THE FIRST CHURCHES OF ROME

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MONUMENTA VATICANA SELECTA


HUGO BRANDENBURG

LE PRIME CHIESE DI ROMA iv-vii secolo

Fotografie di Arnaldo Vescovo Fotografie aeree di bams photo – Rodella

Fabbrica di San Pietro in Vaticano

Musei Vaticani


Sommario

Ristampa aprile 2021 Copyright © 2015 by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Musei Vaticani, Città del Vaticano All rights reserved International copyright handled by Editoriale Jaca Book Srl, Milano Prima edizione italiana settembre 2015

Redazione dei testi Elisabetta Gioanola / Jaca Book La carta alla pagina 40 è di Manuela Viscontini La carta alla pagina 305 è di Daniela Blandino

Copertina e grafica Jaca Book / Paola Forini Selezione delle immagini The Good Company, Milano

Stampa e legatura Grafiche Stella Srl San Pietro di Legnago (VR) marzo 2021

Premessa 9 Capitolo primo Le origini dell’edificio di culto cristiano Capitolo secondo L’età di Costantino La basilica lateranense. S. Salvatore, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista Il battistero lateranense

ISBN 978-88-16-60646-3 Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

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Capitolo terzo Martyria e mausolei di età costantiniana 54 La basilica a deambulatorio dei Ss. Marcellino e Pietro e il mausoleo dell’imperatrice Elena 54 La basilica a deambulatorio e il mausoleo di Tor de’ Schiavi 60 La basilica Apostolorum a deambulatorio (S. Sebastiano) 65 La basilica a deambulatorio di S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta (S. Costanza) 71 Il mausoleo di Costantina Augusta (S. Costanza) 77 La basilica a deambulatorio di S. Lorenzo fuori le mura 91 La basilica a deambulatorio della via Ardeatina 93 Le basiliche costantiniane a deambulatorio di Roma e il loro ruolo nell’architettura cristiana delle origini 93 S. Pietro in Vaticano 96 La basilica costantiniana di S. Paolo fuori le mura 107 S. Croce in Gerusalemme (Hierusalem) 108 Capitolo quarto La politica edilizia di Costantino e i vescovi Chiese cimiteriali di fondazione pontificia del suburbium nell’età della dinastia costantiniana

Capitolo sesto La basilica teodosiana di S. Paolo sulla via Ostiense (S. Paolo fuori le mura) 121 Capitolo settimo Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi del v secolo 139 Titulus Anastasiae (S. Anastasia) 140 Titulus Damasi (S. Lorenzo in Damaso) 142 Titulus Fasciolae (Ss. Nereo e Achilleo) 145 Titulus Sancti Petri et Marcellini iuxta Lateranos (Ss. Pietro e Marcellino) 145 Titulus Pudentis (S. Pudenziana) 145 Titulus Clementis (S. Clemente) 151 Titulus Crescentianae (S. Sisto Vecchio) 162 Titulus Vestinae (S. Vitale) 163 Titulus Pammachii (Ss. Giovanni e Paolo) 165 Capitolo ottavo Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo Titulus Chrysogoni (S. Crisogono) Titulus Marcelli (S. Marcello al Corso) Titulus Aemilianae (Ss. Quattro Coronati) Titulus Gaii (S. Susanna) Titulus Caeciliae Transtiberim (S. Cecilia in Trastevere) Titulus Sabinae (S. Sabina) Ecclesia sanctae Mariae (S. Maria Maggiore) Titulus S. Petri in Vinculis (S. Pietro in Vincoli) Titulus Eusebii (S. Eusebio) Titulus Praxedis (S. Prassede) Titulus S. Priscae (S. Prisca)

173 174 175 177 177 180 184 195 207 211 212 214

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Capitolo quinto Le prime chiese urbane: fondazioni papali e chiese parrocchiali. I cosiddetti tituli 116 Titulus Silvestri (S. Martino ai Monti) 117 Titulus Marci (S. Marco) 118 Titulus Iulii e basilica Iulii et Calisti (S. Maria in Trastevere) 118 Titulus Lucinae (S. Lorenzo in Lucina) 119 Basilica Liberii 120

Capitolo nono Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 215 S. Stephanus in Coelio Monte (S. Stefano Rotondo) 216 Ss. Philippus et Iacobus (Ss. Apostoli) 233 S. Bibiana 233 Titulus sanctae Balbinae (S. Balbina) 234 S. Andreas Cata Barbara (S. Andrea Cata Barbara) 236 S. Agatha super Subura (S. Agatha Gothorum, S. Agata dei Goti) 237 S. Iohannis ad Portam Latinam (S. Giovanni a porta Latina) 238 Ss. Cosma e Damiano 242 S. Maria Antiqua 251


Ss. Quirico e Giulitta S. Adriano S. Maria ad Martyres (Pantheon)

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Capitolo decimo Chiese rurali e chiese cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo 257 S. Stefano sulla via Latina 257 S. Agatha in fundo Lardarium 258 S. Pancrazio 258 Ss. Nereo e Achilleo (catacomba di Domitilla) 259 S. Lorenzo fuori le mura 260

S. Agnese fuori le mura

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Uno sguardo retrospettivo

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Documentazione iconografica

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Note

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Bibliografia

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Indice dei nomi e dei luoghi 363

Le prime chiese di Roma iv-vii secolo


Premessa

1. Le tre basiliche paleocristiane maggiori di Roma a confronto. Le chiese costantiniane del Laterano e di S. Pietro, la basilica teodosiana di S. Paolo. Ricostruzioni assonometriche alla medesima scala (disegno di K. Brandenburg).

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Il presente volume costituisce un’introduzione all’architettura delle prime chiese cristiane di Roma. Per non appesantire il testo e non accrescere le dimensioni del volume, per motivi editoriali si sono forniti solo i riferimenti alle fonti primarie, mentre non è fatto alcun rinvio alla bibliografia e al dibattito critico. Per lo stesso motivo non è stato possibile inserire un glossario comprendente i concetti relativi alla storia, all’antichistica, all’architettura e alla teologia. Il lettore attento troverà nel testo i chiarimenti necessari. Chi desiderasse approfondire le conoscenze e i colleghi specialisti che cercassero riscontri alle argomentazioni esposte troveranno ampi riferimenti nella bibliografia, per la quale si è soprattutto tenuto conto delle pubblicazioni più recenti. In appendice si è riunita la documentazione iconografica, con piante, prospetti, assonometrie e fotografie degli edifici trattati, che integra le immagini nel testo e illustra la trattazione. Ove necessario, la documentazione è stata aggiornata alla situazione più recente disponibile, sostituendo anche le figure a colori nel testo nei casi in cui lo stato dell’architettura dei monumenti fosse nel frattempo mutata. In punti particolari sono stati inseriti rimandi alle figure dell’appendice documentaria. Non sarebbe stato possibile realizzare questo libro senza la collaborazione di un gran numero di persone. Sebbene non possano in questa sede essere nominati partitamente tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno fornito un contributo all’opera, devo ringraziare in primo luogo i colleghi e gli amici del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana che, come Fabrizio Bisconti, Federico Guidobaldi, Vincenzo Fiocchi Nicolai, Olof Brandt, Annamaria Nieddu, Claudia Angelelli, Paolo Liverani e Giorgio Filippi, hanno contribuito a questo lavoro con pubblicazioni, materiale illustrativo, approfondite discussioni, e accordato generosamente l’accesso ai siti da loro scavati. Analogamente, Alberto Pronti e Margherita Cecchelli hanno consentito di gettare uno sguardo alle loro ricerche in corso e messo a disposizione fotografie. Con Stefan S. Freyberger, direttore aggiunto della sezione romana del Deutsches Archäologisches Institut, ho avuto frequenti discussioni sul reimpiego e sulla decorazione architettonica di età imperiale e tardoantica, che sono tornate utili nella valutazione dell’arredo degli edifici ecclesiastici. Non sarebbe stato possibile raccogliere i dati necessari e il materiale illustrativo senza i permessi generosamen-

te concessi dai responsabili dei monumenti, le ispettrici e gli ispettori della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici e della Soprintendenza per i Beni Artistici, grazie ai quali è stato possibile effettuare indagini e rilevamenti in diverse chiese, in particolare S. Agnese, S. Costanza, S. Croce, S. Stefano Rotondo, S. Lorenzo e S. Pudenziana, e in altre realizzare campagne fotografiche. Con altrettanta liberalità la Direzione dei Musei e dei Monumenti Vaticani, dott. Francesco Buranelli e prof. Antonio Paolucci, con i loro collaboratori passati e attuali, Paolo Liverani e Giorgio Filippi, nonché la Direzione Generale dei Servizi del Vaticano, ing. Enrico Sebastiani, hanno reso possibili le ricerche e i servizi fotografici nelle chiese dipendenti dal Vaticano, come la basilica e il battistero lateranensi, S. Maria Maggiore e S. Paolo fuori le mura. Don Evandro, monaco dell’abbazia benedettina di S. Paolo fuori le mura, già direttore dell’archivio del monastero, ha in ogni modo agevolato l’utilizzo e l’esame del ricco materiale archivistico dell’antica basilica. Non da ultimo desidero menzionare Pietro Zander e Paolo Parotta, della Fabbrica di S. Pietro, che hanno generosamente consentito ripetuti accessi agli scavi sotto S. Pietro e ai resti della basilica costantiniana, offrendo anche il loro premuroso aiuto nella raccolta del materiale illustrativo. I parroci e i custodi di numerose chiese, tra cui posso qui menzionare solo i rettori del Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum, padri Komma sj e Moires sj, la reverenda madre badessa di S. Cecilia, don Giancarlo di S. Agnese, padre Silvio Vanzan, bibliotecario del convento dei Passionisti dei Ss. Giovanni e Paolo, i rettori di S. Vitale e di S. Pietro in Vincoli e Mario Antonucci, ben noto custode dell’antico edificio di S. Pudenziana, che hanno generosamente consentito indagini, misurazioni di verifica e riprese fotografiche, rendendosi disponibili per discussioni importanti e aprendo, grazie ai loro contatti, anche porte di difficile accesso, che hanno consentito vedute e scorci inconsueti. Estese campagne fotografiche con l’amico fotografo Arnaldo Vescovo, condotte in un clima di collaborazione straordinariamente stimolante e proficuo, hanno fornito numerose nuove vedute e una conoscenza più approfondita degli edifici. Le nuove fotografie aeree dello studio BAMSphoto – Rodella, con le quali il volume per iniziativa della Editoriale Jaca Book è stato ampliato, arricchiscono si-

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gnificativamente l’immagine delle chiese menzionate. Un ringraziamento particolare va anche all’arch. Konstantin Brandenburg, “disegnatore” intelligentemente critico, senza la cui collaborazione la parte documentaria non avrebbe potuto essere così ricca di nuovi disegni e ricostruzioni. Desi-

dero infine ringraziare i responsabili delle case editrici Jaca Book e Schnell & Steiner, Sante Bagnoli e Albrecht Weiland, insieme a Jutta Dresken-Weiland, per la fruttuosa collaborazione alla realizzazione del volume e per essersi assunti i rischi dell’impresa editoriale.

Capitolo primo

Le origini dell’edificio di culto cristiano

Negli Atti degli apostoli e nelle Lettere di san Paolo si legge che i primi cristiani si ritrovavano nella casa di uno dei compagni di fede per spezzare il pane1. E così si è fatto anche in seguito. La lettura delle Scritture, la salmodia, l’omelia e il banchetto divino che caratterizzavano le riunioni e le pratiche di culto delle prime comunità si svolgevano in ampi ambienti privati, o altri edifici adatti a tale scopo messi a disposizione da un membro della comunità. Anche dopo l’età apostolica la comunità non possedeva in un primo momento propri edifici di culto né chiese, non costituendo ancora un’associazione religiosa riconosciuta, dotata di proprio status giuridico, e non potendo pertanto possedere beni immobili. Questo dato di fatto venne favorito dalle credenze religiose delle prime comunità cristiane, che, come gli ebrei, non riconoscevano la presenza della divinità nell’immagine di culto o in luoghi consacrati, come ad esempio un piccolo bosco, e quindi non avvertivano la necessità di uno spazio o di un edificio sacro che servisse da scrigno o dimora di Dio. Diversamente dai templi o dagli edifici di culto pagano, sacralizzati dalla presenza del dio, il cui culto si svolgeva per lo più all’esterno, il servizio divino dei cristiani aveva sempre luogo in ambienti chiusi. Questi fungevano unicamente da luoghi di riunione, e non erano sacralizzati né dalla presenza di Dio né dal culto, presentando piuttosto un carattere profano. Secondo l’apostolo Paolo il tempio, santuario di Dio, era piuttosto la comunità stessa2. Secondo gli Atti degli apostoli la dimora di Dio non poteva essere un edificio costruito dalla mano dell’uomo3. Tale idea, sostenuta nel Nuovo Testamento in contrasto con il contesto religioso dell’epoca, di radicale spiritualizzazione delle manifestazioni di culto, che non conoscevano né sacrifici di sangue né edifici santificati dalla presenza divina o da immagini sacre, è continuamente ribadita

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anche dagli autori cristiani dei primi tre secoli, ed è ritenuta, sino al iv secolo inoltrato, un tratto distintivo della fede cristiana. Da questa posizione deriva il fatto che le prime comunità cristiane siano ben lontane dall’attribuire ai propri luoghi di culto una forma architettonica e una fisionomia monumentale. Di conseguenza – caso unico nelle manifestazioni di culto e nelle comunità religiose del mondo antico – non esiste nei primi tre secoli del cristianesimo un’architettura sacra cristiana. Un autore cristiano, Minucio Felice, poteva così scrivere, ancora nel iii secolo: «Non possediamo né templi né altari»; all’inizio del iv secolo lo stesso faceva l’apologeta Arnobio nella sua disputa Adversus nationes4. Dalle fonti si deduce tuttavia che, al più tardi dalla fine del ii secolo, con l’accrescersi delle comunità si erano resi necessari specifici spazi destinati al culto, case o già addirittura edifici espressamente costruiti per tali esigenze. Tertulliano, scrittore cristiano dell’inizio del iii secolo, scrive in proposito che i luoghi di riunione dei cristiani si distinguevano per le loro imponenti dimensioni5. A ciò corrisponde il fatto che, al volgere del iii secolo, tali luoghi vengono definiti domus dei o domus ecclesiae, o semplicemente ecclesia, estendendo così al luogo di culto nel quale la comunità si riunisce per la preghiera e per la liturgia la parola greca che in origine designava la comunità stessa, l’assemblea dei credenti6. Altre definizioni, quali domus in qua christiani conveniebant o locus ubi orationes celebrare consueti fuerant, loca ad quae convenire consuerant, che ricorrono nei verbali di confisca dei funzionari romani di Cirta e Abthugni in Africa settentrionale, e che risalgono all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano, mostrano come all’inizio del iv secolo non esistesse ancora un termine comunemente riconosciuto per designare un vero e proprio edificio di culto cristiano pubblicamente noto in quanto tale.

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Le prime chiese di Roma

Il concetto di basilica, anch’esso già impiegato in queste fonti a indicare l’edificio di culto cristiano, non doveva ancora corrispondere nella lingua parlata a una specifica forma architettonica, designando solo, dal punto di vista dei funzionari romani, il fabbricato o la sala che serviva alle riunioni della comunità, così come erano da sempre chiamate basilica le aule colonnate nei fori delle città, gli ambienti di ricevimento delle villae patrizie, o alcuni spazi destinati al culto dei defunti nelle necropoli7. La pluralità di termini che designano gli edifici di culto nella prima età cristiana si ritrova nelle fonti cristiane ancora in età costantiniana; dominicum e dominicae domus – o, nell’Oriente di lingua greca – oikos theou, oikos ekklesias, ekklesia, kyriakon e oikos eukterios, basilikos oikos e basilikos naos – sono i termini che lo storico della Chiesa Eusebio, vescovo di Cesarea, storico della Chiesa e biografo di Costantino utilizza per le fondazioni costantiniane. Ancora una volta con tali concetti non ci si riferisce alla forma architettonica dell’edificio, ma alla sua funzione nell’ambito del culto comunitario. Le testimonianze menzionate dimostrano soprattutto che l’effettiva evoluzione dei termini – in contrasto con il loro concetto originario, in seguito mantenuto dai teologi come pretesa radicale e puritana – si muove verso un autonomo edificio di culto, al quale – come può dimostrare l’accertata destinazione della costruzione a uno scopo specifico, e soprattutto l’uso, accanto ad altri, del termine domus dei per definirla – è già attribuita una certa sacralità. L’edificio di culto diviene così sempre più la dimora, il tempio di Dio, come documenta il Chronicum Edessenum per il 201, anno in cui il «santuario della Chiesa di Cristo» nella città di Edessa sarebbe stato distrutto da una catastrofe naturale8. Questa evoluzione è confermata da un passo del De Oratione, redatto nella prima metà del iii secolo dall’insigne teologo di Alessandria Origene. Egli raccomandava di pregare nel luogo dove si riuniscono i credenti, poiché qui sono presenti, accanto ai fedeli, le forze angeliche e «la potenza di Nostro Signore e del Salvatore». È qui espressa chiaramente l’idea che il divino è presente in modo particolare nel luogo di culto della comunità9. La cosiddetta Traditio Apostolica, un antico ordinamento ecclesiastico dell’inizio del iii secolo redatto forse a Roma, conferma l’idea di Origene della sacralità dell’edificio ecclesiastico, laddove nel passo che riguarda gli obblighi di preghiera si dice che chi prega nell’ecclesia «può sottrarsi al maligno che il giorno porta con sé»10. Tali testimonianze attestano che, a partire dagli inizi del iii secolo, si sviluppano concezioni che attribuiscono una qualche sacralità al luogo in cui si riunisce la comunità, facendone il santuario di Dio.

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Le origini dell’edificio di culto cristiano

Questi spazi, o edifici, specificamente predisposti per il culto, a prescindere dal fatto che assolvessero la funzione di luoghi di riunione e di preghiera, probabilmente non presentavano ancora una particolare fisionomia architettonica. Quando veniva acquisito un edificio preesistente, lo si poteva adattare con modifiche edilizie, oppure potevano essere costruiti edifici autonomi, semplici costruzioni funzionali con uno spazio per il culto e ambienti secondari adatti alle esigenze assembleari di comunità sempre più numerose. Al di sotto dei cosiddetti tituli di Roma, che risalgono sostanzialmente a chiese della fine del iv e del v secolo, nel corso di indagini archeologiche sono stati rinvenuti resti di edifici più antichi nei quali, in base alla tradizione, si sono voluti ipoteticamente riconoscere ambienti di culto cristiano delle origini: qui un più ampio ambiente costituito dall’unione di due casermoni; là una sala già forse suddivisa in tre navate mediante file di sostegni; là ancora un edificio ad aula incluso in una chiesa successiva, oppure il vestibolo di un lussuoso palazzo urbano (domus) di un esponente dell’aristocrazia romana. Per nessuno di questi edifici è tuttavia possibile dimostrare l’utilizzo da parte della comunità come luogo di culto, a causa della mancanza di caratteri architettonici evidenti, e soprattutto di oggetti o elementi dell’arredo liturgico che possano provare che si tratti di un edificio di culto cristiano. All’epoca non esistevano ancora altari stabili, né tanto meno arredi fissi che ripartissero porzioni specifiche dell’ambiente destinate alla liturgia. Né in questi spazi si sono rinvenute pitture con simboli o raffigurazioni cristiane, come quelle note, nelle loro prime attestazioni, dalle catacombe romane e dai cimiteri cristiani per lo meno dal iii secolo. I luoghi di culto e le chiese delle comunità cristiane, restituite ai cristiani nel 260 dall’imperatore Gallieno dopo le persecuzioni sotto il predecessore Decio, o erette ex novo durante il lungo periodo di pace iniziato in questo periodo, vennero nuovamente distrutti – secondo la testimonianza di Eusebio vescovo di Cesarea, storico della Chiesa e biografo di Costantino – durante la persecuzione scatenata nel 303 sotto Diocleziano e i suoi coreggenti. Doveva trattarsi, almeno in parte, di edifici di un certo prestigio11. Quando Eusebio elogia lo splendore e la grandezza degli edifici distrutti durante la persecuzione dioclezianea, nelle sue parole non si deve leggere solo un’amplificazione retorica, ma anche una conferma dell’ipotesi che si trattasse di edifici autonomi di culto cristiano, caratterizzati forse da una propria forma, e probabilmente già anche da un proprio arredo per il culto12. Altre notizie coeve, come quella contenuta in un’opera del filosofo pagano Porfirio (Adversos Christianos) risalente agli

anni successivi al 270, presentano il medesimo quadro. I cristiani imitano i templi pagani, vi si dice, costruendo imponenti dimore in cui si riuniscono a pregare, anche se – aggiunge Porfirio – potrebbero in realtà pregare nelle loro stesse case, «poiché sostengono che Dio possa ascoltarli in qualunque luogo»13. Questa osservazione critica da parte dell’insigne filosofo è di particolare interesse, poiché attesta l’esistenza, verso la fine del iii secolo, di edifici di culto cristiani di notevoli dimensioni o addirittura monumentali che, secondo le sue stesse parole, si sarebbero posti in competizione con i templi tradizionali. È da notare come in questo contesto Porfirio sottolinei espressamente l’atteggiamento duplice del cristianesimo dell’epoca, in cui il pensiero teologico si richiama a una concezione tipicamente spiritualizzata del culto, ma malgrado ciò si costruivano santuari prestigiosi che, per dimensioni e impegno architettonico, eguagliavano i templi pagani. La contrapposizione tra la pretesa fondamentalista dei teologi e la pratica, qui illustrata da Porfirio, chiarisce la situazione alla quale dovevano far fronte la Chiesa e le comunità cristiane che cercavano di organizzarsi e affermarsi nel mondo pagano. Il conflitto messo in evidenza dalle fonti sin dagli inizi del iii secolo si dovette palesemente inasprire verso la fine del secolo, poiché altre testimonianze di contemporanei parlano di ambiziosi edifici cristiani analoghi a quelli che aveva davanti agli occhi Porfirio. Ecco così che l’imperatore Diocleziano poteva vedere la chiesa dei cristiani dalla sua residenza imperiale di Nicomedia, in Asia Minore, come riferisce Lattanzio, che all’epoca insegnava presso il liceo della città. Nel 303 Diocleziano fa radere al suolo quel fanum editissimum che lo irritava per la sua grandezza e monumentalità, dando avvio all’ultima e più terribile persecuzione dei cristiani14. La chiesa della comunità cristiana di Nicomedia era dunque una costruzione così vistosa e imponente da essere definita fanum, al pari dei tradizionali edifici di culto, e doveva quindi già possedere tratti che la connotavano come esempio di prestigiosa architettura sacra, scatenando la collera dell’imperatore e le conseguenti persecuzioni. La costruzione, che Lattanzio qualifica in altro luogo con il termine di templum, comunemente associato al santuario pagano, era quindi un segno della sempre maggiore concorrenza esercitata dal cristianesimo nei confronti della religione pagana – che il filosofo Porfirio aveva già individuato negli edifici di culto cristiani – e della crescente importanza delle comunità cristiane, la cui lealtà nei confronti del nuovo Stato, che le riforme di Diocleziano avevano riplasmato e rifondato anche sotto il profilo religioso, veniva dunque palesemente posta in discussione15.

Le caratteristiche specifiche della chiesa di Nicomedia potrebbero forse essere illustrate da un ordinamento ecclesiastico risalente al iv secolo che raccoglie le più antiche disposizioni in materia di edifici di culto. La dimora di Dio deve avere pianta allungata ed essere orientata a est; può ospitare arredi permanenti, come una tribuna (podium) per il clero, una cattedra vescovile, l’ambone, una recinzione o delle transenne, come quelle forse necessarie per separare le donne dagli uomini in distinte aree dell’aula di culto, e perfino pitture murali alludenti alla verità sacra della fede16. Già dal tardo iii secolo il seggio vescovile fa stabilmente parte degli arredi della chiesa. Un esemplare oltremodo sontuoso, che Paolo di Samosata, vescovo e funzionario civile di Antiochia, conscio del suo valore rappresentativo, aveva fatto collocare nella sua chiesa, poteva suscitare l’indignazione dei suoi colleghi funzionari e dei fedeli, in quanto troppo corrispondente al trono del dignitario statale17. La notizia, che risale agli anni Sessanta del iii secolo, è particolarmente interessante, e collegata all’appunto di Lattanzio e all’annotazione di Porfirio – che proveniva da Tiro e aveva ben presente la situazione in Oriente – indica come spesso nelle principali città d’Oriente gli edifici di culto cristiano avessero all’epoca già un certo carattere di rappresentanza. Si può riconoscere in quale misura l’organizzazione ecclesiastica fosse già qui consolidata, e di quale considerazione già godesse o credesse di poter godere il vescovo. Anche le decisioni del concilio regionale di Elvira, in Spagna, del 306, che vietavano di collocare immagini nelle chiese e di rappresentare sulle pareti temi di fede e devozione, mostrano che al volgere del iv secolo la chiesa non era già più lo spazio semplice, disadorno e utilizzato anche per altri impieghi dei primi tempi, ma un edificio destinato specificamente agli scopi cultuali della comunità, e arredato in conformità con tale funzione. La vecchia opinione secondo la quale non era necessario un edificio terreno per il culto divino era mutata: si era sempre più disposti a vedere nell’ambiente di culto la dimora di Dio, a riconoscergli un carattere sacro come per i santuari del mondo pagano, e ad arricchirlo di conseguenza, sebbene – come dimostra la delibera conciliare – i vescovi di alcuni territori sostenessero ancora una rigorosa concezione teologica, insistendo nel bandire dagli ambienti di culto qualunque immagine e rappresentazione di natura religiosa. In Siria, terra al confine orientale dell’impero romano in cui il cristianesimo prese piede più rapidamente rispetto alle provincie occidentali, si sono conservate due chiese che possono fornire un’idea degli edifici di culto sorti in quest’epoca nelle provincie al di fuori delle grandi città. A Roma o in altre regioni dell’impero, i primi edifici cristiani di culto non sono

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Le prime chiese di Roma

sopravvissuti al tempo, o ne rimangono solo pochi resti che non è possibile identificare con certezza come chiese, poiché non si differenziano per caratteristiche proprie dalle architetture profane coeve. La più antica delle due chiese siriache si è conservata in buone condizioni a Dura Europos, città sede di una guarnigione romana e fortezza di confine sull’Eufrate, in Mesopotamia, nell’attuale Siria, ampliata prima della caduta. La modesta costruzione è di particolare importanza, poiché è l’unico edificio di culto cristiano riferibile con certezza all’epoca precostantiniana. Quando, nel 257, si rafforzarono le mura della città per far fronte alla minacciosa avanzata dei Parti, venne interrata, oltre alla vicina sinagoga, anche la chiesa cristiana, posta immediatamente a ridosso della cinta muraria. In origine si trattava di una semplice abitazione, composta da alcuni vani che si affacciavano su un cortile interno. Grazie a un’iscrizione graffita sull’intonaco ancora fresco, può essere datata al 231-232, ma non è noto se all’epoca fosse già destinata al culto. In ogni caso, circa un decennio più tardi, l’edificio risulta in possesso dei cristiani. Gli ambienti vennero in parte ampliati per ospitare le riunioni di comunità di 50-60 persone. Un ambiente più piccolo, interpretabile come battistero, fu decorato con pitture murali raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento (Docum. i.1). L’edificio di Dura Europos doveva far parte di un tipo comune per i piccoli centri comunitari che, nel iii secolo, con l’aumento dei fedeli, si andavano diffondendo in tutto l’impero. Le necessarie modifiche all’edificio preesistente furono attuate con il minimo dispendio, dando luogo a un ambiente di riunione per il culto principale e ad alcuni ambienti secondari destinati ad altre pratiche, quali il battesimo e la cresima, nonché alle attività sociali della comunità. L’edificio, che nella struttura e nell’aspetto esteriore ha conservato in tutto e per tutto il carattere di abitazione, soddisfaceva apparentemente tutte le diverse esigenze che scaturivano da una comunità sempre più numerosa, da una organizzazione ecclesiastica, da una liturgia in via di sviluppo e dai nuovi compiti sociali che nascevano in relazione all’accresciuto numero dei fedeli. Si tratta di una semplice architettura d’uso, priva di qualsiasi rappresentatività, di ogni carattere pubblico e di alcuna efficace forma architettonica esteriore. Questi criteri valgono in generale fino al iii secolo per gli edifici di culto cristiano di molte parti dell’impero, in ogni caso al di fuori dei grandi centri, dove la situazione era forse un po’ diversa, come mostrano le testimonianze precedentemente menzionate.

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Le origini dell’edificio di culto cristiano

Oltre che dalle testimonianze scritte, come il già ricordato verbale di confisca proveniente dalla città africana di Cirta (Costantina), risalente all’epoca della persecuzione di Diocleziano18, ciò è confermato da un’altra chiesa venuta alla luce in Siria, che nell’architettura segue le forme dell’edilizia rurale tradizionale. La piccola chiesa si trova accanto a una villa che sorgeva al centro di una grande tenuta agricola a Qirqbize, nel Nord della Siria. Si tratta di un edificio totalmente spoglio, costruito probabilmente già in pieno iv secolo: una sala inarticolata, di proporzioni modeste, che nella struttura e nella disposizione rivela una stretta parentela con l’architettura domestica diffusa all’epoca nella regione (Docum. i.2). A differenza della villa attigua, non è a due piani; di conseguenza anche il portico aperto che precede gli ingressi sul lato lungo è a un solo piano. L’edificio, costruito appositamente per il culto, in grado di accogliere una comunità di circa 50 fedeli – che all’esterno non presenta alcuna fisionomia architettonica autonoma, corrispondendo bensì alla sua funzione di luogo di riunione e di culto solo nell’organizzazione interna –, rimane nella tradizione dell’architettura abitativa coeva. La chiesa di Qirqbize sopravvisse in questa forma fino alla conquista araba della Siria nel vii secolo; solo il presbiterio venne in seguito adeguato alle mutate condizioni liturgiche con la creazione di un podium (tribuna per il clero), di transenne e di un pulpito. Come altre chiese simili della regione, ha conservato l’antico carattere dei primi edifici di culto dell’età precostantiniana. Le chiese delle comunità più grandi probabilmente dovevano superare per dimensioni e ricchezza esteriore i due edifici delle piccole comunità siriache, e distinguersi già per specifiche caratteristiche architettoniche, come suggeriscono le notizie risalenti al tardo iii e all’inizio del iv secolo tramandate dai grandi centri orientali quali Nicomedia e Antiochia. Per quanto riguarda Roma, la capitale dell’impero, mancano invece analoghe informazioni, come pure testimonianze monumentali che possano riferirsi a costruzioni di questo genere. Nei resti di edifici di vario tipo – abitazioni, palazzi urbani (domus), complessi pubblici, terme – conservati nei quartieri intorno al centro monumentale sotto le tuttora esistenti 25 chiese titolari (le più antiche parrocchie della città), si è ipotizzato di riconoscere tradizionalmente antichi luoghi di culto cristiani di epoca precostantiniana. Le denominazioni tramandate per queste chiese titolari, come si vedrà in seguito, consentono di riconoscere i nomi dei proprietari privati che forse detenevano in origine i diritti sull’edificio poi adattato a luogo di culto, o sul terreno su cui sorgeva o era stato costruito. Che già alla fine del iii secolo la comunità cristiana fosse proprietaria di edifici di

culto è documentato dalla decisione presa da Aureliano nel 272, di cui riferisce Eusebio nella sua Historia Ecclesiastica, redatta in epoca costantiniana19. L’imperatore restituì alla comunità cristiana di Antiochia e al nuovo vescovo appena nominato la «casa della chiesa» (tes ekklesias oikou), che il già citato vescovo deposto, Paolo di Samosata, aveva reclamato e tenuto occupata. Sotto questo aspetto è illuminante anche il testo di un decreto emanato nel 311 dall’imperatore Licinio dopo le persecuzioni dioclezianee, pervenuto attraverso lo scritto di Lattanzio De mortibus persecutorum. Per ordine dell’imperatore dovettero essere restituite non solo le costruzioni possedute da singoli cristiani confiscate durante le persecuzioni, ma anche gli edifici appartenuti ad ius corporis eorum id est ecclesiarum, e cioè alla comunità come entità giuridica20. Queste notizie mostrano in modo evidente il mutamento concettuale verificatosi nel corso del iii secolo con l’aumento del numero dei fedeli, l’ampliamento delle istituzioni ecclesiastiche, le ormai consolidate forme assunte dalla liturgia e la crescente responsabilità delle comunità anche dal punto di vista sociale: alla fine del secolo, come provato dai documenti citati, l’esistenza di specifici, autonomi edifici di culto di proprietà cristiana è provata, anche se non è noto a quale titolo le comunità potessero far valere i propri diritti di proprietà, poiché in base al diritto romano non appartenevano a una religione ufficialmente riconosciuta dallo Stato. Sembra che, al di fuori della situazione eccezionale creatasi all’epoca delle persecuzioni, lo Stato romano tollerasse in questo caso una situazione giuridica de facto. Queste prime costruzioni potevano essere erette dalla comunità espressamente per le pratiche di culto, e gli edifici cristiani dei centri del mondo antico potevano avere anche dimensioni degne di nota, che li ponevano in concorrenza con i luoghi sacri pagani e, secondo Eusebio, potevano avere arredi e decorazioni anche più ricchi, ma non è noto se questi avessero raggiunto una propria e ricercata forma architettonica caratteristica già alla fine del iii secolo, nonostante si addicesse loro, come si è visto, una certa sacralità. In quanto edifici d’uso, che

servivano alle riunioni e alle pratiche cultuali della comunità, essi possedevano di certo una fisionomia funzionale, ma forse non ancora la connotazione vincolante e inconfondibile di un’architettura sacra. Nei primi secoli del cristianesimo, e fino all’epoca di Costantino, non esistette dunque una vera e propria architettura cristiana, un edificio di culto di un particolare tipo architettonico, seppure in virtù di esigenze legate al culto si prediligessero decisamente aule a sviluppo longitudinale, come attestano le citate Constitutiones Apostolicae. Edifici più ampi e più rappresentativi nelle principali città d’Oriente, come forse la chiesa di Nicomedia che aveva causato il disappunto di Diocleziano, potevano avere già una struttura basilicale articolata internamente da colonnati, com’era ormai consueto negli antichi edifici ad aula. Ciò è suggerito anche, come si vedrà, dai primi edifici monumentali di epoca costantiniana, che già manifestano una struttura pienamente formata. A differenza dell’edificio di culto classico – generalmente concepito come uno scrigno destinato a racchiudere l’immagine in cui si sostanziava la presenza del dio, edificio di prestigio che si caratterizzava nel suo aspetto esteriore quale dimora della divinità attraverso precisi elementi architettonici come le colonne, il frontone e la cella –, l’edificio di culto cristiano delle origini, sebbene al volgere del iv secolo fosse ritenuto il santuario di Dio e percepito come sacro, incarna, nel suo proiettarsi verso l’interno trascurando l’aspetto esterno, come accadeva invece negli edifici pubblici commerciali di epoca imperiale, una concezione del tutto nuova e rivoluzionaria dell’architettura sacra. L’edificio sacro, inteso come un ambiente nel quale la comunità si riunisce per le pratiche di culto – che nell’ambito dell’impero romano era stato fino a quel momento riservato semmai alle religioni misteriche orientali, che potevano quindi venire significativamente celebrate in aule a più navate, come nel caso del tempio di Serapide eretto nel iii secolo al centro di Mileto –, acquisisce ora nella Chiesa cristiana una fisionomia monumentale che si distingue radicalmente dalla tradizionale architettura religiosa dell’Antichità.

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

Capitolo secondo

L’età di Costantino

Nel 311 Galerio, Licinio e Costantino emanano un editto che pone fine alla persecuzione dei cristiani iniziata da Diocleziano nel 303 e riconosce i cristiani come comunità religiosa1. Ciò non costituisce tuttavia un ritorno allo status quo esistente prima delle persecuzioni. In Costantino il cristianesimo trova un attivo ed energico fautore, che sostiene efficacemente sotto ogni aspetto la religione sino allora messa al bando, ponendosi sotto la protezione della divinità per preservare, secondo la tradizionale concezione romana, la propria vittoria nelle vesti di imperator invictus, e quindi la prosperità dell’impero. Nel 312 Costantino attacca il coreggente e rivale Massenzio, che, fissata la propria residenza a Roma, era divenuto troppo potente e intralciava i suoi progetti egemonici. Il giorno prima della battaglia decisiva sulla via Flaminia, in località Saxa rubra presso il pons Milvius (attuale ponte Milvio) sul Tevere, a nord dell’antica città, Costantino ha una visione: il sole coperto da una croce luminosa e le stelle che compongono le parole in hoc signo vinces («con questo segno vincerai»). In una seconda visione, la notte seguente, all’imperatore compare Cristo stesso, che gli ordina di collocare tale simbolo sugli scudi dei suoi soldati2. Queste visioni, che gli promettevano la vittoria, avrebbero evidentemente indotto Costantino ad attaccare il nemico pur disponendo di forze assai inferiori. La vittoria ottenuta in battaglia lo convinse, come i quattro imperatori della tetrarchia suoi predecessori, posti sotto la tutela di Giove e di Ercole, di essere ormai sotto la protezione del Dio cristiano, che conferiva a lui invincibilità (imperator invictus) e all’impero integrità e prosperità. Ciò lo indusse, condizionato dal comune sentire romano, a concedere la propria lealtà alla divinità che gli aveva promesso la vittoria e ad elargire favori e sostegno alla Chiesa cristiana.

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Come si evince da una lettera dell’imperatore al vescovo di Cartagine Ceciliano, già poco dopo la battaglia vittoriosa Costantino restituì alla Chiesa le proprietà confiscate durante le persecuzioni dioclezianee, assegnandole cospicue donazioni attinte al tesoro imperiale, mentre i chierici erano esentati dall’obbligo di espletare incarichi municipali. L’imperatore motiva la concessione di tali privilegi richiamandosi significativamente al fatto che l’esercizio del culto risulta di estremo vantaggio per lo Stato. Si tratta dunque di misure chiaramente volte ad assicurare il bene dell’impero3. Le conseguenze della svolta sono sancite da un nuovo editto, emanato nel 313 a Milano da Costantino e dal coreggente Licinio, col quale si concede ai cristiani la libertà di culto e la restituzione di tutti i beni confiscati4. Se si considera che in questo momento il cristianesimo non è ancora una forza sociale e religiosa tale da giustificare una così grande attenzione da parte dell’imperatore – tanto più che l’esercito, l’amministrazione pubblica, il senato e gran parte dei membri dei ceti dirigenti dell’impero, soprattutto in Occidente, sono ancora pagani –, tutti questi provvedimenti imperiali assumono una rilevanza particolare. Le disposizioni dell’imperatore mirano evidentemente a garantire alla res publica, allo Stato, la protezione salvifica del Dio cristiano già sperimentata nella battaglia di ponte Milvio, e a fornire alla società romana un’ideologia unificante e un principio vincolante di cui aveva urgentemente bisogno, tanto più che i valori tradizionali, le credenze e i costumi religiosi tramandati avevano perso in larga parte forza coesiva. Con queste misure Costantino si colloca pienamente nella scia dei suoi illustri predecessori del tardo iii secolo, come Aureliano e Diocleziano, che avevano cercato di riordinare e consolidare l’impero con l’introduzione di divinità supreme e culti unificanti, come ad esempio del dio Sole o di Giove.

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro Alla pagina precedente: 2. Costantino il Grande, testa colossale in marmo. Roma, Musei Capitolini. 3. L’interno della basilica del Laterano, dopo il rifacimento del Borromini.

Il riconoscimento ufficiale del cristianesimo con l’editto di tolleranza del 313 accordava alla Chiesa una stabile posizione pubblica. I privilegi riservati al clero, le elargizioni in denaro per il sacerdozio tratte dal patrimonio imperiale e il trasferimento ai vescovi di prerogative giuridiche proprie dei governatori delle provincie mostrano quanto l’imperatore si preoccupasse di inserire la Chiesa nella vita pubblica, facendone addirittura una forza portante e di garanzia della prosperità dello Stato. In ciò Costantino seguiva la concezione romana del legame tra Stato e religione, e della funzione politica di quest’ultima, che deve assicurare la solidità delle istituzioni e il bene dei cittadini. L’imperatore fa così di tutto per diffondere la nuova religione, esortando con una serie di editti i cittadini dell’impero a seguire la nuova fede. In confronto ai primi secoli, la situazione del cristianesimo muta d’un tratto radicalmente la propria essenza. Da conventicole alquanto settarie, che facevano capo a una comunità religiosa nel migliore dei casi tollerata dalle autorità statali, e di limitato significato sociale, si sviluppa ora una religione ufficialmente riconosciuta dallo Stato. Essa gode dell’adesione dello stesso imperatore, che l’appoggia con ogni mezzo e vede nell’osservanza del culto e nella sua unità ideologica il fondamento della salvezza dello Stato5. Ciò determina il massiccio confluire nelle chiese cristiane di tutti gli strati della popolazione in tutte le regioni dell’impero, anche di chi era stato in passato esitante o indeciso, poiché ora non solo è vantaggioso professare la nuova religione, ma rivolgersi alla divinità che sembra garantire il bene della comunità statale appare anche come un atto di lealtà. In tale quadro devono essere considerate le numerose chiese fondate da Costantino, di cui qui si tratta, non solo nelle due capitali, Roma e Costantinopoli, ma anche a Ostia, il porto di Roma, e in altri centri d’Italia, Palestina, Siria, Asia Minore e Africa. Negli editti imperiali è tratteggiato un programma edilizio che punta a ingrandire e abbellire col sostegno di finanziamenti ricavati dal patrimonio imperiale le chiese cristiane in tutto l’impero, a restaurare i templi cristiani caduti in rovina durante le persecuzioni e a costruirne nuovi di prestigio6. Nelle lettere indirizzate da Costantino ai vescovi, soprattutto delle capitali delle provincie, che lo storico contemporaneo Eusebio cita alla lettera nella sua biografia dell’imperatore, egli li esorta, come committenti, a non badare a spese nell’attuazione di tale programma edilizio. Materiali e maestranze dovevano essere richiesti ai governatori delle provincie e ai prefetti, che già avevano ricevuto ordini precisi in merito7. Le intenzioni di Costantino traspaiono in particolare da una lettera a Macario, vescovo di Gerusalemme, in cui si forniscono indicazioni a

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proposito della chiesa che l’imperatore intendeva erigere sul sepolcro di Cristo, chiesa che, attraverso l’elaborazione di un nuovo tipo di edificio sacro, doveva far risaltare e preservare nella memoria il luogo della promessa di salvezza. La basilica, premette Costantino, deve superare ogni altra chiesa in qualunque altro luogo, e oscurare il prestigio di tutti gli altri edifici sorti nelle città dell’impero. I materiali necessari per la costruzione – prosegue l’imperatore, indicando in modo specifico colonne e marmi – avrebbero dovuto essere forniti a discrezione del vescovo dal governatore della provincia Dracilliano, così come il rivestimento in piombo per il tetto, la doratura delle travi di copertura e infine le maestranze, in modo tale che «il tempio reale» fosse «degnamente abbellito fino a farne il luogo più ammirato del mondo»8. La lettera consente di comprendere quale importanza Costantino annettesse alla chiesa memoriale del sepolcro di Cristo, costruzione capace di imprimere nella memoria dei popoli dell’impero il luogo dell’annunciazione della salvezza. Con termini analoghi Eusebio descrive altre fondazioni costantiniane che svolgevano la medesima funzione di memoria del Signore, come la basilica della Natività a Betlemme, quella della Resurrezione a Gerusalemme, e la memoria degli Apostoli a Costantinopoli, che doveva servire anche da sepoltura dell’imperatore. A più riprese Eusebio elogia lo splendore della decorazione marmorea, i rivestimenti dorati, le tegole di rame e soprattutto «l’incredibile altezza» di questi edifici, la loro imponenza monumentale9. L’intento dichiarato di queste nuove fondazioni ecclesiastiche – che come costruzioni commemorative, indirizzo essenziale della politica edilizia di Costantino, manifestavano l’attesa di salvezza della fede cristiana – era di affiancare a grandi edifici pubblici di prestigio – costruzioni profane o templi – architetture monumentali di pari livello, se non addirittura di superarli. Su questa caratteristica tendenza della politica edilizia imperiale si ritornerà a proposito delle memorie apostoliche costantiniane di Roma. Promuovendo in tutto l’impero la costruzione di chiese, soprattutto di edifici programmaticamente collocati nei luoghi sacri alla memoria e alla devozione di Cristo in Terra Santa, Costantino prosegue, come committente imperiale, l’opera dei suoi predecessori, che avevano finanziato nelle città dell’impero l’erezione di grandi edifici pubblici, templi e santuari dedicati alle divinità dello Stato, espressione tangibile del potere imperiale. La committenza di Costantino e le sue fondazioni appaiono peraltro rivoluzionarie, assumendo un indirizzo nettamente definito: l’imperatore non destina più infatti le proprie risorse e disponibilità ai culti tradizionali e ai loro edifici, ma rivolge la programmazione dell’attività edilizia imperiale a servizio della

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Le prime chiese di Roma

L’età di Costantino 4. Ricostruzione dell’interno dell’antica basilica del Laterano nell’affresco di Filippo Gagliardi in S. Martino ai Monti (1650 ca.).

Chiesa cristiana, che sino allora non aveva conosciuto alcuna rappresentativa costruzione pubblica di culto. Nella sistematica promozione in tutto l’impero di edifici di culto cristiano, la politica edilizia dell’imperatore acquista una nuova dimensione, che si differenzia in modo evidente da quella dei predecessori, più aperta e meno finalizzata, e si esprime soprattutto nel fatto che la realizzazione di tali edifici non è più responsabilità dei magistrati cittadini, ma è lo stesso imperatore, attraverso i suoi funzionari, governatori e luogotenenti, a influenzare direttamente l’attività edilizia ecclesiastica, la cui programmazione locale, come si ricava dalla lettera dell’imperatore al vescovo Macario, è nelle mani dei vescovi preposti. Con ciò la Chiesa viene integrata nello Stato e nella vita pubblica, in quanto, in omaggio alla tradizione antica, le chiese fondate dall’imperatore sono espressione del potere imperiale, edifici di rappresentanza garanti, come santuari del Dio cristiano che aveva assicurato al sovrano la vittoria salvifica, al tempo stesso della prosperità dello Stato e del suo rappresentante, l’imperatore. Le fondazioni costantiniane costituiscono perciò a tutti gli effetti – come nessun altro monumento del tempo – il segno visibile di un processo epocale col quale l’Antichità si conclude liberando forze che avrebbero plasmato e determinato in larga misura il destino dell’Europa per oltre quindici secoli.

La basilica lateranense. S. Salvatore, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista La più antica fondazione imperiale, quella che indica la direzione per il futuro, è la basilica del Laterano a Roma, primo monumento ufficiale della cristianità e segno eloquente del volgersi di Costantino al cristianesimo, un evento epocale in cui vecchio e nuovo, tradizione e rinnovamento, sono inscindibilmente legati. Nelle fonti coeve l’edificio è detto basilica Lateranensis o basilica Laterani con riferimento al luogo, basilica Constantiniana con riferimento al fondatore, e basilica s. Salvatoris con riferimento alla dedicazione10. Solo nel primo Medioevo verrà esteso alla chiesa il titolo, ancora oggi comune, di basilica S. Iohannis (S. Giovanni in Laterano), che in origine designava l’annesso battistero11. Le fonti non forniscono purtroppo indicazioni precise sulla data di costruzione dell’edificio. Eusebio, che riferisce ampiamente delle fondazioni di chiese in Oriente, soprattutto dei memoriali di Terra Santa, non offre alcuna informazione sugli edifici realizzati da Costantino nell’antica capitale. Sem-

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brerebbe che al proposito non disponesse di informazioni attendibili. La chiesa episcopale di Roma, dedicata al Salvatore, al Redentore, venne probabilmente eretta subito dopo la battaglia decisiva di ponte Milvio del 312 – il cui esito vittorioso fece di Costantino il dominatore assoluto della parte occidentale dell’impero –, in un certo senso come ex voto, come ringraziamento per la vittoria. L’inizio della costruzione può essere collocato nell’inverno 312-313, periodo nel quale l’imperatore si trattenne a Roma, come documentano gli editti imperiali12. Optato di Milevi, scrittore cristiano del iv secolo, riferisce che, per iniziativa dell’imperatore, già nel 313 il vescovo di Roma aveva convocato un concilio per risolvere lo scisma donatista in Nordafrica in domum Faustae in Laterano, «nel palazzo di Fausta nella zona chiamata Laterano», posto presso le mura nella parte sudorientale della città, nella stessa area dunque in cui venne costruita la basilica costantiniana, che proprio in virtù della collocazione era anche detta basilica Lateranensis13. Secondo le ricerche precedenti il palazzo di Fausta, identificata con l’imperatrice Flavia Maxima Fausta moglie di Costantino, sarebbe stato ceduto dall’imperatore al vescovo per costruirvi la basilica e la residenza episcopale. L’identificazione della domus Faustae con il palazzo dell’imperatrice non è tuttavia suffragata da prove, anche se in base alla notizia fornita da Optato sembrerebbe che l’imperatore potesse disporre liberamente dell’edificio. La Fausta citata come proprietaria della domus non può comunque essere identificata con l’imperatrice, poiché quest’ultima, nata intorno al 290, all’età di cinque anni aveva già lasciato Roma per non farvi più ritorno. La notizia dello svolgimento del concilio nella domus Faustae non può quindi intendersi come prova del dono, o della cessione al vescovo di un palazzo imperiale da parte di Costantino, tramandata solo da fonti medievali, e non consente di dedurre perciò un dato certo per la costruzione della basilica. Tuttavia il Liber Pontificalis, cronaca papale la cui compilazione inizia nel vi secolo e che cita e sfrutta attendibili documenti più antichi, afferma che la basilica lateranense venne eretta da Costantino sotto il pontificato di papa Silvestro (314-335). Ciò significherebbe che, dopo l’inizio della costruzione del grande edificio intorno all’anno 313, questo sarebbe stata completato e consacrato sotto papa Silvestro14. La chiesa doveva essere comunque già ultimata prima del 324, poiché nella biografia di Silvestro il Liber Pontificalis riferisce che per la sua manutenzione Costantino le attribuì beni posti unicamente nella parte occidentale dell’impero sottoposta al suo dominio, mentre la parte orientale era governata sino a quell’anno dal coreggente imperatore Licinio. Può essere che la chiesa fosse consacrata già il 9 novembre 318, come si può

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Le prime chiese di Roma

dedurre da una notizia, non del tutto chiara, contenuta in un antico martirologio romano15. La cattedrale di Roma deve quindi essere stata costruita tra il 312 e il 324, anche se non è possibile precisare ulteriormente la data d’inizio del cantiere e quella della sua consacrazione. Ancora oggi l’edificio costantiniano conserva in larga parte le strutture murarie in elevato al di sotto della veste barocca dell’attuale chiesa di S. Giovanni in Laterano, realizzata nel 1646-1650 da Francesco Borromini. Con giustificato orgoglio, nella sua qualità di chiesa vescovile dei papi, è definita nell’iscrizione di facciata omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput. Nella parte sudorientale della città, nell’area detta del Laterano, quartiere prediletto dai patrizi romani, dove il fiscus disponeva di grandi proprietà, l’imperatore aveva messo a disposizione della comunità cristiana diversi terreni non lontani dalle mura: un complesso termale del ii-iv secolo, un edificio a corte con vani di abitazione e soprattutto la vasta area attigua delle ex caserme della guardia imperiale, i castra nova equitum singulariorum, fatti costruire da Settimio Severo nel iii secolo (193-211). Gli equites singulares, guardie del corpo a cavallo, avevano combattuto dalla parte di Massenzio, avversario di Costantino, così che dopo la vittoriosa battaglia di ponte Milvio l’imperatore aveva deciso di sciogliere la guardia e trasferire la proprietà della caserma: gli edifici dei castra vennero abbattuti, ricavando una spianata su cui fu poi costruita la basilica. In base alle date sopra ricordate, per i tempi di costruzione della chiesa, che venne eretta in un’unica fase, si può ipotizzare un periodo di circa cinque anni. Tempi altrettanto brevi sono attestati anche per altri grandi edifici imperiali dell’epoca, come ad esempio le terme iniziate da Diocleziano nel 298, o la grande basilica costruita da Massenzio nel 307 all’uscita orientale del foro romano. Questi grandi edifici pubblici di committenza imperiale sono evidentemente opera di un cantiere imperiale ben organizzato ed efficiente. Gli scavi compiuti sotto la basilica lateranense nel 1934-1938 hanno portato alla luce, al di sotto della caserma, case più antiche con pitture, del i-ii secolo d.C., ritenute, senza sufficienti indizi, resti della domus della famiglia dei Laterani che dette il nome all’area, più tardi passata a far parte del patrimonio imperiale. A questi edifici già sotto Settimio Severo (192-211) vennero sovrapposte le caserme della guardia. Le possenti fondazioni della basilica costantiniana e della sua abside, scavate in profondità tra i resti di questi antichi edifici, sono state ampiamente indagate, così che se ne può ricavare un quadro attendibile della pianta e delle dimensioni della costruzione. L’analisi di porzioni delle antiche murature ancora parzialmente a vista e i sondaggi sugli elevati della chiesa

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L’età di Costantino

attuale forniscono ulteriori chiarimenti sulla struttura della basilica nella fase costantiniana. Grazie agli scavi delle fondazioni e ai rilievi della antica chiesa realizzati nel cantiere di Borromini in occasione del restauro del xvii secolo, è possibile ricostruire nei punti essenziali la pianta e il prospetto della basilica, che con i suoi 100 m di lunghezza e 55 di larghezza era paragonabile a grandi edifici pubblici di Roma, come la basilica Ulpia nel foro di Traiano. La navata maggiore, lunga 90 m, alta 27 e larga 18, con le pareti poggianti su architravi continui retti da due file di 19 colonne, era affiancata su entrambi i lati da due più basse navate laterali (alte 19 e 15 m), di ampiezza quasi identica tra loro, comunicanti mediante arcate impostate su 21 colonne con alti plinti. Mentre le navate laterali interne accompagnavano la mediana per tutta la lunghezza, quelle esterne, più corte di 15 m, sfociavano in un basso vano simile a una cappella, sporgente rispetto al muro longitudinale e addossato alla navata laterale interna. Non è noto in che modo tali annessi, che determinavano a occidente un asse trasversale rispetto allo sviluppo longitudinale dell’aula, si aprissero sulle laterali (Docum. ii.4.5.9). L’attuale navata trasversa venne aggiunta nel 1291 da papa Niccolò iv (1288-1292), insieme alla nuova abside, a sostituzione e ampliamento – in parte sul tracciato delle vecchie fondazioni – delle piccole cappelle della fase costantiniana. L’abside semicircolare tardoantica abbracciava direttamente, e quasi per intero, l’ampiezza della navata maggiore. Quest’ultima era ampiamente illuminata da una serie di finestre aperte nella parete superiore in corrispondenza degli intercolumni. Le navate laterali esterne ricevevano luce da un imprecisato numero di finestre nei muri d’ambito, mentre quelle interne non disponevano di illuminazione diretta. In un affresco di Filippo Gagliardi in S. Martino ai Monti (1640-1659 ca.), che presenta una ricostruzione dell’interno della basilica preborrominiana, nelle pareti delle navate laterali sono indicate al di sopra delle arcate delle aperture semicircolari, che come in altri casi – ad esempio nel portico del Pantheon e nelle pareti divisorie delle navate laterali delle basiliche di S. Pietro in Vaticano e di S. Paolo fuori le mura – servivano senza dubbio ad alleggerire il peso dell’intercolumnio, e non erano quindi finestre. Un tetto a una falda copriva entrambe le navate, che anche dal punto di vista dell’illuminazione erano perciò nettamente distinte rispetto al blocco principale della navata mediana. La fronte d’ingresso, nella parte orientale dell’edificio, ancora oggi in gran parte conservata dietro la fastosa facciata di Alessandro Galilei (1732-1735), doveva presentare tre portali, sormontati forse da tre grandi finestre aperte sulla navata me-

diana. La basilica disponeva probabilmente di un atrio, un’area antistante il lato d’ingresso circondata da portici colonnati. Non sussistono resti documentati archeologicamente, e anche le vecchie vedute della facciata, che ne mostrano l’aspetto prima del rinnovamento borrominiano, non forniscono indizi dell’esistenza di un tale spazio, peraltro comune alla maggior parte delle chiese del primo cristianesimo a Roma. Poiché il Liber Pontificalis riferisce che papa Adriano i (772-785) avrebbe fatto restaurare il quadriporticus della basilica, si può dedurre che si trattasse proprio dell’atrio della basilica costantiniana cinto da quattro lati porticati. La chiesa, con facciata orientata a est, era dunque costituita da un’aula ad andamento longitudinale ripartita in cinque navate, nella quale la sequenza delle colonne conferiva allo spazio grande armonia, unitarietà e monumentalità. La navata maggiore era chiusa per quasi tutta la larghezza dall’abside, su cui era centrato l’asse dell’edificio. A ovest le cappelle aggiunte, che chiudevano trasversalmente le più brevi navate laterali esterne, formavano rispetto al corpo longitudinale un asse ortogonale, che nelle tre navate centrali delimitavano di fronte all’abside, evidenziandolo, il santuario con l’altare. Le murature erano costituite da due paramenti in laterizio comprendenti una gettata di calcestruzzo (cosiddetto “muro a sacco”), tecnica edilizia tipica dell’epoca imperiale. Le navate erano coperte da un tetto di legno, probabilmente rivestito da lamine in piombo o rame, com’era consuetudine per le grandi architetture di prestigio. Non è noto se la copertura della navata mediana fosse a vista, oppure celata da un soffitto ligneo a cassettoni, che avrebbe notevolmente condizionato la percezione spaziale dell’insieme: entrambe le soluzioni erano comunque note agli architetti del tempo. L’esterno era sostanzialmente spoglio: nessun rivestimento in lastre o blocchi squadrati, nessuna decorazione architettonica ricopriva le pareti in laterizio, forse rivestite solo da uno strato di intonaco, o da una scialbatura color mattone, come si riscontra in altre chiese tardoantiche e medievali di Roma. L’articolazione dell’esterno mette in evidenza la disposizione spaziale dell’interno, e anche in ciò la basilica è avvicinabile agli altri grandi edifici profani della Roma del tempo. Mentre l’architettura sacra, ad esempio il tempio di Venere e Roma, ricostruito dopo il 306 da Massenzio tra Foro e Colosseo, esibisce il consueto apparato decorativo di colonne, cornici, architravi e rivestimenti in pietra e stucco, i coevi edifici profani, come le terme e la basilica nova di Massenzio nei pressi del foro romano, sono all’esterno sostanzialmente spogli, ad eccezione dello strato d’intonaco che simula un rivestimento in blocchi di

pietra. L’articolazione dell’edificio, la cui definizione spaziale si esprime all’esterno nella reciproca correlazione dei vari ambienti, è qui determinata, come nella basilica lateranense, attraverso la graduazione del blocco edilizio, le cui superfici murarie sono articolate e ritmate solo da grandi finestroni. Un basso atrio, probabilmente anteposto all’edificio sul lato orientale e forse cinto da quattro porticati con fontana al centro, come si può dedurre dal già ricordato brano del Liber Pontificalis, collegava il grande complesso basilicale allo spazio urbano e alla rete viaria, che attraverso la porta Asinaria conduceva verso sud. In contrasto con la sobrietà dell’esterno, che appare come un involucro unitario, l’interno, pure nella solenne, impressionante limpidezza e chiarezza della veste architettonica, si presentava, grazie al prezioso arredo, di sfarzo straordinario. Le numerose finestre aperte al di sopra dei colonnati inondavano di luce la navata maggiore, esaltandone la preziosa e multicolore decorazione. La fiancheggiavano diciannove colonne di granito rosso. I grandi capitelli, di forme, dimensioni e ordini differenti, che sorreggevano l’architrave non erano stati realizzati appositamente, ma in precedenza, vecchie giacenze del deposito imperiale dei marmi. A quell’epoca, con l’aspetto urbano di Roma ancora intatto, non vi erano monumenti pubblici disponibili per l’asporto di materiali di tali dimensioni. Una medesima provenienza potrebbero avere le ventuno colonne in marmo verde di Tessaglia (verde antico) che separavano le navate laterali, mentre i loro plinti e basi vennero appositamente realizzati in marmo bianco. Anche il pavimento era realizzato in modo prezioso, con grandi lastre rettangolari in marmo giallo di Numidia (giallo antico) delimitate da fasce di marmo bianco a formare un disegno ampio, regolare e colorato che ricopriva l’intera navata maggiore, fungendo da ricco sfondo di contrasto alla cromia dei colonnati (Docum. ii.6). Le grappe rinvenute nella fronte e nell’intradosso di una delle arcate delle navate laterali dimostrano che anche le pareti erano rivestite da lastre marmoree (Docum. ii.9). I pochi frammenti superstiti non sono purtroppo sufficienti per ricostruire lo schema della decorazione. È possibile che il costoso rivestimento interessasse solo la zona delle arcate delle navate laterali e la fascia al di sopra dell’architrave di quella mediana. In ogni caso, dal v secolo, nella parte alta delle pareti erano pitture con episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, affrontati l’uno all’altro in modo che le scene dell’Antico Testamento potessero essere intese come preannuncio del Nuovo. Dalle fonti si apprende che cicli figurativi di questo tipo, posti nella parte alta delle pareti, erano noti già dal tardo iv secolo, anche se non costituivano la norma16. Nel

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro Alle pagine precedenti: 5. Basilica del Laterano, particolare del mosaico absidale. 6. Il busto di Cristo nel mosaico absidale della basilica del Laterano. 7. Capitello in bronzo dorato di età adrianea, appartenente al fastigium, reimpiegato dal 1600 circa nel baldacchino dell’altare del Ss. Sacramento della basilica del Laterano.

caso di un edificio importante come la basilica lateranense, si può certamente ipotizzare l’esistenza nel v secolo di cicli biblici del genere – che secondo quanto lasciano intendere gli scritti dei Padri della Chiesa svolgevano una funzione formativa e didattica –, mentre è difficile supporre un’estesa decorazione figurativa parietale già nell’età costantiniana. Le incrostazioni marmoree del pavimento e delle pareti dovevano essere di splendore e preziosità inimmaginabili. In altri edifici coevi si sono conservati resti estesi di analoghi rivestimenti di straordinaria ricchezza, definiti con l’antico termine di opus sectile. Una parte di quanto perduto è ricostruibile attraverso i disegni rinascimentali, che hanno tramandato queste preziose decorazioni degli antichi edifici, all’epoca ancora parzialmente conservate prima del loro reimpiego, nel Rinascimento e nell’età barocca, all’interno di chiese e palazzi. Sottili lastre di marmi colorati o di altri materiali lapidei erano combinate a formare riquadri, cornici e disegni che ricoprivano le pareti. Una decorazione preziosa e variopinta, risplendente nella luce, che strutturava e articolava i muri non con elementi plastici, ma in modo che la luce aderisse alla superficie variamente animata da forme e ornamentazioni, dissolvendo in luce e colore la parete come involucro e limite spaziale. Questi rivestimenti costituiscono un elemento caratteristico dell’architettura tardoantica, che nella configurazione spaziale differisce in modo radicale dall’articolazione plastica della piena età imperiale. La decorazione, tutta fondata sulla preziosità e sullo splendore cromatico, era completata dalle travi dorate delle capriate che coprivano la navata maggiore, secondo una soluzione tipica dei grandi edifici di rappresentanza. Nella già ricordata lettera al vescovo Macario di Gerusalemme, Costantino fornisce ad esempio indicazioni su come, nel caso in cui il vescovo avesse optato per una decorazione costosa della copertura interna, dovessero essere analogamente dorate le travi della chiesa del Santo Sepolcro fondata dallo stesso imperatore17. Al soffitto dorato e allo splendore delle pareti faceva eco infine, al termine della lunga navata mediana, il mosaico dorato della calotta absidale. Pare che inizialmente l’abside non presentasse una decorazione figurata; fu forse solo nel 428-430 che venne aggiunta per iniziativa del generale e patrizio Flavio Felice, menzionato in un’iscrizione che ne ricorda il contributo. Il personaggio non è però citato nell’iscrizione dedicatoria, e su di lui non si posseggono ulteriori notizie, neppure attraverso altre fonti. Nella nuova abside, costruita da Leone xiii tra il 1884 e il 1886 ampliando il presbiterio, venne trasferito e restaurato il mosaico absidale di Jacopo Torriti del 1291. Sembrerebbe

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che la parte centrale del mosaico, col busto di Cristo tra angeli sopra una croce trionfale tempestata di gemme, fosse stata ripresa da Torriti dall’antico mosaico del v secolo. L’iconografia e alcuni particolari formali corrispondono a quanto noto da altri mosaici coevi. A causa di tutto questo splendore decorativo, che anche nel Medioevo si cercò di preservare e accrescere, non stupisce che la basilica costantiniana fosse definita aurea. È da notare come proprio la preziosità della decorazione, accanto alle impressionanti dimensioni, costituisse un elemento caratteristico delle fondazioni imperiali, sempre esaltato ed elogiato dagli scrittori del iv secolo come Eusebio o il poeta cristiano Prudenzio. Parrebbe che, per la mentalità dell’epoca, fossero questi i fattori essenziali di un’architettura sacra di rappresentanza e di rango18. Il Liber Pontificalis riferisce che l’imperatore donò alla chiesa anche una serie di preziosi arredi liturgici, tra cui sette altari d’argento, dei quali purtroppo nulla è noto riguardo alla collocazione e alla funzione. È probabile che non si trattasse di altari su cui si celebrava il sacrificio eucaristico19. Tale scopo era piuttosto assolto dall’altare posto certamente nella parte occidentale della navata mediana, dove le cappelle laterali definivano lo spazio del presbiterio, notevolmente sviluppato verso est e separato con transenne dalle navate. È questo il punto in cui ancora oggi è collocato l’altare, immediatamente alle spalle dell’arco trionfale. I sette altari argentei erano evidentemente destinati alle offerte dei fedeli, che nel caso di una comunità così numerosa non potevano essere certo deposte sull’altare eucaristico. A ciascuno di questi era associato un grande candelabro d’argento. A illuminare la chiesa provvedevano 169 lampadari d’argento a più lumi, pure donati da Costantino, uno dei quali pendeva davanti all’altare del sacrificio. L’elemento più prezioso e costoso donato dall’imperatore era però quello che nel Liber Pontificalis viene definito fastigium, destinato evidentemente a separare il presbiterio dalla navata, come si può dedurre da notizie e raffigurazioni dell’interno di età medievale e dell’inizio dell’età moderna. Stando alle scarne indicazioni del Liber Pontificalis, il fastigium aveva probabilmente la forma di un’architettura trionfale, con un frontone di coronamento sopra un colonnato; era in parte in argento e recava, sulla fronte verso la navata maggiore, quasi a grandezza naturale, Cristo e i dodici apostoli incoronati, mentre sul lato verso l’abside era l’immagine in argento di Cristo tra angeli armati di lance. Le quattro colonne monumentali in bronzo dorato che sorreggevano il fastigium risalivano a età imperiale, e vennero reimpiegate da Costantino in questa trionfale struttura architettonica. I fusti delle colonne e uno dei capitelli, ricon-

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L’età di Costantino 8. Basilica del Laterano, braccio meridionale del transetto. Fusti e capitello in bronzo dorato di età adrianea provenienti dal fastigium della basilica costantiniana, reimpiegati intorno al 1600 nel baldacchino dell’altare del SS. Sacramento.

ducibile all’età adrianea, di eccellente qualità, si conservano ancora, e dalla fine del xvi secolo sorreggono – con l’aggiunta di altri tre capitelli appositamente realizzati, recanti lo stemma di Clemente viii Aldobrandini (1592-1605) – il baldacchino dell’altare del Sacramento nel transetto sinistro. L’eccezionale donazione di Costantino, indirizzata a un’architettura imperiale di rappresentanza, con il suo trionfale simbolismo incentrato su Cristo, caratterizza la transizione dalla navata, spazio di riunione della comunità, al presbiterio e all’altare, effettivo centro del culto. Due colonne di granito dell’originaria navata mediana, con le relative basi tardoantiche, sostengono dal 1492 l’arco trionfale, mentre le colonne in marmo verde di quelle laterali sono state trasferite alla metà del xvii secolo, in occasione del rifacimento borrominiano, nelle nicchie dei pilastri della navata mediana che accolgono le statue monumentali degli apostoli. Oltre all’altare maggiore, la basilica, che in occasione delle solennità festive e soprattutto della celebrazione pasquale ospitava l’intera comunità sotto la guida del vescovo, disponeva di altri arredi destinati alla liturgia. Nell’abside, che chiudeva la lunga fuga prospettica dei colonnati della navata maggiore, era la cattedra episcopale. Un corridoio delimitato da transenne (o plutei), comunemente definito con termine d’uso moderno solea, di cui si sono rinvenute tracce nel corso degli scavi della pavimentazione dell’antica basilica, conduceva al presbiterio attraverso la navata centrale (Docum. ii.7.9). Durante le celebrazioni il vescovo e il clero la percorrevano solennemente per raggiungere l’altare. I fedeli, nel corso del rito, potevano sostare solo in una parte della navata centrale, mentre nelle grandi festività si distribuivano anche nelle laterali. Tra le cappelle annesse a occidente, che servivano con tutta probabilità a custodire la suppellettile liturgica, le transenne separavano trasversalmente la navata, isolando il presbiterio. Qui dovevano trovarsi anche i sette altari d’argento donati da Costantino, sui quali i fedeli deponevano le offerte, da cui si attingeva quanto necessario per il servizio eucaristico. I fedeli tornavano al proprio posto passando per le navate laterali esterne, uomini e donne separati, i primi a sud, le seconde a nord. Anche per singoli gruppi della comunità esistevano precise collocazioni gerarchiche (stationes), di cui riferiscono i più antichi ordines ecclesiastici. Posti privilegiati spettavano agli appartenenti al senato, ai governatori e ai funzionari pubblici, alle vergini consacrate a Dio e alle vedove. I catecumeni che non erano stati ancora battezzati e i membri della comunità soggetti alla catechesi disponevano di una specifica posizione dalla quale seguivano la liturgia della parola e l’omelia del vescovo; dopo

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la liturgia della parola e prima dell’eucaristia (mysterium) dovevano però uscire dalla chiesa. Sulla liturgia eucaristica che si svolgeva in questo primo, monumentale complesso di più non si può dire. In assenza di notizie è possibile solo ipotizzare quale funzione assolvessero i diversi spazi nello svolgimento della liturgia. È da notare la suddivisione gerarchica della comunità, corrispondente alla distribuzione architettonica, che riservava al clero gran parte della navata maggiore, con la solea delimitata da transenne e il presbiterio, e assegnava i settori laterali della navata centrale e le navate laterali alla comunità, rigidamente ripartita secondo categorie. Da questi settori i fedeli, visivamente condizionati dai colonnati, potevano seguire solo in modo limitato quanto accadeva sull’altare, e anche la grande navata centrale e la sua decorazione potevano a mala pena essere abbracciate in un unico sguardo. Questa prima, monumentale chiesa ufficiale, dotata di una specifica fisionomia architettonica, non serviva solo alle pratiche di culto della comunità cristiana di Roma, ma costituiva anche un edificio pubblico di rappresentanza dedicato dall’imperatore al culto della sua divinità protettrice. Le dimensioni della costruzione, dagli spazi gerarchicamente scanditi a più livelli, con una nave mediana fortemente illuminata e le laterali buie, orientate verso il presbiterio e l’abside, dovettero esercitare un’influenza anche sui riti liturgici, che sino ad allora si erano svolti per lo più in edifici di minori dimensioni, privi di ambizioni di rappresentanza. L’organizzazione di una grande comunità e la sua partecipazione al servizio divino in un ambiente così ampio poneva problemi particolari. Mutarono di conseguenza le forme della liturgia, e così la liturgia della parola e l’offertorio si adattarono alle nuove dimensioni dello spazio e al numero dei convenuti con l’inserimento di acclamazioni e responsori; l’eucaristia, la presentazione delle offerte e la somministrazione della comunione ai fedeli vennero organizzate in modo nuovo, e a ciò si destinarono i sette altari d’argento di Costantino e gli oggetti liturgici donati dall’imperatore alla basilica. L’ingresso del vescovo, riunitosi nell’atrio con il clero assistente, attraverso la lunga navata maggiore fiancheggiata dal monumentale colonnato, ricevette una connotazione solenne, e la liturgia, attraverso le processioni nello spazio focalizzato sull’abside, il presbiterio e l’altare, assunse grandiosa dignità e solennità. La pompa della celebrazione del servizio divino da parte del pontefice corrispondeva alle ambizioni di questa architettura di rappresentanza e della preziosa dotazione liturgica donata dall’imperatore all’edificio consacrato al Salvatore. Non a caso proprio l’ingresso solenne del vescovo, che sfilava lungo

tutta la chiesa per raggiungere il fastigium davanti all’altare, del tutto simile a un arco trionfale, assume nella liturgia valenze imperiali, come l’impiego dell’incenso e le candele portate davanti al vescovo e al suo corteo. La liturgia acquisisce qui una nuova dimensione, sia nel contenuto sia nelle forme esteriori: la comunità della capitale si ritrova nel culto del Signore e salvatore, protettore dell’imperatore e dell’impero e garante della salus populi romani. Il primo edificio di culto cristiano ufficialmente fondato da Costantino esprime in pieno, nella struttura architettonica e nell’arredo, una tale idea: una navata maggiore maestosa e inondata di luce, con la fuga delle monumentali colonne che conducono al fastigium, all’altare, al presbiterio e all’abside; le cinque aule colonnate delle navate che s’innestano gerarchicamente nella centrale, più alta e solenne; le stesse dimensioni imperiali dell’insieme. Questa sublime architettura offrì una stimolante cornice per un’altrettanto solenne e maestosa elaborazione della

liturgia, in grado di soddisfare le esigenze e la nuova posizione della Chiesa nella società di Roma e dell’impero. La Chiesa del vescovo di Roma era per dimensioni della struttura e splendore della dotazione liturgica un edificio che poteva e doveva misurarsi con le più grandi e sofisticate costruzioni della Roma imperiale, affiancandosi per monumentalità ai templi classici delle divinità pagane. Tra i santuari del tardo impero solo due – il tempio al dio Sole, costruito nel 274 da Aureliano in Campo Marzio, e quello di Venere e Roma, rinnovato nel 307 da Massenzio – potevano competere con le grandiose proporzioni della chiesa costantiniana, e superarle. Senza dubbio la basilica costituì un segnale: essa manifestava la forza salvifica del Dio cristiano e la potenza dell’imperatore posto sotto la sua protezione; era un monumento della devozione imperiale al Dio cristiano, e un segno visibile del rapporto del sovrano e dello Stato con la nuova fede, che ne doveva garantire la salvaguardia e la protezione, come una generazione prima il

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tempio al dio Sole di Aureliano, il cui culto doveva costituire per l’impero un legame unificante. Dal punto di vista formale, però, la chiesa fondata da Costantino contrastava radicalmente con la tradizione degli edifici di culto e dei santuari dedicati alle divinità. Questi ultimi sorgevano soprattutto nel centro delle città, e con le loro prestigiose architetture di rappresentanza attiravano lo sguardo da lontano, determinando una forte accentuazione del tessuto urbanistico a sottolineare l’importanza del culto che vi si praticava. La basilica lateranense sorgeva invece ai margini della città e, pur colpendo per le sue dimensioni, era priva di una fastosa facciata di prestigio e del consueto apparato decorativo architettonico. A differenza degli edifici di culto tradizionali dispiegava la propria fisionomia architettonica non in un esterno riccamente ornato, bensì – secondo le esigenze della nuova comunità religiosa – in un interno scandito e articolato, nel quale le diverse funzioni liturgiche erano riassunte in un’unica, differenziata immagine spaziale. Con questa concezione, che annullava la tradizione classica del tempio sacro, concretizzando per la prima volta in forma monumentale l’idea cristiana dell’edificio di culto, la basilica lateranense indicava per l’architettura cristiana una strada che sarebbe stata seguita fino ad oggi. Del cantiere di questo rivoluzionario edificio s’ignorano i nomi degli architetti responsabili. La tecnica, l’epoca della costruzione e le dimensioni, nonché la provenienza dei materiali – ad esempio i mattoni prodotti nelle figlinae imperiali –, lasciano supporre che la chiesa sia stata realizzata da maestranze imperiali attive anche in altri grandi cantieri pubblici, come terme, basiliche e fori. La lettera di Costantino al vescovo di Gerusalemme, tramandata da Eusebio di Cesarea, indica peraltro come questi grandi edifici fossero edificati da maestranze imperiali. La stessa lettera illustra inoltre la preparazione e la programmazione di un grande edificio ecclesiastico di tal genere20. Il governatore, su ordine dell’imperatore, metteva a disposizione le risorse finanziarie, la manodopera e i materiali che il vescovo riteneva necessari per la costruzione, in modo particolare le colonne e i marmi. Il progetto, lo schema e le scelte relative alla decorazione interna sembrerebbero tuttavia essere in gran parte affidati al vescovo e ai suoi consiglieri, anche se l’imperatore partecipava alle decisioni comunicando idee e suggerimenti, e i suoi funzionari erano responsabili della supervisione del cantiere e dell’approvvigionamento dei materiali e delle maestranze. Si deve dunque supporre che il progetto e la nuova concezione della basilica lateranense, chiesa della comunità cristiana di Roma e prima chiesa ufficiale della cristianità, siano stati sviluppati e messi a punto non tanto nell’ambito della

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cerchia imperiale, quanto piuttosto dalle autorità ecclesiastiche, dal vescovo della capitale, per poi essere tradotti in pratica dalle maestranze del cantiere imperiale con i mezzi finanziari e materiali messi a disposizione dall’imperatore. Se è vero che questa prima basilica cristiana rompe, nella stessa idea ispiratrice e nella concezione di fondo, con la precedente tradizione dell’architettura sacra, e che nella sua fisionomia architettonica e funzionale arricchisce di un nuovo tipo edilizio l’architettura di Roma, sotto l’aspetto formale può essere compresa solo a partire dalle premesse dell’architettura romana, poiché combina in modo particolare alcuni tratti caratteristici propri dell’esperienza architettonica tardoantica. Si è già accennato alle tecniche murarie comuni ai grandi edifici di epoca imperiale; analogamente, la basilica costantiniana condivide con l’architettura coeva il rivestimento decorativo in opus sectile delle pareti e dei pavimenti, e i mosaici delle parti voltate. L’impiego di materiali preziosi, pietre diverse e metalli pregiati, esprime il lusso della decorazione, la variegata colorazione e la molteplicità delle forme che contraddistinguono l’architettura tardoantica. Nell’edilizia imperiale di rappresentanza non si badava a spese. Si è già visto come questa trovasse una propria specifica fisionomia nell’impianto ad aula longitudinale su colonne, ripartita in più ambienti di diversa altezza. In tale organizzazione spaziale la creazione della basilica lateranense rispecchia il risultato di un’evoluzione più ampia, poiché proprio e soprattutto nell’edificio funzionale, nella costruzione di strutture e ambienti destinati ad accogliere grandi gruppi di persone, l’architettura romana di età imperiale aveva individuato il proprio compito principale e sviluppato soluzioni efficaci. Ne sono un esempio le grandi basiliche del foro e del mercato, aule ipostile come la chiesa del Laterano, ma soprattutto gli ambienti centrali voltati dei complessi termali urbani, che dominavano, con una sorta di cleristorio finestrato e voltato, i più bassi vani laterali. In questi grandi ambienti a pianta centrale gli architetti di età imperiale erano già pervenuti, attraverso l’impiego magistrale della volta, a straordinarie soluzioni tecnicamente ardite, che riunivano i diversi ambienti in sequenze di vani ripartiti e articolati. Per gli edifici di culto nell’architettura romana si ritrovano invece solo accenni allo sviluppo di interni destinati all’assemblea dei fedeli. Il Pantheon, ad esempio, a differenza della precedente edilizia sacra, è costituito nella versione adrianea da una grande sala circolare, di 41 m di diametro, coperta da una cupola. È significativo che la nuova forma si manifesti in un edificio che esprime una nuova idea di culto, convertito alle esigenze dello Stato e dell’impero, quindi un edificio dedicato

al culto imperiale come fondamento dello Stato. In questa funzione il Pantheon serviva per cerimonie pubbliche presiedute dall’imperatore, e ancora nel iv secolo inoltrato vi venivano letti pubblicamente gli editti imperiali21. Differentemente dalla basilica cristiana, la nuova concezione incarnata dall’edificio si svelava in modo eloquente solo a chi vi entrava, mentre all’esterno la rotonda era celata dai porticati laterali e da un pronao con frontone e colonne, dando così l’impressione di un tempio romano tradizionale. Queste considerazioni sono forse sufficienti a mostrare come la creazione della basilica lateranense costituisca lo sviluppo di caratteri dell’architettura romana di età imperiale compiutamente espressi nella coeva edilizia profana. La basilica cristiana delle origini, così come esemplificata per la prima volta nella chiesa lateranense, è dunque strettamente legata all’evoluzione delle forme edilizie dell’architettura civile sviluppate nella tarda Antichità. Già il nome stesso ricollega la basilica costantiniana a un tipo dell’architettura romana che costituisce, accanto ai grandi complessi delle terme e dei fori, un motivo ricorrente dell’edilizia del tempo. Oggi il termine “basilica” è spesso erroneamente inteso come il nome stesso del tempio cristiano, corrispondente alla reggia di Cristo signore della Terra, il quale, come recita la Bibbia, alla fine dei tempi erigerà la propria basileia (il regno di Dio)22. Sono considerazioni fuorvianti, così come l’idea connessa che il tempio cristiano derivi dalla sala delle udienze del sovrano romano. Il termine latino basilica, derivato dal greco, significa “regia”, ma tale connotazione semantica era certamente ormai da tempo sbiadita, e riconducibile piuttosto a un generico concetto di “signoria”. Come appare chiaro dal fatto che anche la grande aula di Massenzio nel foro romano era chiamata “basilica”, con tale termine erano designati quegli ambienti dei fori e dei mercati delle città romane che, in caso di condizioni meteorologiche sfavorevoli, dovevano accogliere le attività commerciali altrimenti ospitate nel foro. A differenza della basilica di Massenzio, che costituisce in tal senso un’eccezione, tali edifici avevano per lo più l’aspetto di aule longitudinali, rette da colonne o pilastri. Tra gli esempi più noti si possono citare la basilica Aemilia e la basilica Iulia nel foro romano, di cui restano solo ruderi. L’origine del tipo edilizio è da individuarsi nelle lunghe aule colonnate che circondavano l’agorà delle città greche, edifici a uno o due piani con una o due file di colonne. Da tali aule deriva il termine stesso di “basilica”, che potrebbe risalire ai grandi porticati costruiti dai sovrani ellenistici (basilikai stoai) intorno alle piazze delle città, come ad esempio la stoà di Eumene ii re di Pergamo (197-159 a.C.) nell’agorà di Atene. Verosimil-

mente, il termine conteneva anche un’allusione al loro aspetto prestigioso e monumentale, divenuto perciò caratteristico di tali architetture, che in ogni caso, come indicano le iscrizioni, erano così designate. La lunga aula ipostila a tre navate costruita da Augusto nell’agorà di Efeso, aperta sul foro per tutta la sua lunghezza, è detta nell’iscrizione bilingue basilike stoa in greco, e semplicemente basilica nella versione latina. Con lo stesso significato in un’iscrizione di età imperiale è chiamata basilike stoa un’aula chiusa a due navate di Thera. Il termine designava dunque un’aula ipostila che poteva presentare fisionomie diverse, destinata ad accogliere gruppi più o meno numerosi di persone. Mentre nella parte orientale dell’impero in quest’epoca il termine “basilica” resta ancora legato al tipo tradizionale dell’aula ipostila lunga e stretta che delimita la piazza del mercato – anche quando è formata da più navate, e quindi sviluppata secondo un articolato spazio interno, come ad esempio nelle metropoli di Smirne, Efeso, Aspendos o Afrodisia –, nell’Occidente latino esso definisce un tipo più evoluto. Allo scopo di realizzare un’aula più profonda, gli architetti romani si erano già spinti oltre, disponendo i portici ad angolo retto, e dando così origine a un ambiente oblungo con ambulacro. Queste aule erano spesso chiuse verso l’esterno e dotate d’ingressi sul lato lungo adiacente al foro. L’edificio era dunque una sorta di stoà greca rivolta verso l’interno. L’illuminazione della parte centrale era consentita da aperture nei colonnati, per lo più a due piani, della navata centrale, ricavate sopra l’ambulacro stesso, anch’esso a due piani, o con una specie di cleristorio nella navata centrale, sviluppato al di sopra dell’ambulacro. Edifici di questo tipo, che Vitruvio, vissuto ai tempi di Augusto, descrive e illustra attraverso un progetto schematico23, si ritrovano, già a partire dall’età repubblicana, non solo nella capitale, ma anche in altre città d’Italia e delle provincie occidentali. Erano gli ambienti destinati a ospitare nel foro i commerci e le attività e funzioni ad essi collegate; accanto ai teatri, alle terme e ai fori costituivano una dotazione corrente del patrimonio edilizio pubblico urbano, esprimendo nella loro sontuosità l’importanza della città. In conformità con la generica funzione di luogo di sosta e di raduno, questo tipo edilizio non era codificato, presentando anzi una notevole varietà sia in pianta sia in alzato. Per lo più si trattava di edifici ampi, accessibili anche dal lato lungo attraverso vari ingressi, oppure porticati con colonne o pilastri; sul lato opposto si trovava spesso un’abside o un’esedra, dove il magistrato, davanti all’immagine dell’imperatore, emetteva sentenze e regolava dispute in materia commerciale. La basilica non era dunque un edificio con una predefinita direzionalità. In questo tipo edilizio, in cui gli spazi, ripartiti da file di colonne,

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 9. Basilica del Laterano, braccio meridionale del transetto. Fusti in marmo verde antico appartenenti alle navate laterali della basilica costantiniana, riutilizzati da Borromini nelle edicole della navata maggiore.

fluiscono al contempo l’uno nell’altro, si notano tuttavia tendenze a una più accentuata articolazione e a un orientamento della successione spaziale. È questo il caso della basilica tardorepubblicana di Pompei, che su uno dei lati corti confina con il foro, ed è da qui accessibile; sul lato opposto si trovava il tribunal, utilizzato dai magistrati per le pratiche amministrative legate al commercio. L’edificio aveva dunque un orientamento definito, anche se l’ambulacro correva tutt’intorno al vano centrale sui lati corti e davanti al tribunal. Ancora più accentuato è l’orientamento della basilica tardoimperiale di Afrodisia in Caria, che si distende a ridosso dei muri perimetrali del nuovo foro, ripartita in tre navate e accessibile solo dal lato breve. La fuga delle colonne si conclude nell’esedra del tribunale, che chiude il lato breve opposto a quello d’ingresso. Edifici come le basiliche di Pompei e di Afrodisia, nettamente orientati e chiusi all’esterno, accanto ad altri di forme analoghe, rappresentano tra le molte e note basiliche di età tardorepubblicana e imperiale una variante probabilmente determinata da condizioni topografiche locali o da esigenze funzionali, e consentono di riconoscere la concezione fondamentalmente aperta e le possibilità insite nel tipo basilicale di rispondere a esigenze funzionali diverse attraverso differenziate strutturazioni. La basilica Ulpia nel foro di Traiano, costruita intorno al 113 d.C., mostra un’ulteriore strutturazione e articolazione. La basilica, a cinque navate, è addossata al foro lungo il lato maggiore, dal quale era accessibile: la navata centrale – forse sopraelevata – in virtù dell’ampiezza è fortemente messa in risalto rispetto agli ambulacri colonnati su due piani che la circondano. Le due grandi absidi sui lati brevi, malgrado le file di colonne dei corridoi corrano anche lungo questi ultimi, delimitano otticamente il dominante spazio centrale. Alcune basiliche forensi delle provincie transalpine, come ad esempio quella di Augusta Raurica (l’attuale cittadina svizzera di Kaiseraugst), anticipavano già questo tipo. Per chi dal foro entrava in questi ambienti accedendo dal lato lungo, la navata centrale dava certamente l’impressione di uno spazio orientato. Il passo decisivo verso un edificio nettamente orientato che focalizza verso un’abside la direzionalità dello spazio centrale fiancheggiato da colonnati si può cogliere nella basilica a cinque navate costruita dall’imperatore Settimio Severo (193-211) nel foro di Leptis Magna, in Africa settentrionale. Essa prende con tutta evidenza a modello la basilica Ulpia di Roma, ma ne sviluppa la pianta e l’alzato in linea con le tendenze architettoniche coeve. Nella basilica di Leptis Magna il lato lungo, chiuso, è rivolto verso la piazza, da cui è accessibile solo mediante tre stretti ingressi. I singoli elementi spaziali sono giustapposti, così

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da differenziarsi in modo più evidente e netto. Le navate laterali, poiché di questo ora chiaramente si tratta, dato che gli ambulacri non corrono più tutt’intorno all’aula centrale, assumono maggiore rilievo rispetto all’ampia navata mediana. Le grandi absidi poste su entrambi i lati brevi determinano chiaramente un punto di convergenza spaziale su cui s’indirizza lo sguardo dell’osservatore e la direzione del movimento. La più modesta basilica di Tipasa, in Algeria, certamente della prima metà del iii secolo, pur nella limitatezza delle sue possibilità illustra ormai in forma compiuta le tendenze enunciate a Leptis Magna. Essa confina con il foro con uno dei lati lunghi chiusi, ma non direttamente, in quanto diverge rispetto all’asse di quest’ultimo, sovrapponendosi a un’ampia scalinata che conduceva all’esterno del foro. Non venne quindi costruita contestualmente, ma in epoca successiva. L’ingresso principale è collocato sul lato breve meridionale, accessibile dalla strada attraverso una scala. Di fronte a questo ingresso, all’estremità opposta del lungo edificio a tre navate, era un’abside affiancata da due vani secondari. Il mosaico pavimentale dell’abside, raffigurante barbari in catene, consente di datarla con certezza al iii secolo, e di riconoscervi una basilica profana, forse di culto imperiale, come si è supposto sulla base del mosaico, delle iscrizioni e della probabile presenza di una statua dell’imperatore sul podio absidale. In base alla pianta si sarebbe potuto altrimenti ritenerla una basilica cristiana. Se l’ipotesi di un santuario destinato al culto dell’imperatore fosse esatta, sarebbe dunque determinante per la configurazione dell’edificio la funzione cultuale. L’orientamento verso l’abside, che domina la navata centrale, è qui compiuto: il movimento unidirezionale accompagna l’edificio per l’intera lunghezza, concludendosi nell’abside, dove una base indica la posizione di una statua, nello stesso punto in cui nella basilica cristiana è collocata la cattedra episcopale. Solo il colonnato che gira lungo il lato d’ingresso ricorda ancora il tipo della basilica profana cinta da colonnati, che si ritroverà peraltro ancora in seguito nelle basiliche cristiane. Purtroppo poco si può dedurre riguardo all’alzato. Le proporzioni dell’edificio lasciano supporre che la navata centrale disponesse come le basiliche cristiane di una parete superiore finestrata, di regola non presente invece nelle basiliche profane dell’Antichità. Pianta, alzato e rapporti spaziali mostrano perciò analogie col tipo della basilica cristiana. La basilica cristiana, così come esemplarmente concretizzata nella chiesa del Laterano, deve quindi essere ricondotta, come tipo edilizio, alla basilica profana romana. Dal punto di vista formale essa si fonda sulle premesse originate da numerose varianti, a partire dal modello base dell’aula ipostila (basili-

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ca). La duttilità di tale tipo e la sua ricchezza formale, che ne permettevano l’articolazione secondo distinte unità spaziali e l’orientamento verso l’abside e il presbiterio, consentirono di adattarla alle esigenze della comunità cristiana e del suo culto e di conferire, con la struttura a cinque navate, quella grandezza e monumentalità che si addicevano all’edificio di culto della comunità cristiana della capitale fondato dall’imperatore. Resta tuttavia da chiedersi perché gli architetti del vescovo di Roma e dell’imperatore non abbiano preferito come modello per la chiesa episcopale capitolina la modernissima e monumentale basilica di Massenzio nel foro romano, costruita dopo il 306. L’edificio aveva sfruttato le conquiste dell’ingegneria romana nel campo della copertura a volta e dei grandi spazi monumentali attraverso la trasformazione dell’ambiente centrale delle terme imperiali, isolato come corpo architettonico autonomo. Sembrerebbe però che quest’ultimo non fosse altrettanto adattabile al culto cristiano quanto la basilica colonnata, poiché le navate laterali, con i massicci pilastri di sostegno e le volte a botte trasversali, non creavano uno spazio unitario e focalizzato, che orientasse il movimento della comunità verso il presbiterio consentendo durante la liturgia una comunicazione senza ostacoli con quest’ultimo. Inoltre la progettazione, la realizzazione, il tempo necessario e i materiali richiesti dalla copertura voltata ne facevano una soluzione molto più costosa rispetto alla semplice basilica colonnata con copertura lignea, tanto più che richiedeva l’impiego di maestranze particolarmente esperte. A ciò si deve aggiungere che un edificio voltato del tipo della basilica di Massenzio non possedeva il carattere esemplare della basilica colonnata, poiché non consentiva a differenza di quest’ultima di essere variato, adattato o ridotto per rispondere ai bisogni di comunità più piccole. Nel caso dello schema basilicale ci si poteva probabilmente rifare a esperienze analoghe, poiché probabilmente era stato già sperimentato negli edifici di culto cristiani di epoca precostantiniana, come suggerisce la contemporanea adozione di questo tipo a Roma, nella basilica lateranense, e a Tiro, sulle coste siriache nella parte orientale dell’impero, nella chiesa vescovile, descritta appunto da Eusebio come una basilica a tre navate24. L’adattamento e la ristrutturazione del tipo, ricco di varianti, della basilica civile a edificio di culto cristiano sono evidenti soprattutto nell’accentuazione di determinati tratti, come l’orientamento rigoroso della costruzione, e il modo in cui alcuni elementi, come l’abside, che sino allora erano considerati varianti del tipo, ora divengono determinanti per l’aspetto della basilica nella nuova destinazione a edificio di culto cristiano. Le esigenze fondamentali del culto richiedevano che l’ambiente

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fosse orientato verso un santuario separato, nel quale trovavano posto, nell’abside, la cattedra episcopale, l’altare e gli arredi per la lettura delle sacre Scritture, nonché che disponesse soprattutto di uno spazio centrale, la navata mediana, in cui la comunità potesse raccogliersi e articolarsi gerarchicamente secondo le categorie in essa rappresentate. L’edificio doveva inoltre essere organizzato in modo tale che i fedeli potessero prendere parte attiva al servizio divino attraverso le processioni e la presentazione delle offerte. Doveva quindi disporre di spazi liberi, le navate laterali, che consentissero di accedere ai propri posti, e fossero abbastanza ampi per le processioni. Ciononostante rimaneva un margine sufficiente per varianti rispetto alla concezione di base, determinate in alcuni casi da esigenze locali, oppure da maggiori disponibilità finanziarie. Già in età costantiniana per un edificio sacro di rappresentanza era possibile adottare addirittura la pianta centrale, a patto che, come mostra la chiesa episcopale di Antiochia fondata da Costantino, accanto all’ambiente di culto centrale vi fossero uno o più corridoi anulari, corrispondenti alle navate laterali, che consentissero al clero un corretto esercizio delle funzioni e ai fedeli la partecipazione alla liturgia. Come gli antichi edifici di culto, anche la basilica lateranense ha un orientamento sacrale. Le porte che immettevano nella navata mediana si aprivano, come in molti templi classici, verso est, ossia verso il punto da cui sorge il sole, mentre l’abside era posta invece a ovest. L’orientamento della facciata verso est, da cui proviene la vera luce, verso il Cristo risorto25, là dove alla fine dei tempi sarebbe apparso il simbolo del Figlio dell’Uomo, la croce nel cielo26, è comune anche ad altre chiese romane del iv secolo, come pure alla basilica costruita contemporaneamente alla basilica lateranense dal vescovo Paolino nella metropoli commerciale di Tiro sulla costa libica e descritta da Eusebio. Ancora alla fine del iv secolo, nella parte occidentale dell’impero la collocazione a ovest dell’abside e a est dell’ingresso era la modalità più frequente, come riferisce il vescovo Paolino di Nola27. Solo nel tardo iv secolo anche nella parte latina dell’impero prevalse l’orientamento dell’abside a est, come già consuetudine in Oriente. La disposizione, che con il tempo divenne vincolante, corrispondeva alla direzione cui si volgevano sia i fedeli sia i chierici, che in precedenza dovevano rivolgersi a est per la preghiera, mentre ora durante la liturgia si voltavano verso l’altare e verso l’abside. Caratteristico della basilica lateranense è anche l’accentuato risalto della navata maggiore, l’aula di culto centrale sviluppata lungo tutto l’edificio, rispetto alla quale le laterali, relativamente più basse, sono chiaramente subordinate, e delimitate da arcate su colonne, a differenza della mediana, le cui pareti traforate

dal cleristorio poggiano su un colonnato architravato. Anche questo è un tratto caratteristico della basilica cristiana che la distingue da quella profana, cui era estranea la differenziazione in altezza delle navate laterali e l’uso diversificato di architravi e arcate su colonne. Le dimensioni della navata centrale, che nella basilica lateranense raggiunge ben 27 m di altezza e 18 di larghezza, corrispondono grosso modo allo spazio che poteva essere coperto senza problemi dall’orditura di un tetto ligneo. La suddivisione in cinque navate assicurava lo spazio necessario alla comunità e al vescovo con il suo seguito. La fuga delle colonne e i colonnati diafani conferivano una cornice sufficientemente ampia, nobile e solenne alla liturgia. I vani delle pseudocappelle annesse lateralmente alla testata occidentale delle navate laterali esterne erano certamente funzionali alla liturgia che si svolgeva nel presbiterio. Esse dovevano dare all’esterno l’impressione di un corpo trasverso, anche se non raggiungevano né l’altezza né i volumi di un vero e proprio transetto. In ogni caso in tal modo anche all’esterno era chiaramente individuata l’area presbiteriale all’estremità occidentale delle tre navate intermedie, verso la quale si concentrava il fuoco prospettico dell’edificio. È significativo che la decorazione della basilica fosse realizzata con elementi più antichi di recupero, e non eseguiti appositamente. Si tratta di una modalità già nota nell’architettura romana, soprattutto tardoantica, che comporta l’impiego di materiali cosiddetti di spoglio (spolia), eccedenti o recuperati dalla demolizione di precedenti costruzioni, e immagazzinati nei depositi imperiali di marmo. Così ad esempio il cosiddetto arco di Giano (Ianus Quadrifrons), arco trionfale costruito alla metà del iv secolo ai margini del Forum Boarium, così come quello eretto nei pressi del Colosseo dal Senato per l’imperatore Costantino in occasione della vittoria su Massenzio, vennero realizzati quasi esclusivamente con materiali di recupero provenienti da edifici più antichi. Il riutilizzo nell’arco di Costantino di precedenti elementi di decorazione architettonica, soprattutto di bassorilievi di carattere ufficiale dell’età di Adriano e di Antonino Pio, indica che il reimpiego poteva essere dettato non solo da ragioni economiche, ma anche dal desiderio di conferire particolare prestigio alla struttura, e talvolta anche da motivazioni politiche. A tale pratica si adeguarono anche gli architetti della basilica lateranense. Non è noto da dove provenissero i materiali, né si è conservato alcun elemento di decorazione architettonica di età imperiale delle giacenze originarie. Probabilmente in quest’epoca, nella quale il patrimonio di edifici pubblici e soprattutto di templi e luoghi di culto era ancora sostanzialmente integro, le basi, i capitelli e i fusti necessari vennero tratti dai ricchi magazzini di marmi sulle sponde del Tevere, cui si attinse anche in seguito

in epoca medievale e moderna. Ciò spiegherebbe l’eterogeneità dei capitelli e delle colonne utilizzati nella navata mediana, dove, come mostra la ricordata raffigurazione di Gagliardi in S. Martino ai Monti, vennero accostati capitelli ionici, corinzi e compositi, oltretutto di diverse misure, e certamente differenti per epoca e fattura. Si tratta di un dato totalmente nuovo, poiché sino allora nell’architettura antica la decorazione interna di un edificio si uniformava a un unico ordine. Gli elementi vengono disposti a coppie, in modo che i capitelli affrontati dei colonnati si corrispondano. Nella sequenza delle colonne potevano tuttavia essere diversi, così che un capitello ionico era accanto a uno corinzio o composito. Parrebbe che utilizzare materiali ed elementi diversi che rinviavano a edifici e forme più antiche non fosse considerata una violazione delle regole. Il rapporto con il patrimonio delle forme tradizionali, classiche, era dunque sostanzialmente mutato, così come il senso della funzione e del significato della decorazione architettonica, l’importanza dei capitelli, della loro diversa ornamentazione e collocazione. A essere in primo piano è ormai lo splendore degli elementi antichi, la loro fattura pregevole e preziosa, la varietà delle forme dei capitelli di ordini diversi, ancora una volta segno di preziosità e di ricchezza. Sono questi i motivi che consentono l’esteso utilizzo di materiali di spoglio. È significativo che una tale concezione si manifesti in modo così evidente nell’edificio che definisce il nuovo tipo della basilica cristiana. In questo contesto la basilica lateranense fissa il criterio per l’impiego degli spolia. Infatti, come si vedrà, l’utilizzo di più antichi elementi di decorazione architettonica diverrà quasi la regola per le chiese romane tardoantiche e altomedievali. Legato alle idee architettoniche romane è anche l’alzato della navata maggiore, spesso ritenuto una caratteristica dell’architettura cristiana delle origini. La congiunzione di colonnato architravato e parete dotata di finestre è una creazione originale dell’architettura romana, sconosciuta alla greca, che apre sviluppi ricchi di conseguenze. Accenni di questa soluzione architettonica si trovano già nel Pantheon, e si devono presupporre già nelle basiliche profane soluzioni analoghe di pareti poggianti su sostegni della sala centrale, onde favorirne l’illuminazione. Il motivo acquisisce un significato particolare attraverso l’accentuazione, il dimensionamento e l’orientamento della navata mediana, che attraversa l’intero edificio e conosce una valorizzazione speciale nella scansione spaziale interna della basilica cristiana. I possenti, monumentali colonnati allineati in profondità e sormontati da pareti scandite da una fitta sequenza di grandi finestre che illuminano a giorno la nave mediana caratterizzano con forza l’immagine della basilica cristiana e ne divengono un tratto distintivo.

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Le prime chiese di Roma

L’età di Costantino 10. Porte bronzee della Curia reimpiegate sotto papa Alessandro vii (1655-1667) per l’ingresso centrale, sulla facciata della basilica del Laterano.

La rielaborazione creativa di elementi edilizi tradizionali, adattati a una nuova funzione, si ritrova anche nell’atrium, l’area cinta da portici colonnati anteposta all’ingresso sul lato orientale. Questo uso dei portici costituisce una novità che non trova immediati confronti nell’architettura profana di età imperiale e tardoantica. Anche i templi classici disponevano di corti cinte da portici, ma questi in genere circondavano il sacrario, come ad esempio nel tempio di Giove Statore, eretto da Quinto Cecilio Metello Macedonico nella parte meridionale del Campo Marzio, e servivano a delimitarla come spazio sacro rispetto al contesto circostante. Diverso è il caso dell’atrio della basilica cristiana, bassa struttura allineata all’asse longitudinale della basilica, che ne sottolineava l’orientamento creando un collegamento tra l’edificio di culto e l’ambiente esterno, in particolare con le vie di traffico, in modo da accogliere i visitatori in una zona di quiete, abbellita da una fontana destinata alle abluzioni. L’atrio conduceva per così dire i fedeli a predisporsi alla celebrazione nell’aula di culto. Questo spazio antistante aveva anche una funzione concreta nella liturgia festiva, poiché qui il vescovo con il suo seguito si preparava a fare l’ingresso solenne in basilica. È significativo che il Pantheon, che racchiude un unico vasto spazio interno, e in tal senso è atipico per l’architettura sacra antica, come il tempio del Sole, costruito nel 274 da Aureliano, possedessero un cortile colonnato confrontabile con l’atrio della chiesa del Laterano, che precedeva il tempio vero e proprio; entrambi tuttavia avevano piuttosto il carattere di un ingresso di rappresentanza, ed erano privi della funzione liturgica dell’atrio come luogo di raduno dei fedeli in uno spazio di tranquillità, funzione espressa dalla collocazione in asse con la basilica, ed elemento di raccordo tra interno ed esterno. La chiesa costantiniana del Laterano costituisce dunque una costruzione che, attraverso un eccezionale slancio creativo di trasformazione e sviluppo delle premesse fornite dall’architettura coeva, diviene il modello ideale e formale per l’edificio di culto cristiano, unendo antico e nuovo in un nuovo compito architettonico. Esso trasmette ai secoli successivi un tipo di edificio antico nella sua nuova funzione quale chiesa cristiana che continua a vivere ancora oggi. La cattedrale di Roma rinnova la supremazia dell’architettura sacra su quella civile, come già era avvenuto nella tradizione architettonica greca, mentre si era perduta nell’età imperiale. Nell’architettura romana l’edificio sacro seguiva sostanzialmente concezioni conservatrici, mentre nuovi concetti di spazio, alzati e piante, nuove idee e tecniche architettoniche venivano sviluppati prevalentemente nei grandi edifici civili pubblici e nei complessi edilizi di destinazione

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sociale: le terme e i fori, le basiliche, i palazzi e le villae. La basilica lateranense, che come tipo edilizio s’inseriva pure in questa evoluzione, ha messo fine alla supremazia dell’architettura civile nell’ambito dell’edilizia romana, segnando un punto di svolta, in quanto da questo momento sarà l’edificio di culto cristiano a rappresentare l’esercizio progettuale più

significativo. È in esso che si concretizzano nuovi pensieri e concezioni architettoniche, mentre l’importanza degli edifici civili diminuisce, come si deduce dai volumi più ridotti dei fabbricati, fatta eccezione per i palazzi e, soprattutto, per l’architettura di difesa. Contemporaneamente alla basilica lateranense, Costantino eresse nel centro della città, sul Quirinale, un grande complesso termale, e completò i grandi edifici iniziati dal rivale Massenzio, la basilica e l’attigua rotonda, e il tempio di Venere e Roma, posto nella zona orientale del foro, lungo la monumentale via Sacra, l’antica strada trionfale all’inizio della quale il Senato gli dedicò l’arco di trionfo. In questa zona di rappresentanza, la basilica, nella cui abside occidentale era stata posta l’immagine dell’imperatore in trono in forme superiori al vero, fungeva da sala delle convocazioni per l’ufficio del praefectus urbi, il più alto magistrato della città e del’impero d’Occidente, mentre il tempio di Venere e Roma costituiva il fanum urbis, il santuario della città. Questi edifici di rappresentanza, posti nel tradizionale centro politico, che il Senato aveva dedicato al vincitore di Massenzio, come indicano le iscrizioni e le fonti storiche28, legittimavano Costantino nelle sue ambizioni di dominio. Le terme del Quirinale rappresentavano invece il tributo tradizionale del sovrano alla popolazione della capitale. A differenza di questi edifici programmatici del potere imperiale, la basilica lateranense non è nel centro della città, come ci si potrebbe attendere da una prestigiosa fondazione imperiale dedicata alla divinità protettrice dell’impero, bensì alla periferia sudorientale, alle pendici del Celio. Essa è posta all’incrocio di tre importanti vie, la Caelimontana, la Tuscolana e l’Asinaria (le ultime due correvano accanto la basilica e conducevano fuori della città in direzione sud). Si tratta di una collocazione analoga a quella della chiesa episcopale di Ostia da poco portata alla luce, anch’essa fondata da Costantino e costruita alla periferia meridionale, davanti alle mura, lungo un’arteria in uscita dalla città. A determinarne l’ubicazione fu innanzitutto il fatto che fosse disponibile un’area di proprietà del fiscus, sufficientemente grande e ben collegata con le principali vie di comunicazione. Ai contemporanei la posizione della cattedrale non doveva risultare per nulla così defilata come appare oggi. Già il tempio del Sole eretto da Aureliano (270-275) a nord del Campo Marzio sulla via Lata, attuale via del Corso, non era in effetti in posizione centrale. Importanti tendenze al decentramento si avvertono nell’urbanistica di Roma già in età imperiale con la costruzione delle grandi terme, che come centri pubblici polifunzionali creavano nuovi poli urbanistici nei popolosi quartieri intorno al centro. Dopo che

l’imperatore Elagabalo (218-222) aveva fatto erigere nel settore sudorientale, alle pendici dell’Esquilino e del Celio, il palatium Sessorianum, un vasto complesso con anfiteatro e circo, i cui ruderi monumentali sono ancora oggi visibili nell’amphiteatrum Castrense e in altri edifici a ridosso delle mura, insieme alla sontuosa dimora privata a ovest e alle caserme della guardia imperiale, era sorto un grande quartiere residenziale, nel iv secolo ulteriormente ampliato in concorrenza con i palazzi imperiali del Palatino. L’erezione della cattedrale sui terreni già della caserma degli equites singulares all’interno di questa vasta proprietà imperiale dovette essere intesa come un privilegio, come una manifestazione della benevolenza e della generosità concesse dall’imperatore alla comunità cristiana. Con la costruzione della chiesa del Laterano Costantino avviò la cristianizzazione della città, creando al contempo un nuovo edificio pubblico di rappresentanza. Purtroppo non è noto quale aspetto avesse la piazza a est dell’atrio. Si può immaginare uno spiazzo aperto che collegava la basilica alla via Asinaria in uscita dalla città, per alleggerire il traffico gravitante sulla più importante arteria extraurbana diretta a sud, la via Appia. Come in casi analoghi di altre città antiche, la piazza non aveva una precisa fisionomia architettonica, e dunque non costituiva uno specifico polo urbanistico. A nord, sui terreni appunto dell’ex caserma della guardia imperiale, sorse a partire dal iv secolo il palazzo episcopale, chiamato nel Medioevo Patriarchium, la cui fisionomia architettonica era in parte ispirata al palazzo imperiale di Costantinopoli, e di cui si conservano ancora oggi resti al di sotto della Scala Santa, mentre la parte confinante con la basilica lateranense fu sostituita alla fine del xvi secolo dal palazzo pontificio realizzato da Domenico Fontana.

Il battistero lateranense Contemporaneamente alla grande chiesa episcopale, secondo quanto testimonia il Liber Pontificalis, Costantino fece erigere nelle immediate vicinanze della basilica un battistero indipendente, che l’autore della cronaca definisce fons sanctus29. Il baptisterium, come lo stesso Liber Pontificalis lo dichiara poi, concordemente ad altre fonti coeve, è il più antico edificio autonomo noto destinato alla somministrazione del battesimo. Così come la basilica del Laterano divenne il modello e il prototipo delle successive chiese cristiane, anche il battistero voluto da Costantino assunse valore paradigmatico per i battisteri cristiani delle origini e per i successivi battisteri delle cattedrali del Medioevo.

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Le prime chiese di Roma

L’età di Costantino 11. Battistero lateranense di S. Giovanni in Fonte.

Anche in questo caso le fonti non forniscono informazioni precise riguardo alla data di costruzione. L’edificio è citato nel Liber Pontificalis tra le architetture realizzate sotto il pontificato di Silvestro (314-335)30. Nell’elenco delle donazioni concesse dall’imperatore per il suo mantenimento vengono ancora una volta menzionati beni provenienti prevalentemente dalla parte occidentale dell’impero, a eccezione di una proprietà che si trovava probabilmente sull’isola ionica di Cefalonia, al largo delle coste occidentali della Grecia. Cefalonia era situata al confine tra le due parti dell’impero, ed era probabilmente nelle mani di Costantino già prima del 324, quando questi si impossessò anche della parte orientale dell’impero. In ogni caso sulla base di questa donazione non si può dedurre con certezza che il battistero lateranense sia stato realizzato solo dopo il 324, ossia dopo la basilica lateranense. L’importanza prioritaria del battesimo nella vita religiosa dei cristiani, la rilevanza della cerimonia nell’ambito delle attività liturgiche della comunità, così come il nuovo ruolo della Chiesa nella vita pubblica e i conseguenti mutamenti socio-politici che condussero schiere di credenti a confluire al suo interno costituiscono le premesse della costruzione di un edificio battesimale indipendente, separato dalla chiesa episcopale. Il sacramento era somministrato dal vescovo in qualità di capo della comunità, ed era concepito come rinascita dalla morte del peccato, come risveglio a una nuova vita. Attraverso il battesimo i catecumeni, che in attesa di riceverlo erano istruiti alle verità della fede, venivano accolti in seno alla comunità dei credenti, e dopo la liturgia della parola potevano accedere al mistero dell’eucaristia. La cerimonia del battesimo comprendeva vari riti, che iniziavano il sabato prima di Pasqua con gli ultimi esorcismi per scacciare gli spiriti maligni, con il ripudio di Satana e il rinnovo della professione di fede, e culminavano dopo ulteriori pratiche nella cerimonia dell’immersione nella vasca del battistero. L’imposizione delle mani da parte del vescovo, l’unzione crismale della fronte e l’invocazione della discesa dello Spirito Santo costituivano gli elementi fondamentali della liturgia battesimale. La ricchezza della liturgia e il gran numero di coloro che dopo che l’imperatore si era rivolto al cristianesimo erano affluiti a frotte nella Chiesa, portarono alla creazione di un edificio battesimale autonomo, che nella sua forma architettonica forniva una cornice adeguata alla celebrazione di questo rito solenne di iniziazione. Il battistero lateranense venne costruito a circa una cinquantina di metri a nord-ovest della basilica, sul luogo dell’odierno battistero di S. Giovanni in Fonte, che conserva nella sostanza la fisionomia del battistero originario. Nonostante il discreto stato

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di conservazione, l’edificio è stato solo di recente sottoposto a moderni rilievi architettonici. Precedenti scavi al di sotto della costruzione lasciano aperti alcuni quesiti, anche se sono stati criticamente rivisti in tempi più recenti. La vicenda costruttiva e la ricostruzione qui proposta del primitivo aspetto del battistero si fondano perciò sull’interpretazione di quanto pubblicato e su alcune osservazioni dirette dell’edificio. La zona su cui fu costruito il battistero costantiniano si trovava a occidente dei castra equitum singularium, nel tratto interno alla città della via Tuscolana, che lascia le mura immediatamente sotto la caserma. Qui vi era un impianto termale, inglobato agli inizi del iv secolo in una domus, sfruttato per la costruzione del battistero. Nell’edificio dismesso fu posta una grande fondazione circolare di circa 19 m di diametro e di ben 1,70 m di spessore, su cui poggia la muratura di una sala ottagona che si adatta con gli spigoli alla fondazione circolare, e che nell’attuale costruzione del battistero si è conservata sino a un livello, ancora chiaramente riconoscibile, di 7,60 m di altezza. Il piano di calpestio della sala ottagona del battistero si trova a circa 1,30 m al di sopra di quello delle precedenti terme. In ogni lato dell’ottagono sono ampi ingressi, larghi 3 m, che aprono l’edificio verso l’esterno. Frammenti degli stipiti marmorei dei portali si conservano presso le porte dell’odierno ingresso, sulla destra. Sopra ciascuno di questi ingressi, come si constata ancora chiaramente nell’attuale costruzione, era una finestra con arco a tutto sesto di 1,75 m di ampiezza, posta immediatamente al di sotto della terminazione del muro originario, come consueto nell’architettura tardoantica. A causa del considerevole diametro, in rapporto all’altezza dei muri esterni, si deve ritenere che vi fossero delle colonne interne per suddividere lo spazio tra la zona centrale e l’ambulacro e per sostenere un tamburo. Di questa struttura e del fonte battesimale, che si doveva trovare al centro dello spazio interno, nulla è rimasto a eccezione delle otto colonne in porfido già procurate per il battistero da Costantino, che secondo il Liber Pontificalis furono riutilizzate da Sisto iii (432-440) per la nuova costruzione del battistero31 (Docum. iii.1.2). Una sala rettangolare del complesso termale posta a sud-est, che nel vii secolo venne trasformata nella cappella di S. Venanzio, fu conservata e annessa all’ottagono alla medesima quota. La sala serviva in tutta evidenza alla preparazione del rito battesimale. Si ha ragione di ravvisare in questo edificio ottagonale, che stando ai dati architettonici fu costruito intorno al secondo quarto del iv secolo, il battistero fondato da Costantino. Per le proporzioni (19,2 m di diametro) l’edificio è avvicinabile ad

altri edifici a pianta centrale di età imperiale e tardoantica, e mostra dimensioni senz’altro degne di una fondazione imperiale. Anche la decorazione interna corrisponde al rango dell’edificio, in particolare le colonne di porfido rosso provenienti da cave imperiali d’Egitto. Come per la basilica lateranense, la donazione fu integrata da pregevoli elementi decorativi e arredi liturgici in oro e argento. Tra questi figuravano, secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, un incensiere d’oro e un agnello dorato da cui sgorgava l’acqua, posto sul bordo della vasca battesimale, ai lati del quale erano le statue in argento di Cristo e san Giovanni Battista, quasi a grandezza naturale, che simboleggiavano il battesimo di Gesù nel Giordano. Il tutto era completato da sette cervi d’argento, che – come nel caso delle tradizionali cannelle zoomorfe dei bagni antichi – erano probabilmente disposti lungo i bordi della vasca e dovevano essere intesi come un’allusione ai versi del salmo «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Signore»32. Si tratta di suppellettili preziose, che senza dubbio dovevano competere con il prestigio accumulato nei secoli dai santuari pagani, dense tuttavia di riferimenti simbolici e di allusioni al battesimo e al suo significato.

12. Antico ingresso del battistero.

La pianta centrale scelta per questo primo battistero, inteso come struttura architettonica indipendente, è legata alla funzione: la vasca necessaria per il rito battesimale è il centro dell’edificio, e intorno a essa si dispone l’ambulacro. Il tipo a pianta centrale era diffuso, nelle sue molte varianti, nell’architettura romana imperiale e tardoantica in diversi ambiti e con funzioni differenziate: come sala termale, come vestibolo e soggiorno nelle villae, come ninfeo, come edificio funerario. Non era quindi legato a una funzione specifica, sebbene sia evidente l’affinità del battistero con le terme, tanto che non a caso quello lateranense insiste su un complesso di bagni, i cui canali di deflusso vennero utilizzati per svuotare la vasca battesimale. Con la sua particolare struttura, il cui interno corrisponde all’articolazione spaziale della basilica, con la ripartizione in un’aula centrale sopraelevata e un ambulacro, ovvero un ambiente adatto allo svolgimento dei riti, il tipo edilizio costituisce lo schema-guida per edifici religiosi a pianta centrale del iv e v secolo di funzioni diverse, come ad esempio la chiesa episcopale di Antiochia, il cosiddetto ottagono d’oro, fondata da Costantino, oppure il mausoleo di Costanza presso S. Agnese, e più tardi, nel v secolo, S. Stefano Rotondo.

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 13. Ingresso del battistero lateranense. Capitello composito di età adrianea. 14. Ingresso del battistero lateranense. Colonne di spoglio.

All’epoca di papa Sisto iii (432-440), che secondo il Liber Pontificalis rinnovò il battistero costantiniano, l’edificio venne sopraelevato; come mostra l’analisi delle murature, si tamponarono le vecchie finestre e se ne aggiunsero di più grandi con arco a tutto sesto, di 2,80 × 3,90 m33. Un vestibolo, un piccolo atrio biabsidato sul lato sud dell’ottagono, costituiva l’ingresso principale: come mostra una sutura tra ottagono e vestibolo, questo venne addossato al corpo centrale costantiniano in una seconda fase, mentre è connesso alla sopraelevazione muraria. L’ingresso tripartito di questo vano è impreziosito da elementi di spoglio eccezionalmente ricchi di decorazioni: due colonne di porfido, due capitelli compositi di forma inconsueta, due grandi basi riccamente lavorate e un architrave altrettanto ornato costituiscono la sua sontuosa decorazione architettonica. I rari e pregevoli capitelli compositi sono opera di un’officina

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dell’Asia Minore, e trovano un parallelo, così come le basi dall’ornamentazione insolitamente lussureggiante, nella fase adrianea del foro di Cesare. Sotto l’imperatore Carino, nel 283, il foro era stato gravemente danneggiato da un incendio e venne restaurato da Massenzio, che asportò il colonnato interno di un portico. Probabilmente i pezzi usati nel battistero provengono dalla giacenza formatasi con tale intervento, per il tramite dell’imperatore Valentiniano iii che ne poteva disporre e che, secondo il Liber Pontificalis, sostenne il papa in diverse fondazioni ecclesiastiche34. L’utilizzo di questi elementi straordinariamente sontuosi, insieme alle colonne porfiree, sottolinea l’importanza e il prestigio del battistero. All’interno dell’edificio, impiantata sul bordo della grande vasca battesimale del diametro di 8,50 m, si erge una struttura ottagonale a due piani, costituita da otto colonne di porfido,

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Le prime chiese di Roma

L’età di Costantino 15. Ingresso del battistero lateranense. Basi di colonne di ordine composito, di età adrianea.

chiaramente riprese dall’edificio costantiniano, e otto colonne di marmo bianco coronate da architravi marmorei che, come gli elementi architettonici decorativi del vestibolo, provengono da edifici di età imperiale. L’architrave del piano inferiore della lieve e diafana costruzione che occupa l’edificio per tutta la sua altezza ha in comune con l’architrave del piccolo atrio d’ingresso dimensioni e decorazione. La faccia decorata dell’architrave è comunque rivolta verso l’interno, in modo che la faccia posteriore liscia possa accogliere l’iscrizione dedicatoria di Sisto iii, su cui si tornerà più avanti. Gli elementi dell’architrave hanno dunque la stessa provenienza di quelli del vestibolo. Per poter adattare i blocchi alle misure del colonnato la faccia inferiore venne risecata riducendo così l’altezza dell’architrave. A est e a ovest, il colonnato inferiore è ornato da quattro grandi capitelli, due di stile corinzio risalenti alla prima età

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imperiale e due compositi del tardo ii secolo, peraltro rimaneggiati sotto Urbano viii (1623-1644). I quattro capitelli ionici inseriti negli intercolumni leggermente più ampi, posti sull’asse principale determinato dall’atrio, recano sull’abaco le api dell’insegna di Urbano viii Barberini, e dimostrano anche nella fattura di essere un’inserzione effettuata, probabilmente in sostituzione di capitelli più antichi dello stesso ordine, in occasione del restauro del xvii secolo, così come le basi, che pure recano sul plinto le api araldiche dei Barberini. Al medesimo restauro sono da ricondurre i capitelli compositi del piano superiore, uguali per fattura a quelli ionici, e decorati con le api Barberini. Anch’essi sostituiscono elementi antichi, ovvero materiali di spoglio di diversi ordini, come affermano le fonti archivistiche, che parlano di capitelli «di diversi sorti» che in occasione del restauro, in omaggio al gusto classicistico del tempo, furono sostituiti con nuovi capitelli appositamente

realizzati. Anche nel colonnato a due livelli del battistero si ritrova quindi l’uso di materiali di reimpiego, così come nella basilica di età costantiniana vennero inseriti, quali elementi decorativi per la loro pregevole ornamentazione, capitelli più antichi di ordini e fattura diversi. Secondo la testimonianza dell’erudito Onofrio Panvinio (1529-1568), che descrisse il battistero prima del rinnovamento operato da Urbano viii, l’edificio doveva essere coperto nel corridoio anulare da una volta a botte mosaicata, mentre le pareti sino all’imposta della volta erano rivestite da un prezioso opus sectile, che all’epoca di Panvinio era in parte danneggiato, e venne poi sostituito da una decorazione dipinta. La volta sarebbe crollata in epoca imprecisata, e sarebbe stata sostituita sotto Leone x (1513-1520) da una copertura lignea che collegava il muro esterno con le colonne superiori del baldacchino. Al centro un tamburo, più o meno della stessa altezza di quello attuale, che preserva ancora qualche frammento della cortina antica con aperture di finestre, sosteneva una cupola, sostituita nel 1630-1633 con quella attuale da Bernini su incarico di Urbano viii. Il ridotto spessore, di appena 70-80 cm, delle murature esterne dell’ottagono e soprattutto l’esile struttura dell’ottagono centrale su due piani escludono la possibilità che fosse coperto da una volta massiccia. Tuttavia, per un edificio a pianta centrale di questo rango, con una pianta così ricca e articolata, suddivisa in una zona centrale e in un corridoio anulare, risulterebbe in effetti più appropriata dal punto di vista tipologico una copertura a volta, peraltro testimoniata da Panvinio per quanto riguarda l’ambulacro. Bisognerebbe quindi pensare anche per la cupola del nucleo centrale alla messa in opera di una volta in tubi fittili, una struttura autoportante impiegata spesso nell’architettura tardoantica a Roma e in Italia a partire dal tardo iv secolo e sino al vi inoltrato, che in virtù della sua estrema flessibilità era particolarmente adatta per la limitata forza di spinta a edifici con muri sottili e pianta complessa, che esigevano perciò volte altrettanto impegnative. Si tratta della medesima tecnica utilizzata per voltare gli oratori annessi allo stesso battistero lateranense sotto papa Ilaro (461-468). Chiese come S. Lorenzo a Milano (fine iv secolo), S. Stefano Rotondo a Roma (anni Sessanta del v secolo), o il battistero della cattedrale (fase “neoniana”, v secolo) e la basilica di S. Vitale a Ravenna (vi secolo) sono solo alcuni esempi dell’utilizzo di questa tecnica di copertura, che sostituì il tradizionale opus caementicium consentendo la creazione di ambienti meno massicci, articolati con strutture diafane. Nell’ambito di queste costruzioni del tardo iv-v secolo il battistero lateranense dovrebbe essere quindi clas-

sificato tra le architetture di rappresentanza. Tuttavia questa ricostruzione, fondata sul resoconto di Panvinio e sulla tipologia, allo stato attuale della ricerca non può essere affermata con certezza, dato che, con l’altezza riscontrata della muratura antica dell’ottagono, si sarebbero dovuti porre in opera una cupola leggera in tubi fittili con profilo ribassato e un tetto a una falda sopra il deambulatorio, sotto le finestre del tamburo (Docum. iii.2). Un tetto a più falde con capriate a vista per la parte centrale e un tetto a uno spiovente per l’ambulacro rimangono così l’alternativa più probabile per la copertura originaria del battistero. All’interno la disposizione delle colonne su due piani conferisce risalto al fonte battesimale come centro dell’edificio. Le colonne in porfido e marmo bianco e i sontuosi capitelli di spoglio consentono ancora oggi d’intuire in parte la policromia e lo sfarzo dell’originaria decorazione. Della qualità e dello splendore dei mosaici del deambulatorio, citati da Panvinio, può dare un’idea il mosaico nella calotta dell’abside orientale dell’atrio, ancora conservato. Da un calice con candelabra centrale di acanto si diparte un tralcio vitineo verde e oro su fondo azzurro scuro. Al centro dell’arco absidale, sotto una conchiglia, è raffigurato l’agnello di Dio fiancheggiato su entrambi i lati da due colombe. Il margine inferiore è delimitato da una stretta striscia di prato fiorito, e al di sotto da una sequenza di croci su fondo azzurro. Il motivo dominante del racemo, nell’arte romana caratteristico simbolo di fertilità, di vita e di prosperità, assume qui attraverso la presenza dell’agnello e delle croci un nuovo contenuto simbolico, divenendo segno della nuova vita concessa al cristiano attraverso il battesimo grazie al sacrificio di Gesù. La posa in opera e la fattura del mosaico sono particolarmente pregevoli e di alta qualità formale. Il mosaico della calotta absidale all’estremità opposta doveva raffigurare, secondo le copie e le descrizioni rinascimentali, l’immagine idilliaco-paradisiaca di quattro pastori con le rispettive greggi sovrastati da analoghi sinuosi racemi. L’iconografia di entrambi i mosaici e la vivacità cromatica della decorazione che si staglia sul fondo blu suggeriscono una datazione al v secolo. Un altro prezioso elemento dell’originaria decorazione del battistero si è conservato nel vestibolo, sul muro a destra dell’ingresso. Si tratta di un frammento del rivestimento parietale in opus sectile, formato da cornici rettilinee e lesene decorate da incrostazioni a candelabra, campi rettangolari delimitati da cornici ornamentali o da grandi lastre marmoree colorate con incrostazioni a racemi che si avvolgono intorno a dischi di porfido.

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L’età di Costantino 16. Interno del battistero lateranense, v secolo

17. Battistero lateranense. Colonnato interno del lato orientale, capitelli corinzi e architrave di spoglio. 18. Colonnato interno, capitello composito di spoglio.

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L’età di Costantino 19. Vestibolo del battistero lateranense. Mosaico dell’abside orientale, v secolo. 20. Vestibolo del battistero lateranense. Particolare del mosaico dell’abside orientale.

La decorazione, anch’essa riferibile al v secolo, dovrebbe corrispondere al rivestimento che le descrizioni e i disegni rinascimentali hanno tramandato per l’interno dell’ottagono prima dei rimaneggiamenti del xvi-xvii secolo. Il prezioso e variopinto rivestimento parietale, di grande qualità e con rari marmi colorati, era molto apprezzato nell’architettura tardoantica del iv e v secolo come sontuoso abbellimento destinato a edifici di rappresentanza. È lo stesso tipo di decorazione che rivestiva le pareti della basilica lateranense. Il luminoso rivestimento parietale policromo, che conferiva splendore festoso all’ambiente inondato dalla luce, sottraeva alla struttura poligonale, più volte spezzata, consistenza materica, rendendola contemporaneamente eterea e trasparente nel riflesso della luce. Questo prestigioso edificio, unico per

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allestimento e impianto, che nell’aspetto architettonico corrisponde essenzialmente a quello ancora esistente, risale, nella sua differenziata disposizione e struttura, al battistero fatto erigere da Costantino per la basilica lateranense. L’edificio costantiniano venne sopraelevato da Sisto iii, provvisto all’interno di un colonnato a due piani e dotato di un vestibolo di rappresentanza, abbellito con preziosi materiali di spoglio. Il sacramento del battesimo era somministrato dal vescovo nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua: nel rito il battezzando veniva simbolicamente “sepolto” con Cristo per risorgere con lui a nuova vita. La preparazione, attraverso la preghiera e l’ammaestramento, aveva luogo nella basilica. I battezzandi si trasferivano poi nel battistero, dove probabilmente si spogliavano nel deambulatorio occidentale sulla sinistra,

ricevendo la prima unzione. Dopo aver rinnovato il ripudio di Satana e la professione di fede, seguiva il battesimo, attraverso l’immersione per tre volte nella vasca, nella quale il battezzando entrava nudo. Per primi venivano battezzati i bambini, quindi gli adulti, prima gli uomini e poi le donne, che dovevano presentarsi con i capelli sciolti e senza gioielli, come informa un antico ordinamento ecclesiastico35. Nel deambulatorio orientale i battezzati venivano ricoperti con una veste bianca, dopo la seconda unzione. Infine si radunavano nel cosiddetto consignatorium, identificabile probabilmente nell’attigua sala sul lato sudorientale, corrispondente all’attuale cappella di S. Venanzio, dove il vescovo, con l’imposizione delle mani e l’unzione conclusiva, li confermava accogliendoli come «cristiani», ovvero «unti del

Signore», nella comunità36. A questo punto i neofiti si trasferivano in chiesa per partecipare per la prima volta all’eucaristia. La preziosa fisionomia architettonica del battistero esprime perciò, fondandosi sulle premesse dell’architettura di età imperiale e sul tipo dell’edificio a pianta centrale polifunzionale, le esigenze della liturgia cristiana, che necessita di uno spazio centrale per lo svolgimento del culto e di uno spazio agibile per la partecipazione della comunità al rito. La scelta dell’ottagono e della articolazione interna su due piani, nella quale più volte si ripete il numero otto, è determinata anche dalla simbologia attribuita al numero. Già il vescovo di Milano Ambrogio (374-397), negli otto distici dell’iscrizione di consacrazione del battistero ottagono della cattedrale milanese che aveva fatto erigere, aveva interpretato il ricorrere di

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L’età di Costantino 21. Vestibolo del battistero lateranense. Rivestimento marmoreo della parete settentrionale e orientale, v secolo. 22. Vestibolo del battistero lateranense. Particolare del rivestimento marmoreo della parete settentrionale, v secolo.

questo numero nella costruzione e nella decorazione interna come simbolo della resurrezione di Cristo nell’ottavo giorno e del battesimo come rinascita del cristiano37. La forma del battistero costantiniano potrebbe già trovare così una spiegazione, anche se l’iscrizione dedicatoria di Sisto iii, pure di otto distici, scolpita sull’architrave del colonnato interno e menzionata nel Liber Pontificalis, nell’illustrare il significato e l’importanza del battesimo non affronta il riferimento simbolico dell’architettura al numero otto38. Il battistero lateranense, associato alla cattedrale di Roma come autonomo e monumentale edificio, corrisponde all’importanza del sacramento del battesimo per la Chiesa, visto come rinascita, come ingresso nella comunità dei santi e come passaggio alla vita eterna. Esso risponde inoltre all’esigenza delle grandi comunità urbane di disporre di uno spazio adatto e adeguato per questo rito solenne di fondamentale significato. Il battistero lateranense fonda in tal modo il tipo del battistero come edificio di culto, anche nel suo aspetto simbolico di ottagono, con un valore esemplare per la tarda Antichità e il Medioevo. Il battistero di Ambrogio sorto accanto alla cattedrale di Milano, e quelli della cattedrale cattolica e di quella ariana di Ravenna, di Grado, Firenze, Albenga, Corinto, Aix-en-Provence, Fréjus e ancora i battisteri medievali delle cattedrali di Firenze, Pisa e Parma, per citare solo alcuni esempi, si collocano in questa tradizione inaugurata a Roma da Costantino. Sotto papa Ilaro (461-468), secondo successore di Sisto iii, in relazione al florido culto memoriale, altri edifici si aggiunsero al battistero con funzione di oratorio o di cappella. Uno di questi, abbattuto nel 1588, è noto col nome di oratorio della S. Croce39. Era collegato al battistero sul lato nord, in corrispondenza dell’attuale ingresso principale, attraverso un cortile circondato su tre lati da portici colonnati, al centro del quale era collocata una fontana (Docum. iii.3). L’oratorio, eretto per custodire la reliquia della Croce, aveva pianta a croce greca, con quattro cappelle esagonali disposte sugli assi diagonali tra i bracci della croce. Era alto circa 13,50 m e largo all’interno circa 12,10. Si è supposto che l’edificio, di pianta davvero complessa che ricorda i palazzi e gli impianti termali di età imperiale, risalisse a epoca adrianea, e fosse stato rimaneggiato da papa Ilaro allo scopo di trasformarlo in oratorio. Tuttavia, a prescindere dal fatto che è allineato sull’asse centrale del battistero, cosa che manifesta un’origine in relazione con gli edifici annessi al battistero, anche la forma e la tecnica costruttiva lasciano dedurre che, come afferma il Liber Pontificalis, fosse

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costruito nel corso del pontificato di Ilaro. Nell’architettura di età imperiale non si conoscono del resto edifici autonomi con prospetto esterno cruciforme: il tipo compare soltanto nell’architettura cristiana del tardo iv secolo, soprattutto nei mausolei dei martiri, ed è perciò in effetti una creazione del primo cristianesimo. La forma sembra scelta per esprimere in modo pregnante, anche nella fisionomia architettonica, la sua funzione di scrigno per le reliquie della Croce. L’ambiente centrale e le cappelle esagonali erano coperte da una cupola in tubi fittili, come riferisce nel xvi secolo l’architetto Carlo Fontana. Anche qui la complessità della pianta, la struttura muraria e l’uso delle flessibili volte leggere, caratteristiche dell’età tardoantica, sono di nuovo strettamente connessi, e testimoniano un progetto unitario che s’inserisce bene nell’architettura del pontificato di Ilaro, durante il quale

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L’età di Costantino 23. Mosaico della volta dell’oratorio di S. Giovanni Evangelista, costruito da papa Ilaro (461-468) nel battistero lateranense.

a Roma venne eretta anche la chiesa di S. Stefano, che mostra nell’iconografia e nella tecnica edilizia soluzioni confrontabili. Secondo la descrizione dell’erudito rinascimentale Panvinio, le volte e le porzioni superiori delle pareti erano ricoperte da mosaico, mentre le pareti sottostanti presentavano un rivestimento in opus sectile che doveva largamente corrispondere a quello del battistero. Il mosaico della volta doveva raffigurare sulle diagonali quattro angeli cruciferi, mentre negli spazi tra le finestre erano gli apostoli Pietro e Paolo, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. Secondo il Liber Pontificalis il prezioso arredo dell’oratorio era completato da colonne del tipo di quelle erette da Costantino in S. Pietro, nel baldacchino sopra la memoria Petri, lavori preziosi di provenienza e fattura medio-orientale40. Le recenti indagini edilizie sul battistero hanno stabilito, sulla base dei reperti, che il restauro dell’edificio sotto papa Sisto iii e la sistemazione dell’oratorio rientrano in un progetto unitario, che a causa delle difficoltà del tempo – il sacco di Roma da parte di Genserico e la morte di Valentiniano iii nel 455 – poterono essere ultimati solo da papa Ilaro. Il secondo oratorio attribuito a papa Ilaro, dedicato a Giovanni Battista, era situato sul lato ovest del battistero, e ha lasciato il posto a un nuovo edificio di età barocca. Era un edificio a pianta centrale cruciforme; non ne rimane che l’antico intradosso d’ingresso nel deambulatorio occidentale del battistero, con l’iscrizione di fondazione, e i battenti bronzei della porta, decorati con croci e con l’iscrizione di consacrazione in argento di papa Ilaro. Secondo la descrizione di Panvinio, nella volta era un mosaico con al centro l’agnello di Dio circondato da una corona d’alloro, con uccelli tra ramoscelli d’ulivo, e pesci e delfini agli angoli. Il terzo oratorio costruito da Ilaro, consacrato a Giovanni Evangelista, ancora oggi esistente, è posto di fronte all’oratorio del Battista. È costituito da un quadrato centrale cui sono addossate tre grandi nicchie sporgenti quadrate. L’edificio fu costruito sopra la sala centrale delle terme e, come dimostrano le pavimentazioni del v secolo, era collegato attraverso l’atrio ai vani attigui di queste. La volta a crociera dell’ambiente centrale è ancora una volta in tubi fittili. Il mosaico, tuttora conservato, che secondo la descrizione di Panvinio assomiglia a quello perduto della cappella del Battista, presenta al centro l’agnello di Dio entro una corona di frutti, circondato da una cornice di motivi fitomorfi da cui pendono ghirlande fiorite. Al di sotto su tutti e quattro i lati sono uccelli di varie specie accanto a un recipiente colmo di frutti, in cui si può vedere un’allusione alle stagioni. Come nel perduto mosaico della

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cappella del Battista, qui si collega – secondo una suddivisione della superficie della volta assolutamente tradizionale, nota per esempio in pitture dei soffitti di epoca imperiale – il motivo cristologico dell’agnello al centro con i simboli tradizionali di fortuna e di prosperità diffusi da secoli nell’arte romana, che, insieme al fondo dorato, immagine del firmamento, sono trasformati nell’interpretazione cristiana in allusioni alla salvezza e al Paradiso. Attraverso le loro stratificazioni simboliche, queste immagini rinviano alla liberazione attraverso il sacrificio di Cristo e alle promesse ad essa collegate. Il battistero lateranense di Sisto iii, insieme agli oratori, si presenta come un grande complesso che comprende in modo significativo, oltre al vero e proprio nucleo battisteriale, una serie di annessi e di cappelle che esaltano il significato teologico della costruzione. In relazione allo sviluppo del battistero e dell’area circostante in un complesso articolato con molteplici destinazioni, forse alla metà del v secolo si realizzò intorno all’abside della basilica un deambulatorio, probabilmente per consentire il transito delle processioni e per le altre celebrazioni dalla basilica al battistero, così che questi vennero collegati in un unico contesto architettonico. Il deambulatorio, insieme all’abside costantiniana ancora esistente, venne eliminato nel 1877, sotto il pontificato di Leone xiii (1878-1903), con la creazione della nuova abside, alla quale fu anteposto un presbiterio allungato. L’importanza del complesso sorto intorno al battistero e la particolare devozione per Giovanni Battista e Giovanni Evangelista attestata in questo luogo offrirono lo spunto per l’estensione della dedicazione alla basilica, consacrata in origine solo al Salvatore, titolo che si affermò a partire dal x secolo e che sopravvive ancora oggi accanto a quello originario. Gli oratori annessi al battistero mostrano come, alla fine dell’Antichità, un importante edificio di culto divenisse un elemento di cristallizzazione per l’innesto di altri culti. Qualcosa di simile è osservabile anche in basilica, a ridosso e nelle vicinanze della quale a partire dal v-vi secolo si eressero molte cappelle e monasteri, che vennero però abbattuti nel corso del tempo, soprattutto con la realizzazione del grande edificio borrominiano. Nel battistero si conserva una cappella che risale al passaggio tra Antichità e Medioevo. Si tratta della cappella di S. Venanzio, che sotto i pontificati di Giovanni iv (640-642) e Teodoro (642-649) venne ricavata in un precedente ambiente termale del iv secolo posto tra la cappella di S. Giovanni Evangelista e il portico d’ingresso del battistero, cui venne aggiunta un’abside. Papa Giovanni, originario della Dalmazia, vi fece

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Le prime chiese di Roma

L’età di Costantino 24, 25. I due lati dell’ingresso dell’oratorio di S. Giovanni Evangelista con le decorazioni provenienti da materiale di spoglio e le porte bronzee del v secolo.

custodire le reliquie di alcuni martiri di Salona, all’epoca capoluogo della provincia romana di Spalato, nell’attuale Croazia, poiché i mausolei dalmati erano in pericolo a causa delle invasioni slave dell’inizio del vii secolo. Il mosaico dell’arcone e della calotta absidale est raffigura, su fondo dorato, i martiri dalmati Venanzio e Domno con gli apostoli Pietro e Paolo, e i santi Giovanni Evangelista e Giovanni Battista, insieme ai papi donatori Giovanni e Teodoro, allineati frontalmente ai lati della Madonna e di Cristo benedicente. Al di sopra sono altri santi dalmati, le cui reliquie erano custodite nell’altare dell’oratorio, i simboli dei quattro evangelisti e le raffigurazioni simboliche di Gerusalemme e di Betlemme.

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26. Mosaico absidale dell’oratorio di S. Venanzio, costruito nel battistero lateranense dai papi Giovanni iv (640-642) e Teodoro (642-649). Sono raffigurati Cristo, la Vergine, i santi Pietro e Paolo, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e i martiri dalmati Venanzio e Donnino.

Il mosaico, che si inserisce ancora nella tradizione artistica delle origini cristiane e segnala esplicitamente la presenza delle reliquie dei santi intercessori sotto l’altare eucaristico, mostra nel numero dei santi, nella dissoluzione del tradizionale linguaggio formale e della concezione iconografica classica, nella bidimensionalità e tenue plasticità delle figure, nell’allineamento frontale, nell’irrigidirsi dei contorni e delle linee, come infine nella scarsa varietà della tavolozza e della gradazione di ombre e colori, una concezione già medievale, che si ritrova in modo analogo in altri mosaici absidali del tempo, come ad esempio in S. Stefano Rotondo.

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27. Tor Pignattara, rovine del mausoleo di Elena Augusta presso la basilica a deambulatorio dei Ss. Marcellino e Pietro.

Capitolo terzo

Martyria e mausolei di età costantiniana

La basilica a deambulatorio dei Ss. Marcellino e Pietro e il mausoleo dell’imperatrice Elena All’esterno delle mura Aureliane, a sud-est della città, di fronte alla porta Prenestina o Sessoriana, attuale porta Maggiore, sui terreni tra le vie Prenestina e Latina si estendeva sino al quarto miglio una grande proprietà imperiale, un complesso – nella parte interna alle mura –, formato da un palazzo imperiale, un’area a giardini e un quartiere residenziale, il Sessorium e l’annesso palatium Sessorianum. La proprietà, denominata Subaugusta o fundus Lauretum, apparteneva secondo il Liber Pontificalis a Elena, madre dell’imperatore Costantino1. Essa comprendeva, all’esterno delle mura, una residenza o villa imperiale, di cui non si sono sinora identificati i resti, e lo spiazzo per le esercitazioni degli equites singulares, la guardia imperiale, che avevano – come si è visto – la loro caserma in prossimità delle mura, dove Costantino avrebbe eretto la basilica del Laterano. Nella località detta ad duas lauros («presso i due allori»), di proprietà imperiale, gli equites singulares avevano, accanto ad altre sepolture e aree sepolcrali, la loro necropoli, nelle immediate vicinanze della via Labicana (attuale via Casilina), al terzo miglio. Nella seconda metà del iii secolo, epoca in cui non si ebbero persecuzioni, nei pressi si scavarono alcune catacombe, cioè cimiteri cristiani ipogei divenuti in seguito tra i più significativi di questo tipo, utilizzati da ultimo dalla comunità cristiana di Roma. Qui vennero sepolti alcuni martiri della persecuzione di Diocleziano, che nel 303 travolse la comunità con violenza e brutalità. Nel più antico calendario liturgico cristiano, del 336, è nominato come presente nella catacomba solo il martire Gorgonio, seguito da Marcellinus presbyter e Petrus exorcista, per i quali non si dispone di notizie storicamente accertate oltre quella della

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sepoltura, e un non meglio conosciuto Tiburzio, probabilmente inumato in una tomba subdiale della stessa area cimiteriale. Sulla catacomba, nel terreno di pertinenza imperiale del cimitero suburbano degli equites singulares, Costantino eresse secondo il Liber Pontificalis una basilica, come hanno dimostrato ricerche e scavi degli ultimi decenni2. L’ubicazione alle porte della città, sulla via Labicana, era strettamente connessa al Laterano. Se in quel luogo, per costruire la cattedrale l’imperatore mise a disposizione del vescovo i castra della disciolta guardia imperiale, qui invece fece costruire sull’ex cimitero della guardia imperiale una chiesa dedicata alla memoria dei martiri della persecuzione di Diocleziano. Le stele funerarie delle guardie imperiali vennero reimpiegate, nell’ottica di una damnatio memoriae, come materiale da costruzione per le fondazioni della chiesa. L’erezione in questo luogo della basilica costituisce senza dubbio un fatto di rilevanza politica. Con la fondazione di una chiesa sul cimitero di quella guardia imperiale che lo aveva sfidato a ponte Milvio, l’imperatore garantiva a se stesso e allo Stato la protezione del Dio cristiano, e affidava ai cittadini dell’impero la fede che i martiri avevano testimoniato. Della basilica, di 65 m di lunghezza per 29 di larghezza, si conservano solo i muri di fondazione, individuati negli scavi. A tre navate, si differenziava da quella lateranense sia nell’alzato sia nella distribuzione planimetrica. Le pareti al di sopra delle arcate della navata maggiore non poggiavano su colonne, ma su pilastri; le due navate laterali, più basse, erano larghe circa la metà (6 m) rispetto alla mediana (13 m) e formavano un ambulacro attorno a questa, con arcate che giravano a semicerchio, così che la chiesa assumeva in pianta una forma simile a quella di un circo (“basilica circiforme”). A est l’edificio presentava un nartece leggermente in obliquo, un corpo anteriore alto quanto le navate

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Martyria e mausolei di età costantiniana 28. Mausoleo dell’imperatrice Elena. Veduta da est.

laterali aperto verso l’interno della basilica da porte sormontate da archi. Su entrambi i lati lunghi la basilica era fiancheggiata da cortili, di cui quello sud cinto su tre lati da un portico di oltre 40 m di lunghezza, raccordato da una parte al vestibolo e dall’altra all’abside. Lo sviluppo irregolare dell’area, che a nord misurava 60 m di lato e i cui muri perimetrali sud in alcuni punti risultano precedere la basilica, fu forse condizionato dal cimitero degli equites singulares, su cui sorsero la basilica e il mausoleo. Alla fine del iv secolo nei cortili a nord e a sud della basilica vennero costruiti alcuni mausolei, piccole aule concluse da un’abside. Quello a nord, addossato all’abside, posto sopra le tombe dei martiri Marcellino e Pietro erette in forma monumentale nella catacomba sotto papa Damaso (366-384), si è conservato sino a oggi, e funge da chiesa del vicino orfanotrofio. Alla basilica non si accedeva dalla fronte del nartece a est, ma dal portico del cortile a sud, collegato da una scalinata alla via Labicana (Docum. iv.1.2). È probabile che tale disposizione fosse dettata dal limite del cimitero della guardia imperiale. Nel corso del iv secolo la vicina catacomba si estese anche sotto la chiesa, e fu resa accessibile ai pellegrini direttamente dalla basilica e dal cortile a sud per mezzo di scale, in modo che le tombe dei martiri fossero raggiunte più facilmente, senza bisogno di lunghi percorsi attraverso le catacombe. I cortili e il pavimento stesso della basilica furono occupati da tombe disposte su file regolari. La fondazione costantiniana doveva essere senza dubbio di particolare importanza, poiché in una seconda fase costruttiva a est, in posizione privilegiata sul medesimo asse longitudinale, vi venne annesso un grande mausoleo circolare preceduto da un nartece. Del mausoleo, nel quale intorno al 329 secondo il Liber Pontificalis sarebbe stata sepolta la madre di Costantino, Elena Augusta, morta a circa ottant’anni, si sono conservate ampie parti ridotte oggi a pittoresca rovina3. Dalla presenza di anfore fittili inglobate nella struttura della cupola per alleggerire le spinte dell’opus caementicium, e ancora visibili nei punti di rottura, deriva l’appellativo di Tor Pignattara («torre delle pignatte»), esteso oggi al circostante quartiere. Al muro est del nartece della basilica, leggermente obliquo, sopraelevato nella parte mediana a costituire una sorta di prolungamento della parete superiore della navata centrale, fu raccordato, con un parziale slittamento assiale, il vestibolo del mausoleo, poco più ampio della basilica, strutturato come una sorta di navata trasversa, con un’apertura tripartita che consentiva di passare direttamente dall’interno della chiesa al mausoleo coperto a cupola. Con l’aggiunta del mausoleo e del vestibolo, e dopo le modifiche resesi necessarie nella parte orientale della basilica, ebbe origine un complesso unitario tripartito, la cui articolazione in un piano inferiore e in uno superiore

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finestrato si ripete nell’alzato del mausoleo e della basilica. Non è possibile stabilire con certezza se nartece e basilica presentassero la medesima altezza al colmo. La sopraelevazione del muro perimetrale del mausoleo in una seconda fase del cantiere tenne probabilmente conto del punto di raccordo tra il colmo del tetto continuo della basilica e del nartece con il corpo del mausoleo. Nella parte inferiore del muro perimetrale del mausoleo, che ha un diametro interno di 20 m, si aprono quattro grandi nicchie rettangolari sugli assi principali e tre semicircolari su quelli diagonali, che ne riducono a 1 m lo spessore di 3,75 m, e che danno l’impressione di una dilatazione in profondità dello spazio. Nella nicchia maggiore, larga 5,60 m, posta in corrispondenza del lato opposto all’ingresso, si trovava un imponente sarcofago in porfido (2,70 m di lunghezza per 1,80 di altezza), trasferito a metà dell’xi secolo in Laterano per essere utilizzato come tomba di papa Anastasio iv (1153-1154). Il sarcofago, oggi nei Musei Vaticani, è decorato sui quattro lati da altorilievi con scene di battaglia che raffigurano la vittoria di cavalieri romani contro i barbari. All’esterno, il muro del mausoleo arretra superiormente, così che l’edificio appare articolato su due livelli. Il registro superiore è scandito da sette nicchie semicilindriche che giungono sino all’imposta della cupola, traforate da grandi finestre ad arco che consentono l’illuminazione interna. L’ipotesi ricostruttiva – proposta in base alle indagini più recenti effettuate durante il restauro dell’edificio – della presenza di un oculo al centro della cupola, sull’esempio del Pantheon, è da scartare, anche se in effetti tale soluzione ricorre anche nel tempio della Tosse a Tivoli, altro edificio a pianta circolare del iv secolo, di analogo tipo, ma di diversa funzione. L’interno del mausoleo era però già bene illuminato dalle grandi finestre, e non necessitava di ulteriore luce dall’alto. Anche le pratiche liturgiche da svolgere presso l’altare, posto davanti alla nicchia del sarcofago, ricondotto tradizionalmente al momento della fondazione, escluderebbero la presenza di un’apertura nella cupola4. Il pozzo individuato al centro dell’invaso, la cui presenza potrebbe avvalorare l’ipotesi di un’apertura nella cupola, è certamente di epoca medievale, come attesta il riempimento con materiali ceramici e di demolizione esclusivamente di tale periodo. Sia la parte inferiore sia quella superiore dell’edificio sono concluse all’esterno da una cornice a modiglioni. Del rivestimento a intonaco dell’esterno, che i ritrovamenti in altri grandi edifici tardoantichi indurrebbero a supporre anche qui, si sono conservate solamente tracce di colore rosso nella parte bassa del piano inferiore. L’interno del mausoleo, sino all’imposta della cupola, e quello del nartece erano rivestiti da preziose incrostazioni marmoree. Le ricerche più recenti hanno consentito di ricostruirne

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l’articolazione attraverso i fori delle grappe e i frammenti conservati delle lastre. Si trattava di grandi rettangoli marmorei su più registri sovrapposti, inquadrati da fasce più strette e separati da cornici anch’esse in marmo. A partire dai frammenti rinvenuti in situ è stato possibile ricostruire anche il ricco rivestimento pavimentale del mausoleo, costituito da grandi lastre quadrate in marmo cipollino, di 1,80 m di lato, delimitate da larghe fasce di marmo bianco. La preziosa e fastosa decorazione era completata nella copertura voltata da un mosaico, di cui si sono conservati piccoli frammenti nella cupola e impronte delle tessere nelle nicchie. Il colorato rivestimento ornamentale a mosaico e in lastre di marmo che ricopriva pareti, nicchie e volte annullava, combinato con l’effetto di rifrazione della luce, la percezione dell’ambiente chiuso dalle pareti, dilatandone i confini. La tecnica muraria, il ritrovamento di laterizi con bolli di età costantiniana e quello di una moneta fior di conio risalente a un’emissione del 324-326 nella malta dell’incrostazione marmorea inducono a datare il mausoleo al primo terzo del iv secolo e la chiesa, di poco precedente, al secondo decennio del secolo, al più tardi attorno al 320. Alla medesima epoca rinviano anche le cospicue donazioni fondiarie che, secondo quanto è attestato dal Liber Pontificalis, l’imperatore destinò al mantenimento della chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro, inferiori soltanto a quelle assegnate alle grandi chiese di fondazione imperiale del Laterano, di S. Pietro e di S. Paolo5. Anche in ciò si manifesta l’importanza della fondazione della via Labicana, prima chiesa della capitale eretta in memoria dei martiri e per il loro culto. Le terre cedute alla basilica erano situate tutte nella parte occidentale dell’impero, cui sino al 324 si limitava il controllo di Costantino. La basilica della via Labicana dovette essere perciò costruita subito dopo quella del Laterano. Sia l’impianto sia la decorazione interna del monumentale complesso, costruito su un fundus imperiale, rispecchiano l’importanza che Costantino gli attribuiva. Il mausoleo sviluppa ulteriormente il tipo imperiale tardoantico della pianta circolare, trasformato in base alle nuove esigenze di culto. Si dovette rinunciare così al vestibolo colonnato, presente invece, come forma di ostentazione, nel di poco più antico mausoleo di Massenzio sulla via Appia, perché il monumento funerario costantiniano era collegato direttamente alla basilica. D’altro canto, a differenza dei mausolei precedenti, era divenuto necessario illuminare bene l’interno per consentire lo svolgimento presso l’altare delle pratiche liturgiche. Con la creazione di un corpo estremamente articolato in altezza, e l’inserzione di finestre nel muro sottostante la cupola, si riprende il modello della rotonda con piano superiore finestrato, tipo che nell’ambito dell’architettura imperiale

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tardoantica aveva trovato espressione soprattutto nelle grandi aule termali. A differenza però di questi ambienti, come ad esempio i grandi caldaria delle terme di Caracalla e di quelle di Costantino, piano inferiore e piano superiore finestrato vengono qui distinti mediante l’arretramento del secondo. Nuovo e privo di precedenti nell’architettura romana è lo stretto legame tra mausoleo ed edificio di culto, che costituiscono un complesso unitario, disposto lungo il medesimo asse e focalizzato su due poli: l’abside della chiesa a ovest e il mausoleo a est. Secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, sia nel mausoleo – il cui vano interno era segnalato come luogo di culto grazie alla presenza del piano superiore finestrato –, sia davanti all’abside occidentale era collocato un altare, donato da Costantino per la celebrazione dell’eucaristia6. A fungere da raccordo tra la basilica a pianta longitudinale e l’edificio del mausoleo a pianta centrale è il nartece, inserito come una sorta di corpo trasversale. Questa disposizione, che ricorda le complesse strutture assiali dell’architettura imperiale, se da una parte racchiude in un blocco unitario mausoleo e chiesa, dall’altra, separando i due edifici con il vestibolo trasverso, ne sottolinea la differente funzione: la celebrazione del solenne rito eucaristico comunitario nella basilica, il culto funerario imperiale nel monumentale mausoleo. Che in origine Costantino avesse probabilmente previsto di erigere l’edificio come mausoleo imperiale destinandolo a proprio luogo di sepoltura è suggerito non solo dalla rotonda in sé, annessa alla basilica in posizione privilegiata sull’asse principale, ma soprattutto, oltre che dalla sua sontuosa decorazione, dalla presenza dello straordinario sarcofago in porfido scolpito con scene di battaglia, che non poteva che essere destinato allo stesso imperatore. Al culto erano destinati entrambi gli altari del mausoleo e della basilica, donati da Costantino insieme a candelabri d’argento e preziose suppellettili liturgiche in metalli preziosi. Come sottolinea espressamente il Liber Pontificalis, nel mausoleo l’altare era collocato davanti alla tomba (ante sepulcrum), serviva cioè alla celebrazione del sacrificio eucaristico presso la tomba dell’imperatore. Sconfitto nel 324 Licinio, reggente la parte orientale dell’impero, Costantino fonda nello stesso anno sulle rive del Bosforo, sul luogo dell’antica Bisanzio, una nuova residenza imperiale, e nella nuova metropoli, che da lui prese il nome di Costantinopoli, erige un altro mausoleo, ancora una volta annesso a una chiesa di fondazione imperiale, come a Roma quella dei Ss. Marcellino e Pietro: la basilica dei Ss. Apostoli, oggi scomparsa. Nel mausoleo romano della via Labicana – secondo quanto riferisce Eusebio, che non a caso lo definisce «sepolcro imperiale» – venne invece sepolta intorno al 329 Elena, la madre di Costantino7.

Per fasto e modernità della concezione architettonica la fondazione imperiale non era inferiore a quella della basilica del Laterano. Nuovo e senza precedenti era però il legame diretto tra edificio di culto e mausoleo. La correlazione assiale dei due edifici corrispondeva invece a una tradizione dell’architettura imperiale, già testimoniata ad esempio nel foro di Traiano dall’allineamento bipolare sul medesimo asse di colonna, con alla base l’urna cineraria dell’imperatore, basilica disposta trasversalmente, cortile colonnato e tempio imperiale. La basilica, dedicata al culto memoriale, assunse tuttavia una fisionomia distinta rispetto al Laterano, ovvero quella specifica di basilica a deambulatorio (o “circiforme”). Questo tipo, caratterizzato dalle navate laterali che si prolungavano intorno all’abside, rispondeva evidentemente, secondo modalità oggi difficili da ricostruire, sia alle esigenze della celebrazione eucaristica presso l’altare da parte della comunità e delle commemorazioni private che pure vi si svolgevano in onore dei defunti tumulati dentro e intorno all’edificio, sia alla necessità di disporre all’interno della chiesa di uno spazio il più possibile ampio da destinare alle sepolture. Il fatto che anche il vestibolo del mausoleo imperiale fosse fittamente coperto da tombe di epoca costantiniana disposte su file regolari dimostra che, probabilmente, fu in sostanza quest’ultima ragione a determinare la forma dell’edificio, e mostra quanto ambita fosse la sepoltura vicino e all’interno della basilica, nelle immediate vicinanze del salvifico altare sacrificale. Con un distacco più accentuato dal tipo della basilica civile sono qui adottate arcate su pilastri, che proseguono organicamente nel piano superiore finestrato, il cleristorio, senza cesure nel catino absidale. Fondandosi sulle premesse dell’architettura romana, l’elemento spaziale determinante è qui costituito dalla struttura muraria che, già adottata nell’edilizia civile, ad alzato unitario su due piani con finestre centinate, propone una soluzione che prelude all’edilizia medievale. Le tombe dei martiri sepolti nelle catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro, al terzo miglio della via Labicana, vennero isolate e monumentalizzate, per iniziativa di papa Damaso (366-384), attraverso una serie di elementi architettonici, segno della crescente devozione cui contribuì anche la costruzione della basilica costantiniana a deambulatorio. Le iscrizioni metriche composte dallo stesso pontefice e sontuosamente scolpite nella pietra da un calligrafo, erano destinate a sancire il valore e la fama dei due martiri. Purtroppo queste non forniscono pressoché alcuna informazione sui martiri stessi, su cui già verso la fine del iv secolo non si avevano più notizie attendibili. Soltanto nel vi secolo, attraverso il Liber Pontificalis, si apprende per la prima volta che la basilica era dedicata ai santi Marcellino e Pietro. Probabilmente

in origine la chiesa costantiniana non era dedicata a martiri specifici, ma genericamente al culto eucaristico, in sostituzione di quello tradizionale dei morti lì sepolti. Ciò lascia intendere che la motivazione sostanziale per l’edificazione della chiesa proprio su un possedimento imperiale risiedesse non tanto nella devozione verso i martiri, quanto nell’apprestamento di un mausoleo quale luogo di culto per l’imperatore connesso a un edificio per il culto martiriale, così che la commemorazione imperiale avesse un ruolo privilegiato nell’ambito di questo. La basilica dei Ss. Marcellino e Pietro non è l’unica nel suo genere: altre sei basiliche del medesimo tipo, quasi tutte connesse a mausolei e occupate all’interno e nelle immediate vicinanze da migliaia di sepolture, sorsero sotto la dinastia costantiniana lungo le principali arterie stradali di uscita dalla città, sopra le catacombe, ampliando le aree cimiteriali. Segno tangibile del fiorire del culto e della devozione dei martiri di Cristo e della fede cristiana, esprimono il credo religioso del tempo. In particolare, l’idea veicolata dall’Apocalisse di Giovanni che i martiri, per i loro meriti e soprattutto per lo stesso martirio che monda da ogni peccato, partecipino già della grazia divina vivendo al cospetto di Dio8, mentre le anime dei comuni mortali saranno chiamate solo nel giorno del giudizio, ebbe molta presa sui fedeli. Si cercava di assicurarsi l’intercessione dei martiri anche attraverso la vicinanza del luogo di sepoltura alle loro tombe: il fenomeno portò nel iv secolo all’ampliamento delle catacombe e allo sviluppo di sontuose aree sepolcrali attorno alle tombe dei martiri, dotate di sfarzosi apparati decorativi, e alla costruzione al di sopra delle catacombe dei martiri di chiese cimiteriali, mausolei e tombe dentro e attorno a queste. Il legame tra gli edifici per il culto dei martiri e dei defunti e il mausoleo imperiale, riuniti in un inedito e significativo insieme architettonico, al cui interno il mausoleo col proprio altare diviene a sua volta luogo di culto, pone l’imperatore in una posizione di rilievo nella celebrazione eucaristica in onore dei martiri. Attraverso il nesso architettonico tra culto dei martiri e venerazione dell’imperatore, Costantino cerca chiaramente di sostituire la tradizionale divinizzazione del sovrano, la sua elevazione tra le divinità dopo la morte, e di “cristianizzare” in tal modo il culto imperiale, elemento fondamentale della concezione dello Stato romano. La basilica della via Labicana, sorta sull’imperiale fundus ad duas lauros, come edificio per il culto dell’imperatore in stretta connessione col mausoleo, caratterizzata dall’ampiezza dei possedimenti terrieri donati, venne costruita subito dopo quella del Laterano: doveva essere quindi una delle più antiche tra le chiese cimiteriali a deambulatorio nel suburbium di Roma e – insieme

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Martyria e mausolei di età costantiniana 29. Mausoleo e resti della basilica a deambulatorio di Tor de’ Schiavi.

a quella lateranense, sede vescovile in posizione privilegiata nei pressi della residenza costantiniana nella parte sudorientale della città – un elemento carico di significato nell’ambito della politica edilizia dell’imperatore. Nell’alto Medioevo venne più volte restaurata, ad esempio sotto il pontificato di Adriano i (772-779), con la creazione di un accesso alle tombe dei martiri dall’interno della chiesa, in modo da facilitarne la visita da parte dei pellegrini. La sottrazione delle spoglie di entrambi i santi titolari, compiuta nell’827 da alcuni monaci franchi per incarico di Eginardo, rettore della scuola palatina e fedelissimo di Carlo Magno, lascia supporre che in quest’epoca la chiesa fosse meno frequentata, cosa che dette avvio alla decadenza del complesso.

La basilica a deambulatorio e il mausoleo di Tor de’ Schiavi La basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, una delle più antiche a deambulatorio, condivide tale primato con un altro edificio dello stesso tipo, posto fuori le porte della città, al terzo miglio della via

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Prenestina, nelle immediate vicinanze delle imponenti rovine di una grande villa suburbana e del cosiddetto mausoleo di Tor de’ Schiavi, o mausoleo dei Gordiani. Planimetricamente identico alla basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, l’edificio fu riportato in luce grazie a una serie di campagne di scavi condotte nel 1883, nel 1958-1959 e nel 1986. Lungo 66 m, con navata mediana larga 12 e laterali di 6, presenta effettivamente proporzioni analoghe a quelle della basilica della via Labicana, così come la facciata orientale disposta in obliquo. All’interno è scandita in tre navate da arcate su pilastri. Verso ovest, prima delle arcate dell’abside della navata centrale, correva una fila di archi parallela alla facciata, quindi inclinata, che individuava una sorta di presbiterio rispetto alla navata, una soluzione che diventerà caratteristica nelle costruzioni di questo tipo, tra cui la basilica a deambulatorio di S. Sebastiano sulla via Appia, di cui si dirà più oltre. La monumentale rotonda cupolata del mausoleo di Tor de’ Schiavi, con diametro interno di circa 19 m e muri perimetrali posti ad appena 3 m a est dell’abside della basilica, è in mattoni, in parte con bolli di fabbrica di epoca tetrarchica. Essi non forniscono comunque un aggancio certo per la datazione dell’edificio,

30. Mausoleo e basilica a deambulatorio di Tor de’ Schiavi. Veduta da est.

poiché mattoni con bolli simili, prelevati dai tegularia, i depositi di mattoni, venivano impiegati ancora in edifici dell’età di Massenzio e di Costantino, come nelle terme di Massenzio sul Palatino e in quelle di Costantino sul Viminale. Da questi reperti si può comunque dedurre per lo meno che il mausoleo venne costruito nei primi decenni del iv secolo. La tomba monumentale, che corrisponde ai canoni tipologici e dimensionali dei mausolei imperiali tardoantichi a pianta circolare, segue la tradizionale struttura romana con camera funeraria al piano terreno e soprastante sala per le cerimonie in onore del defunto. Il mausoleo si erge sopra una collinetta, ben visibile anche da lontano. Non è collegato, né dal punto di vista architettonico né da un orientamento unitario, alla basilica che sorge immediatamente a est. L’imponente facciata del monumentale, simbolico mausoleo, con portico a quattro colonne coronato da un timpano, si dispiega ostentatamente sulla via Prenestina, e doveva decisamente torreggiare con i suoi 18 m di altezza sugli edifici funerari circostanti. I pilastri della basilica, che nella porzione absidale si sono conservati fino a 3,50 m di altezza, con arcate di 2,50 m di luce e notevole spessore murario, corrispondevano all’altezza del podio del mausoleo. Anche la basilica doveva presentare un

livello sopraelevato a podio, il cui impiego come sepolcreto è stato dimostrato dagli scavi. Gli edifici erano quindi con tutta probabilità reciprocamente correlati nella strutturazione e nella funzione dell’elevato. L’opera muraria della basilica, il cosiddetto opus listatum, che nei pilastri è realizzata con doppie file alternate di mattoni e blocchi di tufo, è del tutto confrontabile per fattura ad altre basiliche a deambulatorio, come ad esempio S. Agnese. Ciò induce a collocare l’erezione dell’edificio agli inizi del iv secolo, in età costantiniana. La tecnica edilizia porta comunque ad escludere una datazione più tarda. Mausoleo e basilica non sono orientati nella stessa direzione, ma sono comunque allineati su un medesimo asse. Posti a neppure 3 m di distanza nel punto più prossimo, i due edifici, sostanzialmente contemporanei, sono sorti probabilmente su un’unica proprietà terriera. Risulta verosimile perciò l’ipotesi che si tratti in entrambi i casi di fondazioni riferibili alla famiglia imperiale. La sontuosa villa confinante, di cui sono ancora riconoscibili gli imponenti resti, faceva parte di un vasto possedimento dell’imperatore, parte del fundus Lauretum sulla via Labicana, presso la proprietà ad duas lauros, sede della già descritta basilica a deambulatorio e del mausoleo imperiale.

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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Martyria e mausolei di età costantiniana Alle pagine precedenti: 31. Mausoleo e resti della basilica a deambulatorio di Tor de’ Schiavi. In alto, le rovine dell’ipotetica villa imperiale (cosiddetta villa dei Gordiani).

Purtroppo nel caso della via Prenestina si ignora il nome del proprietario del monumentale mausoleo e della piccola catacomba, che potrebbe essere connessa alla basilica, così come il nome del fondatore della basilica e a chi questa fosse eventualmente consacrata. A tal proposito le fonti storiche relative alle altre basiliche cimiteriali esterne alla città tacciono del tutto. Allo stesso modo manca una tradizione di culto legata al luogo, mentre per le altre basiliche cimiteriali, pur essendo andate distrutte nel corso dei secoli, ancora oggi se ne mantiene il ricordo associato ai luoghi sacri. Dal momento che, come si vedrà, per ubicazione, pianta e dimensioni l’unico confronto possibile è con il gruppo delle basiliche a deambulatorio di età costantiniana, anche questo edificio doveva avere una destinazione cristiana. Tali elementi, oltre alla presenza di sepolture all’interno della basilica e alla connessione diretta con il vicino mausoleo, ne provano la consacrazione al culto eucaristico dei morti. Si può pertanto ipotizzare che anche questa basilica sia una fondazione imperiale, così come il monumentale mausoleo, che con la sua posizione predominante, la dimensione architettonica e l’apparato decorativo interno con un prezioso rivestimento marmoreo corrisponde in pieno al tipo tardoantico dei mausolei imperiali, e deve essere appartenuto a un membro della famiglia imperiale. La presenza del portico timpanato, tratto dal tempio classico, che già caratterizzava il Pantheon, induce ad accostare il mausoleo di Tor de’ Schiavi a un altro mausoleo imperiale coevo, quello costruito dall’imperatore Massenzio (306-312) sulla via Appia come sepolcro della dinastia. Le finestre circolari all’imposta della cupola, che sostituiscono l’oculo centrale nella cupola del mausoleo di Massenzio, manifestano specificamente anche all’esterno la destinazione dell’interno al culto dei defunti. L’adozione del cleristorio, già presente in precedenti edifici a pianta centrale come la sala poligonale della cosiddetta villa dei Gordiani, ubicata nei pressi, verrà poco più tardi ulteriormente proseguita e ampliata nei mausolei imperiali di Tor Pignattara e di S. Costanza sulla Nomentana, in coincidenza con l’accentuarsi dell’importanza dell’ambiente interno come luogo di culto. Il portico timpanato non rende però il mausoleo di Tor de’ Schiavi un tempio pagano: come nel caso del portico anulare, sorta di peristasi, del mausoleo della via Nomentana, appartenente a Costantina Augusta (poi chiesa di S. Costanza), figlia di Costantino – anch’esso desunto dall’architettura del tempio classico e di cui si parlerà in seguito –, si tratta piuttosto di un elemento di prestigio che doveva conferirgli nobiltà, sontuosità e solennità. Nella loro qualità di elementi architettonici di prestigio, il portico timpanato e il portico anulare non esprimono l’appartenenza religiosa del proprietario. Solo la raffigurazione al vertice della cupola di Giove in trono, oggi sbia-

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dita, ma documentata da disegni del xvii-xviii secolo, potrebbe contraddire l’attribuzione del mausoleo di Tor de’ Schiavi a un proprietario cristiano. L’immagine, riferibile in ogni caso a un defunto appartenente alla cerchia imperiale, è piuttosto da interpretare come un simbolo di potere, così come gli elementi desunti dal culto solare nella raffigurazione di Costantino, compatibili col suo passaggio al cristianesimo. In ogni caso l’iconografia non è da intendere come un simbolo di apoteosi. L’allineamento approssimativo di mausoleo e basilica sul medesimo asse, in uno spazio ristretto, ma con orientamento distinto – il mausoleo verso la strada, la basilica con l’ingresso a est, com’era consuetudine per l’epoca –, suggerisce che si tratti di una versione precoce, se non la prima, di questo tipo di edifici, nei quali non si ricerca ancora una stretta correlazione architettonica tra i due elementi. I piani soprastanti il podio del mausoleo e quello della basilica, strutturalmente simili, erano funzionali al culto dei defunti, mentre quello inferiore accoglieva le sepolture. Anche qui è evidente la finalità di questo tipo di impianto strutturale, che subordina la basilica al mausoleo e rende il facoltoso proprietario partecipe in modo privilegiato del culto eucaristico dei morti. Che si tratti di una prima fondazione, che ha presto lasciato spazio all’edificazione del complesso di Tor Pignattara? La villa suburbana immediatamente a ovest, di cui si conservano resti consistenti, era nella prima metà del iii secolo probabilmente proprietà della famiglia imperiale dei Gordiani9, secondo i dati non verificabili della Historia Augusta, fonte storica del tardo iv secolo. La villa dei Gordiani, che secondo le descrizioni delle fonti era eccezionalmente lussuosa e includeva tre grandi ambienti basilicali, un colossale portico, uno stadium porticato, un tempio circolare e altri prestigiosi edifici non identificabili nei ruderi attualmente conservati, apparteneva in epoca costantiniana insieme ad altri fondi (come la basilica dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana) alla regio Subaugusta, che si estendeva tra la via Latina e la Prenestina. Anche l’ubicazione topografica sembrerebbe quindi suggerire che il mausoleo di Tor de’ Schiavi fosse costruito per un membro della famiglia imperiale. Il fatto che non siano state tramandate notizie di nomi di martiri legati alla basilica della via Prenestina indicherebbe di nuovo la connessione tra la consacrazione della chiesa e i possedimenti imperiali, e una generica dedica al culto dei martiri e dei defunti sepolti nei cimiteri vicini, piuttosto che il culto di un martire particolare. Si è già riscontrata una situazione simile a proposito della basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, per la quale è possibile documentare la specifica dedicazione ai due martiri solo nel vi secolo. Verosimilmente nella basilica di Tor de’ Schiavi in quest’epoca il culto era già stato abbandonato, e non si ebbe dunque alla fine

32. Basilica a deambulatorio di S. Sebastiano (basilica Apostolorum), con il campanile medievale, la cappella e le lanterne del xvii secolo. Veduta dell’abside verso est.

dell’Antichità l’intitolazione a un martire preciso, come avvenne per la basilica della Labicana: il ricordo dell’antico luogo di culto non è sopravvissuto al tempo.

La basilica Apostolorum a deambulatorio (S. Sebastiano) Qualcosa in più rispetto alla basilica della via Prenestina è noto riguardo a un altro edificio appartenente al gruppo delle basiliche cimiteriali, benché non sia citato dal Liber Pontificalis né se ne conosca il fondatore. Si tratta di un complesso che le fonti antiche definiscono basilica Apostolorum, al secondo miglio della via Appia, unico tra le sette basiliche cimiteriali romane ad essersi per la maggior parte conservato. L’attuale chiesa di S. Sebastiano mantiene ancora in buona misura la struttura antica, seppure celata dal rivestimento barocco. L’edificio misura 73 m di lunghezza per 30 di larghezza, e supera quindi in dimensioni entrambe le basiliche viste in precedenza. Malgrado le alterazioni barocche a seguito del restauro del 1608 voluto dal cardinale Scipione Borghese, può dare ancora oggi un’impressione dell’aspetto, delle proporzioni e della spazialità di questo tipo di edifici. Anche qui si ritrova una basilica orientata est-ovest con facciata a est disposta in obliquo, elemento che caratterizzava già le basiliche della via Labicana e della Prenestina. Per questa e altre particolarità le tre basiliche costituiscono un gruppo omogeneo per misure, proporzioni e planimetria, ed è probabile che siano state costruite nel medesimo arco di tempo. Le irregolarità nello sviluppo della basilica di S. Sebastiano, ad esempio la diversa ampiezza delle navate laterali, sono probabilmente da ricondurre alla difficoltà di costruire su un terreno in forte pendenza e al di sopra di sepolcreti più antichi, su cui già sorgevano monumentali edifici funerari (Docum. vi.6). Sulla soglia di un ingresso del cortile verso la via Appia è scolpito un monogramma, interpretabile come Constantinus, Constans o Constantius. La datazione dell’edificio è perciò riferibile ai regni dell’imperatore Costantino (312-337) e dei figli Costantino ii, Costanzo i o Costanzo ii, dunque entro il 361. La data costituisce tuttavia solo un termine ante quem. Dal momento che le oltre quattrocento sepolture tra tombe in muratura e sarcofagi che formano il pavimento della basilica sono databili, sulla base dei rilievi figurati, di monete e iscrizioni, dai primi decenni alla fine del iv secolo, la costruzione della basilica dovrebbe risalire alla prima età costantiniana. Anche l’opera muraria suggerisce tale collocazione temporale. Si tratta ancora una volta di un opus listatum composto

da file alternate di tufelli e mattoni, che coincide in tutto con la tecnica impiegata nel vasto complesso costruito da Massenzio di fronte a S. Sebastiano, sul lato opposto della via Appia, comprendente un palazzo, un circo e un mausoleo. Dopo la battaglia di ponte Milvio, in cui Massenzio perse la vita, e la conseguente interruzione dei lavori da lui commissionati, può essere che Costantino abbia rilevato il cantiere già attivo in loco per costruire la basilica Apostolorum sull’altro lato della via. Essa potrebbe quindi essere sorta subito dopo la vittoria di Costantino a ponte Milvio, e forse quasi contemporaneamente alla basilica della Labicana. Fino a tempi recenti si è d’altro canto supposto che, proprio per l’adozione della medesima tecnica muraria nella basilica Apostolorum e nel palazzo di Massenzio nell’area antistante la basilica, questa fosse stata eretta già sotto Massenzio (306-312), tanto più che già prima di Costantino questi aveva condotto nei propri domini, e dunque anche nella capitale, una politica favorevole ai cristiani. Con Massenzio come fondatore si spiegherebbe facilmente anche il silenzio delle fonti ecclesiastiche – in primo luogo del Liber Pontificalis – riguardo alla committenza dell’edificio, poiché dopo la vittoria di Costantino a ponte Milvio non vi era più alcun interesse a ricordare il nemico dell’imperatore quale fondatore della chiesa. Tuttavia l’ipotesi che sia stato Massenzio a far costruire la basilica Apostolorum, o comunque a promuoverne l’erezione mediante la donazione di terreni, si scontra con alcune difficoltà, perché sotto Massenzio, come si è visto, le premesse giuridiche per la nascita di un monumentale complesso ufficiale di tal genere come proprietà della comunità non si erano ancora poste: la base giuridica per l’istituzione e l’edificazione di grandi complessi ecclesiastici, così come la garanzia della loro proprietà da parte della Chiesa quale soggetto giuridico, può risalire al più alla data dell’editto di Costantino, nel 313, presupposto legale anche per la costruzione della basilica lateranense. Come si apprende da Eusebio, dal Liber Pontificalis e da varie epigrafi, il programma edilizio chiesastico di Costantino era frutto di uno stretto rapporto con le autorità ecclesiastiche e con i vescovi. Tutto ciò porta a escludere la responsabilità di Massenzio per la basilica Apostolorum. Come nel caso delle basiliche della via Prenestina e della Labicana, anche la basilica degli Apostoli è spartita da pilastri, con le navate laterali che proseguono a est e a ovest intorno alla navata centrale, chiusa da un’abside semicircolare con arcate a tutto sesto. Davanti all’abside della navata mediana, una serie di arcate trasversali delimita, come nella basilica della via Prenestina e in quella a deambulatorio della via Ardeatina che si vedranno più oltre, una sorta di presbiterio separato, ulteriore

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Martyria e mausolei di età costantiniana 33. Basilica a deambulatorio di S. Sebastiano (basilica Apostolorum), età costantiniana. Veduta dell’abside.

indizio della connotazione cristiana dell’edificio di Tor de’ Schiavi. Nella chiesa attuale, il cui rifacimento barocco ha incluso solo la navata mediana dell’edificio originario, sono conservate ampie porzioni dei pilastri e del cleristorio sino al tetto, e parti dei muri esterni del deambulatorio e delle navate laterali che, restaurate e trasformate oggi in museo, consentono ancora di distinguere bene il nucleo architettonico della chiesa antica in corrispondenza della parete esterna a nord e a sud dell’abside. Sul lato d’ingresso verso est la navata centrale si apriva con tre arcate sul prolungamento delle laterali, che formavano una sorta di nartece interno, accessibile dal cortile antistante attraverso cinque arcate che abbracciavano l’intera larghezza della facciata. A est la chiesa si presentava come una grande aula aperta, che consentiva l’accesso simultaneo di un gran numero di persone. Questa disposizione, con la navata laterale che corre intorno alla centrale precedendola come una sorta di nartece interno, richiama quella della basilica di Tor Pignattara nella fase precedente l’aggiunta del mausoleo. Nel cleristorio della navata mediana a ogni arcata corrispondeva una soprastante finestra, mentre l’abside disponeva solo di due finestre prossime al raccordo con la navata mediana e di altre due al vertice dell’arcone absidale. Le navate laterali erano illuminate da strette feritoie, cosicché la luminosità della navata centrale contrastava con la penombra delle laterali e con l’ambulacro absidale, pure scarsamente illuminato. Come è noto, ancora nel xvi secolo l’altare della basilica era al centro della navata principale, una collocazione insolita per l’epoca, spiegabile come retaggio di una tradizione più antica. Se ne può perciò dedurre che anche l’altare della basilica originaria si trovasse nel medesimo luogo. Ciò collima con quanto si conosce a proposito della collocazione dell’altare in altre chiese dell’epoca. Un elemento importante della basilica Apostolorum, così come di quella eretta da Costantino sulla via Labicana, sono i numerosi mausolei annessi, soprattutto quelli del lato sud e alcuni del lato est della facciata e lungo il muro nord della chiesa. A quanto sembra dovevano appartenere a famiglie abbienti e influenti: quelli del lato sud vennero costruiti nel corso del iv secolo, mentre quelli addossati all’abside, al lato nord e alla facciata risalgono al v. Il più antico e il più grande, costituito da una sala lunga almeno 22 m e larga 16, conclusa da un’abside ristretta, si apriva sulla navata laterale sud, più o meno a metà, mediante arcate su colonne. Venne costruito insieme alla basilica, fu cioè progettato e realizzato in concomitanza con questa. Il mausoleo occupava una posizione privilegiata, essendo in asse con l’altare al centro della navata

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mediana, come nel mausoleo imperiale della via Labicana, che nell’orientamento si collegava direttamente all’altare e ai riti eucaristici che vi si celebravano. Non a torto si è ipotizzato che il mausoleo, di dimensioni piuttosto impressionanti, per la posizione privilegiata e per la contemporaneità con la basilica, fosse destinato a un membro della famiglia di Costantino. L’edificio venne dismesso in epoca imprecisata e sostituito verso la fine del iv secolo da due mausolei absidati più piccoli. Di uno di questi, di età costantiniana, si è conservata una triplice arcata con capitelli ionici, che conduceva a un vestibolo comunicante con la navata laterale della basilica. Ai mausolei si affiancava, ultimo della serie sul fianco meridionale della basilica accanto a un ulteriore monumento funerario più grande ad aula con abside rivolta a est, un lussuoso edificio a pianta circolare di circa 17 m di diametro, di tipo tardoantico con cleristorio, nel cui pavimento è stata rinvenuta un’iscrizione funeraria con la data 349. Questa confermerebbe nuovamente l’ipotesi che la basilica sia stata costruita sotto Costantino. Anche sul lato occidentale della chiesa si trova una serie di mausolei, l’ultimo dei quali, costruito quasi a ridosso della conca absidale e detto Platonia, venne eretto sotto il pontificato di Damaso (366-384). Agli inizi del v secolo vi furono trasferite le reliquie di Quirino, vescovo di Siscia in Pannonia, prima delle devastazioni causate dalle invasioni barbariche. L’edificio è caratterizzato da una decorazione a stucco particolarmente ricca, con motivi figurativi e ornamentali di alta qualità. Sul lato settentrionale si sono conservati solo due mausolei più piccoli connessi alla basilica, che a giudicare dalle sontuose decorazioni dei sarcofagi funerari risalgono alla fine del iv secolo. Nella limitrofa area cimiteriale sub divo, edificata attorno alla metà del iv secolo, insistono altri mausolei di dimensioni maggiori, accanto a un importante mausoleo a pianta triconca. Pur non conoscendo i nomi dei proprietari di tutti i mausolei connessi alla basilica o posti nelle sue immediate vicinanze, è comunque possibile ipotizzare che questi prestigiosi edifici siano stati realizzati per distinguersi in ricchezza e rango. A est, davanti alla facciata, si apriva un atrio, spazio di quiete e di riunione, che collegava la chiesa alla via Appia. Occorre domandarsi per quale motivo si sia deciso di costruire una chiesa proprio in questo luogo. Il terreno in pendenza, che verso ovest e sud raggiungeva un dislivello di 8 m, era ben poco adatto alla costruzione di un grande complesso chiesastico. Per gettare le fondamenta della basilica sul lato ovest si dovettero realizzare alte sostruzioni con pilastri di sostegno,

e spianare il terreno. Questi interventi edilizi comportarono l’abbandono di molti edifici preesistenti, e in particolare di una strada, operazione per la quale era necessario un permesso speciale dell’amministrazione imperiale. Gli edifici preesistenti, abbattuti per lasciare spazio alla basilica, con la loro eterogeneità architettonica e di funzioni, sono caratteristici dell’architettura romana sorta lungo le vie di uscita dalla città. Accanto a un gruppo di edifici funerari risalenti alla prima età imperiale allineati in direzione est-ovest, con numerosi colombari, si trovava un vasto complesso, ritenuto una villa (la cosiddetta “villa grande”), decorata da preziose

pitture parietali e rivestimenti marmorei del ii-iii secolo. Il vicino edificio della cosiddetta “villa piccola” disponeva di una sala ipogea decorata con bei dipinti della prima metà del iii secolo, e di edifici dedicati al culto dei defunti. Sopra la villa si trovava una semplice piazza porticata, destinata alla celebrazione di banchetti e alla commemorazione dei defunti sepolti intorno; vi si trovavano anche altri edifici funerari. Per poter costruire su un terreno così difficile, utilizzato per secoli da molti proprietari come luogo di sepoltura e culto dei morti, era necessario un committente autorevole come l’imperatore, e serviva senza dubbio una ragione importante.

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Le prime chiese di Roma 34. S. Sebastiano (basilica Apostolorum). Veduta del deambulatorio absidale e delle arcate su pilastri della navata maggiore.

Martyria e mausolei di età costantiniana 35. S. Sebastiano (basilica Apostolorum). Il triplice arco d’ingresso che dà accesso a uno dei mausolei di età costantiniana sul lato sud della basilica (330-340 ca.). 36. Capitello ionico coevo dell’arcata.

L’intitolazione agli apostoli, mantenutasi fino all’alto Medioevo, offre un primo indizio sul motivo che ha indotto a erigere la basilica proprio in questo luogo. Le fonti scritte antiche e gli scavi archeologici sotto la basilica forniscono ulteriori informazioni. Il cosiddetto Martyrologium Hieronymianum, calendario liturgico contenente un elenco di martiri dell’inizio del v secolo, riferisce che il 29 giugno, giorno in cui ancora oggi la Chiesa cattolica festeggia gli apostoli Pietro e Paolo, questi venivano celebrati rispettivamente in Vaticano e sulla via Ostiense, e congiuntamente sulla via Appia, nella località detta ad Catacumbas10. Un calendario più antico, risalente al 354, attesta all’anno 258 una festa in onore di san Pietro nella medesima località. Il Liber Pontificalis, cronaca pontificia del vi secolo, tramanda sotto Cornelio (251-253) la notizia del trasferimento delle spoglie dei due apostoli dalla località ad Catacumbas sulla via Appia rispettivamente sul colle Vaticano e sulla via Ostiense, e ancora sotto il pontificato di Damaso (366-384) cita la presenza dei due apostoli in entrambi i luoghi11. Sulla base di queste notizie contraddittorie, gli studiosi hanno supposto che durante le aspre persecuzioni del iii secolo sotto gli imperatori Decio (249-251) e Valeriano (253-

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260), anni in cui i cristiani non poterono né esercitare il culto né frequentare i cimiteri, la comunità romana abbia rimosso le spoglie dei due apostoli dalle tombe minacciate per interrarle in un luogo più sicuro, appunto nella località ad Catacumbas sulla via Appia, presso l’attuale chiesa di S. Sebastiano, per proseguirne qui il culto. A questo si riferirebbe il culto dei due apostoli qui attestato nel 258, che sarebbe continuato anche quando, dopo la fine delle persecuzioni, le spoglie vennero riportate nel luogo dove erano state originariamente seppellite. Tuttavia questa interpretazione si scontra con alcune difficoltà. Non c’è dubbio che le persecuzioni di Decio e Valeriano siano state particolarmente incalzanti, e che il divieto di frequentare i cimiteri imposto dal secondo, pena la morte, abbia colpito in modo particolare i cristiani, poiché celebrare il culto dei defunti aveva uno speciale significato per gli antichi, cristiani e pagani. Tuttavia anche durante le persecuzioni le tombe non vennero mai violate, poiché secondo la concezione romana esse erano sacre, intoccabili, e ciò valeva anche per un criminale o un nemico dello Stato, quali potevano essere considerati Pietro e Paolo. Il trasferimento delle spoglie dei due apostoli dalle loro

tombe a un altro luogo non era pertanto indispensabile, poiché non correvano alcun pericolo. Tuttavia, a essere impedita dal decreto imperiale era la possibilità di accedere alla tomba e di celebrare il culto dei morti e i banchetti commemorativi. La notizia dell’arresto e dell’uccisione del vescovo di Roma Sisto ii, dei suoi diaconi e di un gran numero di fedeli nelle catacombe di Callisto durante le persecuzioni lo dimostra chiaramente, portando alle radici del culto degli apostoli sulla via Appia. Dal momento che le loro tombe in Vaticano e sulla via Ostiense erano inaccessibili, fu fondato un luogo di culto comune in una località liberamente raggiungibile dai devoti, quindi non all’interno di un cimitero cristiano né presso una sepoltura cristiana più grande, ancora durante la persecuzione di Valeriano nel 258. Il motivo per cui tale culto fu istituito proprio sulla via Appia ad Catacumbas è forse individuabile attraverso gli Atti degli apostoli apocrifi, nei quali si afferma che, secondo una leggenda risalente probabilmente al ii secolo, qui avebbero abitato entrambi gli apostoli. Questa tradizione sarebbe rispecchiata anche dall’epigramma che papa Damaso fece

iscrivere in onore dei due apostoli: Hic habitasse prius sanctos conoscere debes («Devi sapere che qui vissero un tempo i due santi») esordisce il poema, che nella sua formulazione lascia intendere come non fosse presente un culto o un monumento funerario dedicato ai due apostoli cui potesse ricollegarsi la devozione dei credenti, ma che si trattasse di una tradizione legata a questo luogo12. Anche l’iscrizione domus Petri incisa nell’intonaco di uno dei mausolei del iv secolo sul lato meridionale della basilica sembrerebbe confermare che tale leggenda era ancora viva a quell’epoca. Con questa interpretazione concordano anche i dati archeologici. Né sotto né intorno alla basilica è stato individuato in corso di scavo alcun luogo identificabile con qualche ragione come la tomba dei due apostoli. Se così fosse, se ne sarebbe tenuto certamente conto nella distribuzione planimetrica della basilica, analogamente a come le tombe di Pietro e Paolo erano state appunto incluse con grande evidenza, come luoghi sacri e venerabili, nelle grandi basiliche a loro dedicate in Vaticano sotto Costantino, e sulla via Ostiense alla fine del iv secolo. Lo stesso non è accaduto per la basilica Apostolorum sulla via Appia, e i dati archeologici lasciano intendere che nel luogo non

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vi fossero le tombe dei principi degli apostoli. In occasione degli scavi è stata invece rinvenuta sotto la chiesa una modesta memoria dedicata agli apostoli, poi ricoperta dal nuovo edificio, e resa inaccessibile. Sembra che la basilica si sia sostituita anche nella funzione al troppo modesto complesso precedente. Il monumento, collocato tra mausolei, ville e altri edifici per il culto dei defunti, era costituito da un piccolo cortile con una fontana, da un mausoleo attiguo e da due piccoli porticati su pilastri con delle panche. Il muro interno del portico più grande del complesso, chiamato dagli archeologi triclia, era decorato con pitture raffiguranti un giardino. Il mausoleo attiguo, poi ricoperto dai muri di fondazione della basilica, era privato, e i proprietari non erano certamente cristiani. Dei quattro sarcofagi rinvenuti al suo interno, uno è decorato col mito chiaramente pagano di Ganimede rapito dall’aquila di Giove, mentre gli altri non recano traccia di simboli o di iscrizioni cristiane. Tutti risalgono al tardo iii secolo e all’inizio del iv. Mentre in quest’epoca sul piccolo spiazzo, accessibile a chiunque e approntato per il culto dei defunti, i pagani costruivano un mausoleo nel quale erano tumulati entro sontuosi sarcofagi decorati con motivi tradizionali, a pochi passi di distanza i cristiani commemoravano nella semplice pergula i due principi degli apostoli, come testimoniano le circa seicento modeste iscrizioni in greco e latino maldestramente graffite nell’intonaco della parete interna, che invocando Pietro e Paolo menzionano i refrigeria (banchetti commemorativi) in onore dei defunti. Uno dei graffiti incisi nell’intonaco della parete sembra citare l’anno 260. Le iscrizioni del sottostante mausoleo degli Innocentiores, abbattuto insieme ad altri e ricoperto dalla pergula, si datano tra 238 e 354; il culto apostolico nel triclia dovette perciò svilupparsi tra il 239 e il 260. Grazie a questo dato archeologico si ha un’interessante conferma della data del 258 tramandata dai calendari ecclesiastici tardoantichi. Questo modesto memoriale dei martiri corrispondeva a quello sul colle Vaticano e probabilmente a quello sulla via Ostiense. Ai riti di commemorazione si poteva partecipare solo a piccoli gruppi, poiché nel portico non vi era molto spazio. Il mondo circostante non badava a un culto che non disponeva di edifici e strutture autonome. Negli edifici attigui, tra cui la cosiddetta “villa piccola” destinata proprio alla celebrazione del culto dei defunti e a banchetti commemorativi per i pagani sepolti nei vicini edifici funerari, la vita continuava tranquillamente. Nella “villa grande” ancora all’inizio del iv secolo vennero rifatte le pitture parietali, ulteriore indizio che la soprastante basilica non venne costruita all’epoca di Massenzio, e che il culto cristiano si radicò con discrezione in mezzo agli altri

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edifici dell’area cimiteriale, che continuarono a esistere fino all’età costantiniana. Si comprende così anche come mai con la costruzione della chiesa questi luoghi siano stati distrutti o resi inaccessibili senza alcun riguardo: la nuova basilica, nella quale si perpetuava il culto degli apostoli, era destinata a sostituirvisi totalmente. Il fatto che la basilica abbia direttamente ereditato la funzione dei precedenti monumenti votivi servendo al culto dei defunti e alla celebrazione del banchetto commemorativo consente di ipotizzare che essa sia appartenuta allo stesso tipo delle cinque basiliche più antiche. Un altro indizio che induce a porre la nascita della basilica Apostolorum all’inizio del regno di Costantino è il fatto che il segno della vittoria scelto a partire dalla battaglia di ponte Milvio, ossia il monogramma di Cristo, divenuto poi in epoca costantiniana un diffuso simbolo cristiano, è ancora assente tra i graffiti dei frequentatori cristiani del triclia che qui festeggiavano il ricordo dei principi degli apostoli. La memoria dovette quindi essere coperta dalla basilica poco dopo l’inizio del regno di Costantino. Anche ciò si accorda con la sua data di fondazione, desunta dalla datazione delle sepolture all’interno. Di contro un’iscrizione tramandata da manoscritti medievali, purtroppo incompleta e non databile, che cita una chiesa dedicata a Pietro e Paolo tale da giustificare una postdatazione dell’edificio, non è riferibile alla basilica Apostolorum e a Costantino e a suo figlio Costanzo come fondatori. Il testo dell’iscrizione si accorderebbe con una collocazione sotto il mosaico della calotta absidale di una chiesa romana, forse S. Pietro in Vincoli; nella basilica sulla via Appia, priva di decorazioni musive e di calotta absidale, non è in ogni caso posizionabile13. I cosiddetti loculi, ordinatamente sovrapposti, vennero inglobati già all’atto della costruzione nelle fondamenta dei muri perimetrali della chiesa, soprattutto in quelli profondi di fondazione del pendio occidentale. Insieme alle tombe nel pavimento, disposte spesso su più livelli a coprire l’intera superficie secondo un sistema regolare destinato a economizzare lo spazio, dimostrano che la basilica venne eretta per ospitare sepolture nel luogo della solenne commemorazione eucaristica, e che ci si preoccupò di predisporre uno spazio sufficiente ad accoglierne il maggior numero possibile. Come nel caso della basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, anche qui si conferma l’impressione che il tipo a deambulatorio, di per sé insolito per una chiesa, fosse motivato dal desiderio di avere a disposizione quanto più spazio possibile per le sepolture nel luogo della celebrazione eucaristica e della memoria dei martiri, oltre che per il culto privato dei defunti.

È da osservare come anche sulla via Appia sia l’imperatore a fondare il complesso, come attesta il monogramma sulla soglia dell’ingresso dell’atrio. Le basiliche della via Prenestina e della Labicana vennero costruite direttamente su terreni di proprietà imperiale. Lungo la via Appia il palazzo imperiale, con il circo e il mausoleo dinastico di Massenzio, era invece collocato di fronte alla basilica Apostolorum, sull’altro lato della strada. Nel sepolcreto pagano abbandonato, al di sotto della basilica, sono state ritrovate sepolture di schiavi e di liberti dell’imperatore Traiano (98-117) e di altri augusti, cui spettava di diritto essere seppelliti nelle proprietà imperiali. Se ne deduce che l’imperatore era titolare anche dell’utilizzo dei terreni su questo lato. Accanto al culto degli apostoli, ancora poco diffuso agli inizi del iv secolo, ciò potrebbe costituire il reale motivo della costruzione della basilica in questo luogo, dal momento che anche qui l’imperatore disponeva di una proprietà: in tal modo il santuario destinato al culto dei martiri e a quello connesso dei defunti poteva essere collegato a un mausoleo imperiale, che nello studiato allineamento con l’altare della basilica poneva in risalto, all’interno del culto, l’eminente titolare della tomba, così come accadeva, in forme analoghe e forse ancora più evidenti, sulla via Labicana. Non è noto a chi appartenesse il mausoleo, e le fonti non forniscono indicazioni su questo punto. Studi recenti hanno avanzato l’ipotesi che fosse destinato alla sepoltura di Fausta, moglie di Costantino, citata in alcune monete col titolo di nobilissima foemina; dopo che l’imperatrice venne giustiziata nel 326 per tradimento, il mausoleo sarebbe rimasto inutilizzato e abbandonato. Questa interpretazione del dato archeologico non è tuttavia supportata da altri riscontri. La basilica, concepita come santuario monumentale per il culto eucaristico commemorativo degli apostoli, è di estrema importanza in relazione alla politica religiosa. Il culto dei principi degli apostoli, sino a questo momento discreto, è qui messo in valore: la grande basilica inquadra in una cornice monumentale la celebrazione eucaristica, cui conferisce carattere di ufficialità e prestigio. Il nuovo edificio di culto è importante soprattutto come simbolo degli apostoli, prima della costruzione, su iniziativa dell’imperatore, delle due chiese memoriali sorte sopra le rispettive tombe in Vaticano e lungo la via Ostiense, luoghi nei quali le difficili situazioni topografiche rendevano complessa la realizzazione di monumenti celebrativi. Anche Ambrogio, vescovo di Milano (374-397), nel suo inno agli apostoli Pietro e Paolo ricorda il santuario della via Appia insieme a quelli in Vaticano e sulla via Ostiense14. La particolare importanza, a partire dalla metà del iii secolo, del culto degli apostoli sulla via Appia, accanto alle nuove basi-

liche memoriali del Vaticano e della via Ostiense, emerge anche dall’opera dello storico ecclesiastico Socrate, il quale riferisce che Ammonio, importante esponente del primo monachesimo in Egitto, durante un soggiorno a Roma in qualità di accompagnatore del vescovo Atanasio di Alessandria nel 339, non volle visitare alcuna meraviglia della città a eccezione dello scrigno consacrato agli apostoli Pietro e Paolo, intendendo evidentemente la basilica a deambulatorio della via Appia15. La crescente importanza del culto memoriale dei due apostoli nelle grandi basiliche imperiali costruite sopra le loro tombe portò nell’alto Medioevo al progressivo declino del loro culto sulla via Appia, sostituito intorno all’viii secolo dalla consacrazione della chiesa a san Sebastiano, morto durante la persecuzione di Diocleziano e sepolto in un più antico ipogeo. Il suo culto ha assicurato la conservazione della chiesa sino a oggi, seppure in forme modificate. Papa Sisto iii (432-440) fondò un monastero annesso alla basilica, cui furono assegnate la responsabilità e la conservazione del culto, che venne restaurato ancora nel ix secolo sotto il pontificato di Niccolò i (858-867). L’odierno convento dei francescani che accolgono i visitatori della chiesa e della catacomba è l’erede di tale istituzione.

La basilica a deambulatorio di S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta (S. Costanza) A due chilometri di distanza dalle mura Aureliane, a nord-est, sulla via Nomentana, si trova un’altra basilica a deambulatorio situata presso una catacomba più piccola e antica. Decaduta dal vii secolo, non ne rimangono che i resti suggestivi dei muri esterni dell’abside e della navata laterale sud, poggianti a ovest su alte sostruzioni. Data la fisionomia insolita, differente rispetto al comune tipo basilicale, e il rinvenimento tra le mura di numerose tombe del cristianesimo delle origini, fu considerata fino a tempi recenti come il rudere di un cimitero all’aperto circondato da portici colonnati. Le tracce, portate in luce dagli scavi del secondo dopoguerra, di due edifici dello stesso tipo sulla via Labicana e sulla Prenestina, esaminati in precedenza, e il confronto con la basilica di S. Sebastiano ancora in gran parte conservata, hanno consentito di individuare anche nelle rovine della via Nomentana, nei pressi dell’odierna chiesa di S. Agnese, costruita all’inizio del vii secolo sotto il pontificato di Onorio i, i resti di una grande basilica a deambulatorio. Gli scavi condotti all’interno del rudere hanno confermato l’ipotesi e mostrato che la basilica, con i suoi oltre 98 m di lunghezza e 40 di larghezza, è la più grande delle basiliche a deambulatorio conosciute. È senza dubbio a

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Martyria e mausolei di età costantiniana 37. Basilica a deambulatorio di S. Agnese e mausoleo di Costantina Augusta, figlia dell’imperatore Costantino (oggi mausoleo di S. Costanza). Veduta occidentale.

questa chiesa che deve riferirsi la notizia del Liber Pontificalis secondo cui l’imperatore Costantino, su preghiera della figlia, aveva fatto erigere una basilica in onore della martire Agnese16. Questa tradizione, tramandata nel vi secolo, è precisata ora da una copia manoscritta dell’iscrizione dedicatoria della basilica, che, per quanto qui interessa, recita: Constantina Deum venerans Christoque dicata Omnibus impensis devota mente paratis Numine divino multum Christoque iuvante Sacravit templum vitricis virginis Agnes Templorum quod vincit opus terrenaque cuncta Aura quae rutilant summi fastigia tecti Nomen enim Christi celebratur sedibus istis … Dignum igitur munus martyr devotaque Christo Ex opibus nostris per saecula longa Io Costantina, che venero Dio e sono dedita a Cristo, preparate tutte le spese con mente devota, con l’aiuto della potenza divina e di Cristo, ho consacrato il tempio della vittoriosa vergine Agnese, che vince l’opera dei templi e tutte le cose terrene: aurei risplendono infatti i fastigi del tetto eccelso, perché in queste sedi si celebra il nome di Cristo … Martire e devota di Cristo, un dono degno dunque dai nostri beni avrai per lunghi secoli…17.

L’iscrizione cita come fondatrice della chiesa la figlia dell’imperatore, Costantina. Senza dubbio si può considerare questa fonte autentica, tanto più che anche i dati storici confermano quanto espresso nella dedica. Costantina, figlia maggiore di Costantino il Grande, sposò nel 335 il cugino Annibaliano, re del Ponto e di Cappadocia. Dopo che questi venne assassinato nel 337, Costantina tornò a Roma e nel 351 sposò il cugino Costanzo Gallo, che nello stesso anno fu elevato alla carica di cesare d’Oriente. Costantina lo seguì nella residenza imperiale di Antiochia, in Siria. L’imperatrice morì nel 354 in Bitinia durante un viaggio che doveva condurla dal fratello Costanzo a Roma e, secondo quanto riferisce Ammiano Marcellino, fu trasferita a Roma e seppellita in un possedimento imperiale, fuori dalle porte della città, sulla via Nomentana18. Costantina dovette fondare la basilica in onore di S. Agnese, sulla proprietà imperiale della via Nomentana, negli anni di vedovanza trascorsi a Roma, fra il 337 e il 351. Anche di questa martire, che andò incontro alla morte durante le persecuzioni

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della metà del iii secolo e che venne sepolta secondo la più antica fonte pervenuta, la Depositio martyrum del 336, in una piccola catacomba privata a lato della via Nomentana, si hanno poche notizie storicamente fondate. Già nel corso del iv secolo il culto acquisì importanza, in connessione evidente con la fondazione della basilica, come si apprende dalle fonti dell’epoca, il vescovo di Milano Ambrogio (374-397), papa Damaso (366-384) e il poeta Prudenzio. Chiaramente anche in questo caso, come per le basiliche a deambulatorio già esaminate, non è il culto della martire il principale motore, quanto la volontà della fondatrice di esprimere il proprio rango partecipando alla consacrazione di questo culto: la principessa infatti dispose la costruzione della chiesa memoriale sulla sua proprietà, a fianco alla catacomba della martire. Le alte sostruzioni realizzate a ovest nell’area absidale per edificare la basilica su uno spazio delimitato a oriente dalla via Nomentana mostrano l’importanza che l’edificio doveva rivestire per la fondatrice. Una grande scalinata sul lato nord dell’atrio conduceva alla catacomba della martire. Gli scavi degli ultimi anni hanno mostrato che in collegamento con il muro meridionale della basilica venne eretto un mausoleo triconco, destinato alla sepoltura della figlia dell’imperatore. Nonostante le forme sontuose, l’impianto era contenuto in appena 10 m di diametro interno. Dopo poco, l’edificio fu sostituito dal grande mausoleo, il cui vestibolo biabsidato era addossato al muro della basilica. Nel prestigioso mausoleo, conservato sostanzialmente fino ad oggi e trasformato già nell’alto Medioevo in chiesa, furono seppellite Costantina nel 354, e la sorella Elena nel 360, secondo quanto afferma Ammiano Marcellino19. Elena aveva sposato nel 355 il cugino Flavio Giuliano, poi succeduto come imperatore a Costanzo ii. Le fonti non lasciano intendere se, con la decisione di lasciare Elena sepolta a Roma, Giuliano volesse celebrare l’importanza della vecchia capitale. È in ogni caso probabile che il nuovo mausoleo, più sfarzoso e più grande, del diametro di oltre 22 m e alto 19, che nella fisionomia incarnava un tipo più moderno ed evoluto di mausoleo imperiale a pianta circolare, sia stato costruito nei primi anni Cinquanta come mausoleo dinastico, per accogliere le spoglie mortali di vari membri della casa imperiale. Anche questo è un segno del particolare ruolo cultuale e del rango eminente raggiunto dai suoi membri con la costruzione su propri terreni del complesso di basilica memoriale e mausoleo, che consentiva loro di pervenire a una forma cristianizzata di elevazione spirituale e divina. Come nelle altre basiliche a deambulatorio, anche a S. Agnese il pavimento della basilica era ricoperto da fitte file di tombe so-

vrapposte in più livelli, secondo uno schema regolare che sfruttava tutto lo spazio disponibile. Così anche in questa chiesa cimiteriale del secondo quarto del iv secolo, con la totale copertura del pavimento con tombe si manifesta l’aspirazione dei credenti, sulla scia della sempre maggiore diffusione del culto dei martiri nel iv secolo, ad assicurarsi una sepoltura vicino ai testimoni della fede, presso il luogo loro consacrato dalla solennità eucaristica, così da essere partecipi delle intercessioni dei santi. La conferma che queste basiliche a deambulatorio erano essenzialmente santuari dedicati al culto eucaristico è offerta dalla già ricordata iscrizione dedicatoria della basilica di S. Agnese. L’edificio viene citato con il tradizionale appellativo per l’antico luogo di culto, templum. La chiesa serviva dunque in eguale misura alla celebrazione del sacrificio eucaristico in onore di Cristo, alla commemorazione dei martiri e dei defunti e come luogo consacrato per le sepolture, e a questa il mausoleo di Costantina ed Elena era collegato in posizione privilegiata, coinvolgendo le due titolari imperiali, innalzate e favorite nell’aura sacrale del monumento memoriale. In alzato la basilica di S. Agnese riprendeva in gran parte quella di S. Sebastiano. In entrambe è utilizzato l’opus listatum, in corsi alterni di tufo e mattoni, tecnica prediletta nel iv secolo in quanto più economica. Si risparmiava infatti sulla produzione

e la lavorazione del costoso materiale laterizio, senza che fosse sostanzialmente compromessa la solidità dell’opera muraria in confronto alla tradizionale modalità di costruzione laterizia. L’uso razionale di questa tecnica garantì alle grandi architetture dell’epoca costantiniana tempi di costruzione straordinariamente brevi. Se nella planimetria, nell’alzato, nelle proporzioni, nella tecnica muraria e nell’orientamento S. Agnese risulta identica alle precedenti basiliche a deambulatorio, se ne differenzia per altri aspetti, come le dimensioni, notevolmente superiori, e l’abbandono della disposizione in obliquo della facciata occidentale. Le arcate su pilastri dell’interno, che separavano le navate laterali e il presbiterio dalla navata mediana, si restringevano a occidente in corrispondenza dell’inizio delle arcate del deambulatorio. La porzione di spazio risultava pertanto distinta dalla navata. Si può riconoscere in ciò un’evoluzione di pianta e alzato verso una maggiore articolazione e accentuazione della zona absidale, che assume in tal modo maggiore peso. Le paraste all’imposta dell’abside fanno pensare a un arco trionfale, e probabilmente anche a una copertura voltata dell’abside. Nella parte occidentale della navata mediana, una struttura più piccola, conservata solo a livello di fondazioni e della quale non è stato possibile ricostruire attraverso gli scavi lo sviluppo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 38, 39. Basilica a deambulatorio di S. Agnese e mausoleo di Costantina Augusta, figlia dell’imperatore Costantino. Scorcio verso ovest. La basilica con i resti dell’atrio; sulla destra, il mausoleo di Costantina Augusta. Veduta da nord-ovest

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Martyria e mausolei di età costantiniana 40. Basilica a deambulatorio di S. Agnese. Veduta dell’abside verso ovest.

verso est, segue un tracciato parallelo alle fondazioni delle arcate, ripetendone la rientranza nell’emiciclo absidale. Sulla base della forma e dello sviluppo dovrebbe trattarsi del muro di fondazione del recinto dei sedili del coro, che nel presbiterio separava il clero dall’assemblea dei fedeli. La basilica disponeva dunque, come quella del Laterano, di un arredo fisso per la liturgia e il culto. A differenza della basilica Apostolorum, che nei muri esterni del deambulatorio e delle navate aveva solo strette feritoie, la grande aula consacrata a S. Agnese disponeva di una fitta serie di finestre rettangolari a illuminare le navate laterali e il deambulatorio absidale, mentre al vertice dell’abside si apriva una grande finestra circolare. L’interno, ripartito in tre navate, era dunque diffusamente illuminato anche nelle navate laterali, elemento da non sottovalutare per quanto riguarda l’articolazione e l’effetto spaziale. Mentre in S. Sebastiano l’illuminazione, proveniente esclusivamente dal cleristorio della navata mediana, metteva spazialmente in risalto quest’ultima, lasciando invece deambulatorio e navate laterali immersi in un’oscurità crepuscolare dietro ai massicci pilastri, in S. Agnese l’occhio poteva abbracciare lo spazio nella sua intera estensione e articolazione. Non è possibile stabilire se la presenza di finestre nelle navate laterali sia da ricollegare all’utilizzo dell’ambulacro durante la

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liturgia, oppure alla maggiore articolazione dell’edificio rispetto alle precedenti basiliche a deambulatorio, in quanto, a eccezione di S. Sebastiano, nulla si è conservato dell’alzato delle altre basiliche del medesimo tipo di età costantiniana. Sia per le dimensioni, che superano considerevolmente quelle delle basiliche a deambulatorio ricordate, sia per la maggiore articolazione in pianta e alzato, la fondazione della figlia dell’imperatore Costantina Augusta, si dimostra comunque come una versione più evoluta e recente del tipo, la cui conformazione manifesta con chiarezza la sua funzione di luogo di culto eucaristico. Recentemente approfondite indagini sull’alzato della basilica hanno dimostrato che la parete esterna della navata laterale sud, in gran parte conservata, che allo stato attuale raggiunge complessivamente i 7 m di altezza, è sino a 1 m più alta degli alloggiamenti per le travi di copertura della navata. Ciò è stato interpretato come prova che il muro proseguiva oltre gli alloggiamenti, e si è di conseguenza ricostruita la chiesa come una basilica a gallerie, con all’interno una serie di arcate su pilastri su due piani. Secondo tale ricostruzione le gallerie non avrebbero avuto finestre, e sarebbero state illuminate solo attraverso la navata centrale. In tal modo l’edificio presenterebbe gravi incongruenze, squilibrio di proporzioni e scarsa illuminazione

41. Basilica a deambulatorio di S. Agnese. Il muro perimetrale meridionale della basilica con l’annesso mausoleo di Costantina Augusta.

delle gallerie attorno all’emiciclo absidale, tutti elementi incompatibili col canone dell’architettura di età costantiniana. I brani di muratura soprastanti i fori delle travi di copertura della navata laterale, lacerti conservati significativamente circa alla stessa altezza, costituiscono un dato che difficilmente suggerisce un ulteriore elevato; dovevano essere piuttosto integrati nel sostegno del tetto a spiovente sopra la navata (Docum. vii.4). Il tipo della basilica a gallerie non è inusitato nell’età costantiniana, ma è qui funzionalmente immotivato, dal momento che le condizioni generali e la situazione topografica del luogo non consentivano la realizzazione di una tale struttura edilizia, in particolare – come indicano le sostruzioni sotto l’abside – nel caso di una basilica di così grandi dimensioni, realizzata per accogliere un gran numero di fedeli, e dunque tale da non necessitare di gallerie.

Il mausoleo di Costantina Augusta (S. Costanza) Il mausoleo, attuale S. Costanza, addossato alla navata laterale sud, è l’unica porzione del complesso del iv secolo a essersi in gran parte conservata, compresi decorazione e arredo, seppure

pesantemente restaurati. Il mausoleo è collegato alla basilica da un vestibolo ad absidi contrapposte. All’esterno era cinto da un portico anulare su colonne, coperto a volta, decorato da un rivestimento parietale marmoreo multicolore. Il portico anulare, che si ritrova anche in altri sontuosi mausolei a pianta centrale del iii e iv secolo, e che è da ricollegare in ultimo alle peristasi dei templi classici, rappresenta un segno di particolare ricchezza, che mirava a conferire nobiltà e solennità all’edificio, come nel caso del portico colonnato, anch’esso derivato dall’architettura del tempio classico, presente in altri mausolei imperiali del iv secolo, significativamente isolati, come ad esempio quello di Massenzio sulla via Appia, o la rotonda di Tor de’ Schiavi sulla via Prenestina. Nel mausoleo di Costantina al portico timpanato si sostituì, come elemento distintivo, il portico anulare. La prestigiosa rotonda, citata nel Liber Pontificalis già nell’865 come chiesa di S. Costanza, non può certo essere identificata col battistero, anch’esso citato nel Liber Pontificalis a proposito della poco attendibile notizia relativa alla fondazione della chiesa di S. Agnese, ma venne senza dubbio eretta come mausoleo di Costantina Augusta, tanto più che nel corso degli scavi al di sotto dell’edificio non sono state rinvenute tracce né di una vasca, né di opere idrauliche di alcun tipo20.

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Martyria e mausolei di età costantiniana 42. S. Costanza. Interno del mausoleo delle figlie dell’imperatore, Costantina ed Elena. Veduta verso sud.

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43. S. Costanza. Interno del mausoleo. Veduta verso sud.

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Martyria e mausolei di età costantiniana 44. S. Costanza. Mosaici dell’ingresso del deambulatorio.

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45. S. Costanza. Mosaici dell’ingresso occidentale, parte meridionale.

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Martyria e mausolei di età costantiniana 46. S. Costanza. Deambulatorio orientale nei pressi dell’ingresso. Capitello di spoglio dell’età dei Severi, appartenente al colonnato esterno con architrave d’imposta coevo.

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47. S. Costanza. Mosaico della volta del deambulatorio all’ingresso.

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Martyria e mausolei di età costantiniana 48. S. Costanza. Cupola centrale e volta della parte occidentale del deambulatorio. 49. S. Costanza. Volta della parte orientale del deambulatorio con il mosaico della vendemmia, sull’asse trasversale della rotonda.

L’accurata tecnica edilizia in mattoni, caratteristica di altri edifici della prima metà del iv secolo, indica che il mausoleo fu iniziato al più tardi alla metà del secolo. L’edificio è il più antico esempio, insieme al battistero lateranense, dell’articolazione tra uno spazio centrale e un ambulacro separato da sostegni, suddivisione che in seguito sarà assai rilevante per la disposizione e l’effetto spaziale delle architetture a pianta centrale. Ventiquattro colonne binate sorreggono le arcate, impostate su brevi tratti di architrave, su cui poggia l’alto tamburo della cupola forato da grandi finestre. Nella muratura dell’ambulacro, coperto da volta a botte, sono ricavate sulle diagonali dodici nicchie minori, alternativamente semicircolari e rettangolari, e quattro nicchie maggiori sugli assi, rettangolari su quello d’ingresso, semicircolari su quello secondario. Le piccole finestre, di diversa ampiezza, all’imposta della volta a botte vennero aperte nel Medioevo. Il deambulatorio è di fatto illuminato dall’invaso centrale, dove, sopra ogni arcata, sono in fitta sequenza grandi finestre. La pianta di S. Costanza è confrontabile con un impianto basilicale, con navata centrale dotata di cleristorio e laterali;

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tutti gli spazi sono qui però adattati alla pianta centrale e coperti da volte, che, a differenza di una basilica coperta con travature lignee, necessitano di un maggiore spessore murario, annullato tuttavia all’interno dalle nicchie. Questa inedita strutturazione di un edificio a pianta centrale, sviluppatasi nell’architettura religiosa dell’età di Costantino, trova i suoi presupposti già in età imperiale, tra l’altro nel Pantheon, che nella fase adrianea, con le grandi nicchie in spessore di muro che si aprono schermate da colonne raddoppiando in profondità lo spazio interno, ne costituisce una fase iniziale. Il mausoleo dell’imperatrice Elena, presso la basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, costituisce, con l’alto cleristorio finestrato, un’ulteriore e importante premessa del tipo più evoluto e spazialmente articolato, del mausoleo di Costantina. Un altro edificio a pianta centrale di analoga struttura, eretto da Costantino e precedente S. Costanza, era la cattedrale di Antiochia, a pianta ottagonale, composta anch’essa da un ambiente centrale circondato da un ambulacro21. Il tipo venne prediletto in età costantiniana per edifici religiosi complessi, e anche l’Anastasis, il santuario eretto sulla tomba di Cristo a Gerusalemme, che

precede cronologicamente il mausoleo delle figlie dell’imperatore, fu inteso in modo simile a quest’ultimo. Per le pratiche liturgiche cristiane era necessario, come dimostrano le basiliche a più navate, un vano centrale collegato a vani secondari – le navate laterali – destinati alle processioni e a fungere da disimpegno per l’accesso dei fedeli alla navata mediana. A tale esigenza rispondevano sia la cattedrale di Antiochia, un edificio spazialmente articolato a pianta centrale, sia il mausoleo di Costantina annesso a S. Agnese, che offriva un analogo spazio per le celebrazioni per i defunti e, come nel mausoleo di Elena, per il rito dell’eucaristia. La strutturazione interna di questi edifici a pianta centrale può essere intesa come una scelta consapevole di una forma architettonica di prestigio, che conferiva all’edificio maggiore ricchezza visiva nell’articolazione spaziale e notevole qualità estetica. In tale anticipatrice, significativa fisionomia, così come nell’impiego coerente, meditato e differenziato, degli elementi costruttivi e delle decorazioni, si rivela la qualità architettonica del mausoleo. L’introduzione di colonnati a reggere il tamburo, che a sua volta sostiene la massiccia cupola, porta a nuove solu-

zioni architettoniche: l’abbinamento delle colonne e la creazione del breve blocco d’imposta architravato che sorregge l’arco in muratura e raccorda organicamente le colonne alla parete superiore. Questo blocco preannuncia l’imposta di raccordo tra colonna, capitello e parete, e lo stesso capitello-imposta, elementi tipici della fine dell’età antica e del primo Medioevo. Nell’articolazione spaziale dell’edificio si inserisce un ulteriore elemento, un asse ortogonale appena percepibile da chi entra. L’asse principale, determinato dall’ubicazione dell’ingresso, è sottolineato da due grandi nicchie rettangolari ricavate nel muro perimetrale. A esso è subordinato l’asse trasversale, segnato da due grandi nicchie semicircolari. In corrispondenza degli assi gli intercolumni del colonnato sono più ampi e le arcate proporzionalmente più alte. Gli assi ortogonali sono inoltre segnati da colonne con fusti di granito rosso. Una tendenza verso un’articolazione cruciforme si trova già in edifici a pianta centrale dell’età imperiale. Tuttavia l’impiego intenzionale e insistito di tale motivo nel mausoleo di Costantina dev’essere inteso come una consapevole allusione al simbolo cristiano, che nell’età costantiniana acquisisce un’im-

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Le prime chiese di Roma 50. S. Costanza. Absidiola orientale sull’asse trasversale della rotonda, mosaico della volta: Gesù consegna il codice della Legge a Pietro alla presenza di Paolo.

portanza primaria. L’articolazione e la gerarchia spaziale dell’edificio – un vano centrale bene illuminato cui è subordinato un ambulacro più basso, nel quale s’inseriscono gli assi ortogonali dei colonnati e la sequenza delle nicchie – si riflettono nell’organizzazione decorativa. I capitelli compositi di maggiori dimensioni sono impiegati nella fila interna di colonne, mentre quelli più piccoli sono destinati a quelle esterne verso l’ambulacro. I capitelli della corona interna dei sostegni sono del i secolo, di età augustea, mentre quelli esterni sono di tarda età severiana; come spesso accade nelle chiese di età costantiniana, sono tutti di recupero da edifici precedenti. Se questi capitelli vengono impiegati in quanto elementi architettonici antichi, perché certamente ritenuti pezzi di valore per la loro ricchezza formale, tuttavia il loro utilizzo è caratterizzato da particolare disinvoltura: materiali eterogenei si combinano in composizioni unitarie, mentre è messa in evidenza la faccia posteriore, spesso non lavorata, dei capitelli compositi tardoseveriani. Nella fila di colonne più esterna, in prossimità dell’ingresso, è in opera un capitello corinzio disomogeneo rispetto agli altri, evidentemente perché non bastavano quelli compositi disponibili.

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Martyria e mausolei di età costantiniana 51. S. Costanza. Absidiola occidentale sull’asse trasversale, mosaico della volta: Cristo seduto sul globo terrestre consegna a Pietro un codice o le chiavi. Nel deambulatorio, mosaico della vendemmia.

La gerarchizzazione evidente nell’impiego dei capitelli coinvolge anche gli assi spaziali. L’asse principale, sottolineato dagli intercolumni più ampi e dalle grandi nicchie rettangolari, collega l’ingresso con la nicchia opposta. In questa, piuttosto profonda e sopraelevata, lussuosamente decorata, era probabilmente collocato, come riferiscono le cronache rinascimentali, il grande sarcofago in porfido di Costantina. L’asse trasversale, individuato dalle nicchie semicircolari e dagli intercolumni più stretti, passa invece in secondo piano. La decorazione musiva del corridoio anulare, sola porzione conservata, benché in frammenti, del vasto corredo ornamentale a preziose incrostazioni marmoree e mosaici che caratterizzava il mausoleo, asseconda a sua volta l’impostazione differenziata e gerarchica dell’edificio e delle sue diverse parti. La tradizionale decorazione geometrica a mosaico, pesantemente restaurata, ma che con certezza, sulla base dei frammenti conservati, corrisponde alla situazione originaria, è in secondo piano sia rispetto ai mosaici figurati – oggi scomparsi – della nicchia principale e del soprastante lucernario, solo parzialmente noto grazie ad alcuni disegni antichi, sia rispetto ai mosaici figurati delle calotte delle nicchie dell’asse secondario.

La decorazione musiva dell’ambulacro è suddivisa in riquadri, corrispondenti agli intercolumni del colonnato centrale, con motivi geometrici riecheggiati rispettivamente nei riquadri opposti a est e ovest. Tradizionali motivi di genere dell’arte decorativa romana, subordinati qui all’ornamentazione geometrica, come ad esempio genietti, amorini, busti, uccelli e altri animali, animano la decorazione, che nel repertorio del tutto tradizionale non comprende alcun motivo cristiano. Solo i riquadri dell’asse trasversale e ai lati della nicchia principale, davanti alla quale un lucernario taglia la volta dell’ambulacro sottolineando il luogo, sono significativamente caratterizzati da motivi decorativi più ricchi, ulteriore indizio della collocazione nella nicchia del sarcofago. I riquadri

dell’asse trasversale raffigurano un grande tralcio di vite, nel quale uccelli e putti sono intenti alla raccolta dell’uva, mentre lungo il bordo si mescolano scene idilliache di vendemmia, trasporto e pigiatura dell’uva vendemmiata. Nei due busti centrali, molto restaurati, si riconoscono solitamente i ritratti di Costantina e Annibaliano. A parte il fatto che entrambi sono privi di insegne o elementi caratterizzanti di abbigliamento, tale interpretazione è contraddetta dalla collocazione stessa dell’immagine. Si tratta più probabilmente di busti di personificazioni della natura, consueti nei mosaici romani: una decorazione tradizionale, prediletta dall’arte funeraria romana in quanto simbolo di vita, che ricompare significativamente nei rilievi del grande sarcofago in porfido, di certo istoriato

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Martyria e mausolei di età costantiniana 52. S. Costanza. Mosaico della volta del deambulatorio ai lati del lucernario, davanti alla nicchia a sud dell’asse principale, dove era probabilmente collocato il sarcofago in porfido di Costantina Augusta.

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53. S. Costanza. Lucernario davanti alla nicchia centrale a sud dell’asse principale; ai lati: i mosaici del deambulatorio.

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su commissione di Costantina: sulla fronte principale putti vendemmianti avvolti nei tralci di vite, sui fianchi scene di pigiatura dell’uva. Più ricchi, cromaticamente sottolineati da lumeggiature in oro, sono i due riquadri ai lati della nicchia principale, dov’era collocato il sarcofago in porfido della figlia dell’imperatore: tralci di frutta, conchiglie, brocche e ciotole in metalli preziosi, uccelli, tra cui fagiani e quaglie, occupano fittamente il fondo chiaro, come se si trattasse dei resti sparsi a terra di una celebrazione solenne o di un sacrificio. Sicuramente erano questi il senso e il messaggio del mosaico posto in una posizione così preminente: sono simboli di ricchezza e fortuna, espressi dalla preziosità dei costosi recipienti e dalla copiosa abbondanza della natura esemplificata dai frutti raffigurati. Anche qui si ritrova una decorazione tradizionale, comune nei contenuti e priva di accenti cristiani. Va notato che nella collocazione dei ricchi e preziosi riquadri decorativi sugli assi ortogonali e ai lati della nicchia principale si esprime ancora una volta quell’intento di accentuare e articolare gerarchicamente l’edificio che si è già potuto verificare nell’impostazione degli assi e delle nicchie e nell’utilizzo degli elementi di scultura architettonica. A differenza della decorazione musiva della volta del corridoio anulare, i mosaici della nicchia principale e del lucernario, suggestivamente aperto nell’ambulacro, erano di soggetto cristiano, stando almeno ai pochi frammenti pervenuti e ai disegni e alle descrizioni del xvi secolo. A giudicare dal piccolo frammento a mosaico nella volta della nicchia principale, e perciò sopra il sarcofago dell’augusta, doveva essere raffigurato su fondo chiaro il monogramma di Cristo, probabilmente dorato, circondato da stelle: simbolo del potere trionfale tipico dell’età costantiniana, costituisce una decorazione appropriata per la nicchia che accoglieva il sarcofago di Costantina. Scene figurate di difficile interpretazione ornano le pareti del lucernario che illumina il deambulatorio davanti alla nicchia principale e l’intercolumnio centrale. Sotto l’agnello di Dio, siede Cristo tra i dodici apostoli, affiancati da figure femminili che potrebbero rappresentare la Chiesa ebraica e quella cristiana. Si tratta di una composizione che alcuni decenni più tardi tornerà in una simile redazione nei più antichi mosaici dell’abside di S. Pudenziana. Il lucernario e la sua pregnante decorazione, insieme ai temi iconografici delle volte delle nicchie, sottolineano la collocazione del sarcofago di Costantina nella nicchia principale. La distruzione della parete posteriore della nicchia, ritenuta l’ingresso originale, potrebbe risalire a epoca medievale: in tale posizione un accesso alla parte posteriore dell’asse principale non ha senso, dal momento

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che il portico anulare non garantisce lo spazio per un ingresso imponente, e sul retro il terreno scende bruscamente. Inoltre la preziosa decorazione, carica di significati, di questo settore mal si accorda con una struttura di accesso, come mostra il semplice apparato scelto per il pregevole ingresso alla chiesa attraverso il nartece. Sulla lastra in granito dell’intercolumnio centrale, a sud, doveva trovarsi il perduto sarcofago di Elena. Scene e simboli cristiani sono presenti soprattutto nelle calotte delle nicchie ricavate sull’asse trasversale, e specialmente nel mosaico della cupola centrale. Conservatosi in frammenti fino al xvi secolo, è noto attraverso copie antiche e ulteriori porzioni sono probabilmente presenti ancora oggi sotto gli stucchi e le pitture del xvii secolo. Al di sopra di un idilliaco paesaggio fluviale decorato da motivi tradizionali a simboleggiare il Paradiso, s’innalzano alcuni candelabri acantiformi dorati su fondo blu che ripartiscono la cupola in spicchi. All’interno di queste cornici tradizionali, erano inserite nei riquadri tra i candelabri, su registri sovrapposti, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento (v. Docum. vii, ix). Solo pochi episodi possono essere identificati grazie alle descrizioni e ai disegni del xvii secolo, e perciò non si possono trarre conclusioni sulla selezione e l’accostamento dei motivi figurativi. La giustapposizione di episodi vetero e neotestamentari all’interno della decorazione della cupola anticipa le analoghe decorazioni che si ritrovano a partire dal tardo iv e poi dal v secolo sulle pareti delle navate maggiori delle grandi basiliche di Roma. Se la decorazione della cupola, estremamente sontuosa, attesta una certa aspirazione all’ufficialità che pare sottolineare il carattere dinastico del mausoleo, nelle raffigurazioni molto restaurate delle calotte delle nicchie sull’asse secondario sono due scene di significato simbolico che rinviano all’arte cristiana della seconda metà del iv secolo. Nella calotta meridionale è raffigurato Cristo signore della Terra con nimbo e veste purpurea, seduto sul globo celeste, nell’atto di consegnare a Pietro le chiavi. Di fronte, nella nicchia settentrionale, Cristo signore della Terra è invece rappresentato sulla montagna del Paradiso con i quattro fiumi, mentre si appresta a consegnare a Pietro, che con Paolo gli si accosta in atteggiamento riverente, il rotolo della Legge della dottrina cristiana, come dichiara l’iscrizione sul rotolo stesso, peraltro molto restaurato, che oggi riporta pacem dat al posto dell’originale legem dat. Si tratta dei più antichi mosaici di soggetto cristiano pervenuti nell’ambito dell’architettura monumentale, datati su base stilistica e iconografica alla seconda metà del iv secolo; tuttavia non sussistono

argomentazioni per non assegnarli al momento della costruzione del mausoleo, anche perché la decorazione del lucernario illustra già un tema identico, databile attorno al 400, della più antica decorazione absidale di S. Pudenziana. La tematica ambiziosa e di rappresentanza, con implicazioni escatologiche, in riferimento alla venuta del regno di Cristo e alla Gerusalemme celeste, che significativamente si ritrova nei rilievi di sarcofagi cristiani di poco posteriori ed è analogamente raffigurata nelle sue linee fondamentali nel mosaico dell’abside della basilica costantiniana di S. Pietro, mostra che nelle chiese possono ora comparire monumentali mosaici figurati absidali. Accanto ai ricchi mosaici, nelle parti principali di soggetto cristiano, il complemento decorativo dell’edificio era integrato da un rivestimento a lastre marmoree multicolori che, come mostrano i fori per le grappe metalliche, ricopriva la fascia parietale superiore sino alle finestre, e le pareti esterne del portico anulare. La decorazione parietale, organizzata con alte lastre di marmo incorniciate e separate da fasce di cornici prospettiche, conferiva all’edificio l’aspetto di un guscio colorato e scintillante, consueto nell’architettura tardoantica, che, insieme all’esteso impiego del mosaico, sembra annullare col riflesso della luce i limiti spaziali. L’ulteriore evoluzione del tipo tradizionale dell’architettura romana della costruzione circolare scandita da nicchie e voltata con cupola centrale in opus caementicium verso un edificio a pianta centrale articolato in più ambienti e scandito su più livelli, con un impiego accentuato e differenziato della tradizionale decorazione architettonica volto a sottolineare la strutturazione dell’architettura su più ordini, così come l’accostamento nella decorazione di motivi pagani e cristiani nella parte centrale dell’edificio, qualificano il mausoleo di Costantina come un’efficace sintesi del cambiamento culturale determinato dall’avvento del cristianesimo nella società romana, in cui tradizione e novità si combinano in modo creativo. Il mausoleo di Costantina è un’eccellente testimonianza della vitalità e delle caratteristiche specifiche dell’architettura dell’età costantiniana.

La basilica a deambulatorio di S. Lorenzo fuori le mura La quinta basilica a deambulatorio, situata nelle immediate vicinanze dell’attuale chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, corrisponde per dimensioni – oltre 98 m di lunghezza per 35 di larghezza – a quelle di S. Agnese, ed è di poco inferiore in lunghezza alla

cattedrale del Laterano e a S. Pietro in Vaticano. La basilica, della quale gli scavi condotti nell’area del cimitero del Verano hanno messo in luce solo pochi resti dei muri di fondazione, era collegata alla porta delle mura da lunghi portici colonnati lungo la via Tiburtina, eretti probabilmente già alla fine del iv secolo, analoghi alle strutture che a Milano conducevano alle chiese martiriali extraurbane. Orientata con la facciata a est, come S. Agnese presentava un restringimento interno dell’abside rispetto alla navata, così che la zona absidale risultava particolarmente articolata e in evidenza sotto il profilo architettonico rispetto sia alla navata centrale sia al profilo esterno. Al contrario delle altre basiliche a deambulatorio, divise da pilastri, S. Lorenzo aveva colonnati architravati a sostegno delle pareti del cleristorio della navata centrale, come documentano l’inno di Prudenzio dedicato a sant’Ippolito e gli scavi archeologici22. Anche in ciò si manifestano l’articolazione più accentuata e lo sviluppo spaziale dell’edificio, la maggiore ricchezza di mezzi e del complemento decorativo. I frammenti di colonne in marmo cipollino rinvenuti negli scavi testimoniano la preziosità della decorazione e lo sforzo di conferire all’edificio lo splendore al quale allude Prudenzio quando definisce la chiesa templum cultu nobile regifico, una chiesa di apparato regale, ritenendola di fondazione imperiale. Anche in questo caso il pavimento era fittamente occupato da tombe (Docum. ix). Al muro nord si addossava una serie di edifici in muratura pertinenti a mausolei, vani secondari o portici, così come si verifica nelle basiliche dei Ss. Marcellino e Pietro, della via Ardeatina e di S. Sebastiano. Come hanno mostrato gli scavi, anche il muro sud era occupato da mausolei. Uno di questi, in prossimità della facciata, come quello più antico di Costantina a S. Agnese, significativamente collocato nella medesima posizione privilegiata, è a pianta triconca e di impianto lussuoso. Non si conosce il nome del defunto sepolto, senza dubbio un personaggio altolocato, forse un membro della famiglia imperiale. In ogni caso la basilica si presenta con una serie di caratteristiche, tipologiche e dimensionali, confrontabili con la basilica di S. Agnese, insieme alla quale è la prima nella serie di basiliche a deambulatorio di fondazione imperiale. La facciata si apriva con una sequenza di cinque arcate su colonne, come in S. Sebastiano. Il muro esterno del deambulatorio che cingeva l’abside a ovest aveva sette arcate su colonne che consentivano l’accesso dalla via Tuscolana, una delle grandi arterie extraurbane della città. Questa disposizione, con l’ingresso principale a est, ha come effetto quello di orientare l’edificio verso una struttura ad absidi contrapposte,

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e ricorda le antiche aule delle basiliche civili, in cui l’orientamento bipolare consentiva l’accesso da più lati. Le ampie arcate aperte sul lato est e su quello ovest consentivano ai fedeli l’accesso diretto al cimitero per lo svolgimento dei riti funerari. Ciò dimostra ancora una volta che la forma della basilica a deambulatorio era in effetti determinata dalla sua funzione. Che non si trattasse di una disposizione singolare è dimostrato dalla chiesa cimiteriale di S. Gennaro a Napoli, della fine del iv secolo, che consentiva l’accesso alla vicina catacomba con una duplice arcata aperta nell’abside. Anche le basiliche napoletane di S. Giorgio Maggiore, della fine del iv secolo, e di S. Giovanni Maggiore, del vi, hanno absidi aperte su strade e cortili per mezzo di arcate. Dalla basilica scendeva una scalinata più tarda, costruita da papa Liberio (345-366), che conduceva all’attigua catacomba e alla tomba del martire Lorenzo che vi era venerato, uno dei più insigni e amati martiri romani, giustiziato nel 258 durante la persecuzione di Valeriano. Per il grande afflusso di pellegrini che visitavano la basilica e la tomba, la scalinata era suddivisa in una rampa di discesa e in una di salita. La sepoltura era già stata riccamente decorata in età costantiniana, e certamente lo era all’epoca di papa Damaso (366-384), che senza badare a spese fece sistemare le tombe dei martiri sepolti nelle catacombe e nei cimiteri dotandole di epigrafi commemorative in versi. Il complesso della via Tiburtina presenta quindi analogie con quello fondato dalla figlia dell’imperatore Costantina sulla via Nomentana in onore della martire Agnese. Solo alla fine del vi secolo, sotto il pontificato di Pelagio ii (579-590), fu costruita una nuova chiesa con matronei immediatamente a nord della grande basilica a deambulatorio, proprio sopra la tomba del martire, per soddisfare le esigenze del culto martiriale, che si stava gradualmente modificando23. A tale scopo venne sterrata la collinetta sopra la catacomba, in modo che l’altare, come esigeva ora il culto, fosse posto a diretto contatto con la tomba del santo, ma di questo edificio si avrà modo di riparlare. Come sulla via Nomentana, anche sulla Tuscolana la grande basilica a deambulatorio decadde dopo la costruzione della più piccola chiesa sulla tomba del martire. Come fondatore della grande basilica della via Tiburtina il Liber Pontificalis menziona ancora una volta Costantino24. Tra le donazioni di terreni di proprietà imperiale alla chiesa, la cronaca pontificia menziona un fundus Veranus e la proprietà di una tale Ciriaca, confluita nel patrimonio del fiscus insieme al Verano durante le persecuzioni, come ricorda sempre il Liber Pontificalis. Dunque anche questo edificio, come le altre basiliche a deambulatorio, sorse su un terreno di cui l’imperatore disponeva direttamente, e sul quale poteva esercitare la propria politica

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Martyria e mausolei di età costantiniana

edilizia, destinata al culto dei martiri e per i membri della famiglia imperiale. Come nel caso di S. Agnese, anche le altre donazioni di terre concesse per il mantenimento della chiesa si trovavano nei dintorni della basilica, lungo la via Tiburtina. Di recente si è tuttavia supposto che la basilica della via Tiburtina sia stata costruita sotto il pontificato di Sisto iii (432-440), a proposito del quale il Liber Pontificalis riferisce: fecit basilicam sancto Laurentio quod Valentinianus Augustus concessit25. Per varie ragioni è difficile aderire a questa proposta. Si dovrebbe piuttosto presumere che la chiesa, analogamente alla basilica di S. Agnese, cui per molti aspetti è avvicinabile, fosse fondata sotto la dinastia costantiniana; è infatti orientata con la facciata a est, come l’intero gruppo delle basiliche a deambulatorio, mentre già verso la fine del iv secolo anche a Roma, dove non sussistevano condizioni esterne che rendevano necessario un orientamento diverso, si afferma l’uso di orientare l’abside a est, come dimostra il caso di S. Paolo fuori le mura. Nel riferire l’origine della chiesa a papa Sisto iii con il sostegno di Valentiniano iii, il Liber Pontificalis non menziona donazioni fondiarie di alcun genere, che sarebbero state invece necessarie per un edificio di tali dimensioni, e che erano state assegnate anche alla grande basilica memoriale eretta sulla tomba dell’apostolo Paolo sulla via Ostiense appena una generazione prima, attorno al 400. La notizia della dedicazione di una chiesa a S. Lorenzo da parte di papa Sisto iii deve pertanto riferirsi a un’altra chiesa, certamente più piccola, intitolata allo stesso santo, oppure a un restauro promosso dal pontefice della grande basilica della via Tiburtina. A ciò si aggiunge il fatto che le sei basiliche a deambulatorio costituiscono un gruppo tipologicamente omogeneo, strettamente circoscritto alla città di Roma e all’epoca della dinastia costantiniana (312-361). Di sicuro c’è che la forma di queste basiliche era determinata dalle loro molteplici funzioni, e che per le sepolture e il relativo culto dei defunti si destinava quanto più spazio possibile nelle vicinanze dell’altare, poiché la messa andava sempre più sostituendo gli antichi riti funerari, e in particolare, a seguito di una serie di provvedimenti emanati, i banchetti in onore dei defunti. Queste situazioni evidentemente non sussistevano più dalla seconda metà del iv secolo: i rituali e le forme di commemorazione funeraria erano molto mutati, soprattutto da quando, nel corso del iv secolo, i vescovi avevano proibito i tradizionali banchetti funerari presso le tombe per evitare l’insorgere di abusi. Pertanto questa singolare forma di edificio sacro non ebbe seguito al di fuori di Roma. Il luogo di culto del veneratissimo martire Lorenzo attrasse non solo fedeli che volevano esservi sepolti, ma anche alcuni papi del v secolo, come Zosimo (417-418), Sisto iii (432-440)

e Ilaro (461-468). Proprio questi, e i papi successivi a partire dal v secolo, dotarono il santuario di un battistero, biblioteche, monasteri e altre chiese, che insieme a bagni, foresterie, diaconie, attività artigianali e quartieri abitativi erano destinati a rispondere alle esigenze dei pellegrini. L’importanza dell’insediamento, sviluppatosi rapidamente al di fuori dell’abitato antico come vero e proprio nucleo urbano, è dimostrata dalla presenza di alcuni edifici importanti come il palazzo (praetorium) per il soggiorno papale26. Erano meta di pellegrini anche le vicine catacombe con le sepolture di Ippolito e Genesio, venerati pure nella basilica di S. Lorenzo, che, come si apprende dall’Inno a sant’Ippolito di Prudenzio, assolveva al pari della basilica della via Labicana la funzione di luogo di culto martiriale in senso generale, portando allo sviluppo di un insediamento che intorno al 1200 venne cinto da mura e battezzato Laurentiopolis. Mentre a Roma i vecchi centri della vita politica e sociale perdevano importanza e, a partire dagli inizi del Medioevo, i quartieri meridionali e orientali entro le mura in gran parte si spopolavano, si formò qui, al di fuori della città e intorno al santuario in memoria del martire Lorenzo, divenuto uno dei più importanti centri di pellegrinaggio, un nuovo fulcro insediativo, dotato di un proprio dinamismo.

La basilica a deambulatorio della via Ardeatina Un sesto edificio, di forme analoghe alle basiliche sinora esaminate, ancora una volta caratterizzato da una navata mediana conclusa da un’abside che ne abbraccia l’intera larghezza, intorno alla quale le navate laterali si prolungano a formare un ambulacro, è stato scoperto pochi anni fa non lontano dall’area della catacomba di Callisto, nelle immediate vicinanze della via Ardeatina, a circa due chilometri dalla città. In un campo erboso si delinea la caratteristica planimetria di una basilica a deambulatorio, che sembra accostabile per dimensioni agli altri edifici già noti: gli scavi, che finora hanno portato in luce l’area dell’abside e l’inizio dell’aula, hanno confermato che si è di fronte a un ulteriore esempio di questo tipo architettonico. Lunga 60 m, quella della via Ardeatina costituisce uno degli esempi minori di basiliche a deambulatorio, orientata come tutti questi edifici con la facciata verso ovest. Come nei Ss. Marcellino e Pietro, in S. Sebastiano, nell’anonima basilica della via Prenestina (Tor de’ Schiavi), la zona absidale non si restringe rispetto alla navata, ma come in S. Sebastiano e nella basilica della via Prenestina la porzione della navata mediana che precede l’abside è isolata da una triplice arcata. Come S. Agnese, sembrerebbe che anche

questa basilica fosse dotata di una facciata ortogonale al corpo dell’edificio (Docum. x). In seguito, a nord dell’abside e in asse con questa, fu costruito un grande mausoleo, di forma grosso modo quadrata, addossato a un portico tangente alla testata absidale, di cui non è stato ancora ricostruito lo sviluppo verso est e ovest. Probabilmente il portico racchiudeva un’area cimiteriale intorno alla basilica, come si è già visto nei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana. Nella parte meridionale, come nel caso delle altre basiliche a deambulatorio, sembra che fossero anche qui annessi alcuni mausolei, come suggeriscono le tracce che si profilano sul prato. Le sepolture, allineate su più strati secondo uno schema razionale che ricopre fittamente ogni spazio disponibile non solo della chiesa, ma anche del mausoleo e del portico, mostrano, come nelle altre basiliche dello stesso tipo, il desiderio e l’esigenza dei credenti di essere sepolti in terra consacrata, vicino al luogo dove si celebrava il solenne rito eucaristico in onore dei martiri, per assicurarsene l’intercessione. Un’epigrafe concernente l’acquisto di una tomba nella basilica (sub teclata) è un buon esempio di quanto queste fossero richieste27. Un posto d’onore al centro dell’abside, isolata da una fila di arcate, era sicuramente riservato alla tomba del fondatore, papa Marco (336). Infatti, secondo quanto afferma il Liber Pontificalis, la costruzione può essere identificata con la basilica cimiteriale eretta sulla proprietà imperiale della via Ardeatina da papa Marco con il sostegno dell’imperatore Costantino28. Grazie alla sua struttura, alle testimonianze disponibili e ai dati storici, la chiesa si colloca tra le chiese cimiteriali erette da Costantino sopra o nei pressi delle catacombe con tombe di martiri, prima ancora di S. Agnese. Non è stato possibile sinora attribuire nomi accreditati dalle fonti storiche ai sepolti nelle vicine catacombe. Pertanto sembra che anche questa basilica sia stata consacrata al culto di tutti i martiri e non di alcuni specifici, e soprattutto che abbia avuto la funzione di edificio vescovile, per mettere a disposizione della comunità romana ulteriori spazi destinati a sepolture e un luogo consacrato al culto dei defunti per celebrazioni eucaristiche.

Le basiliche costantiniane a deambulatorio di Roma e il loro ruolo nell’architettura cristiana delle origini In conclusione, occorre esaminare ancora una volta le sei basiliche a deambulatorio, cercando di dar conto dei motivi della loro fondazione, della loro fisionomia architettonica e della loro funzione, così da comprendere meglio questi edifici di

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culto propri dell’età costantiniana nella loro specifica rilevanza architettonica, cultuale e politico-religiosa. Le sei basiliche, situate all’incirca a due-tre miglia dalle porte cittadine sulle grandi arterie in uscita da Roma, cingono la città con un semicerchio che si sviluppa da nord-est a sud-est, dalla via Nomentana all’Appia e all’Ardeatina. Tutte le basiliche sorgono su proprietà imperiali o su terreni del fiscus, per lo più in prossimità di grandi cimiteri cristiani ipogei. Solo sulla via Prenestina la catacomba è di dimensioni più ridotte. Tutte o quasi si trovavano nelle immediate vicinanze di una villa o di una proprietà imperiale: sulla via Appia (S. Sebastiano/basilica Apostolorum), sulla via Prenestina (Tor de’ Schiavi), sulla Labicana (Ss. Marcellino e Pietro) e sulla Nomentana (S. Agnese). Un’altra rilevante caratteristica è che la maggior parte di queste era collegata a un mausoleo di un membro della famiglia imperiale, come ad esempio sulla via Labicana e sulla Nomentana, e molto probabilmente sulla Prenestina e sull’Appia. In quest’ultimo caso sembrerebbe che la basilica con il mausoleo del fianco meridionale sia stata programmaticamente contrapposta da Costantino al monumentale mausoleo dinastico dello sconfitto predecessore Massenzio, sul lato opposto della strada. Sulla Tuscolana (S. Lorenzo) la posizione e l’aspetto del mausoleo, purtroppo non adeguatamente indagato, potrebbero testimoniare la sepoltura di un personaggio di rilievo, forse un membro della famiglia imperiale. Per la basilica della via Ardeatina, eretta da papa Marco col sostegno imperiale, non è possibile proporre una situazione analoga, tanto più che le limitate indagini archeologiche lungo il periodo non offrono dati. L’imperatore e i suoi familiari non entrano in gioco solo come fondatori di questi edifici, ma mettono anche a disposizione i terreni su cui costruirli, aggiungendo nella maggior parte dei casi all’edificio di culto il proprio mausoleo. Nel caso della basilica di S. Agnese sulla via Nomentana il più antico mausoleo viene sostituito in seguito da un edificio di maggiori dimensioni e particolarmente sontuoso, che in apparenza doveva fungere da mausoleo dinastico. Non vi è dubbio che dietro lo speciale zelo imperiale che sottende la nascita di queste basiliche a deambulatorio si delineasse perciò uno specifico programma. Come dimostrano due degli edifici più antichi – la basilica Apostolorum (S. Sebastiano) eretta sopra la piccola memoria degli apostoli sulla via Appia, e la basilica dei Ss. Marcellino e Pietro con l’annesso mausoleo di Elena –, queste basiliche erano santuari commemorativi, dotati di un altare destinato alla celebrazione dell’eucaristia, e servivano al culto solenne in onore dei martiri testimoni di Cristo nelle vicine catacombe e al tempo stesso a quello dei numerosi fedeli defunti lì sepolti. Il carattere funerario

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emerge soprattutto nella basilica Apostolorum della via Appia, nei cui muri di fondazione vennero già in origine inseriti dei loculi, mentre il pavimento, come in tutte le altre basiliche, era fittamente ricoperto di tombe. Come i fondatori della dinastia imperiale, anche la comunità ambiva alla sepoltura all’interno o nei pressi dei martyria, in modo da partecipare delle intercessioni dei martiri nel sacrificio eucaristico. Colpisce inoltre il fatto che i martiri presso le cui sepolture erano situate le basiliche, come ad esempio Marcellino e Pietro, non godevano in apparenza di particolare prestigio. Sulla via Prenestina, già nel Medioevo il loro ricordo era andato ormai completamente perduto, e anche sulla via Ardeatina non sono stati tramandati nomi. Soltanto san Lorenzo e santa Agnese, cui furono consacrate le due basiliche più recenti, ottennero maggiore importanza. Il culto di questi martiri fu evidentemente promosso in maniera determinante proprio dalla costruzione dei santuari devozionali. Nell’individuazione dei luoghi nei quali erigere le basiliche a deambulatorio non pesava tanto, tra le numerose tombe di martiri presenti nelle catacombe, la scelta di memoriae particolarmente care alla devozione cristiana, quanto la volontà dei fondatori, membri della dinastia imperiale, la disponibilità di proprietà imperiali e la possibilità di collegare all’edificio di culto un mausoleo, in modo che il fondatore potesse essere direttamente partecipe del culto memoriale. Queste chiese cimiteriali avevano dunque un duplice compito: erano destinate in generale al culto dei martiri e alla commemorazione dei fedeli inumati, e in particolare a quella del fondatore imperiale sepolto in posizione privilegiata, cui era conferita particolare rilevanza, in concorrenza con la consecratio dell’imperatore dopo la morte. In questi luoghi la tradizionale venerazione dell’imperatore, e soprattutto la divinizzazione dopo la morte del divus Augustus, trova nuova forma nei modelli e nelle rappresentazioni del culto dei martiri e dei defunti, che ha generato l’idea, esposta con grande efficacia da Eusebio, che Costantino, come primo imperatore cristiano, fosse salito dopo la morte direttamente in cielo al cospetto di Dio, a «ricevere l’onore dei culti divini e della liturgia mistica, e godere delle sante preghiere»29. Le basiliche a deambulatorio contrapponevano ai numerosi santuari pagani all’interno della città una corona di edifici di culto cristiani negli immediati dintorni, che al tempo stesso includevano ed esaltavano nel culto l’imperatore e la sua famiglia. Il tradizionale complesso della villa suburbana con annesso mausoleo, che aveva trovato la sua espressione più monumentale e significativa all’inizio del iv secolo nella villa dell’imperatore Massenzio sulla via Appia, attraverso l’aggiunta dei santuari dedicati al culto dei martiri assume qui una dimensione nuova

e in un certo senso pubblica. I credenti che qui si riunivano per celebrare il culto dei martiri e dei defunti prendevano parte anche al culto memoriale del fondatore imperiale. Tradizione e novità si legano, secondo una modalità tipica della tarda Antichità cristiana. Qualcosa di simile vale anche per la fisionomia architettonica di questi edifici. La forma della basilica a deambulatorio, che si differenzia dal prototipo basilicale per la comunità istituito con la basilica del Laterano, scaturisce senza dubbio dalla sua funzione. Le sepolture inserite nelle fondazioni della basilica Apostolorum sulla via Appia autorizzano a ritenere che l’ambulacro dovesse anzitutto fornire spazio per un numero maggiore di tombe, e fosse destinato alla celebrazione dei banchetti e dei riti di commemorazione dei defunti. La chiesa poteva servire per le processioni della comunità verso le memoriae dei martiri, mentre la navata mediana, al centro della quale era l’altare, era probabilmente riservata alla celebrazione dell’eucaristia. Fino a tempi recenti si è più volte sostenuto che nella loro peculiare fisionomia planimetrica le basiliche a deambulatorio, consacrate al culto dei martiri, si rifacessero al tipo dell’antico circus, che serviva al culto pagano degli eroi; alla luce di quanto detto finora è difficile sostenere che tale forma architettonica sottenda una simbologia e non una funzione. Sono i fattori spirituali e religiosi a determinare la fisionomia e le molteplici funzioni delle basiliche a deambulatorio, diversi peraltro dai presupposti di carattere sociale propri del circo come luogo di intrattenimento di massa. I due tipi architettonici non sono dunque da mettere in relazione reciproca: chi entrava nella basilica cimiteriale, ripartita in tre navate, certamente non la percepiva come una costruzione simile a un circo. Alcuni particolari essenziali della fisionomia architettonica delle basiliche a deambulatorio risultano inconfrontabili: il lato più stretto del circo, con i cosiddetti carceres, cui approdava la corsa dei carri, per poter assolvere tale scopo era leggermente curvo, raccordandosi in obliquo alla più ampia corsia destra. Al contrario, la fronte disposta in obliquo delle basiliche a deambulatorio, come ad esempio S. Sebastiano, S. Agnese e la basilica anonima della via Prenestina, non è convessa e s’innesta in direzione opposta, ovvero verso sud, apparentemente allo scopo di consentire, con l’ampia fronte aperta da arcate e finestre, di accrescere la luce all’interno, come accade in altre basiliche romane delle origini, ad esempio S. Sisto Vecchio. Dovrebbe quindi essere chiaro che il preteso simbolismo di queste basiliche, insolito nel contesto dell’architettura romana e cristiana, non ha fondamenti condivisibili. Elemento essenziale di alcuni di questi complessi cultuali erano i grandi mausolei imperiali, che mostrano lo sviluppo

delle soluzioni architettoniche tradizionali sotto l’influsso delle nuove esigenze del culto cristiano. Mentre il mausoleo di Tor de’ Schiavi presenta una facciata principale con vestibolo colonnato coronato da un timpano, nel mausoleo di Elena, collegato alla basilica lungo l’asse longitudinale, questo è sostituito da un corpo disposto a guisa di navata trasversale. Il successivo mausoleo di Costantina, come quello di Elena addossato direttamente alla basilica, presenta ancora un elemento di pregio tratto dall’architettura sacra tradizionale, il portico anulare su colonne, che in modo analogo al vestibolo colonnato del mausoleo autonomo di Tor de’ Schiavi conferisce all’edificio un prospetto esterno di rappresentanza. Rifacendosi ai primi, antichi esempi di inserzione nel corpo architettonico di finestre sotto l’imposta della cupola, come già in alcuni mausolei del iii secolo, in quello di Tor de’ Schiavi, e soprattutto in alcune aule termali, il mausoleo di Elena mostra un cleristorio già pienamente definito, uno sviluppo già partecipe delle nuove esigenze del culto cristiano dei defunti. Dal Liber Pontificalis si apprende che Costantino donò non solo un altare per la basilica, ma anche un altare in argento per il mausoleo, probabilmente posto davanti al sarcofago. In tal modo l’interno del mausoleo, in quanto luogo di culto, dovette assumere, anche in rapporto al più antico mausoleo di Tor de’ Schiavi, un nuovo valore, che si esprimeva all’esterno attraverso la presenza del cleristorio. Questa evoluzione viene sviluppata nel mausoleo di Costantina, dove la struttura si articola in un luminoso spazio centrale recinto da un ambulacro, accessibile solo dalla basilica attraverso l’atrio biabsidato. Le monumentali fondazioni di Costantino e della sua famiglia alle porte della città portano a mutamenti fondamentali per Roma e il suburbium. In un’area di due-tre miglia all’esterno delle mura, presso le grandi strade in uscita dalla città verso sud e verso est, sorgono in un ristretto arco di tempo, immediatamente successivo al riconoscimento ufficiale del cristianesimo, sei grandi chiese, poste nella campagna romana, sino allora occupata da ville con attività agricole e ampie e disordinate aree cimiteriali, priva di grandi santuari: esse determinano nuovi centri monumentali, punti di aggregazione per lo sviluppo di ulteriori insediamenti. Colpisce il fatto che nelle vicine catacombe le sepolture diminuiscano nettamente nella prima metà del iv secolo e s’interrompano nel v. Ad attirare sempre più i cristiani, che sino a quel momento avevano privilegiato per la propria sepoltura le catacombe consacrate dalla presenza delle tombe dei martiri, sono ora le basiliche a deambulatorio, in quanto centri del culto eucaristico dei martiri e di quello in memoria della famiglia imperiale, tanto che intorno a queste chiese, lungo le strade in uscita da Roma, s’impiantano aree cimiteriali sopraterra. In questo

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Martyria e mausolei di età costantiniana 54. S. Pietro in Vaticano. Necropoli romana sotto la basilica, interno della tomba z, ii secolo.

modo si completa una profonda svolta nelle modalità di sepoltura dei defunti. Qui sono le radici della consuetudine, prevalente dal primo Medioevo e fino all’età moderna, di seppellire i morti in chiesa o nell’ambito della chiesa. Alla fine del v secolo si avvia un’ulteriore svolta nelle usanze funerarie quando, in contrasto con l’uso antico, si moltiplicano le sepolture all’interno della città stessa, dove sempre più spesso vengono trasferite nelle chiese le reliquie dei martiri in precedenza custodite nelle catacombe. Per questo motivo dalla seconda metà del iv secolo non si conoscono altre basiliche cimiteriali di questo tipo. Il banchetto funerario, che poteva prevedere numerosi partecipanti e occasionalmente anche degenerare, è ora sempre più spesso proibito dai vescovi. Le grandi basiliche a deambulatorio vanno perdendo il proprio significato e, ad eccezione della basilica Apostolorum, attuale S. Sebastiano sulla via Appia, vengono abbandonate e sostituite nell’alto Medioevo da più piccole chiese per pellegrini costruite sopra la tomba del martire, come sulla via Nomentana e sulla Tiburtina. Questo tipo di edificio non troverà seguito, né qui né altrove. Attraverso la liturgia stazionale, formatasi nel corso del v secolo, che per la celebrazione eucaristica nei giorni festivi riuniva il papa e l’insieme della comunità dell’urbs Roma in determinate chiese della città e negli edifici memoriali dei martiri nel suburbium, tali chiese vennero sempre più strettamente connesse all’organizzazione ecclesiastica urbana.

S. Pietro in Vaticano Costantino aveva fondato la basilica lateranense e il connesso battistero come centro di culto per la comunità cristiana della capitale. Basilica e battistero avevano costituito i primi edifici di culto di una comunità ormai ufficialmente riconosciuta, il primo santuario pubblico cristiano in una città ricca di tradizione, il centro dell’impero, dei culti, dell’amministrazione e degli ideali. Inizialmente però entrambe le strutture non avevano avuto seguito in città; ciò dimostra come la comunità non avesse ancora raggiunto, con la costruzione di ulteriori edifici, piena autocoscienza. Ai numerosi templi ed edifici di culto pagani si contrapponeva un unico complesso cristiano, la basilica del Laterano, che non temeva il confronto per dimensioni e ricchezza con la maggior parte dei templi tradizionali. Non c’era bisogno di ulteriori edifici di culto, poiché agli inizi del iv secolo la comunità non era ancora numerosa. Roma continuò così ad essere caratterizzata dagli edifici del passato e dai luoghi di culto della tradizione pagana. La munificenza della casa imperiale nei confronti della Chiesa cristiana non si limitò alla fondazione del Laterano. Costantino

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e i membri della sua famiglia costruirono, come si è visto, una corona di chiese memoriali in onore dei martiri all’esterno della città, lungo le grandi vie consolari che conducevano alle provincie imperiali. Si trattava di un vero e proprio anello di santuari cristiani che sotto la dinastia costantiniana circondò la città, sino allora sostanzialmente pagana. Il più significativo tra questi edifici, che in qualche misura supera per dimensioni la stessa cattedrale, è la basilica di S. Pietro in Vaticano, sopravvissuta sino al xv secolo ai guasti del tempo. Dopo che nel 1452 papa Niccolò v (14471455), su consiglio di Leon Battista Alberti, aveva incaricato Bernardo Rossellino di sostituire l’abside con un nuovo corpo di dimensioni maggiori, intorno al 1505, sotto il pontificato di Giulio ii (1503-1513), Bramante diede inizio alla costruzione della chiesa attuale. La nobile basilica di Costantino non era più adeguata alle ambizioni del tempo e della committenza papale, e né i mezzi né la sensibilità dell’epoca consentivano di mantenerla com’era. Via via che il nuovo edificio progrediva, la vecchia basilica veniva smantellata pezzo a pezzo, sino a quando nel 1618 Carlo Maderno, completata la navata e la facciata, rimosse anche gli ultimi resti dell’antico edificio. È ancora una volta il Liber Pontificalis a tramandare il nome di Costantino come fondatore e committente della basilica: fecit basilicam beato Petro… cuius loculum ex aere cypro conclusit («costruì una basilica dedicata a san Pietro, la cui sepoltura rivestì di lamine di bronzo»). Lo stesso testo riferisce che la tomba di Pietro si trovava iuxta palatium Neronianum, in Vaticanum30. La notizia è confermata anche da altre fonti. Il presbitero romano Gaio, intorno al 200, vantava la presenza a Roma delle tombe dei principi degli apostoli, riferendo che i tropaia (i «simboli vittoriosi»), i sepolcri dei martiri Pietro e Paolo, considerati vincitori sui peccati e la morte, si trovavano presso il colle Vaticano e lungo la via Ostiense31. Ancora all’inizio del v secolo Gerolamo, Padre della Chiesa latina, sottolinea che Pietro era stato crocifisso sotto l’imperatore Nerone e sepolto presso il Vaticano in prossimità della via Triumphalis32. Ora è noto dalle fonti antiche che l’imperatore Nerone possedeva sulla sponda opposta del Tevere, presso il colle Vaticano, vasti giardini e una villa, che comprendeva anche un circo. Il complesso, di cui sono attestati resti al di sotto dell’odierno ospedale di S. Spirito, in riva al Tevere e alle pendici del Gianicolo, era simile a quello che secoli dopo l’imperatore Massenzio fece costruire sulla via Appia, con un palazzo, un circo, giardini e un mausoleo dinastico. Anche presso il Vaticano, in prossimità delle strade che passavano davanti ai possedimenti imperiali verso ovest e nord, la via Cornelia e la via Triumphalis, si trovavano, come ovunque fuori città, vaste aree cimiteriali, di cui si sono riportati in luce

parecchi settori su terreni oggi dello Stato del Vaticano, con tombe dal i al iv secolo. Un’iscrizione sopra l’ingresso di uno di questi edifici funerari, risalente all’inizio del ii secolo e ritrovata durante gli scavi condotti negli anni 1940-1949 nella necropoli sotto S. Pietro, riporta un’interessante disposizione testamentaria, in cui agli eredi di Popilius Heracla, cui apparteneva la tomba, veniva imposto ut monumentum mihi faciatis in Vatic(ano) ad circum… («che mi facciate un monumento funerario in Vaticano nei pressi del circo…»)33. L’ubicazione del circo alle pendici sudorientali del colle Vaticano, nelle immediate vicinanze della via sepolcrale su cui sorge il ricordato monumento funerario, è confermata anche da altri dati archeologici. L’emiciclo del lato breve del circo, dove giravano i carri, è forse identificabile nei resti murari rinvenuti sotto il colonnato meridionale di piazza S.

Pietro. Il circo si estendeva dunque da est a ovest lungo l’attuale tracciato della basilica di S. Pietro, che si sovrappone al suo lato lungo settentrionale. A ciò corrisponde anche l’originaria collocazione del grande obelisco oggi al centro di piazza S. Pietro, e qui trasferito, con una sensazionale e complessa operazione, per incarico di papa Sisto v (1585-1590) da Domenico Fontana nel 1586, dall’antico basamento a sud della basilica, davanti all’odierna sacrestia. L’obelisco era collocato in origine sul muro divisorio, la cosiddetta “spina”, che separava le due piste del circo. Mancano dati archeologici per stabilire dimensioni e aspetto del circo: forse le gradinate erano costituite da un semplice terrapieno, visto che alla fine del ii secolo l’impianto venne abbandonato, come attestano i monumenti funerari a sud della tomba di Popilius Heracla, costruiti già sulla pista. Agli inizi del

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Martyria e mausolei di età costantiniana 55. S. Pietro in Vaticano. Necropoli romana sotto la basilica, tomba degli Iulii (m). Mosaico della volta con il dio Sole-Helios sul carro celeste circondato da tralci di vite; nel registro inferiore: scene della vita di Giona. Costituisce la prima testimonianza iconografica cristiana nella necropoli pagana; inizio del iv secolo.

iii secolo venne eretto nelle vicinanze dell’obelisco un mausoleo a pianta circolare, sicuramente per un personaggio importante, di cui purtroppo nulla si sa. Stando a una notizia fornita da Tacito, intorno al 64 nel complesso furono giustiziati per ordine di Nerone numerosi cristiani34. Probabilmente non si trattò di una persecuzione massiccia, taciuta dalle fonti e divenuta leggendaria, bensì di un episodio isolato, come suggeriscono analoghe notizie di altri scrittori del tardo i secolo, come Svetonio35. Non è certo se Pietro abbia subìto il martirio in questa occasione. Le informazioni fornite dal Liber Pontificalis, dal presbitero Gaio e da Gerolamo sulla presenza della tomba di Pietro presso la villa neroniana del Vaticano, insieme alla notizia di Tacito e alla citazione dell’apostolo come martire nell’epistola di Clemente ai Corinzi36, scritta intorno all’anno 100, lasciano comunque concludere che Pietro è stato martirizzato sotto Nerone presso il colle Vaticano e che la sua tomba si trovava nelle immediate vicinanze. Il fatto sarebbe confermato dagli scavi effettuati sotto S. Pietro negli anni 19401949 e 1953-1957, che hanno riportato alla luce alcune parti della necropoli, fornendo la prova che già nel ii secolo la comunità cristiana romana riteneva che la tomba del principe degli apostoli si trovasse in quel punto dell’area cimiteriale, lo stesso su cui è ora collocato l’altare pontificio, sotto al baldacchino di Bernini e alla cupola di Michelangelo. Qui era un settore in cui venivano inumati i poveri, in semplici fosse coperte spesso solo da grandi laterizi, oppure in modesti sarcofagi di terracotta. Analoghe situazioni, con aree occupate solo da povere e modeste fosse accanto o dietro sontuosi mausolei, sono attestate anche in altre necropoli di epoca imperiale, come ad esempio sull’Isola Sacra, tra le città portuali di Ostia e Porto. Nel corso del ii secolo l’area venne in parte occupata da costosi monumenti funerari, fatti costruire da ricchi liberti o da membri del facoltoso ceto medio. Durante la costruzione di un muro di sostegno che attraversava l’area, datato in base ai bolli laterizi e alle monete alla metà del ii secolo, i cristiani fecero inserire una nicchia, che con l’aggiunta di due colonnine assunse in seguito una modesta forma architettonica a edicola. Situata a ridosso di quello che gli archeologi hanno battezzato il “muro rosso” per il colore dell’intonaco, era a quanto pare destinata a mantenere vivo il ricordo della tomba di Pietro, probabilmente posta nelle vicinanze, che rischiava di essere dimenticata, come le altre semplici fosse del settore, in seguito all’erezione sul medesimo terreno dei monumentali edifici funerari. Il piccolo, modestissimo monumento, in assoluto il più antico esempio di martyrium o memoria, è senz’altro da identificare nel tropaion (in greco «segno di vittoria», a indicare la tomba come

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monumento del trionfo sulla morte) citato da Gaio, in seguito variamente restaurato e decorato alla buona. Un graffito sul muro rosso vicino all’edicola, in cui si legge Petr(os) eni («Pietro è qui»), e altri graffiti incisi dai visitatori sull’intonaco del muro di sostegno accanto all’edicola, con invocazioni e auguri che, data la presenza del monogramma di Cristo, sono già riferibili ad epoca costantiniana, dimostrano che, anche se viene menzionato solo Cristo e non Pietro, il luogo era oggetto di devozione da parte della comunità cristiana. Qui dunque è rimasta viva fino al iv secolo una tradizione, la cui prima testimonianza visibile è la nicchia della metà del ii secolo nel muro di sostegno del sepolcreto dei poveri. Che nel ii secolo, poco più di due generazioni dopo il martirio dell’apostolo, nella comunità cristiana fosse ancora nota, sia pure approssimativamente, l’ubicazione della sepoltura, e che quindi la nicchia nel muro contraddistinguesse realmente il settore, è un dato illuminante, se si pensa che nell’Antichità ci si affidava assai più che al giorno d’oggi alla trasmissione orale. Il monumento – eretto poco più di due generazioni dopo la morte di Pietro e rivelato dalla ricerca archeologica – conferma quanto tramandato sul martirio e la sepoltura di Pietro a Roma dalle fonti scritte, incomplete e scaglionate nell’arco di un secolo, e costituisce l’inequivocabile testimonianza della storicità del suo soggiorno e della sua morte a Roma, ancora di recente controverso a causa della lacunosità delle fonti. Nella comunità cristiana di Roma si era costituita dunque una tradizione ininterrotta legata alla tomba di Pietro, che dovette fornire spunto a Costantino per la costruzione della basilica dedicata all’apostolo, come riferisce la cronaca pontificia a proposito di Silvestro i (314-335)37. L’edificio non venne completato nei primi anni di regno dell’imperatore. Una moneta risalente a un’emissione degli anni 317-318 ritrovata nell’urna contenente le ceneri di una certa Trebellena Flacilla, nel mausoleo t della necropoli, vicino alla memoria di Pietro, prova che a quell’epoca il cimitero continuava ad essere in uso. Le donazioni di terre effettuate dall’imperatore, che dovevano servire per il completamento e il mantenimento della basilica, del relativo clero e per l’esercizio del culto, secondo quanto afferma il Liber Pontificalis si trovavano tutte nelle provincie orientali dell’impero, sulle quali Costantino poté estendere il proprio dominio solo dopo la decisiva vittoria sul rivale Licinio nel settembre del 324, vittoria celebrata nell’iscrizione di fondazione sull’arco trionfale della basilica38. Alcuni bolli laterizi col nome di Costantino provenienti dalla muratura dell’abside provano d’altronde che questa parte della basilica dovette essere completata prima della sua morte nel 337. Si può quindi ritenere che l’edificio sia stato

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iniziato nel terzo decennio del iv secolo. Non è invece noto con certezza per quanto tempo si sia protratto il cantiere. Nel 333 Eusebio poteva già definire S. Pietro un grande santuario, meta di migliaia di pellegrini39; lo era evidentemente anche all’epoca del pretore pagano Lampadio, che esercitò tale incarico a Roma dal 335 al 340, quando si provvide, a quanto pare nell’atrio della basilica, all’assistenza di centinaia poveri, come suggerisce una notizia riportata da Ammiano Marcellino, prassi testimoniata ancora per il 397 da Paolino di Nola40. A quest’epoca l’edificio doveva essere già completato, come la maggior parte degli arredi interni. Al 333 come anno del completamento della basilica rinvia la data di dedicazione, celebrata per entrambe le basiliche che custodiscono le tombe di Pietro e Paolo il 18 novembre. Poiché la dedicazione della chiesa avveniva di domenica, nel periodo in questione tale data cade per l’appunto di domenica solo nel 333. Un’ulteriore conferma che la basilica sia stata fondata all’incirca dopo il 320 e completata negli anni Trenta del iv secolo è fornita anche dalle iscrizioni dedicatorie del santuario di Cibele, che si trovava nelle immediate vicinanze della basilica costantiniana. Sono datate tra il 344 e il 390, e in una di esse, della metà del secolo, si afferma che il culto venne ripreso dopo un’interruzione di 28 anni, presumibilmente causata dal cantiere della basilica41. Dal momento che il Liber Pontificalis, a proposito di papa Liberio (352-366), afferma che avrebbe preso possesso della basilica di S. Pietro, è da intendersi che al più tardi in questa data anche l’arredo interno doveva essere stato ultimato42. Tutti gli indizi confermano inequivocabilmente che la basilica è stata fondata da Costantino e condotta a termine nell’arredo probabilmente prima della morte dell’imperatore nel 337, in ogni caso al più entro la metà del iv secolo. La tesi recentemente avanzata contro la testimonianza del Liber Pontificalis, che S. Pietro non sarebbe stata fondata da Costantino, non è perciò sostenibile. L’episodio narrato dalla Storia ecclesiastica di Socrate Scolastico, degli inizi del v secolo, in cui si racconta di come Ammonio, rispettato monaco egiziano, accompagnando nel 339 il vescovo Atanasio da Alessandria a Roma, di tutti i monumenti volle visitare solo quello dedicato agli apostoli Pietro e Paolo, non implica necessariamente che a quella data la basilica non fosse ancora stata eretta, ma sottolinea l’importanza del culto dei due apostoli cui era dedicata la basilica sulla via Appia, tanto più che S. Pietro era stata terminata poco prima della visita del monaco43. È possibile conoscere con certezza le dimensioni e l’aspetto della basilica costantiniana, e fornirne una sostanziale ricostruzione, grazie soprattutto ai disegni, alle misurazioni e ai resoconti stesi durante l’erezione dell’odierna basilica e agli scavi compiuti sotto S. Pietro su incarico di Pio xii negli anni 1940-1949 allo

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scopo di individuare la tomba dell’apostolo, che secondo la tradizione si sarebbe dovuta trovare sotto la chiesa. Altre informazioni sono state fornite da indagini successive nella necropoli romana messa in luce dagli scavi, e riguardano numerose parti, rese accessibili dagli scavi stessi, delle fondazioni e dei muri di sostegno della vecchia basilica e dell’area intorno a essa, come pure dal riesame sistematico di tutte le notizie riguardanti la basilica antica e dagli innumerevoli disegni e vedute che documentarono i progressi del cantiere della chiesa attuale, in cui è offerta un’immagine delle porzioni dell’edificio costantiniano che ancora rimanevano in piedi. A differenza della basilica del Laterano, chiesa della comunità e sede del vescovo che ne è alla guida, S. Pietro rappresenta un nuovo tipo nell’ambito dell’edilizia cristiana di culto. Si tratta di una chiesa dedicata alla memoria del martire Pietro, che circondava il piccolo, modesto monumento funerario con un monumentale edificio destinato alla sua commemorazione liturgica. Scopi essenziali del culto, sviluppatosi nel corso del iii secolo dalla tradizione romana del culto dei morti, erano la celebrazione dell’eucaristia in onore di Pietro, principe degli apostoli e martire, testimone della morte salvifica e della resurrezione di Cristo, e le intercessioni dell’apostolo a favore dei fedeli. La piccola edicola costituiva il fulcro del culto e verso di essa fu orientata la grande basilica. A tale scopo si abbandonò e si distrusse la necropoli alle pendici del colle Vaticano che ospitava la tomba di Pietro, ancora utilizzata all’inizio dell’età costantiniana. Un’iniziativa del genere poteva essere assunta solo dallo stesso imperatore, nella sua qualità di pontifex maximus, ovvero sommo sacerdote del tradizionale culto di Stato, poiché in base al diritto romano tombe e aree cimiteriali erano inviolabili. Per ricavare un’area sufficiente per la basilica e includervi la memoria di Pietro si procedette alla costruzione di muri di sostegno alti fino a 10 m sul pendio sudorientale del colle, nonché all’interramento degli edifici funerari che si estendevano nel settore inferiore della necropoli romana e all’abbattimento dei monumenti funerari posti più in alto nei pressi della memoria. Inoltre a ovest e a nord, dietro la tomba del martire, si dovette spianare la restante parte del colle. Una visita della necropoli sotto S. Pietro, in cui sono stati portati alla luce i grandi edifici funerari romani e le sostruzioni della basilica, mette in evidenza l’impegno e l’onere dei lavori di allestimento del cantiere. Per coprire le tombe e spianare la piattaforma fu necessario movimentare oltre 40.000 m3 di terra su un terreno in pendenza e poco idoneo a essere edificato. I costosi interventi mostrano quale importanza l’imperatore attribuisse alla costruzione della grande basilica in onore dell’apostolo, e

quanto tenesse a erigere un santuario commemorativo di adeguato prestigio. Altrettanto monumentali erano le dimensioni della basilica, costruita come la chiesa del Laterano con la tecnica tradizionale dell’opera laterizia. La lunghezza complessiva dell’edificio era di 123 m, le cinque navate erano larghe in tutto 66 m, il transetto che precedeva l’abside era lungo 90 m e largo oltre 17. La chiesa era dunque grande quasi un terzo in più rispetto a quella lateranense, sede vescovile, con cui aveva in comune l’impianto basilicale a cinque navate. Rispetto a quest’ultima, che all’estremità occidentale dell’aula davanti al presbiterio era dotata di due annessi trasversali simili a piccole cappelle, S. Pietro disponeva di una vera e propria navata trasversale, innestata tra l’aula basilicale e l’abside, un corpo autonomo chiaramente distinto anche all’esterno, in cui sfociavano anche le navate laterali. In tal modo risultava particolarmente enfatizzata l’area occidentale antistante l’abside, verso cui la basilica era orientata. All’intersezione tra abside e transetto era il monumento simbolo della basilica costantiniana, l’edicola (memoria) del principe degli apostoli, che l’imperatore aveva isolato con l’abbattimento degli edifici funerari e del muro di sostegno cui era addossata, e fatta rivestire di costose lastre di porfido e marmo. Il venerato monumento, posto su un basamento lievemente sopraelevato, era coronato da un baldacchino impreziosito da colonne tortili di prezioso marmo bianco con una decorazione a rilievo con tralci di vite. Altre due colonne dello stesso tipo, reggenti un architrave, collegavano il baldacchino all’abside. Gli scavi hanno portato in luce nel pavimento le tracce delle due altre colonne del baldacchino e degli innesti delle transenne bronzee che lo collegavano alla navata trasversa. Le rare e preziose colonne di produzione microasiatica, databili al i-iii secolo, con fusto, base e capitelli ricavati da un unico blocco di marmo bianco lavorato nella cava di Dokimeion nel centro dell’Anatolia, vennero scelte con cura per incorniciare degnamente il monumento dell’apostolo nel transetto. Il Liber Pontificalis menziona specificamente le colonne tra i doni di Costantino alla chiesa, sottolineando che furono fatte venire dalla parte orientale dell’impero, notizia recentemente confermata dal rinvenimento di frammenti di colonne simili a Efeso. A causa della forma insolita e della preziosa lavorazione, furono sin dall’inizio oggetto di ammirazione. Nel Medioevo si riteneva che fossero le colonne del tempio di Salomone, e vennero più volte riprodotte, suscitando l’interesse di molti artisti del periodo rinascimentale e barocco: la fisionomia del baldacchino della basilica costantiniana fu così ripresa, anche nella forma e nella decorazione delle colonne bronzee, da quello barocco di Bernini, che sovrasta l’altare pontificio dell’attuale basilica, eretto sopra la memoria Petri. Le colonne vitinee della basilica costanti-

niana vennero invece trasferite come preziosi cimeli nelle nicchie dei quattro pilastri della cupola del nuovo S. Pietro. Il transetto, alto 25 m e dunque più basso della navata principale (37,9 m), si distingueva chiaramente come corpo autonomo rispetto all’aula longitudinale a cinque navate, formando uno scrigno monumentale sopra la tomba di Pietro, sulla quale tutto l’edificio era orientato. Mentre le navate laterali erano schermate verso il transetto da colonne, così da essere sottolineato come ambiente autonomo costruito intorno alla tomba di Pietro, la navata mediana si apriva sul transetto con un grande arco trionfale, nel quale la memoria Petri spiccava incorniciata dall’abside. Alle testate nord e sud del transetto erano addossati due bassi vani di medesima larghezza di questo e sporgenti rispetto all’aula longitudinale, accessibili, come le navate laterali, attraverso un’ampia apertura a tre intercolumni. La funzione di questi annessi, che ricordano le cappelle laterali della basilica del Laterano, è sconosciuta. Il corpo longitudinale era simile a quello della basilica lateranense. La navata mediana era fiancheggiata da un colonnato architravato che sorreggeva il cleristorio, mentre le laterali erano separate da arcate su colonne, una selva di ben 88 colonne. L’impiego di colonne e architravi nella nave centrale non implicava un ritorno alle forme classiche, anche se l’ampiezza degli intercolumni corrispondeva alle proporzioni raccomandate da Vitruvio, teorico dell’architettura della prima età imperiale, quanto piuttosto lo sforzo di connotare con forme architettoniche e decorative di sontuosa monumentalità l’ambiente principale dell’edificio. Il colonnato architravato, con la fitta sequenza di 22 colonne con intercolumnio di appena 2,4 m, sottolineava l’orientamento della navata maggiore verso la tomba di Pietro, sotto il baldacchino, a quasi 100 m di distanza. Posta oltre l’arco trionfale, immersa nella luce del transetto con l’abside sullo sfondo, essa attraeva lo sguardo delimitando il nucleo principale del corpo longitudinale rispetto alle navate laterali: grazie all’architrave continuo, che correva alla stessa altezza dell’imposta dell’arco di trionfo e di quello della calotta absidale, l’emiciclo absidale e il baldacchino erano messi in evidenza come fulcro del percorso e dell’intero complesso. Nelle navate laterali arcate su colonne – con archi esagerati, a parità d’intercolumnio, rispetto alla mediana – caratterizzavano gli ambienti subordinati, e poiché queste erano percepite piuttosto come aperture e la soprastante parete era ulteriormente annullata, serravano in un unico spazio le navate settentrionali e quelle meridionali. La differenza tra i colonnati della navata mediana e quelli delle laterali fu certamente dettata da problemi di natura tecnico-

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edilizia. Per poter raccordare, a parità di intercolumnio, con un architrave rettilineo le colonne delle navate minori si sarebbero resi necessari blocchi delle medesime colossali dimensioni di quelli della mediana. Questi però difficilmente avrebbero potuto essere sostenuti dalle colonne più basse e più esili delle navate laterali. Si optò quindi a favore delle arcate, che offrivano una soluzione persuasiva dal punto di vista pratico e stilistico. Il differenziato impiego di arcate e architrave rispondeva anche alle esigenze d’illuminazione dell’edificio. Undici finestre a tutto sesto, diposte fuori asse rispetto agli intercolumni, inondavano di luce la navata mediana, alta 32 m. Lo stesso numero di finestre caratterizzava il muro d’ambito delle laterali. Poiché le navate più interne non disponevano di una fonte di luce propria, l’illuminazione delle navate minori risultava attenuata, differenziandosi in tal modo dalla viva luminosità della centrale. Il transetto si poneva invece come un corpo autonomo e unitario attraversato dalla luce. Anche se le sedici finestre documentate dalle fonti sono difficilmente collocabili nella ricostruzione dell’edificio, le pareti della navata trasversa offrivano comunque lo spazio sufficiente per un maggior numero di finestre che, aggiungendosi alle cinque centinate dell’abside, dovevano far apparire questa parte della basilica particolarmente chiara e luminosa. Pure nella calibratura dell’illuminazione si ritrova una valutazione e una meditata gerarchizzazione dei diversi elementi spaziali, grazie ai quali la zona intorno alla tomba di Pietro era messa in speciale rilievo. Non è noto come fossero chiuse queste finestre – se con grate, lastre di alabastro o con vetri multicolori, come è attestato per altre chiese tardoantiche e altomedievali – ed è quindi impossibile avere un’idea precisa della qualità cromatica e dell’intensità della luce. L’impressione spaziale suscitata dalla grande basilica doveva essere di assoluta imponenza: le colonne che in fitta sequenza sostenevano la parte superiore finestrata della navata mediana erano alte quasi 11 m, comprese le basi e i capitelli, ed erano perciò di poco inferiori alle colonne dell’atrio del Pantheon. La base e un frammento del fusto di una colonna della navata centrale e di una delle navate laterali sono tuttora visibili all’uscita delle Grotte dell’attuale basilica, ancora nella loro collocazione originaria, e danno un’idea delle monumentali dimensioni dell’edificio. Anche l’architrave era di dimensioni notevoli: era alto quasi 3 m, e davanti al cleristorio reggeva un passaggio praticabile per la manutenzione dei grandi lampadari. Le colonne e i monumentali blocchi dell’architrave provenivano probabilmente dai vasti depositi imperiali di marmo sulle sponde del Tevere dentro e fuori la città, come mostrano le basi non finite ancora visibili, disomogenee per forma, lavorazione, datazione e materiali.

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L’allineamento nel colonnato di elementi equivalenti, di tradizione classica, è sostituito dalla disposizione a coppie di pezzi simili da una parte e dall’altra della navata maggiore. Ne scaturisce un legame che contrappone al principio classico dell’articolazione bilanciata ed equilibrata una scansione gerarchizzata dei diversi elementi: i materiali di spoglio di forma e materia più preziosa, per quanto riguarda i fusti e i capitelli, sono posti in prossimità dell’arco trionfale. Il medesimo principio regolatore di differenziazione gerarchica degli spazi si esprime anche nelle colonne delle arcate laterali: si ritrova qui una parziale disposizione a coppie affrontate lungo l’asse longitudinale delle navate, di modo che elementi delle arcate si corrispondessero nei materiali e nella decorazione. Una disposizione di tal genere poteva a mala pena essere colta visivamente, risultando percepibile solo a un visitatore attento. Essa esprime piuttosto un concetto ideale, orientato alla gerarchizzazione dell’edificio e delle sue parti, mentre la qualità e la molteplicità delle forme e degli ordini dei capitelli in multicolore sequenza era segno di fasto e preziosità. Probabilmente è questo il motivo sostanziale dell’utilizzo di elementi più antichi, che si afferma nel nuovo tipo, non vincolato a norme convenzionali, della basilica cristiana, e che segnala una mutata sensibilità estetica. Le pareti delle navate laterali erano rivestite da lastre marmoree di vari colori, mentre nulla si sa dell’originaria decorazione di quelle della navata mediana. Le scene dell’Antico Testamento sulla parete nord e del Nuovo su quella sud, che ancora si vedevano nel xvi secolo, più volte restaurate e rifatte, erano disposte su due registri al di sotto delle finestre, separate da cornici in stucco forse pertinenti alla decorazione originaria del iv secolo. Diverse fonti, come gli atti del concilio di Elvira del 306 e una lettera del celebre vescovo Nilo di Ancyra, della seconda metà del iv secolo, menzionano pitture parietali nelle chiese che Nilo, considerando il ciclo di affreschi di S. Pietro, suggerisce essere scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Paolino di Nola, intorno al 400, definisce raro more, ovvero inconsueto, questo suntuoso tipo di decorazione, cosa che può significare che fino ad allora fosse riservata essenzialmente proprio a edifici grandi e importanti come S. Pietro. Non si può perciò escludere che la basilica ospitasse già nel iv secolo tali cicli, che stabilivano corrispondenze reciproche nei contenuti e nei quali Pietro era indicato come secondo Mosè, salvatore del suo popolo, così come veniva raffigurato nei rilievi dei sarcofagi e nelle pitture murali della seconda metà del iv secolo44. Secondo un disegno di Jacopo Grimaldi del 1619, risalente a prima della demolizione, l’abside era decorata da un mosaico raffigurante Cristo in trono con i principi degli apostoli tra le palme del Paradiso, una composizione simile a quella di S. Costanza.

Il mosaico, in seguito più volte restaurato e integrato, potrebbe risalire all’impianto decorativo originario: lo confermano le due iscrizioni absidali che ricordano l’imperatore come fondatore della sede della Fede e della Chiesa della Giustizia, e questa come simbolo dei meriti di padre e figlio, ovvero Costantino e Costanzo i, e come segno di espiazione, quindi monumento celebrativo della vittoria sul nemico invasore dell’impero, intendendo con ciò la vittoria sui Sarmati del 32245. Anche l’arco trionfale era decorato con un mosaico nel quale, secondo le descrizioni precedenti lo smantellamento della chiesa, era raffigurato l’imperatore Costantino nell’atto di consegnare a Cristo e a san Pietro il modellino della chiesa. Questa iconografia, insolita per l’arte cristiana del periodo, collima tuttavia con la relativa iscrizione, certamente costantiniana, in cui la costruzione della basilica è indicata come dono di ringraziamento a Cristo e monumento alla vittoria conseguita grazie al suo aiuto, con cui il mondo era stato posto sotto il dominio di Costantino: Quod duce te mundus surrexit in astra triumphans hanc Constantinus victor tibi condidit aulam («Poiché sotto la tua guida il mondo è risorto trionfante, Costantino vincitore fondò per te quest’aula»)46. Così come la basilica lateranense, anche questo costituisce un monumento al trionfo della divinità, un omaggio per la vittoria ottenuta. Il pavimento del transetto e della navata maggiore era rivestito dalla consueta griglia di tondi e quadrati con cornici di lastre marmoree bianche e rosse. Le capriate del transetto erano dorate; mancano invece notizie sulla copertura della navata mediana. È senz’altro possibile che anche qui, come in altre chiese, la navata fosse coperta da capriate a vista, probabilmente dorate. S. Pietro, come il Laterano, era arricchita da arredi multicolori, caratteristici della fastosità degli edifici tardoantichi. Nelle festività solenni, in cui i pellegrini affluivano a frotte nella chiesa, tale sontuosità doveva essere ulteriormente accentuata dalle suppellettili donate da Costantino, come ad esempio l’altare in argento dorato e i lampadari della navata centrale, e da paramenti analoghi a quelli che ancora oggi si possono vedere esposti con grande solennità nelle chiese in Italia. Prudenzio, il grande poeta cristiano che visitò Roma agli inizi del v secolo, tratteggia con parole solenni la basilica di S. Pietro festosamente addobbata47. Una di queste festività, celebrata nella basilica di S. Felice, è vivacemente descritta da Paolino, possidente di origine aristocratica, alto funzionario imperiale, poeta cristiano e infine vescovo di Nola dal 409: tendaggi bianchi erano appesi tra le colonne e grandi lampadari a corona erano collocati sull’altare e lungo la navata, inondata di luce giorno e notte ad attirare schiere interminabili di pellegrini48. Con analogo fasto dovevano essere celebrate in S. Pietro le solennità del 29 giugno, festa del santo, e del 18 novembre, anniversario della consacrazione della chiesa.

Rispetto alla basilica lateranense, S. Pietro è più monumentale e ne supera di oltre un terzo le dimensioni. Si manifesta con chiarezza l’intento di creare un edificio di culto di speciale rappresentanza e di grande impatto, ancor più enfatizzato dal grande basamento rialzato sul pendio sudorientale del colle Vaticano. La poderosa struttura, con i suoi 123 m di lunghezza e oltre 37 di altezza, presenta un impianto più meditato rispetto alla basilica lateranense. Si percepisce ovunque lo sforzo di giungere a un’articolazione armoniosa. Il corpo longitudinale a cinque navate, sul modello del Laterano, presenta colonnati coordinati rispetto all’asse trasversale, con intercolumni identici nella navata centrale e in quelle laterali; anche la lunghezza del transetto e quella dell’atrio (90 m) si corrispondono, come le misure dell’arco trionfale e della conca absidale. Più matura ed evoluta appare anche l’articolazione della testata occidentale. Mentre al Laterano le due piccole cappelle terminali delle navate laterali accennano appena a un asse trasversale, il transetto di S. Pietro raccoglie l’andamento del corpo longitudinale come blocco architettonico autonomo: la navata maggiore, incorniciata dall’arco trionfale, si apre sull’abside e sulla porzione di transetto che la precede; qui la memoria Petri è individuata con efficace effetto scenografico come fulcro del culto e meta del percorso, mentre l’andamento delle navate laterali si blocca, per così dire, in corrispondenza del transetto, per poi di nuovo svolgersi senza ostacoli in direzione diversa, convergendo sullo spazio antistante l’abside. L’andamento del corpo longitudinale è ripreso dunque in modo diverso dal transetto, attraverso i valichi dell’arco trionfale e quelli di minore luce delle colonne allineate nella parte terminale delle navate laterali, per poi convergere nel transetto sul monumento posto all’incrocio dell’asse longitudinale e di quello trasversale sulla tomba dell’apostolo. Questo meditato impianto architettonico determinava nel transetto lo spazio per il devoto omaggio alla tomba del santo e per i riti legati al culto dei martiri, che il pontefice celebrava con grande sfarzo e largo seguito di chierici. Le navate laterali consentivano anche alle grandi folle di entrare e uscire con facilità dal santuario. La navata mediana serviva per le solennità dell’intera comunità, per la celebrazione dell’eucaristia, e l’altare doveva perciò probabilmente trovarsi non lontano dall’arco trionfale, oltre il quale la memoria dell’apostolo era visibile in un proprio spazio autonomo, come in una sorta di sacello isolato. La separazione della parte occidentale del corpo longitudinale come presbyterium o luogo sacro, appena accennata al Laterano, è in S. Pietro ulteriormente sviluppata, in funzione della sua destinazione memoriale e di pellegrinaggio, in un impianto complesso, che aggiunge a ovest un corpo architettonico autonomo destinato a

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Martyria e mausolei di età costantiniana 56. S. Pietro in Vaticano. L’interno dell’antica basilica in un affresco di Filippo Gagliardi (1650 ca.) in S. Martino ai Monti.

esaltare particolarmente il luogo sacro davanti all’abside, distinto dal corpo longitudinale e a esso peraltro collegato. Analoghe soluzioni, in cui in un articolato complesso architettonico il luogo sacro è custodito in un edificio autonomo, separato dalla chiesa, furono messe a punto dagli architetti per le grandi basiliche memoriali che Costantino fece erigere in Terra Santa sui luoghi sacri alla memoria di Gesù, sopra la grotta della Natività a Betlemme e sopra il sepolcro a Gerusalemme, eretta contemporaneamente al S. Pietro di Roma, dove riveste il medesimo ruolo della memoria del Signore in Terra Santa. Agli altri edifici genericamente dedicati ai martiri alle porte di Roma, da cui il memoriale del Signore in Terra Santa e S. Pietro si differenziavano significativamente per tipologia, ne condividevano la destinazione non soltanto alla celebrazione eucaristica, ma anche al culto commemorativo dei defunti in generale, che in epoca paleocristiana non era altro che la forma solenne del culto tradizionale romano dei morti, con il banchetto funerario e commemorativo. Anche a S. Pietro il pavimento era fittamento ricoperto da file regolari delle tombe dei cristiani qui sepolti, sulla base delle iscrizioni, dalla metà del iv al vi secolo. Conformemente alla particolare importanza del luogo, si tratta spesso di sontuosi sarcofagi, nei quali, secondo le indicazioni delle iscrizioni, erano sepolti membri delle classi superiori, come ad esempio il prefetto di Roma Giunio Basso, morto nel 35949. Intorno al 400, sul modello dei mausolei dinastici costantiniani presso le memorie dei martiri a Roma e Costantinopoli, l’imperatore Onorio fece aggiungere alla testata meridionale del transetto di S. Pietro un mausoleo circolare di circa 28 m di diametro, sul tipo delle sepolture imperiali tardoantiche, come sepolcro per la regnante dinastia teodosiana. Dell’edificio, conosciuto solo attraverso i disegni, non si conserva alcunché. Vi vennero seppelliti la prima moglie dell’imperatore Maria, figlia del magister militum di stirpe germanica Stilicone, morta nel 407, il cui sarcofago in porfido fu rinvenuto in occasione della costruzione della nuova basilica, durante lo smantellamento del mausoleo50; la seconda moglie Termanzia, morta nel 415; lo stesso Onorio nel 423, il nipote Teodosio iii, figlio di Galla Placidia, morto nel 451, e forse anche Valentiniano iii, assassinato a Roma nel 455. Il ricordo dei defunti di stirpe imperiale andò perduto e l’edificio, per volontà del re franco Pipino, fu consacrato da papa Stefano ii (752-757) a Petronilla, leggendaria figlia spirituale di Pietro51. In seguito, quando nell’anno 800 Carlo Magno fu consacrato imperatore in S. Pietro, santa Petronilla divenne la patrona dell’impero franco. Un altro grande mausoleo circolare, del diametro di almeno 30 m, databile sulla base dei bolli laterizi all’età severiana, eretto vicino all’obelisco sopra la spina dell’antico circo, venne

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ammodernato nel v secolo con l’aggiunta di un piano superiore finestrato; probabilmente era destinato a ospitare tombe di personaggi illustri e privilegiati, finché fu trasformato nel vestibolo di un ingresso laterale alla basilica. Sotto papa Simmaco (498-514) accolse la deposizione delle reliquie di diversi apostoli e venne consacrato a sant’Andrea, il fratello di Pietro. Verso la fine del iv secolo sorse in posizione privilegiata al vertice dell’abside un altro grande mausoleo, in forma di aula absidata, destinato a quella che all’epoca era la famiglia aristocratica più in vista di Roma, gli Anici, di cui si conservano preziosi sarcofagi decorati con scene di tema cristiano della fine del iv secolo. A seguito del rifacimento dell’abside costantiniana a opera di Rossellino nel 1453 e della costruzione dell’attuale basilica, i mausolei, che nel primo quarto del xvi secolo circondavano l’edifico a ovest e a sud, insieme alla rotonda di S. Andrea vennero abbattuti nel 1776 per la costruzione della nuova sacrestia. La basilica costituiva il martyrium e il santuario di pellegrinaggio più importante dell’impero romano d’Occidente. Le fonti riferiscono anche di alcune commemorazioni qui avvenute. Il senatore Pammachio, come riferisce l’amico Paolino, vescovo di Nola, in occasione della commemorazione funebre della moglie Paolina, allestì nel 397 in chiesa un grande banchetto, un sussidio per le persone che affollavano non solo le navate, ma anche l’atrio della basilica52. Appare strano che un banchetto di tal genere fosse celebrato in chiesa, ma occorre tenere presente che per gli antichi il banchetto funerario faceva parte del patrimonio tradizionale del culto dei morti, valido anche per i cristiani, e che la chiesa, destinata alla commemorazione eucaristica dei martiri, era aperta anche alle celebrazioni funerarie private dei defunti che vi erano seppelliti. Da Agostino si apprende come queste celebrazioni, nel caso di grandi raduni in onore dei martiri o di banchetti in memoria dei defunti, degenerassero in bagordi, stigmatizzati dalle autorità ecclesiastiche. Sempre Agostino riferisce che il vescovo di Milano Ambrogio (374-397), verso la fine del iv secolo, aveva proibito questi banchetti nelle chiese memoriali e che sua madre, abituata a questo genere di celebrazioni funerarie in Africa, venne respinta all’ingresso della chiesa col suo paniere contenente semolino, pane e vino53. Poco tempo dopo anche Agostino e altri vescovi africani proibirono nelle chiese la celebrazione della laetitia, il banchetto funerario, sostituito dall’eucaristia. Non si hanno indicazioni precise di come venissero celebrati all’interno di S. Pietro il culto ufficiale del martire e la commemorazione privata dei defunti. Non è noto ad esempio se il transetto – che racchiudeva come una sorta di santuario il monumento dell’apostolo – svolgesse in queste occasioni una specifica funzione; in ogni caso offriva lo

spazio necessario per la celebrazione solenne del rito davanti al monumento e alle processioni, che potevano sfilare attraverso le navate laterali. Il transetto allontanava il monumento funerario dalla navata mediana, dove si radunava la comunità dei fedeli e in cui si trovava l’altare eucaristico, in modo analogo ai santuari costantiniani di Gerusalemme e Betlemme. Il rifacimento della zona absidale intrapreso intorno al 600 da papa Gregorio Magno (590-604) modificò in modo incisivo questo impianto. Per porre in contatto diretto l’altare della basilica con il monumento funerario, fonte della salvifica intercessione, in relazione alle mutate esigenze del culto e alla concezione religiosa del tempo, e continuare a mantenerlo accessibile alla devozione dei pellegrini, il papa fece rialzare il pavimento dell’abside in modo tale che fosse circondato su tutti i lati da un podium. Oltre il monumento funerario, al di sopra del podium, venne posto l’altare, su cui si ergeva un baldacchino. Il monumento rimase accessibile ai pellegrini non solo sul lato anteriore; attraverso passaggi laterali nel podium, sopraelevato rispetto al pavimento del transetto, si accedeva a un corridoio che correva lungo le pareti dell’abside, dal quale si raggiungeva il monumento anche dal retro. Nasce in tal modo la cripta anulare. Conservata nelle Grotte della nuova basilica del xvi secolo, è divenuta in Occidente il prototipo di molte

cripte anulari medievali, così come l’impianto basilicale e l’originale transetto di questa fondamentale chiesa di pellegrinaggio sono divenuti esemplari per l’architettura sacra medievale. Papa Gregorio iii (731-741) decorò il podio unendo, alle sei preziose colonne di provenienza microasiatica che Costantino aveva donato per il baldacchino della memoria di S. Pietro, altri sei pezzi dello stesso tipo, messi a disposizione dall’esarca ravennate Eutichio54. Per accogliere le schiere dei pellegrini e creare un degno ingresso alla basilica, fu anteposto sul lato orientale un atrio, sulla medesima piattaforma rialzata eretta sopra la necropoli dell’età imperiale. Oltre a collegare l’edificio al contesto circostante e a creare un luogo di raduno e di quiete prima di varcare la soglia del santuario, l’atrio svolgeva un’ulteriore funzione: vi si tenevano i grandi banchetti organizzati nell’ambito dei riti in onore dei defunti che servivano per sfamare gli indigenti. L’atrio era posto leggermente più in basso rispetto alla basilica, il cui ingresso si raggiungeva per mezzo di alcuni gradini. La pendenza venne abilmente sfruttata per accrescere l’imponenza dell’edificio. Analogamente, sul lato est dell’atrio una grande scalinata conduceva alla zona più in basso verso il Tevere; anche oggi la basilica è preceduta da una grande scalinata in lieve pendenza che accentua l’impatto della monumentale facciata.

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Le prime chiese di Roma

Martyria e mausolei di età costantiniana 57 . L’abside parzialmente messa in luce della basilica costantiniana di S. Paolo, sotto l’odierna confessio, presso l’arco di trionfo dell’edificio teodosiano.

Una porta simile a un arco trionfale dava accesso all’atrio, chiuso a ovest, davanti all’ingresso della basilica, da un nartece, mentre i lati nord e sud non erano in origine dotati di portici. In base a un’iscrizione oggi perduta, questi ultimi furono aggiunti solo sotto il pontificato di Simplicio (468-483)55. Al centro dell’atrio era una fontana, un kantharos, un grande vaso biansato, alimentata da sorgenti sul colle dietro la basilica canalizzate da papa Damaso (366-384), come lo stesso pontefice riferisce in uno dei suoi carmi e come descrive Prudenzio, che visitò la basilica agli inizi del v secolo, nel poema in onore degli apostoli Pietro e Paolo56. La fontana, come testimonia esplicitamente Paolino di Nola nel 397, era posta sotto un baldacchino su quattro colonne57. Papa Stefano ii (752-757) lo fece ingrandire aggiungendo altre quattro colonne di porfido58. La fontana a forma di pigna che, secondo quanto documentano molti disegni e incisioni, impreziosiva l’atrio nel xvi secolo, sotto un baldacchino su otto colonne con archi in bronzo e antiche sculture bronzee a forma di pavone, vi fu probabilmente collocata solo nel primo Medioevo. La monumentale pigna di bronzo, opera romana di provenienza ignota, fu trasformata in fontana solo in occasione del suo impiego in S. Pietro. Oggi è conservata nel cortile della Pigna del Palazzo Apostolico Vaticano. La scalinata esterna, l’atrio sopraelevato e l’imponente basilica che si ergeva alle spalle formavano un insieme lungo complessivamente circa 250 m, offrendo ai pellegrini una vista senza dubbio impressionante. Una via trionfale fiancheggiata da colonnati, lungo il cui tracciato corre oggi via della Conciliazione, aperta da Mussolini tagliando il borgo medievale, conduceva probabilmente già dal iv secolo dal ponte e dal mausoleo di Adriano, attuale Castel S. Angelo, alla piazza antistante la scalinata dell’atrio, sulla quale papa Simmaco (498-514) fece erigere un’altra fontana e alcune strutture di servizio per i pellegrini. L’inizio e la fine della strada colonnata erano marcati da strutture di accesso sul modello degli archi di trionfo. L’impressionante sequenza di architetture di rappresentanza, che in linea con la tradizione edilizia imperiale doveva svelare agli occhi del visitatore l’importanza del santuario, si apriva sulla sponda opposta del Tevere presso il ponte di Adriano, all’ingresso della città, con un altro arco trionfale donato dall’imperatore Graziano (378-383) insieme ai coreggenti Valentiniano ii e Teodosio. Altri archi trionfali, eretti dagli imperatori Valentiniano e Valente i (366-367) e Arcadio, Onorio e Teodosio ii (405-406) presso i ponti sul Tevere che portavano alla basilica, completavano questa architettura di rappresentanza imperiale59. Sontuose strade colonnate costruite o restaurate, come la porticus maximae o la via tecta, sfociavano con questi archi in Campo Marzio, completando

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l’imponente e fastoso piano di architetture trionfali di Oltretevere, le cui originarie componenti sul colle Vaticano – ville, giardini, belvedere e necropoli – erano state profondamente modificate. Questa architettura trionfale offrì, sul finire del iv e agli inizi v secolo, un’adeguata cornice alla visita degli imperatori alla tomba dell’apostolo: valorizzare solennemente l’ingresso all’antica capitale nella tradizionale forma dell’adventus, ora caratterizzato in senso cristiano, divenne una regola. Il santuario dell’apostolo Pietro segna così, con un forte impatto sin dalla sua fondazione, la trasformazione di Roma da metropoli pagana a città d’impronta cristiana, e avvia un’evoluzione che marcherà lo sviluppo urbanistico della capitale nei secoli seguenti sino a oggi. Il pellegrino veniva guidato verso il santuario – non inferiore per prestigio, sfarzo e dimensioni ai grandi templi antichi – attraverso una serie di porticati, porte monumentali, cortili in un crescendo che culminava nella basilica e nel transetto presso la tomba dell’apostolo, meta di questo suggestivo itinerario processionale che costituiva al tempo stesso una marcia trionfale: la basilica, monumento alla vittoria sulla morte di Cristo e del martire, era al tempo stesso monumento alla vittoria conseguita con l’aiuto divino dall’imperatore sul suo avversario terreno, Licinio, così come annunciava con gratitudine l’iscrizione dedicatoria sull’arco trionfale60. La basilica di S. Pietro, in quanto fondazione imperiale costantiniana, entrava visivamente in competizione con le grandi piazze trionfali e i santuari della Roma imperiale. Non sorprende l’effetto che l’edificio ebbe sulle generazioni successive, influenzando a lungo l’architettura carolingia, così come non ci si deve stupire se tutto il complesso, strade colonnate, archi trionfali e basilica, abbia costituito un nuovo punto di cristallizzazione dell’assetto urbano, a partire dal quale si sviluppò nel primo Medioevo un nuovo quartiere al di fuori della città antica, corrispondente al Borgo tuttora esistente, analogo agli insediamenti sorti intorno alla chiesa cimiteriale di S. Lorenzo sulla via Tiburtina e intorno alla basilica di S. Paolo sulla via Ostiense. In ciò si manifesta nel modo più chiaro la trasformazione di Roma da capitale dell’impero e residenza imperiale a principale meta di pellegrinaggio dell’Occidente, custode delle spoglie del principe degli apostoli, Pietro. Secondo fonti più tarde, già papa Damaso (366-384) completò la basilica con un battistero. L’iscrizione di donazione, redatta dallo stesso papa, è giunta in forma frammentaria61. Non è certo se il battistero fosse annesso alla navata laterale nord, come riporta la pianta redatta da Tiberio Alfarano nel xvi secolo, che documenta lo stato della basilica prima dello smantellamento, o se, come sembrano suggerire altre fonti, fosse un edificio a parte, adiacente al braccio settentrionale del transetto.

L’espandersi dell’insediamento urbano intorno alla basilica e il desiderio di molti pellegrini e visitatori di ricevere il battesimo dopo aver reso omaggio alla tomba del principe degli apostoli suggerirono, a quanto pare, la costruzione di un battistero presso la basilica. Questo fu ampliato da papa Simmaco (498-524) per accrescerne l’importanza ed equipararlo al battistero del Laterano, con la creazione di oratori con altari dedicati a Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e alla Santa Croce, nel quale a quanto sembra erano custodite alcune reliquie. Anche le misure potrebbero confermare che il battistero fondato da papa Damaso fosse un edificio a sé stante a fianco della basilica. La costruzione successiva di cui si ha notizia è il monastero eretto sotto il pontificato di Leone i (440-461) per il mantenimento del culto presso la basilica, che inaugura una lunga serie di chiese, monasteri, cappelle, bagni, alloggi per i pellegrini, ospizi per i poveri, palazzi che nella tarda Antichità e nell’alto Medioevo occuparono i dintorni della basilica. Procopio, che narra la guerra contro i Goti nella prima metà del vi secolo e l’assedio di Roma, menziona l’insediamento sviluppatosi intorno alla basilica per provvedere al mantenimento delle istituzioni ecclesiastiche62, antenato del quartiere medievale e odierno Borgo. Ne derivò la necessità di proteggere con mura l’intera zona circostante la basilica, che sorgeva fuori dalla città e dalla sua cinta difensiva. Il muro correva a ridosso del mausoleo di Adriano, che probabilmente già alla fine del iv secolo era stato trasformato in una fortezza a difesa della testa del ponte di Adriano. Sotto papa Leone iv (847-855) le mura vennero restaurate e completate. La basilica, in quanto santuario di pellegrinaggio più importante dell’impero d’Occidente, divenne un importante centro dello sviluppo urbano, conferendo alla città, assieme alla basilica del Laterano e agli edifici cresciuti intorno, quell’assetto urbanistico bipolare che la caratterizza ancora oggi. Le fondazioni di Costantino presso le tombe dei martiri, e soprattutto la basilica di S. Pietro con le costruzioni sorte nei dintorni, hanno segnato la città sino ad oggi.

La basilica costantiniana di S. Paolo fuori le mura Secondo il Liber Pontificalis, Costantino fece costruire un santuario memoriale anche sulla tomba dell’apostolo Paolo sulla via Ostiense, presso il Tevere, a circa due miglia dalla città63. Alla tomba e alla sua ubicazione si richiamava già intorno al 200 il presbyter Gaio, citandola accanto alla tomba di Pietro in Vaticano, quando nella disputa con la setta dei montanisti vantava l’origine apostolica della comunità cristiana di Roma64. Come

Pietro, anche Paolo, secondo principe degli apostoli, aveva patito il martirio a Roma sotto Nerone. In quanto cittadino romano, a differenza di Pietro, venne giustiziato a sud della porta Ostiense, presso il Tevere, come attestano i rilievi dei sarcofagi dalla metà del iv secolo, e sepolto nella vicina necropoli della via Ostiense65. Gli scavi condotti nel 1850 presso l’altare in occasione della ricostruzione della basilica, eretta alla fine del iv secolo dagli imperatori Teodosio, Arcadio e Valentiniano in sostituzione della chiesa costantiniana e distrutta da un incendio nel 1823, hanno fornito dati insufficienti, anche se venne parzialmente messa in luce l’abside della fase costantiniana a –1,78 m dal piano di calpestio del transetto attuale. Sondaggi più recenti hanno confermato che la tomba dell’apostolo era collocata sulla corda dell’abside della basilica costantiniana, già rinvenuta nel xix secolo a –2,96 m dal piano di calpestio e dall’altare papale e a –1,66 m dal pavimento del transetto di età teodosiana, della fine del iv secolo. Si ritrova qui una situazione analoga a quella del Vaticano, ma la chiesa costantiniana in memoria di Paolo ha misure inferiori rispetto all’imponente edificio del Vaticano. L’abside, posta a ovest in direzione del Tevere, aveva diametro di circa 7,5 m, mentre il corpo dell’edificio, non individuato negli scavi, poteva misurare all’incirca 21 × 12 m. L’abside, messa in luce nella sua parte centrale, è accessibile nell’odierna confessio della basilica. Il santuario costantiniano era dunque di dimensioni notevolmente modeste. Senza dubbio all’epoca era Pietro il princeps Apostolorum al quale Cristo aveva promesso: «su questa pietra costruirò la mia Chiesa»66. Anche se Paolo, fondatore della teologia cristiana e apostolo dei pagani (magister gentium), fu associato nel corso del iv secolo nella devozione a Pietro, difficilmente potrebbe essere questa l’unica giustificazione per le dimensioni insolitamente ridotte del memoriale costantiniano, anche in relazione agli altri martyria fondati dall’imperatore nel suburbium: sono piuttosto le condizioni topografiche ad aver impedito la costruzione di un edificio confrontabile con S. Pietro. La tomba

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Martyria e mausolei di età costantiniana 58. Basilica di S. Croce in Gerusalemme. La chiesa paleocristiana con il campanile medievale, la facciata del xviii secolo e gli edifici del monastero. In primo piano, le mura cittadine e l’ellisse dell’amphiteatrum Castrense, parte del palatium Sessorianum. Veduta da sud-ovest.

dell’apostolo si trovava ai margini della necropoli, immersa nelle paludi dell’ansa tiberina, perciò la basilica, che come in S. Pietro doveva costituire la cornice del monumento funerario, il tropaion, davanti alla corda dell’abside poteva estendersi solo verso est; una fondazione a ovest, in mezzo alle paludi, avrebbe richiesto grandi sforzi. La pendenza della collina a est impedì una maggior estensione dell’edificio, che non riusciva a soddisfare la crescente devozione per l’apostolo e gli aumentati flussi di pellegrini: i tre imperatori della fine del secolo si videro quindi obbligati a sostituire, con sforzi straordinari, la chiesa costantiniana con una nuova sontuosa basilica, pari a quella vaticana, di cui si tratterà in seguito. Recentemente è stata contestata la fondazione costantiniana non solo di S. Pietro, ma anche del primo memoriale sulla tomba di Paolo, datato, in contrasto con la testimonianza del Liber Pontificalis, a dopo la morte dell’imperatore. Come nel caso di S. Pietro, anche per S. Paolo sono le testimonianze archeologiche e le fonti documentarie a smentire tali ipotesi: a conferma della datazione dell’abside, riportata in luce dai recentissimi scavi del 2003-2006 sotto la basilica, e dell’uso dell’edificio come chiesa cimiteriale sino al rifacimento teodosiano, concorrono la documentazione archeologica, i preziosi rilievi dei sarcofagi, databili tra il secondo quarto del iv secolo e il 370, provenienti dalle sepolture nella chiesa, e le lastre funerarie provenienti dal pavimento, la cui data consolare del 321 comprova la fondazione costantiniana67.

S. Croce in Gerusalemme (Hierusalem) Tra le chiese memoriali di età costantiniana deve annoverarsi anche un edificio che, a differenza delle basiliche martiriali già esaminate, non sorse al di fuori delle mura, ma, come la basilica del Laterano, a sud-est, immediatamente a ridosso delle mura urbiche, in un’area di possedimenti e palazzi imperiali, e che si è conservata sino a oggi nella veste tardobarocca del xviii secolo in particolare della facciata e dell’interno. Presenta un aspetto insolito e attesta ancora una volta la molteplicità formale dell’architettura cristiana di età costantiniana a Roma. Della chiesa il Liber Pontificalis afferma che cognominatur usque in hodiernum diem Hierusalem («è chiamata ancora oggi Gerusalemme»), nome riportato in un’iscrizione a mosaico del secondo quarto del v secolo già esistente in chiesa, e col quale è nota ancora oggi68. Eretta, secondo il Liber Pontificalis, da Costantino, si caratterizzava per il fatto di essere collocata in un palazzo imperiale detto Sessorium o palatium Sessorianum. Il palazzo sorgeva all’interno del vasto complesso di una villa imperiale che dall’Esquilino si spingeva fino alle propaggini orien-

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tali del Celio, e verso sud oltre le mura Aureliane. Questa vasta proprietà aveva avuto origine da un insieme di villae e celebri giardini più antichi, riuniti alla fine del ii secolo dall’imperatore Settimio Severo e rielaborati da Elagabalo (218-222). Nel iv secolo la proprietà comprendeva ninfei, palazzi, monumentali sale di ricevimento, un anfiteatro, un grande complesso termale, un circo ed estesi giardini. Di tutto ciò si conserva ancora, immediatamente a sud dei binari della stazione Termini e non lontano dall’edificio stesso della stazione, un monumentale edificio a pianta centrale decagonale di sapiente costruzione, il cosiddetto tempio di Minerva Medica, probabilmente degli inizi del iv secolo; non lontano da porta Maggiore, presso l’angolo sud-est delle mura, sono invece alcuni notevoli resti del vero e proprio palazzo. Questi comprendono l’imponente abside finestrata di una grande sala di ricevimento del iv secolo, detta dal Rinascimento tempio di Venere e Cupido; un grande edificio ad aula di età severiana o tetrarchica, forse da intendersi come un vestibolo del palazzo; l’amphiteatrum Castrense, incluso nelle mura Aureliane, nonché i resti delle fondazioni del circus Varianus, che in origine si sviluppava oltre le mura verso sud-est. Si trattava di un insieme analogo a quello già visto nella villa dei Gordiani sulla via Prenestina e in quella dell’imperatore Massenzio sulla via Appia. Oltre al complesso palaziale, al di là delle mura della città alla villa apparteneva anche una vasta proprietà imperiale, il fundus Lauretum, che si estendeva tra la via Prenestina, la Labicana, la Tuscolana e la Latina. Era la medesima proprietà imperiale su cui Costantino aveva fatto erigere, lungo la via Labicana, sopra il cimitero degli equites singulares, la basilica a deambulatorio poi dedicata ai Ss. Marcellino e Pietro. Nel mausoleo annesso alla basilica, destinato in origine dall’imperatore a se stesso, intorno all’anno 328 era stata sepolta la madre Elena. A lei appartenevano il fundus e il palazzo ai margini sudorientali della città, che aveva fatto rinnovare e ampliare, secondo quanto informano alcune iscrizioni rinvenute in loco. Le terme, anch’esse rinnovate dall’imperatrice, vennero perciò dette in seguito thermae Helenianae69. È dubbio se l’iniziativa della costruzione della chiesa detta Gerusalemme debba essere ricondotta alla stessa Elena, alla quale l’imperatore era molto legato. Il Liber Pontificalis non cita infatti specificamente l’imperatrice come fondatrice accanto al figlio, il che, considerato il prestigio e il legame del suo nome con la successiva leggenda del rinvenimento della vera croce, nata attorno al 400, risulterebbe incomprensibile se davvero Elena avesse svolto un ruolo nella nascita dell’edificio. Diversamente dalle chiese di cui si è finora trattato, quella detta Gerusalemme non venne costruita ex novo, a differenza della grande aula destinata alle udienze, eretta in età costantiniana

nei pressi del palazzo. La chiesa fu invece ricavata in un ambiente dello stesso palazzo, i cui bolli laterizi rimandano all’età severiana (192-211). Di contro, le analisi dendrocronologiche condotte sui legni delle possenti travi che fungono da architrave delle finestre datano all’età tetrarchica, lasciando ipotizzare il riutilizzo di laterizi più antichi stoccati nei depositi. L’ambiente, che misurava all’incirca 36 × 25 m ed era alto poco più di 22, era collegato sul lato meridionale all’anfiteatro e al circo mediante un corridoio coperto lungo 300 m. Su entrambi i lati lunghi l’aula si apriva verso l’esterno mediante cinque grandi arcate, di cui quella centrale, più ampia, marcava un asse trasversale. Al di sopra erano collocate, sopra una cornice a mensola che

correva tutt’intorno a scandire la fronte esterna, cinque grandi finestre rettangolari – di cui quella centrale ancora una volta più ampia –, che provvedevano a illuminare l’unico ambiente interno. Sulla cornice a mensola si sono conservati resti dell’intonaco che rivestiva il muro esterno, colorato e probabilmente suddiviso in riquadri. All’interno la sala era impreziosita da incrostazioni marmoree, i cui resti si trovano ancora negli intradossi delle aperture inferiori. La struttura aveva le tipiche forme riscontrabili nelle aule d’ingresso e nei vestiboli con facciate a due piani dei palazzi e dei fori del mondo romano. Le poderose murature, conservate sino all’imposta del tetto, sono ancora oggi visibili in tutta la

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Martyria e mausolei di età costantiniana 59. S. Croce in Gerusalemme. Veduta da sud-est del cortile del palatium Sessorianum con l’abside aggiunta in occasione della trasformazione dell’edificio in chiesa. 60. S. Croce in Gerusalemme. Aula del palatium Sessorianum da nord-est, con le grandi finestre del piano superiore aggiunte in epoca medievale.

loro imponenza soprattutto sul fianco settentrionale, ma anche nella parete sud e nella zona absidale della chiesa, inglobata dal monastero del xviii secolo. Per ricavare dalla sala uno spazio per il culto, ne venne mutato l’orientamento: sul lato corto a est fu innestata una grande abside finestrata che ne abbracciava quasi l’intera ampiezza, cosa che ha fatto di questa chiesa il primo edificio di culto cristiano di Roma orientato a est (Docum. xii.8). Nella stessa epoca, dietro l’abside, fu separato dagli altri spazi del palazzo un piccolo vano, l’attuale cappella di S. Elena, collegato alla chiesa da un passaggio coperto a volta che correva lungo l’abside. Il lato breve occidentale dell’aula aveva cinque porte e fungeva da ingresso. Lungo il lato meridionale fu mantenuto lo stretto passaggio coperto a botte che si prolungava verso est fino a dove sorgeva in origine il circo.

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Lungo i muri perimetrali all’interno dell’aula, in corrispondenza del transetto mediano con porte e finestre più ampie, sotto i rifacimenti del xii e del xviii secolo – che non hanno mutato sostanzialmente l’antico edificio – sono riconoscibili i punti di giunzione e i resti di due muri trasversi inseriti in occasione del riadattamento della chiesa, che ripartivano la sala in due grandi ambienti a est e a ovest e in uno minore centrale. Tre grandi archi, forse poggianti su colonne binate, creavano altrettanti passaggi sull’asse longitudinale dell’aula (Docum. xii.6-8). Una scansione spaziale di questo tipo, mediante assi trasversali che creano una sequenza di ambienti, è insolita nell’ambito dell’architettura dell’età imperiale, fatta eccezione per aule voltate, come le sale termali o la basilica di Massenzio. La funzione di queste arcate trasverse non è di immediata comprensione: esse non raggiunge-

vano infatti il colmo della parete sotto le capriate, e pertanto non avevano funzione statica; né la precedente fase d’uso dell’aula necessitava d’altra parte di elementi di stabilizzazione. Le arcate trasverse vennero rimosse già da papa Gregorio ii (715-731), quando l’edificio fu trasformato in chiesa a tre navate, come riferisce il Liber Pontificalis a proposito del ripristino da parte del papa dei porticos vetustates squassatos; evidentemente avevano già perso la loro funzione70. Probabilmente queste arcate, come il fastigium costantiniano nella chiesa del Laterano, assolvevano il compito di separare tramite una struttura ad arco trionfale il presbiterio, ampliato, dallo spazio comune. Nel corso di scavi condotti alcuni anni fa in uno spazio absidale originariamente utilizzato come impianto termale a fianco della cappella di Elena e collegato a questa attraverso una porta, è stato

rinvenuto un bacino del diametro di 4 m rivestito esternamente da lastre marmoree, interpretato come fonte battesimale di età costantiniana. Nonostante la defunzionalizzazione dell’impianto di riscaldamento sotto il pavimento, e il successivo rialzo del piano di calpestio, il tipo di bacino e l’aspetto e le dimensioni relativamente piccole dell’ambiente rendono incerta l’identificazione con un battistero. Secondo il Liber Pontificalis alla chiesa vennero assegnati dall’imperatore dei latifondi, situati, come nel caso della basilica del Laterano, in Italia, anzi in parte negli immediati dintorni di Roma, sulla via Labicana, sull’Appia e sulla Cassia71. Da ciò tuttavia non si può dedurre che la chiesa sia stata fondata prima del 324, poiché anche altri edifici memoriali come S. Agnese e S. Lorenzo, certamente sorti dopo il 324 su terreni di proprietà

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Martyria e mausolei di età costantiniana 61. S. Croce in Gerusalemme. Interno della chiesa attuale, restaurata nel 1743 sotto papa Benedetto xiv con colonne provenienti probabilmente dall’edificio di età costantiniana e medievale (1144-1145).

imperiale, ricevettero donazioni di terre nelle vicinanze della chiesa stessa. Tra le fondazioni imperiali questo edificio riveste un interesse particolare, perché, a differenza degli altri edifici ecclesiastici, non venne costruito ex novo. Il modo in cui si è adattato al corpo edilizio preesistente mostra quali elementi fossero ritenuti in apparenza imprescindibili in un edificio di culto cristiano. Decisivi per l’architettura cristiana appaiono soprattutto la creazione di un asse longitudinale, l’asse trasversale sovrapposto all’edificio e la presenza dell’abside, fondamentali per lo svolgimento della liturgia. La tripartizione longitudinale in uno spazio centrale più ampio e due minori affiancati è affidata alle arcate trasversali, che separano il presbiterio con l’altare dallo spazio comune. Attraverso la chiusura degli accessi agli ambienti e agli edifici vicini, l’aula venne isolata dal palazzo, che ancora sotto il re ostrogoto Teoderico era di proprietà imperiale e fu restaurato insieme alle terme. L’opinione, costantemente ribadita, che con quest’aula Costantino avesse voluto creare una chiesa palatina è dunque difficilmente sostenibile. Anche la fisionomia dell’edificio non può essere motivata con il riferimento a un presunto tipo di chiesa palatina, che non esisteva nell’Antichità cristiana. Inoltre i terreni donati per il mantenimento non sarebbero stati affatto necessari se si fosse trattato di una chiesa privata di proprietà imperiale: la chiesa era dunque un edificio pubblico. Per quale motivo la chiesa non è stata ricostruita ex novo, ma si è riadattata l’aula preesistente, seppur di rappresentanza e connessa col complesso palaziale? Secondo il Liber Pontificalis Costantino fondò la chiesa per custodire frammenti della croce di Cristo, e per questo motivo la fece consacrare col nome di Hierusalem. Naturalmente la chiesa doveva sopperire alla mancanza della memoria del Signore, di cui la capitale, a differenza dei memoriali di Cristo in Terra Santa, non disponeva. L’importanza che Costantino attribuì alle reliquie della croce, dal leggendario legame con Elena72, scoperte soltanto sul finire del iv secolo, appare evidente: alla fine degli anni Venti del iv secolo egli affidò direttamente al vescovo Macario di Gerusalemme, in seguito alla scoperta di parti della croce, l’incarico di costruire, col sostegno del Tesoro, la grande chiesa sepolcrale di Cristo sul luogo del rinvenimento, poi consacrata nel 33573. La fondazione del memoriale delle reliquie della croce nell’area del

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palazzo imperiale, assieme agli altri possedimenti fuori e dentro la città, costituiva un nuovo centro nevralgico politico e religioso all’interno del tessuto urbano, esprimendo la straordinaria importanza che l’imperatore attribuiva a questa memoria del Signore, come fosse un impegno del governo. Questo edificio dedicato alla croce di Cristo, segno di salvezza e vittoria, presentava quindi anche un significato fortemente politico. La chiesa Hierusalem presso il palazzo imperiale era, al pari del Laterano e di S. Pietro, entrambi monumenti di trionfo sul nemico, una dedica a Cristo, che aveva concesso la vittoria sui nemici e sulla morte, innalzando lui, Costantino, al rango di imperator invictus74. Latore di questo messaggio, il segno della croce appare ora sui rilievi dei sarcofagi, simbolo di vittoria al centro della fronte, assieme a scene del martirio di Cristo. Anche gli imperatori successivi dedicarono la loro attenzione alla chiesa Hierusalem. Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, e il figlio Valentiniano iii dotarono la cappella alle spalle dell’abside di una decorazione a mosaico, della quale ancora nel xvi secolo era visibile la raffigurazione di papa Celestino (422-432). Di questa è pervenuta l’iscrizione dedicatoria75. Ancora alla fine dell’Antichità il re ostrogoto Teoderico (493-526), reggente in nome dell’imperatore che risiedeva a Costantinopoli, ne promosse il restauro, come mostrano i bolli laterizi delle tegole. Le reliquie della croce dovevano essere collocate nell’ambiente alle spalle dell’abside: in tal modo la chiesa custodiva come memoriale del Signore il sacro oggetto, come a Gerusalemme la tomba di Cristo presso il Santo Sepolcro e la roccia del Golgota dentro uno scrigno, in una sala adibita alla celebrazione eucaristica. Il vescovo Cirillo di Gerusalemme, in alcune omelie tenute intorno al 348-350 nel Santo Sepolcro e in una lettera all’imperatore Costanzo ii, parla del rinvenimento della croce sotto Costantino e delle sue reliquie sparse in tutto il mondo76. Iscrizioni nordafricane della metà del iv secolo confermano che frammenti della croce presenti a quell’epoca erano già venerati come reliquie77. Il vero e proprio culto della croce si guadagnò diffusa popolarità solo dopo che si sviluppò una teologia specifica, in epoca postcostantiniana. In questo periodo, a partire probabilmente da Gerusalemme, nacque anche la leggenda del ritrovamento della vera croce da parte dell’imperatrice Elena, attestata in Occidente da Ambrogio, vescovo di Milano, alla fine del iv secolo78.

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Capitolo quarto

La politica edilizia di Costantino e i vescovi

efficacemente come nel iv e v secolo i grandi edifici cristiani promossi dall’autorità imperiale sotto Costantino e i suoi successori venissero pianificati e realizzati, e quanto fosse significativo il ruolo dei vescovi. Essi ebbero il compito, sulla base delle loro competenze, di sviluppare la topografia di culto cristiana, favoriti non da ultimo in ciò dal sostegno della corte e di privati donatori.

Chiese cimiteriali di fondazione pontificia del suburbium nell’età della dinastia costantiniana

Con l’erezione di una chiesa a custodia della reliquia della croce in un’area privilegiata dell’importante area palaziale, nuovo punto nevralgico della struttura urbana, a sud-est della città, vicina alla cattedrale – cui è ancora oggi collegata da un asse viario e visivo –, la capitale acquisiva, insieme alla basilica lateranense, un ulteriore edificio di culto cristiano di eccezionale rilievo. Al centro cittadino, dominato dai numerosi, imponenti templi pagani, si contrapponeva una zona che, attraverso il legame con edifici imperiali di rappresentanza, metteva in evidenza la nuova religione promossa dall’imperatore, garanzia di stabilità e protezione per l’impero. Le basiliche cimiteriali dedicate ai martiri, al culto dei morti e a quello imperiale cristiano erette contemporaneamente nei possedimenti imperiali del suburbium, estesi qui oltre le mura, accrebbero il ruolo della zona, caratterizzata dalla presenza di edifici di culto cristiano. La politica edilizia dell’imperatore, che in tale concentrazione si manifestava, lasciava intravvedere, attraverso la fondazione di un gran numero di edifici sacri all’interno e all’esterno delle mura, l’aspirazione alla cristianizzazione della capitale attraverso la costruzione di edifici di spicco, e lo stabilirsi dei presupposti per la fondazione ideologica di un impero cristianizzato. A questa politica di calibrato intervento, mirata all’erezione, con risorse messe a disposizione dall’imperatore, di importanti edifici di culto cristiano, corrispose anche la fondazione – sempre da parte imperiale – di chiese nel territorio circostante, come la cattedrale di Ostia, porto di Roma, a ridosso del recinto meridionale delle mura, recentemente riscoperta, e la cattedrale di Albano Laziale, l’antica Albanum, ancora una volta su un possedimento imperiale, già castrum della legio Parthica di Settimio Severo, sorto a controllo della principale arteria stradale romana, la via Appia1.

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Già sul finire della dinastia costantiniana, all’imperatore come committente e fondatore di chiese successero i papi, capi di una comunità in forte ascesa demografica e finanziaria. I fondamenti amministrativi e materiali della loro attività edilizia erano stati forniti da Costantino con una serie di decreti imperiali. Egli aveva attribuito ai vescovi diversi privilegi e incarichi, come la possibilità di partecipare insieme al clero alla gestione dell’impero2, fornendo loro e all’amministrazione ecclesiastica, attraverso i competenti funzionari pubblici, i mezzi adeguati per la costruzione di nuove chiese e l’ampliamento di più antichi edifici di culto3. Da questo momento i vescovi disposero di sempre maggiori mezzi, grazie alle crescenti donazioni degli esponenti del ceto maggiorente convertitisi al cristianesimo, che lasciavano alla Chiesa terreni, risorse finanziarie e legati, fenomeno favorito da Costantino con specifici decreti. I vescovi assunsero così un ruolo attivo di responsabilità nella fondazione delle chiese imperiali. Dalla lettera di Costantino a Macario, vescovo di Gerusalemme, emerge come spettassero al vescovo la progettazione della basilica da erigere sulla tomba di Cristo, la determinazione della sua decorazione e l’approvvigionamento dei materiali e della manodopera necessari. L’imperatore si limitava a fornire raccomandazioni per la decorazione, e a disporre che la chiesa primeggiasse su tutte le altre costruzioni per ampiezza e magnificenza. Per questo incaricò il vicarius Orientis Dracilliano, nella sua qualità di rappresentante dell’amministrazione statale, di provvedere alla fornitura del materiale e della manodopera a spese del fisco4. Questa importante testimonianza, confermata nei punti essenziali da fonti più tarde, documenta

L’iniziativa di Costantino di far erigere, sopra i cimiteri ipogei in cui erano tombe di martiri, edifici memoriali destinati al rito eucaristico per i martiri di Cristo – che sempre più aveva sostituito il tradizionale banchetto romano in onore dei defunti – si poneva prima di tutto l’obiettivo di rispondere al bisogno dei credenti di essere sepolti in luoghi consacrati dal salutifero sacrificio dei martiri, dove all’imperatore e alla sua famiglia era riservata una posizione privilegiata. L’iniziativa venne proseguita dai vescovi di Roma. Sulla via Ardeatina, che a circa un chilometro a sud-est di porta Appia, attuale porta S. Sebastiano, si dirama dalla via Appia, papa Marco (336) eresse, ancora con il sostegno imperiale, una grande basilica a deambulatorio secondo il modello delle fondazioni imperiali. Come si è visto più sopra, lo stesso committente vi venne sepolto in una tomba al centro dell’abside, in posizione privilegiata presso l’altare, tra le deposizioni fittamente disposte dei fedeli5 (Docum. ix). Già prima di Marco, suo successore, papa Silvestro (314335) fece erigere una basilica cimiteriale nell’area sepolcrale subdiale sopra la catacomba di Priscilla, in cui egli stesso venne con tutta evidenza tumulato. Non è noto se la basilica abbia accolto anche le tombe dei papi Liberio (352-366), Siricio (384-399) e Celestino (422-432), dei quali è nota la sepoltura nello stesso cimitero. Papa Giulio i (337-352) nel 352 fu in ogni caso sepolto nella chiesa cimiteriale da lui eretta sopra la catacomba di Calepodio sulla via Aurelia6. Secondo il Liber Pontificalis, poco dopo, Felice ii (355358), antipapa contro papa Liberio (352-366), consacrò, sempre sulla via Aurelia ad latus forma Traiana (sul lato cioè dell’acquedotto traianeo), a «entrambi i martiri Felice» una basilica nella quale anch’egli venne sepolto. Purtroppo non ne resta alcuna traccia. Due ulteriori chiese cimiteriali vennero fondate da papa Giulio i nelle vicinanze della tomba di san Valentino sulla via Flaminia e al terzo miglio della via

Portuense. Della basilica sulla via Flaminia si sono conservati i resti. Si trattava di un edificio a tre navate, col pavimento ricoperto da sepolture, databili, sulla scorta delle iscrizioni, tra il iv e il v secolo7. Secondo il Liber Pontificalis papa Damaso (366-384) eresse sempre sulla via Ardeatina, presso quella di papa Marco, una basilica in cui furono sepolte la madre e la sorella8. La basilica, certamente di notevoli dimensioni, non è stata ancora rinvenuta. Dopo la traslazione, sotto Adriano i (772-795), delle reliquie del papa nella chiesa urbana da lui eretta in onore di san Lorenzo, la basilica della via Ardeatina rapidamente decadde. Papa Damaso dispose anche la costruzione di una più piccola basilica a tre navate presso la catacomba di Generosa, al sesto miglio della via Portuense, che conduce a Portus (Porto), la cui dedicazione a S. Generosa trae origine dal nome della proprietaria del terreno. L’abside, addossata verso nord alla collina, presenta una finestra dalla quale si può vedere la camera sepolcrale della catacomba con le venerate sepolture. Il pavimento della chiesa è occupato da numerose tombe, una delle quali reca nell’iscrizione la data 3829. Su un frammento di architrave del ciborio della basilica si sono conservati, nelle caratteristiche lettere damasiane, i nomi di due martiri della catacomba, Faustino e Beatrice. Nessuna di queste basiliche memoriali e cimiteriali presenta però le dimensioni delle fondazioni ecclesiastiche costantiniane, che erano edifici di rappresentanza connessi al culto imperiale. La loro importanza risiede tuttavia nel fatto che, dopo che con le prime fondazioni l’imperatore aveva indicato la direzione, i vescovi avevano assunto e proseguito l’impegno edilizio. L’evoluzione, già manifesta su ampia scala nelle fondazioni costantiniane, dal tradizionale banchetto funerario presso la tomba alla celebrazione dell’eucaristia in onore dei martiri e dei defunti determinò la funzione di queste chiese nelle necropoli del circondario, prima di tutto per l’appunto edifici, fissando che le sepolture, in particolare quelle dei papi fondatori, dovessero sorgere in luogo consacrato. A nord e a sud-est della città si saldava così la corona di chiese memoriali, mentre proseguiva la trasformazione del suburbium, l’immediato circondario della città, che nelle basiliche cimiteriali in onore dei martiri e per il culto dei defunti individuava i nuovi centri di culto, assiduamente frequentati da credenti e pellegrini stranieri, che rimodellavano un paesaggio “sacralizzato” in senso cristiano, ignoto in questo senso nell’Antichità.

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Capitolo quinto

Le prime chiese urbane:

fondazioni papali e chiese parrocchiali. I cosiddetti tituli

Contemporaneamente agli edifici sorti nel suburbium, altre chiese vengono fondate nei quartieri residenziali di Roma, per iniziativa soprattutto dei papi, o grazie a donazioni di privati, per rispondere alle esigenze pastorali della comunità, in rapida crescita dopo il riconoscimento del cristianesimo. Al contrario dei precedenti luoghi di riunione di età precostantiniana, le chiese di nuova fondazione sono edifici moderni, che spiccano nel paesaggio urbano. Con questi inizia, grazie alla creazione di luoghi di culto pubblici secondo una ponderata pianificazione, come indicano in particolare le fondazioni papali, l’effettiva cristianizzazione della città. Per il iii secolo lo storico della Chiesa Eusebio riferisce che al tempo di papa Cornelio (251-253) la comunità cristiana di Roma comprendeva, su una popolazione complessiva di circa 700.000 abitanti, circa 30-40.000 anime. Già alla metà del secolo la Chiesa introdusse – accanto alle 14 regioni urbane istituite dall’imperatore Augusto – sette distretti amministrativi di cura d’anime. Il numero dei cristiani, che agli inizi del iv secolo rappresentavano una ristretta minoranza, dovette salire vertiginosamente dopo il riconoscimento ufficiale della Chiesa da parte di Costantino. Nel iv secolo le chiese di nuova fondazione non erano destinate solo alle crescenti esigenze pastorali, ma rendevano tangibile la presenza cristiana nel tessuto urbano. Vi erano assegnati presbyteres, sacerdoti che amministravano le incombenze pastorali per conto del vescovo di Roma, il rappresentante della comunità. Erano dette tituli, «chiese titolari», secondo una definizione, attestata peraltro solo dalla fine del iv secolo, che riprendeva il termine latino titulus (iscrizione, intitolazione, titolo di diritto) e designava una ripartizione amministrativa ecclesiastica che, in seguito all’erezione a sede vescovile della basilica lateranense, equiparava le chiese di cura d’anime alle parrocchie autonome. Tuttavia esse non disponevano ancora, come attualmente, di una

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circoscrizione definita. Il termine si è sostanzialmente mantenuto sino a oggi per designare le chiese riconducibili a questo sistema di parrocchie della tarda Antichità e dell’alto Medioevo. Dai presbiteri dei tituli, distinti dagli altri perché detti cardinalis, si è originato il collegio cardinalizio, e ancora oggi le chiese titolari – nella misura in cui si sono conservate, con l’aggiunta di altre elevate nel corso del tempo a tale rango –, sono assegnate ai membri del collegio. Nel iv secolo sono attestate 18 chiese titolari, salite a 25 alla fine del v. L’incremento fu determinato dall’aumento del numero dei fedeli e da quello conseguente dei compiti dei loro presbiteri, che dovevano provvedere anche al servizio nelle quattro grandi basiliche patriarcali e nelle basiliche cimiteriali all’esterno della città. Per i tituli e per le basiliche di fondazione papale, come modello per l’edificio di culto, nel iv secolo s’impose, a eccezione del titulus Marci, la basilica a tre navate, forma articolata che ha senza dubbio influito sui successivi sviluppi della liturgia. Come nella basilica lateranense, negli edifici del iv secolo, ad esempio la chiesa di S. Lorenzo in Damaso, fa la sua comparsa una struttura sopraelevata, la cosiddetta solea, che occupa la navata centrale e serve per gli ingressi e le uscite solenni all’inizio e alla fine della messa. Anche lo spazio davanti all’abside attorno all’altare viene delimitato da transenne. I fedeli potevano così prendere parte al culto dalle navate laterali, mentre la cerimonia vera e propria si svolgeva nella mediana. La lunghezza consueta di questi edifici era di circa 40 m, ma il titulus Lucinae superava i 50. Come le basiliche papali, essi potevano ospitare anche eventi speciali, a esempio l’elezione del pontefice. Nella loro titolatura si ritrovano spesso i nomi del fondatore o dell’originario proprietario degli edifici o dei terreni su cui erano edificati. Le fonti tramandano il titulus Pudentis, il titulus Vestinae, il titulus Equitii, il titulus Pammachi e altri ancora. Il nome, come

titolo di proprietà con efficacia giuridica, individuava la donazione e il suo passaggio nella disponibilità della Chiesa, che la utilizzava come luogo di cura d’anime o per la fondazione di nuove chiese. L’ipotesi, ormai superata, che sotto tale nome figurassero alcune delle prime domus ecclesiae precostantiniane, realizzate in abitazioni private o da privati su terreni di loro proprietà, non è più sostenibile. A conferma di ciò, in nessun caso gli spazi e gli edifici indagati archeologicamente sotto la maggior parte dei tituli sono riconducibili a luoghi di culto cristiani di età precostantiniana o della prima metà del iv secolo. Quando, nel corso del iv secolo, in particolare i vescovi svolsero il ruolo di committenti delle nuove chiese, dette basilicae1 nelle fonti contemporanee – edifici funzionali all’attività di cura d’anime della comunità cittadina e dell’amministrazione papale, e luoghi che rispondevano a esigenze di rappresentanza cristiana in città –, si trattava di nuove fondazioni indipendenti, non erette su precedenti luoghi di culto di età precostantiniana. Come si vedrà più oltre a proposito delle chiese del tardo iv e degli inizi del v secolo, alcuni dei nomi dei tituli non si riferiscono ai fondatori privati degli edifici, come si è sempre sostenuto, ma a nomi di santi, come nel caso del titulus Clementis. Il titulus Damasi venne dedicato in un secondo momento a san Lorenzo, in omaggio al quale il papa aveva fondato la chiesa. Altre chiese di nuova costruzione furono dedicate a santi e martiri sepolti fuori le mura, le cui reliquie – dalla metà del iv secolo – erano state già in parte traslate presso l’altare, come ad esempio indicano il titulus Anastasiae, il titulus Caeciliae o il titulus Sabinae. La traslazione delle reliquie dei martiri nelle chiese intramurane di Roma va collegata al fenomeno avviato dalla traslazione delle reliquie degli apostoli a Costantinopoli sotto Costanzo ii (337361)2, e proseguito, tra tardo iv e inizi v secolo, con le numerose e ben note traslazioni effettuate dai vescovi Ambrogio a Milano e Paolino a Nola, destinate a rifornire le chiese di nuova fondazione e a promuovere, una volta ripartite, la costruzione di ulteriori edifici, nell’unione tra il potere salvifico delle reliquie e la promessa di salvezza dell’eucaristia3. Nel vi secolo, a seguito delle devastazioni della guerra gotica nel suburbium, iniziò la traslazione sistematica delle reliquie dei martiri dalle catacombe alle chiese urbane, che da allora vennero dedicate a quei santi, mentre il vecchio nome mutò progressivamente, come attesta ad esempio il titolo dei Ss. Nereo e Achilleo. In alcuni casi, con la denominazione di sanctus si elevò al rango di santo il proprietario del terreno o il fondatore della chiesa, legittimati in ciò da leggende. Così ad esempio il titulus Pudentis o l’ecclesia Pudentiana divenne il titulus sanctae Pudentiae o l’ecclesia S. Pudentiana delle fonti medievali. Tali denominazioni si sono mantenute sino a oggi.

Titulus Silvestri (S. Martino ai Monti) Il titulus Silvestri, la prima chiesa titolare nota, venne costruito, secondo quanto riferisce il Liber Pontificalis, dall’omonimo papa, Silvestro (314-335), in una zona centrale della città, sul colle Oppio, una propaggine del popoloso Esquilino. Il presbitero Equizio mise a disposizione il terreno (praedium) e le risorse necessarie4. Secondo le fonti si tratta della prima chiesa a essere denominata titulus. Divenne nota quindi con entrambe le denominazioni, titulus Equitii e titulus Silvestri, finché dalla fine del vi secolo venne designata col solo nome del pontefice (ecclesia sancti Silvestri)5. Una fonte del vi secolo riferisce che papa Simmaco (498-514) avrebbe fondato una chiesa dedicata a san Martino vicino al titulus Silvestri, mentre il Liber Pontificalis attesta che avrebbe restaurato una basilicam Silvestri et Martini, definita ancora nel ix secolo basilica Ss. Silvestri et Martini6. Doveva trovarsi nelle immediate vicinanze, o nello stesso luogo, dell’attuale S. Martino ai Monti, presso la porticus Liviae, la grande corte circondata da bracci colonnati eretta da Tiberio in onore dell’imperatrice Livia, ancora frequentata nel iv secolo. La chiesa occupava dunque una posizione privilegiata sulla collina, vicino a un altro notevole monumento, il lacus Orphei, una grande fontana a parete situata sotto la chiesa di S. Martino, già ricordata da Marziale, da cui ha tratto il nome l’intero quartiere, come indica ancora nel vii secolo l’esistenza nelle immediate vicinanze di una chiesa ricavata in un’ampia sala di una ricca casa privata tardoantica, detta appunto S. Lucia in Orphea. Secondo il Liber Pontificalis papa Simmaco rinnovò il titulus presso le terme di Traiano, poi ancora restaurato da papa Adriano i (772-795) come titulus Silvestri in Orfea7. Dell’edificio carolingio sono ancora visibili le fondazioni dell’abside in blocchi squadrati di tufo. Accanto alla chiesa si è conservata una sala voltata su pilastri degli inizi del iii secolo, decorata sotto papa Simmaco da un ciclo cristologico, e nell’viii-ix secolo con ulteriori scene di soggetto cristiano. L’edificio, forse trasformato da papa Simmaco in oratorio in onore di san Martino di Tours, è stato identificato con certezza nel titulus Silvestri o titulus Equitii; tuttavia non può essere stato destinato a luogo di culto e alle pratiche liturgiche di una comunità numerosa. L’ambiente, relativamente piccolo, 17 × 14 m, è suddiviso da pilastri in sei campate voltate aperte su strada, e in origine doveva avere probabilmente destinazione commerciale, come deposito o negozio. È da escludere che in età costantiniana papa Silvestro, che come primo vescovo della comunità aveva la propria sede nell’appena ultimata, monumentale basilica del Laterano, avesse fondato una chiesa in un tale spazio, oltre al fatto che secondo il Liber Pontificalis il titulus venne eretto su un praedium, ossia un terreno di

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Le prime chiese di Roma

proprietà di Equizio. Rimane incerto se questo antico magazzino, ancora oggi accessibile dalla cripta della chiesa di S. Martino, sia stato utilizzato dalla diaconia lì attestata nell’viii secolo. Non si sono conservati resti archeologicamente apprezzabili del titulus Silvestri. Manca perciò un elemento importante per la valutazione di tale fondazione papale. Nell’area della chiesa barocca di S. Martino è stata peraltro rinvenuta nel xviii secolo un’antica lampada d’argento, oggi perduta, con un’iscrizione di dedica a san Silvestro. Il ritrovamento avvalora l’ipotesi che l’antica chiesa debba essere ricercata in questo luogo. La serie di bei capitelli di età imperiale di produzione microasiatica del ii secolo, riutilizzati nel 1636 nell’attuale chiesa di S. Martino ai Monti, è composta da due gruppi coerenti di sei capitelli compositi e ventidue corinzi. Stilisticamente omogenea, la serie doveva essere originariamente impiegata nella chiesa di papa Simmaco, come forse anche i fusti di colonna in marmo cipollino, rosso frigio, grigio anatolico e bianco di Thasos, considerato che nelle chiese barocche venivano riutilizzati solo complessi unitari di capitelli provenienti dalle preesistenti costruzioni.

Titulus Marci (S. Marco) Il titulus Marci, eretto da papa Marco nel 336 all’inizio della via Lata, attuale via del Corso, ai piedi del Campidoglio e ai margini del Campo Marzio, che sopravvive oggi nel medesimo sito della chiesa di S. Marco in palazzo Venezia, come si può dedurre dalla sua posizione e dalla fondazione vescovile, aveva certamente il compito non solo di assolvere la cura d’anime, ma anche di rendere manifesta la presenza cristiana nel centro della città8. Si tratta della prima chiesa pubblica sorta nel centro di Roma e della più antica fondazione ecclesiastica in città, accanto al titulus Silvestri e alle due grandi fondazioni costantiniane. La sua fondazione rivela senza ombra di dubbio un programma mirato a occupare con chiese la città al fine di cristianizzarla. Il quartiere nel quale è stata costruita si chiamava Pallacinae, e si estendeva nelle immediate vicinanze della via Lata, la più importante arteria di traffico diretta dal centro verso nord, non lontano da grandi spazi pubblici porticati come i saepta Iulia e la porticus Divorum in Campo Marzio. Insieme alla basilica Iulia, fondata poco più tardi da papa Giulio (337-352) in posizione eminente nel centro, tra il foro di Traiano e la via Lata, la fondazione papale di S. Marco era lungo il percorso che dalla cattedrale del Laterano conduceva al grande santuario di pellegrinaggio sorto sulla tomba dell’apostolo Pietro. Il sinodo del 499 venne sottoscritto dal presbitero come rappresentante del titulus Marci, mentre cento anni dopo, nel sinodo del 595,

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Le prime chiese urbane: fondazioni papali e chiese parrocchiali. I cosiddetti tituli

la chiesa era definita titulus sancti Marci9. Nel corso del vi secolo aveva evidentemente avuto luogo la traslazione delle reliquie del papa dalla chiesa cimiteriale da lui fondata sulla via Ardeatina alla chiesa urbana, come parallelamente accaduto per papa Damaso in S. Lorenzo in Damaso. Scavi condotti negli anni Quaranta, alla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta del secolo scorso hanno rinvenuto i resti dell’edificio originario sotto la basilica a tre navate del ix secolo, rinnovata e incorporata nel xv secolo, sotto papa Paolo ii (1464-1470), in palazzo Venezia. Orientato, a differenza della successiva chiesa medievale, con l’abside a sud, pare fosse costituito da una lunga aula a navata unica di quasi 40 m di lunghezza, le cui murature insistevano su una domus più antica, un prestigioso palazzo urbano del ii o iii secolo, di cui si riutilizzarono le pareti in alzato e il pavimento a lastre di marmi policromi. Non si trattava dunque di un edificio costruito completamente ex novo. In un ambiente secondario presso l’abside, già nel v secolo venne ricavato un battistero, con vasca rettangolare internamente cruciforme. L’orientamento nord-sud del titulus corrispondeva al tracciato della via Lata, distante appena 50 m, e degli edifici che vi si affacciavano. L’ubicazione, le dimensioni e la decorazione interna dell’edificio di epoca costantiniana – di cui non è possibile avere idea di come apparisse all’esterno – rispondevano al compito che la chiesa doveva svolgere nel centro della città come edificio di culto e fondazione papale. In seguito, probabilmente nell’viii secolo sotto papa Adriano i (772-795), l’aula venne trasformata in una basilica a tre navate; il pavimento fu rialzato di un metro circa e si inserì una lunga solea, che nella navata mediana delimitava mediante transenne lo spazio riservato alla liturgia10. Restaurata ancora da papa Gregorio iv (827-844) e decorata secondo il modello delle basiliche cristiane delle origini con un mosaico absidale di forme tradizionali ancora conservato, la chiesa carolingia, con abside orientata a nord, assunse nel xvii e xviii secolo forme barocche. Due colonne del colonnato della chiesa di ix secolo sono ancora inserite in controfacciata. Gli scavi sotto la chiesa sono accessibili.

Titulus Iulii e basilica Iulii et Calisti (S. Maria in Trastevere) Nella stessa zona del titulus Marci, ma sul lato opposto della via Lata, il successore di papa Marco, Giulio i (337-352), fece costruire in posizione altrettanto privilegiata una basilica iuxta forum divi Traiani, presso il foro del divo Traiano, di cui non si conosce però l’ubicazione esatta11. Dovrebbe trovarsi nell’area dell’attuale basilica dei Ss. Apostoli, o forse costituire il diretto precedente di

questa, dal momento che la chiesa, ancora di fondazione papale, venne eretta nel vi secolo da papa Pelagio i (556-561) come basilica Ss. Apostolorum Philippi et Iacobi. Come indicano i resoconti di pellegrinaggio dell’alto Medioevo, una sala colonnata, la porticus Constantini, univa la chiesa alla via Lata. Sotto i Ss. Apostoli non si sono rinvenuti resti dell’antico edificio. In posizione eminente, la basilica era nelle immediate vicinanze dei principali monumenti dell’antica Roma, come il foro di Traiano, ancora intensamente frequentato nella tarda Antichità, o il tempio di Serapide, sul sovrastante colle Viminale. Ciò consente di intravvedere le linee di un programma edilizio pontificio che rispondeva, oltre che ai compiti di cura d’anime, alle esigenze di rappresentanza e alle necessità dell’amministrazione papale e della liturgia, tanto più che la chiesa, confinante col titulus Marci, non era indicata come titulus (luogo di cura d’anime), ma con il significativo termine di basilica. Non è un caso che nella chiesa, certamente ornata in modo prezioso, abbia avuto luogo nel 366, nell’ambito delle dispute per la successione di papa Liberio, l’elezione a vescovo di Roma del diacono Ursino12. Con la costruzione della chiesa si volle marcare la presenza nel centro della capitale di edifici di culto cristiano, preludio alla cristianizzazione dell’intera città, destinati ad affiancare il percorso di pellegrinaggio dalla cattedrale al Vaticano lungo la principale arteria di traffico in direzione nord, costituita dalla via Lata e dalla via Recta, verso la basilica di S. Pietro. Un’ulteriore fondazione del medesimo papa, la basilica (Iulii) trans Tiberim iuxta Callistum («la basilica di Giulio oltre Tevere presso Callisto»), ebbe luogo nel popoloso quartiere oltre il fiume, ai piedi del Gianicolo, ancora oggi chiamato Trastevere, abitato in maggioranza da una popolazione di lingua greca proveniente dai domini orientali dell’impero: Siriaci, Levantini, Ebrei13. Da notizie antiche, peraltro molto lacunose, su queste antiche chiese, circa la fondazione di papa Giulio emerge che, sopra o accanto a una proprietà ceduta all’inizio del iii secolo da papa Callisto alla Chiesa, e perciò detta Calixtum, papa Giulio i eresse la chiesa parrocchiale, chiamata nelle fonti del tempo e in quelle successive titulus Iulii, basilica Iulii, o titulus Iulii et Calixti14. Resti di murature appartenenti a un edificio precedente, oltre a tratti di un’abside, sono riemersi durante scavi del xix secolo sotto la chiesa medievale di S. Maria in Trastevere, che secondo la biografia di papa Adriano i (772-795) nel Liber Pontificalis sarebbe succeduta all’antico titulus, citato nella cronaca pontificia solo col nome Calixtus15. Sondaggi recenti hanno avvalorato la probabile pertinenza dei resti alla prima chiesa eretta sul sito. Dal Liber Pontificalis si apprende inoltre che sino al ix secolo l’altare era posto al centro della navata mediana16. Una medesima collocazione, che certamente rispettava un’antica

tradizione, si deve supporre anche per S. Pietro, S. Sebastiano e altre chiese delle origini cristiane. Questa fondazione papale della metà del iv secolo, una delle prime chiese ufficiali in città, era indubbiamente intesa a favorire la cristianizzazione del tessuto urbano di uno dei quartieri più popolosi di Roma. Il cristianesimo doveva essere certamente più diffuso tra gli abitanti di Trastevere, in prevalenza di origine orientale, che tra la popolazione di lingua latina della sponda opposta. Papa Adriano i rinnovò radicalmente la basilica Iulii, dedicandola alla Madre di Dio17. L’occasione fu certamente offerta dalla presenza di un’antica icona della Madonna, ascrivibile al vi secolo, ancora oggi custodita in basilica. Nel ix secolo, secondo il Liber Pontificalis, papa Gregorio iv (827-844) intraprese ulteriori opere di rinnovamento, che adeguarono l’antico edificio alle esigenze liturgiche del tempo18. Dopo ulteriori, successivi interventi, la basilica, insieme a S. Maria Maggiore la più importante chiesa mariana di Roma, assunse infine con papa Innocenzo ii (1130-1143) le forme maestose sostanzialmente conservate sino a oggi. Con le sue dimensioni impressionanti e i colonnati architravati scanditi in profondità, impreziosita dai grandi capitelli ionici di spoglio riccamente decorati, in gran parte provenienti dalle terme di Caracalla, la chiesa medievale segue il modello delle basiliche cristiane delle origini.

Titulus Lucinae (S. Lorenzo in Lucina) Nell’ambito delle controversie già ricordate tra i diaconi Ursino e Damaso e i loro seguaci per la successione a papa Liberio (352-366) negli anni 366-368, si apprende che Damaso sarebbe stato consacrato vescovo in Lucinis e Ursino nella basilica Iulii19. Si è già esaminata la basilica Iulii, la fondazione di papa Giulio i (337-352) tra il foro di Traiano e la via Lata, attuale via del Corso; l’indicazione in Lucinis come luogo dell’elezione del diacono Damaso sembra riferibile solo al possedimento di una non meglio nota Lucina. Sotto tale definizione si cela infatti la formula di possesso al genitivo del nome Lucina, che consente di completare l’indicazione delle fonti in basilica Lucinae e di identificarla con il luogo di culto posto nella parte alta della via Lata, indicato nella lista delle sottoscrizioni del sinodo del 499 come titulus Lucinae20. Si tratta di una fondazione privata da parte di una certa Lucina, poi dedicata a san Lorenzo, come attesta la definizione in basilicam sancti Laurentii martyris qui appellatur titulus Luicinae («nella basilica di S. Lorenzo, detta titulus di Lucina»), riferita dal Liber Pontificalis nella biografia di papa Sergio i (687-701)21. Il titulus occupava la parte nordoccidentale di un grande complesso commerciale e residenziale (insula) sulla via Lata, nelle immediate

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Le prime chiese di Roma

vicinanze di monumenti imperiali come il mausoleo e la meridiana di Augusto, l’Ara Pacis e – sul lato opposto – il grande tempio del Sole dell’imperatore Aureliano. Ricerche condotte negli anni Trenta del secolo scorso e scavi del 1982-1989 hanno individuato sotto la chiesa medievale numerosi resti dell’edificio originario, sul quale insistono le strutture murarie, che consentono di ricostruirne l’impianto antico. Si trattava di una basilica a tre navate, con abside orientata a sud-est, della considerevole lunghezza di 54 m, per 24 di larghezza e 14 di altezza nella navata mediana, che utilizzava per il colonnato di destra nove colonne, e per le fondazioni della fronte le murature della sottostante insula del iii secolo. Murature in alzato dell’antico piano finestrato, con tracce delle finestre, si sono conservate all’estremità occidentale del cleristorio di destra e a quella settentrionale del cleristorio di sinistra della chiesa medievale. Porzioni del lato nord dell’insula, affacciato su strada, sono state inglobate nella facciata della chiesa antica, e così preservate anche in quella medievale. Si sono conservati anche lacerti delle murature esterne delle navate laterali e dell’area presbiteriale, oltre a una base del colonnato ancora in situ. Al centro della navata laterale destra, come in altri tituli romani delle origini, era un battistero con fonte battesimale circolare. Ritrovamenti ceramici sotto la chiesa e altri elementi indiziari, come l’analisi delle strutture murarie, consentono di datarne la fondazione alla seconda metà del iv secolo, mentre sinora era stata riferita a papa Sisto iii (432440), al quale il Liber Pontificalis attribuisce la costruzione di una chiesa dedicata a san Lorenzo22. La notizia è invece certamente da collegare alla grande basilica costantiniana a deambulatorio di S. Lorenzo, fondata e rinnovata, come si è visto, dal papa col sostegno dell’imperatore Valentiniano iii. Sembra quindi che la chiesa archeologicamente documentata di S. Lorenzo in Lucina sia identificabile con la basilica Lucinae ricordata alla metà del v secolo dalle fonti coeve. Le sue notevoli dimensioni ne devono aver suggerito l’impiego in occasione dell’elezione di papa Damaso.

Basilica Liberii Le fondazioni pontificie della metà del iv secolo si susseguono significativamente senza soluzione di continuità. Ciascun papa, il cui pontificato durava a volte solo pochi anni, considerava a tutta evidenza proprio compito costruire almeno una chiesa per incrementare l’opera di cura d’anime di una popolazione cristiana in rapida crescita, e – attraverso la creazione di edifici pubblici di culto nei quartieri residenziali – la cristianizzazione della città. Una chiesa, menzionata nelle fonti come basilica Liberii, costruita da Liberio (352-366), successore di papa Giulio, era situata sull’E-

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squilino, come riferisce il Liber Pontificalis, in uno dei quartieri più popolosi della città, iuxta macellum Liviae, ovvero accanto al mercato delle carni23. Il macellum è stato localizzato 300 m a est della chiesa di S. Maria Maggiore, là dove, presso l’arco di Gallieno, tuttora esistente, sorge la chiesa quattrocentesca di S. Vito, che conserva nel nome il ricordo della vicina chiesa medievale di S. Vitus in macello (Liviae)24. È da escludere, già sulla base della localizzazione, che la basilica Liberii sia il precedente, nel medesimo sito, di S. Maria Maggiore, fondata da Sisto iv (432440), come suggerisce nel vi secolo il Liber Pontificalis. Anche gli scavi sotto la basilica degli ultimi decenni non hanno messo sinora in luce tracce di un precedente edificio di culto25. La basilica Liberii venne peraltro sostituita nelle funzioni proprio dalla vicina basilica pontificia di rappresentanza del v secolo. Non è nota l’esatta ubicazione della basilica Liberii, a meno che – come si è voluto ipotizzare di recente – non la si identifichi con la chiesa di origine paleocristiana di S. Bibiana, posta immediatamente a sud dei binari della stazione Termini, e individuata nelle fonti antiche col riferimento topografico iuxta forum Tauri (accanto al foro del Toro). Il forum Tauri altro non era che il rinnovamento tardoantico del macellum Liviae, presso cui doveva sorgere la basilica Liberii. Ma anche questa equivalenza è da escludere, perché secondo il Liber Pontificalis S. Bibiana venne fondata e consacrata solo alla fine del v secolo da papa Simplicio (468-483)26. Come fondazione pontificia, la basilica Liberii doveva essere un edificio prestigioso di dimensioni più ampie, in forma appunto di basilica, che ricopriva un ruolo importante nella vita della comunità cristiana di Roma. Durante la disputa per l’elezione del papa dopo la morte di Liberio, vi si riunirono i sostenitori del diacono Ursino, in opposizione al concorrente Damaso, candidato sostenuto dalle autorità statali e dall’aristocrazia cristiana. Lo storico pagano Ammiano Marcellino, ma anche gli storici della Chiesa, riferiscono gli spiacevoli eventi degli anni 366-368 che sfociarono nel sangue, lamentando 137 morti nell’assalto della chiesa da parte dei seguaci di Damaso27. La basilica Iulii e la basilica Liberii, fondazioni papali in posizione strategica nel centro cittadino, dovevano essere, come si evince dagli episodi ricordati, edifici di forte rappresentatività, come il titulus Lucinis, nel quale Damaso venne eletto vescovo, che, lo abbiamo visto, aveva una lunghezza di oltre 50 m. Le due basiliche dovevano fungere da succursali della sede vescovile del Laterano, a sud-est della città, alla quale erano direttamente collegate da importanti tracciati stradali, la via Lata, la via Tuscolana e la via Merulana. Queste fondazioni costituiscono un’eloquente testimonianza del consolidamento dell’amministrazione ecclesiastica e del pieno controllo del tessuto urbano attraverso significativi luoghi di culto di epoca costantiniana e immediatamente successiva.

Capitolo sesto

La basilica teodosiana di S. Paolo sulla via Ostiense (S. Paolo fuori le mura)

L’ultima e più dispendiosa fondazione imperiale a Roma, successiva al trasferimento della capitale dell’impero – voluto da Costantino nel 330 – nella neofondata Costantinopoli, è la basilica di S. Paolo sulla via Ostiense, a due miglia dalle porte della città. La basilica in onore dell’apostolo Paolo conclude la serie delle chiese memoriali edificate nel iv secolo a Roma. Nel tardo autunno del 386 i tre imperatori regnanti, Teodosio, Valentiniano ii e Arcadio, indirizzano uno scritto al rappresentante del potere imperiale a Roma, il praefectus urbi Sallustio1. La missiva conteneva indicazioni per la costruzione di una basilica sulla tomba dell’apostolo in una necropoli lungo la via Ostiense. La lettera, che in quanto rescriptum aveva forza di decreto-legge, faceva seguito nel testo conservato a un resoconto del prefetto, già sollecitato in precedenza dagli imperatori, sul sito prescelto per la costruzione. Sulla base di questo, gli imperatori esponevano il progetto con ulteriori dettagli, affidando al prefetto il compito di realizzare l’edificio. Considerata la devozione di cui già da tempo – secondo quanto si afferma nel testo – la tomba era oggetto, e la grande affluenza di fedeli e pellegrini che vi convenivano, Teodosio, Valentiniano e Arcadio avevano deciso di ricostruire la preesistente basilica più grande e più sontuosa. Da questo momento il prefetto avrebbe dovuto discutere approfonditamente la situazione con il Santo Padre – che si ritiene sia papa Damaso (366-384), il cui nome non è peraltro citato – e con i suoi referenti, il clero e la comunità cristiana. Se il popolo di Roma e il Senato fossero stati d’accordo, si sarebbe dovuto chiudere l’antica strada (iter vetus) che passando dietro la basilica conduceva al Tevere per non ostacolare lo sviluppo del complesso e consentire agli architetti di progettare la basilica sfruttando la piana fluviale, in modo che nulla fosse d’ostacolo

al grandioso e prestigioso edificio. La facciata dell’imponente costruzione, si aggiunge espressamente nel rescritto imperiale, doveva rendere manifesta l’intenzione dei committenti. In conclusione gli imperatori chiedevano l’invio dei progetti e un dettagliato preventivo dei costi da valutare e approvare. La lettera, di cui si sono qui citati solo alcuni stralci, è piena di molte informazioni interessanti sulla progettazione della basilica, che, come si può verificare sulla base di altre fonti, lasciano intuire il ruolo fondamentale del vescovo nella sua ideazione e realizzazione. Si apprende infatti che sulla tomba dell’apostolo, grosso modo a circa tre chilometri a sud della città lungo la via Ostiense, esisteva una più antica piccola basilica, non più sufficiente allo svolgimento del culto e a contenere il flusso dei pellegrini, di cui non è noto il fondatore. Secondo il Liber Pontificalis fu Costantino a erigere la chiesa, a quanto pare mettendo a disposizione solo un possedimento fondiario nel settore orientale dell’impero2. Questo edificio, costruito dopo il 324 sulla tomba di Paolo, secondo principe degli apostoli, era decisamente più piccolo della monumentale, fastosa basilica di S. Pietro, a causa del luogo inadatto, in un’ansa acquitrinosa del Tevere che non consentiva, come si è già visto, una costruzione di maggiori dimensioni. Il rango e il prestigio della comunità cristiana di Roma e del suo vescovo si fondavano soprattutto sulla tradizione secondo cui i principi degli apostoli sarebbero stati sepolti nel luogo stesso del loro martirio, Pietro sulla destra del Tevere, a nord-est della città sul colle Vaticano, e Paolo sulla sponda sinistra del fiume, a sud, lungo la via Ostiense: lo dice chiaramente l’inno scritto in loro onore dal poeta cristiano Prudenzio, che sottolinea l’importanza che il culto di Pietro e Paolo rivestiva nella vita della prima comunità al volgere del v secolo3. Con il mutare

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 62. Basilica di S. Paolo fuori le mura, con atrio, facciata e campanile del xix secolo. Veduta da ovest.

dei rapporti politico-ecclesiastici e con la proibizione del culto pagano imposta dall’imperatore Teodosio verso la fine del iv secolo, via via che i membri del ceto senatorio e delle classi colte si convertivano sempre più numerosi al cristianesimo, la venerazione di Paolo, il doctor gentium, il maestro delle genti, come viene definito nell’iscrizione dedicatoria della basilica, acquisisce nuova rilevanza4. Il compito storico dell’impero romano di pacificare i popoli, unendoli in una cultura e in una lingua comuni, un concetto esemplarmente formulato dal poeta Virgilio nell’età augustea, con l’espandersi sotto Teodosio della cristianizzazione nell’impero, viene a coincidere con la missione della Chiesa, la conversione dei popoli alla fede. Tutto ciò incarna l’apostolo Paolo, doctor gentium, magister gentium, maestro delle genti. La basilica dedicata dall’imperatore alla fine del iv secolo in onore di Paolo è dunque con tutta evidenza un monumento di Stato, il simbolo del pieno raggiungimento di questo scopo in un impero divenuto sotto Teodosio ormai cristiano. La chiesa, in quanto fondazione imperiale ed edificio pubblico di culto, attraverso la devozione al magister gentium, come Paolo è definito nel ricordato inno di Ambrogio, è un edificio di valore politico, testimonianza della cristianizzazione della capitale e dell’impero, irrevocabilmente consacrati alla nuova fede5. Ripetendo le parole di Ambrogio, Roma, non più ormai capitale dell’impero, grazie alle tombe dei principi degli apostoli, che le attribuiscono il rango di caput gentium, diviene il centro della cristianità6. Questa pubblica rivendicazione, che colloca la basilica di S. Paolo accanto al S. Pietro costantiniano, ha indotto gli studiosi a interrogarsi se la sua costruzione non possa costituire un indizio dell’intenzione di Teodosio e della sua dinastia di riportare a Roma la capitale e la sede del potere. Come che sia, in mancanza di elementi decisivi, queste considerazioni rendono ancora più evidente la grande rilevanza della fondazione per la politica dello Stato. Come richiesto nella lettera degli imperatori, per soddisfare i requisiti di una basilica di rappresentanza si concordarono col Senato e il popolo di Roma le disposizioni necessarie alla sua costruzione. In primo luogo, si doveva creare senza badare a spese uno spazio sufficiente per il grande edificio nell’area della via Ostiense. Come si è visto nella già ricordata lettera di Costantino al vescovo di Gerusalemme a proposito del Santo Sepolcro, la chiesa venne progettata nella cerchia del vescovo, di concerto con la prefettura cittadina. In tale sede si stabilirono anche gli impegni e i costi. Gli imperatori, che approvavano il progetto e le proposte e definivano le linee guida generali per la costruzione, ne sostenevano i costi mettendo a disposizione i materiali. La basilica di S. Paolo, l’ultima grande fondazione imperiale nell’antica capitale, superava per dimensioni e fastosità la stessa

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S. Pietro, e ancora oggi, dopo la ricostruzione cinquecentesca della basilica vaticana, resta per grandezza la seconda chiesa di Roma. L’edificio superò i secoli fino al 1823, quando un incendio distrusse gran parte delle navate. Negli anni successivi vennero smantellate anche le parti conservate del colonnato, mentre il corpo longitudinale fu ricostruito secondo il gusto classicistico del tempo, riutilizzando i muri di fondazione e a quanto pare anche i muri d’ambito delle navate laterali. Anche se in seguito all’incendio e al totale rifacimento delle navate, a eccezione del transetto rimasto sostanzialmente inalterato, dell’edificio originario si sono conservati solo pochi resti architettonici, grazie alle molte vedute e ai disegni risalenti a prima e a immediatamente dopo l’incendio, alla descrizione e ai rilievi planimetrici eseguiti agli inizi del xix secolo poco prima della devastazione, nonché a più recenti indagini architettoniche e scavi archeologici, è possibile farsi una sufficiente idea della fisionomia della basilica antica e della sua organizzazione interna, alle quali nelle misure, se non nella decorazione neoclassica, la nuova si conforma nella sua organizzazione spaziale. Tra corpo longitudinale, transetto e abside, l’edificio era lungo 128 m. Il solo corpo delle navate misurava 90 m. La larghezza totale del corpo longitudinale a cinque navate era di 65 m. Il transetto ne misurava 71, superando di poco la larghezza del corpo longitudinale. La navata mediana era ampia 24 m, e così l’abside, che vi si apriva per tutta la larghezza. L’altezza della navata era di 30 m, di soli 26 quella del transetto, che aveva una copertura distinta rispetto al corpo longitudinale, spiccando all’esterno come corpo autonomo. L’altezza dell’abside e dell’arco trionfale raggiungeva i 23 m. Alla stessa altezza erano i davanzali delle finestre della nave mediana. Più basse, e chiaramente subordinate, erano le navate laterali: quelle interne misuravano 16 m di altezza, 11 le esterne. Le colonne delle navate, 80 in tutto, 40 nella navata centrale e altrettante nelle navate laterali, erano alte 10,40 m nella mediana, basi e capitelli compresi, 8,50 nelle minori. Anche l’atrio, con i suoi 66 m di lunghezza, contribuiva alle dimensioni imponenti della basilica. Il confronto con S. Pietro mostra che la basilica dei tre imperatori la superava in quasi tutte le dimensioni, manifestando chiaramente il desiderio di monumentalità annunciato nella lettera al prefetto della città. Si doveva ulteriormente superare il modello della basilica con transetto rappresentato da S. Pietro. Le dimensioni dell’edificio testimoniavano l’importanza del culto, la potenza dei regnanti e il loro rango. La basilica non si distacca però solo per le dimensioni. I differenziati rapporti proporzionali che ne caratterizzano gli elementi spaziali dimostrano che vi si estrinsecava in modo

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Le prime chiese di Roma di

La basilica teodosiana S. Paolo sulla via Ostiense

63, 64. S. Paolo fuori le mura: due immagini dell’interno della basilica attuale, ricostruita intorno alla metà del xix secolo nelle stesse dimensioni dell’edificio antico.

ancor più accentuato quella tendenza ad armonizzare e a modulare reciprocamente le singole parti già apparsa in S. Pietro. A confronto con le due grandi basiliche precedenti, il Laterano e S. Pietro, le navate laterali sono più ampie rispetto alla mediana, e decisamente più profondi il transetto e l’abside: il primo emerge in modo più marcato come elemento spazialmente autonomo, bilanciandosi maggiormente rispetto al corpo longitudinale. L’abside, più ampia, prolunga la navata mediana per tutta la sua larghezza, creando un più forte legame visivo fra transetto e corpo longitudinale. S. Paolo risultava così più aperta e spaziosa, e vi si avvertiva chiaramente lo sforzo di dare unità alla struttura. A ciò corrispondeva il fatto che all’esterno il transetto sporgeva solo di poco rispetto al corpo longitudinale ed era più alto di quello di S. Pietro; nella zona del tetto non si distaccava perciò in modo così netto dal corpo longitudinale. Le navate si aprivano sul transetto con grandi arcate, senza le colonne che in S. Pietro separavano gli accessi delle navate laterali. Ampiezza e permeabilità dell’articolazione spaziale erano accentuate dai larghi intercolumni. Rispetto alla basilica vaticana, a parità di lunghezza, le arcate della navata mediana e delle laterali erano sorrette da sole 20 colonne anziché 22, per un totale di 80. I colonnati delle navate laterali, che presentavano lo stesso intercolumnio di quella centrale, erano inoltre più alti rispetto a S. Pietro. Anche nella nave mediana gli ampi, luminosi intercolumni erano raccordati da arcate, alleggerendo la parete sovrastante e collegando le navate tra loro. La scansione e gerarchizzazione delle navate, che in S. Pietro era ottenuta con l’impiego differenziato di architravi nella centrale e arcate nelle minori, a S. Paolo scompare a favore di una maggiore unità e comunicazione spaziale della struttura. Le arcate su colonne, più ampie e più alte, conferiscono all’edificio una suggestiva e diafana vastità, testimoniata dalla basilica attuale, dove le file di colonne corrispondono ancora ai colonnati antichi. A differenza di S. Pietro, i colonnati non presentavano pezzi semilavorati precedenti, di forma e materiale diversi, prelevati dai depositi di marmi, ma furono ricavati da marmi importati dalle cave dell’isola di Proconneso nel mar di Marmara, presso Costantinopoli. Le 80 colonne con basi e capitelli, in gran parte conservate e musealizzate lungo il lato sud della chiesa attuale, furono realizzate appositamente dalle officine imperiali di Roma alla fine del iv secolo. Il materiale utilizzato negli ampi colonnati, unitario per forma e colore, doveva contribuire in misura non trascurabile all’impressione di luminosa vastità del corpo longitudinale.

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Le colonne della navata mediana erano scanalate, con capitelli corinzi e compositi decorati con motivi fogliati di elegante fattura, richiamanti i modelli classici di età imperiale. Come si ricava dalla documentazione grafica di primo Ottocento e dai reperti conservati, capitelli corinzi e compositi si alternavano nel colonnato della navata centrale. Sia la scanalatura dei fusti delle colonne, sia la lavorazione accurata dei capitelli fogliati, eseguita forse da maestranze dalla pars orientalis dell’impero, costituivano per il tardo iv secolo un insolito sfoggio di risorse, che all’epoca poteva riferirsi solo a un grande progetto imperiale. Le navate laterali erano gerarchicamente subordinate, come unità spaziali distinte rispetto all’ambiente centrale, attraverso l’impiego di colonnati a fusto liscio e di semplici capitelli a foglie lisce, ancora con alternanza di ordine corinzio e composito. La notevole presenza, tra i capitelli originali conservati, di esemplari di entrambi i tipi conferma anche per le navate questo caratteristico impiego di capitelli di tipo diverso nel medesimo contesto edilizio. L’alternanza dei tipi nei colonnati era evidentemente un principio architettonico basilare, non necessariamente vincolato alla corrispondenza speculare col colonnato opposto. Capitelli a foglia liscia di minori dimensioni, ancora con alternanza degli ordini, coronavano le dieci colonne del nartece, il vestibolo antistante la facciata. Di questi capitelli, presenti anche nel portico dell’atrio, si è conservata una fila insieme alle basi. Dell’atrio, pesantemente danneggiato nel Medioevo da un’esondazione del Tevere, già nel xvi secolo rimanevano solo resti, come documentano descrizioni e vedute della basilica, che non consentono di offrirne una ricostruzione completa. Per quanto notevole potesse risultare l’effetto estetico della fuga prospettica dei colonnati, anche in relazione alla spazialità della basilica, non fu questa la ragione decisiva della scelta di utilizzare una decorazione architettonica omogenea. Nel caso del Laterano e di S. Pietro, per assicurare a queste grandi architetture un complemento decorativo di adeguata sontuosità – che per qualità, dimensioni e quantità richieste non poteva essere fornito da officine locali – si riutilizzarono materiali più antichi tratti dai depositi, diversi per forma, fattura e cronologia. Alla fine del secolo doveva essere ormai difficile reperire per la basilica di S. Paolo in sufficiente quantità materiali di spoglio di buona qualità, poiché i grandi edifici pubblici della Roma antica, in quanto ornamenta (come vengono definiti nella legislazione coeva), erano tutelati dallo Stato e non potevano essere smantellati per ricavarne materiale di recupero. Anche i ricchi depositi di marmi creati in età imperiale sulle sponde del Tevere non potevano più fornire materiale appropriato in

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Le prime chiese di Roma 65. S. Paolo fuori le mura. Veduta della navata maggiore della basilica verso occidente dal transetto.

tale quantità. Le sontuose componenti decorative di S. Paolo dovettero quindi essere realizzate a Roma con marmi importati appositamente per il cantiere. Il bianco, omogeneo marmo del Proconneso, conferiva l’impalpabile luminosità ricercata nella navata centrale e in quelle laterali, mentre nell’alternanza di capitelli compositi e corinzi si manteneva il principio della variazione e dell’abbinamento. La subordinazione gerarchica delle navate, alla quale alludeva in S. Pietro l’utilizzo differenziato di colonnati con architravi e arcate, era segnalata in S. Paolo dall’adozione nella navata centrale di capitelli fogliati e fusti scanalati, e di semplici capitelli a foglie lisce, fusti lisci e membrature di dimensioni più ridotte in quelle laterali. Malgrado l’approccio fondamentalmente retrospettivo evidente nelle forme dei capitelli fogliati della navata mediana e nell’impiego delle colonne scanalate, in S. Paolo si verifica una radicale deviazione dal sistema classico e dall’utilizzo di elementi architettonici omogenei e uniformi, che si manifesta anche nelle dimensioni talvolta notevolmente difformi dei singoli elementi – capitelli, basi, fusti – nei colonnati. Si palesa qui un’elasticità, o piuttosto una certa disinvoltura nell’utilizzo della decorazione architettonica, che trova corrispondenza nelle forme semplificate degli elementi, basi e capitelli, e nella loro eterogenea fattura, dovuta apparentemente al fatto che erano stati realizzati ex novo nelle officine installate a Roma appositamente per la basilica. A questo approccio, che attribuisce scarso valore alle singole forme, alla loro coerenza come sistema e alla lavorazione precisa e omogenea, e che procede di pari passo con la perdita delle tradizionali capacità artigianali, aveva contribuito in larga misura il diffuso ricorso, già nelle prime grandi basiliche cristiane, a materiali di spoglio e all’utilizzo di elementi semilavorati, di alta qualità benché disomogenei. Forme tradizionali di decorazione nei capitelli della navata mediana si adottarono con l’intento manifesto di eguagliare in ricchezza e preziosità formale il modello di S. Pietro, con i suoi splendidi capitelli di età imperiale. Per la prima volta, nella decorazione architettonica di un edificio di prestigio, vengono impiegati capitelli semplificati, come quelli a foglie lisce dei colonnati laterali, non più limitati, com’era consuetudine sino a quel momento, ad architetture con funzioni pratiche, ma destinati al colonnato di un edificio di culto. Si manifesta in ciò una profonda svolta nelle concezioni estetiche, così come nell’alternarsi di coppie di capitelli di tipi diversi, e non da ultimo nel disinteresse per il corredo ornamentale delle membrature, a favore dei grandi sistemi decorativi costituiti dai mosaici parietali e dalle incrostrazioni marmoree, su cui s’impernia ora l’arredo interno.

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Le tre serie di capitelli del medesimo tipo, anche se di diverse dimensioni, distribuiti tra i colonnati della navata centrale, delle laterali e del nartece, dichiarano un programma estetico e decorativo differenziato, che governa la distribuzione dei pezzi, gerarchicamente collocati per caratteri decorativi e dimensioni, nei rispettivi alloggiamenti all’interno della struttura. Questo omogeneo apparato decorativo, che integra tutte le parti della basilica con pezzi di produzione locale, esclude l’utilizzo di capitelli di importazione costantinopolitana, di caratteristica fattura orientale, il cui uso in S. Paolo è sempre stato affermato sulla scorta dei rinvenimenti. Molti di questi capitelli, però, provengono dai limitrofi depositi di marmi lungo il Tevere, così come altri capitelli dello stesso tipo, ma di dimensioni differenti, tutti databili attorno al 400, ancora oggi stoccati presso i magazzini di Porto e lungo il fiume. Si tratta di semilavorati rimasti nei magazzini sino alla fine del mondo antico e restati inutilizzati. Solo in età medievale, sotto papa Pasquale i (817-824), alcuni di questi pezzi vennero impiegati in S. Maria in Domnica. Il legame significativo tra limiti materiali ed effetto estetico, che in S. Paolo si manifesta nella scelta di un unico tipo di marmo per le colonne e nel fatto che le membrature architettoniche siano state appositamente realizzate, si ritrova nell’impiego diffuso dell’arcata invece che dell’architrave su colonne, che aveva determinato in larga misura l’effetto spaziale di S. Pietro. Il desiderio di limitare i costi di lavorazione e la quantità dei materiali può forse aver indotto a ridurre il numero di colonne nelle navate e ad allargare gli intercolumni. Ciò comportava di necessità l’adozione di arcate per poter coprire luci di maggiore ampiezza, che non sarebbe stato invece possibile raccordare con architravi formati da blocchi di marmo. In tal modo si compie un passo decisivo verso l’allontanamento dalle forme dell’architettura romana tradizionale, che certamente conosceva l’uso di archi su colonne anche in edifici di grandi dimensioni, come ad esempio nei portici del foro dei Severi a Leptis Magna in Libia. Questa soluzione non era però normalmente utilizzata per sostenere una soprastante parete. Conformemente a questo uso, nell’architettura di età imperiale le arcate erano profilate da una modanatura che le rendeva una sorta di versione arcuata dell’architrave. Questi profili sono significativamente assenti nelle arcate di S. Paolo e in quelle delle navate laterali di S. Pietro e della chiesa del Laterano, che si espandono nella parete superiore al di sopra dell’arco con una piatta decorazione di racemi di stucco. L’effetto di questi colonnati, con arcate alte e ampie, risiedeva nella migliore armonia con l’aerea spazialità dell’intero edificio, molto più luminoso delle grandi basiliche precedenti di S. Pietro e del Laterano. Nel cleristorio, al di sopra di ogni intercolum-

nio si apriva infatti una grande finestra, per un totale di 21, e altrettante finestre più strette erano nelle pareti d’ambito delle navate laterali. Anche il transetto era particolarmente luminoso: la parete orientale era traforata su ogni lato da due grandi finestre, ciascuna sormontata da tre oculi. Il medesimo abbinamento, tre grandi finestre ciascuna coronata da tre oculi, ritornava nei lati brevi del transetto, mentre i due lati della parete occidentale riprendevano l’ordine finestrato della parete orientale. Proprio questa combinazione di grandi finestre ad arco e di oculi, dovuta alla necessità di non compromettere la solidità statica dell’alta parete con aperture più ampie, mostra la preoccupazione di convogliare all’interno il massimo di luce possibile: anche in ciò la basilica di S. Paolo supera il modello di S. Pietro. L’effetto che sortiva in origine questo immenso edificio, spazioso e pieno di luce, con i suoi sontuosi arredi, deve essere stato ancora più sconvolgente di quello che esercita sui visitatori l’odierna basilica ricostruita alla metà del xix secolo, che ricalca l’antica per misure ed estensione. L’altezza delle navate venne

ridotta di 90 cm in seguito al rialzo del piano pavimentale per evitare gli allagamenti durante le esondazioni del Tevere. Il granito grigio, che predomina nella basilica odierna con le sue tonalità assai più cupe, conferisce all’ambiente un aspetto diverso rispetto al luminoso splendore delle colonne in marmo bianco dell’antica basilica, illuminato dalle numerose finestre. Una poetica descrizione di Prudenzio, che visitò la basilica durante il suo soggiorno romano agli inizi del v secolo, restituisce qualcosa dell’effetto travolgente del grandioso spazio sul visitatore dell’epoca. L’edificio descritto da Prudenzio è di regia pompa: il poeta si sofferma soprattutto sulla luminosità e lo splendore della prestigiosa aula, sulle travature dorate della copertura, sui quattro colonnati (quadernus ordo) in marmo bianco, che menziona espressamente, e sui mosaici policromi in tessere di vetro con motivi vegetali degli intradossi o delle finestre7. A quest’epoca era stato ormai sostanzialmente completato anche l’apparato decorativo interno. Dopo quella del transetto, sembra che nel 390 fosse iniziata la costruzione del corpo

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Le prime chiese di Roma di

La basilica teodosiana S. Paolo sulla via Ostiense

66. S. Paolo fuori le mura. Passeggiata archeologica sul lato meridionale della chiesa: capitelli della basilica antica. 67. S. Paolo fuori le mura. Capitello composito a foglie lisce proveniente dal colonnato della navata laterale dell’antica basilica.

longitudinale, come attestano le iscrizioni dedicatorie di papa Siricio (384-399) e del funzionario responsabile del cantiere sulla base e sul fusto della prima colonna della navata laterale nord a ridosso del transetto8. Con la consacrazione è probabile che il transetto già ultimato e il presbiterio fossero impiegati per la liturgia, come si deduce da analoghe consacrazioni di chiese medievali. Un’iscrizione metrica, inserita dopo il rifacimento ottocentesco nel mosaico dell’arco trionfale, concorda con Prudenzio nel suggerire che l’edificio fosse completato intorno al volgere del secolo: Theodosius coepit, perfecit Honorius aulam | doctoris mundi sacratam corpore Pauli («Teodosio iniziò l’aula consacrata alle spoglie di Paolo, maestro del mondo, Onorio la completò»)9. La basilica dei tre imperatori fu dunque ultimata dal figlio di Teodosio, Onorio (395-425). La basilica aveva un mosaico absidale figurato e le consuete incrostazioni marmoree parietali, preziose e multicolori. L’at-

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tuale mosaico absidale si deve a un intervento del xiii secolo del tempo di Onorio iii (1216-1227), mentre quello dell’arco trionfale e le pitture con episodi biblici, restaurate da Pietro Cavallini tra 1280 e 1290, che fino all’incendio del 1823 rivestivano i muri della navata mediana al di sopra delle colonne, furono aggiunti nell’età di Onorio e restaurati da papa Leone i Magno (440-461), che nel 442-443 fece ristrutturare la basilica, colpita da un fulmine, o forse devastata da un incendio, come riferisce il Liber Pontificalis10. Fu Galla Placidia (421-450), figlia di Teodosio i e madre di Valentiniano iii, a promuoverne il radicale restauro, come ricorda l’iscrizione sull’arco trionfale, della basilica fondata dal padre11. Il ciclo pittorico delle pareti della navata mediana, disposto su due registri, tra la zona delle finestre e le arcate, in modo che al di sopra di ciascun intercolumnio si trovavano due scene separate da colonnine in stucco, è conosciuto attraverso

riproduzioni grafiche precedenti l’incendio. Sulla parete meridionale erano scene dell’Antico Testamento, in cui si celebrava in particolare Aronne come precursore veterotestamentario di Paolo, mentre sul lato nord erano episodi del Nuovo Testamento e degli Atti degli apostoli riferentisi a san Paolo. Insieme al contemporaneo ciclo della nave mediana di S. Pietro, in cui l’apostolo era raffigurato come Mosè, questa decorazione divenne un modello per i cicli biblici delle chiese medievali, in cui il Nuovo Testamento veniva presentato come compimento delle promesse contenute nell’Antico. Tra le scene bibliche al di sopra delle arcate erano i celebri ritratti dei papi, da Pietro a Leone Magno, alcuni dei quali, pochi in verità, furono salvati dall’incendio e si trovano ancora oggi nel museo dell’abbazia. I pennacchi delle arcate erano ornati con racemi in stucco su fondo dorato. Insieme ai mosaici degli intradossi menzionati da Prudenzio, questa decorazione varia e preziosa, ovunque

fastosa nella forma, nel colore e nei materiali, doveva contribuire in modo significativo all’impressione generata dallo spazio delle grandi navate. Nel mosaico dell’arco trionfale, che incorniciava enfatizzandolo otticamente il sarcofago dell’apostolo nel transetto, era il busto di Cristo in una mandorla, tra i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse che in segno di omaggio offrivano corone al Cristo Pantocratore. Al di sotto, nei piedritti, a destra e a sinistra i principi degli apostoli Pietro e Paolo col braccio destro alzato gli rendevano onore. Come recita l’iscrizione, il restauro del mosaico dopo l’incendio fu sostenuto da Galla Placidia, sorella dell’imperatore Onorio12. Con il compimento dell’apparato decorativo della basilica dei tre imperatori si conferma, mezzo secolo dopo la sua costruzione, l’importanza della chiesa come monumento imperiale. I profondi interventi di restauro in seguito all’incendio,

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La basilica teodosiana S. Paolo sulla via Ostiense

68. S. Paolo fuori le mura. Parete settentrionale del transetto con colonne in marmo pavonazzetto reimpiegate in occasione del restauro dell’antica basilica compiuto sotto papa Leone i (440-461).

dopo il 443, come si è detto sono attribuiti dal Liber Pontificalis a papa Leone i. Un’iscrizione pontificia sulla facciata interna, a proposito di questi restauri, specifica che la basilica fu consolidata e ricevette un nuovo tetto (nam potiora nitent reparata culmina templi | et sumpsit vires firmior aula novas)13. Si possono escludere invece costose opere di consolidamento dell’arco trionfale, pure date per certe, poiché le due colonne, di oltre 13 m di altezza, che sostengono la parte interna dell’arco reggono monumentali capitelli ionici di marmo importato dall’isola di Taso, certamente provenienti, sulla base della decorazione, dalla bottega che intorno al 390 realizzò la decorazione dell’intera basilica. Oltre cinquant’anni dopo, sotto il pontificato di Leone i, è impensabile che si producessero capitelli di tale forma, di fattura così accurata e di così ricca ornamentazione. Tuttavia, la seconda riga dell’iscrizione potrebbe riferirsi alle 13 colonne del lato sud e alle 11 del lato nord della navata centrale, che nel corso dei restauri vennero sostituite con pezzi di età imperiale: 24 colonne scanalate in marmo pavonazzetto e capitelli monumentali di diverse serie e dimensioni, originariamente destinati ai principali edifici della città all’interno del programma di restauri promosso da

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Settimio Severo (193-211). Questi lavori di messa in sicurezza dell’edificio, citati esplicitamente dall’iscrizione papale, sono stati recentemente postdatati al periodo tra il vi e il vii secolo, sulla base di un’iscrizione attestante un restauro di un certo Eusebio, conservata nell’abbazia di S. Paolo. L’ipotesi non è tuttavia sostenibile, in quanto linguisticamente l’iscrizione è ascrivibile piuttosto ad età altomedievale, e i dati tecnici dei singoli interventi di restauro risultano incompatibili con le condizioni architettoniche della basilica14. Nelle forme assunte dopo i consistenti interventi di decorazione e ricostruzione promossi dall’imperatrice Galla Placidia e da papa Leone Magno alla metà del v secolo, la basilica si mantenne con poche modifiche sino al catastrofico incendio del 1823. Dopo l’incendio e la ricostruzione del corpo longitudinale nel xix secolo, della decorazione interna primitiva non rimase che il mosaico dell’arco trionfale, massicciamente restaurato. Le colonne in pavonazzetto furono smembrate e se ne trassero semicolonne per i nuovi altari del transetto. Alcuni fusti in marmo proconnesio delle colonne delle navate laterali, pesantemente rimaneggiati, sono oggi inglobati nel nuovo vestibolo aggiunto sul lato nord del transetto. Tra questi è il

fusto della colonna della navata laterale settentrionale della vecchia basilica con l’iscrizione dedicatoria di papa Siricio dell’anno 39015. Così come alla fine del iv secolo la fisionomia architettonica della basilica dei tre imperatori si distingue in modo significativo dal modello vaticano, anche l’ubicazione all’interno della tomba è diversa rispetto al S. Pietro costantiniano. La tradizione, che già attraverso gli scrittori cristiani della fine del i e dell’inizio del ii secolo attestava il martirio di Paolo a Roma, localizzava la tomba dell’apostolo in una necropoli romana, i cui resti sono ancora oggi visibili ai lati della via Ostiense nelle immediate vicinanze della basilica16. Qui l’apostolo fu sepolto intorno all’anno 67, non lontano dal luogo del martirio presso il Tevere, documentato dai rilievi su sarcofagi cristiani della metà del iv secolo. Il sito dovette essere contrassegnato da un piccolo monumento funerario, una memoria, poiché il presbitero Gaio intorno all’anno 200 cita i tropaia, le tombe e i monumenti commemorativi dei principi degli apostoli, sul Vaticano e presso la via Ostiense17. Scavi e sondaggi esplorativi in occasione dei lavori di ricostruzione realizzati subito dopo il devastante incendio del 1823 nell’area attorno all’altare, e negli anni 2002-2006 nella confessio, hanno portato in luce, a 3,80 m sotto il livello dell’odierno transetto, la pavimentazione di una strada ad andamento perpendicolare rispetto all’attuale via Ostiense, di fronte a un’abside orientata verso ovest. Si tratta della strada che, secondo la lettera dei tre imperatori al prefetto, doveva lasciare spazio al nuovo edificio teodosiano per ottenere una superficie più ampia da destinare alla basilica. L’abside messa parzialmente in luce al di sotto della confessio della basilica attuale, e visibile sotto una copertura in vetro, è quella pertinente alla più piccola chiesa costantiniana ricordata nella lettera e ascritta nel Liber Pontificalis proprio a Costantino18. Sulla corda dell’abside doveva trovarsi, come in S. Pietro, la memoria sulla tomba dell’apostolo. L’area venne sigillata dalle imponenti fondazioni in opera cementizia dell’arco trionfale e del transetto della basilica teodosiana, che si conservano nella loro struttura sotto l’odierna basilica e sono parzialmente visibili nella confessio. Poiché immediatamente a est della basilica costantiniana si estendeva il pendio collinare occupato dai mausolei, per la costruzione di quella teodosiana si dovettero smantellare le precedenti chiese al fine di ottenere uno spazio adeguato sulla piana fluviale. La basilica dovette inoltre essere orientata con l’abside a est, affinché la memoria di S. Paolo fosse inglobata nella costruzione e il transetto costruito sopra, e in modo tale che il corpo longitudinale delle navate potesse ulterior-

mente estendersi nella piana tiberina. Per offrire maggior protezione dalle esondazioni del fiume il piano pavimentale della nuova basilica fu alzato rispetto al livello del precedente luogo di culto, e il pavimento del transetto fu rialzato di altri quattro gradini. I sondaggi archeologici condotti nel 2006 hanno messo in luce, nel pavimento dell’antico transetto, al di sotto dell’odierno altare del xix secolo, posto a 1,30 m sopra il piano di calpestio dell’età teodosiana, un sarcofago collocato sopra la tomba dell’apostolo, ora a –1,70 m sulla corda dell’abside della chiesa costantiniana. Le pareti del sarcofago erano rivestite da lastre marmoree che riportano l’iscrizione dedicatoria Paulo apostolo mart(yri) («a Paolo apostolo e martire»), databile su base epigrafica attorno al 400, quindi al periodo dell’erezione dell’edificio teodosiano. Il sarcofago, nel quale furono assicurate le spoglie dell’apostolo nella nuova basilica recuperandole dalla sua tomba nel sottosuolo acquitrinoso, certamente non svolse la funzione di altare, poiché a quel tempo l’associazione martyrium-altare eucaristico non era ancora usuale. Piuttosto, l’altare doveva trovarsi tra il sarcofago e l’abside, nel transetto, che proprio per questo era largo 24 m. Un baldacchino sopra la memoria e una transenna che delimitava anche l’altare e il presbiterio completavano questo assetto. Leone i rialzò ancora di tre o quattro gradini il pavimento intorno al sarcofago, del quale ormai doveva emergere dal podio solo la parte superiore, così da recuperare nello spessore di questa piattaforma lo spazio necessario ad accogliere delle sepolture privilegiate vicino alla tomba dell’apostolo. Rispetto a S. Pietro, in S. Paolo si ha così un mutamento nella collocazione del monumento sepolcrale dell’apostolo, non più situato come nella basilica vaticana sulla corda dell’abside, a un livello solo di poco superiore rispetto al pavimento delle navate laterali e separato dalla navata e dall’altare quasi per tutta la larghezza del transetto, bensì all’interno di un transetto sopraelevato di tre gradini rispetto al pavimento delle navate, e direttamente alle spalle dell’arco trionfale. In tal modo la tomba era ben visibile ai fedeli e più vicina alla loro venerazione. Il transetto, rialzato e più ampio, si evidenzia come corpo architettonico autonomo, uno spazio destinato a mettere in risalto la memoria, l’altare e il presbiterio, e a fungere da scrigno per il monumento funerario dell’apostolo, anche se quest’ultimo, attraverso la maggiore ampiezza delle aperture che comunicano con il corpo longitudinale e le proporzioni più equilibrate, risulta connesso più strettamente alla basilica. Questa ricostruzione sembra rievocata da fonti coeve, come

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Le prime chiese di Roma di

69. San Paolo fuori le mura. Due lastre marmoree con iscrizione dedicatoria dell’originale rivestimento del sarcofago dell’apostolo nel transetto della basilica.

La basilica teodosiana S. Paolo sulla via Ostiense

71. S. Paolo fuori le mura. Arco trionfale con il mosaico donato dall’imperatrice Galla Placidia, pesantemente restaurato nel xix secolo. In secondo piano, l’abside con il mosaico di Onorio iii (1216-1227).

70. Il chiostro medievale (fine xii-inizio xiii secolo) attiguo all’antico transetto della basilica.

per esempio il Padre della Chiesa Gerolamo o il poeta Prudenzio, che riferiscono come il vescovo di Roma celebrasse l’eucaristia di Cristo in onore degli apostoli per così dire sopra i monumenti funerari dei martiri, che fungevano quasi da altari di Cristo19. Le preghiere per ottenere l’intercessione dei martiri e la messa celebrata in loro onore vengono così poste in stretta correlazione con la presenza salvifica dei martiri stessi nella tomba. Sono probabilmente questi i concetti che hanno condizionato la stretta associazione spaziale tra sarcofago e altare. Da questa correlazione ideale tra la tomba del martire e l’altare del sacrificio, che in S. Paolo trova già una definizione anche dal punto di vista spaziale, scaturì dal v secolo il desiderio di una connessione materiale tra i due elementi. Seguendo questa concezione, papa Gregorio i Magno (590-604) incluse qui – come in S. Pietro era avvenuto per la memoria dell’apostolo Pietro – la tomba di Paolo in un podio, per poter erigere l’altare sopra il sarcofago, unificando così il luogo salvifico dell’eucaristia con la tomba del martire. Un baldacchino sopraelevava l’altare, mentre un recinto formato da transenne delimitava quest’area di fronte al transetto. Le lastre marmoree con l’iscrizione dedicatoria Paulo apostolo mart(yri) che rivestivano il sarcofago vennero poste al di sopra dello stesso sarcofago, accessibili attraverso una cavità chiusa da una grata. Alcuni fori praticati nelle lastre consentivano di calare strisce di stoffa, i cosiddetti brandea, che i pellegrini riportavano con sé a casa come reliquie salvifiche.

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Come nelle basiliche cimiteriali costantiniane e in S. Pietro, che svolgevano anche la funzione di sepolcreto, le navate di S. Paolo erano fittamente ricoperte da sepolture, le cui lastre iscritte componevano il pavimento, come mostrano le numerose incisioni dei secoli passati dell’interno della basilica. Alla parete sud del transetto è ancora oggi annesso un edificio, di 14 x 12 m, coevo alla fondazione della basilica, con funzione di battistero. Nel progetto originario l’edificio era una struttura diafana, non infrequente nell’architettura tardoantica, con una crociera centrale su colonne, collegata per mezzo di archi alle pareti esterne. Si è pensato che la struttura, con la sua preziosa architettura, fosse il mausoleo di un personaggio altolocato. Tuttavia, poiché il tipo non corrisponde a quello dei mausolei tardoantichi, e dato che la dinastia teodosiana attorno al 400 aveva fondato un proprio sepolcro presso S. Pietro, questo edificio deve aver svolto piuttosto la funzione di battistero, in analogia con S. Pietro, basilica memoriale che a sua volta ne aveva uno. Non è noto a quale o a quali architetti il papa incaricato della costruzione della basilica col rescritto imperiale nel 386 – probabilmente Siricio (384-399) – abbia affidato il progetto e la realizzazione del nuovo edificio. Si è proposto a più riprese d’identificare il capocantiere della basilica col comes et mechanicae professor Ciriade, insieme al collega Aussenzio, il senatore di cui il prefetto Simmaco nelle relazioni

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di

72. S. Paolo fuori le mura. Tondi con i ritratti dei pontefici provenienti dall’antica basilica: papa Lino (67-76), v secolo. Museo dell’abbazia. 73. S. Paolo fuori le mura. Tondi con i ritratti dei pontefici provenienti dall’antica basilica: papa Siricio (384-399), v secolo. Museo dell’abbazia.

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La basilica teodosiana S. Paolo sulla via Ostiense

74. S. Paolo fuori le mura. Annesso coevo alla basilica, a sud del transetto, con ogni probabilità il battistero. Interno: seconda fase edilizia, probabilmente del v secolo, decorazione del xx secolo. 75. Capitello del battistero, 400 ca.

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Le prime chiese di Roma 76. S. Paolo fuori le mura. Testa di Pietro proveniente dal mosaico dell’arcone absidale donato dall’imperatrice Galla Placidia, oggi conservato nelle Grotte Vaticane. 77. S. Paolo fuori le mura. Porta Santa, particolare del battente bizantino in bronzo del 1070, il martirio di san Paolo.

Capitolo settimo

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

all’imperatore Teodosio segnalava il coinvolgimento nel 382 in uno scandalo edilizio scoppiato attorno alla costruzione di due edifici pubblici, un ponte e una basilica (basilica nova) non meglio precisati. La basilica, di cui non viene indicato il nome, non può però essere identificata, come si ritiene, con S. Paolo20. L’ipotesi non ha fondamento perché l’edificio citato da Simmaco come basilica doveva evidentemente avere una funzione pubblica, pertanto una basilica civile e non religiosa come S. Paolo, del cui fondatore si fa appena cenno senza fornire indicazioni più precise. In più, l’anonima basilica civile era stata iniziata nel 382, e a causa di danni strutturali e di accuse di appropriazione indebita di fondi pubblici nel 387 non era stata ancora terminata, mentre i lavori di S. Paolo iniziarono, come attesta il rescritto imperiale, nel 386. Come l’erezione in Vaticano del santuario in onore di Pietro portò, nel corso tempo, a una profonda trasformazione di quell’area extraurbana, così la costruzione di S. Paolo condusse a una durevole modificazione della zona antistante

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la porta Ostiensis, lungo la strada che portava a Ostia e al Tevere. Probabilmente anche in questo caso già all’epoca della costruzione una prestigiosa via porticata conduceva dalla porta cittadina, dal v secolo detta porta domini Pauli apostoli, al santuario, a tre chilometri dalla città. Nel vi secolo attorno alla basilica sorse un insediamento con numerose chiese, cappelle, monasteri e ricoveri per i pellegrini, ampliatosi poi con l’arrivo di artigiani e commercianti. Papa Giovanni viii (872-882) fortificò l’agglomerato, in posizione strategica lungo il Tevere, che prese il nome di Johannopolis, per proteggerlo dai Saraceni che si spingevano sulla terraferma risalendo il fiume, e per rendere sicuro l’accesso a Roma e al suo circondario. Di fronte alle porte della città antica si compiva anche qui la medesima evoluzione che alla fine dell’Antichità e nel primo Medioevo aveva visto sorgere intorno al santuario dell’apostolo Pietro e alla chiesa del martire Lorenzo un insediamento fortificato, segno dei profondi cambiamenti cui venne sottoposto il suburbium con la fondazione delle chiese cimiteriali e dei santuari martiriali.

Sotto Costantino e i suoi figli, i vescovi – come si è visto – costruirono nel cuore della città luoghi di riunione per cura d’anime, i cosiddetti tituli, destinati soprattutto a servire alla liturgia e alle esigenze di rappresentanza episcopali; edificati in posizioni strategicamente rilevanti, avviarono la cristianizzazione del tessuto urbano. Anche se tali fondazioni, papali o private, erano inizialmente inferiori, per dimensioni e impegno economico, alle chiese imperiali, alla fine del iv secolo la situazione mutò, e le fondazioni papali non solo aumentarono di numero, ma raggiunsero dimensioni di prestigio anche negli apparati decorativi. Roma, che pure restava formalmente capitale dell’impero e sede del Senato – al quale Costantino aveva attribuito nuovi privilegi e che attraverso l’inaudita ricchezza dei suoi membri continuava ad avere grande importanza economica e politica –, perse il suo ruolo egemone, non essendo più residenza imperiale e sede della corte. La Chiesa, con il forte aumento dei fedeli, fece sempre più parte della vita della città, dando la propria impronta all’urbs, non più caratterizzata dalla corte e dall’amministrazione imperiale, in funzione degli obiettivi della comunità cristiana e delle esigenze e necessità derivanti da un rafforzato assetto amministrativo e finanziario. La repressione della religione pagana sotto la dinastia dei Valentiniani (364-392) e le sempre più numerose conversioni al cristianesimo tra le classi superiori e l’aristocrazia senatoria favorirono la trasformazione di Roma da capitale dell’impero e baluardo del paganesimo a centro del mondo cristiano, trasformazione che ebbe inizio proprio in quest’epoca, perché qui si conservavano con orgoglio le tombe dei principi degli apostoli, ovvero le reliquie più preziose che attestavano l’ortodossia religiosa di Roma e il suo rango eminente rispetto alle altre città dell’impero.

L’attività edilizia religiosa fu pertanto sensibilmente incrementata, anche per l’accrescersi dei cristiani. Attraverso donazioni, cessioni e lasciti ereditari destinati alle istituzioni ecclesiastiche, un vasto patrimonio confluì così nelle mani della Chiesa. La storia della giovane Melania, erede dell’antica stirpe senatoria dei Ceioni e dei Valeri, sposata al cugino Valerio Piniano, illustra con chiarezza la situazione alla fine del iv secolo. La giovane patrizia, come riferisce il suo biografo Geronzio, dopo la morte di entrambi i figli, decise insieme al marito di consacrarsi alla vita monastica e di donare i propri beni alla Chiesa1. Nella sola Sicilia Melania possedeva una proprietà fondiaria di dimensioni principesche, amministrata e coltivata da 400 schiavi. Quando Melania volle cedere alla Chiesa questo e altri possedimenti e liberare 8.000 schiavi, si scontrò con l’opposizione del Senato, che a ragione temeva le imprevedibili conseguenze economiche e sociali di transazioni di tal genere. Melania e il marito Piniano non furono gli unici membri del loro rango a rinunciare ai propri beni a favore della Chiesa: Paolino di Nola e il senatore Pammachio sono ulteriori esempi di questa nuova filosofia di vita. Il trasferimento, da parte dei membri cristiani dell’aristocrazia senatoria, dei propri beni alla Chiesa e alle sue istituzioni divenne una consuetudine, e per tale motivo l’amministrazione statale non ebbe più a disposizione i consueti fondi finanziari per promuovere, potenzialmente, nuove costruzioni e manutenere i monumenti, confluendo tali mezzi nella fondazione di chiese e nel mantenimento degli istituti di carità. È Agostino a fornire una spiegazione di tale condotta della classe senatoria, che agli inizi del v secolo si convertì in maggioranza al cristianesimo, vedendo le fondazioni cristiane come un trasferimento di capitali dai pericoli di questo mondo alla sicurezza dell’altro per la salvezza dei fondatori2. Peraltro, la pratica andò incontro anche

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Le prime chiese di Roma

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

78. S. Anastasia. Il rifacimento medievale.

a reazioni molto negative da parte della società romana, come si apprende dalle dichiarazioni del vescovo Ambrogio di Milano3. È sullo sfondo di questi radicali mutamenti economici e sociali, conseguenti a una trasformazione spirituale e religiosa della società tardoantica, che si deve esaminare l’attività edilizia della Chiesa nel tardo iv e nel v secolo. Se già a partire dalla metà del iv secolo, nelle vicinanze o direttamente presso le tombe dei martiri sepolti nelle necropoli, era sorta tutta una serie di chiese cimiteriali per la commemorazione dei defunti e per la celebrazione eucaristica, Damaso (366-384) si cimentò con un programma edilizio di ampio respiro, mirato alla valorizzazione monumentale dei tanti sepolcri di martiri presenti nelle catacombe e nei sepolcreti della città, sempre più collocati al centro del culto. Il pontefice li arricchì di un prezioso corredo decorativo e di iscrizioni metriche composte personalmente. Le premure di Damaso s’indirizzarono non solo ai martyria sorti sulle catacombe all’esterno della città, ma anche agli edifici di culto intramurani, che dovevano soddisfare le esigenze di cura d’anime della comunità. Sotto il suo pontificato sono almeno cinque le chiese parrocchiali erette o di cui fu iniziata la costruzione in città. Accanto a funzioni di cura d’anime, questi edifici dovevano senza dubbio esprimere visivamente, anche per le loro dimensioni, la presenza cristiana nella capitale. Questa attività edilizia, guidata essenzialmente da donatori privati, sicuramente di concerto con l’amministrazione del clero e con il vescovo, continuò ininterrottamente con tutti i papi del v secolo per una sempre più capillare penetrazione nel tessuto urbano degli edifici di culto cristiano, e non fu condizionata neppure da eventi epocali come l’assedio e il sacco di Roma da parte di Alarico e delle sue truppe gote nel 410, come si vedrà nel prossimo capitolo, dedicato appunto alle chiese del v secolo.

Titulus Anastasiae (S. Anastasia) Il titulus Anastasiae si trova ai piedi del Palatino, alle propaggini sudoccidentali del colle, nell’avvallamento che dal foro conduce al Tevere, sul sito dell’attuale chiesa di S. Anastasia, accanto al Circo Massimo e nelle immediate vicinanze del centro monumentale del potere politico. La data di costruzione è incerta. Dalla perduta iscrizione della decorazione absidale, tramandata da una raccolta medievale d’iscrizioni in versi provenienti da vari edifici di culto, si apprende che papa Damaso (366-384) aveva ornato l’abside della chiesa con una decorazione sostituita con un mosaico un secolo dopo, sotto il pontificato di Ilaro (461-468)4.

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L’esistenza del titulus è perciò certa già nella seconda metà del iv secolo. Supponendo che l’epigrafe funeraria, ancora conservata in chiesa nel xvii secolo, dedicata da Clodio Adelfio, prefetto della città nel 351, alla moglie, la poetessa Faltonia Betizia Proba, sia stata in epoca imprecisata trasferita in chiesa a causa di un legame tra questa e il dedicatario dell’iscrizione, la datazione dell’edificio risalirebbe alla seconda metà del iv secolo5. Secondo un’altra iscrizione metrica, il prefetto di Roma Flavio Macrobio Longiniano, che ricopriva una delle cariche amministrative più importanti dell’impero, nel 402-408 aveva dotato la chiesa di un battistero, non attestato archeologicamente, che costituirebbe il più antico esempio noto di battistero annesso a un titulus6. Nel 499 tre chierici parteciparono al sinodo di Roma come rappresentanti del titulus Anastasiae, e anche papa Leone i (440-461) vi tenne una predica già nel 4577. La chiesa deve dunque essere stata dedicata a santa Anastasia, martire della persecuzione di Diocleziano a Sirmio, la residenza imperiale nei Balcani, attorno alla metà del v secolo, probabilmente a seguito della traslazione della reliquie. Perde così terreno l’ipotesi che il culto della santa, molto venerata a Costantinopoli, fosse stato introdotto solo nel vi secolo dalla guarnigione bizantina stanziata sul Palatino. Fonti altomedievali in cui Anastasia è di nuovo nominata come santa titolare rafforzano la dedicazione alla martire di Sirmio8. La relazione tra la chiesa e i rappresentanti delle nobili famiglie di rango senatorio nella loro qualità di prefetti della città sottolinea l’importanza dell’antico titulus sanctae Anastasiae. Un calendario liturgico del vii secolo colloca il titulus Anastasiae, che ricopriva un ruolo nell’ambito della liturgia stazionale pontificia nelle solennità natalizie, al terzo posto dopo la basilica del Laterano e S. Maria Maggiore, confermando il rango della chiesa. È possibile che la sua importanza fosse connessa all’amministrazione bizantina, a quel tempo installata nel palazzo imperiale sul Palatino. Le ricerche condotte dagli anni Trenta del Novecento sotto la veste barocca della chiesa attuale hanno rivelato una planimetria insolita per l’architettura sacra romana del iv secolo, difficilmente compatibile con l’impianto originario. Il titulus era stato costruito sfruttando per l’alzato le murature di una casa nelle vicinanze di un magazzino commerciale ai piedi del Palatino, come la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, al primo piano di un’insula di età imperiale del ii-iii secolo, con abitazioni e botteghe al piano terreno. Verosimilmente non si tratta, come si riteneva, di una chiesa ad aula unica ad andamento cruciforme, del tutto inusuale a quell’epoca per un titulus, ma piuttosto, sulla base delle murature, di un edificio a tre navate, con la parte occidentale antistante l’abside appena rialzata per la presenza

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Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

di edifici sottostanti. Le irregolarità nell’impianto della chiesa, dovute alla sovrapposizione a preesistenti strutture, così come la più stretta navata laterale destra, non giustificano in ogni caso la ricostruzione di un transetto. La tecnica costruttiva nella parte superiore delle pareti, a file leggermente irregolari e ondulate di mattoni, ne attesta il totale rifacimento in epoca carolingia, che coinvolse la parte occidentale della chiesa, con l’abside del iv secolo in blocchi di tufo alternati a file di mattoni (opus listatum). La datazione degli alzati all’età medievale collimerebbe con la notizia di un radicale restauro avvenuto sotto il pontificato di Leone iii (795-816)9. La chiesa raggiunse allora le consuete dimensioni dei tituli, oltre 40 m di lunghezza per 23 di larghezza, e fu dotata di colonnati formati da venti elementi con capitelli ionici. L’ampliamento dell’viii-ix secolo è ancora individuabile nell’odierno edificio di età barocca: frammenti della chiesa antica e medievale, e della domus romana nella quale fu ricavata, sono visibili soprattutto nei muri esterni del lato settentrionale e nel piano interrato. Del ricco apparato decorativo, consueto per le chiese delle origini, faceva parte il perduto mosaico absidale di Ilaro. L’iscrizione metrica di dedicazione da parte del papa, ancora conservata, nella quale sono citati i due patrizi donatori del mosaico, Severo e Cassia, è in caratteri dorati su fondo azzurro. Non si hanno purtroppo indicazioni circa il soggetto rappresentato nel mosaico. L’ubicazione della chiesa ai piedi del Palatino, insieme al nome di titulus Anastasiae, collegato senza fondamento all’omonima figlia dell’imperatore Costanzo Cloro, ha indotto in passato gli studiosi a riconoscere nell’edificio una fondazione imperiale che avrebbe funto da chiesa di palazzo. Tuttavia tale destinazione contraddice il carattere di titulus, la cui funzione era quella di assolvere a compiti di parrocchia in un quartiere residenziale. Negli studi la localizzazione dell’edificio sul pendio sudoccidentale del Palatino è interpretata nel senso della creazione di un polo cristiano contrapposto alla vicina sede dell’antichissimo culto romano del Lupercale, connesso al mito di fondazione della città, la grotta del fauno Lupercus alle pendici del Palatino, dove Romolo e Remo erano stati allattati dalla lupa. Già da tempo i Lupercalia, ancora celebrati all’epoca di papa Gelasio (492-496), avevano perso però la loro connotazione pagana, divenendo un burlesco corteo popolare, cosa che consente di escludere che la chiesa fosse stata edificata per soppiantare l’antico culto ormai caduto in disuso10. La chiesa, fondata probabilmente attorno alla metà del iv secolo ai piedi del Palatino, nei pressi del Circo Massimo, dovette fungere soprattutto da centro di cura d’anime e di liturgia per le popolazioni, etnicamente miste, aderenti al

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cristianesimo nel popoloso e animato quartiere chiamato vicus Tuscus, intorno al forum Boarium e al forum Holitorium, presso il porto sul Tevere, che rimasero importanti e vitali centri di attività commerciale dall’Antichità all’alto Medioevo.

Titulus Damasi (S. Lorenzo in Damaso) Come si apprende dall’iscrizione absidale dettata da papa Damaso (366-384), oggi perduta ma tramandata da una raccolta d’iscrizioni medievali, il pontefice eresse una chiesa dedicata a Cristo (haec Damasus tibi, Christe deus, nova tecta dicavi) «con l’aiuto di S. Lorenzo» (Laurenti saeptus martyris auxilio), nota dall’alto Medioevo come ecclesia sancti Laurentii in Damso quae alio nome appellatur in prasino11. In un’altra iscrizione, sempre in versi, nella controfacciata, Damaso menziona all’inizio il padre, anch’egli un ecclesiastico, ricordando le tappe della propria carriera e descrivendo brevemente l’edificio da lui fondato come una basilica a tre navate ad arcate su colonne, probabilmente per sottolinearne l’importanza12. Secondo il Liber Pontificalis nei pressi della chiesa si trovavano una domus in circuitu basilicae e un edificio termale (balnea), assegnati al mantenimento del papa. La devozione di Damaso per Lorenzo fu il motivo della successiva consacrazione del titulus a tale santo, che, dalla fine del iv secolo, accanto ai principi degli apostoli, e non da ultimo grazie proprio alla promozione papale, divenne il martire più venerato a Roma, come ribadisce con forza l’inno a lui dedicato composto da Prudenzio13. I sondaggi archeologici condotti negli anni 1938-1939 e dal 1988 nel cortile del palazzo della Cancelleria, eretto nel 1485 dal cardinale Raffaele Riario, titolare di S. Lorenzo in Damaso, hanno portato in luce resti della chiesa antica, sostituita durante i lavori con un nuovo edificio nell’ala nord del palazzo, e nuovamente rinnovata nel xix secolo nello stile del tempo. Il contenuto dell’iscrizione dedicatoria redatta dallo stesso papa, che menziona una basilica a tre navate, è confermato dagli scavi. Le dimensioni della basilica, di cui è stato possibile mettere in luce più della metà orientale, corrispondono, nei 43 m di lunghezza, a quelle dei tituli contemporanei. L’abside era orientata a ovest, secondo il canone edilizio antico, mentre la facciata, a est, si apriva con una triplice arcata sulla navata centrale, che inondava di luce naturale, simbolo della resurrezione di Cristo14. Semplici porte consentivano l’accesso alle navate laterali. Il nartece, riccamente decorato, era concluso a nord e a sud da absidi estradossate, a cui erano collegati su entrambi i lati

annessi d’incerta funzione, accessibili dall’interno della chiesa. L’edificio, a pianta rettangolare, annesso al lato sud aveva un ingresso retto da colonne che ne esaltava il prestigio. I reperti rinvenuti non consentono di avanzare l’ipotesi che uno di questi annessi fosse il battistero che, secondo un’iscrizione risalente al tardo iv o forse al v secolo, sarebbe sorto presso la chiesa15. Sul lato nord il corpo longitudinale presentava due porte di comunicazione con l’esterno a fianco dell’accesso all’annesso adiacente. Dell’apparato decorativo della basilica si conservano in situ alcune basi delle colonne antiche. A partire dal vi secolo il pavimento, come in altre chiese urbane, accolse sepolture che hanno progressivamente distrutto l’opus sectile in marmi colorati decorato a motivi quadrangolari, simile a quello del titulus Marci. Dell’arredo liturgico del iv secolo si è conservata una lastra frammentaria, mentre nel pavimento i resti di una solea in lastre marmoree, la corsia della navata mediana riservata all’ingresso dei chierici all’inizio della liturgia, vennero sostituiti nel vi secolo, come attestano i frammenti degli arredi. Resti di incrostazioni marmoree testimoniano la decorazione delle pareti con lastre di vario colore. Secondo un’iscrizione di tardo iv secolo, nell’abside era raffigurato il martire Lorenzo16. Sulla scorta delle indicazioni dell’epigrafe, la raffigurazione del santo nel cosiddetto mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, del secondo quarto del v secolo, potrebbe dare un’idea della perduta immagine romana. Secondo un’altra iscrizione, trascritta nel Medioevo, Atica, moglie di un alto funzionario, il praefectus praetorio Galliarum del 469 Felice Magno, fondò nei pressi o nella basilica una domus religiosa, probabilmente un oratorium17. Come testimoniano le evidenze archeologiche, la chiesa fu rinnovata alla metà del x secolo. In precedenza, secondo il Liber Pontificalis, già Adriano i (772-795) e Leone iii (795-816) avevano promosso dei restauri18. Papa Adriano i consacrò dei veli per la tomba di Damaso dietro l’altare della chiesa: probabilmente le spoglie del papa erano state già nel vi secolo traslate nella chiesa urbana dalla basilica cimiteriale da lui fondata sulla via Ardeatina. Gli edifici imperiali del Campo Marzio meridionale, a circa 150 m a ovest del teatro di Pompeo, sui quali fu eretta la chiesa, appartenevano, come attesta l’iscrizione di un agitator factionis prasinae19 proveniente dalla zona, al quartiere della fazione dei Verdi (stabula factionis prasinae o factio Prasina)20, la più importante delle quattro fazioni del circo, le cui sedi erano dall’età imperiale in questa zona del Campo Marzio: ne mantiene il ricordo la seconda definizione della chiesa come ecclesia in prasino (la chiesa nel quartiere dei Verdi), tramandata dalle raccolte d’iscrizioni medievali21. Damaso aveva un rapporto speciale con le factiones, i cui membri furono suoi accesi sostenitori durante

le dispute contro Ursino per la successione a papa Liberio. Non è noto però a quali condizioni papa Damaso abbia potuto costruire una chiesa sulle scuderie (stabulum) dei Prasina, allora sede della fazione, importante istituzione per l’amata corsa coi carri, cui venne in tal modo mutata la destinazione. Diverse fonti attestano infatti che le fazioni furono attive fino agli inizi del vi secolo. La vicinanza dei possedimenti di famiglia e l’idoneità delle precedenti strutture alla riconversione in edificio di culto cristiano devono aver svolto un ruolo nell’occupazione di quest’area da parte della Chiesa, ma ciò non è sufficiente a giustificare il trasferimento di proprietà di un edificio pubblico di tale importanza per la vita sociale della città, che poté avvenire solo per intercessione del rappresentante imperiale, il praefectus urbi. Non deve stupire il silenzio del Liber Pontificalis, che, a eccezione di Costantino, subordina i fondatori imperiali ai papi. In ogni caso il dato archeologico, che integra in modo sostanziale la testimonianza scritta, conferma alla fine del iv secolo la garanzia di sovvenzioni statali alla Chiesa per la realizzazione di una rete di edifici di culto. Per la costruzione della chiesa si smantellò una delle scuderie, mentre si integrarono le arcate su colonne del portico meridionale di un edificio adiacente a ovest, con più di dieci colonne e parte dell’alzato. Non è chiaro se la decorazione dell’edificio fosse composta da capitelli di reimpiego di età imperiale o tardoantichi di iv secolo, rinvenuti parzialmente frammentari presso le sepolture. Gli edifici precedenti stabilirono dunque in sostanza l’orientamento, la progettazione e la costruzione del complesso ecclesiastico, riflettendosi anche nelle navate laterali, insolitamente contratte. Il riutilizzo di molti elementi di edifici precedenti è una prassi che si è già riscontrata nella costruzione dei tituli Lucinae e Anastasiae. Altre strutture della precedente sede della factio Prasina vennero mantenute accanto alla nuova chiesa, utilizzate non solo a scopo residenziale: non è precisabile se fossero connesse alla chiesa oppure costituissero degli alloggi assegnati secondo il Liber Pontificalis per il mantenimento della chiesa22. I risultati degli scavi consentono di scartare la precedente ipotesi, basata su un’errata interpretazione dell’iscrizione di fondazione, secondo cui papa Damaso avrebbe costruito la basilica e degli archivi ecclesiastici su una proprietà ereditata dal padre, un presbitero: in questo caso la casa paterna dovrebbe trovarsi nei pressi, come lascia intendere l’iscrizione. La chiesa di S. Lorenzo in Damaso, sorta per iniziativa papale, è la prima chiesa di nuova costruzione in Campo Marzio, che insieme all’area del foro romano e dei fori imperiali ospitava i più importanti monumenti pubblici. Il Liber Pontificalis cita

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Capitolo primo

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

79. Chiesa carolingia dei Ss. Nereo e Achilleo.

espressamente la vicinanza della chiesa al teatro di Pompeo, uno dei più fastosi edifici pubblici di Roma, per sottolineare la sua posizione privilegiata sulla via Triumphalis e sulla porticus Maximae (oggi vie dei Giubbonari e del Pellegrino), che imperatori della tarda Antichità come Onorio e Teoderico ancora percorrevano durante le processioni solenni verso S. Pietro23. Anche se, come la maggior parte dei tituli, la chiesa non spiccava per dimensioni, emergeva comunque in questo insieme monumentale per la sua posizione privilegiata.

la chiesa fu restaurata da papa Sisto iv, e nel 1600 rinnovata dal cardinale Cesare Baronio. L’ubicazione sulla via Appia, la più importante tra le vie consolari, non distante dai limiti della città all’interno delle mura – dove dalle affollate terme di Caracalla si dipartiva dall’Appia un’altra via, la Latina, e dove cominciava il monumentale sviluppo urbano –, era dunque d’importanza strategica.

Titulus Ss. Petri et Marcellini iuxta Lateranos (Ss. Pietro e Marcellino) Titulus Fasciolae (Ss. Nereo e Achilleo) Anche il titulus Fasciolae, sulla via Nova, una parallela al tratto urbano dell’Appia nei pressi delle terme di Caracalla, uno dei più grandi complessi termali di Roma attivo ancora nel vi secolo, venne fondato al tempo di papa Damaso (366-384), come indica l’iscrizione funeraria di un chierico, un lector tituli Fasciolae, del 377, proveniente dal cimitero di S. Paolo fuori le mura24, e una proveniente dall’area delle catacombe di Domitilla, sempre relativa a un lector della chiesa degli inizi del v secolo. Il padre di papa Felice iii (483-492) era lector de titulo Fasciolae, e la chiesa venne rappresentata da tre presbiteri con tale nome al sinodo romano del 499, mentre al sinodo del 595 era citata in relazione ai nomi dei santi Nereo e Achilleo sepolti nel titulus, e in origine nella catacomba di Domitilla25. La traslazione delle reliquie dei martiri dalle catacombe nel suburbium alle chiese intramurane dal vi secolo in poi non fu motivata solo dalla guerra contro i Goti, che avevano devastato la capitale e soprattutto i dintorni, ma dal desiderio di custodire le reliquie direttamente sotto l’altare eucaristico, per partecipare delle intercessioni e della protezione dei santi. Come in altri casi, la dedicazione ai due martiri ha cancellato l’originaria intitolazione, che probabilmente era un toponimo posto nel Medioevo in leggendaria relazione con san Pietro26. L’attuale chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo venne probabilmente ricostruita da papa Leone iii (795-816) in una posizione di poco sopraelevata. Tuttavia nel corso degli scavi archeologici non sono stati rinvenuti resti attribuibili con certezza alla fase antica. L’edificio carolingio presenta nell’arco absidale un mosaico ispirato ai modelli delle origini cristiane, con la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor tra Mosè ed Elia e gli apostoli Pietro e Giovanni al cospetto della Madonna e degli angeli27. Il mosaico absidale, perduto, rappresentava l’adorazione della Croce da parte di dodici pecore sulla montagna del Paradiso. Nel 1475

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Secondo l’iscrizione dedicatoria conservata in frammenti28, la chiesa venne fondata da papa Siricio (384-398) in occasione di una delle prime traslazioni di reliquie di martiri dalle catacombe alla città. Restaurata al tempo di Gregorio iii (731-741) e in seguito ricostruita (da ultimo nel 1750-1751), la chiesa, come testimoniano antichi documenti, aveva un colonnato con colonne di tipo diverso disposte a coppia e volta absidale in tubi fittili, elemento questo che attesta l’antichità della fondazione.

Titulus Pudentis (S. Pudenziana) Il titulus Pudentis, o ecclesia Pudentiana, come è citata nei documenti del tardo iv e del v secolo29, corrispondente all’attuale chiesa di S. Pudenziana, è attestato già nell’ultimo quarto del iv secolo, grazie all’iscrizione funeraria di uno dei suoi chierici, il lector Leopardus, del 38430. Il titulus fu fondato probabilmente sotto il pontificato di Damaso (366-384) come centro di cura d’anime del popoloso quartiere della Subura. La data è confermata da un’altra iscrizione sulle transenne presbiteriali della chiesa antica, che informa che la decorazione e gli arredi dell’altare erano stati finanziati sotto il pontificato di Siricio (384-389) dai presbiteri Ilicio, Massimo e Leopardo31. Resti dell’iscrizione sono oggi murati nella navata laterale sinistra della chiesa. Un’altra iscrizione, sul libro dell’apostolo Paolo raffigurato nel mosaico absidale, attribuisce la fondazione della chiesa ai presbiteri Leopardo e Ilicio, riportando la data 387-390 o 398, probabilmente quella del completamento dell’edificio. Infine, l’iscrizione di donazione nel mosaico absidale, oggi perduta, ma trascritta dall’erudito del Cinquecento Onofrio Panvinio, cita come data della decorazione marmorea e musiva il pontificato di Innocenzo (401-417). Da tutte queste indicazioni epigrafiche si deduce che il titulus fu fondato già all’inizio degli anni Ottanta del iv secolo

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Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

80. S. Pudenziana. Parete meridionale della navata centrale, con murature a vista dell’antico edificio in cui fu ricavata la chiesa.

dai ricordati chierici e decorato a loro spese, come dichiarano espressamente le iscrizioni. L’edificio fu quindi completato con la decorazione interna una ventina d’anni dopo la sua fondazione, all’inizio del v secolo. La durata del cantiere è insolita per una chiesa di medie dimensioni (circa 40 m di lunghezza), tanto più che non venne costruita ex novo, ma ricavata all’interno di un edificio preesistente. Il protrarsi della costruzione ben oltre tale data può essere ricondotto, se non all’assedio e al sacco di Roma di Alarico, alla sontuosità del suo corredo decorativo, elemento al quale nei primi anni del v secolo, nonostante la calamità del 410, sulla scia del fiorire di un’intensa attività di edilizia religiosa, si attribuiva particolare valore, trovando nelle contemporanee fondazioni imperiali, come la basilica di S. Paolo, i modelli corrispondenti. Il vicus Patricius, odierna via Urbana, presso cui sorge la chiesa, era una delle più importanti vie di traffico che collegavano, attraverso il fondovalle tra i quartieri residenziali collinari, il centro monumentale con la periferia e le strade extraurbane, come ad esempio la via Tuscolana, in cui alle porte della città sfociava il vicus. La chiesa aveva dunque una posizione di rilievo su questa importante strada, proseguendo con l’edificazione di

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luoghi pubblici di culto cristiano e di cura d’anime l’espansione all’interno dei quartieri residenziali più popolosi avviata in età costantiniana con la fondazione del titulus Silvestri presso il clivus Suburanus. All’interno di un complesso di maggiori dimensioni – eretto su una piattaforma elevata di circa 8 m su alte sostruzioni, alle spalle di botteghe e magazzini coperti a volta posti al piano terreno di un edificio di alloggi in affitto del ii secolo, a sua volta costruito su abitazioni di età repubblicana –, per ricavare la chiesa a spese dei già ricordati chierici si riutilizzò una lunga aula ad arcate su pilastri con finestre sul lato lungo. Gli alzati dell’edificio originario, sino a oggi identificati dagli studiosi con le thermae Novati citate dai martirologi medievali di S. Pudenziana e S. Prassede, sono ancora visibili su via di S. Pudenziana e sui fianchi della chiesa sino all’imposta del tetto sopra le finestre dei muri perimetrali32. Non poteva trattarsi però di terme, poiché mancano gli ambienti e le dotazioni normalmente presenti in tali complessi. Le vasche a fondo piatto di differenti forme nel pavimento della stanza sinora ritenuta un’aula termale, inadatte come piscine, sono state di recente interpretate come fontane di un cortile aperto. Tuttavia lo spazio doveva essere coperto, perché le pareti del piano finestrato sono fortemente inclinate

verso l’esterno per tutta la loro lunghezza, sebbene siano state predisposte lesene di rinforzo tra le finestre già durante i lavori di costruzione, o subito dopo, come indicano l’identità di muratura e tecnica costruttiva. Inoltre, la parte superiore della facciata all’esterno mostra, nell’esecuzione della muratura e nella tecnica edilizia, che era libera e non vi era addossata una galleria coperta: quella oggi esistente risale al più presto al xii secolo. Le tracce delle imposte della volta sopra le finestre, rilevate nei restauri del 1928-1930, se si potessero verificare, spiegherebbero più facilmente la forte inclinazione del cleristorio. Non è noto a quale uso fosse destinato l’edificio, non fornendo la tipologia chiare evidenze. È interessante osservare come i mattoni impiegati nella muratura rechino i bolli laterizi della fornace (tegularium) di Quintus Servilius Pudens, membro di un’illustre famiglia romana del ii-iii secolo, che in passato aveva annoverato anche un console. Non è certo se tale famiglia fosse anche proprietaria del terreno e degli edifici messi a disposizione della chiesa da un suo discendente nel tardo iv secolo. La relazione tra il nome e il titulus suggerisce in ogni caso l’interazione tra un privato e l’autorità ecclesiastica rappresentata dai tre chierici committenti del titulus. Il collegamento tra fondatore privato

81. S. Pudenziana. Parete settentrionale della basilica con la muratura antica, l’ampliamento realizzato sotto papa Adriano (772-795) a sinistra verso la facciata e, in primo piano, annessi medievali.

e committenza ecclesiastica s’incontrerà frequentemente nelle fondazioni di chiese del periodo. La sala, ripartita da arcate su pilastri, con grandi aperture finestrate e corridoi al piano terreno su entrambi i lati, venne convertita in ambiente di culto mediante la trasformazione del lato breve a nord-ovest in abside semicircolare. Si eliminarono le vasche al centro, ricoperte da un mosaico policromo con pesci e delfini, di cui ancora oggi sono visibili i resti, che nella distribuzione decorativa calcolava la distribuzione dei sostegni. I due corridoi al piano terreno su cui si aprivano le arcate funsero da navate laterali, dopo che i pilastri vennero sostituiti da colonne; si demolì il lato breve arcuato orientale e tutto l’edificio fu ampliato con due ulteriori arcate verso est, complessivamente otto colonne, due ulteriori strette finestre nel cleristorio e una nuova facciata eretta sulle fondazioni dell’insula. Un’apertura a tre arcate costituiva l’accesso dall’atrio alla navata mediana. Le colonne delle arcate sono prive di basi, poiché l’imposta delle volte del precedente edificio non consentiva l’impiego della normale combinazione di base, fusto e capitello. I capitelli, del iv secolo, furono utilizzati anche nella decorazione dell’atrio, perduto, che nelle antiche vedute e incisioni aveva due portici ai

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82. S. Pudenziana. Particolare del mosaico absidale: Paolo con altri apostoli e la personificazione della Chiesa dei pagani.

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83. S. Pudenziana. Particolare del mosaico absidale: Cristo docente in trono.

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84. S. Pudenziana. Mosaico absidale con Cristo docente in trono, circondato dagli apostoli; al di sopra, la croce gemmata accompagnata dagli esseri dell’Apocalisse.

lati dell’asse longitudinale, e collegava la chiesa al vicus Patricius. Alcuni di questi capitelli sono ancora conservati nei pressi della chiesa. Gli interventi descritti, leggibili nelle murature scoperte negli ultimi restauri, sono visibili nelle pareti del piano finestrato della chiesa attuale. La ristrutturazione fu completata dall’inserimento di transenne di separazione del presbiterio, e soprattutto da un grande mosaico nell’abside, la cui calotta poggia sulle finestre tamponate del lato breve nordoccidentale dell’aula. Le pareti dell’edificio erano rivestite da lastre di marmo policromo di cui si sono conservati pochi resti. È da osservare come la chiesa, che secondo le date ricordate risale all’epoca di papa Damaso (366-384) e dei suoi successori

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Siricio (384-399), Anastasio (399-401) e Innocenzo (401-417), sia stata ricavata all’interno della sala mantenendone inalterate le strutture, e in apparenza senza modificare sostanzialmente l’esterno. Malgrado le notevoli volumetrie, questa non doveva quindi spiccare con particolare evidenza nel paesaggio urbano. Le originarie arcate su pilastri dell’abside a nord-ovest furono conservate aperte fino al xvi secolo. L’orientamento dell’edificio in funzione della liturgia era determinato solo dal mosaico absidale – per realizzare il quale si tamponarono le finestre del lato breve della sala – e dalle transenne del presbiterio. Come riferisce il Liber Pontificalis, sotto papa Adriano (772-795) la chiesa, ormai in rovina, venne restaurata33.

Dopo i mosaici delle absidiole di S. Costanza, quello di S. Pudenziana è il più antico mosaico absidale di soggetto cristiano sino a oggi conservato. Per ricchezza e qualità, ma anche per la composizione con più figure e l’iconografia complessa e stratificata, si pone in singolare contrasto con il relativamente limitato impiego di risorse destinate alla trasformazione in basilica della precedente aula. Né il rifacimento barocco, nel corso del quale si tagliarono i margini, né gli estesi restauri subìti hanno potuto sottrarre all’opera il suo straordinario impatto visivo. Cristo siede su un trono regale tempestato di gemme, nei panni del filosofo e maestro, che la presenza dell’oro e della porpora identifica al tempo stesso come sovrano. Ha la mano destra alzata nel gesto del docente, mentre con la sinistra regge il libro aperto su cui si legge la scritta Dominus conservator ecclesiae Pudentianae («Signore e custode della chiesa di Pudenziana»). Ai suoi lati sono gli apostoli, seduti a semicerchio davanti a un portico, intenti a discutere e argomentare, come nelle raffigurazioni antiche di consessi eruditi di filosofi. Alle loro spalle, le personificazioni della Chiesa degli Ebrei e della Chiesa dei pagani, tra cui siede la Chiesa cristiana, reggono sul capo dei principi degli apostoli Pietro e Paolo la corona d’oro del martirio. Gli apostoli del lato destro e le allegorie della Chiesa sono stati fortemente restaurati in età barocca. Sullo sfondo, al di là del portico ricoperto da tegole dorate, s’intravvedono, come promessa della fine dei tempi, gli edifici della Gerusalemme celeste descritta nell’Apocalisse di Giovanni, tra i quali, su un colle, si erge una grande croce tempestata di gemme, accompagnata dai quattro esseri apocalittici tra le nubi. Nella raffigurazione della croce gemmata innalzata sulle rocce del Golgota dall’imperatore Teodosio i (384-395), la vittoria di Gesù sulla morte e la visione apocalittica del simbolo del Cristo Pantocratore alla fine dei tempi si legano nel mosaico all’immagine del maestro, che, circondato dai discepoli, annuncia la nuova disciplina, ovvero la dottrina redentrice del cristianesimo, troneggiando come Pantocratore sotto il simbolo vittorioso della croce. Nel margine inferiore, l’agnello di Dio racchiuso nel nimbo, con la colomba dello Spirito Santo simbolo di salvezza, è andato perduto sotto la cornice barocca. Complessità di contenuti e stratificazione compositiva caratterizzano tutta la produzione musiva cristiana delle origini, che si sforza di rappresentare e trasmettere le nuove verità di fede del cristianesimo con la combinazione di cifre visive familiari allo spettatore dell’epoca attraverso la tradizione iconografica antica. Caratteristico della raffigurazione di questi contenuti teologici è il contrasto tra l’iconografia tutta simbolica della zona superiore del mosaico e quella più narrativa e vivace, affollata di personaggi e ancorata a schemi figurativi tradizionali, propria della scena del

maestro tra i discepoli, adeguatamente tradotta mediante soluzioni più fortemente vincolate agli ideali stilistici della classicità, in forme dai contorni ben marcati, con una modellazione variata e una stesura cromatica ricca e finemente calibrata. Quest’opera straordinaria, di committenza ecclesiastica e privata, è una testimonianza eloquente dell’importanza di questi primi mosaici agli albori dell’arte cristiana, che riempie di nuovi contenuti le forme visive e gli elementi stilistici della tradizione, trovando formule decorative inedite per annunciare il messaggio cristiano. Il mosaico di S. Pudenziana testimonia l’alto livello qualitativo e la ricchezza della produzione musiva cristiana dell’epoca nella capitale, che riprende e prosegue la tradizione dei mosaici parietali di età imperiale e della tarda Antichità, oggi in buona parte scomparsi.

Titulus Clementis (S. Clemente) Il titulus Clementis, che sopravvive nell’attuale chiesa di S. Clemente, eretta nel 1128 lungo via di S. Giovanni, l’antica via Tuscolana, fu ricavato, come il titulus Pudentis, verso la fine del iv secolo all’interno di un edificio più antico. Anche in questo caso la leggenda sposta al i secolo le origini della chiesa, collocandola nella casa di san Clemente, succeduto a Pietro come vescovo della comunità cristiana di Roma. Nel corso degli scavi effettuati sotto la chiesa e nelle sue immediate vicinanze è stato rinvenuto il piano terreno di un grande edificio in blocchi di tufo, orientato est-ovest, largo 29 m e lungo circa 60, composto da una serie di stanze coperte con volte a botte affacciate su un cortile, e databile alla seconda metà del i secolo, in età flavia. Attiguo al lato ovest si trovava un edificio di destinazione abitativa disposto intorno a un cortile, con una serie di vani al piano terreno con pavimenti a mosaico ed eleganti decorazioni a stucco nelle volte. Il notevole corredo decorativo indurrebbe a ravvisare nella costruzione, databile al primo secolo dell’età imperiale, una casa di abitazione signorile. L’immediata vicinanza delle caserme e dei campi di addestramento dei gladiatori, in parte rimessi in luce, che si estendevano a ovest fino al Colosseo, rende tuttavia probabile l’ipotesi che avesse un carattere pubblico. Lo confermerebbe anche il fatto che alla fine del ii secolo, o all’inizio del iii, si coprì il cortile con una volta a botte per ricavarvi un santuario dedicato al dio solare persiano Mithra, culto misterico cui aderivano soprattutto funzionari e soldati: per tale motivo i mitrei erano situati di preferenza al piano terreno di edifici pubblici.

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Capitolo primo

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

85. San Clemente, veduta da est. 86, 87. S. Clemente. L’atrio della chiesa medievale.

L’edificio situato direttamente sotto la chiesa, di cui si è precedentemente trattato, dovrebbe invece identificarsi con la zecca di Stato, o una qualche struttura per la coniatura a questa collegata, che in base ad alcune iscrizioni sarebbe da ricercare proprio in quest’area, e che era sottoposta all’autorità di un procurator monetae et ludi gladiatorii. Nella seconda metà del iii secolo il piano terreno dell’edificio fu abbandonato e sulle fondamenta si eresse un’aula di circa 35 m di lunghezza per 29 di larghezza, affacciata sulla strada con una serie di aperture. Intorno alla fine del iv secolo, probabilmente sotto il pontificato di Siricio (384-399), i muri furono riutilizzati per la costruzione della chiesa. Tra i resti architettonici non si sono rinvenuti indizi che già nel iii secolo l’aula fosse adibita al culto cristiano; è inoltre improbabile che in età precostantiniana i cristiani utilizzassero come luogo di culto un edificio pubblico, anche se in disuso.

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La fondazione della chiesa in un edificio pubblico, probabilmente abbandonato o in disuso, nelle immediate vicinanze del Colosseo e della caserma dei gladiatori, ancora molto importanti nella vita cittadina dell’età tardoantica, non avrebbe potuto realizzarsi senza l’autorizzazione dell’autorità statale, come nel caso di S. Lorenzo in Damaso. I fondi per la costruzione sarebbero stati forniti da un privato, che diede il nome al titulus, e da un membro della gerarchia ecclesiastica, un presbitero. La trasformazione dell’aula in chiesa, attestata dagli scavi effettuati sotto l’edificio medievale, e oggi visitabili, si realizzò mantenendo in sostanza la struttura preesistente: a ovest il muro del lato breve fu aperto e dotato di un’abside, che si estese oltre i confini della proprietà, al secondo piano della casa attigua, sovrapponendosi così a una parte del suo piano terreno. L’aula preesistente, che per ampiezza corrispondeva alle dimensioni della chiesa, fu suddivisa in tre ampie navate da due file di

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88. S. Clemente. Interno della chiesa medievale, rinnovata in età barocca.

89, 90. S. Clemente. Capitelli di produzione orientale appartenenti al baldacchino donato da papa Giovanni ii (533-535).

otto colonne; sul lato est fu addossato un atrio, tamponando in parte le grandi aperture che si affacciavano sulla strada. La navata mediana si apriva verso l’atrio per tutta la sua larghezza mediante cinque arcate, secondo una soluzione simile a quella già vista in S. Sebastiano e, nella variante con tre arcate, in S. Pudenziana, e che ricorre frequentemente nelle basiliche del tardo iv e dell’inizio del v secolo. Si è spesso pensato che il titulus fosse sorto per contrastare il culto del mitreo e soppiantarlo. Bisogna sottolineare però che la vicinanza dei due edifici era minima, che la chiesa aveva occupato un’area non utilizzata di un edificio pubblico, e

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che i mitrei spesso si trovavano nei sotterranei dei palazzi in cui operavano membri delle pubbliche istituzioni e militari. Inoltre la chiesa non si sovrappose al vicino mitreo, né lo danneggiò. Più probabilmente, come già osservato nel caso di altri mitrei, il culto fu introdotto nel corso del iv secolo. La data della conversione dell’edificio in chiesa non è certa. Gerolamo, teologo e traduttore della Bibbia dall’ebraico in latino, cita in una sua opera del 392 una chiesa romana «che ancora oggi commemora il nome di san Clemente, papa e martire»34. In base alla notizia, si è concluso che la chiesa dovesse esistere

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91. S. Clemente. Lastre delle transenne di produzione orientale donate da papa Giovanni ii (533-535), provenienti dal presbiterio della basilica paleocristiana e reimpiegate nella chiesa medievale.

già da parecchio tempo, ma il testo non è affatto decisivo in tal senso. Al contrario, sembrerebbe spingere più avanti nel tempo l’iscrizione dedicatoria, purtroppo conservata solo frammentariamente, di un presbitero che avrebbe consacrato al papa martire Clemente la chiesa citata da Gerolamo sotto il pontificato di Siricio (384-399)35. L’iscrizione è oggi collocata lungo la scala che conduce agli scavi nei sotterranei. La chiesa è documentata come una delle più antiche di Roma dedicate a un santo in alcune lettere dell’anno 417 di papa Zosimo (417-418), che la cita col nome tuttora in uso di sancti Clementis basilica, e di papa Leone Magno (440-461), e da una serie di iscrizioni36. Sotto Zosimo, nella chiesa si svolse l’udienza del monaco laico Pelagio e del suo amico Celestio, imputati di eresia: si tratta di un interessante esempio di come le maggiori chiese romane delle origini, oltre che alla celebrazione della liturgia, servissero per riunioni amministrative, sinodi ed elezioni pontificie, come nel caso della basilica Iulii e del titulus Lucinae.

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Se si eccettuano le notevoli dimensioni, con una lunghezza di oltre 60 m, l’edificio messo in luce sotto la chiesa attuale non parrebbe nell’insieme rispecchiare in tutto la basilica antica. I colonnati presentano arcate di ampiezze diverse, con fusti e capitelli eterogenei che sembrano inseriti senza alcun criterio, oltre al fatto che sono collocati a un livello pavimentale più alto rispetto a quello originario. I capitelli compositi a foglie lisce, che corrispondono a una nota tipologia romana del tardo iv e dell’inizio del v secolo, parrebbero provenire dall’edificio originario, ed essere stati reimpiegati nel rinnovamento del vi secolo. A ciò si aggiunge il fatto che, in rapporto alle pareti del piano finestrato, le colonne risultano più basse che in altre chiese romane del tardo iv secolo. Alcune arcate del colonnato destro sono oggi visibili nella parete esterna destra presso la facciata del successivo edificio medievale, più stretto e alto. Un ultimo indizio è fornito infine dalla tecnica muraria di questa porzione, che non corrisponde alla tecnica in uso tra iv e v secolo. I colonnati

92. S. Clemente. Lastra di transenna con il monogramma di papa Giovanni ii, proveniente dalla chiesa paleocristiana.

della chiesa portata alla luce dagli scavi e le pareti del piano finestrato appartengono probabilmente a una ricostruzione del vi secolo o dell’alto Medioevo sulle fondamenta della chiesa originaria. A tale intervento pertengono anche i resti del pavimento a motivi floreali stilizzati su grossolano fondo bianco con cornici in lastre di marmo, databile alla fine del vi o al vii secolo. Scavi degli ultimi anni hanno rinvenuto, accanto alla navata laterale destra della basilica antica, un passaggio – con pavimenti databili dal iv al vi secolo – che serviva a collegare la basilica con vari ambienti situati a nord, una sacrestia e altri spazi attigui, e in particolare un battistero con una vasca rivestita da lastre marmoree, pure del v-vi secolo. Sono conservati alcuni arredi della chiesa originaria. Secondo un’iscrizione, sotto papa Ormisda (514-523) il presbitero Mercurio donò un altare e un ciborio. I preziosi capitelli in marmo di Carrara del ciborio, opera di maestranze costantinopolitane forse attive a Roma, con rilievi a

traforo e motivi figurati, sono stati riutilizzati all’estremità della navata laterale sinistra della chiesa del xii secolo nel monumento funerario del cardinale Antonio Venier, della fine del xv secolo. Lo stesso Mercurio, una volta salito al soglio pontificio col nome di Giovanni ii (533-535), donò i plutei del presbiterio, come mostra il monogramma presente su alcuni di essi, poi reimpiegati nella schola cantorum della chiesa medievale. In marmo proconnesio, presentano motivi e decorazioni – croci, cristogrammi e i monogrammi del donatore – analoghi a quelli della recinzione di S. Sofia a Costantinopoli. Si può pertanto supporre che fossero approntate dalla medesima bottega che ha prodotto i plutei della chiesa giustinianea. Nella movimentata epoca della guerra gotica l’importazione di pezzi così pregiati dalla capitale orientale era un’impresa notevole, e a Roma come in tutto l’Occidente non vi era alcunché di paragonabile per qualità. La munificenza papale dimostra l’importanza attribuita alla chiesa, iniziata e finanziata dal clero.

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 93. S. Clemente. Mosaico absidale della chiesa medievale (xii secolo), con elementi iconografici (volute di racemi) ripresi forse dalla decorazione absidale della chiesa paleocristiana. 94. S. Clemente. Particolare del mosaico absidale di età medievale.

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Capitolo primo

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

95. S. Clemente. Chiesa paleocristiana (chiesa inferiore). Affresco del primo Medioevo: Madonna e santi, vii-viii secolo. 96. S. Clemente. Chiesa paleocristiana (chiesa inferiore). Affreschi medievali con episodi della leggenda di sant’Alessio (1100 ca.).

Nulla si è purtroppo conservato della decorazione interna dell’edificio antico. Modesti resti della pavimentazione sono andati perduti negli scavi e nei restauri del xix e del xx secolo. Nell’viii secolo, quando la decorazione originaria era già scomparsa, la chiesa fu nuovamente decorata con affreschi. Un frammento di queste pitture, in una nicchia della navata laterale destra, mostra una suggestiva immagine della Madonna come regina dei cieli, con Gesù Bambino sulle ginocchia. Nel ciclo cristologico della navata laterale sinistra è raffigurato papa Leone iv (847-855) con il nimbo quadrato, indizio che il donatore era ancora in vita. Affreschi del tardo xi secolo, donati da Beno di Rapiza e dalla moglie, sono sui muri di tamponatura degli intercolumni della chiesa del vi secolo. L’intervento si era reso necessario per consolidare staticamente l’edificio, messo in pericolo dall’incendio causato da Roberto il Guiscardo nel 1084. Gli affreschi illustrano episodi della leggenda medievale di san Clemente, e le didascalie esplicative, talvolta rudi, appartengono alle prime testimonianze del volgare italiano. Sulle pareti del nartece si sono conservati

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altri affreschi del xii secolo con soggetti legati alla leggenda di san Clemente, che offrono una rara testimonianza della pittura romana medievale. Poco dopo l’incendio e il saccheggio del quartiere ad opera di Roberto il Guiscardo, S. Clemente fu abbandonata, e le murature rasate sino all’altezza dei capitelli. La chiesa più piccola che la sostituì all’inizio del xii secolo utilizzò come fondamenta i muri e i colonnati dell’edificio precedente: la navata mediana fu ridotta e dotata di una nuova abside, i muri della navata laterale destra andarono a sovrapporsi al colonnato della vecchia chiesa, mentre la navata sinistra fu mantenuta nelle stesse dimensioni della precedente. I preziosi arredi, i plutei del presbiterio e i capitelli del ciborio vennero trasferiti nel nuovo edificio. Il bel mosaico absidale della chiesa del xii secolo è dominato da un motivo acantiforme profilato in verde-oro-azzurro su fondo dorato, i cui tralci regolari si dipartono da un grande calice di foglie d’acanto. Il motivo ricorda immediatamente i tralci acantiformi del mosaico absidale del v secolo nel vestibolo del battistero lateranense. Anche la conchiglia con la mano

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Le prime chiese di Roma

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

97. S. Vitale. Vestibolo (nartece) antistante i cinque archi d’ingresso nella facciata dell’antica chiesa.

di Dio e i quattro fiumi del Paradiso, alle cui acque si abbeverano due cervi e si ristorano gli animali di ogni sorta della parte inferiore, si ritrovano in altri mosaici cristiani delle origini. Nel mosaico del xii secolo, però, accanto a motivi medievali come il Crocifisso con Maria e Giovanni Battista, le immagini appaiono più piatte e decorative: i numerosi motivi, nel bordo inferiore e nei tralci d’acanto, spesso con scene di vita quotidiana, sono resi secondo la sensibilità formale del Medioevo. Si è perciò supposto, non senza fondamento, che il mosaicista del xii secolo si sia ispirato alle raffigurazioni del mosaico dell’inizio del v secolo già presente nella chiesa antica, aggiungendo il motivo medievale del Crocifisso per attribuire un significato nuovo ai simboli antichi della vita e per facilitarne la comprensione da parte dei suoi contemporanei. Nell’impianto basilicale dell’attuale chiesa, e soprattutto negli elementi di arredo recuperati dall’edificio precedente e nei motivi del mosaico absidale – tradizionali, ma reinterpretati in modo nuovo –, rivive dunque la tradizione cristiana delle origini.

Titulus Crescentianae (S. Sisto Vecchio) Secondo il Liber Pontificalis la basilica Crescentiana fu eretta da papa Anastasio (399-401) lungo il tratto urbano della via Appia, davanti al titulus Fasciolae37. Con il medesimo nome il titulus Crescentianae è rappresentato da tre presbiteri al sinodo romano del 49938. Dovrebbe identificarsi con il titulus santi Xisti che sorgeva nel medesimo luogo, e che è citato con questa dedicazione per la prima volta nel sinodo romano del 595, convocato da papa Gregorio Magno39. Come spesso accade, anche in questo caso il nome del donatore venne evidentemente sostituito da quello del santo venerato nella chiesa, nella fattispecie papa Sisto ii (257258), martire delle catacombe di S. Callisto, qui traslato dopo che alla fine dell’Antichità si iniziarono a trasferire le reliquie dalle catacombe della via Appia alle chiese intramurane. Dell’edificio antico, che, orientato a ovest, aveva un andamento parallelo all’Appia, gli scavi archeologici e i restauri hanno messo in luce, a circa 3,50 m sotto l’attuale chiesa mononave di S. Sisto Vecchio, dell’epoca di Onorio iii (1216-1227), i resti di una basilica a tre navate in laterizi lunga 47 m, larga 25 e alta circa 13. La chiesa medievale, decisamente sopraelevata rispetto a quella delle origini, fu dunque ridotta a una sola navata. Tredici arcate su colonne, i cui archi e capitelli sono in parte visibili nei muri esterni dell’attuale edificio, costituivano la nave mediana dell’antica basilica, che a est si apriva sull’atrio, come in altre

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chiese coeve (S. Sisto Vecchio, S. Pudenziana), con una triplice arcata nella facciata ancora conservata, e a ovest era chiusa da un’abside forata da tre finestre, anch’essa conservata. Alle undici arcate nella navata e alle tre nella facciata corrispondeva una finestra del cleristorio, che insieme alle finestre dell’abside garantivano all’interno una forte illuminazione. Alla preoccupazione di rischiarare al massimo l’edificio potrebbe forse attribuirsi la disposizione leggermente obliqua della fronte, in virtù della quale l’edificio, con l’abside a ovest, era esposto a sud-est, lasciando entrare la luce solare, simbolo della resurrezione di Cristo e del suo ritorno alla fine dei tempi40. Le pareti traforate da arcate e finestre facevano della basilica un’aula aperta, vasta e luminosa, secondo una formula caratteristica delle basiliche cristiane tra iv e v secolo. I fusti delle colonne erano di granito grigio. Come in S. Clemente, anche in questo edificio non vennero utilizzati capitelli di spoglio. I capitelli compositi a foglie lisce, di dimensioni tra loro leggermente variate, provengono da officine romane coeve, come quelli – di forme e fattura simili, ma di formato maggiore – già incontrati nelle navate laterali della basilica imperiale di S. Paolo fuori le mura, della fine del iv secolo, e come quelli, di forme e dimensioni analoghe, di S. Clemente, che si ritroveranno in altre chiese romane di quest’epoca. Nel colonnato i capitelli si alternano in due varianti formali, secondo uno schema che cerca di avvicinarsi alla ricchezza tipologica offerta dall’impiego di capitelli di spoglio, ottenuta invece in S. Paolo fuori le mura e nel contemporaneo titulus Vestinae con l’alternanza di capitelli compositi e corinzi. Negli intradossi si sono conservati frammenti degli antichi stucchi dipinti. Le diversità dimensionali di basi e capitelli furono compensate con l’inserimento all’imposta dell’arco di una lastra. L’approccio disinvolto dimostra che i diversi elementi della decorazione architettonica e dei colonnati non venivano più realizzati appositamente per la costruzione, ma erano fondi di magazzino prelavorati. È interessante notare come siano state accettate le irregolarità e le incongruenze della costruzione, evidentemente passate in secondo piano nella visione dei contemporanei rispetto alla suggestiva soluzione creativa offerta dall’aula luminosa e diafana, e alla magnifica decorazione di mosaici parietali e incrostazioni marmoree. Del pavimento originario si sono conservati solo insignificanti resti di un grossolano tappeto musivo appartenente al quadriportico che precedeva la facciata della chiesa disposta in obliquo. Nella pianta e nelle proporzioni, nelle arcate su colonne della navata e nella ricchezza di aperture del cleristorio, nel caratteristico aprirsi della facciata con una sequenza di arcate che abbracciano l’intera ampiezza della navata mediana, S. Si-

sto Vecchio costituisce per Roma un primo esempio di basilica cristiana costruita ex novo, un modello che si ritroverà in forme comparabili nelle nuove chiese del v secolo. Può stupire la fondazione del titulus in questo luogo, proprio di fronte al quasi coevo titulus Fasciolae. Già a proposito di quest’ultimo si era peraltro rilevato che l’ubicazione, all’inizio del tratto urbano della via Appia e nei pressi delle monumentali terme, frequentatissime e più volte restaurate in età tardoantica, ai margini di un quartiere popoloso, fu certamente scelta con cura. Lo stesso dovrebbe dirsi per S. Sisto Vecchio. Le due chiese formavano una vistosa concentrazione, che come è noto avveniva in termini simili anche lungo la via Lata, rendendo evidente la presenza cristiana in questo importante snodo. Tra i loro compiti, accanto alla cura d’anime per il quartiere, doveva esserci anche l’assistenza ai numerosi viandanti e pellegrini che giungevano a Roma dall’Italia meridionale e dal bacino del Mediterraneo, attività che portò alla fondazione nelle immediate vicinanze di un monastero, che il Liber Pontificalis ricorda al tempo di papa Leone iii (795-816)41.

Titulus Vestinae (S. Vitale) Il titulus Vestinae, corrispondente all’odierna chiesa di S. Vitale, secondo il Liber Pontificalis fu eretto come basilica sanctorum Gervasi et Protasi dai presbiteri Ursicino e Leopardo e dal diacono Liviano sotto il pontificato di Innocenzo (401-417), presso il vicus longus, che seguiva grosso modo il tracciato dell’odierna via Nazionale, tra i colli del Quirinale e del Viminale. I l presbitero Leopardo era stato coinvolto nella costruzione del titulus Pudentis già sotto papa Siricio (384-399). Sempre secondo il Liber Pontificalis i mezzi per la fondazione del titulus vennero messi a disposizione grazie a una donazione della illustris femina Vestina, che a giudicare dal titolo doveva essere una ricca dama del patriziato romano42. È da ricordare che la costruzione delle chiese era prerogativa dei chierici, impegnati nella gestione delle donazioni, nella progettazione e nella supervisione dei cantieri, evidentemente su delega vescovile. La dedicazione a Gervasio e Protasio – le cui reliquie erano state rinvenute dal vescovo Ambrogio insieme a quelle del martire Vitale rispettivamente a Milano e a Bologna nel 386 e nel 393, e ricoverate in altre chiese per salvaguardarle – sarebbe conseguente alla cessione di queste ultime alla chiesa romana eretta in loro onore dalla fondatrice Vestina. La chiesa è ancora menzionata come titulus Vestinae nella sottoscrizione del suo chierico al sinodo romano del 499, mentre

nel sinodo del 595 i rappresentanti della chiesa sottoscrivono come presbyter tituli sancti Vitalis43. Per ragioni sconosciute, nel corso del vi secolo Vitale soppiantò i due compagni come titolare della chiesa, la quale ancora oggi porta il suo nome. Il titulus Vestinae era situato in posizione privilegiata, tra il Quirinale e il Viminale, presso una delle principali arterie della città, chiamata non a caso vicus longus, che collegava questi quartieri al centro e alla periferia. L’ubicazione del titulus Vestinae è confrontabile con quella di S. Pudenziana, fondata a est del Viminale, più o meno alla stessa altezza, sul vicus Patricius, collegamento stradale altrettanto importante che correva quasi parallelo al vicus longus. Nella fondazione di queste due chiese pressoché coeve si manifesta un preciso progetto, che con un mirato programma edilizio cerca di proseguire la cristianizzazione del tessuto urbano nei quartieri più popolosi e di garantire sistematicamente la cura d’anime della comunità cristiana in espansione, integrando i tituli già edificati in posizione simile in età costantiniana, come S. Silvestro nella Subura. Ampie parti dell’edificio, occidentato, lungo 51 m, la cui navata mediana era larga 14, si sono conservate nella chiesa attuale, che si trova a –6 m sotto il livello di via Nazionale, e che nella facciata, posta in obliquo rispetto alla via, segue il tracciato dell’antico vicus longus. I restauri del secondo dopoguerra hanno reso visibili parti antiche inglobate nella chiesa attuale, che in seguito ai lavori compiuti nel 1475 sotto Sisto iv comprende soltanto la navata centrale della chiesa antica. La facciata, il nartece, l’abside a ovest e parte delle arcate colonnate settentrionali sono visibili nel cortile intorno alla chiesa, che occupa lo spazio

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Capitolo primo

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

98. Ss. Giovanni e Paolo. Facciata e vestibolo medievale. 99. Ss. Giovanni e Paolo. Fianco meridionale della basilica presso il clivus Scauri. In basso, la navata laterale ricavata nelle precedenti domus romane; al di sopra, il cleristorio della chiesa paleocristiana.

delle originarie navate laterali. I muri sono in opus listatum, con alternanza regolare di file di blocchi di tufo e di laterizi. Le arcate e i relativi tratti murari sono in laterizio. La navata mediana si apre per tutta la larghezza sul vestibolo colonnato, il nartece, mediante cinque arcate. Una lunga sequenza di quindici arcate separava le navate laterali dalla principale. Altrettante finestre si aprivano nel cleristorio della navata mediana, cui corrispondevano cinque finestre nella facciata. Questa architettura per così dire aerea, con le murature dissolte da arcate e finestre, conferiva alla chiesa il carattere di una quasi diafana, luminosa aula. Nulla si è conservato della decorazione interna, ad eccezione della plastica architettonica. Alcune tracce dell’originario rivestimento marmoreo sono ancora negli intradossi delle arcate di facciata. I fusti delle colonne erano in granito grigio. Nei colonnati della facciata e della navata ancora una volta non vennero impiegati materiali di spoglio, ma capitelli a foglie lisce, semplificate e non lavorate. Stando ai pezzi ancora in situ nelle due arcate del colonnato destro di facciata, sia nei colonnati delle navate sia nella facciata stessa si alternavano capitelli compositi e corinzi, probabilmente secondo il modello di S. Paolo fuori le mura, finita attorno al 400. Le arcate dei colonnati sono state rifatte nel Medioevo, mentre il colonnato del nartece, elemento secondario, è dotato solo di

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piccoli capitelli compositi a unica corona di foglie. L’apparato decorativo, che adotta contemporaneamente capitelli a foglie lisce di diversi tipi e formati, sembra rispecchiare un impiego eterogeneo e razionale dei pezzi nelle differenti aree della chiesa. Come nel titulus Clementis e nel titulus Crescentianae (S. Sisto Vecchio), ugualmente costruiti grazie al sostegno di un fondatore privato, anche in S. Vitale nei colonnati del corpo longitudinale e della fronte, così come del nartece, non si inseriscono elementi di spoglio, bensì pezzi contemporanei di ordine diverso. I due tipi di capitelli, in quest’epoca spesso in relazione con la fabbrica di S. Paolo, che portò a una ripresa della produzione locale, erano stoccati in grandi quantità nei magazzini. Per i vari cantieri ci si riforniva presso questi magazzini o i laboratori che predisponevano i materiali. L’uso di elementi prelavorati, non solo nell’allestimento delle chiese, distingue la pratica edilizia tardoantica da quella di età imperiale. L’indifferenza verso il dettaglio decorativo di questi elementi architettonici portava a un impianto formale estremamente semplificato, a contorni netti. Ciò, insieme alle dimensioni spesso leggermente diverse, bilanciate nella costruzione, va di pari passo con la tendenza alla creazione di ambienti unitari, di grande impatto visivo, in cui la componente artistica si indirizza

alla decorazione dell’involucro spaziale attraverso ampie superfici rivestite di marmi e mosaici multicolori che riflettono la luce, definendo una forma architettonica caratteristica dell’età tardoantica non soltanto nell’edilizia religiosa.

Titulus Pammachii (Ss. Giovanni e Paolo) Il titulus Pammachii, cui successe poi l’attuale chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, venne eretto sul Celio presso il clivus Scauri, ai margini orientali di un quartiere in cui sorgevano numerose domus del patriziato romano del iv e v secolo. Tra queste era la domus di Simmaco, senatore e praefectus urbi, antagonista di Ambrogio nella controversia sull’ara della Vittoria in Curia, la sede del Senato, e la domus Lateranorum, che diede il proprio nome all’area sudorientale del colle. Sul versante verso il Circo Massimo, dall’altra parte del clivus, l’illustre gens Anicia aveva la propria residenza di città, all’interno della quale papa Gregorio Magno (590-604), discendente dell’importante famiglia senatoria cristiana, creò alcuni oratori e un monastero, mentre sopra un grande complesso di abitazioni, con botteghe lungo il lato meri-

dionale del clivus, nel iv secolo, dopo l’abbandono degli edifici più antichi, fu costruita una lussuosa domus con una grande aula absidata, erroneamente chiamata biblioteca Agapiti, ancora in gran parte conservata. Il titulus Pammachii godeva dunque di una posizione preminente all’ingresso del quartiere, che a partire dal iv secolo fu oggetto di estesi interventi: tale riorganizzazione sostituì alla densa urbanizzazione precedente, con insulae standardizzate comprendenti un gran numero di abitazioni e botteghe, sontuosi palazzi di vaste dimensioni che vi si sovrapposero. In tale contesto occorre considerare la creazione del titulus, costruito in posizione privilegiata da un ricco donatore di classe senatoria sopra un precedente nucleo abitativo, di fronte al Palatino, ancora una volta su un’importante via di traffico che attraversava il quartiere in direzione est-ovest. Il titulus cita il nome del fondatore, quel Pammachio che tra l’altro costruì un ospizio per pellegrini a Porto (Portus) e che nel 397, in occasione della sepoltura della moglie Paolina, organizzò il già ricordato banchetto commemorativo nella basilica di S. Pietro per sfamare i poveri della città. Pammachio era uno di quegli aristocratici cristiani del Senato romano che tra iv e v secolo misero i propri beni a disposizione della nuova fede, come si è visto a proposito della giovane Melania e del marito Piniano.

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Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

100. Ss. Giovanni e Paolo. Affresco sopra la fontana del cortile della domus romana, paesaggio marino con figure di divinità pagane, iv secolo.

A quanto sembra la chiesa fu finanziata anche da un certo Byzans, come attesta un’iscrizione sepolcrale dell’età di papa Innocenzo (401-417) che menziona un titulus Vizantis44. Probabilmente si tratta dello stesso edificio rappresentato nel sinodo romano del 499 dai suoi presbiteri sotto la denominazione di titulus Byzantis et Pammachi, mentre nel sinodo del 595 la chiesa è registrata come titulus sanctorum Iohannis et Pauli, designazione riferita anche dal Liber Pontificalis45. Anche in questo caso, nel vi secolo, i nomi dei fondatori nella denominazione della chiesa lasciarono il posto a quelli dei santi cui il titulus era dedicato, come attestano il sinodo del vi secolo e il Liber Pontificalis, e come titulus sanctorum Iohannis et Pauli la chiesa è tuttora conosciuta. Poiché Pammachio, di cui si conoscono solo alcuni dati biografici, morì nel 410 durante l’assedio goto, la costruzione dovette iniziare prima di tale anno. Un’iscrizione in versi, che parla della decorazione del nartece (vestibulum) della basilica, sicuramente ascrivibile a papa Leone i (440-461), suggerisce che la costruzione della chiesa sia avvenuta intorno alla metà del v secolo46.

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Anche in questo caso fu utilizzato, adattandolo, un edificio preesistente in cui, come in alcune delle chiese parrocchiali trattate, venne inserita la fronte verso il clivus Scauri di parecchi edifici di abitazione del ii-iii secolo con botteghe al piano terreno, ancora visibili sino al livello delle finestre dell’originario secondo piano sulla via attuale, che segue il tracciato dell’antico clivus. Vecchi scavi della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento hanno portato in luce il piano terreno delle case sotto la basilica, conservata al di sotto del rifacimento barocco. Si tratta di almeno tre edifici, affacciati sul clivus Scauri e su due vie laterali, una delle quali conduceva al Claudianum, il tempio dell’imperatore Claudio divinizzato, le cui possenti murature si conservano sotto il monastero annesso alla chiesa e sotto la torre campanaria medievale. Le case, di pianta irregolare e più volte rimaneggiate, si datano, sulla base della tecnica muraria, tra il i e il ii secolo. Presso il clivus Scauri erano alcune botteghe, con vani retrostanti aperti su un cortile in cui all’inizio del iv secolo si ricavarono sontuose fontane. Questi ultimi, visitabili insieme ad alcuni degli ambienti sul retro

101. Ss. Giovanni e Paolo. Domus romana sotto la chiesa: affresco con genii che reggono ghirlande, iv secolo.

delle botteghe, presentano affreschi ben conservati con motivi tradizionali della pittura romana, annoverabili tra i migliori esempi di decorazione parietale dell’età imperiale e tardoantica a Roma. Il grande affresco sulla fronte principale raffigura ad esempio un idilliaco paesaggio marino con putti che giocano e due figure femminili distese, l’una abbigliata, l’altra con il busto scoperto come una Venere, rivolta verso la figura ignuda e idealizzata di un giovane uomo, probabilmente un dio, che mesce in una coppa da una cornucopia. Sul significato dell’affresco, databile all’inizio del iv secolo, che raffigura un tipico locus amoenus, luogo di svago in cui ci si può volentieri rilassare, si sono formulate varie ipotesi. La scena, che ricorre su alcuni sarcofagi in una redazione iconografica sostanzialmente identica, in cui sullo sfondo compaiono il faro e le strutture portuali di Ostia, dovrebbe essere un’evocazione del paesaggio idilliaco per eccellenza, l’Isola Sacra presso Ostia, consacrata a Venere, descritta da una cosmografia tardoantica e da Procopio nel vi secolo come una sorta di giardino idilliaco47. Il tema dell’affresco

è adatto a un grande ninfeo, e ne definisce la destinazione come luogo di ristoro e frescura. In un ambiente attiguo è una decorazione più o meno coeva, con grandi figure di genietti nudi delle stagioni recanti ghirlande simbolo di fortuna e di benessere. Le pitture degli ambienti sul lato est appartengono già al iv secolo avanzato. Al di sopra di un alto zoccolo, in cui si fingono incrostazioni marmoree, è raffigurato entro riquadri verdi e rossi, con varie figure, il dio-toro egizio Api. Questo sistema decorativo è attestato anche nelle catacombe coeve, dove era ripreso dalla pittura parietale delle domus. In un vano attiguo di poco più grande, con una decorazione pittorica più accurata, gli affreschi che ricoprono la volta spartita da larghe cornici comprendono, accanto a belle maschere dionisiache e a tradizionali motivi di genere, una figura femminile in preghiera (orans) e due figure maschili in tunica bianca e pallio che leggono rotoli di pergamena e corrispondono alla tipologia del filosofo o del maestro diffusa nell’arte figurativa romana, ma anche alle raffigurazioni degli apostoli nella coeva iconografia cristiana. Fino a tempi

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Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

102, 103. Ss. Giovanni e Paolo. Oratorio cristiano al primo piano delle domus romane situate sotto la chiesa: affresco con martiri e scene di martirio, tardo iv secolo. 104. Ss. Giovanni e Paolo. Domus romana sotto la chiesa. Affresco con finta decorazione in marmo, maschere dionisiache ed emblemi, figura femminile orante, iv secolo.

recenti si è voluto riconoscere in queste pitture, in particolare nelle figure che leggono e nell’orante, un tema cristiano. A prescindere dal fatto che entrambi i tipi sono altrettanto noti all’arte romana di età classica, l’interpretazione è da escludere per la presenza nel medesimo contesto figurativo delle maschere dionisiache, come pure del dio-toro Api nel vano attiguo e per la raffigurazione di Venere nel ninfeo. Al di sopra della scala, probabilmente coeva, che conduceva al primo piano delle abitazioni situate ai lati del cortile, che in tal modo erano accorpate in un complesso unitario, fu più tardi inserita sul primo pianerottolo, dopo l’abbandono della rampa superiore, una piccola nicchia affrescata con pitture che attestano con certezza una presenza cristiana. Tra due tendaggi tirati, che sottolineano nobilmente la scena, è collocata una figura maschile orante avvolta in una paenula, un’ampia sopraveste in uso nella tarda Antichità. La figura è venerata da due donne, che si sono gettate ai suoi piedi. Gli indumenti di foggia contemporanea e la posa da orante permettono di identificare la figura maschile in un santo o un martire. Altre figure maschili in abiti coevi sono ai lati del personaggio principale. In alto a sinistra è forse una scena paradisiaca, e, cosa piuttosto interessante, a destra la scena di un martirio, con tre figure, due maschili e una femminile, inginocchiate con le mani legate dietro la schiena, mentre gli sgherri alle loro spalle, purtroppo molto restaurati, attendono di procedere

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all’esecuzione. Si tratta di una delle pochissime raffigurazioni di martirio note nell’arte cristiana delle origini, accanto ai rilievi sulle colonne del ciborio della chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo nelle catacombe di Domitilla. In base allo stile l’affresco deve certamente datarsi all’ultimo decennio del iv secolo. Il piccolo frammento d’iscrizione inserito nella parete destra della scala, che in occasione di un restauro è stato integrato in un’iscrizione in versi in lode dei martiri Paolo e Giovanni nello stile dei componimenti commemorativi di papa Damaso (366-384), è stato a torto posto in relazione con una presunta commissione della decorazione da parte dello stesso Damaso. L’iscrizione, tramandata da una raccolta medievale, proviene più probabilmente da un oratorio di papa Simmaco (498-514) in S. Pietro48. Il dipinto con scena di un martirio offre la testimonianza, alla fine del iv secolo, di un santuario commemorativo cristiano sotto forma di cappella domestica privata. Sicuramente non dovrebbe trattarsi di pratiche devozionali legate alla presenza di tombe di martiri, come pure tramanda una leggenda del vi secolo relativa ai Ss. Giovanni e Paolo, che trasferisce nella casa le sepolture dei due martiri, probabilmente da identificarsi col Battista e con l’apostolo delle genti49. La leggenda è coerente con la concezione devozionale del vi secolo, quando ormai santuario commemorativo e tomba del martire erano tutt’uno, mentre nel iv secolo, come ovunque nel mondo romano di quel tempo, non erano consentite sepol-

ture all’interno del perimetro urbano. L’attuale apertura sulla fronte della cappella sopra la scena dell’adorazione, ai lati della quale sono figure maschili ammantate che le si rivolgono, era in origine chiusa a nicchia, e poteva essere stata successivamente usata come reliquiario del santo titolare della chiesa. Tuttavia né l’orante né le figure della scena del martirio, tra le quali compare una donna, sono ricollegabili ai santi titolari Giovanni e Paolo. Anche volendo riconoscere nelle due figure ai lati della nicchia, non conservate nella parte superiore, Giovanni e Paolo, il fatto che siano rivolti verso la nicchia-reliquiario, in atto di adorazione, non si addice a questa interpretazione: ci si dovrebbe piuttosto attendere una postura frontale, proprio come quella dell’orante sotto la nicchia. Il fatto che, in coincidenza con la costruzione della cappella sul pianerottolo delle scale, le porte che davano accesso al vano decorato con gli affreschi con cornici verdi e rosse ai piedi della stessa scala venissero allargate e ampliate con l’inserimento di un grande arco, come il fatto che i dipinti del ninfeo fossero ricoperti con uno strato di colore a imitazione di incrostazioni marmoree, indica che alla fine del iv secolo al piano terreno del complesso s’insediò un culto martiriale probabilmente aperto a un maggior numero di persone. Non è possibile comprendere oggi per quale motivo il piccolo luogo sacro si trovasse sul pianerottolo e a quest’ultimo fossero stati collegati gli ambienti inferiori con l’allargamento dell’ingresso.

Poiché mancano un rilievo architettonico e un’indagine moderna dell’intero complesso, delle decorazioni e della articolata vicenda edilizia, in questa sede è possibile esporre solo l’interpretazione ragionata di chi scrive, fondata su una valutazione critica dei ritrovamenti e delle ricerche. Già pochi decenni dopo la costruzione della cappella, questa venne interrata insieme al piano terreno e al cortile, e al primo piano del caseggiato fu costruita la chiesa. A ovest, oltre i confini della proprietà, al di là del muro cui era addossato il ninfeo, fu aggiunta sopra le case confinanti una grande abside, mentre al piano terreno del complesso di abitazioni a ridosso del clivus Scauri vennero gettate le fondazioni per i colonnati della basilica. Le aperture delle botteghe verso il clivus, le cui facciate costituirono i muri esterni della navata laterale sinistra, vennero tamponate. A nord, dove l’orientamento delle case non consentiva di riutilizzarne le murature come fondazioni per la nuova chiesa, fu inserito nei vecchi edifici un muro di sostegno per la parete della navata laterale settentrionale. Un muro di età adrianea che correva leggermente obliquo fu riutilizzato come testata occidentale della navata laterale. Nella facciata della casa d’affitto di epoca imperiale posta sopra le botteghe affacciate sul clivus, e utilizzata come muro esterno della navata laterale sinistra, le finestre del primo piano furono tamponate e quelle del secondo ingrandite con archi a tutto sesto incorniciati da

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Le prime chiese di Roma

Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi v secolo

105. Ss. Giovanni e Paolo. Facciata: colonne e capitelli di spoglio di età imperiale nelle arcate. 106. Ss. Giovanni e Paolo. L’antica chiesa con galleria ad arcatelle a coronamento dell’abside e del vestibolo (nartece).

muratura in opus listatum. Analogamente fu inglobata nella chiesa la facciata dell’adiacente casa del iii secolo, con botteghe poste allo stesso livello verso il clivus. All’interno della chiesa, a tre navate, tredici arcate con colonne in granito sorreggevano il piano finestrato della navata mediana, in cui si aprivano tredici grandi finestre centinate, coronate da altrettanti oculi, determinando un sostanziale svuotamento dei muri. Anche la nuova facciata fu ulteriormente traforata da cinque arcate larghe in tutto 13 m per 8 di altezza, replicate in un secondo registro, leggermente più basso, con aperture su colonne della medesima ampiezza, inserito all’altezza del cleristorio della navata. Questa apertura della facciata, rivolta verso il sole nascente a est, è comune ai tituli quasi coevi di S. Clemente, S. Vitale e S. Sisto Vecchio. Gli oculi del piano finestrato della navata centrale hanno diametri diversi, corrispondenti a quelli delle finestre ad arco sottostanti, che sono larghe 1,75 m sul lato meridionale ma soltanto 1,55 m sul lato nord. Gli oculi della parete nord si differenziano

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per l’incorniciatura con una corona di laterizi, mentre quelli della parete meridionale presentano solo mezzo cerchio di laterizi nella parte superiore. La fascia terminale in cui sono inseriti gli oculi è arretrata rispetto alla porzione muraria sottostante. La diversità delle finestre, come la differenza di ampiezza a nord e a sud per convogliare all’interno quanta più luce possibile, certamente non indicano un intervento successivo, poiché l’accurato opus latericium della porzione superiore è identico a quello che si ritrova nel resto della chiesa. Un sistema analogo – con finestre a tutto sesto e oculi – si è già visto nel transetto di S. Paolo fuori le mura, dove era senza dubbio destinato a far affluire nel transetto la massima quantità di luce, pur preservandone l’equilibrio statico. Nell’attuale rimaneggiamento medievale della facciata sono ancora visibili, dietro al vestibolo del xiii secolo, le colonne appartenenti alle arcate della chiesa antica, così come la maggior parte delle colonne delle arcate della navata mediana è conservata nel rifacimento barocco. I capitelli, di ordine composito e databili

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Le prime chiese di Roma 107. SS. Giovanni e Paolo. Facciata: resti dell’arcata pentapartita con colonne di spoglio di età imperiale. 108. Abside paleocristiana della chiesa con matroneo medievale; a destra, murature appartenenti a domus romane più antiche incorporate nella testata della navata laterale.

Capitolo ottavo

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

all’età dei Severi, sono di spoglio. Nella finestra pentapartita della parte superiore della facciata sono inserite colonne marmoree scanalate con capitelli di spoglio corinzi di età imperiale. L’impiego di diversi tipi di capitelli di spoglio, in parti distinte dell’edificio, lascia supporre che anche la decorazione architettonica della navata, rinnovata in stile barocco, fosse in origine costituita da capitelli di spoglio inseriti secondo uno schema non casuale. Il nartece del xiii secolo, anteposto alla chiesa sul luogo del vestibolo e dell’atrio originario, presenta un colonnato architravato, con basi antiche, fusti di spoglio e pregevoli capitelli ionici, di età medievale, ma ispirati a modelli tardoantichi. Ad arricchire l’armoniosa impaginazione del vestibolo, nella muratura al di sopra delle colonne sono inseriti come abbellimento antichi trapezofori zoomorfi. Con i suoi 44 m di lunghezza e 30 di larghezza, la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo corrispondeva alle dimensioni medie delle chiese della fine del iv e dell’inizio del v secolo. Se ne desume che esistesse una tipologia codificata per le chiese di cura d’anime, notevolmente

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unitaria in planimetria, alzato e proporzioni, malgrado molti di questi edifici non fossero costruiti ex novo, ma adattati o rimaneggiati come edifici di culto cristiano a partire da strutture più antiche. Come si è già detto, per nessuna chiesa del iv e del v secolo si riscontra la riedificazione su una precedente domus ecclesiae precostantiniana. Solo sotto il titulus Pammachii un precedente luogo di commemorazione martiriale venne realizzato sul pianerottolo del primo piano della medesima casa in cui pochi decenni dopo sarebbe stata ricavata la chiesa. Si può ipotizzare in questo caso la continuità del culto, con la chiesa monumentale che soppianta la precedente cappella privata come edificio memoriale pubblico, assolvendo come titulus anche compiti di cura d’anime, con un parallelismo con la vicenda di Damaso e della sua devozione privata per san Lorenzo che, anche senza continuità in loco del culto, portò alla consacrazione del titulus fondato dal vescovo in onore del santo.

Il numero crescente di fondazioni ecclesiastiche, pontificie e private, degli ultimi decenni del iv e degli inizi del v secolo, nei quartieri residenziali di Roma rispondeva alle esigenze di cura d’anime e alla richiesta di luoghi di culto rappresentativi di una comunità in rapida espansione. La loro posizione, per lo più di rilievo lungo le principali vie di traffico che collegavano il centro densamente abitato con le aree periferiche, indica la presenza di un meditato programma edilizio. Queste chiese parrocchiali, edificate con spesa contenuta spesso riutilizzando edifici precedenti, rappresentano, per disposizione planimetrica e omogeneità di dimensioni e proporzioni, il tipo ormai canonico come luogo di culto cristiano della basilica a tre navate. Numerosi battisteri, documentati dagli scavi archeologici o dalle fonti, consentono di ipotizzare che nel corso del v secolo ogni titulus ne fosse dotato, come le grandi chiese parrocchiali di fondazione imperiale e papale e le chiese cimiteriali extraurbane. Questi edifici testimoniano un mutamento nella liturgia e nella pratica battesimale, dal momento che dalla fine del iv secolo il diritto alla somministrazione del sacramento non era più appannaggio esclusivo del battistero del Laterano: tale trasformazione fu determinata dalla rapida crescita della comunità cittadina e dalle folle di pellegrini che accorrevano a Roma per visitare le tombe dei martiri e che, contestualmente, desideravano essere battezzati. Nel 410, poco dopo la fondazione del titulus Pammachii (Ss. Giovanni e Paolo), Roma fu conquistata e saccheggiata dai Goti sotto la guida di Alarico. Le dimensioni delle devastazioni e degli incendi causati dalla guerra sono difficili da stimare sulla base delle fonti, che riflettono il tremendo impatto e la generale incertezza di cui furono preda i con-

temporanei, per l’impensabile caduta e conquista dell’urbs aeterna: Quid salvum est, si Roma perit («Chi si salverà, se Roma cade?»), tuonava il Padre della chiesa Gerolamo1. Tuttavia le distruzioni furono relativamente contenute, e presumibilmente limitate a specifici quartieri nella parte nord e nord-est della città e all’Aventino, residenza della ricca nobiltà romana. Soltanto di una chiesa già nota, la basilica Iulii, vicina al foro di Traiano, si sa che fu data alle fiamme durante i saccheggi, ma venne comunque ripristinata già sotto papa Celestino (422-432)2. Mentre le grandi basiliche apostoliche di S. Pietro e S. Paolo vennero risparmiate in quanto luoghi di asilo, il prezioso fastigio d’argento della basilica del Laterano attrasse la cupidigia dei saccheggiatori3. Queste sono le uniche notizie di cui si disponga sui danni subìti dalle chiese nel corso di questi eventi. All’accusa del mondo pagano, però – secondo cui la caduta della Roma aeterna, avamposto dell’ecumene civilizzata nonché simbolo dell’impero e della sua potenza, sarebbe stata conseguenza dell’allontanamento dalla fede nelle antiche divinità –, sant’Agostino rispose con il De civitate Dei, in cui forniva un’esaustiva e fiduciosa interpretazione storica dei fatti, contrapponendo allo Stato romano e al suo potere temporale l’immagine della Gerusalemme celeste, il venturo regno di Cristo. Si dice che il generale sentimento d’insicurezza diffusosi in seguito alla conquista e al saccheggio di Roma da parte dei Goti non fosse privo di conseguenze anche per l’attività edilizia della Chiesa. Solo sotto il pontificato di Celestino e del suo successore Sisto iii (432-440) le attività edilizie ripresero a pieno ritmo. Tuttavia, se si tiene presente che il titulus Pammachii, fondato certamente prima del 410 (anno della

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Le prime chiese di Roma

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

morte di Pammachio), fu ultimato probabilmente solo dopo la conquista di Roma, come anche il titulus Chrysogoni e altri edifici religiosi quale il titulus Aemilianae, la lacuna risulta colmata. Già nel secondo e nel terzo decennio dopo la catastrofe, sotto Celestino e Sisto iii, vengono costruite chiese sfarzose; tra queste la grande fondazione pontificia di S. Maria Maggiore, che rappresenta uno dei vertici dell’architettura religiosa delle origini. I preziosi arredi furono ben presto sostituiti dai vescovi e dagli imperatori negli anni successivi al saccheggio, sebbene in più modeste dimensioni. Il Laterano fu dotato di un nuovo fastigium, anche se meno sontuoso, donato dall’imperatore Valentiniano iii (425-455) insieme a un apparato d’argento destinato alla tomba dell’apostolo nella grande basilica di fondazione teodosiano-valentiniana di S. Paolo fuori le mura, restaurata da Galla Placidia, madre dell’imperatore, che sotto papa Leone Magno (440-461) restaurò il mosaico dell’arco trionfale e gli affreschi parietali4. Anche dopo il secondo, più grave, sacco di Roma, a opera del re vandalo Genserico nel 455, la Chiesa era ancora in condizioni di fondare, seppur con sovvenzioni imperiali, un grande edificio come S. Stefano Rotondo. Di altri tituli che figurano nella lista del sinodo del 499 si sa solo che risalgono agli inizi del v secolo, come il titulus S. Matthiae, edificato sulla via Merulana tra S. Maria Maggiore e il Laterano, demolito nel 1810, sorto forse nella prima metà del secolo; come certamente il titulus Nicomedis, che pure compare nella lista del sinodo del 499 sotto il nome del suo fondatore. Costruito sulla via Merulana nei pressi del Laterano, questo titulus nel vi secolo era consacrato ai martiri Pietro e Marcellino, le cui reliquie furono traslate in città dalle vicine catacombe della via Labicana. La chiesa esiste ancora oggi nel rifacimento barocco della metà del xviii secolo. Alla prima metà del v secolo è da ascrivere anche il titulus sancti Cyriaci in thermis, trascritto come titulus Cyriaci nel sinodo del 499, mentre in quello del 595 figura come titulus sancti Cyriaci: apparterrebbe pertanto a quel gruppo di chiese consacrate alla memoria dei martiri degli inizi del v secolo. Resti della chiesa, abbandonata già nel corso del xv secolo, sarebbero stati individuati nel xix secolo a nord tra il recinto e il corpo centrale delle terme di Diocleziano. È interessante la posizione all’interno del complesso termale, soprattutto in termini di conservazione e funzione di questo imponente edificio: in particolare, gli impianti di balneazione furono ancora in uso sino almeno alla metà del v secolo. La chiesa sancti Eusebii, nell’odierna piazza Vittorio Emanuele, vicina al macellum Liviae e ad altri edifici pubblici come il ninfeo

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di Alessandro Severo sull’Esquilino, è qualificata come titulus già da un’iscrizione di un chierico del 474. Con questa dizione compare anche nella lista del sinodo del 499, che attesta quanto fossero numerose all’epoca le fondazioni ecclesiastiche consacrate al culto dei martiri, le quali, come in questo caso, con i vicini edifici della basilica Liberii e del titulus Aequitii, andavano a formare in ogni quartiere una fitta rete di luoghi di culto cristiani. Sotto la chiesa, interessata da restauri nel xiii e alla metà del xviii secolo, sono stati rinvenuti scarsi resti non inquadrabili cronologicamente. L’intensa attività edilizia ecclesiastica dei primi due terzi del v secolo testimonia la ricchezza della Chiesa romana e dei suoi mecenati di rango senatorio, in larga misura ormai convertiti al cristianesimo, che cercavano di assicurarsi la salvezza dell’anima con fondazioni, donazioni e lasciti nel senso di sant’Agostino, per il quale la fondazione era in certo modo come una transazione commerciale che trasferiva i capitali da una condizione terrena, e dunque effimera, a una celeste ed eterna5. Il concetto esprime la fede cristiana nell’aldilà, ma trova riscontro anche da parte dei membri pagani della classe dirigente, che sostenevano fermamente la loro fede nel potere di rinnovamento dell’aeterna Roma, come dichiara l’ex prefetto Rutilio Namaziano nella sua celebre opera sul viaggio di ritorno verso casa dalla Gallia nel 4176. I danni di guerra vennero presto risarciti e l’attività edilizia cristiana proseguì, garantita finanziariamente e ideologicamente.

Titulus Chrysogoni (S. Crisogono) Sulla fondazione del titulus Chrysogoni le fonti antiche non forniscono purtroppo alcuna informazione. Uno storico bizantino degli inizi del vii secolo, Giovanni di Antiochia, narra della cattura dell’imperatore romano d’Occidente Antemio (467-472) da parte del generale Ricimero avvenuta in S. Crisogono7. Il Martyrologium Hieronymianum, calendario delle solennità e celebrazioni dedicate ai martiri risalente al vi secolo, ma che contiene anche materiale più antico, attesta l’esistenza a Roma di una festività del martire Crisogono. Queste fonti attestano come già nel v secolo ci fosse in città una chiesa dedicata al santo, comprovata negli atti del sinodo del 499 dalle firme dei chierici che vi presero parte in qualità di rappresentanti del titulus Chrysogoni8. In alcune iscrizioni sepolcrali di chierici dell’inizio del vi secolo e negli atti del sinodo del 595 la chiesa è citata come titulus sancti Chrysogoni9. È possibi-

le precisare ulteriormente la datazione della chiesa: come si è visto, il giorno dedicato a san Crisogono, martire di Aquileia, celebrato già alla metà del iv secolo, cade in quello stesso della festività della Chiesa romana. Si può quindi presumere che il culto del martire, e probabilmente anche le sue reliquie, siano giunti a Roma nella chiesa di Trastevere già nella prima metà del v secolo. Il titulus si trova sull’Aurelia – arteria stradale diretta a nord –, sul tratto urbano in Trastevere, nelle vicinanze del ponte sul fiume, l’antico pons Aemilius, ed è ricostruibile nel suo primitivo nucleo solo attraverso i dati forniti dagli scavi archeologici effettuati sotto la chiesa attuale. La muratura in opus listatum (laterizi e tufo alternati) mostra che la chiesa nel v secolo fu originariamente ricavata all’interno di una domus della seconda metà del ii secolo. Riutilizzando due tratti di muratura in mattoni della fase tardoantica della domus, che vengono ora a costituire, chiuse le porte e prolungati, i muri esterni dei fianchi settentrionale e meridionale della chiesa, il titulus riprende l’orientamento della casa con la fronte a est, verso viale di Trastevere, e l’abside a ovest. Il pavimento venne rialzato di 45 cm. La ristrutturazione fu completata dalla creazione di una facciata a tre arcate, come consueto negli edifici ecclesiastici del v secolo, con nartece antistante e abside larga 10,50 m, oltre ad alcuni vani secondari. Ne sortì un’aula absidata a navata unica lunga ben 60 m. Le nuove parti dell’edificio sono in opus listatum regolare, tipico del v secolo. Nel vano laterale a sinistra dell’abside venne posto un battistero con vasca esternamente esagonale e all’interno circolare, di cui ancora oggi sono visibili gli scalini utilizzati dai battezzandi per immergersi. La solea, il percorso delimitato della navata mediana destinato alle celebrazioni liturgiche, è probabilmente ascrivibile al vi secolo. L’abside era rivestita in opus sectile. Durante il pontificato di Gregorio iii (731-741) le pareti del corpo longitudinale furono decorate da affreschi, di cui restano alcuni frammenti con tendaggi appesi, i cosiddetti vela, secondo l’uso delle chiese antiche e medievali. Realizzate con grande sfoggio di mezzi, i vela sono spesso elencati nel Liber Pontificalis tra le dotazioni delle chiese. Nello stesso periodo l’apparato decorativo dell’abside in opus sectile fu sostituito con dipinti10. In risposta alle nuove esigenze liturgiche, Gregorio iii intraprese un esteso rifacimento dell’area presbiteriale. Per rialzare l’altare sopra il loculo contenente le reliquie del martire, e creare così un collegamento materiale tra i due elementi secondo il modello di S. Pietro, il pontefice fece costruire all’interno dell’abside un podium con sottostante cripta anulare. I fedeli e i pellegrini potevano in tal modo venerare le reliquie del santo titolare nella tomba sotto l’altare11.

Tra il 1123 e il 1127 venne eretta la nuova chiesa, 5 m al di sopra della precedente, con l’asse solo leggermente spostato, essendosi rialzato il livello del terreno circostante. L’edificio fu rinnovato in età barocca, nel 1623. Le rovine del titulus originario con i resti della decorazione parietale della metà dell’xi secolo sono visitabili negli scavi sotto l’odierna S. Crisogono. La cronologia di v secolo indicata dalle fonti è ulteriormente restringibile agli inizi dello stesso grazie alle testimonianze archeologiche, alla tecnica muraria e all’ingresso a triplice arcata (triforio) aperta in facciata. Resta dubbio se la chiesa sia stata eretta prima o dopo il sacco di Roma di Alarico del 410. L’ubicazione in posizione strategica, nelle immediate vicinanze del pons Aemilius, all’inizio di un’importante arteria di collegamento come la via Aurelia, che, biforcandosi al di là dell’area del Vaticano, conduceva in Etruria e alla costa tirrenica, fu certamente frutto di una scelta meditata. La strada collegava il centro della città al grande santuario dell’apostolo sul colle Vaticano. Proprio all’inizio della via, sulla riva destra del Tevere, sorse il titulus Chrysogoni, e prima che questa si staccasse nuovamente dalle mura per inoltrarsi nell’area del Vaticano, era fiancheggiata anche dalla basilica Iulii, sul luogo dell’odierna S. Maria in Trastevere. Con questo programma edilizio ecclesiastico la rete stradale urbana perseguiva nuovi obiettivi, direzioni e scopi, che andavano a modificare l’antico tessuto urbano. La posizione di S. Crisogono, come quella delle altre chiese esaminate, rappresenta una scelta consapevole d’insediamento sulle principali vie di uscita dal centro verso il territorio limitrofo, lungo la via Lata (Flaminia) o l’Appia. Nel tardo iv e nel v secolo la domus in cui fu costruito il titulus doveva già essere in disuso, come molte case di lusso, disponibili perciò per l’acquisizione da parte della Chiesa romana. Degno di nota è il magnifico pavimento della chiesa del xii secolo, opera, su modelli bizantini, della bottega dei marmorari romani Cosmati, che riutilizza i marmi del rivestimento dell’edificio di età imperiale.

Titulus Marcelli (S. Marcello al Corso) Durante le dispute per la successione di papa Zosimo, nel 418 il praefectus urbi Aurelio Anicio Simmaco riferisce all’imperatore Onorio che l’investitura del presbitero Bonifacio (418-422) a vescovo di Roma doveva avere luogo nella ecclesia Marcelli, mentre il candidato della fazione opposta era appena stato eletto vescovo nella basilica del Latera-

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Le prime chiese di Roma

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

no12. Il rapporto di Simmaco, la più alta autorità dello Stato come prefetto di Roma, sottolinea l’importanza rivestita a quel tempo dall’episcopato romano per la vita e il benessere dell’antica capitale. Dallo scritto si apprende soprattutto che l’ecclesia Marcelli esisteva già nel secondo decennio del v secolo. Probabilmente il titulus venne eretto già fra iv e v secolo, appartenendo pertanto alle numerose chiese fondate prima della catastrofe del sacco di Alarico del 410. La scelta della chiesa per l’ordinazione di uno dei pretendenti al seggio pontificio testimonia la sua importanza, come la sua destinazione a chiesa stazionale per la Quaresima, poiché il vescovo vi si riuniva con l’intera comunità. Nelle sottoscrizioni del sinodo del 499 la chiesa figura col nome di titulus Marcelli. In quanto titulus aveva come compito la cura d’anime degli abitanti del quartiere. Nelle sottoscrizioni degli atti del sinodo romano del 599 il donatore-fondatore, come in molti altri casi, viene elevato al rango di santo: titulus sancti Marcelli è infatti ora la designazione ufficiale della chiesa13. L’odierna chiesa di S. Marcello su via del Corso, l’antica via Lata, conserva alcuni resti dell’edificio antico, riscoperti soprattutto grazie agli scavi degli ultimi anni. A differenza della chiesa attuale, che risale al xvi secolo ed è orientata con l’abside a est, nell’edificio antico l’abside era a ovest, sull’attuale via del Corso. L’ambiente costituiva la sala di ricevimento di un edificio preesistente, una domus tardoantica del iv secolo, mentre i muri longitudinali dell’aula a tre navate sono stati costruiti ex novo. L’emiciclo absidale era apparentemente preceduto da una fila di colonne, soluzione insolita per un edificio cristiano delle origini, che sembra mutuata dall’antica domus. Nell’edificio appare ancora una volta evidente come nella fondazione di tituli in precedenti idonee costruzioni, per lo più domus, si riutilizzasse quanto possibile del preesistente nucleo edilizio. La larghezza di circa 25 m, risultante dai dati di scavo, lascia dedurre che la basilica dovesse essere lunga all’incirca 50 m. Il titulus aveva quindi dimensioni adeguate per la celebrazione di cerimonie di elezione del pontefice, come la basilica Iulii e il titulus Lucinae, del iv secolo, di analoghe dimensioni. Nel corso degli scavi sono stati ritrovati frammenti di affreschi, probabilmente del v secolo. Al vii secolo appartengono verosimilmente quelli raffiguranti ancora una volta vela sulla parete meridionale, là dove nelle occasioni solenni venivano collocati i preziosi tendaggi. Il pavimento a mosaico, composto da grossolane tessere lapidee policrome con semplici disegni e lastre marmoree di maggiori dimensioni al centro del campo, analogo

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a quello di S. Clemente, dovrebbe appartenere al vi secolo. Al volgere del v secolo fu installato un battistero, identificato sotto un edificio vicino alla chiesa odierna, ricavato nei pressi dell’antica facciata all’interno di ambienti forse originariamente pertinenti alla caserma della polizia e dei vigili del fuoco (statio i cohortis vigilum). Anche in questo edificio la vasca poligonale fu rivestita da preziose lastre marmoree. Quello di S. Marcello si aggiunge a numerosi altri battisteri portati alla luce dagli scavi di questi ultimi anni nei tituli romani. Restaurata da papa Adriano (772-795), la chiesa fu ricostruita nel xii secolo a un livello più alto, orientando l’abside a est e creando un transetto14. Alla fine del xvi secolo ebbe luogo il rifacimento in chiave barocca. È da notare che la chiesa di S. Marcello fu fondata nelle immediate vicinanze di due più antiche chiese del iv secolo, il titulus Marci e la basilica Iulii iuxta forum Traiani, sorte all’inizio della via Lata e nei pressi dei fori imperiali e del centro monumentale del Campo Marzio. Si è quindi di fronte a una concentrazione di edifici sacri, due dei quali, la basilica Iulii e il titulus Marci, di fondazione pontificia, e altri due, la basilica Iulii e il titulus Marcelli, che ospitarono l’elezione del pontefice nel contesto di uno scisma della Chiesa romana. Non vi è dubbio che già molto presto, a partire dall’età costantiniana e fra iv e v secolo, nel centro monumentale della città, là dove aveva inizio l’importante arteria della via Lata, ai piedi del Campidoglio, la presenza cristiana si concretizzasse attraverso varie costruzioni ecclesiastiche. Le sole esigenze di cura d’anime non possono aver determinato una tale concentrazione di edifici di culto cristiani nel medesimo luogo: questi costituiscono i segni tangibili della politica edilizia della gerarchia romana, che perseguiva l’obiettivo di cristianizzazione della città. In tale contesto non è privo di significato il fatto che in questa zona via del Corso fosse fiancheggiata da edifici pubblici. Come si è detto, qui si trovavano la caserma (statio) della cohors i vigilum, che era al tempo stesso il quartiere generale della polizia e dei vigili del fuoco della città, e nelle immediate vicinanze il cursus publicus, l’ente pubblico delle poste e dei trasporti, con i catabuli e le rimesse che ospitavano i mezzi della divisione del trasporto pesante. La porticus Constantini, via colonnata che collegava la basilica Iulii con la via Lata, sottolineava ulteriormente l’importanza di questo insieme di chiese, e qui concludeva l’insieme l’arcus novus Diocletiani, arco trionfale dell’imperatore Diocleziano (284-305), ingresso monumentale alla città sulla via Lata.

Secondo il Liber Pontificalis il titulus Marcelli sarebbe stato costruito sopra il catabulum nel quale, secondo la leggenda, papa Marcello sarebbe stato costretto a lavorare come prigioniero durante la persecuzione di Diocleziano15. Gli scavi, come si è appena detto, non hanno però offerto alcun appiglio alla leggenda, cui ha dato probabilmente origine la memoria del vicino ufficio del cursus statale.

Titulus Aemilianae (Ss. Quattro Coronati) Alle pendici del Celio, oltre il tratto urbano della via Tuscolana, oggi via dei Ss. Quattro Coronati, nel quartiere chiamato anticamente caput Africae, sorge la chiesa dei Ss. Quattro Coronati. Il titulus, una chiesa parrocchiale, era dunque in relazione con un’importante arteria di traffico, in prossimità del centro monumentale, non lontano dal più antico titulus Clementis e neppure 400 m a ovest della basilica del Laterano. Nel catalogo del vi secolo delle commemorazioni dei martiri romani, il cosiddetto Martyrologium Hieronymianum, in cui si rielaborarono più antichi testi del v secolo, si dice che i Quattuor Coronati, i quattro martiri (coronati) Simprosiano, Claudio, Nicostrato e Castorio, erano celebrati Romae ad Caelio monte alla data dell’8 novembre16. I presbiteri Giovino, Dionisio ed Eutichio presero parte al sinodo romano del 499 firmandosi come rappresentanti del titulus Aemilianae, in cui probabilmente già dal v secolo erano venerati i quattro martiri della persecuzione dioclezianea del 303-305, provenienti dalla Pannonia e descritti come soldati, o scultori, che avevano rinnegato il paganesimo17. Al sinodo del 595 la chiesa è infine indicata col titolo ufficiale di titulus sanctorum quattuor Coronatorum, che porta ancora oggi, in luogo di quello dell’antica fondatrice18. Sebbene già dagli inizi del v secolo le fonti attestino il culto dei quattro martiri presso il Celio, per questa fase mancano dati archeologici che indichino la trasformazione in chiesa della grande aula absidata pertinente alla domus aristocratica della metà del iv secolo, la cui abside, orientata a ovest, si staglia ancora oggi imponente su via dei Querceti. Solo un’esplorazione delle fondazioni potrebbe dirimere la questione. Secondo il Liber Pontificalis sarebbe stato Onorio i (625638) a far rinnovare completamente la chiesa, mentre papa Adriano i (772-795) avrebbe promosso un ulteriore restauro19. Leone iv (847-855), presbitero del titulus, sarebbe stato eletto papa proprio in questa chiesa20. Egli fece erigere una

nuova grande basilica a tre navate che riprendeva l’abside e le pareti laterali della domus del iv secolo, impiantando una cripta semianulare nell’abside. Distrutta dai Normanni nel 1084, fu rifatta da Pasquale ii (1099-1118), che la riconsacrò nel 111621. La chiesa attuale, in posizione isolata rispetto al flusso del traffico cittadino, corrisponde – nel suo pittoresco insieme, con torre d’ingresso fortificata e due cortili antistanti – a quest’ultimo restauro. L’edificio romanico, a tre navate, occupa solo la navata mediana della chiesa carolingia, approssimativamente attorno all’attuale secondo cortile, ridotta quindi in lunghezza di quasi la metà. Nel cortile sono ancora visibili i capitelli ionici tardoantichi, per lavorazione sicuramente da riferire al titulus degli inizi del v secolo, riutilizzati nella chiesa da papa Leone iv. Da notare il bel pavimento del xii secolo della navata centrale, realizzato dalla bottega dei Cosmati con marmi policromi recuperati dai rivestimenti parietali di antichi edifici o da frammenti di colonne in porfido. Nel chiostro di gusto romantico del monastero, del principio del xiii secolo, che ingloba l’antica navata laterale sinistra del precedente edificio, nella cappella di S. Barbara, resto della chiesa carolingia, sono alcuni blocchi di architrave antichizzanti, del ix secolo, che fungono da mensole per le volte a crociera costolonata. In conclusione, un accenno all’oratorio di S. Silvestro, del 1246, sebbene superi i limiti cronologici del volume: ubicato nel secondo cortile della chiesa, presenta un rarissimo ciclo pittorico ben conservato e di elevata qualità che riveste tutte le pareti e raffigura la leggenda medievale della beatificazione di Costantino da parte di papa Silvestro.

Titulus Gaii (S. Susanna) La chiesa, sorta presso una delle arterie principali della città, l’alta semita, che costituiva il prolungamento urbano di via Nomentana verso il Quirinale, occupa un posto privilegiato lungo la via di accesso settentrionale al colle, nel quartiere antico della città. Il Martyrologium Hieronymianum, calendario liturgico che riporta date di una precedente versione della prima metà del v secolo, attesta il culto della santa già agli inizi del secolo presso le terme di Diocleziano22. Così, nelle sottoscrizioni degli atti del sinodo del 595 la chiesa è registrata come titulus sanctae Susannae23, mentre negli atti del sinodo romano del 499 figurava ancora come

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109. Ss. Quattro Coronati. Atrio medievale con le antiche colonne.

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110. Ss. Quattro Coronati. Veduta della chiesa da nord-ovest. Il basamento dell’abside è pertinente all’edificio antico.

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Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

111. S. Cecilia. L’atrio con l’antico kantharos del ii secolo, proveniente dall’atrio della chiesa paleocristiana. 112. S. Cecilia. Pitture murali di età paleocristiana nel battistero della chiesa, imitanti un drappeggio.

titulus Gaii, ovvero con il nome del fondatore24. La leggenda di Susanna, del vi secolo, identifica il fondatore con papa Gaio (o Caio, 283-296), imparentato con l’imperatore e zio della martire: entrambi andarono incontro al martirio in una domus nei pressi delle terme di Diocleziano25. In questo caso, attraverso un racconto leggendario, il titulus mutò denominazione dal nome del fondatore, che per motivi cronologici non è identificabile con l’omonimo pontefice, a quello della santa titolare, venendo di conseguenza confermata l’origine del culto nel titulus Gaii agli inizi del v secolo. L’ubicazione in posizione di spicco della chiesa, su una delle principali strade che attraversavano la parte settentrionale della città, lascia intendere che il titulus fosse fondato proprio in questo periodo. La suggestiva ricostruzione di età carolingia, che sino alle indagini e agli scavi degli anni Novanta del Novecento era identificata con la chiesa delle origini, risale secondo il Liber Pontificalis a papa Leone iii (795-816), poiché il preesistente edificio, già restaurato da papa Adriano i (772-795), era divenuto troppo piccolo e minacciava rovina26. All’edificio dell’viii secolo appartiene probabilmente un sarcofago rinvenuto in corso di scavo, decorato all’interno con pitture raffiguranti Cristo e la Madonna con sante riccamente vestite. La chiesa carolingia, di cui da largo di S. Susanna sono visibili l’abside e il fianco destro, è una basilica a tre navate con abside a est e matronei al di sopra delle navate laterali. Il mosaico absidale doveva comprendere l’iscrizione di fondazione di papa Leone iii e raffigurare, accanto ai santi titolari, Carlo Magno e lo stesso pontefice. Con l’ammodernamento compiuto da papa Sisto iv nel 1475-1477 e il rifacimento di Carlo Maderno tra xvi e xvii secolo, che la trasformò in chiesa a navata unica, l’antico allestimento interno è andato perduto. Gli scavi sotto la chiesa hanno portato in luce tombe tardoantiche e medievali ricavate negli edifici residenziali di epoca imperiale e tardoantica, e i resti di una piccola aula, con abside rivolta a ovest, in cui si è supposto di identificare la chiesa antica citata dal Liber Pontificalis nella biografia di papa Sergio (687701) come basilica sancta Susanna, restaurata da papa Adriano i27. Tuttavia, le dimensioni dell’aula sono troppo ridotte per qualificare lo spazio come titulus o basilica: deve trattarsi piuttosto di una sala di ricevimento pertinente a una domus tardoantica.

Titulus Caeciliae Transtiberim (S. Cecilia in Trastevere) Alla testata del pons Aelius, a Trastevere, la via CampanaPortuensis si biforcava, e la diramazione verso sud costeggiava

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il Tevere fino a Porto, in epoca imperiale scalo portuale della capitale. Più o meno alla stessa altezza del titulus Chrysogoni, posto sull’altra diramazione della via Campana che porta a nord – la via Aurelia –, è in posizione altrettanto eminente il titulus Caeciliae. Il Martyrologium Hieronymianum riporta al 22 novembre la festa di santa Cecilia in Trastevere (Romae transtibere Caecilii)28. In un’iscrizione frammentaria reimpiegata nel pavimento della chiesa, databile fra il 379 e il 464, si trova la prima citazione della chiesa antica di sancta Caecilia, a ulteriore conferma della nascita del culto al più tardi nella prima metà del v secolo29. Gli atti del sinodo del 499 riportano un titulus Caeciliae e un titulus sanctae Caeciliae; quest’ultimo compare come unica designazione negli atti sinodali del 59530, mentre nel vi secolo nel Liber Pontificalis la chiesa è definita ecclesia sanctae Caeciliae31. Al di sotto della chiesa attuale, il cui nucleo è tardoantico, sono stati trovati resti di una domus di età repubblicana del ii secolo a.C., di abitazioni e botteghe (insula) del ii secolo, con successive ricostruzioni del iv, tra cui una caratteristica sala di ricevimento tardoantica con abside e fontana, ulteriormente restaurata nel corso del secolo. Non è dimostrabile se questa sala

fosse utilizzata dalla comunità cristiana. Contemporaneamente nell’antico complesso edilizio dell’insula, addossato alla parete nord dell’odierna chiesa, fu costruito un impianto termale privato, oggi visibile sotto la cappella di S. Cecilia nella navata laterale destra, impianto che secondo la tradizione leggendaria fu il luogo del martirio della santa. Sino a oggi non sono stati tuttavia individuati resti architettonici riconducibili con certezza alla chiesa antica. Nel corso delle campagne di scavo del 1980 e del 1995 è stato possibile riportare in luce solo un battistero, annesso nel v secolo a nord, sul fianco destro dell’edificio, negli spazi dell’insula di età imperiale. La sala dell’edificio precedente, conclusa a nord da un’abside, venne isolata agli inizi del v secolo e vi fu installato il fonte battesimale. Un’ampia apertura a tre arcate conduceva a est a un ambiente intermedio annesso all’impianto termale, probabilmente divenuto parte del battistero. Ulteriori spazi, sinora inesplorati, vi sono connessi secondo un sistema confrontabile con il complesso del battistero sul lato nord del titulus Clementis. Resta aperta la questione se si possa desumere che il culto del luogo del martirio di Cecilia fosse qui stabilito già alla fine del iv o agli inizi del v secolo, e se già allora si fossero create le condi-

zioni per erigere proprio in questo luogo la basilica dedicata alla martire. Il fatto che nell’impianto termale (balneum) si sia conservato in posizione centrale un particolare sistema di riscaldamento dell’acqua con una caldaia in bronzo, menzionata anche nella tradizione scritta locale, lascia ipotizzare che molto presto, forse già nel v secolo, il complesso sia stato preservato grazie alla sua destinazione cultuale, e per lo stesso motivo anche in seguito, in età medievale, non sia stato rimosso né abbandonato. La vasca battesimale, esagonale, era esternamente rivestita da lastre marmoree; l’interno, circolare, era fornito di gradini per i battezzandi. Su un frammento di architrave della prima età imperiale, riutilizzato nel battistero e probabilmente pertinente a un ciborio posto sopra la vasca, è un distico, un’iscrizione in versi, databile su base paleografica al v secolo, celebrante l’evento battesimale, che cancella i peccati e dona nuova vita agli uomini32. Le pareti del battistero a pianta quadrata erano ornate da affreschi raffiguranti tendaggi (vela), riconducibili a un intervento di restauro nel vi secolo. Un secondo strato pittorico, che ancora raffigura vela, appartiene invece a un restauro del ix secolo, collegato alla costruzione della basilica carolingia. Una tubatura in piombo rinvenuta in sito, che serviva al rifornimento idrico della vasca, reca, secondo l’uso antico, il bollo per sanctorum Crisogoni et Caeciliae ed è probabilmente ascrivibile alla fase dei restauri del ix secolo. L’interessante ritrovamento offre un indizio sull’organizzazione del rifornimento idrico della città nel periodo di transizione fra Antichità e Medioevo. Probabilmente in quest’epoca la Chiesa gestiva direttamente il rifornimento idrico degli edifici ecclesiastici, e aveva fatto installare per le due chiese vicine, sulle strade principali, altrettante derivazioni dall’acquedotto Traiano (aqua Traiana), che riforniva il quartiere di Trastevere. Il battistero è sopravvissuto intatto accanto alla chiesa fino alla costruzione della cappella delle reliquie nel xvi secolo. Frammenti di lastre del v e vi secolo, e piccoli capitelli compositi a foglie lisce del tardo iv e della prima metà del v secolo, con fusti e basi tardoantichi, sono stati rinvenuti durante gli scavi del xix secolo e sono conservati nell’area di scavo, accessibile sotto l’odierna chiesa: dovevano far parte dell’arredo liturgico dell’edificio antico, di cui non sussistono altri elementi certi. Nel ix secolo papa Pasquale i (817-824) sostituì alla basilica antica, che aveva probabilmente l’abside verso ovest, un nuovo edificio d’identico orientamento, il cui mosaico absidale si è conservato anche dopo il rifacimento barocco. Nella composizione e nella disposizione questo segue il modello del mosaico absidale dei Ss. Cosma e Damiano, degli inizi del vi secolo, e raffigura con stile ieratico, solenne e rigido, Cristo

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113. S. Cecilia. Veduta della chiesa medievale da est. 114. S. Sabina. Veduta della chiesa e del convento da sud.

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115. S. Sabina. La basilica vista da sud-est. 116. S. Sabina. Interno, la navata maggiore.

benedicente, con tunica e pallio dorati, su un fondo dorato, ai lati del quale sono a sinistra l’apostolo Paolo con santa Cecilia e papa Pasquale, riconoscibile dal nimbo quadrato, e a destra Pietro con i santi Valeriano e Agata. Una fascia musiva con l’agnello di Dio, fiancheggiato da agnelli simboleggianti gli apostoli, delimita il mosaico, insieme all’iscrizione in versi in caratteri dorati su fondo azzurro che commemora la fondazione. Il ciborio di Arnolfo di Cambio, del 1293, ne sostituì probabilmente uno analogo posto sopra l’altare della chiesa antica. Nella tradizione delle basiliche cristiane delle origini la controfacciata è decorata con una composizione figurativa. In età medievale, tuttavia, qui non si trova un mosaico, ma un dipinto con una raffigurazione diversa rispetto all’età antica, che, per quanto si può giudicare in base alle testimonianze, prevedeva soggetti diversi. L’affresco in controfacciata, capolavoro di Pietro Cavallini (1289-1293), raffigura, come consueto dal Medioevo sino agli inizi dell’età moderna, il Giudizio Universale, con la Vergine e Giovanni Battista tra gli apostoli, mentre gli angeli suonano le trombe del Giudizio e i salvati vengono separati dai dannati. Qualche

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scena appartenente alla decorazione del piano finestrato, secondo la tradizione tardoantica, si è conservata sulle porzioni attigue alla controfacciata. Il grande vaso marmoreo biansato di età imperiale, del tutto sovradimensionato, impiegato come fontana nell’atrio della chiesa attuale, decorava già – probabilmente con la medesima funzione – l’atrio della basilica del v secolo. Simili vasi-fontana, uno dei quali si trova nel giardino del Museo delle Terme, sono stati riutilizzati, come kantharoi, anche negli atri di altre chiese delle origini e si sono così conservati sino a oggi.

Titulus Sabinae (S. Sabina) La chiesa di S. Sabina, edificata sotto papa Celestino i (422432) sull’Aventino, abitato in età tardoantica soprattutto da membri del patriziato, merita particolare interesse poiché si tratta della chiesa cristiana delle origini meglio conservata di Roma. Essa trasmette pertanto l’impressione più completa dei primi

edifici di culto, tanto più che vi si conservano cospicue porzioni della decorazione e dell’arredo interno originari. Un’iscrizione a mosaico sopra l’ingresso in controfacciata, come altre iscrizioni di donazione, menziona quale fondatore della chiesa il presbitero Pietro, originario della Dalmazia, o Illiria, che l’avrebbe eretta sotto il pontificato di Celestino33. Il testo dell’iscrizione suggerisce però che la chiesa venne ultimata solo sotto il successore Sisto iii (432-440). Ciò sembra confermato dalla notizia del Liber Pontificalis che colloca durante il pontificato di Sisto la costruzione della basilica Sanctae Sabinae e di un battistero34. Al sinodo romano del 499 due presbiteri sottoscrivono come appartenenti al titulus Sabinae e un terzo come membro del titulus sanctae Sabinae. Quest’ultima intitolazione figura al sinodo del 595 come l’unica denominazione della chiesa35. È quindi chiaro che con «Sabina» non s’intende una fondatrice, ma che la chiesa già nel v secolo era dedicata alla santa, sulla cui provenienza non si è edotti, mentre il fondatore dell’edificio citato nell’iscrizione doveva essere un facoltoso chierico dell’Illirico che sovvenzionò la costruzione per conto del papa.

La chiesa è posta tra le due strade che correvano parallele alla sommità del colle, il cosiddetto vicus altus e il vicus Armilustri, che come l’odierna via di S. Sabina attraversava l’Aventino per tutta la sua lunghezza. Gli scavi sotto la basilica hanno portato in luce i resti di diverse abitazioni private di epoca imperiale. Nella parete della navata laterale sud della chiesa, a tre navate con abside orientata a nord-est, è inglobata la facciata di una domus romana del iv secolo, la cui altezza coincide con quella della navata. Una colonna visibile nella parete della stessa navata, là dove il muro piega verso l’esterno, appartiene a un edificio più antico, le cui fondazioni vennero riutilizzate come muro d’ambito. Anche le irregolarità della parte orientale della navata laterale nord sono determinate dalla presenza di edifici precedenti, di cui furono riutilizzate le murature. Sotto il nartece e la parte occidentale della navata centrale sono i resti di un’altra abitazione, di cui si riprende l’orientamento. La facciata di questa domus, con aperture ad arco all’altezza delle finestre, è inglobata nel muro esterno del nartece. Vi si è voluto ravvisare una domus ecclesiae precedente, di età precostantiniana, poiché nel pavimento a mosaico si distin-

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Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

117. S. Sabina. Interno, veduta dalla navatella sinistra verso est. 118. S. Sabina. Interno, colonnato con colonne e capitelli di spoglio del ii secolo.

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Alle pagine seguenti: 119. S. Sabina. Interno, veduta verso nord-est dalla navatella destra. 120. S. Sabina. Interno. Intercolumnio del colonnato sinistro con rivestimento marmoreo.

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Capitolo primo

guono tracce di un percorso delimitato da recinzioni. Tuttavia è un’ipotesi da respingere sia perché le recinzioni sono vicine alla testata occidentale, sia soprattutto per la datazione dei mosaici, dell’inizio del iii secolo. Gli elementi architettonici di questo edificio, la presenza di un grande oculo, di un pavimento grossolano a grandi tessere marmoree, che nel iv secolo ha in parte sostituito il pavimento a mosaico, e di terme private lasciano piuttosto desumere che si tratti di una lussuosa domus tardoantica. Come nel caso di altri tituli di cui si è già trattato, nell’edificio furono inglobati gli alzati di costruzioni antecedenti. Con i suoi 53 m di lunghezza, S. Sabina è tra le chiese parrocchiali più grandi della città. L’esterno è spoglio, come nella maggior parte delle chiese cristiane delle origini e dei grandi edifici dell’architettura tardoantica, scandito unicamente dai volumi dei distinti ambienti dell’edificio e dalle grandi finestre che si aprono nel cleristorio e nell’abside. Non è certo se la chiesa possedesse in origine un atrio. I resti di un colonnato rinvenuti negli ultimi decenni potrebbero appartenere al portico settentrionale di questo ipotetico spazio antistante. L’in-

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

gresso al nartece, che si trovava sui lati brevi a nord e a sud, consentiva l’accesso dalle vie adiacenti, che già avevano determinato l’orientamento delle strutture più antiche, e di conseguenza quello sud-ovest/nord-est della chiesa stessa. A differenza delle chiese dell’inizio del v secolo, dove nella facciata, rivolta a est, si aprivano tre o cinque arcate che abbracciavano l’intera larghezza della navata mediana, la basilica di S. Sabina aveva l’ingresso orientato a ovest, e vi si accedeva da tre portali che immettevano ciascuno in una delle navate. Di questi portali, incorniciati da materiali di recupero di età imperiale, quello settentrionale è stato tamponato dal campanile eretto in epoca medievale. Il restauro del 1936-1939 ha eliminato gli interventi decorativi barocchi del tardo xvi secolo e cercato di restituire all’interno l’aspetto che aveva nel v secolo. Le arcate della navata mediana poggiano su 24 colonne scanalate in marmo bianco del Proconneso. Come i fusti, anche i capitelli corinzi, di fattura pregevole e omogenea, provengono da un’unica scorta di tardo ii secolo. Il nome del mercante Rufenus iscritto sul piede di uno dei fusti del colon-

nato di sinistra attesta, come nel caso di S. Stefano Rotondo e di S. Maria Maggiore, che i pezzi provenivano da un magazzino di marmi e non dallo smantellamento di un edificio pubblico, patrimonio edilizio in quest’epoca ancora tutelato dallo Stato. A favore di questa ipotesi depone il fatto che a S. Sabina i colonnati non sono sormontati da un architrave, che sarebbe stato sicuramente disponibile se si fossero utilizzati pezzi provenienti da un portico o da un tempio, ma da arcate, poiché non erano disponibili elementi adatti a integrare gli intercolumni. Del riutilizzo di colonne dalle vicine terme di Decio, distrutte durante il saccheggio di Alarico nel 410, non sussistono prove, pertanto si tratta di un’ipotesi da scartare. Un architrave di porta riutilizzato nel chiostro medievale della chiesa, recante un’iscrizione che ne attesta la provenienza dalle terme, suggerisce piuttosto che siano state smantellate in quest’epoca per recuperarne il materiale da costruzione. È da sottolineare che è stata impiegata una partita di fusti, capitelli e basi omogenea, certamente costosa sul mercato del materiale edilizio, a differenza delle grandi basiliche costantiniane in cui

erano stati utilizzati materiali eterogenei, manifestando dunque il desiderio di predisporre all’interno una decorazione architettonica di qualità, che doveva distinguere per il suo fasto l’edificio. Nelle grandi basiliche imperiali e pontificie come S. Paolo fuori le mura, S. Maria Maggiore e S. Stefano Rotondo si utilizzavano pezzi specificamente realizzati per tali edifici, poiché i materiali antichi non avevano le misure necessarie. Nelle chiese parrocchiali degli inizi del v secolo, più piccole e meno complesse, non potendosi sostenere costose spoliazioni, si utilizzarono più semplici capitelli coevi, a foglie lisce, prodotti in serie su grande scala, come si ha avuto modo di osservare in S. Clemente e in S. Vitale. L’aver dotato S. Sabina di una decorazione architettonica unitaria di età imperiale è dunque segno di particolare prestigio. Le belle colonne, alte 5,90 m, trasmettono un’impressione di pompa solenne e, insieme alle snelle arcate e all’alta fascia superiore finestrata, conferiscono slancio verticale all’edificio. Nel cleristorio si aprono tredici finestre di 4,3 per 2,3 m, di dimensioni insolitamente grandi, separate solo da una

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Le prime chiese di Roma

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

121, 122. S. Sabina. Iscrizione dedicatoria nella controfacciata. A sinistra: personificazione della Chiesa degli Ebrei; a destra: personificazione della Chiesa dei pagani.

stretta lesena in muratura larga 1,2 m. In confronto a chiese precedenti, come ad esempio i Ss. Giovanni e Paolo, l’impianto di S. Sabina testimonia, nelle dimensioni e nella disposizione delle grandi finestre che articolano armoniosamente il cleristorio, una maggiore esperienza e una più sicura padronanza della tecnica edilizia, indicando anche dal punto di vista estetico una soluzione più matura, evidente anche nelle proporzioni equilibrate e armoniose della stessa navata. Le cornici delle finestre del cleristorio sono moderne, ma imitano le intelaiature in gesso, probabilmente antiche o del primo Medioevo, ritrovate in frammenti durante i restauri. I pannelli delle finestre sono in mica o in vetro leggermente colorato, come nell’Antichità, e conferiscono alla luce una tonalità simile a quella originaria.

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Anche nell’abside si aprivano tre finestre, di cui la centrale per ragioni ottiche era in origine più ampia; ugualmente la facciata era forata da una grande finestra, con cinque archi su colonne. Mentre la navata mediana, come spazio centrale in cui si celebrava l’eucaristia, era ampiamente illuminata, le strette navate laterali, prive di finestre, erano immerse nella penombra. Nelle sue partizioni lo spazio della chiesa raggiungeva dunque un’articolazione evidente e significativa. Le navate laterali si contrapponevano anche nel corredo decorativo alla navata maggiore, il vero e proprio ambiente di culto. Le pareti erano dipinte, e sopra gli archi la pittura imitava le incrostazioni policrome in marmi e porfido che ornavano gli archi della navata centrale. Questo fregio a incrostazione, che raffigura suppellet-

tili liturgiche, costituisce un tipo di decorazione particolarmente sontuosa. Esso si sviluppa come una superficie continua, che nelle fasce ornamentali superiori non ha alcuna corrispondenza con l’asse delle colonne. Un rivestimento simile a quello odierno, di restauro, impreziosiva anche la zona inferiore dell’abside fino all’imposta della calotta, e le pareti del nartece. A questa decorazione, che nella sua sontuosità rispecchia il fasto dei colonnati, si aggiungevano mosaici nella parte superiore della parete, di cui si sono conservati numerosi frammenti nell’intonaco dell’abside. Il grande affresco cinquecentesco di Taddeo Zuccari che orna oggi la calotta absidale e l’arco trionfale rispecchia probabilmente nella sostanza la decorazione musiva originaria: Cristo è raffigurato sulla montagna del Paradiso circondato dai santi, mentre ai suoi piedi sono dipinti i quattro fiumi paradisiaci e l’agnello di Dio tra gli agnelli simboleggianti gli apostoli. La parete soprastante l’arco absidale era come di consueto decorata con un mosaico, con tondi racchiudenti busti di santi e le città di Betlemme e Gerusalemme. Anche nella navata centrale, al di sotto delle finestre del cleristorio, vi era un’alta fascia a mosaico di cui ancora si conservavano pochi resti nel xvii secolo, e nella quale erano probabilmente illustrate scene narrative bibliche, di cui tuttavia non si può più ricostruire il soggetto. Una corrispondente fascia a mosaico si conserva ancora sulla parete d’ingresso, al di sotto delle finestre. In caratteri classici dorati su fondo azzurro sono i versi della monumentale iscrizione in esametri che ricorda la fondazione. Ai lati si trovano due figure femminili su fondo dorato che reggono nella mano sinistra un libro aperto, identificate dalle iscrizioni come l’ecclesia ex circumcisione, la Chiesa degli Ebrei, e l’ecclesia ex gentibus, la Chiesa dei gentili. Nulla rimane della restante decorazione musiva della controfacciata. In base a disegni antichi si sa che ai lati della finestra erano Paolo, apostolo dei gentili, e Pietro, apostolo degli Ebrei, mentre nei pennacchi tra gli archi delle finestre erano i simboli dei quattro evangelisti. Le figure femminili a mosaico si differenziano stilisticamente in modo netto dai quasi coevi mosaici di S. Maria Maggiore, per le forme che si stagliano nitide sul fondo dorato, per il linearismo e la tavolozza chiara. Il confronto consente d’intuire la ricchezza tematica e le possibilità espressive dell’arte musiva romana del tempo, della quale ormai ci si può solo fare un’idea approssimativa, essendo pervenuti sino a oggi solo pochi mosaici dell’epoca. Le pareti, comprese le arcate, erano dunque rivestite con una scintillante policromia di marmi e tessere vitree, che rendevano gli archi parte integrante della parete sovrastante. Questa decorazione policroma delle superfici murarie doveva sortire, insieme alle colonne in marmo chiaro, un effetto di particolare sug-

gestione, animato dalla luce che penetrava dalle grandi finestre ravvicinate. In tal modo la parete come limite spaziale veniva smaterializzata, privata della sua solidità strutturale e immersa nel gioco delle multicolori rifrazioni luminose. L’omogenea decorazione parietale che riveste S. Sabina, nella sua espressione spaziale e cromatica, è portatrice di una nuova estetica, che determina nelle sue linee essenziali le caratteristiche dell’architettura tardoantica, anche di carattere profano. Arcate e pareti costituiscono un tutt’uno, sottolineato dalla decorazione. Pertanto anche l’utilizzo di un costoso apparato unitario di colonne e capitelli, che conferiscono solennità e magnificenza allo spazio interno, è difficilmente da intendere come un elemento classicistico, testimoniando piuttosto, insieme al lussuoso apparato decorativo in opus sectile e mosaici, l’impegno economico e le cure particolari affrontati dal committente dell’edificio, e adombrando la presenza di influenti autorità ecclesiastiche. A un rifacimento del ix secolo, sotto il pontificato di Eugenio ii (824-827), risalgono le transenne, decorate con disegni ornamentali e simboli che durante i restauri degli anni Trenta del Novecento sono state arbitrariamente riunite nella cosiddetta schola cantorum nel presbiterio. Queste sostituirono certamente una recinzione antica, simile a quella di S. Clemente. Il pavimento in lastre marmoree bianche con sottili striature ornamentali colorate è stato anch’esso messo in posa nel corso dell’intervento complessivo di restauro sui resti dell’antica pavimentazione. Del battistero, che il Liber Pontificalis cita come parte del complesso parrocchiale del titulus eretto sotto Sisto iii (432440), e che in base al ritrovamento negli ultimi decenni di tutta una serie di battisteri annessi alle chiese cristiane delle origini a Roma si può presumere esistesse in effetti anche a S. Sabina, non si sono ritrovate attestazioni archeologiche. Oltre al mosaico, la basilica conserva un eccezionale elemento dell’arredo originario, che non ha eguali. Si tratta dei battenti lignei del portale principale, decorati con cornici ornamentali e fasce a rilievo. La porta sottolinea con particolare evidenza l’ingresso alla navata maggiore, attraverso una ricca decorazione a rilievo, raffigurante significativi elementi del messaggio di fede cristiano. Di altri antichi battenti lignei scolpiti si conservano solo alcuni frammenti delle porte di S. Ambrogio a Milano, di poco più antiche, con scene dell’Antico Testamento, e il portale, di poco successivo, della chiesa di S. Barbara al Cairo, con immagini cristologiche. Tuttavia, già Eusebio riferisce nel suo sermone dedicatorio per la basilica di Tiro, costruita intorno al 318 dal vescovo Paolino, che il portale della chiesa era decorato da rilievi bronzei36.

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Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

123. S. Sabina. Porte lignee dell’ingresso principale con raffigurazioni simboliche e scene dell’Antico Testamento e della passione di Cristo. In alto a sinistra, la più antica immagine della Crocifissione nota fino a oggi.

Il portale ligneo di S. Sabina si colloca dunque in una più antica tradizione. Le cornici, in legno di cipresso, sono state, è vero, massicciamente restaurate, ma la maggior parte delle tavolette intagliate si è conservata intatta, anche se esse non sono più disposte secondo l’ordine originario. Poiché delle ventotto tavolette originarie dieci sono andate perdute, non è possibile ricostruire integralmente gli episodi rappresentati. Dei rilievi conservati, cinque si riferiscono all’Antico Testamento e dieci al Nuovo, mentre altri raffigurano immagini simboliche. L’associazione di episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento istituita nelle tavolette trova corrispondenza nella decorazione figurativa delle chiese a partire dal iv secolo, dove, accanto alle raffigurazioni simboliche dell’abside e della controfacciata, compaiono spesso immagini veterotestamentarie come prefigurazione delle verità salvifiche illustrate nelle scene neotestamentarie, analogamente a quanto facevano nei loro sermoni e nelle loro composizioni poetiche i Padri della Chiesa e i poeti cristiani come Prudenzio37. Le tavolette di S. Sabina erano in origine certamente dipinte, come si può ancora oggi vedere nel portale ligneo di età romanica della chiesa di S. Maria im Kapitol a Colonia, che s’inserisce per forma e per struttura nella tradizione di questi antichi portali di chiese. Nella sequenza attuale, disposta su quattro registri sovrapposti, ciascuno di quattro tavolette, presentano scene veterotestamentarie la quinta tavoletta, con Mosè e gli Israeliti nel deserto, la dodicesima, con Abacuc e Daniele nella fossa dei leoni, la tredicesima, con episodi della Vita di Mosè tra cui quello del roveto ardente, la quindicesima, con la Fuga dall’Egitto, e la sedicesima con l’Assunzione di Elia in cielo. Secondo antiche testimonianze, fino al xvii secolo si conservavano ancora alcune scene della storia di Giona, cosicché si può dedurre che in origine il numero degli episodi tratti da ciascun Testamento dovesse probabilmente essere lo stesso. A temi neotestamentari sono dedicate la prima tavoletta, con la Crocifissione, la seconda, con l’Angelo presso il sepolcro aperto di Gesù, la terza con la Resurrezione. La quarta tavoletta presenta Cristo sulla via di Emmaus, la quinta i Miracoli di Gesù, la settima la Resurrezione, la nona Cristo e san Tommaso, la decima Cristo risorto che appare alle due Marie, la diciassettesima Cristo davanti a Pilato e la diciottesima Cristo davanti a Caifa. Poiché la sequenza delle immagini di entrambe le serie non corrisponde a quella storica, né è possibile individuare un criterio di parallelismo tra le immagini dell’Antico e quelle del Nuovo Testamento, si deve ritenere che l’attuale disposizione non rispecchi la correlazione ori-

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ginaria. Due delle tavolette rettangolari verticali, l’ottava e la quattordicesima, raffigurano soggetti simbolici di difficile interpretazione, non esistendo composizioni direttamente confrontabili. Il tema della prima – con Cristo tra le lettere alpha e omega entro una corona di luce circondato dai simboli apocalittici e, al di sotto di un cielo stellato con i simboli del sole e della luna, la personificazione della Chiesa su cui Pietro e Paolo reggono il monogramma di Cristo – può essere inteso come il trionfo di Cristo e della Chiesa. La seconda tavoletta è più complessa da decifrare. All’interno di un edificio a sala coronato da un frontone e con tendaggi tra le colonne, al di sopra del quale svettano due torri e campeggia una croce tempestata di gemme, compare una figura maschile barbuta in abito da soldato o da funzionario in posa orante, fiancheggiata da un angelo. Al di sotto sono raffigurate, su due registri sovrapposti, tre figure maschili togate nel superiore e tre con l’usuale paenula in quello inferiore, che accolgono l’angelo e l’alto “funzionario” con gesti di acclamazione. Forse la scena ha un contenuto cristologico e, come potrebbero suggerire alcuni testi apocalittici, simboleggerebbe l’adorazione di Cristo sovrano da parte della Chiesa alla presenza dell’arcangelo Gabriele, davanti alla Gerusalemme celeste. Le immagini alluderebbero pertanto, in una forma astratta e simbolica analoga alle composizioni dell’abside e della controfacciata, come anche quelle di S. Maria Maggiore, alle verità di fede raffigurate nelle scene narrative, che trovano la loro compiutezza nell’attesa della fine dei tempi e del ritorno del Cristo Pantocratore e nella creazione di un mondo nuovo. La prima tavoletta del registro superiore dei riquadri minori contiene un’immagine particolare: si tratta della più antica raffigurazione della Crocifissione di tutta l’arte cristiana, secondo un’iconografia insolita. Gesù, nudo a eccezione di un perizoma, è inchiodato alla croce in posa eretta e non dolente, probabilmente in un tentativo primitivo di sintetizzare il mistero della crocifissione come vittoria sulla morte. Vistose sono le differenze stilistiche tra le singole tavolette: quelle con figure tozze e quasi grottesche in pose espressive e insistite si affiancano ad altre – come l’Assunzione di Elia in cielo – di composizione ardita, con eleganti figure legate a modelli classici e ben differenziate nella modellazione. Probabilmente sono qui all’opera artisti di provenienza e formazione diverse, che hanno lavorato fianco a fianco, come ci si può in fondo aspettare nel caso di una commissione così impegnativa. Interessante e tipica dell’età tardoantica è l’assenza di un’impronta stilistica unitaria. Ciascun maestro

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Capitolo primo

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

124. S. Maria Maggiore. L’antica basilica racchiusa entro cappelle e annessi databili tra xvi e xviii secolo.

sembra lavorare secondo una propria maniera, e non vi è alcun tentativo di unificare o equilibrare tale pluralità, che si esprime anche con nette differenze qualitative.

Ecclesia sanctae Mariae (S. Maria Maggiore) Tra le fondazioni immediatamente successive alla conquista di Roma da parte di Alarico nel 410 un ruolo particolarmente significativo spetta all’ecclesia sanctae Mariae dedicata da Sisto iii (432-440) alla Madonna sull’Esquilino, oggi S. Maria Maggiore. Questa non solo è la più grande tra le chiese erette dai pontefici nella tarda Antichità, ma nel corso dei secoli ha conservato in buona parte intatte sino a o ggi la propria fisionomia interna e l’originaria decorazione musiva. Come poche altre chiese di Roma, S. Maria Maggiore trasmette ancora oggi la genuina impressione spaziale di una grande basilica delle origini. Non trattandosi di una fondazione parrocchiale, non è annoverata dalle fonti antiche tra i tituli romani; non disponeva neppure di un proprio clero, anche se, stando a quanto riferisce il Liber Pontificalis, era dotata di un battistero, voluto da Sisto iii e ornato con sontuose colonne in porfido38. Del resto, a partire dal tardo iv e nel v secolo, anche le grandi chiese cimiteriali alle porte della città vennero dotate di battisteri per far fronte alle necessità dei fedeli e dei pellegrini accolti nella comunità cristiana. S. Maria Maggiore era una chiesa stazionale, destinata alla comunità cittadina che vi si raccoglieva insieme al vescovo per celebrarvi le festività dell’anno liturgico, quali il Natale, la Quaresima, Pasqua e la Pentecoste, e per venerare Maria radunandosi nella basilica sanctae Mariae39. Il titolo di madre di Dio, Theotokos in greco, genetrix Dei in latino, venne assegnato a Maria nel 431 nel concilio di Efeso, appena pochi anni dopo il completamento e la consacrazione della chiesa, e pertanto la fondazione della basilica e il suo apparato decorativo difficilmente possono essere messi in relazione con tale evento. Tuttavia, questa fondazione papale attesta la trasformazione di Roma compiutasi nella seconda metà del iv secolo: l’antica capitale dell’impero diviene avamposto della cristianità e, al posto dell’imperatore, che non risiede più in città, subentra il papa, con la pretesa del primato tra i vescovi dell’impero, che si manifesta soprattutto attraverso fondazioni monumentali e sontuose, come appunto S. Maria Maggiore.

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Secondo il Liber Pontificalis la chiesa sarebbe stata costruita sul sito del titulus Liberii40. La notizia non è peraltro attendibile poiché, come si è visto, i dati topografici portano a localizzare la basilica Liberii altrove, anche se non distante da qui. La basilica sanctae Mariae sostituì nella liturgia e nelle funzioni l’antica fondazione papale della basilica Liberii, distrutta da un incendio durante l’assedio di Roma. Gli scavi condotti sotto S. Maria Maggiore hanno portato in luce i resti di un complesso di edifici di età imperiale, riccamente arredato con rivestimenti marmorei policromi e pavimenti in opus sectile, ritenuto una domus con un grande peristilio. Sulla scorta dei ritrovamenti archeologici, l’impianto era ancora in uso agli inizi del v secolo. Anche se è dubbio che il complesso fosse effettivamente una domus, per la presenza tra le decorazioni pittoriche di scene bucoliche e di un calendario accompagnato da architetture realizzati in un successivo restauro, soggetti più adatti alla decorazione di un edificio pubblico, è in ogni caso da escludere nel luogo la presenza di una chiesa precedente la basilica. Agli inizi del v secolo il complesso fu abbandonato, e in una parte vi si stabilirono quartieri artigianali e una cisterna. Anche in altri quartieri della città, ad esempio sul Celio, si assiste nello stesso periodo all’abbandono di un’edilizia di tipo sofisticato, costituita da domus e insulae, soppiantata da un insediamento piuttosto casuale di impianti artigianali e aziende agricole. La fondazione papale ha dunque occupato una vasta area libera sulle pendici occidentali dell’Esquilino, priva ormai di un regolare assetto edilizio. L’iscrizione a mosaico dell’arco trionfale cita come committente papa Sisto iii (432-440): Xystus episcopus plebi Dei. L’iscrizione ha un contenuto programmatico: non è più citato il senatus populusque romanus, bensì il vescovo e il popolo cristiano di Roma, che già nel rescritto imperiale di Teodosio, Valentiniano e Arcadio per la costruzione della basilica di S. Paolo figuravano come autorità deliberanti. Il vescovo, in quanto guida della comunità, affida la chiesa che ha fondato a tutti i cristiani della città. Un’altra iscrizione, oggi perduta, che si trovava in controfacciata, annunciava che Sisto iii aveva dedicato la basilica (nova tecta) alla madre di Dio41. Secondo il Martyrologium Hieronymianum la consacrazione ebbe luogo il 5 agosto, una domenica, di conseguenza l’anno è senza dubbio il 434. Quindi, se la chiesa fu consacrata appena due anni dopo l’inizio del pontificato di Sisto iii e, come indicano le iscrizioni, completata sotto lo stesso papa nell’apparato decorativo, la progettazione e la costruzione risalirebbero al predecessore Celestino i (422-432), poco più

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Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

125. S. Maria Maggiore. Interno

di un decennio dopo il sacco di Roma di Alarico. La chiesa segue nell’orientamento sud-est/nord-ovest il complesso di strutture abitative e una strada a questo sovrapposta. Le fondamenta del nuovo edificio basilicale a tre navate, realizzate in accurato opus vittatum, affondano nel sottostante edificio senza riutilizzare alcuna muratura. La basilica è di considerevoli dimensioni, 79 m in lunghezza, 35 in larghezza e 18 in altezza nella navata maggiore, e supera quindi i nuovi tituli coevi. L’abside a ovest non doveva possedere, come è stato ipotizzato, un deambulatorio sul genere delle chiese cimiteriali costantiniane. Tale impianto, a differenza delle basiliche

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a deambulatorio, non è giustificato né dalla liturgia né da altra funzione. La basilica poggia sul piano terreno dell’edificio precedente, quasi fosse una sostruzione o un basamento. Il muro che a nord-ovest segue la navata laterale e l’abside, realizzato con la medesima tecnica, anche se molto meno curata, e ritenuto il muro esterno del deambulatorio, doveva piuttosto fungere da muro di sostegno su un terreno in forte pendenza verso ovest, considerando anche il forte spessore di 1,20 m. Inoltre, dato l’andamento spezzato della muratura, la ricostruzione dell’alzato e della relativa copertura dell’ipotetico deambultorio addossato all’abside e alla

Alle pagine seguenti: 126. S. Maria Maggiore. Metà sinistra dell’arco trionfale: Annunciazione (registro superiore); il Bambino in trono, ai cui lati stanno Maria e una figura femminile da identificare con la Sibilla di Cuma (registro inferiore).

navata laterale appaiono problematici, quanto meno in termini tecnici. Nel Medioevo, sotto il pontificato di Niccolò iv (12881292), l’abside antica fu sostituita da un transetto con una nuova abside spostata più a ovest. Nonostante le cappelle annesse alle navate laterali nel xvi e nel xvii secolo, e una ricostruzione completa della facciata a opera di Carlo Rainaldi tra il 1669 e il 1675 e di Fernando Fuga negli anni Quaranta del xviii secolo, insieme a una parziale trasformazione della decorazione interna, l’impianto originario ha conservato le sue linee essenziali con il cleristorio ancora visibile all’esterno su entrambi i lati. La basilica ha mantenuto in tal modo all’interno la sua spazialità, anche se la decorazione parietale, a parte i mosaici del v secolo, è di epoca moderna. Quaranta colonne, per la maggior parte in marmo di Taso e di Proconneso e in cipollino con capitelli ionici, sostengono l’architrave, su cui poggia la parete finestrata della navata centrale. Le integrazioni in materiali eterogenei delle colonne di marmo proconnesio indicano che probabilmente i fusti provenivano da scorte di magazzino, forse da Porto. Le basi, a tutta evidenza di altezze e dimensioni diverse, sono in parte opera di officine coeve e in parte materiali di spoglio. I capitelli ionici dovrebbero comunque essere stati pezzi coevi. Secondo le descrizioni del xviii secolo erano diversi per dimensioni, fattura e tipologia. Le colonne sono state in gran parte mantenute nell’edificio attuale, anche se, in occasione del radicale restauro compiuto da Ferdinando Fuga nel 1746-1750, furono rimaneggiate e uniformate negli spessori. Le basi, di diversa altezza, furono rivestite e i capitelli sostituiti con altri realizzati appositamente, poiché la fattura sommaria dei pezzi tardoantichi non corrispondeva all’ideale dell’epoca. I capitelli ionici approntati secondo il gusto classicistico rispettano tuttavia la tipologia del corredo architettonico e la spazialità della basilica antica. Subito prima dell’arco trionfale, davanti alla cinquecentesca cappella Paolina nella navata laterale sinistra e alla cappella Sistina, costruita sul lato opposto nel xvii secolo, furono eliminate alcune campate e gli architravi sostituiti da arcate, cosicché il ritmo degli antichi colonnati risulta qui interrotto. Nell’edificio antico, al di sopra dei ventuno intercolumni della navata mediana, era una grande finestra, come si può notare osservando dall’esterno l’antica muratura del cleristorio. Le finestre (oggi alternatamente tamponate) misuravano 3,40 per 4,30 m ed erano quindi di dimensioni insolitamente ampie, separate solo da uno stretto setto murario. La navata centrale della chiesa antica era quindi molto più luminosa

rispetto all’attuale. Insieme alla contemporanea chiesa di S. Sabina, le cui finestre sono ancora di maggiori dimensioni in relazione alle più limitate misure dell’edificio, S. Maria Maggiore rappresenta il vertice della tecnica edilizia tardoantica applicata a un edificio basilicale, in cui lo sforzo di ottenere la massima illuminazione padroneggiando i problemi tecnico-costruttivi e statici si concretizza in un effetto spaziale equilibrato e armonioso. Alla scansione delle paraste settecentesche, che nella parete della navata centrale costituiscono un secondo ordine sovrapposto ai colonnati, nell’edificio antico corrispondeva un’analoga sequenza che prolungava nella fascia superiore il ritmo verticale delle colonne. Le finestre e i campi sottostanti erano incorniciati da colonnette sovrapposte con scanalature spiraliformi e archi modanati. Edicole alternativamente coronate da archi e timpani incorniciavano al di sotto delle finestre quarantadue riquadri a mosaico, in gran parte ancora oggi conservati. Un fregio a racemi in stucco, di cui rimangono alcuni resti, correva al di sotto del tetto ligneo in corrispondenza dell’attuale cornice. Sopra l’architrave in stucco sovrapposto al colonnato della navata mediana, concluso probabilmente in origine da un profilo più fortemente modanato, si trova ancora il fregio musivo a racemi del v secolo, interrotto al centro della navata su entrambi i lati da un medaglione con l’agnello di Dio. È improbabile che il lato d’ingresso, a est, disponesse della consueta serie di cinque arcate larghe quanto l’intera navata mediana, che si ritrova in chiese di tardo iv e di inizio v secolo. La colonna conservata nella strombatura del portale centrale della facciata è decisamente più piccola rispetto alle colonne della navata, cosicché è difficile ricostruire una sequenza di aperture colonnate alte quanto il colonnato della navata mediana. Inoltre l’accostamento di un’apertura ad arcate nella facciata e i colonnati architravati della navata centrale sarebbe alquanto singolare. Sopra l’ingresso, in controfacciata, era inserita la lunga iscrizione di papa Sisto iii già ricordata. L’odierno arco trionfale, che nella chiesa antica dava accesso all’abside, è ancora oggi decorato da mosaici risalenti all’epoca di costruzione della chiesa. Non è noto come si presentasse il rivestimento parietale della zona sottostante. L’abside, secondo una fonte del vi secolo, era forata da cinque finestre, che insieme alla serrata sequenza di finestre del cleristorio illuminavano lo spazio interno. Questa disposizione contraddice la presenza ipotetica di un deambulatorio alle spalle dell’abside42. Non si hanno notizie sulla decorazione dell’abside, probabilmente costituita nella

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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127. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: matrimonio di Mosè (registro superiore); vocazione di Mosè (registro inferiore)

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128. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: miracolo della trasformazione dell’acqua amara (registro superiore); Edom rifiuta il passaggio agli Israeliti (registro inferiore).

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129. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: sacrificio di Melchisedec.

131. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: adozione di Mosè da parte della figlia del faraone (registro superiore); Mosè discute con i filosofi (registro inferiore).

130. Ospitalità di Abramo. 132. Passaggio del mar Rosso.

zona inferiore da preziose incrostazioni marmoree e nella semicalotta da un rivestimento musivo. L’architetto della basilica sanctae Mariae, come è detta nelle fonti antiche, ha trasferito in un edificio di grandi dimensioni, perfezionandola, la tipologia canonica della basilica a tre navate, già codificata dalla metà del iv secolo, e utilizzata a Roma sino a quel momento solo per edifici di medie dimensioni. Invece di utilizzare arcate su colonne, come in S. Paolo e nelle altre chiese più piccole della stessa epoca, qui l’architetto è ricorso al colonnato architravato, come nei grandi edifici di S. Pietro e S. Giovanni in Laterano. Che si sia trattato di una scelta intenzionale lo dimostra la tecnica con cui sono raccordati gli intercolumni. L’architrave che corre sopra le colonne, ancora oggi conservato sotto stucchi e mosaici, è formato da una trave lignea su cui poggiano gli archi ribassati di scarico che sostengono la muratura soprastante. Evidentemente non erano disponibili per l’architrave blocchi di marmo o elementi di recupero antichi di spoglio delle dimensioni richieste, e si dovette ricorrere pertanto alla realizzazione di un finto architrave. Con la sovrastante serie di membrature a parasta del

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muro della navata mediana, già viste in forme simili in S. Paolo e nel nuovo battistero sistino del Laterano, l’articolazione dell’alzato di detta navata doveva somigliare a quello di una basilica romana civile, che si può supporre avesse un aspetto analogo. L’alzato della navata mediana, con colonnato architravato e ordine superiore di paraste, non rappresenta però, come spesso oggi si sostiene, un ritorno a concetti formali classici di età imperiale, ovvero un indizio di Rinascenza sotto il pontificato di Sisto iii. Si tratta piuttosto di strutture e di forme appartenenti al patrimonio tradizionale dell’architettura antica e tardoantica, mentre l’impiego di arcate su colonne con sovrastante parete nelle navate laterali delle grandi basiliche di età costantiniana e in quella mediana di S. Paolo era soprattutto una necessità tecnica, data la difficoltà di reperire materiali di dimensioni adeguate per coprire con architravi gli intercolumni. Il fatto che nelle grandi basiliche costantiniane del iv secolo il colonnato architravato venisse impiegato nella navata centrale e le arcate su colonne fossero riservate alle laterali mostra come l’abbinamento di colonne e architrave fosse giudicato il più consono a un grande edificio di

prestigio, e fosse molto probabilmente la forma di sontuosità preferita. La fuga delle colonne, sottolineata prospetticamente dalla linea dell’architrave, corrispondeva inoltre in modo ideale all’orientamento dell’edificio verso il presbiterio e l’abside. Nella maggiore delle fondazioni pontificie si vede così l’impiego dell’architrave retto da colonne associato all’esigenza di monumentalità e a un apparato decorativo particolarmente prezioso. Tra gli elementi di particolare fasto e ricchezza della decorazione interna figurano soprattutto i mosaici, che in origine ricoprivano l’abside, l’arcone absidale, la controfacciata e i riquadri al di sotto delle finestre del corpo longitudinale. Cicli musivi come quello di S. Maria Maggiore non costituivano un corredo decorativo consueto per le chiese dell’epoca. Il vescovo Paolino di Nola (409-431), che in una lettera descrive un ciclo di affreschi sulle pareti di una chiesa da lui stesso fatta costruire, nota in proposito che una decorazione di questo tipo era rara43. A quanto pare tali complementi figurativi erano riservati alle grandi basiliche monumentali, come mostrano le tre più antiche fondazioni imperiali, che probabilmente già

nel iv secolo erano corredate da cicli di pitture. I mosaici di S. Maria Maggiore hanno dunque un significato particolare, poiché tramandano un ciclo musivo. In nessun’altra chiesa del iv e del v secolo si sono conservate le decorazioni delle pareti della navata maggiore. Solo per S. Pietro e per S. Paolo fuori le mura è nota, attraverso riproduzioni di epoca moderna, l’esistenza di cicli figurativi nella navata centrale, rinnovati in età medievale. In questo contesto occorre domandarsi se l’ampio corredo musivo di S. Maria Maggiore sia da mettere in relazione con la serie di finestre insolitamente ampie e frequenti del cleristorio, che dovevano immergere la chiesa in una viva luminosità. I mosaici riverberavano la forte luce che pioveva all’interno con un effetto completamente diverso rispetto alle pitture murali. Che il riflesso e lo splendore della luce sulle pareti preziosamente decorate conferissero un’atmosfera di festa, anche dal punto di vista spaziale, all’ambiente interno, e che questa scenografia luminosa avesse un significato in rapporto alla fisionomia architettonica, è suggerito dall’inno dedicato alla basilica di S. Paolo da Prudenzio, in cui si esalta soprattutto

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133. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: ritorno degli inviati dalla terra promessa (registro superiore); tentativo di lapidazione di Mosè e dei suoi accompagnatori (registro inferiore). 134. L’arca attraversa il Giordano (registro superiore); Giosuè invia ambasciatori a Gerico (registro inferiore).

il fasto e lo splendore dello spazio interno e dei mosaici, che rilucevano come un prato primaverile fiorito44. Il mosaico absidale e quello in controfacciata sono andati perduti, mentre si sono conservati i mosaici dell’arco absidale e ventisette dei quarantadue riquadri sotto le finestre del corpo longitudinale. Purtroppo non è noto come si presentasse il mosaico dell’abside, in cui trovava compimento il programma iconografico della chiesa. Manca dunque un elemento importante per interpretare questa eccezionale sequenza figurativa, che copre l’arco trionfale e i muri della navata mediana. Si è conservata solo la cornice della calotta absidale nell’intradosso dell’arco di accesso, decorata con una ghirlanda di frutti al cui centro è un medaglione con il monogramma di Cristo e le lettere alpha e omega, simboli di Cristo Pantrocratore. Il motivo centrale del mosaico absidale era costituito probabilmente dall’immagine di Maria col Bambino in trono, come nella decorazione absidale, oggi perduta, della basilica Suricorum di S. Maria Capua Vetere, della prima metà del v secolo, che si conosce attraverso descrizioni d’epoca moderna45. In quel caso la Madonna in trono col Bambino era al centro di

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un tralcio a racemi probabilmente d’acanto, che si dipartiva da un calice fogliato nel margine inferiore della calotta absidale. Non è forse un caso che, come nel mosaico medievale di S. Clemente, volute vegetali e motivi idilliaci si ritrovino nei mosaici di Jacopo Torriti, del 1295, che rivestono l’abside medievale addossata al transetto di S. Maria Maggiore. Sulla base della testimonianza del mosaico di S. Maria Capua Vetere si può supporre che questi elementi decorativi siano riconducibili all’antica decorazione absidale della basilica del v secolo, e che contornassero l’immagine della Madonna in trono col Bambino. L’iconografia così recuperata rappresenta una novità nelle decorazioni absidali coeve. Se finora era infatti Cristo, cui era anche consacrato l’edificio di culto, a occupare il posto centrale nell’abside, ora è la madre di Dio con Gesù Bambino a venire in primo piano. Alla Madonna in trono dell’abside corrispondeva a est, nel mosaico della controfacciata sopra l’ingresso della navata maggiore, un’altra immagine mariana, ricordata dall’iscrizione di fondazione di papa Sisto iii sulla stessa parete insieme a cinque martiri che porgono le corone come tributo alla madre di Dio. La Vergine prende qui il po-

135. S. Maria Maggiore. Mosaico della navata mediana: vittoria degli Israeliti sugli Amorrei (registro superiore); miracolo delle pietre (registro inferiore). 136. Durante la battaglia con gli Amorrei Giosuè arresta il sole e la luna.

sto che di solito, per l’esigenza di corrispondere al mosaico dell’arcone trionfale, spettava a Cristo. Se nella decorazione del presbiterio e all’ingresso della basilica si pone specialmente in evidenza la madre di Dio, ciò s’inserisce in un contesto iconografico complessivo che celebra Cristo Pantocratore, partorito da Maria. Sull’attuale arco trionfale, che un tempo costituiva la fronte dell’abside, al di sopra della chiave dell’arco compare, in linea con la tradizione dell’antica rappresentazione del sovrano, la hetoimasia, il trono vuoto con le insegne del potere di Cristo, il diadema tempestato di gemme e il segno vittorioso della croce, anch’essa decorata con gemme, un’allusione alla fine dei tempi e al compimento dell’opera di redenzione. Ai lati gli apostoli Pietro e Paolo si accostano devotamente al trono. La celebrazione di Cristo Pantocratore prosegue nei mosaici dell’ex fronte absidale. Qui, su quattro registri sovrapposti sono rappresentate scene affollate che rappresentano episodi del Nuovo Testamento e soprattutto dell’infanzia di Gesù, in cui Maria assume ancora una volta un ruolo preminente. I fregi figurati di questi registri, separati solo da

una linea inferiore su cui poggiano le figure, ricordano i bassorilievi delle colonne di Traiano e di Marco Aurelio, con le quali mostrano analogie anche dal punto di vista compositivo. L’iconografia e la rappresentazione formale dei fregi dell’arco absidale sono orientate verso i monumenti dell’arte imperiale e il loro linguaggio formale. Il soggetto del fregio, in sempre nuove varianti, è l’epifania del nuovo Signore del mondo, arricchito con l’inserimento e la disposizione di numerosi temi che ampliano e approfondiscono il complesso nucleo principale, e in questa sede ci si deve limitare all’analisi essenziale dei contenuti di questa creazione artistica unica nel suo genere. Nel registro superiore, a sinistra, la scena dell’Annunciazione raffigura Maria in vesti regali dorate, con un diadema nei capelli, impegnata a tessere i tendaggi color porpora destinati al Tempio, come attestato nei Vangeli apocrifi. Accanto, angeli in vesti bianche la circondano come cortigiani. La scena è completata da un angelo tra le nubi del cielo, sul modello delle vittorie degli archi di trionfo romani, che annuncia il concepimento, e dalla colomba bianca dello Spi-

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Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

rito Santo; lungo il bordo destro è la scena della spiegazione dell’evento a Giuseppe da parte di un angelo. Nella fascia inferiore Cristo bambino, vestito di bianco, con il nimbo dorato, ha il braccio destro alzato nel gesto dell’oratore e sta seduto su un fastoso trono di gemme e porpora. Ai lati siedono, alla sua sinistra, ancora una volta la Madonna in abiti regali e a destra un’altra figura femminile, vestita d’oro e di porpora, in atteggiamento riflessivo, da identificare con la Sibilla di Cuma. Si tratta di un’antica, mitica figura, che ha predetto l’avvento di un’età dell’oro e di un nuovo ordine del mondo, visione ripresa da Virgilio, che nella quarta Egloga annuncia l’imminente compiersi della profezia della Sibilla, secondo cui regnerà la pace e giungerà una vergine con un fanciullo inviato dal cielo, nato per riportare l’età dell’oro e stabilire il nuovo ordine del mondo46. Dall’inizio del iv secolo la visione cristiana riconduce questa profezia soteriologica, che esprime suggestivamente la speranza riposta da parte del maggiore poeta romano nella riorganizzazione politica augustea, a Maria e a Cristo quale Salvatore e profeta del nuovo ordine mondiale47. Angeli in vesti bianche stanno come guardie alle spalle del trono, mentre su entrambi i lati i Re Magi in preziosi costumi orientali avanzano recando i propri doni in rappresentanza dei popoli della terra, secondo l’antica iconografia imperiale. Queste immagini influenzate dalla tradizione figurativa di corte sono integrate, sulla parete opposta, dalla raffigurazione nel registro superiore di Gesù nel Tempio e dall’episodio dell’angelo che invita Giuseppe a fuggire in Egitto: qui il tema è quello dell’apparizione del Signore al popolo ebraico. Colpisce il fatto che sul bordo destro sia raffigurata la facciata del Tempio, il cui frontone è decorato con l’immagine della dea Roma, personificazione della città. In tale contesto dev’essere interpretato come segno della cristianizzazione di Roma e del suo impero, l’alba di una nuova era. Questo concetto è ancora una volta legato ai versi virgiliani dedicati al nascente impero romano, che già alla fine del iv secolo sincretizza la pacificazione dei popoli e la loro fusione in un’unica cultura con la missione cristiana rivolta a tutte le genti: è lo stesso ideale romano alla base della fondazione teodosiana della basilica di S. Paolo, l’apostolo delle genti. La fascia inferiore è occupata da una composizione molto discussa. Una figura di sovrano, seguita da soldati e accompagnata da un individuo barbato, vestito da filosofo, esce dalla porta della città salutando Cristo bambino in posizione quasi frontale, in una rappresentazione di gruppo con Giuseppe, la Madonna in abiti sfarzosi e un seguito di quattro

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angeli nella metà destra della raffigurazione. Probabilmente la scena rappresenta la fuga in Egitto, adeguatamente proposta in mosaico secondo lo schema della cerimonia imperiale dell’adventus, l’arrivo del sovrano, qui Cristo bambino, nella valle del Nilo. La fascia più in basso, ai lati dell’arco, presenta la Strage degli innocenti e i Magi in visita da Erode e l’impotenza del re e del mondo di fronte a Cristo Pantocratore. Le raffigurazioni di Betlemme e Gerusalemme, cinte da mura gemmate, che in seguito s’incontreranno spesso nei mosaici delle chiese, compaiono qui per la prima volta e contraddistinguono l’inizio e il compimento dell’opera redentrice di Cristo. Probabilmente la resa del paesaggio urbano di Betlemme nella scena di Erode non è casuale. I mosaici dell’arco trionfale s’ispirano all’iconografia ufficiale imperiale, tradotta secondo uno stile solenne e ricercato. A questo discorso si riallaccia, come lasciano supporre singole scene, ad esempio la Fuga in Egitto resa come un adventus e le rappresentazioni simboliche della Sibilla e della dea Roma nel frontone del Tempio, l’idea di impero cristiano che si andava delineando dal iv secolo, che vede la trasformazione della missione civilizzatrice e pacificatrice dell’impero romano formulata da Virgilio nella missione cristiana di conversione di tutti i popoli alla fede nel Cristo. Le scene dell’infanzia di Gesù alludono all’epifania del Signore e all’annuncio del messaggio evangelico, che si completa nelle immagini dei mosaici del corpo longitudinale. Qui è narrata la vicenda della redenzione del popolo d’Israele, prefigurazione dell’opera di Dio in questo mondo e della venuta di Cristo Redentore e Pantocratore. Lo stile solenne dei mosaici dell’arco trionfale si ritrova nelle prime immagini del lato meridionale della navata, in cui il sacrificio di Melchisedec allude al sacrificio eucaristico sull’altare, che si trovava nella navata poco prima dell’arco absidale. Questa immagine iniziale della sequenza svela il soggetto iconografico dell’intera parete: la promessa di Jahvè ad Abramo, che si compie nella vicenda dei patriarchi, annunciata da Melchisedec e rappresentata dalla visita dei tre uomini ad Abramo sulla parete opposta. Questo è anche il tema svolto a destra, sulla lato settentrionale della navata, che nella figura di Mosè e di Giosuè illustra la vittoria del popolo d’Israele contro i suoi nemici grazie all’aiuto di Jahvè. Le scene alludono dunque al compiersi della vicenda salvifica e all’opera divina nella storia del popolo eletto, la plebs Dei citata dall’iscrizione programmatica di papa Sisto iii sull’arco absidale, come emerge dalle scene del mosaico dell’arco trionfale.

Il ciclo dei mosaici di S. Maria Maggiore è eccezionale per contenuto e ampiezza, e per la significativa contrapposizione tra i riferimenti veterotestamentari nella navata – con scene di stile accattivante, espressivo e spiccatamente narrativo – e le immagini neotestamentarie dell’arco absidale, solenni e improntate al fasto imperiale. A differenza dei cicli di S. Pietro e S. Paolo, quello di S. Maria Maggiore, per quel che si può giudicare da quanto conservato, non ebbe seguito. Solo Paolino di Nola riferisce di un analogo ciclo di episodi veterotestamentari in una delle sue chiese, ma dalle sue parole si evince che tale tipo di decorazione nelle chiese non fosse la norma48. Il ciclo veterotestamentario della navata della basilica di Sisto iii si pone agli esordi dello sviluppo di tali figurazioni nelle chiese. I confronti più prossimi sono offerti dai mosaici quasi contemporanei di S. Aquilino a Milano e dal battistero di Napoli, anche se questi non sono effettivamente accostabili a quelli di S. Maria Maggiore. I mosaicisti appartenevano certamente a una bottega romana. L’artista concepì ex novo le scene del programma fornitogli dal clero, e a tale scopo si servì della tradizione compositiva e del linguaggio formale offerti dall’arte del tempo. Fino a questo momento non esisteva ancora una significativa tradizione cristiana per questo genere di espressione figurativa, e neppure nell’ambito dei manoscritti miniati della Bibbia. Commissioni prestigiose come quella offerta dalla decorazione della grande basilica sanctae Mariae dovettero contribuire in modo sostanziale al costituirsi e al plasmarsi di una tradizione figurativa cristiana. Le fonti per la composizione e l’iconografia delle immagini di S. Maria Maggiore non devono perciò ricercarsi nelle miniature, i cui primi esempi pervenuti risalgono più o meno a questa stessa epoca. Concordanze stilistiche e iconografiche con le illustrazioni di manoscritti coevi della Bibbia e di poemi epici antichi, come l’Iliade, sono da spiegarsi con la ripresa di un repertorio comune appartenente al patrimonio formale dell’arte tardoantica, al quale attinsero sia i mosaicisti sia i miniatori di questi codici di lusso. La composizione delle scene deriva dall’arte ufficiale imperiale. Le immagini sono articolate mediante l’accentuazione del centro della scena, o la suddivisione in gruppi di figure contrapposte, che conversano o tengono discorsi. Sono quindi destinate a trasmettere un messaggio, un’idea, oppure ad affermare il contenuto implicito dei testi di partenza. Per questo tali scene presentano strutture compositive tradotte in forma figurativa paragonabili ad antichi testi storiografici o epici di età tardoantica, che rielaborano materia-

le mitico e soprattutto biblico. Caratteristiche sono le numerose scene di soggetto militare o di battaglia, chiaramente mutuate nella struttura e nella forma dall’arte tradizionale. Nell’espressione e nella strutturazione figurativa e narrativa i mosaici di S. Maria Maggiore trovano un parallelo soprattutto nell’epica biblica tardoantica, che dalla metà del iv secolo cerca di divulgare in una forma adeguata di tradizione letteraria i temi biblici con il loro messaggio salvifico nel solco della tradizione poetica virgiliana, spesso in stretta connessione, anche linguistica, con questo modello. I mosaici sono di notevole qualità artistica ed esecutiva. La tecnica del mosaico, formato da tessere vitree colorate di 190 diverse sfumature, è la stessa ovunque. Se ne deduce che la decorazione musiva è nata tutta insieme sotto il pontificato di Sisto iii. Le ricche sfumature cromatiche e il luminoso fondo dorato intorno alle figure conferiscono splendore e solennità alle scene dell’arco trionfale. Il medesimo modo di rappresentazione, in cui si manifesta un alto grado di padronanza formale e di sicurezza nella composizione cromatica, caratterizza anche i mosaici della navata e si afferma nella creazione figurativa di più alta qualità. Forma, stile e qualità artistica e artigianale di questi mosaici corrispondono alle esigenze rappresentative di questa chiesa: S. Maria Maggiore è una testimonianza eloquente della consapevolezza del proprio ruolo da parte della Chiesa di Roma e del suo vescovo. Anche in questo caso è da notare il pavimento del xii secolo, composto da frammenti di marmi colorati di diverse forme provenienti dai rivestimenti degli edifici romani.

Titulus S. Petri in Vinculis (S. Pietro in Vincoli) La fondazione probabilmente più importante fra i tituli romani del v secolo è quella di S. Pietro in Vincoli, sul colle Oppio, che si affaccia sul ripido pendio dell’Argiletum di fronte al quartiere della Subura, uno dei più popolosi dell’antica Roma, vicinissimo al centro monumentale con il forum Pacis, le grandi terme di Traiano, la porticus Liviae e la sede del praefectus, il centro amministrativo di Roma tardoantica. Il clivus Pullius, col quale la chiesa confina, e il cui tracciato corrisponde in gran parte all’odierna via delle Sette Sale, sbocca nel clivus Suburanus, che oltrepassando la via Tiburtina verso nord-est conduceva verso la campagna romana e a est agli importanti centri di Tibur e Praeneste. La chiesa ave-

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Le prime chiese di Roma

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

137. S. Pietro in Vincoli. Interno. 138. S. Pietro in Vincoli. Controfacciata della chiesa paleocristiana con le arcate d’ingresso e gli oculi, v secolo.

va dunque un’ubicazione centrale e di spicco nel vero senso della parola, ponendo nell’area occupata da edifici pubblici più antichi un nuovo accento monumentale. Il rango dell’edificio è segnalato già dalle sue stesse dimensioni, 61 m di lunghezza per 29 di larghezza. L’iscrizione metrica in controfacciata, sopra l’ingresso, conservata in una trascrizione medievale, dichiara che l’edificio fu eretto sotto il pontificato di Sisto iii (432-440) con la supervisione del presbitero Filippo49. Un’altra iscrizione proveniente dalla chiesa, anch’essa tramandata in una trascrizione medievale, ma di cui si ignora la primitiva collocazione, attesta che l’imperatrice Eudocsia, moglie dell’imperatore Valentiniano iii (425-455), promuovendo la costruzione della chiesa avrebbe assolto una promessa fatta ai genitori, l’imperatore Teodosio ii e l’imperatrice Eudocia50. La chiesa si distingue per posizione e dimensioni come fondazione imperiale accanto ad altri interventi coevi di Galla Placidia in S. Paolo e di Valentiniano iii al Laterano e in S. Paolo, interventi che grazie alla casa imperiale teodosiana sostennero la politica edilizia papale a Roma. Tra le sottoscrizioni del concilio ecumenico di Efeso del 431 compare quella dello stesso presbitero Filippo, che aveva diretto il cantiere sotto Sisto iii, il quale sottoscri-

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ve gli atti appunto come presbyter ecclesiae Apostolorum, e come titulus Apostolorum la chiesa ricompare anche nelle firme del sinodo romano del 49951. Una notizia del Liber Pontificalis relativa alla morte violenta di un presbitero del titulus nel 501-502 cita la chiesa con la nuova designazione a vincula sancti Petri apostoli52. Con questa denominazione, probabilmente non ufficiale, la chiesa, che nella dedica dell’iscrizione di Sisto iii era riferita ai principi degli apostoli Pietro e Paolo, viene ricondotta al solo Pietro. Le reliquie delle catene di san Pietro, la cui presenza nella chiesa è testimoniata già nel v secolo da altre fonti e da un’iscrizione nell’abside, nel vi secolo avevano finito per soppiantare l’intitolazione a Paolo e la relativa designazione di «basilica degli Apostoli»53. Nelle sottoscrizioni del sinodo del 595 la chiesa è nuovamente citata ufficialmente come titulus sanctorum Apostolorum e titulus Apostolorum. In una lettera di papa Gregorio i, attorno al 600, la chiesa è citata sotto il nome della fondatrice come titulus Eudoxiae54. Una voce del Liber Pontificalis dell’viii secolo riconduce tutte le precedenti denominazioni a un’unica intitolazione: titulus Apostolorum quae appelatur Eudoxiae ad vincula. Titulus Eudoxiae, videlicet beati Petri apostoli ad vincola55.

La chiesa sorse al di sopra di uno stratificato nucleo di domus dell’età imperiale, in parte dotate di giardini e fontane. Ancora nel iv secolo era stata costruita in questo sito un’aula absidata a navata unica, che si apriva mediante ampie arcate laterali su un cortile. In assenza di rinvenimenti certi e tralasciando la datazione dell’edificio e la sua concreta forma, si è supposto che quest’aula, che per dimensioni e impianto corrisponde alle sale di ricevimento delle domus tardoantiche, possa essere servita come domus ecclesiae. La chiesa ha utilizzato come fondazioni o inglobato negli alzati alcune porzioni delle vecchie strutture edilizie dell’età imperiale. È per questo motivo che soprattutto nella zona dell’abside e del transetto vi sono delle irregolarità nell’impianto. Dalla sottoscrizione del presbitero Filippo al concilio di Efeso del 431 si può dedurre che qui dovesse esistere una ecclesia Apostolorum già prima della chiesa edificata da Sisto iii, che quindi deve essere stata eretta poco dopo il 410. Ciò è confermato dall’iscrizione di fondazione del papa, in cui egli si attribuisce il merito di aver sostituito il vecchio edificio con uno nuovo, e il vecchio nome con la nuova dedicazione a Pietro e Paolo56. Il nuovo edificio ne ha dunque sostituito uno precedente, e probabilmente la dedicazione

del titulus agli apostoli tramandata dalla sottoscrizione del presbitero Filippo fu rinnovata con quella ai principi degli apostoli. Le testimonianze successive mostrano che la designazione di titulus Apostolorum si mantenne fino al tardo vi secolo insieme all’altra di titulus Eudoxiae, ispirata all’imperatrice che promosse il cantiere della chiesa57. Tutti questi nomi continuano a essere alternativamente usati nel primo Medioevo, fino a cedere il posto all’intitolazione di ecclesia sancti Petri ad Vincula, ancora oggi corrente. Le indagini archeologiche compiute negli ultimi anni in occasione del restauro della chiesa hanno confermato che l’edificio sistino, il cui nucleo si conserva sostanzialmente ancora oggi sotto i rifacimenti rinascimentali e barocchi, fu preceduto da un altro, pure a tre navate e orientato seguendo il tracciato stradale da sud-ovest verso nord-est. Consistenti porzioni di questa chiesa più antica sono inglobati nel nuovo edificio, come per esempio la facciata e le pareti laterali. La facciata, oggi visibile dall’interno, si apriva sul nartece per tutta la larghezza della navata mediana attraverso arcate su colonne, quella centrale più ampia e più alta rispetto alle laterali. Al di sopra, all’altezza del piano finestrato, sono cinque grandi oculi di quasi 2 m di diametro. Questa fisionomia della facciata, rivolta a sud-

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Chiese apitolo parrocchiali primo e fondazioni papali

Chiese parrocchiali e fondazioni papali

della prima metà del v secolo

della prima metà del v secolo

139. S. Pietro in Vincoli. Parete esterna della navata laterale destra con la triplice arcata e le finestre della chiesa del v secolo.

ovest, era finalizzata a consentire l’ingresso della massima quantità di luce nella navata mediana e corrisponde a quella di altre chiese di cui abbiamo già parlato, S. Clemente, S. Vitale, S. Sisto Vecchio e Ss. Giovanni e Paolo, costruite tra iv e v secolo. Con tale datazione concorda anche la muratura della facciata, visibile ancora intatta nel timpano della fronte, nella zona del tetto. Essa si differenzia nettamente da quella del cleristorio accessibile dalle navate laterali, mentre coincide viceversa con quella dei Ss. Giovanni e Paolo, contraddistinta anch’essa da un’opera laterizia accurata, con strati di malta occasionalmente spessi e appuntiti. Nel muro esterno della chiesa antica sono venute alla luce, in occasione dei restauri degli ultimi anni, undici finestre ad arco che misurano circa 2,20 m per 3,20, ancora visibili nell’attiguo chiostro quattrocentesco dell’antico monastero, oggi parte della Facoltà di Ingegneria. Queste finestre, in origine quattordici, collocate in corrispondenza degli intercolumni, erano destinate a illuminare le navate laterali della chiesa dell’inizio del iv secolo. Si tratta di una soluzione insolita, poiché le chiese parrocchiali romane dei primi secoli normalmente non avevano finestre nelle pareti delle navate laterali, quest’ultime ricevendo illuminazione dalla navata maggiore. Ancora una volta è soltanto la basilica coeva dei Ss. Giovanni e Paolo a fornire qui un parallelo. Sotto Sisto iii le finestre vennero tampo-

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nate e nella parete fu aperto un grande passaggio tripartito, spostato verso l’abside, largo in tutto 5 m e alto 4,70, che consentiva l’accesso a un edificio adiacente, forse un battistero che però finora non è attestato archeologicamente. Nel corso di questo intervento di ammodernamento la chiesa fu dotata di un transetto continuo, lievemente più alto del corpo longitudinale, che a imitazione della basilica del Vaticano e di S. Paolo era forse concepito come uno scrigno destinato a custodire le reliquie delle catene dell’apostolo Pietro conservate in chiesa. Probabilmente la reliquia era venerata già nella prima chiesa, come suggerisce l’iscrizione relativa all’intervento progettato dall’imperatore Teodosio ii (408-450), residente a Costantinopoli, e dalla moglie Eudocia. L’ampliamento del nuovo edificio fu reso possibile dall’adempimento al voto dei genitori da parte di Eudossia e di suo marito Valentiniano iii. Per inserire il transetto fu necessario privare il colonnato del corpo longitudinale di dieci colonne rispetto alla chiesa precedente. Solamente a ridosso della facciata fu mantenuto il pilastro in muratura del colonnato con la navata mediana soprastante e gli archi della prima arcata e della prima finestra del cleristorio pertinenti alla chiesa primitiva. I suggestivi colonnati sono costituiti da un insieme unitario di pezzi di spoglio di età imperiale. Si tratta, fatto insolito, di colonne doriche, che anche nell’ambito della stessa architettura romana erano utilizzate relativamente di rado.

I fusti scanalati sono in marmo di Proconneso. Inconsueto è anche il fatto che le colonne posino su basi attiche e che siano usate per sostenere degli archi e non un architrave, un abbinamento sconosciuto all’ordine dorico classico. Le basi antiche sono state coperte o sostituite nel xviii secolo da quelle attuali, costituite da un toro e da un plinto. Ancora una volta si nota che gli elementi architettonici antichi non furono qui inseriti secondo le leggi del proprio ordine, ma come elementi decorativi e ornamentali di alta qualità: non si tratta quindi di un revival classicistico dei sistemi decorativi tradizionali. Non è noto da quale edificio possano essere state tratte le colonne. L’ipotesi che potessero provenire dall’adiacente porticus Liviae, un vasto cortile porticato costruito da Augusto in onore dell’imperatrice, che era stato celebrato dagli scrittori antichi per la sua bellezza, è poco probabile58. Un monumento di tale rilievo difficilmente avrebbe potuto essere sfruttato come cava nella prima metà del v secolo. I sondaggi eseguiti negli ultimi anni hanno inoltre stabilito che i colonnati dell’impianto erano di ordine ionico: le colonne della chiesa dovevano dunque provenire da un deposito, come suggerisce anche l’assenza dell’architrave, che avrebbe dovuto figurare tra i materiali di reimpiego se proveniente da un corrispondente edificio imperiale. L’apparato del corpo longitudinale, con una decorazione architettonica omogenea, di età imperiale, indica ampia disponibilità economica da parte del fondatore, membro della famiglia imperiale. L’arco trionfale fu dotato invece di due colonne di granito grigio sormontate da capitelli corinzi di età imperiale, a marcare il passaggio al presbiterio. La presenza di un lungo corridoio nella navata maggiore, che si allargava in corrispondenza della seconda colonna davanti al presbiterio, è attestata dal rinvenimento delle fondazioni su cui poggiavano le recinzioni. Questa installazione, che serviva a delimitare lo spazio riservato all’ingresso solenne dei celebranti e inoltre anche a separare lo spazio dell’altare dall’assemblea dei fedeli, dovrebbe essere da attribuire al nuovo edificio di Sisto iii. Il titulus era incluso nella liturgia stazionale pontificia, che dal v fino al xvii secolo veniva celebrata nel corso dell’anno ecclesiastico dall’intera comunità in occasione delle festività solenni in diverse chiese alla presenza del pontefice. Anche in questo è da vedere un segno del prestigio attribuito alla chiesa in quanto luogo di custodia di una reliquia di san Pietro. Oggi la chiesa è visitata principalmente per il Mosè di Michelangelo, nel braccio destro del transetto, commissio-

nato originariamente per il monumento funerario di papa Giulio ii (1503-1513). Nella chiesa si trova anche la tomba del cardinale tedesco Nicola Cusano (1401-1464), insigne teologo e filosofo che dal 1448 al 1464 fu titolare di S. Pietro in Vincoli. La sua lastra tombale si trova nella navata laterale sinistra, vicino all’ingresso. Il cardinale promosse un rifacimento integrale della chiesa, come attesta l’iscrizione datata 1465 su una trave del tetto, che in seguito all’ultimo intervento di restauro alla copertura è esposta nel muro destro della navata.

Titulus Eusebii (S. Eusebio) Il titulus consacrato al papa martire Eusebio (309-310) dev’essere sorto al più tardi alla metà del v secolo. La chiesa è menzionata per la prima volta nell’iscrizione funeraria di un chierico del 474. Al sinodo del 499 un certo Pascasio si sottoscrive come presbitero del titulus Eusebii59, mentre fra le sottoscrizioni del sinodo del 595 la chiesa compare già col nome del santo titolare che porta ancora oggi. Se all’origine della consacrazione della chiesa vi fosse una traslazione di reliquie, si tratterebbe di una delle prime compiute dalle catacombe romane, in questo caso dalla catacomba di Callisto, la sepoltura dei papi, dal momento che le spoglie dei martiri cominciarono a essere trasferite nelle chiese urbane solo dal vi secolo. La chiesa è su un tratto urbano della via Tiburtina, appena arretrata rispetto all’odierna piazza Vittorio Emanuele. Sotto la chiesa, di medie dimensioni, che deve il suo aspetto all’edificio tardoromanico del 1238, rinnovato nel 1711 da Carlo Fontana, sono resti poco significativi di età imperiale e muri tardoantichi, non correlabili con certezza all’edificio di culto antico. Nelle vicinanze si trovava un grande ninfeo che segnava l’ingresso in città dell’acquedotto di Alessandro Severo, i cui ruderi monumentali, con il nome di Trofei di Mario, sono ancora oggi visibili al centro di piazza Vittorio Emanuele. Negli immediati dintorni erano il macellum Liviae, grande mercato della prima età imperiale, e una serie di residenze urbane del ceto senatorio. In un’area caratterizzata dunque da importanti edifici pubblici, ma anche da prestigiose ville urbane, il titulus Eusebii, ubicato nei pressi di un’importante arteria, era evidentemente destinato alla cura d’anime dell’operoso quar-

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Le prime chiese di Roma

Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

140. S. Prassede. Interno.

141. S. Prassede. Mosaico absidale, analogo a quello dei Ss. Cosma e Damiano: Cristo tra Pietro e Paolo, santa Pudenziana, santa Prassede, san Zenone e papa Pasquale i (817-824).

tiere. Insieme all’adiacente chiesa di S. Bibiana, alla grande basilica pontificia di S. Maria Maggiore, alla basilica Liberii, che doveva trovarsi tra il macellum Liviae e il forum Tauri tardoantico, e al titulus Aequitii, costruito poco più lontano ai margini del quartiere già in epoca costantiniana, il titulus Eusebii testimonia la fitta presenza già nel v secolo di edifici cristiani nei più popolosi quartieri di Roma. Al centro del soffitto barocco è un bellissimo affresco di Anton Raphael Mengs del 1759, con la Gloria di sant’Eusebio papa.

Titulus Praxedis (S. Prassede) La leggenda ricollega il titulus – che sorge a sud-est, non lontano da S. Maria Maggiore – a quello di S. Pudenziana, anch’esso alle pendici dell’Esquilino. Si dice che le due sante fossero sorelle, figlie del senatore Pudente, che aveva accolto Pietro nella propria casa60. Anche se si tratta di un accostamento successivo, che si sforza di chiarire l’identità originaria delle fondatrici attribuendo loro un ruolo nell’universo religioso dell’epoca attraverso una datazione alta della fondazione, si può concludere che la leggenda, nata nel vi secolo, conservi il ricordo di un’antica fondazione riconducibile al v, come confermano le fonti antiche. La chiesa è infatti testimoniata già nel v secolo nell’iscrizione funeraria dell’anno 491 di uno dei suoi presbiteri, proveniente dalla catacomba di Ippolito, e dalle sottoscrizioni del sinodo romano del 499, dove è menzionata come titulus Praxedis, probabilmente il nome della fondatrice61. Nelle sottoscrizioni del sinodo del 595 la fondatrice compare trasformata in santa, cui è dedicato il titulus sanctae Praxedis62. Per opera di papa Adriano i (772-796) la chiesa venne in seguito restaurata63. Papa Pasquale i (817-824), che prima di essere eletto era stato presbitero del titulus, fece costruire, come nota il Liber Pontificalis, una nuova chiesa non lontano dalla precedente che minacciava rovina, e la corredò di sontuosi mosaici nell’abside e nell’arco trionfale. La cappella dedicata al martire Zenone, decorata a mosaico, come riporta il Liber Pontificalis, fu aggiunta alla navata laterale nord, e destinata dal pontefice ad accogliere la sepoltura della madre Teodora64. L’odierna chiesa carolingia è situata sulla cima dell’Esquilino, 100 m a sud-est di S. Maria Maggiore, presso il

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clivus Suburanus, che conduce verso porta Tiburtina. Non è noto dove sorgesse l’edificio di v secolo, che stando al Liber Pontificalis non doveva comunque essere troppo lontano, anche se vi sono buoni motivi per supporre che fosse posto ai margini dell’importante arteria del clivus Suburanus, essendo le fondazioni cristiane delle origini per la maggior parte orientate sui principali assi stradali. Sorprende in ogni caso la vicinanza al titulus Aequitii, fondato almeno un secolo prima presso il clivus Suburanus, verso sud-ovest, a poco più di 100 m di distanza. Ciò fa ritenere che la chiesa antica dovette probabilmente sorgere già nel v secolo inoltrato, e che le funzioni rappresentative e devozionali vi prevalessero su quelle di cura d’anime, compiti ai quali dovette subentrare la grande basilica carolingia eretta da Pasquale i.

Già nella pianta della basilica, lunga oltre 41 m e larga 25, con transetto e colonnati architravati nella navata maggiore, si manifesta l’ambizione di emulare il modello delle grandi basiliche imperiali di S. Pietro e di S. Paolo, e la medesima ambizione è palese nei mosaici. Quello dell’arco absidale, con l’adorazione dell’agnello da parte dei ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse, appare una variante del mosaico in S. Paolo fuori le mura commissionato dall’imperatrice Galla Placidia e restaurato sotto il pontificato di Leone i (440-461). Il mosaico absidale, con Cristo tra le nubi apocalittiche e le martiri Prassede e Pudenziana che porgono le corone del martirio condotte da Pietro e da Paolo alla presenza di san Zenone e del papa fondatore, riprende la composizione del magnifico mosaico dei Ss. Cosma e Damiano

di oltre trecento anni più antico, modello di una serie di mosaici absidali delle chiese altomedievali di Roma. La cappella di S. Zenone, nella navata laterale destra, con pianta cruciforme e vano centrale voltato, un gioiello dell’arte del ix secolo, con la sua preziosa decorazione è altrettanto legata alla tradizione cristiana delle origini. Il mosaico della volta raffigura il busto di Cristo entro una ghirlanda trasportata da quattro angeli vestiti di bianco, mentre nelle lunette compaiono gli apostoli, i martiri e le sante Prassede, Pudenziana e Agnese con le corone del martirio offerte in dono, motivi che si incontrano continuamente nei mosaici cristiani delle origini. Lo sforzo di eguagliare i grandi modelli del passato emerge con chiarezza in un elemento secondario: l’antico architrave reimpiegato al di sopra dell’ingresso della cap-

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Le prime chiese di Roma

pella, dove si è cercato di integrare fedelmente a livello formale e stilistico l’ornamentazione antica nei punti di rottura laterali. La basilica, insieme ad altre di epoca carolingia come ad esempio S. Susanna, che sostituirono edifici di culto già vecchi di secoli, costituisce un esempio significativo del rinnovamento dell’edilizia religiosa romana. Il dominio ormai consolidato dei Franchi di Carlo Magno aveva portato sicurezza ai confini e ordine nei rapporti politici e sociali, tali da rendere possibile un tale rinnovamento. Si tratta di un fenomeno di notevoli dimensioni e qualità, che dal punto di vista progettuale s’indirizza verso i grandi modelli cristiani della tarda Antichità.

Titulus S. Priscae (S. Prisca) L’iscrizione sepolcrale65 di un presbitero della chiesa, proveniente da S. Paolo fuori le mura, e la sottoscrizione di un presbitero presente al sinodo del 49966 testimoniano che il titulus sull’Aventino già esisteva nel v secolo. Nell’alto Medioevo venne ripetutamente restaurato e rinnovato67. Poiché, sotto la chiesa medievale, nelle fasi edilizie tardoantiche che si sono sovrapposte alle strutture di età imperiale (con un mitreo) non si riconoscono tracce di una fase cristiana, la localizzazione in questo luogo del titulus del v secolo è problematica.

Capitolo nono

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo

Dopo trent’anni di regno, durante i quali nell’impero romano d’Occidente si erano ristabilite una certa pace e stabilità, Valentiniano iii fu assassinato a Roma nel 455. L’imperatore risiedeva per lo più a Ravenna, insieme alla madre Galla Placidia, ma anche a Roma, per periodi sempre più lunghi, sino a stabilirsi nell’antica capitale nel 440: in tal modo Roma recuperò parte del suo antico splendore di residenza imperiale. L’imperatrice promosse, attraverso papa Leone i (440-461), il restauro della basilica teodosiana di S. Paolo danneggiata da un incendio. Il sostegno del grande titulus di S. Pietro in Vincoli da parte del sovrano e della moglie Eudossia costituisce un ulteriore segno della munificenza imperiale. Grandi personalità come Sisto iii (432-440) e Leone i, che ricoprirono la dignità pontificia durante il regno di Valentiniano iii, consolidarono il ruolo del papato e il primato del vescovo di Roma nell’impero, rivaleggiando con l’autorità imperiale nel finanziare l’edilizia religiosa. A Roma l’architettura cristiana raggiunse in quest’epoca il suo apogeo, con esiti maturi e di grande equilibrio, come i tituli di S. Sabina e S. Pietro in Vincoli e la grande basilica di S. Maria Maggiore. La nuova catastrofe che si abbatté su Roma nel 455, con la conquista della città da parte dei Vandali guidati da Genserico, cui fecero seguito due settimane d’incendi e saccheggi, ferì profondamente la capitale. L’incertezza e l’instabilità della situazione dopo la morte di Valentiniano iii e del suo energico successore Maggiorano (457-461), aggravate dal rapido succedersi di sovrani inadeguati che governarono brevemente, indussero molte tra le famiglie più potenti e più ricche della classe senatoria a trasferirsi a Costantinopoli, una perdita che indebolì considerevolmente la città. La popolazione, che ancora nel iv secolo raggiungeva i 700.000 abitanti, diminuì sempre più, pur restando cospicua. Rimasero in uso strutture pubbliche come le

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grandi terme imperiali di Diocleziano e Costantino, per le quali si hanno attestazioni scritte ancora nel tardo v secolo1, e il Colosseo, fatto restaurare dai prefetti della città nel 435, 450 e 4842. A partire dal iv secolo i monumenti antichi e i templi, in quanto ornamenta urbis, vennero con sempre nuovi regolamenti tutelati e restaurati per legge. Solo degli edifici che non potevano più essere rinnovati fu consentito, con l’autorizzazione dei prefetti della città, l’abbattimento e il reimpiego dei materiali. Alla fine del v secolo si registra un progressivo decadimento dei complessi pubblici non più utilizzati, evidente nei quartieri residenziali, le cui domus e insulae, sul Celio e sull’Esquilino, vennero abbandonate già alla fine del iv secolo e sostituite da quartieri artigianali e piccole aziende agricole sparse. Gli edifici di nuova costruzione, modalità riservata essenzialmente a chiese e altre istituzioni ecclesiastiche quali monasteri, luoghi di pellegrinaggio e ospizi, poterono solo in parte sopperire a questo declino. Il potente capo dell’esercito d’Occidente, Flavio Ricimero, e il magister utriusque militiae Maggiorano, innalzato dalle sue stesse truppe al trono imperiale nel 457 e dimostratosi sovrano capace di riorganizzare l’amministrazione dell’impero, cercando di riconsolidare il controllo delle provincie galliche, iberiche e del Nord Africa, riuscirono a stabilizzare per alcuni anni la situazione nella parte occidentale dell’impero e soprattutto nella capitale. Risalgono probabilmente a quest’epoca il progetto, la pianificazione e la predisposizione dei materiali per uno straordinario edificio, la chiesa memoriale di S. Stefano Rotondo, ultima grande architettura dell’Antichità a Roma, avviata negli anni Sessanta del v secolo dal grande papa Leone i (440-461) con il sostegno imperiale. I continui lasciti testamentari e le donazioni alla Chiesa romana e ai suoi vescovi andarono ad alimentare un considerevole

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 142. S. Stefano Rotondo. Mitreo della caserma situato sotto la chiesa, affresco con la testa della luna, iii secolo. 143. S. Stefano Rotondo. Veduta da nord-est in una vecchia immagine.

patrimonio a disposizione dei papi e del clero per l’espansione delle istituzioni ecclesiastiche, per il sostentamento dei poveri e per la fondazione delle chiese. Nelle nuove fondazioni si manifesta gradualmente una progressiva riduzione delle dimensioni: gli edifici sono di norma più piccoli e meno sfarzosi rispetto a quelli della prima metà del secolo. D’ora in poi gli edifici in abbandono, sia che fossero sale di ricevimento di domus o ambienti pubblici del foro adatti ad essere riconvertiti in chiese, vengono riutilizzati con limitate modifiche costruttive, e ne viene mantenuto il corredo decorativo più prezioso, processo che proseguì sino al vi secolo inoltrato e ancora all’inizio del vii. La crescente importanza del culto dei martiri e dei santi favorì l’affermarsi del fenomeno della traslazione delle reliquie dalle necropoli extraurbane alle chiese cittadine, cosa che comportava spesso la modifica delle strutture preesistenti per il mutamento dei requisiti liturgici, subordinati alla connessione tra altare e reliquie. L’intensa ricerca delle reliquie dei martiri portò alla nascita in città di altre chiese, come appunto la monumentale S. Stefano Rotondo. Sin dagli inizi del vi secolo si cercò di creare una connessione tra altare eucaristico e tomba o reliquie dei martiri, direttamente sopra le catacombe, attraverso l’erezione di basiliche ad corpus, nelle quali il presbiterio e l’abside racchiudevano la tomba del martire. Ciò portò, tra vi e vii secolo, alla costruzione delle ultime fastose chiese romane sulle tombe dei santi più venerati, come S. Agnese sulla via Nomentana e S. Lorenzo sulla via Tiburtina, che sostituirono le basiliche a deambulatorio costantiniane, meta di pellegrini, accelerandone il declino. Accanto a queste, dal vii secolo la Chiesa istituì servizi di assistenza annessi o nei pressi di edifici ecclesiastici, le cosiddette diaconie, che sostituirono nella cura dei bisognosi l’annona, l’approvvigionamento alimentare cittadino per la popolazione indigente della capitale. Recenti ricerche hanno consentito di retrodatare la fondazione di una serie di edifici ecclesiastici, tradizionalmente ascritti all’alto Medioevo per le caratteristiche architettoniche e decorative, al periodo della dominazione bizantina, nella seconda metà del vi e nel vii secolo, sorti dunque in seguito alla riconquista della città nel 552 a opera dell’imperatore Giustiniano. Significativamente queste chiese, costruite non per iniziativa pontificia, ma dell’amministrazione bizantina, non sono ricordate nel Liber Pontificalis. S. Maria Antiqua, S. Maria in Domnica, S. Maria in Aquiro, S. Maria in via Lata, S. Maria in Cosmedin, S. Saba, S. Teodoro, tra le altre, sono chiese che, accanto alle fondazioni papali, arricchiscono sorprendentemente il quadro dell’attività edilizia ecclesiastica dopo la catastrofica guerra gotica (535-553):

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la loro dettagliata trattazione travalica peraltro i limiti cronologici imposti nell’ambito di questo studio.

S. Stephanus in Coelio Monte (S. Stefano Rotondo) Solo pochi anni dopo il secondo grande sacco che funestò Roma dopo la conquista da parte dei Vandali guidati da Genserico, venne costruita la chiesa di S. Stefano in Coelio Monte, uno degli edifici più originali e straordinari dell’età tardoantica. Si può definire questa chiesa come l’ultima grande architettura dell’Antichità, che per dimensioni e ambizioni si colloca accanto alle grandi basiliche imperiali, civili e cristiane. La chiesa sorge alla sommità del Celio, in posizione di spicco sull’antica via Caelimontana, l’attuale via di S. Stefano, che collegava i quartieri Laterano e Celio, e le sue sontuose residenze urbane, al Palatino. Secondo il Liber Pontificalis la chiesa fu consacrata da papa Simplicio (468-483), ma la cronaca pontificia non cita i nomi dei costruttori, né dei committenti3. È dedicata a santo Stefano protomartire, che aveva per primo patito il martirio a Gerusalemme, e il cui culto si era rapidamente diffuso in tutta l’ecumene a seguito del ritrovamento delle reliquie nel 415, come è documentato dalla testimonianza di sant’Agostino4. Anche Galla Placidia, madre di Valentiniano iii, aveva consacrato a Rimini una chiesa a santo Stefano, mentre già intorno alla metà del secolo la patrizia Demetria, della gens Anicia, per intervento di Leone i (440-461) aveva fatto costruire pochi anni dopo S. Stefano Rotondo una chiesa dedicata al martire in una sua proprietà, i cui resti sono stati portati in luce da scavi condotti nel xix secolo5. Se la chiesa di S. Stefano di Demetria, alle porte della città sulla via Latina, di cui ci si occuperà in seguito, aveva l’aspetto canonico di un edificio basilicale di culto cristiano, S. Stefano Rotondo si distingue per un impianto decisamente fastoso e inconsueto: uno spazio centrale a pianta circolare, del notevole diametro di 23,40 m, racchiuso da tre ambulacri, con quattro ambienti assiali incuneati nei due ambulacri più esterni. L’ambiente centrale, alto 25 m, presenta un colonnato formato da ventidue colonne architravate che reggono l’alto tamburo. I quattro segmenti del secondo ambulacro si aprono tra i bracci con un colonnato, formato da venti colonne architravate, sull’ambulacro interno e con un’apertura tripartita in ogni braccio, di modo da formare un ulteriore anello per consentire i movimenti attorno allo spazio centrale e l’accesso all’ambulacro interno. Il terzo, più esterno, consentiva attraverso due porte, disposte simmetricamente tra i bracci, l’accesso agli stessi e di qui al centro della chiesa, sia attraverso l’arco

colonnato pentapartito affacciato sull’ambulacro interno, sia lateralmente dal secondo ambulacro. Quello esterno fungeva perciò da corridoio, e i bracci da vestiboli per chi entrava nella chiesa. Non vi sono né facciata, né presbiterio, né abside a determinare l’orientamento dell’edificio, la cui planimetria è perfettamente simmetrica rispetto agli assi del cerchio di base. Questa fisionomia architettonica, insolita se non eccezionale, che non trova confronti e sembra frutto di un modello ideale disegnato a tavolino, ha indotto fin dal Rinascimento architetti, studiosi e storici dell’arte a ritenere che l’edificio fosse originariamente un tempio pagano dedicato a Fauno o a Bacco, o il tempio della consacrazione di Claudio, o che corrispondesse al macellum Neronis, da ricercare proprio nelle vicinanze, o ancora, come si è recentemente proposto, che si trattasse di un’aula palaziale tardoantica. Si tratta di considerazioni fuorvianti: per quanto insolita possa apparirne la fisionomia, l’edificio nacque come chiesa cristiana. La diafana struttura spaziale, scandita in profondità e articolata in bracci di croce, che all’esterno si caratterizza per la graduazione dei corpi di fabbrica rispetto al prevalente centro, unisce le caratteristiche della pianta cruciforme e di quella centrale. Entrambi i tipi – quello a pianta centrale con nucleo e ambulacri, e quello cruciforme – furono creati nell’ambito dell’edilizia cristiana di età costantiniana per gli edifici di culto, a partire dalle premesse dell’architettura di età imperiale, per rispondere a esigenze

liturgiche. L’Anastasis costantiniana e il mausoleo di Costanza costituiscono due esempi di edificio circolare a deambulatorio. La chiesa costantinopolitana degli Apostoli, fondata da Costantino e non più conservata, era probabilmente un edificio a pianta cruciforme, come quella fondata nel 382 a Milano da Ambrogio, l’attuale chiesa di S. Nazaro. Tale fisionomia architettonica alludeva al simbolo della croce come segno di redenzione, secondo quanto dichiara lo stesso vescovo nell’iscrizione di fondazione6. S. Stefano Rotondo, in quanto chiesa costruita in memoria del protomartire, riprende probabilmente la stessa tradizione. L’impianto cruciforme è qui intenzionalmente scelto per il suo valore simbolico, e viene collegato alla pianta centrale per conferire all’edificio una significativa e prestigiosa fisionomia architettonica. Le singolari finestre a croce nei muri esterni dei bracci, insieme alle imposte delle colonne nelle arcate dei bracci, decorate con motivi a croce, e il monogramma di Cristo sui capitelli del colonnato centrale costituiscono un’ulteriore, evidente prova che S. Stefano Rotondo fosse sin dall’origine un luogo di culto cristiano. Oggi S. Stefano è ridotto al solo ambiente centrale e all’ambulacro interno, poiché già nel Medioevo il giro più esterno e i bracci a croce furono abbandonati, ad eccezione di quello nordoccidentale. La chiesa è stata costruita sulla caserma dei corpi speciali dei peregrini e dei frumentarii, che svolgevano funzioni

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

144, 145. S. Stefano Rotondo. Il nucleo dell’edificio conservato, con la parte centrale e il primo ambulacro. A destra, sul lato nord-est, il braccio di croce mantenuto ancora nell’originario secondo ambulacro. In alto, il monastero del xvi secolo. Veduta da ovest.

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 146. S. Stefano Rotondo. Scorcio dal braccio di croce nordorientale verso l’interno.

147. S. Stefano Rotondo. Veduta dell’interno verso sud. Al centro, le antiche colonne monumentali dell’arcata di sostegno del xiii secolo e le transenne dell’altare, del xvi secolo.

di staffetta, servizi d’informazione e di vettovagliamento. Come la basilica del Laterano, che dista neppure 700 m, S. Stefano fu dunque eretta sopra una caserma della guardia, ancora funzionante alla fine del iv secolo, poiché nella seconda metà di esso vi fu incarcerato il re alemanno Cnodomaro, sconfitto nella battaglia di Strasburgo del 357 dall’imperatore Giuliano, come ci riferisce lo storico Ammiano Marcellino7. Un’ulteriore conferma che la caserma fosse ancora in funzione in un’epoca così avanzata è fornita dal santuario che vi venne ricavato per il culto di Mithra, divinità solare venerata in particolare dai membri dell’esercito. Il luogo di culto, che ha restituito iscrizioni dedicatorie riferibili a ufficiali della caserma, fu decorato con pitture ancora alla fine del iv secolo. Se quindi la chiesa di S. Stefano, dopo l’abbandono di questa come di tutte le caserme dell’esercito a Roma, andò a occupare nel v secolo una proprietà del fiscus, ciò poté verificarsi solo, come già all’incirca un secolo prima nel caso del Laterano, grazie all’autorizzazione dell’imperatore o di un suo rappresentante. A parte il Laterano, questa procedura è nota anche in altri casi. Così ad esempio nel vi secolo papa Felice iii (526-530) poté

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Alle pagine seguenti: 148. S. Stefano Rotondo. Panoramica dell’interno, da sud. Sulla destra si vede l’arcata centrale di sostegno di età medievale, vista da sud-est.

costruire la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano in un edificio del forum Pacis con l’avallo di re Teoderico, rappresentante dell’imperatore di Costantinopoli. Lo stesso accadde per la trasformazione del Pantheon, ceduto nel 608 dall’imperatore Foca a papa Bonifacio iv (608-615) e convertito in chiesa. Anche nel caso di S. Stefano Rotondo si deve quindi supporre che la costruzione sia stata promossa dall’imperatore stesso, mediante la cessione del terreno alla Chiesa. La prestigiosa fisionomia e le dimensioni stesse – 65 m di diametro, 23 nella parte centrale –, paragonabili a quelle delle basiliche imperiali, rendono molto probabile un finanziamento diretto da parte dell’imperatore per l’edificio, certamente un’impresa eccezionale, realizzabile solo con un particolare investimento di risorse. Scavi e indagini condotti di recente nell’area delle fondazioni hanno portato alla luce, nel riempimento della fossa di fondazione del secondo colonnato, tre monete dell’imperatore Libio Severo (461-465). Le monete, individuate stratigraficamente, attestano che la costruzione della chiesa fu avviata all’inizio del settimo decennio del v secolo. L’indagine

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Le prime chiese di Roma

dendrocronologica delle travi lignee della cortina muraria del braccio nord-est ne data la posa alla metà degli anni Sessanta del secolo: la chiesa fu quindi certamente completata entro la fine del decennio, dato che collima con la sua consacrazione, riferita dal Liber Pontificalis al pontificato di Simplicio (468-483). Chi può avere fondato questo ambizioso edificio e concepito lo straordinario progetto? Libio Severo fu imperatore per brevissimo tempo, una marionetta nelle mani del generale Flavio Ricimero, che lo aveva messo sul trono. La costruzione di S. Stefano Rotondo, che per dimensioni e sfarzo non ha alcunché da invidiare alla grande basilica pontificia di S. Maria Maggiore, dovette essere progettata negli anni Cinquanta del secolo e predisposta attraverso la concessione del terreno e il reperimento di pregiati materiali edilizi, fusti di colonne, capitelli e marmi, finanziati, in questi grandi edifici promossi dall’imperatore, direttamente dall’autorità statale, governatori e prefetti. La basilica del Laterano, fondata da Costantino, e quella teodosiana di S. Paolo ne costituiscono un esempio. È probabile che l’artefice del progetto sia da identificare in papa Leone i (440-461), che con il sostegno di Galla Placidia, già finanziatrice dei restauri di S. Paolo, o del figlio Valentiniano iii, promotore in città della basilica degli Apostoli, o del suo energico successore Maggiorano (457-461), dispose i preparativi per la costruzione e per la fornitura di ampie partite di materiali. La fisionomia architettonica, complessa e inconsueta, offre una cornice spaziale eterogenea, diafana, gerarchicamente organizzata, particolarmente varia e di grande impatto visivo, che conferisce a S. Stefano suggestiva monumentalità, impressionante ancora per i visitatori dell’edificio attuale, che pure dal

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Chiese della seconda metà del v e del vi secolo

xii secolo è ridotto al solo spazio centrale e al deambulatorio immediatamente adiacente. Gli scavi effettuati all’esterno della chiesa hanno individuato un sistema di canalizzazione che correva a ridosso dei muri perimetrali e serviva a far defluire l’acqua piovana dagli ambienti posti tra i bracci della croce. Se ne deve dedurre che questi spazi dovessero essere concepiti come cortili. Dal momento che si aprivano per tutta la larghezza sull’interno della chiesa mediante una serie di arcate su colonne ed erano collegati da triplici arcate ai bracci di croce, l’interno doveva essere vivamente illuminato, tanto più che anche il tamburo era forato da ventidue grandi finestre. La presenza di ampi cortili lo esponeva tuttavia alle intemperie, così che anche nel dies natalis, la festa del santo che si celebrava il 26 dicembre, quando l’intera comunità presieduta dal papa si riuniva in chiesa per la celebrazione eucaristica, è difficile che tali spazi potessero essere utilizzati. Il rinvenimento nei cortili di una fascia irregolarmente inserita nella parete sopra le arcate, sulla quale s’innestano tubi fittili leggermente incurvati inseriti l’uno nell’altro, suggerisce l’adozione di una volta in tubuli, tecnica ampiamente diffusa nell’età tardoantica. Molte volte absidali di chiese romane delle origini sono realizzate con questa tecnica, come le cupole in S. Lorenzo a Milano, della fine del iv secolo, e a Ravenna nel battistero della cattedrale nel v e in S. Vitale nel vi secolo. Queste volte non esercitano sollecitazioni centrifughe e non necessitano quindi di murature di rinforzo o contrafforti. La risega nel tamburo, che funziona come appoggio per la cupola all’altezza dell’innesto degli archi delle finestre, lascia intendere che anche l’ambiente centrale, così come negli edifici ravennati già ricordati, fosse coperto da una cupola in tubi fittili, concepi-

ta fin dall’inizio. L’ipotesi restituirebbe al tamburo proporzioni appropriate e sottrarrebbe la fascia muraria al di sopra delle finestre: in questo modo l’interno risulterebbe illuminato omogeneamente dalla luce proveniente dalle finestre sotto la cupola e riverberata dalla volta. Anche le porte nei muri esterni dei segmenti intermedi vennero chiuse nella stessa fase, a eccezione delle due che fiancheggiano il braccio nordorientale, che consentivano l’accesso alla chiesa; quella a nord è tuttora utilizzata come ingresso. Mentre si può supporre che la cupola sia stata inserita sin dall’inizio insieme all’armatura lignea prevista per il tamburo, non è noto quando furono realizzati gli altri interventi. Il progetto originario, con l’alternarsi di cortili luminosi e ambienti coperti e ombreggiati separati da file di colonne, fu modificato in modo permanente in seguito a tali interventi. Alcune iscrizioni, trascritte in età medievale, possono fornire un aggancio cronologico per datare la copertura in tubi fittili del secondo ambulacro, poiché riferiscono che i papi Giovanni i (523-526) e Felice iii (526-530) dotarono la chiesa di incrostazioni in opus sectile e di mosaici, completando dunque l’apparato decorativo. Ciò rispecchiava l’ambiziosa fisionomia architettonica: ovunque nell’edificio si rinvengono resti del rivestimento parietale in marmi policromi e i perni predisposti per fissare le lastre. Secondo un disegno di Baldassarre Peruzzi, anche la fascia di parete al di sotto delle finestre del tamburo possedeva una decorazione marmorea, in cui si riconosce il consueto sistema decorativo costituito da lastre rettangolari disposte verticalmente e incorniciate da paraste e fasce marmoree. Anche in questo caso a un rivestimento parietale rilucente e policromo corrispondono

nel cleristorio grandi finestre che assicuravano un’adeguata illuminazione, come negli altri edifici religiosi e civili del v secolo. Il medesimo schema è documentato anche nei bracci di croce. I pavimenti erano nondimeno per la maggior parte rivestiti di lastre marmoree. Mentre sussistono indizi per affermare che nell’ambiente centrale erano state posate lastre di marmo bianco, il pavimento del deambulatorio era composto da un disegno di quadrati policromi concentrici, incorniciati da ampie fasce spaziate di marmo bianco che sottolineavano la struttura dell’edificio. Il pavimento moderno, esito degli ultimi restauri, cerca di restituire, sulla scorta dei pochi resti originali, l’antica struttura, con risultati tuttavia non convincenti. Mentre il pavimento dell’ambulacro ripropone uno schema decorativo tipicamente romano, nell’unico braccio nordorientale conservato si sono potuti portare alla luce i resti di un insolito pavimento a lastre di marmi policromi, risalente all’epoca di costruzione della chiesa. Questo rivestimento pavimentale, di estrema sontuosità, mai attestato prima d’ora in questa struttura, è stato oggetto di restauro, ed è ancora oggi una testimonianza unica dello splendore dell’architettura tardoantica e dell’edilizia paleocristiana a Roma. La decorazione non è caratterizzata, come nel Pantheon e nella maggior parte delle pavimentazioni di età imperiale e tardoantica, dalla ripetizione di motivi alternati, bensì dispiegata su tre ampi registri di diverse proporzioni e si compone di quadrati di sfumature e dimensioni graduate, il tutto racchiuso entro cornici in marmo bianco. Nel registro intermedio, una cornice composta di lastre in marmo cipollino larghe 90 cm racchiude due quadrati riempiti da tondi in porfido, da lastre policrome e da una cornice cruciforme di colori

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 149. Santo Stefano Rotondo. Veduta verso sud dell’ambulacro dal braccio di croce nordorientale.

150. S. Stefano Rotondo. Interno. Veduta del colonnato del braccio di croce nordorientale dall’ambulacro.

Alle pagine seguenti: 151. S. Stefano Rotondo. Braccio di croce nordorientale, pavimento marmoreo restaurato, v secolo. 152. S. Stefano Rotondo. Braccio di croce nordorientale con il pavimento marmoreo del v secolo restaurato e l’abside mosaicata aggiunta da papa Teodoro i (642-649).

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Capitolo primo

sfumati. Per questa decorazione non si badò a spese; nel pavimento sono presenti le più importanti varietà di marmo dell’area mediterranea utilizzate in età imperiale, talvolta in lastre insolitamente grandi: è evidente la ricerca di un apparato decorativo fastoso e fortemente simbolico. Le ricerche hanno permesso di identificare un rivestimento simile nella zona dell’ex braccio nordoccidentale, sotto il pavimento della biblioteca del convento femminile attiguo alla chiesa. In uno degli ambienti interni del secondo ambulacro, a est del braccio di croce superstite, i lavori di restauro hanno portato alla luce un mosaico di grossolani cubetti policromi irregolari, qua e là intercalati da frammenti marmorei più grandi. Un’ampia fascia in marmo bianco forma al centro un rettangolo. Possiamo così avere un’idea complessiva del sistema decorativo pavimentale della chiesa. La varietà dei materiali e dei decori nei pavimenti sottolinea la contrapposizione degli ambienti: quelli dell’ambulacro esterno sono gerarchicamente subordinati attraverso la pavimentazione a mosaico, mentre il deambulatorio interno, in quanto spazio di passaggio, presenta un disegno

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

tradizionale. Lo spazio centrale è destinato all’altare, e i bracci di croce sono sottolineati dal rivestimento in marmo bianco. L’ambiente centrale era tagliato da nord a sud da una solea, un passaggio transennato che veniva percorso solennemente dal vescovo con il suo seguito in occasione delle festività liturgiche. Due ali laterali delimitavano lo spazio dell’altare situato nella parte sud del nucleo centrale: di quest’ultimo e dell’ambulacro la comunità dei fedeli poteva dunque vedere solo una parte. La datazione del recinto non è certa, ma la sua forma, simile a quella della solea della basilica del Laterano, suggerisce che debba collocarsi nel periodo della costruzione della chiesa. Un elemento importante per la comprensione dell’edificio e per l’architettura tardoantica è la decorazione architettonica, il cui impiego rappresenta una fondamentale mutazione nella tradizionale percezione dell’architettura imperiale. L’unica parte appositamente predisposta è costituita dai ventidue blocchi dell’architrave, in marmo proconnesio, che raccordano gli intercolumni tra le ventidue colonne dell’invaso centrale. I blocchi hanno lunghezze e altezze molto diverse, mentre la curvatura

e i profili delle modanature sono eseguiti in modo disinvolto e irregolare, così come quelli degli stessi blocchi, lisci e poco aggettanti, a differenza degli architravi di età imperiale. Produrre questi blocchi e adattarli al perimetro circolare doveva essere senza dubbio un impegno costoso. Ancor più sorprendente il fatto che il trattamento tecnico e la rifinitura degli apparati siano piuttosto corsivi: la mancanza di competenze tecniche e una sorta di incomprensione dell’impianto formale hanno generato questa sommaria lavorazione, in cui si riconosce una nuova prospettiva nella valutazione degli elementi tradizionali della decorazione architettonica, che perde il primato raggiunto con l’architettura classica. Le venti colonne del giro esterno e le ventidue di quello interno presentano capitelli ionici tardoantichi, del tardo iv secolo o dell’inizio del v. Soltanto nelle arcate del braccio nordorientale e di quello sudoccidentale sono inseriti capitelli classici di spoglio: grandi capitelli a foglie lisce del ii secolo a nord-est, capitelli corinzi dell’età antonina, simili a quelli in S. Sabina, a sud-ovest. L’edificio a pianta circolare, e dunque privo di orien-

tamento, acquisisce così una sottolineatura dell’asse liturgico attraverso l’impiego di preziosi materiali di spoglio. Probabilmente erano avanzate quattro colonne destinate a S. Sabina con i relativi capitelli, che furono poi utilizzati in S. Stefano. I ventidue capitelli ionici dell’anello colonnato interno appartengono alla produzione romana coeva, probabilmente di inizio secolo, e sono in parte ricavati da blocchi di spoglio. Mostrano un accentuato appiattimento e indurimento delle forme, ben superiore al capitello ionico del 390 proveniente dalla basilica di S. Paolo. Diciannove di essi, pur diversi nei volumi e nelle proporzioni, sono omogenei per forma e fattura. I tre restanti pezzi sono simili, ma lavorati in modo più ricco e raffinato. Se ne deduce che i capitelli non furono lavorati appositamente per la chiesa, ma attinti probabilmente da scorte di magazzino. Nell’anello esterno si manifesta un’analoga disinvoltura di accostamenti. Nelle arcate del braccio nordoccidentale sono stati inseriti capitelli prodotti nelle officine delle cave dell’isola di Taso, nell’Egeo. I nomi dei mercanti incisi sugli abachi dei capitelli mostrano che furono acquistati sul mercato o recuperati

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo

153, 154. S. Stefano Rotondo. Braccio di croce nordorientale, particolari del pavimento marmoreo del v secolo.

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 155. S. Stefano Rotondo. Deambulatorio del settore diagonale orientale, pavimento in marmi policromi, v secolo. 156. S. Stefano Rotondo. Mosaico absidale di papa Teodoro i (642-649) con la croce gemmata, il busto di Cristo e i santi Primo e Feliciano sul prato del Paradiso.

da scorte di magazzino. Negli altri settori del colonnato esterno sono distribuiti in maniera casuale capitelli provenienti dal Proconneso e dalla Grecia. Probabilmente era difficile mettere insieme una fornitura unitaria e ci si dovette accontentare di gruppi di quattro o più capitelli, reperibili nei magazzini o depositi. È da notare che questo materiale, già di per sé eterogeneo, solo in parte fu collocato secondo un ordine coerente. Nelle arcate dei bracci furono inseriti pezzi dello stesso tipo ma diversi fra loro nelle forme particolari, mentre nelle arcate del secondo ambulacro i capitelli furono inseriti senza alcun criterio; lo stesso si può osservare per le basi. Nell’anello interno sono utilizzati pezzi attici e ionici, tardoantichi e di età imperiale, senza alcun ordine né riguardo per le differenze dimensionali. Questi dati, che segnalano una stupefacente trascuratezza esecutiva e una sorprendente disinvoltura nell’impiego della decorazione architettonica, appaiono in totale contrasto con il raffinato e originale schema dell’edificio e con il prezioso cor-

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redo ornamentale. Gli elementi tradizionali della decorazione architettonica hanno perso la loro ancestrale posizione, la loro importanza. Uniformità e qualità formale non contano più, i pezzi lavorati diventano elementi del tutto secondari all’interno del tradizionale colonnato, che ha un ruolo sostanziale nell’articolazione della fisionomia interna, influenzando l’architettura in maniera decisiva. Nel vii secolo papa Teodoro i (642-649), originario di Gerusalemme, fece traslare a S. Stefano le reliquie dei martiri Primo e Feliciano, che si trovavano nelle catacombe di S. Alessandro sulla via Nomentana. L’accoglienza di queste reliquie documenta una delle prime traslazioni dai cimiteri extraurbani in una chiesa della città, ampiamente in uso dal vi secolo. Allo scopo di fornire una cornice architettonica adeguata, nel gusto dell’epoca, alle reliquie dei due martiri, papa Teodoro fece aprire un’abside nella parete del braccio nordorientale, e la fece rivestire di un mosaico con al centro la croce trionfale tempestata di gem-

me e coronata da un busto di Cristo. Ai lati, sul fondo dorato, compaiono i due santi titolari, in piedi su una striscia di prato fiorito che simboleggia il Paradiso. Si tratta di un’immagine sorprendente nel suo astratto simbolismo, che nell’economia degli elementi figurativi e nella sostituzione della figura di Cristo con la croce apre nuove strade, ricordando le composizioni musive dell’Oriente cristiano di un secolo più tardi, all’inizio dell’età dell’iconoclastia, in cui si evita di raffigurare Cristo e i santi e ci si limita a rappresentare la croce come simbolo di vittoria. Con la sua scarna impaginazione, priva di qualunque elemento accessorio, questo mosaico ricorda – nel limitato numero di persone rappresentate e nella piattezza delle figure – il mosaico absidale di S. Agnese, con i suoi contorni semplificati e la linearità dei panneggi. S. Stefano Rotondo non era una chiesa parrocchiale, bensì un prestigioso santuario commemorativo, privo di un clero proprio, la cui fondazione è da ricondursi all’iniziativa diretta

del papa e la cui costruzione fu resa possibile e anzi promossa dall’imperatore stesso: forse all’origine della fondazione è una reliquia del protomartire Stefano. In quanto chiesa stazionale, in cui nella festività del santo titolare la comunità cristiana della città si riuniva insieme al suo vescovo, era dimensionata, come S. Maria Maggiore, in modo da poter accogliere un gran numero di fedeli. La sua fisionomia insolita e raffinata e l’ubicazione sul Celio, al di sopra della ex caserma, le conferivano una posizione di spicco. In modo analogo alla fondazione papale di S. Maria Maggiore, essa monumentalizza una zona in declino del tessuto urbano, conferendole nuova importanza e contribuendo in modo sostanziale all’immagine cristiana di Roma, a cui, in quanto antica capitale, spettava il ruolo di avamposto del cristianesimo, rivendicato dal papa. L’imponente architettura ad archi, in cui colonne e capitelli monumentali assicurano staticità al tamburo, si deve al restauro

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 157. S. Stefano Rotondo. Mosaico absidale di papa Teodoro i (642-649): san Primo.

Alle pagine seguenti: 158. S. Balbina. Interno. 159. S. Balbina. L’antica aula convertita in chiesa.

operato sotto papa Innocenzo ii (1130-1143), che portò a una contrazione degli spazi all’ambiente centrale e al primo ambulacro. Il restauro, affidato nel 1453 da papa Niccolò v (1447-1455) all’architetto Rossellino, su progetto di Leon Battista Alberti, è testimoniato dal vestibolo d’ingresso con soffitto voltato e dai bellissimi stipiti delle porte. Il Pomarancio e i suoi collaboratori furono incaricati nel 1580 dal rettore del Collegio Germanico-Ungarico, il collegio del seminario pontificio tedesco-ungherese che appartiene tuttora alla Chiesa, di istoriare l’edificio con pitture ispirate alle leggendarie vicende del martire sotto l’impero romano e che dal xix secolo suscitano ribrezzo nei visitatori più sensibili: concepite nel clima della Controriforma gesuitica e della riscoperta del martirio, queste pitture ci riportano all’origine della chiesa dedicata al protomartire, il primo martire, Stefano, e alla credenza paleocristiana nell’alto valore del martirio come segno di fede.

Ss. Philippus et Iacobus (Ss. Apostoli) Attorno alla metà del v secolo, si configura l’ordinamento delle stazioni liturgiche romane, che distingueva certe chiese cittadine nonché certe chiese cimiteriali extraurbane che raccoglievano la comunità sotto la guida del vescovo, in particolare durante il periodo pasquale, in precise festività liturgiche; tra queste figura la chiesa consacrata ai due apostoli, che quindi fu eretta già nel corso di questo secolo al posto della basilica Iulii iuxta forum Traiani, di fondazione papale, data alle fiamme durante il sacco di Roma di Alarico nel 410, come suggeriscono anche i toponimi, identici. La dedicazione ai due apostoli deve essere stata avallata dalla traslazione delle reliquie. Secondo il Liber Pontificalis, tuttavia, la costruzione della chiesa fu iniziata solo sotto papa Pelagio i (556-561) e condotta a termine da papa Giovanni iii (561-574)8; più probabilmente, sotto questi papi la chiesa fu interamente rinnovata. Dell’epoca precedente il restauro completo sotto Martino v (1417-1431) e Sisto iv (1471-1484) abbiamo alcune descrizioni, dalle quali comunque non si evince una precisa immagine dell’aspetto della chiesa. Alcuni resti poco significativi di murature sotto l’odierna chiesa, nuovamente restaurata tra 1702 e 1708, non sono attribuibili con certezza all’edificio antico, e non forniscono pertanto ulteriori indizi. Di questo ci è giunto solo un grande vaso marmoreo biansato di età imperiale usato come kantharos

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nell’atrio, come quello antistante l’atrio di S. Cecilia in Trastevere. Il reperto è oggi collocato, fra alti cipressi, nella pittoresca cornice del giardino del Museo delle Terme.

S. Bibiana La chiesa di S. Bibiana presso il palazzo di Licinio, basilica intra urbe Roma iuxta palatium Licinianum beatae martyris Bibiane, che secondo il Liber Pontificalis fu consacrata da papa Simplicio (468-483), è situata oggi, un poco appartata, immediatamente accanto ai binari ferroviari, a soli 400 m dall’edificio della stazione Termini, in via Giolitti9. Non è noto chi sia il fondatore della chiesa, eretta verosimilmente nel terzo quarto del v secolo. In epoca imperiale questa zona dell’Esquilino era occupata da vasti giardini e parchi, inizialmente proprietà di famiglie del patriziato romano. Mecenate (C. Cilnius Maecenas), uomo di Stato e consigliere di Augusto, possedeva qui una grande villa, passata più tardi a far parte del patrimonio imperiale. Insieme ad altre proprietà come gli horti Liciniani, così chiamati dal nome dell’imperatore Licinio Gallieno (253-268), nella tarda Antichità costituiva un grande complesso di parchi e residenze che si estendeva lungo le mura della città dall’area dell’odierna stazione Termini fino al palatium Sessorianum a sud. Nel iv secolo tutta l’area apparteneva alla dinastia costantiniana. Come abbiamo già visto, nel palatium Sessorianum, nell’area sudorientale delle mura Aureliane, Costantino fece ricavare la chiesa di S. Croce in Gerusalemme. A tale complesso appartiene anche un grande edificio a pianta centrale, di audace impaginazione architettonica, soprannominato tempio di Minerva Medica, i cui suggestivi ruderi spiccano ancora oggi immediatamente accanto alla ferrovia, nemmeno 200 m a est della chiesa di S. Bibiana, e che fu probabilmente eretto in epoca costantiniana come sontuosa aula con ninfeo. Un grande mosaico tardoantico con scene di caccia risalente alla seconda metà del iv secolo, ritrovato durante la posa dei binari accanto alla chiesa nella zona del sottopassaggio stradale e oggi conservato nella Centrale Montemartini sulla via Ostiense, deve essere probabilmente riferito appunto a questo palazzo imperiale del iv secolo. Situata su una diramazione della via Tiburtina nelle vicinanze del tardoantico forum Tauri, la chiesa ha probabilmente occupato edifici precedenti nelle immediate vicinanze del palazzo reale, ubicazione ricordata anche nel Liber Pontificalis10. Come la vicina chiesa di S. Eusebio, che sorge su un’altra diramazione urbana della via Tiburtina, questa fondazione aveva in apparenza lo scopo di fiancheggiare il percorso che conduceva in città con

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Le prime chiese di Roma

una serie di edifici di culto cristiani. Non sorprende quindi che fin dal primo Medioevo S. Bibiana divenisse un’importante stazione di pellegrinaggio, dopo che papa Leone ii (682-683) vi fece trasferire alcune reliquie di martiri sepolti nelle catacombe della via Portuense, tra cui quelle di santa Generosa, cui sotto papa Damaso (366-384) era stata qui dedicata una basilica cimiteriale. L’antico edificio a tre navate, di modeste dimensioni, orientato con l’abside a sud, si mantiene ancora sotto la veste barocca che, dopo il restauro di papa Onorio iii (1216-1227), le è stata attribuita dal rifacimento del giovane Bernini, all’inizio della sua carriera da architetto, 1624-1626. In questo restauro furono aggiunte ex novo la facciata e soprattutto le absidi rettangolari, e le finestre della navata centrale vennero chiuse. Su ogni lato, quattro colonne coronate da due capitelli compositi di età imperiale, due capitelli compositi tardoantichi a foglie lisce e due corinzi, sono riprese dalla chiesa paleocristiana, come pure la parete superiore del cleristorio, come indica la tecnica in laterizio, sostenuta da un finto architrave con archi di scarico ribassati, portati alla luce al di sopra delle colonne dopo gli ultimi restauri. La navata mediana corrisponde quindi, a eccezione delle finestre, aggiunte successivamente, all’antico edificio. È interessante l’impiego, in mancanza di pezzi adeguati, dell’architrave come elemento architettonico, espediente qui consentito dalle dimensioni relativamente ridotte dell’edificio. Si tratta quindi più di una soluzione tradizionale, dettata da ragioni tecniche, che di una scelta essenzialmente estetica, ispirata a un ritorno classicistico a forme più antiche.

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

Un disegno conservato in un manoscritto vaticano che raffigura papa Simplicio (468-483) restituisce probabilmente un frammento del mosaico absidale oggi perduto, anche se l’artista barocco ha tradotto in forme coeve la figura del pontefice. Il mosaico absidale doveva raffigurare sul margine sinistro, accanto alla figura centrale di Cristo, attorniato da santi e apostoli, il papa, fondatore della chiesa.

Titulus sanctae Balbinae (S. Balbina) La chiesa di S. Balbina sorge nella zona meridionale della città, sul cosiddetto Piccolo Aventino, ai margini del colle e sovrastante le terme di Caracalla. È menzionata per la prima volta come titulus sanctae Balbinae negli atti del sinodo romano del 59511. Discussa resta la sua identificazione con il titulus Tigridae, citato soltanto nelle sottoscrizioni dei partecipanti al sinodo del 499, ma altrimenti sconosciuto12. La chiesa è stata dedicata a santa Balbina nel vi secolo, in seguito alla traslazione delle reliquie dal cimitero di Balbina, tra la via Ardeatina e la via Appia, il cui tratto urbano corre sotto la chiesa presso le terme di Caracalla. L’area cimiteriale porta il nome della proprietaria, una certa Balbina, successivamente santificata13. La chiesa è stata ricavata all’interno di una grande aula absidata a navata unica, lunga 20 m e larga 11, appartenente a

una vasta domus più antica, che viene identificata con la residenza urbana di L. Fabius Cilo, console e praefectus urbi sotto Settimio Severo, di cui si conservano ancora notevoli resti all’interno dell’antico monastero attiguo alla chiesa. L’ubicazione della villa urbana in questo luogo è confermata da vari documenti, tra cui un frammento della pianta della città di età severiana, basi di statue con iscrizioni e alcuni tubi in piombo appartenenti al sistema idrico recanti il nome di Cilone14. Cospicui ritrovamenti di marmi nell’area lasciano dedurre che la villa dovette essere lussuosamente decorata. Essa conobbe in epoca imperiale varie fasi costruttive e ancora a metà del iv secolo subì un ultimo intervento, cui appartiene la grande aula absidata. Possiamo presumere che l’aula sia stata trasformata in chiesa ancora nel v secolo, altrimenti difficilmente si sarebbe conservata così bene. Prenderebbe così consistenza l’identificazione con il titulus Tigridae. L’aula ha fondazioni in opus listatum, ma alzati in laterizio. L’abside, posta a ovest lungo l’asse longitudinale, ha una piccola nicchia semicircolare, ed è forata da tre grandi finestre. All’interno delle mura del piano terreno sono ricavate sei nicchie alte e profonde, alternatamente semicircolari e rettangolari, che dovevano accogliere statue. Le fondazioni dei pilastri tra le nicchie presentano un aggetto evidente, forse destinato a un colonnato a sostegno di una trabeazione sopra le nicchie. Nella parete superiore, arretrata, si aprono sei grandi finestre, una sopra ogni nicchia, di 2,2 x 3,9 m. La porzione muraria tra le finestre, che all’esterno assume l’aspetto di una parasta, è

larga appena 1,60 m, ed è dunque considerevolmente più stretta rispetto alle luci delle finestre. Nella focalizzazione sull’abside, nell’allargamento del vano interno mediante nicchie e nella riduzione del muro del piano finestrato con l’inserimento di grandi finestre, l’aula si avvicina in un certo senso allo schema basilicale. Si tratta di una struttura a pianta centrale con cupola voltata, già prefigurata nel mausoleo costantiniano di Tor Pignattara. L’audace riduzione della fascia muraria superiore del corpo longitudinale e anche dell’abside, mediante aperture molto grandi che dovevano riempire l’interno di luce, mostra che qui, nell’aula del iv secolo, si concretizzano già soluzioni simili a quelle che si ritroveranno più tardi, nel v secolo avanzato, nelle grandi chiese dell’epoca di Sisto iii, in S. Sabina e in S. Maria Maggiore. L’abbondanza dell’illuminazione doveva probabilmente valorizzare il prezioso corredo decorativo in marmi policromi, e in parte a mosaico nelle volte, che rivestiva quest’aula profana, creando nel suo ricco splendore un effetto assai suggestivo. Le chiese paleocristiane, soprattutto le creazioni mature sorte nella prima metà del v secolo durante il pontificato di Sisto iii, si collocano per struttura e decorazione all’interno della tradizione caratteristica dell’architettura tardoantica. Possiamo ipotizzare che non solo la fisionomia dell’aula del iv secolo, ma anche il fasto dei preziosi rivestimenti parietali la qualificassero, analogamente ad altre, come chiesa, senza sostanziali cambiamenti nella struttura: uniche aggiunte, una nuova facciata e il vestibolo, sulle cui fondazioni sorge l’odierno edificio.

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Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 160, 161. S. Andrea Cata Barbara. Due particolari del rivestimento marmoreo dell’aula antica, iv secolo.

Secondo le descrizioni settecentesche, l’abside fu inoltre decorata con un mosaico raffigurante Cristo, probabilmente accompagnato dagli apostoli, pur se questi non figurano in dette descrizioni. In modo analogo si procedette anche nella realizzazione del corredo decorativo della chiesa di S. Andrea Cata Barbara, ricavata in un’aula della residenza urbana dei Bassi. Le transenne altomedievali, di cui si sono ritrovati frammenti all’interno della chiesa, dovettero certamente sostituirne altre più antiche, poste a recinzione del presbiterio. L’odierna decorazione musiva del corridoio centrale è stata realizzata con parti di mosaici pavimentali provenienti dai mausolei imperiali vicini alle terme di Caracalla, durante i restauri del secolo scorso.

S. Andreas Cata Barbara (S. Andrea Cata Barbara) Anche se oggi dell’edificio nulla rimane, la chiesa di S. Andrea Cata Barbara esemplifica ancora meglio di S. Balbina il cambio di destinazione di una grande aula di ricevimento di una residenza patrizia, convertita in chiesa. Sul mons Cispius, propaggine nordoccidentale dell’Esquilino non lontana dal macellum Liviae verso est, in un’area su cui già sorgevano splendide domus, Giunio Basso, console nel 331 e membro di una delle più illustri famiglie del patriziato senatorio romano, risiedeva in una sontuosa villa dotata di una grande

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aula di ricevimento absidata, come risulta dall’iscrizione dell’abside che è stata tramandata15. Giunio Basso era probabilmente il padre dell’omonimo praefectus urbi morto nel 359 e sepolto in un elegante sarcofago collocato in posizione eminente all’interno di S. Pietro, vicino alla tomba dell’apostolo. Un’altra iscrizione, inserita successivamente nell’abside, e una notizia del Liber Pontificalis informano che il goto Flavio Teodosio Valila, patricius e alto ufficiale dell’impero d’Occidente, donò con legato testamentario l’aula della domus, di cui era divenuto proprietario, a papa Simplicio (468483), in modo che potesse ricavarvi una chiesa dedicata a sant’Andrea16. L’epiteto di basilica beati apostoli Andreae iuxta basilicam S. Mariae, riportato nel Liber Pontificalis nella biografia di papa Simplicio, deriva dalla sua prossimità a S. Maria Maggiore. L’odierna titolatura risale all’viii secolo e riporta il nome della fondatrice del vicino monastero, ricordato nella descrizione della chiesa e risalente forse all’epoca di Gregorio Magno17. La chiesa declinò attorno alla metà del xv secolo, quando il banchiere e umanista fiorentino Giovanni Rucellai ne descrisse i preziosi rivestimenti marmorei. Gli ultimi resti furono demoliti attorno al 1930, durante la realizzazione del quartiere sviluppatosi attorno all’odierna via Napoleone iii. Le indagini, pur superficiali, condotte prima della demolizione, come le precedenti descrizioni di età barocca, danno tuttavia un’idea abbastanza precisa dell’edificio. Come l’aula della domus Cilonis in cui fu ricavata S. Balbina, anche la prestigiosa sala in opus latericium della domus

Iunii Bassi era disposta con un’abside volta a sud-est, cui corrispondeva sul lato d’accesso un vestibolo biabsidato. Il piano finestrato era al solito scandito da una fitta sequenza di grandi finestre di 2,90 x 4,40 m, pari alle finestre di altre grandi basiliche del iv secolo. L’intensa illuminazione metteva in risalto il sontuoso rivestimento parietale in preziose lastre di marmi policromi, sulle cui pareti lisce, non intervallate da profilature o altri elementi plastici, scivolava la luce diafana, offrendo cangiante splendore. Esiste sicuramente un legame tra la presenza di una fastosa e variopinta decorazione marmorea e musiva e il palese intento di illuminare il più possibile l’interno di queste aule, sia profane sia cristiane. Di questa fastosa decorazione parietale, nota dalle descrizioni di età barocca e dai disegni di Giuliano da Sangallo, si sono conservati quattro riquadri figurati, custoditi nei Musei Capitolini e nel Museo Nazionale Romano (palazzo Massimo alle Terme). Al di sopra di uno zoccolo riccamente ornato con preziose lastre marmoree di grandi dimensioni, incorniciate da paraste con fastosi capitelli in minuziosi mosaici lapidei, la parete era scandita da una finta mensola in prospettiva, che correva sotto le finestre. Nelle porzioni murarie tra le finestre erano rappresentati, sopra finti tendaggi profilati con motivi egizi, soggetti mitologici come il ratto di Ila. Del ricchissimo apparato decorativo, corredato di sontuosi dettagli, si conservano anche altri pannelli figurati, come quelli di un corridore vittorioso o delle tigri che sbranano dei buoi. Questa decorazione parietale d’impronta civile, una prestigiosa esposizione di costosi marmi variopinti, fu conservata al momento della trasformazione dell’edificio in chiesa nell’ultimo terzo del v secolo, nonostante la presenza di soggetti mitologici e pagani: la sontuosità dell’apparato decorativo prevalse evidentemente sul contenuto mitologico delle immagini, che comunque occupavano uno spazio limitato e in quest’epoca non avevano più una valenza religiosa che potesse suscitare scandalo. Soltanto il mosaico della calotta absidale, citato nell’iscrizione di fondazione di Giunio Basso, fu rimpiazzato da uno a soggetto cristiano, come espressamente citato nella seconda iscrizione portata qui da papa Simplicio, che ricorda come fondatore della chiesa il generale goto Valila18. Di questo mosaico ci si può fare un’idea grazie a disegni e descrizioni antichi. Cristo, barbato, con tunica purpurea e pallio, era in piedi al centro, in cima alla montagna del Paradiso con i quattro fiumi, attorniato da Pietro, Paolo e da altri quattro apostoli su un prato di rose e gigli che allude al giar-

dino paradisiaco. È da sottolineare come in questa immagine non abbia un particolare rilievo proprio l’apostolo Andrea, cui secondo l’iscrizione era dedicata la chiesa. Se S. Balbina era un titulus, destinato alla cura d’anime della popolazione del quartiere, la fondazione di S. Andrea è un’espressione di devozione privata, a disposizione del papa per un edificio di culto pubblico, che andò ad arricchire una zona dell’Esquilino, già occupata da tutta una serie di chiese, con un edificio sacro più piccolo ma sontuosamente decorato. S’inserisce così un nuovo elemento nella costruzione di luoghi di culto, che suggerisce allo stesso tempo una ristrutturazione del patrimonio edilizio urbano attraverso le chiese più piccole, che ampliano la gamma della tradizionale architettura cultuale con piccole fondazioni devozionali. In questo modo le domus non vengono semplicemente sostituite e soppiantate e il precedente arredo rimane intatto, adattato alle nuove esigenze attraverso piccoli cambiamenti. Probabilmente, come nel caso di S. Bibiana, già all’epoca si percepiva in quello che ormai era un edificio ecclesiastico l’originaria aula di un palazzo urbano.

S. Agatha super Subura (S. Agatha Gothorum, S. Agata dei Goti) Nel popoloso quartiere della Subura, fra le propaggini del Quirinale e del Viminale, tra il 459 e il 470 il goto Flavio Ricimero, magister utriusque militiae e uomo più potente di tutto l’impero romano d’Occidente, come apprendiamo dall’iscrizione absidale fece decorare con un mosaico la chiesa di S. Agata, tutt’oggi esistente19. Probabilmente a lui si deve anche la stessa fondazione della chiesa, benché l’iscrizione non ne faccia menzione. Si tratta di una fondazione privata, che assieme ad altre chiese, originariamente al servizio della comunità ariana di Roma, composta da Germani, in particolare Goti, fu successivamente destinata da Gregorio i Magno (590-604) al culto cattolico, come la chiesa di S. Severino sulla via Merulana20: la chiesa, ancora alla fine del vi secolo, si chiamava significativamente ecclesia Gothorum21, e fu appunto papa Gregorio Magno a dedicarla a S. Agata22. Da allora fu nota come ecclesia sanctae Agathae sita in Subora, nome che conservò anche nel Medioevo. La piccola basilica a tre navate in opus latericium, lunga 30 m e larga 16, con abside orientata a nord-est, si è conservata sostanzialmente intatta nel rimaneggiamento barocco del xvii secolo. L’interno presenta due file di sette arcate sorrette

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Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 162. San Giovanni a Porta Latina. Veduta da est. 163. San Giovanni a Porta Latina. Interno. 164. San Giovanni a Porta Latina. Capitello ionico di spoglio di età imperiale.

da colonne di spoglio, con fusti in granito e capitelli ionici con basi d’imposta. Alle luci delle arcate corrispondono le sette finestre ad arco a tutto sesto, aperte su entrambi i lati del cleristorio, mentre l’abside era illuminata da altre due finestre. I semipilastri in muratura tra le finestre hanno quasi la stessa larghezza di quest’ultime. Anche in questo edificio si manifesta dunque, nella fitta sequenza di grandi finestre collocate nella fascia superiore del corpo longitudinale e nell’abside, l’intento di introdurre la massima quantità di luce nella navata mediana e nell’area del presbiterio. Il mosaico absidale, perduto in seguito al crollo della calotta absidale nel xvi secolo, ci è noto attraverso antichi acquarelli. Raffigurava Cristo seduto sul globo terrestre, in mezzo ai dodici apostoli: Pietro, in posizione privilegiata, riceve dalle mani del Redentore le chiavi, simbolo della remissione dei peccati attraverso la Chiesa, motivo che qui ritorna nell’abside per la prima volta dopo il mosaico di S. Costanza. Di recente si è proposto di riconoscere nei disegni non la copia del mosaico della calotta absidale, dove non vi sarebbe stato abbastanza spazio per raffigurare Cristo seduto sul globo e altre dodici figure, bensì quella del mosaico della fronte absidale. Poiché papa Gregorio Magno, in occasione della nuova dedicazione, aveva dotato la chiesa di apparati musivi, come si apprende da una lettera di papa Adriano i (772-795) a Carlo Magno, anche questo mosaico potrebbe

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essere una donazione dello stesso pontefice23. Un parallelo iconografico, benché con un minor numero di figure e i soli apostoli Pietro e Paolo, sarebbe offerto dall’analogo mosaico in S. Lorenzo fuori le mura, anch’esso della fine del vi secolo; ci si attenderebbe tuttavia che al centro della composizione absidale compaia come titolare sant’Agata, così come accade per sant’Agnese nell’omonima chiesa coeva.

S. Iohannis ad Portam Latinam (S. Giovanni a porta Latina) La chiesa di S. Giovanni a porta Latina, che oggi si presenta al visitatore nella sua veste medievale, è situata a sud di Roma immediatamente alle spalle delle mura, nei pressi di porta Latina, sul lato nord del tratto urbano della via Latina. Il terreno anche nell’Antichità era occupato da giardini, mentre lungo la strada sorgevano tombe e ipogei più antichi, per lo più di età repubblicana. Le più antiche menzioni di un culto e di una chiesa in questo luogo s’incontrano solo alla fine del vii secolo e in quello successivo24. Sul tetto della chiesa sono stati ritrovati bolli laterizi del re goto Teoderico (495-526), che fece restaurare molti edifici di Roma secondo il modello dell’edilizia di età imperiale utilizzando mattoni con bolli, rinvenuti anche su tegole di copertura e attestanti la frequentazione dell’edificio, se non la

sua fondazione, a cavallo tra v e vi secolo, come indicano alcune caratteristiche strutturali. Secondo il Liber Pontificalis, papa Adriano i (772-795) fece restaurare l’ecclesia beati Iohannis Baptistae sita iuxta portam Latinam25, nel 1191 riconsacrata da papa Celestino iii26. Già l’ubicazione stessa della chiesa mostra che non era destinata alla cura d’anime della comunità cittadina, ma piuttosto ai viaggiatori, ovvero a offrire un’occasione di devoto raccoglimento a chi partiva dalla città o vi entrava. Essa non poteva pertanto appartenere alle chiese cristiane più antiche dell’urbe. Probabilmente si trattava anche di un santuario commemorativo eretto in ricordo di una preesistente memoria di qualche martire, così come è il caso, sul lato opposto della strada, dell’oratorio di S. Giovanni in Oleo, rifatto in età rinascimentale e barocca, ma che deve anch’esso risalire alla fine dell’Antichità o al primo Medioevo. In ogni caso un resoconto dello scrittore cristiano Tertulliano di Cartagine, alla fine del ii secolo, testimonia che in quest’epoca già si era a conoscenza delle persecuzioni subìte dall’apostolo Giovanni a Roma: dopo essere sopravvissuto al supplizio dell’olio bollente, dice Tertulliano, Giovanni sarebbe stato esiliato a Patmos. Indizi utili alla datazione dell’edificio si possono cercare di ricavare unicamente da un’analisi strutturale e delle sue fasi costruttive. La chiesa ha una fisionomia insolita per l’architettura ecclesiastica romana. Si tratta, è vero, di una basilica a tre navate,

con abside rivolta a est e preceduta da un nartece, tuttavia all’estremità della navata mediana, davanti all’abside, nella zona del presbiterio è inserito uno spazio più ristretto, cui corrispondono nelle navate laterali alla stessa altezza due spazi analoghi chiusi da un’absidiola. L’abside maggiore è semicircolare all’interno e poligonale all’esterno. Tutti questi elementi si ritrovano nell’edilizia sacra costantinopolitana del v e del vi secolo, e di riflesso a Ravenna. Un’analisi della muratura della chiesa, costituita da un opus mixtum realizzato con diverse tecniche, mostra che la zona dell’abside e gli attigui spazi secondari laterali e parti del muro laterale sinistro appartengono in ogni caso a una fase edilizia forse degli inizi del vi secolo, sotto Teoderico, mentre l’alzato della parete destra della chiesa è realizzato in muratura piuttosto irregolare, e quindi probabilmente è ascrivibile all’viii secolo, mentre un ulteriore innalzamento dell’edificio fu promosso alla fine del xii secolo, sotto papa Celestino iii (1191-1198). All’interno le arcate poggiano su cinque colonne di spoglio – tre in granito e le prime due della fila di fronte al presbiterio come di consueto in marmo bianco – coronate da capitelli ionici. Quattro di questi capitelli sono di identica fattura e appartengono a forniture del tardo iv secolo o degli inizi del v, prodotte a Taso e importate in grande quantità a Roma, dove furono utilizzate in chiese paleocristiane del v secolo, come in S. Stefano Rotondo. Un’altra coppia, sulle penultime colonne prima dell’altare, che contraddistinguevano probabilmente i

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Capitolo primo

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L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

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Le prime chiese di Roma

Chiese della seconda metà del v e del vi secolo Alle pagine precedenti: 165, 166. S. Giovanni a Porta Latina. Veduta da sud-est, con il campanile altomedievale.

167. Ss. Cosma e Damiano. L’antica sala del forum Pacis in cui fu allestita la chiesa del vi secolo, con il vestibolo d’ingresso del iv secolo. 168. Ss. Cosma e Damiano. Il mosaico absidale con Cristo, i santi Cosma e Damiano, il papa donatore Felice iii (526-530) e san Teodoro.

confini del presbiterio, sono capitelli di spoglio prodotti a Roma in età traianea. Il capitello di tipo ionico tardoantico di Taso e la giustapposizione con elementi traianei attestano la frequentazione della chiesa agli inizi del vi secolo. Sulla base della struttura dell’abside con ambienti laterali, di derivazione orientale, si è ipotizzato che la presenza di questo tipo edilizio levantino a Roma fosse correlabile all’occupazione bizantina della città in seguito alla guerra gotica del 553. Tuttavia, sulla base delle tegole di epoca teodericiana, la costruzione della chiesa si daterebbe agli inizi del vi secolo. Le pregevoli pitture parietali, realizzate con il parziale utilizzo di preziosi pigmenti in occasione del rifacimento della chiesa alla fine del xii secolo, caratterizzano in modo sostanziale la percezione spaziale odierna: esse riprendono nella disposizione e nell’iconografia lo schema antico, che già conosciamo attraverso le basiliche paleocristiane. Su entrambi i lati della navata la fascia muraria superiore è occupata da riquadri incorniciati su due registri sovrapposti, che illustrano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo uno schema di corrispondenza tipologica. Anch’essi rimanderebbero al corrispondente ciclo pittorico nella chiesa del vi secolo, rinnovata dall’intervento romanico.

Ss. Cosma e Damiano Con la chiesa dedicata ai due anargyroi («che non ricevono onorario») Cosma e Damiano si valica lo spartiacque del vi secolo. Si tratta del primo luogo di culto cristiano eretto nel vero e proprio centro monumentale di Roma, costituito dal foro Romano e dai fori imperiali, che dall’età repubblicana, quindi per circa 900 anni, hanno rappresentato il fulcro ideale, di grande valore simbolico, della città, in cui si trovavano alcuni dei monumenti di culto più sontuosi e di maggiore importanza politica di tutto lo Stato, come i templi di Saturno, di Castore e Polluce, di Venere e Roma nel foro Romano, il tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare e quello di Marte Ultore nel foro di Augusto. Le splendide architetture di questo eccezionale complesso monumentale, che ancora alla metà del iv secolo suscitavano l’ammirazione dell’imperatore Costanzo ii, il quale da Costantinopoli, dove risiedeva, si era recato in visita a Roma nel 35727, languivano ormai inutilizzate, prive della loro originaria funzione, tanto i templi quanto le altre strutture. Grazie ai nuovi scavi condotti nell’area del foro è emerso che in un grande cortile del foro della Pace, dedicato nel 75 da Vespasiano per la celebrazione della vittoria contro la rivolta degli

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Ebrei durante la quale si consumò il saccheggio del Tempio di Gerusalemme, già nel corso del iv secolo s’insediarono piccoli edifici e negozi. Nel v secolo probabilmente tutta l’area fu abbandonata, e infine nel vi, forse in connessione con la costruzione della chiesa, fu destinata ad accogliere sepolture, violando così l’antichissima disposizione di legge di non seppellire in città, segno del decadimento del sistema, come afferma Procopio nel vi secolo, e indice di profondi mutamenti sociali e mentali28. Il lato sud-est del foro della Pace, architettonicamente concluso con il tempio al centro, presenta a sud una sala che si estende su tutta l’area del foro Romano. L’edificio ha una fase tardorepubblicana, ancora oggi riconoscibile nel muro in blocchi di peperino e travertino accanto all’abside della basilica di Massenzio. Questi resti indicano che probabilmente si trattava di un edificio originariamente indipendente, progettato dagli stessi architetti del foro della Pace di Vespasiano. In questa sala papa Felice fece allestire nel 527 una chiesa in onore dei santi

medici Cosma e Damiano29. Furono Teoderico e la figlia Amalasunta, quali rappresentanti dell’autorità imperiale di Costantinopoli, a concedere a papa Felice l’autorizzazione a utilizzare l’edificio, di proprietà del fiscus, per ricavarne una chiesa. Sul lato prospiciente il foro della Pace era appesa la monumentale pianta severiana della città, pervenuta in frammenti: si è ipotizzato che qui avesse sede in età tardoantica la praefectura urbis, l’amministrazione di Roma e dell’impero d’Occidente. Si deve perciò supporre che alla base della scelta del luogo si trovassero altre motivazioni. In questa zona, come riferiscono le fonti, in epoca imperiale e ancora nel Medioevo vi era una statio, una sorta di ambulatorio pubblico, accanto agli enormi horrea Piperataria (magazzini del pepe), il mercato delle spezie e delle erbe mediche, sostituito dopo il 306 dalla basilica di Massenzio. Si apprende inoltre da Galeno, illustre medico personale di Marco Aurelio e del figlio Commodo alla fine del ii secolo, che egli aveva tenuto alcune

lezioni di anatomia proprio in una sala del forum Pacis, cui era annessa anche una biblioteca di medicina. Questa sala, usata come ambulatorio medico e per le lezioni di formazione dei medici, venne adattata a chiesa e dedicata ai santi medici. Si tratta dunque della consapevole cristianizzazione di una tradizione antica, con cui la Chiesa faceva propria un’istituzione socialmente importante. È significativo che siano proprio gli anargyroi, i due santi medici, a presenziare nel luogo dove un tempo si esercitava il servizio medico pubblico, per prestare aiuto ai credenti. La sala rettangolare, restaurata dopo un incendio sotto i Severi, fu suddivisa ancora nel iv secolo mediante una specie di abside con una serie di arcate. La costruzione ricorda nella simile struttura del massiccio muro semicircolare, con aperture nelle arcate, l’edificio ad aula in cui agli inizi del v secolo fu ricavata la chiesa di S. Pudenziana. Il sistema decorativo del prezioso rivestimento parietale del iv secolo, del quale in seguito

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 169. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: Cristo. Pagine seguenti: 170. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: san Paolo. 171. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: san Pietro. 172. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: san Damiano. 173. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: san Cosma.

al restauro barocco del 1632 che rialzò il piano pavimentale di ben 7 m nulla si è conservato, è noto grazie a un disegno di Pirro Ligorio. Le incrostazioni marmoree rivestivano l’abside fino all’innesto della volta e le pareti fino all’altezza delle grandi finestre ad arco situate nella fascia superiore: due registri di lastre marmoree allungate, con ricche fasce ornamentali e una cornice piatta. Nel disegno di Pirro Ligorio le lastre appaiono decorate da disegni geometrici. Nella stessa epoca la sala fu dotata anche di un ingresso monumentale verso il foro, il cosiddetto tempio di Romolo, un edificio circolare con copertura a cupola e facciata concava aggettante, impreziosita da colonne di spoglio, che collegava alla via Sacra l’asse obliquo dell’edificio sottostante, orientato sud-ovest/nord-est. L’ingresso sulla via Sacra presenta travi di recupero di età imperiale e capitelli di spoglio e conserva ancora gli antichi battenti in bronzo. L’aula a nave unica fu convertita in chiesa senza sostanziali modifiche edilizie. Anche le arcate dell’abside restarono inalterate. Il prezioso rivestimento parietale in marmi policromi venne però integrato da un grande mosaico che ricopre la parete dell’abside per tutta la larghezza, poggiando su una volta in tubuli di terracotta, una tecnica che si diffonde nell’architettura italica tardoantica a partire dal iv secolo, impiegata in grande stile a Roma, in S. Stefano Rotondo, come nelle grandi chiese ravennati del v e vi secolo. Probabilmente la volta absidale venne inserita nei Ss. Cosma e Damiano in una struttura portante leggera, adeguata ai presupposti strutturali necessari all’inserzione del mosaico, agli inizi del vi secolo, contestualmente all’istituzione stessa della chiesa. La suggestiva composizione è di notevole qualità e non trova confronti tra i mosaici coevi, né a Ravenna né altrove. Sul fondo blu spicca la figura del Cristo Pantocratore e maestro, barbato, con veste dorata e pallio, sospeso sulle nubi variopinte dell’Apocalisse che annunciano la fine dei tempi. Ha nella mano sinistra un rotolo, mentre la destra è alzata con gesto autorevole di sovranità. Da destra avanza Pietro, da sinistra Paolo, i quali accompagnano i due santi titolari. Con le mani velate, Cosma e Damiano presentano a Cristo la corona dorata del martirio, l’aurum coronarium, come un tributo offerto dai vassalli imperiali all’imperatore. Completano la scena le figure di san Teodoro, identificato dall’iscrizione, con l’uniforme del funzionario pubblico, un prezioso mantello decorato (chlamys), e sul lato opposto papa Felice, fondatore consapevole del proprio ruolo, in un’ambientazione paradisiaca, anch’egli identificato dall’iscrizione, mentre offre il modellino della chiesa. Le due palme ai lati della scena e il fiume Giordano, identificato dall’iscrizione, alludono al Paradiso, mentre la fenice sulla palma di sinistra

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alla resurrezione. Nella composizione absidale vengono esposte, attraverso una simbologia complessa, le verità e le promesse della fede come concetti sovrapposti, a più strati. Nella parte inferiore compare un’altra immagine simbolica, con l’agnello di Dio nimbato sulla montagna del Paradiso, circondato dai dodici agnelli simbolo degli apostoli. Al di sotto è l’iscrizione dedicatoria del papa, in lettere dorate su fondo azzurro. Il mosaico è in condizioni relativamente buone. Gran parte della figura del santo titolare sulla sinistra e la figura del papa sono però rifacimenti di epoca barocca. La vasta composizione è di suggestiva forza e monumentalità. Le figure hanno una sorprendente corporeità e le membra sono modellate in modo realistico e articolato. I volti, vivaci e nettamente definiti nei tratti, sono espressivi e ben caratterizzati. La tavolozza è ricca, delicatamente sfumata e naturalistica. L’eccezionale qualità del mosaico sorprende per l’epoca d’incertezza seguita alla morte di Teoderico, nel 526, alla vigilia delle devastanti guerre contro i Goti. Esso testimonia l’alto livello artistico dell’arte e la sopravvivenza della tradizione classica nella Roma della fine dell’Antichità e alle soglie del Medioevo. Al confronto i coevi mosaici ravennati appaiono già privi della qualità caratteristica dell’arte musiva romana, ricollegata all’antico e connotata in modo particolare, ad esempio attraverso la resa quasi tridimensionale delle forme, la plasticità delle figure, la morbida bellezza e la precisione del modellato. Due ricchi capitelli a paniere di fattura costantinopolitana, oggi a Lione, decoravano probabilmente il baldacchino sopra l’altare. Recano il monogramma di papa Giovanni ii (533-535), che si ritrova anche sulle transenne di provenienza costantinopolitana del presbiterio di S. Clemente. Giovanni ii, che ascese al soglio pontificio solo pochi anni dopo Felice iii, completò a quanto sembra l’arredo liturgico dei Ss. Cosma e Damiano con preziosi elementi importati da Costantinopoli. Notevoli i capitelli riccamente ornati, realizzati da maestranze orientali, come in S. Clemente, dove pezzi di spoglio vennero collocati in posizioni di particolare rilievo nello spazio liturgico: le botteghe locali non erano più nelle condizioni di realizzare pezzi simili. La trasformazione in chiesa della sala del forum Pacis, che ne conserva il prezioso rivestimento parietale e lo integra soltanto con il mosaico absidale di soggetto cristiano, corrisponde alla trasformazione delle due aule absidate pertinenti a palazzi urbani rispettivamente in S. Bibiana e in S. Andrea Cata Barbara, nel tardo v e nel vi secolo. Il procedimento, che mira ad assicurare l’intero prezioso rivestimento come corredo decorativo della chiesa così da conferirle speciale splendore, nel caso dei Ss. Cosma e Damiano assume un significato particolare, poiché per

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Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 174. Ss. Cosma e Damiano. Mosaico absidale: san Teodoro. 175. S. Maria Antiqua. I Maccabei, affresco della navata, vii-viii secolo.

la prima volta è un edificio pubblico, per di più appartenente a un complesso monumentale nel centro della Roma imperiale, a essere occupato dalla Chiesa per i propri scopi. In questo fenomeno si può individuare l’importanza assunta dalla Chiesa, da quando Roma non è più residenza imperiale, nell’ambito dello Stato e della società a cui si rivolge: anche nel paesaggio urbano la Chiesa subentra ormai al potere statale.

S. Maria Antiqua S. Maria Antiqua è la seconda chiesa ricavata all’interno di un edificio di età imperiale situato nei pressi del foro. La sua datazione non è ricavabile dalle fonti e si può desumere solo dall’edificio stesso. In assenza di un rilievo architettonico moderno e di un’indagine completa, le ipotesi finora avanzate riguardo ai reperti disponibili e alle fasi costruttive, talvolta fondate sull’analisi stilistica delle pitture parietali, non danno sufficienti garanzie. Probabilmente la chiesa nacque nella medesima epoca dei Ss. Cosma e Damiano, certamente però poco dopo la fine della guerra gotica, nel 553. È stata riportata alla luce alla fine del xix secolo. La chiesa si trova all’interno di un complesso di edifici immediatamente al di sotto del versante nordoccidentale del Palatino, dietro al tempio di Castore e Polluce e all’antichissimo santuario della fonte di Giuturna. Tra una costruzione a più piani alta

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oltre 30 m risalente all’età di Domiziano (90-96) e il Palatino si trova una struttura a un solo piano del ii secolo, collegata direttamente al colle e alla sovrastante domus Augustana, il palazzo imperiale, da un’ampia rampa coperta. L’edificio era costituito da un’aula quadrata, che si apriva verso nord sul foro e verso sud – con una triplice arcata – su un atrio che precedeva a sua volta un tablinum, costituito da un grande e alto vano rettangolare centrale fiancheggiato da due vani più piccoli coperti da volte a botte. Non si conosce la destinazione originaria della struttura, che ricorda in versione monumentale il nucleo di una casa romana con l’atrium e gli ambienti di rappresentanza intorno al tablinum. L’imponente rampa coperta indica chiaramente che l’edificio apparteneva al palazzo imperiale e che doveva servire forse da ingresso al foro, come una sorta di vestibolo. L’aula quadrata era decorata all’interno da un prezioso rivestimento marmoreo, di cui oggi si conservano ancora nell’Antiquarium del Foro una serie di capitelli di pilastro di ordine corinzio degli inizi del iv secolo con foglie di acanto finemente incise, ornamentazione tipica della decorazione architettonica della pars orientalis dell’impero. Questa ricca decorazione marmorea del iv o v secolo che rivestiva anche le pareti dell’atrio e del tablinum ha lasciato la propria impronta negli ampi resti del letto di posa delle lastre, e suggerisce la notevole varietà dei motivi ornamentali. Le volte del tablinum erano rivestite da un mosaico di cui restano solo le impronte delle tessere lapidee. L’area tra il rivestimento parietale e la volta era occupata da una pittura murale intervallata da ampie cornici rosse, come nelle coeve abitazioni private. Il pavimento era costituito da lastre di marmo policromo. Il complesso, di età adrianea, ancora nel iv secolo era sicuramente legato nella funzione alla vicina presenza del palazzo imperiale sul Palatino, che ne giustifica la decorazione così preziosa. Verso la fine dell’età antica, sul muro di fondo del grande ambiente centrale del cosiddetto tablinum fu dipinto un grande affresco raffigurante l’Annunciazione, in genere riferito all’inizio del vi secolo. È difficile credere, vista la presenza di una decorazione del genere, che il complesso non fosse già utilizzato in quest’epoca come chiesa. Anche questo sarebbe dunque un caso di riconversione di un precedente edificio in chiesa col minimo sforzo nella costruzione a favore di una decorazione marmorea sempre più prestigiosa, qui risarcita con pitture nei punti dov’era danneggiata. In seguito l’Annunciazione andò in gran parte distrutta quando fu aperta nel muro un’abside. Si deve presumere che questo intervento sia avvenuto contemporaneamente alla sostituzione

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Chiese della seconda metà del v e del vi secolo 176. S. Maria Antiqua. La chiesa al margine meridionale del foro, al di sotto dell’alto muro dell’edificio domizianeo, ai piedi del Palatino, a sinistra. In primo piano, i resti del tempio dei Dioscuri, della basilica Iulia sulla destra e dell’atrium Vestae sulla sinistra. Veduta da nord-est. 177. S. Maria Antiqua. Cappella di Teodoto (741-752), Crocifissione. Ai lati della nicchia, resti delle impronte degli originari rivestimenti marmorei dell’antico edificio del iv-v secolo.

dei quattro pilastri in laterizio dell’atrio con colonne. Le quattro colonne di granito grigio con capitelli corinzi di età imperiale di spoglio dovevano conferire a questa parte dell’edificio l’aspetto di una basilica a tre navate. Le monete di Giustino ii (565-578) ritrovate sotto la base di una delle colonne consentono di datare il rimaneggiamento alla seconda metà del vi secolo, dopo la fine delle guerre gotiche. Il singolare impianto della chiesa è dunque interamente determinato dalla fisionomia del preesistente edificio di età imperiale. L’antica Annunciazione fu coperta da un’altra figurazione col medesimo soggetto e da figure di angeli, a sua volta coperta in seguito da un ulteriore strato di dipinti, che devono riferirsi alla decorazione completata sotto papa Martino i (649-655). In quest’epoca la chiesa viene citata per la prima volta in una guida destinata ai pellegrini come basilica quae appellatur sancta Maria antiqua30. Un altro ciclo pittorico di cui parla il Liber Pontificalis31 si trova nel presbiterio dell’epoca di papa Giovanni vii (705-707), un greco: i busti degli apostoli entro tondi e lacerti di immagini neotestamentarie sono di buona qualità, resi con stile efficace, vivacemente stilizzato, caratterizzato da pennellate impressionistiche, che suggerisce influenze della pittura bizantina. A questo ciclo fa seguito un secondo, nel vano accanto a sinistra, donato da Teodoto, primicerius defensorum, comandante greco delle milizie sotto il pontificato di Zaccaria (741-752). Nei decenni successivi la chiesa fu di nuovo più volte ridipinta, sotto Paolo i (757-767) e Adriano i (772-795), finché sotto il pontificato di Leone iv (847-855) venne abbandonata in seguito a un terremoto. Questi cicli pittorici, seppur solo parzialmente conservati, rappresentano un compendio della pittura altomedievale romana. Molti sono di notevole qualità, di sorprendente freschezza e di una vivacità quasi impressionistica. Merita particolare interesse un gruppo di immagini della navata che ben esprimono tali qualità: sant’Anna e i Maccabei, san Demetrio con tre altri santi ignoti, santa Barbara. Queste pitture appartengono probabilmente ancora alla decorazione del vii secolo, poiché furono coperte dal successivo strato dell’epoca di Giovanni vii. Si tratta di santi di origine orientale, accompagnati da didascalie in greco. Si discute se gli artisti che hanno veicolato l’impronta stilistica caratteristica della pittura paleobizantina arrivassero dall’Oriente, e se i committenti siano da ricercare nella cerchia dell’amministrazione bizantina, stanziata sul Palatino, o tra i papi greci e siriani che sedettero sul trono di Pietro tra il 685 e il 752. In ogni caso la ricerca odierna sottolinea l’autonomia della pittura a Roma tra vii e viii secolo, come pienamente documentato dai cicli di S. Maria Antiqua.

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Difficile stabilire perché la chiesa, o almeno il luogo di culto dedicato alla Madonna, sia stata ricavata probabilmente già agli inizi del vi secolo all’interno di un edificio nel foro, sotto il Palatino. Come suggerisce l’ampia rampa coperta che collega l’edificio alla sommità del colle, non obliterata in seguito al cambio di destinazione del complesso, la sua ulteriore espansione fino alla chiesa doveva dipendere dall’uso del palazzo come sede dell’amministrazione bizantina, in seguito alla guerra gotica, alla metà del vi secolo. Nel vii secolo è testimoniata la presenza di un dux bizantino, rappresentante dell’amministrazione imperiale a Roma; l’imperatore di Costantinopoli mantenne inoltre a Roma un presidio militare, una zecca e una serie di funzionari amministrativi che risiedevano sul Palatino. Viene istintivo intravvedere negli uffici pastorali e di rappresentanza di questi funzionari e militari la funzione della chiesa, concretizzata nella fondazione di Teodoto, il comandante della milizia. Inoltre, papa Giovanni vii, che era greco e il cui padre Platone era curator palatii, trasferì la sede vescovile sul Palatino. Nella biografia di papa Leone iii (795-816), il Liber Pontificalis menziona la chiesa come diaconia, titolo con il quale a partire dal primo Medioevo venivano designati i centri di assistenza sociale e spirituale per il popolo. Successivamente le fonti tacciono riguardo alla chiesa, che dovette essere a più riprese colpita da smottamenti delle pendici del Palatino, provocati da terremoti e catastrofi naturali. La denominazione di S. Maria Antiqua deriva probabilmente dall’antica icona della Madonna della fine del vi secolo, da lungo tempo nell’edificio. Dopo il ripristino in seguito al terremoto dell’847, fu rifondata da papa Leone iv come S. Maria Nova, oggi S. Francesca Romana, a breve distanza dal tempio di Venere e Roma alla sommità della Velia. L’icona con l’immagine della Vergine hodigitria è tuttora custodita nella sacrestia della chiesa.

Ss. Quirico e Giulitta Un’altra chiesa del vi secolo occorre includere nel gruppo di edifici di culto ricavati in strutture più antiche. L’iscrizione dedicatoria dell’altare, donato da papa Vigilio (537-555), attesta che la chiesa fu fondata nel secondo quarto del vi secolo32. È situata all’ingresso del foro di Nerva, presso il passaggio che conduceva al popoloso quartiere della Subura che si estendeva a nord. Scavi degli anni Trenta del Novecento effettuati al di sotto della chiesa attuale, rinnovata nel corso dell’età rinascimentale e barocca e riorientata con l’abside a nord-est, hanno consentito

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Le prime chiese di Roma

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro 178. A fronte: Santa Maria ad Martyres (Pantheon).

di individuare ampie porzioni della struttura antica. Quest’ultima era costituita da un’aula a navata unica in opus latericium, lunga 22 m e larga 12, orientata a ovest e caratterizzata, come l’antica aula della chiesa di S. Balbina, dalla presenza di quattro nicchie laterali, alternatamente semicircolari e rettangolari. Il pavimento è in lastre di marmo bianco. Al di sopra di ciascuna nicchia era collocata, nel piano finestrato arretrato, una grande finestra ad arco, di 2 × 4 m. Solo sopra l’ultima nicchia a ovest, sul medesimo asse di presbiterio e altare, si trovava una finestra più piccola con arco a tutto sesto. Qui, sul lato breve, venne inserita un’abside poligonale, simile a quella coeva di S. Giovanni a porta Latina. Come documentano antichi disegni, l’abside aveva una finestra. Le mura erano rivestite esternamente in intonaco. Nel xvii secolo la chiesa fu restaurata, e l’orientamento invertito, com’è tuttora, verso est. La struttura originaria era in gran parte simile all’aula di S. Balbina, e senza dubbio doveva trattarsi di una sala di rappresentanza appartenente a una domus tardoantica riconvertita nel iv secolo in chiesa e dotata di abside poligonale dipinta, caratteristica dell’architettura ecclesiastica occidentale, non infrequente a Roma nel periodo dell’occupazione bizantina. Durante gli scavi, nelle nicchie sono stati individuati ancora resti di affreschi medievali con tendaggi (vela) coronati da un fregio figurato.

S. Adriano Nel 630 anche la Curia Iulia, l’aula situata nel foro ai piedi del Campidoglio, nella quale si riuniva il Senato romano, fu trasformata in chiesa da papa Onorio i (625-638) e consacrata come ecclesia beati Hadriani. Adriano, come Cosma e Damiano, era un santo venerato nell’Oriente ellenizzato33. L’istituzione del culto a Roma si deve all’influenza bizantina, piuttosto consistente tra vi e viii secolo in seguito alla costituzione dell’esarcato di Ravenna e al dominio bizantino instauratosi a Roma alla metà del vi secolo dopo la guerra gotica. Dopo il devastante incendio del 283, sotto il regno dell’imperatore Carino, l’edificio della Curia era stato ricostruito nel 303 da Diocleziano. Si trattava di una costruzione in laterizio, a pianta rettangolare, lunga 27 m, larga 18 e alta 21, aperta da grandi finestre nella parte alta dell’alzato, in facciata e sui fianchi. L’ingresso era preceduto da un vestibolo colonnato. Le porte in bronzo vennero trasferite nel 1660 nella basilica del Laterano, dove si possono ancora oggi ammirare nell’ingresso principale. La muratura esterna era inferiormente rivestita di lastre di marmo, mentre la parte superiore, come spesso negli edifici in laterizio di età imperiale, di intonaco bianco a imitazione di lastre marmoree.

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All’interno i lati dell’aula erano dotati di gradinate su cui sedevano i senatori. Le nicchie al di sotto delle finestre erano occupate da edicole marmoree su colonne, di cui si conservano ancora i modiglioni decorati e altri resti. Il pavimento, restaurato, è in opus sectile con un disegno ripetuto di rosette, quadrati e cornucopie affrontate, entro campi rettangolari formati da lastre di marmi policromi. Le tonalità predominanti di questo prezioso pavimento sono il verde e il rosso del porfido su un fondo di marmo giallo della Numidia. Anche le pareti, come in tutti gli edifici pubblici di età imperiale, erano decorate da un rivestimento marmoreo. Sul lato breve antistante l’ingresso erano collocate due basi per il seggio e per la statua della Vittoria, introduzione augustea (30 a.C.-14 d.C.) rimossa da Valentiniano iii su richiesta del vescovo di Milano Ambrogio, fra le proteste di Aurelio Simmaco, praefectus urbi e portavoce dei senatori, in larga parte ancora pagani. L’aula fu riutilizzata come chiesa mantenendo il fastoso corredo decorativo, senza ulteriori modifiche della struttura edilizia e conservando anche le gradinate su cui si trovavano i sedili dei senatori. Il servizio divino e le pratiche liturgiche si adattarono quindi all’impianto e all’arredo dell’edificio. La chiesa fu restaurata da papa Adriano i (772-795), che vi fece insediare una diaconia. I magazzini imperiali nell’area meridionale del foro e il vicino porto fluviale consentivano lo scarico e lo stoccaggio dei rifornimenti necessari alla diaconia34. La costruzione dell’abside e altre modifiche interne, come l’innalzamento di 1 m del pavimento del presbiterio che racchiudeva l’alto podio e la creazione di una solea, il corridoio recintato riservato al clero per le festività solenni, sono probabilmente da attribuire alla ristrutturazione promossa da Adriano. La trasformazione in basilica a tre navate su un piano pavimentale rialzato per pareggiare il livello della piazza del foro, con l’utilizzo di colonne di spoglio di età imperiale e capitelli di diverse forme e misure, risale al xii secolo; di quest’epoca si sono conservati resti di pitture. Questi interventi furono eliminati con i restauri degli anni Trenta del secolo scorso e, per quanto possibile, l’arredo della Curia fu riportato allo stato dell’originario edificio dioclezianeo.

S. Maria ad Martyres (Pantheon) Nel 608 papa Bonifacio iv (608-615), con l’autorizzazione dell’imperatore bizantino Foca, consacrò il Pantheon come chiesa dedicata alla Vergine e ai martiri, ecclesia sanctae Mariae ad Martyres35. In tal modo il papa creava la prima chiesa cristia-

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Le prime chiese di Roma 179. Santa Maria ad Martyres (Pantheon). Icona della Madonna, forse dell’inizio del vii secolo.

na al centro del Campo Marzio, già occupato da una fitta serie di edifici pubblici come terme, aule e templi, e sino allora cinto solo lungo il perimetro da tituli cristiani del iv e v secolo, come S. Lorenzo in Damaso, S. Marco, S. Marcello, S. Lorenzo in Lucina o la pontificia basilica Liberii, poi basilica Apostolorum. Il fatto è tanto più importante in quanto agli inizi del Medioevo l’area intramuros a sud e sud-est della città si era venuta sempre più spopolando, e gli abitanti si erano progressivamente ritirati nella zona dell’ex Campo Marzio, dove il rifornimento idrico era assicurato dalla presenza di un consistente numero di pozzi e sorgenti. Il Pantheon è il primo edificio non civile di Roma a essere convertito in chiesa. Eretto nel 27 da Agrippa, genero di Augusto, era stato rinnovato dall’imperatore Adriano, assumendo l’attuale fisionomia a pianta circolare, con cupola di 43 m di diametro e uguale altezza. Il Pantheon costituiva una delle costruzioni più significative e monumentali di Roma, ed era il più grande edificio coperto a cupola dell’Antichità. La sua rivoluzionaria architettura, di impianto innovativo, aveva tra l’altro adottato per la prima volta nell’architettura romana il tipo a vano unico per un edificio di culto, in questo caso destinato al culto dell’imperatore. Significativamente, si utilizzò l’edificio come sala di ricevimento e per affari di Stato come le riunioni del Senato, e ancora fra il 368 e il 370 nel Pantheon fu pronunciata pubblicamente una costituzione, cioè un regolamento, imperiale36. Il monumento, che compare nelle fonti come il «cosiddetto» Pantheon, rappresenta dunque con straordinaria modalità espressiva l’aura divina e l’autorità del sovrano37. Il Pantheon non era quindi un edificio pagano tradizionale, come dimostra pure l’iscrizione di Adriano sul frontone del vestibolo, che non cita divinità dedicatarie: non era pertanto un edificio consacrato38. Era perciò più adatto alla riconversione in edificio di culto cristiano di altri templi pagani, come il tempio di Portuno nel porto tiberino, consacrato solo nell’842 come S. Maria Egiziaca. La fisionomia monumentale dell’edificio e il suo apparato decorativo, fastoso di rivestimenti dominati da marmo bianco, giallo di Numidia e porfido, furono elementi decisivi per questa scelta. L’orientamento verso sud determinato dall’asse definito dal vestibolo non costituiva un ostacolo, poiché, come abbiamo visto, nell’edilizia paleocristiana non esisteva un orientamento prestabilito, sebbene si prediligesse in genere a Roma quello da ovest verso est con la facciata rivolta a est, prima della graduale sostituzione nel v secolo con l’abside rivolta a est. L’interno fu lasciato sostanzialmente intatto. Soltanto nell’area intorno all’altare, davanti alla nicchia principale in asse con il vestibolo, fu creato un presbiterio isolato da transenne. Secondo

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il Liber Pontificalis in quest’area furono realizzate anche delle pitture, ma non sappiamo esattamente dove, né se andassero a coprire o a sostituire le incrostazioni marmoree; in ogni caso la loro presenza esclude una decorazione pittorica estesa, che peraltro nel Medioevo era ritenuta di grande valore, poiché non doveva soltanto impreziosire l’edificio, ma anche educare e ammaestrare i fedeli. All’arredo interno apparteneva anche un’icona della Vergine donata da papa Bonifacio, che servì da immagine di culto e sostituì le statue di Augusto e Agrippa collocate nelle nicchie del vestibolo, e soprattutto le effigi delle divinità, ornamento delle nicchie interne. Il portico, aperto, fu chiuso con un triplice portale, divenendo un atrio coperto. L’importanza cultuale della fondazione traspare anche dal fatto che il 1º novembre, festa di dedicazione dell’ecclesia sanctae Mariae ad Martyres, è ancora oggi celebrato nella Chiesa cattolica come solennità di Ognissanti.


Capitolo decimo

Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

La venerazione dei martiri, testimoni col loro sangue della fede in Cristo, raggiunse nel corso del iv secolo nella vita della Chiesa e dei fedeli sempre maggiore rilievo. Coloro che avevano pagato con la vita il prezzo della fede si erano guadagnati il diritto di accedere direttamente alla vita eterna, e grazie ai loro meriti sedevano già al cospetto di Dio. Così tra i fedeli si diffuse la credenza che i martiri, che avevano ben meritato, potessero intercedere per loro presso Cristo, favorendo il perdono dei peccati e l’accesso al Paradiso. Per raggiungere tale obiettivo si cercava un luogo di sepoltura vicino o attorno alle loro tombe, consuetudine favorita nel iv secolo dallo sviluppo delle catacombe. Allo stesso tempo, nella connessione tra altare e tomba, o altare e reliquie, si cercava di creare un collegamento tra la funzione salutifera delle reliquie e l’azione mediatrice dell’eucaristia per la salvezza: in tale concetto trova fondamento la ricerca delle reliquie dei martiri e la loro traslazione nelle chiese, testimoniata per la prima volta dal vescovo di Milano Ambrogio (374-397). Nel corso del tempo il desiderio di una connessione, anche materiale, tra l’altare e la tomba del martire diverrà sempre più forte, con l’enfatizzazione delle preghiere d’intercessione eucaristica. A queste nuove esigenze cultuali Pelagio ii (579-590) rispose con la costruzione delle chiese di S. Lorenzo e S. Pancrazio, che racchiudevano le tombe dei martiri rispettivamente nell’abside e nel presbiterio, ed erano state precedute dalla basilica a matronei dei Ss. Nereo e Achilleo nella catacomba di Domitilla. Agli inizi del vii secolo Gregorio Magno (590-604) fece un ulteriore passo, collocando in S. Pietro e in S. Paolo l’altare eucaristico, allestito con un ricco apparato architettonico, direttamente sulle tombe degli apostoli, nella posizione che perdura ancora oggi. Le grandi

basiliche a deambulatorio di età costantiniana, lontane dalle tombe dei martiri nelle catacombe, non erano più in grado di rispondere a questa esigenza. Il loro oneroso mantenimento e la scarsa disponibilità di legname di misure adeguate per la riparazione di tetti lunghi almeno 25 m, alla fine della tarda Antichità e nell’alto Medioevo portò al loro declino. Solo le più importanti basiliche dedicate agli apostoli, come S. Sebastiano, S. Pietro e S. Paolo fuori le mura, vennero restaurate e conservate, con gran dispendio delle risorse disponibili. Con la diffusione del cristianesimo, intorno alla capitale sorse la necessità di costruire chiese per la popolazione rurale della campagna romana. Inizialmente bastavano a soddisfare questa esigenza le chiese cimiteriali di fondazione vescovile del iv e v secolo, luoghi di culto dedicati ai martiri diffusi nel territorio. Queste chiese vennero officiate dai tituli posti nei limitrofi quartieri cittadini, fino a quando, agli inizi del Medioevo, i monasteri che vi erano annessi mutuarono tale funzione. Già agli inizi del v secolo si era fatta pressante la richiesta di nuovi edifici ecclesiastici di livello adeguato alla cura d’anime dei ricchi aristocratici proprietari terrieri e delle loro grandi famiglie, ma soprattutto della popolazione rurale, che persistette ancora a lungo nelle vecchie credenze. Anche questa attività edilizia fu promossa da donatori aristocratici, che misero i propri beni a disposizione del vescovo.

S. Stefano sulla via Latina Secondo il Liber Pontificalis fu Demetria, una patrizia appartenente alla gens Anicia, la famiglia più importante della nobiltà romana del tempo, a fondare su un proprio terreno

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

(praedium) una chiesa dedicata a S. Stefano, costruita da papa Leone i (440-461) grazie al lascito della stessa Demetria. L’iscrizione in versi rinvenuta frammentaria tra i ruderi della chiesa in occasione degli scavi compiuti a metà del xix secolo conferma queste informazioni, e riferisce che il papa aveva ordinato la costruzione della chiesa dedicata al protomartire come ultimo desiderio della domina, con le risorse predisposte per sua volontà, e che il presbitero Tigrinus si era incaricato della supervisione del cantiere1. L’edificio fu dunque realizzato intorno alla metà del v secolo per iniziativa e sotto controllo delle autorità ecclesiastiche, su un terreno e grazie a una donazione di un privato. Con il suo legato testamentario, Demetria rispondeva a una sfida con cui la Chiesa in quel momento si stava confrontando, come si potesse cioè favorire la cristianizzazione delle campagne, che procedeva molto a rilento. La situazione è tratteggiata con chiarezza agli inizi del v secolo da Giovanni Crisostomo, scrittore cristiano patriarca di Costantinopoli, che sollecita i proprietari terrieri cristiani a costruire chiese sui propri fondi e a diffondere la fede, poiché le campagne difficilmente potevano essere raggiunte dalla Chiesa2. Per lo stesso motivo Agostino elogia il senatore Pammachio, fondatore del titulus Ss. Iohannis et Pauli, per aver convertito alla religione cattolica i contadini delle sue terre in Africa del Nord. La fondazione promossa da Demetria risponde perciò alle sollecitazioni del vescovo, facendosi carico della responsabilità della salvezza delle anime della popolazione contadina, e guidandola verso la fede e in seno alla Chiesa. Come riferisce il Liber Pontificalis3, sotto il pontificato di Leone iii (795-816) venne restaurato il tetto della chiesa. Altre donazioni vennero effettuate sotto papa Sergio ii (844-847) e Leone iv (847-855)4. Per l’epoca successiva manca qualunque notizia, e si deve presumere che nel Medioevo l’edificio fosse ormai abbandonato e in rovina. La chiesa si trova al terzo miglio della via Latina, nelle vicinanze di alcuni mausolei del ii secolo appartenuti a cittadini abbienti, e ancora ben conservati nell’apparato decorativo. I monumenti sono oggi all’interno di un parco archeologico visitabile. La basilica fu messa in luce alla metà del xix secolo, quando ancora non erano utilizzati i moderni metodi di scavo, in grado di fornire datazioni affidabili: alcune questioni, relative ad esempio agli aspetti decorativi della plastica architettonica, rimangono pertanto aperte. Sono stati comunque individuati la planimetria dell’edificio, l’arredo liturgico e un battistero. Si trattava di una basilica a tre navate, con muri in opera mista, lunga circa 36 m e larga 21, ricavata all’interno

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delle vaste strutture di una villa, di cui nelle fondazioni riprendeva in parte i muri. A est la chiesa, una parrocchiale di medie dimensioni, presentava un nartece, che in parte riutilizzava un portico colonnato della villa. Anche per la facciata, che attraverso tre porte dava accesso alle navate, venne utilizzato un muro appartenente alla villa. Il colonnato interno era formato sui due lati da otto colonne, che sostenevano probabilmente arcate, come consueto negli edifici ecclesiastici di medie dimensioni del periodo. A nord, accanto all’abside, era un vano secondario, dotato di una vasca, che fungeva quasi certamente da battistero. Una solea, un corridoio recintato con bracci secondari all’altezza della seconda colonna della navata, delimitava lo spazio dell’altare. A prescindere dal numero delle colonne, deducibile dai reperti rinvenuti, è attualmente impossibile definire la decorazione dei capitelli. Durante gli scavi del xix secolo vennero rinvenuti nel corpo longitudinale della basilica ben 22 fusti, 40 basi e oltre 30 capitelli, più di quanti la basilica ne avrebbe potuto contenere. Questi pezzi, raccolti nei dintorni, vennero qui riuniti a tutta evidenza in epoca imprecisata. Non è più possibile stabilire quali di questi capitelli, del tipo composito a foglie lisce di fine iv - inizi v secolo e corinzio del iv secolo, siano stati effettivamente impiegati nella chiesa e come fossero assortiti.

S. Agatha in fundo Lardarium La basilica di S. Stefano sulla via Latina non era l’unica chiesa destinata all’assistenza della popolazione rurale. Il Liber Pontificalis, nella biografia di papa Simmaco (498-514), menziona la fondazione da parte sua di una basilica sanctae martyris Agathae, via Aurelia, in fundo Lardarium, di una basilica consacrata alla santa martire Agata lungo la via Aurelia nel fondo denominato Lardarium. La chiesa, che sorgeva fuori città a due miglia da porta S. Pancrazio, era dotata di un battistero e svolgeva dunque funzioni di cura d’anime per la comunità. Dell’edificio, fondato forse dal proprietario del terreno, non si conosce altro, e nel xii secolo era già in rovina.

S. Pancrazio La chiesa sorge a ovest della città, a un chilometro dalla porta Aurelia, attuale porta S. Pancrazio, sulle pendici del Gianicolo, sopra uno degli antichi cimiteri che fiancheggiavano la via Aurelia. In questo cimitero fu sepolto Pancrazio,

morto durante la persecuzione di Diocleziano del 303-305. Già nel v secolo doveva esistere qui un culto del martire, secondo quanto riferisce il Martyrologium Hieronymianum, il calendario delle festività legate al culto dei martiri del vi secolo5. Probabilmente si trattava di un complesso simile a quello eretto da papa Damaso (366-384) nella catacomba di Domitilla, presso le tombe dei Ss. Nereo e Achilleo. Sopra la tomba, papa Simmaco (498-514) fece costruire una basilica destinata ad accogliere i numerosi pellegrini e i visitatori in occasione del dies natalis, giorno anniversario del seppellimento del santo, celebrato come resurrezione alla nuova vita6. Il papa fece annettere alla chiesa alcuni edifici secondari per rispondere alle esigenze dei pellegrini, tra cui dei balnea, come aveva fatto in S. Pietro. Papa Gregorio i (590-604), che in una lettera descrive le schiere di pellegrini che affluivano presso la tomba in occasione della festa del santo, fece costruire accanto alla chiesa un monastero, affidato ai benedettini7, per assicurare il mantenimento del santuario, del culto e della cura d’anime e l’assistenza ai pellegrini. Il grande vescovo franco Gregorio di Tours (540-595), nell’opera dedicata ai martiri, offre alcune notazioni che attestano il significato per il popolo del culto di san Pancrazio8. Secondo la credenza popolare, Pancrazio aveva il potere di smascherare e punire gli spergiuri. Chi era sospettato di aver giurato il falso, se si recava a visitare la sua tomba senza subire conseguenze, poteva liberarsi dall’accusa. In base alle informazioni fornite dal racconto di Gregorio, la tomba di Pancrazio si trovava nella chiesa di Simmaco, davanti alle transenne dell’arcone absidale: qui la chiesa, come nei Ss. Nereo e Achilleo nella catacomba di Domitilla, a differenza delle più antiche chiese cimiteriali erette in onore dei martiri in età costantiniana, inglobava la tomba, che si trovava presso l’altare ed era direttamente accessibile ai fedeli. Come testimonia l’iscrizione absidale, papa Onorio i (625638) fece ricostruire ex novo la chiesa, dotandola, secondo il modello di S. Pietro9, di un transetto in corrispondenza della tomba. Come è ormai consuetudine all’epoca, l’altare è sopra il sepolcro, e una cripta anulare all’interno del presbiterio sopraelevato consente ai pellegrini, sempre secondo il modello petrino, di visitarlo. Coerentemente con la sua importanza, la chiesa di papa Onorio era lunga ben 55 m, e sopravvive ancora oggi sotto i rimaneggiamenti del xv e del xvii secolo. L’edificio è interamente costruito in opus mixtum. Per i colonnati delle navate, raccordati da arcate, furono impiegati capitelli di spoglio di età imperiale. Il mosaico absidale non si è conservato e se ne ignora anche il soggetto. Le dimensioni

e il ricco corredo decorativo di spoglio attestano le cospicue risorse di cui disponeva all’epoca la Chiesa come committente di grandi opere architettoniche. Papa Onorio proseguì il programma edilizio iniziato da Pelagio con la costruzione di una basilica sulla tomba di san Lorenzo, che mirava a porre in evidenza – attraverso nuovi santuari che potessero accogliere le folle di pellegrini –, i luoghi santi dei principali martiri, i più frequentati agli inizi del Medioevo. Con questi edifici, ancora inseriti nella tradizione dell’architettura religiosa tardoantica, si conclude l’attività edilizia delle origini cristiane a Roma, anche se l’impegno ecclesiastico non si arrestò, proseguendo nei secoli successivi con numerose piccole fondazioni. Le numerose chiese costruite a Roma nell’alto Medioevo sono spesso di dimensioni ridotte, di qualità architettonica meno impegnativa, e mostrano una decorazione molto meno ricca e prestigiosa. Solo con le nuove condizioni politiche e sociali dell’età carolingia sarebbe rinata nella città dei papi – in cui restava vivo il ricordo della passata grandezza – un’attività di edilizia religiosa collegata alla tradizione tardoantica, come si può ad esempio vedere nella chiesa di S. Prassede. Questa richiederebbe tuttavia una trattazione distinta, che esula dai limiti del presente lavoro, dedicato all’architettura religiosa della prima età cristiana sino alla fine dell’Antichità.

Ss. Nereo e Achilleo (catacomba di Domitilla) Una recente esplorazione strutturale della catacomba di Domitilla ha potuto in gran parte chiarire la sequenza dei luoghi di culto sorti sulle tombe dei santi Nero e Achilleo. I martiri vennero sepolti agli inizi del iv secolo in un cubiculum, una camera funeraria di un complesso cimiteriale sotterraneo nei pressi della via Ardeatina. Papa Damaso (366-384), promotore del culto dei martiri, vi appose, come nel caso di altre tombe di martiri nelle catacombe romane, un’iscrizione commemorativa con un suo carme in loro onore, rinvenuta in frammenti. Il papa enfatizzò con una struttura architettonica le semplicissime sepolture, rendendole accessibili ai fedeli. A tale allestimento potrebbe appartenere la colonna sul cui fusto è raffigurata la decapitazione di Achilleo, con l’indicazione esplicita del suo nome. Il rilievo, il cui stile è riferibile alla fine del iv secolo, quindi a età damasiana, rappresenta una delle più antiche raffigurazioni di martirio note dell’arte cristiana delle origini. Damaso fece aggiungere un’ampia scalinata, che

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Martyria e mausolei di età costantiniana 180. S. Lorenzo fuori le mura. La basilica a matronei del vi secolo (a sinistra) con l’ampliamento medievale del xiii secolo.

si concludeva con due larghi corridoi, e la fece decorare con pitture: consentiva ai fedeli e ai pellegrini l’accesso dal terreno soprastante alla camera sepolcrale dei martiri, ampliata e illuminata da un lucernario. In un momento non precisato dalle fonti, il luogo di culto ipogeo venne sostituito da una basilica ad corpus racchiudente le tombe all’interno dell’abside presso l’altare. Mancano elementi per una datazione più precisa della costruzione, scavata già alla fine del xix secolo. La traslazione delle reliquie dei martiri nel titulus Fasciolae, nel tratto interno della via Appia presso le terme di Caracalla – fondato prima del sinodo del 595, in quanto presente nella lista dei partecipanti con il nome di titulus Ss. Nerei et Achillei –, permette di stabilire che la costruzione della chiesa fosse avvenuta già agli inizi del vi secolo, probabilmente sotto papa Simmaco (498-514). Il papa fu un attivo promotore di chiese memoriali, e a lui si deve anche quella eretta sulla tomba del martire Pancrazio sulla via Aurelia. I Ss. Nereo e Achilleo nella catacomba di Domitilla e S. Pancrazio costituirebbero così, oltre a S. Pietro e S. Paolo, le più antiche basiliche ad corpora, modello per le successive chiese cimiteriali di questo tipo, come S. Lorenzo e S. Agnese. Per includere le tombe dei santi nel presbiterio, l’edificio doveva scendere in profondità nella catacomba. La basilica messa in luce dagli scavi, e parzialmente conservata e restaurata, aveva tre navate ed era lunga poco più di 30 m, con la navata mediana che si apriva attraverso una triplice arcata su un nartece con quattro colonne, sormontate da arcate, per lato. Probabilmente la chiesa disponeva di matronei. Le irregolarità nella progettazione si debbono alla sovrapposizione alla catacomba e all’inglobamento dei resti del complesso damasiano, i cui corridoi vennero obliterati e abbandonati insieme alla vecchia scalinata. La decorazione architettonica comprendeva fusti di colonne di reimpiego, con capitelli tardoantichi di tipo composito e corinzio a foglie lisce, e capitelli corinzi del iv secolo di reimpiego. La ricostituzione dei colonnati durante i restauri del secolo scorso non consente più di dedurre la corretta distribuzione dei capitelli sulle colonne. Resti di un presbiterio con recinzione in muratura si prolungano all’interno della navata centrale. La colonna con la raffigurazione del martirio di sant’Achilleo, proveniente dall’edificio di culto damasiano, è stata reimpiegata insieme ad altre nel ciborio dell’altare.

S. Lorenzo fuori le mura San Lorenzo, uno dei santi romani più venerati, subì il martirio come diacono di papa Sisto ii (257-258) e – secondo

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quanto riferiscono il Liber Pontificalis e altre fonti – venne sepolto sulla via Tiburtina in un sepolcreto sotterraneo, in cripta agro Verano. Già in età costantiniana nello stesso luogo era stata eretta in suo onore una grande basilica a deambulatorio per il culto eucaristico, progettata per accogliere un gran numero di sepolture10. La chiesa – come l’analoga sorta sulla catacomba della via Nomentana in cui era sepolta S. Agnese – era collegata alla tomba del santo da una scala posta nell’atrio. Poiché la basilica non rispondeva più all’esigenza cultuale di collegare direttamente l’altare eucaristico alla tomba del martire, papa Pelagio ii (579-590) fece costruire una nuova basilica sulla tomba del santo11. Fino al primo Medioevo, come si deduce dalle guide dei pellegrini, entrambe le basiliche sopravvissero l’una accanto all’altra12. Per erigere la basilica direttamente al di sopra della tomba fu scavata parte della collina sotto cui si estendeva la catacomba, in modo che la tomba fosse racchiusa nell’abside. La basilica era del tipo a matronei. L’ingresso si trovava sul fianco meridionale, presso la penultima colonna prima della facciata, poiché la collina si estendeva fin quasi a ridosso della facciata, e da quel lato non era possibile accedere alla chiesa. Ciò spiega anche la scelta di una basilica a matronei. Poiché la tomba era posta sotto le pendici della collina, lo spazio disponibile per la costruzione era estremamente limitato, se la sepoltura doveva trovarsi esattamente sotto l’altare del presbiterio. Per aumentare la capienza dell’edificio furono dunque creati i matronei, accessibili direttamente dalla collina. La scelta del tipo si fonda dunque su ragioni pratiche, ed è determinata dalla situazione topografica. La basilica a matronei offriva la possibilità di venire incontro alle esigenze del culto dei martiri e alle necessità proprie di una chiesa di pellegrinaggio. Non si tratta quindi, come spesso si è pensato, di un più antico tipo architettonico, caratteristico dell’edilizia religiosa orientale del v secolo, veicolato a Roma sotto l’influsso bizantino. Le navate laterali si prolungano verso est abbracciando la navata mediana a formare una sorta di nartece interno. I colonnati sono formati da sei colonne architravate ciascuno, mentre le colonne dei matronei reggono arcate. La scelta dell’architrave per i colonnati del piano inferiore ha anche una motivazione pratica, perché le arcate su colonne avrebbero innalzato considerevolmente la chiesa. Sul lato breve a est sono in opera due colonne al piano terreno e due al livello del matroneo. Nel cleristorio, sopra ciascun intercolumnio, si apre una finestra centinata, e così in facciata. L’abside era forata da quattro finestre e da una più piccola apertura centrale quadra-

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

181. S. Lorenzo fuori le mura. Interno della basilica a matronei costruita da papa Pelagio ii (579-590), con la basilica annessa a ovest da Onorio iii (1216-1227). 182. S. Lorenzo fuori le mura. Mosaico dell’arco trionfale commissionato da papa Pelagio ii: Cristo con gli apostoli Pietro e Paolo, san Lorenzo, santo Stefano, sant’Ippolito e il donatore Pelagio.

ta, che consentiva di vedere la tomba dall’esterno dell’abside. Dalla zona coperta alle spalle dell’abside si poteva accedere alla catacomba e al sepolcro. La basilica era lunga circa 32 m, abside compresa, e larga oltre 20. Corrisponde quindi nelle misure alla precedente basilica cimiteriale, sempre con matronei, dei Ss. Nereo e Achilleo nella catacomba di Domitilla. Per la sua rilievanza, in quanto chiesa dedicata a S. Lorenzo, venne decorata con un apparato di particolare ricchezza e con pregevoli pezzi di spoglio, inseriti con criteri precisi e meditati, che conferiscono all’edificio particolare splendore e prestigio. La prima colonna verso l’abside ha fusto scanalato e un insolito capitello figurato di età severiana, che al posto delle volute del tipo corinzio presenta agli angoli tropaia, simboli di vittoria. La colonna poggia su una base decorata con una croce, che risale invece all’epoca di costruzione della chiesa. Tutte le altre colonne, comprese quelle del nartece, hanno fusti in marmo pavonazzetto e grandi, omogenei capitelli corinzi del ii secolo. Il presbiterio risulta in tal modo particolarmente evidenziato. I blocchi dell’architrave, risalenti ad età severiana e al ii secolo, sono completati da elementi provenienti da stipiti scolpiti e da cornici di lastre funerarie di reimpiego. I blocchi sono disposti, a due a due, per coppie omogenee. Tuttavia tale schema non è osservato rigidamente, interrompendosi in alcuni punti. Pertanto anche

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la decorazione dei due elementi di stipite di porta del terzo intercolumnio, con figure e animali entro tralci di acanto, al contrario di quanto si è recentemente sostenuto, non riveste un significato particolare. Il profilo superiore degli architravi è costituito da pezzi di spoglio. I fusti scanalati delle colonne dei matronei sono in marmo pavonazzetto, a eccezione della prima coppia di colonne presso l’arcone absidale, significativamente decorate con scanalature tortili. Analogamente, la prima coppia di capitelli sopra i fusti spiraliformi è composta da due capitelli compositi altrettanto riccamente decorati, mentre i restanti elementi sono di ordine corinzio. Tutti i capitelli dei colonnati sono databili al ii secolo. L’area dell’altare risulta dunque particolarmente enfatizzata anche a livello del piano dei matronei, attraverso l’impiego di capitelli più ornati e fusti di tipo variato. Solo i capitelli dei matronei in corrispondenza del nartece si allontanano da questo schema. Non si tratta di elementi di spoglio, bensì di pregevoli capitelli corinzi coevi, di produzione costantinopolitana, montati, come preziosi cimeli, su fusti in marmo verde antico. L’utilizzo nei matronei di arcate subordina questi ultimi, come ambienti secondari, rispetto alla navata maggiore, conformemente all’impiego gerarchizzato all’interno dell’edificio degli elementi architettonici. Le colonne dei matronei poggiano su una base decorata appositamente realizzata.

La decorazione architettonica, nonostante la varietà ed eterogeneità, conferisce alla chiesa un’immagine solenne e armoniosa, concentrando l’attenzione, attraverso la gerarchizzazione, sull’altare e il presbiterio come luoghi fondamentali del sacrificio eucaristico. È rilevante che i pezzi costantinopolitani coevi siano stati impiegati indifferentemente insieme al costoso e riccamente decorato materiale di spoglio. Roma non aveva più una propria produzione di manufatti di lusso, ed era così necessario utilizzare, per conferire agli edifici un’adeguata decorazione, il materiale di spoglio o quello d’importazione orientale. Con l’ampliamento romanico del xiii secolo l’abside venne abbattuta, la chiesa di papa Pelagio assunse la funzione di presbiterio e il complesso ebbe un diverso orientamento. Nello stesso tempo il presbiterio venne rialzato e incluso nella nuova sistemazione della basilica, rimanendo fissa la posizione dell’altare con il ciborio sulla confessio della chiesa pelagiana. Negli interventi andò perduto il mosaico della calotta absidale donato dal papa, che probabilmente raffigurava al centro il santo titolare. Si è conservato solo il mosaico della fronte dell’arcone absidale. Su fondo dorato un Cristo barbato, affiancato dagli apostoli Pietro e Paolo, siede sul globo terrestre vestito della porpora imperiale. Nella mano sinistra regge la croce, mentre la destra è alzata nel gesto dell’oratore o del

maestro. Alla sua destra Lorenzo tiene una croce e un libro aperto, mentre Pelagio, con le mani velate, presenta a Gesù il modello della chiesa. Alla sinistra di Cristo è Stefano, mentre Ippolito, martire sepolto in una vicina catacomba, porge come tributo la corona del martirio. Nei pennacchi sono le città di Betlemme e di Gerusalemme, a richiamare i miracoli e la vita di Cristo. L’apparato decorativo della basilica pelagiana è realizzato con particolare cura e fasto, e l’interno offre un’impressione di solennità e armonia, testimonianza di un’architettura di notevole qualità, tanto più rilevante in quanto realizzata in un’epoca in cui, come lamenta lo stesso Pelagio nell’iscrizione di fondazione, si viveva sotto la minaccia di guerre e carestie13. Con quest’opera l’edilizia religiosa si pone, alla fine dell’Antichità, a un livello in un certo senso paragonabile a quello dei secoli precedenti. Si è supposto che le colonne della chiesa romanica, che riprende il tipo della basilica a colonne delle origini cristiane, fossero di recupero e provenissero dalla grande basilica a deambulatorio di età costantiniana. Si tratta però di un’ipotesi non sostenibile, poiché i fusti in granito, ridotti e di differente diametro, poggiano su basi attiche di età romanica, e reggono capitelli contemporanei di dimensioni corrispondenti. Sia nell’aspetto complessivo, sia per la presenza dell’architrave

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

183. S. Lorenzo fuori le mura. Veduta verso est dal matroneo meridionale.

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184. S. Lorenzo fuori le mura. Colonnato settentrionale, capitelli di spoglio di età imperiale (primo e secondo a ovest) con frammenti di travi lignee dell’età imperiale reimpiegati come architrave e pilastri decorati.

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

185. S. Lorenzo fuori le mura. Colonnato settentrionale con colonne di spoglio di età imperiale e frammenti di travi lignee.

continuo che corre tutt’intorno alla navata, la basilica romanica si rifà ai modelli delle basiliche cristiane delle origini, come S. Maria Maggiore. I raffinati capitelli ionici, che decorano con numerose varianti anche il vestibolo medievale, sono di produzione romana coeva e imitano, reinterpretandoli, le forme e lo stile dei capitelli ionici tardoantichi, come quelli utilizzati nel v secolo in S. Stefano Rotondo e forse anche in S. Maria Maggiore.

S. Agnese fuori le mura Oltre una generazione dopo che papa Pelagio ii (579-590) aveva eretto, accanto all’antica basilica a deambulatorio della via Tiburtina, una nuova basilica con matronei ad corpus sulla tomba del martire Lorenzo, papa Onorio i (625-638) volle realizzare, accanto alla grande basilica a deambulatorio dedicata a sant’Agnese, fondata dalla figlia dell’imperatore Costantino, una chiesa a matronei posta direttamente sopra

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il sepolcro. L’antica basilica venne restaurata da papa Adriano (772-795). Le fonti in seguito tacciono, e si deve pertanto presumere che nei secoli successivi l’edificio sia caduto in rovina, dato che non era più usato e il mantenimento era troppo oneroso. La situazione è analoga a quella della tomba di Lorenzo al Verano, lungo la via Tiburtina. Anche in questo caso il sepolcro di Agnese era situato al di sotto del pendio, sul versante settentrionale del colle, dove corre la via Nomentana. Il colle dovette quindi essere scavato per creare lo spazio sufficiente alla nuova chiesa. L’abside, orientata a sud-est e prospiciente la via Nomentana, e il presbiterio furono sovrapposti alla tomba e addossati al fianco scavato del colle, mentre il corpo longitudinale fu costruito nell’area spianata. La facciata come in S. Lorenzo non disponeva di ingressi. Si accedeva attraverso la grande scalinata che dall’atrio della basilica a deambulatorio, collegandosi al fianco sudoccidentale della chiesa, immetteva nel nartece interno, portando alla sepoltura della martire all’interno della chiesa.

186. S. Lorenzo fuori le mura. Matroneo orientale, capitello costantinopolitano del vi secolo.

La basilica, lunga 30 m, corrisponde nelle dimensioni alle due precedenti basiliche a matronei della via Ardeatina e della via Tiburtina. Le navate laterali girano intorno alla mediana, formando appunto il nartece interno. I matronei, incassati come in S. Lorenzo nel pendio del colle, sono accessibili dalla strada alla sua sommità. Come in S. Lorenzo, la chiesa poteva così accogliere un maggior numero di pellegrini, senza che s’intralciassero nell’entrare e nell’uscire. La grande basilica con transetto, eretta, sempre da papa Onorio, sulla tomba di Pancrazio al posto della precedente di papa Simmaco (498514) in occasione del rifacimento del santuario del martire, testimonia che nel caso delle basiliche a matronei si è di fronte a specifiche soluzioni edilizie dettate dalla situazione topografica. Non si tratta quindi, come si continua a ritenere, della ripresa di un più antico tipo di derivazione orientale, introdotto per influsso dell’architettura bizantina, e la datazione alta della basilica a matronei dei Ss. Nereo e Achilleo, tra v e vi secolo, porta a escluderlo. Men che meno si possono addurre a sostegno di questa opinione le proporzioni dell’edificio, frutto

del tipo prescelto e dei vincoli topografici, più che del presunto impiego come unità di misura del piede bizantino. A parte il fatto che il piede bizantino ha valore variabile, la differenza rispetto al piede romano è di circa 1,5 cm, ed è impossibile verificarne l’impiego in un edificio come S. Agnese. I colonnati della navata maggiore sono formati da sette colonne che reggono arcate. Lo stesso numero di colonne si ritrova nei matronei. Il piano finestrato presentava in origine otto grandi finestre centinate in corrispondenza degli intercolumni, in seguito ridotte, come le due aperte nella parte meridionale del muro sopra l’abside. Anche in questo edificio si ritrova un vasto utilizzo di materiali di reimpiego, elementi di pregio distribuiti sui colonnati della navata mediana e dei matronei secondo uno schema razionale, a enfatizzare i principali spazi liturgici. I fusti lisci delle prime due coppie di colonne sono in marmo rosso di Portasanta e reggono capitelli del ii secolo a foglie lisce; la coppia successiva in marmo pavonazzetto ha fusto scanalato, con capitelli corinzi di età altoimperiale, mentre le ultime quattro coppie verso sud presentano fusti in breccia grigia e di nuovo capitelli corinzi di spoglio di età imperiale. La ripartizione doveva marcare, con la coppia di colonne scanalate, l’inizio del presbiterio, posto in ulteriore risalto dalle due coppie di colonne in marmo di Portasanta e dai capitelli a foglie lisce di maggiori dimensioni. Lo stesso tipo di capitelli corinzi utilizzato nei colonnati principali si trova anche nelle due colonne del nartece. I matronei non presentano alcuna corrispondenza con i colonnati inferiori nell’impiego di fusti e capitelli di spoglio: qui i colonnati iniziano con una coppia di fusti in pavonazzetto e capitelli corinzi, cui segue una seconda coppia con capitelli compositi. La colonna successiva non è scanalata e presenta un bel capitello corinzio del i secolo, mentre poi è una colonna con capitello composito e fusto scanalato in pavonazzetto. La coppia successiva presenta di nuovo due capitelli pseudocorinzi della prima età imperiale su fusti lisci di granito, seguita da un’altra con fusti scanalati in pavonazzetto e capitelli corinzi. Le ultime due colonne, con fusti scanalati tortili, sono coronate da capitelli compositi, che tuttavia si differenziano per forma e fattura. Evidentemente in questo caso non era disponibile una coppia omogenea di capitelli. La coppia di capitelli del piano superiore del nartece, di ordine ionico semplificato, risale agli inizi del v secolo. Fusti e capitelli delle colonne dei matronei appaiono molto eterogenei, ma dove non erano disponibili pezzi uguali vennero collocati in coppie. Anche i quattro bei capitelli pseudocorinzi del i secolo non

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

187. S. Agnese fuori le mura. La basilica a matronei di Onorio i (625-638). Veduta dell’interno verso est.

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188. S. Agnese. Veduta verso est dal matroneo di sinistra. Colonne e capitelli di spoglio di età imperiale.

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Le prime chiese di Roma

Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

189. S. Agnese fuori le mura. Mosaico absidale: sant’Agnese tra il donatore Onorio i (625-638) e papa Gregorio Magno (590-604).

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190. S. Agnese fuori le mura. Mosaico absidale: particolare con la santa titolare, il donatore Onorio e papa Gregorio Magno.

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Chiese rurali e cimiteriali nel suburbium del vi e vii secolo

191. S. Agnese. Capitello della prima età imperiale nel matroneo. 192, 193. S. Agnese. Rivestimento marmoreo dell’abside. Lastre in porfido di rempiego e capitelli di pilastro di età imperiale, in porfido.

furono utilizzati insieme, ma ripartiti in due coppie. Si attribuì quindi valore all’alternanza regolare degli elementi, un criterio sottolineato dalla cura nella selezione dei materiali. Il ciborio dell’altare, risalente al 1614, poggia su quattro colonne di porfido, probabilmente appartenenti a quello della chiesa antica. Non è noto come fossero decorate le pareti di S. Agnese, la cui sistemazione attuale risale al restauro del xix secolo. Solo l’abside ha conservato il decoro originario. Sino all’altezza della calotta, l’emiciclo presenta, come consuetudine nelle chiese delle origini, un rivestimento marmoreo. Strette fasce rettangolari in porfido incorniciano lastre di marmo proconnesio. All’inizio dell’emiciclo le fasce di porfido sono coronate da due capitelli di età imperiale a incrostazioni marmoree. I pezzi hanno misure diverse, e provengono quindi

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da contesti edilizi differenti. La loro ricca e pregevole qualità formale fa passare in secondo piano la disomogeneità. I candelabri marmorei di età altoimperiale, riccamente decorati e di grande qualità, nel presbiterio sono parte dell’arredo originario del mausoleo di Costantina. Il mosaico absidale, come altri mosaici contemporanei della fine dell’Antichità, ad esempio quello di S. Stefano Rotondo, presenta una composizione basata su poche figure. Su un fondo d’oro di varia gradazione, sopra una striscia di terreno schematicamente tratteggiato e privo di elementi vegetali, spicca al centro sant’Agnese, rivestita con un sontuoso abito di porpora imperiale, con un ampio pettorale, pendenti di perle e diadema, accompagnata a sinistra da papa Onorio, che con le mani velate offre il modellino della chiesa, e a destra

probabilmente da Gregorio Magno (590-604), riconoscibile dall’attributo del libro, al quale papa Onorio s’ispirava come esempio. Al vertice emerge dalle nubi apocalittiche la mano di Dio, circondata dalla corona stellata del cielo, a reggere sopra la figura della santa la corona del martirio. La spada e il fuoco ai piedi di sant’Agnese alludono al suo martirio. Al di sotto del mosaico si trova l’iscrizione di fondazione di Onorio, pure a mosaico, in lettere dorate su fondo azzurro. Le figure del mosaico absidale risaltano sul fondo dorato, nel quale sono peraltro immerse in posa ieratica e frontale, appena variata, con contorni netti, corpi appiattiti e panneggi lineari, simili a sacre icone devozionali. Il mosaico con la santa che affiora dal fondo dorato al centro della scena come un’apparizione, priva di dettagli accessori, nella sua scarna composizione di

figure in atteggiamento quasi estatico è di suggestivo, solenne impatto. Un mondo lo separa dal mosaico dei Ss. Cosma e Damiano, realizzato un secolo prima e ancora ancorato alla concezione visiva e alla sensibilità formale antica. Con il mosaico di S. Agnese il passaggio dall’Antichità al Medioevo è ormai compiuto.

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Uno sguardo retrospettivo

Nella presente visione d’insieme si sono presi in esame oltre trecento anni di architettura religiosa a Roma, dalle origini nell’età costantiniana sino alle soglie del Medioevo, agli inizi del vii secolo. L’edificio di culto del cristianesimo, ammesso nell’impero romano dall’imperatore Costantino, trova la sua definitiva fisionomia architettonica nella capitale, grazie alla politica edilizia imperiale, che promosse la costruzione di chiese in tutto l’impero. Una fisionomia architettonica che sarebbe servita, nei secoli a venire, alle esigenze in continua evoluzione di una comunità in rapida espansione, di un’organizzazione ecclesiastica sempre più influente e ricca di mezzi, e soprattutto a una liturgia che si andava trasformando da rito di una piccola conventicola in cerimonia di rappresentanza, con un fiorente culto dei martiri e dei santi. In questi secoli, e già sin dagli inizi nell’età costantiniana, si posero le basi dell’architettura sacra in Occidente, che attraverso il tipo della basilica, un’aula orientata a più navate con colonne o pilastri, in ultima analisi un tipo edilizio dell’Antichità, è sopravvissuta sino a oggi. Il primo edificio cristiano di carattere ufficiale e aspetto monumentale, la cattedrale di Roma fondata da Costantino, la basilica del Laterano, realizza già nei suoi caratteri essenziali il modello esemplare per le chiese successive. Sviluppatasi dalla tipologia, duttile e multifunzionale, della basilica civile messa a punto dall’architettura romana, la basilica cristiana, che doveva ospitare la comunità dei fedeli, venne radicalmente riplasmata grazie all’orientamento in direzione dell’abside e al presbiterio in cui era collocato l’altare, centro dell’evento eucaristico. Tale orientamento, sottolineato architettonicamente dalla fuga dei lunghi colonnati, si traduce, come si è rilevato nei primi edifici cristiani intramurani, in una planimetria impostata est-ovest, oppure, quando la topografia e il legame con altri elementi urbanistici non consentivano altrimenti, sud-nord, con in alcuni casi i relativi scostamenti dal modello base. Tale orientamento era determinato dalla direzione verso cui si pregava, dal rivolgersi del celebrante all’altare verso est, secondo la

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tradizione antica, pagana ed ebraica. Anche l’edificio chiesastico si orienta con la facciata a est, nello stesso modo in cui i templi classici avevano la fronte rivolta al sole nascente, e le sinagoghe, secondo l’usanza ebraica, erano orientate in base alla collocazione dello scrigno che custodiva la Torah. Nel corso del v e vi secolo si diffonde via via l’uso, già da tempo affermatosi nelle provincie orientali dell’impero, di porre l’abside nella parte orientale dell’edificio di culto. Era la conseguenza dei mutamenti avvenuti nella liturgia, che determinarono lo spostamento dell’altare a est per evitare che la comunità, rivolta a ovest verso l’altare e l’officiante, dovesse volgersi dall’altra parte a ogni preghiera. In tal modo la comunità rivolgeva le preghiere e la devozione in un’unica direzione, verso l’altare, cui si adeguava anche l’edificio di culto con la posizione dell’abside. Per erigere la cattedrale di Roma Costantino mise a disposizione il terreno dell’ex caserma della disciolta guardia imperiale, gli equites singulares, situata a sud della città, in prossimità delle mura, in un’area caratterizzata dalla presenza di prestigiose domus e di vaste proprietà imperiali, tra cui il complesso del palatium Sessorianum. Si delineano già, in tale scelta, le linee fondamentali che informeranno la costruzione dei nuovi edifici di culto cristiano all’interno della città. In un tessuto urbano densamente edificato, in cui i quartieri residenziali si estendevano anche al di fuori delle mura, l’erezione di nuovi edifici era condizionata dalla possibilità di abbattere strutture preesistenti o di sovrapporvisi. L’iniziativa dell’imperatore, volta a promuovere la costruzione della chiesa vescovile come principale centro religioso della comunità cristiana della capitale, rispecchiava la tradizione romana per la quale la divinità assicurava protezione all’imperatore, garantiva la vittoria del sovrano sui nemici esterni e così il benessere dell’impero e del suo popolo, la salus populi Romani. Così, già negli anni Settanta del iii secolo, ad esempio, Aureliano aveva fatto erigere in Campo Marzio il colossale tempio del Sole, e Massenzio, l’avversario di Costantino, aveva fatto ricostruire dopo un

incendio il tempio di Venere e Roma eretto da Adriano nel foro romano. Costantino promosse la costruzione di chiese cristiane non solo nella capitale, ma in tutto l’impero, e non solo in luoghi scelti, come ad esempio quelli legati alla memoria di Cristo a Gerusalemme e in Palestina, o ad Antiochia, residenza imperiale, dove fece erigere la cattedrale, ma nei suoi decreti, tramandati dallo storico della Chiesa e suo biografo Eusebio, prevedeva il restauro, l’ampliamento e la fondazione ex novo delle chiese sotto la supervisione dei vescovi e con il sostegno economico imperiale. La politica edilizia dell’imperatore svela una concezione nuova rispetto al passato. Se nell’ambito di un mondo antico fortemente plasmato dalla cultura urbana era compito delle autorità municipali e delle comunità erigere e custodire gli edifici di culto, per Costantino fu necessario, in un contesto ancora permeato dal paganesimo, al quale aderivano soprattutto i ceti dirigenti della società, assumere direttamente su di sé l’iniziativa di costruire gli edifici di culto cristiani, per far sì che la nuova fede universale non rimanesse circoscritta a situazioni locali e potesse diffondersi nell’impero. Dalle disposizioni si apprende inoltre che, mentre le autorità ecclesiastiche erano preposte alla pianificazione dei grandi edifici a Roma e in Palestina, era l’imperatore stesso a mettere a disposizione, attraverso il suo rappresentante e i funzionari pubblici, la manodopera necessaria, e soprattutto materiali edilizi costosi come colonne e marmi, dando inoltre suggerimenti per la costruzione e il corredo decorativo affinché l’edificio risultasse di decoro e splendore adeguati. Si tratta dello stesso sistema che, ancora ottant’anni dopo, influenzerà il rescritto degli imperatori Teodosio, Valentiniano ii e Arcadio, inviato al preaefectus urbi e al vescovo di Roma in occasione della costruzione della grande basilica di S. Paolo sulla via Ostiense. L’ubicazione della basilica costantiniana del Laterano fu certamente determinata dalla disponibilità del terreno della guardia imperiale, che ben si prestava alla costruzione di un edificio di grandi dimensioni, ma non deve essere ritenuta una collocazione marginale, come si è visto, poiché la basilica sorge nelle immediate vicinanze di proprietà e palazzi imperiali nella zona sudorientale della città. Che a impedire a Costantino di erigere la cattedrale nel centro della città non fosse affatto, come si continua a ritenere, una forma di riguardo nei confronti della potente aristocrazia senatoria, ancora largamente pagana, lo dimostra il fatto che nella stessa epoca i vescovi costruivano nel cuore di Roma chiese come S. Marco, la basilica Iulia, o S. Silvestro, che rendevano evidente l’amministrazione episcopale nella struttura urbana. Queste si collocano nelle immediate vicinanze di grandi edifici pubblici di fondamentale importanza, come il foro di Traiano, la porticus Liviae o i monumenti pubblici del Campo Marzio, come nei pressi del tratto urbano della via Flaminia, l’odierna via del Corso, o presso il clivus Suburanus. Anche per i numerosi edifici ecclesiastici della fine del iv e del v secolo questa politica edilizia di ripartizione delle chiese in città

è probabilmente determinata da un piano ragionato, che ha come linee guida le principali direttrici di traffico e la scelta di particolari luoghi di scambio e collegamento, come ad esempio l’ingresso nel centro abitato dalle strade extraurbane, l’area di passaggio alla zona monumentale o il cuore di popolosi quartieri residenziali. Questi edifici non vennero evidentemente costruiti, a seguito di donazioni o di altri fattori contingenti, in un determinato luogo per caso. Si tratta essenzialmente di tituli eretti, a seguito dell’istituzione di una prima organizzazione parrocchiale, come succursali della chiesa episcopale, di norma fondati da cittadini, ma anche direttamente da papi, grazie al patrimonio ecclesiastico incrementato dalle donazioni, e che dalla fine del iv e soprattutto dagli inizi del v secolo occuparono in numero sempre crescente l’area urbana. Con l’eccezione forse di S. Clemente e S. Lorenzo in Damaso, tali chiese si sostituirono a residenze private, principalmente domus, ma talvolta anche a complessi edilizi tipici dell’età imperiale con attività commerciali al piano terreno e alloggi d’affitto (insulae), come ad esempio S. Anastasia, S. Lorenzo in Lucina e i Ss. Giovanni e Paolo. Si manifesta qui un fenomeno che determina lo sviluppo urbanistico di Roma dalla prima età imperiale. In una città che contava almeno 700.000 abitanti – non si conoscono le cifre esatte – ogni nuovo edificio doveva necessariamente sostituirne uno più antico, poiché non esistevano più aree edificabili libere. Anche per costruire grandi strutture di committenza imperiale, ad esempio le terme di Diocleziano, era stato necessario abbattere interi quartieri residenziali. Le chiese costruite in città a partire dal iv secolo rientrano dunque in un processo di continuo rinnovamento del paesaggio urbano. Le prestigiose e talvolta persino lussuose domus, cui per lo più vanno a sostituirsi, a loro volta erano sorte a partire dalla metà del iii secolo su una parte del denso reticolo abitativo delle insulae, conferendo una nuova impronta all’immagine della città. Si tratta certamente di un segno che la pressione demografica andava riducendosi: l’urbanizzazione intensiva in alcune aree della città cedeva il posto a costruzioni più vaste e di maggiore pregio, un fenomeno che però col v secolo rientra. Tutti questi fattori escludono che i tituli subentrino a domus ecclesiae di età precostantiniana, ovvero dell’epoca delle persecuzioni, come sostenuto in passato. Sotto queste chiese non sono state rinvenute strutture edilizie identificabili con certezza come domus ecclesiae o utilizzate come tali. Unica eccezione, la piccola cappella in un’abitazione della fine del iv secolo portata alla luce sotto la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, la cui decorazione suggerisce che fosse un luogo di culto martiriale. Tuttavia, anche questo luogo di culto privato risale alla fine del iv secolo, e venne obliterato dalla costruzione della soprastante chiesa dell’inizio del v secolo. Se la chiesa del Laterano, con la sua imponente ripartizione in cinque navate, aveva stabilito che fosse la basilica il tipo monumentale di edificio di culto cristiano destinato a fungere da cat-

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tedrale, i tituli non seguono per nulla nel loro insieme il modello canonico a tre navate. Il titulus Marci, che appartiene ai primi esempi della serie, e il titulus Chrysogoni sono a navata unica e vengono ricavati nelle sale di ricevimento di precedenti domus, conservando in gran parte il nucleo edilizio più antico. La chiesa costantiniana di S. Croce in Gerusalemme aveva già costituito un precedente in tal senso, riutilizzando il vestibolo del palatium Sessorianum. Anche nel v e nel vi secolo saloni di rappresentanza appartenenti a domus del iv secolo con ambiziosi rivestimenti marmorei e musivi vengono riconvertiti senza sostanziali modifiche in chiese a navata unica, apparentemente proprio in virtù delle loro sontuose decorazioni. Ne sono un esempio S. Balbina, S. Andrea Cata Barbara e i Ss. Quirico e Giulitta. Particolarmente caratteristiche dell’edilizia sacra di età costantiniana sono le chiese memoriali dedicate al culto della Croce e in generale dei martiri. Questi ultimi, che all’epoca delle persecuzioni avevano patito la morte per testimoniare la fede in Cristo, secondo la concezione religiosa del tempo si erano già guadagnati un posto al cospetto di Dio, un onore che agli altri cristiani sarebbe stato concesso solo dopo la remissione dei peccati alla fine dei tempi. Per ottenere il perdono si cercava dunque di assicurarsi l’aiuto e l’intercessione dei martiri presso Dio attraverso il culto della loro memoria. Per questo culto della memoria Costantino fece costruire la chiesa in Vaticano sulla tomba di Pietro, e una più piccola sulla tomba di Paolo sulla via Ostiense. A queste si aggiunsero le numerose basiliche a deambulatorio fondate da lui e da altri membri della dinastia sopra le catacombe che custodivano i sepolcri dei martiri, alle quali erano annessi mausolei in cui all’imperatore era concessa la parte privilegiata del culto, che, in quanto forma cristiana del culto imperiale, ne aumentava la sacralità. Per la basilica di S. Pietro, in quanto memoria, venne ideata una variante del tipo basilicale con la creazione di un transetto costruito come uno scrigno sulla tomba dell’apostolo di fronte all’aula a cinque navate. S. Pietro, meta di pellegrinaggio favorita dell’impero d’Occidente, divenne in tal modo un modello per le altre chiese memoriali romane, come S. Paolo alla fine del iv secolo e S. Pietro in Vincoli alla metà del v, costituendo un esempio soprattutto per l’architettura religiosa medievale, che ne riprenderà il tipo architettonico sviluppandone ulteriormente forma e funzione. Le basiliche a deambulatorio – pure fondate sotto la dinastia costantiniana con una propria fisionomia strutturale e funzionale non solo in relazione al culto eucaristico dei martiri, ma anche per offrire un luogo di sepoltura e dunque spazio alla commemorazione dei defunti, i cui festeggiamenti tradizionali erano sostituiti dalla celebrazione eucaristica – sono limitate allo stesso periodo costantiniano. In connessione con il culto dei martiri promosso da papa Damaso (366-384) nelle catacombe e nelle chiese memoriali, come ad esempio S. Sebastiano sulla via Appia, con iscrizioni dedicatorie in

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Uno sguardo retrospettivo

versi e modifiche strutturali sopra e intorno alle tombe, verso la fine del iv secolo e agli inizi del v le reliquie di martiri dall’esterno della città vengono trasferite in gran numero negli altari dei tituli romani, che a essi saranno dedicati, come ad esempio S. Anastasia, S. Vitale, S. Susanna e i Ss. Quattro Coronati. Il desiderio di vicinanza, o collegamento, con l’altare e la salvifica tomba dei martiri divenne col tempo sempre più forte, così che dall’inizio del vi secolo anche le spoglie dei martiri romani furono traslate dalle catacombe del circondario, pesantemente segnato dalla guerra gotica, nelle rispettive chiese della città assegnate loro dall’amministrazione pontificia: ne sono un esempio S. Balbina sul Piccolo Aventino, i Ss. Nereo e Achilleo sulla via Appia, all’interno delle mura aureliane, e i Ss. Pietro e Marcellino sulla via Merulana. Allo stesso tempo venne realizzato un altro tipo di basilica memoriale, che deve la sua fisionomia a matronei alla necessità di includere nell’edificio le tombe dei martiri collocate in profondità, come ora il culto richiede, e nel contempo creare lo spazio per il flusso dei pellegrini. Esemplificano questo tipo edilizio le chiese costruite in onore di martiri romani particolarmente venerati come la basilica dei Ss. Nereo e Achilleo nella catacomba di Domitilla, degli inizi del vi secolo, e le analoghe chiese del tardo vi e dell’inizio del vii secolo di S. Lorenzo e S. Agnese, sorte al Verano e sulla via Nomentana sbancando le colline sopra le sepolture. Tale tipo a matronei non fu dunque trasmesso a Roma dall’architettura ecclesiastica orientale. S. Agnese, S. Lorenzo e S. Pancrazio appartengono agli ultimi edifici di culto dell’Antichità a Roma. Ai tituli di v e vi secolo convertiti con la traslazione delle reliquie in luoghi memoriali del culto dei martiri corrisponde l’espansione del culto attraverso la costruzione di nuove chiese memoriali: ne sono esempio la grande chiesa pontificia di S. Maria sull’Esquilino, la fondazione papale di S. Pietro in Vincoli, della metà circa del v secolo, che custodiva la reliquia delle catene di Pietro, e la basilica Apostolorum, la chiesa dedicata ai Ss. Filippo e Giacomo che, se non già nel v secolo, fu consacrata al più tardi nel 560, rinnovando nello stesso luogo la fondazione papale della basilica Iulii iuxta forum Traiani. La chiesa memoriale dedicata a S. Stefano, costruita negli anni Sessanta del v secolo subito dopo il ritrovamento delle reliquie, è caratterizzata da una fisionomia e da dimensioni fuori dal comune. Anch’essa, come le precedenti, è una fondazione pontificia, oppure una costruzione realizzata su iniziativa dei papi con sovvenzioni imperiali. Costruzione a pianta circolare con pluralità di ambienti, ispirata alla pianta a croce, la chiesa dedicata al protomartire ha una fisionomia carica di significato, di grande efficacia anche nel suo splendido spazio interno. Questo esperimento rimase tuttavia senza seguito. Le dimensioni, gli alzati e la struttura conferiscono a S. Stefano l’aspetto di una sorta di basilica circolare a cinque navate, e anche la decorazione architettonica,

i colonnati e il corredo decorativo di pareti e pavimenti rinviano alla tipologia basilicale, forma canonica della chiesa romana. È interessante notare il numero delle fondazioni di chiese nel v secolo, pur funestato dalle conquiste e dai saccheggi della città da parte di Alarico e Genserico nel 410 e nel 455. L’intensa attività edilizia della Chiesa prosegue senza soluzione di continuità, grazie alle donazioni di aristocratici, dell’imperatore e dei membri della famiglia imperiale, segno eloquente del cambiamento sociale e politico che d’ora innanzi porta la Chiesa ad assumere il ruolo svolto dall’amministrazione imperiale e dai tradizionali obblighi sociali. Verso la fine del iv secolo e con l’inizio del v la basilica assume la sua forma definitiva come tipo edilizio caratteristico del titulus. Tale codificata fisionomia include alcuni elementi strutturali fondamentali, come l’aula a tre navate, con le pareti della navata mediana poggianti su colonnati, la focalizzazione verso l’abside come elemento conclusivo della navata maggiore, la copertura prevalentemente a capriate lignee, la presenza di un atrio, necessario soprattutto in presenza di una facciata aperta. Le proporzioni e i rapporti dimensionali, quali ad esempio la larghezza e l’altezza della navata mediana, l’ampiezza delle laterali rispetto a quest’ultima, il rapporto tra le dimensioni delle finestre e i setti murari intermedi, restano ancora variabili e in parte dipendono dalla topografia e dagli edifici preesistenti. In questa sede si possono stabilire solo alcune tendenze evolutive, nessuna norma che possa ritenersi cronologicamente vincolante. Queste basiliche a tre navate fra iv e v secolo sono lunghe circa 40 m, talvolta circa 60, dimensioni che sottolineano l’importanza dell’edificio. Il piano finestrato è fittamente occupato da grandi finestre, di norma in corrispondenza degli intercolumni dei colonnati. Nei Ss. Giovanni e Paolo e in S. Pietro in Vincoli anche le navate laterali sono dotate di un’analoga serrata sequenza di finestre ravvicinate. Negli edifici degli inizi del v secolo la facciata è rivolta a est, o a sud come nel caso di S. Pietro in Vincoli, e si apre con un’arcata tripartita o pentapartita, a cui nei Ss. Giovanni e Paolo corrisponde un analogo registro di aperture anche nella fascia superiore. In questo modo i raggi del sole nascente penetrano direttamente nella navata mediana, che, in quanto spazio solenne riservato al rito eucaristico, viene inondata di luce anche dalle aperture del fianco meridionale e dalla fitta sequenza di finestre del cleristorio. Quanta parte avesse nella fisionomia di queste chiese l’intento di farvi penetrare la massima quantità di luce è dimostrato dagli oculi aperti sopra le finestre della navata dei Ss. Giovanni e Paolo, della facciata di S. Pietro in Vincoli e del transetto di S. Paolo fuori le mura. Nelle successive, più mature architetture dell’età sistina, come S. Sabina e S. Maria Maggiore, alla combinazione dei Ss. Giovanni e Paolo subentreranno, apparentemente grazie a un’accresciuta padronanza dei problemi statici e tecnici, finestre ad arco di particolare ampiezza, allineate in fitta sequenza.

Si avverte qui con chiarezza una concreta regia della luce, che con l’inserzione di finestre anche nell’abside inonda il luogo della celebrazione eucaristica di viva luminosità. Nella poesia coeva, in cui si descrivono le solenni celebrazioni in occasione del dies natalis dei martiri – l’anniversario della sepoltura, visto come giorno della rinascita a una nuova, eterna vita –, si sottolinea sempre la luminosità dell’edificio, che ne esalta il fulgore festoso. Grandi lampadari e portaceri, che costituiscono alcuni dei doni preferiti degli imperatori e dei pontefici, durante le celebrazioni serali facevano apparire l’interno della basilica illuminato a giorno. Lo splendore della luce che si rifrange sui sontuosi mosaici e sulle incrostazioni parietali in marmi policromi è continuamente sottolineato nelle iscrizioni dedicatorie dei mosaici e rappresenta a quanto pare un elemento decisivo dell’effetto spaziale che si cerca di ottenere attraverso le possibilità offerte dall’architettura. Anche in questo caso l’edilizia ecclesiastica romana s’inserisce nella tradizione antica, guardando soprattutto agli edifici tardoantichi. L’accentuata dissoluzione delle pareti mediante l’inserimento di grandi finestre si ritrova già nella basilica di Massenzio e nell’aula palatina di Treviri. Anche le aule absidate delle domus del iv secolo in cui sono ricavate S. Balbina, S. Andrea in Cata Barbara e i Ss. Quirico e Giulitta presentano il medesimo sistema di illuminazione. Le prime chiese del v secolo si caratterizzano per l’ulteriore accentuazione delle fonti luminose. Soprattutto negli edifici con facciata orientata a est ad arcate, l’orchestrazione delle luci si coordina alla direzione dell’edificio. Tale concordanza riceve ulteriore efficacia dal successivo orientamento a est dell’abside e dall’inserzione di finestre nell’abside stessa, interventi motivati sotto il profilo teologico dal paragone tra Cristo e il sol salutis, il sole nascente, benefico simbolo del Redentore1. Le basiliche titolari romane erano in un certo senso funzionali, eredità, si potrebbe ritenere, delle precedenti aule basilicali. Non servivano solo alla liturgia della messa eucaristica, alla riunione in preghiera della comunità o alla preparazione alla liturgia battesimale descritta dalle fonti. Nei loro grandi spazi potevano avere luogo elezioni papali e pubbliche dispute teologiche, come avvenne in S. Clemente nel iv secolo. Le ricerche degli ultimi decenni hanno portato in luce in molti tituli dei battisteri, lasciando intendere che nel v secolo tutte le chiese parrocchiali fossero dotate di un tale luogo, in precedenza riservato alla basilica del Laterano in quanto sede vescovile, grazie al quale potevano adempiere i compiti di cura d’anime per la crescente comunità cristiana della città. Il battistero posto da Damaso in S. Pietro, nel – o presso il – braccio nord del transetto, costituì un precedente, e altri nel v secolo ne seguirono nelle chiese memoriali dentro e fuori la città, come S. Croce e S. Paolo fuori le mura, dove pellegrini e fedeli potevano essere assistiti. Questi battisteri sono i segni tangibili della progressiva cristianizzazione della società, compensandosi in questo secolo l’originaria

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Le prime chiese di Roma

separazione tra chiese memoriali e parrocchiali, soprattutto per la progressiva traslazione delle reliquie nelle chiese urbane al fine di preservare i corpi santi nell’altare eucaristico. I rivestimenti marmorei e i mosaici dell’abside, talvolta anche sulle pareti della navata, sono parte integrante dell’apparato decorativo della chiesa e concorrono in misura decisiva all’effetto spaziale. La decorazione parietale, per lo più bidimensionale, riflettendo con mutevoli, colorati bagliori la luce che penetra abbondante dall’esterno, priva in certo senso la parete della sua consistenza materica. Insieme ai colonnati che delimitano gli spazi, conferisce all’edificio basilicale un’apparenza di diafana leggerezza che concorre in modo sostanziale all’effetto spaziale. Questa ricca decorazione parietale, presente soltanto nelle chiese di maggiori dimensioni e più importanti, come S. Sabina e S. Stefano Rotondo, è comune a molti sontuosi edifici pubblici profani e alle lussuose aule delle domus della nobiltà senatoria, in cui si ritrova la medesima bidimensionalità e impaginazione ornamentale. Il prezioso corredo decorativo di questi edifici profani, dal tardo v secolo sempre più in disuso, ha probabilmente contribuito in modo significativo alla loro riconversione in chiese, cui conferiva particolare splendore e prestigio. I pavimenti, per quanto si può dedurre sulla base dei pochi resti conservati, erano spesso rivestiti da lastre marmoree policrome, per lo più con motivi frammentati, caratterizzati da quadrati disposti uno nell’altro. Alcuni resti della basilica lateranense, di S. Pietro e di S. Stefano Rotondo, della seconda metà del v secolo, sembrano attestare che negli edifici monumentali di maggior rilievo fossero comuni anche preziosi pavimenti in marmo intarsiato a coprire vaste superfici. Si può presumere che anche le sale di ricevimento delle domus fossero dotate di mosaici absidali, attestati, nel caso della basilica di Basso sull’Esquilino, della prima metà del iv secolo, dall’iscrizione nell’abside. Non è noto come si presentassero tali decorazioni. La cosiddetta basilica ipogea di Porta Maggiore, del i secolo, era un museion, un ambiente di rappresentanza appartenente a una villa alla periferia della città e destinato a soggiorni estivi, e non un luogo di culto di una fantomatica setta pitagorica. Offre l’esempio di un’abside decorata con una composizione figurata ispirata alla storia di Saffo, in cui sembra riassumersi l’estesa decorazione di genere a stucco dell’aula. Analoghe raffigurazioni, o motivi ornamentali di racemi vegetali, potevano ornare le absidi di queste sale di ricevimento. Nella basilica cristiana il mosaico absidale, fulcro su cui converge l’orientamento dell’edificio, assume un nuovo significato, sottolineato dal contenuto della rappresentazione, in cui dapprima predominano, al centro, la figura di Cristo o la Croce. Con il tardo iv e il v secolo anche la Madonna e il santo titolare, come in S. Lorenzo in Damaso e, agli inizi del vii, anche in S. Agnese, ottengono una posizione centrale. I primi mosaici mostrano composizioni a più figure, che comprendono in posizione subordinata i santi titolari e

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Uno sguardo retrospettivo

i donatori. Nel tardo vi e nel vii secolo si assiste a una riduzione in chiave simbolica della composizione, che si limita per lo più a tre figure, prima che in età carolingia si ritorni di nuovo a composizioni con più figure, ispirandosi al modello dei Ss. Cosma e Damiano. Nel caso delle grandi basiliche si deve supporre che, probabilmente già dal tardo iv secolo, la parete sottostante il piano finestrato fosse decorata con cicli di scene figurate tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, poste reciprocamente in correlazione, con gli episodi veterotestamentari intesi come prefigurazione di quelli neotestamentari. Un’analoga corrispondenza è alla base dell’unico ciclo a mosaico di questo tipo conservato, quello della navata di S. Maria Maggiore. Qui la rappresentazione dell’opera salvifica di Dio a favore del popolo d’Israele rinvia al compiersi di tale promessa attraverso la vita e l’epifania di Cristo, rappresentata sull’arcone trionfale. Nella struttura e nelle forme della rappresentazione questi mosaici sono improntati alla coeva epica biblica, rivestendo e veicolando la tematica con stile sofisticato e modi virgiliani. Paolino, vescovo di Nola, che con il patrimonio proprio e della moglie finanziò l’ampliamento del santuario di pellegrinaggio di Cimitile a Nola, in una lettera a un amico lascia intendere che questi cicli figurativi non erano comuni nell’apparato decorativo degli edifici di culto del suo tempo, agli inizi cioè del v secolo. Nelle architetture civili sontuosamente rivestite di marmi che tra v e vii secolo vengono trasformate in chiese, la preziosità dell’ornamentazione prevaleva sul vero e proprio corredo figurativo, autorizzando persino a inglobare i motivi profani presenti nel contesto originario. Del sontuoso apparato decorativo descritto nei rescritti imperiali e negli scritti di Prudenzio, intorno al 400, come regia pompa, fa parte anche la decorazione architettonica. Se le terme di Diocleziano, la basilica di Massenzio e il tempio di Venere e Roma nel foro Romano ricostruito dallo stesso Massenzio erano stati dotati di un corredo architettonico appositamente realizzato, le grandi architetture erette da Costantino – la basilica del Laterano e S. Pietro – presentano un’ornamentazione architettonica costituita da pezzi più antichi di età imperiale. Purtroppo non si conosce la decorazione architettonica del grande complesso termale imperiale sul Quirinale, e non è quindi possibile giudicare se l’utilizzo di pezzi più antichi sia appannaggio esclusivo degli edifici ecclesiastici di nuova costruzione o se non si tratti piuttosto di un nuovo tipo edilizio, non connesso ai tradizionali edifici pubblici dell’architettura romana. La decorazione architettonica delle basiliche cristiane di età costantiniana non si fonda, evidentemente, sull’impiego di materiali omogenei, come consueto nelle grandi costruzioni di età imperiale di medesimo contesto, bensì su una pluralità di elementi diversi per forma e datazione, tratti dai depositi dei marmi. La necessità di completare i cantieri nel più breve tempo possibile può essere stata corresponsabile di questo esteso impiego di materiali più antichi. L’allestimento di una bottega con manodopera specializzata nella

fabbricazione di pezzi elaborati rappresentava forse un’ulteriore difficoltà. Tuttavia, tali ragioni non dovettero essere decisive nelle grandi imprese architettoniche realizzate sotto la diretta regia imperiale. Entrambe le basiliche appartengono a una tipologia nuova e in parte rivoluzionaria, che nell’impianto e nella decorazione non si ricollega a una tradizione precedente. In questo caso fu proprio l’intento di dispiegare il massimo fasto – che si poteva manifestare nella dovizia di forme variate, nella ricchezza dell’ornamentazione e nell’alta qualità degli elementi scolpiti – a essere il fattore decisivo per l’utilizzo di materiali di spoglio che giacevano numerosi nei magazzini. È da notare come la decorazione architettonica non costituisca più un elemento essenziale del corredo ornamentale dell’edificio, ma sia chiaramente subordinata ai rivestimenti marmorei e ai mosaici, che sono ora i fattori determinanti dell’effetto spaziale. Si avvia così una svolta anche nelle modalità di fruizione visiva, che a differenza dell’architettura di età classica e imperiale privilegia nella decorazione architettonica proprio la varietà e la ricchezza delle forme, il lusso appunto, anziché la fattura unitaria e qualitativamente omogenea dei singoli elementi. Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che in edifici di alto costo come S. Sabina e S. Pietro in Vincoli, della prima metà del iv secolo, e anche in successivi come S. Lorenzo e S. Agnese, venne impiegata un’attenta selezione di materiale di spoglio, mentre edifici come S. Vitale vengono corredati di semplici capitelli coevi a foglie lisce, utilizzati con variazioni tipologiche significative. Un’eccezione è non a caso costituita da grandi architetture come S. Paolo fuori le mura e, nel v secolo, da S. Maria Maggiore e da S. Stefano Rotondo. Nel caso della basilica paolina, eretta alla fine del iv secolo, i preziosi capitelli compositi e corinzi destinati alla navata maggiore, in marmo importato dal Proconneso, vengono lavorati da una bottega allestita appositamente in città, e così i capitelli delle navate laterali. Per questi grandi edifici evidentemente non erano disponibili materiali di spoglio delle dimensioni richieste, né blocchi adeguati a un architrave di proporzioni così imponenti. La medesima situazione condusse più tardi in S. Maria Maggiore e in S. Stefano Rotondo all’impiego di grandi capitelli ionici coevi, che nel caso di S. Stefano provengono certamente da scorte di magazzino o di un’officina di scultori. In S. Stefano Rotondo la collocazione di rilievo riservata ai capitelli corinzi di spoglio lungo l’asse liturgico della chiesa dimostra ancora una volta che questi pezzi erano considerati preziosi cimeli. L’accentuarsi dell’uso di elementi di spoglio per sottolineare le aree liturgicamente rilevanti dell’edificio, in S. Stefano Rotondo nel v secolo ancora appena accennato, si manifesta compiutamente nella collocazione differenziata del materiale di spoglio nelle basiliche a matronei di S. Lorenzo e di S. Agnese, della fine del vi e dell’inizio del vii secolo. Nei colonnati della navata mediana e dei matronei i pezzi più elaborati e di maggiori dimensioni caratterizzano il presbiterio e l’area dell’altare.

Colpisce al confronto la trascuratezza nell’esecuzione e nella modellazione della coeva decorazione architettonica, che emerge chiaramente in S. Paolo fuori le mura alla fine del iv secolo e in S. Stefano Rotondo alla metà del v, come pure nella grande quantità di capitelli a foglie lisce degli inizi del v secolo. Si delinea un nuovo modo di vedere, che trascura l’uniformità e la finitezza dei singoli elementi formali a favore di una maggior coerenza, un atteggiamento che fece trascurare anche la perizia artigiana, portando nel v secolo alla scomparsa della produzione di decorazione architettonica a Roma. Tutta una serie di costosi ed elaborati capitelli di produzione costantinopolitana del vi secolo, che insieme ad altri materiali, quali ad esempio le lastre di recinzione, vennero importati come preziosi cimeli a Roma, oppure prodotti in città da manodopera orientale, come nel caso di S. Clemente, in virtù della splendida fattura e della ricchezza decorativa vengono anch’essi utilizzati alla stregua di materiali di spoglio e collocati in punti privilegiati della chiesa, ad esempio nei cibori degli altari di S. Clemente e dei Ss. Cosma e Damiano o nella tribuna del nartece interno di S. Lorenzo, sull’asse principale della chiesa. Il dato conferma ancora una volta che la vera ragione dell’esteso utilizzo di materiali di spoglio nell’architettura cristiana delle origini e dell’alto Medioevo risiede nella loro preziosità e sontuosità, e non certamente in un motivo ideologico, come spesso si suppone, tanto più che manca nelle fonti antiche un qualunque sostegno a simili interpretazioni. L’impiego sistematico ed estensivo di spolia e la loro collocazione nel complesso architettonico della basilica cristiana con criteri che determinano un nuovo ordine legato all’edificio e alla sua funzione cultuale sono da ritenere un fenomeno caratteristico dell’architettura religiosa del primo cristianesimo a Roma. Strettamente connesso alla valorizzazione dei materiali di spoglio nelle chiese romane delle origini è l’uso dell’architrave. Per la basilica civile, e per l’architettura romana di età imperiale in genere, il colonnato architravato costituiva un elemento architettonico di uso comune. Monumentali arcate su colonne compaiono per la prima volta nei portici di età severiana, e anche l’inserimento di un muro su arcate con parete superiore finestrata, il cleristorio, tipo di alzato impiegato anche dalla basilica cristiana, è già noto all’architettura dell’età imperiale. Ne è un esempio l’edificio in cui fu ricavata la chiesa di S. Pudenziana. Dal punto di vista funzionale ed estetico il tradizionale colonnato architravato s’inseriva peraltro bene nel contesto di un edificio accentuatamente orientato quale la basilica cristiana, poiché la fuga dei colonnati sottolineava la focalizzazione sull’abside e sul presbiterio, e sembra essere stato un elemento architettonico comune nelle chiese di maggior prestigio: sia la basilica lateranense, sia S. Pietro utilizzano il colonnato architravato per la navata maggiore; lo stesso accade in S. Stefano Rotondo per il vano centrale, e lo si ritrova anche in S. Maria Maggiore. Gli

279


Le prime chiese di Roma

ultimi due casi mostrano anzi quale importanza venisse attribuita al colonnato architravato: in S. Maria Maggiore una struttura di travi lignee e di finti archi di scarico inseriti nell’alzato in laterizio si sostituisce all’architrave tradizionale, per il quale evidentemente non erano disponibili blocchi di marmo di adeguate dimensioni, mentre in S. Stefano Rotondo i blocchi marmorei dell’architrave sono gli unici pezzi prodotti appositamente per il cantiere. In S. Paolo fuori le mura l’uso del colonnato con arcate, scelta che si fonda certamente sull’impossibilità di reperire blocchi di marmo di dimensioni così imponenti, abbinato a marmi di colori chiari per la decorazione architettonica, alleggerisce la grande struttura, caratterizzata dagli ampi intercolumni e dall’accentuata dissoluzione della superficie muraria, resa quasi diafana. Ai medesimi presupposti, oltre che a ragioni economiche, si deve ricondurre l’uso del colonnato con arcate nei tituli e nelle chiese più piccole, com’è evidente in S. Pietro in Vincoli, dove peraltro si trova un inconsueto colonnato di ordine dorico collegato da arcate. Con tali premesse il colonnato ad arcate diviene il tipo corrente per l’impiego di colonne nell’architettura cristiana delle origini. Da tutto ciò dovrebbe risultare chiaro che l’uso ricorrente del colonnato architravato come elemento architettonico tradizionale di pregio, in specifiche, maggiormente ambiziose chiese romane, non deve essere ritenuto l’espressione di una vocazione classicistica, o del consapevole recupero di più antiche forme edilizie classiche. L’utilizzo di materiale di spoglio proveniente da magazzini o da edifici in disuso si avvale di elementi di decorazione architettonica tratti da un contesto originario con specifici canoni, per inserirli in un nuovo contesto architettonico. Quest’uso, in accordo con criteri di sfarzo e qualità, sarà soggetto a un ordinamento basato su nuovi princìpi, come la collocazione diversificata dei capitelli, indice di ricchezza formale, che alla fine dell’età antica, sulla base di modelli precedenti come in S. Paolo, cede il passo a un ordine gerarchizzato in cui i pezzi di maggior pregio caratterizzano il centro dello spazio liturgico, l’altare e il presbiterio, come in S. Agnese e agli inizi del vii secolo in S. Lorenzo. L’utilizzo di elementi di spoglio è un significativo esempio dello stretto legame tra antica tradizione e innovazione nell’edilizia religiosa romana del primo cristianesimo; il nuovo tipo della basilica cristiana, riaffermando nell’architettura tardoantica il primato dell’edificio di culto sull’edificio civile negato dall’architettura dell’età imperiale, pone le basi dell’architettura sacra del Medioevo occidentale. Nell’organizzazione della chiesa già in età precostantiniana si aveva necessità, per lo svolgersi della liturgia, di un edificio ad andamento longitudinale. La forma basilicale rispondeva alle esigenze di un edificio monumentale di culto cristiano, come l’orientamento in direzione dell’altare – centro dell’azione liturgica – e la disarticolazione in diversi spazi, con la navata mediana come ambiente desti-

280

nato allo svolgersi delle cerimonie, che serviva anche per l’ingresso solenne del clero, e le navate laterali come spazi di movimento per i partecipanti al sacrificio e, nel primo cristianesimo, alla preparazione dei doni (processio oblationis), per le processioni e per l’ingresso e l’uscita dai posti assegnati ai membri della comunità. Nell’abside era la cattedra, il seggio in marmo del vescovo, il capo della comunità, dalla quale si rivolgeva per la predicazione al consesso dei fedeli. Il presbiterio era delimitato da un sistema di transenne, spintosi nel tempo sino alla navata mediana. Le alte transenne del vi secolo in S. Clemente indicano che la comunità, che in parte si affollava dietro i colonnati delle navate laterali, poteva seguire visivamente gli eventi presso l’altare solo in modo limitato, soprattutto quando il sacerdote dopo la liturgia della Parola celebrava l’eucaristia volgendo le spalle ai fedeli.La monumentale fondazione costantiniana della cattedrale del Laterano ha probabilmente favorito lo sviluppo in chiave solenne della liturgia, che ha dovuto adattarsi a uno spazio di grandi dimensioni. Vennero a tal fine mutuati elementi del cerimoniale imperiale, come l’ingresso solenne del vescovo e del corteo del clero dal portale di facciata all’altare. Diaconi con ceri e incensieri precedevano il corteo, un cerimoniale che ancora oggi sopravvive nei solenni pontificali della Chiesa cattolica. Nella basilica lateranense transenne delimitavano un corridoio nella navata mediana destinato alle entrate solenni. Si sono esaminate simili soluzioni anche in altre chiese, come ad esempio S. Stefano Rotondo.L’istituzione, alla metà del v secolo, di una liturgia stazionale che riuniva, per le maggiori festività e per la loro preparazione, il vescovo di Roma e l’intera comunità in alcune particolari chiese della città e del suburbio portò non solo alla fondazione di importanti edifici commemorativi come S. Maria Maggiore e S. Stefano Rotondo, ma certamente anche allo sviluppo solenne della liturgia con cortei e processioni nelle varie chiese. La crescente importanza del culto dei martiri, che dalla fine del iv secolo comportò la traslazione delle reliquie nelle chiese e il loro ricovero in prossimità dell’altare e infine nell’altare stesso, determinò anche la proliferazione di luoghi di culto, chiese devozionali o oratori. La sacralità del presbiterio venne sottolineata da elementi architettonici, con la collocazione di pezzi di particolare pregio – colonne e capitelli – nel colonnato, come nelle basiliche a matronei di S. Lorenzo e S. Agnese. La creazione di questo tipo di basilica, nel vi e agli inizi del vii secolo, così come la fondazione della basilica con transetto di S. Pancrazio, miravano a inglobare nello spazio sacro le sepolture di martiri particolarmente venerati; l’iniziativa di papa Gregorio Magno (590-604), che con grande impegno architettonico collocò in S. Pietro e S. Paolo gli altari sulle tombe degli apostoli, fu determinante per gli sviluppi dell’architettura del presbiterio nel Medioevo. Nell’edificio di culto cristiano della tarda Antichità liturgia e architettura interagivano in molti modi.

documentazione iconografica Piante, sezioni, assonometrie e fotografie relative alle chiese e alla loro collocazione


i.

Le origini dell’edificio di culto cristiano

1

0

ii.

30

0

30

La basilica lateranense

2

1

i.1.

La domus ecclesiae di Dura Europos, Siria (da Krautheimer). i.2. Ricostruzione della chiesa di Qirqbize, Siria (da Tchalenko). i.3. Facciata meridionale della chiesa di Qirqbize, Siria.

0

20

3

ii.1.

Planimetria: le costruzioni di età imperiale; la basilica lateranense (a); il battistero lateranense (b). ii.2. Resti dei castra nova equitum singularium sotto la navata centrale della basilica. ii.3. I castra nova equitum singularium con in evidenza i muri della basilica lateranense (da Krautheimer/Brandenburg).

2

282

283

3


ii.

La basilica lateranense

ii.

0

La basilica lateranense

30

4

5

0

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9

6

7

ii.4.

Pianta della basilica sovrapposta alle caserme (da Krautheimer). ii.5. Sezione della basilica (ricostruzione da Hoffmann). ii.6. Resti del pavimento della basilica costantiniana. ii.7. Buche dei pali della solea nella navata centrale della basilica costantiniana. ii.8. Frammento di un’arcata della navata laterale con i tasselli per l’ancoraggio della decorazione parietale.

ii.9.

Ricostruzione della basilica lateranense (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). ii.10. Fondamenta dell’abside costantiniana della basilica lateranense. ii.11. Basilica lateranense costantiniana, il muro della navata laterale settentrionale. ii.12. Basilica lateranense costantiniana, il muro della navata laterale settentrionale con il resto di una finestra.

8

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10

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ii.

La basilica lateranense

ii.

La basilica lateranense

0

100

19

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13

14

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16 21

15

ii.13.

Pianta della basilica lateranense con un’ipotesi di ricostruzione dell’arredo liturgico (da De Blaauw). ii.14. Basilica lateranense. L’attuale altare del SS. Sacramento (1600 ca.) con le colonne di spoglio del fastigium costantiniano. ii.15. L’interno del Pantheon. ii.16. Ricostruzione della basilica di Massenzio (da Ward-Perkins). ii.17. Veduta da nord della basilica di Massenzio. ii.18. Basilica di Massenzio, le volte trasversali a botte del lato nord.

0

40

23

ii.19.

Ricostruzione dell’interno della basilica di Massenzio (da Ward-Perkins). ii.20. Pianta della basilica Aemilia, nel foro romano (da Bauer). ii.21. Ricostruzione dell’interno della basilica severiana di Leptis Magna (da Ward-Perkins). ii.22. Pianta della basilica severiana di Leptis Magna, Libia (da Ward-Perkins). ii.23. La basilica attigua al foro di Tipasa, Algeria (da Christern).

18

17

286

287


iii. Il battistero lateranense

iv.

La basilica a deambulatorio di Tor Pignattara e il mausoleo di Elena

iii.3.

Battistero lateranense. Le terme, con le fondamenta del battistero costantiniano al di sotto del rinnovamento sistino (da Brandt). iii.4. Pianta del battistero sistino con le cappelle aggiunte da papa Ilaro (461-468) (da Brandt).

1

0

iii.1.

Battistero lateranense. Ricostruzione ipotetica dell’edificio costantiniano (dis. K. Brandenburg).

iii.2.

20

Ricostruzione ipotetica del battistero di Sisto iii (432-440) (dis. K. Brandenburg).

0

10

0

10

3

0

4

50

iv.1.

Ricostruzione della basilica con l’area della necropoli e il mausoleo di Elena (elaboraz. H. Brandenburg; dis. M. Bordicchia). iv.2. Pianta degli scavi della basilica cimiteriale e dell’area della necropoli, con i mausolei e il mausoleo di Elena (da Guyon).

2

0

20

1

288

2

289


iv.

La basilica a deambulatorio di Tor Pignattara e il mausoleo di Elena

v.

La basilica a deambulatorio di Tor de’ Schiavi – vi. La basilica Apostolorum (S. Sebastiano)

4 0

40

v.1

v.2

v.1.

Il mausoleo e l’abside della basilica a deambulatorio. v.2. Ricostruzione della pianta del mausoleo e della basilica (da Gatti / Rasch).

3

5

6

iv.3.

Veduta delle rovine del mausoleo di Elena e sezione orizzontale all’altezza del cleristorio. Incisione di Piranesi, 1756. iv.4. Veduta dell’interno del mausoleo. Piranesi. iv.5. Veduta del mausoleo di Elena da nord-ovest, intorno al 1940. iv.6. Sarcofago in porfido di Elena Augusta, nel mausoleo. Incisione di Piranesi. iv.7. Sarcofago in porfido restaurato, proveniente dal mausoleo, ora nei Musei Vaticani.

290

vi.1.

7 0

vi.1

10

Planimetria dell’area della necropoli attorno alla basilica costantiniana, con i mausolei ad essa collegati (da Spera).

291


vi.

La basilica Apostolorum (S. Sebastiano)

vii.

2

3

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

vi.7

vi.8

vii.1

vii.2

5

4 vi.2.

Decorazione in stucco di una tomba di età imperiale sotto la basilica (tomba degli Innocentiores). vi.3. Pittura murale dalla tomba di Clodio Ermete, sotto la basilica. vi.4. Decorazione in stucco di una tomba di età imperiale sotto la basilica (ipogeo dell’Ascia). vi.5. Sarcofago cristiano (cosiddetto “sarcofago di Lot”) proveniente da uno dei mausolei presso la basilica, terzo quarto del iv secolo. vi.6. Pianta della basilica con la sottostante triclia e la posizione dell’altare nella navata maggiore (da Tolotti). vi.7. Triclia. Graffiti con invocazioni a Petrus e Paulus. vi.8. Monogramma costantiniano sulla soglia dell’atrio sulla via Appia.

292

vii.1.

La basilica a deambulatorio e il mausoleo di Costantina visti da sud-est; il mausoleo erroneamente identificato con S. Stefano Rotondo, che a sua volta veniva considerato un tempio di Bacco adibito a chiesa. Incisione di F.F. Duflos. vii.2. La basilica a deambulatorio e il mausoleo di Costantina visti da occidente. Dis. acquerellato, 1800 ca. vii.3. La basilica circiforme di S. Agnese e il mausoleo di Costantina (S. Costanza).

0

50

6

vii.3

293


vii.

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

vii.

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

vii.4.

Basilica a deambulatorio di S. Agnese. Ipotesi ricostruttiva rielaborata sulla base della documentazione iconografica di J. J. Rasch. Veduta da nord-est (dis. K. Brandenburg). vii.5. Ricostruzione dell’abside con le alte sostruzioni (dis. K. Brandenburg). vii.6. Ricostruzione della sezione trasversale sud-est del corpo longitudinale della basilica (dis. K. Brandenburg).

4

0

0

10

10

0

5

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10

6

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vii.

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

vii.

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S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

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7

0

9

30

8 0

10 0

Basilica a deambulatorio di S. Agnese e dell’annesso mausoleo di Costantina Augusta. Ricostruzione della sezione trasversale nord-ovest (dis. K. Brandenburg). vii.8. Ricostruzione del mausoleo di Costantina visto da est (da Stettner). vii.9. Il mausoleo visto da nord, nello stato attuale (da Stettner). vii.10. Ricostruzione della pianta del mausoleo di Costantina (da Stettner). vii.11. Pianta della basilica a deambulatorio con l’annesso mausoleo (K. Brandenburg/M. Bordicchia).

11

20

vii.7.

296

0

40

10

297


vii.

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

vii.

S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta

15

12

16

17

vii.12.

Ricostruzione schematica del mosaico della cupola. del mausoleo La parte con fondo scuro ci è stata documentata da un acquarello di Francesco d’Olanda. vii.13. L’interno del mausoleo con l’allestimento antico (incisione di Francesco d’Olanda, 1538/9 ca.). vii.14. Interno del mausoleo con l’antica decorazione parietale marmorea e resti del mosaico della cupola. Disegno di artista anonimo, Codex Escurialensis, 28.ii.12 f.7, Madrid. vii.15. Mausoleo di Costantina, capitello di spoglio dell’anello interno, i secolo. vii.16. Mausoleo di Costantina, capitello di spoglio dell’anello esterno, età dei Severi. vii.17. Colonne binate del colonnato, con capitelli di spoglio, a sinistra severiano, a destra del i secolo. vii.18. Sarcofago in porfido di Costantina, proveniente dal mausoleo, ora ai Musei Vaticani.

18

13

298

14

299


viii.

La basilica di S. Lorenzo fuori le mura – ix. La basilica a deambulatorio della via Ardeatina

viii.1.

x.

Le basiliche a deambulatorio costantiniane – xi. S. Pietro

x.1. Comparazione delle piante disegnate alla stessa scala: a. Basilica della via Ardeatina; b. S. Sebastiano; c. Ss. Marcellino e Pietro; d. Basilica di Tor de’ Schiavi; e. S. Agnese; f. S. Lorenzo fuori le mura (da Fiocchi Nicolai).

La basilica a deambulatorio costantiniana con a nord la basilica a matronei del vi secolo (a destra) e il suo ampliamento del xiii secolo (a sinistra) (da Krautheimer).

a

viii.1

0

b

c

f

d

40

ix.1.

Veduta zenitale della basilica a deambulatorio con le sepolture e il mausoleo scavati fino a oggi da (V. Fiocchi Nicolai).

e

0

30

x.1

xi.1.

ix.1

300

0

100

Planimetria: la basilica costantiniana e il circo di Nerone, la basilica odierna.

xi.1

301


xi.

S. Pietro

xi.

S. Pietro

xi.7.

Iscrizione sull’edificio sepolcrale a (di C. Popilius Heracla) con riferimento alla posizione della tomba presso il circo vaticano. xi.8. Personificazione di Abundantia o di Tellus. Decorazione in stucco dell’edificio sepolcrale h (dei Valerii).

4

2

0

80

5 xi.2.

0

3

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100

Alzato della navata maggiore dell’attuale basilica e delle grotte, e alzato e pianta della necropoli romana sottostante: presunta sepoltura di Pietro sulla quale sono collocati gli altari pontifici medievali e moderni (elaboraz. e dis. K. Gärtner). xi.3. La necropoli, la basilica costantiniana (in nero i tratti di muratura accertati) e il profilo dell’attuale chiesa di S. Pietro (da Krautheimer). xi.4. Ricostruzione delle facciate delle tombe romane (a-i) della necropoli (da von Hesberg, Mielsch; dis. K. Gärtner). xi.5. Edifici tombali romani attorno al campo p, con l’edicola che sovrasta la presunta sepoltura di Pietro nell’abside della basilica costantiniana (da Esplorazioni). xi.6. Facciata dell’edificio tombale f (dei Caetennii Maiores) della necropoli romana.

6

7

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303


xi.

S. Pietro

xi.

S. Pietro

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5

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40

13

xi.12.

Ricostruzione del baldacchino costantiniano al di sopra della supposta tomba di Pietro (da Toynbee, Ward-Perkins). xi.13. Il baldacchino sovrastante la supposta tomba di Pietro, di fronte all’abside della basilica costantiniana (da Esplorazioni).

xi.9.

Ricostruzione della basilica di S.Pietro. Nel transetto, in tratteggio, la supposta tomba di Pietro con il baldacchino e il battistero di papa Damaso (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). xi.10. Ricostruzione della pianta della basilica costantiniana di S. Pietro (da Krautheimer). xi.11. Sezione della necropoli romana e dei muri di fondazione della basilica (da Esplorazioni).

0

10

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Quota del pavimento della basilica attuale Pavimento della basilica costantiniana

15

xi.14.

0

11

Basi delle colonne delle navate mediana e laterale della basilica costantiniana, in situ. xi.15. I muri di fondazione della basilica costantiniana.

10

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xi.

S. Pietro

xi.

17

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0

S. Pietro

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5

19

chiese chiostri diaconie ospizi per i pellegrini

18 xi.16.

L’altare pontificio (a) sotto il baldacchino del Bernini sopra la confessio del Maderna (1640); d: monumento sulla supposta tomba di Pietro, al di sopra della quale si trovano gli altari dei papi Gregorio i (600 ca.) e Callisto ii (1200 ca.); c cappella di Clemente vii (1600 ca.), parte dell’originaria cripta anulare di Gregorio i (da Kirschbaum). xi.17. Podium, cripta anulare e altare di Gregorio i sopra la presunta tomba d i Pietro. xi.18. Costruzione della cupola della basilica di S. Pietro; di fronte a essa il corpo longitudinale della chiesa costantiniana. Dis. G.A. Dosio, Firenze, Uffizi. xi.19. Parete destra della navata maggiore della basilica con il ciclo figurativo veterotestamentario, rinnovato nel Medioevo. Vaticano, bav, Cod. A 64 ter, fol. 13r.

306

abitazioni mausolei bagni palazzi

100

23

xi.20.

20

Parete sinistra della navata maggiore della basilica, con i resti del ciclo figurativo neotestamentario, rinnovato nel Medioevo. Vaticano, bav, Cod. Barb. lat. 2733. xi.21. Veduta del nuovo spazio della cupola dalla navata maggiore della basilica costantiniana. Dis. anonimo da Marten van Heemskerck, Berlino, Kupferstichkabinett, 1535 ca.

0

xi.22.

Facciata e atrio della basilica costantiniana, con la fontana. Dis. sfumato di Domenico Tasselli, 1611 ca. xi.23. La basilica costantiniana di S. Pietro con l’insediamento tardoantico e altomedievale (Borgo) (elaboraz. H. Brandenburg; dis. M. Bordicchia).

307


xii.

S. Croce in Gerusalemme

xii.

1

S. Croce in Gerusalemme

xii.1. S. Croce con l’amphiteatrum Castrense. Incisione settecentesca. xii.2. Rovine dell’aula absidata monumentale del palazzo imperiale (Sessorium). xii.3. Aula del palazzo imperiale con l’abside e la torre del xii secolo, aggiunte per la chiesa (da Ciampini, Vetera monimenta i, tav. 5). xii.4. Fronte dell’aula trasformata in chiesa con portico e torre medievale; a sinistra rovine dell’aula absidata della fig. 2. Antica incisione. xii.5. L’abside della chiesa. xii.6. Sezione dell’aula trasformata in chiesa (tratteggiata) con gli archi trasversali di età costantiniana (da Krautheimer). xii.7. Ricostruzione della chiesa (da Krautheimer). xii.8. Pianta della chiesa (l’aula del palazzo con l’abside edificata in aggiunta) con i locali accessori e il battistero (da Krautheimer / Cecchelli).

2

0

40

7 3

4

0

10

8

6

5 0

308

10

309


xiii.

S. Marco – xiv. S. Lorenzo in Lucina

xv.

S. Paolo fuori le mura

xiii.1.

Pavimento marmoreo (opus sectile) della chiesa paleocristiana. Pianta della chiesa a una navata del iv secolo e dell’impianto liturgico posteriore (M. Cecchelli; M. Bordicchia) xiv.1. S. Lorenzo in Lucina. Restituzione planimetrica della chiesa paleocristiana sulla base delle evidenze (in nero). A ovest della navata laterale destra, il battistero a pianta circolare (da Brandt). xiv.2. Veduta della chiesa da occidente; sono evidenziati i resti delle opere murarie paleocristiane nel cleristorio e nell’abside (da Krautheimer). xiii.2.

xv.1

xiii.1

xiii.2

0

20

xiv.1 xiv.

3 xv.3

xv.2

xv.1.

Veduta della basilica paleocristiana con la torre medievale (da Ciampini, Vetera monimenta i, tav. 7). xv.2. Pianta della basilica paleocristiana (da Andrea Alippi/Fiocchi Nicolai). xv.3. Veduta aerea della chiesa ricostruita dopo l’incendio del 1823 rispettando le dimensioni della basilica paleocristiana. xv.4. Lastra tombale (400 ca.) Paulo apostolo mart. sotto l’odierno altare, collocato sopra la sepoltura dell’apostolo. I fori praticati nella lastra nell’alto Medioevo servivano per permettere il contatto con le reliquie.

xiv.

2

xiv.3.

Arco e intradosso della finestra del cleristorio all’innesto dell’abside della chiesa paleocristiana, con integrazioni e finestra medievale di minori dimensioni. xiv.4. Resto dell’opera muraria e della soglia della porta sulla facciata della chiesa paleocristiana, al di sotto dell’attuale livello del suolo.

310

xiv.

4

xv.4

311


xv.

S. Paolo fuori le mura

xv.

5

S. Paolo fuori le mura

5

9

0

20

6

8 xv.5.

7

S. Paolo dopo l’incendio del 1823. Veduta dalla navatella sinistra della navata mediana e del transetto. Anonimo, disegno a penna sfumato. xv.6. S. Paolo dopo l’incendio del 1823. Veduta della navata mediana dal transetto. Incisione di L. Rossini. xv.7. Interno della basilica prima dell’incendio. Incisione di Piranesi. xv.8. Interno della basilica prima dell’incendio. Veduta della navata centrale e del transetto dalla navatella sinistra. Anonymus, disegno a penna sfumato, inizio del xix secolo.

10

xv.9.

Basilica teodosiana di S. Paolo. Nel transetto presso l’arco di trionfo, il sarcofago dell’apostolo nell’abside della basilica costruita sopra la chiesa costantiniana. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg). xv.10. S. Paolo dopo l’incendio del 1823. Dis. acquarellato di Pinelli. xv.11. S. Paolo fuori le mura. Edificio annesso a sud del transetto (battistero). Ipotesi di ricostruzione assonometrica della prima fase edilizia, coeva (dis. K. Brandenburg).

11

0

312

10

313


xv.

S. Paolo fuori le mura

12

xv.

0

13

20

0

S. Paolo fuori le mura

20

15

16

17

xv.12.

Basilica teodosiana di S. Paolo. Transetto con presbiterio, sarcofago dell’apostolo sotto il baldacchino e altare retrostante. Indicazione dell’abside costantiniana sottostante. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg). xv.13. Transetto con il rialzo pavimentale del corpo longitutinale, sotto papa Leone i (440-461), e del presbiterio, ugualmente rialzato attorno al sarcofago, dietro cui si trova l’altare. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg). xv.14. Transetto con l’ulteriore rialzo pavimentale del corpo longitudinale, sotto Gregorio i (590-604). Il sarcofago, racchiuso entro un podio, e l’altare, soprastante, corrispondono all’attuale disposizione. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg).

18

0

19

30

14 xv.15.

Colonna, base e capitello composito tardoantico nella navata mediana (da Séroux d’Agincourt, 1823). xv.16. Colonna, base di spoglio e capitello corinzio di spoglio nella navata mediana (da Séroux d’Agincourt, 1823). xv.17. Intercolumnio dell’arcata della navata mediana, con (a sinistra) capitello composito tardoantico, colonna e base tardoantica e (a destra) capitello di spoglio severiano, colonna e base di spoglio dal restauro di Leone i (440-461) (da Séroux d’Agincourt, 1823).

314

xv.18.

Capitello ionico dell’arco trionfale, 390 ca., veduta laterale (dis. K. Brandenburg). xv.19. Capitello ionico dell’arco trionfale, 390 ca., veduta frontale (dis. K. Brandenburg).

315


xv.

S. Paolo fuori le mura

xv.

S. Paolo fuori le mura

21

20

26

25

23

22 27

Capitello corinzio della navata mediana, 390 ca. (dis. K. Brandenburg). xv.21. Capitello corinzio a foglie lisce della navata laterale, 390 ca. (dis. K. Brandenburg). xv.22. Capitello di spoglio corinzio di età severiana, dal restauro del colonnato della navata centrale fatto effettuare da Leone i (440-461) (dis. K. Brandenburg).

24

xv.20.

316

xv.25.

xv.27. xv.26.

xv.23.

Capitello composito a foglie lisce della navata laterale, 390 ca. (dis. K. Brandenburg). xv.24. Base tardoantica dalla navata mediana con il marchio del lapicida (brocca), 390 ca. (dis. K. Brandenburg).

Capitello corinzio della navata mediana, 390 ca. Capitello ionico dell’arco trionfale, 390 ca. Mosaico dell’arco trionfale dell’augusta Galla Placidia (425-450). Cristo e i 24 vegliardi dell’Apocalisse, san Pietro e san Paolo. Stato verso la fine del xvii se colo (da Ciampini, Vetera monimenta i, tav. 68).

317


xvi.

S. Anastasia – xvii. S. Lorenzo in Damaso

0

xviii.

0

10

xvi.

xvi.1

10

2

xviii.

xviii.1 0

xvi.3

Ss. Nereo e Achilleo – xix. S. Pudenziana

xvi.

2

xviii.3

10

4

xvii.1

0

xix.2

20

xix.1 xvi.1.

Gli edifici romani sottostanti alla chiesa (da Whitehead). xvi.2. Pianta della chiesa (da Todini/Krautheimer). xvi.3. Gli edifici romani sottostanti alla chiesa (da P. Pietri, 1860). xvi.4. Il cleristorio del v secolo e il transetto, probabilmente altomedievale. xvii.1. I resti della chiesa paleocristiana e medievale sotto il cortile del Palazzo della Cancelleria (da Pentiricci).

318

xviii.1.

xviii.3. xix.1. xix.2. xix.3. xviii.2.

Pianta della basilica. Basilica e catacombe durante gli scavi del xix secolo. Colonna del ciborio con raffigurazione del martirio di sant’Achilleo (iscrizione). Ricostruzione della chiesa ricavata entro edifici precedenti (da Angelelli). Pianta della chiesa (da Krautheimer). Sezione trasversale che mostra il fuori piombo della parete destra del cleristorio (dis. K. Brandenburg).

xix.3

319


xix.

S. Pudenziana – xx. S. Clemente

xx.

xx.3.

S. Clemente

Ricostruzione della chiesa paleocristiana edificata nel tardo iv secolo al di sopra dei precedenti edifici pubblici (moneta?) (da Krautheimer).

0 xix.4

xix.4.

40

xix.5

Resti dell’antico edificio in via Balbo nel quale è stata allestita la chiesa.

xix.5.

3

Capitello e colonna appartenenti al rinovamento altomedievale della chiesa, quando i pilastri originari furono sostituiti con colonne.

xx.4.

Sezione degli antichi edifici, della chiesa paleocristiana e di quella edificata nel xii secolo al di sopra di essa e ancora esistente (da Junyent). xx.5. Pianta della chiesa paleocristiana con pavimento del vi secolo e della sovrastante chiesa più piccola del xii secolo. xx.6. Pianta degli scavi del battistero del v-vi secolo addossato al fianco settentrionale della chiesa (da Guidobaldi).

0

30

4

5

6

xx.2

xx.1.

Planimetria degli antichi edifici sottostanti la chiesa (moneta, zecca?) (dis. S. Montanari). xx.2. Locale nell’edificio sotto la chiesa (moneta?).

xx.1

320

0

60

5

0

30

0

321


xxi.

S. Sisto Vecchio

xxii.

xxi.1.

Ricostruzione di pianta e alzato della chiesa paleocristiana (H. Geertman / C. Varetti).

1

0

10

0

10

xxii.1. xxii.2.

S. Vitale – xxiii. Ss. Giovanni e Paolo

Pianta della chiesa (da Matthiae). Parete porticata destra della navata mediana della chiesa paleocristiana, con capitelli alternati, corinzi e compositi a foglia liscia (foto A. Vescovo).

xxii.1

0

xxii.2

10

xxiii.2

xxiii.1.

Pianta delle case di età imperiale sulle quali venne costruita la chiesa all’inizio del v secolo (da Krautheimer / Astolfi). xxiii.2. Fronte delle case di età imperiale sul clivus Scauri, con locali d’abitazione e commerciali, nei quali venne edificata la chiesa (da Gismondi).

2

3

xxi.2.

Arcate e capitello composito a foglie lisce della basilica del v secolo, nel muro esterno settentrionale della chiesa attuale.

xxi.3.

Capitello composito a foglie lisce del v secolo nelle arcate della basilica paleocristiana. xxiii.1

322

0

10

323


xxiii.

Ss. Giovanni e Paolo – xxiv. S. Marcello

xxv.

Ss. Quattro Coronati – xxvi. S. Cecilia

xxv.1.

Foto della chiesa medievale e del monastero della fine del xix secolo. L’abside insiste su quella di un ambiente adibito a chiesa, una grande sala eretta nel iv secolo sopra una domus. xxv.2. Pianta della chiesa del ix secolo costruita sopra la chiesa paleocristiana, in grigio (da Barelli).

xxiii.3.

Pianta della basilica paleocristiana (da Prandi). Muro settentrionale del cleristorio della basilica del primo v secolo. xxiii.5. Fronte delle case di età imperiale sul clivus Scauri. xxiv.1. Pianta della chiesa attuale con i resti di quella del v secolo e del battistero (da Krautheimer / Cecchelli). xxiv.2. Il battistero della chiesa del v secolo, rivestito di lastre marmoree. xxiii.4.

0

30

xxiii.3 xxv.1

xxv.2

xxiii.4

xxiii.5

xxiv.1

0

30

xxvi.2

xxvi.1.

Pianta della chiesa costruita nel ix secolo sopra la basilica del v. A nord è collegato il battistero del v-vi secolo (da Parmigiani, Pronti). xxvi.2. Edificio di età imperiale sul quale venne edificata la chiesa.

xxiv.2

xxvi.1 0

324

50

325


xxvii.

S. Sabina

xxvii.

S. Sabina

xxvii.1.

La chiesa del v secolo (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). xxvii. 2. La basilica paleocristiana vista da sud. xxvii. 3. Lastra di finestra paleocristiana o altomedievale. xxvii.4. Mosaico della facciata interna: i quattro animali dell’Apocalisse, gli apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa degli Ebrei e la Chiesa dei gentili (la parte di mosaico corrispondente all’apertura delle finestre è oggi perduta) (da Ciampini, Vetera monimenta i, tav. 48).

1

4

xxvii.5.

2

326

Mosaico del muro frontale dell’abside (oggi perduto): Gerusalemme e Betlemme, il busto di Cristo in medaglione, medaglioni con apostoli e santi (da Ciampini, Vetera monimenta i, tav. 47).

3

5

327


xxvii.

S. Sabina

6

7

9

S. Sabina

14

15

16

17

8

10

12

328

xxvii.

La porta lignea di S. Sabina xxvii.6. Apparizione di Cristo, Signore del mondo, al di sopra della personificazione della Chiesa e degli apostoli Pietro e Paolo (parousia). xxvii.7. Scena di dubbia interpretazione: acclamazione di un dominus in presenza di un angelo. xxvii.8. Vocazione di Mosè, Mosè e il roveto ardente, Mosè e il suo gregge. xxvii.9. I miracoli di Mosè nel deserto. xxvii.10. Assunzione in cielo del profeta Elia. xxvii.11. Miracoli di Cristo: la guarigione del cieco, la moltiplicazione dei pani, le nozze di Cana. xxvii.12. L’angelo porta Abacuc con i pani da Daniele. xxvii.13. Adorazione dei Magi. xxvii.14. Cristo risorto e barbato appare agli apostoli. xxvii.15. Cristo tra gli apostoli Pietro e Paolo. xxvii.16. Pilato. Cristo condotto al supplizio. xxvii.17. La più antica raffigurazione della crocifissione di Cristo. xxvii.18. Ascensione di Cristo.

11

13

18

329


xxviii.

S. Maria Maggiore

xxix.

1

1

2

S. Pietro in Vincoli

0

20

3

2

0

50

xxix.1.

xxviii.1.

Ricostruzione della chiesa del v secolo (elaboraz. H. Brandenburg; dis. S. Montanari). xxviii.2. Ricostruzione dell’interno della chiesa del v secolo (il soffitto a cassettoni va sostituito con le capriate a vista) (dis. J.G. Gutensohn, 1824). xxviii.3. Lato settentrionale del cleristorio della chiesa. Una finestra ogni due è oggi murata. xxviii.4. Pianta della chiesa attuale con indicazione dei resti della basilica del v secolo (campiture scure) e dell’edificio medievale (campiture chiare) (da Krautheimer).

0

4 0

330

Lato sudorientale della basilica, sul quale è inserita una successiva apertura a triplice arcata per un edificio accessorio, forse il battistero (da Bartolozzi Casti con modifiche di H. Brandenburg; dis. M. Bordicchia). xxix.2. Ricostruzione della sezione della prima basilica (a puntini) e della seconda chiesa, patrocinata da Valentiniano iii (425-455) e da Eudossia (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg / M. Bordicchia). xxix.3. Piante della prima (in nero) e della seconda chiesa.

40

3

40

331


xxix.

S. Pietro in Vincoli – xxx. S. Prassede

xxxi.

S. Stefano Rotondo

xxix.4.

Ricostruzione dell’interno della chiesa (ricostruzione parziale, dis. M. Knapp, 1824). xxix.5. Lato settentrionale del cleristorio della chiesa.

xxxi.1.

xxix.4

xxix.5

Pianta con le sottostanti parti della caserma di età imperiale e l’annesso monastero del xv-xvi secolo (dis. K. Brandenburg). xxxi.2. Raffigurazione della chiesa come tempio di Fauno in un’incisione del xvii secolo. xxxi.3. Ricostruzione della chiesa come tempio dell’imperatore Claudio. Dall’Architekturwerk di C. Lipper, 1800 ca, Münster. xxxi.4. Resto della volta a tubi fittili nel settore diagonale occidentale. xxxi.5. Ricostruzione parziale dell’interno della chiesa. Veduta dal braccio di croce sudoccidentale (dis. I.M. Knapp, 1828). xxxi.6. Interno della chiesa con la decorazione murale in marmo del tamburo. Baldassare Peruzzi, 1460 ca., firenze, Uffizi, Coll. Santarelli 161.

1 0

2

5

10

3

4

xxx.1

5

332

6

333


xxxi.

S. Stefano Rotondo

xxxi.

Capitello di spoglio del tardo ii secolo. Arcata del braccio di croce sudoccidentale. xxxi.12. Capitello tardoantico dell’anello interno. xxxi.13. Capitello tardoantico dell’anello interno. xxxi.14. Capitello tardoantico, prodotto sull’isola di Taso, braccio di croce nordoccidentale.

S. Stefano Rotondo

xxxi.11.

0

10

7

0

11

12

13

14

15

16

17

18

10

8

xxxi.15.

Capitello tardoantico dell’anello interno (dis. in scala, I. Storz). xxxi.16. Capitello tardoantico dell’anello interno (dis. in scala, I. Storz). xxxi.17. Capitello tardoantico, prodotto nel Peloponneso, colonnato dei settori diagonali (dis. in scala, E. Hirnstein). xxxi.18. Capitello tardoantico, prodotto sull’isola di Taso, braccio di croce nordoccidentale (dis. in scala, E. Hirnstein).

9

xxxi.7.

xxxi.8.

xxxi.9. xxxi.10.

334

10

Ricostruzione della chiesa, senza copertura (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). Ricostruzione della chiesa, con copertura. Volta a tubi fittili secondo S. Storz (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). Capitello tardoantico dell’anello interno. Capitello tardoantico dell’anello interno.

335


xxxi.

S. Stefano Rotondo

xxxi.

Ricostruzione schematica del sistema del pavimento della chiesa; in puntinato le ricostruzioni ipotetiche (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg / M. Bordicchia). xxxi.20. Ricostruzione del pavimento di lastre di marmo colorate nel braccio di croce nordorientale della chiesa (dis. S. Storz). xxxi.21. Ricostruzione schematica del pavimento di lastre di marmo colorate nel segmento meridionale del deambulatorio.

S. Stefano Rotondo – xxxii. S. Bibiana

xxxi.19.

xxxi.22.

Sedile di marmo dell’inizio del i secolo riutilizzato nella chiesa come trono vescovile. xxxi.23. Ricostruzione della chiesa e del suo arredo liturgico: recinto del presbiterio e posizione, ipotetica, dell’altare (elaboraz. H. Brandenburg; dis. K. Brandenburg). xxxii.1. Interno della chiesa paleocristiana, restaurata da Bernini nel 1624-1626, con le colonne antiche (foto di A. Vescovo). xxxii.2. Capitello corinzio della chiesa di v secolo (foto H. Brandenburg).

DISEGNO ORIGINALE PAVIMENTO PRESSO LA CAPPELLA SANTI PRIMO E FELICIANO RICOSTRUZIONE IPOTETICA PAVIMENTO NEI BRACCI DI CROCE

MOSAICO IN MARMO DISEGNO RICOSTRUITO DALLE IMPRONTE DELLA PAVIMENTAZIONE RICOSTRUZIONE IPOTETICA PAVIMENTO DISEGNO RICOSTRUITO DALLE IMPRONTE DELLA PAVIMENTAZIONE IPOTESI DELLA PAVIMENTAZIONE ANELLO CENTRALE

19

xxxi.23

IPOTESI COLLOCAZIONE ALTARE ANTICO

xxxi.22

0

10

21 20

0

336

5

xxxii.1

xxxii.2

337


xxxiii.

S. Balbina – xxxiv. S. Andrea Cata Barbara – xxxv. S. Agata dei Goti

L’antica basilica vaticana costantiniana di S. Pietro

xxxiii.1.

Gli edifici ecclesiastici fondati prima e dopo la conquista e il sacco di Roma da parte di Alarico nel 410 a confronto. Planimetrie alla medesima scala (dis. K. Brandenburg).

Pianta della chiesa (da Krautheimer).

Le chiese prima del 410

0

xxxiii.1

10

xxxiv.1. Sistema di decorazione murale con lastre di marmo colorate (opus sectile) dell’aula della domus del iv secolo riutilizzata come chiesa (dis. di Giuliano da Sangallo).

S. Anastasia

S. Clemente

S. Pudenziana

S. Paolo fuori le mura

SS. Giovanni e Paolo

Le chiese dopo il 410

xxxiv.1

S. Sisto Vecchio xxxv.1.

xxxv.1

338

0

S. Vitale

S. Sabina

S. Maria Maggiore

S. Pietro in Vincoli

S. Stefano Rotondo

Pianta della chiesa (da Krautheimer).

20

339


xxxv.

S. Agata dei Goti – xxxvi. S. Giovanni a Porta Latina

xxxvii.

Ss. Cosma e Damiano

xxxv.2.

Interno della chiesa. Esterno meridionale della chiesa del v secolo. xxxv.4. Frammento della volta a tubi fittili dell’abside. xxxv.5. Mosaico absidale della chiesa paleocristiana, oggi perduto: Cristo tra gli apostoli, in trono sul globo del mondo (da Ciampini,Vetera monimenta i, tav. 77). xxxv.3.

xxxv.2

xxxv.3

0

10

1

xxxv.4

xxxvi.1.

xxxv.5

Pianta della chiesa (ridis. secondo Krautheimer; M. Bordicchia). 2

3

xxxvii.1.

Pianta della chiesa del vi secolo, allestita in un edificio accessorio del Forum Pacis (da Guidobaldi). xxxvii.2. Pianta e sezione della chiesa, con restituzione della decorazione murale in opus sectile (dis. di Baldassare Peruzzi). xxxvii.3. La chiesa del vi secolo accanto alla basilica di Massenzio. Incisione del xvi secolo.

0

340

10

xxxvi.1

341


xxxviii.

S. Maria antiqua

xli.

xxxix.1

xxxix.1.

xxxix.

Ss. Quirico e Giulitta – xl. S. Adriano – S. Stefano sulla via Latina – xlii. S. Pancrazio

Pianta della chiesa (da Krautheimer).

xl.1. Pianta della Curia con le integrazioni edilizie all’esterno (abside) e all’interno (arredo liturgico) della chiesa tra vii e viii secolo (da Mancini).

0

10

xxxviii.1.

Pianta della chiesa, con i resti del pavimento e dell’arredo liturgico (da Bongiorno, Pala, Quiri). xxxviii. 2. Navata laterale destra della chiesa. xxxviii. 3. Pianta della chiesa (da Krautheimer). xxxviii. 4. Capitelli di pilastro, di produzione orientale del iv secolo, dalla decorazione murale dell’antico edificio.

1

0

xl.1

10

0

20

3 xli.1 0

0

10

20

xli.2 0

10

xli.1.

Pianta della chiesa edificata nella villa (da Krautheimer; dis. M. Bordicchia). xli.2. Veduta delle rovine dal nartece.

xlii.1.

2

Pianta della basilica (da Krautheimer).

4

xlii.1

342

343


xliii.

S. Lorenzo fuori le mura

xliii.1. La basilica a matronei sovrastante la tomba del martire, con a sinistra la navata aggiunta nel xiii secolo; a sud l’adiacente basilica con deambulatorio costantiniana (da Krautheimer). xliii.2. Capitello di età imperiale del matroneo, prima coppia di colonne presso l’arco trionfale. 1

xliii.

S. Lorenzo fuori le mura

xliii.3. Capitello corinzio di età imperiale del matroneo meridionale. xliii.4. Piedistallo del vi secolo della colonna del matroneo orientale. xliii.5. Capitello ionico medievale dell’atrio della chiesa del xiii secolo, imitazione di modelli di età imperiale e tardoantica. 0

40

Tomba di S. Lorenzo

6 0

10

Ricostruzione della basilica a matronei del vi secolo (da Krautheimer). xliii.7. Navatella settentrionale della basilica, con colonne di spoglio di età imperiale.

2

xliii.8.

Matroneo settentrionale della basilica, con colonne di spoglio di età imperiale. xliii.9. Matroneo meridionale della basilica, con colonne di spoglio di età imperiale.

3

4

5 7

344

xliii.6.

8

9

345


xliv.

S. Agnese fuori le mura

xliv.

S. Agnese fuori le mura

4

3

5

1

xliv.3.

Basilica a matronei degli inizi del vii secolo. Facciata chiusa, priva di accesso, dell’edificio paleocristiano. Sede dell’altare sopra la tomba della martire. Ricostruzione assonometrica (dis. K. Brandenburg). xliv.4. Capitello composito a foglie lisce di età imperiale, prima coppia di colonne presso il presbiterio. xliv.5. Capitello corinzio di età imperiale del corpo longitudinale. xliv.6. Capitello composito di età imperiale del matroneo settentrionale. xliv.7. Capitello composito di età imperiale del matroneo meridionale. xliv.8. Capitello ionico tardoantico del matroneo occidentale.

1

2

6

xliv.1.

Basilica a matronei del vii secolo sulla tomba di sant’Agnese e, a sud, l’attigua basilica a deambulatorio di Costantina, con l’annesso mausoleo (elaboraz. H. Brandenburg; dis. M. Bordicchia). xliv.2. Basilica a matronei degli inizi del vii secolo. Pianta con la facciata murata, nascosta nella parte inferiore dal colle; accesso tramite scalinata dall’atrio della basilica a deambulatorio (dis. K. Brandenburg).

8

346

7

347


xlv.

Le chiese paleocristiane a Roma e nella periferia della città (suburbium)

Note 0

1000

Capitolo primo Le origini dell’edificio di culto cristiano At 2,46; Rm 16,3ss.; Col 4,14. 1 Cor 3,16; 2 Cor 6,14; Ef 2,21s. 3 At 7,44-50. 4 Minucio Felice, Octavius 32, 1; Arnobio, Adversus Nationes 6, 1. 5 Tertulliano, Adversus Valentinum 2, 3. 6 Tertulliano, De idol. 7, 1: ecclesia e domus dei; Tertulliano, Ad uxorem 2, 8: ecclesia, domus dei; Ippolito Romano, Commentarium in Danielem 1, 20. 7 Verbale di confisca in Migne, pl 8, 730-732; basilica come termine indicante un ambiente di ricevimento in una villa, ad es. in Cicerone, Epistulae ad Atticum 2, 14, 2, e Vitruvio, De architectura 6, 5, 2. 8 Chronicon Edessenum, csco 1 (Scr. Syr. iii, 4), 2-4. 9 Origene, De oratione 31, 5. 10 Traditio Apostolica 41. 11 Eusebio, Hist. Eccl. 7, 13. 12 Eusebio, Hist. Eccl. 8, 5; 10, 2, 1. 13 Porfirio, Adversus Christianos, framm. 76. 14 Lattanzio, De mortibus persecutorum 12, 3. 15 Lattanzio, De mortibus persecutorum 2, 5s. 16 Constitutiones Apostolicae 2, 57, 3. 17 Eusebio, Hist. Eccl. 7, 30, 9. 18 Migne, pl 8, 730-732. 19 Eusebio, Hist. Eccl. 7, 30, 19. 20 Lattanzio, De mortibus persecutorum 48, 9. 1 2

Capitolo secondo L’età di Costantino Testo in Lattanzio, De mortibus persecutorum 34, ed Eusebio, Hist. Eccl. 8, 17. 2 Eusebio, V. Const. 1, 27-29; Lattanzio, De mortibus persecutorum 44. 3 Eusebio, Hist. Eccl. 10, 6-7. 4 Eusebio, Hist. Eccl. 10, 5-14; Lattanzio, De mortibus persecutorum 48. 5 Eusebio, V. Const. 2, 64-72. 6 Eusebio, V. Const. 1, 42; 2, 45-46; Eusebio, Hist. Eccl. 10, 6. 7 Eusebio, V. Const. 1, 42; 2, 45; 2, 46, 1-3; 2, 80, 4; 3, 25-40. 8 Eusebio, V. Const. 1, 42; 1, 45, 2; 1, 46, 1-3; 1*, 80, 4; 3, 25-40; 3, 31, 1-32, 2; 3, 36, 2. 9 Eusebio, V. Const. 3, 43, 4; 4, 58-60. 10 Lib. Pontif. i, 336, 338; Coll. Avellana, Epist. 1, 6 (csel 35, 2-3); Coll. Avellana, Epist. 14, 4 (csel 35, 59); Coll. Avellana, Epist. 17 (csel 35, 63); Coll. Avellana, Epist. 29 (csel 35, 75); Coll. Avellana, Epist. 31 (csel 35, 77), 6; Gerolamo, Epist. 77, 4. 11 Ch. Huelsen , Le chiese di Roma nel medioevo, Firenze 1927, 3-5; Lib. Pontif. ii, 236. 12 Codex Theodosianus 15, 4, 3. 13 Optato di Mil. 1, 23. 14 Lib. Pontif. i, 172-4. 15 Martyrologium Romanum, ed. C. Baronio, Venezia 1597, 505. 16 Paolino di Nola, Carmen 27, 544, indica come poco frequenti (raro more) ancora nel 400 fossero questi cicli figurativi biblici sulle pareti della navata mediana delle basiliche. 17 Eusebio, V. Const. 3, 33, 3. 1

01. S. Marco 02. Basilica Iulia 03. S. Marcello 04. S. Lorenzo in Lucina 05. S. Susanna 06. S. Vitale 07. S. Pudenziana 08. S. Agata dei Goti 09. S. Adriano 10. Ss. Cosma e Damiano 11. S. Prassede 12. S. Martino ai Monti 13. S. Andrea in Cata Barbara 14. S. Eusebio 15. S. Bibiana 16. Ss. Quattro Coronati

348

17. S. Stefano Rotondo 18. Ss. Giovanni e Paolo 19. S. Maria Antiqua 20. S. Teodoro 21. S. Anastasia 22. S. Sisto Vecchio 23. S. Giovanni a Porta Latina 24. Ss. Nereo e Achilleo (titulus Fasciolae) 25. S. Balbina 26. S. Saba 27. S. Prisca 28. S. Sabina 29. S. Cecilia 30. S. Crisogono 31. S. Maria in Trastevere

32. S. Maria ad Martyres 33. S. Lorenzo in Damaso 34. S. Clemente 35. S. Pietro in Vincoli

i. j. k. l. m.

a.

S. Giovanni in Laterano b. S. Agnese fuori le mura c. S. Lorenzo fuori le mura d. Basilica a deambulatorio di Tor de’ Schiavi e. Basilica a deambulatorio dei Ss. Marcellino e Pietro f. Basilica a deambulatorio di S. Sebastiano g. S. Paolo fuori le mura h. S. Pietro in Vaticano

n. o. p.

q.

r. s.

S. Croce in Gerusalemme S. Maria Maggiore Basilica Iulii S. Valentino S. Ermete S. Silvestro S. Stefano sulla via Latina Basilica anonima della via Ardeatina Basilica a deambulatorio della via Ardeatina S. Pancrazio S. Generosa

Prudenzio, Perist. xii, 31ss., 45ss. Lib. Pontif. i, 172-174. 20 Eusebio, V. Const. 3, 29ss. 21 Cassio Dione, Hist. Rom. 69, 7, 1; Codex Theodosianus 14, 3, 10. 22 Mt 3,7; At 1,6. 23 Vitruvio, De architectura v, 1, 4-9. 24 Eusebio, Hist. Eccl. 10, 4, 38. 25 Origene, De oratione 32. 26 Per la croce apocalittica: Mt 24,30; Eusebio, Hist. Eccl. 10, 4, 38. 27 Paolino di Nola, Epist. 32, 13. 28 Aurelio Vittore, De Caes. 40. 29 Lib. Pontif. i, 174. 30 Lib. Pontif. i, 172-175. 31 Lib. Pontif. i, 234. 32 Sal 41,1 (42,1). 33 Lib. Pontif. i, 234. 34 Lib. Pontif. i, 233-234. 35 Traditio Apostolica 32, 5-8. 36 Traditio Apostolica 39, 1-3. 37 Cfr. anche la Prima lettera di Pietro (1 Pt 3,2021), in cui il numero otto è definito numero della salvezza attraverso il battesimo. 38 Lib. Pontif. i, 234: Hic (Xystus) constituit columnas in baptisterium basilicae Constantinianae ex metallo pophyretico numero viii, quas erexit cum epistyliis suis et versibus exornavit. L’iscrizione si compone di sei distici, coppie di esametri e pentametri distribuiti sugli otto lati del colonnato a partire dall’architrave di fronte al vestibolo: Gens sacranda polis hic semine nascitur almo | Quam fecundatis spiritus edit aquis ||Mergere peccator sacro purgande fluento | Quem veterem accipiet proferet unda novum || Nulla renascentem est distantia quos facit unum | Unus fons unus spiritus una fides || Virgineo fetu genetrix ecclesia natos | Quos spirante deo concipit amne parit || Insons esse volens isto mundare lavacro | seu patrio premeris crimine seu proprio || Fons hic est vitae qui totum diluit orbem | Sumens de Christi vulnere principium || Caelorum regnum spreate hoc fonte renati | Non recipit felix vita semel genitos || Nec numerus quemquam scelerum nec forma suorum | Terreat hoc natus flumine sanctus erit («Una stirpe consacrata ai cieli nascerà qui dal seme vittorioso che lo Spirito genera in acque feconde. Lava i tuoi peccati tu che vuoi essere santificato nel fiume sacro; colui che l’onda riceverà come vecchio restituirà nuovo. Nessuna distinzione tra coloro che rinascono, resi uno solo da una fonte, uno spirito, una fede; la Chiesa madre partorisce vergine i suoi figli, concepiti in quest’acqua grazie allo spirito divino; tu che vuoi essere senza peccato, purificati in questo lavacro dal peccato originario e dal tuo proprio. Questa è la fonte della vita che diluisce tutto l’orbe e trae origine dalle ferite di Cristo. Il regno dei cieli attende voi che rinascete in questa fonte, vita felice non spetta a chi nasce una sola volta, né tema il numero o la forma dei suoi peccati colui che rinato in questo fiume diverrà santo»). 39 Lib. Pontif. i, 242. 40 Lib. Pontif. i, 242-243. 18 19

Capitolo terzo Martyria e mausolei di età costantiniana 1 2

Lib. Pontif. i, 182s. Lib. Pontif. i, 182.

Lib. Pontif. I, 182; Eusebio, V. Const. 3, 46s. Lib. Pontif. i, 182s. 5 Lib. Pontif. i, 183. 6 Lib. Pontif. i, 182s. 7 Eusebio, V. Const. 3, 46-47; Lib. Pontif. i, 182. 8 Ap 6,9. 9 Hist. Aug. iii, 32. 10 aass Nov. iii, 2, 343, 84. 11 Lib. Pontif. i, 212. 12 Epigrammata Damasiana, ed. A. Ferrua, 20 (ilcv 951; icur v, 13273): Hic habitasse prius sanctos conoscere debes | Nomina quisque Petri pariter Paulique requiris | Discipulos oriens misit quod sponte fatemur | Sanguinis ob meritum Christumque per astra secuti | Aetherios petire sinus regnaque piorum | Roma suos potius meruit defendere cives | Haec Damasus vestras referat nova sidera laudes («Devi sapere che qui abitavano un tempo i santi, i cui nomi, se chiedi, erano Pietro e Paolo, inviati dall’Oriente come discepoli, volentieri lo riconosciamo, per merito di sangue seguirono Cristo nei cieli per cercare il grembo celeste e il regno dei pii, Roma meritò di difenderli come suoi. Damaso rende queste lodi a voi nuovi astri»). L’iscrizione si compone di sette esametri. 13 icur ii , p. 248, n. 17; icur i , 39 00. Secondo il testo, il committente del mosaico è un praesul, un vescovo col figlio. S. Pietro in Vincoli era originariamente consacrata a entrambi gli apostoli. L’iscrizione è troppo lacunosa per poterla ricondurre con certezza a una chiesa specifica. 14 Ambrogio, Hymn. 12. 15 Socrate Scolastico, Hist. Eccl. 4, 23, 72-74. 16 Lib. Pontif. i, 180. 17 ilcv (E. Diehl, Inscriptiones Latinae Christianae Veteres, 1970) 1768. 18 Ammiano 14, 11, 6; 21, 1, 5. 19 Ammiano15, 8; 21, 1. 20 Lib. Pontif. i, 180. 21 Eusebio, V. Const. 3, 50 (gcs 7, 98, 29ss.); Id., De laude Const. 9, 15 (gcs 7, 221, 8ss.) 22 Prudenzio, Perist. ix, 218-222: ordo columnarum geminus. 23 Lib. Pontif. i, 182. 24 Lib. Pontif. i, 181: eodem tempore fecit basilicam beato Laurentio martyri via Tiburtina in agrum Veranum […] et usque ad corpus sancti Laurenti martyris fecit grados ascensionis et descensionis. 25 Lib. Pontif. i, 234: «col permesso dell’imperatore Valentiniano iii ha edificato una basilica [in onore di] san Lorenzo». 26 Lib. Pontif. i, 225, 235, 245. 27 icur iv, 12458. 28 Lib. Pontif. i, 202. 29 Eusebio, V. Const. 4, 69, 2; 4, 71, 2 (trad. it. Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Milano 2009, p. 427); 4, 73; 4, 75. 30 Lib. Pontif. i, 181. 31 Eusebio, Hist. Eccl. 2, 25, 7. 32 Gerolamo, Vir. ill. i, 6. 33 Memorie Pontificia Accademia Rom. Archeol. 16, 1, 1986, pp. 9s. 34 Tacito, Ann. 15, 44ss. 35 Svetonio, Nero 16, 2. 3

4

349


Le prime chiese di Roma 1 Clem. 1, 5, 4. Lib. Pontif. i, 176. 38 Lib. Pontif. i, 177ss.; icur i, 4095. 39 Eusebio, Theoph. syr. (gcs 3, 1, 175). 40 Ammiano 27, 5; Paolino di Nola, Epist. 13, 11 e 15. 41 L. Moretti, Inscriptiones graecae urbis Romae, Roma 1968, n. 127. 42 Lib. Pontif. i, 208. 43 Socrate Scolastico, Hist. Eccl. 4, 23, 72-74. 44 Sinodo di Elvira, can. 36; Nilo di Ancira, Epist. 4, 61; Paolino di Nola, Carm. 27, 544. 45 icur ii, 4094; ilcv 1753: Iustitiae fides, fidei domus, aula pudoris, | haec est quam cernis pietas quam possidet omnis, | quae patris et fili virtutibus inclyta gaudet, | auctoremque suum genitoris laudius aequat («Sede di giustizia, casa della fede, casa del decoro, che è quella che vedi, che ha tutto il rispetto e la devozione, che si rallegra delle ottime virtù del padre e del figlio, ed eleva il suo fondatore alla stessa gloria del Padre»); icur ii, 4095: Constantini expiata […] hostili excursione («da Costantino […] la punizione dell’invasione nemica»). 46 icur ii, 4092; ilcv 1752. 47 Prudenzio, Perist. xii, 31-44. 48 Paolino di Nola, Carm. 14, 82s.; 98s.; 103. 49 ilcv 90; icur ii, 4164. 50 Nel 1544 sono state rinvenute nel sarcofago di Maria 105 bulle auree con i nomi di Onorio, Maria, Serena, Termanzia ed Eucherio. Cfr. Paolo Diacono, Hist. Rom. 13, 7-8. 51 Lib. Pontif. i, 455, 464. 52 Paolino di Nola, Epist. 13, 11-13. 53 Agostino, Conf. 6, 2, 1. 54 Lib. Pontif. ii, 417. 55 icur ii, 4104. 56 Epigrammata Damasiana 3 (Ferrua); Prudenzio, Perist. xii, 31-44. 57 Paolino di Nola, Epist. 13, 13. 58 Lib. Pontif. i, 455. 59 ils 766, 769, 781; cil vi, 1184. 60 icur ii, 4092. 61 Epigrammata Damasiana 4 (Ferrua). 62 Procopio, Goth. vi, 4, 9. 63 Lib. Pontif. i, 178ss. 64 Eusebio, Hist. Eccl. 2, 25, 7. 65 Eusebio, Hist. Eccl. 2, 25, 5-8; Origene in Eusebio, Hist. Eccl. 3, 1, 2s. 66 Mt 16,18. 67 icur ii, p. 570; icur ii, 4800-4819. 68 Lib. Pontif. i, 179; icur ii, p. 107. 69 cil vi, 1136. 70 Lib. Pontif. i, 401. 71 Lib. Pontif. i, 170-171. 72 Rufino, Hist. Eccl. 11, 7-8; Paolino di Nola, Epist. 31. 73 Eusebio, V. Const. 3, 30-40. 74 Eusebio, V. Const. 1, 40; Eusebio, Hist. Eccl. 9, 9ss. 75 icur ii, p. 107; ilcv i, 1775. 76 Cirillo, Ad Constantium 3 (pg 33, 1167) 77 Duval, Loca sanctorum 351-353, n. 167. 78 Ambrogio, De obitu Theod. 41-48.

Note Capitolo quinto Le prime chiese urbane: fondazioni papali e chiese parrocchiali. I cosiddetti tituli

36 37

Capitolo quarto La politica edilizia di Costantino e i vescovi Lib. Pontif. i, 184. Eusebio, Hist. Eccl. 1, 9, 6; 10, 7, 2; CTh i, 27, 1; iv, 7, 1. 3 Eusebio, Hist. Eccl. 10, 1, 3; 10, 2, 1-2; 10, 3; 10, 4, 26-36; Eusebio, V. Const. 1, 42, 2; 2, 45-46. 4 Eusebio, V. Const. 3, 30-32. 5 Lib. Pontif. i, 202. 6 Lib. Pontif. i, 205. 7 Lib. Pontif. i, 212. 8 Lib. Pontif. i, 212-213. 9 icur ii, 4749. 1 2

350

Coll. Avellana, Quae gesta sunt inter Liberium et Felicem episcopo (csel 35, 2). 2 Gerolamo, Chron. (gcs Eusebio 7, 240-241); Id., Vir. Ill. 3, 7. 3 Ambrogio, Epist. 22, 1.13; Paolino di Milano, V. Ambr. 32-39; ilcv 1800; Paolino di Nola, Carm. 27; Id., Epist. 32, 6-8.10-11.17. 4 Lib. Pontif. i, 170s.; i, 187. 5 mgh, Epist. i, 366s. 6 Fragmentum Laurentianum (Lib. Pontif. i, 46, ed. Duchesne); Lib. Pontif. i, 262; ii, 22. 7 Lib. Pontif. i, 262, 505. 8 Lib. Pontif. i, 202. 9 mgh, aa xii, 414; Gregorio M., Epist. 5, 57a. 10 Lib. Pontif. i, 500. 11 Lib. Pontif. i, 9, 205. 12 Coll. Avellana, Libellus precum (csel 35, 2). 13 Lib. Pontif. i, 9, 205. 14 Lib. Pontif. i, 205, 206 nota 5; Coll. Avellana, Libellus precum (csel 35, 2); Lib. Pontif. i, 230; mgh, aa xii, 411ss.; mgh, Epist. i, 367. 15 Lib. Pontif. i, 509. 16 Lib. Pontif. ii, 80. 17 Lib. Pontif. i, 509ss. 18 Lib. Pontif. ii, 80. 19 Coll. Avellana, Epist. 1, 5 (csel 35, 1, 5). 20 Coll. Avellana , Epist. 1, 5 (csel 35, 1, 5); icvr x, 27537. 21 Lib. Pontif. i, 367. 22 Lib. Pontif. i, 235. 23 Lib. Pontif. i, 208ss. 24 Atanasio, Hist. Ar. 15 (pg 25, 710); Id., Apol. c. Ar. 20 (pg 25, 282). 25 Lib. Pontif. i, 232. 26 Lib. Pontif. i, 249. 27 Coll. Avellana, Epist. 1 (csel 35, 1); Ammiano 27 3, 11-14. 1

Capitolo sesto La basilica teodosiana di S. Paolo sulla via Ostiense (S. Paolo fuori le mura) Coll. Avellana, Epist. 2, 3 (csel 35, pp. 46-47). Lib. Pontif. i, 178. Prudenzio, Perist. xii. 4 ilcv 1761. 5 Ambrogio, Hymn. 12, 31s. 6 Ambrogio, Hymn. 12, 31-32. 7 Prudenzio, Perist. xii, 47ss. 8 icvr ii, 4778; ilcv 1857a: ((alpha)) ((tau rho)) ((omega)) Siricius episcopus tota mente devotus – ((alpha)) ((tau rho)) ((omega)) Columna Paul(o) A[postol(o)]; natale xiii kal(endas) dec(embres) consulato d(omini) n(ostri) Valentin[i]ani Aug(usti) iiii et Neoteri v(iri) c(larissimi) administrante Fl(avio) Filippo [viro clarissimo – – – curato]re Fl(avio) Anastasio [v(iro) c(larissimo) t]ribuno praetoria[no] («Il vescovo Siricio devotissimo ha dedicato la colonna all’apostolo Paolo il quattordicesimo giorno prima delle calende di dicembre [18 novembre] dell’anno del consolato di Valentiniano Augusto e del senatore Neotero [390], ministro il senatore Flavio Filippo e supervisore il senatore e tribuno dei pretoriani Flavio Anastasio»). 9 icvr ii, 4780. 10 Lib. Pontif. i, 239. 11 icvr ii, 4780, 4784; ilcv 1761a-c. 12 ilcv 1761a-c. 13 Lib. Pontif. i, 239; icvr ii, 4783. 14 ilcv ii, 4749. 15 icvr ii, 4778; ilcv 1785. 1 2 3

1 Clem. 5, 47; Ignazio, Rom. 4, 3; Ireneo, Haer. 3, 1, 3; Dionysius Corinth. in Eusebio, Hist. Eccl. 2, 25, 8; Presbyter Gaius (200 ca.) in Eusebio, Hist. Eccl. 2, 25, 7 et al. 17 Gaius in Eusebio, Hist. Eccl. 25, 7. 18 Lib. Pontif. i, 178. 19 Romanus episcopus, qui super mortuorum hominum Petri et Pauli, secundum nos ossa veneranda, […] offert Domino sacrificia, et tumulos eorum Christi arbitratur altaria, Gerolamo, c. Vigil. 8. 20 Simmaco, Rel. 25 e 26; Epist. iv, 70; v, 76. 16

Capitolo settimo Chiese urbane di fondazione papale e privata tra la fine del iv e gli inizi del v secolo

Vita Melaniae 9-21. Agostino, Serm. 345, 3. 3 Ambrogio, Epist. 58 (pl 16, 1178). 4 icvr ii, p. 25. 5 icvr i, 19; cil vi, 1712. 6 icvr ii, pp. 24, 25; icvr ii, p. 150, 18. 7 Leone M., Serm. 96 (cc 138a, vol. 2, 591s.) 8 De locis sanctis, cfr. Valentini, Zucchetti, ii, p. 120; Itinerario di Einsiedeln, ibid., ii, p. 175. 9 Lib. Pontif. ii, 1. 10 Coll. Avellana, Epist. 100 ( csel 35, pp. 453ss.). 11 Epigrammata Damasiana 55 (Ferrua). 12 Epigrammata Damasiana 57 (Ferrua). 13 Lib. Pontif. i, 212s.; Prudenzio, Perist. ii. 14 Lattanzio, Phoen. (csel 27, 1, pp. 135ss.). 15 icvr ii, p. 135, n. 6. 16 icvr ii, p. 151, n. 24. 17 icvr ii, p. 151, n. 25. 18 Lib. Pontif. i, 500; ii, 28. 19 cil vi, 10058. 20 cil vi, 10058; ils 5296. 21 icvr ii, 134, n. 5. 22 Lib. Pontif. i, 212. 23 Lib. Pontif. i, 212. 24 icvr ii, 4815. 25 Lib. Pontif. i, 252; mgh, aa xii, 410-415. 26 aass, Juli i, 304. 27 Lib. Pontif. ii, 33. 28 icvr i, 3259-3260. 29 Titulus Pudentis: iscrizione funeraria di un presbitero della chiesa del 489, icvr i, 688; sinodo del 499, mgh, aa xii, 411; iscrizione funeraria di un lector del titulus Pudentis del 528, icvr vii, 19994. Ecclesia Pudentiana: iscrizione funeraria di un Leopardus lector de Pudentiana del 384, icvr i, 3200; iscrizione a mosaico della chiesa: Dominus conservator ecclesiae Pudentianae. 30 icvr i, 3200. 31 Iscrizione dedicatoria della transenna (ilcv 1772 a): fundata a Leopardo et Ilicio Valent. Aug. et […] Eutychiano consulibus. 32 aass, Maii iv, 299ss.; Lib. Pontif. i, 132. 33 Lib. Pontif. i, 508. 34 Gerolamo, Vir. ill. 15. 35 G.B. De Rossi: Boll. Archeol. Cristiana, 1870, pp. 147ss. 36 Zosimo: Coll. Avellana, Epist. 45 (csel 35, p. 99); Leone M., Epist. 28, 4. 37 Lib. Pontif. i, 218. 38 mgh, aa xii, 412, 414. 39 mgh, Epist. i, 367. 40 Mt 24,27; Ap 7,2; Lc 1,78; Origene, Or. 32; Clemente Alessandrino, Strom. 7, 7; 43, 6-7. 41 Lib. Pontif. ii, 24. 42 Lib. Pontif. i, 220. 43 mgh, aa xii, 411-412; Gregorio M., Epist. 5, 57a. 44 icvr v, 13122. 45 mgh, aa xii, 413, 411-412; Lib. Pontif. i, 261, 265; Gregorio M., Epist. 5, 57a. 1 2

p. 150, n. 20. Aethicus Ister, Cosmographia (mgh, 521-527); Procopio, Goth. 1, 26. 48 icvr ii, p. 274, n. 5. 49 Sacramentum Veronense 14, 271. 46

icvr ii,

47

srm vii,

Capitolo ottavo Chiese parrocchiali e fondazioni papali della prima metà del v secolo

Gerolamo, Epist. 107, 17. Lib. Pontif. i, 230. 3 Lib. Pontif. i, 233. 4 Lib. Pontif. i, 233; Lib. Pontif. i, 239; icvr ii, 1784; ilcv 1761a-b. 5 Agostino, Serm. 345, 3. 6 Rutilio Nam., De reditu suo 29ss. 7 Giovanni di Antiochia, fr. 209, 1 (Fragm. Hist. Graec. iv, Paris 1868, 617). 8 mgh, aa ix, 411s. 9 icvr i, 440ss.; Gregorio M., Epist. 5, 57a. 10 Lib. Pontif. i, 417s. 11 Lib. Pontif. i, 418. 12 Simmaco, Rel. 14-36; Coll. Avellana, Epist. 14 (csel 35, 14, pp. 59ss.). 13 mgh, aa xii, 410ss.; mgh, Epist. i, 367. 14 Lib. Pontif. i, 509. 15 Lib. Pontif. i, 164. 16 aass, Nov. ii, 590. 17 mgh, aa xii, 412. 18 mgh, Epist. i, 367. 19 Lib. Pontif. i, 324. 20 Lib. Pontif. ii, 108ss. 21 Lib. Pontif. ii, 305. 22 aass, Nov. ii, 1, 104; 2, 434s. 23 mgh, Epist. i, 367. 24 mgh, aa ii, 413. 25 aass, Nov. ii, 1, 104; 2, 434s. 26 Lib. Pontif. ii, 21, 31. 27 Lib. Pontif. i, 375, 507. 28 Martyrologium Hieronymianum, Nov. 17 (De Rossi, Duchesne 144). 29 icvr i, 359, n. 816; N. Parmegiani, A. Pronti, S. Cecilia in Trastevere. Nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004, 41. 30 mgh, aa xii, 411, 414; Greorio M., Epist. 5, 57a. 31 Lib. Pontif. i, 297, ad annum 545. 32 Fons sacer est fidei qui culpas abluit omnes | tinguitur hoc quisquis incipit esse novus, Parmegiani, Pronti, S. Cecilia, cit., 94. 33 ilcv 1778a. 34 Lib. Pontif. i, 235. 35 mgh, aa xii, 411ss.; mgh, Epist. i, 367. 36 Eusebio, Hist. Eccl. 10, 4, 26-29 (sc 55, 89-104). 37 Cfr. ad esempio Prudenzio, Perist. viii-xiv. 38 Lib. Pontif. i, 234. 39 Lib. Pontif. i, 232. 40 Lib. Pontif. i, 88, 232s. 41 icvr ii, p. 71, n. 42; p. 98, n. 6; p. 139, n. 28. 42 Giovanni Diacono, Liber de Eccl. Lat. (pl 1 2

194, 1557). Paolino di Nola, Carm. 27, 542s. P rudenzio , Perist. xii , 49-54: bratteolas trabibus sublevit, ut omnis aurulent | lux esset intus, ceu iubar sub ortu. | subdidit et Parias fulvis laquearibus columnas, | distinguit illic quas quaternus ordo | tum camiros hyalo insigni varie cucurrit arcus: | sic prata vernis floribus renident. 45 A.S. Mazzocchi, Commentarii in marmoreum Neapolitanum Calendarium, iii, Napoli 1755, pp. 705s. 46 Virgilio, Ecl. iv, 1-14. 47 Lattanzio, Div. inst. v, 9, 4; vii, 2, 1; vii, 24, 12; Giunio Filargirio, Expl. in Verg. Buc. iv, 7; Proba, Cento verg. de laudibus Christi 22-23; Agostino, Epist. 258, 5; 104, 3, 11; 135, 2; 137, 3, 12; Agostino, Civ. Dei 10, 27. 48 Paolino di Nola, Carm. 27, 542s. 49 icvr ii, p. 110, n. 67; p. 134, n. 3. 50 ilcv i, 1779. 51 aco i, 1, 3, 13ss.; 7, 88ss.; mgh, aa xii, 41ss. 52 Lib. Pontif. i, 261. 53 ilcv i, 1781. 54 Gregorio M., Epist. 11, 15. 55 Lib. Pontif. i, 508, 512. 56 icvr ii, p. 100, n. 67; p. 134, n. 3. 57 mgh, Epist. i, 366ss. 58 Plinio, Epist. 1, 5, 9; Strabone, 5, 3, 8. 59 mgh, aa xii, 411. 60 aass, Maii iv, 298. 61 icvr vii, 19991; mgh, aa xii, 410, 414. 62 mgh, Epist. i, 267. 63 Lib. Pontif. i, 509. 64 Lib. Pontif. ii, 54ss. 65 ilcv 1141; icur ii, 5153. 66 mgh, Epist. i, 367. 67 Lib. Pont. i, 501.

12494: …in cymiterium Balbinae… 14 cil xv, 7447. 15 cil vi, 1737. 16 Lib. Pontif. i, 250; icvr ii, p. 436, n. 115. 17 Gregorio M., Epist. 9, 232; 11, 59; Lib. Pontif. ii, 28. 18 Cfr. supra, nota 16. 19 Cod. Marc. Lat. x, 195s., 299v. 20 Lib. Pontif. i, 312; Gregorio M., Epist. 3, 19. 21 Lib. Pontif. i, 312. 22 Gregorio M., Dial. 3, 30, 288; Epist. 1, 253. Cfr. Lib. Pontif. i, 312. 23 mgh, Epist. i, 253. 24 Lib. Pontif. i, 521. 25 Lib. Pontif. i, 508, 521. 26 V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo xi fino ai giorni nostri, xi, Roma 1877, p. 161. 27 Ammiano 16, 10. 28 Procopio, Goth. 4, 21. 29 Lib. Pontif. i, 279. 30 Valentini, Zucchetti, ii, p. 121. 31 Lib. Pontif. i, 385. 32 Forcella, Iscrizioni, cit., viii, p. 297. 33 Lib. Pontif. i, 324. 34 Lib. Pontif. i, 508s. 35 Lib. Pontif. i, 317. 36 Cassio Dione, Hist. Rom. 69, 7, 1; Codex Theodosianus 14, 3, 10. 37 Macrobio, Sat. 3, 17, 18: in templo quod Pantheum dicitur; Lib. Pontif. i, 317: templum qui appellatur Pantheum. 38 cil vi, 896, 1.

Capitolo nono Chiese della seconda metà

Lib. Pontif. i, 238; ilcv 1765. Giovanni Crisostomo, Hom. in acta Apostolorum 18, 4 (pg 60, 146-147). 3 Lib. Pontif. ii, 29. 4 Lib. Pontif. ii, 116. 5 aass, Maii iii, 21; Nov. ii, 1, 59. 6 Lib. Pontif. i, 262. 7 mgh, Epist. i, 1, 252ss. 8 Gregorio di Tours, De gloria Martyrum 38 (mgh, srm i, 512s.). 9 ilcv 1786; Lib. Pontif. i, 324. 10 Lib. Pontif. i, 181. 11 Lib. Pontif. i, 309. 12 Notitia Ecclesiarum, cfr. Valentini, Zucchetti, ii, p. 80; De locis sanctis, cfr. ibid., ii, p. 114. 13 icvr ii, pp. 63ss., 103, 157.

43

44

del v e del vi secolo

1765 = 31925; 1750. 32086-87; 1763 = 32089; 32088; 32091-92. 3 Lib. Pontif. i, 249. 4 Agostino, Civ. Dei 22, 8; Serm. 320 (pl 38, 1442). 5 Galla Placidia: Agnello, Lib. Pontif. 42; Agnello, Cod. Pontif. 128; Demetria, Lib. Pontif. i, 238. 6 ilcv i, 1800. 7 Ammiano 16, 1, 66. 8 Lib. Pontif. i, 303, 305. 9 Lib. Pontif. i, 249s. 10 Lib. Pontif. i, 249s. 11 mgh, Epist. 367. 12 mgh, aa xii, 412s. 13 icvr iv, 12358: …ub Balbinis…; icvr iv, 1 2

cil vi,

cil vi,

Capitolo decimo Chiese rurali e chiese cimiteriali nel suburbium del v-vii secolo 1

2

Uno sguardo retrospettivo 1

Gv 8,12; Lattanzio, Phoen. 1-4.

351


Bibliografia La rassegna bibliografica si limita a presentare solo una scelta delle numerose pubblicazioni esistenti. Si è tenuto pertanto conto, al fine delle opere selezionate, di quelle che rinviano a ulteriore bibliografia. Si consideri ciò, nel caso si rilevi l’assenza dell’una o dell’altra pubblicazione. I testi generali e le opere miscellanee indicati in forma abbreviata nei paragrafi dedicati ai singoli edifici sono citati per esteso nelle sezioni Repertori ed enciclopedie, Roma nella tarda Antichità e nel Medioevo e Le prime chiese di Roma. Repertori ed enciclopedie = Der Neue Pauly, Lexikon der Antike i-xv, München 1996-2003. dpac = A. Di Berardino (a cura di), Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, i-ii, Casale Monferrato 1984. eaa = Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale, Roma 1958ss. eam = Enciclopedia dell’Arte Medievale, i-xii, Roma 1991-2002. epp = Enciclopedia dei Papi, i-iii, Roma 2000. kp = Der Kleine Pauly. Lexikon der Antike, i-v, München 1979. lma = Lexikon des Mittelalters, i-xix, Stuttgart 1980-1999. lpp = Lexikon der Päpste, Freiburg 2000. ltur = E.M. Steinby (a cura di), Lexicon Topographicum Urbis Romae, i-vi, Roma 19932000. ltur, Suburbium = V. Fiocchi Nicolai, A. La Regina et al. (a cura di), Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium, i-v, Roma 20012008 (i, 2001; ii, 2004; iii, 2005; iv, 2006; v, 2008). rac = Reallexikon für Antike und Christentum, Stuttgart 1950ss. racr = Rivista di Archeologia Cristiana. rbk = Reallexikon der byzantinischen Kunst, Stuttgart 1961ss. Richardson = L. Richardson, A New Topographical Dictionary of Ancient Rome, Baltimore 1992. tre = Theologische Realenzyklopädie, i-xxxvi, Berlin-New York 1950-2004. dnp

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Le prime chiese di Roma III. Martyria e mausolei di età costantiniana La basilica a deambulatorio dei Ss. Marcellino e Pietro e il mausoleo dell’imperatrice Elena F.W. Deichmann, A. Tschira, «Das Mausoleum der Kaiserin Helena und die Basilika der heiligen Marcellinus und Petrus an der Via Labicana vor Rom» Jahrb. Deutsch. Archäol. Inst. 72, 1957, 44-110; J. Guyon, «Stèles funeraires d’equites singulares trouvées aux cimetière inter duas lauros», racr 53, 1977, 199-224; Tolotti, Basiliche cimiteriali 153-211; Schumacher, Exedra-Basiliken 132-186; J. Guyon, Le cimetière “Aux deux Lauriers”. Recherches sur les catacombes romaines, Città del Vaticano 1987; Brandenburg, Die konstantinischen Kirchen 40-43; Tolotti, Basiliche circiformi 203-217; J.J. Rasch, Das Mausoleum der Kaiserin Helena in Rom und der “Tempio della Tosse” in Tivoli, Mainz 1998, 45-46; T. Lehmann, «Circus oder Basilika. Zu einem Grund(riß)problem in der Archäologie», in T. Mattern (Hrsg.), Munus. Festschrift H. Wiegartz, Münster 2000, 163-169; J. Guyon, «À l’origine de la redécouverte et de l’interprétation du monument de la via Labicana: L’iconographie de la basilique cémétériale des saints Marcellin-et-Pierre», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1158-1173; L. Vendittelli, «La conservazione e la valorizzazione del Mausoleo di Sant’Elena. Nuovi dati dai lavori di scavo e di restauro», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 771-792; R. Volpe, «Via Labicana», in Pergola, Santangeli Valenzani, Volpe, Suburbium 214ss.; A.W. Busch, «Von der Provinz ins Zentrum. Bilder auf den Grabdenkmälern einer Eliteeinheit», P. Noelke et al. (a cura di), Romanisation und Resistenz, Neue Funde und Forschungen, Akten vii. Internat. Colloquium Provinzialröm. Kunstschaffen (Köln 2001), Mainz 2003, 179-649, part. 691 sul cimitero degli equites singulares; T. Lehmann, «“Circus Basilicas”, “coemeteria subteglata” and Church Buildings in the Suburbium of Rome», Acta Archaeol. Art. Hist. Pert. 17 (n.s. 3), 2003, 57-77; Dresken-Weiland, Sarkophagbestattungen 131ss.; Graen, Sepultus in Villa 130-132; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 169-179; M.J. Johnson, The Roman Imperial Mausoleum in Late Antiquity, Cambridge 2009, 110-118; D. Graen, Tod und Sterben in der Antike, Stuttgart 2011, 175-177; Leipziger, Die römischen Basiliken 2006, 33-39; M. Maiuro, Res Caesaris. Ricerche sulla proprietà imperiale, Bari 2012; «Il mausoleo di Sant’Elena in territorio inter duas lauros», in M. Barbera (a cura di), Costantino 313 d.C., cat. esp. (Roma 2013), Milano 2013, 82-83. La basilica e il mausoleo di Tor de’ Schiavi H. Brandenburg, Roms frühchristliche Basiliken, München 1979, 72-77; Tolotti, Basiliche cimiteriali 153-211; Schumacher, Exedra-Basiliken 150-152; Tolotti, Basiliche circiformi 175ss.; Brandenburg, Die konstantinische Kirchen 44-46; C. Ceccherelli Luschi, «Il mausoleo dei Giordani e la basilica costantiniana», in Il complesso dei Giordani, Comune di Roma, Archeologia e progetto, Roma 1983, 31-38; J.J. Rasch, H. Mielsch, Das Mausoleum bei Tor de’ Schiavi in Rom, Mainz 1993; G. Brands, «Das Mausoleum bei Tor de’ Schiavi in Rom», Gnomon 71, 1999, 252-258; R. Volpe, «Le ville del suburbio di Roma», in Ensoli, La Rocca, Aurea Roma 161-167, part. 164s.; E.M. Steinby, «La cronologia delle “figlinae” tardoantiche», in Cecchelli, Materiali 127-150; E. Jastrzebowska, «S. Sebastiano, la più antica basilica cristiana di Roma», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1149; DreskenWeiland, Sarkophagbestattungen 141ss.; M. Maiuro, «Gordianorum Villa», ltur, Suburbium iii, 31-39, part. 38-39; Leipziger, Die römischen Basiliken 2006, passim; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 101-103; D. Graen, «Das Mausoleum von Tor de’ Schiavi an der Schwelle zum Christentum», Boreas 30-31, 2007-2008, 141-168; Graen, Sepultus in Villa 136-141; M.J. Johnson, The Roman Imperial Mausoleum in Late Antiquity, Cambridge 2009, 93-102; J.J. Rasch, «La formazione

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Bibliografia della basilica con gallerie nel quarto secolo», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 101-102; Maiuro, Res Caesaris 2012. La basilica Apostolorum (S. Sebastiano) Krautheimer, Corpus iv, 1970, 99-147; E. JastrzeUntersuchungen zum christlichen Totenmahl aufgrund der Monumente des 3. und 4. Jhs. unter der Basilika des Hl. Sebastian in Rom, Frankfurt 1981; Tolotti, Basiliche cimiteriali 153-211; Schumacher, Exedra-Basiliken 142-150; Tolotti, Basiliche circiformi 171ss.; J. Rasch, Das Maxentiusmausoleum an der Via Appia, Mainz 1984; Brandenburg, Die konstantinischen Kirchen 43-45; H.G. Thümmel, Die Memorien für Petrus und Paulus in Rom, Berlin 1999; L. Spera, «S. Sebastiano», in Pani Ermini, Visita 55-68; G. Pisani Sartorio, «Il palazzo di Massenzio sulla via Appia», in Ensoli, La Rocca, Aurea Roma 116-119; M. Langner, Antike Graffitizeichnungen. Motive, Gestaltungen und Bedeutung (Palilia, 11), Wiesbaden 2001, 136s.; E. Jastrzebowska, «S. Sebastiano, la più antica basilica cristiana di Roma», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1140-1155; Dresken-Weiland, Sarkophagbestattungen 123ss.; S. Mineo, «Appia, via, iii miglio», ltur, Suburbium ii, 106; D. Kinney, in de Blaauw, Storia dell’architettura italiana ii, 54-97; Leipziger, Die römischen Basiliken, 2006, passim; S. Heid, A.M. Nieddu, «Die Platonia an S. Sebastiano», rqs 103, 2008, 1-54; Graen, Sepultus in Villa 133-135; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 97-101; A.M. Nieddu, La basilica apostolorum sulla Via Appia e l’area cimiteriale circostante, Città del Vaticano 2009; S. de Blaauw, «Rec. a A.M. Nieddu, La basilica apostolorum», Vig. Christ. 65, 2011, 217-221; J.J. Rasch, «La formazione della basilica con gallerie nel quarto secolo», in Brandenburg: Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 98-101; Maiuro, Res caesaris. 2012. bowska,

La basilica di S. Agnese e il mausoleo di Costantina Augusta (S. Costanza) A.L. Canina, Aggiunte e correzioni all’opera sugli edifizj antichi di Roma dell’architetto A. Desgodetz, Roma 1843, 12-15, tavv. 1-4; M. Stettler, «Zur Rekonstruktion von S. Costanza», Röm. Mitteil. 58, 1943, 76ss., Beil 1-3; F.W. Deichmann, «Die Lage der konstantinischen Basilika der heiligen Agnes an der Via Nomentana», Riv. Archeologia Cristiana 22, 1946, 213ss.; Deichmann, Frühchristliche Kirchen 24-29; H. Stern, «Les mosaïques de l’église de Saint-Constance à Rome», Dumbarton Oaks Pap. 12, 1958, 152-208; R. Perrotti, «Recenti ritrovamenti presso S. Costanza», Palladio 6, 1956, 80-8; Matthiae, Mosaici 3ss.; A.P. Frutaz, Il complesso monumentale di Sant’Agnese, Città del Vaticano 1969 (19762); Tolotti, Basiliche cimiteriali 153-211; Wilpert, Schumacher, Mosaiken 46ss., 29 9ss. tavv. 1-5; A. Amadio, Mosaici di S. Costanza. Disegni, incisioni, documenti dal xv al xix secolo (Xenia, 7), Roma 1986; M. Horster, «Veduten der Kirchen S. Agnese und Santa Costanza in Zeichnungen des 17. und 18. Jh.», in O. Feld, U. Peschlow (Hrsg.), Studien zu Ehren F.W. Deichmann, Bonn 1986, 281-285; Schumacher, Exedra-Basiliken 156-159; Tolotti, Basiliche circiformi 203-217; D. Stanley, «The Apse Mosaics at S. Costanza», Röm. Mitteil. 94, 1987, 29-42; Brandenburg, Die konstantinischen Kirchen 48-49; Ihm, Programme 126ss.; D.J. Stanley, «An excavation on Santa Costanza», Arte Medievale s. ii, 7, 1993, 103-112; D. Esposito, P. Venturini, «La basilica cimiteriale di S. Agnese fuori le Mura a Roma: nuove osservazioni e ipotesi», Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura n.s. 22, 1993, 3-16; D.J. Stanley, «More Discoveries at Santa Costanza», Arte Medievale s. ii, 10, 1996, 1-13; Id., «New Hypothesis Concerning Santa Costanza and Sant’Agnese», racr 73, 1997, 265-267; E. Giuliani, C. Pavolini, «La “Biblioteca di Agapito” e la Basilica di S. Agnese», in Harris, Transformations 99ss.; M.B. Rasmussen, «Traditio legis?», Cahiers Archéol. 47, 1999, 5-37; Cecchelli, Materiali 207-209, 240-241; P. Barbini, «Agnetis (S.), basilica, coemeterium», ltur, Suburbium i, 33-36; C. Pavolini, «La basilica costanti-

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la funzione funeraria delle chiese “a deambulatorio” del suburbio romano», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1175-1202. Dresken-Weiland, Sarkophagbestattungen 137ss.; T. Lehmann, «“Circus Basilicas”, “coemeteria subteglata” and church buildings in the suburbium of Roma», Acta Archaeol. Art. Hist. Pert. 17 (n.s. 3), 2003, 71-73; Leipziger, Die römischen Basiliken, 2006, 47ss.; V. Fiocchi Nicolai, «Corredi aurei da una tomba della basilica di Papa Marco sulla Via Ardeatina», in M. Barbera (a cura di), Costantino 313 d.C., cat. esp. (Roma 2013), Milano 2013, 60-66. Le basiliche costantiniane a deambulatorio di Roma In generale sulle basiliche a deambulatorio, oltre alle opere citate nella sezione L’età di Costantino e a proposito della basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, si vedano le seguenti ricerche, anche per specifiche questioni di forma e funzione, spesso falsamente collegate alla simbologia architettonica: R. Krautheimer, «Mensa – Coemeterium – Martyrium», Cahiers Archéol. 11, 1960, 15-40; F.W. Deichmann, «Märtyrerbasilika, Martyrion, Memoria und Altargrab», Röm. Mitteil. 77, 1970, 144-169; Schumacher, Exedra-Basiliken 152-186; F. Wochnik, «Zur Frage der konstantinischen Umgangsbasiliken in Rom», Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benediktiner-Ordens 99, 1988, 113-131; H. Brandenburg, Die konstantinischen Basiliken 40-53; T. Lehmann, «Circus oder Basilica. Zu einem Grund(riß) problem in der Archäologie», in T. Mattern (Hrsg.), Munus. Festschrift H. Wiegartz, Münster 2000, 163169; M. Torelli, «Le basiliche circiformi: iconografia e forme mentali», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1097-1108; E. La Rocca, «Le basiliche cristiane “a deambulatorio” e la sopravivenza del culto eroico», ibid. 1109-1140 (si veda anche la discussione nella “Tavola rotonda”, ibid. 1249-1262); R. Giuliani, «Il contributo di Richard Krautheimer allo studio delle basiliche funerarie del suburbio romano alla luce degli indirizzi di ricerca successivi», ibid. 25-40; T. Lehmann, «“Circus Basilicas”, “coemeteria subteglata” and church buildings in the suburbium of Rome», Acta Archaeol. Art. Hist. Pert. 17 (n.s. 3), 2003, 57-77; Leipziger, Die römischen Basiliken 2006; Graen, Sepultus in Villa 129-130. S. Pietro in Vaticano T. Alpharanus, De basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, a c. di D. Cerrati, Roma 1914; B.M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, E. Josi, E. Kirschbaum, Esplorazioni sotto la confessione di S. Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949, Città del Vaticano 1951; J. Toynbee, J. Ward Perkins, The Shrine of St. Peter and the Vatican Excavations, London 1956; St. Waetzold, Die Kopien des 17. Jh. nach Mosaiken und Wandmalereien in Rom, Wien-München 1964; J. Christern, «Der Aufriß von Alt-St. Peter», Röm. Quartalschr. 62, 1967, 133-138; J. Christern, K. Thiersch, «Der Aufriß von Alt-St. Peter, ii», ibid. 64, 1969, 1-34; R. Niggl, La decorazione della basilica antica di S. Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1972; E. Kirschbaum, E. Dassmann, Die Gräber der Apostelfürsten. St. Peter und St. Paul in Rom, Frankfurt 19743; J.-C. Picard, «Le quadriportique de Saint-Pierre-du-Vatican», Mélanges École Française de Rome 87, 1974, 851-890; Krautheimer, Corpus v, 171-285; E. Russo, «La recinzione del presbiterio di S. Pietro in Vaticano dal vi all’viii secolo» Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 55-56, 19821983/1983-1984, 3-33; R. Krautheimer, St. Peter’s and Medieval Rome, Rome 1985; A.C. Carpiceci, «La basilica Vaticana vista da Marten van Heemskerck», Boll. d’Arte 44-45, 1987, 67-128; A. Arbeiter, Alt St.Peter in Geschichte und Wissenschaft, Berlin 1988; R. Krautheimer, «The building inscriptions and the dates of construction of Old St. Peter’s. A Reconsideration», Röm. Jahrb. Kunstgesch. 25, 1989, 3ss.; M.J. Johnson, «On the burial places of the Theodosian Family», Byzantion 61, 1991, 330-339; Ihm, Programme 241; H. Brandenburg, Die konstantinischen Basiliken 53-58; A. Carpiceci, R. Krautheimer, «Nuovi dati sull’antica

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La basilica costantiniana di S. Paolo fuori le mura Si veda anche la bibliografia citata nella sezione La basilica teodosiana di S. Paolo sulla via Ostiense. H. Brandenburg, Petrus und Paulus in Rom 351-381; H. Brandenburg, «Die Architektur der Basilika S. Paolo furi le mura. Das Apostelgrab als Zentrum der Liturgie und des Märtyrerkultes», rm 112, 2005-2006, 237-275; G. Filippi, «Un decennio di ricerche e studi nella basilica ostiense», in Utro, San Paolo 29-42; F. Missi, «Il contesto topografico della sepoltura di Paolo», ibid. 5-12: H. Brandenburg, «Petrus und Paulus in Rom? Die archäologischen Zeugnisse, die Basilika S. Paul vor den Mauern und der Kult der Apostelfürsten», in O. Brandt, Ph. Pergola, Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico Guidobaldi, Città del Vaticano 2011, 213-226; O. Bucarelli, M.M. Morales (a cura di), Paulo Apostolo Martiri. L’apostolo San Paolo nella storia, nell’arte e nell’archeologia, Roma 2011; G. Filippi, «La tomba dell’Apostolo Paolo: nuovi dati dai recenti scavi. Note storiche e archeologiche», in Bucarelli, Morales, Paulo Apostolo Martiri 97-118. S. Croce in Gerusalemme Krautheimer, Corpus i, 1937, 165-195; A.M. Colini, «Horti spei veteris, Palatium Sessorianum», Mem. Pontif. Accad. 3, 8, 1955, 137ss.; I.W. Drivers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her Finding of the True Cross, Leiden 1992; C. Varagnoli, S. Croce in Gerusalemme: La basilica restaurata e l’architettura del Settecento romano, Roma 1995; S. Episcopo, «Hierusalem, basilica, ecclesia», ltur iii, 1996, 27-28; D. Colli, «Il Palazzo Sessoriano nell’area archeologica di S. Croce in Gerusalemme», mefra 108, 1996, 771-815; C. Paterna, «Il circo Variano a Roma», ibid. 817-853; S. Palladino, «Le Terme Eleniane a Roma», ibid. 855-871; S. Argentini, M. Ricciardi, «Il complesso di S. Croce in Gerusalemme in Roma: Nuove acquisizioni e ipotesi», Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 69, 1996-1997, 253-288; F. Guidobaldi, «Sessorium», ltur iv, 1999, 304-308; S. de Blaauw, «Jerusalem in Rome and the Cult of the Cross», in R.L. Colella et al. (ed.), Pratum Romanum. Festschrift R. Krautheimer zum 100. Geburtstag, Wiesbaden 1997, 55-73; M. Cecchelli, «Scavi nel complesso di S. Croce in Gerusalemme», Forma urbis ii, 9, 1997, 11ss.; F. Guidobaldi, «Il “tempio di Minerva Medica” e le strutture adiacenti: settore privato del Sessorium costantiniano», racr 74, 1998, 505-518; S. Heid, Kreuz, Jerusalem, Kosmos. Aspekte frühchristlicher Staurologie (Jahrb. Antike und Christentum Erg., Bd. 31), Münster 2001; Id., «Die gute Absicht im Schweigen Eusebs über die Kreuzauffindung», Röm. Quartalschr. 96, 2001, 37-56; Cecchelli, Materiali 247-255; F. Guidobaldi, «Architettura come codice di trasmissione dell’immagine dell’imperatore», Acta Archaeol. Art. Hist. Pert. 15, 2001, 13-26; Claussen, Kirchen i, 412-443; P. Liverani, «L’edilizia costantiniana a Roma: Il Laterano, il Vaticano, Santa Croce in Gerusalemme», in Donati, Gentili, Costantino il Grande 75-81; F. Guidobaldi, «Sessorium e Laterano. Il nuovo polo cristiano della roma costantiniana», mefra 116, 2004, 11-15; M. Cecchelli, «Santa Croce in Gerusalemme», in L. Paroli, L. Vendittelli, Roma 344-349; O. Brandt, «I muri traversali di Santa Croce in Gerusalemme e la sinagoga di Ostia», Opuscola 1, 2008, 155-166; A. Cavallaro, Santa Croce in Gerusalemme, Roma 2009; R. Cassanelli, E. Stolfi (a cura di), Gerusalemme a Roma. La basilica di S. Croce e le reliquie della Passione, Milano 2012 (part. M. Barbera, «Aspetti topografici dell’area di Santa Croce in Gerusalemme nell’antichità», 1-12; S. de Blaauw, «Gerusalemme a Roma e il culto della Croce», 2740; M.L. Accorsi, «La basilica tra tarda antichità e medioevo», 51-58); S. Diefenbach, «Bezugspunkte kollektiver Heiligenverehrung in Rom des Bischofs Damasus (366-384)», in Behrwald, Witschel, Rom in der Spätantike 193-250; M. Barbera, «La fase del “Sessorio” nel complesso di Santa Croce in Gerusalemme», in P. Biscottini, G. Sena Chiesa (a cura di), Costantino 313 d.C., cat. esp. (Milano), Milano

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Le prime chiese di Roma 2012, 141-144: F. Slavazzi, «Elena Augusta i luoghi e le residenze», ibid. 136-140; M. Barbera, «Costantino e Roma, Costantino a Roma», in M. Barbera (a cura di), Costantino 313 d.C., cat. esp. (Roma 2013), Milano 2013, 12-26. IV. La politica edilizia di Costantino e i vescovi Chiese cimiteriali di fondazione pontificia nel suburbium nell‘età della dinastia costantiniana

Si veda anche la bibliografia citata nella sezione L’età di Costantino. V. Saxer, Il culto dei santi nelle diocesi suburbicarie di Roma in età paleocristiana, Roma 2000; ltur, Suburbium ad loc.; V. Fiocchi Nicolai, «Alle origini della parrocchia rurale nel Lazio», in Ph. Pergola (a cura di), Alle origini della parrocchia rurale (iv-viii), atti della giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (Roma 1998), Città del Vaticano 1999, 445-485; F. Tolotti, Il cimitero di Priscilla, Città del Vaticano 1970, 305-309; V. Fiocchi Nicolai, «Riflessi topografici e monumentali del culto dei martiri nei santuari paleocristiani del territorio laziale», in Martyrium in Multidisciplinary Perspective: Memorial Louis Reekmans, Leuven 1995, 197-232; Ph. Pergola, Le catacombe romane. Storia e topografia, Roma 1997, 109-242; A.M. Nieddu, «L’utilizzazione funeraria del suburbio di Roma», in Pergola, Santangeli Valenzani, Volpe, Suburbium 545-606; L. Spera, «Damasi basilica, ecclesia», ltur, Suburbium 185-188; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristiani del Lazio, i, Città del Vaticano 1988, ii, Città del Vaticano 2009; G.N. Verrando, «L’attività edilizia di papa Giulio i e la basilica al iii miglio della Via Aurelia ad Callistum», mefra 97, 2, 1985, 10211061; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 453s. (basilica Iulii, via Aurelia), 453-455 (basilica Iulii, via Portuensis); G.N. Verrando, «Callistum (ad) basilica», ltur, Suburbium ii, 50-54; R. Krautheimer, Corpus, iv, S. Valentino, 1970, 289-312; «S. Valentini basilica, ecclesia coemeterium», ltur, Suburbium v, 217-225; C. Palombi, «La basilica di S. Valentino sulla Via Flaminia. Nuove ricerche sull’assetto della zona presbiteriale», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 153187; P. Quaranta, P. Filippini, B. Chiretti, A. Tronelli, «Un nuovo complesso cimiteriale con basilica ipogea al nono miglio della Via Tiburtina. Nota preliminare», ibid. 125-152; N. Zimmermann, «Rilettura di pitture a Domitilla: Tracce del santuario damasiano dei Ss. Nereo ed Achilleo?», ibid. 189-212. V. Le prime chiese urbane: fondazioni papali e chiese parrocchiali. I cosiddetti tituli Titulus Silvestri (S. Martino ai Monti) B.M. Apollonj Ghetti, «Le chiese titolari di S. Silvestro e Martino ai Monti», racr 37, 1961, 271-302; E. Coccia, «Il titolo di Equizio e la basilica dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti», racr 39, 1963, 235245; Krautheimer, Corpus iii, 1967, 87-124; C. Davis Weyer, J.J. Emerick, «The Early Sixth Century Frescoes at S. Martino ai Monti in Rome», Röm. Jahrb. Kunstgesch. 21, 1984, 1-60; M.L. Accorsi, «Il complesso dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti dal iii al ix secolo», in F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 533-564; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 332-393. Titulus Marci (S. Marco) Krautheimer, Corpus ii, 1959, 216-247; M. Cecchelli, «S. Marco a Piazza Venezia», in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, atti del coll. sul cristianesimo nel mondo antico, Macerata 1992, 299310; Ead., «La basilica di S. Marco a Piazza Venezia (Roma). Nuove scoperte e indagini», in Akten xii. Internat. Kongr. Christliche Archäologie (Bonn 1991), Münster 1995, 640-644; V. Tiberia, San Marco (Roma Sacra, 15), Roma 1999; M. Cecchelli, «S. Marcus, titulus», ltur iii, 1996, 212-213.

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Titulus Chrysogoni (S. Crisogono) Krautheimer, Corpus i, 144-164; B. Apollonj GhetS. Crisogono, Roma 1966; S. Guidobaldi, «Chiese titolari», in Miscellanea U.M. Fasola 383-396; A. Melograni, «Le pitture del vi e viii secolo nella basilica inferiore di S. Crisogono in Trastevere», Riv. Ist. Archeol. 13, 1990, 139-178; A. Pronti, «S. Chrysogonus, titulus», ltur i, 1993, 266-267; S. Settecasi, R. Luciani, S. Crisogono, Roma 1996; M. Cecchelli, «Dati da scavi recenti di monumenti cristiani», in Atti Seminari Archeologia Cristiana, Roma 1997, Mélanges École Française de Rome, Moyen Âge 111, 1999, 232-235; A. Astolfi, «S. Crisogono», Forma urbis iv, 3, 1999, 15ss.; G. De Spirito, «S. Chrysogonus, titulus», ltur v, 1999, 236; P. Guerrini, «Le chiese e i monasteri del Trastevere. Cronologia e topografia», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 384s.; Claussen, Kirchen i, 386-411; Cecchelli, Materiali ti,

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Le prime chiese di Roma 242-246; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 349-353. Titulus Marcelli (S. Marcello al Corso) Krautheimer, Corpus ii, 207-217; L. Gigli, S. Marcello al Corso, Roma 1977; A. Nestori, «Il battistero paleocristiano di S. Marcello: nuove scoperte», Riv. Archeol. Crist. 58, 1982, 81-126; S. Episcopo, «La basilica di S. Marcello al Corso a Roma. Nuove scoperte», in Akten xii. Internat. Kongr. Christliche Archäologie, Bonn 1991, Münster 1995, 734-740; L. Gigli, S. Marcello al Corso, Roma 1996; S. Episcopo, «S. Marcellus, ecclesia, titulus», ltur iii, 1996, 211212; G. De Spirito, «S. Marcellus, titulus (fonti agiografiche)», ltur iii, 1996, 212; Cecchelli, Materiali 295-297; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 225, 243. Titulus Aemilianae (Ss. Quattro Coronati) Huelsen, Chiese 427-428, Nr. 1; Armellini, Cecchelli 605-609; Krautheimer, Corpus iv, 1-36; Guidobaldi, Chiese titolari 386; B.M. Apollonj Ghetti, I Quattro Coronati, Roma 1964; L.M. Spera, «Aemiliana, titulus», ltur i, 1993, 20; L.M. Spera, «Ss. Quattuor Coronati, titulus», ltur iv, 1999, 177-178; G. Filippi, «La torre di accesso al primo cortile del complesso dei Ss. Quattro coronati a Roma. Rielaborazione gotica sulle preesistenze classiche e romaniche», Boll. d’Arte 118, 2001, 47-58; Cecchelli, Materiali 345-347; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 345-348; L. Barelli, «Il reimpiego delle preesistenze nelle costruzioni di età carolingia», in Bernard, Bernardi, Esposito, Il reimpiego 315-327; R. Pugliese, «Il recupero del materiale nel medioevo. Dati del cantiere di scavo dei Ss. Quattro Coronati a Roma», ibid. 329-336; L. Barelli, Il complesso monumentale dei Ss. Quattro Coronati a Roma, Roma 2009. Titulus Gaii (S. Susanna) Krautheimer, Corpus iv, 243-266; A. Bonanni, «La basilica di S. Susanna in Roma», in Akten xii. Internat. Kongr. Christliche Archäologie, Bonn 1991, Münster 1995, 586-589; A.M. Affanni, M. Cogotti, R. Vodret, S. Susanna e S. Bernardo alle Terme, Roma 1993; A. Milella, «S. Susanna, titulus», ltur iv, 1999, 387-388; A. Catalano, A. Milella, Santa Susanna (Roma Sacra 17), Napoli 2000; A. Bonanni, «La basilica di S. Susanna in Roma, campagne di scavo 1991-1992», in Atti vii Congr. Naz. Archeol. Crist. Cassino 1993, Roma 2002, 359-376; M. Cecchelli et al., «Santa Susanna», in Paroli, Vendittelli, Roma 328-343; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 343-348; J.J. Rasch, «La formazione della basilica con gallerie nel quarto secolo», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 102-105. Titulus Caeciliae Transtiberim (S. Cecilia in Trastevere) G.B. Giovenale, «Scavi innanzi alla basilica di Santa Cecilia in Trastevere», Nuovo Boll. Archeol. Crist. 3, 1897, 249-254; G. Gatti, «Scavo sotto S. Cecilia in Trastevere», Notizie Scavi 1900, 12-27, 230-231; Krautheimer, Corpus i, 95-112; G. Matthiae, S. Cecilia, Roma 1970; N. Parmegiani, A. Pronti, «Il complesso archeologico sotto la basilica di S. Cecilia in Trastevere», Archeologia Laziale 10, 1990, 105-111; N. Parmegiani, A. Pronti, «S. Caecilia, titulus», ltur i, 1993, 206-207; G. De Spirito, «S. Caecilia, titulus», ltur v, 1999, 232; Claussen, Kirchen i, 227-264; N. Parmegiani, A. Pronti, Il battistero di S. Cecilia, Città del Vaticano 2004; N. Parmegiani, A. Pronti, S. Cecilia in Trastevere. Nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004; N. Parmegiani, A. Pronti, S. Cecilia in Trastevere, Nuovi scavi e richerche: Petros eni. Pietro è qui, cat. esp. (Città del Vaticano 2006), Roma 2006 (part. N. Parmegiani, A. Pronti, «L’area archeologica del periodo Classico, 11-40; N. Parmegiani, A. Pronti, «Il titulus Sanctae Siciliae e il suo battistero»,

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Titulus S. Priscae (S. Prisca) Huelsen, Chiese 424, Nr. 24; Armellini, Cecchelli 705-709, 1420; Krautheimer, Corpus iii, 263-279; J. Vermaseren, «Nuove indagini nell’area della Basilica di S. Prisca» Mededelingen Nederlands Instituut Rome 37, 1975, 887-896; M.G. Zanotti, «S. Prisca, titulus», ltur iv, 1999, 162-163; Cecchelli, Materiali 339-342. Si veda anche bibliografia ulteriore al capitolo ix. IX. Chiese della seconda metà del v e del vi secolo Si indica solo la bibliografia essenziale per il passaggio tra tarda Antichità e alto Medioevo (vi-viii sec.): E. Celia, Dal Foro pagano al Foro cristiano. Strenna dei Romanisti 2013, Roma 2013, 151-167 (Cannapara); M.S. Arena et al. (a cura di), Roma dall’antichità al medioevo, Milano 2001 (part. F. Guidobaldi, «Topografia ecclesiastica di Roma, iv-vi secolo», 40-51; S. de Blaauw, «Architettura e arredo ecclesiastico a Roma, v-ix secolo», 52-61); L. Paroli, L. Vendittelli, Roma dall’Antichità al Medioevo ii. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004; A. Englen (a cura di), Caelius. Santa Maria in Domnica, S. Tommaso in Formis e il Clivus Scauri, Roma 2003 (part. M.G. Filetici, «L’aula absidata, la c.d. biblioteca di Papa Agapito e gli edifici che costeggiano lo Clivus Scauri», i, 131-148; C. Pavolini, «La metamorfosi di una insula. Il complesso della Biblioteca di Agapito sul Clivo di Scauro», i, 68-90. Sulle chiese fondate durante l’amministrazione bizantina a Roma tra la seconda metà del vi e l’inizio dell’viii secolo, si veda M. Ghilardi, G. Pilara, La città di Roma nel disegno di riordinamento politico e amministrativo di Giustiniano, Roma 2012; M. Ghilardi, «Iam vacua ardet Roma. La città al tempo di Gregorio Magno», in M. Ghilardi, G. Pilara, Il tempo di Natale nella Roma di Gregorio Magno, Roma 2010, 1-105; R. Coates-Stephens, «Byzantine Building Patronage in post Reconquest Rome», in Ghilardi et al. (éds.), Les Cités 149-166; R. Coates-Stephens, «La commitenza edilizia a Roma dopo la riconquista», in A. Augenti (a cura di), Le città italiane tra la tarda antichità e l’alto medioevo, Firenze 2006, 299-316; Cecchelli, Materiali (S. Saba) 350-352; Claussen, Kirchen i, 269-226 (S. Cesareo); C. La Bella, San Saba, Roma 2003; R. Coates-Stephens, «San Saba and the Xenodochium de Via Nova», racr 83, 2007, 223-256; F. Astolfi, S. Maria in Domnica (Forma Urbis), Roma 2002; R. Coates-Stephens, «Sulla fondazione di S. Maria in Domnica», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 77-92; Cecchelli, Materiali (S. Teodoro) 367-370; Cecchelli, Materiali (S. Maria in Via Lata) 315-318; Cecchelli, Materiali (S. Maria in Aquiro) 305-207. Si veda anche Huelsen, Chiese, part. su S. Saba, 429-430, e su S. Maria de Cannapara, 321; C. Gennaccari, «Le chiese di S. Maria in Cannapara», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae Urbis 419-439. Sulla vivace attività edilizia degli inizi del basso Medioevo (vii-viii secolo) a Roma nell’ambito degli edifici di culto cristiani, ivi compreso, tra gli altri, l’ammodernamento della chiesa dei Ss. Pietro e Marcellino sulla via Merulana, fondata nel iv secolo, si veda inoltre R. Coates-Stephens, «Dark Age Architecture in Rome», pbsr 65, 1997, 177-232; F. Astolfi, La chiesa di S. Maria in Cosmedin e l’Ara massima di Ercole (Forma Urbis), Roma 2002; Claussen, Kirchen, part. S. Gregorio in Velabro, 15-58. S. Stephanus in Coelio Monte (S. Stefano Rotondo) Matthiae, Mosaici 181ss.; Krautheimer, Corpus iv, 191-242; R. Krautheimer, «Success and Failure in Late Antique Church Planning», in K. Weitzmann (ed.), Age of Spirituality. A Symposium, Princeton 1980, 121-139; C. Ceschi, S. Stefano Rotondo (Atti Pontificia Accademia Romana di Archeologia, iii, Memorie, xv), Roma 1982; S. Storz, «S. Stefano Rotondo in Rom. Untersuchungen am frühchristlichen Marmorfußboden im Kreuzarm Nordost», in Bericht 27. Tagung Koldewey Gesellsch. 37, 1992 (1994); H. Brandenburg, S. Storz, «Die frühchristliche Kirche S. Stefano Rotondo in Rom. Archäologische Bauuntersuchung i», Das Mün-

ster 46, 1993, 277-292, ii, ibid. 47, 1994, 33-46; S. Storz, «La tecnica edilizia romana e paleocristiana delle volte a tubi fittili», in C. Conforti, Lo specchio del cielo. Forme, significati, tecniche e funzioni della cupola, Milano 1997, 23-41; H. Brandenburg, S. Stefano Rotondo, Berlin 1998; H. Brandenburg, J. Pál (Hrsg.), Santo Stefano Rotondo. Archäologie, Bauforschung, Geschichte, Wiesbaden 2000; H. Brandenburg, «S. Stefano Rotondo in Roma: funzione urbanistica, tipologia architettonica, liturgia ed allestimento liturgico», Papers Netherlands Institute Rome 59, 2000 (2001), 27-54; Id., «S. Stefano Rotondo», in Ensoli, La Rocca, Aurea Roma 2000, 200-203; Id., «S. Stefano Rotondo», in Vendittelli, Paroli, Roma i, 2001; Cecchelli, Materiali 336-338; M. Andaloro, S. Romano, «L’immagine nell’abside», in Andaloro, Romano, Arte e iconografia a Roma 80; Id., «S. Stefano Rotondo», in Vendittelli, Paroli, Roma ii, 2004, 480-505; Andaloro, Atlante i, 319-324; H. Brandenburg, «Magazinierte Baudekoration und ihre Verwendung in der spätantiken Architektur Roms im 4. und 5. Jh.», Boreas 30-31, 2007-2008, 183-184; H. Brandenburg, Sanctus Stephanus in Caelio Monte. Santo Stefano Rotondo, Rom, Regensburg 2010 (anche in ed. inglese, italiana, francese); Id., «Die Eroberung Roms durch Alarich im Jahre 410», in Di Berardino, Pilara, Spera, Roma e il sacco del 410 270-271. Ss. Philippus et iacobus (Ss. Apostoli) Krautheimer, Corpus i, 78-83; Armellini, Cecchelli 309-312; H. Geertman, «Forze centrifughe e centripete nella Roma cristiana», Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 59, 1986-1987, 63-91; C. Cecchelli, «Ss. Philippus et Iacobus, basilica (Ss. Apostoli)», ltur iv, 1999, 84-86; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 359379; Claussen, Kirchen i, 110-120. S. Bibiana Krautheimer, Corpus i, 94; Armellini, Cecchelli ii, 992ss. 1268; Malmström, Colonnades 40ss.; S. Vasco Rocca, S. Bibiana, Roma 1983; G. de Spirito, «S. Bibiana», ltur i, 1993, 194-195; Guidobaldi, «Il Tempio di Minerva Medica. Settore privato del Sessorium costantiniano», racr 74, 1998, 510-515; F. Guidobaldi, «Sessorium», ltur iv, 1999, 308; M. Costambeys, «Burial Topography and the Power of the Church in Fifth- and Sixth-Century Rome», Papers Brit. School Rome 69, 2001, 175ss.; Cecchelli, Materiali 223-224; Claussen, Kirchen i, 179-185. Titulus sanctae Balbinae (S. Balbina) Krautheimer, Corpus i, 84-93; Armellini, Cecchelli 724-726; F. Guidobaldi, «L’edilizia unifamiliare nella Roma tardoantica», in Giardina, Società romana 165237, part. 181s.; S. Episcopo, «S. Balbina, titulus», ltur i, 1993, 135-136; F. Guidobaldi, «L’organizazione dei tituli nello spazio urbano», in L. Pani Ermini (a cura di), Christiana loca, Roma 2000, 123, 129, part. 127; Cecchelli, Materiali 217-222; H. Kammerer-Grothaus, «Die zerstörte Nekropole “Via Imperiale” und die Mosaiken der Kirche S. Bibiana in Rom», Bull. Ant. Beschaving 77, 2002, 113-150; C. Bellanca, Antonio Muñoz. La politica di tutela dei monumenti di Roma, Roma 2002, 122ss.; R. Flaminio, «Testimonianze altomedievali a S. Balbina», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 473-501; Claussen, Kirchen i, 121-131; Brandenburg, Prachtentfaltung 71; F. Guidobaldi, «Una domus tardoantica e la sua trasformazione in chiesa», in Res bene gestae. Ricerche di storia urbana su Roma antica in onore di Eva Margarita Steinby, Roma 2007, 55-78; Diefenbach, Römische Erinnrungsräume 333 e passim; C. Machado, «Between Memory and Oblivion. The End of the Roman domus», in SteinHölleskamp, Hölleskamp, Erinnerungsorte 111-138. S. Andreas Cata Barbara (S. Andrea Cata Barbara) Th. Ashby, G. Lugli, «La basilica di Giunio Basso sull’Esquilino», Riv. Archeol. Crist. 9, 1932, 227-228;

Krautheimer, Corpus i, 64-65; R. Enking, S. Andrea Cata Barbara e S. Antonio Abbate sull’Esquilino, Roma 1964; Matthiae, Mosaici 131ss.; M. Cecchelli, «S. Andreas, S. Andreas Apostolus, S. Andreas cata Barbara; ecclesia, monasterium», ltur i, 1993, 39; M. Sapelli, in Ensoli, La Rocca, Aurea Roma 534-536, nn. 174178 (intarsi); M. Andaloro, S. Romano, «L’immagine nell’abside», in Andaloro, Romano, Arte e iconografia a Roma 99, 102, 126, 151; D. Mazzoleni, «Osservazioni su alcune epigrafi basilicali romane», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 268-273; Brandenburg, Prachtentfaltung 70-71; Andaloro, Corpus i, 224-227; Diefenbach, Römische Eriinerunhgsräume 251 e passim; R. Coates-Stephens, «Sulla fondazione di S. Maria in Domnica», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 89, 125; M. Barbera (a cura di), Costantino 313 d.C., cat. esp. (Roma 2013), Milano 2013, 83-84. S. Agatha super Subura (S. Agatha Gothorum, S. Agata dei Goti) C. Hülsen, C. Cecchelli, G. Giovannoni, U. Monneret de Villard, A. Muñoz, S. Agata dei Goti, Roma 1924; Krautheimer, Corpus i, 2-12; Matthiae, Mosaici 131ss.; P.L. Mantovani, S. Agata dei Goti, Verona 1987; C. Cartocci, «S. Agatha Gothorum», ltur i, 1993, 24-25; M.C. Cartocci, «Alcune precisazioni sulla intitolazione a S. Agata della ecclesia Gothorum alla Suburra», in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, atti del XII congr. intern. studi altomedievali (Milano 1992), Spoleto 1993, 611-620; M. Andaloro, S. Romano, «L’immagine nell’abside», in Andaloro, Romano, Arte e iconografia a Roma 99-102; D. Mazzoleni, «Osservazioni su alcune epigrafi basilicali romane», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 273276; Cecchelli, Materiali 205-206; Claussen, Kirchen i, 39-45; Andaloro, Atlante i, 165-166; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 251 e note 128-129. S. Iohannis ad portam Latinam (S. Giovanni a porta Latina) Krautheimer, Corpus i, 304-319; W.N. Schumacher, «S. Giovanni in porta Latina», Röm. Quartalschr. 68, 1973, 104-124; G. Bertelli, A. Guiglia Guidobaldi et al., ria 23-24, 1976-1977, 105ss., 132ss.; Malmstrom, Colonnades 42; T.L. Heres, Paries 145-146; S. Serra, «S. Iohannis ad Portam Latinam», ltur iii, 1996, 104; Cecchelli, Materiali 264-268; Claussen, Kirchen iii, 133-186; Andaloro, Atlante i, 193-202. Ss. Cosma e Damiano Krautheimer, Corpus i, 137-143; Matthiae, Mosaici 135ss. 203-211; Wilpert, Schumacher 328s.; Matthiae, Andaloro, Mosaici 64s., 81s., 233s.; V. Tiberia, Il restauro del mosaico della basilica dei Santi Cosma e Damiano a Roma, Perugia 1991; S. Episcopo, «Ss. Cosma et Damianus, basilica», ltur i, 1993, 324325; I. Iamurri, Santi Cosma e Damiano (Roma Sacra, 3), Roma 1995; M. Andaloro, S. Romano, «L’immagine nell’abside», in Andaloro, Romano, Arte e iconografia a Roma 97ss.; D. Palombo, «Compitum acilium», Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 70, 1997-1998, 115-135; F. Coarelli, «Pax, Templum», ltur iv, 1999, 67-70; R. Santangeli Valenzani, «Pax, Templum», ltur v, 1999, 285; S. Rizzo, R. Santangeli Valenziani, «Il templum Pacis», Forma urbis iv, 11, 199, 16ss.; Köb, Rom 305ss. (templum Pacis); M. Capponi, M. Ghilardi, «Scoperta nel templum Pacis di un’area sepolcrale probabilmente contemporaneo all fondazione dei Ss. Cosma e Damiano», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 733ss.; C. Barsanti, «Capitelli di manufattura costantinopolitana a Roma», ibid. 1475ss.; Claussen, Kirchen i, 360385; B. Brenk, «Zur Einführung des Kultes der Heiligen Kosmas und Damian in Rom», ThZ 62, 2006, 303-320; Brandenburg, Prachtentfaltung 72-73; B. Brenk, «Da Gallieno a Cosma e Damiano», in Brandenburg, Heid, Markschies, Salute 79-92; B. Brenk, «Kirche und Straße im Frühchristlichen Rom», in

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Le prime chiese di Roma Stein-Hölleskamp, Hölleskamp, Erinnerungsorte 172-178. S. Maria Antiqua W. Grüneisen, Sainte-Marie-Antique, Paris 1911; R. Delbrueck, «Der Südostbau am Forum Romanum», Jahrb. Deutsch. Archäol. Inst. 36, 1921, 8-33; E. Tea, Santa Maria Antiqua, Milano 1937; Krautheimer, Corpus ii, 249-274; P.J. Nordhagen, «The Earliest Decorations in S. Maria Antiqua», Acta Archaeol. Art. Hist. Pert. 1, 1962, 72ss.; P. Romanelli, P. Nordhagen, S. Maria Antiqua, Roma 1964; E. Kitzinger, Byzantine Art in the Making, London 1977, 113-126; H. Hurst, J. Osborne, D. Whitehouse, «S. Maria Antiqua. Problemi e proposte», in Roma, archeologia nel centro, i, Roma 1985, 93-96; J. Osborne, «The Atrium of S. Maria Antiqua, Rome», Papers Brit. School Rome 55, 1987, 186-223; M.G. Zanotti, «S. Maria Antiqua», ltur iii, 1996, 214-216; E. Bonardi, «S. Maria antiqua», Forma urbis iii, 1, 1998, 32ss.; A. Augenti, Il Palatino nel medioevo, Roma 1996; G. De Spirito, «S. Maria Antiqua», ltur v, 1999, 273s.; B. Brenk, «Kultgeschichte versus Stilgeschichte», in Uomo e spazio nell’alto medioevo (Settimane di studio dell’altomedioevo l), Spoleto 2003, 993ss.; A. Augenti, «Palatia. Il Palatino nel medioevo», in Ensoli, La Rocca, Aurea Roma 91-96; M. Andaloro, «Theotokos di S. Maria Nova», ibid. 660-661; Cecchelli, Materiali 302-304; J. Osborne (a cura di), Santa Maria Antiqua al Foro Romano. Cento anni dopo, Roma 2004; A. Guiglia Guidobaldi, «La decorazione marmorea dell’edificio di S. Maria Antiqua fra tarda antichità e alto medioevo», in Osborne, S. Maria Antiqua 49-65; M. Andaloro, «La parete palinsesto», ibid. 97-111; M. Schmitz, «S. Maria Antiqua», in Strunck, Meisterwerke 134-137; R. Coates-Stephens, «Sulla fondazione di S. Maria in Domnica», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 81; E. Celia, «Dal Foro pagano al Foro cristiano», in Strenna dei Romanisti 2013, Roma 2013, 151-167. Ss. Quirico e Giulitta Krautheimer, Corpus iv, 35-48; Heres, Paries 146; F.M. Tommasi, «Ss. Quricus et Iulitta, ecclesia», ltur v, 1999, 179-180; Brandenburg, Prachtentfaltung 71; Andaloro, Atlante i, 315-318; F. Guidobaldi, «Una domus tardoantica e la sua trasformazione in chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta», in Leone, Palombi, Walker, Res bene gestae 55-87. S. Adriano Krautheimer, Corpus i, 1ss.; A. Bartoli, Curia senatus, Roma 1963; A. Mancini, «La chiesa medioevale di S. Adriano nel Foro Romano», Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 40, 1967-1968, 191-245; S. Episcopo, «Il reimpiego di porte bronzee romane al Laterano», in Salomi, Porte di bronzo 43-54; Ead., «S. Hadrianus, ecclesia», ltur iii, 1996, 9-9; Claussen, Kirchen i, 1-38; Brandenburg, Prachtentfaltung 73; Celia, Dal Foro pagano al Foro cristiano 2013, 151-167. Si veda anche la bibliografia generale del capitolo ix. S. Maria ad Martyres (Pantheon) A. Grisar, «Il Pantheon in Roma e la sua dedicazione fatta da Bonifacio iv (608-615)», Civiltà Cattolica 10, 1900, 219ss.; K. De Fine Licht, The Rotunda in Rome: A Study of Hadrians Pantheon, Kopenhagen 1968; W.L. MacDonald, The Pantheon. Design, Meaning and Progeny, Cambridge, Mass. 1976, part. 104ss.; S. de Blaauw, «Das Pantheon als christlicher Tempel», Boreas 17, 1994, 13-26; S. Pasquali, Il Pantheon. Architettura e antiquaria nel Settecento a Roma, Modena 1996, part. sulla chiesa 24ss.; P. Virgili, «Strutture altomedievali sulla fronte del Pantheon», Rend. Pontif. Accad. Rom. Archeol. 70, 19971998, 197-207; A. Ziolkowski, «Pantheon», ltur iv, 1999, 54-61, part. 60s. per il significato e la funzione come aula imperiale; E. La Rocca, «Pantheon», ltur

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v, 1999, 280-283; B. Brenk, «Kultgeschichte versus Stilgeschichte», in Uomo e spazio nell’altomedioevo (Settimane di studio Spoleto, l), Spoleto 2003, 974988; Brandenburg, Prachtentfaltung 73; R. CoatesStephens, «Sulla fondazione di S. Maria in Domnica», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 2012, 82.

X. Chiese rurali e chiese cimiteriali nel suburbium del v-vii secolo A causa del grande numero di edifici di culto eretti nel periodo sopra le catacombe e lungo le arterie stradali romane, si può in questa sede proporre solo una selezione delle pubblicazioni: Ph. Pergola, Le catacombe romane. Storia e topografia, Roma 1997, 109-242; Ph. Pergola (a cura di), Alle origini della parrocchia rurale (iv-viii), atti della giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (Roma 1998), Città del Vaticano 1999, 445-485; V. Fiocchi Nicolai, «S. Cypriani ecclesia», ltur, Suburbium ii, 175-176; M. Bianchini, F. di Gennaro, M. Vitti, «Via Salaria, Basilica beati Archangeli in Septimo», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 625-643; D. De Francesco, «La basilica di S. Saturnino sulla Via Salaria Nuova», ibid. 611-624; M. Ricciardi, «Gli edifici di culto del sopraterra della catacomba di Abdon e Sennen sulla Via Portuense», ibid. 661-676; S. Serra, «S. Agathae basilica, coemeterium», ltur, Suburbium i, 30-31; S. Spera, «S. Hermetis coemeterium, basilica, monasterium», ltur, Suburbium iii, 61-65; A.M. Nieddu, «L’occupazione funeraria del suburbio dei secoli v e vi», in Pergola, Santangeli Valenzani, Volpe, Suburbium 545-506; D. Nuzzo, «S. Hippolyti basilica», ltur, Suburbium iii, 67-68; S. Serra, «Ianuarii (beati) ecclesia», ltur, Suburbium iii, 83-84; per le chiese e i cimiteri lungo le vie consolari (via Appia etc.) v. inoltre le singole voci in ltur, Suburbium i-v; V. Fiocchi Nicolai, «Riflessi topografici e monumentali del culto dei martiri nei santuari paleocristiani del territorio laziale», in Martyrium in Multidisciplinary Perspective: Memorial Louis Reekmans, Leuwen 1995, 197-232; L. Spera, «Hic constituit supra memoria martyrum missas celebrare. Interventi papali su tombe di martiri per la celebrazione ad corpus tra tarda antichità e alto medioevo», in L. Spera (a cura di), Martiri ed eucarestia nella civiltà cristiana, atti della giornata di studio (2005), Città del Vaticano 2007, 43-69; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristiani del Lazio, i, Città del Vaticano 1988, ii, Città del Vaticano 2009. S. Stefano sulla via Latina Krautheimer, Corpus iv, 241-253; V. Fiocchi Nicolai, Strutture funerarie; H. Brandenburg, «Die Entstehung ländlicher Pfarreien in den römischen Provinzen Germanien, Raetien und Noricum», in Alle origini della parrocchia rurale (iv-viii secolo), Città del Vaticano 1999, 49-51; R. Rea, «Il parco archeologico della via Latina», Forma urbis iv, 11, 1999, 4ss.; Brenk, Christianisierung 50-51; F. Montella, «Latina, via», ltur, Suburbium iii, 162-164; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 370, 399; G. Bartolozzi Casti, S. Stefani, «Basilica (via Latina)», ltur, Suburbium v, 106-109. S. Agatha in fundo Lardario M. Cecchelli, «Interventi edilizi di Papa Simmaco», in G. Nele, N. Spaccapelo (a cura di), Il papato di san Simmaco (498-514), atti del convegno internaz. di studi (Oristano), Cagliari 2000, 111-128; S. Serra, «S. Agathae basilica, coemeterium», ltur, Suburbium i, 30-31; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 477 e nota 264. S. Pancrazio Krautheimer, Corpus iii, 153-174; A. Trinci, «La basilica e la catacomba di S. Pancrazio», Forma urbis ii,

10, 1997, 16ss.; Fiocchi Nicolai, Strutture funerarie; M. Cecchelli, «Interventi edilizi di Papa Simmaco», in Nele, Spaccapelo (a cura di), 116s.; Cecchelli, Materiali 330-331; S. Serra, «Pancratii basilica, coemeterium, balneum, habitacula, porticus», ltur, Suburbium iv, 163-165; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 425 e passim.

Indice dei nomi e dei luoghi

I numeri in tondo si riferiscono alle pagine del testo e della Documentazione iconografica, quelli in corsivo al numero delle didascalie lungo il testo.

Ss. Nereo e Achilleo (catacomba di Domitilla) Krautheimer, Corpus iii, 135-152; U. Fasola, La catacomba di Domitilla e la basilica dei martiri Nereo ed Achilleo, Città del Vaticano 1980; F. Tolotti, «Contributo alla datazione della basilica dei Ss. Nereo ed Achilleo sulla via Ardeatina», racr 61, 1985, 374-378; Ph. Pergola, «Nereus et Achilleus martyres. L’intervention de Damase à Domitille», in Saecularia Damasiana, Città del Vaticano 1986, 203-224; F. Guidobaldi, «San Clemente», in San Clemente Miscellany, iv/1, Roma 1992, 167ss.; Ph. Pergola, «Domitillae coemeterium», ltur, Suburbium ii, 203-207; G. De Spirito, «Ss. Nereus et Achylleus, titulus», ltur iii, 1996, 342344; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 359360, 486; G. Pilara, M. Ghilardi, La città di Roma nel Pontificato di Damaso (366-384), Roma 2009, 161-162; N. Zimmermann, «Riletture di pitture a Domitilla; tracce del santuario damasiano dei Ss. Nereo ed Achilleo?», in Brandenburg, Guidobaldi, Scavi e scoperte recenti 189-212. S. Lorenzo fuori le mura A. Muñoz, La basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1944; Krautheimer, Corpus ii, 1-144; Matthiae, Mosaici 149ss.; G. Matthiae, S. Lorenzo fuori le mura, Roma 1966, 1-146; Oakeshott, Mosaics 158; Malmstrom, Colonnades 37-45, part. 37ss.; D. Israel, The Sixth-Century (Pelagian) Building of San Lorenzo Fuori le Mura at Rome, Bryn Mawr 1984; D. Mondini, «S. Lorenzo fuori le mura in Rom. Der Bau und seine liturgische Ausstattung im 13. Jahrhundert», Georges-Bloch-Jahrbuch Kunstgesch. Seminar Universität Zürich 2, 1995, 1329; S. Serra, «San Lorenzo fuori le Mura», in Pani Ermini, Visita 101-112; S. Ciranna, Spolia e caratteristiche del reimpiego nella basilica di S. Lorenzo fuori le mura a Roma, Roma 2000; A. Taddei, «La decorazione dell’intradosso dell’arco trionfale della basilica di S. Lorenzo fuori le mura», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 1762-1788; C. Barsanti, «Capitelli di manifattura costantinopolitana a Roma», ibid. 1472ss.; S. Ciranna, «La lettura architettonica degli spolia nelle chiese di Roma», ibid. 859-874; Cecchelli, Materiali 282-287; S. Serra, «S. Laurentii basilica, balneum, praetorium, monasterium, hospitia, bibliothecae», ltur, Suburbium iii, 203-211; Andaloro, Atlante i, 77-94; Diefenbach, Römische Erinnerungsräume 411-413 e passim; Claussen, Kirchen iii, 317-528. S. Agnese fuori le mura Krautheimer, Corpus i, 14-38; Armellini, Cecchelli 1063ss.; Matthiae, Mosaici 169ss.; A.P. Frutaz, Il complesso monumentale di Sant’Agnese, Città del Vaticano 1969 (19722); Heres, Paries 152-154; M. Andaloro, S. Romano, «L’immagine nell’abside», in Andaloro, Romano, Arte e iconografia a Roma 31, 103, 181ss.; S. Ciranna, Spolia e caratteristiche del reimpiego nella basilica di S. Lorenzo fuori le mura a Roma, Roma 2000 (tratta anche di S. Agnese); P.M. Barbini, «Agnetis (S.), basilica», ltur, Suburbium i, 33-36, part. 35-36; J. Wollasch, «Frühe Bildzeugnisse für das Nachleben Papst Gregors des Großen in Rom?», Frühmittelalterl. Studien 36, 2002, 160-170, part. 163ss.; S. Ciranna, «La lettura architettonica degli spolia nelle chiese di Roma», in Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, Ecclesiae urbis 859-874; J.P. Nordhagen, «Early Medieval Church Decoration in Rome», ibid. 1760ss.; Cecchelli, Materiali 210-212; Claussen, Kirchen i, 51-65; Andaloro, Atlante i, 67-76.

Abacuc 193, 329 Abramo 207, 130 Abthugni, Tunisia 11 Achilleo, santo 145, 258-260 Adelfio, Clodio Celsino 140 Adriano, imperatore 35, 106, 107, 256, 274 Adriano, santo 254 Adriano I, papa 22, 59, 115, 117, 118, 119, 143, 151, 176, 177, 180, 212, 238, 239, 253, 254, 266; 81 Africa 11, 18, 32, 104, 177, 215, 258; v. anche Numidia Afrodisia, Caria (Asia Minore) 31 Agata, santa 184, 258 Agnese, santa 72, 92, 94, 213, 238, 260, 266, 273, 346, 347; 190 Agostino, vescovo di Ippona, santo 104, 139, 173, 174, 216, 258 Agrippa, Marco Vipsanio, genero di Augusto 256 Aix-en-Provence 48 Alarico, re dei Visigoti 140, 146, 173, 175, 176, 189, 195, 196, 233, 276, 339 Albano Laziale/Albanum 114 Albenga 48 Alberti, Leon Battista 96, 233 Alessandro Severo, imperatore 174, 211 Alessandro vii, papa 10 Alessio, santo 96 Algeria 32, 287 Amalasunta, regina degli Ostrogoti 242 Ambrogio, vescovo di Milano, santo 47, 48, 71, 72, 104, 112, 117, 122, 139, 163, 165, 217, 254, 257 Ammiano Marcellino, storico pagano 72, 100, 120, 217 anargyroi (santi medici), v. Cosma e Damiano, santi Anastasia, santa 140 Anastasio i, papa, santo 150, 162 Anastasio iv, papa 56 Andrea, apostolo, santo 237 Anici (Ànicii), Anicia, gens 104, 165, 216, 257 Anna, santa 253 Annibaliano, re del Ponto e di Cappadocia, genero di Costantino 72, 90 Antonio, imperatore d’Occidente 174 Antiochia 13, 14, 34, 40, 72, 84, 274 ottagono d’oro 40, 84 Aquileia 174 Arcadio, imperatore 106, 107, 121, 196, 275 Arnobio di Sicca 11 Arnolfo di Cambio 184 Asia Minore 13, 18, 40 Aspendos, Panfilia 31 Atanasio, vescovo di Alessandria, santo 71, 100 Atene 31 Atica, moglie di Felice Magno 143 Augusta Raurica, v. Kaiseraugst, Svizzera Augusto, imperatore 31, 94, 116, 119, 211, 233, 242, 254, 256 Aureliano, imperatore 14, 16, 29, 36, 37, 119, 274 Bacco 217, 293 Balbina, santa 235 Balcani 140 Barbara, santa 253 Barberini, famiglia 43 Baronio, Cesare, cardinale 145 Beatrice, santa 115 Benedetto xiv, papa 61 Beno di Rapiza 161 Berlino 307 Bernini, Gian Lorenzo 43, 98, 101, 234, 306, 337 Betlemme 18, 52, 103, 104, 191, 206, 263, 327 Bisanzio 58; v. anche Costantinopoli

Bitinia 72 Bologna 163 Bonifacio I, papa, santo 175 Bonifacio IV, papa, santo 222, 254, 256 Borghese, Scipione, cardinale 65 Borromini, Francesco 22, 28, 32, 50; 3, 9 Bosforo 58 Bramante, Donato 96 Buonarroti, Michelangelo 98, 211 Caifa 193 Caio, papa, santo, v. Gaio Callisto I, papa, santo 69, 93, 119, 162, 211, 306 Callisto n, papa 306 Cappadocia 72 Caria, Asia Minore 31 Carino, Marco Aurelio, imperatore 40, 254 Carlo Magno 60, 104, 180, 213, 238 Carrara 157 Cassia, patrizia romana 142 Castore 242, 251 Castorio, santo 177 Cavallini, Pietro 130, 184 Cecilia, santa 180, 181 Ceciliano, vescovo di Cartagine 16 Cefalonia 38 Ceioni, famiglia 139 Celestino i, papa, santo 112, 115, 173, 184, 196 Celestino iii, papa 239 Celestio, monaco laico 156 Cilone, Lucio Fabio (L. Fabius Cilo), senatore 235 Cimitile (Nola) 278 Cirta (Costantina), Numidia (Algeria) 11, 14 Cirillo, vescovo di Gerusalemme, santo 112 Città del Vaticano, v. Vaticano, Città del Claudio, santo 177 Claudio, imperatore 166, 217, 333 Clemente di Roma, papa, santo 98, 151, 156, 161 Clemente viii, papa 26, 306 Clodio Ermete 292 Cnodomaro, re degli Alemanni 217 Colonia, St. Maria im Kapitol 193 Commodo, imperatore 243 Corinto 48 Cornelio, papa, santo 68, 116 Cosma, santo 242-244, 254; 168, 173 Cosmati, famiglia di marmorari 174, 177 Costante i, figlio di Costantino 65, 70, 102 Costantina Augusta, imperatrice, figlia di Costantino 64, 71-95, 272, 293, 296-299, 346; 37-39, 41, 42, 52 Costantino i il Grande, imperatore 12, 15, 16-115, 116, 117, 121, 122, 133, 139, 143, 177, 215, 217, 222, 233, 266, 274-276, 278; 2, 37, 3839, 42 Costantino ii, figlio di Costantino 65 Costantinopoli 18, 37, 58, 104, 112, 121, 124, 140, 161, 210, 215, 217, 222, 239, 242, 244, 253, 258, basilica dei Ss. Apostoli 58, 217 Costanzo ii, figlio di Costantino, imperatore 65, 72, 112, 117, 242 Costanzo Cloro, imperatore 142 Costanzo Gallo, cesare 72 Crisogono, santo 174 Cristo, v. Gesù Cristo Croazia 52 Cusano, Nicola, cardinale 211 Dalmazia 52, 184 Damaso l, papa, santo 56, 59, 66, 68, 69, 72, 92, 106, 107, 115, 116, 118, 119, 120, 121, 140, 142, 143, 145, 150, 168, 172, 234, 258, 259, 276, 277, 304 Damiano, santo 242-244, 254; 168, 172

Daniele, profeta 193, 329 Decio, imperatore 12, 68, 189 Demetria Anicia 216, 257, 258 Demetrio, santo 253 Diocleziano, imperatore Dionisio, presbitero 177 Dioscuri, v. Castore e Polluce Dokimeion, Anatolia 101 Domno (Domnio), santo 52; 26 Dosio, Giovanni Antonio 306 Dracilliano, governatore della Palestina 18, 114 Dura Europos, Siria 13, 14, 282 Duflos, F. F. 293 Edom 128 Efeso 31, 101, 195, 208, 209 Eginardo 60 Egitto 39, 71, 193, 206 Elagabalo, imperatore 37, 108 Elena Augusta, madre di Costantino imperatore, santa 54, 56, 58, 84, 85, 90, 94, 95, 108, 112, 289, 290; 27, 28 Elena, sorella di Costantina 72, 73; 42 Elia, profeta 145, 193, 195, 329 Elvira, Spagna 13, 102 Equizio, presbitero 117 Ercole 16 Erode Antipa, re di Giudea 206 Eudocia, imperatrice, moglie di Teodosio ii 208, 210 Eudossia, imperatrice, moglie Valentiniano iii 208, 210, 215, 331 Eugenio ii, papa 191 Eumene ii, re di Pergamo 31 Eusebio di Cesarea, santo 12, 14, 18, 20, 26, 30, 34, 58, 65, 94, 98, 116, 132, 193, 275 Eusebio, papa, santo 211, 212 Eutichio, esarca bizantino 105 Eutichio, presbitero 177 Fauno 217 Fausta, Flavia Maxima, moglie di Costantino 20, 71 Faustino, santo 115 Felice, martire, santo 115 Felice ii, papa, santo 115 Felice iii, papa, santo 145, 222, 223, 242, 244; 168 Felice Magno, praefectus pretorio Galliarum 143 Feliciano, santo 231, 336; 156 Filippo, apostolo, santo 276 Filippo, presbitero 208, 209 Firenze 48, 306, 333 Flavio Claudio Giuliano, imperatore 72, 217 Flavio Felice, magister militum 26 Foca, imperatore bizantino 222, 254 Fontana, Carlo 48, 211 Fontana, Domenico 37, 97 Francisco de Hollanda 299 Fréjus 48 Fuga, Ferdinando 197 Gabriele, arcangelo 193 Gagliardi, Filippo 22; 4, 56 Galeno 243 Galerio, imperatore 16 Gaio (Caio), papa, santo 177 Gaio, presbitero 96, 98, 107, 133 Galilei, Alessandro 22 Galla Placidia, imperatrice 104, 112, 130-132, 143, 174, 208, 213, 215, 216, 222, 317; 71, 76 Gallia 143, 174 Gallieno, Publio Licinio Egnazio, imperatore 12, 120, 233 Ganimede 70 Gelasio, papa, santo 142 Generosa, santa 115, 234

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Le prime chiese di Roma Genesio, santo 93 Genserico, re dei Vandali e degli Alani 50, 174, 215, 216, 276 Gerolamo, santo 96, 98, 133, 156, 173 Geronzio, biografo di Melania 139 Gerusalemme 18, 26, 30, 52, 84, 103, 104, 108, 112, 114, 122, 191, 206, 216, 231, 242, 263, 274, 327 Santo Sepolcro e Anastasis 18, 26, 84, 103, 112, 122, 217 Gerusalemme celeste 91, 151, 173, 193 Golgota 112, 151 Tempio 242 Gervasio, santo 163 Gesù Cristo 12, 16, 18, 26, 31, 34, 39, 43, 47, 48, 50, 52, 59, 70, 72, 73, 84, 90, 91, 94, 98, 100, 102, 103, 106, 107, 111, 112, 114, 115, 131, 134, 142, 145, 151, 161, 162, 173, 180, 181, 191, 193, 195, 204-206, 213, 217, 231, 234, 236-238, 244, 257, 263, 274, 276-278, 317, 327, 329, 340; 6, 26, 50-51, 83-84, 123, 126, 141, 156, 168, 169, 182 Giacomo il Minore, apostolo, santo 237, 276 Giona 193; 55 Giordano, fiume 39, 244; 134 Giosuè 133, 136 Giovanni, martire sotto Giuliano, santo 168, 169 Giovanni Battista, santo 39, 50, 52, 107, 162, 168, 184; 26 Giovanni Evangelista, santo 50, 52, 59, 107, 145, 151, 239; 24-26 Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli, santo 258 Giovanni di Antiochia, storico bizantino 174 Giovanni i, papa, santo 223 Giovanni ii, papa 161,244; 89-92 Giovanni iv, papa 50; 26 Giovanni vii, papa 253 Giovanni viii, papa 138 Giove 16, 36, 64, 70 Giovino, presbitero 177 Giulio i, papa, santo 115, 120 Giulio ii, papa 96, 211 Giunio Basso, praefectus urbi 104, 236, 237 Giuseppe di Nazaret, santo 206 Giustiniano i, imperatore bizantino 216 Giustino ii, imperatore bizantino 253 Gordiani, famiglia imperiale 60, 64, 108; 31 Gorgonio di Roma, santo 54 Grado 48 Graziano, imperatore 106 Grecia 38, 230 Gregorio I Magno, papa, santo 104, 134, 162, 165, 208, 237, 238, 257, 259, 273, 280, 306, 314; 189-190 Gregorio ii, papa, santo 111 Gregorio iii, papa, santo 104, 145, 175 Gregorio iv, papa 118, 119 Gregorio di Tours, santo 259 Grimaldi, Jacopo 102 Gutensohn, Johann Gottfried 330 Heemskerck, Marten van 307 Ila 237 Ilaro (Ilario), papa, santo 43, 48, 50, 93, 140, 142, 289; 23 Ilicio, presbitero 145 Illiria/Illirico, v. Dalmazia Innocenzo i, papa, santo 145, 150, 163, 166 Innocenzo ii, papa 119, 233 Ippolito di Roma, santo 91, 93, 212, 263; 182 Isola Sacra 98, 167 Italia 18,31,43, 103, 111, 163 Kaiseraugst, Svizzera (Augusta Raurica) 32 Knapp, Johann Michael 332, 333 Lampadio, Gaio Ceionio Rufio Volusiano, pretore 100 Laterani, famiglia 22 Lattanzio, Lucio Cecilio Firmiano 13, 14 Leone i Magno, papa, santo 107, 130-132, 140, 156, 166, 174, 208, 213, 215, 216, 222, 257, 314-316; 68 Leone ii, papa 234 Leone iii, papa, santo 140, 142, 143, 145, 163,

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Indice dei nomi e dei luoghi 180, 253, 258 Leone iv, papa, santo 107, 161, 177, 253, 258 Leone x, papa 43 Leone xiii, papa 26, 50 Leopardo/Leopardus, chierico di S. Pudenziana 145, 163 Leptis Magna, Libia 32, 128, 287 Liberio, papa 92, 100, 115, 119, 120, 143 Libia 128, 287 Libio Severo, imperatore 222 Licinio, imperatore, coreggente di Costantino 14, 16, 20, 58, 98, 106, 233 Ligorio, Pirro 243, 244 Lino, papa, santo 72 Lione 244 Lipper, Clemens 333 Liviano, diacono 163 Lorenzo, santo 92-94, 115, 119, 138, 142, 172, 259, 260, 263, 266, 345; 182 Lucina 119 Lupercus 142 Macario, vescovo di Gerusalemme, santo 18, 20, 26, 112, 114, 122 Maccabei, fratelli 253; 175 Macrobio Longiniano, Flavio 140 Maderno, Carlo 96, 180, 306 Madrid 299 Maggiorano, imperatore 215, 222 Marcellino, santo 56, 59, 94, 174 Marco, papa, santo 93, 94, 115, 118 Marco Aurelio, imperatore 205, 243 Maria, moglie di Onorio 104 Maria Vergine 52, 111, 119, 161, 162, 180, 184, 195, 205, 206, 253, 254, 256; 26, 95, 126, 179 Marmara, mare di 124 Martino di Tours, santo 117 Martino i, papa, santo 253 Martino v, papa 233 Massenzio, imperatore 16, 22, 23, 29, 31, 32, 34, 35, 37, 40, 58, 60, 64, 65, 70, 71, 77, 94, 96, 108, 274, 278 Massimo, presbitero 145 Mecenate, Gaio Cilnio 233 Melania, santa 139, 166 Melchisedec 206,207; 129 Mengs, Anton Raphael 212 Mercurio, presbitero, v. Giovanni ii papa Metello Macedonico, Quinto Cecilio 36 Milano 163 S. Ambrogio 48, 193 S. Lorenzo 43, 223; sacello di S. Aquilino 207 S. Nazaro 217 Mileto, Asia Minore, tempio di Serapide 15 Minucio Felice 11 Mithra 153, 217 Mosè 102, 131, 145, 193, 207, 211, 329; 127, 131, 133 Napoleone iii 237 Napoli 92, 207 battistero della cattedrale 207 S. Gennaro 92 S. Giorgio Maggiore 92 S. Giovanni Maggiore 92 Nereo, santo 145, 258, 259 Nerone, imperatore 96, 98, 107, 301 Niccolò i, papa, santo 71 Niccolò iv, papa 22, 197 Niccolò v, papa 96, 233 Nicomedia 13-15 Nicostrato, santo 177 Nilo, fiume 206 Nilo, vescovo di Ancyra, santo 102 Nola 278 Numidia 14, 23, 254, 256 Onorio, imperatore 104, 106, 130, 145, 175 Onorio I, papa 71, 177, 254, 259, 266, 267, 273; 187, 189-190 Onorio iii, papa 130, 162, 234; 71, 181 Optato (Ottato) di Milevi, santo 20 Origene 12 Ormisda, papa, santo 157 Ostia 18, 37, 98, 114, 138, 167 Palestina 18, 274, 275 Pammachio, senatore 104, 139, 165, 166, 173,

258 Pancrazio, santo 258-260, 267 Pannonia 66, 177 Panvinio, Onofrio 43, 50, 145 Paolina, moglie di Pammachio 104, 166 Paolino, vescovo di Nola, santo 34, 100, 102-104, 106, 117, 139, 193, 203, 207, 278 Paolo, martire sotto Giuliano, santo 168, 169 Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia 13, 14 Paolo di Tarso, santo 11, 50, 52, 69, 70, 71, 91, 92, 100, 106-108, 121, 122, 130, 131, 133, 134, 145, 151, 168, 181, 190, 191, 193, 205, 208, 209, 213, 237, 238, 244, 263, 276, 292, 311317, 326, 329; 26, 50, 77, 82, 141,170, 182 Paolo i, papa, santo 253 Paolo ii, papa 118 Parma 48 Pascasio, presbitero 211 Pasquale i, papa, santo 128, 181, 212; 141 Pasquale ii, papa 177 Patmos 239 Pelagio, monaco 156 Pelagio i, papa 118, 233 Pelagio ii, papa 92, 257, 259, 260, 263, 266; 181182 Pergamo 31 Peruzzi, Baldassarre 223, 333, 341 Petronilla, santa 104 Pietro, apostolo, santo 50, 52, 58, 59, 68, 69-71, 91, 96, 98, 100-104, 106, 107, 118, 121, 131, 134, 138, 145, 151, 181, 191, 193, 205, 208213, 237, 238, 244, 253, 263, 276, 292, 302, 304-306, 317, 326, 329; 26, 50-51, 76, 141, 171, 182 Pietro, presbitero 184 Pietro (exorcista), santo 54-60 Pilato, Ponzio 193, 329 Pinelli, Bartolomeo 313 Piniano, Valerio 139, 166 Pipino iii il Breve, re dei Franchi 104 Piranesi, Giovanni Battista 290, 312 Pisa 48 Platone, padre di papa Giovanni vii 253 Polluce 242, 251 Pomarancio, Niccolò Circignani, detto 233 Ponto 72 Porto/Portus 98, 115, 128, 165, 180, 197 Popilius Heracla, C. (Popilio Eracla) 96, 97, 303 Porfirio, filosofo 12, 13 Pompei 31 Prassede, santa 213; 141 Preneste/Praeneste 208 Primo, santo 231, 336; 156-157 Proba, Faltonia Betizia 140 Proconneso, mar di Marmara 124, 126, 133,161, 189, 197, 211, 227, 230, 272, 279 Procopio di Cesarea 107, 167, 242 Protasio, santo 163 Prudenzio, Clemente Aurelio 26, 72, 91, 93, 103, 106, 121, 129-131, 133, 142, 193, 204, 278 Pudenziana, santa 213; 141 Qirqbize, Siria 14, 282 Quintus Servilius Pudens/Quinto Servilio Pudente 147 Quirino, vescovo di Sciscia, santo 66 Rainaldi, Carlo 197 Ravenna 215, 239, 244, 254 battistero della cattedrale 43, 48, 223 mausoleo di Galla Placidia 143 S. Vitale 43, 223 Re Magi 206, 329 Remo 142 Riario, Raffaele, cardinale 142 Ricimero, Flavio, generale 174, 215, 222, 237 Rimini 216 Roberto il Guiscardo 161, 162 ROMA acquedotto di Alessandro Severo (Trofei di Mario) 211 acquedotto di Traiano/aqua Traiana 115, 181 ad Catacumbas (via Appia) 68, 69 ad duas lauros 54, 59, 61 alta semita 177 Antiquarium del Foro 251

Ara Pacis Augustae 119 arco di Costantino 35 arco di Gallieno 120 arco di Giano (Ianus Quadrifrons) 35 Argiletum (colle Oppio) 208 amphiteatrum Castrense 37, 108, 309; 58 atrium Vestae 176 Aventino, colle 173, 184, 185, 214 Piccolo Aventino 234, 276 basilica Aemilia (foro romano) 31, 287 basilica Iulia (foro romano) 31; 176 basilica Ulpia (foro di Traiano) 22, 32 basilica di Giunio Basso (Esquilino) 278 basilica di Massenzio 22, 23, 31, 32, 34, 111, 242, 243, 277, 278, 287, 341 basilica ipogea di porta Maggiore 278 Borgo 106, 107, 307 Campidoglio, colle 118, 176, 254 Campo Marzio 29, 36, 37, 106, 118, 143, 176, 254, 254, 274, 275 Castel S. Angelo (mausoleo di Adriano) 106, 107 caput Africae (Celio) 177 castra nova equitum singularium 22, 38, 283 Catacombe e cimiteri (v. anche rispettive chiese e basiliche) Balbina 235 Calepodio 115 Domitilla, v. Ss. Nereo e Achilleo Generosa 115, 234, 348 Priscilla 115 S. Alessandro 231 S. Callisto 162 S. Ippolito 93, 212, 263 Ss. Marcellino e Pietro, v. Ss. Marcellino e Pietro Celio, colle 37, 108, 165, 177, 195, 215, 216, 231 Centrale Montemartini 233 Colosseo 23, 35, 153, 215 Chiese e basiliche basilica a deambulatorio della via Ardeatina 65, 91, 93, 94, 115, 143, 300, 301, 348 basilica anonima della via Ardeatina 348 basilica Apostolorum, v. S. Sebastiano basilica di Tor de’ Schiavi 60, 64, 65, 93-95, 291, 301, 348; 29-31 basilica lulia/lulii iuxta forum Traiani 118, 119, 120, 156, 173, 176, 233, 275, 276, 348 basilica lulii 348 basilica Liberii 120, 174, 195, 211 S. Adriano 254, 343, 348 S. Agata dei Goti 237, 238, 338, 340, 348 S. Agatha in fundo Lardario 258 S. Agnese basilica a deambulatorio 40, 61, 71-77, 85, 91-95, 112, 293-299, 301, 348; 37-41 fuori le mura 216, 231, 260, 266-273, 276, 278280, 346-348; 187-193 S. Anastasia 117, 140-143, 275, 276, 318, 339. 348; 78 S. Andrea Cata Barbara 236, 237, 244, 251, 276, 277, 338, 348; 160-161 S. Balbina 234-236, 237, 253, 254, 276, 277, 338, 348; 158-159 S. Bibiana 120, 211, 233-234, 237, 244, 251, 337, 348 S. Cecilia in Trastevere 180-184, 233, 325, 348; 111-113 S. Clemente 151-162, 170, 176, 189, 191, 204, 209, 244, 275, 277, 279, 280, 320, 321, 339, 348; 85-96 S. Costanza (mausoleo di Costantina Augusta) 40, 64, 71, 76-91, 102, 151, 217, 238, 293299; 37-39, 41-53 S. Crisogono 174-175, 348 S. Croce in Gerusalemme 108-113, 233, 275, 308, 309, 348; 58-61 S. Ermete 348 S. Eusebio 211-212, 234, 348 S. Felice 103, 115 S. Francesca Romana, v. S. Maria Antiqua S. Generosa 115, 177, 275, 348 S. Giovanni a porta Latina 238-242, 254, 340, 348; 162-166 S. Giovanni in Laterano, cattedrale 20-37, 38, 39, 46, 54, 58, 59, 65, 76, 91, 95, 96, 100, 101, 103, 107, 108, 111, 112, 114, 116- 118, 128, 140, 173, 174, 175, 177, 202, 217, 222, 227,

254, 274, 275, 277-280, 283-287, 348; 3-10 battistero 37-53, 77, 107, 162, 173, 203, 283, 288, 289; 11-26 Patriarchium 37 Scala Santa 37 S. Giovanni in Oleo 239 S. Lorenzo fuori le mura 91-94, 120, 216, 238, 260-266, 267, 276, 279, 280, 300, 301, 344, 345, 348; 180-186 S. Lorenzo in Damaso 116, 118, 142-143, 153, 254, 275, 278, 318, 348 S. Lorenzo in Lucina 119-120, 254, 275, 310, 348 S. Lucia in Orphea 117 S. Marcello 175-176, 254, 324,348 S. Marco 118, 254, 275, 310, 348 S. Maria ad Martyres, v. Pantheon S. Maria Antiqua (S. Francesca Romana) 216, 251-253, 342, 348; 175-177 S. Maria Egiziaca (già tempio di Portuno) 256 S. Maria in Aquiro 216 S. Maria in Cosmedin 216 S. Maria in Domnica 128, 216 S. Maria in Trastevere 118-119, 175, 348 S. Maria in via Lata 216 S. Maria Maggiore 119, 120, 140, 173, 174, 190, 191, 195-207, 211, 212, 215, 222, 231, 235, 237, 266, 278-280, 330, 339, 348; 124136 S. Maria Nova, v. S. Maria Antiqua S. Martino ai Monti 22, 35, 105, 117-118, 348; 4, 56 S. Pancrazio 257, 258-259, 260, 267, 276, 280, 343, 348 S. Paolo fuori le mura 22, 92, 106-108, 121138, 145, 162, 164, 170, 173, 174, 189, 196, 202-204, 206-208, 210, 212-215, 222, 230, 257, 260, 275-277, 279, 280, 311-317, 339, 348; 1, 57, 62-77 tomba dell’apostolo Paolo 69, 70, 92, 96, 100, 107, 108, 121 S. Pietro in Vaticano, v. Vaticano, Città del S. Pietro in Vincoli 70, 207-211, 215, 276, 277, 279, 280, 331, 332, 339, 348; 137-139 S. Prassede 146, 212-214, 259, 332, 348; 140141 S. Prisca 214, 348 S. Pudenziana 90, 91, 145-151, 155, 162, 163, 212, 213, 243, 279, 319, 320, 339, 348; 80-84 S. Saba 216, 348 S. Sabina 184-193, 197, 215, 230, 235, 277279, 326-329, 339, 348; 114-123 S. Salvatore, v. S. Giovanni in Laterano S. Sebastiano/basilica Apostolorum 64-68, 69, 93, 291, 292, 301, 348; 32-36 S. Severino 237 S. Silvestro 163, 177, 275, 348 S. Sisto Vecchio 95, 162-164, 170, 219, 322, 339, 348 S. Stefano Rotondo (in Coelio Monte) 40, 43, 47, 52, 174, 188, 189, 215, 216-233, 239, 244, 266, 272, 276, 278-280, 293, 333-337, 339, 348; 142-157 S. Stefano sulla via Latina 257-258, 343, 348 S. Susanna 177-180, 213, 276, 348 S. Teodoro 216, 348 S. Valentino 348 S. Vitale 43, 163-165, 170, 189, 209, 223,276, 279, 323, 339, 348; 97 S. Vito 120 S. Vitus in macello (Liviae) 120 Ss. Apostoli (Ss. Philippus et Jacobus) 233 Ss. Cosma e Damiano 181, 213, 222, 242-251, 273, 278, 279, 341, 348; 141,167-174 Ss. Giovanni e Paolo 140, 165-173, 190, 209, 210, 275, 277, 323, 324, 339, 348; 98-108 Ss. Marcellino e Pietro 58-60, 64, 70, 84, 91, 93, 94, 108, 301, 348; 27 Ss. Nereo e Achilleo 117, 145, 168, 257, 259, 260, 267, 276, 319, 348; 79 Ss. Pietro e Marcellino iuxta Lateranos 145 Ss. Quattro Coronati 177, 242, 276, 325, 348; 109-110 Ss. Quirico e Giulitta 253, 276, 277, 343 circo di Nerone, v. Vaticano, Città del Circo Massimo 140, 142, 165 circus Varianus 108

clivus Pullius 208 clivus Scauri 165, 166, 169, 323, 324; 99 clivus Suburanus 146, 208, 212, 275 colonna aureliana 205 colonna traiana 205 Curia/Curia Iulia 254, 343; 10 domus Augustana 251 domus Cilonis 237 domus dei Laterani 22 domus di Simmaco 165 domus Faustae 20 domus Iunii Bassi 237 Esquilino, colle 37, 108, 117, 120, 174, 195, 196, 212, 213, 215, 233, 236, 237, 276, 278 Fori Augusto 242 Boario 35, 142 Cesare 40, 242 imperiali 143, 176, 242 Nerva 253 Olitorio 142 Pacis (della Pace) 208, 222, 242-244, 341; 167 romano 22, 23, 31, 32, 34, 143, 242, 274, 278, 287; 176 Tauri (del Toro) 120, 211, 233 Traiano 22, 32, 59, 118, 119, 173, 176, 233, 275 fundus Lauretum/Laurentum 54, 61, 108 fundus Veranus 92; v. anche Verano Gianicolo, colle 96, 119, 258 Hadrianeum, v. mausoleo di Adriano horrea Piperataria 243 horti Liciniani 233 lacus Orphei 117 Laurentiopolis 93 macellum Liviae 120, 174, 211, 236 macellum Neronis 217 Mausolei Adriano (Hadrianeum, attuale Castel S. Angelo) 106, 107 Costantina Augusta, v. S. Costanza Elena Augusta (Tor Pignattara), v. Ss. Marcel¬ lino e Pietro Massenzio (via Appia) 58, 64, 71, 77, 94, 96 Tor de’ Schiavi/dei Gordiani, v. basilica di Tor de’ Schiavi meridiana di Augusto 119 mons Cispius (Esquilino) 236 mura aureliane 54, 71, 108, 233, 276 Musei Capitolini 237; 2 Museo Nazionale Romano (palazzo Massimo alle Terme) 184, 233, 237 Oppio, colle 117, 208 Palatino, colle 37, 60, 140, 142, 165, 216, 251, 253; 176 palazzo della Cancelleria 142, 318 palatium Licinianum 233 palatium Neronianum, v. Vaticano, Città del palatium Sessorianum (Sessorium) 37, 54, 108, 233, 274, 275, 309; 58-60 Pantheon (S. Maria ad Martyres) 22, 30, 35, 36, 56, 64, 84, 102, 222, 226, 254-256, 287, 348; 178-179 pons Aelius 180 pons Aemilius 175 ponte di Adriano 106, 107 ponte Milvio/pons Milvius 16, 20, 22, 54, 65, 70 porta Appia (porta S. Sebastiano) 115 porta Asinaria 23 porta Maggiore 54, 108 porta Prenestina (o Sessoriana) 54 porta S. Pancrazio 258 porta Tiburtina 212 porticus Constantini 118, 176 porticus Divorum 118 porticus Liviae 117, 208, 211, 275 porticus Maximae 106, 143 Quirinale, colle 37,163, 177, 237, 278 saepta Iulia 118 Saxa rubra 16 Sessorium, v. palatium Sessorianum stazione Termini 108, 120, 233 Subura 145, 146, 163, 208, 212, 237, 253, 275 Templi Castore e Polluce (Dioscuri) 242, 251; 176 Claudio imperatore/Claudianum 166, 217, 333 Giove Statore 36

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Le prime chiese di Roma Giuturna (santuario della fonte di) 251 Marte Ultore 242 Minerva Medica 108, 233 Portuno (poi S. Maria Egiziaca) 256 Romolo (cosiddetto) 244 Saturno 242 Sole 29, 36,37, 119, 274 Venere e Cupido 108 Venere e Roma 23, 29, 37, 242, 253, 274, 278 Venere Genitrice 242 Terme Caracalla 58, 119, 145, 234-236, 260 Costantino 58, 60, 215 Decio 189 Diocleziano 22, 174, 177, 180, 215, 275, 278 Helenianae 108 Massenzio 60 Novatii 146 Traiano 117,208 Tor de’ Schiavi, v. basilica di Tor de’ Schiavi Tor Pignattara, v. Ss. Marcellino e Pietro Trastevere 119, 174, 175, 180, 181 Vaticano, colle, v. Vaticano, Città del Verano, cimitero e località 91, 92, 260, 266, 276; v. anche S. Lorenzo fuori le mura Vie, strade, vicoli, piazze Appia 37, 58, 60, 64-66, 68-71, 77, 94-96, 100, 108, 114-115, 145, 162, 163, 175, 235, 260, 276, 292 Ardeatina 65, 91, 93, 94, 115, 118, 143, 235, 259, 267, 300, 301, 348 Asinaria 37 Aurelia 115, 175, 180, 258, 260 Balbo 320 Campana-Portuensis 180 Caelimontana 37, 216 Cassia 112 Conciliazione, della 106 Cornelia 96 Corso, del 37, 118, 119, 176, 275, 310 Flaminia 16, 115, 175, 275 Giolitti 233 Giubbonari, dei 145 Labicana 54, 56, 58-61, 64-66, 71, 93, 94, 108, 111, 174 Lata 37, 118-120, 163, 175, 176, 216 Latina 54, 64, 108, 145, 216, 238, 257, 258 Merulana 120, 174, 237, 276 Nazionale 163, 164 Nomentana 64, 71, 72, 92, 94, 96, 177, 216, 231, 260, 266, 276 Nova 145 Ostiense 68-71, 92, 96, 106, 107, 121, 122, 133, 138, 233, 275, 276 Pellegrino, del 145 Prenestina 54, 60, 61, 64, 65, 71, 77, 93-95, 108 Querceti, dei 177 recta 119 Sette Sale, delle 208 S. Giovanni, di 151 S. Stefano, di 216 S. Susanna, largo di 180 Tiburtina 91, 92, 106, 208, 211, 216, 233-234, 260, 266, 267 Triumphalis 96,143 Tuscolana 37, 38, 92, 94, 108, 120, 146, 151, 177 Urbana 146 vicus altus 185 vicus Armilustri 185

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vicus longus 163, 164 vicus Patricius 146, 147, 163 vicus Tusctis 142 Vittorio Emanuele il, piazza 174, 211 villa dei Gordiani 64, 108; 31 villa di Massenzio 64, 94, 108 villa di Mecenate 233 Viminale, colle 32, 60, 119, 163, 237 Roma, dea 206 Romolo 142 Rossellino, Bernardo 96, 104, 233 Rossini, Luigi 312 Rucellai, Giovanni 237 Rutilio Namaziano, Claudio 174 Sabina, santa 185 Sallustio, praefectus urbi 121 Salona 52 Sangallo, Giuliano da 237, 338 Santa Maria Capua Vetere, basilica Suricorum 204 Sebastiano, santo 71 Sergio i, papa, santo 119, 180 Sergio ii, papa 258 Settimio Severo, imperatore 22, 32, 108, 114, 132, 235 Severi, famiglia imperiale 128, 170, 235, 243, 299; 46 Severo, patrizio romano 142 Sibilla di Cuma 206; 126 Sicilia 139 Silvestro i, papa, santo 20, 38, 98, 115, 117, 118, 177 Simmaco, papa, santo 104, 106, 117, 118, 168, 258, 260,267 Simmaco, Aurelio Anicio 134, 138, 165, 175, 254 Simplicio, papa, santo 106, 120, 216, 222, 233, 234, 236-237 Simprosiano, santo 177 Siria 13, 14, 18, 72,282 Siricio, papa, santo 115, 129, 133, 134, 145, 150, 153, 156, 163; 73 Sirmio 140 Sisto ii, papa, santo 69, 162, 260 Sisto iii, papa, santo 39, 40, 42, 46, 48, 50, 71, 92, 93, 120, 173, 184, 191, 195, 196, 202, 205, 207-211, 215, 235, 288 Sisto iv, papa 120, 145, 164, 180, 233 Sisto v, papa 97 Smirne 31 Socrate Scolastico 71, 100 Sole/Helios (sol salutis) 16, 29, 36, 37, 99, 119, 274, 277; 55 Spalato 52 Spagna 13 Spirito Santo 38, 151, 206 Stefano protomartire, santo 216, 231, 233, 263, 276; 182 Stefano il, papa 104 Stilicone 104, 106 Strasburgo 217 Susanna, santa 177 Tacito, Publio Cornelio 98 Taso/Thasos, mare Egeo 118, 132, 197, 230, 242, 335 Tasselli, Domenico 307 Teoderico, re degli Ostrogoti 112, 145, 222, 238, 239, 242, 244 Teodora, madre di papa Pasquale i 212 Teodoro, santo 244; 168, 174

Teodoro i, papa 52, 231; 152, 256-157 Teodosio i, imperatore 107, 112, 121, 122, 130, 134, 151, 196, 275 Teodosio ii, imperatore 106, 208, 210 Teodosio iii, figlio di Galla Placidia 104 Teodoto, primicerius defensorum 253; 277 Termanzia, moglie di Onorio 104 Terra Santa, v. Palestina Tertulliano 11, 239 Tevere, fiume 16, 35, 96, 102, 105-107, 119, 121, 126, 128, 133, 138, 140, 142, 175, 180 Thera, Santorini 31 Theotokos, v. Maria Vergine Tibur/Tivoli 208 tempio della Tosse 56 Tigrinus, presbitero 257 Tipasa, Algeria 32, 287 Tiro, Libano 13, 34, 193 Tommaso, apostolo, santo 193 Torriti, Jacopo 26, 204 Traiano, imperatore 71, 118, 205 Trebellena Flacilla 98 Urbano viii, papa 42, 43 Ursicino, presbitero 163 Valente i, imperatore 106 Valentiniano i, imperatore 106, 107, 121, 196 Valentiniano ii, imperatore 106, 121, 275 Valentiniano iii, imperatore 42, 50, 92, 104, 112, 120, 130, 174, 208, 210, 216, 222, 254, 331 Valentino, santo 115 Valeri, famiglia 139 Valeriano, imperatore 68, 69, 92 Valeriano, santo 184 Valila, Flavio Teodosio, generale e senatore 236237 Vaticano, Città del Biblioteca Apostolica Vaticana 306, 307 circo di Nerone 96, 98, 301, 303 colle 68-71, 96-107, 119, 121, 133, 138, 175, 276, 301-307 Musei Vaticani 56, 290, 299 Palazzo Apostolico, cortile della Pigna 106 S. Pietro in Vaticano 22, 50, 58, 91, 96-107, 108, 112, 119, 121,122, 124, 126, 128, 131, 133, 134, 166, 173, 175, 202, 203, 210, 212, 215, 236, 257, 259, 260, 276-280, 301-307, 348; 1, 54-56 campo P 302 memoria di Pietro/memoria Petri 50, 98, 100, 101, 103, 133, 134, 276 muro rosso 98 Grotte Vaticane 102, 105; 76 necropoli 96, 98, 100, 105-107, 289, 302, 304; 54-55 tomba dell’apostolo Pietro 96, 98, 100-103, 106, 107, 118, 236, 276, 302, 304-307 tomba degli lulii 55 tomba z 54 tropaion 98, 107 Venanzio, santo 52; 26 Venier, Antonio, cardinale 161 Vespasiano, imperatore 242 Vigilio, papa 253 Virgilio, Publio Marone 122, 206 Vitale, santo 163 Vitruvio 31,101

Crediti iconografici I numeri si riferiscono alle illustrazioni

Colore

Tutte le foto non indicate qui fanno parte della campagna effettuata da Arnaldo Vescovo Archivio Fotografico Sopr. Archeologica, Roma. Museo Nazionale Romano: 160, 161 Brandenburg Hugo: 40, 41, 67, 80, 87, 108, 111, 139, 142, 151 Foto Vasari: 125 – Gauss Daniela: 152 – Malter Barbara: 153, 154 Musei Vaticani: 126, 127,128 – Pronti Alberto: 112 – Fabbrica di S. Pietro in Vaticano: 54, 55, 76 Filippi Giorgio: 69 – Schnell & Steiner: 96 Le foto aeree 27, 31, 32, 38, 39, 58, 62, 78, 79, 85, 106, 110, 113, 114, 124, 144, 145, 165, 166, 176, 178,180 sono state realizzate da Basilio e Matteo Rodella (bams photo – Rodella)

Bianco e nero Bordicchia M.: iv.l, vii 11, xi.23, xi.23, xxix.l, xxix.2, xxxi.19, xxxvi.l, xli.1, xliv.1 – Brandenburg Daniel: xxxviii.4 – Brandenburg Hugo: 1.3, v.l, vi.8, vn.2, vii.12, xi.20, xi.21, xi. 22, xii.3, xv.l, xv.5, xv.7, xv.8, xv.25-xv.27, xxiii.4, xxvii.4, xxvii.5, xxvii.9, xxviii.3, xxix.5, xxxi.4, xxxi.9, xxxi.10, xxxi.11-14, xxxi.22, xxxii.2, xliii.2, xliii.3, xliii.5, xliii.7, xliii.8, xliii.9, xliv.4, xliv.5, xliv.6, xliv.7, xliv.8 – Brandenburg Konstantin: 1, ii.9, iii.l, iii.2, vii.4-vii.7, xi.9, xv.9, xv.ll- xv.14, xv.19-xv.24, xix.3, xxvii.l, xxix.2, xxxi.l, xxxi.7, xxxi.8, xxxi.19, xxxi.23, xliv.2, xliv.3, pag. 339 – Cecchelli M.: xiii.2 – dai, Roma: iv.4, iv.5, iv.7, vii.9, vii.15, vii.16, vii.17, vii.18, xi.18, xii.l, xii.5, xxvii.3, xxvii.6, xxvii.7, xxvii.8, xxvii.10-xxvii.14, xxvii.l6-xxvii.l – Fabbrica di S. Pietro: xi.6, xi.7, xi.8, xi.14 – Fiocchi Nicolai: ix. 1 – Fototeca Unione: xv.3, xv.4, xvi.3, xix.4, xxiii.2, xxiii.5, xxvi.2, xxxvii.3 – Gartner K.: xi.2, xi.4 – Hirnstein E.: xxxi.17, xxxi.18 – Montanari S.: xx.l, xxviii.1 – Pontificia Commissione di Arte Sacra: ii.2, ii.6, 7, ii.8, ii.10, ii.ll, ii. 12, vi.2, vi.3, vi.4, vi.5, vi.7, xiv.3, xiv.4, xvi.4, xviii.l, xviii.2, xix.5, xxi.2, xxi.3, xxiv.2, xxxv.2, xxxv.3, xxxv.4 – Pontificia Commissione di Archeologia Sacra: xiii.l – Storz I.: xxxi.15, xxxi.16, xxxi.20 8 – Vescovo Arnaldo: xxii.2, xxxii.l I disegni ii.9, iv.l, vii.ll, xi.9, xi.23, xxvii.l, xxviii.l, xxix.l, xxix.2, xxxi.7, xxxi.8, xxxi.19, xxxi.23, xliv.1-xliv.3 sono stati elaborati da Hugo Brandenburg.

Zaccaria, papa, santo 253 Zenone, santo 212, 213; 141 Zosimo, papa, santo 93, 156, 175 Zuccari, Taddeo 191

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