nelle abitazioni in pianura e sui margini degli altopiani, nei rifugi invernali, gli esploratori hanno trovato carboni di legna calpestati, armature di cupole, resti di strutture di abitazioni, aree di distribuzione del lavoro, tutte prove di una vita sociale organizzata. Esempi di questo tipo sono forniti dallo scavo all’aperto di Pincevent (Seine-et-Marne), ispezionato da Leroi-Gourhan dal 1964 al 1985, e dalla zona archeologica all’aperto di Etiolles nell’Essonne (Francia). Dai ritrovamenti operati in queste due zone archeologiche maddaleniane possiamo dedurre quale fosse la vita quotidiana dei cacciatori e l’organizzazione del loro lavoro, suddiviso e in certo qual modo gerarchizzato. Questi stessi modelli sono stati trovati anche in altre zone. Si ritiene che la struttura sociale di una comunità di cacciatori dovesse limitarsi a una trentina di persone, come nelle attuali tribù di cacciatori. Uno dei più eminenti specialisti del Paleolitico superiore, il reverendo Henri Breuil (1877-1961), ha insistito sullo stretto legame intercorrente tra la caccia grossa e l’arte parietale. Alla base della creazione artistica si trova la conoscenza

2. Scena di caccia al cervo con l’arco. Arte dei Cacciatori Evoluti. Valtorta (Tirig), Castellón, Spagna. Siamo ormai verso una società neolitica, ma la caccia prosegue. 3. Rilievo rupestre di una pittura di colore rosso a Cedarberg, nel Sud-Ovest della provincia del Capo, Sudafrica. È una rappresentazione della vita sociale e familiare di Cacciatori Evoluti: si tratta di sei persone in un riparo sotto roccia ben organizzato con borse, recipienti e altri oggetti che pendono dal soffitto. Un braccio collega la figura maggiore, probabilmente il capo, a una figura femminile, con seno, alla sua destra. Siamo di fronte a una vita familiare istituzionalizzata. Questo rilievo, opera di J. David Lewis-Williams, ha destato in Emmanuel Anati l’interesse per la relazione con gli ideogrammi che stanno in alto, uno per ogni due figure umane, che Anati interpreta come esplicitazione di una relazione sessuale; abbiamo infatti, da sinistra a destra, «bâtonnet con labbra chiuse», «bâtonnet con labbra chiuse» e «bâtonnet con labbra aperte».

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5. La funzione religiosa e sociale degli stregoni è testimoniata sulle rocce. In questo rilievo di J. David LewisWilliams si vedono stregoni, adorni di raganelle e con bastoni, che danzano su una linea rossa di energia soprannaturale. L’energia che essi stanno imbrigliando è simboleggiata dallo sciame di api: la struttura più o meno rettangolare è forse un alveare. Cullen’s Wood, Barkly East, Sudafrica.

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4. Danza medianica in cui alcuni danzatori si piegano in avanti mentre cadono in trance. Quelli in stato di trance perdono sangue dal naso. Le macchie bianche in mezzo ai danzatori potrebbero essere la potenza soprannaturale che essi imbrigliano. Colori: rosso e bianco. Halston, Barkly East, Sudafrica.

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di «scuole» di artisti e di maestri di cerimonia, in grado di iniziare i visitatori. Henri Breuil ha parlato dell’esistenza di diverse istituzioni necessarie per la realizzazione dell’arte rupestre e indispensabili nel caso di cerimonie di iniziazione dei visitatori delle grotte. L’attuale tendenza delle ricerche insiste nel considerare l’arte delle caverne come un riflesso della società paleolitica. Tuttavia occorre evitare di fare dell’interpretazione sociologica una nuova ideologia. Recenti lavori dimostrano a ragione che ogni grotta si inserisce in modo specifico nell’universo culturale del Paleolitico superiore. Alcune indicazioni sulla vita sociale ci sono fornite da un insieme di elementi: una certa distribuzione del lavoro all’interno dei clan formati da cacciatori e addetti alla raccolta dei frutti della terra; la formazione impartita agli artisti e agli artigiani; la presenza di funzionari addetti alla direzione delle riunioni e delle cerimonie di iniziazione ai mitogrammi e alla Weltanschauung dei Maddaleniani; una elementare organizzazione familiare. Nel periodo epipaleolitico ci si avvia alla tappa decisiva della vita individuale e sociale di Homo sapiens sapiens: la sedentarizzazione.


2. Famosa riproduzione fatta da Henri Breuil dell’incisione rupestre di una figura in parte uomo e in parte animale denominata «Lo Stregone». Probabilmente si trattava di uno stregone camuffato da animale. Grotta di Les Trois-Frères, Ariège, Francia.

5. LA «MAGIA» DELLA CACCIA 1. Copia di Joseph Millerd Orpen del 1873 che riproduce una pittura rupestre dove si vedono stregoni che conducono un animale-pioggia. Due stregoni portano copricapi con orecchie di antilope e due recano erbe aromatiche per ammansire l’animale. Sehonghong, Lesotho.

Il reverendo Henri Breuil, che ha lasciato una prodigiosa documentazione sull’arte rupestre, ha basato la propria ermeneutica su una teoria della magia e della propiziazione della caccia. In effetti alcune figure riprodotte nelle caverne, per esempio in quella di Lascaux, rappresentano degli animali feriti. Inoltre è presente ovunque la zagaglia, un’arma da getto fabbricata in osso o in corno di renna, che costituiva l’arma principale del cacciatore maddaleniano. Basandosi sull’abbondante documentazione animalista delle caverne, sull’importanza delle armi dei cacciatori e sulle teorie degli etnologi che studiano le attuali tribù di cacciatori artici, amazzonici e australiani, Henri Breuil ha visto nell’arte delle caverne un insieme di riti magico-religiosi inseparabili dalla caccia grossa, dall’inseguimento quotidiano della selvaggina e dalla sua moltiplicazione nella natura. È certo che la selvaggina abbondava e la preoccupazione dei cacciatori era il suo abbattimento. Per realizzare cacce fruttuose, che avessero un esito soddisfacente, era necessario compiere determinati riti: danze e cerimonie con invocazione – come presso i cacciatori primitivi di oggi – del «Grande Spirito» che governa le forze della natura. In diversi casi la pratica di una magia propiziatoria sembra certa. Nella grotta di Montespan (Alta Garonna) su un’estensione di alcuni metri, la parete è crivellata di colpi di zagaglia, gli stessi segni che si ritrovano sul corpo di tre cavalli incisi nell’argilla. La statuetta di un animale ha il petto perforato da numerosi colpi di zagaglia, mentre un orso coricato presenta ripetute trafitture. La grotta di Niaux fornisce esempi analoghi.

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Henri Breuil ha attribuito notevole importanza al «Grande Stregone» della grotta di Les Trois-Frères (Ariège) inciso sulla parete e del quale egli ha realizzato un celebre disegno: testa di cervo che regge grandi corna ramificate, faccia di gufo, orecchie di lupo, barba di camoscio, braccia che terminano con zampe d’orso e lunga coda di cavallo. Il sesso indica che si tratta di una figura umana. Breuil dunque non esita a parlare di gesti rituali e di cerimonie sacre. A suo parere «l’insieme delle rappresentazioni costituisce il complesso degli elementi di un rituale di cerimonie magiche mirate alla moltiplicazione o alla distruzione». I cacciatori riproducevano l’effigie dell’animale e gli infliggevano una morte sim-

3. Rilievo ad opera di J. David Lewis-Williams di una scena di caccia all’antilope, ritratta ormai sanguinante e morente. Eppure la sproporzionata maestosità dell’animale ci manifesta la sacralità del rito della caccia. Barkly East, Sudafrica.

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Pagine precedenti: 4. Grande bisonte appartenente alla parete dipinta di Niaux, Ariège, Francia (vedi rilievo dell’intero pannello nella parte II, cap. 3, fig. 11). Sul corpo del bisonte ci sono quattro segni di due diversi generi: due dardi di colore marrone hanno ai loro lati due segni in rosso, ciascuno formato da tre tratti convergenti. 5. Rilievo di una pittura rupestre fatto da Juan Schobinger nella Cueva de Las Manos in Patagonia, Argentina. Scena di caccia con boleadoras. 6. Riparo Toca do Veado, zona di São Raimundo Nonato, Brasile. Un cacciatore con il suo equipaggiamento: propulsore, lance e borsa.

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bolica attraverso ferite reali, per apposizione delle armi sul corpo o simulando l’impatto dei colpi. Secondo Breuil, l’elemento principale di tale rituale risiede nella mimica. Propulsori e bastoni forati avrebbero rappresentato una parte del materiale comunemente usato in queste pantomime sacre. Da alcuni dettagli emerge un aspetto stagionale che indurrebbe a supporre «il carattere ciclico di feste e cerimonie». Le cerimonie dovevano assicurare la fecondità degli animali così come la riuscita della caccia. Nella sua interpretazione delle pratiche religiose degli uomini del Paleolitico, cioè dei Maddaleniani vissuti nell’età della Renna, Breuil introduce un altro elemento: le maschere. Prendendo spunto dalle attuali cerimonie di iniziazione e di rinnovamento cosmico in uso presso le popolazioni senza scrittura, egli constata che i riti generano credenze e miti che sono in relazione con il mito dell’antenato. Ora, il fatto che alcuni personaggi portino la maschera è un elemento importante, poiché è destinato a significare la dualità dell’essere mitico. Breuil ha rinvenuto un buon numero di personaggi mascherati che lasciano intravedere, quasi in trasparenza, alcuni tratti umani: lo stregone della grotta di Les Trois-Frères, il danzatore dalla testa di orso del Mas d’Azil, i piccoli demoni di Teyjat e molte altre figure di esseri mezzo umani e mezzo animali. L’idea riposta alla base delle cerimonie sarebbe quella di una partecipazione degli uomini dei clan maddaleniani alla forza e alla vita degli antenati mitici. Breuil ha attinto tale idea direttamente dalla teoria della partecipazione sviluppata da Lucien Lévy-Bruhl. André Leroi-Gourhan non respinge in blocco l’idea della magia della caccia, ma ritiene che essa non basti a spiegare l’insieme dei dati forniti dalla copiosa documentazione dell’arte rupestre. Il numero degli animali feriti è molto esiguo e inferiore al 10%. In più, le ferite hanno un aspetto ambiguo e sarebbero da considerare simili a una rappresentazione femminile, mentre le armi da getto possiedono simboli di carattere maschile. Queste osservazioni ci riconducono a un simbolismo bipolare. Se la presenza delle ferite degli animali non è sufficiente a reggere l’ipotesi di una magia propiziatoria, non sussiste nemmeno, dopo un attento esame, l’idea dei presunti accoppiamenti, perciò il presupposto di una magia della fecondità si rivela fragile. Le posizioni dei due autori collimano nell’insistenza sul simbolismo mitico celato dalle composizioni. Diciamo che se si vuole escludere l’idea della magia della caccia, non si può respingere quella dei miti della caccia né quella dei miti dell’origine della selvaggina. È un dato incontestabile che il pensiero dei cacciatori maddaleniani fosse legato a un’abbondante quantità di simboli relativi a un universo mitico, del quale però dobbiamo ancora scoprire l’essenziale.

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6. L’ARTE RELIGIOSA DELL’EPOCA DELLE CAVERNE I. Piccolo cavallo del «Salone Nero» della grotta di Niaux, Ariège, Francia, chiamato da alcuni «la Versailles della preistoria».

Durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo, grazie all’impulso dato da una serie di storici della preistoria – tra i quali spiccano André Leroi-Gourhan, Yves Coppens, Emmanuel Anati, Paolo Graziosi e Antonio Beltrán – si è costituito un gruppo di studiosi finalizzato a coordinare la ricerca, lo studio, la salvaguardia e la valorizzazione dell’arte rupestre. La collaborazione dei ricercatori ha consentito di fornire un primo panorama di questo patrimonio e di far progredire l’interpretazione dell’arte religiosa delle caverne.

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Emmanuel Anati vede nell’arte rupestre l’origine dell’elaborazione dei concetti nella formazione dello spirito umano, e l’espressione delle facoltà di astrazione, di sintesi e di associazione.

CHIAVI DI LETTURA Diverse chiavi di lettura sono venute ad aggiungersi a quella del reverendo Henri Breuil, nota per aver sottolineato l’importanza della magia della caccia e dei riti propiziatori. André Leroi-Gourhan e Annette Laming-Emperaire, purtroppo perita in un incidente, hanno messo in luce la bipolarità delle figure e delle valenze, segni di una elaborazione di concetti dualistici e di una visione complessa della società e del cosmo. L’insieme dell’arte figurativa paleolitica dovrebbe essere considerato come «l’espressione di concetti sull’organizzazione naturale e soprannaturale (che nel pensiero paleolitico non potevano che essere un tutt’uno) del mondo vivente». Di tale interpretazione dell’arte rupestre come riflesso della società si è valsa l’antropologia sociale e culturale anglosassone nella sua analisi della società e delle «istituzioni» del Paleolitico superiore. Il nostro autore ha presentato anche una seconda chiave di lettura, costruita a partire dai mitogrammi leggibili nelle grandi composizioni figurative delle caverne e capaci di introdurci negli arcani dei miti elaborati da Homo sapiens sapiens. Infine, basandosi sull’analisi della diversità e sulla ricchezza dei simboli,

I SANTUARI Entusiasmati dalle scoperte, i primi celebratori dell’arte animalista hanno utilizzato un linguaggio fatto di superlativi: la grotta di Niaux sarebbe la «Versailles della preistoria», mentre in quella di Lascaux è stata vista la «cappella Sistina» del Paleolitico. Una volta tornata la calma si è imposto un concetto: le grotte e le caverne sono dei santuari ricavati nelle profondità della terra. Attualmente siamo in grado di intravedere la strada che conduce dagli uomini di Cro-Magnon ai Maddaleniani. Homo sapiens di Cro-Magnon incideva e scolpiva le prime immagini nei ripari sotto le rocce. I Maddaleniani si addentravano di più nel buio e nel mistero delle profondità. Le tracce di passi, in particolare passi di adolescenti, e i mitogrammi delle volte e delle pareti fanno pensare a delle riunioni iniziatiche; tale ipotesi è confermata a Lascaux dal numero impressionante di impronte di giovani. La presenza, il numero e la qualità dei mitogrammi inducono a supporre l’esi-

2. Rilievo di una placchetta a Laugerie Basse, Dordogna, Francia. Una renna maschio segue una renna femmina. 3. Grotta di Lascaux, Dordogna, Francia, definita anche «la Cappella Sistina del Paleolitico». Pannello della vacca che salta preceduta da un ideogramma.

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stenza di miti cosmogonici e miti delle origini che saranno poi definiti dalle ricerche successive. L’unione – mai l’accoppiamento – tra gli animali costituirebbe la prova di una mitologia bipolarizzata che avrebbe caratterizzato l’età della Renna. Le statuette femminili, definite «Veneri di Aurignac», che sono state rinvenute su tutto il territorio europeo, sarebbero le prime testimonianze dei culti e dei miti della fecondità. Nelle raffigurazioni maddaleniane di uomini mascherati alcuni studiosi hanno visto degli «stregoni» o degli «sciamani», forse dei maestri delle cerimonie di iniziazione. Le rappresentazioni di danze circolari non sarebbero estranee alle pratiche iniziatiche, una perpetuazione delle quali si può osservare presso le popolazioni di cacciatori delle culture arcaiche recenti.

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4. Figura antropo-zoomorfa con testa di uccello, zampe d’orso e corpo umano. Grotta di Altamira, Cantabria, Spagna. Rilievo di Henri Breuil. 5. Scena di danze di antropo-zoomorfi. Secondo Emmanuel Anati rivela con probabilità un mito. Potrebbe trattarsi ad un tempo di una scena sciamanica. Il rilievo è stato eseguito a Tamgali, Kazakhstan. 6. Figura antropomorfa: corpo umano e muso di bisonte, probabilmente rappresenta un essere umano mascherato con testa e pelle di bisonte (possibile sacerdote o sciamano che esegue una danza rituale). Grotta di Gabilliou, Dordogna, Francia. 7. «Venere di Lespugue», scolpita in avorio (una zanna di mammut). Proviene dalla grotta di Rideaux, Alta Garonna, Francia. È uno dei capolavori dell’arte paleolitica. In questa figura, estremamente armonica, tutto diviene abbondante; le parti focali del corpo, lobi, pube e seni, si trasformano in simboli di sessualità, riproduzione e maternità. Calco del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna.

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8. «Venere di Willendorf», Niederösterreich, Austria. Con i suoi 230 mm di altezza, è una delle sculture di Veneri più grandi e massicce del Paleolitico. Come nella «Venere di Lespugue» vengono simbolicamente enfatizzate le varie parti del corpo, qui si aggiunge una particolare cura dei capelli tramite una strana acconciatura. Calco del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna. 9. La statuetta in alto e quella a destra provengono da Kostienki, presso Voronež, Russia, mentre quella in basso proviene da Gagarino, presso Lipetsk, sempre in Russia. Tutte e tre sono oggi al Museo di Antropologia ed Etnografia di San Pietroburgo. Il materiale calcareo le rende più rovinate rispetto alle Veneri dell’Europa occidentale, mentre nelle intenzioni dovevano avere profili e un decoro più articolato. Pagine seguenti: 10. Incisa su una zanna di mammut c’è la rappresentazione di una «Donna schematica», così chiamata da Janusz K. Kozlowski. L’eleganza dello schematismo è costituito da cerchi e linee tipici dell’incisione su osso del Paleolitico europeo orientale. Proveniente da Predmostí, presso Prerov, Repubblica Ceca, è conservata al Museo Moravo di Brno. 11. Statuetta trovata a Dolní Vestonice, presso Mikulov, oggi al Museo Moravo di Brno, Repubblica Ceca. Si tratta di una figura femminile estremamente stilizzata; tutte le parti del corpo sono scomparse sino ad essere ridotte a una semplice asta, cosa che ha permesso di enfatizzare i seni pregni di latte materno.

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La ricerca attuale dimostra che il santuario è legato alla cultura della popolazione circostante; ciò conferisce a ogni santuario una propria identità e richiede un’interpretazione specifica per ciascuno di essi. Per esempio a Rouffignac lo studio dettagliato del Soffitto dei Serpenti ha condotto Claude Barrière a interpretare il serpente come simbolo del male e il mammut come simbolo della vita. L’insieme della composizione costituirebbe un’illustrazione della lotta del Male contro la Vita. Nel suo studio sui santuari monotematici dell’arte rupestre cantabrica, Francisco Jordá Cerdá è giunto a conclusioni incoraggianti per lo studio della religiosità delle popolazioni maddaleniane. Oggetto dei suoi studi sono: rappresentazioni animali che sembrano raffigurare l’apparizione dell’animale mitico; cappelle considerate come luoghi destinati al deposito di «oggetti sacri»; il simbolismo del clan in presenza della potenza celeste; la mano considerata come archetipo religioso del rifiuto delle forze ostili; i miti cosmogonici. L’HOMO RELIGIOSUS DEL PALEOLITICO SUPERIORE Le chiavi di lettura non sono ermeneutiche dell’arte rupestre, ma strumenti grazie ai quali gli ermeneuti possono penetrare negli arcani dei santuari e tentare

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di comprendere i mitogrammi, le incisioni fatte sui muri e sugli utensili, il senso delle statuette femminili e delle composizioni sui soffitti e le rocce parietali. Circa 10.000 anni fa, alla fine della glaciazione Würm, l’arte rupestre maddaleniana si è estinta. Il riscaldamento della terra ha segnato la fine delle grandi specie animali che erano familiari ai cacciatori-raccoglitori. Si è conclusa così un’epoca della storia umana. L’utilizzo simultaneo delle quattro chiavi di lettura di cui abbiamo parlato ci permette di intravedere alcuni aspetti dell’esperienza del sacro e del comportamento di Homo sapiens sapiens, autore e contemporaneo dell’arte rupestre. Questo Uomo ha vissuto un’esperienza che comprendeva la percezione di kratofanie e ierofanie, sebbene ancora con una certa confusione. Ciò ci fa pensare a un comportamento magico-religioso ispirato a una certa percezione della Trascendenza. Tale percezione da parte dell’homo religiosus paleolithicus è resa evidente sia dall’organizzazione dei santuari, sia dalle composizioni rupestri e dai segni dell’arte parietale e mobiliare. La rappresentazione di innumerevoli mitogrammi dimostra che un pensiero simbolico e mitico costituiva la struttura della religiosità di quest’uomo e determinava i suoi comportamenti. Per lui l’iniziazione ai miti doveva essere una forma di rivelazione di una «storia santa» del cosmo e dell’uomo, che gli permetteva di collocarsi all’interno dell’Universo. 11

7. SEDENTARIZZAZIONE, CULTURA E RELIGIOSITÀ Nel Vicino Oriente Homo sapiens sapiens ha compiuto un notevole e subitaneo progresso, assicurando il passaggio decisivo verso l’umanità moderna. Tale avvenimento si articola in tre livelli: sedentarizzazione, cultura, religiosità. LA SEDENTARIZZAZIONE La sedentarizzazione è un processo progressivo di stanziamento sul suolo in agglomerati di abitazioni, costruite da comunità umane che vivono delle risorse di un ambiente naturale favorevole, dando origine così al villaggio agricolo, base della futura civiltà urbana. Per le popolazioni sedentarizzate ciò implica raggrupparsi, stanziarsi, ripararsi, alimentarsi, attrezzarsi e crescere. Ciò presuppone anche un ambiente favorevole e un contesto climatico, botanico e zoologico che permettano il sostentamento del gruppo. Dopo Gordon Childe, archeologi e studiosi della preistoria hanno identificato nei bisogni alimentari la spiegazione della sedentarizzazione e delle mutazioni culturali e sociali dei gruppi. Sulla base di documenti provenienti da recenti scavi in Siria, in Palestina e in Libano, Jacques Cauvin dimostra che la produzione del sostentamento non ha potuto compiersi in quelle zone prima dell’VIII millennio. Le scoperte di Ain Mallaha (in Israele) attestano l’anteriorità dei villaggi rispetto alla produzione del sostentamento e invitano a uno studio critico approfondito di tutta la documentazione dei millenni X e IX, degli inizi del Natufiano e del fenomeno dell’«uscita dalle grotte» dell’uomo paleolitico. Il villaggio di Ain Mallaha mostra di aver mantenuto un’economia di caccia e di raccolta di vegetali selvatici, mentre i materiali pesanti rinvenuti escludono qualunque forma di trasporto stagionale praticato in altre zone da popolazioni seminomadi. In più, in alcuni villaggi natufiani come Mureybet, Abu Hureyra e Mallaha vi sono le prove archeologiche ed ecologiche della pesca e della raccolta di cereali selvatici, molto abbondanti nelle zone circostanti: frumento di montagna, farro e orzo selvatici, lenticchie e vecce. L’esame ecologico conferma quello archeologico: i primi villaggi natufiani del IX millennio hanno praticato la sedentarizzazione della residenza e delle attività domestiche, sebbene quei villaggi non conoscessero ancora l’agricoltura, ma vivessero delle risorse naturali offerte dall’ambiente: cereali, pesca e caccia della selvaggina di montagna. La sedentarizzazione ha preceduto l’agricoltura. Soltanto nell’VIII millennio sul Giordano (Gerico), sull’Eufrate (Mureybet) e nell’oasi di Damasco (Tell Aswad) l’agricoltura ha fatto la sua prima comparsa in questi villaggi natufiani preagricoli.

1. Disegno di un manico di coltello scolpito con la figura di un rinoceronte all’estremità dell’impugnatura. La cultura del Natufiano ha ancora più rappresentazioni animali che umane. Il ritrovamento dell’oggetto originario è avvenuto sul monte Carmelo, Israele.

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LA CULTURA Proseguendo il suo studio dei villaggi e della società preneolitica, Jacques Cauvin ha ricercato le motivazioni umane della creazione dell’agricoltura, dell’addomesticamento degli animali selvaggi e dell’invenzione di nuove tecnologie. Lo studio dell’evoluzione architettonica nella costruzione delle abitazioni evidenzia una progressiva espansione dei villaggi dal 10.000 al 6000 a.C., prova di una crescente concentrazione demografica. Ma l’attento esame della produzione del sostentamento permette di valutare le risorse alimentari delle popo-

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2. Rilievo rupestre di epoca un po’ successiva, ma non distante dall’area natufiana. Rujum Hani, Giordania. Si tratta della straordinaria descrizione di un allevamento. I tre pastori con le braccia alzate e disposti con simmetria sembrano svolgere un rito. Non ci troviamo davanti a una semplice illustrazione cronachistica. La sedentarizzazione si fa rinnovando la ritualità del vivere.

lazioni. Ora, a partire dall’8000 a.C. l’umidificazione del clima rende le steppe circostanti molto ricche di graminacee e favorisce la proliferazione naturale di cereali selvatici. Perciò l’agricoltura inventata in questa stessa epoca non doveva rispondere direttamente a una necessità alimentare, e il criterio che vede nella sua invenzione un adattamento all’ambiente esterno non è valido. È all’interno della società preneolitica che occorre ricercarne la motivazione: è un problema di equilibrio che andava mantenuto in una società in tensione a causa dell’aumento della popolazione. La comparsa dell’agricoltura sembra essere la soluzione a tale problema: i campi coltivati costituiscono il luogo di un lavoro collettivo e simultaneo. Con la diffusione delle case rettangolari e la generalizzazione della cerealicoltura, in questi stessi villaggi hanno inizio l’allevamento del bestiame minuto e i primi esempi di irrigazione. L’organizzazione di quest’ultima implica una certa capacità sociale. A tali dati si aggiunge l’evoluzione tecnologica: levigatura della pietra, ceramica e nuova utensileria. Ora, il progresso è un fenomeno culturale. Così la ceramica è il risultato di una familiarità dell’uomo con le proprietà dell’argilla e di una padronanza delle tecniche del fuoco. I primi oggetti fabbricati sono figurine di dee e recipienti. Pietra levigata e ceramica compaiono dapprima in un contesto ornamentale o religioso, vale a dire con un significato più simbolico che utilitario. In effetti, tutte le innovazioni e le invenzioni dell’inizio del Neolitico sono i segni e i risultati di un profondo mutamento mentale dell’uomo.

3. Estremità di manico in osso a forma di gazzella della cultura del Natufiano, circa 10.000 a.C. Questo oggetto viene dal sito di El-Wad sul monte Carmelo (Israele), sito costituito da una grotta a prolungamento di una terrazza delimitata da un muro di pietra. Rockefeller Museum, Gerusalemme.

LA RELIGIOSITÀ Alla fine del Natufiano, all’antivigilia dell’invenzione dell’agricoltura, assistiamo alla «nascita degli dèi». L’arte dei cacciatori franco-cantabrici era un’arte animalista. Tuttavia a volte è presente anche la figura umana: un esempio sono le Veneri paleolitiche dette aurignaziane. Il Natufiano ha lasciato poche figure antropomorfe. Esse compaiono soltanto nell’VIII millennio, soprattutto nella regione dell’Eufrate, sotto forma di figurine femminili che diventano sempre più numerose a partire dall’8000 a.C. circa. Le forme sovradeterminate di queste figurine e le loro posizioni sono simboliche e significative di un certo pensiero.

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Dopo averne compiuto uno studio sistematico, Cauvin non esita a scrivere che all’inizio dell’VIII millennio vediamo ritrarre la figura che sarà la «Grande Dea orientale». A Mureybet essa compare in un ambiente paesano sedentarizzato, ma che ancora non conosce l’agricoltura. La sua comparsa non simboleggia perciò un’idea di fecondità agricola – che si preciserà più tardi – ma un nuovo senso del divino. Intorno al 7000 a.C. una seconda figura umana maschile accompagna talvolta la dea, ma occorrerà attendere Çatal Hüyük nel VI millennio per trovare questo dio nel pantheon neolitico. Presso i cacciatori natufiani predomina l’arte animalista. A Mureybet sono stati trovati dei bucrani, risalenti all’8200 a.C., inseriti in sedili, sebbene il toro non facesse ancora parte dell’alimentazione. Perché ciò avvenga occorre attendere un mezzo millennio (verso il 7700 a.C.). Ciò consente di dedurre che molto presto il toro ha avuto un ruolo nell’ideologia religiosa degli abitanti di Mureybet. Molto tempo prima della sua cattura, esso ossessionava la psiche dell’uomo che gli attribuì un posto nella sua concezione del sacro. È questo l’inizio del culto del toro che si diffonderà in tutto il Vicino Oriente.

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4. Disegno di una delle prime statuine di terracotta scoperte a Mureybet, Siria. Rispetto alle statuine paleolitiche il materiale è cambiato; dalla dura pietra, dalle ossa e dalle zanne si è passati a uno dei grandi frutti della sedentarizzazione: la terracotta. Se è mutato il materiale, viene confermata la simbologia femminile che ispira i capolavori della statuaria neolitica. 5. Gerico, Israele. Volto di una statua di creta con occhi di conchiglia e pittura rossa. Secondo l’archeologo Emmanuel Anati la cultura neolitica in Palestina ebbe origine da quella natufiana. A Gerico fu costruita una città fortificata molto prima della scoperta della ceramica e dell’agricoltura sistematica.

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8. RITI FUNERARI DEL NEOLITICO La parola «Neolitico» è stata usata per distinguere l’età della «Pietra nuova» dall’età della «Pietra antica». Attualmente il concetto di Neolitico si è ampliato e designa una nuova tappa della vita umana: da cacciatore l’uomo diventa produttore delle specie animali e vegetali. Passando dal nomadismo alla sedentarizzazione, egli inventa la ceramica, nuovi modi di levigare i materiali, la tessitura e il villaggio nel quale sono raggruppate le abitazioni. Iniziata nella «Mezzaluna fertile» del Vicino Oriente verso l’8000 a.C., la cultura del Neolitico si diffonde intorno al Mediterraneo, nel VI millennio penetra nei Balcani, nel V millennio si propaga nelle pianure del Danubio, nell’Africa mediterranea e poi in quella sahariana e infine nel IV millennio raggiunge l’Asia centrale. Durante questi ultimi decenni gli studiosi della preistoria hanno precisato la periodizzazione interna della diffusione del Neolitico. Tutti sono d’accordo nel far coincidere il suo termine con la nascita della metallurgia. Il Neolitico non costituisce soltanto uno stadio tecnico-economico, ma anche uno stadio culturale e religioso della crescita dell’umanità. Tra i documenti disponibili atti a definire il comportamento e la situazione mentale dell’homo religiosus del Neolitico, le vestigia funerarie occupano un posto di particolare rilievo poiché, al di là dell’apprendimento dell’ambiente naturale o della rappresentazione della propria specie, l’uomo fornisce indicazioni sulla propria credenza in una vita dopo la morte. Nell’epoca del Natufiano – una falda culturale siro-palestinese preneolitica che va dal 10.500 all’8200 a.C. – in genere i defunti venivano seppelliti nelle abitazioni, talvolta accompagnati da ornamenti. Nelle tombe di Mallaha e di el-Wad sono state rinvenute collane, braccialetti, giarrettiere, cinture, copricapi. Vi è anche qualche pezzo di mo-

1. Primissima raffigurazione umana, scolpita in ciottolo, del tempo della sedentarizzazione. Testa schematica del 10.000 a.C. trovata nel sito di Ain Mallaha, Israele. Si trattava di un grande villaggio di cultura natufiana. 2. Stessa epoca della precedente, e con essa una primissima rappresentazione umana della cultura natufiana. Statuetta in pietra trovata nel sito di El-Wad sul Monte Carmelo, Israele.

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3. Cranio rimodellato in stucco proveniente da Tell es-Sultan, cioè Gerico, nella valle del Giordano in Palestina, testimonianza della consuetudine riscontrata di inumare a parte gruppi di teste che venivano lavorate con pitture o incrostazioni di conchiglie per mettere in rilievo gli occhi.

bilia. Le fosse, arrangiate in modo sommario, sono a volte rivestite di argilla (Mallaha), a volte coperte da lastre di pietra (Erq el-Ahmar). Ai crani, con tutta evidenza, è stato riservato un trattamento particolarmente rispettoso. A Gerico vi sono diversi depositi di crani – risalenti all’VIII millennio – disposti in circolo e che guardano verso l’interno, oppure divisi in tre gruppi di tre e che guardano nella stessa direzione. Nella stessa epoca, prima del 7500 a.C., in Siria-Palestina si manifesta, secondo Jacques Cauvin, «la consuetudine di separare i crani dagli scheletri per farne un uso particolare». I crani scoperti a Mureybet sul medio Eufrate – datati a partire dal 7500 a.C. – sono disposti sul suolo, lungo i muri, ciascuno su una zolla di argilla rossa collocata appositamente. Essi erano visibili agli occhi degli abitanti della casa. A Gerico su alcuni crani è stata modellata la faccia con dell’argilla: il viso è rappresentato da una specie di maschera, nelle orbite oculari sono incastonate delle conchiglie, la faccia è dipinta e molti crani sono raggruppati insieme. Una analoga situazione si presenta a Ramad e a Beisamoun. Al termine del suo inventario delle pratiche funerarie di Siria-Palestina, Cauvin sostiene che «i Neolitici del VII millennio hanno cercato di mantenere presente, visibile alla comunità dei vivi, l’immagine di alcuni tra loro dopo la loro scomparsa». Ci troveremmo agli inizi del «culto degli Antenati», che implica la credenza in una vita ultraterrena. Nei millenni VI e V in Siria-Palestina, questa volta nella regione costiera, gli studiosi della preistoria constatano che vi fosse una grande omogeneità tra i riti di inumaziome: Byblos, Ras Shamra, Tell Judeiheh. La presenza di ceramiche nelle tombe documenta la pratica di offerte alimentari ai defunti, offerte che venivano collocate nella fossa in vista della vita nell’aldilà. I vasi delle offerte mostrano

di aver subìto l’influsso della ceramica di Tell Halaf nella Siria settentrionale, un influsso mesopotamico molto forte su tutto il litorale intorno al 4500 a.C. Accanto alle sepolture individuali vi sono quelle collettive, un esempio delle quali è la «casa dei morti» di Byblos: una grande stanza centrale con un considerevole apporto artificiale di terra rossa, diversi strati di terreno che ricoprono una trentina di scheletri, alcune celle più piccole adiacenti alla stanza centrale, un deposito di crani in una di queste celle. Secondo Cauvin, questo edificio «carico di forza resa sacra dalla sua terra rossa e dai suoi depositi funerari, esercitava nel villaggio un’evidente capacità di attrazione». Çatal Hüyük in Anatolia fornisce dati preziosi sulle relazioni tra abitazioni e sepolture poiché, a partire dal VII e dal VI millennio, i defunti venivano qui inumati sotto piattaforme nelle case e nei santuari. Le ossa scarnificate e avvolte in stuoie venivano sepolte insieme a oggetti personali (ornamenti, armi) e offerte. Nei santuari si trovano alcuni crani isolati: le ossa sono spesso dipinte. A partire dal Neolitico medio, in Europa furono praticate le sepolture collettive, dapprima sul litorale atlantico, poi più diffusamente, e si registra una continuità nella pratica della sepoltura in un luogo determinato. Il rito nasce dall’associazione di una pratica con una credenza. I riti funerari coincidono con particolari pratiche e reazioni suscitate dalla morte altrui. I suggestivi esempi che abbiamo presentato dimostrano che l’uomo del Neolitico ha moltiplicato i riti attribuendo loro un simbolismo sempre più ricco: abbellimento del corpo in preparazione alla vita ultraterrena, cure speciali conferite ai crani, volti resi vivi, una nuova capacità di vedere, vicinanza tra defunti e viventi. Tale simbolismo della vita è il segno di una solida credenza in una esistenza ultraterrena.

4. Figurina maschile in terracotta, Museo di Mossul, Iraq, e tre figurine femminili in alabastro, Museo Nazionale di Baghdad, Iraq. Tutte le statuette sono state trovate in tombe del 6000 a.C. e sono parte della cosiddetta cultura mesopotamica di Samarra.

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6, 7, 8. La civiltà di Ubaid segue in Mesopotamia la prima civiltà sedentaria di Halaf e ne eredita la cultura durante il V millennio a.C. Siamo nel mondo dei villaggi, della ceramica, e i riti di sepoltura divengono più diversificati.

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5. In una sepoltura a Cernavoda (Romania) è stata trovata una coppia di statuette in pietra levigata, due meraviglie di espressività che gli scopritori hanno chiamato «Il Pensatore e la Donna». Alte una dozzina di centimetri, vengono datate a 8.000 anni fa. «L’uomo, seduto su un piccolo sgabello dal decoro inciso, sostiene il suo volto dai larghi occhi profondi a triangolo. Anche il naso è triangolare. La bocca ovale accentua l’aria pensosa. La donna, seduta a terra, il busto eretto con i seni attaccati alti, quasi confusi con le larghe spalle, solleva il mento con un’autorità che contrasta con l’aria pensosa del compagno. Il bacino è largo, sproporzionato, attraversato da un tratto orizzontale per indicare il sesso. Quanto alle mani, sono posate su un ginocchio sollevato, le dita definite da incisioni allungate. La fattura delle due figure, nella semplicità dello stile, esprime la volontà dell’artista di tradurre il mondo interiore che sempre più agita l’uomo» (Yves Coppens).

(6) Figurine femminili provenienti da Tepe Gawra, livello XVII, cultura Ubaid del Nord, inizi del V millennio (da Tobler 1950).

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(7) Distribuzione delle tombe di bambini ad Abada, nella regione dello Hamrin, verso la metà del V millennio, cultura Ubaid del Nord (da Jasim 1985). Contrariamente al caso degli adulti, i bambini, troppo piccoli per avere uno status sociale, sono normalmente sepolti nell’insediamento. Ma mentre alcuni (senza dubbio le femmine) sono suddivisi in modo aleatorio, altri (probabilmente i maschi) sono raggruppati sotto il suolo della casa del decano.

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(8) Restituzione assonometrica di un’abitazione di Tell Madhur, nella regione dello Hamrin, circa 4000 a.C. (da un disegno di S. Roaf, in Roaf 1982). La casa, relativamente vasta benché costruita con pianta tripartita semplice, era stata distrutta da un incendio, ma aveva conservato una parte importante dell’arredo.

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9. LE CASE SACRALIZZATE E I SANTUARI 1. Ricostruzione di un quartiere abitativo nell’insediamento neolitico di Çatal Hüyük (Konya, Anatolia, Turchia): senza strade, con le case addossate le une alle altre, come cubi giustapposti, e l’ingresso dai tetti. 2. Dalla città neolitica di Çatal Hüyük: scorcio di una delle costruzioni ipotizzate come santuari per via dell’abbondanza della decorazione musiva, benché la struttura non si discosti da altri edifici. La grande Dea Madre della città viene qui evocata da un rilievo in stucco a grandezza naturale che raffigura gli attributi della divinità: una coppia di leopardi.

Nel Vicino Oriente, durante il lungo processo di diffusione della cultura neolitica, è possibile seguire la genesi della casa, habitat dell’uomo. Già verso il 10.000 a.C., con la civiltà natufiana compaiono i villaggi, segno dell’inizio della sedentarizzazione. Dall’8300 al 7600 a.C., grazie a testimonianze come il villaggio di Mureybet sull’Eufrate, si assiste a progressive trasformazioni architettoniche delle case e degli agglomerati. Dopo il 7600 a.C., con l’aumento della popolazione in Siria e in Palestina, cresce anche l’importanza dei villaggi: si delinea così una nuova tappa di questa evoluzione. Nella pianura di Konya in Anatolia, gli archeologi hanno esplorato una grande località, Çatal Hüyük, che venne occupata tra il 6250 e il 5400 a.C. Dopo questo periodo la popolazione è migrata verso Haçilar e verso altri luoghi. Nella città agricola e artigianale di Çatal Hüyük l’attività religiosa era intensa, dato che, su 139 case, 40 erano case sacralizzate: i primi santuari conosciuti. Esse presentano pitture parietali, altorilievi, statuette e figurine, una cinquantina delle quali sono raffigurazioni femminili. Due simboli dominano l’iconografia: la dea e una figura maschile dall’aspetto di toro o a volte, secondo Cauvin, di «un uomo barbato che cavalca un toro, sorprendente prefigurazione del fenicio Hadad, dio della tempesta e della guerra». Spesso il toro è rappresentato singolarmente da piccole figure, specialmente da teste di toro in argilla. Le due figure – la dea e il toro – appaiono sovradimensionate rispetto alle altre figure rappresentate. Secondo Jacques Cauvin l’arte di queste case sacralizzate, che presentano diversi elementi tipici dei santuari, dimostra che il sacro veniva percepito come appartenente a un livello superiore all’uomo: si tratta della credenza in un’entità divina suprema, di cui la dea costituisce la rappresentazione. Altre zone archeologiche dell’Anatolia hanno fornito figurine di dee, sebbene in quantità minore: Çukurkent, Erbaba, Suberde, Haçilar. Occorre aggiungere che ad Arpachiyah in Iraq, nel 1978, è stato trovato un vaso con elementi decorativi identici: dea e toro; ciò autorizza a ritenere che nel Neolitico predominasse una certa unità religiosa nel Vicino Oriente.

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Sulle rive del Danubio, vicino alle Porte di Ferro, in Serbia, nel VI millennio, proprio all’inizio del Neolitico, esisteva senza dubbio il primo villaggio d’Europa, Lepenski Vir. Il villaggio si compone di 86 costruzioni omogenee. Nel centro delle abitazioni, dietro un grande focolare rettangolare, si trova un altare o anche una scultura realizzata su di un ciottolo. Su diversi ciottoli sono visibili i tratti di un viso umano molto suggestivo. Dragoslav Srejovic, che ha esplorato questa zona archeologica, ritiene si tratti di una rappresentazione della divinità delle acque. Come a Çatal Hüyük, i riti funerari erano legati a queste case sacralizzate: inumazioni sotto o in prossimità del focolare, sepolture di bambini nel retro delle case, ampio utilizzo dell’ocra rossa. Le case venivano rese sacre al tempo stesso dalla presenza dei morti e dall’immagine della divinità. Questi fatti ci portano a parlare delle necropoli megalitiche, nelle quali si manifesta un fenomeno analogo. Infatti con la diffusione della cultura neolitica, caratterizzata dal radunarsi della popolazione in villaggi, si esprime progressivamente un nuovo atteggiamento di fronte alla morte. Dal 4500 al 2000 a.C. il Neolitico occidentale è caratterizzato da monumentali sepolture collettive, spesso raggruppate in autentiche necro-

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3. Nel disegno: uno dei santuari degli Avvoltoi, concretizzazione della morte a Çatal Hüyük. Dipinti sulle pareti, affiancano minacciosamente una figura umana. 4. Un enorme toro rosso, dipinto poco dopo il 5800 a.C., occupava gran parte della parete di un santuario a Çatal Hüyük. La piccola taglia degli uomini attorno evidenzia, secondo l’archeologo James Mellaart, la posizione occupata dal toro nella tradizione di Çatal Hüyük. 5. In uno dei santuari di Çatal Hüyük, databile attorno al 5950 a.C., si nota una fila di teste taurine riccamente dipinte, e, a fianco, l’immagine di un grande toro; molte volte incavata nell’intonaco e molte volte ridipinta, segnala «una continuità di culto» (James Mellaart).

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6. A Lepenski Vir, le Porte di Ferro del Danubio, in Serbia, nel 1965 si è realizzata una straordinaria scoperta archeologica: sulle basse terrazze prospicienti il fiume una popolazione di cacciatori e raccoglitori decise di fermarsi costruendo abitazioni stabili e templi all’aperto. Nell’immagine, uno dei santuari con due sepolture.

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poli che presentano diverse varianti. Sono questi i primi monumenti dell’Europa occidentale e settentrionale, dei quali si hanno delle tracce anche nei Paesi mediterranei e, più tardi, nell’Africa settentrionale. Il loro scopo era quello di riunire in un’unica area tutti i defunti del clan. Questi monumenti sono dei luoghi sacri, se non addirittura dei santuari, come dimostra la cura che è stata riservata alla costruzione delle facciate e alla sistemazione dell’interno. In queste tombe collettive i corpi sono introdotti provvisti dei loro ornamenti, di tutto un arredamento funebre, di vasellame per le offerte alimentari e degli utensili di culto. Sulle pareti sono visibili incisioni, rilievi, figure femminili. Nel III millen-

7. Serie di grandi sculture di Lepenski Vir, Serbia. Dragoslav Srejovic, lo scopritore, interpreta queste prime sculture monumentali della preistoria, in cui si combinano figure antropomorfe con figure ed elementi pisciformi, come un riconoscimento che l’acqua sarebbe all’origine del mondo della vita e delle creature primordiali. Saremmo di fronte ad antenati divinizzati scolpiti in pietra: siamo all’origine del Neolitico.

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8, 9. Se Lepenski Vir può essere considerato il momento di nascita nel mondo europeo delle statue-stele, da questo periodo genetico del Neolitico sino alla sua fase di massima fioritura verso il 3500- 2500 a.C., chiamata da vari studiosi Calcolitico, il fenomeno delle statue-stele prolifera nell’Europa dell’Est come nel mondo mediterraneo. Qui siamo in Lunigiana, in Italia, nel mondo ligure. Molte sono le statuestele che hanno caratterizzato la valle di Luni nel periodo Calcolitico. Qui abbiamo un esempio femminile e uno maschile. La statua femminile (8) proviene da Moncigoli, mentre quella maschile (9),

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nio compare l’immagine della dea protettrice dei morti, spesso rappresentata sotto forma di un viso privo di bocca. Questa dea si trova anche su statue-stele poste all’esterno delle necropoli e localizzate nella Francia meridionale, in Spagna, in Bretagna e in Italia. A Capdenac-le-Haut, in Francia nel Lot, una figura presenta alcune rassomiglianze con i ciottoli scolpiti di Lepenski Vir, situato a più di 2.000 km di distanza. Nell’arcipelago di Malta vi sono considerevoli monumenti megalitici costruiti tra l’inizio del Neolitico e il 3500 a.C. Nel IV millennio compaiono numerosi ipogei, tra cui quello di Hal Saflieni, ampia tomba di parecchie migliaia di persone, ma anche luogo di culto, come è attestato dalle statue delle dee e da diverse incisioni e sculture. In quest’epoca ha inizio anche la costruzione di prestigiosi templi megalitici, realizzati su pianta tribolata o polilobata e contenenti stupendi altari scolpiti e una statuaria costituita soprattutto da dee. Questo insieme conferma uno degli aspetti della pratica religiosa dell’uomo del Neolitico: l’associazione dei defunti e del culto della dea.

che reca ascia e pugnale (in basso), da Minucciano. Siamo ormai nel passaggio dal Neolitico ai metalli. Sulla cultura che ha creato queste statue si fanno varie ipotesi: di arrivo dal mare con provenienza dalla Francia, o di arrivo dalle Alpi, o di gruppo autoctono. Le statue-stele della Lunigiana sono estremamente semplificate, per noi elegantissime; gli attributi sono icastici, ma plasticamente evidenti. 10. Capolavoro dell’arte all’epoca del grande Megalitico dell’isola di Malta. Statua di terracotta del 3000 a.C. Le caratteristiche delle dee madri, segno di prolificità, sono mantenute in una posizione che ci fa immaginare i generosi lombi sotto la veste, che copre il sesso ma lascia libero il seno. È la testimonianza della pace e della serenità. Forse è una rappresentazione funeraria, ma anche in questo caso ci appare il riposo meritato della vita. Museo Nazionale di Archeologia, La Valletta, Malta. 11. La civiltà maltese è caratterizzata da gigantesche costruzioni megalitiche. Qui abbiamo un particolare del tempio megalitico di Tarxien. I templi di Malta erano probabilmente un punto di riferimento e di pellegrinaggio per un’importante parte del Mediterraneo.

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12, 13, 14. Posteriori al Megalitico di Malta, le «Tombe dei Giganti» della Sardegna (II millennio a.C.) sono ad un tempo luoghi di devozione per defunti reali e templi all’aperto per cerimonie di largo respiro.

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Considerate dalle tradizioni popolari come tombe di esseri giganteschi, di fatto si tratta di tombe collettive nello stile «megalitico» o «ciclopico». L’emiciclo o la facciata convessa costituita dalle pesanti lastre megalitiche crea uno spazio sacro adatto a cerimonie (14). Dall’apertura nella parte bassa della lastra centrale si accede

a una galleria, costituente la parte tombale (12). Qui entravano solo persone qualificate o iniziate. La piantina (13) mostra lo schema frequente di questi monumenti megalitici. Tutte le immagini si riferiscono alla Tomba dei Giganti di Li Lolghi, nei pressi di Arzachena, Sardegna.

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10. I MITI AGRARI 1. Rilievo di un graffito rupestre del primo Neolitico del Levante spagnolo sito a Barranco de Los Grajos, Murcia, Spagna. L’archeologa Marija Gimbutas vi legge una scena di danza rituale svolta da maschi e femmine. Sulla sinistra appare un gigantesco fallo: siamo di fronte a un rito della fecondità. 2. Rilievo del graffito di una statuamenhir in Valcamonica, Italia. Emmanuel Anati, autore del rilievo, ravvisa nelle statue-menhir del Calcolitico (32002500 a.C.) della civiltà camuna la presenza di una complessa visione del mondo. Qui è evidente in alto il disco del Sole; al centro si ravvisano armi, un monile e animali, mentre in basso si svolge una scena di aratura. Seguendo Georges Dumézil, è possibile anche l’interpretazione della triripartizione indoeuropea: sacerdoti, guerrieri e contadini. L’agricoltura sta alla base di una nuova visione complessa del mondo.

Nel X millennio, nel Vicino Oriente, l’uomo diventa «il giardiniere del mondo». Verso il 10.000 a.C. inizia la civiltà natufiana che dura all’incirca 2.000 anni. Essa rappresenta un’area culturale che va dal Nilo all’Eufrate e prelude alla nascita della civiltà neolitica. Il Natufiano è caratterizzato dall’«uscita dalle grotte» e dal progressivo stanziamento dei gruppi umani in villaggi costruiti su terreni dove non esistevano altri insediamenti anteriori. L’uscita dalle grotte è conseguente a un riscaldamento del clima. I villaggi natufiani vengono costruiti nelle pianure ai piedi di montagne (Ain Mallaha, Gerico), oppure sulle rive di laghi o di corsi d’acqua permanenti: il sostentamento della popolazione era fornito dai cereali selvatici, dalla selvaggina delle foreste e dai pesci. A Mureybet sull’Eufrate e a Mallaha sono stati rinvenuti abbondanti resti di pesci e di crostacei. I documenti archeologici dimostrano che la prima sedentarizzazione era legata a una certa mobilità nella ricerca degli alimenti. Lo studio dei pollini rinvenuti attorno ai villaggi natufiani presenta una grande quantità di graminacee, indizio di una prima espansione demografica (Mallaha, Mureybet, Cheik Hassan). All’origine della cerealicoltura vi sono la sedentarizzazione e la creazione dei villaggi. Le numerose scoperte recenti, compiute in Palestina, in Siria e in Israele attestano che la sedentarizzazione ha preceduto l’agricoltura: l’addomesticamento delle specie animali e la coltivazione di quelle vegetali ne è stata la conseguenza. I primi lavori agricoli datano all’incirca all’8000 a.C. È l’inizio del Neolitico orientale.

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La nuova strategia alimentare ha delle ripercussioni sulla relazione dell’uomo con gli animali e le piante. Essa porta alla nascita di concetti nuovi: campo, piantagione, semina, osservazione della crescita e delle stagioni, raccolta, immagazzinamento, lavoro. Alla base di questa modifica della concettualità si trova un nuovo simbolismo. Lo stesso dicasi per l’allevamento degli animali domestici. Con l’evoluzione tecnologica compaiono l’irrigazione, una nuova utensileria (lame di falci, pietra levigata, accette, punte di frecce) e una nuova arte del fuoco. L’uomo diventa costruttore, allevatore e agricoltore, e ciò porta con sé un cambiamento nelle sue idee e nei suoi atteggiamenti mentali: vita, lavoro, sostentamento, forze naturali. Dal Nilo all’Eufrate viene praticato l’addomesticamento degli animali: pecora, capra, maiale, cane. Fanno la loro comparsa anche la corda, la rete, le imbarcazioni e la ceramica. Diventando produttore del proprio nutrimento, l’uomo modifica il suo comportamento ed elabora un calendario per regolare i lavori stagionali. Direttamente connesso ai ritmi della vegetazione, l’uomo scopre il mistero della nascita, della morte e della resurrezione. L’osservazione del sole, della luna e degli astri fa lavorare l’immaginazione del coltivatore, mentre la sua esperienza del tempo cosmico lo conduce a elaborare la concezione di un tempo circolare e l’idea dei cicli cosmici. A tutto questo si aggiunge la valorizzazione religiosa dello spazio: abitazione, villaggio, campi coltivati. L’arte figurativa che

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si sviluppa dal IX al VII millennio è il riflesso di una profonda modifica avvenuta nella vita psichica individuale e collettiva. I grandi miti agrari del Vicino Oriente e del Mediterraneo affondano le proprie radici nell’humus neolitico. L’immaginazione dell’uomo ha rappresentato le divinità con sembianze femminili, maschili e animali. Per penetrare il mistero della crescita dei cereali, della vegetazione, come anche del ritmo delle stagioni, il coltivatore ha creato una storia santa della nascita del cosmo, degli animali, dei vegetali. Questa storia santa è fatta di miti cosmogonici che spiegano l’origine del mondo, delle montagne, dei fiumi, dell’uomo e della donna, delle specie animali e vegetali. I diversi miti agrari sacralizzano la donna creatrice della vita, la polarità maschile-femminile già intravista dai cacciatori paleolitici e l’antenato mitico. I miti agrari sviluppano i temi della Terra-Madre, della sacralità della vita, del rinnovamento periodico del cosmo grazie all’intervento di potenze soprannaturali. L’associazione della donna e del toro nel simbolismo iconografico del Neolitico siro-palestinese documenta in modo incontrastabile l’importanza di quei miti agrari che ritroviamo nel Neolitico europeo dal VI al IV millennio. Ne possediamo due esempi pregevoli: le migliaia di figurine scoperte da Marija Gimbutas nei Balcani e le numerose statue-stele nelle regioni alpine della Valcamonica. Nelle incisioni di queste ultime appare la tripartizione sociale e religiosa cielo, guerra e agricoltura, che segna la fine del Neolitico.

4, 5, 6. Due rilievi e lo scatto fotografico della stessa parete di roccia presso Wadi Harash, nel deserto del Negev, Israele. Scene particolari di danza e musica pienamente corrispondenti alla ritualità neolitica. In alto, due personaggi danzanti suonano lire asimmetriche di fronte a un’immagine animale; in basso, quattro personaggi danzano mentre un quinto, che appare seduto, suona il tamburo. I personaggi sembrano nudi e hanno un pugnale alla cintola. Le lire sono databili al 2000 a.C., per comparazione con reperti di scavo.

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3. Alcune immagini delle attività di donne del Neolitico che trattano il terreno. Sono graffiti rupestri del Levante spagnolo. Dall’alto in basso i rilievi provengono dai seguenti siti: riparo del Ciervo a Dos Aguas (Valencia), Barranco del Pajarejo (Sierra de Albarracín, Aragona), Cingle de la Ermita del Barranc Fondo (Las Almunias, Aragona), Cingle dels Tolls del Puntal (Albocácer, Castellón).

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7. Grande parete con figure mascheriformi e, in alto, particolari di alcune delle maschere, dalla valle del fiume siberiano Amur, in Russia. L’autore del rilievo, Aleksei P. Okladnikov, attribuisce queste figure al periodo Neolitico e, per comparazione a figure analoghe su ceramica, propone una datazione tra il IV e il III millennio a.C. Altre figure caratteristiche che accompagnano tali immagini rappresentano imbarcazioni, quadrupedi, uccelli. Il rilievo in alto a destra è una raffigurazione mascheriforme ritrovata in un masso isolato (da Okladnikov 1971).

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8. Grande capanna rituale decorata all’interno con due bucrani. La struttura, divisa in tre ripiani – tetto e sottotetto, piano di abitazione, base –, riflette una precisa concezione nella quale la capanna si identifica con l’emblema dell’universo. Ogni linea e ogni segno hanno una loro ragion d’essere. Coren del Valent, Valcamonica, Italia, roccia 60. Dimensioni: m 10,5 x 1.

Del Paleolitico superiore si sono conservate delle statuette femminili stilizzate dai caratteri femminili ipertrofici, diffuse in un’area compresa tra la Siberia e l’Atlantico e che gli studiosi della preistoria denominano le «Veneri aurignaziane». Considerate come simboli di fecondità, esse sono poca cosa se paragonate all’arte animalista franco-cantabrica. Poco prima dell’8000 a.C., e anteriormente ai primi lavori agricoli, a Mureybet sul medio Eufrate compaiono delle figurine femminili relativamente simili alle Veneri paleolitiche, ma in netta predominanza rispetto alle figure animali: aumenta l’importanza della figura umana nell’arte con una predilezione per la forma femminile, circondata da rappresentazioni simboliche del toro. La donna feconda e il toro sono due simboli che precedono di poco la nuova fertilità agricola e non sono quindi una conseguenza di essa. Questa recentissima scoperta è di capitale importanza per comprendere la religione neolitica. A Ramad, nella regione di Damasco, verso il 6000 a.C. le figurine femminili sono segnate da nuovi tratti: anzitutto la zona occipitale della testa appare allungata all’indietro e verso l’alto; inoltre gli occhi, nota Cauvin, «sono formati da pastiglie di argilla incise a forma detta occhio di serpente». Questa forma degli occhi andrà diffondendosi nel corso del VI millennio: a Byblos, a Munhata in Palestina, a Hassuna in Mesopotamia e quindi in Iran. È chiaro che una simile tematica, costante nel Vicino Oriente, presuppone un certo pensiero e un

1. Vaso antropomorfo della cultura mesopotamica di Halaf, proveniente da Yarim Tepe II (Turchia), VI millennio (da Munchaev e Merpert 1981). La figurina è l’immagine del principio creatore, a cui si riferisce la grande croce che ne adorna il petto. Lo sviluppo del triangolo pubico e la posizione delle mani, che sostengono i seni, ricordano il suo infinito potere di fertilità e fecondità. 2. Figurine femminili della cultura di Samarra, Mesopotamia (Iraq), provenienti da Tell Songor A, nella regione dello Hamrin, inizio del VI millennio (da Kamada e Ohtsu 1981). Questi oggetti, modellati all’immagine di una donna, evocano il principio creatore e forse intervenivano nel rituale domestico.

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9. Incisioni rupestri della Valcamonica. Il «Tempio di Nadro». Grande costruzione con alla base serie di strutture più piccole. Sulla facciata si vede una strana immagine antropomorfa e sul tetto sono rappresentate alcune asce. Sopra la struttura centrale vi è una grande e profonda coppella, mentre altre coppelle più piccole si trovano in basso, in serie ordinate, ai lati della composizione. Si tratta probabilmente di un tempio, di una marai o casa degli spiriti. Tra le figure precedenti si nota una serie di dischi concentrici. Foppe di Nadro, Valcamonica, roccia 27 (antica età del Ferro: 850-700 a.C.). Dimensioni del rilievo: cm 60 x 90. 2

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3. Due figurine in terracotta, da Ur, Mesopotamia (Iraq), cultura di Ubaid, metĂ del V millennio. British Museum, Londra. 4. Statuetta di figura femminile che sta allattando un bambino risalente al IV millennio a.C. Proviene da Ur, Mesopotamia (Iraq).

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5. Dea uccello risalente attorno al 5000 a.C., trovata nell’area vicino a Vinca, presso Belgrado. Una grande X divide il corpo in quattro scomparti. La cultura di Vinca è una delle varie culture che sono fiorite tra il Dnepr e il Danubio all’inizio del Neolitico e della diffusione dell’agricoltura nella regione. Le dee uccello possono avere due nature: dispensatrici di vita, benessere e nutrimento, oppure, quando appaiono in guisa di avvoltoi o uccelli della notte, dispensatrici di morte. 6. Proviene da Bitola, in Macedonia, questa dea in argilla con il corpo a guisa di tempio. 7. Statuetta in marmo, proveniente da un’isola dell’Egeo, che rappresenta una dea serpente. Il serpente, secondo Marija Gimbutas, la maggiore studiosa di divinità neolitiche mediterranee, è una fondamentale immagine di vitalità e continuità della vita: è il guardiano dell’energia nella casa e simbolo della vita familiare.

determinato simbolismo. Tale nuovo simbolismo va ad aggiungersi ai tratti che alludono alla fecondità femminile (seni sviluppati e addome di donna incinta) e che denotano una particolare attenzione riservata alla testa e agli occhi. Secondo Cauvin gli artisti hanno voluto descrivere lo psichismo femminile. Circa 2.000 anni dopo Mureybet, la città anatolica di Çatal Hüyük abbonda di statuette femminili, di affreschi e di altorilievi. Lo studio sistematico di questa prodigiosa documentazione ha fornito risultati sorprendenti. Le rappresentazioni femminili mettono in evidenza una donna partoriente e regale, procreatrice degli uomini e degli animali. Accanto a questa, ma a lei subordinati, compaiono a volte un uomo barbato a cavallo di un toro, a volte solo un toro. Dea e toro sono sovradimensionati rispetto al contesto. Secondo Cauvin i simboli donna e toro di Mureybet sono diventati due divinità vere e proprie e, diversamente dall’universo orizzontale dell’arte franco-cantabrica, ci troviamo in presenza di un sacro che l’uomo percepisce come trascendente: una dea e un dio-toro. La dea è la prima divinità dalle sembianze umane. Jacques Cauvin ritiene che si possa realmente «far risalire al Neolitico l’esistenza di una religione». Le figurine femminili diffuse in tutto il Vicino Oriente da Damasco a Gerico e dall’Anatolia alla Mesopotamia, a partire dal VI millennio si trovano anche nell’Europa centrale, sulle coste adriatiche, a Creta, a Cipro, a Malta e in Macedonia. La loro diffusione prosegue dal 6500 al 3500 a.C.: civiltà di Sesklo in

Grecia; Impresso in Italia; Karanovo, Boian e Gumelnitsa in Bulgaria e Romania; Starcevo e Vinca nel territorio della ex Jugoslavia e in Romania sudoccidentale; Lepenski Vir; Cucuteni in Romania; Alföld, Lengyel e Tisza in Austria e in Ungheria. Grazie agli scavi e alle scoperte di Marija Gimbutas, la documentazione di questa «Old Europe» si compone di circa 30.000 figurine provenienti da più di 3.000 zone archeologiche neolitiche. Il deciframento di queste figurine in osso, in pietra o in argilla, generalmente chiamate «dee della fertilità», lo studio degli ideogrammi e dei simboli che compaiono su di esse, il confronto di tali figurine con la pittura vascolare e con la ceramica consentono di parlare di un vero e proprio pantheon delle dee della «Vecchia Europa»: dee-uccello, dee-serpente, dee della vegetazione, grande dea della vita, della morte, della rigenerazione. Come in Oriente, accanto alla dea esiste una divinità maschile. Le maschere, i simboli e gli ideogrammi sono indizi della presenza di riti e perciò di un autentico culto della dea. Le statuette di personaggi adoranti e le scene cultuali ne sono una conferma. Un simbolismo mitico di questo genere dimostra che all’epoca di Çatal Hüyük nell’Europa sudorientale e in quella centrale si è diffusa una vera e propria religione neolitica, provvista di riti e di un culto della dea della vita, della fertilità, della fecondità. Tocchiamo con mano la nascita dei grandi pantheon del Mediterraneo e dell’Oriente.

8. Statuetta femminile in terracotta. Trovata a Cucuteni, in Romania, risale al 4500 a.C. Il corpo è ricoperto interamente da segni profondamente incisi, che secondo Jean Guilaine più che una veste costituiscono motivi simbolici. 9. «Venere di Malta», trovata nel tempio di Hagar Qim. Le sue forme generose la situano tra le Veneri della fertilità. 10. Silhouette di una piccola statua trovata sempre nel tempio di Hagar Qim a Malta. Databile tra il IV e il III millennio a.C., presenta seni pesanti, ventre rotondo e vulva rigonfia.

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12. ISCRIZIONI RUPESTRI, MENHIR E CULTO ASTRALE

I dipinti e le incisioni che ornano le pareti delle grotte o le rocce a cielo aperto sono diffusi in tutti i continenti e indicano l’esistenza di una tradizione ininterrotta che va dal Paleolitico superiore fino all’età del Bronzo. In questo breve capitolo ci limiteremo a illustrare l’arte rupestre neolitica, cioè le iscrizioni sulle rocce e la decorazione delle statue-stele. Un’abbondante documentazione è incisa sulle rocce della Valcamonica, in Italia, una stretta valle della Lombardia, a nord di Brescia. Poco prima del 5000 a.C. inizia lo stadio climatico «Atlantico». Esso è caratterizzato da un aumento della popolazione e dall’introduzione dell’agricoltura, che si aggiunge alla caccia e alla raccolta dei prodotti vegetali selvatici tipiche del periodo protocamuno, le cui incisioni rupestri si limitavano praticamente alla rappresentazione di animali. Nei periodi camuno I e II A (5000-3000 a.C.), il simbolismo rupestre subisce una profonda modificazione artistica e ideologica. Accanto alle numerose figure antropomorfe in atteggiamento di preghiera, con le braccia alzate verso il cielo, si moltiplicano i simboli solari e celesti. Inoltre vengono scavate nella roccia numerose coppelle, piccole cavità a forma di coppa: esse fanno pensare a

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3. Possibile scena di culto solare (secondo Emmanuel Anati), Coren del Valent, Valcamonica.

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1. Rilievo di una roccia a Foppe di Nadro, Valcamonica, Italia. Si notano un orante e una paletta oltre a tre coppelle; siamo di fronte a tre simboli tipici dei graffiti rupestri alpini. La figura dell’orante spesso è unita a «palette», il cui significato è incerto, e a «coppelle», anch’esse di significato incerto: potevano essere connesse a offerte. 2. Veduta di una parte della grande roccia di Naquane, Valcamonica. Grandi rocce sono state prese in considerazione durante i millenni dalla popolazione camuna, così come in molte parti del mondo. Sulla stessa roccia artisti tornavano più volte nei secoli e nei millenni, segno della volontà di non cercare a tutti i costi una «roccia pulita», ma di ritornare su un luogo già sacralizzato.

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riti di offerta, forse a rappresentazioni di costellazioni astrali. Nonostante l’ambiente sia popolato di animali selvaggi e domestici, l’interesse per gli animali è scomparso. Verso il 3800 a.C., inizio del periodo II A, compare la coppia di buoi attaccata all’aratro. Questo periodo è particolarmente ricco di figure di oranti, spesso rappresentate in gruppi e accompagnate da simboli solari. È importante osservare che i gruppi di oranti sono incisi su piattaforme rocciose situate in direzione del sorgere del sole, verso il quale essi alzano le braccia. D’altra parte sono presenti anche incisioni idoliformi, alcune delle quali sono alte due metri. Queste figure di idoli diventano più numerose nel corso del IV millennio e secondo Emmanuel Anati sembrano corrispondere alla fase iniziale delle statue-stele più antiche della Lunigiana, dell’Aveyron e del Tarn nella Francia meridionale. Nel corso del periodo II si moltiplica la raffigurazione della «paletta». Idoli e palette sono accompagnati da dischi solari. Anati ha fatto notare che gli idoli incisi su roccia devono essere confrontati con forme analoghe molto diffuse in Europa nel IV millennio: Francia, Italia, Europa centrale. Occorre insistere sul fatto che le rappresentazioni di oranti e del disco solare sono presenti in entrambi i millenni del Neolitico camuno, e ciò sembra indicare l’esistenza di un asse centrale dell’ideologia religiosa. Lo storico delle religioni vede in esse i segni di un culto solare che si collocherebbe al centro della religione dei Camuni.

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7. Ricostruzione secondo le prime fotografie di come fu trovato il sito megalitico di Knockmany, in Irlanda. I megaliti posti su una collina prospiciente la pianura mostrano evidenti segni astrali. Le pietre, secondo George Coffey, erano originariamente disposte per rilevare i solstizi e gli equinozi.

4. Figura che fa pensare a un idolo, ottenuta disegnando una maschera attorno a due fori naturali. Neolitico tardo, Luine, Valcamonica. 5. Graffiti rupestri scandinavi rilevati da Lauritz Baltzer. Gabriel Camps nota che il disco solare con raggi che si trasformano in mani è un motivo neolitico che troviamo anche in Spagna e in Egitto. 5

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6. Grande scena di oranti graffiti sulla roccia di Naquane, Valcamonica (vedi parte I, cap. 2, fig. 4). Appaiono diverse coppie di personaggi: l’uno con la testa, l’altro acefalo. In basso a sinistra, una figura con grandi mani e con raggi che emanano dal corpo. L’ultima figura in basso sembra essere mascherata con testa animale.


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Un’altra documentazione dell’arte rupestre è meritevole di attenzione. Si tratta delle statue-stele dell’Italia settentrionale (Alto Adige, Valcamonica, Valtellina, Valle d’Aosta, Liguria), della Francia meridionale e della Svizzera. Questi monumenti sono di due tipi: le statue-stele che presentano una figura antropomorfa e le statue-menhir, monoliti che recano una identica decorazione rupestre. Anati constata che un certo numero di queste statue-stele della Lunigiana è stato rinvenuto negli stessi luoghi in cui furono erette delle chiese medievali. È questo l’indizio di una permanenza del sacro. Alcune di queste statue furono mutilate e conservate nella cripta delle chiese cristiane, mentre nelle tradizioni popolari si è mantenuto il ricordo di un culto pagano. Queste statue-stele si trovavano spesso anche nei pressi di una fonte, di un corso d’acqua o alla confluenza di due torrenti (Pontevecchio). Talvolta, in prossimità del luogo del ritrovamento, sono stati dissotterrati i resti di costruzioni megalitiche. Un certo numero di queste stele antropomorfe sono maschili, altre femminili; ciò farebbe pensare a un culto funerario. Nella zona alpina italiana la decorazione di queste statue-stele è spesso divisa in tre fasce: in alto un insieme di simboli: un grande disco raggiante con accanto due dischi più piccoli, che secondo Anati starebbero a simboleggiare il cielo, la luce e il calore. Al centro sono rappresentate delle armi e in basso compaiono simboli della fecondità, della fertilità, della ricchezza. L’insieme fa pensare a una entità divina. Una tripartizione di questo genere, rinvenuta nell’area alpina,

8. Composizione monumentale, Capitello dei due Pini, Valcamonica. Di fatto questa composizione è spesso associata alle statue-stele non solo per la forma, ma per la concezione espressa. Siamo di fronte alla nota ripartizione di sole (in alto), pugnali (al centro) a rappresentare la terra, e fiume (in basso) come passaggio all’altro mondo, oppure campo arato, essendovi l’aratro in altre stele. Si può così percepire la tripartizione di sacerdoti, guerrieri e contadini, secondo l’ideologia indoeuropea formatasi nel Calcolitico. Si può però anche vedere il monumento in chiave antropomorfa: il corpo, i pugnali e la cintura. Asce e cervide accompagnano in basso la scena.

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9. Stele detta di Bagnolo II, Valcamonica. Si ripete quanto detto per l’immagine del Capitello dei due Pini (vedi anche parte II, cap. 10, fig. 2). Qui, al posto delle righe interpretabili come solchi-fiume, c’è l’aratro e accanto ai pugnali ci sono monili femminili. 10. Stele detta di Bagnolo I, Valcamonica. Qui lo schema del Capitello dei due Pini è ripetuto perfettamente. Il masso faceva parte del complesso megalitico (3200-2500 a.C.) di un luogo sacro. Siamo di fronte a una delle più importanti statue-menhir dell’arco alpino. Si tratta, secondo Emmanuel Anati, di un esempio classico della cosmogonia camuna, leggibile anche in forma antropomorfa. In alto il disco solare, al centro la terra rappresentata dalle armi, con ai lati due asce come fossero braccia. In basso una cintura, ma anche il segno dell’acqua come passaggio a un’altra vita.

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11. Stele di tipo Pontevecchio, Lunigiana, Italia. La stele reca un pesante pugnale del tipo calcolitico. 12, 13. «Due statue-stele dell’Alto Adige, da Termeno (12) e da Lagundo (13). Una serie di asce sembra raffigurare le multiple braccia dell’entità. Ambedue hanno un ‘cinturone a frange’, serie di linee parallele ondeggianti simboleggianti il fiume o l’acqua. Nel registro inferiore della stele di Lagundo compaiono due pugnali e un carro. È una delle più antiche raffigurazioni di un carro dell’Italia settentrionale (l’altro viene dai Massi di Cemmo, in Valcamonica). Il carro pare voler trasportare l’entità nel suo ‘viaggio’» (Emmanuel Anati). La stele di Termeno è conservata al Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck. 14a-b. Parti anteriore e posteriore di una statua-stele di Novocerkassk, Russia, nella quale secondo Emmanuel Anati si individua una stilizzazione simile a quella delle stele alpine. 15. Statua-stele di Caven, Valtellina. Si caratterizza per un aspetto geometrico-antropomorfo. Il capo o disco solare è affiancato da altri due dischi; all’altezza del corpo un grande monile. Il fiume o i solchi in basso si richiudono sul corpo dell’immagine separandolo dal resto.

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16. Ricostruzione dell’enorme complesso di megaliti a Carnac in Bretagna, Francia. «Dal V al III millennio a.C., 10.000 pietre, 100.000 tonnellate di granito (oggi ne resta la metà), furono estratte dalle cave, fatte rotolare e poi erette a gloria degli dèi di una società credente, potente, ingegnosa, gerarchizzata, molto organizzata» (Yves Coppens). 17. Le tombe a tumulo costituiscono il più antico esempio di sepolture megalitiche in Irlanda, risalente a un periodo compreso fra il 30.000 e il 2500 a.C. Il corpo centrale è rappresentato dalla tomba in se stessa, che consiste in una lunga stanza divisa in vari compartimenti destinati alle sepolture. Di fronte alla tomba veniva creato uno spazio semicircolare o circolare, delimitato da pietre fitte (menhir). Creevykeel, Contea di Sligo. 18a. Ricostruzione di Stonehenge in Inghilterra. L’insieme colossale di Stonehenge, «cerchio di pietre», è stato costruito dall’inizio del III millennio sino alla fine del I secolo a.C. Si tratta di una delle più monumentali costruzioni religiose e astronomiche concepite dall’uomo. 18b. La mappa mostra il momento di massima espansione del tempio di Stonehenge.

altrove è meno evidente. Cominciata verso la metà del IV millennio, l’erezione di questi monumenti è proseguita fino a circa il 2500 a.C., in pieno periodo calcolitico. Gli studiosi della preistoria hanno formulato diverse ipotesi a proposito del significato di queste stele cultuali dalla decorazione a tre fasce. Si può supporre che gli Indoeuropei siano arrivati nelle valli alpine intorno al 3200 a.C. La presenza di un simbolismo solare nell’area camuna, caratterizzato dagli oranti davanti al sole e da una serie di simboli solari, fa pensare a possibili influenze del culto astrale. Un altro monumento del Neolitico è di notevole interesse: il menhir, che compare sulle coste atlantiche a partire dal V millennio. La parola bretone menhir indica un solo grosso blocco di pietra piantato nel suolo. In Bretagna vi sono file di menhir particolarmente spettacolari, anche se i menhir sono diffusi in tutto il mondo. Monumenti di carattere cultuale, i menhir erano legati ai fenomeni celesti, al culto astrale. Oltre ai menhir di Locmariaquer e Carnac in Bretagna, quelli di Stonehenge vicino a Salisbury, nell’Inghilterra meridionale, hanno suscitato il maggior numero di interrogativi. Questo tipo di monumento, che risale al Neolitico, si è ingrandito a due riprese nel corso dell’età del Bronzo antico. Poiché è perfettamente orientato verso il sorgere del sole nel solstizio d’estate, è opinione sempre più diffusa che esso fosse un tempio solare. A partire dall’età del Bronzo il culto solare avrà uno sviluppo continuo in Occidente e in Oriente. Alcune incisioni scandinave raffigurano il disco solare, i cui raggi terminano con delle mani, che avanza verso alcuni oranti in piedi, con le mani alzate in atteggiamento di adorazione. L’uomo del Neolitico ha manifestato una predilezione particolare per i fenomeni celesti e questa tendenza andrà accentuandosi nel corso dell’età del Bronzo: i simboli solari si moltiplicheranno sia nell’arte rupestre scandinava sia nelle culture mediterranee. Nei riti funerari verrà introdotta un’innovazione importante: la cremazione del corpo del defunto, allo scopo di liberare il principio spirituale in modo che possa elevarsi verso il mondo celeste. Nell’Europa occidentale e meridionale questa nuova pratica funeraria legata al culto astrale darà avvio a un vasto movimento culturale e religioso, la civiltà detta dei campi di urne.

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13. LA CIVILTÀ DELL’INDO E LA RELIGIONE PREVEDICA

Dopo il 1922, scavi successivi nella valle dell’Indo hanno portato alla luce una prestigiosa civiltà dell’età del Bronzo, fiorita tra il 2500 e il 1700 a.C. Gli archeologi e gli storici la denominano in vari modi: civiltà prevedica, dell’Indo, di Mohenjo Daro, di Harappa, indusiana, mohenjodariana, harappana. Conosciuta soprattutto per le due grandi città splendidamente urbanizzate di Mohenjo Daro, l’antica capitale, e di Harappa, essa è attualmente rappresentata da circa trecento zone archeologiche già esaminate, in Pakistan e in India. Questa civiltà si distingue per la sua uniformità, per una architettura urbana in cui per la prima volta vengono usati mattoni cotti, per un’avanzata organizzazione sociale, per una economia agricola prospera e per una scrittura che fino ad oggi ha resistito a vari tentativi di deciframento. La scoperta della zona archeologica di Mehrgarh nel 1974, dopo quella di Mundigak, dimostra che questa civiltà è stata preceduta da una civiltà neolitica anteriore, i cui primordi risalgono al

1. La civiltà dell’Indo si distingue come una delle primissime società nella storia dell’umanità caratterizzate dalla costruzione di insediamenti metropolitani. Qui si vede la pianta della cittadella di Mohenjo-Daro, Pakistan: a) bagni con ampie piscine che fanno pensare a funzioni rituali oltre che igieniche; b) grande piscina; c) granai, fondamentali per il sostentamento della metropoli; d) luogo di assemblee. 2. Veduta della grande piscina.

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7000 a.C. e di cui essa costituì l’apogeo. Attualmente queste civiltà dell’Indo vengono messe in relazione con quelle dell’Eufrate. Gli specialisti impegnati a decifrare la scrittura di Mohenjo Daro dispongono oggi di 3.500 iscrizioni, sulle quali lavorano l’Università di Helsinki e i musei del Pakistan. Il crollo di questa civiltà indusiana, avvenuto verso il 1700 a.C., fu dovuto a guerre? Alle invasioni degli Indoeuropei? A una catastrofe naturale causata dalle piene dell’Indo? Quest’ultima ipotesi è attualmente la più considerata. La documentazione raccolta a Mohenjo Daro e nei diversi cantieri archeologici fornisce reperti preziosi per lo studio del comportamento dell’homo religiosus. Vi sono innanzi tutto migliaia di piccoli sigilli destinati a sigillare oggetti, ad autentificarli, a porli sotto la protezione di divinità. Vengono poi il repertorio decorativo delle ceramiche, le figurine femminili e maschili, le scene religiose, gli animali, gli scheletri e le tombe. I sigilli sono esempi di vera e propria maestria. Fabbricati in steatite, tagliati in rettangoli o in quadrati, levigati per mezzo di un abrasivo, recano una figura e un’iscrizione. Il personaggio principale è la dea, rappresentata su diversi sigilli e riconoscibile anche in numerose figurine femminili di terracotta. Sopra un sigillo di Mohenjo Daro è riprodotta una scena rituale straordinaria: la dea ha sul capo una corona a due corna, segno della sua maestà e della sua potenza; prostrata davanti a lei, una «sacerdotessa» tende un braccio in atteggiamento di offerta o di preghiera; dietro a questa si vede un capro dalla testa d’uomo, animale simbolico, da mettere forse in relazione con la fertilità procreatrice; sulla fascia inferiore vi sono

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3. Gli scavi di Mohenjo-Daro hanno permesso di liberare intere strade dell’antica città. 4. Ricostruzione di un famoso sigillo in steatite proveniente da Harappa, cm 4 x 3,9, circa 2500 a.C., conservato al Museo Nazionale di Karachi. La dea, adorna di bracciali, si trova in un albero sacro a forma di lira; davanti a lei un personaggio è prostrato in segno di preghiera e offerta, seguito da un capride con testa umana. Più in basso un corteo di figure femminili. Si tratta di un’antichissima scena rituale.

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5, 6, 7. Sigilli in steatite provenienti da Mohenjo-Daro, circa 2500 a.C. La scrittura non è ancora stata decifrata. Dobbiamo però pensare che questi animali avessero un significato sacro. 8. Sigillo con zebù in steatite, cm 3,75 x 3,9, proveniente da Mohenjo-Daro. Museo Nazionale di Karachi. Raffigurazione molto curata ed elegante, capace di esprimere la nobiltà dell’animale.

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9. Sigillo in steatite con unicorno ritrovato a Mohenjo-Daro. 10. Sigillo a forma di svastica proveniente da Harappa, circa 2500 a.C. British Museum, Londra. Le svastiche sono essenzialmente simboli benefici. I loro bracci si muovono in senso orario. Sono simboli solari, esprimono infatti il tragitto circolare del sole. In sanscrito svastika significa letteralmente «fattore (suffisso ka) di ben (su) essere (asti)». Se si invertisse il senso della rotazione, il beneficio muterebbe in maleficio. Il nazismo utilizzò la svastica con rotazione invertita dei bracci.

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11. Sigillo a forma di svastica proveniente da Mehrgarh. Terracotta, cm 3 x 3, circa 2800 a.C. Exploration Branch, Karachi. 12. Idolo femminile della civiltà dell’Indo. Figurina in terracotta proveniente da Harappa. Musée Guimet, Parigi. 13. Statuetta di donna seduta proveniente da Mehrgarh. Terracotta, cm 3 x 9,3, circa 3000 a.C. Exploration Branch, Karachi. 14. Statuetta di animale bovino proveniente da Mehrgarh. Terracotta in pasta rossa con pittura bruna, l. cm 8,4, h cm 5,4, circa 2.800 a.C. Exploration Branch, Karachi.

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15. Sigillo proveniente da MohenjoDaro, circa 2500 a.C. Personaggio con due corna nella posizione che sarà tipica dello yogin. 16. Danzatrice, bronzo proveniente da Mohenjo-Daro, circa 2500 a.C. Museo Nazionale, New Delhi. Si tratta di una delle prime realizzazioni artistiche in metallo dell’India. La postura, quasi concentrata prima di un passo di danza, ha reso famosa questa statuetta. È facile pensare a una danzatrice rituale.

sette giovani donne dalla gonna corta. La teofania della Grande Dea è inscritta in un pipal, un fico dalla linfa rossa, simbolo di fecondità. La presenza su altri sigilli di questa stessa scena rituale è segno dell’esistenza di una religione comune tra gli Indusiani. Alcuni altri sigilli presentano un dio seduto in posizione yogica, con una corona dotata di corna sul capo e un viso triplice. Davanti al suo trono passano degli stambecchi e intorno a lui si vedono una tigre, un elefante, un rinoceronte e un bufalo. Le corna simboleggiano la potenza, la corona è il segno del sole, il trono indica la maestà, tutti dati che troviamo anche presso gli dèi babilonesi. Questo dio è il padrone degli animali, forse prototipo di Shiva, creatore, signore delle bestie e principe dello yoga. La grande dea e il gran dio fanno pensare al simbolismo rinvenuto a Mureybet e ai personaggi di Çatal Hüyük. Ci troviamo nel contesto di una religione della fecondità, e siamo senza dubbio in presenza di un mito cosmogonico riccamente illustrato. I sigilli e le statuette ricordano le figurine del Neolitico dell’Europa centrale e potrebbero rappresentare divinità secondarie. Le sette giovani donne non sono forse l’espressione simbolica rituale del culto della Grande Dea creatrice della vita, protettrice della nascita e dell’infanzia, non sono forse simboli di santuari familiari che l’India conserverà in un culto alle sette dee? Un contesto di questo genere fa pensare alle numerose funzioni ricoperte dalla Grande Dea da Mureybet sino alla fine del Neolitico del Vicino Oriente e dell’Europa centro-orientale. Alla dea di Mohenjo Daro è associato il culto dell’albero sacro, simbolo della fecondità, della procreazione e della vita. Il ritrovamento di una figura sacerdotale suggerisce l’esistenza di una attività cultuale. Il deciframento della scrittura darà una risposta a queste ipotesi, formulate sulla base di un simbolismo molto ricco e comune all’Asia e all’Europa del Neolitico. Il tessuto religioso del pensiero, dei riti e dei culti doveva essere costituito da un’abbondante mitologia. Nel cimitero trovato a Harappa nel 1937 sono state rinvenute tombe dalle dimensioni insolite ma ricche di vasellame, di resti di offerte, di ornamenti, di perle, di specchi che testimoniano la credenza degli Harappani in un’esistenza ultraterrena.

14. LA RELIGIONE DELL’UOMO SUMERO-BABILONESE

Verso l’8000 a.C. a Mureybet sull’Eufrate, l’uomo ha creato le prime immagini della divinità. Intorno al 3000 a.C. nella Bassa Mesopotamia, i Sumeri misero a punto la scrittura cuneiforme. Questa geniale invenzione fu all’origine di una vera e propria esplosione culturale e religiosa, attualmente attestata da circa cinquecentomila documenti intelligibili. La scrittura cuneiforme, la prima dell’umanità, rappresenta un progresso mentale straordinario e ci permette di penetrare il pensiero dell’homo religiosus mesopotamico. Giunti in Mesopotamia nel corso del IV millennio, i Sumeri esercitano da subito una forte influenza sulle popolazioni di quella regione grazie alla costruzione delle grandi città-Stato di Nippur, Eridu, Uruk, Lagash, Ur e Mari. Gli Accadi, Semiti provenienti da ovest, si mescolano ai Sumeri e ne assumono la scrittura, l’arte e la cultura. I due pensieri religiosi si compenetrano reciprocamente. Si può quindi parlare di una religione mesopotamica, che si esprime dapprima in documenti sumeri e accadi, ai quali si aggiungono poi, a partire dal 2000 a.C., quelli babilonesi. Dopo l’VIII millennio l’homo religiosus del Vicino Oriente ha concepito il Divino come personale e trascendente. Per rappresentarlo egli ha moltiplicato le raffigurazioni umane. Questa tradizione prosegue con Sumer, Akkad e Babilonia, e va acquistando un nuovo spessore. Nella lingua sumera l’Essere divino è indicato dal vocabolo dingir, nella lingua accade da ilu. L’etimologia di queste parole ci sfugge, ma il loro senso è chiarito dalla presenza del disegno abbozzato di una stella. Questo ideogramma, che precede sempre il nome della divinità,

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1. Cono con iscrizioni di Urukagina, Tello (antica Girsu; Iraq), XXIV secolo a.C. Museo del Louvre, Parigi. 2. Calco di sigillo cilindrico con la raffigurazione di re Gudea, Tello (Iraq), seconda dinastia di Lagash, circa 2150 a.C. Museo del Louvre, Parigi. Il sovrano è presentato dal suo dio personale al padrone delle acque primordiali (può trattarsi di Enki) mentre la dea Lama intercede in suo favore. È una delle più antiche scene di presentazione di cui la glittica sarà ricchissima. Il grande dio seduto è contornato da vasi con acque zampillanti e si appresta a consegnare a re Gudea un vaso con l’Albero della Vita. Ricordando che in una delle sue statue è Gudea stesso a tenere il vaso, siamo di fronte a una sorta di scena di intronizzazione.

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3. Restituzione, in prospettiva, del Tempio ovale di Khafaja (Iraq), circa 2450 a.C. (da Heinrich 1982, e Delougaz 1940). «L’edificio dominava, con la sua massa enorme, l’insediamento circostante, e il santuario, situato sulla sommità di un’alta terrazza, doveva essere visibile da lontano, ricordando alla popolazione quali fossero i fondamenti dell’ordine sociale. La forma ovale della cinta muraria, molto difficile da integrare al resto della zona costruita, ha probabilmente un valore simbolico, e potrebbe evocare la matrice divina» (Jean-Daniel Forest). 4. Placca perforata, datata 2600-2300 a.C., Tello (Iraq). Museo del Louvre, Parigi. Davanti alla divinità il sovrano, nudo, innaffia l’Albero della Vita. Solo il re può stare così vicino alla divinità. Le scaglie in basso alludono alla montagna cosmica, a significare che i due personaggi dio e re sono sopra di essa. Il re, giardiniere, fa prosperare il suo popolo nelle norme poste dagli dèi.

significa che questa si trova nell’Alto, in Cielo. Il mondo divino è concepito come un mondo celeste e la vita terrestre è considerata come un riflesso del cielo. Pertanto l’astrologia diventa la scienza religiosa che collega il destino degli uomini alle volontà degli dèi e delle dee. Il divino si suddivide in numerose personalità alle quali sono affidati quattro grandi domini: il cosmo, gli astri, la natura, le città-Stato. Il più celebre dio nazionale sarà Marduk di Babilonia. Perpetuando le tradizioni protoneolitiche e neolitiche, i Sumeri e i Semiti rappresentano le loro divinità con sembianze umane e, come caratteristica principale, conferiscono loro la luce e lo splendore. Questa luminosità può diventare una forza irradiante, un bagliore luminoso intorno alla testa della statua divina, lo stesso alone luminoso che sarà ripreso dall’India, dall’Iran e dall’Occidente. Percepito dai fedeli, il fulgore risplende sugli abiti e all’interno dei templi e dei santuari. Il rito dell’incoronazione delle statue degli dèi e delle dee è fondamentale, poiché conferisce loro un potere soprannaturale. I testi delle epopee e delle preghiere dimostrano che l’homo religiosus mesopotamico attribuisce al sacro le sue autentiche dimensioni: trascendenza degli dèi, architettura sacra dei templi, arte sacra delle statue, ampiezza dei riti dovuta alla luce, al fuoco e alla mediazione dei sacerdoti. L’abbondante documentazione delle tavolette cuneiformi ci rivela poemi e miti che narrano della genesi degli dèi, del cosmo e dell’uomo. Questa prima storia santa, vera e propria raccolta di memorie dell’Oriente, è servita da archivio ai

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redattori delle tradizioni bibliche. In essa troviamo diverse versioni della creazione dell’uomo e del diluvio. Secondo alcuni miti l’uomo è stato creato dagli dèi affinché si addossasse i loro lavori ingrati e opprimenti, far abbondare le piante, ammucchiare le granaglie, organizzare le feste in onore delle divinità. La condizione umana è totalmente subordinata agli dèi e si trova al loro servizio. Gli dèi stabiliscono il destino di ciascuno per mezzo di prescrizioni e di decreti (i me). All’uomo incombe l’obbligo di riconoscere questi ordini divini e di eseguirli in totale sottomissione. Questo aspetto fa emergere una nota di pessimismo e mette in evidenza l’importanza fondamentale della divinazione. Sottomessa ai decreti divini, la vita dell’uomo si svolge in un tempo lineare e termina con la morte, che conduce l’essere umano nel regno di Nergal, dove egli non è più altro che un’ombra. Convinti dell’esistenza di tavolette divine che rivelano il destino, i Mesopotamici ritengono che esso si manifesti nei fenomeni naturali, e ciò spiega l’apparato estremamente complicato della loro scienza religiosa divinatoria. Anu, il dio supremo, è detentore della regalità primordiale e la fa discendere dal cielo sulla terra a beneficio degli umani. Il re sumero, denominato ensi, principe-vicario, viene scelto dallo sguardo del dio che si posa su di lui, poi, in segno di benevolenza e in preparazione all’investitura, il dio pronuncia il suo nome ad alta voce. Consacrato re e sacerdote, egli esercita il culto quotidianamente

5. Statuetta doppia di Nippur, prima metà del III millennio a.C. Museo Nazionale di Baghdad, Iraq. Nei templi sumeri sono state trovate molte statuette che erano esposte come probabili ex voto. Questa delicatissima scena di un personaggio maschile e di uno femminile che si tengono per mano ci dà uno spessore umano e religioso quasi contrastante con la incombente monumentalità delle ziggurat. 6. Statuetta regale, Uruk, circa 3000 a.C. Museo Nazionale di Baghdad, Iraq. La statuetta in calcare, di cui ci è pervenuto solo il busto, rappresenta il re, come spesso accade con tratti facili da riconoscere, quali la grande barba. Qui è rappresentato con i gomiti accostati al corpo e le mani sul petto in atteggiamento che ricorda gli oranti.

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7. Aqar Quf, Iraq, vestigia restaurate della ziggurat del XV secolo a.C. Il re cassita Kurigalzu fonda una capitale alla quale dà il nome Dur Kurigalzu (oggi Aqar Quf), a una trentina di chilometri a ovest di Baghdad; vi costruisce una ziggurat in mattoni crudi con rivestimento in mattoni cotti. L’edificio, che sussiste tuttora con un’altezza di 57 metri, doveva forse raggiungere i 70 ed era associato a tre templi, rispettivamente dedicati a Enlil, Ninlil e Ninurta. 8. Veduta del sito archeologico di Assur in Iraq e, sullo sfondo, la ziggurat.

tramite sacrifici di sangue e offerte. Oltre alle feste mensili della luna nuova e a quelle proprie di ciascun tempio, la Mesopotamia conosceva la festa dell’akitu, che segnava l’inizio del nuovo anno e del rinnovamento della vita e che veniva celebrata con pompe straordinarie. Ogni dio abitava nel suo tempio, sempre situato su una terrazza e ricostruito ogni volta nello stesso luogo sacro. Ma gli dèi abitavano anche in Cielo, dove i sacerdoti in occasione delle feste andavano a cercarli servendosi delle ziggurat, torri sacre a piani e munite di scale che permettevano l’accesso verso la volta celeste. La considerevole documentazione eucologica ci permette di farci un’idea della pietà regale, sacerdotale e popolare della civiltà mesopotamica. Nata nel fertile terreno del pensiero neolitico dell’uomo delle valli dell’Eufrate e del Tigri – un uomo impressionato dalla volta celeste e dalla luminosità degli astri, sensibile al sacro e cosciente dell’esistenza di un mondo divino – la religione mesopotamica costituisce la prima riflessione approfondita sul divino, sulla genesi degli dèi, del cosmo e dell’uomo e sulla condizione umana di fronte agli dèi, e rappresenta il primo tentativo conosciuto di comportamento coerente con cui l’uomo cerca di conformarsi ai decreti divini.

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15. IL MESSAGGIO RELIGIOSO DELL’EGITTO FARAONICO

1. Obelisco di Hatshepsut, Karnak. La parte superiore (pyramidion) era certamente rivestita d’oro e ricordava la lucentezza della collina primordiale creata dal dio Atum-Ra.

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La religione è l’humus nel quale ha messo radici l’insieme della civiltà dell’Egitto: arte, letteratura, scienza, medicina, architettura, astronomia, geografia, linguistica, politica, amministrazione e diritto. Per molto tempo gli egittologi e gli storici hanno ritenuto che il miracolo egizio si fosse prodotto come un’esplosione improvvisa all’inizio del III millennio, data dell’unificazione del Paese e dell’invenzione della scrittura geroglifica. Ma gli archeologi hanno portato alla luce numerosi documenti neolitici che sono la prova di un culto arcaico della dea della vita, parallelo ai culti orientali. Gli abitanti dell’Egitto non hanno cessato di stupirsi contemplando la natura: 2

ogni mattino, il sorgere del sole; mai pioggia, ma la piena annuale del Nilo e l’inondazione della Valle, che avveniva con una regolarità impressionante; acqua in abbondanza e un limo fertile per far crescere ricche messi; una terra nera coperta da una vegetazione lussureggiante sotto un cielo sempre luminoso. Con le parole tep zepi, «la prima volta», l’egizio indicava la creazione originaria, percepita come un’epoca nella quale erano emersi la terra, la luce e l’uomo, e il caos si era mutato in cosmo. A partire dall’inizio del III millennio, alcuni teologi hanno tentato di spiegare questo mistero. A Heliopolis si è pensato ad Atum-Ra, il dio solare creatore di una collina primordiale. Ogni santuario egizio sarà considerato come una copia simbolica di questa collina, che verrà riprodotta nella piramide e nell’obelisco con il suo piramidion. I teologi di Hermopolis hanno fatto intervenire tutto un simbolismo cosmogonico: collina originaria, isola di fuoco – un’allusione al sole – uovo del mondo, dio in un fiore di lotus. Menfi, capitale della prima dinastia, ha anteposto Ptah, il dio che crea con il proprio cuore e la propria parola, per mezzo della quale egli ha suscitato l’universo visibile e invisibile, le creature viventi, la giustizia e le arti. Ptah ha creato anche gli dèi e ha assegnato a ciascuno il suo posto nel Paese e nel cosmo.

2. I colossi del tempio grande di Abu Simbel come apparvero al celebre pittore inglese David Roberts nel 1838. Nacquero così le litografie che fecero il giro del mondo, come la presente. Se ogni tempio doveva essere per gli Egizi la replica della collina primordiale, certamente la visione che ne dà Roberts lo assimila realmente a una grande collina. 3. «La piena del Nilo», particolare di un bassorilievo proveniente dal tempio di Ramses II, Nuovo Regno, XIX dinastia (XIII secolo a.C.). La piena era un evento così centrale nella cultura egizia da essere spesso raffigurata e personificata in vari modi: qui è una giovane donna che porta una tavola con i simboli di tutto ciò che la piena reca fertilizzando la terra: papiro, loto, fiori, uccelli.

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4. La triade di dèi composta da Horus, al centro, e i genitori Osiride e Iside. Il culto di queste divinità prospera a lungo, sino in epoca ellenistica e romana.

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Gli egittologi hanno enumerato 753 divinità: signori divini locali, dèi e dee cosmici, dèi dei saggi. Tutti sono detentori di una potenza che l’egizio cerca di esprimere per mezzo di immagini, di simboli e di segni, da cui l’apparente stranezza delle rappresentazioni. La nozione di potenza è riprodotta per iscritto dal segno dello scettro regale. Le divinità sono rappresentate e impersonate da figure detentrici di potenza, e ciò conferisce un aspetto strano al pantheon egizio: corpo umano, animale, corpo umano e testa di animale. Ai suoi dèi, che egli considera come esseri personali, l’egizio ha attribuito nomi che esprimono alcuni loro tratti significativi: Amon = il nascosto; Neith = la terribile; Thot = il messaggero. Lungo tutto il periodo della sua storia l’Egitto ha mantenuto una doppia corrente di pensiero teologico: una riflessione sul Divino è coesistita all’interno di un politeismo espresso e vissuto nel culto. Lo stupore di fronte alla creazione ha condotto gli Egizi alla scoperta del mistero della vita e del suo carattere sacro, poiché essa è l’opera divina per eccellenza. Posta sotto la salvaguardia degli dèi, essa è rappresentata da un simbolo misterioso, il segno ankh, che troviamo già nella preistoria e che è stato ripreso dai cristiani copti. Il segno della vita è inciso sui muri dei templi, sulle stele funerarie, sulle statue. Gli dèi e le dee lo porgono al re, lo pongono sotto le narici del defunto per fargli respirare l’aria dell’eternità. Il faraone lo tiene abitualmente in mano. Ad Amarna (attuale Tell al-‘Amarna), Amenophis IV (1375-1357 a.C.), divenuto il re Akhenaton adoratore del dio Aton, accompagnato dalla regina Nefertiti si presenta davanti al disco solare per offrirgli la dea Maat, simbolo

5. Karnak, tempio del dio Amon (che significa «il nascosto»), Nuovo Regno, XVIII dinastia (XVI-XIV secolo a.C.). Grande statua le cui mani impugnano l’ankh, il segno della vita. Il tema della vita è al centro della fede egizia nella sopravvivenza. Il segno ankh è costituito da una T sormontata da un cerchio allungato e come geroglifico significa appunto «vita». Lo si trova nelle mani delle divinità delle quali la vita costituisce una prerogativa. Come si vede nell’immagine del faraone Akhenaton sotto il disco solare (vedi fig. 8), alcuni raggi si trasformano in ankh per raggiungere le narici dei sovrani e garantire loro il respiro.

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della verità e della giustizia. In risposta il dio-sole fa discendere il segno della vita sulla coppia reale. Il simbolismo della scena è suggestivo e riassume tutto un settore della teologia regale: il dio Aton è il creatore della vita; la coppia reale è responsabile del suo mantenimento e della sua permanenza. La vita umana esige un corpo, un cuore, uno spirito. Nella loro riflessione sul mistero dell’uomo gli Egizi hanno elaborato la teoria dell’unione delle forze vitali. Il ka, simbolizzato da due braccia alzate verso il cielo con le mani aperte, è il soffio divino, supporto dell’essere, principio della personalità e parte divina e vivente dell’uomo. Il ba o bai, la coscienza individuale, è il fondamento della

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6. Akhenaton tiene due segni dell’ankh al posto dei normali scettri e segni della regalità. Per Akhenaton l’ankh era un segno particolarmente venerato perché riguardava il rapporto diretto tra il dio Aton e l’uomo, senza bisogno di un pantheon di mediazioni. 7. Silhouette da una pittura. La coppia reale di Akhenaton e la regina Nefertiti con le loro prime tre figlie distribuiscono doni ai sudditi dal balcone del palazzo. Anche in questa scena, apparentemente di genere, la simbologia legata ad Akhenaton si manifesta: tutto accade sotto i raggi del sole che garantiscono luce e vita ai due sovrani perché distribuiscano giustizia a tutto il popolo. 8. Famosissima immagine su pietra di Akhenaton con moglie e primo figlio al seguito, sotto la pioggia di raggi del sole. Nuovo Regno, XVIII dinastia, periodo di Amarna, 1351-1334 a.C. Museo Egizio, Il Cairo. L’adorazione di Akhenaton per un unico dio non sarà perdonata dalla casta sacerdotale egizia.

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9. Il ka è rappresentato dal geroglifico costituito da due braccia rivolte al cielo, in forma di U; è l’evocazione di un abbraccio. In questa pittura nella tomba di Ramose, che fu governatore di Tebe sotto Amenophis III e Amenophis IV, si vede il particolare del corteo funebre: un gruppo di «piangenti» interrompe i trasportatori di suppellettili. In un certo disordine generale, al centro otto donne fanno con precisione il gesto del ka. Siamo all’apogeo della grazia della pittura egizia, ma con precisione l’artista ha voluto evidenziare l’aspetto simbolico.

11. Tuthmosis III (1490-1439/6 a.C.) come traghettatore, Nuovo Regno, XVIII dinastia. Camera mortuaria della tomba di Tuthmosis III nella Valle dei Re. Più che da pitture sulle pareti, la stanza sembra decorata da una calligrafia su papiro. I contenuti sono testi religiosi che concernono lo spirito del re più che la sua vita quotidiana. La scena vede Tuthmosis III nella funzione di nocchiero che su una barca di papiro trasporta il suo passeggero, una dea, attraverso le acque del mondo degli Inferi.

10. Geroglifico del ka.

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responsabilità. Akh è il principio immortale che raggiunge l’essere umano dopo la morte. Uniti al corpo zet, questi tre elementi fanno vivere l’essere umano fino al momento in cui la morte provoca la disgregazione della loro armonia. Attraverso l’imbalsamazione – che deve provvedere a mantenere intatto il cuore – si ricostruisce un corpo di eternità al quale viene restituito l’uso simbolico della bocca, delle narici, degli occhi e delle orecchie, mentre sul cuore della mummia viene deposto il libro Che il mio nome fiorisca (o Libro dei morti), che guiderà il defunto nella vita futura presso gli immortali, nel regno del dio Osiride o nella barca del dio Ra. La credenza nella vita ultraterrena è un dato costante della religione egizia. Gli Egizi erano preoccupati del mantenimento della creazione e della vita. Il

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12. Viaggio funerario. Tomba di Menna, Tebe, Nuovo Regno, XVIII dinastia, circa 1390 a.C.

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13. Rievocazione dei Campi di Iaru secondo il Libro dei morti. Pittura murale, Nuovo Regno, XIX dinastia, circa 1279 a.C. Tomba di Sennedyem, necropoli di Deir-el-Medina, Tebe. Preceduto nel tempo antico dai Testi delle Piramidi e dai Testi dei Sarcofagi, il cosiddetto Libro dei morti rappresenta una terza fase dello sviluppo della letteratura funeraria. Dalla XVIII dinastia (XVI secolo a.C.) fino al periodo romano, questo libro veniva posto nel sarcofago. Esso forniva al defunto, per il viaggio e per

il giudizio che lo attendeva, le formule magiche tratte per la maggior parte dai Testi dei Sarcofagi, con alcune reinterpretazioni. Si ritiene che tali formule facessero commuovere gli dèi. La pittura che è qui raffigurata mostra quanto avverrà al defunto se accettato nel regno di Osiride. Potrà vivere in una campagna da cuccagna, mietendo con la sposa spighe ricolme, sradicando lino alto e docile mentre tutto attorno vi saranno alberi ricolmi di frutti.

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faraone ne è il guardiano: egli è Horus, Signore del doppio Paese, figlio di Ra, successore di Osiride. Attraverso la doppia cerimonia dell’incoronazione, egli diventa pastore come Osiride, e il suo governo è un’opera divina; il suo trono rappresenta la collina originaria. Sacerdote, egli costruisce i templi, case degli dèi, e assicura il culto quotidiano tramite i sacerdoti da lui delegati. In ogni tempio il naos è il luogo segreto e sacro per eccellenza, residenza della statua del dio, cella del mistero divino dove ogni giorno, attraverso il culto, viene prolungata la perennità della vita. Ogni tempio è la riproduzione della collina primordiale. Il popolo non vi entra mai: resta sul sagrato e attende che i sacerdoti portino la statua del dio o della dea, in preparazione di una processione solenne

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in barca fino al Nilo. Maat è lo stato della creazione, della natura, dell’Egitto stabilito dagli dèi crea-tori. Essa è anche il diritto, l’ordine, la giustizia e la verità garantite dal faraone. Dono divino impersonato da una dea, essa è la norma fondamentale della vita umana. È verità nelle parole, giustizia negli atti e rettitudine nel pensiero. La religione egizia non è né una religione rivelata né una religione del Libro, ma è un’esperienza del sacro vissuta dall’uomo stupito davanti alla creazione e davanti allo splendore del cielo, l’uomo caratterizzato dal senso del Divino e dall’amore per la vita. Il suo messaggio ha lasciato un’impronta profonda nel pensiero dei popoli mediterranei.

14. Facciata del tempio fatto erigere da Ramses II e dedicato a Hathor e alla regina Nefertari, Nuovo Regno, XIX dinastia (1279-1213 a.C.). Trasferita nel 1964-1968 dalla sua ubicazione originaria ad Abu Simbel. Pur trasferiti per via della famosa diga, quanto detto sopra, alla fig. 1, riguardo alla visione di David Roberts, vale egualmente per questi templi, che sono vere montagne, a ricordo della collina primordiale.

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secondo vari autori, va messo in relazione con l’acqua e con una rete da pescatori.

16. LA CINA, IL DAO E LO YIN/YANG

(3) Vaso, sempre della cultura di Majiayao, scoperto nel distretto di Minhe, provincia del Qinghai. Opera di straordinaria bellezza compositiva. La cura degli artigiani esprimeva una vera creatività artistica e senso dell’importanza simbolica dell’oggetto. 1,3. Il Neolitico e le sue terrecotte per il culto dei morti. (1) Grande giara funeraria di accompagnamento per un defunto. Cultura di Majiayao, periodo Neolitico, circa 2300 a.C. Musée Guimet, Parigi. Proviene da un villaggio del Gansu in cui sono state scoperte molte necropoli. La giara, forse anche di uso quotidiano per conservare provviste, veniva poi utilizzata per conservare le offerte per un defunto o anche come sepoltura di un bambino. «Sembra che gli artigiani di Majiayao tenessero conto anche dell’angolo visuale nella decorazione dei loro pezzi funerari, come fossero destinati agli ‘spiriti dell’alto’» (Christine Kontler). Le giare sono ornate unicamente sui due terzi superiori, mentre ciotole e bacili recano spesso una decorazione completa. Il grafismo della giara,

A partire dal VI millennio, la Cina ha conosciuto l’agricoltura e la sedentarizzazione di popolazioni raggruppate in villaggi, le quali usavano levigare le pietre e cuocere ceramiche. Nelle tombe di questa civiltà neolitica gli archeologi hanno trovato vasellame in terracotta e resti di alimenti, segni della credenza in una vita ultraterrena. Numerosi documenti che risalgono alla dinastia Shang (17651122 a.C.), nell’età del Bronzo, attestano l’esistenza in quel periodo di una religione a due componenti: un culto a Shangdi, dio del Cielo e Signore dell’Alto, che governa i ritmi cosmici e i fenomeni della natura; e un culto degli antenati, particolarmente sviluppato intorno al re e alla dinastia. Nel 1028 a.C. l’ultimo re degli Shang viene sconfitto dal principe Zhou, che proclama la dottrina del «Mandato del Cielo» e inaugura una lunga dinastia (1121-222 a.C.). I testi menzionano il dio celeste Tian (Cielo) o Shangdi, divinità personale e antropomorfa che risiede nel centro del Cielo, chiaroveggente e onnisciente, protettore della dinastia. Continua anche il culto degli antenati. Testi e miti ci parlano di questo periodo antico, nel corso del quale i Cinesi alzavano il loro sguardo verso il Cielo, ne ammiravano l’ordinamento, specula-

2. Acquamanile tripode gui, in ceramica. Cultura di Longshan, provincia dello Shandong, fine del periodo Neolitico, fra III e II millennio a.C. Le forme cinesi del vasellame sono state dal Neolitico le più varie e le forme delle ceramiche cultuali di Longshan apriranno come modelli la strada ai bronzi cinesi e alle loro forme per i vari vasi sacri. Questo acquamanile era riservato all’acqua o al vino.

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Pagina precedente: 4. Il culto degli antenati si esprime anzitutto con Fuxi, il primo Augusto Sovrano considerato il fondatore della civiltà cinese, primo eroe, inventore dei mezzi giusti del governo secondo una storia generale della Cina apparsa nell’XI secolo. Fuxi viene spesso rappresentato con la sorella Nüwa e sono raffigurati con sembianze umane e in parte animali. Dipinto su seta, dinastia Tang, VII secolo d.C., trovato nella tomba 76 di Astana, provincia dello Xinjiang. Museo Provinciale dello Xinjiang, Urumqi. Questa iconografia è importantissima per il rapporto Terra-Cielo. Fuxi solleva con la sinistra la squadra, emblema della Terra quadrata, mentre Nüwa solleva con la destra il compasso, emblema del Cielo rotondo, scambiandosi così gli attributi. Il cielo infatti è maschile e la terra femminile. 5. Tramonto sul Fiume Giallo, simbolo della Cina. Questa visione ci permette, guardando verso il confine con la Mongolia, di ammirare ad un tempo la separazione e l’unione tra Cielo e Terra. 6, 7. Tra i manufatti di epoca neolitica con alto valore simbolico due sono da menzionare anzitutto: uno a forma di disco con foro circolare interno, e uno a forma di tubo troncato con l’esterno quadrangolare e l’interno circolare. All’inizio dell’era imperiale, il disco forato bi viene associato al culto del Cielo e il tubo cong alla Terra. Questi oggetti, trovati in alcune tombe, sono stati interpretati in vario modo. Decisamente non si sapeva che significato dessero loro gli artigiani e i committenti originali, ma l’interpretazione che la Cina stessa ne dà negli ultimi secoli prima della nostra era, cioè nei testi di inizio Impero, può far pensare che da tempo la preoccupazione di simboleggiare Cielo e Terra avesse influenzato queste forme, che per la loro purezza implicavano un alto investimento simbolico. Gli oggetti di giada qui riprodotti appartengono alla cultura di Liangzhu, periodo Neolitico, fra il 3000 e il 2000 a.C. Entrambi sono stati rinvenuti durante gli scavi condotti nel 1986 a Fanshan, provincia dello Zhejiang, e si trovano all’Institute of Archaeology and Cultural Relics Bureau dello Zhejiang. I nomi bi e cong li troviamo nei testi rituali del 300 a.C. TESTATINA 181


8. Retro di uno specchio di bronzo, periodo dei Regni Combattenti, V-III secolo a.C. Musée Cernuschi, Parigi. Gli specchi di bronzo con una superficie lucida e brillante per specchiarsi e il retro decorato con un anello sono stati rinvenuti in sepolture dell’età del Bronzo. Zhuangzi, grande figura daoista del IV secolo a.C., era preoccupato che l’uomo ritrovasse la sua vera dimensione e facesse ritorno al Cielo, alla sua natura primitiva e originale. «L’immagine dello specchio è onnipresente nell’opera del maestro Zhuangzi, che compara il cuore del saggio daoista allo ‘specchio del Cielo e della Terra’ capace di riflettere ogni conoscenza. Metafora dell’impassibilità e della passività perfetta del santo che reagisce alla natura senza agire per soddisfare i propri interessi» (Christine Kontler). Uomo, Terra e Cielo si integrano così in questo simbolo.

contrari correlativi che con il loro avvicendarsi tessono il divenire» e che compaiono nei testi filosofici del IV secolo a.C. Principio di dualità, fondamento di ogni cosa, simbolo di perennità e sistema di riferimento continuo della legge dell’universo, lo yin/yang è il contrasto tra l’ombra (yin) e la luce (yang). Il versante in ombra con il quale contrasta il versante al sole costituisce l’aspetto statico dello yin/yang. Il suo aspetto dinamico si realizza quando lo yin, ombra, viene a prendere il posto dello yang, luce. Questo simbolismo della polarità e dell’alternanza, già abbondantemente illustrato nell’iconografia degli Shang, rappresenta la totalità dell’ordine cosmico e dell’ordine umano. Yin/yang sono inseparabili, tuttavia sono soltanto delle modalità del Dao, che è il principio di unità, un Assoluto misterioso. Gli antichi miti fanno allusione al carattere paradisiaco dell’epoca primordiale, quando Cielo e Terra erano vicini. La loro separazione è avvenuta in seguito a un errore rituale, da cui la nostalgia cinese per le origini e il desiderio di ristabilire l’unità/totalità originale (houen-douen). Probabile contemporaneo di Confucio (551-479 a.C.) – un saggio, fedele al culto degli antenati, ai riti tradizionali e fondatore di un’etica della virtù –, Laozi si ispira ai miti arcaici e nel suo Daodejing, Il Libro della Via e della Virtù, pone al di sopra di tutto il Dao, assoluto, ineffabile, totalità primordiale, viva e creatrice, nato prima del Cielo e

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9. Schema dello yin/yang. 10. Confucio e Laozi proteggono Shakyamuni bambino, rotolo dipinto, inchiostro e colori su seta, dinastia Ming (1368-1644). British Museum, Londra. Questo affascinante dipinto illustra uno dei temi più popolari della Cina imperiale, l’accordo e l’interdipendenza delle tre tradizioni di saggezza, il confucianesimo, il daoismo e il buddhismo, riassunti nella celebre formula sanjiao yijiao: «Tre insegnamenti, Un insegnamento». Equivalenza non significa tuttavia uguaglianza e ciascuna delle tradizioni ha sempre tentato di ricreare l’unità a suo vantaggio. Così il dipinto del British Museum, che con ogni evidenza appartiene agli ambienti letterari, mette l’accento sulla supremazia di Confucio che presenta a Laozi il Buddha bambino. Se si tratta di mostrare sollecitudine e rispetto verso il rappresentante del buddhismo, si tratta anche di sottolineare la sua relativa giovinezza nei confronti degli insegnamenti della Cina e di valorizzare il ruolo attivo che vi ha svolto il confucianesimo. In una sintesi molto significativa, Laozi, con i piedi nudi, porta i segni di saggezza del Buddha, come la protuberanza del cranio e il punto tra le sopracciglia. Mentre le vesti e la cornice paesaggistica sono rese in modo convenzionale e velocemente abbozzate, il dipinto ci mostra, attraverso la straordinaria raffinatezza dei volti e l’eleganza dei gesti, l’eccellenza spirituale e morale dei fondatori delle tre grandi religioni cinesi. Pur in ambiente intellettuale e confuciano, il Dao resta una radice indispensabile.

vano sulla natura del cosmo e sul posto dell’uomo e inventavano simboli e riti per permettere all’uomo di conformarsi all’universo. In tali riti essi vedevano il segreto dell’armonia universale. Questi stessi riti erano la base del funzionamento dell’eterna triade «Cielo, Terra, Uomo», che resterà come un’impronta indelebile in tutto il pensiero cinese. L’universo è concepito come un immenso organismo del quale non si devono ricercare le origini né le cause. Questa originale concezione del sacro poggia sull’alternanza e la complementarità di due poli, yin e yang, che Nicole Vandier-Nicholas definisce «princìpi

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della Terra. Il Dao è la strada, la via, l’arte di mettere in comunicazione il Cielo con la Terra. È un principio immanente di ordine universale. Compiutosi nel corso di una lunga maturazione, il daoismo, sottolinea Claude Larre, è un atteggiamento di fronte alla vita. Fondato sul principio del Dao, sullo yin/yang, e influenzato da una complessa sovrapposizione di antichi riti cinesi, il daoismo è una Via nella quale si intrecciano filosofia, etica e religiosità. All’inizio della nostra era compare una forma nuova, una religione daoista di salvezza che propone ai propri fedeli di condurli all’immortalità. L’adepto del daoismo, il daozhi, crede nella presenza nel corpo umano di divinità e di spiriti portatori di vita. In questa religione, che possiede le sue scuole, i suoi templi, il suo clero, i suoi riti e i suoi abiti di culto, il fedele cerca di comunicare con il Cielo, di spiritualizzare il proprio corpo allo scopo di unirsi al Dao, divinità suprema, e, mediante la meditazione, tenta di scoprire la saggezza. La ricerca di una lunga vita e dell’immortalità costituisce l’obiettivo centrale del daoismo religioso.

1. Pellegrinaggio del Kumbha Mela del 2001. Il più numeroso raduno di tutta la storia dell’umanità in occasione di una festa. Nei due giorni più importanti della festa, il 22 e 23 gennaio, si ritiene che almeno 20 milioni di persone si siano ritrovati nello stesso luogo per festeggiare il sangam, vale a dire la confluenza dei due fiumi sacri dell’India, la Ganga (Gange) e la Yamuna, ai quali si riunisce un terzo fiume invisibile, il Sarasvati. L’immagine mostra l’entrata in acqua per il bagno rituale a Prayag (Allahabad), alle prime luci del giorno: è quello il momento per adempiere il rito. I fedeli si rivolgono devotamente alla luce prima del bagno; altre ritualità accompagnano il pellegrinaggio, ma indispensabile è l’attesa della luce per adempiere il rito principale. L’induismo nei millenni non ha mutato il suo rapporto con la luce, segno di divinità.

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11. Alla ricerca della via sulla montagna d’autunno, rotolo verticale del X secolo, Museo Nazionale del Palazzo di Taipei. Si tratta di una pittura di un monaco buddhista, Dong Juran, che seppe interpretare il carattere sereno dei paesaggi del Sud della Cina. Il dipinto, tuttavia, esprime anzitutto una tensione spirituale, come indica chiaramente il sentiero che conduce a un eremo. L’opera suggerisce così la via dell’Assoluto, percorsa nella comunione con la natura. Il daoismo ha penetrato profondamente la cultura e la mentalità cinese, influenzando anche il monaco buddhista che sembra in questo quadro darci una rappresentazione del Dao, la Via. 12

12. Grande ramo di bambù, inchiostro su seta, attribuito a Wen Tong, circa 1070, dinastia Song del Nord. Museo Nazionale del Palazzo di Taipei. Secondo la tradizione, Weng Tong avrebbe trascorso tutta la vita a contemplare e a dipingere bambù, seguendo, tramite queste attività, un cammino spirituale di progressivo perfezionamento. La canna del bambù, cava, è avvicinata al corpo dell’asceta, in cui i soffi interni possono comunicare. Nel bambù coincidono qualità opposte, come la leggerezza e la forza, la flessibilità e la resistenza. La pianta è vista come un simbolo del cammino di perfezionamento dell’uomo e il suo fruscìo segnala, talvolta, il raggiungimento dell’illuminazione.

17. RELIGIONI INDOEUROPEE E RELIGIONI DELL’INDIA

Nel corso del III millennio, dall’Indo all’Atlantico si spostavano gruppi di conquistatori che in origine avevano una lingua comune, una certa unità culturale e spirituale e una struttura sociale analoga. Gli eredi di questi colonizzatori, che vengono chiamati Indoeuropei, sono i popoli italico-celtici, indo-iranici, germano-scandinavi, ellenici, anatolici, slavi e caucasici. Per indicare la divinità essi utilizzavano la parola comune deiwo-, che si riferisce a un essere personale

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e luminoso. Questa parola deriva dalla radice dei-, «brillare, emettere luce», una parola che ha anche dato origine al nome del «cielo» e del «giorno». Perciò la religione degli Indoeuropei arcaici si presenta come una religione uranica, nella quale il Cielo è l’elemento centrale. Georges Dumézil ha mostrato che la società indoeuropea si articolava in tre funzioni, sacro, guerra e fertilità-fecondità, ciascuna rappresentata da uomini dalle attività ben definite: sacerdoti, guerrieri, agricoltori-allevatori. Il loro pensiero sugli dèi si esprimeva in una teologia tripartita: dèi sovrani, dèi della guerra, dèi della fertilità-fecondità. L’eredità religiosa indoeuropea si è sviluppata soprattutto in India. Al termine di una lunga tradizione orale, all’inizio del millennio precedente la nostra era furono redatti i quattro Veda, che attestano il culto in onore delle 33 divinità destinate alle tre categorie di funzioni. Gli dèi vedici Varuna e Mitra governano l’ordine cosmico ed esercitano la sovranità spirituale. Essi sono le divinità celesti. Varuna è il guardiano del rita, «l’organizzazione» del cosmo; Mitra è il dio del contratto, l’organizzazione tra gli umani. I due dèi sono complementari e solidali. A Varuna spetta la notte, a Mitra il sole e il giorno. Vishnu è il dio immanente, la potenza grazie alla quale esiste il cosmo. Esso è simbolo della

2, 3. Del grande complesso di costruzioni fatte edificare dal re Narasimha alla metà del XIII secolo con l’intento di glorificare Surya, il dio-sole (3), non restano, su una terrazza alta 5 metri, che il basamento della sala della danza (a destra nella foto), la sala delle udienze (al centro) e il basamento della torre-santuario (a sinistra). L’insieme raffigura il «carro del sole». Numerose statue monumentali sono inserite nelle nicchie esterne del tempio. Qui è riprodotta l’immagine di Vishnu-Surya (2): porta sul capo una sorta di tiara e sulla fronte ha il segno visnuita. Tutto in questa immagine richiama la solarità.

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4. Agni, il dio del fuoco, non è molto rappresentato perché lo si considerava continuamente presente in ciò che lo simboleggiava. Qui è riprodotto in una stele dell’XI secolo. 5. Nel grande santuario rupestre dedicato a Shiva nell’isola di Elephanta, presso Mumbai (Bombay), c’è una stanza in cui i visitatori si recano in pellegrinaggio e lasciano fiori. Vi si perviene da quattro porte, come si trattasse dei quattro punti dell’orizzonte, e al centro si trova il linga di Shiva, che in sanscrito significa segno o fallo. Il linga simboleggia la creatività biologica, psicologica e cosmica. L’andarvi in pellegrinaggio è perciò benefico per tutto uno spettro di espressioni umane. 6. Shiva Nataraja (re della danza), statua in bronzo, cm 80 x 96, epoca Cola, proveniente dal Tamil Nadu. Musée Guimet, Parigi. Shiva sta effettuando la danza cosmica che, per la potenza dei suoi ritmi, distrugge e ricrea i mondi. La danza riassume le cinque attività fondamentali del dio: creazione, conservazione, distruzione, illusione e grazia. Col piede destro Shiva respinge Apasmarapurusa, il demone che incarna il male e l’ignoranza. È inscritto in un cerchio di fiamme che richiamano il cosmo e tiene nelle mani superiori la fiamma che simboleggia la distruzione e il tamburo-clessidra a bocce sbattenti che scontrandosi ritmano la creazione ininterrotta dell’universo.

vita perpetua. Shiva è il tempo che permette all’Universo di esistere, ma è anche il distruttore di tale Universo. Dio creatore, Shiva pone fine al mondo per poi ricrearne uno nuovo: egli è il dio del tempo ciclico e dell’eterno ritorno, che ha segnato l’India con la propria impronta. Al centro della dinamica di questa mitologia si trova il dio Agni, il fuoco, messaggero degli dèi, fuoco celeste, fuoco del sacrificio, fuoco del focolare domestico. Messaggero, a lui è affidato il legame permanente tra gli dèi e gli uomini. L’homo religiosus indoeuropeo è stato impressionato dal fuoco del cielo disceso sulla terra. Eredi di tale pensiero, i bramini dell’India hanno visto nel sacrificio un principio cosmogonico. Così infatti l’inno al Purusha (Rigveda X,90) attribuisce l’origine del cosmo al sacrificio di Purusha, l’Uomo primordiale. Fondato sulla credenza nell’identità tra il fuoco celeste (sole, folgore) e il fuoco terrestre, il simbolismo cultuale del fuoco penetra tutta la ritualità induista. Il sacrificio ha un’importanza centrale nella società e viene celebrato mediante tre fuochi: garhapatya, il fuoco del padrone di casa, supporto del sacrificio; ahavaniya, incaricato di portare, tramite la fiamma, i doni degli uomini agli dèi; dakshinagni, fuoco che vigila contro i nemici. I tre fuochi pongono la società indiana in relazione con gli dèi. Alle origini di Roma, origini che recano l’impronta della tripartizione teologica e sociale, come indica Dumézil, i tre fuochi occupavano un posto privilegiato. Ogni focolare, costitutivo del tessuto della società, rappresenta uno spazio sacro. Perciò ogni mattina e ogni sera il padrone di casa deve riaccendere la fiamma che cova sotto la cenere: è l’agnihotra, attraverso il quale Agni unisce nuovamente la famiglia agli dèi.

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7. La pradakshina intorno alla città di Mathura, nell’Uttar Pradesh. Questa mappa a forti colori e adatta a un gusto popolare è in vendita nel luogo di pellegrinaggio di Mathura. Vi sono illustrati gli episodi della vita di Krishna secondo la tradizione e vi è disegnato il percorso che un pellegrino è invitato a fare prima di penetrare nella città. 8. Il tempio di Lakshmana, lato est, a Khajuraho, nel Madya Pradesh. L’antica capitale religiosa della dinastia Candella (930-1300) è celebre per i suoi templi in arenaria tenera color giallo. Il tempio di Lakshmana fu costruito nel 954 d.C. e dedicato a Vishnu. 9. Tempio di Prah Khan (la spada sacra), seconda metà del XII secolo, Angkor, Cambogia. Siamo sotto il regno di Jayaqvarman VII, nelle cui grandi costruzioni buddhismo e induismo sono compresenti. Prah Khan nasce come monastero buddhista e porta molti segni dell’induismo. Nell’immagine vediamo due eremiti scolpiti dentro nicchie. L’interiorizzazione del sacrificio conduce molti all’eremitaggio.

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All’epoca della redazione dei Brahmana (trattati rituali dell’VIII secolo a.C.), la mistica del sacrificio e dell’immortalità mediante il sacrificio introduce l’idea di un dio creatore, Prajapati, signore delle creature e primo sacrificatore. Con questa teologia e con i riti il sacrificio si pone dunque come elemento centrale della religione dell’India brahmanica. Il suo scopo è la ricostruzione del cosmo logorato dai mutamenti del tempo ciclico. Per il brahmanesimo è il sacrificio che mantiene in vita il cosmo. Prajapati è il Creatore, è il Sacrificio ma è anche l’Anno, simboleggiato dall’altare, poiché grazie al sacrificio egli garantisce il susseguirsi delle stagioni, la fecondità umana e animale e la fertilità della terra. Questa mistica del sacrificio, origine e conservazione della vita e generatore di immortalità, si perpetuerà in India nella cremazione del cadavere, simbolo di immortalità. Nel VI secolo a.C. le Upanishad vediche costituiscono l’ultima tappa della shruti o «rivelazione», verità eterna udita alle origini dai rishi, personaggi mitici, testimoni della proclamazione del Veda. Nei testi delle Upanishad, dove le speculazioni filosofiche prendono il posto dei riti, viene operata una vera e propria interiorizzazione del sacrificio. Il Brahman, l’Assoluto, diventa una ipostasi del Veda e dei valori della società indiana. Il correlativo umano di questo Assoluto è l’atman, principio immortale che nell’uomo è chiamato a liberarsi dal corpo per poter raggiungere la perfetta identità con il Brahman. Il mokhsha, o salvezza dell’uomo, non si realizza più nei riti sacrificali del fuoco, ma nel fuoco interiore dell’ascesi e della conoscenza. Il karman, o frutto degli atti, offre all’uomo la certezza che ogni buona azione lo avvicina alla liberazione mediante l’affrancamento dal samsara, il perpetuo ritorno in un corpo. Verso il IV secolo a.C., subito dopo la scossa provocata dal buddhismo, si sviluppa la bhakti, religione di devozione e di pietà popolare organizzate intorno agli dèi Shiva, Vishnu e Krishna. A partire dal documento fondatore intitolato Bhagavad-Gita, «canto celeste», si diffonde la «rivelazione» di Krishna, la rappresentazione delle divinità, la fioritura artistica e la costruzione dei templi, dove i fedeli verranno a compiere le loro offerte alla divinità che si sono scelti.

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18. IL MESSAGGIO DI ZARATHUSTRA

1. Ipotetica raffigurazione degli attributi simbolici di Ahura Mazda. A Bisutun un rilievo celebra la vittoria di Dario I su Gaumata e altri ribelli. Dario visse a cavallo tra il VI e il V secolo a.C. e portò al massimo l’espansione dell’Impero achemenide. Con lui si operò una conversione religiosa dei Persiani tramite Zarathustra (Zoroastro). «Nel rilievo di Bisutun c’è un busto umano barbato e dotato di copricapo, rappresentato non in modo frontale, che fuoriesce da un disco alato, posto di fronte al sovrano achemenide. Non tutti gli studiosi concordano con l’interpretazione di questa simbologia, tuttavia è evidente la sua associazione con la divinità. L’elemento circolare stretto nella mano destra sarebbe un ulteriore simbolo di gloria concessa dal dio a Dario». Questa notazione di Giovanni Curatola dà sostegno al disegno ipotetico. La ruota alata è inoltre il simbolo del cielo. 2, 3. Naqsh-i Rustam, Iran, tomba achemenide (3). Lo schema decorativo ripetuto è sempre il medesimo: una teoria di personaggi (popoli sottomessi)

Dopo la fine del II millennio a.C. alcune popolazioni indoeuropee occuparono l’antico Iran: troviamo qui numerose tracce di una tripartizione delle divinità e della presenza di tre classi nella società. Sacerdote e profeta, Zarathustra visse nella parte nordorientale del Paese all’inizio del I millennio a.C., in una civiltà feudale e in mezzo ad agricoltori-allevatori. Contrario ai sacrifici di bovini, egli avvia una riforma dell’antica religione, sopprime il culto sacrificale per sostituirlo con l’offerta spirituale, mantiene il fuoco come simbolo della verità e presenta la propria dottrina come rivelazione ricevuta dal Dio supremo Ahura Mazda. Di questa dottrina ci restano 17 inni, le Gatha, che i compilatori dell’Avesta, il libro sacro dell’Iran, hanno inserito nello Yasna, raccolta sacerdotale e cultuale. Nell’antico filone ariano Zarathustra ha trovato la nozione di un dio personale, un essere di luce, come pure l’idea delle tre funzioni divine, sacro, guerra, fertilità-fecondità. Il riformatore mette in evidenza un Dio che risiede nella luce, e di cui il cielo costituisce l’abito: è Ahura Mazda, il Signore Saggio che sa tutto e vede tutto. Egli è circondato da sei arcangeli che si spartiscono le tre funzioni divine indoeuropee, tuttavia in un contesto totalmente spiritualizzato. La religione mazdea, che si costituirà dopo la morte del Profeta, li chiamerà Amesha Spenta, Immortali Benefattori. Vohu Manah, il Retto Pensiero, e Asha, la Giustizia, sono i dispensatori del sacro e assomigliano a un fuoco che

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risplende: essi partecipano alla creazione, aiutano Ahura Mazda a governare il mondo e a istruire gli uomini. Kshathra, l’Impero, conduce la battaglia mistica contro il male e la menzogna e collabora con Ahura Mazda alla costituzione del suo regno. Armaiti, la Devozione, dedica le proprie energie al servizio dei fedeli. Haurvatat, la Salvezza, e Ameretat, l’Immortalità, sono la ricompensa dell’uomo pio. Affrontando il problema del bene e del male, della verità e della menzogna, Zarathustra pone da una parte Spenta Mainyu, lo Spirito Buono, autore della vita e ispiratore delle azioni umane, inseparabile da Ahura Mazda, dall’altra Angra Mainyu, lo Spirito Cattivo, nemico della verità, ingannatore, distruttore

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sorregge il trono sul quale il sovrano siede e davanti a lui arde il fuoco da un pireo. Sopra è scolpita l’immagine della divinità suprema, Ahura Mazda, in forma schematica (2). Molto interessante è la fascia orizzontale (quella con la porta), profilata come un’architettura dalle alte colonne con capitelli; indubbiamente è un’immagine preziosa che ci permette di intendere come dovessero apparire i palazzi della limitrofa Persepoli.

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4, 5, 6. Palazzo di Dario a Persepoli, Iran (5), con bassorilievo lungo una rampa della scalinata in cui un leone aggredisce un toro (4) e particolare (6). Siamo di fronte a una simbologia fondamentale del mazdeismo, il messaggio di Zarathustra in forma estremamente plastica: il leone, aggredendo e vincendo il toro, rappresenta la lotta vittoriosa del bene sul male, la forza della verità sulla menzogna. CosÏ a basamento dell’intero complesso del potere achemenide, oltre ai famosi bassorilievi delle guardie e dei tributari, le due scalinate invitano chi sale alla elezione del bene contro il male, elezione sulla quale si giustifica anche il potere del sovrano.

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dell’ordine e della felicità, circondato dai daiva, i demoni. L’uomo si trova di fronte alla scelta ineluttabile tra il bene e il male. Questa scelta è un comando del Signore Saggio: i due precetti sono la conservazione della vita e la lotta contro il male. Le buone azioni costituiscono una lode ad Ahura Mazda, e come ricompensa procurano una lunga esistenza. La menzogna e le cattive azioni riceveranno la punizione meritata. Vengono così a crearsi due comunità di uomini: i fedeli e i perversi. Zarathustra ha annunciato una trasformazione della condizione umana e una trasformazione del mondo (frashokereti): è l’abolizione del tempo ciclico. La sua teologia imperniata sul Signore Saggio, la sua esaltazione della verità, il risalto attribuito alla saggezza e alla conoscenza evidenziano la novità del suo messaggio religioso. Attraverso il profetismo delle Gatha si avverte anche l’importanza data al culto mediante il canto degli inni. Zarathustra si colloca all’interno del movimento profetico che, nel corso del I millennio a.C., dà sollievo all’umanità e segna un’autentica svolta.

7. Grande ivan (costruzione a nicchie che perdurerà nel mondo persiano anche in epoca islamica) del sasanide Cosroe II (540-628), Taq-i-Bustan, Iran. Siamo mille anni dopo gli Achemenidi e dopo l’introduzione del mazdeismo nel mondo persiano. È evidente come la presente costruzione sia carica di riferimenti romani ed ellenestici. Le figure alate che reggono l’anello/diadema del potere, anziché rappresentare delle «vittorie», sono probabilmente la raffigurazione di due divinità zoroastriane: Haurvatat e Ameretat. Dentro l’ivan Cosroe II riceve i segni del potere sia da Ahura Mazda che da una dea, Anahita. Le tre figure sono eccezionalmente scolpite in modo frontale. Siamo di fronte a un’opera che fa memoria della vittoria sasanide di Taq-i-Bustan e non è un esempio di stile iconografico normale, ma quel che conta è la ripresa dello zoroastrismo nella cultura, dopo che era stato soppresso dal periodo partico della Persia, durante il quale era stato introdotto il pantheon ellenistico.

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8. Investitura di Ardashir I (224-241 d.C.) da parte di Ahura Mazda, Naqsh-i Rustam, Iran: le figure sono ieratiche e l’incontro, il contatto, è dato dalle teste degli animali, con una zampa anteriore sollevata, un enorme tugh (una specie di palloncino; segnale visivo che si trattava non di un cavallo qualsiasi, ma della monta di un dio o di un re) e le teste piegate in avanti con gli orecchi che si toccano: è visibile e palese la straordinaria corrente di energia che passa tra i due cavalli. Ideologicamente i due momenti, vittoria sul nemico e investitura, sono unificati in un unico racconto di alta valenza simbolica.

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9. I resti del tempio del Fuoco e il lago di Takht-i Sulaiman, Iran. Molti resti di edifici di epoca sasanide originalmente considerati luoghi di culto sono oggi visti con funzioni più complesse. La definizione stessa di «tempio del Fuoco» deriva da fonti islamiche per l’età sasanide. I soli edifici religiosi analizzati secondo un tale criterio sono a Turang Tepe (VIII secolo) e a Takht-i Sulaiman.

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10. Considerato anche come tempio del Fuoco, oggi a Bishapur, Iran, esiste un edificio di culto dedicato alla dea Anahita, che abbiamo visto con Ahura Mazda accanto a Cosroe II nell’ivan di Taq-i-Bustan a lui dedicato. Anahita è la divinità delle acque e della fertilità. Questa struttura templare di enorme semplicità mantiene intatto un notevole fascino.

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19. RIVELAZIONE DI DIO E RELIGIONI MONOTEISTE

1. Silhouette di un vetro tondo custodito nell’Israel Museum di Gerusalemme. Vi si trovano raccolti alcuni grandi simboli della religione di Israele. L’arca, intesa come l’armadio in cui sono conservati i rotoli della Torah nella sinagoga. Il termine proviene dall’Arca dell’Alleanza (nell’illustrazione ci sono due colombe ai lati) e dall’arca in cui si rifugiarono Noè e la sua famiglia e gli antenati di tutti gli esseri viventi durante il diluvio. La menorah, il candelabro a sette braccia, il cui braccio centrale simboleggia il sabato, giorno in cui il Signore si riposò dopo i sei giorni della creazione. Lo shofar, il corno di ariete che dà l’inizio alle feste. Mosè gli parlava e dio gli rispondeva con la voce del tuono. Il corno riproduce la voce numinosa, il rumore del vento e del tuono. L’albero stilizzato come segno di fertilità. 2. Nel suo monumentale lavoro di preparazione alle 17 grandi tele che costituiscono il corpus principale del Messaggio Biblico esposto all’omonimo museo di Nizza, Marc Chagall ha svolto molti lavori preparatori, tra cui un centinaio di pastelli. L’illustrazione mostra la parte destra di un pastello il cui tema è «Mosè davanti al roveto ardente» (1960-1966). Siamo di fronte alla teofania che provoca la svolta nella storia religiosa di Israele; sopra il roveto ardente c’è l’angelo, che in realtà è Dio in persona che parla a Mosè. Nel pastello di Chagall, Mosè, anziché fissare il roveto che brucia e non si consuma, ci appare in ascolto della parola che sta ricevendo.

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LA RELIGIONE DI ISRAELE Il nostro cammino lungo il corso della storia ci ha mostrato l’uomo alla ricerca di Dio. Nel III millennio a.C. l’homo religiosus della Mesopotamia moltiplicava le immagini divine e conferiva ai propri dèi un volto umano. I testi affermano che l’uomo si affezionava soprattutto al «suo dio», il quale diventava il suo compagno di strada e di cui egli eseguiva gli ordini. All’inizio del II millennio a.C. in Mesopotamia accade un avvenimento che ha una portata storica straordinaria: Dio si rivela ad Abramo e lo sceglie per farne il capostipite del popolo di Israele. Gli promette una posterità numerosa e, a partire da questa elezione divina, Abramo si sente vicino al proprio Dio, che cammina con lui e al quale egli si lega con una fede totale. Entrato nella storia, questo Dio diventa il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe». I patriarchi lo identificano proprio con questo nome. La storia diventa una storia santa riferita da un Libro, la Bibbia, il Libro sacro di Israele. Alcuni secoli più tardi la teofania del Cespuglio ardente provoca una svolta importante nella religione di Israele. A Mosè, fuggito dall’Egitto, Dio si manifesta in un fuoco e gli dice: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Esodo 3,6). Nel corso di questa teofania questo Dio personale di Abramo e dei patriarchi rivela il proprio nome, Jahvè: «Io sono con te» (3,12), «Io sono colui che sono» (3,14). Dio rivela questo nome a Mosè come garanzia della propria presenza per il suo popolo. Oltre a questo

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3. Veduta del monte Sinai nella penisola arabica. «L’episodio del Sinai rappresenta il punto culminante in senso proprio e figurato dell’epopea dell’Esodo. È l’evento fondatore della tradizione mosaica, perché è in questo luogo che Dio si è nuovamente manifestato (teofania), ha consegnato la Legge, la Torah, codificata in particolare nel Decalogo (i ‘dieci comandamenti’) e concluso l’alleanza con il suo popolo. Siamo di fronte a una montagna sacra, sacra in quanto ha messo Mosè e con lui un intero popolo in rapporto con Dio» (Gérard-Henry Baudry). Dopo di ciò non c’era bisogno di un tempio, bastava l’Arca con la Legge conservata in una tenda nomade dove solo il profeta poteva entrare.

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segno di alleanza, egli aggiunge che la terra sulla quale si trova Mosè è consacrata. La Bibbia riferisce poi una serie di avvenimenti che presenta come stabiliti da Jahvè: missione di Mosè in Egitto, Pasqua di Israele, cammino verso la terra promessa, teofania del Sinai, alleanza di Jahvè con il suo popolo. Il Dio dei patriarchi diventa il Dio dell’Alleanza, che chiama Israele «mio popolo». Nella teofania del deserto Jahvè si manifesta come signore della natura (pioggia, montagna fumante) e come il Dio che guarisce. Sulla montagna il Dio dell’Alleanza, Dio nazionale di Israele, rivela al suo popolo la sua legge e i suoi comandamenti. L’essenziale della rivelazione è condensato nel Decalogo. La tradizione ebrea assegnerà la priorità alla Legge (Torah) di Mosè come fondamento definitivo della religione e della vita sociale del popolo di Israele. Il culto di Jahvè rifiuta i sacrifici pagani, gli idoli e i rituali agrari. La fede diventa il nuovo statuto dell’homo religiosus. Di fronte alle ierofanie cosmiche il fedele percepisce la teofania di Jahvè e la sacralità della «Persona divina», la quale è il Dio vivo che si rivela nella storia, al punto che la storia stessa diventa una teofania. Jahvè disapprova ogni rappresentazione che vorrebbe identificarlo con un essere creato, con una forma di divinità dall’aspetto di uomo o di donna, con il sole, con la luna o con le stelle (Deuteronomio 4,16-19). I Salmi

4. Antico rotolo della Torah, Tiberiade, Israele. La Torah si riferisce tanto alla Bibbia ebraica (in particolare ai primi cinque libri) quanto al complesso di insegnamenti riguardanti la tradizione ebraica e ai metodi per studiarli. Poiché i metodi e le interpretazioni che costituiscono una parte della Torah subiscono continue aggiunte, la Torah non è soltanto la storia di ciò che accadde a un gruppo di persone migliaia di anni fa. Essa rimane fonte di rivelazione, nel tempo, per le nuove generazioni di ebrei.

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5. Il Tempio di Salomone, affresco della sinagoga di Dura Europos (Siria), III secolo, Museo Nazionale di Damasco. La costruzione del Tempio di Gerusalemme è legata all’idea che la delimitazione dello spazio sacro abbia un valore cosmico: «costruì il suo tempio alto come il cielo e come la terra stabile per sempre» (Sal 78,69). Si tratta di una nozione che ha alcuni nessi con quella – diffusa nell’antichità – della costruzione di un edificio come ripetizione della cosmogonia. In età tardoantica, questo concetto

è ripreso esplicitamente. Giuseppe Flavio ritiene che i tre settori del Tempio corrispondano alle tre parti del mondo: mare (atrio), terra (il «Santo»), cielo (il «Santo dei Santi»). In uno scritto del V secolo, il versetto dei Proverbi «La sapienza si è edificata una casa» (9,1) è interpretato da quattro maestri con l’identificazione della casa con la creazione del mondo, la costruzione del Tempio, la Torah e l’Arca dell’Alleanza.

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6. Particolare della maquette definitiva, con tecnica mista, realizzata da Marc Chagall per la vetrata della Pace del Palazzo delle Nazioni Unite a New York, 1963-1964. È Isaia, conscio della sofferenza e confidente nel Signore, in una postura che porta alla interiorità. Il messaggio profetico di Isaia che parla del servitore del Signore è riproposto da Chagall al mondo d’oggi come condizione per la pace.

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cantano la potenza di Jahvè, creatore del cielo e della terra, della luce e degli uomini, e riprendono il tema della Genesi (9,4). Jahvè ha fatto l’uomo a propria immagine. Il culto del Dio unico viene celebrato nell’unico Tempio costruito sulla montagna santa di Sion. Messaggeri del Dio dell’Alleanza, i profeti contribuiranno affinché i fedeli approfondiscano la conoscenza della fede. Nel IX secolo a.C. Elia si erge come il difensore intransigente di Jahvè di fronte ai culti siriani. Verso il 740 a.C., nel tempio, Isaia ha una visione grandiosa che lo induce a proclamare la santità di Jahvè assiso sul suo trono alto ed elevato (6,1) e, con una formula lapidaria, distingue la santità del Dio di Israele dalla sacralità delle religioni pagane. La legge di santità (Levitico 17-26) esige uno statuto speciale: sacerdozio consacrato, offerte, sabati e feste consacrate e un popolo santo a immagine della santità di Jahvè. I precetti della morale e della giustizia vengono proclamati in nome della santità di Dio. È stato lo stesso Jahvè a dare al suo popolo la legge di santità, e gli dà anche la saggezza che completa la sua educazione. I Salmi riecheggiano la fede, la santità e la saggezza dei fedeli. Già nella Genesi (49,8-12) si parla di un sovrano al quale i popoli obbediranno: è la radice del messianismo regale. Nel Deuteronomio (18,15-22) Mosè annun-

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cia che Dio susciterà nel suo popolo un profeta simile a lui: questo testo pone le fondamenta del messianismo profetico in Israele. Isaia parla del «Servitore di Jahvè», che attraverso la sua sofferenza prepara l’avvento del Regno universale di Dio, e annuncia la nascita dell’Emmanuele (Isaia 7,14). Il mondo rinnovato sarà retto da un re che governerà nel nome di Jahvè: egli sarà «l’Unto del Signore». Daniele (7,13) introduce la figura del Figlio dell’Uomo, un personaggio celeste che riceverà da Dio il potere su tutti i popoli. È l’affermazione del Regno definitivo di Dio e la preparazione in Israele dell’attesa del Re messianico. Gli Esseni di Qumran vivranno in questa attesa di un Messia sacerdotale e reale, figlio di David.

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GESÙ CRISTO E LA RELIGIONE CRISTIANA Le origini del cristianesimo sono necessariamente da mettere in relazione con Gesù di Nazaret, poiché la religione cristiana si presenta come la religione della quale egli è il Fondatore. Per lo storico moderno, documenti alla mano, il movimento cristiano è nato in Palestina, e ciò implica l’esistenza storica del Gesù di cui parlano i Vangeli. Parecchie scoperte recenti sembrano confermare le posizioni di alcuni esegeti che collocano la redazione dei primi testi, tra i quali quello di Marco, verso la metà del I secolo. Storicamente tutta la tradizione evangelica è radicata in alcuni avvenimenti vissuti dal gruppo dei Dodici, stabilito da Gesù per averli con sé e per inviarli a predicare. È appunto a partire dalla loro

10. «Ecco si aprirono i cieli e Giovanni vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dai cieli dire ‘questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto’» (Mt 3,13-17). Come Marco, Matteo conferma la dimensione profetica e cristologica nel descrivere il Battesimo di Gesù. Miniatura dell’Epifania, Menologio di Basilio II, 985. Codice Vaticano Greco 1613, Biblioteca Apostolica Vaticana.

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7. Il sito di Qumran sulla costa occidentale del Mar Morto, luogo di insediamento di una consistente comunità di esseni nel II secolo a.C. 8. Giara di argilla che conteneva il Rotolo del Tempio, uno dei numerosi manoscritti ritrovati a Qumran. 9. Documento di Damasco (4Q 271). Tratta della persecuzione dei membri di un gruppo cacciato da Gerusalemme «nel Paese di Damasco».

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testimonianza che noi apprendiamo il messaggio fondatore del cristianesimo. I Vangeli sinottici collocano la ripresa dell’annuncio messianico all’inizio della vita pubblica di Gesù. Dopo il racconto del Battesimo, Marco scrive (1,10): «E subito, uscendo dall’acqua, vide i cieli aperti e lo Spirito in forma di colomba scendere sopra di lui». La dimensione profetica e cristologica di questo testo è evidente. Essa è confermata dal titolo di Figlio dell’Uomo rivendicato da Gesù (Mt 10,23; Lc 22,68). Le sue prime predicazioni annunciano la venuta del Regno di Dio, che egli dichiara essere molto vicina (Mc 1,15). Inoltre egli

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11. Miracolo delle nozze di Cana. Gesù, identificato dalla croce, indica gli otri d’acqua da utilizzare come vino. Particolare della cattedra di Massimiano (VI secolo), Museo Arcivescovile di Ravenna. 11

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12. Resurrezione del figlio di Giairo, particolare di un sarcofago dell’inizio del V secolo. Musée de l’Arles Antique, Arles. 13. Trasfigurazione. Mosaico absidale del VI-VII secolo del Katholikon, la chiesa principale del monastero di Santa Caterina presso il Sinai, in Egitto. Inizia con questo mosaico l’iconografia della Trasfigurazione che influenzerà sia tutto il mondo cristiano-orientale e bizantino, sia l’Occidente europeo sino a Raffaello. L’iconografia mette in luce il contrasto

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proclama che è giunto il tempo del compimento delle profezie (Lc 4,28-29) e i discepoli comprendono che Gesù è ad un tempo il Profeta annunciatore del Regno e il Messia. Ai loro occhi la sua venuta è quella del Regno dei Cieli. Le parabole di Gesù costituiscono la forma primitiva dell’annuncio del Regno di Dio e i miracoli sono offerti come segni, come gesti efficaci dell’inaugurazione del Regno. Parabole e miracoli si richiamano reciprocamente. Gesù stesso ha parlato dei miracoli come di segni del Regno (Mt 11,5); egli ha persino collegato esplicitamente la venuta imminente del Regno di Dio alla propria azione di taumaturgo (Mt 12,28; Lc 11,20). I suoi miracoli danno inizio alla trasformazione del mondo presente. Gesù si mostra come inauguratore di una nuova via di salvezza e, prima ancora della sua resurrezione, i suoi apostoli lo riconoscono come Figlio di Dio. Il rapporto tra Gesù e il «suo» Dio si esprime mediante i legami della paternità

e della filiazione. Gesù parla di suo Padre. Lo fa con insistenza e in modo esplicito. Nel Vangelo di Marco il racconto della Trasfigurazione occupa una parte centrale (9,2-10), poco dopo la confessione di Pietro avvenuta a Cesarea. Passato al vaglio della critica esegetica, il racconto della Trasfigurazione appare come la testimonianza di un notevole choc subìto dai testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, i quali compresero che quella rivelazione era una replica di quella del Sinai e che essa rivelava la filiazione divina di Gesù: «Questi è il Figlio mio prediletto». La morte di Gesù lascia i suoi discepoli in uno stato di totale prostrazione, mentre pochi giorni più tardi essi proclamano, e non cesseranno di proclamare con fermezza e decisione, la sua resurrezione. Tale proclamazione trova la propria origine nell’esperienza pasquale degli apostoli e dei discepoli, i quali ebbero la certezza di aver ritrovato lo stesso Gesù Figlio di Dio che essi avevano seguito

tra la serenità di Cristo – «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come luce» (Mt 17,2) –, e dei profeti Elia e Mosè, e la prima espressione di folgorazione e di timore espressa da Giovanni, Pietro e Giacomo. Nel fregio superiore del catino absidale del Sinai si è voluto mettere a testimoni della Trasfigurazione i dodici apostoli, sostituendo i tre presenti alla Trasfigurazione con Paolo, Taddeo e Matteo, mentre la parte inferiore reca diciotto profeti.

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prima degli avvenimenti della sua Passione e della sua morte. Per gli apostoli la fede in Dio trova nella Resurrezione di Gesù il proprio motivo ultimo, la propria energia e il proprio obiettivo. CHIESA E DOTTRINE CRISTIANE Gli Atti degli apostoli offrono un quadro coerente dei primi trent’anni di espansione delle comunità cristiane negli ambienti ebraici e nel mondo ellenistico. Prende il via l’attività della Chiesa. Le Lettere di san Paolo sono documenti fondatori di una teologia, di una cristologia e di una ecclesiologia che verranno sviluppate dai Padri della Chiesa greci, latini e orientali. Al centro della dottrina paolina si colloca Gesù Risorto, autore della salvezza degli uomini. Egli è il Signore, il nuovo Adamo che è all’origine dell’umanità rinnovata e che fa del cristiano un uomo nuovo. Il Battesimo è la porta di ingresso nella Chiesa, l’Eucaristia assicura la presenza di Cristo nella comunità ecclesiale e fa crescere il corpo di Cristo che è la Chiesa. La resurrezione di Cristo è il pegno della resurrezione dei cristiani. Il cristiano riceve in eredità la vita divina che proviene dal Padre, per mezzo del Figlio e nello Spirito. L’intera sua vita deve portarne l’impronta. Nel corso dei quattro secoli compresi tra gli Atti degli apostoli e la Città di Dio di Agostino di Ippona, la Chiesa cristiana si diffonde in Oriente e in Occidente. Pur considerandosi come il verus Israel, l’erede delle promesse dell’alleanza e delle profezie, essa evidenzia la propria distanza dalla Torah e dai riti ebraici e, in contrapposizione alla Sinagoga, si sviluppa una nuova arte religiosa, l’arte cristiana. Di fronte alle opposizioni e agli scontri con i pagani, gli apologeti difendono le dottrine e le pratiche dei cristiani e non risparmiano le critiche agli idoli e ai loro culti. Tuttavia i Padri della Chiesa greci non rinnegano i valori dei pensieri platonico e stoico. Ad Alessandria avviene l’incontro della fede cristiana con la cultura antica. Nell’età d’oro dei Padri della Chiesa, Lattanzio

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14. Le «mirofore», donne recanti aromi, al sepolcro e apparizione di Gesù alla Maddalena (all’estrema destra). Miniatura, Evangeliario Siriaco, 12191220. Biblioteca Apostolica Vaticana. In questa straordinaria composizione inizia la testimonianza della resurrezione di Cristo in un crescendo che va da sinistra a destra: le guardie ignare dell’accaduto, l’angelo che spiega alle donne e infine la Maddalena che incontra Gesù. 15. Banchetto eucaristico, III secolo, cappella dei Sacramenti, catacomba di San Callisto, Roma. Le cene eucaristiche che appaiono nelle catacombe diverranno un esempio iconografico, con la rappresentazione frontale dei partecipanti al banchetto, che influenzerà l’iconografia successiva dell’Ultima Cena, Leonardo compreso.

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nell’atto di indicare il globo celeste; in alto un personaggio ospite (forse rappresenta un tardoplatonico promotore del mosaico); vengono poi Eudosso di Cnido, Senocrate (secondo successore di Platone) e Aristotele, in atteggiamento polemico, pronto a rispondere. 18. Cristo insegna agli apostoli. Mosaico del V secolo, cappella di Sant’Aquilino, basilica di San Lorenzo Maggiore, Milano. Si fa strada la coscienza di un sapere cristiano da trasmettere; gli apostoli sono stati i primi discenti, ma tutti i cristiani sono chiamati all’ascolto e all’apprendimento.

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16. Melchisedek comunica Abramo, XIII-XIV secolo, affresco del monastero di alBaramus, Uadi Natrun, Egitto. È l’Eucaristia escatologica: le generazioni che hanno preceduto la venuta di Cristo partecipano alla comunione con lui. Partecipano al corpo di Cristo che è la Chiesa. 17. I sette filosofi. Mosaico del I secolo d.C. proveniente da Pompei e conservato nel Museo Archeologico di Napoli. È errato ritenere che si tratti dei Sette Saggi, come alcuni hanno pensato. Si tratta invece della scuola platonica, come i più avanzati studi hanno accertato. L’interpretazione oggi più accreditata è la seguente: il primo personaggio rappresenta Eraclide Pontico nell’atto di tenere un discorso; segue Speusippo, nipote di Platone e suo successore; viene quindi Platone stesso, rappresentato

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pone le fondamenta dell’umanesimo cristiano, mentre Eusebio di Cesarea elabora la prima raccolta di memorie degli avvenimenti posteriori a Gesù Cristo. In mezzo a discussioni teologiche che costituiranno l’occasione per sottolineare con fermezza i dogmi della fede cristiana, ha inizio una storia della salvezza che è anche una teologia della cultura e una teologia della storia. È il messaggio del De civitate Dei di Agostino. Fondato sulla Pasqua che Gesù aveva celebrato prima della sua Passione a Gerusalemme insieme agli apostoli, ai quali diede l’ordine di perpetuarla, il culto cristiano scaturisce dall’Eucaristia e dalla memoria della Resurrezione di Gesù, la quale fin dalla prima generazione cristiana fu stabilita l’indomani del sabato, la domenica, giorno del Signore. Di fronte alle situazioni conflittuali causate da dottrine non conformi alla tradizione apostolica, a partire dal II secolo alcuni sinodi di vescovi si pronunciano sull’ortodossia dottrinale cristiana. Subito dopo il conseguimento della libertà, accordata alla Chiesa cristiana da Costantino, si riuniscono i grandi concili ecumenici comuni all’Oriente e all’Occidente: nel 325 a Nicea, per definire il dogma trinitario contro Ario; a Costantinopoli nel 381, per precisare il credo o simbolo della fede dei cristiani (credo niceno-costantinopolitano); a Efeso nel 431, per definire Maria come Theotokos, «Madre di Dio»; a Calcedonia nel 451, al fine di precisare il dogma cristologico «Gesù vero Dio e vero uomo». Questi quattro concili hanno stabilito definitivamente le basi della fede cristiana della Chiesa.

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19, 20, 21. Ci troviamo di fronte a tre grandi icone che esprimono rispettivamente i risultati dogmatici dei concili di Nicea (325), Efeso (431) e Calcedonia (451). (19) La Trinità, o ospitalità di Abramo. Andrej Rublëv, 1411. Galleria Tret’jakov, Mosca. La più famosa e mistica immagine della Trinità, opera del grande artista russo influenzato dalla spiritualità del monaco Sergio di Radonež.

(20) Maria madre di Dio, la Theotokos, VIII-IX secolo. Santa Maria ad Martyres (Pantheon), Roma. «Lo sguardo fisso della madre non sembra posarsi su nulla», nota Maria Andaloro, «quasi a cercare di capire il mistero dell’incarnazione». (21) Cristo Pantocratore, Signore del mondo, icona del VI secolo proveniente da Costantinopoli, oggi nel monastero di Santa Caterina del Sinai. L’icona tende a esprimere il dogma delle due nature: la piena umanità di Cristo e la sua divinità.

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L’ISLAM, RELIGIONE E COMUNITÀ 22. Maometto con Abu Bakr e un gregge di capre, dalla Storia universale di Rashid al-Din, 1314-1315. Edinburgh University Library. Il vizir Rashid al-Din realizza la grande impresa della storia universale per i sovrani mongoli. La miniatura mostra un’influenza orientale nei colori e nello stile, ma lo spirito dell’Arabia di Maometto e il momento di tranquilla comunicazione con il seguace Abu Bakr sono pienamente espressi. Da questo mondo pastorale sembra impossibile che stesse per nascere un evento che avrebbe cambiato la vita a regioni e nazioni.

La nascita dell’islam, terza religione abramica, è legata a due città dell’Arabia, Mecca e Medina, e al Profeta Muhammad del clan degli Hashemiti. Cercatore di Dio (hanif) e carovaniere, egli incontra alcuni ebrei e cristiani e intorno al 610-612, sul monte Hira vicino a Mecca, ha una rivelazione (Corano 53 e 96). Cosciente di essere stato investito di una missione profetica, egli comincia a proclamare alcune verità che costituiscono il fondamento del messaggio musulmano: la potenza del Dio unico e la sua bontà; la necessità per l’uomo di un ritorno a Dio in vista del giudizio; la risposta dell’uomo mediante l’adorazione e la gratitudine a Dio; la fede e la preghiera; la protezione dell’orfano e del povero. Di fronte all’opposizione dei cittadini di Mecca, plutocrati e politeisti, Muhammad lascia la città il 16 luglio 622 (hijra, l’egira) per cercare rifugio nell’oasi di Yathrib (Medina) dove fonda l’islam, religione e comunità (umma). A partire dal 624 egli ordina ai suoi fedeli di recitare la preghiera rivolti in direzione di Mecca (qibla), che egli conquisterà il 1º gennaio 630. Dopo la sua 22

23. Incontro di Maometto con un pastore monoteista. Miniatura conservata al Museo di Arte Turca e Islamica di Istanbul. Il politeismo era difeso dai ceti ricchi di Mecca e Maometto, al di là della propria esperienza mistica e della rivelazione ricevuta, vede nella gente più semplice l’esigenza del monoteismo.

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24. La cupola della Roccia a Gerusalemme resta il simbolo dell’iniziale diffusione dell’islam sotto gli Omayyadi (661-750). La moschea fu costruita tra il 691 e il 692. Se la decorazione esterna è quella realizzata da Solimano il Magnifico, la struttura architettonica, i volumi e la posizione sulla sacra spianata a dominare la città conservano la volontà simbolica iniziale: affermare un unico Dio e un nuovo potere che se ne fa garante. 25. Frontespizio di un Corano del 11821183, proveniente da Valencia e conservato alla Istanbul Universitesi Kütüphane, Istanbul.

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morte, avvenuta nel 632 al ritorno da un pellegrinaggio a Mecca, i successori di Muhammad (califfi) conferiranno all’islam la sua forma definitiva: Abu Bakr (632-634 d.C.) organizza le prime conquiste militari; Omar (634-644) continua l’espansione militare e crea le prime istituzioni; Othman (644-656), della tribù degli Omayyadi, crea un vero e proprio sistema feudale e stabilisce che venga redatto il Corano, il Libro sacro dell’islam; ‘Ali (656-661), genero del profeta e capo della preghiera di Medina, insorge contro gli Omayyadi, lascia l’Arabia e si stabilisce a Kufa. I suoi fedeli saranno i primi sciiti. Per lo storico delle religioni il Corano è il diario di Muhammad, riformatore e fondatore, ma per il musulmano esso è la Parola di Dio rivelata al Profeta, proclamata da quest’ultimo e ricevuta nella memoria dei fedeli. Il Corano riconosce la validità della Torah e del Vangelo, le due rivelazioni precedenti. La sunna costiuisce la norma del comportamento, basata sulla tradizione. Essa

è determinante per la vita del fedele. Gli hadit sono comunicazioni orali che vengono fatte risalire al Profeta e, in questo modo, offrono un assortimento di testimonianze sullo sviluppo dell’islam. Basata sul fiqh, il diritto musulmano che applica alla pratica quotidiana i precetti del Corano e della sunna, la shari‘a indica la via da seguire, poiché essa è considerata come l’espressione della legge divina che fa dell’uomo un autentico musulmano. Essa rende sacra la vita quotidiana, le conferisce la sua unità e la adegua alla volontà di Allah. La teologia islamica, denominata kalam, deve permettere di rispondere ai problemi posti dal valore delle azioni, dal rapporto tra la fede e le opere e dalla libertà umana sottomessa alla legge divina. La religione islamica è un monoteismo intransigente: Allah è il Dio unico, creatore, giudice e retributore. La sua signoria è universale (Corano 112), ma questo Dio onnipotente è misericordioso, indulgente e clemente verso i suoi fedeli. Egli

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è il Totalmente Altro, unico, uno, trascendente, noto grazie ai segni della sua creazione ma inaccessibile. Il profetismo è legato alla rivelazione, poiché i profeti sono dei nabi, messaggeri di Dio, e dei rasul, ambasciatori da parte di Dio. Il Corano dedica alcune note elogiative a Noè, primo messaggero inviato agli uomini, ad Abramo, prototipo della fede nell’Unico, fondatore dello hanifismo, restauratore della Ka‘ba di Mecca e ispiratore della shahada, a Mosè, liberatore del popolo tenuto schiavo in Egitto (non è menzionato l’agnello pasquale), e a Gesù, profeta e figlio di Maria, da lei concepito in modo verginale, Messia, portatore del Vangelo, rasul e nabi. L’islam è incentrato sul Corano, rivelazione giunta agli uomini tramite Muhammad, incaricato di trasmettere il messaggio definitivo iniziato all’epoca del patto adamitico. Per il musulmano Muhammad è nabi, il profeta annunciatore del messaggio, rasul, la guida incaricata di organizzare la comunità (umma), nadir, l’ultimo ambasciatore di Dio. Uno dei dogmi dell’islam insiste sul giudizio di Dio dopo la morte, sulla resurrezione finale (Corano 75) e sul giudizio ultimo seguito dalla ricompensa (paradiso) o dalla punizione (inferno). L’islam non ha sacerdozio: il suo culto è la preghiera personale e la preghiera della comunità. La vita del musulmano si basa su cinque capisaldi. La shahada è la testimonianza resa al Dio unico e al Profeta mediante la parola. Espressione della fede monoteista, la preghiera rituale (salat) cinque volte al giorno costituisce il servizio divino del vero fedele: il compimento di tale preghiera nella moschea esprime una autentica testimonianza di adorazione della comunità. Fin dagli inizi Muhammad si è preoccupato del povero e dell’orfano: perciò l’elemosina legale (zakat) accompagnata dall’elemosina libera (sadaqa), possiede un vero e proprio valore salvifico. Il quarto caposaldo, il digiuno del ramadan, mese della rivelazione, deve essere un’autentica ripresa di coscienza da parte del muslim e di tutta la comunità. Infine il pellegrinaggio a Mecca, vero e proprio ritorno alle origini, cancella tutti i peccati e fa del pellegrino un modello e un testimone particolarmente benedetto da Allah.

Alla pagina precedente: 26. Foglietto di un Corano del X secolo con scrittura cufica nera, una delle più antiche; il titolo della sura (il Corano ha 114 sure) è scritto in oro. Proveniente dalla moschea di Qayrawan in Tunisia, è oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Tunisi. In queste pagine: 27. La madrasa al-Aharim, o dei venditori di profumo, costruita a Fez, attuale Marocco, nel 1323-1325. Le madrasa sono il luogo di trasmissione del sapere islamico

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30. Ciotola da mendicante del XIX secolo proveniente dalla Persia. Collezione privata. Molti sufi islamici erano mendicanti e vivevano dell’elemosina degli altri fedeli, confidando in un altro dei cinque «pilastri» dell’islam, l’elemosina.

e hanno avuto una funzione fondamentale nello sviluppo della cultura islamica in tutti i Paesi. 28. Tappeto iraniano del XVIII secolo, Sala Islam del National Museum of Lahore, India. Dall’alto in basso: Maria riceve l’annunciazione dell’angelo, che ha già in braccio il Bambino; Maria con il Bambino Gesù; Maria con Zaccaria. Gli angeli fanno da contorno. Si tratta di un esempio della devozione alla Madonna, a Gesù e ad altri personaggi biblici. Gli angeli sono sempre presenti: è infatti un angelo, Gabriele, ad essere inviato da Dio per guidare Maometto.

29. Fiasca del pellegrino, Siria, 1250. Freer Gallery of Art, Smithsonian Collections Purchase, Washington DC. Questa fiasca in bronzo ageminato simboleggia il pellegrinaggio, uno dei cinque «pilastri» dell’islam, ma è anche un oggetto con iconografia araba e cristiana. Su questo lato compaiono: la Madre di Dio col Bambino, la Natività, la Presentazione al Tempio e l’Entrata in Gerusalemme.

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31. Veduta di mausolei monumentali nella necropoli nota come Shah-i Zinda a Samarcanda, attuale Uzbekistan. Considerata la più bella necropoli del mondo, con mausolei principalmente costruiti alla fine del XIV secolo e all’inizio del XV ad opera di Tamerlano o del nipote Ulugh Beg, è un capolavoro dell’architettura e della decorazione in onore dei defunti.

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RIVELAZIONE DI DIO E RELIGIONI MONOTEISTE

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Al termine di questo percorso, compiuto seguendo la direzione della storia e sottoposto a verifica risalendo la storia in senso contrario secondo il metodo comparato genetico, è opportuno prendere in esame un’ultima volta l’homo religiosus. LA COMPARSA DELL’HOMO RELIGIOSUS Il presente volume è stato redatto con l’attenzione rivolta a fatti opportunamente stabiliti. Il lettore è invitato a tenere costantemente presente che la base della nostra analisi dei dati culturali e religiosi, ma anche della nostra ermeneutica, cioè della nostra interpretazione di tali dati e del loro messaggio, è un metodo comparativo tipologico e nello stesso tempo genetico. L’ermeneutica è la ricerca del senso. Redatto da uno storico delle religioni, questo volume beneficia del prezioso apporto di storici delle religioni, ma anche del fondamentale apporto dei paleoantropologi e delle loro recenti scoperte. A tali apporti si aggiungono le opere di comparatisti, di archeologi, di sociologi e di ermeneuti. La bibliografia selettiva ha lo scopo di orientare il lettore in questi diversi ambiti. Questo volume si situa al crocevia delle varie scienze umane. L’homo religiosus è l’uomo che crede nell’esistenza di una Trascendenza situata al di fuori di questo mondo, ma che si manifesta in questo mondo a beneficio

1. Pozzi di al-Ain, Arabia centrale. Una figura femminile dello stile «Long Haired», età del Ferro. Siamo di fronte a una figura presente in tutto il Neolitico e in civiltà complesse come quella egizia. Le mani alzate in modo ordinato e simmetrico esprimono un’intenzione a relazionarsi con una realtà «altra» rispetto a quella vissuta dalla figura stessa. Orazione, devozione, propiziazione, in ogni caso il gesto è l’atteggiamento religioso basilare. 2. Savana sudafricana. Burley, Barkly East, Sudafrica. Tre stregoni caduti in ginocchio durante la trance. Quello a sinistra ha zoccoli antilopini al posto dei piedi e le braccia sono in posizione «di volo». L’uomo a destra tiene le braccia indietro, nella tipica posa di chi chiede potenza a Dio. Colori: rosso e bianco.

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3. Statuetta di mammut in terracotta proveniente da Pavlov, presso Mikulov, Moravia meridionale. Istituto di Archeologia di Brno, Repubblica Ceca. Siamo nel Paleolitico superiore (cultura del Pavloviano, 29.000-23.000 a.C.) e il culto degli animali resta molto intenso.

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dell’uomo. Egli è l’uomo che vive l’esperienza del sacro. L’homo religiosus esiste? Il presente volume risponde a questa domanda. Una risposta più esplicita e più dettagliata si trova nei dieci volumi del Trattato di Antropologia del Sacro, cui ha collaborato oltre un centinaio di studiosi universitari di tutto il mondo. A partire dal 1959, la scoperta progressiva di Homo habilis e della cultura olduvaiana è uno dei fortunati imprevisti della paleoantropologia del XX secolo, poiché fornisce l’anello mancante che collega gli Australopiteci con Homo erectus. Homo habilis è un homo symbolicus che ha potuto vivere un’esperienza del sacro, ancora rudimentale ma altrettanto reale quanto la sua cultura. Attraverso il simbolismo della volta celeste noi tentiamo di individuarlo nella sua attività culturale e «religiosa», entrambe ancora elementari. Homo erectus (1,6 milioni-300.000 anni fa) ha lasciato una serie più vasta di documenti culturali e religiosi. Il taglio bifacciale degli utensili, i riti funerari, i riti del fuoco, i suoi comportamenti sono indici di un’esperienza del sacro che supera quella di Homo habilis. Con Homo sapiens (300.000-35.000 anni fa) l’umanità avanza verso la soglia della «modernità». Sempre più numerosi e diversificati, i riti funerari attestano la credenza in una vita ultraterrena e uno sviluppo culturale, segno di un’immaginazione molto fertile. Le prestigiose realizzazioni dell’arte franco-cantabrica ci fanno intuire i primi miti e i riti di iniziazione, tanto importanti per cogliere la religiosità e comprendere la trasmissione non soltanto della cultura ma anche dell’esperienza del sacro. Il background costituito dall’esistenza della comunità

fornisce una nuova chiave di lettura del patrimonio artistico che ha costituito l’orizzonte culturale di Homo sapiens sapiens da 35.000 a 9.000 anni fa. Da Homo habilis all’Uomo delle caverne del Paleolitico superiore, l’immaginazione è stata il motore della crescita culturale e religiosa. All’epoca delle caverne essa si è basata in parte sull’iniziazione ai miti, ai simboli e ai riti del clan: prende l’avvio una tradizione religiosa, segno del costituirsi delle prime istituzioni. DAL NEOLITICO AI TRE GRANDI MONOTEISMI Verso 10.000 anni fa in Siria-Palestina l’Uomo esce dalle caverne, crea dei villaggi e diventa sedentario. Seguirà l’invenzione dell’agricoltura e della vegecultura. La sedentarizzazione rappresenta uno dei grandi momenti della storia umana. Nell’ambito di nostro interesse essa coincide con la comparsa delle prime divinità, segno di un profondo mutamento della vita psichica: secondo Cauvin, «l’emergere della nozione di divinità è una delle principali caratteristiche della diffusione della cultura neolitica». La civiltà natufiana fu il preludio della «rivoluzione neolitica». Da una semplice credenza nella Trascendenza l’Uomo è passato alla rappresentazione del Divino: la sua religiosità diventa una religione, con le sue credenze, le sue idee religiose e i suoi culti; il culto della Dea, il culto del toro, la nascita di una coppia divina. Un nuovo gesto fa la sua apparizione: le mani tese verso la volta celeste e verso le figure divine. L’Uomo diventa un orante: è la nascita delle prime liturgie.

4. Stele funeraria rappresentante un personaggio defunto femminile. Verso la metà del I millennio a.C. nella parte meridionale della penisola arabica, influenzata dalla produzione di steli della Siria con cui le popolazioni sudarabiche erano in contatto, si è sviluppata una grande fioritura di steli funerarie. I grandi occhi e le ciglia avevano pietre incastonate. Gli occhi erano segni dell’anima immortale. «Non solo i re, ma tutti gli uomini (almeno quelli giusti) venivano ammessi dopo la morte al mondo degli dei e potevano banchettare assieme con questi; diventati simili a Dio, i defunti potevano ora benedire e aiutare i loro sopravvissuti che si rivolgevano loro con la preghiera e con le offerte» (Giovanni Garbini).

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5. Selinunte, secondo Tucidide, fu fondata nel 628 a.C. da coloni di Megara Iblea nella Sicilia orientale. Qui vediamo il tempio di tipico stile dorico.

Le tombe si moltiplicano, vengono creati i primi santuari, si fabbricano migliaia di statuette ed ecco che, nel IV millennio, l’invenzione della scrittura introduce una nuova rivoluzione: si costituisce un patrimonio letterario e religioso, si realizza la trasmissione rapida del pensiero religioso, dei testi di preghiera e dei rituali, si costruiscono templi e santuari, compare un vocabolario del sacro. Creando le immagini divine, l’Uomo ha precisato la propria ricerca del volto di Dio. La sua credenza in una Trascendenza suddividerà il Divino in migliaia di raffigurazioni. Tuttavia al cuore di queste religioni si trova sempre l’esperienza del sacro e la credenza nel Divino. Si apre la strada alla creazione delle grandi religioni: Mesopotamia, Vicino Oriente, Egitto, India, Grecia, Roma. DALLE IEROFANIE ALLE TEOFANIE Per migliaia di anni, nell’intento di vivere la propria esperienza del sacro, l’homo religiosus ha mobilitato un universo di simboli cosmici: volta celeste, sole, luna e astri; aria, acqua e fuoco; i simboli tratti dagli animali, dall’esuberanza vegetale, dall’uomo, dalla donna, dal bambino. A questi è venuto ad aggiungersi il mito, con i simboli dell’altezza, dell’ascensione, del volo degli uccelli e delle epifanie celesti: tuono, folgore, pioggia, arcobaleno, tempesta e meteore. Nella propria ricerca del Divino l’uomo ha messo in gioco questo ampio simbolismo.

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Nel II millennio a.C. il Divino si è manifestato all’Uomo, non più come una ierofania, tramite la mediazione del cosmo, ma come una teofania. Abramo ha ricevuto il messaggio e la promessa del Dio vivo e personale. Al posto delle ierofanie Israele riceve il messaggio di Jahvè, la rivelazione del nome divino e ben presto l’Alleanza del Sinai. Al suo popolo, nella vita del quale egli interviene, Jahvè chiede la fede e la santità, segni dell’Alleanza. A questo popolo, sottolinea Paul Ricoeur, egli consegna la sua legge. Più tardi sorgerà Muhammad, uno dei tre messaggeri del Dio unico, onnipotente, onnisciente e vivo. Israele ha la Torah, l’islam ha il Corano. Israele e l’islam, nota Roger Arnaldez, si oppongono con tutte le loro forze alle rappresentazioni dell’Unico, per timore dell’idolatria. Il terzo messaggero del Dio unico è Gesù di Nazaret. Egli rivela il Padre; egli annuncia lo Spirito e prepara il Regno. Nel suo discorso costruito sotto forma di parabole, Gesù riprende in parte il simbolismo cosmico e lo pone al servizio dell’annuncio del Vangelo e del Regno: soglia, porta, seminatore e semenza, albero e uccello. Egli vi aggiunge le allegorie tratte dalla vita quotidiana. Ierofania e teofania sono così riconciliate. D’altra parte, l’avvenimento storico dell’esistenza di Gesù è una teofania nel senso pieno del termine, e questa stessa esistenza è la più grande rivoluzione religiosa della storia. Cristo, dopo aver inviato lo Spirito Santo sui suoi apostoli, mediante il suo Corpo Mistico che è la Chiesa continua a essere presente nella storia.

6. Gesù e la Samaritana, metà del IV secolo, nuova catacomba della Via Latina, Roma. «Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14).

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA Le occorrenze in tondo si riferiscono al testo, quelle in corsivo alle didascalie.

Abada (Mesopotamia, Iraq) 125 Aborigeni australiani 46, 47, 48, 62, 93 Abramo 76, 198, 210, 213, 219 Abu 9 Abu Bakr 214, 216 Abu Hureyra (Siria) 117 Abu Simbel (Egitto) 169, 177 Accadi, v. Akkad Achemenidi 196 Acheuleano 58, 60 Adamo 209 Adriatico 142 Africa 43, 46, 56, 62, 81, 94, 121, 128 Agni 188, 188 Agostino di Ippona 209, 210 Aharim, al- 218 Ahmose 76 Ahura Mazda 192, 192, 193, 193, 196, 197, 197 Ain Mallaha (Israele) 117, 121, 121, 122, 134 Akhenaton 171, 171, 172 Akkad (Mesopotamia, Iraq) 75, 161 al-Ain (Emirati Arabi Uniti) 223 Albocácer (Castellón, Spagna) 136 Alessandria (Egitto) 209 Alföld (Austria) 145 ‘Ali 216 Allah 18, 217, 219 Allahabad (India) 184 Alpi 131 Alta Garonna (Francia) 90, 104, 113 Altamira (Santillana del Mar, Spagna) 71, 82, 91, 91, 92, 93, 113 Alto Adige 150, 152 Altopiano Rainbow (Colorado, USA) 66 Amarna, v. Tell al-‘Amarna Amenophis III 175 Amenophis IV 171, 175 Ameratat 193, 196 Americhe 43, 44, 48, 100 Amesha Spenta 192 Amon 171, 171 Amunhotep 13 Amur, fiume (Russia) 138 Anahita 196, 197 Anati Emmanuel 29, 47, 84, 94, 98, 101, 110, 111, 113, 120, 134, 147, 148, 150, 150, 152 Anatolia (Turchia) 72, 123, 126, 126, 144 Andaloro Maria 213

Angkor (Cambogia) 190 Angra Mainyu 193 Anu 164 Anubi 33 Anunit 34 Apasmarapurusa 188 Aqar Quf (Dur Kurigalzu, Iraq) 166 Arabia 214, 214, 216, 223 Arafura, mare di (Australia) 48 Aragona (Spagna) 136 Araña (Bicorp, Spagna) 100 Ardashir I 196 Argentina 108 Arianna 27 Ariège (Francia) Caverne du Volp 90 Grotta di Les Trois-Frères 82, 105, 105, 108 Grotta di Niaux 82, 82, 91, 92, 93, 96, 104, 108, 110, 111 Ario 210 Aristotele 211 Arizona (USA) 66 Arles, Musée de l’Arles Antique (Bouchesdu-Rhône, Francia) 206 Armaiti 193 Arnaldez Roger 227 Arpachiyah (Iraq) 126 Artico 43 Arzachena (Sardegna) 133 Asha 192 Asia 56, 79, 81, 121, 160 Assur (Iraq) 34, 166 Astana (Xinjiang, Cina) 180 Asturie (Spagna) 82, 94 Grotta di Tito Bustillo 94 Atapuerca (Spagna), Sima de los Huesos 58 Atlantico, oceano 90, 98, 141, 146 Aton 171, 172, 172 ’Atsé’ets’ózí (Orione) 68 Atum-Ra 168, 169, 174, 176 Aurignac, Venere di 90, 112 Aurignaziana, civiltà 90 Australia 46, 47, 48, 62, 93 Australopiteco (Australopithecus) 50, 51, 52, 58, 60, 224 Austria 114, 145 Aveyron (Francia) 148 Avvoltoi, santuari degli (Çatal Hüyük, Turchia) 127

Awash, fiume (Etiopia) 51 Axayácatl 24 Aztechi 23, 28 Aztlan 28 Babilonia (Mesopotamia, Iraq) 35, 75, 161, 162 Bachelard Gaston 22, 41 Baghdad, Museo Nazionale (Iraq) 9, 16, 123, 164 Bagnolo (Valcamonica, Lombardia) 150 Baker, lago (Canada) 45 Balcani 121, 137 Baltzer Lauritz 148 Balzi Rossi, v. Grimaldi Baramus, al-, monastero, v. Uadi Natrun Bargna Ivan 21 Barkly East (Sudafrica) 105, 223 Cullen’s Wood 103 Halston 102 Barranco de los Grajos (Murcia, Spagna) 134 Barranco del Pajarejo (Sierra de Albarracín, Aragona, Spagna) 136 Barrière Claude 114 Basilio II 205 Baudry Gérard-Henry 200 Beisamoun 122 Belgio 78 Belgrado (Serbia) 144 Beltrán Antonio 96, 110 Berlino, Vorderasiatisches Museum (Germania) 10, 22 Bhutan 23 Bicorp (Valencia, Spagna) 100 Bishapur (Iran) 197 Bisutun (Iran) 192 Bitola (Macedonia) 144 Boian (Bulgaria) 145 Bologna (Emilia Romagna), 60 Biblioteca Universitaria 14 Museo di Antropologia dell’Università 56, 78, 79, 113, 114 Bombay (India) 188 Boron, monte (Terra Amata, Alpes-Maritimes, Francia) 100 Boscimani 46 Boturini, Codice 28 Brahman 190 Brasile 108

INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

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Brescia (Lombardia) 146 Bretagna (Francia) 130, 154, 154 Breuil Henri 92, 93, 100, 102, 104, 105, 105, 108, 110, 113 Brno (Repubblica Ceca) Istituto di Archeologia 224 Museo Moravo 114 Broca, area di 50 Buddha 12, 183 Bulgaria 145 Burkina Faso 45 Burley (Barkly East, Sudafrica) 221 Byblos (Libano) 122, 123, 141 Calcedonia (Bitinia, Turchia) 210, 213 Calcolitico 130, 134, 150, 152, 154 California (USA) 26, 62 Callisto 209 Cambogia 190 Cambridge (Massachusetts, USA), Harvard University, Peabody Museum 66 Camerun 21 Campi di Iaru 176 Camps Gabriel 79, 98, 148 Camuni 18, 148 Cana (Israele) 206 Canada 44, 45 Candella 190 Cantabria (Spagna) 82, 82, 84, 91, 92, 94, 113 Capdenac-le-Haut (Lot, Francia) 130 Capitan Louis 78 Capitol Reef National Park (Utah, USA) 60 Capo, provincia (Sudafrica) 101 Caracol (Messico) 41 Carmelo, monte (Israele) 26, 117, 119, 121 Carnac (Morbihan, Francia) 154, 154 Carrizo Plain (California, USA) 62 Castellón (Spagna) 136 Castelperroniana, civiltà 82 Castillo, monte (Cantabria, Spagna) 82, 91 Grotta di El Castillo 94 Roccia di Las Chimeneas 84 Çatal Hüyük (Turchia) 72, 72, 120, 123, 126, 126, 127, 127, 144, 145, 160 Cauvin Jacques 72, 75, 117, 120, 122, 123, 126, 141, 144, 225 Caviglione, grotta (Liguria) 37 Cedarberg (Sudafrica) 101 Cemmo, Massi di (Valcamonica, Lombardia) 152 Cernavoda (Romania) 124 Cesarea di Filippi (Siria) 207 Chagall Marc 198, 202 Châtelperron (Allier, Francia), Grotta delle Fate 82, 90 Cheik Hassan 134 Chen Zhao Fu 18 Chiapas (Messico) 35 Chichén Itzá (Yucatán, Messico) Osservatorio del Caracol 41

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

Piattaforma di Venere 41 Childe Gordon 117 Cielo 21, 34, 62, 68, 162, 166, 178, 181, 182, 183, 184, 187, 202 Ciervos a Dos Aguas (Valencia, Spagna) 136 Cina/Cinesi 18, 56, 56, 60, 62, 178, 180, 183, 184 Cingle de la Ermita del Barranc Fondo (Las Almunias, Aragona, Spagna) 136 Cingle dels Tolls del Puntal (Albocácer, Castellón, Spagna) 136 Cipro 144 Circeo, monte (Lazio) 78, 79 Città del Messico Museo Nacional de Antropología 24 Palazzo Nazionale 24 Città del Vaticano Biblioteca Apostolica Vaticana 205, 209 Cappella Sistina 111, 111 Coffey George 149 Cola 188 Colorado (USA) 66 Columbia, fiume (Canada-USA) 32 Comanche Gap (Nuovo Messico, USA) 29 Confucio 183, 183 Coppens Yves 52, 53, 53, 54, 57, 57, 58, 69, 110, 124, 154 Corbin Henri 10 Coren del Valent (Valcamonica, Lombardia) 140, 147 Corrèze (Francia) 36 Coso, monti (California, USA) 26 Cosroe II 196, 197 Costantino I 210 Costantinopoli 213; v. anche Istanbul Creevykeel (Irlanda) 154 Creta (Grecia) 144 Cro-Magnon (Dordogna, Francia) 79, 111 Crot-du-Charnier (Saône-et-Loire, Francia) 90 Cucuteni (Romania) 145, 145 Cueva de Las Manos (Patagonia, Argentina) 108 Çukurkent (Anatolia, Turchia) 126 Cullen’s Wood (Barkly East, Sudafrica) 103 Curatola Giovanni 192 Damasco (Siria) 117, 141, 144, 204 Daniele, profeta 204 Danubio 121, 127, 128, 144 Dao 178, 183, 183, 184, 184 Dario I 192, 194 Davide, profeta 204 Dea Madre 72, 126 Deir el-Medina (Tebe, Egitto) 33, 176 Delahoutre Michel 12 Delougaz Pinhas 162 Delporte Henry 78 Dendera (Egitto) 21 Dilyéhé (Pleiadi) 68 Dioniso 27

Dio Padre 76, 207, 209, 227 Diyin dine’é (Dio Nero) 68 Dnepr, fiume 144 Dogon 44 Dolní Vestonice (Mikulov, Moravia) 114 Dong Juran 184 Dordogna (Francia) 38, 47, 79, 90, 91, 96, 97, 98, 99, 111, 113 Dumézil Georges 10, 14, 28, 40, 42, 134, 187, 188 Durand Gilbert 10, 21, 22, 41, 58 Durkheim Émile 40 Dur Kurigalzu (Iraq) v. Aqar Quf Düsseldorf (Germania) 78 Edimburgo, Edinburgh University Library (Scozia) 214 Efeso (Turchia) 210, 213 Egeo, mare 144 Egitto/Egizi 18, 21, 25, 28, 33, 34, 35, 60, 62, 75, 75, 76, 97, 148, 168, 169, 171, 172, 174, 177, 198, 201, 206, 210, 226 Ekain (Paesi Baschi, Spagna) 91, 93 Ekpe (Camerun) 21 El Castillo, v. Castillo Elephanta (Bombay, India) 188 Elia 202, 207 Eliade Mircea 10, 12, 13, 14, 17, 22, 28, 34, 40, 41, 44, 46, 58, 60, 62, 63, 69, 96, 98 El-Wad (monte Carmelo, Israele) 119, 121, 121 Enlil 16, 166 Epipaleolitico 91 Eraclide Pontico 210 Eraclito di Efeso 27 Erbaba (Anatolia, Turchia) 126 Eridu (Mesopotamia, Iraq) 161 Erq-el-Ahmar (Palestina) 122 Esiodo 27 Esseni 204, 204 Essonne (Francia) 100 Età del Bronzo 146, 154, 156, 178, 182 del Ferro 140, 223 della Renna 108, 112 Etemenanki (Babilonia, Iraq) 22 Etiolles (Essonne, Francia) 100 Etiopia 51 Eudosso di Cnido 211 Eufrate, fiume 38, 72, 117, 118, 122, 126, 134, 136, 157, 161, 166 Europa/Europei 36, 56, 57, 60, 78, 81, 90, 94, 95, 114, 123, 127, 128, 130, 144, 145, 148, 154, 160 Eusebio di Cesarea 210 Evans-Pritchard Edward Evan 44 Evemero 27 Fanshan (Zhejiang, Cina) 180 Fez (Marocco), madrasa di al-Aharim 218 Fiume Giallo (Huang He; Cina) 180

Font-de-Gaume (Dordogna, Francia) 82, 91 Forest Jean-Daniel 16, 162 Francia 37, 38, 47, 78, 79, 82, 82, 84, 90, 90, 91, 92, 94, 96, 97, 98, 98, 99, 100, 105, 108, 110, 111, 113, 130, 131, 148, 150, 154 Fremont, cultura 60 Fuxi 180 Gabillou, grotta (Dordogna, Francia) 113 Gabriele, arcangelo 218 Gagarino (Lipetsk, Russia) 114 Gah heet’e’ii (Scorpione) 68 Gallois Nathalie 16 Ganga (Gange), fiume (India) 184 Gansu (Cina) 178 Garbini Giovanni 225 Gatha 197 Gaumata 192 Gayomars 25 Gepner Sacha 52, 54, 57, 58 Gerico (Israele) 117, 120, 122, 122, 134, 144 Germania 17 Gerusalemme (Israele) 26, 204, 210, 216 Israel Museum 198 Rockefeller Museum 119 Tempio 34 Gesù Cristo 18, 76, 204, 205, 205, 206, 206, 207, 207, 209, 209, 210, 210, 211, 213, 218, 219, 227 Giacobbe 198 Giacomo Maggiore, apostolo 207, 207 Giairo 206 Giava, isola (Indonesia) 56, 58 Gimbutas Marija 134, 137, 144 Giordania 118 Giordano, fiume 117, 122 Giovanni Evangelista 205, 207, 207 Girsu (Iraq) v. Tello Godelier Maurice 22 Goodman Mary E. 66 Gomboré I, v. Melka Kunturé Gradin Carlos J. 10 Grande Dea 120, 126, 160 Grant Campbell 26, 32 Gravettiana, civiltà 90 Graziosi Paolo 82, 110 Grecia/Greci 21, 28, 145, 226 Griaule Marcel 44 Griffin-Pierce Trudy 68 Grimaldi, grotta (Liguria) 37, 79 Guangxi (Cina) 18 Gudea 25, 161 Guilaine Jean 145 Gumelnitsa (Bulgaria) 145 Gusinde Martin 46 Haçilar (Anatolia, Turchia) 126 Hadad 126 Hagar Qim, tempio (Malta) 145 Haifa (Palestina) 36

Halaf (Mesopotamia, Iraq) 72, 125, 141 Hal Saflieni 130 Halston (Barkly East, Sudafrica) 102 Hamrin (Mesopotamia, Iraq) 125, 141 Harappa (India) 156, 157, 158, 160 Hashemiti 214 Hassuna (Iran) 141 Hathor 21, 177 Hatshepsut 76, 168 Haurvatat 193, 196 Heinrich Ernst 162 Heliopolis (Egitto) 169 Helsinki (Finlandia) 157 Hermopolis (Egitto) 169 Hira, monte (Arabia Saudita) 214 Homo 60 erectus 51, 55, 56, 56, 57, 57, 58, 60, 60, 62, 69, 80, 96, 100, 224 ergaster 56 habilis 50, 51, 51, 52, 52, 53, 54, 54, 55, 57, 58, 60, 62, 69, 224, 225 sapiens 21, 22, 23, 37, 40, 41, 42, 50, 55, 57, 58, 62, 69, 78, 81, 100, 111, 224 sapiens neanderthalensis 36, 37, 56, 57, 58, 69, 78, 79, 79, 80, 81, 90 sapiens sapiens 36, 57, 60, 69, 79, 81, 91, 92, 95, 99, 102, 110, 116, 117, 225 Horeb, monte (Egitto) 26 Horus 170, 175 Huashan (Guangxi, Cina) 18 Huitzilopochtli 28 Igbo 42 Il Cairo, Museo Egizio (Egitto) 172 Inanna/Ishtar 10, 16 India 17, 28, 33, 34, 34, 62, 156, 160, 160, 162, 184, 185, 187, 188, 190, 218, 226 Indo, fiume 156, 156, 157, 185 Indoeuropei 14, 157, 185 Indusiani 160 Inghilterra 154, 154 Innsbruck, Landesmuseum Ferdinandeum (Austria) 152 Inuit 45 Iran 17, 34, 141, 162, 192, 192, 194, 196, 197 Iraq 9, 10, 16, 25, 26, 72, 79, 80, 123, 126, 141, 142, 161, 162, 164, 166 Irlanda 149, 154 Isacco 198 Isaia 202, 202, 204 Isernia la Pineta (Molise) 80 Iside 170 Islam 218 Israele 78, 117, 117, 119, 120, 121, 134, 137, 198, 198, 201, 201, 202, 204, 227 Istanbul (Turchia) Istanbul Universitesi Kütüphane 216 Museo di Arte Turca e Islamica 214 Italia 37, 78, 80, 82, 130, 130, 134, 140, 145, 146, 146, 148, 150, 152

Ittiti 17 Iukary-Matsai (Uzbekistan) 79 Jahvè 18, 76, 198, 201, 202, 204, 227 Jasim Sabah Abboud 125 Jayaqvarman I 190 Jordá Cerdá Francisco 114 Jung Carl Gustav 10, 22, 34 Kamada Hiroko 141 Karachi (Pakistan) Exploration Branch 158 Museo Nazionale 157, 158 Karanovo (Bulgaria) 145 Karla (India) 12 Karnak (Egitto) 168, 171 Kazakhstan 113 Khafaja (Iraq) 162 Khajuraho (Madya Pradesh, India) 190 Kiev, Museo Archeologico (Ucraina) 69 Knockmany (Irlanda) 149 Kontler Christine 178, 182 Konya (Anatolia, Turchia) 126, 126 Koobi Fora (Kenya) 51, 56 Koppers Wilhelm 46 Kostienki (Voronež, Russia) 114 Kozlowski Janusz K. 114 Krishna 190 Kshathra 193 Kufa (Iraq) 216 Kula 23 Kula Kangri, monte (Tibet-Bhutan) 23 La-Chapelle-aux-Saints (Corrèze, Francia) 36, 78, 79 La Ferrassie (Dordogna, Francia) 78, 78, 79 Lagash (Mesopotamia, Iraq) 25, 161 La Gravette (Dordogna, Francia) 90 Lagundo (Alto Adige) 152 Lahore, National Museum (India) 218 Lakshmana, tempio (Khajuraho, Madya Pradesh, India) 190 Lama, dea 161 La Madeleine, riparo (Dordogna, Francia) 91 Laming-Emperaire Annette 93, 94, 95, 98 Lantian, Uomo di 60 Laozi 183 La Pileta (Malaga, Spagna) 94 Largo Canyon (Nuovo Messico, USA) 77 Larre Claude 184 Larsa (Mesopotamia, Iraq) 38, 38 Las Almunias (Aragona, Spagna), Cingle de la Ermita del Barranc Fondo 136 Lascaux (Dordogna, Francia) 37, 38, 82, 91, 93, 97, 99, 111, 111 Lattanzio 209 Laugerie Basse (Dordogna, Francia) 111 Laura (penisola di York, Australia) 29 La Valletta (Malta), Museo Nazionale di Archeologia 131

INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

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Lavinio (Lazio) 17 Lazio 17 Leakey Louis 50 Lee Georgia 65 Le Gabillou (Dordogna, Francia) 91 Lengyel (Austria) 145 Leonardo da Vinci 209 León y Gama Antonio de 24 Lepenski Vir (Serbia) 127, 128, 129, 130, 130, 145 Leroi-Gourhan André 10, 38, 52, 57, 82, 84, 91, 92, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 97, 98, 100, 108, 110 Les Combarelles, grotta (Dordogna, Francia) 82, 91, 96, 98 Lesotho 104 Lespugue, Venere di 113, 114 Les Trois-Frères, grotta (Ariège, Francia) 82, 105, 105, 108 Levante spagnolo 82, 96, 134, 136 Lévi-Strauss Claude 28, 44 Lévy-Bruhl Lucien 108 Lewis-Williams James David 101, 103, 105 Liangzhu, cultura (Cina) 180 Libano 117 Lienhardt Ronald Godfrey 44 Liguria 150 Li Lolghi (Arzachena, Sardegna), Tomba dei Giganti 132, 133 Linguadoca (Francia) 82 Lipetsk (Russia) 114 Locmariaquer (Morbihan, Francia) 154 Loira, fiume (Francia) 90 Lombardia 146 Londra, British Museum (Inghilterra) 142, 158, 183 Longshan (Shandon, Cina) 179 Lot (Francia) 130 Lucy, australopiteco 60 Luine (Valcamonica, Lombardia) 148 Luni (Liguria) 130 Lunigiana 130, 131, 148, 150, 152 Maat 171 Macedonia 144, 144 Maddaleniano 71, 82, 90, 91, 93, 102, 108, 111 Madre Terra, v. Terra Madya Pradesh (India) 190 Majiayao, cultura (Cina) 178, 179 Makonde (Tanzania) 14 Makuna, cultura (Colombia) 41 Malaga (Spagna) 94 Mali 44 Mallaha, v. Ain Mallaha Malta 130, 131, 132, 144 Venere di 145 Maometto, v. Muhammad Marchesi, isole (Polinesia Francese) 65 Marco, evangelista 205, 205, 207 Marduk 162

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

Mari (Mesopotamia, Iraq) 161 Maria di Magdala (Maddalena) 209 Maria Vergine 210, 213, 218, 219 Marka Dafing (Burkina Faso) 45 Mar Morto 204 Marocco 218 Mas d’Azil (Ariège, Francia) 81, 108 Massachusetts (USA) 66 Massiccio Centrale (Francia) 90 Massimiano 206 Massimo di Tiro 27 Mathura (Uttar Pradesh, India) 190 Matos Moctezuma Eduardo 24 Matteo, evangelista 205, 207 Mauss Marcel 40, 100 Maya 35, 41 Mecca (Arabia Saudita) 214, 214, 216, 219 Medina (Arabia Saudita) 214, 216 Medio Oriente 97 Mediterraneo, mare 82, 121, 128, 131, 137, 145, 177 Megalitico 131, 132, 133, 149, 150 Megara Iblea (Sicilia) 226 Mehrgarh (Pakistan) 156, 158 Melchisedek 210 Melka Kunturé (Etiopia) 51 Mellaart James 127 Melville, isola di (Australia) 48 Menfi (Egitto) 169 Menna, tomba (Tebe, Egitto) 175 Mentone (Alpes-Maritimes, Francia) 37 Merpert Nicolai Yakovlevich 141 Mesoamerica 23 Mesolitico 81 Mesopotamia (Iraq) 10, 16, 22, 34, 35, 60, 62, 72, 75, 76, 125, 141, 141, 142, 144, 161, 164, 166, 198, 226 Messia 204, 206, 219 Messico 41 Mezin (Ucraina) 69 Mezzaluna fertile 121; v. anche Mesopotamia Mikulov (Moravia) 114, 224 Milano, San Lorenzo Maggiore (Lombardia) 211 Millerd Orpen Joseph 104 Mimi, spiriti 47 Minerva 17 Ming, dinastia 183 Minhe (Qinghai, Cina) 179 Minotauro 27 Minucciano 131 Mitra 187 Mohenjo Daro (Pakistan) 156, 156, 157, 157, 158, 160, 160 Molino Jean 57 Molise 80 Moncigoli (Fivizzano, Toscana) 130 Mongolia 180 Montespan (Alta Garonna, Francia) 104 Monument Valley (Colorado, USA) 66, 68 Moravia 79, 224

Morto, mare 204 Mosca, Galleria Tret’jakov (Russia) 213 Mosè 198, 198, 201, 202, 207, 219 Mossul (Iraq) 123 Muhammad (Maometto) 76, 192, 206, 214, 214, 216, 217, 218, 219, 227 Mumbai, v. Bombay Munchaev Rauf Magometovich 141 Mundigak (Afghanistan) 156 Munhata (Palestina) 141 Murcia (Spagna) 134 Mureybet (Siria) 72, 117, 120, 120, 122, 126, 134, 144, 160, 161 Mveng Engelbert 48 Nadro (Valcamonica, Lombardia) 140, 146 Nahui Ollin Tonatiuh 24 Napier John 50 Napoli, Museo Archeologico Nazionale (Campania) 27, 210 Naqsh-i Rustam (Iran) 192, 196 Naquane (Valcamonica, Lombardia) 18, 146, 149 Narasimha 187 Nasca (Perù) 42 Nasso (Grecia) 27 Natufiano 72, 75, 117, 117, 118, 119, 121, 134 Navajo 32, 66, 68 Naville Édouard 76 Nazaret (Israele) 78, 205, 227 Neandertal/Neandertaliani, v. Homo sapiens neanderthalensis Nefertari 177 Nefertiti 171, 172 Negev (Israele) 137 Neith 171 Neobabilonesi 22 Neolitico 18, 37, 62, 72, 72, 75, 81, 97, 118, 120, 121, 123, 126, 126, 127, 129, 130, 130, 131, 134, 134, 136, 137, 138, 144, 144, 148, 148, 154, 160, 166, 178, 178, 179, 180, 223, 225 Nergal 164 Neuville René 78 New Delhi, Museo Nazionale (India) 160 New Haven (Connecticut, USA), Yale Babylonian Collection 26 New York (USA) 202 Niaux, grotta (Ariège, Francia) 82, 82, 91, 92, 93, 96, 104, 108, 110, 111 Nicea (Turchia) 210, 213 Niederösterreich (Austria) 114 Nigeria 42 Nilo, fiume 34, 75, 134, 136, 169, 169, 177 Ninive (Mesopotamia, Iraq) 34 Ninlil 16, 166 Ninurta 166 Nippur (Mesopotamia, Iraq) 161, 164 Nizza (Alpes-Maritimes, Francia) 100 Musée National Marc Chagall 198

Noè 198, 219 Novgorod-Seversk (Ucraina), 69 Novocerkassk (Russia) 152 Nuova Guinea 47 Nuovo Messico (USA), 66 Comanche Gap 29 Largo Canyon 77 Nüwa 180 Occidente 154, 162, 206, 209, 210 Oceania 43, 46, 47 Ohtsu Tadahiko 141 Okladnikov Aleksei P. 138 Olduvai (Tanzania) 50, 51, 52, 60 Oleniy Ostrov (Russia) 37 Omar 216 Omayyadi 216, 216 Omero 27 Ominidi 58 Onega, lago (Russia) 37 Oriente 145, 154, 162, 209, 210 Osiride 33, 35, 170, 174, 175, 176 Othman 216 Otto Rudolf 17, 40 Ozzano dell’Emilia (Emilia Romagna) 60 Padre Cielo, v. Cielo Padri della Chiesa 27, 209 Pakistan 156, 156, 157 Palenque (Chiapas, Messico), tempio della Croce 35 Paleolitico 13, 40, 42, 57, 69, 69, 71, 78-80, 80, 81, 82, 82, 84, 91, 92, 94, 95, 97, 99102, 108, 110, 111, 111, 114, 114, 117, 121, 141, 146, 224, 225 Palestina 117, 120, 122, 122, 126, 134, 141, 225 Panikkar Raimon 22 Paolo di Tarso 207, 209 Parigi (Île-de-France, Francia) Musée Cernuschi 182 Musée du Louvre 24, 35, 38, 72, 161, 162 Musée Guimet 158, 178, 188 Pasqua, isola di, v. Rapa Nui Patagonia (Argentina), Cueva de Las Manos 108 Pavlov (Mikulov, Moravia) 79, 224 Pavloviano 224 Pechino, Uomo di 57 Pech-Merle 82, 93 Persepoli (Iran) 193 Palazzo di Dario 194 Persia/Persiani 192, 196, 219 Perù 42 Pettazzoni Raffaele 46, 62 Peyroney Denis 78 Pietro, apostolo 207, 207 Pigmei africani 46 Pincevent (Seine-et-Marne, Francia) 100 Pira Paraná, fiume (Colombia) 41

Pirenei 82, 90 Pithecanthropus erectus 58 Placard 81 Platone 27, 210, 211 Plotino 27 Plutarco 27 Pompei 210 Pontevecchio (Fivizzano, Toscana) 150, 152 Porfirio 27 Porte di Ferro (Serbia) 127, 128 Prah Khan, tempio (Angkor, Cambogia) 190 Prajapati 190 Prayag (Allahabad, India) 184 Predmostí (Prerov, Repubblica Ceca) 79, 114 Prerov (Repubblica Ceca) 114 Provenza (Francia) 37 Ptah 169 Puente Viesgo (Cantabria, Spagna) 94 Puglia 27 Purusha 188 Qafzeh 36, 37, 57, 69, 71, 78 Qayrawan (Tunisia) 218 Qinghai (Cina) 179 Quinson (Alta Provenza, Francia), Musée de Préhistoire des Gorges du Verdon 37 Qumran (Cisgiordania) 204, 204 Ra, v. Atum-Ra Raffaello Sanzio 206 Rainbow, altopiano (Colorado, USA) 66 Ramad (Siria) 122, 141 Ramose 175 Ramses II 169, 177 Rangoni Machiavelli Michela 47 Rapa Nui (isola di Pasqua, Cile) 65 Rashid al-Din 214 Ras Shamra (Siria) 122 Raven 44 Ravenna, Museo Arcivescovile 206 Read Bill 44 Renegade Canyon (California, USA) 26 Renna 108, 112 Repubblica Ceca 114, 224 Ricoeur Paul 13, 22, 28, 227 Rideaux, grotta (Alta Garonna, Francia) 113 Ries Julien 10, 22 Rift Valley 54 Río Pinturas (Santa Cruz, Argentina) 10 Roaf Michael 125 Roaf Susan 125 Roberts David 169, 177 Roma 17, 188, 226 catacomba della Via Latina 227 catacomba di San Callisto 209 Santa Maria ad Martyres (Pantheon) 213 Romania 124, 145, 145 Rouffignac (Dordogna, Francia) 37, 91, 94, 114 Rublëv Andrej 213 Rujum Hani (Giordania) 118

Russia 37, 114, 138, 152 Ruvo (Puglia) 27 Sadruddin Agha Khan 25 Sahara 94 Salamanca (Spagna) 60 Salisbury (Inghilterra) 154, 154 Samarcanda (Uzbekistan) 221 Samaritana 227 Samarra 123, 141 San Pietroburgo, Museo di Antropologia ed Etnografia 114 Santillana del Mar (Spagna) 71 Santimamiñe, grotta (Spagna) 84, 91 São Raimundo Nonato (Brasile) 108 Sarasvati 184 Sardegna 132, 133 Schebesta Paul Joachim 46 Schelling Friedrich Wilhelm 28 Schmidt Wilhelm 46, 62 Schobinger Juan 10, 108 Sehonghong (Lesotho) 104 Seine-et-Marne (Francia) 100 Selinunte 226 Semiti 18, 161, 162 Senna, fiume (Francia) 90 Sennedyem (Egitto) 33, 176 Senocrate 211 Serbia 127, 128 Sergio di Radonež 213 Sesklo (Grecia) 144 Sette Saggi 210 Shaanxi (Cina) 60 Shah-i Zinda 221 Shah Tahmasp 25 Shakyamuni (Buddha) 183 Shamash 24 Shandon 179 Shang 178 Shangdi 62, 178 Shanidar (Iraq) 79, 80 Shiva 160, 188, 188, 190 Siberia (Russia) 43, 141 Sicilia 82, 226 Sierra de Albarracín (Aragona, Spagna) 136 Sima de los Huesos, pozzo (Atapuerca, Spagna) 58 Sinai (Egitto) 26, 200, 201, 207, 207, 227 monastero di Santa Caterina 206, 213 Sinanthropus pekinensis 56, 57 Sion 26, 202 Siria 117, 120, 122, 123, 126, 134, 219, 225, 225 Skuhl (Mesopotamia, Iraq) 36 Sligo (Irlanda) 154 Solimano il Magnifico 216 Solutré-Pouilly (Saône-et-Loire, Francia) 90 Song, dinastia 184 Spagna 58, 60, 71, 82, 82, 84, 90, 91, 91, 92, 94, 96; 98, 100, 101, 113, 130, 134, 148, 136

INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

237


Spenta Mainyu 193 Speusippo 210 Spirito Santo 76, 205, 209, 227 Spy (Belgio) 78 Srejovic Dragoslav 127, 129 Stati Uniti d’America 26, 29, 60, 62, 77 Stonehenge (Inghilterra) 154, 154 Suberde (Anatolia, Turchia) 126 Sudafrica 101, 102, 103, 105, 221 Sullivan Lawrence Eugene 66 Sultan Muhammad 25 Sumer/Sumeri 18, 75, 161, 162 Surya 187 Susa (Mesopotamia, Iraq) 24 Svizzera 150 Taddeo, apostolo 207 Tahiti 65 Taipei, Museo Nazionale del Palazzo 184 Takht-i Sulaiman (Iraq) 197 Talete 27 Tamerlano 221 Tamgali (Kazakhstan) 113 Tamil Nadu (India) 188 Tang, dinastia 180 Tanzania 14, 60 Tao, v. Dao Taq-i-Bustan (Iran) 196, 197 Tarn (Francia) 148 Tarxien 131 Tebe (Egitto) 13, 25, 175 ipogeo di Thutmes III 75 necropoli di Deir el-Medina 33 tomba di Menna 175 Teilhard de Chardin Pierre 57 Tell al-‘Amarna (Egitto) 171, 172 Tell Asmar, tempio di Abu (Iraq) 9 Tell Aswad (Siria) 117 Tell es-Sultan (Gerico, Israele) 122 Tell Halaf (Siria) 123 Tell Judeiheh (Siria) 122 Tell Madhur (Hamrin, Iraq) 125 Tello (Iraq) 25, 72, 161, 162 Tell Songor A (Hamrin, Iraq) 141 Tengri 62 Teotihuacan (Messico) 22 Piramide della Cittadella 23 Piramide della Luna 23 Piramide del Sole 22 Viale dei Morti 22 Tepe Gawra (Mesopotamia, Iraq) 125 Termeno (Alto Adige) 152 Terra 23, 68, 137, 180, 182, 182, 183, 184, 202

238

INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA

Terra Amata (Alpes-Maritimes, Francia) 100 Terra del Fuoco (Argentina) 46, 62 Terra di Arnhem (Australia) 47 Teseo 27 Teshik-Tash (Uzbekistan) 79, 79 Teyjat (Dordogna, Francia) 108 Thot 13, 35, 171 Thutmes III 75 Tian, v. Shangdi Tiberiade (Israele) 201 Tibet 23 Tigri, fiume 34, 166 Tilburg Van 62 Tirig, v. Valtorta Tisza (Austria) 145 Tito Bustillo, grotta (Asturie, Spagna) 94 Tobias Phillip Valentine 50, 51 Tobler Arthur J. 125 Toca do Veado (São Raimundo Nonato, Brasile) 108 Toltechi 23 Tonatiuh 14 Trinità 213 Tucidide 226 Tunisi, Biblioteca Nazionale (Tunisia) 218 Tunisia 218 Turang Tepe (Iran) 197 Turchia 72, 126, 141 Turkana (Kenya) 50, 51, 56, 56 Tursac (Dordogna, Francia) 91 Tuthmosis III 175 Uadi Natrun (Egitto), monastero di al-Baramus 210 ‘Ubaid (Mesopotamia, Iraq) 72, 125, 142 Ucraina 69 Ulugh Beg 221 Ungheria 145 Uomo di Lantian 60 Uomo di Pechino 57 Ur (Mesopotamia, Iraq) 38, 75, 142, 161 Urali 98 Uruk (Mesopotamia, Iraq) 10, 16, 26, 161 Urukagina (Tello, Iraq) 161 Urumqi, Museo Provinciale dello Xinjiang (Cina) 180 USA, v. Stati Uniti d’America Userhet, tomba di (Tebe, Egitto) 13 Utah (USA) 60, 66 Uttar Pradesh 190 Uzbekistan 79, 79, 221 Valcamonica 18, 37, 62, 134, 137, 140, 146, 146, 148, 149, 150, 150, 152

Valencia (Spagna) 100, 216 Ciervos a Dos Aguas 136 Valle d’Aosta 150 Valle dei Re (Egitto) 13, 175 Valtellina (Lombardia) 150, 152 Valtorta (Castellón, Spagna) 101 Vancouver, Museum of Anthropology (Canada) 44 Vandermeersch Bernard 78 Vandier-Nicholas Nicole 182 Varuna 187 Venere, pianeta 41, 68 Ventimiglia 37 Versailles (Île-de-France, Francia) 110, 111 Vicino Oriente 28, 32, 34, 35, 56, 72, 90, 94, 97, 117, 120, 121, 126, 134, 137, 141, 144, 160, 161, 226 Vico Gian Battista 27, 28 Vidal Jaques 22, 23, 41 Vienna, scuola di (Austria) 62 Vinca (Serbia) 144 Vishnu 187, 187, 190 Vohu Manah 192 Voronež (Russia) 114 Volp, Caverne du (Ariège, Francia) 90 Wadi Harash (Negev, Israele) 137 Washington DC, Freer Gallery of Art 219 Weng Tong 184 Wernicke, area di 50 Willendorf, Venere di 114 Würm 116 Xinjiang (Cina) 180 Yamuna, fiume (India) 184 Yaoundé (Camerun) 48 Yarim Tepe II (Turchia) 141 Yathrib, v. Medina Yikáísdáhí (Via Lattea) 68 Yin/Yang 178, 182, 183, 183, 184 York (Australia) 29 Yucatán (Messico) 41 Zaccaria 218 Zarathustra 192, 192, 193, 194, 197 Zhejiang, Institute of Archaeology and Cultural Relics Bureau (Cina) 180 Zhou 178 Zhoukou, fiume (Cina) 57 Zhoukoudian, Collina dei Denti di Drago (Cina) 56, 57 Zhuangzi 182 Zoroastro, v. Zarathustra

CREDITI ICONOGRAFICI I numeri fuori parentesi si riferiscono alle pagine, quelli tra parentesi alle illustrazioni.

Albatros: 204 (7); Anati E.: 19 (4), 29 (3), 30-31 (4), 47 (12), 82 (1), 84-85 (3), 86-87 (4), 95 (8), 130 (10, 11), 131 (13), 135 (2), 136 (4), 137 (5, 6), 139 (8, 9), 146 (1), 150 (8, 9), 151 (10), 180 (7), 222 (1); da E. Anati, Le statue-stele della Lunigiana, Jaca Book, Milano 1981, 153 (15); da E. Anati, I Camuni. Alle radici della civiltà europea, Jaca Book, Milano 1992, 152 (11-13, 14a-b), 155 (17, 18b), 156 (1, 2), 157 (3, 4), 158 (5-8), 160 (15, 16), 161 (1, 2), 168 (1, 2), 170-171 (5), 174 (9); BAMS photo Rodella: 200-201 (3); Collezione Giorgio Bargna: 44 (3), 45 (6); Belcastro G.: 50 (1), 54 (9); Beltrán A.: 96 (9), 101 (2); Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz, Berlino: 10 (1), 22 (3); Breuil H.: 112 (4-6); Breuil H., da A. Leroi-Gourhan, I più antichi artisti d’Europa, Jaca Book, Milano 1983: 92 (1, 2), 93 (3, 4), 94 (5), 96 (10), 97 (11, 12), 98 (13), 99 (14, 15), 105 (2), 110 (1), 111 (2); Breuil H., Begouen H.: 90 (7); Buffetrille K.: 23 (5); Carrieri M.: 132 (14), 133 (16); © Chagall®, by SIAE 2012: 199 (2), 203 (6); Clottes J.: 81 (2), 106-107 (4); Curatola G.: 193 (2, 3), 194 (4, 5), 195 (6), 196 (7, 8), 197 (10), 220-221 (31); Dams L.: 136 (3); da F. Facchini, Le origini dell’uomo e l’evoluzione culturale, Jaca Book, Milano 2006: 117 (1), 118 (2), 126 (1, 2), 127 (3-5); Fazzi Canard G.: 42 (4); Forest J.-D.: 73 (6, 7), 122-123 (4), 125 (6, 7), 142 (3), 143 (5), 162 (3); Galindo J.: 40 (1, 2); Grant C.: 26 (12), 32 (5); da Guarina N.N., Olenyiostrovskji mogil’nik (Il cimitero di Oleny), Izdatel’stvo Academii Nauk, MoskvaLeningrad 1956: 37 (6); Held S.: 187 (9); Hirmer Fotoarchiv – Hirmer Verlag, Monaco di Baviera: 27 (1); Instituto de Investigaciones Estéticas, UNAM, México: 24 (6); Archivio Jaca Book: 14 (6), 25 (8), 225 (4); Archivio Jaca Book / Chen Zhao Fu: 18 (3); Jaca Book / A. Stabin: 12 (3), 37 (7), 51 (5); Jaca Book / G. Shedid Abdel: 33 (5), 176 (13), 177 (14); Jaca Book / P. Garagnani, Bologna: 50 (2, 3), 55 (1), 78 (1), 79 (4), 113 (7), 114 (8); Jaca Book / S. Gepner: 53 (7), 54 (8), 55 (2), 57 (5a-b), 80-81 (6), 124 (5), 154 (16), 155 (18a); Jaca Book / Sartec: 164 (5), 165 (6), 166 (7); Jaca Book-Lunwerg / T. Catani: 64 (3), 66 (4); Johansson D.C.: 52 (6); Jottre P.: 182 (8); Kowal E.: 190 (8); Kozlowski J.K.: 115 (9), 116 (10, 11); Lessing / Contrasto: 119 (3), 121 (1, 2), 131 (12); Lewis-Williams J.D.: 101 (3), 102-103 (4, 5), 104 (1), 105 (3), 223 (2); Ligabue G.: 11 (2); Lillia G.: 132 (15); Magliani M.: 211 (18); Mandel M., Milano: 9, 167 (8); McCown T.D., da D.A.E. Garrod, D.M.A. Bate, The Stone Age of Mount Carmel, vol. 1, Clarendon Press, Oxford 1937: 36 (4); da A. Mekhitarian, Egyptian Paintings, Rizzoli, Milano 1978: 13 (5); Michta S.: 69 (1); Mozzati L.: 197 (9); Museo Archeologico del Cairo: 173 (8); Museo Provinciale dello Xinjiang: 179 (4); da E. Mveng, Art nègre art chrétien?, Amis Italiens de Présence Africaine, Roma 1967: 49 (14a-c); National Museum of Lahore: 219 (28); Oki Morihiro: 186 (2), 187 (3); Okladnikov A.P.: 138-139 (7); Oronoz Archive: 95 (6, 7); Pacheco H.: 100 (1); Pignaris C.: 72 (5); Pollesch K.: 224 (3); Powell J., Roma: 218 (27); Rangoni Machiavelli M.: 46 (7-11); Red S.: 72 (4); © RMN-GP (Musée du Louvre) / Franck Raux: 163 (4); © RMN-GP (Musée du Louvre) / Hervé Lewandowski: 35 (2), 169 (3), 170 (4); © RMN-GP / Michèle Bellot: 15 (7); Rodella M.: 185 (1), 188 (5); Ross J.G., da W.E. Peck, Egyptian drawings, E.P. Dutton, New York 1978: 12 (4), 175 (11); Saura Ramos P.A.: 70 (2), 71 (3), 91 (8); Schobinger J., Gradin C.J.: 108 (5); Schobinger J.: 109 (6); Siliotti A.: 156 (9), 159 (12-14); Srejovic D.: 128-129 (7, 8); Teiwes H.: 67 (7); Thames and Hudson: 172 (6, 7); The Israel Museum, Gerusalemme: 204 (9); Velarde B.: 41 (3).

CREDITI ICONOGRAFICI

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