PICASSO ON PEACE AND WAR

Page 1


picasso Della Pace e della Guerra


picasso Della Pace e della Guerra Carlo Sini con un testo di

Sylvie Forestier


Š 2018 Editoriale Jaca Book Srl, Milano tutti i diritti riservati

Sommario

Prima edizione italiana novembre 2018

Š Succession Picasso, by SIAE 2018

La cappella di Picasso a Vallauris Sylvie Forestier

p. 9

Copertina e impaginazione Break Point/Jaca Book

Fotolito Target Color, Milano

ISBN 978-88-16-60563-3

Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma novembre 2018

Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

Le opere p. 27

Genealogie della guerra e della pace Carlo Sini

p. 119

Percorso biografico e opere principali di Pablo Picasso p. 129


La cappella di Picasso a Vallauris Sylvie Forestier


Introduzione

«Ieri la grossa chiave, finalmente sciolta dall’incantesimo, libera, ha cigolato nella serratura e la pesante porta si è aperta. Ho ricevuto un doppio colpo in pieno viso: La Guerra e la Pace mi aggredivano agli occhi, al cuore, al ventre, con l’inaudita violenza di un’ondata, di un grido di donna in travaglio, di una granata esplosa fra i piedi»1. Con queste parole Claude Roy racconta il suo primo impatto, a Vallauris, nell’ate­lier del Fournas occupato da Picasso, con La Guerra e la Pace. La loro bruciante vio­lenza non ha perso la sua attualità. Ancora oggi il visitatore, entrando sotto la volta a tutto sesto, debolmente illuminata, della piccola cappella del castello-museo di Vallau­ris, è colto da uno strano sentimento in cui si mescolano emozione, spavento, spe­ranza. Forse, in questa penombra che fa ondeggiare misteriosamente le forme, il visitato­re ha l’impressione confusa di un lunghissimo cammino a ritroso, di un lento e invo­lontario regredire verso le epoche oscure dell’origine dell’umanità, quando l’uomo, davanti alla potenza della natura, era preso da un sacro terrore. I monumentali pannelli de La Guerra e la Pace sono come le due facce, notturna e diurna, di una medesima realtà. Nella collocazione attuale, che è quella scelta dal pit­tore, non possono non evocare le profondità ctonie dei santuari delle epoche primiti­ve. Ed è così, del resto, che li voleva Picasso. «Non c’è molta luce in questa cappella e vorrei che non venisse illuminata, che i visitatori avessero in mano delle candele e si muovessero lungo i muri come nelle grotte preistoriche, scoprendo via via le figure; che la luce, una piccola luce di candela, si muovesse su quello che ho dipinto...»2. Le intenzioni dell’artista, a quanto pare, sono state rispettate; ma la forza che si sprigiona da questa duplice opera, che nelle sue parti si contrappone e si completa per sconvolgere lo spettatore, nasconde diversi significati. L’esame delle condizioni storiche in cui è nata, del posto particolare che occupa nel complesso dell’opera stessa dell’artista, e l’analisi iconografica, consentiranno al lettore di coglierne tutta la ricchezza. Questo, per lo meno, è lo scopo del presente studio. 11


Storia dell’opera

Il 19 settembre 1959, la città di Vallauris inaugurava il Tempio della Pace nell’anti­ca cappella del castello municipale. Picasso realizzava qui un progetto a cui si era de­dicato per due anni. Nell’atelier del Fournas, a Vallauris, fra il 1952 e il 1954, il pittore aveva lavorato senza sosta alle due monumentali composizioni che turbarono così profondamente Claude Roy la prima volta che le vide3. L’artista vagheggiava quest’i­dea ormai da molti anni; per essere precisi da quando si era stabilito definitivamente nel Sud della Francia. Infatti, dal 1946, Picasso approda alle rive del Mediterraneo, quel mare primordiale al quale lo legano profonde affinità culturali e che, nella sua pittura, ha la suggestione del mito. Dopo gli anni bui della guerra, egli vive una nuova felicità: Françoise Gilot, incontrata a Parigi nel 1943, è la sua compagna. Ella offre al pittore lo splendore della sua bellezza e della sua giovinezza. Dopo le rovine della guerra, sembra quasi incarnare i benefici della pace, una nuova gioia di vivere. Accanto a lei, ai figli che ella gli dà, Claude, nato nel 1947, e Paloma, nata nel 1949, l’artista ritrova una giovinezza radiosa e gusta i piccoli piaceri della vita familia­re. Picasso è felice. Disegna, inventa curiosi giocattoli per Claude e Paloma, va a spas­so in shorts e espadrillas, offre l’immagine di un padre amoroso, di un patriarca soddi­sfatto e vivace, che l’età non appanna4. Ormai chiunque lo può vedere, sulla spiaggia della Garoupe ad Antibes, al risto­rante Nounou a Golfe-Juan, nelle strade in pendenza di Vallauris. La grossa Hispano-Suiza che lo porta in giro con Françoise, Claude e Paloma ben presto è nota a tut­ti e la sagoma tarchiata del pittore diventa una figura familiare che sembra far parte del paesaggio stesso. I suoi amici fotografi Cartier-Bresson, Brassaï, Edward Quinn e, soprattutto, André Villers, immortalano le immagini di una vita quotidiana ormai se­rena, incarnazione dei desideri di tutti i francesi dopo la guerra. Dal momento che si presta al gioco dell’immagine fotografica, il pittore, con la sua presenza, dà ad Antibes o a Vallauris una notorietà che ben presto attira ammiratori e turisti da tutto il mon­do. Non bisogna tuttavia dimenticare che 12

la particolare relazione che lega l’artista al luogo che lo ispira e lo rende popolare a tal punto, nel caso specifico, da farne un ve­ro e proprio fenomeno sociale, si esprime anzitutto attraverso l’opera. Come succede spesso in Picasso, le emozioni legate alla vita personale eccitano la sua potenza creativa. Egli ha avuto, con la donna in generale, un rapporto ambiguo in cui si fondono passione divoratrice e incantata curiosità. Nella sua opera c’è un’osses­sione figurativa, quella del volto umano e, in particolare, del volto femminile. Di fronte a quest’ultimo il pittore sembra porsi davanti ad un mistero di cui vuole esplorare l’arcano attraverso la pittura. Ne è testimone, nella sua opera, la straordina­ria diversità dei ritratti. Basta ricordare quello di Olga Koklova, danzatrice nei balletti di Sergej Diaghilev e prima moglie di Picasso. Eseguito nel 1917, immortala un viso di donna che ha la gravità serena e severa delle madonne spagnole. Oppure, come un’e­co lontana, la bellezza convulsa di quello di Dora Maar, del 1937; o quelli, teneri o la­scivi, di Marie-Thérèse Walter, la bella addormentata. Fonte di emozioni, un volto di donna è anche un oggetto da dipingere. «Sarebbe un andare fuori strada – scrive André Breton nel 1955 – pensare anche per un solo istante che, in Picasso, gli straordinari mutamenti nell’interpretazione del volto fem­minile siano segno di un particolare turbamento dell’artista. La verità è che, in questi casi, la donna non è considerata come soggetto, ma come oggetto, allo stesso modo della chitarra o del succhiotto»5. Datato 1946, il ritratto di Françoise Gilot, la Donna-Fiore, è di un’eleganza degna di Matisse e, con gli innumerevoli schizzi e disegni che ne accompagnano la genesi, è il riflesso del periodo felice che ormai si schiude davanti al pittore. Ad esso corrisponde, a livello monumentale, La gioia di vivere o Antipolis. Questo grande pannello, realizzato su una lastra di fibrocemento, è la trasposizione allegorica delle immagini interiori di piena realizzazione personale la cui forza richiede una com­posizione murale. Nell’autunno del 1946, Picasso è alla ricerca di spazi abbastanza ampi da consen­tirgli di muoversi su grandi superfici. «Delle superfici! vuole delle superfici? Gliene posso dare!»6, racconta Romuald Dor de la Souchère, allora conservatore del castel­lo-museo di Antibes. E mette a disposizione del pittore le sale del castello. Da giugno a settembre Picasso lavora senza posa, notte e giorno, trascinato dalla foga creatrice. Nella sua luminosità solare la serie di Antipolis o La gioia di vivere, ha l’atmosfera atemporale di una scena mitologica. La forza gioiosa che si sprigiona dalla composi­zione deriva dalla sua estrema semplicità. 13


Cinque figure si stagliano su un sfondo realizzato a larghe stesure di colore puro: azzurro, giallo, nero, bruno, bianco. Attorno a quella centrale, il cui puro grafismo ri­corda la Donna-Fiore, si organizza e ruota l’insieme. Un fauno e un centauro, entram­bi suonatori di flauto, la inquadrano mentre due forme caprine sembrano trascinarla in una danza festosa. I problemi figurativi posti dal grande formato, trovano una soluzione tanto ele­gante quanto efficace. Il movimento è suggerito dall’importanza assunta dalla linea. Vivace, corsiva, essa anima le tre figure centrali mentre, alle due estremità, il fauno e il centauro musicanti bloccano la composizione. Nella zona superiore appare una barca a vela, quasi un malizioso omaggio reso a quelle dei pescatori di Antibes. L’insieme si sviluppa come un fregio pieno di luminosa felicità. Così Picasso riscopre, rinnovandoli, i principi di organizzazione dello spazio dei grandi affreschi rupestri o medievali: stilizzazione della forma, semplificazione del co­lore. Può darsi che vi si possa sentire anche qualche eco lontana delle Grandi Bagnan­ti di Cézanne o della Danza di Matisse. Resta comunque il fatto che l’artista dà prova, una volta di più e in modo splen­dido, del proprio virtuosismo di pittore. Il numero speciale (19/20) di Verve, la bella rivista di Tériade, proclama di fronte a critica e pubblico il valore del lavoro di Picasso ad Antibes. L’esperienza di Antibes è fondamentale perché prelude alla successiva realizza­zione de La Guerra e la Pace; inoltre suggella il rapporto particolarissimo che, attra­verso la creazione, unisce l’artista ad un determinato luogo. Dopo Antibes, Vallauris entra a far parte dell’universo di Picasso. Il 26 luglio 1946 l’artista, che abita a Golfe-Juan presso il suo amico incisore Louis Fort, si reca a Vallauris a visitare un’esposizione di ceramiche. La cittadina provenzale infatti mantiene viva, fin dal medioevo, una lunga tradi­zionale di quest’arte. Attraverso l’abilità dei suoi artigiani prosegue attivamente nella fabbricazione di terraglie da cucina. Tuttavia alcuni ceramisti osano cimentarsi in nuove forme: è il caso di Suzanne e Georges Ramié, che Picasso incontra in questa occasione. Il pittore, che vive con furia la sua nuova passione, nutre anche nuove curiosità figurative. Disegna molto, scolpi­sce e, con l’incisore Fernand Mourlot, si avventura nel campo della litografia. Non è dunque strano che anche la ceramica solleciti il suo impulso creativo. Assieme ai co­niugi Ramié si dedicherà d’ora in avanti alla ricerca di tutte le possibilità espressive di una tecnica di cui contribuisce a rinnovare le forme. Picasso lavora nell’atelier del Pian, quello appunto dei coniugi Ramié, che ben presto prende il nome di Madoura. L’artista modella, lavora al tornio, meraviglia gli artigiani più esperti che, incantati, ve­dono nascere un mondo inatteso. Scon14

volge le leggi del genere, afferma la propria autorità di scultore creando quelle figurine femminili che, per la loro somiglianza con l’antico, sono state chiamate «tanagre»: ninfe o baccanti dai lunghi colli in compagnia di fauni o di suonatori di flauto. Civette e tori testimoniano il permanere di un bestia­rio mediterraneo già presente nella pittura. Da ultimo, le ceramiche di Picasso rivelano una delle finalità dell’arte a lungo per­seguite dall’artista: la fusione di volume e colore. Non ci si deve dunque meravigliare di una produzione tanto copiosa realizzata in un breve spazio di tempo. Fra il 1946 e il 1954 Picasso lavora instancabilmente. Dopo questa data però – e la rottura con Françoise Gilot – si dedicherà solo sporadica­mente alla ceramica, lasciando all’atelier Madoura l’esclusiva della produzione. Le ceramiche di Picasso hanno un ruolo non trascurabile nel complesso della sua opera. Esse rappresentano una tappa importante delle sue ricerche sul volume rive­lando, al tempo stesso, una capacità sorprendente di invenzione formale. Anche le ca­ratteristiche proprie della tecnica hanno affascinato il pittore: la terracotta infatti, at­traverso la cottura, fissa per sempre il colore. Mediante la ceramica, infine, Picasso rompeva con la tradizione dell’artista solita­rio e specializzato in un settore, introdotta dal xix secolo, per recuperare quella del Rinascimento che vedeva l’artista come creatore universale. Il gusto per una creatività multiforme, in realtà, Picasso l’aveva sempre avuto: non aveva forse creato, fin dal 1917, le scenografie del balletto di Cocteau e Satie, Parade? E, nel 1919, quelle de Le Tricorne di Manuel de Falla? E ancora, nel 1922, quelle dell’Antigone rappresentata al teatro dell’Atelier?7. È forse opportuno però sottolineare che l’esperienza della scena resta più impor­tante per il pittore. Non è vero, infatti, che la pittura in sé è una forma di «spettaco­lo», a immagine della vita stessa, festa o dramma? E che quella di Picasso mette in evidenza questa teatralità della vita? I fauni musicanti, la menade danzante de La gioia di vivere, i cavalli forieri di mor­te (tav. 36) e il bambino che gioca (tav. 48) de La Guerra e la Pace si presentano allo spet­tatore come su un proscenio. In primo piano. In tutti e due i casi si assiste ad una rappresentazione drammatica.

15


La Guerra e la Pace

Quello di un Tempio della Pace era, per Picasso, un progetto a cui teneva moltis­simo. Il pittore avrebbe voluto che fosse costruito a Céret, in terra Catalana. I doloro­si ricordi della guerra di Spagna, l’orrore di Guernica alimentavano con tutta la loro forza i propositi dell’artista. Ma il progetto finirà col prendere forma a Vallauris. Pi­casso è profondamente legato alla città dove ha amici, compagni di lotta – il sindaco di allora, Derigon, è comunista – e tutta la popolazione lo ha adottato. Egli è anche affascinato dalla piccola cappella del castello e dalla sua severa architet­tura. In un primo momento, vi colloca una versione in bronzo dell’Uomo col montone, che dona alla città e che, in seguito, sarà sistemata nella piazza principale di Vallauris8. All’attrazione esercitata dalla cappella si aggiunge una motivazione più forte di ca­rattere estetico e ideologico. Infatti, nel 1950, il dibattito sull’arte sacra torna di scottante attualità, come dimo­strano molti articoli e discussioni. Inoltre era appena stata inaugurata la cappella di Assy, in cui avevano lavorato i grandi nomi dell’arte moderna – da Bonnard a Léger, a Germaine Righier, a Chagall, Lipchitz... –, oltre a quella di Audincourt decorata da Fernand Léger. Picasso sapeva anche che Chagall, che viveva lui pure sulla Costa Az­zurra ed aveva realizzato per Assy le sue prime due vetrate, cominciava a lavorare a quello che sarebbe stato il grande ciclo del Messaggio Biblico. Infine, elemento deter­minante, Matisse, per il quale lo spagnolo dimostrava un’ombrosa ammirazione, por­tava a termine la cappella delle domenicane a Vence: la cappella del Rosario. Del re­sto, ai disegni, dipinti, sculture, bozzetti delle vetrate, era stata dedicata, dal luglio al settembre del 1950, una mostra alla Maison de la Pensée française a Parigi, mostra per la quale Aragon aveva scritto la prefazione del catalogo. Claude Roy ricorda: «Quello che ora Picasso sogna, mi confidava ieri9, è di decorare una piccola cap­pella del xiv secolo, sconsacrata, nei pressi di Vallauris10. Nel suo progetto c’è un piz­zico di malizia: Matisse e Chagall hanno decorato ciascuno la propria cappella, Picas­so non sarebbe 16

dispiaciuto se venisse il suo turno. Pensa di fare dell’antico santuario abbandonato una specie di «tempio della pace»; di utilizzare le due ampie superfici la­terali e la volta sopra l’altare per collocarvi due dipinti di grandi dimensioni e al centro (ma non è ancora sicuro), una statua oppure un terzo pannello. La municipalità di Vallauris gli ha dato carta bianca. Lui medita e ci fantastica sopra». Di fatto, dal settembre 1950, Picasso si è votato alla «grande opera». Nell’atelier del Fournas ha inventato «un carro da combattimento per il dipinto con questo tito­lo»11. Questa specie di impalcatura gli consentirà di dipingere, nell’esaltazione del ge­sto, i cento metri quadrati di ciascun pannello. La Guerra e la Pace (tavv. 31-32) saranno dipinte con grande rapidità, nel corso del 1953: come nelle grotte preistoriche il cui esempio assilla Picasso, i colori invadono la superficie in larghe stesure piatte. Nessu­na correzione, nessuna esitazione: la foga del dipingere è sovrana, il segno sembra mordere la parete. Ma questa libertà creatrice è stata preparata da un incessante lavoro di disegnato­re. Oltre ad alcuni studi su fogli sparsi realizzati per La Guerra e la Pace (e le litogra­fie, tavv. 33 e 40, realizzate in seguito), tre taccuini ci permettono di ricostruire la genesi dei due grandi pannelli. Il primo, di cm 23 x 15, comprende 58 disegni eseguiti fra il 28 aprile e il 1 maggio 1952. Un altro, di formato allungato (cm 12,5 x 22,5), è usato per 12 schizzi a penna. Infine, su un quaderno di scuola del figlio Claude, Picasso, fra il 19 luglio e il 14 settembre 1952, realizza 175 schizzi a matita. «Avevo riempito interi quaderni di abbozzi, di particolari, ma non avevo nemme­no uno schizzo dell’insieme» ha detto il pittore a Claude Roy. «Ho cominciato con La Guerra – continua – ciò che mi è balzato davanti agli occhi è stata la corsa sgraziata e traballante di uno di quei carri funebri di provincia, miserevoli e cigolanti, che si ve­dono passare per le strade delle piccole città. Ho cominciato da destra e attorno a questa figura è nato tutto il resto...». L’immagine del carro funebre, del carro della Guerra (tav. 34), è infatti un’apparizio­ne piena di forza, che sintetizza tutto il pensiero di Picasso. Ma essa non è apparsa immediatamente nel lungo processo creativo che ha condotto l’artista alla realizzazio­ne de La Guerra e la Pace. Alcuni disegni anteriori ci mostrano la scelta di un motivo diverso. Il 5 ottobre 1951, Picasso simboleggia La Guerra sotto forma di un carro ar­mato che sputa dai cannoni il fuoco mortale. Il disegno a penna e inchiostro di china, è di un assoluto realismo. Vi si individuano perfettamente la torretta centrale, i cingoli e le ruote dentate, il cannone e le canne sottili delle mitragliatrici. Tuttavia la parte an­teriore si apre in una specie di ghigno gi17


gantesco da cui si sprigionano delle fiamme. Ed alcuni tratti più spessi, ad andamento ellittico, fanno sorgere dall’interno stesso del carro armato un volto orrendo. Il disegno riesce a far nascere dall’esatta rappre­sentazione della realtà di una macchina da guerra l’immagine di un mostro fantastico. Lo stesso giorno, Picasso esegue un altro disegno intitolato Guerra e Pace che ci mostra lo scontro fra il difensore della Pace e il carro della Guerra. Esso è interessan­te perché vi compare l’idea fondamentale che l’artista realizzerà, quella, appunto, del combattimento fra la Pace e la Guerra. Il difensore è un uomo maturo, barbuto, ispirato all’antico: brandisce una spada e regge lo scudo con l’immagine di Atena sormontata dalla colomba. Il carro della guer­ra, apportatore di morte, come indica la parte centrale, che evoca un teschio, avanza verso di lui. I motivi dello scudo, della colomba, del teschio, la figura del guerriero e quella femminile, il volto di Atena, sono già presenti fin dal 1951. E lo confermano al­tri due disegni dello stesso giorno. Ma nella realizzazione definitiva l’insieme delle fi­gure e dei motivi si riorganizzerà in maniera più sintetica. Anche un’altra opera, datata 11 giugno 1940, pare ricollegarsi al ciclo de La Guer­ra e la Pace. Si tratta di una testa di donna che sembra ridotta alla pura struttura del cranio. Immagine a metà fra un volto e un teschio, porta la data dell’11 giugno 1940. Picasso era allora a Royan, mentre le armate tedesche stavano per riversarsi sulla Francia e occupare la città il 23 dello stesso mese. L’insieme di questi disegni e il dipinto – la Testa di donna, intitolata anche La Guerra12 – come pure il progetto stesso, vanno ricondotti ad un preciso clima stori­co: quello della «guerra fredda», delle battaglie ideologiche condotte dal Partito Co­munista, e al tragico episodio della morte del comunista greco Beloyannis, fucilato ad Atene il 31 marzo 1952. Quest’ultimo avvenimento, che segue la guerra di Corea, sconvolge Picasso che proprio a Vallauris, il 18 gennaio 1951, aveva dipinto Massacro in Corea su una lastra di isorel. Il quadro è, dal punto di vista tecnico, quasi il preludio alla realizzazione de La Guerra e la Pace, eseguito anch’esso sullo stesso tipo di supporto. Malgrado le di­mensioni relativamente ridotte – 1,095 x 2,095 – Massacro in Corea conserva un aspetto monumentale. Il pittore ha scelto una composizione orizzontale intenzionalmente simmetrica. Il gruppo delle vittime – donne e bambini, a sinistra – affronta le canne dei fucili del gruppo dei seviziatori, a destra. La simmetria voluta accentua il manifestarsi dell’op­posizione dei due blocchi e, in un certo senso, preannuncia la scelta che Picasso farà con La Guerra e la Pace. Quando è informato dell’esecuzione di Beloyannis, egli è ancora a Vallauris in compagnia di Claude Roy che annota: «I giornali della domenica 18

sera danno partico­lari atroci sull’esecuzione di Beloyannis che ha avuto luogo stamane ad Atene»13. Con lui, Picasso cerca di elaborare un testo in cui esprime tutto il suo orrore. «Pi­casso è muto, chiuso nel dolore... scende nell’atelier. Dopo una mezz’ora torna e mi porge un breve testo – un grido: «Nell’incerta luce delle lanterne a olio che illumina le tenebre nella Madrid di una sera di maggio, i nobili volti dei popolani fucilati dallo straniero rapace nel quadro di Goya hanno la stessa intensità dell’orrore seminato a piene mani dai riflettori sul petto della Grecia squarciato da un governo che trasuda paura e odio. Un’immensa colomba bianca sparge sulla terra la rabbia del suo dolore»14. Parole tremende, parole di pittore che annulla il tempo che separa La fucilazione del 3 maggio 1808, il terribile quadro di Goya, da Massacro in Corea, che tanto gli si avvicina, o da La Guerra e la Pace. Oltre il tempo, infatti, Picasso e Goya si collegano in uno stesso moto di rivolta contro l’ingiustizia e la guerra. La guerra col suo seguito di estorsioni, di crimini con­tro l’umanità e contro lo spirito, la guerra e la sua assurda follia. Questo è probabilmente ciò che Picasso desidera soprattutto: manifestare l’assur­d ità della guerra, renderne evidente l’aspetto mostruoso. Perciò è significativo anche il fatto che l’artista, in realtà, abbia scelto non l’immagine realistica del carro armato contemporaneo, ma quella beffarda, addirittura anodina, del carro funebre di campa­gna. Proprio perché è uno spettacolo familiare, quest’ultimo, malgrado il suo anacro­ nismo, può sembrare rassicurante. Picasso si propone di giocare abilmente su questa prima impressione dello spettatore. Ma in un certo senso anche di distruggerla. Il carro avanza, tirato da due cavalli ossuti. È guidato dal signore della guerra che brandisce un gladio sporco di sangue (tav. 34). Da una specie di malefico vaso di Pan­dora escondo dei piccoli animali mostruosi il cui brulichio sembra accompagnare ogni giro di ruota. Sullo sfondo grigio della parete si agitano le sagome dei massacratori, orrendo corteggio che segue tutti i mali della guerra (tav. 36). Gli zoccoli dei cavalli cal­pestano il simbolo stesso della civiltà, il libro (tav. 37). La spada si abbassa quasi per un colpo fatale verso due mani che, come in un’estrema preghiera, emergono dal buio della notte. In pochi tratti, che sembrano trascinati dalla rapidità dell’esecuzione, Picasso sin­tetizza la crudeltà e la stupidità della guerra. I colori accentuano l’effetto voluto: il ne­ro totale, il verde acido, il grigio creano un’armonia fredda interrotta violentemente da toni gialli, rossi e bianchi. Ma que19


sti valori caldi, proprio per il fatto di essere comple­tamente discordanti rispetto all’insieme, contribuiscono invece ad accentuarne l’aspet­to stridente e funesto. La figura dominante del signore della guerra merita particolare attenzione. Nella composizione definitiva essa si contrappone, sullo stesso pannello, al guerriero della pace. Ma una serie di disegni mostra una lunga elaborazione. I taccuini preparatori in data aprile, maggio e luglio 1952, parlano della febbrile ricerca dei motivi e delle for­me. Picasso è ossessionato in particolare dall’immagine terribile di un uomo dalla te­sta di rapace notturno che sembra disseminare la morte. Il personaggio prende forma nel maggio del 1952 in una serie di rapidi schizzi a in­chiostro15. La fronte del rapace antropomorfo inalbera un paio di corna. Picasso fonde due animali che lo assillano, il gufo o la civetta e il toro. In luglio, il personaggio bran­disce una lancia ed ha ancora le corna. Nello stesso periodo l’immagine del carro fu­nebre, un po’ alla volta, assume il suo aspetto definitivo. Ma per il traino il pittore è in­certo fra cavalli e cinghiali. Nel mese di agosto ritroviamo l’uomo dalla testa di rapace e il tema del libro in preda alle fiamme. L’artista lavora anche alle teste dei cavalli. Finalmente, appare l’idea-guida: un rapidissimo schizzo del 30 agosto 1952 deli­nea lo scontro fra il carro della guerra e il difensore della pace (tav. 33, litografia). Pi­casso ha trovato l’immagine fondamentale che ora dovrà tradurre in opera. Da questo momento egli si rende conto che la forza del suo messaggio, della sua protesta, dipende più da una dinamica dello spazio che dalla complessità nell’elabora­zione delle figure. L’economia della forma non solo non riduce l’effetto, ma punta all’essenziale. Per questo, nella versione definitiva, l’artista rinuncia al personaggio dalla testa di rapace. La sua stessa bellezza avrebbe infatti catturato, affascinato lo sguardo, disto­g liendo l’attenzione dallo scopo perseguito. Egli decide dunque per una figura imper­sonale, anonima. Una figura che diventa segno. Il dispensatore di morte si riconosce attraverso la rappresentazione di alcuni semplici attributi: la spada, la gerla piena di teschi allucinati (tav. 35). La voluta semplificazione dell’immagine dà maggiore evidenza, e maggior forza, al significato. «Ci sono stati dei mesi, degli anni, in cui, come tutti, ero assillato dalla minaccia della guerra, invaso dall’angoscia e dall’odio e, al tempo stesso, dal desiderio di bat­t ermi contro l’angoscia e l’odio». Queste parole di Picasso a Claude Roy testimoniano il furore interiore che ribolliva nel cuore dell’artista. È lo stesso furore da cui era nata Guernica e che, diversi anni dopo quel grido di 20

rabbia e di rivolta totale, ricompariva in Massacro in Corea, La Carneficina, La Guerra e la Pace. L’intensità della protesta trova la forma della denuncia nell’immediatezza esem­plare della scena: il carro da guerra, il lugubre auriga, i cavalli «addobbati a lutto» che calpestano l’umanità e la memoria dell’umanità. Nella sua semplicità la scena esprime l’orrore e la stupidità della guerra. Ma la forza della ribellione del pittore attinge anche ad un’altra fonte: il suo amore per la vita. A questo punto, infatti, la composizione s’interrompe: l’opposizione e la simmetria che ci aspetteremmo tra i pannelli de La Guerra e la Pace, sono spezzate di proposito. La Guerra va a infrangersi sul combattente della Pace (tav. 38). Il disegno dell’agosto 1952 trova qui la sua vera dimensione: monumentale, egli si erge di fronte al carro della Guerra, come un araldo e un guardiano. Nel cuore dello spazio omogeneo di uno stesso pannello, Picasso introduce una frattura visiva: cambia la scala proporzionale e l’armonia cromatica. Le ombre funeste della parte riservata alla guerra fanno posto alla luminosità del cielo di un’aurora. Lu­ce suggerita dall’azzurro intenso della parete su cui si staglia il difensore della pace. È un giovane imberbe, mentre i disegni preparatori mostravano un uomo maturo la cui età, secondo il codice di rappresentazione dell’antichità greca e romana, era indicata dalla barba. Ha la lancia, la bilancia, simbolo della giustizia, e uno scudo, segno su­premo della sua missione. Lo scudo è ornato, come quello di Atena, ma non con la testa della Gorgone, bensì con l’immagine della colomba. In trasparenza s’intravede un sereno volto di donna, quello della Pace, dispensatrice di felicità (tav. 39). Questo volto, di fronte, di profilo, con gli occhi aperti o chiusi, talora con un el­mo, lo ritroviamo nei disegni della primavera e dell’estate del 1952. È addirittura pre­annunciato, fin dal settembre 1951, dallo strano disegno di una colomba il cui ventre assume i contorni di un viso di donna, e intitolato Il volto della Pace. Ma la figura femminile sullo scudo continua una serie precedente: i lineamenti infatti sono proprio quelli di Françoise Gilot così come li vediamo nella mirabile sequenza di ritratti datati fra l’aprile e il maggio del 1946. Sulla parete opposta della cappella, in un’armonia di toni chiari e luminosi, si di­spiegano i benefici della Pace (tav. 40, litografia). Un primo gruppo di figure, legate fra loro da un invisibile filo che le unisce quasi a formare una triade pacifica (tav. 41), ne è il simbolo: una donna che allatta il suo bambino, un libro aperto davanti agli occhi (tav. 21


42, dettaglio); un adolescente vicino a lei, che sembra mo­dellare e al tempo stesso porre sul fuoco un recipiente; infine un uomo, figura anonima e che, tuttavia, si avverte più avanti negli anni, intento a scrivere. La semplicità delle immagini, la mancanza in esse di una caratterizzazione fisio­nomica, consente una lettura del messaggio allegorico più diretta e, nel contempo, più facile. Ognuno infatti può ravvisare, nella donna che allatta il figlio, una di quelle ma­ternità senza tempo che, nella storia della pittura, incarnano il perpetuo fluire della vi­ta stessa. Così, l’immagine dell’adolescente davanti al focolare domestico rappresenta il radicarsi nella vita familiare, e quella dell’uomo maturo le gioie dello spirito. In que­sto modo, è evidente, Picasso ricupera rinnovandola una delle espressioni figurative delle tre età dell’uomo. La cosa troverebbe conferma nella profonda cultura classica del pittore, come pure nella figura al centro della composizione: un cavallo bianco, che tira un aratro guidato da un fanciullo. Le ali ci fanno riconoscere in lui il mitico Pegaso che appariva già sul sipario di Parade16 e che, qui, costituisce l’immagine anti­tetica a quella dei neri cavalli della Guerra. La testa (tav. 45) ci colpisce in modo parti­colare: nella sua serena gravità sembra incarnare la più sublime nobiltà del genere umano. Nessun dubbio che qui l’animale abbia un carattere solare, radioso, confer­mato dalla sovrastante forma policroma, coronata di spighe di grano (tav. 43). L’astro diurno sopra la testa di Pegaso viene a trovarsi così anche sopra quella dello spettato­re. Secondo quanto aveva voluto l’artista. «Penso che i due pannelli si addatteranno perfettamente ai due lati della cappella, entrambi a volta. Così il «Sole» che sta alla sommità della Pace non sarà nella parte superiore dell’affresco, ma sopra la testa dello spettatore»17. Nella sua monumentalità, e nell’evidenza degli attributi maschili, la figura di Pega­so appare come simbolo di fecondità; ma la sua leggerezza quasi danzante introduce anche una sorta di scansione ritmica nel cuore dell’opera. Pegaso è al tempo stesso immobile e in movimento. Di conseguenza fa parte tanto del gruppo che lo precede – la triade allegorica delle età dell’uomo, in cui tutte le figure sono in riposo – quanto di quello che lo segue. Qui, rovesciandosi all’indietro in una sorta di sfrenata esaltazione del corpo, due donne danzano. La prima risponde all’incantesimo del suonatore di flauto (tav. 44) e sembra prigioniera della magia della musica, la seconda regge, in fragile equilibrio sulla punta dell’indice teso, una bilancia che ha a un’estre­mità una clessidra, all’altra un fanciullo ritto sulla punta di un piede. Questo giovinetto, dal volto sereno ed enigmatico, ha sulla testa una civetta (tav. 46). Il suo ca­po sostiene anche l’asta di una bilancia che termina da una parte in una vasca colma di uccelli, dall’altra in 22

una gabbia piena di pesci coi quali gioca un bimbetto (tav. 47). Tutto questo gruppo costituisce quasi un reticolo allegorico. L’indicazione formale della doppia bilancia spiega il significato del messaggio: fragile equilibrio quello della Pace! Gli attori principali, la donna e il bambino, sembrano dei giocolieri. La loro gioia, o la loro destrezza, sono in balia del caso. La gabbia coi pesci e il vaso con gli uccelli fanno da pendant alla spaventosa gerla del signore della Guerra (tav. 35). Picasso aggiunge un tocco di umorismo nella voluta assurdità con cui scambia contenitore e contenuto. È forse per sottolineare ancora una volta l’imprevedibile mutevolezza del destino che la gabbia contiene gli animali che nuotano e il vaso quelli che volano? Può darsi che, in questo gioco surreale, ci sia anche il ricordo delle filastrocche e delle scenette che Picasso inventava per i suoi bambini, Claude e Paloma: l’universo innocente dell’infanzia rimane, infatti, quello del racconto e della meraviglia, quello di Alice che esplora lo specchio18. La Pace infatti esalta l’effimera sovranità dell’infanzia che il pittore rappresenta incoronando con la civetta, simbolo di saggezza e di chiaro-veggenza, il capo del giovane equilibrista per opera del quale tutto si sostiene e si rac­corda (tav. 46). Quest’inno all’infanzia, con cui si conclude il pannello della Pace, è una folgora­zione improvvisa che compare nella sua totalità in un rapido schizzo del 9 agosto 1952. Come al solito, dopo un lavoro accanito alla ricerca di diverse soluzioni che non lo soddisfano, Picasso trova. Il gruppo delle due donne che danzano, invece, non è sgorgato di getto. Il pittore inizialmente cerca di mettere in posa – lontano ricordo de La Danza di Matisse? – tre figure di fanciulle in un girotondo19. L’espressione del movimento, della danza, è da molto tempo uno dei suoi temi preferiti. Ricordiamo il lavoro svolto da Picasso con Diaghilev, fin dal 1916, per l’allestimento del balletto Parade, seguito da Le Tricorne (1919), da Pulcinella (1920), Cuadro flamenco (1921), Le Train bleu (1924), per citare solo gli spettacoli più importanti. L’esperienza fu particolarmente proficua per il pitto­re: gli consentì infatti di osservare il lavoro dei danzatori, di fissarne le pose, gli atteg­giamenti del corpo, di disegnare in tutta libertà le diverse forme dell’espressione corpo­rea. Quasi un’eco di tutta questa attività, ecco le donne che corrono sulla spiaggia del sipario di Le Train bleu, la danza solare de La gioia di vivere, i giochi di equilibrio de La Pace, che fondono il duplice gusto del balletto e del circo, sempre presente nell’artista. La Guerra e la Pace s’impone allo spettatore con la potenza di una sensazione immediata, che scuote lo spirito e suscita l’emozione. L’opera trasmette anche un messaggio senza ambiguità, che ognuno coglie immediatamente. 23


L’audace semplificazione delle figure, la loro calcolata riduzione a segni, è in fun­zione dell’evidenza del messaggio. La Guerra è orrore, crudeltà, stupidità; la Pace è vi­ta, gioia, felicità. Ma quanto fragile! La pittura assume qui pienamente una funzione narrativa, ma la narrazione è a sua volta pittura. E quest’ultima da corpo alla realtà delle cose e degli esseri animati. Nel 1953 La Guerra e la Pace fu esposta, con Massacro in Corea, La Carneficina e Guernica, al Palazzo Reale di Milano. «Dalla stazione di Milano, e per tutto il percorso dell’ampio viale, sventola trion­fante il nome di Picasso... collegi, processioni di ecclesiastici, giovani, studenti: Picasso sbalordisce l’Italia», racconta Claude Roy. Ed è vero che l’esposizione milanese fu un successo straordinario. Non si vedranno più, riunite, l’opera più importante del pitto­re, Guernica, e quelle che, in seguito, gli furono anch’esse ispirate da una tragica attualità. Il confronto fra Guernica e La Guerra e la Pace è tuttavia inevitabile. L’esame delle due opere infatti, se mette in evidenza certe somiglianze, mette anche in luce le frattu­re, stilistiche e storiche, che le rendono diverse.

Note Claude Roy, La Guerre et la Paix, Paris, Cercle d’Art, 1954, p. 37. Ibid., p. 43. 3 Ibid., p. 35. 4 Cfr. in particolare, Pierre Cabanne, Le siècle de Picasso, Denoël, Paris, 1975, 2 voll., e Pierre Daix, Picasso créateur. La vie intime et l’oeuvre, Paris, Seuil, 1987. 5 André Breton, «Réponse à une enquête», Le Figaro litteraire, 11 giugno 1955, citato in André Fermigier, Picasso, Paris, livre de poche, 1979, p. 201. 6 Romuald Dor de la Souchère, Picasso, Paris, Hazan, 1962. 7 Cfr. Douglas Cooper, Picasso et le Théâtre, Paris, Cercle d’Art, 1987 (tr. italiana Picasso, il teatro, Milano, Jaca Book, 1987). 8 L’uomo col montone fu inaugurato il 6 agosto 1950. Il poeta André Verdet, a nome di tutti, salu­ta Picasso con queste parole: «A Vallauris, in una bella domenica d’agosto, sulla piazza principale in cui siamo riuniti attorno ad una statua di bronzo intitolata L’uomo col montone, e a nome di Vallauris, io dichiaro Pablo Picasso il suo Amico pubblico numero 1. Pablo Picasso, dallo sguardo terribile e dolce». 9 Claude Roy, op. cit., p. 35. 10 Si tratta della cappella del castello di Vallauris, nel centro del paese. 11 Claude Roy, op. cit., p. 35. 12 L’opera, attualmente intitolata Testa di donna, fa parte delle collezioni del Musée Picasso col numero d’inventario M.P.1229. Nel 1954, però, è citata da Claude Roy come La Guerra (cfr. Claude Roy, op. cit., p. 107). 13 Cioè il 31 marzo 1952. Cfr. Claude Roy, op. cit., p. 34. 14 Claude Roy, op. cit., p. 35. 15 La serie di disegni qui menzionati è stata pubblicata da Claude Roy, op. cit. 16 Parade, balletto presentato al Théâtre du Châtelet a Parigi il 18 marzo 1917 dai Ballets di S. Diaghilev. Soggetto di Jean Cocteau, scene e costumi di Picasso, coreografia di Léonide Massine, musica di Erik Satie. 17 Claude Roy, op. cit., p. 43. 18 Nel 1951, a Vallauris, Picasso scrive le sue seconda opera teatrale, Les quatre petites filles, che evoca i giochi infantili, il linguaggio poetico o scherzoso inventato dai bambini. Il pittore osservava con molta attenzione i due figli Claude e Paloma; questa osservazione e il ruolo particolare che l’arti­sta attribuisce all’infanzia trovano una testimonianza in Les quatre petites filles e nel pannello della Pace. 19 Disegno a penna e inchiostro di china datato 4 maggio 1952. 1 2

24

25


Le opere


1 Due donne che corrono sulla spiaggia (La corsa) Dinard, 1922. Tempera su compensato, 32,5 x 41,1 cm. Parigi, MusĂŠe Picasso.

28

29


2 Il flauto di Pan Antibes, 1923. Olio su tela, 205 x 174 cm. Parigi, MusĂŠe Picasso.

30

31


3 Uomo con la maschera, donna e bambino Juan-les-Pins, 23 aprile 1936. Penna, inchiostro e lavis su carta, 65,5 x 50,3 cm. Parigi, MusĂŠe Picasso.

32

33


4 Scultore, modella accovacciata e testa scolpita Parigi, 23 marzo 1933. Acquaforte su rame, 26 x 19 cm. Antibes, MusĂŠe Picasso.

34

35


5 Ritratto di Dora Maar Parigi, 1937. Olio su tela, 92 x 65 cm. Parigi, MusĂŠe Picasso.

36

37


6 La donna che piange Parigi, 26 ottobre 1937. Olio su tela, 60,8 x 50 cm. Londra, Tate Gallery.

38

39


7 Guernica Parigi, 1° maggio-4 giugno 1937. Olio su tela, 351 x 782 cm. Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía

40

41


8 La donna che urla Parigi, 24 maggio 1937. Studio per Guernica, grafite e guazzo su carta telata, 29,2 x 23,2 cm. Collezione privata.

42

43


9 La donna che piange (1) Parigi, 24 maggio 1937. Studio per Guernica, disegno a grafite, 29,2 x 23,2 cm. Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina SofĂ­a.

44

45


10 La gioia di vivere o Antipolis Antibes, 1946. Olio e gliceroftalico su fibrocemento, 120 x 250 cm. Antibes, MusĂŠe Picasso.

46

47


11 Faunetto, ninfa e centauro Antibes, 5 novembre 1946. Mina di piombo su velina d’Arches, 50,5 x 66 cm. Parigi, MusÊe Picasso.

48

49


12 Centauro che rapisce una ninfa Antibes, 5 novembre 1946. Mina di piombo su velina d’Arches, 50,5 x 66 cm. Parigi, MusÊe Picasso.

50

51


13 Jaume SabartĂŠs come un fauno Antibes, 1946 Olio e carboncino su carta filigranata, 65 x 50 cm. Museu Picasso, Barcellona.

52

53


14 Fauno con flauto, ninfa con tamburello e centauro con tridente Antibes, 31 ottobre 1946 (iii), 1° novembre 1946 (iv). Mina di piombo su velina d’Arches, 51 x 66 cm. Antibes, Musée Picasso.

54

55


15 Nudo disteso su letto bianco Antibes, novembre 1946. Olio su fibrocemento, 120 x 250 cm. Antibes, MusĂŠe Picasso.

56

57


16 Testa di donna (Franรงoise Gilot) 1948. Litografia, 65 x 50 cm. Art Gallery of New South Wales, Sydney.

58

59


17 La grotta 21 luglio 1946 Gouache su carta, 50,5 x 66,5 cm. Collezione privata

60

61


18 La colomba della pace su sfondo nero 9 gennaio 1949. Litografia su carta, 60 x 73 cm. Musée d’art et d’histoire de la Ville de Saint-Denis.

62

63


19 La colomba della pace 1950 circa. Pastello, 23 x 31 cm. Parigi, MusÊe d’Art moderne de la Ville de Paris.

64

65


20 Massacro in Corea Vallauris, 18 gennaio 1951. Olio su tela, 110 x 210 cm. Parigi, MusĂŠe Picasso.

66

67


21-22 Vallauris, Tempio della Pace, veduta esterna e ingresso dal cortile del castello.

68

69


23-28 Picasso al lavoro sui cartoni nella Cappella della Pace. Nell’autunno del 1953, Picasso accetta che il cineasta Luciano Emmer ripercorra, all’interno della cappella del castello di Vallauris, la genesi de La Guerra e la Pace. AndrÊ Villers ne ha fotografato le fasi principali.

70

71


27 Ancora uno scatto di AndrĂŠ Villers nella Cappella della Pace.

72

73


28 Luciano Emmer alla cinepresa mentre riprende l’artista.

74

75


29 Picasso nella cappella del castello di Vallauris, 1953. Sullo sfondo, la struttura in legno sulla quale saranno montati i pannelli de La Guerra e la Pace.

76

77


30 La Guerra e la Pace, pannelli in corso di esecuzione. Vallauris, 1954. Charles Feld, editore di Picasso e fondatore del “Cercle d’Art�, li fotografa prima del montaggio definitivo che li incurva secondo la sagoma della cappella.

78

79


31 Cappella della Guerra e della Pace, veduta d’insieme verso l’ingresso.

80

81


32 Cappella della Guerra e della Pace, veduta d’insieme verso il fondo.

82

83


33 La Guerra. Vallauris, 1952-1953. Ultima fase preparatoria, litografia.

84

85


34 La Guerra, particolare del carro della Guerra.

86

87


35 La Guerra: dettaglio della gerla traboccante di teschi allucinati, attributo del signore della Guerra.

88

89


36 La Guerra, dettaglio dei cavalli portatori di morte e dei massacratori che seguono in corteo i mali della guerra.

90

91


37 La Guerra: gli zoccoli dei cavalli calpestano il simbolo stesso della civilitĂ e della cultura, il libro.

92

93


38 La Guerra, dettaglio del difensore della Pace.

94

95


39 Scudo del combattente della Pace, ornato con l’immagine di una colomba e, in trasparenza, si intravede il volto sereno di una donna: la Pace.

96

97


40 La Pace. Ultima fase preparatoria, litografia.

98

99


41 La Pace. Particolare: le tre età dell’uomo.

100

101


42 La Pace. Particolare: una donna allatta il suo bambino, con un libro aperto davanti.

102

103


43 La Pace. Particolare del sole.

104

105


44 La Pace. Particolare del suonatore di flauto.

106

107


45 La Pace. Particolare del cavallo alato, figura evocativa del mitico Pegaso.

108

109


46 La Pace. Particolare del giovinetto con civetta.

110

111


47 La Pace. Particolare della donna danzante.

112

113


48 La Pace. Bambino con gabbia di pesci.

114

115


49 Giovane coppia nuda con colombe Mougins, 29 febbraio 1968. iv, disegno a mina di piombo, 49,5 x 76 cm. Collezione privata.

116

117


Genealogie della guerra e della pace Carlo Sini


Genealogie della guerra e della pace

In una grotta del sito archeologico di Gran Dolina ad Atapuerca, nella penisola iberica, i ricercatori hanno scoperto tracce certe di cannibalismo e le hanno attribuite a Homo antecessor, probabile progenitore di Homo neanderthalensis e di Homo sapiens. Ecco come Ian Tattersall riferisce il ritrovamento. «Le ossa fossili finora scoperte a Gran Dolina sono state brutalmente spezzate e molte presentano tracce ottenute tagliando, battendo e raschiando con strumenti di pietra. Inoltre, si possono notare fratture molto simili a quelle prodotte dagli ominidi macellando i corpi delle prede. Tutte le ossa, umane e non umane, sono state trattate allo stesso modo. Ciò implica che tutti i corpi di cui le ossa facevano parte sono stati mangiati. Non esiste insomma alcuna traccia di un particolare trattamento rituale riservato ai resti umani. Abbiamo pertanto buoni motivi per credere che gli ominidi a Gran Dolina 780.000 anni fa mangiassero i loro simili. […] Il gruppo di ricercatori di Atapuerca scarta qualsiasi implicazione simbolica e sottolinea che gli undici bambini e adolescenti riconosciuti nei resti macellati non sono stati oggetto di alcuna manipolazione particolare e che le tecniche di macellazione utilizzate avevano soltanto lo scopo di ricavare la maggiore quantità possibile di cibo, cervello incluso. […] I ricercatori si sono spinti oltre, ipotizzando che la tenera età degli individui mangiati indicasse il loro status di vittime vulnerabili, prede di cacciatori impegnati a fare razzia nei gruppi vicini. […] L’agghiacciante natura prosaica del cannibalismo di Gran Dolina implica qualcosa di totalmente diverso e di assolutamente estraneo alla nostra stessa specie». Quest’ultima notazione molto ci solleva. Leggendo degli undici bambini e adolescenti, tratti in inganno dalle parole, ci eravamo preoccupati ed eravamo anzi inorriditi. Avevamo immaginato la scena: le tenere vittime nascoste nella caverna in ansioso ascolto, piene di timore e tremore; l’arrivo improvviso dei loro assassini, le urla, il chiasso, i vani tentativi di fuga e la breve contesa; poi un laborioso silenzio, rotto solo dall’opera di macellazione e di raccolta scrupolosa di tutto ciò che è commestibile. Ma non si 121


trattava affatto di bambini, di adolescenti e di adulti cannibali: no, solo di animali, unicamente di animali, sia pure industriosi; tutto regolare, tutto come natura vuole. Un gran sollievo; e tuttavia di breve durata, perché non è possibile impedirsi una riflessione ulteriore. Che potrebbe suonare così: dunque gli ominidi «cacciatori», e le loro giovani prede, saranno anche nostri ancestrali progenitori, ma in sostanza le loro imprese non sono diverse da quelle di altri predatori, come leoni, giaguari, coccodrilli e via dicendo; cioè la normale vicenda che lega il predatore alla preda e viceversa. Niente di simile alla condizione umana. Cioè niente di simile alla… guerra!? E così il sollievo si trasforma in nuova angoscia: e la guerra, la guerra, da dove viene allora? E non è forse ben più terribile la nostra guerra di un semplice episodio naturale di caccia? Dove ravviseremo dunque l’origine della guerra che oppone gli umani ad altri umani, in un crescendo di violenze, crudeltà, efferatezze indescrivibili, in parallelo aumento con la crescente efficacia degli strumenti di distruzione? Non ne abbiamo forse sotto gli occhi esempi terrificanti, ancora quotidiani? Voltaire era incline a pensare che gli uomini dei primordi praticassero il cannibalismo anzitutto per ragioni, diciamo così, economiche. Naturalmente non condivideva per niente le teorie del «buon selvaggio» di Rousseau, il «traditore della confraternita». Se la condizione selvaggia caratterizza l’origine dell’uomo, all’inizio, pensa Rousseau, eravamo buoni e pacifici: è in seguito che saremmo diventati cattivi e bellicosi. La guerra nascerebbe così dalla cultura e dal sapere, ovvero da una certa cultura e da un certo sapere: quello che dice «questo è mio e non è tuo, fatti in là». La guerra sarebbe insomma un prodotto particolare della civiltà, dell’intelligenza maliziosamente evoluta e dei suoi artificiosi strumenti, per esempio quelli che chiamiamo armi. L’archeologa americano-lituana Marija Gimbutas (1921-1994) sostenne che non ci sono raffigurazioni o reperti di armi nel periodo preistorico da lei studiato valorosamente per decenni, sostanzialmente dalla fine del paleolitico a tutto il neolitico: un periodo caratterizzato dal culto mediterraneo universale della Dea, raffigurata in una sagoma priva di testa e di piedi, esageratamente obesa nei seni, nel ventre, nelle natiche a simboleggiare la fecondità e la gravidanza, non soltanto umane, ma cosmiche. Per questo periodo di sostanziale pace Gimbutas coniò il termine «Gilania», dove la G sta per il mondo «ginecologico» femminile, la L per indicare il legame e Ania sta per Aner, uomo, per il mondo virile. Quindi Gilania segnala il legame profondo tra il principio della fecondità e generatività femminili in collaborazione pacifica e in alleanza paritetica con le forze virili della società umana 122

e della natura. Millenni di pace in terra per comunità felici, dedite dapprima alla caccia e poi al lavoro agricolo e all’allevamento, comunità ricche di capacità simboliche ed estetiche, testimoniate da un ricchissimo corredo di segni e di scritture, che Gimbutas interpretò acutamente come un vero e proprio linguaggio e come una peculiare scrittura (lo script) dei primordi. Millenni che precedettero «l’incubo degli ultimi dodicimila anni», dominati dalle imprese di Marte, come in sostanziale accordo si espressero Joseph Campbell, James Joyce e Antonin Artaud, in riferimento alle conseguenze dell’invasione degli Arii, civiltà caratterizzata dal cavallo, dal carro e dalle armi da guerra, dalle tombe a tumulo e dalle grandi religioni patriarcali e poi monoteistiche. Forse il punto centrale sta proprio nel rapporto di queste umanità pacifiche, secondo le classiche ipotesi matriarcali di Bachofen e se mai esistettero, con il problema della morte; cioè proprio con il sapere fondamentale della condizione umana, quella che la differenzia appunto dal mondo animale, ignaro di morte, di sepolture, di fantasmi e di memorie psicologiche e rituali conseguenti. L’essere umano è colui che si è visto e si è saputo mortale: questo è ciò che da sempre tutti sanno, non importa a quale cultura appartengano e di quale civiltà siano figli. Sulle sepolture Gimbutas è ricchissima di notazioni simboliche eloquenti. Il punto essenziale è che esse suggeriscono un rapporto con la morte sostanzialmente pacificato e sereno. Al centro di queste antiche culture sta infatti la nozione della sacralità della vita eterna della terra e del cosmo, cioè essenzialmente la sacralità della Grande Madre comune. La vita individuale non ne è che un transito, che una sorta di felice sogno e di provvisoria incarnazione. Morire, per gli individui umani, significa sostanzialmente concludere l’aspetto complementare del nascere: uscire dal grembo materno semplicemente per ritornarvi, svestendo le spoglie provvisoriamente assunte nella breve giornata della vita. Di qui il suggestivo esempio della tomba modellata su una piccola altura come se fosse il ventre della madre. Al di sopra un sasso a simboleggiare l’ombelico. Quindi l’apertura che conduce a una grande stanza, interamente dipinta di ocra rossa, cioè del colore del sangue. Al centro tutto il necessario per una grande festa che accoglierà il defunto: intorno al cadavere si mangerà allegramente, si danzerà, si suonerà (si ricorda il ritrovamento in una di queste tombe, eccezionale ed eloquente, di un osso lavorato come un flauto primordiale), si invocherà e si ringrazierà la Dea. Poi il corpo del defunto verrà esposto all’aperto su una tavola, affinché gli animali selvaggi se ne possano nutrire: la carne torna alla carne. Solo poi le ossa verranno inumate nella tomba. Per altro verso la tomba raffigura l’uovo cosmico primordiale: quello che suggerì l’incomprensibile presenza, nelle statuette della Dea, di una sorta di 123


terza natica tra le due esterne, ma che, come dimostrò Gimbutas, era solo frutto di un’errata interpretazione; in realtà la terza natica era semplicemente un uovo, l’uovo cosmico, appunto, che la Dea partorisce. «Tale simbolismo, scrive Gimbutas, risulta sorprendentemente chiaro nella forma tombale stessa, in special modo nell’area del Mediterraneo centrale, dove le tombe ovoidali erano scavate nella roccia. Nelle isole Baleari, in Corsica, in Sardegna, nell’Italia centrale e meridionale, in Sicilia e a Malta le tombe a forno scavate nella roccia compaiono isolate oppure in coppie somiglianti a reni. Cimiteri più grandi, come quello di Anghelu Ruju nei pressi di Alghero, in Sardegna, consistono in gruppi di nicchie ovoidali collegate da un corridoio. Il monumento più stupefacente è l’ipogeo di Hal Saflieni a Malta, un enorme ossario-santuario labirintico sotterraneo che si estende su tre piani, raggiungendo i 30 piedi sotto la superficie rocciosa. È un insieme di numerose camere ovoidali di varie dimensioni collegate da condotti e scale. C’erano anche due grandi cisterne per raccogliere l’acqua. Le numerose camere sepolcrali non furono scavate tutte insieme, ma probabilmente nel corso di svariati secoli. Quando il luogo venne esplorato da Zammit, negli anni 1904-1911, di fronte all’entrata furono trovate tracce di una costruzione megalitica, forse un tempio originariamente legato all’ipogeo. L’ingresso al sotterraneo passa attraverso un trilite (tre pietre), che conduce al primo livello; le stanze ovali più elaborate si trovano al secondo livello. I loro soffitti sono dipinti a spirali rosse, o meglio: una vite pare spuntare dal pavimento e, sopra ed esternamente, un meandro s’intesse con un disegno a nido d’ape, le cui celle esagonali contengono ciascuna un cerchio rosso con un piccolo disco rosso al centro o una spirale e un disco. Le tracce di colore, presenti nella maggioranza delle camere, svelano che originariamente le tombe o erano dipinte tutte in rosso oppure avevano simboli dipinti in rosso; fa eccezione un’unica parete, sulla quale un disegno a scacchiera era dipinto in bianco e nero». Niente immagini terrificanti, esibizione di teschi osceni e spaventosi, allusioni all’orrore dell’oltretomba o invocazioni alla rinascita; niente armi o altri manufatti come proprietà appartenute al defunto. L’atmosfera fantastica che ricaviamo da tutto ciò richiama fortemente le grandi figure simboliche immerse nella luce mediterranea con le quali Picasso dipinse la Gioia di vivere e poi la Pace: i flauti arcaici e le figure danzanti, le donne e i fanciulli in arditi equilibri, figure fragili come appare a noi oggi, appunto, la pace; le giovani madri nude a terra sul prato, fra le tenere membra dei fanciulli, i semplici lavori domestici, il dono della scrittura. Un mondo matriarcale, immerso nella vergine natura, abitato da figure eterne, perché viventi in un’epoca prima del tempo, il tempo scandito dalle guerre, dai condottieri e dai nomi dei sovrani imperatori. 124

Quando Alfred North Whitehead si pose a riflettere sulla nozione di civiltà, terminò lo straordinario cammino con l’esame della nozione di Pace: «Prescelgo il termine “Pace” per quell’Armonia delle Armonie che placa la turbolenza distruttiva e completa la civiltà […] così da escludere dalla nostra nozione di civiltà quell’inquieto egoismo con il quale, di fatto, le altre qualità [Verità, Bellezza, Avventura, Arte] sono state spesso perseguite». Ma Pace, avverte Whitehead, non ha qui nulla a che fare con la quiete o col concetto negativo di anestesia; non è una speranza rivolta al futuro o un interesse mosso da qualche particolare del presente. Essa è invece intesa come un superamento della personalità: «Il suo primo effetto è la rimozione dello sforzo del sentimento acquisitivo sorgente dalla preoccupazione che l’anima ha per se stessa». Quindi è un superamento dell’identità singolare, in vista di un orizzonte infinito. E così Pace non è affatto qui inazione, non è rinchiudersi e appartarsi, «stare in pace», ma non è neppure un’azione particolare e definita. La Pace, dice Whitehead, è un modo di essere, non un concetto; piuttosto è un’azione simbolica, che ha qualche connessione con l’Arte e col Bello. In questo senso essa frequenta idealmente il mito e tutte le figure archetipiche dei primordi umani. Scrive Whitehead: «La Pace è l’intelligenza della tragedia e nello stesso tempo è la sua conservazione. […] Non appena viene raggiunto un alto grado di consapevolezza la gioia dell’esistenza si intreccia con la sofferenza, la frustrazione, la perdita, la tragedia. Fra il trapassare di tanta bellezza, tanto eroismo, tanto coraggio, la Pace è allora l’intuizione della Permanenza. Mantiene viva la sensibilità verso la tragedia; ed essa vede la tragedia come un fattore di vita che persuade il mondo a puntare verso la bellezza che sta oltre l’appassito livello del fatto che ci circonda. Ogni tragedia è il dischiudersi di un ideale: ciò che poteva essere e non è stato, ciò che può essere. La tragedia non è stata invano. Questo potere di sopravvivere come forza motrice appellandosi alle riserve della Bellezza marca la differenza tra il male tragico e il male grossolano. Il sentimento intimo appartenente a questa comprensione della funzione della tragedia è la Pace, la purificazione delle emozioni. […] Il conformarsi degli scopi a un ideale che è al di là dei limiti personali è la concezione di quella pace con la quale l’uomo saggio può fronteggiare il suo destino, padrone della propria anima. […] È nella natura del presente che esso debba così trascendere se stesso in ragione della immanenza in esso dell’“altro”» (pp. 24 e 33). E infine: «Nel cuore della natura delle cose c’è sempre il sogno della giovinezza e il raccolto della tragedia. L’Avventura dell’Universo comincia con il sogno e miete Bellezza tragica. È questo il segreto dell’Unione della Gioia con la Pace: che il sofferente raggiunga il proprio fine in una Armonia di Armonie. L’esperienza immediata di questo 125


Fatto Finale, con la sua unione di Giovinezza e di Tragedia, è il senso della Pace. In questo modo il mondo riceve la sua persuasione verso quelle perfezioni che sono possibili per le sue diverse occasioni individuali» (p. 39). Nelle Congetture sull’origine della storia del 1786, interpretando razionalisticamente l’episodio biblico della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso per via della mela, Kant scrisse: «La ragione spinse l’uomo a sopportare pazientemente la fatica, che egli odia, a perseguire ardentemente le piccole cose, che egli disprezza, e a obliare la morte stessa, davanti alla quale egli trema, per amore di quelle inezie la cui perdita lo atterrisce ancor più». Frase straordinaria che riassume la psicologia antropologica fondamentale, almeno a partire da quando la vicenda umana ci è nota. Tra le piccole cose e le inezie vi è però un aspetto essenziale, niente affatto secondario, che fu Hegel a esprimere nel modo più efficace: esso è il problema del riconoscimento. Certamente la natura originariamente animale degli esseri umani li inserisce nell’universale conflitto per la sopravvivenza, ma è solo la gran contesa per il riconoscimento che sembra generare tra di loro un perenne stato di guerra. Alla Corte di Versailles per una mera questione di precedenze o per il privilegio dell’uso di una poltrona si poteva arrivare al duello. In generale, si può dire che all’origine della guerra non sta affatto la ragione, ma qualcosa di oscuro, di inafferrabile, di inconfessabile, sebbene si debba anche distinguere: c’è guerra e guerra. Il perenne stato di guerra che caratterizzava le tribù della Nuova Zelanda e che inquietava i governanti anglosassoni si rivelò alla prova dei fatti, cioè in base alle indagini sul campo svolte da esperti antropologi, niente più di uno sport, di un costume sociale qualificante il sesso maschile, con appena meno morti all’anno delle dita di una mano. Col progresso tecnico il cammino cruento della guerra non ha fatto però che aumentare, sino ai milioni di morti delle guerre del nostro Novecento: uno spettacolo terrificante, orrendo e privo di giustificazioni plausibili e di ragionevoli vantaggi per i contendenti. Ma molti ex combattenti intervistati, denunciava un’indagine di qualche decennio fa, confessavano di aver provato piacere a uccidere; e Freud sosteneva, sulla base delle sue scoperte cliniche, che un oscuro ma potente pensiero rimosso suggerisce che il dare la morte a un altro garantisca una sorta di magica immortalità per se stessi. Il nesso con l’angoscia di morte, apparentemente così assente nelle popolazioni arcaiche ipotizzate da Marija Gimbutas, sembra invece dominare la psicologia dell’uomo civilizzato, fortemente individualistico e quindi incapace di quell’andare al di là dei limiti personali e delle inquietudini che l’anima ha per se stessa, che Whitehead poneva a fondamento del sentimento 126

della pace. Si tratterebbe dunque di esercitarsi a vivere imparando anzitutto a morire, cioè a non fare del morire una questione personale. Detta così, la cosa sembra paradossale: a tal punto siamo ipnotizzati dal pensiero della nostra morte individuale imminente o comunque futura. In realtà, a un esame più disincantato la cosa si mostra come assolutamente ragionevole, se è vero, come diceva Gentile, che si muore agli altri e cioè che la morte, come insegnava Epicuro, è per definizione assente dalle nostre vite: non ci saremo quando lei ci sarà e mentre ci siamo di sicuro non c’è. Tutta la questione si gioca nel «sapere», nel sapersi mortali: ciò che appunto ci caratterizza, nel bene e nel male, in quanto umani; ovvero da quando, come diceva Kant, abbiamo lasciato il paradiso dello stato di natura e abbiamo imparato a costruirci da soli una vita sul pianeta col lavoro e a organizzarci in società con nozze, tribunali e are. Un’ultima riflessione mostra allora un ulteriore fatto. Spesso esaltiamo la pace ed esecriamo la guerra, stupendoci nondimeno di come queste valutazioni, da tutti condivise a parole, diano luogo a così scarsi effetti pratici. Gli individui come gli Stati non fanno che affilare le armi, reali e metaforiche, per prepararsi alla guerra. In questo modo lo stato di guerra e la condizione della pace sembrano i due capi di un legame comune e indistruttibile. Solo conoscendo gli orrori, le devastazioni e le conseguenze, matte e bestiali, della guerra, impariamo il valore incommensurabile della pace, quasi che l’una cosa non possa stare senza l’altra. Forse ha ragione Whitehead: dobbiamo imparare a considerare altrimenti la pace. Non lo starsene in pace o l’essere lasciati in pace nel proprio rifugio e nascondiglio, ma, al contrario, l’essere totalmente aperti e nell’aperto, senza più protezione (come diceva Rilke), innamorati dello spettacolo degli altri e della bellezza della vita comune; dimentichi di profitti immaginari e interamente dediti alle imprese da affrontare con i compagni che il destino ci ha dato; felici dei frutti delle opere collettive e ignari ormai dell’invidiosa Eris di cui favoleggiava Esiodo, così come di pretesi riconoscimenti pubblici e privati; in una parola: finalmente liberi, come l’uomo forte di Spinoza, che non pensa mai alla morte, ma alla vita. Forse solo allora conosceremo la vera pace, quella che non ha bisogno dell’esperienza della guerra per essere desiderata e invocata, né per essere durevolmente vissuta: un mondo di fanciulli, diceva Nietzsche.

127


Percorso biografico e opere principali di Pablo Picasso


1881 Il 25 ottobre Pablo, Diego José, Francisco de Paula, Juan Nepomuceno, Maria de los Remedios, Cipriano de la Santisima Trinidad Ruiz y Picasso nasce a Malaga. Il padre, José Ruiz Blasco, è professore di disegno, nella Scuola di Arti e Mestieri San Telmo e conservatore del museo cittadino; la madre è Maria Picasso y López.

1891-1899 Nel 1891 la famiglia Picasso si trasferisce a La Coruña (Galizia) dove il padre è stato nominato professore alla locale scuola d’arte, l’Instituto da Guarda. Pablo studia disegno e pittura sotto l’affettuosa guida paterna. I notevoli risultati fanno sì che il padre gli lasci completare alcune parti delle sue opere. Quattro anni dopo la famiglia si stabilisce a Barcellona e Picasso viene ammesso, nonostante la giovane età, ai corsi superiori dell’Accademia di belle arti (detta la Lonja). Nei primi mesi del 1897 dipinge Scienza e Carità (fig. 1); in autunno viene ammesso alla Real Academia de San Fernando di Madrid. L’anno successivo si reca per la prima volta a Horta de Ebro in visita all’amico Manuel Pallarès. Nel febbraio 1899, tornato a Barcellona, Picasso apre il suo primo studio e frequenta il caffé «4 Gats», luogo di incontro di intellettuali e artisti, per cui realizza il Menu (fig. 2).

1

2

1900-1903 Nell’ottobre del 1900 si reca per la prima volta a Parigi in compagnia del pittore Carlos Casagemas. Mostra interesse per Toulouse-Lautrec e per il teatro. L’anno successivo, dopo aver trascorso alcuni mesi in Spagna, torna a Parigi ed espone alle Galeries Vollard. La Camera blu, i ritratti degli amici Sabartés e de Soto, l’Autoritratto (fig. 3) segnano l’inizio del «periodo blu». Trascorre buona parte del 1902 a Barcellona dove continua a dipingere temi di miseria e depressione con una tavolozza verde-azzurra. A ottobre compie il terzo viaggio a Parigi in compagnia del pittore Sebastian Junyer-Vidal. Condivide la stanza del poeta Max Jacob in boulevard Voltaire. 131


che diventa sua modella e sua compagna. L’attore (fig. 5), dipinto nell’inverno, segna il passaggio al «periodo rosa», caratterizzato da una tavolozza più chiara e dai toni meno angosciati. Nel febbraio 1905 espone alle Galeries Serrurier i primi dipinti del «periodo rosa» in cui prevalgono temi legati al circo. Giovane acrobata su una palla e Famiglia di saltimbanchi (fig. 6), dipinti nella primavera, testimoniano il perdurare di questa attrazione. Trascorre l’estate in Olanda con Fernande. Conosce Leo e Gertrude Stein che acquistano Donna con ventaglio e Ragazza con cesto di fiori.

1906-1907

3

Le sculture proto-iberiche di Osuna – in mostra al Louvre durante l’inverno – lo colpiscono per la loro semplificazione arcaica. Conosce Matisse, tramite Gertrude Stein, e Derain. Durante il soggiorno estivo a Gosol, nei Pirenei, l’influenza della stilizzazione «iberica» si fa sempre più forte – Giovane di Gosol, Nudo Sdraiato (Fernande) – fino a culminare nel Ritratto di Gertrude Stein e l’Autoritratto, opere di rottura, vicine ad una sensibilità proto-cubista. Il 1907 è un anno di intensa sperimentazione che culmina ne Les Demoiselles d’Avignon (fig. 7), in parte frutto dello studio approfondito delle opere di Cézanne. La «scoperta» dell’arte africana, esposta al museo etnografico del palais du Trocadéro, esercita su Picasso – è lo stesso artista ad affermarlo – un’influenza decisiva. Ne sono esempio il Nudo e drappeggio, il Nudo con le braccia levate (fig. 8), il Vaso di fiori, opere caratterizzate da colori luminosi. Conosce Georges Braque, con quale si legherà in stretta amicizia, e il suo futuro mercante Daniel-Henri Kahnweiler.

4

Nel 1903, rientrato a Barcellona, dipinge la grande opera allegorica La vita (fig. 4), Celestina, Il pasto del cieco.

1904-1905 Nella primavera del 1904 si stabilisce definitivamente a Parigi, prendendo alloggio in un cadente edificio di Montmartre, battezzato «Bateau-Lavoir» da Jacob. Suoi vicini sono Kees Van Dongen e il poeta André Salmon. Incontra Guillaume Apollinaire e Fernande Olivier,

7

8

1908-1909 5

132

6

Nella prima parte dell’anno lavora alla prima versione delle Tre donne. Durante l’estate, trascorsa a Rue des Bois, piccolo paese ad una 133


9

10

trentina di chilometri da Parigi, prosegue la meditazione sull’opera di Cézanne e dipinge figure e paesaggi. In novembre Braque espone da Kahnweiler le prime pitture cubiste, i sei paesaggi de l’Estaque. Nella fase iniziale del 1909 completa Pane e fruttiera su un tavolo e dipinge una serie di figure che proseguono il tema dell’Arlecchino, anche solo parzialmente, come nella testa e acconciatura di Donna con ventaglio (fig. 9). La frantumazione della struttura geometrica mediante la scomposizione dei piani è ormai evidente. Durante l’estate, Picasso, in compagnia di Fernande Olivier, si reca per quattro mesi a Horta de Ebro, dove dipinge una magistrale serie di paesaggi che culminano nelle Case in collina a Horta de Ebro e Fabbrica a Horta de Ebro (fig. 10). Questo nucleo di opere costituisce la piena affermazione del «cubismo analitico», caratterizzato dall’analisi e scomposizione della forma nei suoi elementi costitutivi e dal rovesciamento prospettico. Tornato a Parigi, lascia il «Bateau-Lavoir» per trasferirsi in un appartamento con studio in boulevard de Clichy 11.

11

12

1911 I dipinti del 1911 – trascorso a Parigi e, durante l’estate, a Céret, una località dei Pirenei francesi – si caratterizzano per l’impiego di lettere e stampe, volto ad aumentare la leggibilità e l’oggettività dell’opera. L’altra funzione assolta dalla natura bidimensionale dei caratteri, introdotti per la prima volta da Braque, è quella di accentuare la tensione superficie-profondità presente nei dipinti cubisti; ne sono esempio la Natura morta con ventaglio (fig. 13) e la Bottiglia di rhum (fig. 14). La collaborazione con Braque si fa sempre più stretta.

1910 Picasso dipinge numerosi ritratti tra cui spiccano il Ritratto di Ambroise Vollard (fig. 11), mercante d’arte, il Ritratto di Wilhelm Uhde, mercante e critico d’arte, e il Ritratto di Daniel-Henri Kahnweiler (fig. 12). La scomposizione dei piani si accentua ulteriormente, pur mantenendo le figure una somiglianza ai modelli. Trascorre l’estate a Cadaqués, in compagnia di Fernande, gli amici Pichot e i Derain, operando un frazionamento sempre più estremo che produce opere di difficile lettura, alcune delle quali lascia incompiute perché dubbioso dei risultati. Sia Picasso che Braque avvertono il rischio che nella distruzione dell’aspetto superficiale degli oggetti – operata dalla pittura cubista – venga a mancare totalmente un riferimento alla realtà oggettiva. Il problema viene risolto da Braque quella stessa estate, inserendo un particolare perfettamente realistico – l’ombra di un chiodo – che accosta i due livelli di realtà. 13

134

14

135


In autunno Picasso è coinvolto nel famoso «affaire des statuettes»; aveva, infatti, incautamente acquistato, da un amico di Apollinaire, due testine iberiche trafugate dal Louvre. Lo scandalo scoppiò in seguito al furto della Gioconda e Apollinaire finì in prigione. I due furono poi scagionati dal vero autore del futuro. La relazione con Fernande si fa difficile; Picasso si lega a Marcelle Humbert (Eva).

1912 Picasso e Braque continuano la loro ricerca per rappresentare la realtà visiva senza ricorrere all’illusionismo pittorico. In maggio Picasso realizza il primo collage, Natura morta con sedia impagliata (fig. 15), incollando un pezzo di tela cerata che imita l’intreccio di vimini di una sedia. Quest’opera di importanza fondamentale distrugge l’illusionismo pittorico inglobando nel quadro frammenti di realtà esterna. Il collage segna l’inizio del cosiddetto «cubismo sintetico». Trascorre l’estate con Eva a Sorgues-sur-l’Ouvèze, non distante da Avignone, dove lo raggiunge Braque che realizza il primo papier collé con carta da parati che imita venature del legno. In autunno Picasso realizza diverse serie di papiers collés caratterizzati da strisce di carta colorata, pezzi di giornale, scritte a stampa di varia provenienza come Violino e foglio da musica (fig. 16) e Bottiglia, chitarra e pipa (fig. 17).

19

18

africana, in particolare per l’arte Wobé della Costa d’Avorio. In autunno si tengono numerose mostre di cubisti a Parigi, Berlino e New York Picasso si trasferisce nello studio di rue Schoelcher 5.

1914 Picasso trascorre parecchi mesi ad Avignone con Eva. Sono raggiunti da Braque e Derain. Il periodo avignonese è noto come quello del «cubismo rococò» per l’uso vivacissimo dei colori, la trasposizione del papier collé nella pittura ad olio, i cui «pezzi» sono a volte resi tali ed evidenziati da ombre in trompe-l’oeil, e la tecnica pointilliste che esalta la vibratilità e fluidità delle opere; tutti elementi presenti nella Natura morta verde di New York (fig. 20) e il Grappolo d’uva, mela, bicchiere, coltello, pera e giornale su un tavolo (fig. 21), dipinto a Parigi. È di quest’anno anche Il bicchiere d’assenzio (fig. 22), scultura cubista policroma.

15 16

17

1913 Picasso e Braque proseguono le ricerche derivate dalla scoperta del papier collé. L’uso del colore e la sperimentazione con nuovi materiali assumono una sempre maggiore importanza e tendono ad arricchire la qualità tattile dei dipinti (quasi dei bassorilievi). Esempi celebri di tecnica mista sono il Violino e chitarra (fig. 18), la Chitarra, bicchiere e bottiglia di Vieux Mare, Lo Studente con pipa (fig. 19). In estate Picasso si reca nuovamente a Céret, in compagnia di Max Jacob, per cui realizza le puntesecche per La siege de Jérusalem, pubblicato da Kahnweiler l’ anno successivo. Alcuni elementi di aspetti decorativi de l’Arlecchino e la Donna in camicia seduta in poltrona testimoniano il rinnovato interesse per l’arte 20

136

21

22

137


1918

L’inizio della guerra, con la partenza per il fronte di Braque, Derain, Apollinaire, e la fuga in un paese neutrale di Kahnweiler, segnano la disgregazione del movimento cubista.

L’anno si apre con una mostra dedicata a Matisse e Picasso alla Galerie Guillaume; Apollinaire scrive la prefazione al catalogo. Il suo nuovo mercante è Léonce Rosenberg. Continua a dipingere opere dedicate a personaggi delle commedie dell’arte – influenzato anche dalle esperienze dell’anno precedente – sia in stile realistico, Pierrot (fig. 27), che in stile sintetico cubista, Arlecchino con la chitarra e Arlecchino con violino (fig. 28). Sposa, il 12 luglio, Olga Koklova. Testimoni sono Cocteau, Jacob e Apollinaire. Passa la luna di miele a Biarritz. In novembre muore l’amico Apollinaire. A metà dello stesso mese si trasferisce con Olga in un appartamento su due piani in rue de La Boetie 23.

1915-1916 Durante l’inverno Max Jacob si converte al cristianesimo e Picasso gli fa da padrino. Le composizioni vivaci del periodo avignonese si fanno più meditate e geometriche, le forme tendono a ingrandirsi e a semplificarsi. Questo riorientamento del «cubismo sintetico» è stato definito «cubismo cristallino» da alcuni critici. L’opera più importante di questa nuova impostazione rigorosamente geometrica è l’Arlecchino (fig. 23). Sono del 1915 anche alcune opere assolutamente classiche, «ingriste». Dopo una lunga malattia muore Eva. Nella primavera del 1916 Picasso frequenta Jean Cocteau e il musicista Erik Satie che gli chiedono di collaborare al balletto Parade da eseguirsi con i Ballets Russes di Sergej Diaghilev. Continua la produzione di opere classiche accanto a quella del maturo cubismo sintetico (Suonatore di chitarra). Lascia Montparnasse e si trasferisce a Montrouge, in rue Victor Hugo 22. In dicembre organizza un banchetto in onore di Apollinaire.

23

1917 In febbraio Picasso e Cocteau si recano a Roma per incontrare Diaghilev. Picasso dipinge in uno studio in via Margutta. Frequenta, oltre a Cocteau e Diaghilev, Léonide Massine, Igor Stravinskij e Léon Bakst. Fa conoscenza con la ballerina Olga Koklova. Visita Napoli, Pompei, Firenze e Milano prima di tornare a Parigi. Il 18 maggio va in scena Parade per cui Picasso ha realizzato il Sipario (fig. 24) e disegnato scene e costumi. Innamorato della Koklova segue i Ballets Russes a Madrid e Barcellona. Dipinge opere perfettamente realiste, come Olga Picasso in poltrona (fig. 25), altre in stile cubista sintetico e pointilliste (Arlecchino e donna con collana, fig. 26). In novembre torna a Montrouge con Olga.

25

24

138

26

27

28

1919 Ai primi di maggio si reca a Londra per disegnare scene e costumi e dipingere il Sipario per Le Tricorne (fig. 29), balletto di Léonide Massine, con musica di Manuel de Falla, realizzato dai Ballets Russes di Diaghilev. La prima rappresentazione ha luogo il 22 luglio all’Alhambra Theatre e ottiene un notevole successo. Trascorre la fine dell’estate a Saint-Raphael, dove dipinge una serie di nature morte e termina Contadini addormentati (fig. 30), una anticipazione dello stile «colossale». Illustra il Manuscript trouvé dans un chapeau dell’amico André Salmon.

29

30

139


1920-1921 Cura le scene e i costumi di Pulcinella, balletto di Massine, musica di Stravinskij, realizzato dai Ballets Russes di Diaghilev. La prima ha luogo il 19 maggio all’Opéra di Parigi. Kahnweiler, dopo l’esilio del periodo bellico, fa ritorno a Parigi. Picasso trascorre l’estate a Juan-les-Pins, sulla Riviera, con Olga. Realizza una serie di gouaches su personaggi della commedia dell’ arte, alcuni nudi monumentali e una serie di disegni del ratto di Deianira. Il 4 febbraio 1921 nasce il figlio Paulo. Collabora, realizzando scene e costumi, al balletto di Diaghilev, Cuadro Flamenco, rielaborazione di danze andaluse, con adattamento musicale di Manuel de Falla. La prima e unica rappresentazione si tiene il 22 maggio al Théàtre de la Gaîté-Lyrique. A Fontainebleau, dove trascorre il periodo estivo con Olga e Paulo, dipinge le due versioni dei Tre musici (fig. 31, qui riprodotta la versione di New York), caratterizzate dai colori intensi, l’ordinamento geometrico e l’assenza di profondità. Nello stesso periodo dipinge anche Tre donne alla fonte (fig. 32) in stile monumentale neoclassicheggiante.

33

34

Conosce il conte Étienne de Beaumont e André Breton di cui esegue il Ritratto (servirà come frontespizio di Clair de Terre). Dipinge il Flauto di Pan (fig. 34).

1924-1925

31

32

1922-1923 Cura la scenografia dell’Antigone di Jean Cocteau, rappresentata al Théàtre de l’Atelier di Parigi, e dipinge il Fondale per l’Après-Midi d’un faune, balletto di Vaslav Nijinskij, musica di Claude Debussy. Illustra Cravates de Chanvre di Pierre Reverdy. Durante l’estate, trascorsa a Dinard, in Bretagna, con la moglie e il figlio, dipinge una delle ultime opere monumentali: Due donne che corrono sulla spiaggia (La corsa) (fig. 33). Nel 1923 esegue alcuni ritratti di Arlecchino in stile neoclassico, per cui posa il pittore catalano Jacinto Salvado. Si reca con la famiglia a Cap d’Antibes dove la madre gli fa visita. 140

Il 18 giugno ha luogo la prima di Mercure, balletto di Massine, musica di Satie, realizzato dal conte de Beaumont alle «Soirées» di Parigi, serie di programmi d’avanguardia; Picasso ne realizza scene e costumi. Due giorni dopo, al Théâtre des Champs-Elysées, si tiene la prima parigina di Le Train Bleu, balletto di Jean Cocteau e Bronislava Nijinska, musica di Darius Milhaud, costumi di Chanel e realizzazione dei Ballets Russes di Diaghilev. Il sipario di Picasso riproduce le Due donne che corrono sulla spiaggia del 1922. Durante l’estate a Juan-les-Pins esegue un album con una quarantina di disegni a penna. In dicembre esce il primo numero de La Révolution Surréaliste rivista diretta dal Pietre Naville e Benjamin Péret, che riproduce Chitarra, costruzione in metallo dipinto, realizzata da Picasso all’inizio dell’anno. Nella primavera del 1925 visita Montecarlo con Olga e Paulo. Dipinge I tre ballerini (fig. 35), dai toni espressionisti, riprodotta nel quarto numero de La Révolution Surréaliste, in cui appare anche uno scritto di Breton sull’importanza di Picasso per il movimento surrealista. Trascorre l’estate a Juan-les-Pins dove dipinge Studio con teste in gesso, Donne con scultura e L’abbraccio. Il 14 novembre si inaugura la mostra «La Peinture Surréaliste». Picasso vi partecipa insieme con Jean Arp, Giorgio De Chirico, Max Ernst, Paul Klee, André Masson, Mirò, Man Ray, Pierre Roy. 35

141


1926-1927 Nel gennaio del 1926 esce il primo numero della rivista Cahiers d’art, fondata da Christian Zervos. Picasso esegue alcuni dipinti caratterizzati da un cubismo curvilineo e decorativo, L’atelier della modista (fig. 36) e Il pittore e la modella, e realizza una serie di collages sul tema della chitarra; in uno di essi aghi con le punte rivolte allo spettatore trapassano un pezzo di strofinaccio, mentre, in un altro, un ferro da maglia trapassa una tela attaccata ad un’assicella. Nel gennaio 1927 incontra la diciassettenne Marie-Thérèse Walter che, sei mesi dopo, diventa sua amante. Risale all’estate dello stesso anno, trascorsa a Cannes con la famiglia, l’album di disegni a inchiostro e penna Le metamorfosi, connotato da sgraziate, biomorfiche bagnanti i cui attributi sessuali sono evidenziati dalle dimensioni. Dipinge Donna seduta (fig. 37), che prosegue l’esplorazione – iniziata nel 1925 – del motivo della doppia testa. Realizza alcune incisioni, commissionate da Vollard, per Le Chef-d’oeuvre inconnu di Balzac (pubblicato nel 1931).

38

39

1930-1932

36

37

1928-1929 La figura de Il Minotauro, collage del gennaio 1928, compare per la prima volta nell’arte di Picasso. Realizza la scultura Bagnante (Metamorfosi i) (fig. 38), derivante dall’album dell’estate precedente, riprodotta nei Cahiers d’art. Completa Lo studio, dipinto iniziato nel 1927, e dedica allo stesso tema, presente anche nelle incisioni per il Balzac, Pittore e modella. Durante la primavera e – dopo la parentesi estiva a Dinard, in Bretagna – l’autunno, frequenta lo studio dello scultore Julio Gonzalez dove termina la scultura in metallo dipinto Testa e Figura (Progetto per un monumento ad Apollinaire) (fig. 39), prima di una serie di quattro opere in bastoncini di metallo. I rapporti con Olga si fanno sempre più tesi e i numerosi dipinti del 1929, tra cui Busto di donna con autoritratto, riflettono questa situazione: sono, infatti, popolati da donne aggressive caratterizzate da voraci mascelle. Dipinge Bagnante con pallone da spiaggia durante le vacanze a Dinard. 142

Nell’inverno 1930 esegue, nello studio di Gonzalez, alcune sculture in metallo, Testa e Donna in giardino, e dipinge Bagnante seduta e Crocifissione. In giugno acquista lo chateau de Boisgeloup, residenza di campagna a circa sessanta chilometri da Parigi. Trascorre l’estate a Juan-les-Pins, dove realizza quadri in rilievo, utilizzano sabbia e oggetti raccolti sulla spiaggia; tra questi Composizione con guanto. Tra settembre e ottobre realizza trenta acqueforti, su richiesta di Albert Skira, per illustrare le Metamorfosi di Ovidio, pubblicate l’anno seguente. Tra febbraio e marzo 1931, Picasso dipinge due importanti nature morte: Brocca e fruttiera (fig. 40), dalle pesanti linee di contorno nere, e Natura morta su tavolo con piedistallo, dai vivaci colori dello stile cubista curvilineo. In maggio si reca a Boisgeloup e appronta un vasto studio per la scultura, dove modella numerose teste, spesso ispirate da Marie-Thérèse. Ella è anche la musa ispiratrice di una serie di incisioni erotiche eseguite durante il soggiorno estivo a Juan-lesPins. Nell’inverno 1932 dipinge ritratti e scene di donne dormienti: Il sogno, Nudo su un divano nero, Ragazza allo specchio (fig. 41). Lo

40

41

143


stile è quello cubista curvilineo e ricorda le nature morte del 1931, il modello è sempre Marie-Thérèse. Si tiene una grande retrospettiva (225 dipinti e 7 sculture) alla galleria Georges Petit di Parigi e, in seguito, alla Kunsthaus di Zurigo. Zervos pubblica il primo di ventotto volumi del catalogo ragionato delle opere di Picasso.

Franco, viene nominato direttore del Prado. Si reca in vacanza a Mougins, in riviera, su suggerimento del poeta Paul Eluard, divenuto suo amico, e rivede una giovane fotografa, Dora Maar, che diverrà la sua amante. Lascia lo studio di Boisgeloup per la casa di Le Tremblay-sur-Mauldre di Vollard, dove si stabiliscono anche Maya e Maria-Thérèse. Illustra La Barre d’appui e Le Yeux fertiles di Eluard.

1933-1935 Realizza 57 acqueforti, per la maggior parte dedicate al tema dello scultore e il suo studio, che vengono acquistate da Vollard. Nel giugno 1933 esce il primo numero della rivista Minotaure, edita da Skira e diretta da Teriade; la copertina riproduce un collage appositamente realizzato da Picasso. Un articolo di Breton è dedicato ai collages-objects di Picasso, fotografati da Brassaï. Dopo una vacanza a Cannes si reca a Barcellona con la famiglia; rientrato da Parigi dipinge Corrida: morte della toreadora (fig. 42). Nel 1934 il tema della corrida diventa sempre più importante: Picasso lo elabora in una serie di dipinti, disegni e acqueforti. Visita nuovamente la Spagna dove assiste a numerose corride. Viene pubblicata Lisistrata di Aristofane, a cura di Gilbert Seldes, per cui Picasso realizza 6 acqueforti e 33 disegni. Dopo aver terminato Interno con ragazza che dipinge, nel febbraio 1935, depone il pennello per oltre un anno. In primavera esegue le acqueforti di Minotauromachia (fig. 43). Nel giugno, si separa da Olga, che è venuta a conoscenza della gravidanza di Marie-Thérèse. Il 5 ottobre nasce Maya. Il 12 novembre giunge a Parigi Sabartés, amico di gioventù, che diviene segretario di Picasso.

42

44

1937 Nel gennaio 1937 realizza le incisioni satiriche di Sogno e menzogna di Franco (fig. 45), accompagnate da una sua poesia. Stabilisce il nuovo studio in rue des Grands-Augustins 7. Il 12 luglio si inaugura il padiglione spagnolo all’Esposizione Universale: viene esposta Guernica (fig. 46), realizzata da Picasso nei due mesi precedenti (la cittadina basca era infatti stata bombardata dai tedeschi il 26 aprile). Un numero speciale dei Cahiérs d’art, con le foto scattate da Dora Maar durante le diverse fasi dell’opera, è dedicato ad essa; contiene, tra gli altri, saggi di Zervos e Michel Leiris e una poesia di Eluard. Durante il resto dell’anno termina numerosi disegni e dipinti postscripto a Guernica, tra i quali si segnalano Donna che piange (fig. 47) e Donna che grida. Il 19 dicembre il New York Times pubblica un appello di Picasso, in favore del governo repubblicano, al Congresso degli Artisti Americani.

43

1936 Alla fine di marzo si reca con Marie-Thérèse a Juan-les-Pins, dove inizia una serie di acquerelli, disegni e gouaches sul motivo del Minotauro. Rientra a Parigi in maggio per approntare 31 illustrazioni, commissionate da Vollard, per l’Histoire naturelle di Buffon. Dipinge il Sipario per il 14 luglio (fig. 44 riproduce uno schizzo preparatorio), dramma di Romain Rolland rappresentato al Théàtre de l’Alhambra in occasione della vittoria del Fronte Popolare. Il 18 luglio 1936 scoppia la guerra civile in Spagna. Picasso, ostile a 144

46

47

1938 All’inizio dell’anno ritrae Maia con la bambola, esegue una serie di pastelli e disegni in cui compare il tema del gallo e realizza un’enorme collage: Donne che fanno toilette. In aprile e maggio dipinge una serie di donne sedute le cui forme sono decorate da un fitto intreccio simile al vimine. 145

45


1940-1943

In Donna seduta (fig. 48), che ritrae Dora Maar, dipinge il volto di profilo, ma occhi, orecchie e narici sono ripresi frontalmente; questa tecnica del «doppio volto» caratterizzerà numerosi ritratti dei due anni successivi. Trascorre l’estate a Mougins con Dora Maar e gli Eluard. Mostra di Guernica e studi preparatori a The New Burlington Galleries di Londra. L’esposizione, sotto gli auspici del Comitato Nazionale Unitario di Sostegno alla Spagna, si trasferisce in seguito alla Whitechapel Gallery e a Leeds e Liverpool.

1939

Nella prima parte dell’anno si divide tra Royan e Parigi, prima di far ritorno definitivamente nella capitale in settembre. In marzo e giugno riempie due album di disegni per Donna che si pettina. Parigi è ormai occupata dai tedeschi e Picasso vive nello studio di rue des Grands-Augustins. Regala fotografie di Guernica a ufficiali tedeschi che chiedono di vedere le sue opere. Nel gennaio 1941 scrive una farsa in sei atti, Le désir attrapé par la queue, pubblicata nel 1944; il testo è arricchito da tre disegni e il frontespizio, Portrait de l’auteur. Dipinge Donna in poltrona, Donna con carciofo e scolpisce, a fine anno, Testa di Donna (Dora Maar). Il 27 marzo 1942 muore lo scultore Gonzalez. Il 5 aprile Picasso dipinge Natura morta con cranio di bue (fig. 51), tema su cui continuerà a lavorare. E dell’ottobre il Ritratto di Dora Maar con blusa a strisce. Quattro xilografie di Picasso illustrano Non vouloir di Georges Hugnet. Durante i mesi di febbraio e marzo del 1943 realizza alcuni assemblages composti con oggetti disparati; tra questi L’annaffiatoio fiorito e la famosa Testa di toro (fig. 52), ricavata dal sellino e il manubrio di una bicicletta. Modella in gesso Teschio e L’uomo con agnello. Conosce Françoise Gilot, giovane pittrice, che presto inizierà a comparire nei suoi disegni.

48

Il 13 gennaio 1939 muore la madre a Barcellona. La città catalana viene conquistata dai franchisti pochi giorni dopo. In primavera dipinge Testa di donna con due profili e due versioni di Gatto e uccello (fig. 49, versione di New York). Guernica e gli studi relativi sono esposti alla Galleria Valentine di New York e, con gli auspici del Congresso degli Artisti Americani, viaggia in gallerie e musei di Los Angeles, Chicago e San Francisco. Il 22 luglio muore Vollard, amico e mercante di Picasso. Durante l’estate, trascorsa ad Antibes con Dora, Sabartés, i Penrose e altri amici, dipinge Pesca notturna a Antibes (fig. 50). In seguito all’invasione della Polonia, l’1 settembre Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. Picasso si stabilisce a Royan, nei pressi di Bordeaux, con Dora e i Sabartés. Marie-Thérèse e Mafa occupano una villa vicina. Il 15 novembre viene inaugurata al Museum of Modern Art di New York una grande retrospettiva, organizzata da Alfred Barr, che include Guernica e altre 343 opere. La mostra, in varie versioni, viaggia nei musei di Chicago, Boston, San Francisco, Cleveland, Cincinnati, New Orleans, Minneapolis e Pittsburgh.

51

52

1944-1945

49

50

146

In febbraio vengono arrestati e avviati ai campi di concentramento gli amici Robert Desnos e Max Jacob. Periranno entrambi. Nella Parigi ancora occupata viene data lettura, in casa Leiris, di Le désir attrapé par la queue: la regia è di Albert Camus, l’arrangiamento musicale di Hugnet; tra gli attori vi sono Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Raymond Queneau, Michel Leiris; tra il pubblico i Braque e Jacques Lacan. Durante gli scontri di agosto tra Resistenza e tedeschi, Picasso si trasferisce da Marie-Thérèse e Maya in boulevard Henri iv. Farà ritorno al suo studio a liberazione avvenuta (25 agosto). Dipinge un acquerello e un gouache del Baccanale di Poussin e ritrae a carboncino Maya. 147


Il 14 ottobre aderisce al Partito Comunista Francese. Nello stesso mese il Salon d’Automne (quell’anno «Salon de la Liberation») dedica una sezione speciale a Picasso, presente con 74 opere. Durante la prima parte del 1945 è impegnato nella realizzazione di un secondo dipinto contro la guerra: L’ossario, opera di struttura cubista ma dai toni espressionisti. Anche Brocca, candela e casseruola e Natura morta con teschio, porri e ceramica (fig. 53) accennano alle privazioni della guerra. Il 7 maggio la Germania si arrende. Picasso conosce André Malraux. Dipinge il sipario di Le Rendez-vous, balletto di Jacques Prevert e Roland Petit, musica di Pierre Kosma, realizzato dai Ballets des Champs-Elysées e rappresentato il 15 giugno al Théàtre Sarah Bernhardt di Parigi. Acquista una casa a Ménerbes, nella Vaucluse, per Dora Maar, che vi si stabilisce. In novembre inizia un’intensa attività litografica nello studio di Fernand Mourlot; tra le prime litografie 11 versioni di un toro.

54

55

A Vallauris, in agosto, inizia una intensa produzione di ceramiche, che si protrarrà per tutto l’anno successivo, presso lo studio Madoura di Georges Ramié. In dicembre, al teatro degli Champs-Elysées, viene rappresentato Edipo re, diretto da Pierre Blanchard, con scenografie di Picasso.

1948-1949

53

1946-1947 Si reca a Golfe-Juan nel Midi, presso lo stampatore Louis Fort, dove alloggia Françoise. Tornati a Parigi, a fine aprile, iniziano la convivenza. Il 5 maggio ritrae Françoise come Donna-fiore (fig. 54), motivo presente in dipinti successivi. Durante l’estate, dopo essersi recato a Ménerbes e Cap d’Antibes, si stabilisce a Golfe-Juan con Françoise. Sulla spiaggia conosce Romuald de la Souchère, conservatore del museo d’Antibes a Palazzo Grimaldi, che gli offre uno spazio per dipingere. Picasso invece prepara 22 pannelli, noti come la Suite d’Antipolis, tra cui Donna che mangia ricci di mare, Joie de vivre e Satiro, fauno e centauro (fig. 55), per decorare il museo. Una donazione di Picasso, oltre alla Suite d’Antipolis, fa sì che il museo si trasformi in Musée Picasso. Nel gennaio 1947 esegue dipinti e litografie sul tema del gufo, uccello che aveva colpito la sua immaginazione l’estate precedente, durante il soggiorno a Ménerbes. Dona dieci opere al Musée National d’Art Moderne di Parigi. Il 15 maggio Françoise dà alla luce Claude.

Porta a termine 125 litografie, iniziate due anni prima, per Le Chant des Morts di Reverdy e 41 acqueforti per Vingts Poèmes di Góngora. Picasso e Françoise, nel corso dell’estate, si stabiliscono e La Galloise, una villa sulle colline adiacenti Vallauris. Fra Antibes e Vallauris, il regista belga Paul Haeserts gira il film Visita a Picasso. Il 25 agosto, su invito del vecchio amico e poeta russo Ilya Ehrenburg, partecipa con Éluard al Congresso degli Intellettuali per la Pace a Wrocław. In novembre dipinge due varianti de La cucina (fig. 56). Il 19 aprile 1949 nasce Paloma, seconda figlia di Picasso e Françoise.

56

148

57

149


Tornato a Vallauris, affitta una vecchia profumeria per farne uno studio. Realizza la scultura metallica Donna incinta (fig. 57). Nello stesso anno esce Carmen di Mérimée con 38 incisioni di Picasso.

re) che, in autunno, si sposta al Palazzo Reale di Milano con importanti aggiunte (Guernica e Massacro in Corea). Retrospettive importanti si tengono anche al Musée de Lyon e al Museu de Arte Moderna di São Paulo. Trascorre parte dell’estate a Vallauris con Françoise e i figli – dipinge Donna seduta (fig. 60), a lei ispirato – ma, in settembre, si lasciano. A metà agosto conosce a Perpignan, dove si era recato con Maya per assistere a una corrida, Jacqueline Roque. Alla fine del novembre 1953 inizia una serie di disegni, che prosegue fino a febbraio dell’anno successivo, sul tema del pittore e la modella.

1950-1951 Nell’inverno 1950 modella Donna incinta, più tardi fusa in bronzo, e la terracotta Donna con braccia conserte. Dipinge Les Demoiselles au bord de la Sein da Courbet, Ritratto dell’artista da El Greco, Claude e Paloma. Nella primavera realizza numerosi assemblages, fatti con ogni sorta di oggetti di scarto, rinvenuti durante le passeggiate a Vallauris, saldati con la creta e poi fusi in bronzo, tra cui La capra (fig. 59) e Donna con carrozzina. Partecipa al terzo Congresso degli Intellettuali per la Pace a Sheffield, il cui manifesto riproduce la litografia di una Colomba eseguita il 9 luglio. In novembre riceve il premio Lenin per la pace. Nel gennaio 1951 dipinge Massacro in Corea (fig. 58), esposto al «Salon de Mai» di Parigi. Durante l’estate si trasferisce in rue Gay-Lussac. A Vallauris continua a realizzare assemblages e dipinge Paesaggio notturno.

1954-1955 Nel giugno 1954 dipinge tre ritratti di Jacqueline Roque – con la quale inizierà la vita in comune a Parigi, nello studio dei Grands-Augustins – ritratta anche in ottobre (Jacqueline con sciarpa nera, fig. 61). L’8 settembre muore Derain e, il 3 novembre, muore l’amico di vecchia data Matisse. In dicembre inizia a dipingere una serie di quadri ispirati alle Femmes d’Alger di Delacroix. L’11 febbraio 1955 muore Olga. Durante l’estate, a Nizza, Henri-Georges Clouzot gira Le Mystère Picasso nel quale l’artista dipinge Spiaggia a la Garoupe. Acquista La Californie, grande villa con giardino del xix secolo sulle colline sovrastanti Cannes. Rivede molti vecchi amici tra cui i Leiris, Kahnweiler, Luis-Miguel Dominguín e moglie. Dipinge alcuni ritratti di Jacqueline, spesso in costume, tra cui Jacqueline in costume turco.

59

58

1952-1953 Nel corso del 1952 elabora e realizza i pannelli de La Guerra e La Pace. Scolpisce La gru e Priapo. Il 18 novembre muore Éluard, suo vecchio amico. Esegue una serie di litografie ispirate a opere di Balzac. Tornato a Vallauris, scrive la farsa in sei atti Les Quatre Petites Filles. Nello stesso mese di dicembre disegna Ritratto di Paloma e Paloma addormentata. Mentre Françoise porta i figli a Parigi – il rapporto tra lei e Picasso è ormai in crisi –, Picasso rimane a Vallauris e realizza un gruppo di piccole bambole in legno dipinto. Nel marzo 1953 prepara un ritratto di Stalin – morto il 5 – per la prima pagina di Les Lettres françaises. Mostra retrospettiva alla Galleria d’Arte Moderna di Roma (246 ope150

60

61

1956-1958 Nella prima parte del 1956 Picasso torna su due temi a lui cari, le bagnanti e lo studio: dipinge infatti Due donne sulla spiaggia e Lo studio, in questo caso quello di La Californie. Protesta, insieme agli amici Edouard Pignon e Hélène Parmelin, presso il Comitato centrale del pcf per i fatti d’Ungheria. Nel marzo 1957 si tiene nella nuova sede della galleria Louise Leiris di Kahnweiler una mostra di dipinti di Picasso del periodo 19551957. Importanti mostre si tengono a New York, Chicago, Philadelphia e Arles. 151


Nella parte iniziale del 1960 dipinge una serie di nudi e Bagnante con paletta per la sabbia. Il 6 luglio 1960 viene inaugurata una importante retrospettiva (270 opere), a cura di Roland Penrose, alla Tate Gallery di Londra. Danze e feste tradizionali della Catalogna sono il soggetto dei cartoni per la decorazione esterna del Collegio degli Architetti di Barcellona. Le decorazioni, incise con la tecnica della sabbiatura, con l’aiuto di Carl Nesjiar, verranno scoperte nel 1962.

Tra agosto e dicembre dello stesso anno, dipinge 58 varianti de Las Meninas di Velázquez (qui riprodotta la versione del 18 settembre, fig. 62). Il 29 marzo 1958 viene presentata la decorazione murale, La caduta di Icaro, per la sede di Parigi dell’unesco, commissionata l’anno precedente. A La Californie dipinge La baia di Cannes (fig. 63 ). In settembre acquista il castello di Vauvenargues, nei dintorni di Aix-en-Provence, ai piedi del Mont Saint-Victoire (soggetto di celeberrimi dipinti di Cézanne). 1961-1963

62

Il 2 marzo 1961 sposa Jacqueline Roque a Vallauris; a giugno si trasferiscono nella villa Notre-Dame-de-Vie, nei pressi di Mougins. Durante l’anno realizza una serie di sculture in lamiera (ritagliata, piegata e dipinta): Donna con cappello, La sedia, Donna a braccia aperte (fig. 65). Nella primavera 1962 si tiene un’importante mostra a New York (309 opere). Realizza sipario e scenografia di Icaro, balletto di Serge Lifar, rappresentato all’Opéra. Esegue una notevole serie di incisioni su linoleum. Il 9 marzo 1963 si inaugura il Museo Picasso di Barcellona, costituito tre anni prima per intervento di Sabartés. Il 31 agosto muore Braque; l’ 11 ottobre muore Cocteau. Collabora intensamente con i fratelli incisori Aldo e Piero Crommelynck nel loro studio di Mougins.

63

1959-1960 Dipinge Donna seduta, un motivo più volte affrontato. Il 5 giugno 1959 viene inaugurato il monumento ad Apollinaire per il quale Picasso in passato aveva fatto numerosi studi: consiste in una testa scolpita di Dora Maar. A Vauvenargues inizia una serie di varianti (45), proseguita nei due anni seguenti, de Le déjeuner sur l’herbe di Manet (qui riprodotta la versione terminata il 20 agosto, fig. 64). Partecipa alle riprese del Testament d’Orphée, film di Jean Cocteau. Viene pubblicata La Tauromaquia di José Delgado con 26 acquetinte e un’acquaforte di Picasso.

64

152

65

1964-1967 Nel corso del 1964 si tengono importanti retrospettive all’Art Gallery di Toronto e al Museo Nazionale d’Arte Moderna di Tokyo. Prepara il modello, Testa di donna (fig. 66), per una enorme scultura commissionatagli per il centro civico di Chicago nel 1963. Terminata nel 1967, la scultura è alta ben 18 metri. Il 22 giugno si inaugura a Tolosa la mostra «Picasso e il teatro»; in quell’occasione vengono anche rappresentati i balletti disegnati da Picasso. Il 28 settembre muore l’amico Breton. Al Grand e al Petit Palais vengono esposte oltre 700 opere in omaggio agli 85 anni di Picasso. La mostra è diretta da Jean Leymarie. L’estate dell’anno successivo, curata da Roland Penrose, si tiene alla Tate Gallery un’im-

66

153


portante esposizione di sculture e ceramiche di Picasso. La mostra viene poi trasferita al Museum of Modern Art di New York.

Opere dal catalogo riprodotte in bianco e nero

1968-1972 Il 13 febbraio muore Sabartés, l’amico di tutta una vita. Picasso, in sua memoria, dona le serie di Las Meninas al Museo Picasso di Barcellona. In collaborazione con i fratelli Crommelynck, realizza ben 347 incisioni (fig. 67, tavola 81 della serie) i cui soggetti comprendono il circo, il teatro, la letteratura spagnola (da La Celestina di Fernando de Rojas), scene erotiche. Le incisioni vengono esposte alla galleria Leiris. Nel corso del 1970 muoiono sia Yvonne che Christian Zervos. La mostra di opere recenti al Palais des Papes di Avignone (1° maggio-1° ottobre) era stata organizzata da loro. La famiglia Picasso di Barcellona dona 900 opere giovanili al Museo Picasso della città catalana. Il 25 ottobre 1971, in occasione del novantesimo compleanno di Picasso, vengono esposte sue opere alla Grand Galerie del Louvre. Nel corso del 1972 Picasso continua a realizzare disegni e incisioni. William Rubin organizza l’esposizione «Picasso nella collezione del Museum of Modern Art di New York». L’artista dona al museo una versione di Costruzione in filo metallico (1928), facendo seguito alla donazione di Chitarra (prima scultura in metallo, 1912).

1. Scienza e carità, 1897, olio su tela, 197 x 249,5 cm, Barcellona, Museu Picasso. 2. Menu del 4 Gats, 1899, stampato, 22 x 16,5 cm, Barcellona, Museu Picasso. 3. Autoritratto, 1901, olio su tela, 81 x 60 cm, Parigi, Musée Picasso. 4. La vita, 1903, olio su tela, 197 x 127 cm, Cleveland, Museum of Art. 5. L’attore, 1904-1905, olio su tela, 194 x 112 cm, New York, Metropolitan Museum of Art. 6. Famiglia di saltimbanchi, 1905, olio su tela, 213 x 230 cm, Washington, National Gallery of Art, Chester Dale Collection. 7. Les Demoiselles d’Avignon, 1907, olio su tela, 243 x 233 cm, New York, Museum of Modern Art. 67

8. Nudo con le braccia levate, 1907, olio su tela, 150,3 x 100,3 cm, collezione privata. 9. Donna con ventaglio, 1909, olio su tela, 100 x 81 cm, Mosca, Museo Puskin. 10. Fabbrica a Horta de Ebro, 1909, olio su tela, 53 x 60 cm, San Pietroburgo, Ermitage. 11. Ritratto di Ambroise Vollard, 1909, olio su tela, 92 x 65 cm, Mosca, Museo Puškin. 12. Ritratto di Daniel-Henri Kahnweiler, 1910, olio su tela, 100,5 x 73 cm, Chicago, Art Institute. 13. Natura morta con ventaglio (L’indépendant), 1911, olio su tela, 61 x 50 cm, New York, Metropolitan Museum of Art. 14. Bottiglia di rhum, 1911, olio su tela, 60,3 x 48,8 cm, New York, Metropolitan Museum of Art, lascito Natasha Gelman.

1973 Alla galleria Leiris mostra di disegni e incisioni eseguiti da Picasso nei due anni precedenti. L’8 aprile Picasso muore a Mougins. Viene sepolto due giorni dopo nel parco del castello di Vauvenargues.

15. Natura morta con sedia impagliata, 1912, olio, tela cerata, corda, 29 x 37 cm, Parigi, Musée Picasso. 16. Violino e foglio da musica, 1912, collage su cartone, 78 x 65 cm, Parigi, Musée Picasso. 17. Bottiglia, chitarra e pipa, 1912, olio su tela, 60 x 73 cm, Parigi, Musée Picasso. 18. Violino e chitarra, 1913, olio, matita, collage su carta, 90 x 64 cm, Philadelphia, Museum of Art. 19. Studente con pipa, 1913, olio, carboncino, carta e sabbia su tela, 73 x 58,7 cm, New York, Museum of Modern Art, lascito Rockefeller. 20. Natura morta verde, 1914, olio su tela, 59,7 x 79,4 cm, New York, Museum of Modern Art. 21. Grappolo d’uva, mela, bicchiere, coltello, pera e giornale su un tavolo, 1914, olio e sabbia su tela, 33,5 x 42 cm, Washington D.C., Lloyd Kreeger. 22. Il bicchiere d’assenzio, 1914, bronzo dipinto con colino da zucchero d’argento, 21,6 x 16,5 cm, New York, Museum of Modern Art, donazione Smith. 23. Arlecchino, 1915, olio su tela, 183 x 105 cm, New York, Museum of Modern Art. 24. Sipario di «Parade», 1917, pittura a colla, 1060 x 1725 cm, Parigi, Musée National d’Art Moderne – Centre Georges Pompidou.

154


25. Olga Picasso in poltrona, 1917, olio su tela, 130 x 88 cm, Parigi, Musée Picasso. 26. Arlecchino e donna con collana, 1917, olio su tela, 200 x 200 cm, Parigi, Musée National d’Art Moderne - Centre Georges Pompidou.

50. Pesca notturna ad Antibes, 1939, olio su tela, 205,7 x 345,4 cm, New York, Museum of Modern Art, fondo Guggenheim.

27. Pierrot, 1918, olio su tela, 92 x 73 cm, New York, Museum of Modern Art.

51. Natura morta con cranio di bue, 1942, olio su tela, 130 x 97 cm, Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen.

28. Arlecchino con violino, 1918, olio su tela, 142 x 100,3 cm, Cleveland, Museum of Art, lascito Hanna.

52. Testa di toro, 1942, composizione con sedile e manubrio di bicicletta, 33,5 x 43,5 x 19 cm, Parigi, Musée Picasso.

29. Sipario di «Le Tricorne», 1919, pittura a colla su tela, 1000 x 1640 cm, New York, Seagram Building.

53. Natura morta con teschio, porri e ceramica, 1945, olio su tela, 73 x 116 cm, Parigi, Collezione P. Picasso Lopez.

30. Contadini addormentati, 1919, tempera, acquerello e matita, 31,1 x 48,9 cm, New York, Museum of Modern Art, fondo Rockefeller.

54. Donna-fiore (Françoise Gilot), 1946, olio su tela, 146 x 89 cm, collezione privata.

31. I tre musici, 1921, olio su tela, 200,7 x 223 cm, New York, Museum of Modern Art, Mrs. Simon Guggenheim Fund. 32. Tre donne alla fonte, 1921, olio su tela, 203,9 x 174 cm, New York, Museum of Modern Art, donazione Emil. 33. Due donne che corrono sulla spiaggia (noto anche con il titolo La corsa), estate 1922, tempera su compensato, 32,5 x 41,1 cm, Parigi, Musée Picasso. 34. Flauto di Pan, 1923, olio su tela, 205 x 174 cm, Parigi, Musée Picasso. 35. I tre ballerini, 1925, olio su tela, 215 x 142 cm, Londra, Tate Gallery. 36. L’atelier della modista, 1926, olio su tela, 172 x 256 cm, Parigi, Musée National d’Art Moderne – Centre Georges Pompidou. 37. Donna seduta, 1927, olio su legno, 129,9 x 97,2 cm, New York, Museum of Modern Art, lascito Thrall Soby.

55. Satiro, fauno e centauro, trittico, 1946, pittura su fibrocemento, 248,5 x 360 cm, Antibes, Musée Picasso. 56. La cucina, 1948, olio su tela, 175 x 250 cm, New York, Museum of Modern Art, lascito Rockefeller. 57. Donna incinta, 1949, bronzo (da una composizione di gesso e barre di ferro), 130 x 37 x 11,5 cm, Parigi, Musée Picasso. 58. La capra, 1950, bronzo, (da una composizione con foglia di palma, vasi da fiori in ceramica, cestino di vimini, metallo e gesso), 117,7 x 143,1 x 71,4 cm, New York, Museum of Modern Art, fondo Guggenheim. 59. Massacro in Corea, 1951, olio su compensato, 110 x 210 cm, Parigi, Musée Picasso 60. Donna seduta, 1953, olio su tela, 130,8 x 96,2 cm, St. Louis, Art Museum, donazione Mr. e Mrs. Joseph Pulitzer Jr. 61. Jacqueline con sciarpa nera, 1954, olio su tela, 92 x 73 cm, Mougins, Collezione J. Picasso.

38. Bagnante (Metamorfosi I), 1928, bronzo, 22,8 x 18 x 11 cm, Parigi, Musée Picasso.

62. Las Meninas, da Velázquez, 1957, olio su tela, 129 x 161 cm, Barcellona, Museu Picasso.

39. Figura (Progetto per un monumento ad Apollinaire), 1928, filo metallico, 37,5 x 10 x 19,6 cm, Parigi, Musée Picasso.

63. La baia di Cannes, 1958, olio su tela, 130 x 195 cm, Parigi, Musée Picasso.

40. Brocca e fruttiera, 1931, olio su tela, 130 x 162 cm, New York, Museum of Modern Art, lascito Rockefeller. (non riesco a verificare ubicazione)

65. Donna a braccia aperte, 1961, lamiera ritagliata, piegata e dipinta, 183 x 177,5 x 72,5 cm, Parigi, Musée Picasso

41. Ragazza allo specchio, 1932, olio su tela, 162,3 x 130,2 cm, New York, Museum of Modern Art, donazione Guggenheim.

66. Testa di donna (bozzetto per la scultura del Civic Center, Chicago), 1964, acciaio saldato, 104,7 x 69,9 x 48,3 cm, Chicago, Art Institute.

42. Corrida: morte della toreadora, 1933, olio su legno, 21,7 x 27 cm, Parigi, Musée Picasso.

67. Tavola 81 della serie 347, 1968, acquaforte, 41,4 x 49,5 cm, New York, Reiss-Cohen, Inc.

64. Le déjeuner sur l’herbe, da Manet, 1960, olio su tela, 130 x 195 cm, Parigi, Musée Picasso.

43. Minotauromachia, 1935, acquaforte, 49,5 x 69,7 cm, New York, Museum of Modern Art. 44. La deposizione del Minotauro in costune di Arlecchino (schizzo per il Sipario del 14 luglio), 1936, inchiostro di china e gouache, 44,8 x 54,5 cm, Parigi, Musée Picasso. 45. Sogno e menzogna di Franco, ii, 1937, acquaforte e acquatinta, 31,7 x 42,2 cm, New York, Museum of Modern Art, Collezione Louis E. Stern. 46. Guernica, 1937, olio su tela, Olio su tela, 351 x 782 cm, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía. 47. Donna che piange, 1937, olio su tela, 60,8 x 50 cm, Londra, Tate Modern. 48. Donna seduta, 1938, olio su tela, 73 x 60 cm, New York, Acquavella Galleries, Inc. 49. Gatto e uccello, 1939, olio su tela, 97 x 129 cm, New York, Collezione Ganz.

157


Crediti fotografici

159



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.