RAPHAEL'S ROOMS

Page 1

MONUMENTA VATICANA SELECTA


RAFFAELLO LE STANZE


MONUMENTA VATICANA SELECTA Forse nessun luogo al mondo, in un ambito territoriale così limitato, evidenzia un Patrimonio Artistico tanto differenziato e alto nei suoi raggiungimenti espressivi. Il sito, dai suoi livelli archeologici precristiani e cristiani del primo S. Pietro al S. Pietro attuale con la piazza, i palazzi e i giardini, è stato luogo di impressionanti risultati in architettura, affresco, scultura e arti decorative; ma il Vaticano è parimenti il contenitore di raccolte archeologiche, artistiche e librarie che coprono migliaia di anni di storia dell’umanità, dagli Egizi all’arte dei nostri giorni. Volumi che affrontino il Patrimonio Artistico del Vaticano dovranno di volta in volta darsi dei limiti precisi e congrui. Non la scelta antologica di capolavori, ma l’affondo su importanti episodi artistico-culturali anche con diverse chiavi di lettura, con l’intento di costituire un ponte tra il contesto e i suoi raggiungimenti artistici. Monumenta Vaticana Selecta perciò come lettura del manufatto, della fabbrica e dell’opera d’arte, contestualizzati o, se vogliamo, in reciproco scambio con la cultura, la teologia, la fede, le riforme, ma anche con la politica e le ragioni di stato o, infine, come interesse per altre culture del presente o del passato. Monumenta Vaticana Selecta è un’iniziativa editoriale che si sviluppa in accordo tra Editoriale Jaca Book e Istituzioni Vaticane.

Volumi pubblicati H.W. Pfeiffer, S.J. LA SISTINA SVELATA

Iconografia di un capolavoro 2007, 20136 N. Dacos LE LOGGE DI RAFFAELLO L’antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna 2008 A. Campitelli GLI HORTI DEI PAPI I Giardini Vaticani dal Medioevo al Novecento 2009 P. Liverani, G. Spinola, con un contributo di P. Zander LE NECROPOLI VATICANE La città dei morti di Roma 2010 C. Thoenes, V. Lanzani, G. Mattiacci, A. Di Sante, S. Turriziani, P. Zander, A. Grimaldi Introduzione di Sua Eminenza Card. A. Comastri SAN PIETRO IN VATICANO I mosaici e lo spazio sacro 2011 A.M. Piazzoni, A. Manfredi, D. Frascarelli, A. Zuccari, P. Vian LA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 2012 H. Brandenburg LE PRIME CHIESE DI ROMA iv-vii secolo 2013 M. Boiteux, A. Campitelli, N. Marconi, L. Simonato, G. Wiedmann VATICANO BAROCCO Arte, architettura e cerimoniale 2014 H. Brandenburg, A. Ballardini, C. Thoenes SAN PIETRO Storia di un monumento 2015 A.M. Piazzoni, F. Manzari BIBBIA Immagini e scrittura nella Biblioteca Apostolica Vaticana 2017 Ch.L. Frommel RAFFAELLO LE STANZE 2017

Christoph Luitpold Frommel

RAFFAELLO LE STANZE


International copyright © 2017 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano Per tutte le tavole a colori riprodotte nel presente volume © 2017 Musei Vaticani, Città del Vaticano

Prima edizione italiana settembre 2017

Indice

Prefazione Pag. 9 Capitolo primo La politica dell’arte di Giulio ii e gli esordi di Raffaello Pag. 11 Capitolo secondo La Stanza della Segnatura Pag. 15 Capitolo terzo Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro Pag. 41

Redazione dei testi Elisabetta Gioanola/Jaca Book Copertina, grafica e impaginazione Break Point/Jaca Book

Capitolo quarto La Stanza dell’Incendio di Borgo Pag. 55 Capitolo quinto Raffaello nella Sala di Costantino: l’Adlocutio e la Battaglia di Costantino contro Massenzio Pag. 67 Tavole Pag. 77

Fotolito Target Color, Milano

Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma settembre 2017 ISBN 978-88-16-60548-0

Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02.48561520; fax 02.48193361 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

Apparati Note Pag. 211 Bibliografia di riferimento Pag. 213 Indice dei nomi e dei luoghi Pag. 217


Prefazione

A mio fratello Melchior per il suo 80° compleanno

Nota per il lettore I numeri a margine del testo rinviano alle immagini a corredo del volume: in tondo quelle in bianco e nero di riferimento al testo, in corsivo le tavole a colori.

Fino all’inizio del xx secolo, gli affreschi di Raffaello in Vaticano erano una delle mete predilette dai visitatori di Roma. Nel frattempo, i favori del pubblico si sono rivolti soprattutto alla Cappella Sistina e questo mutamento del gusto è inseparabile da un generalizzato mutamento di paradigma della nostra epoca. L’austera Sibilla delfica di Michelangelo è più vicina all’odierno ideale di bellezza di quanto non siano le Muse del Parnaso o le Virtù della Giustizia e l’appassionato di arte predilige in particolare le opere che non richiedono una profonda conoscenza della Bibbia e dei santi, dei miti o della Storia, per nulla neces­ sarie per poter apprezzare Davide, Adamo o il Mosè di Michelangelo, che si concentra sui personaggi fondamen­ tali degli albori del genere umano. Nelle Stanze e nella Sala di Costantino, Raffaello diviene sempre più il mezzo di comunicazione di due papi, gravita intorno alle loro peculiarità, a questioni politiche, religiose e personali, ai loro successi e alle loro sconfitte e rappresenta le singo­ le persone della sua cerchia – un’epoca che, a un primo sguardo, non è sempre facile da comprendere. Non è un caso che i celebri autori raffigurati nella Stan­ za della Segnatura riscuotano ancora maggiori consensi delle scene spirituali della Stanza di Eliodoro, sebbene queste siano fra le più belle che Raffaello abbia mai dipin­ to. Lì, tuttavia, fa apparire papa Giulio ii in successione ciclica da un miracolo all’altro e da un secolo all’altro. In­ fine i visitatori odierni della Stanza dell’Incendio di Bor­ go e della Sala di Costantino non ritrovano più la mano autentica, alla quale Michelangelo e Giulio ii attribuivano sempre grande valore. Sono stati pubblicati i bozzetti e le fonti degli affreschi vaticani di Raffaello e chiarite ampiamente le questioni di attribuzione e datazione, così come quelle iconografiche.

Le recenti campagne di restauro hanno riportato gli affre­ schi a uno stato molto vicino all’originale, il che contribui­ sce notevolmente al loro fascino e agevola il compito di distinguere la mano del Maestro da quelle degli allievi, e questo stato di ricerca ha incoraggiato il mio tentativo di penetrare negli strati più nascosti degli affreschi. È impossibile comprendere un’opera d’arte attraverso la sola analisi formale o la decifrazione iconografica e, da sempre, le Stanze di Raffaello hanno spinto alla ricerca di un’interpretazione più esaustiva. Ci hanno attratto dentro l’immagine per metterci subito di fronte a enigmi spesso insolubili. Tuttavia, non appena l’occhio si è abituato a queste forme e colori, non si stanca di arrovellarsi su quei segreti, come già accadde probabilmente ai contempora­ nei di Raffaello. Egli affronta temi mai rappresentati in precedenza e per i quali non ha potuto rifarsi a qualche prototipo, temi che esigevano una formazione mai offerta da alcun arti­ sta precedente e che egli dovette creare da un affresco all’altro. I diversi bozzetti pervenuti consentono spesso di seguire Raffaello passo dopo passo in questa sua ricerca. Come possono essersi svolti i primi incontri fra Giulio ii e il pittore venticinquenne? Il papa, persona conscia del proprio potere, impaziente e collerica, era ossessionato dall’arte e accolse, come riferisce Vasari, il grazioso genio ancora imberbe con «mille carezze». Di sicuro Raffaello prese in mano la penna già durante i primi incontri e Giulio deve presto aver capito con chi aveva a che fare. Nel corso degli oltre tre anni in cui vissero muro a muro, probabil­ mente si instaurò una profonda fiducia reciproca e, grazie alla sua straordinaria sensibilità, il pittore venne a sapere molto di quello che muoveva il papa. Giulio si sente eletto da Dio e comprende che Raffaello sarà in grado di traman­

9


dare la propria memoria e la propria visione dell’Aldilà in modo ancora più suggestivo e incisivo di quanto fosse stato concesso ai suoi predecessori. Quando, già malato, negli ultimi diciotto mesi di vita, il papa può abitare anche la Stanza della Segnatura appena terminata, riesce persino a percepire l’effetto risanatore dell’arte di Raffaello. Giulio ha un istinto straordinario per l’arte, ma è tutt’altro che un intellettuale. Probabilmente le creazioni di Raffaello lo sorpresero sempre e, benché insistesse per modifiche in entrambe le Stanze, gli lasciò una libertà straordinaria. Negli stessi anni Michelangelo lavora a una cinquantina di metri di distanza, nella Cappella Sistina. Il papa si entu­ siasma per la prima metà degli affreschi al punto che desi­ dera vedere Michelangelo rappresentato fra i grandi della Scuola di Atene. E Raffaello comprende a poco a poco le possibilità espressive del corpo umano scoperte da Miche­ langelo. Si sente sfidato e recepisce ciò che gli serve, ma non lo imita; sa anche che gli è superiore con le sue com­ posizioni complesse, la drammaticità narrativa, la com­ prensione della psiche umana, l’evocazione della grazia. Giulio si sente un prescelto destinato a cose straordina­ rie. Quando nei suoi ultimi anni Dio lo mette alla prova e lo tormenta fin quasi a spezzarlo, egli non si perde d’ani­ mo, anzi trova la strada della spiritualità. In quanto fran­ cescano, e nipote di Sisto iv, si sente intimamente unito a Cristo e alla Madonna. Lo è anche Raffaello, che nell’arco di poche settimane trova un linguaggio che riesce a espri­ mere in modo unico il legame del papa con le potenze superiori. Senza la Liberazione di san Pietro e la Madonna Sistina sapremmo molto meno sulla religiosità del papa. In queste opere, che Raffaello completa nella metà del tempo che aveva impiegato per la Stanza della Segnatura, l’artista raggiunge il proprio culmine creativo. Già nella Messa di Bolsena si preannuncia la sua predi­ lezione per i rituali solenni, lo sfarzo della corte e il coin­ volgimento dei nipoti e, nell’Incontro di Leone Magno con Attila, l’anelito a cimentarsi con antiche scene di batta­ glia, tendenze che, nei tre anni successivi, prevarranno nella Stanza dell’Incendio di Borgo. Raffaello varia anco­ ra una volta il proprio linguaggio: avanzano in primo pia­ no personaggi secondari di grandi dimensioni, l’influenza dell’antichità diviene dominante, i colori più freddi e la diagonale della profondità prende il posto della prospet­ tiva centrale. Deve sacrificare il mistero religioso, l’ani­ mazione, l’individualità delle opere create per Giulio per esprimere le ambizioni di corte e dinastiche e il proget­

to di ibridazione del giovane papa Medici, e lo fa con la stessa continuità ciclica delle opere create per Giulio ii. Leone lo ricopre di incarichi, ma rinuncia alla mano auto­ grafa. Raffaello diviene testimone dei suoi discutibili con­ flitti di interessi e, in apparenza, reagisce con dissonanze compositive. La ricerca del divino si ritira dietro la supe­ riorità della vita terrena e, non a caso, non c’è neppure una Madonna a fare da mediatrice tra gli affreschi, come era avvenuto in precedenza. Gran parte dell’esecuzione spetta sempre agli allievi, che però non sono in grado di conferire ai personaggi la grazia e la vivacità di Raffaello. Solo nell’ultimo anno di vita, la sua crescente autorità gli consente di liberarsi dal mondo di Leone x. Nella Sala di Costantino Raffaello vuole aprire lo sguardo del visitatore sul panorama di Roma e su un ambiente sconfinato, ani­ mato dalle potenze celesti, e nell’unica persona eroica di Costantino fa trionfare allo stesso tempo antichità e cri­ stianità. Tuttavia, dopo la sua morte, gli allievi rendono più indistinto il progetto con capricci e inchini cortesi di­ pinti seguendo il gusto di Leone. Solo Raffaello trova i mezzi espressivi per rappresentare la cultura del Rinascimento in modo così completo. Egli cresce con i suoi committenti, diviene il loro strumento, cronista e propagatore, ma anche la loro vittima. Patisce le loro esigenze, spesso casuali e contraddittorie, anzi li criti­ ca nel confronto con il suo mondo ideale. Stupisce quindi che un artista così complesso e universale non sia stato sempre sufficientemente apprezzato dalla ricerca recente. Questo libro è dedicato al rapporto di Raffaello con entrambi i papi – Giulio ii e Leone x – così come lo espri­ mono gli affreschi del Vaticano e non ha la pretesa di es­ sere una monografia esaustiva. Non dà conto di tutti gli aspetti dei dipinti né di tutta la letteratura, copiosissima e in costante aumento; le indicazioni delle fonti, le note e la bibliografia restano limitate al minimo. Raffaello mi ha condotto alla storia dell’arte, a Roma e alla Hertziana. È stato lui il fondamento della mia ami­ cizia con Konrad Oberhuber e John Shearman, ai quali questa ricerca deve più che a chiunque altro. Nel corso dei quasi cinquant’anni che ho trascorso a Roma, Raf­ faello è stato oggetto di numerosissime presentazioni e pubblicazioni, e a lui sono stati dedicati molti discorsi e visite insieme a mio fratello. Ringrazio quindi gli editori Sante Bagnoli e Vera Minazzi per la possibilità di formu­ lare, verso il tramonto della vita, quello che ho sentito in me fin dalla giovinezza. Roma, settembre 2017

10

Capitolo primo

La politica dell’arte di Giulio ii e gli esordi di Raffaello

Giulio ii e le arti Le Stanze di Raffaello devono la loro nascita a un in­ sieme unico di circostanze. La prima fu l’ascesa al seggio papale di Giuliano della Rovere nell’autunno del 15031. Prese il nome di Giulio ii, pensando a Giulio i (337-352), il quale aveva fatto erigere la chiesa dei SS. Apostoli a Roma, situata accanto al suo palazzo cardinalizio. Pensò forse ancora di più a Cesare, il fondatore dell’impero romano, del quale si riteneva seguace ed erede. Intorno al 1506-1507, dopo aver riconquistato le province set­ tentrionali dello Stato pontificio, egli fece persino conia­ re una moneta con l’iscrizione «Iulius Caesar Pontifex Maximus», facendosi celebrare in questa veste in Piazza Navona. Suo nonno era un semplice artigiano, ma aveva sposato una nobildonna, e i genitori conducevano una vita modesta ad Albisola, un paese a nord-ovest di Savo­ na, dove Giuliano nacque e trascorse infanzia e giovinez­ za. La sua rapida ascesa era avvenuta grazie a Francesco della Rovere (1414-1484), fratello del padre che, non molto tempo dopo l’ordinazione a francescano, diven­ ne uno dei più apprezzati studiosi italiani di teologia e filosofia. Nel 1464, poi, fu nominato generale dell’Ordi­ ne, nel 1467 cardinale titolare di San Pietro in Vincoli, e nel 1471 divenne papa2. Prese il nome dal santo papa Sisto ii, del i secolo, ed era devotissimo alla Madonna, alla quale dedicò due chiese romane oltre alla Cappella Sistina, la chiesa del Vaticano che da lui prese il nome, e alla propria cappella funebre nella vecchia basilica di San Pietro. Forse il suo trattato sul sangue di Cristo in­ fluenzò anche la Messa di Bolsena di Raffaello. Giuliano, a sua volta, entrò nell’Ordine dei frati con­ ventuali francescani, e visse presso di loro mentre stu­

diava a Perugia, non lontano da Assisi, la cittadina di Francesco. Già nella Disputa si confessa alla spiritualità francescana. Tutt’altro che teologo o filosofo, si conside­ ra un uomo di spada, e già sotto il pontificato di Sisto si afferma difensore dello Stato della Chiesa alla testa delle truppe papali. Dagli inizi del suo pontificato si presenta anche come uno dei mecenati dall’istinto più sicuro di questi anni. Architetti del rango di Baccio Pontelli e Giuliano da Sangallo costruiscono i suoi palazzi a Roma e Savona, la sua rocca di Ostia e il convento di Grottaferrata3. Me­ lozzo da Forlì affresca l’abside dei SS. Apostoli, e pone il cardinale, allora circa trentaquattrenne, al centro del suo affresco nella biblioteca. Perugino dipinge per lui una delle sue pale d’altare più belle. Andrea Bregno realizza le tombe dei suoi parenti e il Pollaiuolo gli è debitore della committenza per i monumenti bronzei di Sisto iv e Innocenzo viii. Già con queste opere dimostra di rappresentare, consapevole del proprio potere, le correnti sia spirituali sia secolari della Curia e di essere un rinnovatore di Roma e del papato. È uno dei colle­ zionisti di antichità di maggiore successo del tempo e fa sistemare nel giardino del suo palazzo cardinalizio l’Apollo del Belvedere appena rinvenuto. Sisto, che pri­ ma dell’elezione non si era ancora rivelato un mecenate, e badava più alle funzioni che alla perfezione formale, sembra averlo consultato soprattutto per le sue prefe­ renze artistiche. Anche le opere create nel corso del suo pontificato, durato meno di dieci anni, sono inscindibili dalla sua religiosità, dalle sue ambizioni politiche e dall’idea di un papato imperiale. Comincia la sua attività di costruttore da principe secolare e trasforma il Vaticano nella resi­

11


Raffaello, le Stanze

La politica dell’arte di Giulio ii e gli esordi di Raffaello

1. Fra Bartolomeo, Giudizio Universale, 1499-1501 (Firenze, Museo Nazionale di San Marco).

2. Raffaello, La SS. Trinità circondata dai santi, 1509 (Perugia, San Severo).

denza più splendida dell’epoca. Alla corte degli Sforza aveva già potuto apprezzare Bramante e scopre in lui un architetto congeniale alle proprie visioni. Se gli edifici precedenti di Bramante a Roma erano ancora di dimen­ sioni modeste, già nel Tempietto presso San Pietro in Montorio, la chiesa romana degli Osservanti francesca­ ni, segue l’esempio di un antico tholos e, nel progetto per il chiostro che doveva circondarlo, quello del Teatro Marittimo di Villa Adriana a Tivoli4. Nell’ampliamento del Vaticano, Bramante prosegue coerentemente questo percorso, rifacendosi anche alla Domus Transitoria di Nerone descritta da Svetonio5. Dai suoi appartamenti, Giulio doveva abbracciare con lo sguardo una prospettiva profonda trecento metri, in cui la corte del palazzo si univa ai due giardini terrazzati, entrambi affiancati da logge, e alla lontana esedra. All’inizio del 1505, quando il palazzo non era anco­ ra arrivato a buon punto, Giulio conferisce a Bramante l’incarico per la nuova costruzione di San Pietro6. De­ cide che la sua cappella funebre si troverà nel braccio del coro ed è il primo papa a commissionare la propria tomba da vivo7. L’incarico viene affidato a Michelangelo, non ancora trentenne, di cui Giulio aveva sicuramente ammirato il Bacco e la Pietà. Quando Michelangelo ha appena co­ minciato il Prigione addormentato, la prima delle circa quaranta statue di grandezza superiore al naturale, il pontefice interrompe il lungo e costoso lavoro e lo ob­ bliga a dipingere la volta della Cappella Sistina. Il rapporto fra i due, entrambi testardi e collerici, è quasi sempre teso, ma Michelangelo venera Giulio più di qualsiasi altro papa e si sente in debito con lui

fino a quando, nel 1545 circa, avrà finalmente comple­ tato la tomba. Molto più armonioso era il rapporto di Giulio con Bramante, che era anche pittore, cantava con il liuto e gli leggeva ad alta voce la Divina Commedia di Dante durante i loro viaggi. Spronava i giovani a uno studio più approfondito dell’antichità e fondò una scuola a Roma che comprendeva anche scultori e pittori e avrebbe influenzato per decenni l’arte euro­ pea. Giulio si interessava personalmente ai suoi artisti e seguiva il loro lavoro con occhio benevolo e critico. Dietro suo incarico, Bramante trasforma – insieme ad Andrea Sansovino, Guillaume de Marcillat e Pinturic­ chio – il braccio del coro di Santa Maria del Popolo nel mausoleo dei cardinali Ascanio Sforza e Girolamo Bas­ so della Rovere, una vera e propria opera d’arte totale che prepara quelle di Raffaello e, insieme a Baldassarre Peruzzi, realizza e decora lo scalone della rocca di Ostia e l’Uccelliera vaticana. Intorno al 1508, Bramante co­ mincia il nuovo Palazzo di Giustizia e, nel 1509-1510, disegna il rivestimento marmoreo della Santa Casa e il Palazzo Papale di Loreto, del quale affida la costruzio­ ne al celebre scultore Gian Cristoforo Romano. Ancor prima dell’arrivo di Raffaello, la città che sotto Ales­ sandro vi era dominata da maestri quali Pinturicchio e Jacopo Ripanda, Andrea Bregno e Antonio da Sangallo il Vecchio, nel corso di pochi anni prende il posto di Fi­ renze e Venezia come centro artistico d’Europa. Egidio da Viterbo, il generale degli agostiniani di orientamen­ to neoplatonico e molto stimato da Giulio, loda nelle sue prediche e nella sua Chronaca viginti saeculorum la grandezza, voluta da Dio, di questo papa e dei suoi monumenti8.

12

L’evoluzione artistica di Raffaello dal 1504 al 1508 Raffaello (1483-1520) fa dapprima tirocinio a Urbino con il padre, Giovanni Santi, poi a Perugia con Peru­ gino9. Nel 1503 Pinturicchio lo invita a creare le prime scene della Libreria Piccolomini, presso il Duomo di Siena10, dove Raffaello rivela già la sua dote di narratore di scene storiche e di pittore-biografo di un grande per­ sonaggio, che poi culminerà nelle Stanze e nella Sala di Costantino. Nello Sposalizio della Vergine del 1504 supe­ ra il Perugino sul suo stesso terreno e, nell’animazione dei personaggi, nella perfezione del Tempio e nell’aper­ tura su un vasto paesaggio, fa già intuire dove lo porterà il suo percorso. Per formarsi ulteriormente, nel 1504 si trasferisce a Firenze, dove le pitture di Leonardo e Mi­ chelangelo a Palazzo Vecchio stanno inaugurando una nuova fase dell’arte. Michelangelo gli trasmette la precisa conoscenza anatomica del corpo umano, che va appre­ sa dai modelli, dai cadaveri e dallo scheletro, ma anche tutte le sue molteplici possibilità espressive. Leonardo, che muove le figure della Battaglia di Anghiari dinamica­ mente in uno spazio senza limiti e dona un’anima e una personalità individuale alla fisionomia di Monna Lisa e ai gesti di Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, libera Raf­ faello dallo schematismo di Perugino e di altri maestri. Dopo soli tre anni a Firenze, nella sua Deposizione Raffaello riesce già a trasformare la Pietà statica del Pe­ rugino in un dramma umano. Cristo viene trasportato come sull’antico sarcofago di Meleagro, eppure il suo corpo è ispirato alla Pietà di Michelangelo, mentre la fanciulla fra le cui braccia cade Maria richiama la sua Madonna Doni. Volti e gesti di coloro che sono rimasti

rispecchiano tutte le sfumature dell’animo umano che Leonardo aveva scoperto per l’arte. Già nel precedente affresco di San Severo a Perugia, Raffaello aveva dimostrato di non essere da meno del Giudizio universale di Fra Bartolomeo quanto a maestria della composizione spaziale, superandolo nella padro­ nanza della luce e nella trasparenza pittorica dei santi. Lì prepara la Disputa, sostituendo al Giudice universale di Fra Bartolomeo la Trinità, e anche nella parte inferiore dell’affresco, ai lati della statua della Madonna, si sareb­ be avvicinato più a lui del Perugino. Giulio potrebbe aver visto l’affresco quando, a metà settembre del 1506, fece una breve sosta a Perugia. L’influsso di Fra Bartolomeo è ancor più evidente nel­ la Madonna del Baldacchino, che Raffaello lasciò incom­ piuta a Firenze nel 1508. Egli sovrappone le figure in misura minore, le scagliona fino all’esedra simile a quella del Pantheon sullo sfondo, le fa più corpose e statuarie e, quando le gira nello spazio, si cimenta già con le bozze di Michelangelo per gli Apostoli del Duomo di Firenze. Con la luce morbida di Leonardo le illumina e le unisce in una comunità di spiritualità e amore. Dopo la partenza di Leonardo e Michelangelo da Fi­ renze, e dopo che lo stesso Fra Bartolomeo si era recato a Venezia, Raffaello rimase l’unico pittore di prim’ordine, e deve aver visto il suo futuro a Roma. Nell’aprile del 1508 cerca di ottenere la committenza per dipingere una stan­ za, ma è difficile stabilire se si tratti ancora dell’Udienza di Palazzo Vecchio, per la quale viene pagato fra maggio e ottobre, o già della Stanza della Segnatura11. Altrimenti non si spiegherebbe perché mai si sarebbe trasferito a Roma solo otto o nove mesi dopo per dipingere la Disputa.

13

1-2


Capitolo secondo

La Stanza della Segnatura

Il nuovo appartamento di Giulio ii e la sua biblioteca privata

I

Già all’inizio del suo pontificato, Niccolò v (1447-1455) aveva aggiunto ai Palazzi Vaticani l’ala nord orientata ver­ so il grande giardino. Al piano terreno aveva sistemato la biblioteca pubblica e, nei tre piani superiori, gli apparta­ menti per ogni stagione dell’anno12. In questo periodo, Giulio abitava nell’Appartamento Borgia di Alessan­ dro vi, riccamente decorato da Pinturicchio, ma faticava a tollerare tratti fisiognomici, stemmi e imprese dei Borgia. Dal 1505-1506 si sistemò in via provvisoria al piano supe­ riore, quello delle Stanze, dove avevano vissuto Niccolò e Sisto, e già allora incaricò Bramante e Giuliano da San­ gallo di rinnovarlo. Quando la spedizione a Bologna tra la fine di agosto del 1506 e la fine di marzo del 1507 lo tenne lontano da Roma per sette mesi, gli ambienti centrali era­ no già pronti, ovvero la Sala del Pappagallo, dove sbriga­ va i suoi affari, l’anticamera di questa sala e la camera da letto con le pareti rivestite in legno e lo sfarzoso soffitto a cassettoni di Giuliano da Sangallo, così come la sala da bagno confinante (stufetta) e la scala a chiocciola segreta. Nel dicembre 1507 incarica Bramante di dipingere una carta dell’Italia nel nuovo cubiculum, probabilmente la Sala del Pappagallo, che doveva essere molto utile nel­ le discussioni politiche13. Evidentemente non lo disturba che si lavori dietro un ponteggio anche in sua presenza. La decorazione delle Stanze poté avere inizio solo dopo l’apertura delle grandi finestre a croce della pare­ te sud. Le prime fatture a noi pervenute per muratori e scalpellini sono del giugno 1508, le ultime del 150914. Al pari dell’Appartamento Borgia, le stanze dell’ala nord erano intese come un ampliamento di rappresentan­

za dell’appartamento privato: la Sala di Costantino come sala per feste di carattere più privato, la Stanza di Eliodo­ ro come sala per udienze e anticamera per i visitatori pri­ vilegiati, la Stanza della Segnatura, che ebbe questo nome sotto Paolo iii, come studiolo e biblioteca. Già nel Palazzo di Avignone, dove Giulio abitò a lungo quale legato pa­ pale, esisteva una biblioteca collegata alla sala da pran­ zo del papa15. La Stanza dell’Incendio di Borgo era sede della Segnatura di Grazia e Giustizia, il tribunale curiale di grado più elevato. Poiché quest’ultimo si riuniva mol­ to raramente, la stanza deve essere servita anche ad altri fini, forse persino come sala da pranzo, come avvenne poi sotto Leone x, tanto più che la cucina del papa sembra sia stata alloggiata nell’adiacente ala ovest del Cortile del Pappagallo. Lì Leone consacrava anche i vescovi16, quindi si tratta evidentemente di stanze a più funzioni. Sicura­ mente per tutelare i libri e gli intarsi, la biblioteca era l’u­ nica delle tre senza un camino17. A differenza dei cardinali interessati alla letteratura, come Giovanni de’ Medici o Domenico Grimani, Giulio possedeva pochi libri, i cui autori ci sono in parte noti grazie a un inventario stilato dopo la sua morte18. I volu­ mi erano sistemati in armadi collocati sotto gli affreschi. Gli armadi erano intarsiati, analogamente a quelli finti dello Studiolo del Palazzo Ducale di Urbino. Forse sta­ vano lungo tre sole pareti perché, su quella settentriona­ le, avrebbero impedito il passaggio fra le porte19. Dietro incarico di Leone x, intorno al 1513-1514, Raffaello vi dipinse armadi illusionistici intarsiati che proseguivano la serie di quelli esistenti. All’interno dell’armadio non finge libri, bensì strumenti musicali come nello Studiolo di Urbino, un compasso e un uovo di struzzo artistica­ mente disposti, come Giulio stesso doveva aver fatto20.

15

25b, 25d


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

3. Raffaello, primo progetto per la Disputa, 1509 (Oxford, Ashmolean Museum, P II 542).

In uno si vede una versione non esattamente fedele all’o­ riginale del Palazzo di Urbino. Il programma Il programma della decorazione non si inserisce tanto nella tradizione della biblioteca vaticana dipinta da Del Castagno, Melozzo e Ghirlandaio quanto in quella dello Studiolo del Palazzo Ducale di Urbino dove, sopra gli ar­ madi finti e gli intarsi, erano disposti i ritratti di ventiquat­ tro uomini illustri, che andavano da Omero e Platone fino a contemporanei dell’epoca come Sisto iv: nel registro inferiore i teologi, in quello superiore e sulla parete ovest filosofi, umanisti e poeti. Quindici di questi si ritrovano nella Stanza della Segnatura: nella Disputa i Padri della Chiesa, Mosè, Salomone, Tommaso d’Aquino, Dante e Si­ sto iv, nel Parnaso Omero, Virgilio, Dante e, nella Scuola di Atene, Platone, Aristotele, Euclide e Tolomeo. Nello Studiolo, invece, non sono raffigurati giuristi, mentre nel­ la Stanza della Segnatura mancano Solone e Ippocrate, Cicerone, Seneca e Boezio. Evidentemente le opere teologiche, letterarie, scienti­ fico-filosofiche e giuridiche del papa erano collocate al­ meno su tre pareti diverse e la selezione era notevolmente più sistematica. Gran parte dei contemporanei non venne considerata e il programma fu ampliato in un’altra di­ rezione. La scienza aveva fatto progressi, il giudizio era cambiato e, a differenza di Federico da Montefeltro, Giu­ lio ii cercava pittori in grado di rappresentare, in modo più realistico e corretto di Berruguete e Giusto di Gand, i protagonisti della grande tradizione occidentale. Gli affreschi della volta del Sodoma e le modifiche di Raffaello

1-2

3 52-53

Il 4 ottobre 1508 il pittore Sodoma (1477-1549) riceve un pagamento di 50 ducati per la volta della Stanza del­ la Segnatura21. All’incirca nello stesso periodo, Giulio fa decorare da Perugino e Peruzzi le volte delle due Stanze adiacenti, e fa affrescare da Signorelli e Bramantino le pa­ reti della Stanza di Eliodoro. Sodoma segue nella volta il sistema di quella della Camera Picta, dipinta da Mantegna alla maniera antica, e Bramante, per facilitargli il lavoro, rimuove le grate della quattrocentesca volta a crociera. Forse prendendo spunto dal sistema di Perugino, nella Stanza dell’Incen­

16

dio, Sodoma unisce i tondi e gli scomparti diagonali più piccoli a formare croci greche. Decora i fregi delle ner­ vature in finto marmo con grottesche colorate che tradi­ scono la sua mano, e i piccoli scomparti fra i tondi con scene mitologiche e finti rilievi, ispirati all’arco trionfale, che non hanno alcun rapporto riconoscibile con il pro­ gramma o lo stile di Raffaello per la biblioteca. Anche lo scarso effetto illusionistico delle nervature e il loro trac­ ciato poco preciso non sono in alcun caso attribuibili a Raffaello. Le fonti contemporanee nulla dicono sulle circostanze della chiamata di Raffaello a Roma, e suona convincen­ te il racconto di Vasari secondo il quale Bramante, suo compae­sano e parente, aveva consigliato al papa di mette­ re alla prova il suo talento in alcune stanze. Va detto che parti delle pareti di tali stanze erano già state affrescate da Piero della Francesca o affidate a maestri del rango di Signorelli, Bartolomeo della Gatta e Bramantino. Raffael­ lo si sarebbe recato a Roma e già al suo arrivo il papa gli avrebbe mostrato numerosi segni di benevolenza. Solo il 13 gennaio 1509, oltre tre mesi dopo il Sodoma, Raffaello riceve 100 ducati per i dipinti nella Stanza della Segnatura22, lo stesso pagamento ottenuto da Michelan­ gelo nel febbraio 1505, prima di cominciare i lavori per la tomba di Giulio23. Di certo, in gennaio, il Sodoma aveva iniziato il lavoro, ed è probabile che Raffaello abbia rice­ vuto il denaro soltanto dopo aver convinto il papa con i suoi bozzetti per la Disputa e sia giunto a Roma già prima della fine dell’anno. Secondo Vasari, Raffaello non volle che la decorazione della volta del Sodoma venisse staccata, anche se sembra aver presto provveduto a modifiche per poter realizzare il suo progetto. Per esempio, l’oculo della volta in origine era più piccolo e rotondo, come nella volta di Mantegna24. I putti dipinti sono però disposti a seguire i lati dell’ottago­ no attuale e sono palesemente disegnati da Raffaello, for­ se tuttavia eseguiti da Johannes Ruysch, che viene pagato per alcuni dipinti nelle Stanze insieme al Sodoma, e pare aver collaborato con lo stesso Sodoma per le grottesche delle nervature25. Sembra che lo stemma papale abbia rischiato di cadere e frantumarsi nella sala e che, dopo l’elezione di Giulio ii, Dio abbia incaricato gli angioletti di trattenerlo e fissarlo con delle corde, come fanno nel bozzetto per la Disputa – evidentemente un’allusione al pericolo in cui si trovava la Curia sotto Alessandro vi. Si tratta dello stemma di Niccolò v, con le chiavi sormonta­ te dalla tiara, che torna anche nel pavimento cosmatesco della Stanza. Niccolò era ligure come Giulio, e con lo

stemma aveva dimostrato di porre il proprio ufficio al di sopra della gloria personale, quindi Giulio poteva anche riferirlo al papato in generale e a se stesso. La Disputa e la Scuola di Atene

3-4

I primi bozzetti per la Disputa Già Raffaello sembra aver considerato i suoi progetti per la Disputa come documenti dei suoi inizi romani e quindi degni di essere conservati. I primi due misurano circa 23 x 40 cm e sono realizzati a penna, acquerellati e lumeggiati in bianco, come quelli del 1508, una tecni­ ca che non richiedeva molto tempo e dava una visione di insieme. Nei contrasti del chiaroscuro e nei gesti, i personaggi ricordano immediatamente l’Adorazione dei Magi che Leonardo aveva lasciato incompiuta a Firenze nel 1506. Nei primi due disegni, che facevano parte dello stesso foglio e vanno visti insieme, Raffaello si concentra sulle figure essenziali. La zona del cielo è delimitata da un’ar­ cata che corrisponde a quella dell’affresco. Nell’aureola, nel Cristo e nella Madonna in preghiera, Raffaello segue

in modo ancora più preciso che a San Severo il Giudizio universale di Fra Bartolomeo26. Fra gli altri cinque perso­ naggi che si trovano sul banco di nuvole superiore sono presenti il Battista, che indica Gesù, e un’altra donna. Nel concavo registro inferiore, simile a un’esedra, siedono – più vicini e più grandi di Cristo – i quattro evangelisti, e fra loro Pietro e Paolo – più lontani e meno grandi. Que­ sti gruppi sono ancora più isolati di quanto lo siano poi nell’affresco. Sotto troneggiano i quattro Padri della Chiesa: dietro, papa Gregorio Magno, fondatore del rito ecclesiastico e del­ la teologia, e il cardinale Girolamo, che traduce la Bibbia in latino, e davanti a loro, di spalle e con gli occhi rivolti al cielo, i due vescovi Agostino e Ambrogio, autori della Città di Dio e degli Inni. Fra i presenti, si trovano un monaco con un libro, forse Tommaso d’Aquino, e Dante che guarda Girola­ mo dall’alto. Dante aveva, infatti, rappresentato l’ordine ce­ leste in modo più incisivo e vivace degli autori che lo aveva­ no preceduto e si era già guadagnato un posto nello Studiolo di Urbino fra coloro che conoscevano intimamente le cose divine27. La Divina Commedia era particolarmente apprez­ zata dai francescani, mentre veniva criticata dai domenicani, più ferrati dal punto di vista teologico. Nei bozzetti mancano

26a-b, 30a-b

3

17

2-3

10-11


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

4. Raffaello, primo progetto per la Disputa, 1509 (Chantilly, Musée Condé, F.R. (55) 45).

5

non solo la Trinità, i quattro Vangeli e l’altare con il Sacra­ mento dell’affresco, ma anche i due bordi, ognuno dei quali copre la larghezza di circa un quarto della zona inferiore, e la colonna posteriore del portale non è ancora visibile. Raffaello trova la soluzione per il margine solo sul fo­ glio di Windsor28. Così come nei successivi disegni com­ positivi per la Disputa, lì Raffaello si limita alla metà di sinistra e scagliona in profondità i personaggi verso il centro. Soltanto dopo aver risolto la metà di sinistra e il centro, egli avrebbe ampliato in modo equilibrato anche la metà di destra. Fin dai tempi antichi, gli europei avevano scritto da si­ nistra verso destra, e gli artisti avevano adottato nei loro quadri il medesimo senso di lettura, a partire da sinistra, per poi ridurre lo slancio verso destra: così anche Raffael­ lo, già nella Libreria Piccolomini, fa muovere la storia di Enea Silvio da sinistra verso destra. Al margine sinistro, Gabriele, sospeso su una nuvola, introduce la scena mentre in cielo si librano altri arcan­ geli. La riunione si svolge ora su una terrazza che è pro­ tetta da una balaustra e dietro la quale si stende la valle del Tevere. Gabriele indica, con un leonardesco indice alzato, le insegne papali che due angioletti applicano alla

18

colonna anteriore di un portale a forma di arco di trionfo. Di sicuro doveva essere lo stemma di Giulio ii, il neoelet­ to padrone del palazzo e presunto ospite del venerando circolo. Sul retro dello studio per un personaggio della Scuola di Atene, quindi in un momento in cui il bozzetto non era ancora stato scartato, Raffaello disegna il portale del palazzo in modo ancora più preciso29. Due colonne trionfali di ordine corinzio spiccano in un colonnato dori­ co, dietro il quale si apre il vero e proprio arco del portale. I tre angeli e lo stemma papale alludono evidentemente alla profezia di Amadeo de Silva, il confessore di Sisto iv, morto nel 1481 e priore dei francescani osservanti di San Pietro in Montorio. Nella sua Apocalypsis Nova racconta di come gli sia apparso Gabriele annunciando l’imminen­ te elezione di un «pastor angelicus»30. Quel papa avrebbe riformato la Chiesa e convertito i non credenti. Il libro venne trovato nel 1502 nella grotta di Amadeo a San Pie­ tro in Montorio e poi nella chiesa aperto e letto dal cardi­ nale Carvajal, dall’erudito francescano Juraj Dragiši/ e da altri francescani, e Giulio deve avere riferito questa profe­ zia a se stesso quando venne eletto nell’autunno del 1503. Juraj Dragiši/ (1446/48-1520) era già stato scoperto dal cardinale Bessarione che gli aveva dato il nome ita­

5. Raffaello, primo progetto per la Disputa, 1509 (Windsor Castle, Royal Library n. 127312).

6. Raffaello, studio da modella per la Teologia e il Parnaso, 1509 (London, Collezione Norman Colville).

liano di Giorgio Benigno31. Intorno al 1471, il giovane teologo dedica a Bessarione la stesura di un dialogo che questi ha avuto con Francesco della Rovere. Non mol­ to tempo dopo, viene conosciuto per altri scritti ispirati al neoplatonismo fiorentino. Conosce Amadeo de Silva personalmente, e ammira e interpreta la sua Apocalypsis Nova, molto discussa. Dal 1500 va a vivere nel convento francescano dei SS. Apostoli di Roma, costruito da Giu­ liano della Rovere dietro il suo palazzo. Nel 1506 Giulio sostiene sicuramente la sua nomina a professore di teolo­ gia e filosofia presso la Sapienza di Roma e, nel 1507, lo nomina vescovo di Cagli. Nel 1509 Benigno accompagna Carvajal dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo come persona esperta e pratica dei luoghi. Egli difende Fran­ cesco Maria della Rovere, il nipote di Giulio e duca di Urbino, che aveva ucciso il legato bolognese Francesco Alidosi e, in seguito a questo episodio, nel 1512 viene no­ minato vescovo di Nazareth. Presumibilmente assistette Raffaello nel programma poco convenzionale del disegno di Windsor, e questo può essere avvenuto soltanto grazie a una stretta intesa con Giulio, che aveva interferito an­ che nei progetti per San Pietro, per la sua tomba e per la Cappella Sistina32.

Raffaello porta questa prima fase dei bozzetti fino allo studio del nudo e, forse, fino a quello per il Cristo, dise­ gnato con la stessa tecnica33. I bozzetti preparatori dell’af­ fresco sono invece tanto maturi che non possono essere stati disegnati nello stesso periodo. Il tondo della Teologia A quanto riferisce Vasari, nella Stanza della Segnatu­ ra Raffaello avrebbe cominciato una scena dove i teologi accordano la filosofia e l’astrologia con la teologia e de­ scrive poi, confuso nel ricordo, come primo affresco la Scuola di Atene34. Ancora prima della versione definitiva della Disputa, e prima della Scuola di Atene, Raffaello sembra aver creato il tondo della Teologia35. Gli angeli della Teologia portano tavole con la scritta divinarum rerum notitia e, in effetti, nella Disputa e nei bozzetti preparatori sono rappresenta­ ti eruditi delle cose divine36. Raffaello coinvolge il Sodo­ ma almeno nell’esecuzione dei due putti37. La Teologia non è comunque ancora sullo stesso piano stilistico delle altre allegorie e degli scomparti diagonali della volta, della Scuola di Atene e della Disputa38. Quando Raffaello la dipinse, era forse sicuro soltanto della com­

19

12-13


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

7. Cristoforo di Giovanni Matteo Foppa, detto “Caradosso”, Medaglia con ritratto di Donato Bramante, 1505-1506 circa (Milano, Civico Gabinetto Numismatico e Medagliere).

mittenza per la Disputa e per il relativo tondo. All’incirca nello stesso periodo dipinse anche l’arcata che incornicia la Disputa. Raffaello comincia quindi l’affresco sulla pa­ rete ovest delle Stanze, ma interrompe poi il lavoro per cambiarne il programma e la composizione.

4-5

3

5

La Scuola di Atene L’affresco tratta del pensiero causale, la causarum rerum cognitio, come è scritto sulle tavole dell’allegoria relativa nella volta. Platone e Aristotele, che avevano promosso il pensiero causale, stanno uscendo dal tempio e si stanno avvicinando alla sua larga scalinata39. Nelle nicchie dei pi­ lastri che fiancheggiano l’ingresso del tempio compaiono le statue di Apollo e Atena. Anche i rilievi mitologici collocati sotto le due divinità protettrici delle scienze e arti sono pa­ gani, così come le numerose statue nelle nicchie dei bracci della croce rappresentano probabilmente dèi pagani. Platone e Aristotele campeggiano al centro della fila isocefala dei filosofi e dominano la scena dalla vetta del­ la piramide di figure che sale da ambedue i lati. Platone stringe sotto il braccio il Timeo, in cui descrive la Crea­ zione come opera di un unico demiurgo che, come nella Cappella Chigi, è superiore a tutti gli altri dèi e a cui è de­ dicato il tempio. Nel suo Heptaplus Pico della Mirandola, uno dei protagonisti del Neoplatonismo fiorentino, defi­ nisce Platone addirittura «il Mosè greco». A differenza del Mosè della Genesi, il Platone del Timeo parla della na­ scita dell’universo con la razionalità del pensiero causale e parte dal principio logico secondo cui tutto nasce neces­ sariamente da una causa. Il suo pensiero si fonda sulla ma­ tematica, perciò gli angoli inferiori della piramide umana sono rappresentati dalle figure di Pitagora e di Euclide40. Questi ultimi sono quindi i vertici inferiori di un triangolo ideale che culmina con Platone e Aristotele, che formano il vertice superiore. La maggior parte degli altri perso­ naggi stabilisce uno stretto rapporto con questi tre vertici della scena piramidale e nessun’altra disciplina assume nell’affresco di Raffaello un’importanza paragonabile. Per Platone la perfezione dell’universo è l’archetipo dell’anima umana, a cui allude anche il suo mantello rosso. Il fuoco, infatti, è uno dei quattro elementi dell’universo, di cui si parla nel Timeo e di cui è intessuta la veste delle allegorie nella volta. Il Platone dell’affresco, come illumi­ nato poco prima dalla radiosa cupola del tempio, punta l’indice in alto, verso il regno delle idee e delle anime, identificato dai neoplatonici fiorentini con l’Aldilà cristia­ no. Egli solleva il dito come il San Giovanni di Leonardo e come l’arcangelo Gabriele nel disegno di Windsor per la

20

Disputa, per ricordare l’immortalità dell’anima e prepa­ rare così l’avvento della religione cristiana. Per Platone la bellezza terrestre rispecchia quella divina e i neoplatonici fiorentini interpretavano la bellezza terrestre come dono di Dio, perciò la sua venerazione era perfino un dovere religioso e una ragione per proteggere gli artisti dal fana­ tismo di asceti aggressivi. Essi trovavano il sommo della bellezza terrestre in giovani maschi che nell’affresco sono rappresentati dagli allievi. Aristotele è molto più giovane di Platone ed è reso con barba e cappelli folti, simile ai busti antichi del filosofo. Egli rivolge sia la mano destra sia la sinistra, con cui sostiene l’Etica Nicomachea sulla coscia, verso gli eruditi al di sotto di lui e quindi verso la vita presente. Questo gesto provo­ ca lo sguardo imperativo e di leggera disapprovazione di Platone. Benché anche Aristotele sia un profondo conosci­ tore dell’universo e delle sue leggi matematiche e benché abbia sviluppato il pensiero causale andando oltre Platone e sostituendo l’idea platonica con un concetto meno meta­ fisico, nella sua Etica egli parla della beatitudine terrestre, della giustizia e del comportamento retto, della ragione e della salute, dell’amicizia e dell’amore. Il programma non si concentra quindi solo sulla Genesi e sul regno delle idee, ma anche sulla vita felice e, infatti, un’atmosfera di beati­ tudine permea tutto l’affresco. Uno degli allievi di Platone cinge perfino le spalle del suo vicino con il braccio. Il blu del mantello di Aristotele e il verde della sua tu­ nica sono gli stessi colori che rappresentano l’Aria e la Terra sulla veste variopinta dell’allegoria della Filosofia nella volta. Aristotele completa e corregge il maestro ma non lo esclude e gli allievi e gli epigoni attendono l’arrivo di entrambi con la stessa riverenza. Anche gli altri personaggi sono giunti alle loro attività scientifiche provenendo dallo stesso tempio, ormai com­ pletamente vuoto. Sullo stesso livello, seppur in posizione meno centrale, è visibile Socrate, col celebre profilo da sa­ tiro, mentre discute con altri personaggi. Egli compare a sinistra, dalla parte di Platone, a cui si credeva che aves­ se insegnato la dottrina delle idee. Il verde della sua veste ricorda ancora il colore simbolico della Terra sulla veste dell’allegoria della volta. Socrate illustra qui la sua filosofia, caratterizzata dell’esperienza dell’Eros Uranio, al bellissi­ mo Alcibiade, che supera tutti in avvenenza; egli indossa già l’armatura del futuro stratega e piega la mano sul fianco nel gesto autoritario del gran capitano. Socrate dimostra il suo metodo dialettico enumerando con le dita le pro­ prie argomentazioni. Da sinistra uno dei suoi interlocutori sembra sollecitare ulteriori argomenti di discussione.

8

Diversamente da Socrate, il personaggio con i capelli grigi all’estrema destra è isolato e, al contrario di Plato­ ne, ha lo sguardo e l’indice rivolti in basso. Il rosso della sua veste è ancor più scuro e acceso. Si tratta sicuramente di Democrito, per il quale l’anima è ignea, ma composta dagli stessi atomi del corpo, quindi altrettanto effimera, eppure il papa non gli nega un posto nel livello superiore della scena. Egli punta anche il globo stellato di Zoroa­ stro e il globo terrestre di Tolomeo. Anche Democrito di­ pinto dal giovane Bramante in Casa Panigarola a Milano osserva il globo terrestre e anche Rubens, come Raffael­ lo, rappresenterà Democrito con i capelli grigi e la veste rosso sangue. Accanto a Democrito è visibile un filosofo ascetico che si poggia su un piedistallo del tempio e detta qualcosa a un giovane. Più in basso, Alessandro di Ma­ cedonia, in veste verde e mantello bianco, sale, anche in senso metaforico, verso il suo futuro maestro Aristotele che gli indica un uomo vestito di azzurro e viola, forse Leonida o Lisimaco, uno dei suoi primi maestri. L’ombra di Alessandro cade sul discinto Diogene il Cinico, che si è sdraiato due gradini sotto gli altri filosofi e desidera solo che il giovane si sposti per ricevere la luce del sole, che proviene da destra in alto. Tutti gli eruditi delle scienze naturali si sono riuniti in primo piano e quattro gradini al di sotto dei filoso­ fi. Sotto Apollo, dio di tutte le scienze e delle arti, che

stringe la lira a sette corde della scala musicale, è semin­ ginocchiato su un blocco di marmo Pitagora, il capo degli aritmetici41. Platone fa riferimento alle teorie di Pitagora nel Timeo e anche Aristotele parla del suo in­ flusso su Platone stesso. Pitagora sta apparentemente scrivendo un commento sulle armonie disegnate sulla lavagna sorretta davanti a lui da un giovane allievo. Si tratta dei rapporti fra cifre piccole, sui quali si fondano gli intervalli di quarta, di quinta e di ottava, e l’armo­ nia delle sfere, e di tali rapporti si servivano non solo i musici ma anche gli artisti. Un uomo orientale, forse Averroè, a cui dobbiamo la conoscenza della matema­ tica antica, si sporge da dietro le spalle di Pitagora per studiare attentamente ciò che scrive. Il vecchio accan­ to a Pitagora, che potrebbe sembrare un suo gemello, sembra intento a copiare il suo testo. Sulla destra, un altro personaggio, con il piede sinistro su un blocco di marmo, indica con piglio sicuro un libro aperto, posato sulla coscia. Nell’angolo è installato un alto piedistallo con una base e, quando nell’estate del 1511 Raffaello aggiunge la figura di Michelangelo a destra del gruppo, la colloca davanti alla più grande delle pietre sgrossate visibili solo in questa parte dell’affresco. Forse le loro proporzioni corrispondono alle armonie pitagoriche e forse sono destinate a un’altra struttura: così come le architetture della Disputa, anche l’edificio delle scienze sarebbe ancora in costruzione. Nella nicchia destra del tempio, Atena, dea protettri­ ce della geometria e dell’astrologia42, veglia su Euclide, al centro del gruppo più intimo di tutto l’affresco. Col­ locato fra Tolomeo e Zoroastro, egli si piega su una lava­ gna che somiglia a quella di Pitagora. Euclide sta usando un compasso, analogo all’Euclide dello Studiolo di Ur­ bino, con il quale spiega i due triangoli sovrapposti, che seguono esattamente la descrizione nel Timeo (cap. 20) e secondo Platone sono alla base dell’universo: ambedue hanno un angolo retto e la stessa altezza, ma solo uno dei due ha angoli acuti uguali. I discepoli androgini si stringono intorno al loro mae­ stro ancor più di quanto non facciano i giovani allievi dei filosofi e di Pitagora e reagiscono con entusiasmo alla sua dimostrazione. Le loro teste formano con quella del maestro un cerchio ideale, dal centro del quale guarda il quarto discepolo che, avendo compreso la dimostrazio­ ne di Euclide, rivolge lo sguardo alla sfera dell’universo stellato sorretta con la destra da Zoroastro, la cui strut­ tura è basata su questi triangoli, come lo è anche l’ango­ lo retto della piramide di figure dell’affresco.

21

9


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

8. Piero di Cosimo, Giuliano da Sangallo, 1510-1513 (Amsterdam, Rijksmuseum).

7

Già nel cartone preparatorio, Raffaello presta a Eucli­ de i tratti di Bramante, che egli ammirava e riconosceva come maestro similmente carismatico e sapiente in geo­ metria43. Egli dimostra di riconoscersi in lui apponendo la firma «R(aphael) U(rbina)s» sull’orlo superiore della sua veste, aggiungendo la lettera «M» e una «A» incrociata con una «V» e ripetendo quattro volte il numero romano «I». Probabilmente si sta così indicando il 1509, anno in cui Raffaello era diventato allievo di Bramante e aveva ini­ ziato questo affresco44. Tolomeo tiene un globo, sebbene credesse ancora la Terra un disco piatto, ma l’allievo ribelle di Euclide, iden­ tificato con il re che portava lo stesso nome, rappresenta qui lo stato delle conoscenze geografiche dell’epoca. Vi sono raffigurate parti dell’Africa e dell’Asia dove il geo­ grafo viveva e, meno vicina, l’Europa. Come nei disegni per la Disputa, Raffaello lascia gli an­ goli laterali del cartone ancora vuoti e solo nell’affresco si colloca accanto a Euclide e agli studiosi dei corpi celesti ai quali si sente più vicino che non ai matematici. Si limita ad

22

autorappresentarsi ancora in ruolo marginale, in un sem­ plice abito della propria epoca ma, servendosi dell’auto­ ritratto oggi agli Uffizi, si presenta come uno degli allievi più belli. Diversamente dagli autoritratti negli affreschi di Signorelli o Sodoma, egli è parte integrante e significativa dell’assemblea. Accanto a lui, in piedi, c’è probabilmente Giuliano da Sangallo, che non poteva mancare in questa cerchia: era stato architetto di Giuliano della Rovere, poi posto dal papa alle dipendenze di Bramante45. Nel ritratto dipinto da Piero di Cosimo, Giuliano appare meno ani­ mato, ma molto più signorile. Come l’universo di Platone, anche l’architettura del tem­ pio in fondo è costruita attraverso figure geometriche pure e rapporti numerici. Raffaello non imita una Stoà, come sembrerebbe dall’attuale titolo di Scuola di Atene, concepi­ to molto dopo l’affresco, ma offre una variante del progetto centralizzato di Bramante per la basilica di San Pietro. Tale progetto doveva essere immagine dell’universo, come la cupola della Cappella Chigi e il Pantheon, con le sue statue delle divinità planetarie e un posto vuoto per il dio ignoto. La cupola è però sospesa sopra i quattro bracci della croce e aperta su tutti i lati alla luce, come voleva la religiosità del tempo. Raffaello rinuncia invece, per motivi compositivi, a impostare i larghi pennacchi della cupola su pilastri smus­ sati, come quelli di San Pietro e della Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. Come altre architetture dipinte, anche questo tempio, con un’altezza interna dei bracci della croce di circa quat­ tro figure e quindi non più di sette metri, è piccolo, ep­ pure riesce a dare una sensazione di monumentalità e di spazio, tanto più che tutti i bracci della croce sono aperti verso il cielo. Preannunciando i primi edifici di Raffaello, paraste binate di ordine dorico con fregio senza triglifi si alternano con le nicchie e scandiscono le pareti ermetica­ mente chiuse anche del fronte esterno. All’arcata centrale di quest’ultimo, che avrebbe dovuto essere largo almeno quanto i bracci del transetto, sono anteposti pilastri qua­ drati che non proseguono in una volta. Sul cartone preparatorio manca il tempio, ma viene anticipato dalle figure, che solo nel centro del livello su­ periore si proiettano in profondità. Negli schizzi del car­ tone, Raffaello considera anche di chiudere il posteriore braccio della croce con un’esedra anfiteatrale, simile a quella del Cortile del Belvedere e all’abside della chiesa di Hagia Irene a Istanbul. Poi apre però l’interno su un arco trionfale che contraddistingue solo Platone e Aristo­ tele. Anche il tempio enfatizza la gerarchia delle figure e il suo arco anteriore incornicia solo i filosofi più eminenti.

8 4

10

9. Raffaello, studio per il gruppo di Pitagora della Scuola di Atene, 1509 (Wien, Albertina, 4483).

10. Leonardo, Autoritratto, 1515 circa (Biblioteca Reale, Torino).

Già all’inizio del suo soggiorno romano, Raffaello di­ mostra di aver compreso il linguaggio di Bramante meglio e prima di altri e, quando pone se stesso accanto alla figu­ ra di Euclide-Bramante, deve aver pensato non solo al suo ruolo di pittore-architetto, ma anche alla prospettiva di succedere a Bramante come architetto papale. Quest’ul­ timo, comunque, deve essere stato felice di aver trovato un così grande allievo, capace di difendere in tale luogo e in modo così suggestivo il suo progetto rifiutato di chiesa centralizzata per San Pietro. Più si penetra in profondità nell’affresco, più risulta evidente ciò che risale allo stesso Raffaello, ciò che gli interessa e ciò a cui rinuncia. A differenza dello Studio­ lo di Urbino, nell’affresco non è riconoscibile inequivo­ cabilmente alcun filosofo o erudito della Roma antica o della propria epoca. Già sul cartone, Raffaello identifica Euclide con Bramante e fa compiere a Platone un gesto leonardesco. Nell’affresco Platone è più grigio, calvo e notevolmente più anziano e anche la sua fisionomia ri­ corda, non a caso, l’autoritratto che Leonardo disegnerà qualche anno dopo. Anche Leonardo aveva calcolato le dimensioni dei corpi e dimostrato il teorema di Pitagora e, negli anni trascorsi insieme a Firenze, aveva sicuramen­ te insegnato a Raffaello alcuni dei suoi segreti filosofici. Né il papa né i presumibili consiglieri umanistici di Raf­ faello si sarebbero votati così univocamente alla matema­ tica quale fondamento del pensiero causale, come invece fa Leonardo in queste sue parole: «Nessuna certezza è

dove non si può applicare una delle scienze matematiche over che non sono unite con esse matematiche»46. Sembra quindi che Raffaello non segua un program­ ma prestabilito da altri, ma interpreti Platone e Aristotele attraverso il filtro del pensiero leonardesco, alla cui com­ prensione potrebbe aver contribuito Bramante, amico di Leonardo. È l’interpretazione dell’artista-architetto che cerca di servirsi delle leggi della natura per le proprie cre­ azioni, padroneggiando i numeri o le figure geometriche pure, come il cerchio, il triangolo, il quadrato o il poligono, così importanti già in opere precedenti di Raffaello come lo Sposalizio della Vergine. Il papa gli lascia carta bianca e accetta anche l’identificazione di due protagonisti dell’af­ fresco con artisti viventi, e nell’estate del 1511 gli ordina addirittura di aggiungere la figura di Michelangelo, benché sia tutt’altro che un matematico. Raffaello comprende Platone, Pitagora ed Euclide at­ traverso Leonardo e Bramante e ha bisogno di questa esperienza personale per dare vita ed espressione auten­ tica ai suoi eroi antichi. Egli celebra, infatti, non tanto i risultati del pensiero e delle ricerche quanto gli uomini stessi che li hanno prodotti, come anche i loro allievi che dovranno continuare questa grande tradizione. Raffaello segue prototipi antichi solo in certi dettagli, come è evi­ dente confrontando le figure della Scuola di Atene con quelle dal 1512 in poi. Egli evoca però la vita antica e per farlo, e anche per comprendere il Timeo e tutti gli eruditi dell’affresco, aveva bisogno di aiuto.

9

23

7


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

11. Raffaello, Ritratto di Federico Gonzaga, dettaglio, 1513-1514 (già Cracovia, collezione Czartoryski).

Raffaello era cresciuto alla corte di Urbino, frequentata dall’élite intellettuale e artistica italiana, dove suo padre Giovanni lavorava come pittore e poeta. Se egli non aves­ se avuto una valida formazione di latino e di studi umani­ stici, difficilmente Giulio avrebbe nominato lui e non Mi­ chelangelo Scriptor Apostolicus dopo che nell’estate 1511 avevano presentato i loro affreschi. A Roma Raffaello apparteneva a una raffinata cerchia di prìncipi della Chiesa, teologi, umanisti e artisti, come non si era mai vista neanche a Firenze. Grazie a questa esperienza del tutto nuova e alla sua passione intellettua­ le, il ventiseienne poté rievocare la comunità dei sapienti e dei loro discepoli in modo talmente efficace che ancora oggi la Scuola di Atene è una delle opere più celebri di tutta la storia dell’arte. Il suo più importante consigliere sembra essere stato Tommaso Inghirami (1470-1516), suo amico stretto47. Questi era stato allievo di Pomponio Leto che aveva pregato gli dei pagani, e si era distinto come umanista, retore, poeta, attore e regista di tragedie e commedie an­ tiche. Nel 1505 Giulio l’aveva nominato capo della Bi­ blioteca Vaticana e gli aveva probabilmente affidato an­ che la sua biblioteca privata. La sua figura manca ancora nel cartone, ma già allora Raffaello potrebbe avergli ri­ servato un posto nel margine sinistro che corrispondeva proprio a quello a destra. Inghirami è uno dei pochi che il Sanzio ha ritratto più volte: sia nel dipinto conservato a Palazzo Pitti sia sull’arazzo con la Predica di san Paolo. Egli compare nell’affresco vestito d’azzurro, mentre si dedica a un libro posto non per caso sulla base attica e il piedistallo antico. Inghirami non era un matematico, ma meritava il suo posto vicino a Pitagora possibilmen­ te per la sua conoscenza del commento di Macrobio al Somnium Scipionis, in cui Cicerone parla anche delle ar­ monie delle sfere e segue probabilmente le teorie cosmo­ goniche di Pitagora stesso. Infatti, nel 1493 Inghirami aveva scoperto, tra tanti altri testi antichi, una copia di quell’opera nel monastero di Bobbio vicino a Piacenza48. Il suo libro è quindi forse il Somnium Scipionis dell’am­ mirato Cicerone. Egli è l’unica figura dell’affresco a es­ sere incoronata, come un seguace di Bacco, da foglie di vite, che forse alludono a Orfeo e agli orfici, seguaci del­ le teorie di Pitagora e sostenitori della trasmigrazione dell’anima49, a cui potrebbe aver pensato anche Raffaello quando dipinse Leonardo e Bramante come reincarna­ zioni, rispettivamente, di Platone ed Euclide. Un putto sostiene il libro per permettere la lettura a un compagno di Inghirami, a sua volta osservato da un vecchio barbu­

24

to. Nei suoi famosi spettacoli, Inghirami si serviva anche di attori bambini e forse per questo Raffaello gli affianca un ragazzino ricciuto, che ci guarda come se fosse un ritratto. Non è neppure escluso che il grande regista ab­ bia assistito Raffaello nella messa in scena dell’affresco. Più della filosofia, Inghirami amava la retorica, che egli stesso potrebbe rappresentare nell’affresco, nel caso in cui Raffaello abbia pensato anche alle sette arti liberali. Tuttavia, mancherebbe un rappresentante riconoscibile della grammatica. Come poeta, comunque, Inghirami stabilisce un collegamento con i poeti delle tragedie e commedie dell’adiacente affresco del Parnaso. Platone, nei suoi Dialoghi, parla del significato recipro­ co assunto da un vero maestro e da un vero discepolo. Raffaello aveva sperimentato personalmente questo signi­ ficato nella cerchia di Leonardo e Bramante e ben presto egli stesso avrebbe attratto una schiera di allievi. Infatti, egli rappresenta questo rapporto, fondamentale per qual­ siasi grande civiltà, nei tre punti focali dell’affresco dove, accanto a Platone e Aristotele, anche Pitagora ed Euclide raccolgono intorno a sé una cerchia di discepoli. Questa dimensione eminentemente didattica, ma an­ che erotica nel senso dell’Eros Uranio di Platone, mette la Scuola di Atene in relazione con l’epoca classica della Grecia e si differenzia in modo sostanziale dalle prece­ denti opere rinascimentali, persino dalle prime bozze per la Disputa. Le tendenze omoerotiche di Donatello, Leo­ nardo, Michelangelo e Sodoma sono inconfondibili anche nella loro arte, mentre della passione di Raffaello per le donne non si può dubitare. Neanche nell’Ultima Cena di Leonardo, tuttavia, il rapporto fra maestro e discepolo è paragonabile a quello che sussiste nella Scuola di Atene. Le notizie sull’omosessualità di Giulio ii sono troppo affidabili e numerose per essere solo frutto di maldicen­ ze50 e, non a caso, anche nelle opere create per lui da Mi­ chelangelo e Raffaello, compaiono con un ruolo insoli­ to incantevoli giovinetti e fanciulli. Egli amava in modo particolare Federico Gonzaga, il figlio di Isabella d’Este e futuro duca di Mantova che decenne arriva a Roma nel luglio 1510 come ostaggio51. Vasari lo riconoscerà in uno dei discepoli di Euclide, ma la sua fisionomia è molto più simile a quella del fanciullo vestito di bianco dietro a Pi­ tagora. Sul cartone questa somiglianza non è ancora così marcata. Se davvero Federico fosse ritratto nell’affresco, ciò significherebbe che Raffaello non completò l’opera prima dell’estate del 1510. Il papa chiese a Raffaello di ritrarre Federico nuovamente poco prima di morire, forse nel dipinto di Cracovia52.

Raffaello evoca il rapporto platonico di maestro e al­ lievo dell’antica età dell’oro, che proprio in questi anni raggiunge l’acme della sua rinascita. Sotto la guida di Platone e Aristotele, gli eruditi e gli allievi, da Zoroastro e Pitagora fino a Raffaello e Inghirami, sono riuniti in un’affettuosa comunità, come se non fossero separati da millenni e secoli di storia. Come nei quadri religiosi, tem­ po e luogo sono tutt’uno. Ognuno è assorto nei propri pensieri, assorbito dalla didattica e dall’insegnamento, eppure tutte le figure sono in stretto rapporto. Raffaello fu capace di una visione così utopica solo all’inizio dei suoi anni romani, quando era sopraffatto dalle nuove impressioni e dalle prospettive e non conosceva ancora bene la fragile morale della Curia, che i papi non riu­ scirono a cambiare o che addirittura peggiorarono e che interferì perfino nelle sue attività. In tutto il periodo in cui Raffaello dipinge nella Stanza della Segnatura, egli vive muro a muro con il papa, che si interessa con passione all’arte e, in particolare, ai progres­ si delle proprie committenze. Già nel 1505 Giulio aveva fatto collegare con un ponte di legno il corridoio che con­

6

11

duce dal Vaticano a Castel Sant’Angelo con la bottega di Michelangelo in Borgo, così da potergli far visita in qual­ siasi momento, senza la fatica di tante scale53. Raffaello, che lavorava nello studiolo del papa, deve aver ricevuto simili visite molto più spesso e molto più volentieri del suo collerico rivale. Nella Scuola di Atene egli va molto oltre i primi pro­ getti per la Disputa, ma non arriva ancora alla complessi­ tà dell’affresco di fronte, la cui composizione già le cor­ risponde. Appena l’incarico di affrescare l’intera Stanza fu sicuro, Raffaello cominciò subito a cercare uno sche­ ma compositivo che si adattasse a entrambe le pareti e creasse l’equilibro dell’intero contesto che gli stava tanto a cuore. Iniziò con la Scuola di Atene: un soggetto com­ pletamente nuovo, con tante figure in rapporto stretta­ mente gerarchico che forse era capace di affascinarlo ancor più dell’assemblea dei teologi della Disputa. Anche il linguaggio della Disputa sembra ancora più maturo di quello della Scuola di Atene. Sia il forte chia­ roscuro del cartone sia lo studio per il vecchio accanto a Pitagora e lo stupore e l’entusiasmo degli allievi di Eu­ clide sono ancora similmente ispirati all’Adorazione di Leonardo, come i primi disegni per la Disputa e molto più rispetto all’affresco di fronte54. Gli allievi dei filosofi al centro della piattaforma superiore sono ancora meno corporei e più densamente scaglionati rispetto alle figure della Disputa; i gesti e le fisionomie dei personaggi sono ancora meno vivaci e movimentati, i singoli colori distri­ buiti con più equilibrio sulle singole figure e le corrispon­ denze giallo-blu ancora meno dominanti. La prospettiva centrale penetra le parallele della sca­ linata e della fila isocefala dei filosofi e conduce l’occhio attraverso l’interno del tempio fino all’arco trionfale – in maniera più continua e dinamica rispetto agli altri affre­ schi delle Stanze e in questo ricorda ancora lo Sposalizio della Vergine. L’occhio sale da entrambi i vicini gruppi angolari, ma allo stesso tempo la composizione termina nella cerchia di Euclide e nel suo intenso giallo-rosso. Entrando nella Stanza della Segnatura, si intuisce che la parte sinistra della Disputa apre il ciclo dei quattro affre­ schi e che, per questo motivo, la sua composizione è meno simmetrica non solo della Scuola di Atene, ma anche del successivo Parnaso. La preparazione della Scuola di Atene deve aver richie­ sto molti mesi e forse Raffaello cominciò l’affresco solo nella seconda metà del 1509. Come era usanza nella tecni­ ca dell’affresco, egli deve aver iniziato dipingendo la metà superiore e la complessa prospettiva del tempio, per poi

25

4, 10

3-5, 9


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

12. Raffaello, studio di composizione per la Disputa, 1509 (Paris, Louvre, inv. 3684).

dedicarsi alla fila superiore delle figure. Se il gruppo di Euclide risalga ancora al 1509, come suggerisce la firma sul suo vestito, e se il giovane in bianco rappresenti dav­ vero Federico Gonzaga, il che sarebbe impossibile prima dell’estate del 1510, restano problemi aperti.

12

La Disputa Nei quattro studi di composizione giunti a noi che preparano l’affresco della Disputa, Raffaello si concen­ tra non solo sulla zona terrena ma, come nel disegno di Windsor, sulla metà sinistra. Già nel primo, uno studio dal nudo, con cui conclude una fase di progettazione, egli risponde alla Scuola di Atene55. Aumenta il nume­ ro delle figure rispetto ai disegni precedenti e, come gli allievi di Platone e Aristotele, Agostino e Ambrogio siedono di fronte a Gregorio e Girolamo. I tre giova­ ni inginocchiati corrispondono agli allievi della Scuola di Atene e la figura vista di spalle al re Alessandro. Si sente già che le quattro figure a sinistra, che si stanno meravigliando e discutono sui grandi teologi, devono introdurre l’osservatore nell’affresco.

26

13. Raffaello, studio di composizione per la Disputa, 1509 (Wien, Albertina, inv. 224).

Raffaello non ne è ancora soddisfatto, inserisce nei due successivi studi, senz’altro con il consenso del papa, l’altare e il sacramento per creare un vero centro della composizione e avvicina a questo il concavo banco delle nuvole con lo Spirito Santo56. La figura vista di spalle sta diventando un protagonista salendo sulla piattaforma dei Padri della Chiesa e, come l’Alessandro di fronte, è il mediatore tra i gruppi che si uniscono anche nelle figure di fondo. Il margine sinistro rimane ancora aperto, come è anche nella bozza più matura, dove l’uomo visibile di spalle si è avvicinato a Gregorio e l’arcangelo Gabriele è sceso dalla nuvola del disegno di Windsor e indica e si muove verso l’altare57. Con queste due figure Raffaello comincia la serie che guida l’occhio nell’intero ciclo dei quattro affreschi e con ogni nuova figura cresce anche il significato. Per comporre in modo libero la parte sinistra, egli con­ centra la maggior parte dei grandi dignitari nella metà destra dell’affresco. Conseguentemente, le due metà si distinguono ancora di più che nella Scuola di Atene e,

13, 16

13

come in questa, gli angoli rimangono riservati a figure di carattere più personale. A piedi nudi e con una lunga veste azzurro viola, Bra­ mante stesso, e non più la personificazione di un antico erudito come nell’Euclide, si appoggia alla ringhiera. In­ dica con sguardo interrogativo una pagina del libro su cui si sta arrovellando, forse la Divina Commedia di cui era interprete stimato. Il giovane con la veste giallo bru­ nastra, in copricapo azzurro e sandali, evidentemente è Raffaello, qui molto più vicino al suo maestro e più attivo che nella parete di fronte. Si china verso di lui, lancia uno sguardo curioso da sopra le spalle e indica il testo che su­ scita i dubbi di Bramante. La perplessità di quest’ultimo si è comunicata anche al barbuto alla sua destra, che la rimanda all’angelo la cui presenza è confermata non solo dalla similitudine con l’angelo del disegno di Windsor, ma dal fatto che nell’affresco si vedono solo sei arcangeli in cielo. Come talora nella Bibbia, il messaggero predilet­ to da Dio non è distinto come essere sovrumano, ma ap­ pare senza ali e ora con i piedi a terra. Dal blu e dal giallo oro della veste è collegato a Pietro, seduto sopra di lui,

ma anche a Bramante e Raffaello, e da araldo del nuovo papa è diventato il difensore della fede e indica a Bra­ mante l’altare con il Sacramento come risposta a ogni do­ manda e a ogni dubbio. Raffaello incuriosisce il visitatore come un poeta drammatico che comincia con domande e dubbi, e come Dante all’inizio della Divina Commedia, anche Bramante e Raffaello dipendono da una guida che svela loro i misteri dell’Aldilà. I quattro personaggi in pri­ mo piano a sinistra sono così strettamente legati fra loro come in precedenza solo i discepoli dell’Ultima Cena di Leonardo, ma Raffaello si spinge oltre, poiché inserisce nella visione religiosa un’allusione del tutto personale e di non immediata comprensione. Ai due lati dell’altare siedono i Padri della Chiesa su troni di marmo decorati con teste di mostri. Come nel­ la Scuola di Atene, sono disposti in ordine rigorosamente gerarchico e circondati da aggraziati seguaci che contri­ buiscono notevolmente alla coerenza della zona terrena. Il lato sinistro della piattaforma, privilegiato, resta riser­ vato a papa Gregorio e al cardinale Girolamo. Gregorio, accanto, guarda l’altare che lui per primo aveva reso una

27

12

17


Raffaello, le Stanze

18

La Stanza della Segnatura

14. Ritratto di Amadeo de Silva (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5407, f. 80).

15. Raffaello, Ritratto del cardinale Alfonso Petrucci, 1511 (Madrid, Museo del Prado).

componente fissa della casa di Dio. L’uomo con brac­ cio disteso, barba e capelli folti, veste verde e mantello azzurro, che si vede solo di spalle e che guarda Grego­ rio è un sosia dell’Aristotele di fronte che vuole essere illuminato dal santo. Accanto ai suoi piedi giace il Liber moralium in cui Gregorio si identifica con Giobbe e contrappone le sofferenze dell’umile servo di Dio alla beatitudine terrena di Aristotele. La sua controparte sta in posizione diagonalmente opposta dietro l’altare, anch’esso vestito in blu e verde. Si trova direttamente sotto il Battista e guarda verso Agostino. Somiglia a Pla­ tone e punta come questo con il braccio e il dito indice verso il cielo. Con queste due figure anonime Raffaello suggerisce evidentemente uno stretto rapporto spiritua­ le tra Platone e Aristotele e i Padri della Chiesa. Tutto questo non si spiegherebbe se la Disputa fosse preceden­ te alla Scuola di Atene. Girolamo, il cui leone vigila sulla traduzione della Bib­ bia e sulle Epistolae, è immerso nel testo biblico origi­ nale e non si fa distrarre dal sacerdote che, già pronto

per la celebrazione della messa, gli indica l’altare con entrambe le mani. E neppure nota il francescano ingi­ nocchiato accanto al leone, che prega sopra la Bibbia e guarda il santo. Nel mezzo profilo del giovane, nella tonaca, francescana, nella posizione delle mani giunte le cui dita non si toccano, Raffaello segue alla lettera il ri­ tratto di Amadeo de Silva nella sacrestia di San Pietro in Montorio, a noi pervenuto solo attraverso copie58. Ama­ deo deve aver venerato Girolamo, l’unico Padre della Chiesa con un ruolo dominante nella sua visione, come eremita, asceta esemplare e fondatore di un convento maschile. L’identificazione del francescano con l’Ama­ deo non ancora beatificato spiegherebbe anche la sua posizione privilegiata. Con gli occhi estasiati e le mani rivolte al cielo, Am­ brogio esprime lo stupore per il miracolo celeste, mentre Agostino sta dettando a un grazioso scrivano accovaccia­ to a terra accanto ai suoi scritti aperti. Come il Liber moralium di Gregorio e l’Etica di Aristotele, il suo De civitate Dei rispecchia il Timeo di Platone.

16. Giancristoforo Romano, Medaglia di Giulio ii, 1505-1510 (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana).

17

12-13 14

15

13

28

Nella metà sinistra, introduttiva e meno ufficiale dell’al­ tra, Raffaello colloca altre personalità che, dalla precisio­ ne dei lineamenti, sono sicuramente dei ritratti, proba­ bilmente noti ai suoi contemporanei. Il vecchio vescovo dietro Gregorio che appare già nelle bozze della compo­ sizione è l’unico che nell’affresco porti il cappuccio fran­ cescano sotto la mitra. Deve trattarsi di Giorgio Benigno, che allora aveva già superato i sessant’anni. Si trova sotto il libro nel quale Giovanni, il suo santo patrono, scrive l’Apocalisse, e ha lo sguardo rivolto verso l’altare. Il viso pieno è segnato da rughe profonde e caratterizzato da un grande naso, lievemente all’ingiù e dal labbro inferiore sporgente. Dietro di lui spunta il più giovane di tutti i vescovi ri­ tratti, palesemente Alfonso Petrucci, allora soltanto di­ ciottenne, figlio e fratello dei signori di Siena, che Giulio nomina vescovo di Sovana il 1° ottobre 151059. Raffael­ lo quindi avrebbe terminato la Disputa solo alla fine del 1510. Nei mesi dopo la nomina a cardinale nel marzo del 1511, lo dipingerà sia nel ritratto di Madrid sia nelle Decretali di Gregorio ix. Antonio Flaminio riferisce che Petrucci avrebbe at­ taccato al proprio ritratto – presumibilmente quello di Madrid – uno dei distici, dedicato dal poeta all’effetto risanatore dell’arte di Raffaello sull’anziano papa60. Quando, intorno al 1516-1517, Leone x conquistò Urbino e sottopose Siena al proprio controllo, il mon­ dano ma politicamente attivo Petrucci si alleò con il duca di Urbino e il re di Spagna e preparò un attentato contro il papa, ma venne scoperto e strangolato a Castel Sant’Angelo. Nella parte sinistra si vedono ancora altri francescani e sulla sinistra dietro Bramante un vecchio domenicano, che secondo Vasari sarebbe Fra Angelico. Aveva dipin­ to due cappelle di Niccolò v e faceva dunque anch’egli parte degli artisti attivi in Vaticano. Sulla collina dietro Bramante si innalza il cantiere delle Logge vaticane che, alla morte di Giulio, non aveva ancora superato le prime campate del piano principa­ le61. Raffaello mostra soltanto le arcate cieche del piano inferiore, dietro le quali si nasconde il nuovo scalone e nella rampa curva che sulla destra del cantiere conduce al nulla, potrebbe aver criticato la tentennante politica edilizia del papa. Per poter inventare e comporre liberamente a sini­ stra, Raffaello è costretto a concentrare a destra gli in­ dispensabili dignitari. Il francescano solitario alla destra dell’altare assomiglia al ritratto di Giulio ii sulle meda­

glie di questi anni62. Se davvero fosse lui, Giulio si sa­ rebbe rammentato delle proprie origini francescane e avrebbe voluto sottolineare la priorità della fede sulla dignità papale. Già nel 1503 aveva scelto come motto le parole del Salmo 117 (118): «Dominus mihi adjutor; non timebo quid faciat mihi homo», «Il Signore è con me, non avrò timore; che cosa potrà farmi un uomo?»63. Giulio è anche presente nell’altare: il suo nome è rica­ mato in oro sul bordo superiore della tovaglia e una se­ conda iscrizione dentro il labirinto è suddivisa nelle tre parti «iv», «li», «vs», in modo da poter leggere le prime cinque lettere anche come numeri romani che, non a caso, sommati, danno 60, l’età di Giulio ii al momento della sua elezione nell’autunno del 1503, un ulteriore accenno alla sua miracolosa ascesa al soglio pontificio. Egli vede se stesso, e la propria elezione, immersi nei segreti impenetrabili della fede, spostando dunque la sua presenza dallo stemma della sontuosa residenza del disegno di Windsor fino al centro del culto e della fede, alla base dell’asse verticale che sale fino a Dio Padre. Il movimento della zona terrena dell’affresco si ferma a Sisto iv, zio e promotore di Giulio che, con la mano alzata in segno di riverenza, guarda il Santissimo. Poiché ven­ ne eletto il 9 agosto 1471, giorno del martirio di Sisto ii, aveva assunto lo stesso nome64, e Sisto ii deve a questa circostanza la propria presenza nell’affresco, così come nella Madonna Sistina. Raffaello lo presenta due gradini

29

16

14

17


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

17. Raffaello, Madonna Sistina, 1512 (Dresden, Gemäldegalerie).

sotto i Padri della Chiesa e segue l’immagine della Cap­ pella Sistina. Nel cielo sopra di lui siede il protomartire Lorenzo, che lo seguì nella morte a pochi giorni di distan­ za. Sisto ii è affiancato da Tommaso d’Aquino e dal car­ dinale francescano Bonaventura, gli unici santi della zona inferiore che, insieme ai Padri della Chiesa, sono imme­ diatamente riconoscibili dal nome trascritto nell’aureola. Sisto iv è in piedi davanti al frammento di pilastro della navata del nuovo San Pietro che, all’epoca, era già arriva­ to molto oltre e rappresenta, anche metaforicamente, la costruzione della Nuova Chiesa65. Il pilastro, così come l’altare a cielo aperto, devono aver suscitato raffronti iro­ nici con il cantiere e l’altare maggiore di San Pietro, che da anni erano esposti alle intemperie. I personaggi sul margine destro fanno da contrappeso al gruppo di Bramante. Un ragazzo chino sulla ringhiera cerca evidentemente di vedere Sisto iv, che gli viene indi­ cato da un uomo con la barba grigia, abbigliato di giallo e azzurro come l’angelo sulla sinistra. Nella posa palesemen­ te tridimensionale e nelle ombreggiature profonde del viso,

30

18. Pedro Fernández de Murcia (attrib.), La visione del beato Amadeo Menez de Silva, 1511-1513 (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini).

anche lo schizzo per il personaggio del curioso è decisa­ mente più maturo delle figure della Scuola di Atene66. Di questo gruppo fa parte anche Dante, che nei pri­ mi bozzetti aveva occupato un ruolo ancora più centrale. Con la corona di alloro, il mantello rosso porpora e se­ guendo il profilo della sua maschera mortuaria, Raffaello ha coniato l’immagine del poeta fino a oggi. Nella posizione al margine, il domenicano con i capelli grigi sulla destra forse è Giovanni Rafanelli (1443-1515), il «maestro del sacro palazzo apostolico» nominato nel 1502. Il titolare di questa carica, da sempre un domenica­ no, vegliava in modo inquisitorio perché nelle prediche, negli scritti e anche nelle opere d’arte del Vaticano non venisse introdotta alcuna eresia, e fu lui che, poco dopo, definì blasfemi gli affreschi di Michelangelo. Si trova sotto il severo apostolo Paolo e potrebbe essere garante della correttezza teologica dell’affresco. La fila dei personaggi sale da sinistra verso l’altare e digrada nella metà di destra sempre più affollata verso il primo piano, dove il movimento si ferma, come nella Scuola di Atene. Ai ventitré personaggi della metà di si­ nistra della zona terrena si contrappongono i diciannove sulla destra: probabilmente si tratta di numeri casuali. L’asimmetrica zona terrena trova un contrappun­ to armonico in quella celeste. Nella parte inferiore dei due concavi banchi di nuvole sono seduti i protagonisti dell’Antico e del Nuovo Testamento insieme ai due pro­ tomartiri. Pietro, con il libro delle sue lettere e la chiave all’inizio del lato sinistro, si scambia con Adamo. Giovan­ ni Evangelista scrive come unico autore nell’affresco nel suo libro e, poiché i Vangeli sono già rappresentati, deve trattarsi dell’Apocalisse, la fonte d’ispirazione per quella tanto diversa di Amadeo de Silva. Seguono Davide, che suona l’arpa ed è rivolto verso Giovanni, e Stefano, che guarda in basso e sembra fissare l’angolo inferiore della parete della Iustitia. Il personaggio dell’Antico Testamen­ to che porta un turbante è forse Daniele. A Paolo, che introduce il lato destro, seguono Abramo e forse Giaco­ mo il Minore, autore di una delle lettere del Nuovo Te­ stamento e presunto fratello di Cristo, poi Mosè con le corna di raggi e le Tavole della Legge aperte, Lorenzo e, infine, Giosuè con la corazza. La deesis, che si libra sopra l’altare dinanzi ai due banchi di nuvole concavi, è in po­ sizione più avanzata rispetto a questi e i tre personaggi sono molto più grandi rispetto a quelli dei primi abbozzi. Il Salvatore siede in trono con una veste bianca come la neve davanti ai raggi dorati della sua aureola bordata di cherubini e mostra le stigmate con le braccia alzate. È lui

11 1

18

15

il punto centrale dell’affresco, indicato dal suo profeta Giovanni e pregato da Maria vestita di azzurro. Il Dio di Raffaello vive sopra le nuvole e, sebbene invisibile, è più vicino agli uomini dell’infinitamente lontano punto di fuga della prospettiva centrale che è nascosto dietro l’o­ stia, come è anche nell’Ultima Cena di Leonardo dietro la testa di Cristo. Sopra l’ostia si libra la colomba dello Spirito Santo, il terzo elemento della Trinità, che ispira i quattro Vangeli tenuti in mano dagli angioletti. L’asse verticale culmina in Dio Padre, la cui aura si irradia sul banco superiore di nuvole e appare come un catino absi­ dale immateriale che domina tutta la scena. Se Raffaello rialza i raggi della gloria di Dio Padre e di Cristo con la cera e li decora in foglia d’oro, si adegua forse alla reli­ giosità di un papa cresciuto in un ambiente più arcaico. Come i filosofi della Scuola di Atene, Dio Padre si trova al vertice del triangolo, ora però equilatero, che sale da Gabriele a sinistra e dal corrispondente vecchio in giallo blu a destra, e taglia come nella Scuola di Atene le paral­ lele dei banchi di nuvole. Quello inferiore è composto di serafini, ma il colore della sua zona più bassa è cupo e separa la vita terre­ na dal cielo in modo ancor più radicale rispetto al dise­ gno di Windsor e rappresentazioni precedenti del cielo. Questo si differenzia già nell’alternanza di santi e per­ sonaggi dell’Antico Testamento dal cielo del Giudizio Universale di Fra Bartolomeo e altri67. È tuttavia raffron­ tabile con quello della Visione di Amadeo de Silva, attri­ buita al pittore spagnolo Pedro Fernández da Murcia, che dovrebbe essere di poco posteriore alla Disputa68.

Un tempo la tavola fungeva da pala d’altare per la Cap­ pella di Sant’Angelo dell’eremo di Montorio, nei monti Sabini, dove Amadeo soleva raccogliersi in meditazione. Fra i rocciosi monti, l’arcangelo Gabriele accompagna Amadeo su una scala di legno fin sopra il banco di nu­ vole e mostra al francescano, inginocchiato in preghiera davanti a lui, le gerarchie celesti. Nell’Apocalypsis Nova, Amadeo aveva descritto sul lato sinistro del cerchio infe­ riore Abele, Noè, Abramo, Mosè, Samuele, Davide, Isaia, Geremia, Daniele ed Ezechiele, su quello destro Pietro e gli altri apostoli, al centro Giovanni Battista e Giuseppe, molti altri santi e Girolamo, superiore a tutti69. Il pittore non segue questa descrizione alla lettera. Come nella Disputa, alterna i rappresentanti dell’Antico Testamento con apostoli e santi, presenta Mosè a sini­ stra e Davide a destra. Al centro, il Battista e Girolamo vigilano sulla salita verso gli arcangeli, Maria e Cristo. Il pittore si è ispirato alla Disputa anche nei gesti, in parti­ colare per il Battista. Sulla piattaforma centrale solo sei arcangeli adorano Cristo e Maria, che siedono in trono sulla terrazza poligonale più alta delle tre. È evidente che sia il pittore sia il committente della tavola consi­ deravano la Disputa un’interpretazione autentica della visione di Amadeo. Raffaello doveva rappresentare la conoscenza delle cose divine, e non l’Apocalypsis Nova, ma sembra che Giulio e i suoi consiglieri francescani – e lo stesso Raffaello – non attribussero ad alcun altro visionario del recente passato una conoscenza più profonda dei segreti della religione. Il committente della tavola poteva essere Giorgio Be­ nigno, che aveva un legame personale con Amadeo, era fra coloro che avevano scoperto l’Apocalypsis Nova e ne possedeva una copia. Tutto parla a favore del fatto che il vescovo francescano, molto colto e legato a Giulio, abbia avuto un’influenza maggiore sul programma della Disputa rispetto a Egidio da Viterbo. Né lui né altri ago­ stiniani spiccano nell’affresco70. Già all’inizio della progettazione, Benigno potrebbe aver proposto di contrapporre ai rappresentanti della teologia la visione celeste di Amadeo e di mettere in ri­ lievo la sua profezia del pastor angelicus. Se nell’affresco Giulio appare solo nelle iscrizioni nascoste del paliotto e forse come semplice francescano e non più come papa e ospite del pio consesso, deve aver seguito attentamen­ te la genesi della realizzazione dell’affresco. Nella più tarda Trasfigurazione, Raffaello ritorna al tema e rappre­ senta i discepoli disorientati e il popolo perplesso che non intuiscono cosa stia accadendo sopra di loro71.

31


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

20. Copista da Raffaello, studio di modello per il Parnaso, 1510 (Oxford, Ashmolean Museum).

19. Marcantonio Raimondi, copia dal progetto di Raffaello per il Parnaso, dopo il 1509-1510 (Manchester, Whitworth Art Gallery).

Nei quattro bozzetti della Disputa Raffaello sviluppa la diagonale catena di figure che guida l’occhio verso l’alta­ re. Comincia già a sostituire la prospettiva centrale per disporre i personaggi uno accanto all’altro anziché uno dietro l’altro, in modo più adatto alle sue scene narrative. La sfera terrena e quella celeste sono strettamente le­ gate una all’altra anche attraverso i colori. Il blu-verde del personaggio visto di spalle e del vecchio che indica verso l’alto si ritrovano in Dio Padre, il giallo oro e il blu dell’angelo e del corrispondente vecchio sulla destra sono ripresi in Pietro, in Mosè e nella deesis, mentre il bianco di Cristo ritorna nelle figure inginocchiate a lato dei Pa­ dri della Chiesa. Dunque, anche nei colori, si crea una piramide che si allontana sempre più verso l’alto. Anche nell’affresco si può comunque comprendere che Raffaello inizia a progettare in basso a sinistra e colloca i dignitari al centro e sulla destra per collegare poi entrambi i lati con il vasto e armonioso cielo. Stranamente nessun autore rinascimentale parla dei se­ greti della Disputa, che sono ancora più difficilmente com­ prensibili che della Scuola di Atene, e lo stesso Vasari si li­ mita all’enumerazione non sempre corretta dei personaggi. Cosa potrebbero aver detto i volti anonimi che indi­ rizzano lo sguardo verso l’altare o il francescano in gi­ nocchio a un visitatore che non conosceva le fisionomie e neppure l’Apocalypsis Nova? Fin dal principio Raf­ faello mette quindi a dura prova la curiosità, il sapere, l’acume e la pazienza dell’osservatore. Solo pochi pote­ vano indovinare che cosa accade nel dipinto e qualcuno potrebbe essersi meravigliato per il banco di nuvole che impedisce agli stessi Padri della Chiesa di gettare uno sguardo sull’Aldilà.

Qui, tuttavia, non c’è nuvola che impedisca lo sguardo al cielo azzurro e all’Aldilà. Apollo siede al centro, come il Cristo della Disputa, e canta accompagnandosi con una viola rinascimentale a nove corde. Se ne trova una simile nello studio di nudo per il Parnaso, ma nel precedente progetto – noto grazie all’incisione di Marcantonio Rai­ mondi – si vede una lira antica, come quella usata dalla Poesia o dal vicino Apollo della Scuola di Atene. La viola non rappresenta tuttavia un anacronismo come in pre­ cedenti immagini di Apollo. Al tempo di Giulio ii, Apol­ lo e le Muse sono ancora presenti e come Dante nella Divina Commedia i poeti dell’affresco all’epoca ancora viventi hanno bisogno della loro ispirazione. L’Apollo di Raffaello ha lo sguardo rivolto verso l’alto perché anche lui è ispirato dal numen divino. A sinistra Calliope con la maschera, la musa degli epici, sta in testa alle Muse. È la più antica, figlia di Zeus e Mne­ mosine, la dea della memoria, e deve il nome alla sua bella voce. Con l’altra mano indica Euterpe che aveva inven­ tato il flauto e siede vestita di bianco accanto ad Apollo. Mentre nell’incisione e nello studio di nudo Calliope si ri­ volgeva ancora ai poeti epici, adesso è strettamente legata a Erato e Polimnia, le Muse sorelle, appoggiate una all’al­ tra, della poesia amorosa e degli inni. A destra di Apollo fanno loro da contrappunto Tersicore, con la lira, la Musa della danza, Melpomene e Talia, le Muse della tragedia e della commedia, e Clio, la Musa della storia con il libro in mano. Urania, la Musa dell’astrologia con la veste giallo oro, è rivolta verso il cielo. Mai in precedenza Raffaello aveva rappresentato la grazia delle giovani donne in modo così sensuale, ricco di varianti e sfumature, e non a caso aveva dipinto le Muse, le Sibille e Galatea proprio duran­

20

19-20

te la lunga assenza del papa. Fino a quel momento, questi aveva dato importanza solo alla rappresentazione di Ma­ ria e Atene, mentre Raffaello sognava figure femminili sia cristiane sia pagane. Nei suoi schizzi per la Disputa e il Parnaso annota sonetti in stile petrarchesco a una misteriosa amante: «Como non podde dir d’arcana Dei / Paul come disceso fu dal c[i]elo, / così el mio cor d’uno amoroso velo / ha ricoperto tuti i penser miei» («Come Paolo non poté tradire i segreti di Dio quando discese dal cielo, anche il mio cuore ha coperto tutti i miei pensieri di un velo d’amore»)73. Già nel 1479 Pulci, nel suo Morgante, si era avvalso di questo paragone con la seconda lettera di Paolo ai Corinzi, dove affermava: «Audivit Paulus arcana verba quae non licet homini loqui». Alla fine dello stesso sonetto, Raffaello parla dell’ani­ ma lieta dell’amata: «…tu sei sola alma felice / In cui el c[i]el tuta beleza pose / […] / ch’el tien mio cor come in foco fenice». Egli termina un altro frammento di so­ netto con i versi: «…D’altre cose s’io non dicho che fôr m[olti] / ché soperchia docenza a mo[r]te men[a] / e però tacio, a te i pens[e]r rivolti». Nello stesso periodo

in cui Raffaello si occupa intensamente di teologia, egli ritiene come i neoplatonici l’amore delle anime nobili un’esperienza religiosa, e senza dubbio pensa anche a Beatrice, guida di Dante nel Paradiso. Conosciamo l’amata grazie al ritratto di Raffaello del­ la Donna velata del 1513-1514, i cui tratti appaiono per la prima volta su un disegno che il pittore non a caso utilizzò già per la Teologia74. La conobbe probabilmente nel primo anno del suo soggiorno romano. Sul disegno appare come modella e, essendo vestita in modo sempli­ ce, è difficile ipotizzare che provenisse da una famiglia altolocata. I suoi lineamenti ritornano in Polimnia e in Erato, le due Muse più legate all’amore, ma anche in Calliope, dunque è impossibile separare il Parnaso dalla donna amata da Raffaello. Ispirati da queste tre Muse, e come loro collocati al più alto livello, sulla sinistra si trovano i quattro poeti epici. Omero supera tutti gli altri di una testa e funge da contrappunto notturno alla radiosa Urania, grazie al mantello blu scuro foderato di verde sotto il quale ap­ pare la veste gialla. Anche lui canta e guarda verso l’alto e detta a Ennio, il suo traduttore, che tiene in mano la

Il Parnaso

19

Raffaello sposta lo sguardo dai teologi ai poeti sulla pa­ rete nord. Attraverso la grande finestra, la vista del papa poteva abbracciare il Cortile del Belvedere in tutta la sua profondità di oltre trecento metri, fino all’esedra del fu­ turo nicchione, un odeon, dove faceva recitare poesie72. Raffaello fa coincidere questa veduta simmetrica con la prospettiva centrale dell’affresco. Nel Parnaso non poteva basarsi su un prototipo antico o rinascimentale, ma ricol­ legare la villa anticheggiante di Bramante con la propria visione di Apollo e delle Muse. Sono riuniti su un altopia­ no roccioso sopra la finestra, dove crescono alberi d’allo­ ro e sgorga la fonte Castalia.

32

33

6

21


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

21. Raffaello, modello per la Visione dell’Apocalisse, 1509 (Paris, Louvre 3860).

3

penna all’ombra di un albero d’alloro. Dietro, Omero, Dante e Virgilio, i suoi due più eminenti successori, si guardano: Dante, ancora una volta, è di profilo e indossa la veste rosso porpora, ma in questo affresco occupa un posto da protagonista. Il quarto personaggio misterioso dietro Virgilio è ancora assente sia nello studio di nudo sia nell’incisione75. Già Bellori aveva riconosciuto in lui un autoritratto di Raffaello, e in effetti gli occhi infos­ sati e relativamente piccoli con cui, unico dei quattro, guarda l’osservatore, il naso stretto, lungo e lievemente sporgente e la bocca rotonda sono senza dubbio suoi. Significativamente si colloca fra Virgilio, che aveva can­ tato la fondazione di Roma, e le tre Muse che somigliano all’amata. Come Dante nel canto terzo dell’Inferno, Raffaello si sente accolto da Omero e Virgilio nella cerchia dei più grandi poeti; nasconde e rivela, come questi tre nei poemi epici, il divino nei segreti della Disputa, della Scuola di Atene o del Parnaso, ma in uno dei sonetti parla anche degli effetti distruttivi dell’eccessiva erudizione. Raffaello si considera alla stessa altezza di Omero, Virgilio e Dante, e in una stanza della villa sul Gianicolo dell’amico Baldassarre Turini il suo allievo Giulio Roma­ no lo ritrae, infatti, come quarto poeta accanto a Dante, Petrarca e Poliziano76. Raffaello aveva probabilmente dipinto la Poesia della volta nello stesso periodo dell’affresco. Come le altre tre allegorie siede in trono sulle nuvole, ed è l’unica alata e dunque più vicina agli angeli. Incoronata di alloro come i poeti, è vestita di un bianco paradisiaco e dello stesso blu notte del mantello di Omero. Nelle mani tiene una lira, come Tersicore, e un libro chiuso, come Clio. Questo, però, è rosso e più voluminoso, e potrebbe essere la Bib­ bia, ricca di tante poesie e fonte di ispirazione per i poeti. Sulla Poesia soffia l’alito divino: «numine afflatur», come annunciano i putti angelici sulle loro tavole. Platone, Girolamo e Tommaso d’Aquino, che hanno un ruolo importante nei due affreschi precedenti, e mol­ ti altri avevano bandito i poeti perché distorcevano la verità. Dante era riuscito a riabilitarli, e quando Petrarca venne incoronato poeta in Campidoglio, nel discorso di ringraziamento fece riferimento a una lettera di Cice­ rone da lui scoperta che insiste sulla vocazione divina del poeta: «Lo studio delle altre discipline è basato sul­ la dottrina, sull’obbedienza di regole e su virtuosismo tecnico, mentre il poeta vale per il suo naturale talento, è animato da forza intellettiva e come pervaso da uno spirito divino»77.

34

Sulle tavole Raffaello sostituisce l’inflatur di Cicerone con un inequivocabile afflatur, utilizzato da Virgilio nel sesto canto dell’Eneide, per rappresentare la trance della Sibilla tornata dall’Aldilà: «afflata est numine». E afflatur contiene, non a caso, anche la maggior parte delle lettere della firma di Raffaello «Raffae. Ur» – un gioco di lettere come quello che si trova sull’antependio della Disputa. Le iscrizioni delle due tavole, ispirate a Cicerone, Virgilio e Petrarca, potevano essere proposte soltanto da un uma­ nista che conoscesse le intenzioni e l’orgoglio di Raffa­ ello, forse dall’amico Tommaso Inghirami, rappresentato nelle immediate vicinanze del Parnaso e uno dei presunti consulenti nella programmazione delle Stanze. Nel suo commentario a Orazio, Inghirami sosteneva peraltro l’o­ pinione di Cicerone che i poeti sono come profeti ispirati direttamente da Dio78. E anche la Bibbia sarebbe dunque un attributo della Poesia carico di significato. Nella rientranza dell’altopiano roccioso, in primo pia­ no sulla sinistra – visibile con maggiore chiarezza sull’in­ cisione – si trovano i poeti lirici, che sono più vicini all’occhio e di dimensioni maggiori dei personaggi della Disputa. L’unica indicata per nome è Saffo, che manca sia nell’incisione che nello studio di nudo. La sua postura, china verso la nicchia della finestra, allude alla caduta nel precipizio con la quale si era tolta la vita. Il poeta sopra di lei, appoggiato al lauro, che tiene in mano una specie di pianta, è forse Pindaro, il maggiore lirico greco, le cui po­ esie saranno stampate poco dopo nella Farnesina di Ago­ stino Chigi. Essi guardano Ovidio avvolto in un mantello giallo oro. Questi tiene un libro e la lettera da lui scritta nella quale Saffo lamenta il proprio destino. Egli si è ri­ volto al giovane androgino in cui Vasari vede l’«amoroso Boccaccio», che però non era un lirico vero e proprio. Egli punta su Petrarca, il maggiore poeta lirico in Italia, caratterizzato dalla veste viola. Ovidio potrebbe quindi fare da intermediario tra lui e i lirici greci. Sulla destra, un ripido sentiero sale verso il Parnaso. Il poeta barbuto accanto a Urania, l’allora trentaseienne Ariosto, si trova qui in quanto autore di commedie come I suppositi – di cui Raffaello, intorno al 1519, avrebbe dovuto creare lo scenario – e non come poeta epico. Il poeta con la veste giallo oro che guarda l’osservatore dal margine destro dell’affresco è troppo vecchio per esse­ re identificato in Beazzano – come talvolta avviene79 –, nato solo negli anni Novanta del Quattrocento. Somiglia però a Tebaldeo, dipinto accanto a Navagero nel doppio ritratto di Raffaello che, forse, creò il dittico per la sua tomba80. Stranamente non si riconosce alcuno dei grandi

21

22

drammaturghi greci, e neppure Seneca o Plauto, le cui opere venivano rappresentate all’epoca anche da Inghi­ rami. La tradizione si estende di nuovo fino a Giulio ii ma, diversamente dalla Scuola di Atene, dominano anche romani e italiani. Nello studio di nudo, in basso a destra c’è un solo po­ eta, nell’incisione sono due, eppure nessuno indica fuori dall’affresco come fa il vecchio incoronato da foglie se­ duto in primo piano. Come Stefano nella Disputa, forse indica la scena apocalittica che, allora, era ancora in pro­ gramma per la parete sud. L’uomo vestito di blu riprende il suo gesto con espressione interrogativa, mentre quello con la veste viola pallido – che è palesemente un ritratto – invita i due a fare silenzio portandosi un dito sulla bocca. Solo grazie ai personaggi aggiunti nell’affresco i gruppi che fiancheggiano la collina delle Muse si richiudono in una composizione simile a quella della Scuola di Atene, mentre gli accordi di giallo e blu di ambedue i lati e il bianco che domina al centro ricordano la Disputa. La fisicità e la disposizione in profondità dei poeti liri­ ci, i loro colori brillanti e i forti contrasti di chiaroscuro

li fanno somigliare alle Sibille e ai Profeti di Santa Maria della Pace al punto che potrebbero essere stati realizzati a una certa distanza di tempo dall’Apollo e dalle Muse. Durante l’assenza del papa, Raffaello potrebbe aver inter­ rotto l’esecuzione del Parnaso per lavorare per Chigi, che lo pagava in modo principesco. Il progetto dell’incisione potrebbe addirittura risalire all’epoca della Scuola di Atene, quando Raffaello aveva appena ottenuto la commit­ tenza per tutte e quattro le pareti. La Iustitia e Michelangelo In origine Raffaello sembra aver previsto per la pare­ te meridionale una Visione dell’Apocalisse81. Il modello di sua mano risponde all’incisione del Parnaso allo stes­ so modo in cui la Disputa risponde alla Scuola di Atene. Entrambe sono simmetriche, statiche e le figure sono disposte davanti a uno spazio poco profondo, mentre i personaggi e la loro illuminazione ricordano il disegno di Windsor per la Disputa.

23

35

27, 21 19

5


Raffaello, le Stanze

La Stanza della Segnatura

22. Albrecht Dürer, xilografia dei Sette Angeli, dall’Apocalisse, 1497-1498 (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle).

22

Raffaello riprende Dio Padre, i sette angeli con la trom­ ba e l’angelo con il turibolo davanti all’altare dall’illustra­ zione quasi letterale di Dürer dei Sette angeli con tromba dell’Apocalisse di Giovanni. Tuttavia, l’effetto degli angeli sulla terra non è devastante. Giovanni a destra in basso, ai piedi di una palma di Patmos, descrive la parte celeste della visione apocalittica mostratagli da un angioletto che corrisponde alla sua Apocalisse. In basso a sinistra è inginocchiato Giulio, ancora senza barba, che spalanca le braccia commosso da quanto gli viene rivelato. Un giovane dignitario, probabilmente un cardinale, gli tiene la tiara sopra la testa come per incoro­ narlo, e altri due accompagnatori sono inginocchiati alle sue spalle. Come suprema autorità di ogni giustizia, Dio Padre ha mandato gli arcangeli in qualità di messaggeri della nuova Gerusalemme, e il rappresentante che ha eletto sulla terra è Giulio ii. Gli arcangeli stabiliscono anche un collega­ mento con il disegno di Windsor per la Disputa e quindi anche con l’Apocalypsis Nova di Amadeo. Come quest’ul­ timo, anche Giulio fa parte dei pochi prescelti ai quali

36

23. Raffaello, Ritratto di Giulio ii, 1511 (London, National Gallery).

viene aperto lo sguardo verso l’Aldilà. Il pastor angelicus delle profezie di Amadeo rinnoverà la Chiesa e il mondo senza distruggere ogni cosa terrena. Raffaello dipinge la parete meridionale, così come la Iustitia della volta e i due vicini campi diagonali, solo dopo il giugno 1511, quando ha terminato il Parnaso e il papa è tornato dalla sua sfortunata campagna in Italia settentrio­ nale e ha motivi per modificare il programma82. L’ambi­ zione a estendere lo Stato della Chiesa fino alla Lombar­ dia, e persino a conquistare Bisanzio, diventando in tal modo il successore di Costantino il Grande, è naufragata. Il cardinale Carvajal e il re di Francia hanno indetto il Concilio di Pisa mettendo in dubbio la sua legittimità. Il papa, quasi settantenne, al quale la salute compromessa non lascia più molto tempo, deve rivedere la propria po­ litica. E per la parete meridionale, anziché la visione di sé come prescelto, desidera la conferma della propria legitti­ mità e delle elevate virtù che lo guidano. Dietro l’arcata che fa da cornice, sembrano allargarsi un pavimento di marmo e una parete continui che si spingo­ no molto più in basso dei lati del Parnaso. L’ordine corin­ zio prosegue la cornice della finestra con ritmo trionfale, e la sua trabeazione sorregge una panca sulla quale siedono le tre Virtù sotto il cielo: anche in questo caso si tratta di una vera e propria architettura dipinta che con molta difficoltà si potrebbe immaginare realmente costruita. E ancora una volta la veduta attraverso la finestra sostituisce la prospettiva centrale. Gregorio ix e Giustiniano siedono in trono come impe­ ratori romani davanti alle esedre e fanno parte dello stesso livello di realtà. Sulla sinistra, Giustiniano riceve il suo codice, le Pandette; sulla destra, Gregorio ix le Decretali, la complementare legge canonica. Il papa, con il quale termina, e culmina, il ciclo dei quattro affreschi, occupa la superficie più grande ed è eseguito in modo decisamente più accurato della sua controparte. Gregorio ix si era imposto contro l’imperatore Fede­ rico ii, che lo aveva minacciato di convocare un concilio, aveva liberato lo Stato della Chiesa, applicato le Pandette, canonizzato Francesco e programmato egli stesso un con­ cilio che, tuttavia, non poté realizzare: tutti questi erano motivi sufficienti per Giulio per identificarsi con lui in quei mesi critici. Raffaello trasforma uno schema compositivo comune nel Quattrocento anche fuori dall’Italia in un tipo di ri­ tratto papale che avrebbe trovato molti imitatori. Gre­ gorio, rivolto appena verso la Disputa, porta i tratti di Giulio ii, che si era fatto crescere la barba per il dolore

23

15

27-28

della sconfitta in Italia settentrionale. Si tratta di una simi­ le identificazione di un personaggio contemporaneo con uno importante del passato come in Euclide e Platone. Raffaello adorna persino il suo manto con lo stemma di Giulio e il trono con le ghiande. Sebbene si fosse appena ristabilito da una grave malat­ tia, in questo ritratto dà la sensazione di essere più giova­ ne rispetto a quello, di ben più alto rango artistico, realiz­ zato nel tardo autunno del 1511. In ogni caso, Giulio non fu sicuramente entusiasta del fatto che Raffaello, proprio per il suo primo grande ritratto collocato in una posizione importante, si fosse fatto aiutare dalla bottega. Evidente­ mente stava mettendo fretta a Raffaello perché gli stava ancor più a cuore la Stanza di Eliodoro. Nelle Decretali, Giulio è circondato da poche persone fidate e da esperti giuristi. In quanto assistenti al trono, Giovanni de’ Medici e Alessandro Farnese gli reggono l’orlo del mantello: entrambi sono futuri papi il cui talento viene riconosciuto da Giulio. I tratti di Antonio del Mon­ te, sullo sfondo a sinistra, un dotto giurista che da anni era stato uditore della Camera Apostolica, sono noti grazie a un ritratto di Sebastiano del Piombo83. Accanto a lui è in piedi Alfonso Petrucci, ormai diciannovenne, che doveva essere molto vicino a Giulio, così come a Raffaello, per apparire due volte in poco tempo nella stessa Stanza, e per essere ritratto una terza volta. Giulio aveva nominato Petrucci vescovo mentre si trovava ancora in viaggio e lo aveva elevato insieme a Del Monte alla dignità cardinalizia nel marzo 1511, ancor prima di tornare a Roma. L’uomo a destra con la barba, vestito di rosso e verde, è evidentemente il celebre giurista Domenico Jacobacci, rettore dell’università romana e decano della Sacra Rota, che Giulio nominerà vescovo nell’autunno del 151284. Si rivolge al generale dei domenicani Tommaso de Vio, det­ to il Caietano, il cui profilo pronunciato ci è pervenuto anche grazie ad altri ritratti85. Stranamente porta sulla spalla un mantello marrone sopra la tonaca bianca86. Es­ sendo uno dei difensori più competenti della legittimità del papa, nel 1511 pubblica un trattato sull’autorità pa­ pale. Avrà un ruolo importante, insieme a Jacobacci, nel Concilio Lateranense e, nel 1517, verrà nominato cardi­ nale da Leone x. Anche il laico grassoccio a destra sullo sfondo è probabilmente un importante giurista. L’imperatore Giustiniano è seduto di profilo in costu­ me antico su un modesto faldistorio. I suoi giudici pati­ scono dell’esecuzione formale e tecnicamente mediocre e sono in gran parte sbiaditi. Evidentemente Raffaello non ha ancora a disposizione collaboratori di pregio

come Giovan Francesco Penni e Giulio Romano, così come avviene nelle due Stanze successive. Indipendentemente dall’esecuzione problematica, la metà inferiore della parete sud esce dal carattere degli al­ tri affreschi della Stanza. Raffaello colloca il papa sotto una travatura pesante e rinuncia a un collegamento con le potenze superiori, anticipando già la sobria atmosfe­ ra della Stanza dell’Incendio di Borgo. Forse in questo è anche lui uno strumento del papa, i cui problemi non lo lasciavano indifferente. Deve aver percepito che la scon­ fitta e la malattia avevano minato la fiducia di Giulio in se stesso e che aveva un’esigenza personale di conferme. Il papa si è allontanato dalle idee e dai sogni degli anni precedenti, ma desidera sopravvivere a livello visivo senza perdere la faccia. Se negli affreschi vaticani vengono presentati qui per la prima volta l’imperatore e il papa sullo stesso livello, uno accanto all’altro, questo non significa affatto che Giulio accettasse la suddivisione dei poteri, limitandosi a eser­ citare le funzioni spirituali del suo ufficio. Si ritiene inve­ ce un seguace di Gregorio e di Giustiniano, responsabile

37


Raffaello, le Stanze

3

29

dell’osservanza delle Decretali e delle Pandette, molto di­ verso quindi da Leone x che, anche negli affreschi, attri­ buirà un ruolo importante a Francesco i. La scritta «ius suum cuique tribuit» sulle tavole dell’al­ legoria della Iustitia nella volta – una citazione da Giu­ stiniano – chiede una legge adeguata per tutti, e i giuri­ sti e i teologi del papa dovrebbero fare in modo che, nei loro scritti e nel concilio, venga sostenuto il diritto che egli rivendica come successore di Pietro e degli imperato­ ri87. Come Salomone nel campo diagonale della volta, che la parete della Iustitia lega alla Scuola di Atene, Giulio si considera un saggio giudice che renderà giustizia anche al popolo. Questa piccola scena è una delle più mature delle Stanze con i suoi personaggi che, ruotati nello spazio in modo audace e dinamico, con i loro colori vivaci e le ombre profonde, formano un ponte fra i poeti lirici del Parnaso e le tre Virtù della lunetta. Queste confermano l’immagine che Giulio ii aveva di se stesso come erede dei papi e dell’imperatore. Rispon­ dono alle Muse, ma sono più grandi e dominanti anche rispetto al papa e all’imperatore. La Temperantia, che trattiene e modera, troneggia so­ pra Gregorio ix, mentre la Fortitudo è sopra l’imperatore secolare. È armata come Bellona, la dea della guerra, trat­ tiene sotto il braccio un leone e piega una giovane quercia a tal punto che un putto riesce a cogliere una ghianda, che darà forza al popolo eletto, come avviene sul rilievo della prima bozza di Michelangelo per la tomba di Giulio. La quercia allude all’albero dello stemma di Giulio, raffor­ zando in tal modo le sue pretese imperiali. La Fortitudo guarda la Prudentia, come se aspettasse un segnale per in­ tervenire nuovamente, e dà la sensazione che Giulio non abbia rinunciato del tutto a ogni intento bellicoso. Prudentia, con lo specchio nella mano destra e il gorgoneion di Atena sul petto, sovrasta le due sorelle. La sua faccia posteriore guarda come Giano verso il recente passato ma, diversamente dalla Prudentia bifronte della Cappella Portinari di Sant’Eustorgio a Milano, è barbu­ ta e sottolinea con la sua senilità che ormai il passato è superato e forse il putto con la luce ultraterrena vuole rischiararlo. In ogni caso questo insolito collegamento con due divinità antiche conferisce ulteriore importanza alla Prudentia. Prudentia e Temperantia ricordano ancora la Galatea, le Sibille e Saffo, ma con la loro imponente presenza fisica vanno un passo oltre. Raffaello le iniziò probabilmente ancora prima che Michelangelo, nell’agosto 1511, svelas­ se la prima metà della volta della Cappella Sistina.

38

La Stanza della Segnatura

Da questa il papa rimase colpito al punto da spingere Raffaello a inserire il ritratto di Michelangelo nella Scuola di Atene. Egli voleva quindi completare la presenza dei grandi artisti contemporanei e non vi vedeva un conflit­ to con la rappresentazione del pensiero causale. Raffaello aveva terminato l’affresco ormai da tempo e l’impresa non deve essergli stata facile, visto che restava poco spazio per un altro personaggio importante. In ogni caso Raffaello sfrutta l’occasione per chiudere una parte dell’apertura imbutiforme in primo piano e attenuare l’effetto della prospettiva centrale. Le immagini della Cappella Sistina potrebbero averlo spinto a collocare Michelangelo vicino a Pitagora, sebbene non fosse certo un brillante matema­ tico e non si fosse mai espresso a livello teorico. Se fosse un filosofo con i tratti di un artista come Platone, gli sa­ rebbe spettato un posto sulla piattaforma superiore. Sta seduto su un blocco di marmo, si appoggia con il gomito a una pietra molto più voluminosa di quelle già dipinte e medita su righe di lunghezza diversa, quindi, forse, su una poesia. Indossa un camiciotto viola tipico dell’epoca e tende verso l’osservatore le suole di uno dei suoi stivali, i cui risvolti scoprono le ginocchia possenti, estremamen­ te grosse e poco eleganti. Quindi Raffaello sembra averlo ritratto – così come ha fatto per se stesso e il suo vicino – senza un doppio ruolo, persino caricaturandolo legger­ mente nelle gambe gigantesche. Nella Stanza della Segnatura solo la possente Fortitudo sembra ugualmente ispirata agli affreschi di Michelange­ lo. Raffaello era preparato al meglio per assorbire spon­ taneamente in tal modo il linguaggio di Michelangelo e già nei mesi precedenti aveva attribuito un peso sempre maggiore ai corpi che dipingeva. Anche i personaggi delle Decretali di Gregorio ix creati dopo la Fortitudo sono più voluminosi di prima, e gli abiti e le pieghe più nette e più simili a quelle di Michelangelo. Probabilmente Giulio utilizzò la stanza dove teneva i suoi libri anche durante i lavori come studiolo. Ma solo dall’inizio dell’autunno 1511 poté restarvi indisturbato ed è difficile capire che effetto ebbe su di lui. Per quasi tre anni aveva seguito la nascita degli affreschi esprimendo desideri, raccomandazioni, ammirazione e, di certo, an­ che qualche critica ed era stato testimone della sorpren­ dente evoluzione di Raffaello. Alcune delle moltissime persone dipinte che lo circondavano erano uomini della sua cerchia quotidiana, e altre erano a lui familiari dalla Bibbia, dalla storia della Chiesa, dalla giurisprudenza e letteratura, ma conosceva molti solo in modo superficiale o affatto. Raffaello li aveva idealizzati come mai nessun

pittore in precedenza, senza inserire alcuna dissonanza che potesse turbare. Probabilmente la vita in mezzo a questa comunità di personaggi antichi duemila anni, alla quale lui stesso apparteneva come papa, e che egli aveva condotto a nuove altezze, lo riempì di orgoglio e lo rese felice; ebbe quell’effetto benefico e terapeutico di cui par­ la il distico di Antonio Flaminio, e deve averlo spinto a discuterne il significato con i suoi ospiti. Il sistema decorativo e gli affreschi della volta 1-3

Solo dopo aver ottenuto l’incarico di decorare tutta la Stanza, Raffaello poté creare un sistema decorativo completo. Nelle arcate dipinte e nei pilastri adornati da grottesche a sfondo blu segue la tradizione. I pilastri a sfondo chiaro sostengono invece l’arcone che separa la parete sud dal sistema della volta del Sodoma – un dettaglio poco coerente per il quale, nelle due Stanze che seguono, egli troverà una soluzione più convincen­ te. Come già nella Libreria Piccolomini, dietro le arca­ te isolate sembra estendersi uno spazio continuo, con il cielo azzurro delle quattro grandi scene visibile anche attraverso l’ottagono della volta e, come nella Cappella Chigi, questo universo è benedetto da esseri ultraterreni che paiono ispirare gli autori delle quattro discipline.

Sebbene Raffaello non debba raccontare una storia uni­ ca, interpreta tuttavia i quattro affreschi come se fossero un ciclo. Comincia con la Disputa, la sola scena che, passo dopo passo, accompagna l’osservatore dentro l’immagine, poi verso l’altare, il luogo più sacro della zona terrena, e ol­ tre, verso la Trinità e nel cielo. Sul bordo destro, Dante col­ lega la Disputa al Parnaso, dove appare sul bordo sinistro, mentre nella volta Apollo, che maltratta Marsia perché ha osato misurarsi con un dio nel canto, ricollega la Teologia alla Poesia. Sempre Apollo lega il Parnaso anche alla Scuola di Atene, mentre l’allegoria della volta, che fa ruotare il co­ smo come se fosse una vasaia, mette in relazione la Poesia, animata dall’alito divino, con l’allegoria della conoscenza delle cause. L’Atena della Scuola di Atene presenta affinità con la Prudentia, il re Tolomeo con l’imperatore Giustinia­ no. Il Giudizio di Salomone fa da tramite fra la Scientia e la Iustitia, il Peccato originale fra questa e la Teologia, mentre Gregorio ix si volge verso i teologi della Disputa. Il visitatore, dunque, vaga dalla teologia metafisica alla poesia, da questa al pensiero causale per terminare poi con la Giustizia, la più pragmatica delle quattro discipli­ ne. Raffaello, Bramante e Dante lo accompagnano nelle prime tre scene, mentre nell’ultima è solo il papa a domi­ nare. Raffaello cerca, sempre e ovunque, di unire ciò che è diviso, che si tratti di scene di una stanza, di epoche e tradizioni, di dèi o uomini.

39


Capitolo terzo

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

Dopo la guarigione, Giulio escogita subito nuovi pro­ getti per difendere l’Italia e lo Stato della Chiesa. Già nel settembre del 1511 stringe un’alleanza con la Spa­ gna e Venezia contro il re di Francia Luigi xii. A que­ sta alleanza, che verrà sigillata il 4 ottobre, aderiscono in seguito anche Svizzera e Inghilterra. Giulio convoca per la primavera successiva il Concilio Lateranense, per mettere la parola fine al Conciliabolo di Pisa. Poi no­ mina Raffaello Scriptor Apostolicus, il primo passo verso una carriera nella Curia, e sicuramente lo fa anche come forma di riconoscimento per le doti intellettuali dimo­ strate nella Stanza della Segnatura. La Madonna di Loreto

23-24

Sulla strada di andata e ritorno dalla campagna in Ita­ lia settentrionale, Giulio aveva visitato Loreto e la Santa Casa, e la sua venerazione per la Madonna si era fatta an­ cora più profonda. Nell’autunno del 1511 incarica Raf­ faello di dipingere la Vergine nella sua dimora, la Santa Casa, e decide di destinare quel quadro, insieme al suo ritratto, all’altare maggiore di Santa Maria del Popolo, la sua chiesa prediletta88. Le due tavole dovevano esservi esposte nei giorni festivi, dichiarare la sua adorazione per la Madonna e spronare i fedeli a pregare per la sua anima. In questa Madonna Raffaello unisce, con un’eviden­ za mai riscontrata in precedenza, la propria religiosità con quella del papa. Maria, i cui lineamenti trascendo­ no l’individualità, come nelle sue precedenti Madon­ ne, con gli occhi abbassati solleva il velo sotto il quale ha dormito il Bambino. Lui si sveglia subito e tende le braccia verso di lei, ma afferra anche il velo, come a

velare il segreto del suo corpo destinato alla Passione. Mentre il papa osserva dal proprio ritratto il Bambino, è testimone di un miracolo, come nel bozzetto per la scena apocalittica, ed entrambe le tavole hanno un ri­ ferimento reciproco diretto attraverso questo momento transitorio, ma anche nei colori e nei gesti. Raffaello ab­ bandona l’unione statica delle sue precedenti Madonne per contrapporre le emozioni di madre e figlio. Fra le braccia del Bambino che vorrebbe essere nuovamente coperto, e quelle di Maria che non reagisce, si crea un’e­ mozionante tensione. Il Bambino illumina anche Maria e, dalle sue braccia, la diagonale va in profondità. Giu­ seppe è però quasi escluso da questo spazio spirituale. Sebbene palesemente più giovane, somiglia nei tratti a Giulio e corrisponde al ritratto del papa anche nell’at­ teggiamento del capo. Nell’incarnato si percepisce l’influenza veneziana di Sebastiano del Piombo, che Chigi aveva portato con sé nell’agosto del 1511 e che aveva l’incarico di dipinge­ re le lunette della Loggia di Galatea alla Farnesina. In modo del tutto indipendente da Sebastiano e Michelan­ gelo, Raffaello ora si è però inoltrato in una dimensione segreta, accessibile soltanto a lui e sicuramente ispirata anche da Giulio. La Cacciata di Eliodoro Già nel luglio 1511, il ministro di Mantova aveva an­ nunciato la volontà di Giulio di far dipingere una se­ conda Stanza89. Lì riceveva cardinali, ambasciatori e altri ospiti di alto rango e poteva impressionarli con affreschi di carattere più politico. Non sappiamo a quali temi fos­

41

I, 31-32


Raffaello, le Stanze

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

24. Raffaello, Madonna di Loreto, 1511 (Chantilly, Musée Condé).

35

sero dedicati i dipinti della Stanza che Giulio fa elimi­ nare, ma provvede affinché il suo pittore possa decorare ancora una volta tutto l’ambiente. Anche in questo caso, però, risparmia il sistema della volta, creata da Peruzzi più o meno nello stesso periodo in cui il Sodoma realiz­ zava quella della Stanza vicina90; elimina tuttavia ogni secondo costolo radiale per avere scomparti più grandi da dipingere91. Ancora una volta Raffaello progetta un ciclo continuo, cui dà inizio sulla parete est, la prima che si vede arrivan­ do dalla Stanza della Segnatura. Già nell’estate del 1511, con l’annuncio del Concilio Laterano, il papa potrebbe aver previsto per questa parete la Cacciata di Eliodoro. E la sceglie nella speranza che Dio lo assista per cacciare gli intrusi, ma potrebbe aver pensato anche al cardinale Carvajal, che aveva incoraggiato il re di Francia a questa infame campagna. La storia è descritta nel libro apocrifo dei Maccabei, che si trovava anche nella biblioteca di Giulio. Già cita­ ta da Callisto iii (1455-1458), era un esempio dell’aiuto di Dio nella liberazione dai nemici ed era stata rappre­ sentata anche su un arazzo del cardinale Giuliano della Rovere. Le reliquie dei Maccabei erano venerate a San Pietro in Vincoli, la chiesa del suo titolo cardinalizio, e venivano celebrate nello stesso giorno delle catene di Pietro. Qui Raffaello cerca per la prima volta di seguire con precisione un’antica narrazione inusualmente dettaglia­ ta ed è illuminante raffrontarla con la sua prima bozza e con l’affresco: «Ma un certo Simone, della tribù di Bilga, no­ minato sovrintendente del tempio, venne a tro­ varsi in contrasto con il sommo sacerdote intorno all’amministrazione della città. Non potendo aver ragione con Onia, si recò da Apollonio di Tarso, che in quel periodo era stratega della Celsiria e della Fenicia, e gli riferì che il tesoro di Gerusa­ lemme era colmo di ricchezze immense, tanto che l’ammontare del capitale era incalcolabile e non serviva per le spese dei sacrifici; era quindi ben possibile ridurre tutto in potere del re. Apol­ lonio si incontrò con il re e gli riferì intorno alle ricchezze a lui denunciate; quegli designò l’incari­ cato degli affari Eliodoro e lo inviò con l’ordine di effettuare il prelevamento delle suddette ricchezze […] Giunto a Gerusalemme e accolto con defe­ renza dal sommo sacerdote della città, espose le

42

segnalazioni ricevute e disse chiaro il motivo per cui era venuto; domandava poi se le cose stavano realmente così. Il sommo sacerdote gli spiegò che quelli erano i depositi delle vedove e degli orfani; che una parte era anche di Ircano, figlio di Tobia, persona di condizione assai elevata; che l’empio Simone andava denunciando la cosa a suo modo, ma complessivamente si trattava di quattrocento talenti d’argento e duecento d’oro; che era assolu­ tamente impossibile permettere che fossero ingan­ nati coloro che si erano fidati della santità del luo­ go e del carattere sacro e inviolabile di un tempio venerato in tutto il mondo. Ma Eliodoro, a causa degli ordini ricevuti dal re, rispose recisamente che quelle ricchezze dovevano essere trasferite nell’erario del re. Venne in un giorno da lui stabilito per ordinare l’inventario delle medesime, mentre tutta la città era in grande agitazione. I sacerdoti, rivestiti degli abiti sacerdotali, si erano prostrati davanti all’alta­ re ed elevavano suppliche al Cielo che aveva san­

cito la legge dei depositi, perché fossero conserva­ ti integri a coloro che li avevano consegnati. Chi guardava l’aspetto del sommo sacerdote riportava uno strazio al cuore, poiché il volto e il cambia­ mento di colore ne mostravano l’intimo tormento. Tutta la sua persona era immersa in un timore e in un tremito del corpo, da cui appariva manifesta, a chi osservava, l’angoscia che aveva in cuore. An­ che dalle case uscivano per accorrere in folla a una pubblica supplica, perché il luogo santo stava per essere violato. Le donne, cingendo sotto il petto il cilicio, riempivano le strade; anche le fanciulle, di solito ritirate, in parte accorrevano alle porte, in parte sulle mura, altre si sporgevano dalle finestre; tutte, con le mani protese verso il Cielo, moltipli­ cavano le suppliche. Muoveva a compassione il pianto confuso della moltitudine e l’ansia tormen­ tosa del sommo sacerdote. Essi supplicavano l’on­ nipotente Signore che volesse conservare intatti in piena sicurezza i depositi per coloro che li avevano consegnati. Eliodoro metteva ugualmente in ese­ cuzione il suo programma. Ma appena fu arrivato sul posto compì un’appa­ rizione straordinaria, così che tutti i temerari che avevano osato entrare, colpiti dalla potenza di Dio, si trovarono fiaccati e atterriti. Infatti apparve loro un cavallo, montato da un cavaliere terribile e rive­ stito di splendida bardatura, il quale si spinse con impeto contro Eliodoro e lo percosse con gli zoc­ coli anteriori, mentre il cavaliere appariva rivestito di armatura d’oro. A lui apparvero inoltre altri due giovani dotati di gran forza, splendidi di bellezza e con vesti meravigliose, i quali, postisi ai due lati, lo flagellavano senza posa, infliggendogli numerose percosse. In un attimo fu gettato a terra e si trovò immerso in una fitta oscurità. Allora i suoi lo af­ ferrarono e lo misero in una barella. Egli, che era entrato poco prima nella suddetta camera del teso­ ro con numeroso seguito e con tutta la guardia, fu portato via impotente ad aiutarsi. Dopo aver speri­ mentato nel modo più evidente la potenza di Dio. Così, mentre egli, prostrato dalla forza divina, era là senza voce e privo d’ogni speranza di salvezza, gli altri benedicevano il Signore che aveva glorifi­ cato il suo luogo santo; il tempio, che poco prima era pieno di trepidazione e confusione, dopo che il Signore onnipotente aveva manifestato il suo in­ tervento, si riempì di gioia e letizia».

Il primo schizzo, tracciato rapidamente con il pennel­ lo e inserito nell’arcata della parete orientale, si avvicina ancor più dell’affresco al testo del libro dei Maccabei92. Il tempio si innalza davanti al portico a colonne corin­ zie di una strada da cui due personaggi guardano verso il basso. Raffaello non ricostruisce il monte del tempio di Gerusalemme che Hartmann Schedel aveva rappre­ sentato, ma crea l’interno del tempio a pianta quadrata, come nella descrizione del tempio di Salomone. Davanti all’altare si trova il candelabro a sette braccia e, dal tran­ setto destro, sporge l’arca dell’Alleanza, appoggiata su mensole. Sotto la volta a vela si apre una serliana, men­ tre un ordine di paraste tutto intorno suddivide la pare­ te. L’ordine di colonne del fronte d’ingresso dovrebbe supportare un frontone. Dietro il sommo sacerdote in preghiera, due ebrei con lunghi abiti parlottano fra loro, probabilmente Simone e un altro cospiratore. A destra dell’altare sono abbozzati due personaggi, uno in ginoc­ chio e uno in piedi accanto all’arca dell’Alleanza mentre, dietro l’altare, sbucano altre tre teste. Sulla sinistra, nella zona anteriore, uno dei nove o dieci sacerdoti disperati si getta a terra, mentre un altro sale sul piedistallo e ab­ braccia la colonna e, in secondo piano a sinistra, alcune donne velate si stringono tra loro. Sulla destra, a preghie­ re, paura e disperazione si contrappongono il cavaliere celeste e i suoi due accompagnatori, gli unici personaggi del gruppo tracciati con maggiore precisione. Davanti agli zoccoli del cavallo giace Eliodoro e, accanto a lui, i suoi servitori. Evidentemente Giulio voleva apparire di nuovo nella Stanza come testimone, e nell’affresco Raffaello riesce a creare una composizione ancor più grandiosa e coeren­ te. Nei magistrali studi preparatori egli si misura ancora una volta con Michelangelo93. Il papa si fa trasportare sulla scena in portantina, in­ troducendo così il ciclo dei quattro affreschi della Stanza e dando modo a Raffaello di sottolineare l’attualità del­ la rappresentazione. Ancora una volta Raffaello ricrea un ambiente spirituale che spazia dai tempi antichi al presente, senza rispettare le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione. Giulio si è ripreso dallo stato senile del ritratto di Londra ed è testimone del salvataggio di Onia, un salvataggio che spera anche per sé, anzi lo ritiene cer­ to in virtù della sua persona. Raffaello stesso regge la portantina, insieme a un altro curiale e a un paio di per­ sone vestite con maggiore semplicità. Il papa indica con un dito l’artista che comprende così bene le sue inten­ zioni e lo supporta anche fisicamente, come testimonia il

43

37-38


Raffaello, le Stanze

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

25. Raffaello, Madonna di Foligno, 1512 (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

33

34

36

distico di Flaminio. L’abito sfarzoso di Raffaello indica la sua recente nomina a Scriptor Apostolicus. L’elegante funzionario in primo piano, che l’indirizzo sulla lettera identifica come Gian Pietro de Fogliatis, è documentato intorno al 1513 come Abbreviator Brevium e appartene­ va alla cerchia degli intimi di Giulio94. Qui il papa appare come un ospite, sicuro di sé, come se la grave crisi di quei mesi non gli pesasse. Si è fatto più devoto, ma è rimasto l’antico guerriero e amante delle esibizioni grandiose, quindi Raffaello deve sicuramente aver incontrato il suo gusto con la Cacciata. Nell’affresco Raffaello rinuncia alla strada con il por­ tico, allarga il tempio fino al bordo e allinea tre cupole emisferiche sostenute da un ordine di colonne. Restano difficilmente leggibili le membrature raddoppiate dei due pilastri anteriori, che non corrispondono esattamen­ te fra loro. Con realismo storico, Raffaello si spinge anche nei particolari, mettendo i cappucci in testa agli ebrei dietro il grande sacerdote e allarga il gruppo di Eliodoro agli scagnozzi che trasportano il tesoro in una cassa. A sini­ stra del sommo sacerdote, un ebreo che indossa un man­ tello giallo e un copricapo a motivi spiega al suo vicino in mantello rosso il contenuto di un libriccino. Forse si tratta ancora di Simone, questa volta con l’inventario del tesoro del tempio, del cui furto incolpa Onia. L’uomo che abbraccia la colonna viene trattenuto da un ragazzo, forse per ascoltare di nascosto i progetti malvagi dei due. Le vedove e gli orfani sono collocati in primissimo pia­ no, in modo da poter ammirare stupiti da vicino i loro salvatori. Anche se le scene dell’Antico Testamento nella volta vennero realizzate solo nel 1514, erano probabilmente previste assieme alle singole scene, in modo da chiarire il loro sfondo religioso. Sopra la Cacciata si trova Mosè, in ginocchio sul monte Sinai davanti al roveto ardente al quale gli angeli hanno dato fuoco senza bruciarlo (Es 3,2). Fra le fiamme appare Dio, e il giovane pastore, che si copre gli occhi perché non può guardarlo, ascolta la propria designazione a salvatore degli ebrei. La scena, dunque, allude non tanto al sommo sacerdote Onia quanto a Giulio stesso, il pastor angelicus chiamato a salvare la Chiesa, successore di Mosè come capo del po­ polo eletto. La prospettiva centrale imbutiforme, ulteriormente accentuata rispetto allo schizzo e nella quale è inserito il papa, porta lo sguardo verso l’altare e Onia, che so­ miglia a Giulio, ma la cortina nasconde il punto di fuga.

44

Da lì, sfiorando l’arca dell’Alleanza, si viene riportati con ritmo sempre più rapido verso il cavaliere dipinto di scorcio. I veri punti focali della scena sono tuttavia nei due gruppi laterali. Come nel testo biblico, l’angelo a cavallo indossa un’armatura d’oro. Diversamente dalla Battaglia di Anghiari di Leonardo, dove il cavaliere balza verso il fondo, qui salta in avanti, fuori dalla scena. Lo spazio fra lui e i suoi accompagnatori è più percettibile rispetto a Leonardo, e il suo movimento ancora più trascinante. Il cavallo ha già buttato Eliodoro a terra, mentre il ca­ valiere e i suoi due aiutanti hanno sollevato il braccio, creando anche in questo caso una tensione transitoria fra il già e il non ancora, come quella che si profila nella Galatea e nella Madonna di Loreto. Anche nel caso del cavaliere, Raffaello riesce a supe­ rare Michelangelo, che solo qualche mese dopo proverà a realizzare qualcosa di simile con Dio Padre che si libra nella Creazione. E si cimenta con lui anche nel comples­ so atteggiamento e nella posa di Eliodoro. Ancora più intensamente di prima l’affresco è domi­ nato dall’accordo di blu, giallo oro e bianco che prende il posto della precedente policromia e conferisce al rosso della cappa del papa un effetto ancora più incisivo.

39

trarre ispirazione per la profezia del pastor angelicus, così come la tavola di Raffaello. Quindi, anche dietro questa scena apocalittica, si nasconde l’utopia di una nuova epoca che nasce con Giulio, come aveva peraltro annunciato anche il generale degli agostiniani Egidio da Viterbo97. Così come i tre poeti del Parnaso nascon­ dono il loro segreto, restano vuoti anche lo stemma del disegno di Windsor per la Disputa e la tavoletta che l’angelo tiene fra le mani. Per la prima volta Raffaello dipinge Maria con i line­ amenti della sua amata, un particolare che sicuramen­ te non può essere sfuggito a Giulio. Come Beatrice per Dante, la donna gli apre un nuovo accesso alla femmini­ lità della Madonna, quindi l’artista la ritrae ancora più bella rispetto al Parnaso. Nel quadro si incontrano dun­ que il papa e il suo segretario, il suo pittore e la donna da lui amata e qui trasfigurata, e solo così si ottiene la percezione di un’intimità che non ha uguali nelle opere precedenti. La Messa di Bolsena

La Madonna di Foligno Il 25 febbraio 1512 muore Sigismondo de’ Conti, segretario di Giulio e suo cronista, a lui legatissimo, e viene sepolto nella chiesa francescana di Santa Maria in Aracoeli95. Forse su richiesta del defunto, e di sicuro con il con­ senso del papa, Raffaello interrompe il lavoro della Stan­ za e dipinge la Madonna di Foligno per l’altare maggiore della chiesa96. Vi ritrae Sigismondo, inginocchiato con la veste del suo ufficio, riprendendo evidentemente il vol­ to dalla maschera mortuaria. Girolamo, il segretario di papa Damaso i, che somiglia a Giulio, gli pone una mano sulla testa in segno di protezione e raccomandazione. A sinistra, Francesco indica l’altare, sul quale i confratelli del suo ordine celebravano le messe per l’anima di Si­ gismondo. Come nella tavola milanese di Mantegna, il Battista indica ai credenti l’apparizione della Madonna, che intercede per la salvezza dell’anima del defunto. Raffaello presenta la Madonna non più nella lontanan­ za biblica. Davanti al disco solare, scende dolcemente su una nuvola verso i santi, il cherubino e Sigismondo. Per

questa immagine Raffaello segue i Mirabilia del 1130, che riferiscono come la Sibilla avesse profetizzato al fu­ turo imperatore Augusto di aspettare dei segni univoci della giustizia. La terra si sarebbe bagnata di sudore, ma dal Cielo sarebbe disceso il re dei secoli. Poco dopo la Madonna sarebbe discesa lentamente in una luce ul­ traterrena e Augusto avrebbe udito le parole: «Haec est ara coeli», e avrebbe fatto erigere l’altare della chiesa, l’Aracoeli. La leggenda ricorda il dodicesimo capitolo dell’Apocalisse, dove Giovanni vede la donna vestita di sole e il figlio appena partorito e sente le parole: «Nunc facta est salus, et virtus, et regnum Dei nostri, et potestas Christi…» («Ora è venuta la salvezza e la potenza e il regno dell’Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo…», Ap 12,10). Da questa visione, di un periodo di poco suc­ cessivo alla morte di Cristo, Amadeo de Silva sembra

25

Dalla Gerusalemme della Cacciata, Giulio si fa por­ tare nella Bolsena medievale. Lì un sacerdote tedesco che aveva dubitato della transustanziazione si conver­ te quando, mentre è di passaggio, celebra la messa e l’ostia comincia a sanguinare al momento della consa­ crazione. Forse Giulio non ha ancora pensato a questo tema quando, verso la fine del 1511, Raffaello comincia a dipingere la Cacciata. Tuttavia, dopo che a metà aprile 1512 il suo signore viene di nuovo sconfitto, i francesi minacciano di arrivare fino a Roma e il Conciliabulum scismatico decide, il 21 aprile, di sollevare Giulio dal­ la carica, forse allo stesso Giulio vengono dubbi sulla grazia di Dio. Deve spostare l’apertura del Concilio Lateranense dal 19 aprile al 3 maggio, e questo si riunisce in pre­ senza di soli sedici cardinali fra cui quelli che Giulio aveva nominato l’anno precedente. Nel discorso intro­ duttivo, Egidio da Viterbo interpreta la sconfitta di Ra­ venna come uno stimolo a sostituire alle armi la fede e l’illuminazione. All’incirca in questo periodo Raffaello probabilmente comincia la Messa di Bolsena, che è molto più pacifica ed enfatizza ancor più la fede della Cacciata. A favore di una datazione di poco posteriore alla Madonna di Foligno va anche l’ugualmente vivace gamma dei colori. L’i­

45

40


Raffaello, le Stanze

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

26. Raffaello e bottega, modello per la Messa di Bolsena, 1512 (Oxford, Ashmolean Museum, inv. II 641).

26

33-34

41

scrizione nella nicchia della finestra, dipinta solo sotto Leone x, cita il nono anno del pontificato di Giulio, che si conclude nell’ottobre del 1512, quindi si riferisce sol­ tanto alla parete sud e a quella est98. Nel modello, Raffaello si riallaccia significativamente alla Scena apocalittica di circa tre anni prima, che è però così diversa dagli altri affreschi della Stanza che non può essere stata destinata per questa parete, e Raffaello ne traduce la composizione, infatti, nel linguaggio più ma­ turo del 151299: in basso a sinistra è inginocchiato il papa con alcuni cardinali, a destra in basso due santi eviden­ temente importanti, forse il Battista, che aveva profetiz­ zato il sacrificio di Cristo e tende stupito il braccio, e ancora una volta Girolamo. Dietro di lui si vedono altri fedeli e il popolo, che reagisce con gesti vivaci al miraco­ lo e occupa uno spazio sempre più considerevole negli affreschi di Raffaello. Come nella Scena apocalittica, l’altare è collocato so­ pra la finestra. Il giovane sacerdote alza dal calice l’ostia che sanguina, mentre un chierichetto gli solleva la veste e gli altri sono inginocchiati intorno all’altare e davanti ai seggi del coro. Già le Decretali di Gregorio ix avevano descritto il sacrificio della messa e il celebrante come elementi in­ scindibili della Chiesa: «Una vero est fidelium universalis ecclesia… in qua idem ipse sacerdos est sacrificium Iesus Christus, cuius corpus et sanguis in sacramento altaris sub speciebus panis et vini veraciter consumetur...»100. La chiave dell’arcata che fa da cornice è, infatti, decorata con un calice da messa. Nell’affresco il papa indossa abiti simili a quelli della Cacciata, mentre i portantini occupano uno spazio anco­ ra più ampio rispetto al modello o alla Cacciata. Giulio aveva già fatto intessere il suo nome sulla tovaglia dell’al­ tare nella Disputa e deve aver pensato soprattutto al sa­ crificio di Cristo. Il sacrificio della messa è prefigurato nel Sacrificio di Isacco del corrispondente scomparto del­ la volta, e forse Giulio aveva anche scoperto in Isacco, salvato da Dio all’ultimo istante, addirittura un destino simile al suo. Il sacerdote tiene in alto l’ostia che stilla sangue, affin­ ché gli astanti la possano vedere, ed è immerso nella sua contemplazione. È pallido, con una parte del profilo in ombra e la bocca chiusa. Ha coperto il calice, aperto il messale e indossa una stola blu scuro, ricamata con fo­ glie di alloro dorate. Sull’altare, che ha la tovaglia bianca intessuta a strisce d’oro, due candelabri accesi e i vasi sacri, anch’essi d’oro.

46

Già il disegno preparatorio per il seggio, chiamato faldistorio, coperto con un tessuto di broccato, tradisce l’importanza che ora assume per Raffaello, come anche per il papa, lo sfarzo di rappresentanza101, cui contribuiscono anche i chierichetti, ora decisamente più domi­ nanti, con i loro ceri accesi. Raffaello caratterizza la ma­ terialità delle stoffe e riesce a cogliere, come mai nessuno in precedenza, anche il lato estetico della messa. Anche qui procede gerarchicamente, come nella Disputa e nel Parnaso, e ravviva il bianco illuminato dalla luce intorno all’altare soltanto con qualche tratto di oro, rosso e blu, utilizzando tuttavia le sfumature di una policromia viva­ ce nelle parti secondarie dell’affresco. Il papa arriva con un seguito importante, che Raffael­ lo colloca in tutta la parte destra della scena. Sullo sfon­ do Raffaele Riario, allora cinquantunenne, che aveva aperto il concilio come decano del Sacro Collegio. È di gran lunga il più potente dei nipoti spirituali di Giulio, e da anni camerlengo responsabile della sicurezza e del­ le finanze della Curia, quindi molto impegnato proprio in quel periodo. Il cardinale alle sue spalle somiglia al ritratto su moneta di Domenico Grimani (1461-1523), discendente dei dogi di Venezia, che lesse la prima mes­ sa del concilio102 e, intorno al 1516, torna fra i cardinali vescovi dell’Incoronazione di Carlo Magno. In seconda fila si trovano Ottaviano Riario, vescovo di Viterbo, e Cesare Riario, vescovo di Pisa, che hanno un’espressione un po’ sciocca. Probabilmente anche i due portantini in prima fila facevano parte della paren­ tela di Giulio. Sono cavalieri pettinati con cura e sfar­ zosamente vestiti con calze bianche, eleganti scarpe con fibbie e lunghe spade, quindi non sono sicuramente sviz­ zeri. Quello davanti a tutti somiglia nella fisionomia al ritratto di Raffaello, conservato agli Uffizi, che probabil­ mente rappresenta Francesco Maria della Rovere (14901538), nipote allora quindicenne di Giulio103. Questi, nel 1508, succedette al suocero come duca di Urbino e, nel 1509, al padre Giovanni come capitano generale della Chiesa e rappresenterebbe quindi anche le forze militari del papa: Giulio, tuttavia, gli concede un posto meno dominante di quanto Leone x poi farà con i nipoti nella Stanza dell’Incendio. Al posto dei santi del modello ci sono principi della Chiesa, nipoti e cavalieri, e il miracolo non è più l’uni­ co fulcro dell’attenzione, probabilmente perché anche qui il papa ha espresso i suoi desideri. Già da giovane cardinale aveva contribuito all’affresco di Melozzo che rappresentava Sisto iv e la sua famiglia nella vecchia

43

Biblioteca Vaticana, e anche Egidio da Viterbo sotto­ linea nella sua Historia viginti saeculorum il significato mistico della parentela di sangue per entrambi i papi di casa della Rovere. Con l’immagine apocalittica di una medaglia coniata allora, Luigi xii giura di annientare anche i parenti del papa. La scritta «perdam babiloniae nomen», tratta da Isaia 14,22, prosegue con le parole «et reliquias, et geniem, et progeniem»104. Sulla contromedaglia di Giulio, questi siede a cavallo e distrugge lo stemma francese105. Nessun dubbio, quindi, che il papa e il suo pittore se­ parassero rigorosamente nepotismo e rappresentazione sfarzosa della fede meno rigorosamente di oggi. A que­ sta secolarizzazione del progetto originale per l’affre­ sco può anche aver contribuito il fatto che, alla fine di maggio del 1512, lo scenario politico si era nuovamente rischiarato. Giulio è troppo debole per partecipare alla messa di Pentecoste, ma si riprende per il giorno di San Giovanni e può prendere parte a una funzione davanti alle reliquie di San Pietro in Vincoli. Il 22 giugno, non appena viene a sapere della sconfitta dei francesi, si reca

nuovamente nella sua antica chiesa titolare per ringra­ ziare Dio e l’apostolo per la propria salvezza. Come nella Disputa, Raffaello distingue fra le due metà dell’affresco e presenta sulla sinistra il popolo, che reagisce al miracolo molto più spontaneamente dei cava­ lieri e dei vescovi. Dal gruppo formato da tre madri con i loro figli si alza una donna vestita di giallo oro, che ha saputo del miracolo e indica con una mano l’ostia che stilla sangue mentre, commossa, posa l’altra sul petto. Dietro di lei si affollano dei giovani sulla scala e due di loro si sono persino arrampicati sugli stalli del coro per soddisfare la curiosità. Sullo sfondo, Raffaello elimina la parete del coro ar­ ticolata in coppie di mezze colonne del modello, che si apre sull’abside semicircolare e sulla galleria del piano superiore e rende la cornice architettonica più simile a quella della Cacciata. Come nell’affresco precedente, gli strati dei due pilastri d’angolo non sono facilmente com­ prensibili e fanno pensare che l’architettura sullo sfondo sia stata eseguita dagli allievi. Dietro il baldacchino, che non ha alcuna funzione apparente, la parete si apre in un

62

60

47


Raffaello, le Stanze

passaggio con la volta a botte e in una grande finestra. In modo simile alla Cacciata l’architettura dipinta esten­ de lo spazio e accompagna i personaggi: sopra l’altare si vede soltanto il cielo appena rannuvolato, le nobili colonne ioniche si alzano dietro il sacerdote e il papa, e i massicci pilastri dietro l’elegante seguito e il popolo stipato sulla sinistra. La Madonna Sistina

17

L’8 ottobre 1512, quando Parma e Piacenza vennero incorporate nello Stato della Chiesa, Giulio ebbe uno dei suoi maggiori trionfi politici. Per ringraziare la Ma­ donna e invitare i piacentini a venerarla, dona la pala dell’altare maggiore alla chiesa benedettina di Piacenza, dedicata a Sisto ii, al santo patrono di suo zio, e Raffa­ ello deve nuovamente interrompere la decorazione delle Stanze106. L’aspetto trionfante della Madonna, che mette in ombra tutte quelle dipinte in precedenza, può spie­ garsi soltanto con il clima di entusiasmo di quelle setti­ mane. Anche questa tela, come la Madonna di Loreto e quella di Foligno, rende più comprensibile la transizione all’affresco successivo. In quegli ultimi mesi di vita, Giulio deve aver implora­ to ancor più di prima l’intercessione di Maria per la sal­ vezza della sua anima, quindi probabilmente fu lui stes­ so a spingere Raffaello a orientarsi verso l’intercessione della Madonna del primo abbozzo di Michelangelo per la tomba di Giulio107. E, come in quel disegno, Maria è presente e si libra sulle nuvole dei cherubini, ma non è più rivolta verso un morto, bensì esce dal quadro, aperto come se fosse la finestra di un’abside. La veste svolazzante svela il mo­ vimento del piede sinistro, che avanza come a superare il confine fra il quadro e la chiesa. La sua avanguardia sono il papa e santa Barbara con la torre della castità, altrettanto venerata a San Sisto, caduti in ginocchio come davanti a una regina. Come Giulio l’anno precedente si era identificato con Gregorio ix negli abiti pontificali, qui lo fa con Sisto ii, ma ha tolto la tiara con la ghianda dei della Rovere in segno di rispetto. Con gesto interrogativo indica verso l’alto, come se il cielo fosse la meta di Ma­ ria. Gli angioletti, passando al di sopra dei quali Maria si allontanerà, volgono gli occhi verso l’alto, un momento transitorio come nella Madonna di Loreto e nella Cacciata. Nel corpo e nel contrapposto di Maria si percepisce l’influenza dell’Apollo del Belvedere, la statua predilet­

48

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

ta del papa. Così come Atena accompagna gli eroi del mito greco, la Madonna protegge Giulio e la Chiesa che egli vuole rinnovare. Riesce a farlo però solo suo figlio che si sacrifica per l’umanità ed è proprio questa consapevolezza a renderla nel contempo così vicina e così lontana. Volge lo sguardo trasognato verso destra e si subordina al Bambino la cui testa è solo di poco più piccola e il cui sguardo vivace e la bocca dal piglio risoluto indicano la consapevolezza della sua missione e sottolineano ulteriormente la femminilità più passiva di Maria. Il viso della Madonna ricorda, ancora una volta, quello dell’amata di Raffaello, ma è ancora più perfetto di quello della Madonna di Foligno e levigato come quello di un’icona. Lei e il Bambino appartengo­ no a una sfera metafisica, dove non penetrano guerre e conquiste. Per la terza volta nel volgere di un solo anno, Giulio incontra il suo pittore in una visione della Madonna del tutto insolita. Raffaello, che ormai ha 29 anni, ha rag­ giunto l’apice della creatività e il fatto che, dopo la mor­ te di Giulio, non sia più riuscito a realizzare un’opera altrettanto compiuta e misteriosa è l’ulteriore dimostra­ zione dell’importanza che questo papa ebbe per lui e per la sua arte.

33-34

La Liberazione di san Pietro Nel terzo affresco, di poco posteriore, della Stanza, emerge in modo ancor più eclatante il contrasto fra la presenza fisica e l’estasi metafisica. La stretta cella ri­ sponde all’architettura della Messa di Bolsena, ma si erge come una torre isolata sopra la nicchia della finestra. Fra i suoi massicci pilastri rustici si alza una grata di ferro a maglie fitte: palesemente l’architettura di un carcere, come non è mai esistito né esisterà. Fra le nuvole ar­ gentee fa capolino una falce di luna e, sopra Roma, in lontananza, sta albeggiando. L’aura abbagliante dell’arcangelo Gabriele illumina anche l’esterno della cella. Sta scuotendo per le spalle Pietro, che dorme, e con il braccio sinistro teso indica verso l’esterno la libertà. Pietro, anch’egli simile a Giu­ lio, viene sorvegliato da due soldati appoggiati alle lan­ ce. Fra le cinque persone addormentate nell’affresco, ci sono anche le due guardie sulla scala a destra, in primo piano, mentre quelle sulla sinistra sono spaventate dalla luce dell’angelo. Le due più indietro si proteggono gli occhi, mentre il personaggio di spalle in primo piano in­

44

45

46-47

dica concitato al quarto soldato, ignaro, il carcere pieno di luce. Sulla destra, l’angelo ha liberato Pietro dalla cel­ la, e lo tiene per mano per scendere con lui verso Roma. La sua aura dipinta di scorcio sembra una mandorla. Pietro esita di fronte alle guardie addormentate, ma si fa tranquillizzare dall’angelo e solleva il piede come la Madonna Sistina. Si tratta dell’unico affresco delle Stanze in cui compa­ iono per due volte gli stessi personaggi, una caratteristi­ ca ancora abituale nel Quattrocento, e anche in questo caso, probabilmente, Raffaello poteva replicare a even­ tuali critiche affermando che le categorie aristoteliche non valgono nell’ambito spirituale. Grazie all’aiuto di Dio, Giulio era stato liberato dalle proprie catene, sebbene nel corso degli ultimi mesi di vita sicuramente intendesse la liberazione anche come distacco dell’anima dal corpo, che i platonici considera­ vano «carcere terreno». Anche Paolo e molti Padri della Chiesa scorgevano nella liberazione dal corpo la meta desiderabile per i fedeli. Questa interpretazione viene confermata dalla corrispondente scena della volta, dif­ ficilmente riferibile alla situazione politica: Giacobbe sogna la scala che sale verso il cielo sulla quale salgono e scendono gli angeli. Anche il papa morente potrebbe aver sognato che Gabriele lo avrebbe presto accompa­ gnato su una scala verso il Paradiso. Gli angeli, e Gabriele in particolare, accompagnano Giulio dal primo all’ultimo degli affreschi completati per suo conto e, sebbene le profezie di Amadeo non si avverino per lui, e nessuno lo chiami mai ufficialmente pastor angelicus, Raffaello lo ha immortalato in questa veste. A differenza della figura quasi incorporea di Pietro li­ berato, qui l’angelo somiglia all’Apollo del Belvedere an­ che più della Madonna Sistina. Solo dopo il suo ritorno dal campo di battaglia, Giulio aveva fatto trasportare la statua del dio che uccide con l’arco dal suo palazzo car­ dinalizio presso i SS. Apostoli nel giardino delle statue del Belvedere e, forse, lo aveva ammirato lì addirittura insieme a Raffaello108. Alla fine di ottobre 1512, quindi solo poco prima che Raffaello cominciasse a dipingere l’affresco, Mi­ chelangelo aveva svelato la seconda metà della volta della Cappella Sistina con le scene innovative della Genesi, di Aman e di Mosè, e Raffaello deve lottare nuovamente per essere il primo fra gli artisti. Risponde avvicinandosi ancora di più all’antico, con una gamma sempre più ampia di possibilità espressive dell’animo,

spettacolari contrasti fra luce e ombra, posizioni e ge­ sti sempre più complessi dei suoi personaggi che muo­ ve in spazi ariosi. Leone Magno e Attila Raffaello vive a Roma da quasi quattro anni e ha or­ mai assorbito l’arte antica, ma fino alla Messa di Bolsena seguiva ancora soprattutto i suoi maestri italiani. Solo nella Madonna Sistina e nella Liberazione di san Pietro si fa notare subito lo studio dell’arte antica. Giulio, poco prima della sua morte, gli dà finalmente l’occasione di misurarsi in modo ancor più diretto con essa sulla quarta parete della Stanza109. Nella sua storia dei pontefici, il Platina racconta come, nel 452, Pietro e Paolo avessero protetto il papa dall’assalto del re degli unni nei pressi di Mantova. La città apparteneva alla Lombardia, quindi l’affresco allu­ de in modo ancora più evidente dei tre precedenti alla fine dell’occupazione francese e alla Donazione di Co­ stantino, dalla quale Giulio aveva fatto derivare anche le rivendicazioni su Parma e Piacenza. Probabilmente Giulio decise il tema solo dopo il mese di settembre 1512. Raffaello deve aver fatto di tutto per completare le Stanze prima che un nuovo papa modi­ ficasse il programma. Lo comincia difficilmente prima dell’inizio dell’anno e, quando Giulio muore il 22 feb­ braio 1513, l’affresco non è ancora terminato. Alla de­ stra del papa egli raffigura Giovanni de’ Medici ancora nelle vesti di cardinale, ma dà anche al papa i lineamenti di Leone, e ciò può essere avvenuto soltanto dopo l’ele­ zione di questi nel marzo 1513. L’autografo modello del Louvre è una delle sue più straordinarie prestazioni di quegli anni110. In fondo a sinistra il papa giunge a cavallo di un asino dall’antica Mantova, come se avesse proseguito il suo viaggio da Bolsena. I possenti principi degli apostoli si librano con le spade sguainate e fermano Attila. Solo lui li vede, si protegge gli occhi dal loro splendore alzando un braccio e lascia libero il cavallo mentre, con l’altro braccio, fa segno alle truppe di fermarsi. Due cavalieri e alcuni soldati lo hanno superato e, spa­ ventati, cercano di capire che cosa gli stia succedendo. Non si sono ancora accorti del papa e del suo seguito. Nei due cavalli dei cavalieri dietro ad Attila, Raffaello si rifà direttamente a quelli dei Dioscuri del Quirinale. Sul­ lo sfondo, si ammassano i portabandiera e i suonatori di

49

48

27


Raffaello, le Stanze

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

27. Raffaello, modello per Leone e Attila, 1512 (Paris, Louvre inv. 3873).

28

tuba e di corno, mentre gli ultimi soldati dell’esercito si perdono nel paesaggio roccioso illuminato da un incendio. Raffaello evita la prospettiva centrale dei tre affre­ schi precedenti e riempie il primo piano, come sugli antichi rilievi, con figure in posizioni complesse e in­ trecciate fra loro. Li ha preparati sul modello del nudo, scolpiti con la luce che cade dall’alto sulla sinistra e lascia loro uno spazio per muoversi simile a quello del­ la Liberazione. Solo in questo affresco della Stanza egli rinuncia all’architettura, ma risponde nella composi­ zione, nei santi e nei cavalieri alla Cacciata di fronte. Analogie stilistiche con la Liberazione e con i disegni di Raffaello per la Resurrezione della Cappella Chigi fanno però ipotizzare una datazione del modello poste­ riore all’ottobre 1512. Evidentemente Giulio critica il ruolo secondario del papa, e Raffaello fa preparare da Penni un nuovo model­ lo, che segue ancora più fedelmente il racconto del Plati­ na, sottolineando nel contempo la continuità con il ciclo di affreschi111. In mezzo al suo seguito, che ha la forma di un cuneo, ora il papa, in abito pontificale e sulla sedia gestatoria, domina la metà sinistra della scena. Ancora una volta somiglia a Giulio, che pare aver rinunciato da

50

28. Giovan Francesco Penni (?) per Raffaello, progetto per Leone e Attila, 1512 (Oxford, Ashmolean Museum, inv. II 645).

poco all’elegante barba. Alzando il dito indice, si avvici­ na senza paura ad Attila, che ora ammansisce il cavallo che si sta impennando e, con la mano sinistra, fa segno di interrompere l’attacco. Nessuno dei suoi sospetta ancora che, sopra le loro teste, siano arrivati i principi degli apostoli. Le due metà dell’affresco sono abbastan­ za scollegate fra loro e la somiglianza con l’antico resta limitata soprattutto ai due cavalli. Nell’affresco, Raffaello accetta gran parte del primo modello con ben poche modifiche e persino il soldato di Attila che ora, anziché il cielo, indica il papa. Questi si è avvicinato a cavallo e, mentre tiene lontano Atti­ la con gesto benedicente, partecipa ora attivamente al miracolo. È fiancheggiato da due cardinali e da altri dignitari e accompagnato dalla croce processionale, ma nell’affresco è carico di un prestigio ancora mag­ giore rispetto al secondo modello. Come nelle Decretali, Giulio si identifica con un grande predecessore e, nel contempo, è presente come testimone al miracolo. Soltanto le fisionomie e gli sfondi ormai romani alludo­ no al superamento della crisi politica, e il sottofondo religioso e politico della scena è evidente anche nel­ la Vittoria, presente nel basamento e nello scomparto

33-34

49-50

corrispondente della volta. Lì Noè ringrazia Dio per averlo salvato dal diluvio universale e ritorna con i suoi sulla terra verdeggiante. Il re, che ha in testa la corona e indossa una veste gial­ lo oro, un mantello azzurro e pantaloni verdi, non è più accecato dai santi guerrieri, ma indietreggia spaventato davanti a loro, senza vedere il papa, e ferma l’avanzata. Raffaello dispone in un semicerchio quasi simmetrico i cavalli di Attila e il suo accompagnatore insieme ai ca­ valli del gruppo papale, e sono distribuiti in modo quasi simmetrico anche il giallo, bianco e rosso, mentre il blu ha perduto di importanza. Benché la composizione cor­ risponda persino nei colori ancora meglio alla Cacciata di fronte, il cambiamento obbligato del progetto resta percettibile e le due parti dell’affresco non si congiungo­ no in un’unità pari a quella del primo modello. Raffaello presta un’attenzione sempre maggiore alla veridicità storica e lo fa nel cerimoniale, nella tiara del papa, che ha una forma arcaica simile a quella della Madonna Sistina, ma anche nella corona di Attila, ispirata a una moneta antica, e in armi, armature e bandiere dell’e­ sercito. Ancora prima della morte di Giulio, Raffaello entra così in una nuova fase creativa.

Il completamento delle prime due Stanze sotto Leone x: volta, basamento e nicchie delle finestre

Raffaello pensa sempre più a sistemi coerenti e tie­ ne in maggiore considerazione anche il punto di vista dell’osservatore. Così illumina le arcate della Liberazione e dell’Attila con giochi di luci e ombre. Nella Cacciata, fa entrare il papa nella scena da sinistra e, nella parete di fronte, fa giungere Attila da destra. Tre dei quattro affreschi sono anche collegati dalle loro archi­ tetture centralizzate. Nella Stanza di Eliodoro, Raffaello collega ancor più strettamente le quattro pareti e la volta rispetto alla Stanza della Segnatura. Anche qui, il cielo dei quattro affreschi appare come un frammento di uno spazio uni­ versale animato da Dio, e le quattro scene si uniscono, come palcoscenici simultanei tardomedievali, in una narrazione continua: dapprima Giulio vive il salvatag­ gio del tesoro della Chiesa, poi il miracolo della messa e la cacciata degli intrusi stranieri, per essere infine libe­ rato dall’angelo dal carcere terreno. Come nella Stanza della Segnatura, questo percorso è del tutto indipen­

51

31-32

33-34


Raffaello, le Stanze

31-32

dente dalla cronologia storica e riferito principalmente a Giulio e agli eventi dei suoi ultimi anni. Nei primi mesi del suo pontificato, Leone x incarica Raffaello di eseguire gli affreschi delle nicchie delle fine­ stre, del basamento e della volta della Stanza di Eliodo­ ro. L’anno 1514, quando questi lavori sono terminati, è scritto sopra la porta verso la Sala di Costantino e l’ab­ bozzo per Mosè di fronte al roveto ardente, così come il grandioso cartone con Mosè in ginocchio, sono difficil­ mente antecedenti alla primavera del 1514112. Già prima di Raffaello alcuni cassettoni delle due ar­ cate della volta erano stati dipinti con un illusionistico cielo azzurro, putti e lo stemma di Giulio ii. Sotto il papato di Leone, Raffaello tende fra i costoloni finti arazzi, simili a quelli poi dipinti per la loggia di Amore e Psiche alla Farnesina, evitando così di dover presen­ tare i personaggi con la stessa visuale illusionistica dal basso del Dio Padre della Cappella Chigi. Nei quattro arazzi rinuncia dunque a dare il senso di profondità dello spazio e segue Michelangelo, realizzando pochi personaggi su una base stretta con uno sfondo omo­ geneo. Le strisce di terra verde delle quattro scene si uniscono comunque a formare un quadrato al punto da riuscire quasi a far credere al visitatore di poter guar­ dare il cielo azzurro attraverso la verde crosta terrestre. Intorno allo stesso periodo, Raffaello prolunga verso il basso i pennacchi della volta e decora le nuove parti con finte statuette di marmo e stemmi dei Medici su uno sfondo blu scuro. In origine, probabilmente, le arcate dei quattro affre­ schi salivano dal pavimento. I pilastri di forma poligo­ nale sono sempre decorati a grottesche su sfondo blu, e collegati da una cornice d’imposta, un sistema che difficilmente soddisfaceva Raffaello. Intorno al 15131514 trasforma quindi il basamento in un ordine antro­ pomorfico con una propria trabeazione che interseca i vecchi pilastri delle arcate, sostiene il pavimento delle quattro scene e suggerisce che si tratti di scenografie teatrali, come quelle create da Bramante, Peruzzi e, in seguito, anche da lui stesso per effimere rappresentazio­ ni teatrali113. Come nella facciata del suo contemporaneo Palazzo Alberini, Raffaello articola ogni intercolumnio con tre campi ciechi di grandezza diversa. Nel piccolo campo superiore sembra inserita una lastra di marmo nero, mentre i finti rilievi su sfondo rosso rame sono di Ma­ ratta che, per alcune scene, potrebbe essersi basato su quelle rovinate di Raffaello.

52

Tre Madonne e la Stanza di Eliodoro

Sui pilastri angolari del basamento marmoreo, deco­ rati a grottesche, si susseguono cariatidi, telamoni ed erme, con capitelli dorici che, come nella loggia delle Cariatidi dell’Eretteo dell’Acropoli, sono decorati con astragalo e ovoli. Persino la trabeazione abbreviata resa di scorcio, con i dischetti e gli ovoli, segue il modello delle Cariatidi, confermando quanto afferma Vasari, ovvero che Raffaello avrebbe mandato dei disegnatori in Grecia perché riproducessero i monumenti antichi. Tuttavia, anziché copiare le Cariatidi dell’Acropoli o del Foro di Augusto, si cimenta con i prototipi inventando nuove figure in stile antico. Ne accentua gli attributi con il colore, alterna personaggi femminili e maschili, giova­ ni e vecchi, ideali e ripugnanti, e ricorre anche a erme là dove i tratti irregolari della parete lo richiedono. La cariatide di uno dei suoi primi schizzi per il basa­ mento tiene in mano soltanto un bastone, mentre molte di quelle dipinte fanno riferimento agli affreschi sopra­ stanti114. Il telamone sotto il Giulio della Cacciata sorreg­ ge un’insegna militare sulla quale, come nella Adlocutio della Sala di Costantino, è appollaiata una piccola aquila che allude alla dignità imperiale, un motivo che, eviden­ temente, deriva da un rilievo storico. Sotto il cavaliere della Cacciata si trova una cariatide con lo scudo e il gorgoneion di Atena e, sotto i predatori, una vecchia ripugnante, forse un’allegoria della cupidi­ gia. La Prosperitas con la cornucopia sotto il Riario della Messa di Bolsena esalta la responsabilità del cardinale per il benessere dello Stato della Chiesa. Sotto Leone i, la Fides, con un vaso da cui escono lingue di fuoco, e la Victoria sottolineano il trionfo della fede sugli aggres­ sori pagani. Sotto gli apostoli si trova una cariatide con l’àncora che nella lettera agli Ebrei Paolo paragona alla speranza dei fedeli, e anche Cesare Ripa la interpreta allo stesso modo. Non è facile spiegare il cesto di legno pieno di uva della cariatide sotto l’esercito di Attila, ma potrebbe alludere alla Donazione di Costantino, della quale Leone i, così come Giulio e Leone x, raccolsero i frutti. Alcune cariatidi tengono in mano un timone, stru­ mento per muoversi nelle acque tranquille e in quelle agitate, altre invece soltanto un bastone. Le erme sotto il carcere di Pietro e l’altare della Messa di Bolsena, come nel monumento funebre di Giulio ii, sono rappresentan­ ti di Terminus, il dio della fine e dell’inizio, della morte e della resurrezione. Il livello di esecuzione è molto superiore a quello dei personaggi sullo sfondo di Giustiniano della Stan­ za della Segnatura, e lo stesso Raffaello potrebbe aver

35

mostrato ai suoi aiuti in che modo immaginasse il ba­ samento. In ogni caso prepara di propria mano anche personaggi come la cariatide sotto l’angelo di destra della Liberazione. Forse si tratta di una viandante come Pietro, poiché ha un sacco sulle spalle, mentre il ramo d’ulivo in mano alla cariatide corrispondente sulla sini­ stra potrebbe alludere alla salvezza di Noè dal diluvio universale. Qui Raffaello rinuncia alle iscrizioni esplicative del­ la Stanza dell’Incendio, forse perché non si tratta di un programma coerente, quindi pone all’osservatore nuovi interrogativi che neppure l’attuale ricerca è stata in gra­ do di risolvere del tutto. In ogni caso si riallaccia al pro­ gramma religioso-politico degli altri affreschi della Stan­ za. Con il basamento Raffaello conferisce all’ambiente un carattere ancora più anticheggiante e architettonico rispetto a quello creato dai soli affreschi delle pareti o della volta. In tal modo, la tendenza a una crescente uni­ formazione degli ambienti diviene quasi inseparabile dal suo avvicinamento all’architettura. Le nicchie delle finestre, che Raffaello decora negli stessi anni intorno al 1513-1514, confermano come an­ che Leone x desiderasse mantenere nelle Stanze un pro­ gramma essenzialmente religioso. La suddivisione delle pareti laterali delle nicchie di finestra segue le finestre a croce. La parte inferiore è decorata da grottesche e quella superiore da scene in chiaroscuro. Le due scene sotto la Messa di Bolsena, disegnate da lui ed eseguite da aiuti, trattano della Donazione di Costantino e delle pretese dei papi sullo Stato della Chiesa: a sinistra papa Silvestro, con l’aiuto della Madonna, lega il drago che ha ucciso tanti innocenti, mentre a destra riceve da Costan­ tino, in ginocchio, le insegne del potere. Due scene che sottolineano la totalità del potere dei pontefici115. Le grottesche sono di dimensioni maggiori, meglio leggibili e più grandiose delle precedenti. Sotto la Messa sono appese ai candelabri centrali delle tabulae ansatae con l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi116. Non al­ ludono quindi a Giulio ii, bensì al Redentore che si ri­ vela nell’ostia della Messa che stilla sangue. I fanciulli che reggono le tavole si oppongono con le fiaccole a due levrieri con la testa alzata. Sulla tavola stanno sfingi alate con code da drago arricciate, che si riferiscono forse al drago di papa Silvestro e sulle quali stanno in equilibrio putti alati. I due chiaroscuri rovinati nella nicchia della finestra sotto la Liberazione presentano l’Apparizione di Cristo nel giorno dell’Apocalisse e l’Apparizione dell’angelo con

il libro, quindi due scene dell’Apocalisse di Giovanni (Ap 1,10-16). Sulle tavole delle grottesche in basso ci sono l’Apparizione di Cristo alla festa delle Capanne e la sua improvvisa scomparsa quando cercano di lapidarlo (Gv 7), tutti episodi che si possono mettere in relazione con la Liberazione di san Pietro. Nelle scene e nei per­ sonaggi aggiunti sotto Leone rientra anche il destino del suo predecessore nelle affermazioni generali sulla storia della salvezza e della Chiesa. Le grottesche della nicchia della finestra a sud si allon­ tanano di un altro passo da quelle precedenti. Due putti portano una tavola scura, e su questa sono inginocchiati angioletti con cornucopie, dalle quali pendono festoni di frutta. Questi arrivano al muso dei levrieri seduti ac­ canto a un altare. Le nicchie, contemporanee, della Stanza della Segna­ tura sono molto simili. In un chiaroscuro della parete della Giustizia, Cristo, cui i discepoli hanno fatto notare due spade, affida a Pietro, ovvero alla Chiesa futura, la spada secolare e quella spirituale, quindi nuovamente la massima autorità secolare e spirituale. Sull’altro chiaroscuro, del quale si sono conservati ad­ dirittura due disegni preparatori di mano di Raffaello, si vede Zaleuco, che secondo Valerio Massimo aveva re­ datto la prima legge scritta per i locri del v secolo a.C.117: si tratta anche in questo caso di una scena che ha riferi­ menti sovraindividuali relativi all’affresco soprastante. I personaggi e gli edifici anticheggianti dei due chiaroscu­ ri ricordano gli arazzi che Raffaello realizzerà poco più tardi per la Cappella Sistina. Nei chiaroscuri della nicchia della finestra sotto il Parnaso di fronte tornano Apollo e Marsia, ma qui seguono il modello del cammeo dei Medici e sono dirimpetto a una scena non ancora identificata, nella quale un uomo corre dietro a una ragazza, sebbene difficilmente si tratti di Apollo e Dafne. In ogni caso, entrambe le scene sono riferite al Parnaso118. Raffaello tratta le decorazioni sot­ tostanti in modo ancor più architettonico che nella nic­ chia sotto la Liberazione. Quattro erme femminili sor­ reggono sopra i capitelli ionici la tavola nera, e su questa stanno in piedi tre putti, separati da altari fiammeggianti e minacciati da serpenti, che reggono la tavola con la scritta «Suave» dell’impresa di Leone. Cariatidi ed erme si sono conquistate un posto di rilievo anche nelle grot­ tesche di Raffaello e l’artista lascia più spazio di prima all’ambito dell’irrazionale. Nello stesso periodo, Raffaello si dedica alle zone ri­ maste fino a quel momento prive di decorazione sotto il

53

51a-b

30b

30a

26a-b


Raffaello, le Stanze

25b, 25d

25a

25c

Parnaso. Nel basamento prosegue a trompe-l’oeil le tar­ sie della libreria di Giulio ii: dietro una panca, si alzano su piedistalli fasci bramanteschi di paraste di ordine do­ rico. Come nel piano ionico del Cortile del Belvedere, il pilastro centrale aggetta nella tripartita trabeazione ma il fregio è decorato con imprese dei Medici. Sopra, ai due lati della finestra, Raffaello dipinge finti rilievi antichi di marmo. In quello a sinistra, Alessandro Magno ordina di deporre le opere di Omero nel sarco­ fago di Dario, re dei persiani. Raffaello schiaccia i per­ sonaggi parallelamente al piano su uno sfondo chiuso, avvicinandosi così ancora più direttamente che in Attila allo stile del rilievo storico. Anche nelle pose e negli abiti dei singoli personaggi si orienta sempre più verso esempi antichi. Come già nel modello di Attila, vivacizza l’azione raggruppando i soggetti in profondità intorno al sarcofa­ go aperto e reso leggermente di scorcio. Queste osservazioni valgono solo in parte per il rilievo sulla destra. Come nelle opere precedenti, i personag­ gi sono meno statuari e si sviluppano anche nell’ombra dello sfondo. Raffaello potrebbe aver progettato questa scena qualche tempo prima. Rappresenta Augusto che impedisce agli amici di Virgilio di bruciare l’Eneide, come il poeta aveva chiesto loro prima di morire. En­ trambi i rilievi fanno capire quali fossero le poesie più apprezzate e come ai grandi sovrani spettasse la respon­

54

sabilità di preservare gli oggetti antichi dalla distruzione. Raffaello arricchisce il pavimento di Niccolò v con fa­ sce decorate con le imprese dei Medici che arrivano fino alle pareti delle finestre e potrebbe anche aver creato gli sgabelli rotondi di marmo nelle nicchie delle due stan­ ze. I bozzetti di tutti questi lavori, e forse anche quelli per le porte di legno, approntate anch’esse solo sotto il pontificato di Leone, sono principalmente di sua mano, quindi potrebbe avere affidato nel frattempo ad allievi e collaboratori come Penni, Giulio Romano e Giovanni da Udine gran parte dell’esecuzione e della sorveglianza de­ gli altri aiuti senza rischiare una perdita di qualità simile a quella del Giustiniano. E lo fece tanto più facilmente in quanto Leone badava molto meno del suo predecessore alla mano autografa del maestro. Il 1° agosto 1514, quando Raffaello riceve un saldo di 100 ducati per la decorazione delle «nuove» Stanze del papa, i lavori nelle due prime Stanze sono definitiva­ mente conclusi119. Nel corso del 1513 completa dappri­ ma l’Attila, poi comincia la decorazione del basamento e delle nicchie delle finestre nelle due Stanze. Solo nel 1514 crea i finti arazzi con scene dell’Antico Testamen­ to120. L’iscrizione nella nicchia della finestra sotto la Iustitia parla del secondo anno di pontificato di Leone che finiva a marzo 1515 e riguarda quindi il completamento delle due Stanze.

Capitolo quarto

La Stanza dell’Incendio di Borgo

52-53

Gli interessi dinastici di Leone sono ancora difficil­ mente riconoscibili nelle molte composizioni di medio e piccolo formato che Raffaello crea per lui nelle prime due Stanze, mentre nella Stanza dell’Incendio sono sem­ pre più dominanti. La volta era stata dipinta da Perugi­ no più o meno contemporaneamente a quelle di Sodoma e Peruzzi. Raffaello non l’ha toccata non solo forse per soddisfare un espresso desiderio di Leone ma sicura­ mente anche come segno di rispetto per il suo maestro. I tondi di Perugino rappresentano una volta Dio Pa­ dre e tre volte Cristo in gloria. Sopra l’Incendio di Borgo, le allegorie della Fede e della Giustizia fiancheggiano Cristo nella mandorla. Giulio aveva destinato la Stan­ za al più alto tribunale papale, la Segnatura di Grazia e Giustizia, che si riuniva raramente e, in seguito, do­ vette trasferirsi nella Stanza adiacente che ne ha preso il nome121. Leone x la utilizza anche come sala da pran­ zo e desidera fare in modo che i suoi ospiti mettano a confronto le sue aspirazioni politiche e dinastiche con le imprese dei suoi predecessori. Per lui è particolarmente importante che al centro delle scene ci siano papi che portano il suo nome, quelli ai quali aveva pensato nel momento in cui lo aveva scelto. Deve quindi aver consi­ derato un segno del destino il fatto che Leone i fosse già apparso nell’Incontro con Attila senza un intervento da parte sua, ma che poi Raffaello abbia potuto attribuirgli i suoi lineamenti. Le finestre della Stanza si aprono nella parete nord e in quella ovest, e le arcate che le incorniciano sono scor­ ciate in modo illusionistico ed esposte alla luce come nell’Attila e nella Liberazione. Le grottesche sono invece dipinte su sfondo giallo e quelle dei pilastri dell’Incendio di Borgo sono decorate con la ghianda di Giulio ii e più

tradizionali rispetto alle Stanze precedenti122. Sembra quindi che già Perugino avesse preparato le pareti per degli affreschi. Raffaello evita gli sconcertanti pilastri angolari delle prime due Stanze e crea l’illusione che telamoni, simili a quelli appena scoperti negli scavi di Villa Adriana, sostenessero le mensole decorate con foglie di acanto e la volta. Qui Raffaello lavora dall’estate del 1514 all’estate del 1517, e come nelle due Stanze precedenti non sembra aver seguito un programma stabilito sin dall’inizio. L’Incendio di Borgo Di nuovo, i quattro affreschi si riuniscono in un ciclo continuo, che viene evidentemente introdotto dall’Incendio di Borgo. Il Liber Pontificalis riferisce che, in­ torno all’847, un incendio alimentato da un forte ven­ to aveva distrutto il Borgo, e in particolare il quartiere dei sassoni, lambendo persino la chiesa di San Pietro123. Papa Leone iv era immediatamente accorso dal Late­ rano e aveva spento l’incendio con la sua benedizione. Come era già accaduto per Giulio, anche Leone x cerca nella storia della salvezza analogie con il proprio magistero. Si considera un pacificatore e spera di riscat­ tare il pontificato bellicoso di Giulio ii come Leone iv l’incendio, un obiettivo che presto dovrà sacrificare alle proprie ambizioni dinastiche. Nell’affresco appare quasi piccolo quanto Leone i sul cartone di Attila, ma è assente un segno dall’alto. Con croce processionale, cardinali e curiali, si è spostato dal Palazzo Lateranense alla loggia delle benedizioni di San

55

54

27


Raffaello, le Stanze

56

55

Pietro, che allora non esisteva ancora. È rivolto a sini­ stra, verso il quartiere di Santo Spirito, dove vivono i sassoni e il fuoco infuria più pericolosamente e dal quale arrivano i fuggiaschi. Ha la mano alzata per benedire, ma l’immagine coglie un momento precedente all’effetto del suo gesto. Raffaello bada ormai all’unità di luogo, tempo e azio­ ne come nel teatro antico, e l’arcata che fa da cornice si apre su un palcoscenico che somiglia ancora di più alle scenografie di quegli anni: i templi sono come quinte e non hanno alcun riferimento assiale alle strisce di traver­ tino che delimitano il lastricato di mattoni. Lo sguardo segue la prospettiva centrale attraverso le rovine in fiamme fino alla piazza, immerse in una luce chiara. Da questa i dieci larghi gradini della rampa sal­ gono alla loggia delle benedizioni, che si erge davanti al portale della vecchia basilica di San Pietro. Qui Raffael­ lo non cerca tanto di ricostruire la topografia del Borgo, ma di evocare le rovine antiche presso le quali il popolo si è rifugiato. È il suo primo affresco in cui il popolo riempie tutto il primo piano, sebbene il Liber Pontificalis non ne fac­ cia cenno. Già nella Stanza di Eliodoro Raffaello aveva sfruttato la propria maestria nel raffigurare la maternità delle Madonne per rendere convincenti anche le madri popolane e mettere in risalto emozioni elementari in modo più spontaneo di quanto fosse possibile con i di­ gnitari o altri protagonisti. L’amata sta però lasciando il posto della modella a una nuova compagna, la Fornarina, che appare contempora­ neamente nella santa Cecilia. Nello stesso periodo, anche l’autoritratto di Raffaello scompare dagli affreschi e, in­ sieme a entrambi, sparirà l’intimità dei dipinti precedenti. Tra le figure del popolo si trovano comunque anche Enea e i suoi che alludono alla famiglia del papa. Eviden­ temente Leone e Raffaello conoscono le monete antiche, dove Enea è raffigurato mentre porta in spalla l’anziano padre Anchise e tiene per mano Ascanio, così come cono­ scono il loro significato di esempio mistico che perpetua il mos maiorum o la pietas maiorum. Nel gruppo dell’Incendio di Borgo segue la stessa composizione. Diversamente da Giulo ii, Leone era cresciuto e aveva vissuto tra umanisti e ricercava, come lo stesso Raffaello di questi anni, il confronto con l’antico. Questo si basa sulla scena dell’Eneide in cui l’ammirato Virgilio descri­ ve l’incendio di Troia, il salvataggio delle madri e figli e la fuga di Enea. Questi perde la moglie che gli aveva raccomandato di mettere in salvo il figlio Ascanio.

56

La Stanza dell’Incendio di Borgo

Nel 1494 i Medici erano fuggiti a Roma da una Firenze in tumulto e, poco dopo esservi tornato nell’agosto del 1512, anche Leone diventa signore di Roma e dà inizio al glorioso futuro della famiglia. Amadeo de Silva, alla cui Apocalypsis Nova si interessa anche Leone dopo l’elezio­ ne, aveva profetizzato: «Haver auenir presto uno Papa angelico, et particularmente che li Medici, che al’ hora erano cacciati da Firenze, ritornerebbono, et sarebbono maggior maestri che mai»124. Il fatto che l’affresco parli anche dei Medici viene confermato dalla fisionomia di Anchise, che rammenta quella di Cosimo il Vecchio. Raf­ faello trasforma in protagonisti alcuni dei personaggi ap­ parentemente secondari e fa quindi valere la benedizione papale anche per la sua stessa famiglia. In questo modo il papa si considera anche il successore di Enea, fondatore del regno di Roma che ha salvato se stesso e i suoi cari. Dall’arco antico dietro il quale divampa il fuoco, Enea e i suoi, ritratti in un nudo anticheggiante e abbastanza improbabile per la Roma di Carlo Magno, si lanciano fuori verso le donne che sono già fuggite. Una si volta a guardarlo, mentre la donna vista di spalle con l’abito giallo oro è caduta in ginocchio e implora a braccia al­ zate il papa lontano. Anche un bimbo trattenuto dalla madre lo prega. Oltre la cella del tempio in rovina, una giovane madre si sporge per lasciar cadere un neonato in fasce fra le braccia del marito. Egli indossa un coprica­ po rosso e deve mettersi in punta di piedi per afferrarlo senza pericolo. Accanto a lui, un giovane è aggrappato al bordo del muro e ha paura di lasciarsi andare. Dal gruppo centrale si sono staccate sedici donne con i figli e, appena arrivate alla loggia delle benedizioni, si sono inginocchiate davanti al papa. Un giovane alla loro destra prega, mentre un vecchio osserva i fuggitivi in pri­ mo piano. Orizzontalmente la catena di personaggi in primo pia­ no si estende dalla serva di Enea fino alla possente figura di donna in verde e rosa che porta la brocca. Ha preso l’acqua in un palazzo che non si vede e dal quale scen­ de, passando davanti a un atleta nudo che si protegge la testa con la sua veste viola. Un’altra ragazza, vestita di azzurro, porge l’acqua a un soldato dalla barba bianca all’interno del tempio ionico. Questa catena di tre perso­ naggi penetra nello spazio e corrisponde alla diagonale, molto più profonda, di chi cerca la salvezza sulla sinistra e che guida la dinamica della composizione fino al papa. La conduce la donna in veste giallo oro brillante dalla sua posizione, solo lievemente spostata rispetto al centro. Il papa non si trova più davanti al punto di fuga della

57

prospettiva centrale, che arriva al portale principale della basilica, dunque non è il fulcro dove cade l’occhio. Per la prima volta l’asse diagonale dell’azione compete, con una lieve dissonanza, con la prospettiva centrale. In questo primo capolavoro creato esclusivamente per Leone, Raffaello modifica dunque il racconto della fonte medievale per poter rappresentare l’episodio con i colori vivaci dell’Eneide, mostrare come immaginava la vecchia e nuova Roma e conferire profondità storica alla famiglia di Leone. Raffaello comincia l’affresco quando ha appena so­ stituito Bramante a capo del cantiere di San Pietro e si è immerso nei progetti per la basilica, quindi gli edifici dipinti assumono un doppio significato. I colonnati ric­ camente decorati e tagliati in marmo policromo dei due templi rappresentano l’epoca imperiale, e la benedizio­ ne papale deve salvare anche quella. Già durante l’anno successivo, il 1515, Leone x affiderà a Raffaello la tutela delle antichità125. La decorazione della basilica, già allora destinata alla demolizione, si limita invece ai mosaici dell’atrio e alle finestre gotiche dono dei Medici. La loggia delle bene­ dizioni rappresenta invece la nuova architettura. Come nel Palazzo Caprini di Bramante, il pesante bugnato continua nello snello ordine dorico con fregio di triglifi del piano nobile e una serliana trionfale, come quella di Bramante nella Sala Regia, inquadra il papa. Raffaello trasforma però nuovamente il sistema di Bramante in una vera e propria architettura dipinta: al piano inferio­ re non ci sono finestre, la disposizione verso il centro del bugnato è armonizzata con la serliana e il papa, e la sola campata visibile non si prolunga in una facciata organi­ ca. Ma l’intonaco si sgretola e né i materiali, né la scarna decorazione raggiungono lo splendore dei due templi. Poco prima della sua morte, Raffaello spiegherà in una lettera a Leone x l’evoluzione dell’architettura romana126: soprattutto grazie a Bramante, la città aveva superato l’o­ scurità del Medioevo e il linguaggio gotico dei tedeschi. Aveva ripreso la «bella maniera degli antichi», ma manca­ vano ancora i mezzi per tornare allo splendore di monu­ menti come l’arco di Costantino. Nella lettera Raffaello non accenna però alla basilica costantiniana di San Pietro costruita con materiali di spoglio e ancora più modesta delle architetture rinascimentali. Nei tre stadi di sviluppo delle architetture rappresentati nell’affresco, si rispecchia­ no i tre livelli di significato, dalla fuga di Enea dall’antica Troia alla salvezza del Borgo medievale grazie a Leone iv, fino ad arrivare alla nuova Roma di Giulio ii e Leone x.

Già durante la spedizione di Giulio in Italia setten­ trionale, Raffaello aveva trovato in Agostino Chigi un committente munifico che non lesinava spese per unire nella propria cappella funebre a Santa Maria del Popolo il linguaggio di Bramante con la ricchezza materiale e decorativa del Pantheon, e proprio a quest’ultima darà sempre maggiore spazio nelle architetture che dipingerà in seguito. Nei corpi muscolosi, che Raffaello prepara con ac­ curati studi di nudo, prosegue la tendenza, annunciata nelle Virtù della parete della Giustizia, a porre in primo piano personaggi sempre più grandi127. Sembrano pro­ tagonisti della scena e sono vicini e presenti come nel Peccato originale di Michelangelo, che Raffaello ripren­ de nei due bambini che corrono davanti alla madre. Con il Diluvio universale di Michelangelo, rappresentazione esemplare della catastrofe primordiale, egli si misura in­ vece in Enea e nelle donne. Tuttavia, anziché scaglionare i gruppi in profondità, ruota i personaggi nella prospet­ tiva centrale così da sovrapporli in modo più complesso, li riunisce nuovamente in un continuum spaziale e li col­ lega l’uno all’altro con gesti o sguardi, come il ragazzo aggrappato al muro che guarda l’osservatore. La Battaglia di Ostia Raffaello completa l’affresco successivo nello stesso anno, il 1515, quando regala a Dürer lo studio di nudo per i personaggi in primo piano a sinistra128. Ancora una volta la scena è narrata nel Liber Pontificalis129. Stando a quella narrazione, intorno all’849 il duca di Napoli Ser­ gio i aveva saputo che gli arabi progettavano un’aggres­ sione ai danni del papa e subito aveva mandato suo figlio Cesario con la flotta alla foce del Tevere per proteggerlo. Dapprima diffidente, per avere informazioni più preci­ se, il papa fa arrivare a Roma Cesario, che ben presto si guadagna la sua fiducia, e si recano insieme a Ostia. Lì il pontefice celebra la messa davanti alle truppe di Cesario. I saraceni appaiono solo dopo il suo ritorno e vengono so­ praffatti da Cesario e dal mare in tempesta. I romani im­ piccano i prigionieri fino a quando il papa li grazia perché costruiscano le mura vaticane. Leone iv dipende quindi da un aiuto esterno e non si presenta in veste di stratega o taumaturgo, né incontra i prigionieri a Ostia. Senza attenersi con precisione alle fonti, Raffaello riu­ nisce insieme diversi episodi per far apparire ancora una volta il papa come figura inequivocabilmente dominan­

57


Raffaello, le Stanze

58

60

te. La scena si svolge alla foce del Tevere, presso Ostia antica, davanti alla rocca completata da Giulio ii, della quale però adatta l’architettura alla composizione. Sulla torre sventola la bandiera di Leone x; dietro, sopra i tet­ ti, si alza una cupola anticheggiante e, davanti alla porta della città, sono piantate le tende scure dell’esercito. La croce processionale che spicca sopra il seguito se­ gnala ancora una volta che il papa è in cammino. So­ miglia a Leone x e troneggia in abito pontificale e tiara su un antico blocco di marmo. I resti di architetture antiche sparsi intorno a lui raccontano che la scena si svolge nel Medioevo. Con lo sguardo rivolto al cielo e le braccia alzate, ringrazia per la miracolosa vittoria. I nipoti di Leone x, i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, fanno da assistenti al trono. Tre anni più tar­ di torneranno nuovamente, con la stessa funzione, nel ritratto di Leone degli Uffizi, che si distingue anche per la presenza dei nipoti da quello di Giulio ii nella Stan­ za della Segnatura. La posizione privilegiata in primo piano a sinistra è occupata da un elegante cavaliere con l’armatura dai bagliori argentei e la cintura rossa: pro­ babilmente si tratta di Giuliano (1479-1516), il fratello minore di Leone, che non appare in altri affreschi. Nel giugno 1515 il papa lo aveva nominato capitano gene­ rale delle truppe papali130. La malattia di cui già soffre, e che lo stroncherà nel marzo successivo, ha reso ema­ ciato il suo viso barbuto e spiega anche la notevole dif­ ferenza con il precedente ritratto di Giuliano eseguito da Raffaello. Come il soldato in verde e oro al centro della scena, egli indossa i pantaloni corti e aderenti dei soldati dell’epoca imperiale. Ha deposto a terra l’elmo dorato con pennacchio e indica il fortunato esito della battaglia in mare. Le mani di un invisibile accompagna­ tore alle sue spalle tengono lo scudo e forse altri pezzi della sua armatura. Qui sono quindi rappresentati tre dei nipoti più vi­ cini a Leone, disposti in ordine gerarchico. La seconda figura dello studio di nudo era probabilmente destinata a Lorenzo, figlio di Pietro, defunto fratello maggiore di Leone, e dell’ambiziosa Alfonsina Orsini. Forse il papa aveva escluso Lorenzo all’ultimo momento, dopo essersi fatto, il 23 maggio 1515, capitano generale dei fiorentini contro la sua volontà e la legge131. Dopo essere diventato papa e convinto che la sua famiglia sia destinata alla grandezza, Leone cerca di imparentare Giuliano con una delle grandi monarchie europee. I Medici erano, così come la Repubblica di Fi­ renze, in gran parte favorevoli alla Francia e sfoggiava­

58

La Stanza dell’Incendio di Borgo

no persino i gigli nel loro stemma. Tuttavia i monarchi temevano una mesalliance e un rapido cambiamento del potere ai vertici della Curia e, quando all’inizio del 1515 Giuliano sposa Filiberta, sorella del duca di Savoia e del­ la madre di Francesco i di Francia, non raggiunge certo l’obiettivo sperato. Solo in gennaio il giovane Francesco era succeduto a Luigi xii e aveva assegnato a Giuliano il titolo di duca di Nemours, senza alcun titolo di poten­ za sovrana. Contemporaneamente, Francesco prepara la conquista della Lombardia, al che Leone si vede costret­ to a stringere un’alleanza difensiva con Venezia e la Spa­ gna, alleanza alla quale il suo vicecancelliere Bibbiena, nel gennaio del 1515, affida ancora le migliori possibilità di vittoria. L’affresco allude in primo luogo alla crociata: i turchi minacciano le regioni orientali dello Stato della Chiesa ed egli dipende dagli aiuti dei Paesi alleati. Benché non abbia ancora combattuto una battaglia paragonabile, mostra nel contempo la propria determinazione a op­ porsi con i suoi a qualsiasi altra minaccia. I prigionieri saraceni vengono portati a riva sulle bar­ che e, sul margine destro, un pescatore ha appena toc­ cato terra con alcuni di loro. Sul modello dell’affresco, conosciuto soltanto grazie a una copia modesta, la barca è resa ancora meno di scorcio, ma la posa del pescatore è quasi uguale e, nell’affresco, il suo palo non arriva in acqua, un particolare probabilmente sfuggito al control­ lo di Raffaello. In ogni caso, già intorno al 1515, l’artista crea nella sosta del pescatore il punto finale del ciclo dei quattro affreschi della Stanza. Sul modello non si distinguono ancora i tre nipoti che Raffaello aggiunse all’affresco solo all’ultimo momento su desiderio del papa132. Con il cambiamento del proget­ to, già l’affresco di Attila aveva perso molto della sua so­ miglianza con gli antichi rilievi di battaglie. E Raffaello, ancora una volta, deve spostare in primo piano il papa regnante e il suo corteo che, come già nella Cacciata e in Attila, contrastano con i guerrieri anticheggianti e i pri­ gionieri. Per questi Raffaello segue perfino i movimen­ ti e i particolari di navi, armi e armature della Colon­ na Traiana. Già all’inizio del secolo questa era stata un modello per gli affreschi di Ripanda in Campidoglio e nel 1511-1512 per gli affreschi di Peruzzi nell’Episcopio della cattedrale di Sant’Aurea a Ostia133. In occasione di una visita alla foce del Tevere, Raffaello deve aver visto questo ciclo, eseguito da aiuti, nel quale Peruzzi rinun­ cia allo spazio profondo per imitare quasi alla lettera i rilievi della Colonna Traiana.

61

59

Anche Raffaello si orienta verso i principi compositivi del rilievo storico dei romani, ma in primo piano crea due gruppi, chiusi in se stessi, che si equilibrano l’uno con l’altro e i cui personaggi si muovono, ancora una volta, in uno spazio coerente e senza limiti. Il gruppo di destra, delimitato a destra dal pescatore sulla barca e a sinistra dall’uomo seminudo, inginocchiato sopra un saraceno con le braghe bianche, è disposto in modo sim­ metrico. Sulla destra, due soldati che si muovono in pa­ rallelo conducono a riva due uomini legati, e i due guer­ rieri sulla sinistra, che marciano ugualmente in parallelo, li tirano per i capelli e la barba con le spade sguaina­ te. Fra questi sei personaggi, un soldato, reso con uno scorcio ardito, cerca di controllare un prigioniero rilut­ tante, a sua volta inginocchiato su un altro già legato. Tutti questi personaggi accompagnano lo sguardo verso la baia e la battaglia lontana. Sulla sinistra, il papa e i nipoti formano un gruppo con un cavaliere in armatura e due soldati che costringono brutalmente i prigionieri a inginocchiarsi, ma il papa sembra propenso all’indul­ genza. Anche questa fa riferimento a Leone x, che aveva aggiunto al giogo della sua impresa il motto Enim Suave. Qui Raffaello intreccia i personaggi uno all’altro in modo ancor più complesso che in Attila e, di nuovo di­ versamente dai rilievi antichi o da Michelangelo, ciascu­ no fa parte della composizione generale. Nella predile­ zione di Raffaello per le scene parallele di movimento si intuisce anche una tendenza protomanieristica. Raffaello deve aver saputo che i rilievi degli archi di trionfo e delle colonne o dei sarcofagi si basavano su ca­ polavori perduti e si è sentito chiamato a risvegliarli a nuova vita. È quindi ancor più increscioso che non si si­ ano conservati altri disegni preparatori di sua mano per l’affresco. Nella baia sullo sfondo, le galere cristiane annienta­ no le navi più piccole e meno numerose dei saraceni. Cavalieri con l’armatura splendente lottano con spada e lancia contro gli arcieri. Nella prima galera, i loro scudi sfoggiano la croce rossa dei crociati, nelle altre la tiara e le chiavi incrociate del papa, un accenno alla crociata prevista e all’agognata alleanza con le potenze europee. La battaglia è già vinta, e la prima galera naviga con la vela gonfia e i rematori, al suono delle tube, fin sotto la fortezza. In un primo momento si può scorgere solo Cesario vittorioso, ma stanco. Con l’armatura dorata e le braccia allargate in segno di trionfo, cerca con lo sguardo il papa sulla fortezza dove, dietro la merlatura, appare però solo una figura minuscola. Anche le galere alle sue

spalle non combattono quasi più e la resistenza è ormai limitata a pochi saraceni. Un gran numero di prigionieri viene trasportato alla porta della città, una barca si è ro­ vesciata e quelli che si mettono in salvo a riva vengono portati via. Così come nell’Incendio di Borgo, il cielo non è abitato dalle potenze celesti, e chi non conosce la storia potrebbe immaginare che il pacifico Leone sia il signore del luogo che ha vinto la battaglia con l’aiuto dei nipoti. Come nell’Incendio di Borgo, Raffaello riempie gran parte del primo piano con personaggi anonimi. Il grup­ po intorno al papa e le strisce di terra laterali fanno co­ munque un tutt’uno con lo sfondo, in modo che l’ampia foce resti racchiusa da ogni parte e il centro indiscusso di questa composizione a U, che si distacca parecchio dalla prospettiva centrale, è il papa. Se la Battaglia di Ostia, a dispetto di tutte le innovazio­ ni, delle idee e degli attenti studi preparatori, è una delle opere meno popolari e più criticate di Raffaello, il pro­ blema è da attribuirsi all’esecuzione che qui, per la pri­ ma volta, l’artista affida interamente ai suoi allievi. Negli anni precedenti li aveva impostati in modo così perfetto che già in Attila e nell’Incendio di Borgo non sempre è facile distinguere dove finisca la sua mano e cominci la loro. Nella Battaglia di Ostia, la sua costante presenza e il suo controllo sono tuttavia meno evidenti. Probabil­ mente il più giovane ma più originale Giulio Romano ha dipinto gran parte dei guerrieri e dei prigionieri in pri­ mo piano, Giovan Francesco Penni il gruppo della corte intorno al papa e Giovanni da Udine armature, armi e altri oggetti. Alla veduta di Ostia e alla battaglia navale hanno contribuito anche allievi di minore talento. Ai volti del papa e dei cardinali manca l’espressione, e anche nel rapporto tra i prigionieri inermi e impauriti e i guerrieri spietati manca la profonda conoscenza della psiche umana di Raffaello, che potrebbe solo aver con­ tribuito a dipingere Giuliano de’ Medici. I colori domi­ nanti, ancora una volta, sono il bianco e il giallo oro, e il contrasto con gli occasionali verdi, rossi o azzurri non fa che aumentarne l’intensità. Al momento della realizzazione della problematica Battaglia di Ostia, Raffaello è appena salito alla vetta de­ gli artisti romani, e non ha più rivali. Michelangelo si considera obbligato al tormentoso lavoro per la tomba di Giulio, vive una delle sue crisi più profonde e, nell’e­ state del 1516, torna amareggiato a Firenze. Oltre agli affreschi della Stanza dell’Incendio, Raffaello crea i car­ toni per gli arazzi della Cappella Sistina, dipinge alcuni dei suoi ritratti più belli, è a capo dei progetti architet­

59


Raffaello, le Stanze

La Stanza dell’Incendio di Borgo

29. Giovan Francesco Penni per Raffaello, modello per l’Incoronazione di Carlo Magno, 1516 (Venezia, Biblioteca Quirini Stampalia, inv. 547).

tonici dello Stato pontificio, costruisce chiese, cappel­ le, palazzi ed è responsabile della tutela delle antichità. Anziché eseguire poco di sua mano come Michelangelo, si serve di un numero sempre crescente di collabora­ tori per lasciare libero sfogo alla sua inesauribile forza creativa. Opere come la Battaglia di Ostia, gli arazzi o le Logge influenzeranno comunque in modo determinante gli sviluppi dei secoli successivi. L’Incoronazione di Carlo Magno Con l’incoronazione di Carlo Magno, Leone iii aveva stretto un patto che ha portato per secoli papa e impe­ ratore a una dipendenza reciproca, spesso fatale. Il papa pone la corona in capo a Carlo Magno senza acclamazio­ ne del popolo, come era stata abitudine dopo l’elezione di un imperatore, e senza acclamazione del popolo sa­ ranno incoronati anche i successivi imperatori. Per Leone x, la scelta di un papa che portava il suo stesso nome e che appariva come la massima autorità dell’Occidente era significativa, perché egli pensava di comportarsi allo stesso modo in occasione dell’incoro­ nazione del successore del vecchio imperatore Massimi­ liano. Quando, nell’agosto del 1515, Francesco i scon­ figge a Marignano l’esercito del papa e minaccia altri territori dello Stato della Chiesa, Leone deve negoziare con lui e in dicembre gli va incontro fino a Bologna. È costretto a cedergli la Lombardia con Parma e Piacenza, oltre a dover consegnare Modena e Reggio al duca di Ferrara, quindi tutte le città che Giulio aveva appena conquistato con il suo esercito. Dà speranza a Francesco non solo per il trono di Napoli, ma perfino per la corona imperiale. Se avesse già previsto l’Incoronazione intorno al 1514 per la parete est della Stanza, non avrebbe potu­ to pensare di dare a Carlo i tratti di Francesco i134. Lo fa per salvarsi e, da vero Medici e da astuto diplo­ matico, si tiene tutte le porte aperte. Contro la volontà del re, e dietro pressioni della cognata Alfonsina Orsi­ ni, scaccia Francesco Maria della Rovere da Urbino, il luogo dove i Medici in esilio avevano trovato un tem­ po rifugio, e trasferisce il ducato al nipote Lorenzo. Nel gennaio del 1516, quando Carlo d’Asburgo, l’appena se­ dicenne nipote di Massimiliano, succede all’altro nonno Ferdinando come re di Spagna e di Napoli, il pericolo di una stretta dello Stato della Chiesa da parte dei francesi viene scongiurato. Ora Leone può mettere più facilmen­ te una contro l’altra le grandi potenze europee e, se gli

60

fosse riuscito di far ottenere a Francesco i la corona di imperatore, avrebbe potuto contare su risultati ancora più soddisfacenti delle proprie politiche dinastiche. In ogni caso può aver incaricato Raffaello di dare a Carlo Magno i lineamenti di Francesco i solo dopo il suo ritorno da Bologna nel febbraio del 1516135. In questo modo indica al re che manterrà le sue promesse, ma si aspetta che lui faccia altrettanto e fa affidamento su un suo comportamento pacifico. Di sicuro Raffaello riceve l’incarico con un insieme di sentimenti contrastanti. Come membro della Curia, e amico di molti intimi del papa, sa quanto sia fragile il patto con la Francia, e gli affreschi della Stanza di Eliodoro alludevano proprio all’atteggiamento ostile dei francesi. Sicuramente deve aver discusso a lungo con il papa il programma provocatorio, e deve aver temuto an­ che l’incerto futuro di un’opera d’arte così politicamen­ te connotata. Chi entrava nella Stanza dagli appartamenti papali vedeva per prima la parete ovest dell’Incoronazione che, con le due porte e la grande finestra asimmetrica, è an­ cor più irregolare delle altre pareti delle Stanze. Di nuo­ vo Raffaello si riferisce nella composizione alla parete opposta: i papi siedono uno di fronte all’altro, i cava­ lieri e i servitori seminudi corrispondono ai guerrieri e ai prigionieri e la quadratura dei cardinali racchiude un vuoto nel quale ritorna il verde del guerriero al centro della Battaglia di Ostia. Poiché il gruppo che circonda il papa fa da contrappunto alla finestra, può essere che Raffaello, progettando la Battaglia di Ostia, avesse già pensato alla composizione dell’Incoronazione, anche se questa probabilmente avrebbe dovuto avere un aspetto diverso. Secondo la tradizione, l’incoronazione dell’imperato­ re avveniva – come nella miniatura di Jean Fouquet del 1460 e nella Donazione di Costantino di Giulio Romano – nella navata centrale di San Pietro, un punto ricordato ancora oggi con un tondo di porfido. La complessa architettura non corrisponde però né alla vecchia né alla nuova basilica di San Pietro. Le ir­ regolarità della parete ispirano Raffaello a disegnare un ambiente a navata unica che prosegue in un transetto più stretto e più basso. È la prospettiva centrale del transetto che accompagna lo sguardo in profondità e sulle sue co­ lonne quadrangolari sporgenti si alzano archi trasversali alternati a volte a crociera. Nella sala le colonne diventa­ no tonde e, sopra queste, si può intuire una volta analoga. La parete anteriore e l’altra parte del transetto restano

29

fuori dall’affresco. Nell’articolazione delle pareti Raffa­ ello segue la Sala del Conclave progettata da Bramante. Nel modello, disegnato da Penni per Raffaello, dove manca ancora la bassa parete mobile coperta di drappi, è possibile distinguere ancora meglio l’architettura136. Lì l’ordine è ancora ionico, la parete dietro il trono papale piega verso destra e prosegue con un ordine più picco­ lo. Sulla sinistra sporge la tribuna dei cantori, ma non è chiaro quanta parte della sala non sia visibile. Nell’ordi­ ne dorico dell’affresco, Raffaello segue poi il pianterre­ no del cortile di Palazzo Farnese appena iniziato da An­ tonio da Sangallo il Giovane, il suo vice alla Fabbrica di San Pietro, e soltanto il basso portico che si apre dietro il trono papale mantiene i capitelli ionici. Da tutto que­ sto è impossibile evincere una chiara tipologia spaziale, quindi si tratta del caso più estremo di architettura picta nell’opera di Raffaello. Il papa deve aver dato molta importanza allo splen­ dore del cerimoniale, alla quadratura dei cardinali, ai ve­

scovi, cantori, cortigiani e cavalieri, e l’idea di cogliere in un’immagine una di queste straordinarie cerimonie della Chiesa deve aver affascinato anche Raffaello, che da or­ mai sette anni le viveva da vicino. Il papa in trono, che ancora una volta somiglia a Leone x, pone sulla testa di Carlo Magno una corona la cui forma Raffaello sembra aver tratto dai mosaici degli im­ peratori bizantini. Il profilo di Carlo riprende la medaglia del giovane Francesco. È in ginocchio e sopra la corazza indossa una veste cerimoniale dorata, che non riporta però i gigli ricamati che si vedono sullo scettro e in Fou­ quet. Sull’orbe imperiale che somiglia a un globo terrestre si riconoscono l’Europa e il Mediterraneo. Carlo ha affi­ dato la corona del re dei franchi al figlio, che porta il suo stesso nome e viene unto e incoronato subito dopo di lui. Secondo Vasari, il fanciullo ha i lineamenti di Ippolito de’ Medici, che era in stretti rapporti con lui137. Ippoli­ to era nato nel marzo 1511, figlio naturale di Giuliano, morto da poco; Leone x sembra ritenerlo il capostipi­

53

61

62


Raffaello, le Stanze

te della generazione più giovane dei Medici e pare che avesse destinato anche a lui una corona138. Il suo abito è costellato di perle e, dall’affresco, egli osserva il padre nella Battaglia di Ostia. L’altare maggiore è arredato soltanto con il crocifis­ so e sei candelabri e non apparecchiato per la messa. Il sacrificio della messa viene solo accennato negli intarsi della tribuna dei cantori, da un Cristo portacroce e da un personaggio con un calice. Il fanciullo accanto all’al­ tare è più grande del presumibile Ippolito, e va proba­ bilmente identificato con Alessandro de’ Medici, nato intorno al 1510-1511. Per lineamenti, pettinatura, età, e anche per l’abito rosa, somiglia al ritratto più o meno contemporaneo dipinto da Raffaello e oggi al museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Evidentemente Leone non lo considerava ancora il figlio illegittimo di Lorenzo, come oggi si sa, bensì il figlio di suo cugino, il cardinale Giulio de’ Medici. Altrimenti avrebbe sicuramente rico­ nosciuto al nipote di Pietro de’ Medici e non al figlio del più giovane Giuliano il posto dell’erede dei capostipiti della sua famiglia139. Il fanciullo, senza accompagnatore e con l’aria vagamente persa, non guarda Giulio, ritratto dietro sulla destra fra i cardinali diaconi, ma la Battaglia di Ostia. Mentre nell’affresco Ippolito sembra destinato a una carriera secolare, e Alessandro a quella ecclesia­ stica, Giulio de’ Medici, quando diventa papa, segue la linea dinastica che si è delineata nel frattempo e nomi­ na Ippolito cardinale e Alessandro duca di Firenze. In ogni caso, i due fanciulli tradiscono quali fossero allora le mire dinastiche di Leone. Fra i vescovi celebranti dell’affresco, Vasari nomina l’allora trentaduenne fiorentino Giannozzo Pandolfini. Effettivamente il primo dei presunti vescovi ritratti di spalle mentre assistono il papa somiglia al ritratto, molto più tardo, dell’arguto amico di Leone. Il secondo vesco­ vo attende con l’olio l’unzione dell’imperatore e di suo figlio. I due dietro hanno la barba e il quarto indossa una tonaca monacale scura. Due notabili laici, senza tonsura, siedono dietro il papa con camicie di seta accollate e abito rosso: secondo Vasari sono francesi. Il trono papale è fiancheggiato sui due lati dalla quadratura dei cardinali che, come è d’uso per queste cerimonie, indossano la veste da messa e la mitra, sebbene più modeste di quelle del papa. A destra del pontefice i cinque cardinali vescovi: il primo accan­ to all’imperatore è il francofilo Domenico Grimani, che aveva già una collocazione di rilievo nella Messa. Seguo­ no Raffaele Riario, Francesco Soderini, Niccolò Fieschi

62

La Stanza dell’Incendio di Borgo

e Jacopo Serra. I cardinali della fila più in basso della quadratura, davanti ai quali siedono a terra sei cubicola­ ri in vesti rosso porpora e privi di tonsura o copricapo, sono sicuramente presbiteri, il gruppo più numeroso di cardinali. Ai due lati del papa siedono i quattordici diaconi non ancora ordinati sacerdoti, fra i quali Giulio de’ Medi­ ci, immerso in conversazione con Bernardo Dovizi da Bibbiena. Nell’estate del 1516 Francesco nomina Giulio protettore della Francia e, nel marzo 1517, Leone lo so­ stituisce a Bibbiena come vicecancelliere, anche se solo a dicembre viene ordinato sacerdote. I cardinali diaconi Alessandro Farnese, Alfonso Petrucci e Innocenzo Cybo non si riescono a distinguere. Al momento dell’elezione di Leone, il Collegio com­ prendeva trentacinque cardinali, e fra questi sei vescovi, quindici presbiteri e dieci diaconi. Due vescovi, un pre­ sbitero e un diacono, dunque quattro cardinali, si erano ribellati a Giulio ii durante il Conciliabolo di Pisa ed erano stati scomunicati, ma Leone li aveva riammessi. Nell’affresco, completato probabilmente nel 1516, que­ sto numero è variato solo di poco. La tenda dietro il papa è decorata con lo stemma di Leone x, mentre le bandiere dietro l’altare portano lo stemma papale e quello francese e sono sorrette da due cavalieri in armatura. Il leone rampante sullo scudo identifica il portabandiera più arretrato in Giulio Albe­ rini, nato intorno al 1480, che con lo zio Girolamo Pichi aveva realizzato nel 1513 il teatro sul Campidoglio per Giuliano e Lorenzo de’ Medici, aveva incaricato Raffael­ lo di costruire il suo sfarzoso palazzo ai Banchi e, ancora nel 1515, si era distinto nell’esercito pontificio140. Raffaello aggiunge soltanto nell’affresco i raffinati ca­ valieri e il tramezzo alle loro spalle. Il gruppo vede in testa un giovane con un’armatura sfarzosa che ha posato sull’elmo con pennacchio una corona reale. Con il ba­ stone in mano sembra dirigersi verso destra e attira su di sé gli sguardi degli altri personaggi di questa fila. Sul vecchio all’estrema sinistra spicca una catena d’oro più pesante di quella che Carlo, non ancora incoronato, sfog­ gia nella Giustificazione, sebbene anch’essa da monarca. Il suo mantello dorato con il colletto d’argento a stella, e i capelli e la barba ribelli, comunicano la sensazione di un’immagine arcaica e per lo più nordeuropea. Con il braccio alzato indica a un bel principe con un diadema d’argento l’incoronato cavaliere giovane a destra, come se questi fosse più degno della corona imperiale che il re francese. Poiché non sono noti eventuali concorrenti

52

63

di Carlo Magno, resta da capire fino a che punto Raf­ faello si sia qui attenuto al racconto storico e se abbia rappresentato Pipino e altri parenti di Carlo Magno. Die­ tro l’incoronato cavaliere a destra, potrebbe comunque nascondersi il futuro Carlo v, che nel gennaio del 1516 era salito al trono dell’unica monarchia italiana. Nello schizzo di questo personaggio, conosciuto grazie a una copia, Raffaello potrebbe essersi basato su un ritratto di Carlo con la proverbiale bocca degli Asburgo141. Un’om­ bra di barba è compatibile con la sua età di allora, sedici anni, e i capelli corti seguono la moda dei cavalieri spa­ gnoli. Si gira in segno di protesta verso un cavaliere che gli somiglia, forse il fratello minore di tre anni e futuro imperatore Ferdinando i. Nei primi mesi del 1516 pro­ babilmente Leone, sempre elastico, che corse il rischio di offendere gli Asburgo con l’affresco, nei primi mesi del 1516 potrebbe aver ordinato a Raffaello di inserire i due fratelli. Il giovane Carlo era suo vassallo e aveva una possibilità di ereditare la corona imperiale del nonno. Inoltre, l’imperatore Massimiliano e il re di Spagna erano alleati irrinunciabili di una crociata, e non a caso Ferdi­ nando, l’altro nonno di Carlo, è rappresentato come il monarca più giovane nella zona del basamento sotto la Battaglia di Ostia. In primo piano un cavaliere inginocchiato, che il pu­ gnale decorato con il giglio indica come francese, ordina a due servitori di portare all’imperatore la pesante pan­ ca metallica. I lineamenti del portatore in posizione più avanzata ricordano l’amico di Raffaello nell’autoritratto di Parigi, che è forse identificabile nel suo amico intimo ed erede, l’orafo Antonio da San Marino, il quale sarebbe sta­ to in grado di realizzare un simile capolavoro. Sul tavolo accanto all’altare vengono deposte brocche d’argento al­ trettanto artistiche, doni per Carlo testimoniati dalle fonti. Ancora una volta figure atletiche di importanza secondaria nel contesto storico popolano il primissimo piano. Mai in precedenza Raffaello aveva ritratto un numero così alto di personalità viventi: l’Incoronazione, più di ogni altro affresco, deve aver provocato i curiali a identi­ ficare chi, come e perché vi sia rappresentato142. In ogni caso, il presumibile inserimento di due figli illegittimi dei nipoti del papa non può aver trovato un’approvazio­ ne unanime. Ancora una volta Raffaello, impegnatissimo, affida l’e­ secuzione ai suoi allievi: in particolare, a Penni la metà destra, quella cerimoniale con il papa, le vesti dalle sot­ tili sfumature e i visi abbastanza inespressivi, a Giulio la metà sinistra con i portatori e i cavalieri e di nuovo a

Giovanni da Udine le armature, i vasi metallici e i can­ delabri. Si sono rilevate persino sei mani diverse, fra le quali di sicuro sono presenti altri talenti della schiera crescente di allievi successiva alla Battaglia di Ostia, gli stessi che, qualche tempo dopo, lavoreranno alle Logge sotto la direzione di Giulio e di Penni. La scena ha un’illuminazione uniforme e le ombre sono molto meno marcate rispetto al modello, dove la luce che scende dall’alto a sinistra è più abbagliante e mirata e conferisce alla scena un carattere più omoge­ neo dell’affresco. Anche negli altri disegni preparatori, Raffaello utilizza ombre più profonde che in quelli per l’Incendio di Borgo e nel foglio per la Battaglia di Ostia inviato a Dürer. Sulla dominante di giallo oro e bianco delle vesti e del grigio scuro delle armature e dell’architettura risalta l’ar­ monia fra rossi e verdi, eppure, come nella Battaglia di Ostia, i colori risultano più freddi e dissonanti rispetto all’Incendio di Borgo. Nella composizione Raffaello fa prevalere, in modo ancor più evidente che nell’Incendio, la diagonale del­ la profondità sulla prospettiva centrale e, grazie agli accenti rossi e verdi, ancora più chiaramente che nel modello, guida lo sguardo verso l’imperatore e il papa. Per collegare l’Incoronazione con l’Incendio di Borgo, crea la sensazione che i portatori salgano dallo stes­ so palazzo invisibile dal quale scende la donna con la brocca. Il podio del trono e l’altare ricordano nuova­ mente le quinte mobili di una scenografia, ma si rap­ portano molto meno uno con l’altro, e neppure con le pareti della sala. Inoltre, lo spazio fra trono e altare è eccessivamente ristretto per una messa papale e di forma troppo irregolare. Nell’affresco l’altare diverge meno dal podio che nel modello, e i cavalieri davanti al tramezzo attenuano il dinamismo risucchiante della prospettiva che attrae l’occhio verso il transetto vuoto e cupo. Altre parti dell’architettura scompaiono dietro le bandiere e le cortine. Nell’Incoronazione Raffaello rafforza la discrepanza fra la prospettiva centrale dell’inquadramento architet­ tonico e l’azione diagonale concentrata sul papa – ac­ cennata per la prima volta nell’Incendio di Borgo – e padroneggia le irregolarità come in nessun altro dipin­ to. Un maestro sensibile, riflessivo e votato come lui all’armonia difficilmente lo fa soltanto perché costretto dalle irregolarità della parete ed esigenze di spazio. Alla vigilia delle tesi di Wittenberg potrebbe anche aver rea­ gito al crescente conflitto fra l’ordine naturale e divino

63


Raffaello, le Stanze

La Stanza dell’Incendio di Borgo

30. Raffaello e Giovan Francesco Penni, modello per la Giustificazione di Leone iii, 1516 (Firenze, Fondazione Horne, inv. 5547).

delle cose e la discutibile politica del papa, rampollo di banchieri illuminati e ambiziosi che sfruttava la propria carica a scopi familiari in modo ancor più spregiudicato dei suoi predecessori. Come già nella Battaglia di Ostia, anche nell’Incoronazione mancano l’intimità umana e il mistero religioso, tutto quello che contribuisce in modo determinante alla magia delle opere create per Giulio. La Giustificazione di Leone iii

63

L’iscrizione nella nicchia della parete nord della Stanza risale al quinto anno di pontificato di Leone, che aveva avuto inizio nel marzo 1517143. Probabilmente allora Raf­ faello aveva già terminato la Giustificazione, che dunque deve aver iniziato al più tardi nell’inverno 1516-1517144. L’affresco rappresenta la giustificazione di Leone iii che, negli anni precedenti l’incoronazione di Carlo Magno, era stato accusato di adulterio e spergiuro145. Nell’estate del 799 si salva recandosi alla corte di Carlo Magno, ma lì viene raggiunto dai suoi avversari romani. Senza che Carlo lo discolpi, torna a Roma accompagna­ to da vescovi e nobili carolingi. Dopo ulteriori indagini, Carlo fa mandare gli oppositori del papa in Francia e, nell’agosto dell’800, egli stesso parte per l’Italia per fare chiarezza, farsi incoronare e ristabilire l’ordine a Roma. Il 23 dicembre, due giorni prima dell’incoronazione, Leone giura sul Vangelo di non essere colpevole alla presenza di Carlo nella basilica di San Pietro. Anche Leone x aveva dovuto difendersi da accuse pesanti e, alla fine del 1516, si trova in una situazione ancora più problematica e deve aver percepito le criti­ che sempre crescenti nei confronti della sua politica: la sua posizione favorevole ai francesi non aveva dato par­ ticolari risultati, ma aveva irritato l’imperatore e Carlo. Francesco aveva nominato Lorenzo cavaliere dell’ordi­ ne di San Michele, ma sostenuto Francesco Maria del­ la Rovere, rientrato a Urbino nel febbraio del 1516 e che Le­­o­­ne, con notevole fatica, riuscirà a scacciare solo nell’autunno del 1517. I suoi rapporti con la Francia si fecero freddi, e Francesco e Carlo non lo informarono nemmeno quando, nel marzo del 1517, decisero la di­ visione dell’Italia. Di certo doveva essere giunto anche alle sue orecchie lo sdegno per la vendita delle indul­ genze, tanto più giustificato in quanto il denaro non ve­ niva utilizzato solo per fini devozionali. Ma è decisiva per la scelta del tema anche la crescente minaccia che i turchi costituiscono per l’Italia. Nel dicem­

64

bre del 1516, nel corso dell’ultima seduta del Concilio La­ teranense, Leone sostiene ancora più decisamente l’idea di una crociata e grava il clero di una tassa a tal scopo. Nella Giustificazione, Leone x si identifica ancora una volta con Leone iii e professa la propria responsabilità di capo della cristianità – della quale deve rendere conto solo a Dio – e la propria alleanza con l’imperatore. La scena è meno trionfale dell’Incoronazione e anche la composizio­ ne è più simmetrica di quella degli affreschi precedenti. Qui Raffaello dà la sensazione che i credenti e l’osserva­ tore si trovino nella navata di una chiesa e assistano alla scena nel coro rialzato. L’architettura è ridotta a una pa­ rete di fondo articolata da un ordine di paraste e aperta in finestre sul cielo azzurro che non ha nulla in comune con San Pietro. Un’arcata cieca fiancheggiata da tende rosse distingue il papa; anche la parte inferiore della parete e il podio del piccolo altare verso il quale salgono le scale accanto alla finestra sono coperti di stoffe rosse; la parte restante del pavimento, le panche a sinistra e la transenna a destra, invece, sono rivestite di tessuti verdi. Il papa sta giurando con le mani appoggiate sull’Evan­ geliario aperto su un leggio rosso. Somiglia anche qui a Leone x, che ha consegnato la tiara a un prete e volge lo sguardo verso l’alto con espressione tesa, ma le linee di fuga convergono su Caterina d’Alessandria in preghie­ ra, ricamata sulla tovaglia dell’altare, una santa che, in questa circostanza, deve aver avuto una particolare im­ portanza per Leone. Due angeli, gli unici delle quattro pareti della Stanza, le preannunciano la corona della vita eterna. Le due ruote della sua tortura sono spezzate, ma hanno ucciso i suoi carnefici. I loro copricapi ricordano da lontano dei turbanti, alludendo ai turchi che voleva­ no sopraffare il papa, ma non erano riusciti a danneg­ giarlo e rischiavano di soccombere essi stessi. Il papa, circondato da una decina di cardinali, è assi­ stito da due sacerdoti, probabilmente anch’essi vescovi. A sinistra dietro di lui si alza la croce processionale do­ rata del suo seguito, e sugli stalli del coro ai due lati si affollano altri cardinali e religiosi. Va notato che Carlo Magno si vede solo di spalle, con un profilo che non somiglia più a quello di Francesco i, e manca anche qualsiasi riferimento araldico al re france­ se. Ha la barba, corti capelli biondo-rossicci, stivali rossi e un mantello viola dal quale sbuca un tessuto dorato nel punto in cui le maniche sono abbottonate. Come per il cavaliere con la barba dell’Incoronazione, si distingue per la catena dorata. Guarda e indica verso il fondo, non tanto al papa, quanto al fanciullo che tiene in mano la

sua corona reale. Questi né ha la tonsura né indossa ve­ sti da messa come i cantori dell’Incoronazione. Sotto la veste bianca si vedono le maniche dorate del suo abito. Ancora una volta somiglia ad Alessandro de’ Medici, che qui avrebbe già assunto il ruolo dell’erede legittimo e guarda verso il primo piano a destra, dove sta il suo vero padre, Lorenzo, il contrappunto di Carlo e di gran lunga il personaggio più splendido dell’affresco. Nel suo abito, così come in tutto l’affresco, dominano il giallo e il rosso, i colori dello stemma dei Medici, come nel ritratto più o meno contemporaneo che Raffaello fece di Loren­ zo. La sua eleganza alla moda contrasta con il taglio del mantello di Carlo e viene ulteriormente messa in risalto dalle maniche bianche, strette e a sbuffo, e dal mantello grigio drappeggiato intorno al corpo. Ha la barba, ma non ancora i capelli corti alla spagnola e, come l’Alcibia­ de della Scuola di Atene e come Giuliano nella Battaglia di Ostia, appoggia il braccio a un fianco con gesto da gran capitano. Dopo la morte di Giuliano, Leone lo aveva nominato capitano generale dell’esercito pontificio, quindi deve si­ curamente la sua posizione privilegiata nell’affresco an­ che al progetto per la crociata. Sotto di lui sono in piedi dei cavalieri in armatura vestiti con il giallo e il rosso dei Medici. I cavalieri sotto Carlo, invece, si caratterizzano come appartenenti al suo seguito nordeuropeo grazie ai bizzarri copricapo e alla foggia della pettinatura e della barba, mentre la croce, come nella Battaglia di Ostia, li identifica come crociati. Lorenzo guarda l’imperatore,

mentre il papa, evidentemente superiore a loro, si ap­ poggia a entrambi per la crociata prevista e, giurando, attesta la propria innocenza146. Anche nel 1517 Leone x non perde di vista i suoi obiettivi dinastici nonostante il progetto per la crocia­ ta. Negozia un matrimonio conveniente per Lorenzo, e per questo lascia palesare chi si nasconde dietro il Car­ lo dell’affresco. Il matrimonio spagnolo fallisce a causa di Alfonsina Orsini, madre di Lorenzo, che insiste per una dote di 100.000 ducati, e solo nel gennaio del 1518, quando l’affresco è ormai terminato da tempo, ci si ac­ corda per il matrimonio di Lorenzo, già malato di sifili­ de, con Madeleine de la Tour d’Auvergne, principessa di casa Borbone e parente di Francesco i, di cui Lorenzo è amico da anni. Quindi nel 1517 non c’è ancora alcun erede legittimo in vista e tutto fa pensare che il giovane con la corona sia davvero Alessandro. Nella composizione, a forma di esedra, sono scompar­ se tutte le dissonanze dell’Incoronazione e anzi, a diffe­ renza dei due affreschi precedenti, questo non ha alcun rapporto formale con l’Incendio di Borgo che si trova sulla parete di fronte: un ulteriore indizio che fa pensare che, in origine, qui fosse prevista una scena diversa. Il papa si trova nel punto centrale della composizio­ ne, come se avesse ritrovato la piena responsabilità del suo alto ufficio, e quasi tutti i protagonisti sono riuniti in primo piano, senza peraltro essere assoggettati alla pro­ spettiva centrale. Ancora una volta Raffaello brilla con lo sfarzo dei principi, quelli della Chiesa e quelli secolari, ma in ogni caso non scopre nulla di nuovo. Dato che or­ mai affida l’esecuzione ancora a Giulio Romano, Penni e altri, lo splendore materiale non raggiunge più lo stesso livello della Messa di Bolsena. Probabilmente disegna di sua mano alcuni personaggi dello studio compositivo per la metà sinistra, che risultano molto più statuari che nel modello dell’Incoronazione, ma lascia altre parti del dise­ gno al suo alter ego Penni147. La luce scende ugualmente dalla parte alta a sinistra, ma i contrasti di luce e ombra sono meno marcati. Nessun altro dei lavori tardi di Raffaello soffre di un’a­ naloga mancanza di tensione, quindi l’azione significativa, ma priva di drammaticità e meno ricca di spunti, sem­ bra aver suscitato meno di prima le sue doti inventive. Anche qui Raffaello traduce le idee del suo committente e prosegue quindi nello sviluppo di uno stile cortigiano che avrebbe trovato rapidamente un maggior numero di imitatori rispetto al linguaggio delle due Stanze prece­ denti. Sebbene tre dei quattro affreschi siano dedicati a

65

30


Raffaello, le Stanze

31. Raffaello, disegno per telamone del basamento della Stanza dell’Incendio di Borgo, 1517 (Haarlem, Teylers Museum, inv. A 64).

un evento sacro, in nessuno di essi l’uomo, la sua anima e il suo legame con Dio sono messi in risalto quanto nella Stanza di Eliodoro. Il basamento

52-53

31

Nel giugno del 1517 i collaboratori di Raffaello vengo­ no pagati per i dipinti conclusivi, soprattutto per il basa­ mento148. Anche in questo programma, Raffaello evoca la lega di tutte le potenze europee contro la minaccia turca. Qui le erme sostituiscono i telamoni e le cariatidi della Stanza di Eliodoro e, poste a fianco di statue dorate di sovrani, tengono loro una corona sopra la testa. Sulla tra­ beazione, abbreviata come nella Stanza di Eliodoro, sono fissate iscrizioni che motivano la scelta dei principi. Raf­ faello organizza queste triadi in modo così flessibile da riuscire ad adattarle alla diversa larghezza delle pareti e si limita, dove le dimensioni sono insufficienti, a dipingere erme isolate. Vasari, basandosi sulla propria memoria, riferisce che in origine erano rappresentati Pipino, Carlo Magno, Goffre­ do di Buglione, Matilde di Canossa e altri. I disegni prepa­ ratori di mano di Raffaello e le incisioni di Marcantonio Rai­ mondi testimoniano come Salviati, incaricato da Paolo iii di restaurare il basamento, in parte gravemente rovinato, abbia modificato solo di poco i personaggi149, quindi an­ che un gran numero di iscrizioni sembra originale. Si è conservata la triade eseguita da Giulio Romano nella parte a destra sotto la Battaglia di Ostia. Lì l’impe­ ratore Lotario tiene in mano un vessillo con lo stemma di Leone x e viene celebrato nell’iscrizione come «ponti-

66

ficalis libertatis assertator», come il nonno Carlo Magno che, sotto l’Incoronazione, viene definito «romanae ecclesiae ensis clypeuso». Già Raffaello aveva disposto sotto il papa della Battaglia di Ostia Ferdinando di Spagna, che era succeduto ai duchi di Napoli e aveva sconfitto gli infe­ deli a Granada nel 1493. Il fatto che l’unico vero crociato rappresentato nel basamento fosse Goffredo di Buglione, ma nessun re francese, si accorda con le tendenze politi­ che della Giustificazione, di poco anteriore. Sotto l’Incendio di Borgo, sulla sinistra si trova Astolfo, che forse Vasari ha confuso con Matilde di Canossa. D’ac­ cordo con i romani aveva conquistato la Toscana, anche se in seguito sarebbe stato sconfitto da Pipino, dunque corrispondeva ai particolari interessi dei Medici. In ogni caso non si tratta più di un programma francofilo come nell’Incoronazione, bensì della protezione dello Stato del­ la Chiesa e del rapporto del papa con i suoi alleati storici e fidati. Tutto questo corrisponde alla situazione politica della primavera del 1517, quando vive ancora il vecchio imperatore e Leone sta cercando di creare un buon rap­ porto con gli Asburgo. Come nel basamento della Stanza di Eliodoro, le erme sono termini che potevano significare l’inizio di una nuova vita e in questo caso una nuova al­ leanza delle forze cristiane. Nel basamento, dove la mano di Raffaello quasi non è presente e la superficie originaria si è conservata solo parzialmente, l’artista compie comun­ que un importante passo avanti sulla strada dell’unifor­ mazione del sistema decorativo di un’intera Stanza. Gli affreschi della Stanza dell’Incendio si possono leg­ gere quindi in un senso o nell’altro: lo sviluppo stilistico parte dall’Incendio di Borgo, passa per la Battaglia di Ostia e l’Incoronazione per arrivare alla Giustificazione, quello storico ha inizio con i primi regnanti dipinti sul basamento e prosegue con la Giustificazione, l’Incoronazione e la Battaglia di Ostia fino all’Incendio di Borgo e a Ferdinando di Spagna, mentre le generazioni dei Medici vanno dal Cosi­ mo e Leone dell’Incendio di Borgo proseguendo poi con Giuliano, Giulio e Lorenzo fino ad Alessandro e Ippolito. Analogamente alle due Stanze precedenti, la succes­ sione del ciclo in senso orario è costruita sul papa in carica: nell’Incendio di Borgo appare per la prima volta come papa e pacificatore, ma anche come Medici e no­ vello Enea, mentre nell’Incoronazione si presenta come massima autorità della cristianità. Nella Giustificazione convoca la crociata e si identifica con santa Caterina d’Alessandria che Dio protegge dalle potenze nemiche. La realizzazione della crociata, la cui vittoria viene cele­ brata nella Battaglia di Ostia, resterà un pio desiderio.

Capitolo quinto

Raffaello nella Sala di Costantino: l’Adlocutio e la Battaglia di Costantino contro Massenzio

Il programma e le bozze di Raffaello

64 I

Leone non si accontenta delle Stanze e incarica Raf­ faello di dipingere anche le due Logge antistanti ai suoi appartamenti, la Sala dei Chiaroscuri, che ospitava gli addetti alla sorveglianza, e la Sala del Pappagallo, dove attendeva agli impegni ufficiali. Nel 1517-1519, Raffael­ lo si dedica, tralaltro, alle bozze per queste ampie super­ fici e, ancora una volta, ne affida l’esecuzione agli allievi. L’analisi anche di questi affreschi avrebbe superato l’in­ quadramento del nostro saggio, tanto più che essi non stanno in così stretto rapporto formale né contenutisti­ co con le Stanze come la Sala di Costantino, suo ultimo progetto per il Vaticano150. Niccolò v l’aveva costruita come salone del suo ap­ partamento privato. Di pianta più regolare rispetto alle Stanze, misura più del doppio e, in origine, si chiamava Sala dei Pontefici perché, già nel Quattrocento, vi era­ no stati dipinti alcuni papi151. Giulio ii l’aveva abbellita con un sontuoso camino di marmo e un soffitto dorato a cassettoni e forse aveva discusso già con Raffaello la decorazione delle pareti lunghe e rettangolari. Nell’ottobre del 1519 Raffaello fa preparare per la decorazione la parete sud, ma l’esecuzione avrà inizio solo dopo la sua morte. Forse ha contribuito a questo ritardo il progetto per la basilica di San Pietro, di cui proprio allora era cominciata la costruzione del transet­ to meridionale. Leone deve aver insistito perché Raffaello rinnovas­ se il programma precedente, la rappresentazione dei papi protocristiani, ma deve essersi interessato anche a Costantino il Grande, figura chiave agli albori della storia della Chiesa. A differenza degli imperatori del­

la Stanza dell’Incendio, dietro il Costantino della Sala non si nasconde però alcun sovrano contemporaneo. A gennaio 1519 era morto Massimiliano, e quando il 28 giugno, malgrado la strenua resistenza di Leone, Carlo d’Asburgo viene eletto re di Germania e futuro impera­ tore, un’intesa tra i due non è ancora in vista. Nelle set­ timane che seguono, Leone cerca invano di convincere Francia, Inghilterra e Venezia a formare una lega contro gli Asburgo, e soltanto l’atteggiamento provocatorio di Francesco i lo induce a decidere a favore di Carlo. La scelta delle quattro scene centrali è avvenuta, come nelle Stanze, difficilmente senza l’intervento di Raffaello che, fino a quel momento, aveva preso in considerazione Costantino solo in un chiaroscuro nascosto nella nicchia di una finestra nella Stanza di Eliodoro, ma proprio nel 1519 egli si stava occupando dell’arco di Costantino. Eusebio, Lattanzio e la Storia nuova di Zosimo, presente nella Biblioteca Vaticana, narrano vita e opere di Co­ stantino, ma nessuna delle quattro scene del programma doveva seguire la loro descrizione. Sotto il pontificato di Leone vennero eseguite solo la Battaglia di Costantino contro Massenzio e l’Adlocutio. I soggetti delle due scene progettate per la parete ovest e per quella nord, la presentazione dei prigionieri e la guarigione di Costantino dalla lebbra, sono noti soltanto grazie a una lettera scritta il 6 settembre 1520 da Seba­ stiano del Piombo a Michelangelo152. Sebastiano loda la bozza di Raffaello per la Guarigione: «Si vedono molte donne e bambini, ma anche farabutti che li uccidono per preparare il bagno dell’imperatore…»153. La guarigione viene narrata nella vita di papa Silve­ stro154. I sacerdoti pagani avevano prescritto all’impera­ tore di fare un bagno nel sangue di bambini innocenti

67

65-66


Raffaello, le Stanze

Raffaello nella Sala di Costantino

33. Raffaello, disegno per la Caritas della Sala di Costantino, 1519-1520 (Oxford, Ashmolean Museum, inv. II 665).

32. Battaglia di Ponte Milvio, iv secolo d.C. (Roma, Arco di Costantino).

34. Raffaello, disegno per Cariatide della Sala di Costantino, 1519-1520 (Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut, inv. 421).

32, 36-39

ma egli, quando gli erano giunti alle orecchie i lamenti delle madri, aveva preferito soffrire. Gli erano apparsi allora gli apostoli Pietro e Paolo con la promessa che sarebbe guarito grazie a Silvestro, cosa che poi era av­ venuta. La Guarigione, quindi, doveva mostrare come Costantino avesse dato prova di compassione cristiana prima della visione della Croce e avesse sperimentato la grazia di Dio. Lì Raffaello avrebbe potuto riallacciarsi alla sua Strage degli innocenti, ma anche alle scene po­ polari e ai principi degli apostoli che si librano nell’aria sopra Attila. La Battaglia di Costantino contro Massenzio, l’Adlocutio e la Presentazione dei prigionieri sono invece di­ rettamente ispirate ai rilievi dell’arco di Costantino, che nessuno conosceva meglio di Raffaello. Come nel rilievo dell’arco, anche nel suo progetto la battaglia fa parte di un racconto continuo. Nell’arco comincia con la parten­ za di Costantino da Milano, quando cristianesimo e mi­ racoli non hanno ancora un ruolo. Le quattro scene della Sala dovevano invece svolgersi nella Roma costantiniana protetta da Dio. Nella prima l’imperatore viene guarito dai principi degli aposto­ li perché, ispirato da Dio, risparmia i bambini romani. Nella seconda esorta le truppe e vede la croce e le parole che gli annunciano la vittoria con la profezia, nella terza batte Massenzio e nella quarta torna con i prigionieri in città. Raffaello si concentra però su Roma e sul miracolo divino e si attiene ancor più esattamente che in prece­ denza alla continuità narrativa e alle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. I papi non appaiono più come vicario di Cristo che spegne il fuoco, incorona l’imperatore e prepara la cro­ ciata, vince la battaglia e concede la grazia ai prigionieri, ma si sono ritirati nelle nicchie angolari e lasciano all’im­ peratore antico il ruolo del protagonista indiscusso. Leo­ne presta a uno dei papi i suoi tratti e non c’è nessun indizio che egli si fosse identificato con Costantino: la Sala dei Pontefici diventa Sala di Costantino. Ora Raf­

68

faello può finalmente rappresentare l’antico senza dover mettere al centro il papa, come aveva invano provato a evitare nell’Attila. La Stanza dell’Incendio era stata pesantemente criti­ cata e né il contrasto alquanto dissonante delle quattro scene fra di loro e con la volta di Perugino né l’esecu­ zione da parte degli allievi possono aver soddisfatto lo stesso Raffaello. A questo insieme problematico dei pri­ mi anni della sua maturità, ora contrappone un progetto uniforme e coerente, nel quale domina l’antico e in cui la brillante tecnica a olio doveva ancora superare quella dell’Ultima Cena di Leonardo. Raffaello si sente poeta epico e vede, come Omero e Virgilio, nei trionfi e nelle sconfitte degli eroi le conse­ guenze della volontà divina. Egli si sente un privilegia­ to nel poter inventare, laddove manchino le fonti o non venga resa giustizia a questa dimensione spirituale. Dei disegni preparatori di mano di Raffaello si sono conservati solo quelli della parete sud155, ed è evidente che l’artista volesse cominciare da questa. Le bozze e il disegno della bottega per la nicchia di un papa, proba­ bilmente Gregorio Magno156, permettono di ricostruire il sistema decorativo della Sala che, in alcuni punti deci­ sivi, si distacca dell’esecuzione. Sul disegno della nicchia due angeli illuminano il papa con candelabri e la nicchia con semicupola a conchiglia è più profonda. Ai due lati dei pilastri si aprono dei ten­ daggi e non sono ancora accennati gli arazzi sui quali gli allievi rappresenteranno poi le quattro scene. Anche sul modello della Battaglia disegnato da Penni per Raffaello manca qualsiasi traccia di questi arazzi e, sul margine destro, il braccio e lo zoccolo di un’allegoria sporgono direttamente nella scena157. Negli studi dei dettagli, co­ munque, Raffaello già ingrandisce i papi e le allegorie e sostituisce gli angeli con cariatidi femminili alternate a telamoni maschili158. Sulla parete sud gli allievi di Raffaello seguono il pro­ getto in modo ancora più preciso che sulla parete est.

39

33-34, 38

35

Cariatidi e telamoni sorreggono dal basso la trave di­ pinta. Per essere all’altezza dell’illusione anche dal pun­ to di vista statico, Raffaello simula travi di legno lun­ ghe abbastanza da colmare la distanza tra i due pilastri d’angolo. In questo modo egli comunica al visitatore la sensazione di trovarsi in un enorme belvedere con tut­ ti i lati aperti su un amplissimo panorama di Roma e dei suoi dintorni, spingendosi molto più in là di quanto avesse fatto poco prima Peruzzi nella Sala delle Pro­ spettive della Farnesina. Sul modello di Raffaello per l’Adlocutio, la riva destra del Tevere doveva proseguire fino alle pendici di monte Mario159. La pianura della Battaglia si estende oltre il ponte Milvio all’altra riva del fiume e, sulle due pareti successive, questa doveva proseguire fino al centro della città. Le due rive del Tevere della Roma costantiniana dovevano formare un tutt’uno e allargarsi in un am­ biente senza confini e animato dalle forze divine. Roma, dove Raffaello viveva e desiderava vivere, diviene per la prima volta il fulcro di un ciclo pittorico in grande stile160. Ai finti pilastri angolari di marmo policromo privi di cornicione sembrano anteposte colonne quadrangolari con capitelli dorici di marmo chiaro sui quali stanno in piedi gli atlanti e davanti ai quali siedono le allegorie.

35. Raffaello e bottega, disegno per la nicchia di papa Gregorio Magno della Sala di Costantino, 1519-1520 (Paris, Louvre, inv. 4804).

Le lesene della nicchia del papa aggettano nella corni­ ce d’imposta e proseguono nell’archivolto della calotta a conchiglia. Sugli zoccoli, iscrizioni dorate portano il nome dei papi e delle allegorie. Come mai prima, Raffaello rievoca quell’antico splen­ dore che non ritrova più nell’architettura della sua epoca e che esorta Leone a restaurare nella lettera che gli scrive sull’antica Roma. Con la grazia e il realismo delle figure, con l’illusionismo dell’architettura classicheggiante e de­ gli sfarzosi materiali, e con i brillanti colori a olio, vuole evidentemente mettere in ombra la volta della Sistina di Michelangelo. Pochi giorni dopo la sua morte, quando l’esecuzio­ ne dei dipinti non è ancora cominciata, Sebastiano del Piombo spera che il papa la affidi a lui e agli allievi161. Questi, tuttavia, non gli mostrano i bozzetti ed egli conta invano sul sostegno di Michelangelo. Tuttavia, Sebastiano riconosce anche le prestazioni straordina­ rie degli allievi e, il 3 giugno, quando ormai la Iustitia sulla destra della Battaglia è a uno stadio di realizzazio­ ne avanzato, scrive a Michelangelo che dai tempi degli antichi non è mai stato dipinto nulla di più bello, e che chi aveva visto la Sala non poteva più entusiasmarsi per le Stanze, una lode che non per forza deve aver ralle­ grato Michelangelo162.

36

69


Raffaello, le Stanze

Raffaello nella Sala di Costantino

36. Giovan Francesco Penni per Raffaello, modello per la Battaglia di Costantino contro Massenzio della Sala di Costantino, 1519-1520 (Paris, Louvre 4304).

33-34

La Iustitia si avvicina alle opere tarde di Raffaello, come la Madonna della Rosa del Prado, al punto che si oserebbe ipotizzare un suo contributo se solo i docu­ menti lo permettessero. Il corpo sensuale ha qualcosa della Fornarina, sebbene sia dipinto in modo più traspa­ rente. Il colore della brillante tecnica a olio varia dal ver­ de smeraldo pallido e dal rosa a un blu-grigio più saturo, eppure al viso manca la grazia con la quale la donna tie­ ne i propri attributi, la bilancia e uno struzzo marrone; manca quella stessa grazia che contraddistingue il viso della Caritas e di una cariatide sulle bozze di mano di Raffaello per la Sala163. Quando gli allievi passano alla tecnica a fresco più ostica e volatile, possono ancora contare sulle bozze dei dettagli di Raffaello per la parete sud. Solo i personaggi dei pilastri di questa parete sono riferiti uno all’altro, e le esedre non hanno ancora le tende con i panneggi come quelli della parete sud, ma sono riempite per tutta la profondità dal papa e dagli angeli. Sulla conchiglia color madreperla di Urbano la luce cade da una fonte invisibile e, dal pomello della conchiglia, parte un rosso baldacchino tridimensionale esattamente sopra la testa del papa. Il fatto che il pontificato di Urbano sia caduto nell’e­ poca tollerante di Alessandro Severo, e che questo papa sia riuscito ad ampliare i possedimenti della Chiesa, può aver contribuito a far sì che Paolo iii, anch’egli un urbanus, avesse poi incaricato Sebastiano di sostituire ai lineamenti palesemente rovinati di quel papa i propri. Nel pilastro di Alessandro i a sinistra della Battaglia, le figure che sorreggono il pilastro di Urbano si ripetono

37. Giovan Francesco Penni per Raffaello, modello per la Battaglia di Costantino contro Massenzio della Sala di Costantino, dettaglio di cavaliere, 1519-1520 (Paris, Louvre 4304).

testualmente, un particolare difficilmente presente nel progetto di Raffaello, ma il papa, che reagisce eccitato alla battaglia, e la Fides potrebbero ancora essere basati sui suoi schizzi. Poiché è evidente che per la parete est non esistevano schizzi dettagliati di Raffaello, gli allievi si sono sentiti autorizzati, e per primo il creativo Giulio Romano, a di­ scostarsi dalle intenzioni del maestro. Già la Comitas del pilastro destro della parete est, realizzata a olio come la Iustitia, non raggiunge il livello di questa. Il 15 dicembre 1520, quando gli allievi di sicuro ave­ vano terminato la Iustitia e la Comitas ed erano già pas­ sati alla più rapida tecnica a fresco, in una lettera a Mi­ chelangelo, Leonardo Sellaio definisce il loro lavoro una birbonata – «chosa ribalda»164 –, una critica mirata sicu­ ramente alla differenza di qualità esecutiva fra la Iustitia e gli affreschi. Poco dopo Leone visita la Sala, e ancora Sebastiano sembra aver sperato di poter eseguire a olio gli schizzi di Raffaello. Il 16 dicembre 1521, poco dopo la morte di Leone, quando Baldassarre Castiglione comunica al margra­ vio Federico Gonzaga che oltre la metà della Sala è già terminata, aveva sicuramente visto la parete sud e quella est, e forse già il pilastro di Damaso della parete ovest, simile ai pilastri della parete sud. Solo negli anni 1523-1524 gli allievi possono continuare e terminare gli affreschi. Chi entra nella Sala dall’appartamento del papa vede per prima la parete est che ha davanti, dove Pietro, con ai lati Ecclesia e Aeternitas guida la ridda dei papi. Sul pilastro destro della parete gli corrisponde Clemente i,

al quale Giulio attribuisce i lineamenti di Leone. Lo ave­ va espressamente ritratto in precedenza165 e, per evitare confusioni, colloca accanto al baldacchino il leone del­ lo zodiaco. Con la scelta delle allegorie della Moderatio e della Comitas, il papa vanesio deve avere pensato alle proprie virtù. Gli allievi si distaccano da Raffaello anche per i nume­ rosi stemmi e imprese dei Medici, che adornano il bordo superiore degli arazzi e lusingavano Leone. Nelle caria­ tidi e nei telamoni della parete est, fra i quali si può an­ noverare persino un ermafrodita, o nei seni sovrabbon­ danti dell’Aeternitas del pilastro di Pietro, si percepisce già la propensione di Giulio al capriccio e alla frivolezza. La Battaglia di Costantino contro Massenzio

65

36

70

Raffaello riserva la parete sud, che è lunga tredici metri e non interrotta da finestre come quella di fronte, per la Battaglia. Deve essere la scena centrale dell’intero ciclo e sulla sua enorme superficie può ostentare la pro­ pria maestria come mai prima. Né Eusebio né Lattanzio avevano descritto con preci­ sione la battaglia, e Raffaello non si avvale neppure della descrizione di Zosimo del ponte di barche ordinato da Massenzio, che doveva aprirsi al passaggio dei nemici, ma si era aperto anzitempo sotto le sue truppe. Anziché le barche, Raffaello rappresenta l’antico ponte Milvio e, per il resto, si basa sul rilievo dell’arco di Costantino. Nelle bozze per la Battaglia, Raffaello traduce i minu­ scoli e monotoni personaggi allineati del rilievo nel lin­ guaggio complesso dei suoi ultimi anni. Lamenta nella lettera a Leone x il declino della scultura all’epoca di Co­ stantino. I rilievi dell’arco gli sembrano «sciocchissime» se confrontati con quelli di Traiano e Antonino Pio166. Non poteva ancora conoscere la Battaglia di Alessandro del Museo Nazionale di Napoli, quindi si era avvalso so­ prattutto dei rilievi storici del primo e secondo secolo per avvicinarsi agli antichi e riportare a nuova vita i rilievi costantiniani. Ancora una volta, l’intento di Raffaello risulta più chia­ ro nel modello che nell’affresco. Lì il terzo superiore si apre sul paesaggio e sul cielo. Tre angeli proteggono e so­ stengono l’imperatore, mentre l’orizzonte è ulteriormen­ te arretrato rispetto alle precedenti opere. Nella vasta pianura fra il ponte e il monte Mario sono fittamente sca­ glionate le file isocefale dei soldati, che si stringono fino a diventare un blocco cuneiforme che spinge nel fiume il

nemico dalla riva segnata dalla diagonale dell’acqua. Qui Raffaello si avvale della prospettiva centrale ancora meno che nella Stanza dell’Incendio e, come nella Trasfigurazione, suggerisce lo spazio soprattutto grazie alla profondità della diagonale. Il Tevere scorre verso l’osservatore e l’al­ tra riva si perde sullo sfondo. La battaglia è ancora in pieno svolgimento. Da sini­ stra irrompono in avanti quattro cavalieri e la fanteria di Costantino su tre avversari. Un cavaliere nemico è già a terra, un secondo viene fatto cadere da cavallo, mentre il terzo è minacciato da ogni lato. Come già nelle prece­ denti scene di battaglia di Raffaello, un cavaliere collega questo gruppo concavo con il gruppo analogo dell’im­ peratore. Incarnazione dell’eroe giovane, Costantino domina la scena, e sicuramente già Raffaello l’avrebbe messo in par­ ticolare rilievo con il suo collaudato accordo cromatico di bianco e oro. I cavalieri vittoriosi giungono al galoppo da sinistra passando attraverso combattenti e caduti e ar­ rivando al Tevere. Egli punta la lancia contro Massenzio, che nel fiume si sta aggrappando al suo cavallo. La vitto­ ria si profila già nella mischia sul ponte, dove gli uomini di Costantino stanno respingendo il nemico. Raffaello aveva già plasmato l’angelo della Cacciata di Eliodoro – come anche L’arcangelo Michele del Louvre – in un eroe antico che trova unito al cristiano benedetto da Dio in Costantino, e in questo evidentemente Leone lo segue. Raffaello mostra la gloria della battaglia, ma anche il terrore e lo strazio degli uomini feriti, annega­

71


Raffaello, le Stanze

Raffaello nella Sala di Costantino

38. Raffaello, disegno per guerriero della Battaglia di Costantino contro Massenzio, 1519-1520 (Chatsworth, Trustees of the Chatsworth Settlement).

ti e uccisi. Le battaglie decidono le crociate, la politica papale e il fato degli uomini e da sempre sono stati uno dei grandi temi dell’arte. Raffaello deve essere stato in­ fluenzato anche dalla lettura di Omero e Virgilio, dove la gloria dei vincitori contrasta, come nella scena di Co­ stantino, con lo strazio dei vinti. Già Paolo Uccello, Ber­ toldo di Giovanni e Leonardo avevano preso spunto dai rilievi antichi per le loro scene di battaglia, e Piero della Francesca aveva persino dipinto La vittoria di Costantino su Massenzio nel coro di San Francesco di Arezzo. Già nella Strage degli innocenti, nella Cacciata e in Attila, Raffaello aveva evocato potenza e brutalità, e in Attila e nella Battaglia di Ostia aveva dimostrato quali possibilità rappresentative gli potesse offrire una scena bellica. Il Raffaello classicheggiante del 1519 non è più il pittore delle Madonne e, nella scena principale della sala delle feste di un Leone x che si vanta di essere pa­ cificatore, può dipingere un bagno di sangue. In realtà, l’artista difficilmente è stato testimone di una battaglia, ma di sicuro aveva visto esecuzioni capitali, feriti e muti­ lati. In ogni caso, qui gli interessa la battaglia come tale e nessuno prima di lui aveva spinto il realismo sanguinario fino a tal punto.

72

39. Raffaello e bottega, modello per l’Adlocutio della Sala di Costantino, 1520 (Chatsworth, Trustees of the Chatsworth Settlement 175).

Egli studia accuratamente i guerrieri in primo piano sul modello167, e la tecnica a olio gli avrebbe permesso di presentare il cielo blu, la luce vivida, il paesaggio di un verde intenso e l’acqua fluida e brillante come nella Trasfigurazione. Le fredde tonalità di rosa, beige e grigi che definiscono la policromia dell’affresco non si avvicinano minimamente alle intenzioni del maestro. Stranamente gli allievi rinunciano anche all’ampio panorama di Roma, quindi a una delle idee centrali del progetto di Raffaello e la Sala si apre dunque solo sulle finestre attuali. Per capire quanto poco fossero interessati a prose­ guire il panorama da una scena all’altra, basta osser­ vare lo sfondo dell’Adlocutio, non più orientato verso nord-est, bensì verso ovest, con la vista sul mausoleo di Adriano e il ponte degli Angeli. Per applicare agli arazzi un bordo ampio, devono stringere la composi­ zione ai lati e in alto. Le loro variazioni alla Battaglia si limitano per il resto soprattutto ai due angeli in primo piano che minacciano Massenzio con la spada sguaina­ ta, e alla veduta di Villa Madama sulle pendici di monte Mario, della cui progettazione si era allora occupato Giulio Romano.

L’Adlocutio e la Visione della Croce 38

66

Costantino aveva giurato al suo biografo Eusebio di aver visto la Croce sotto il sole del mezzogiorno e le parole che predicevano la vittoria: «™n toÚtJ n…κa», «in hoc signo vinces», durante una preghiera, e anche le sue truppe erano state testimoni di questo miracolo. La notte successiva, Cristo gli aveva ordinato di portare sempre con sé la croce come talismano e di far predi­ sporre i labari con la croce e il chi ro del chrismon «☧». Saranno solo le leggende successive a collocare la visio­ ne nei pressi di monte Mario e a legarla alla battaglia di ponte Milvio. Ancora una volta Raffaello si distacca dalle fonti e col­ lega la visione della Croce e le parole che predicono la vittoria a un discorso di Costantino alle truppe la sera prima della battaglia, come testimonia l’iscrizione sul piedistallo su cui sta parlando: «Adlocutio qua divinitatis impulsi constantiniani victoriam recepere». In questo modo può basarsi anche sull’adlocutio di Marco Aurelio, il rilievo che Costantino aveva fatto inserire nel suo arco. Il modello, disegnato da Penni per Raffaello in forte chiaroscuro, è quadrettato e preparatorio all’esecuzio­

ne, tuttavia si discosta dall’affresco molto più di quello della Battaglia. Qui l’accampamento è molto più vicino a ponte Milvio rispetto all’affresco. Soltanto dietro la sponda lontana del Tevere sono accennati una colonna trionfale difficilmente localizzabile, un mausoleo e, sul­ lo sfondo, le colline. Sul modello, Raffaello svincola ancora una volta i per­ sonaggi dalla resa piatta dell’antico rilievo. È tagliato il cielo con la visione miracolosa ma si rispecchia nell’entu­ siasmo dei loro visi e gesti. Gran parte dei soldati guarda verso l’alto e reagisce con stupore alla luce intensa che li colpisce e tre di loro indicano la visione con il brac­ cio alzato. Alcuni labari portano già la croce, ma non il chrismon del labarium descritto da Eusebio e noto già nell’arte tardoantica. Costantino si sta rivolgendo alle truppe, ma ha inter­ rotto il suo discorso. Il personaggio di spalle con lo scu­ do, presente anche sul rilievo dell’arco di Costantino, collega il suo gruppo alla falange di soldati sulla profon­ dità diagonale e questa, a sua volta, come nella Battaglia, fa proseguire lo sguardo verso la scena successiva. Ancora una volta Raffaello rappresenta un evento le­ gato a forze nascoste e l’incontro con il miracolo. Il mon­

73

39


Raffaello, le Stanze

do in gran parte immanente della Stanza dell’Incendio non gli basta più. Questo vale in misura molto minore per Leone, senza il cui consenso Giulio non avrebbe potuto modificare tanto radicalmente il progetto di Raf­ faello. Nelle Vite, Vasari parla di Giulio Romano e di Penni, descrive in modo dettagliato gli affreschi e nota, giustamente, come Giulio nell’esecuzione abbia perdu­ to il fuoco creativo168. Nell’affresco, diversamente dal racconto di Eusebio che colloca l’episodio sotto il sole, nella luce lontana che irrompe in mezzo alle nuvole appaiono gli angeli che, con il simbolo apotropaico della Croce, respingo­ no il drago per poi dirigersi verso la Battaglia. Il drago, di cui i biografi non parlano, è ispirato a un vessillo della Colonna Traiana169 e rappresenta probabilmente i dèmoni dei quali, secondo Eusebio, si serviva Mas­ senzio. Da un’altra spaccatura fra le nuvole, un raggio con le parole «™n toÚtJ n…κa» scende in basso verso destra, dunque non cade né su Costantino, né sul cam­ po di battaglia. Nelle immediate vicinanze della scritta profetica sventola, su una lancia insolitamente lunga, una bandiera rossa senza simboli. Con una lancia al­ trettanto alta, un altro soldato sembra voler proteggere la sua bandiera dal drago. Entrambi non sono presenti sul modello. Nell’affresco né Costantino, né il suo accompagna­ tore o la maggioranza dei soldati guardano inequivoca­ bilmente verso il cielo e, al posto del soldato a sinistra del piedistallo, che nel modello indica verso l’alto, sono presenti due paggi che badano all’armatura e alle armi di Costantino e del suo accompagnatore. Indossando un elmo il nano con le pudenda scoperte fa la parodia dell’esercito. Volge le spalle a quanto accade e scaccia in secondo piano l’unico soldato che guarda in alto. Evidentemente si tratta di uno degli osceni buffoni che tanto divertivano Leone. Accanto a lui l’allegoria della Moderatio di papa Clemente i, che ha i lineamenti di Leone, sembra ammonirlo e in effetti il nano volge lo sguardo in alto. Se Giulio Romano dà a Costantino il proprio volto, e all’accompagnatore quello di Penni, si arroga un ruolo che in precedenza non era mai spettato neppure ai nipo­ ti e contraddiceva le intenzioni di Raffaello, che voleva alzarsi al di sopra degli interessi particolari dell’indivi­ duo. Con questo, tuttavia, Giulio fa anche trasparire di essere ormai la persona che dà il tono alla bottega di Raffaello. I discutibili capricci di Giulio devono aver di­ vertito Leone e non furono neppure criticati da Vasari.

74

Raffaello nella Sala di Costantino

Dietro Costantino si allungano in profondità, nella prospettiva centrale, le tende sfarzose dei condottieri, la seconda con il rosso e il giallo oro dei Medici. Le ricostruzioni della Meta Romuli adorna di rilievi e del circo di Nerone si prolungano in quelle del mausoleo di Adriano, del ponte degli Angeli e del mausoleo di Au­ gusto sull’altra riva del fiume. Gli allievi avevano forse trovato queste ricostruzioni, accurate anche dal punto di vista archeologico, fra i rilievi dell’antica Roma la­ sciate da Raffaello che, prima di morire, aveva comple­ tato quelli del «primo rione», forse proprio quello di Borgo170. Lo stesso Raffaello si sarebbe probabilmente servito delle sue ricostruzioni della Roma antica nelle scene delle altre due pareti. Giulio, tuttavia, modifica anche l’ingegnosa composi­ zione di Raffaello. Prolunga la falange, guida lo sguardo verso le tende e la riva del Tevere, e nel contempo chiude la profondità dello spazio con la fila di personaggi paral­ leli alla superficie che si estende dai paggi al nano e alla Moderatio passando per il soldato visto di spalle. Sopra tutto questo guazzabuglio, la visione sembra limitarsi a una musica lontana di accompagnamento. Queste variazioni formali sono anche caratteristiche delle successive creazioni di Giulio. Dopo la morte di Raffaello comincia la Comitas a olio, poi potrebbe aver terminato a fresco il pilastro di Clemente e infine aver dipinto il pilastro di Pietro, dove il suo linguaggio dege­ nera ulteriormente. Sebbene il loro legame sia durato per anni, Giulio in fin dei conti rimane estraneo al mondo spirituale che era così essenziale per Raffaello e sfrutta le proprie capacità nella rappresentazione del suo mondo terreno, spesso grossolano, burlesco e frivolo. In ogni caso, il raffronto dell’affresco con il modello testimonia quale influenza egli avesse sul programma senza comunque incontrare resistenza da parte di Leone. Nell’autunno del 1523 Giulio de’ Medici sale al seggio papale con il nome di Clemente vii. Non ha la caratura del cugino, ma cerca comunque di adempie­ re al proprio ufficio in modo più responsabile. Come conoscitore d’arte è superiore a Leone, è più religioso e meno mondano e volubile. Ben presto affida a Giu­ lio Romano e Penni l’incarico di completare la Sala, ma impone che il papa sia superiore a Costantino in modo inequivocabile: nella Donazione e nel Battesimo l’impe­ ratore è inginocchiato davanti a papa Silvestro, che ha i lineamenti di Clemente vii. Gli allievi hanno già coperto il panorama di Raffaello con gli arazzi, e ora rinunciano

anche alla continuità del cielo romano ambientando in interni entrambe le scene. Sostituiscono alle imprese di Leone il più devoto candor illaesus di Clemente. La po­ litica del secondo papa Medici non ha però il successo che simula nella Donazione di Costantino: il 6 maggio 1527 le truppe dell’imperatore saccheggiano la città e costringono Clemente a rifugiarsi a Castel Sant’Angelo. Viene tradita non solo dagli allievi ma anche dai due papi medicei l’ultima grande visione di Raffaello in

cui si lascia alle spalle le tendenze di potere politico e dinastico della Stanza dell’Incendio senza tornare alla religiosità spirituale di Giulio ii. Il suo sguardo è più anticheggiante, ma diventa anche più sobrio, realistico e storico, e contrappone alla gloria del suo eroe i lati oscuri della creazione. In nessun altro progetto rag­ giunge tuttavia una paragonabile libertà e autonomia che nell’ampio spazio dedicato alla storia di Roma e alle forze soprannaturali che l’hanno animato.

75


TAVOLE


Raffaello, le Stanze

tavole

I. Pianta del secondo piano del Palazzo Vaticano ai tempi di Giulio ii e Leone x 1 Cordonata del Bramante e di Raffaello 2 Seconda Loggia 3 Piccolo corridoio 4 Portale di Giulio ii 5 Sala Vecchia degli Svizzeri 6 Cappella di Niccolò v 7 Stufetta di Giulio ii 8 Cubicolo di Giulio ii 9 Scala segreta di Giulio ii 10 Anticamera segreta 11 Sala dei Chiaroscuri e Sala dei Palafrenieri 12 Scala del Cortile del Belvedere (incompleta) 13 Balconata di Leone x 14 Sala di Costantino 15 Stanza di Eliodoro 16 Stanza della Segnatura 17 Stanza dell’Incendio di Borgo 18 Guardaroba 19 Cucina segreta 20 Balconata di Leone x 21 Loggia medievale 22 Appartamenti dei camerieri 23 Portale di Leone x 24 Penultima rampa alla terza Loggia

18 19 20

22

21 16

15 7

13

9 8

10

6 14

23 24

1

muri pre-bramanteschi

17

3

11

5

4 2

muri rinascimentali (Bramante e Raffaello), 1503-1520 muri rinascimentali, 1520-1521

12

muri demoliti dal Bramante? muri demoliti dopo il 1520

78

79


La Stanza della Segnatura

1 Veduta della Stanza con la volta, il Parnaso e la Scuola di Atene 2 Veduta della Stanza con la volta, la Disputa e la Iustitia 3 Volta 4 5 6 7 8 9

La Scuola di Atene Parte centrale Parte sinistra Michelangelo, dettaglio Parte destra Gruppo di Euclide con Raffaello e Giuliano da Sangallo

10 11 12 13 14 15 16 17 18

La Disputa Zona celeste Parte centrale della zona inferiore Parte sinistra della zona inferiore Parte destra della zona inferiore Dio Padre e Deesis Gruppo di Bramante Gruppo con Gregorio, Girolamo, Amadeo de Silva e i vescovi Petrucci e Benigno Gruppo con Ambrogio, Agostino e Giulio ii

19 Il Parnaso 20 Parte centrale 21 Gruppo di Omero e dei poeti epici 22 Gruppo di Saffo e poeti lirici 23 Poeti drammatici 24 Parete intera del Parnaso 25 (a-d) Tarsie a trompe-l’oeil dello zoccolo (b, d) e rilievi finti con Alessandro Magno (a) e Augusto (c) 26 (a-b) Grottesche e prima e seconda scena in chiaroscuro nell’intradosso della finestra settentrionale 27 La Iustitia 28 Le Decretali 29 Le tre Virtù 30 (a-b) Grottesche e prima e seconda scena in chiaroscuro nell’intradosso della finestra


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

82

x

x

83


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

84

x

x

85


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

86

x

x

87


Scuola di Atene

tavole

4

88

x

x

x

89


Scuola di Atene

tavole

5

90

x

x

x

91


Raffaello, le Stanze

x6

tavole

x

92

x

x

93


Scuola di Atene

7

94

8

95


Raffaello, le Stanze

x

x

96

x

9

97


Disputa

tavole

10

98

x

x

x

99


Raffaello, le Stanze

tavole

11

100

101


Raffaello, le Stanze

tavole

12

102

103


Raffaello, le Stanze

x

x

104

x

13

105


Raffaello, le Stanze

tavole

x

14

106

x

x

107


Raffaello, le Stanze

x

Disputa

x

108

x

15

109


Disputa

tavole

16

110

x

x

x

111


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

112

x

x

113


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

114

x

x

115


Parnaso

tavole

19

116

x

x

x

117


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

118

x

x

119


Raffaello, le Stanze

x

tavole

21

120

x

22

121


Raffaello, le Stanze

Parnaso

24

x

23

122

123


Raffaello, le Stanze

tavole

25a

124

125


Raffaello, le Stanze

tavole

x

25b

126

x

x

127


Raffaello, le Stanze

tavole

25c

128

129


Raffaello, le Stanze

tavole

x

25d

130

x

x

131


Raffaello, le Stanze

x

tavole

26a

132

x

26b

133


Iustitia

tavole

27

28

134

x

x

135


Iustitia

29

136

137


Raffaello, le Stanze

x

tavole

30a

138

x

30b

139


La Stanza di Eliodoro

31 Veduta della Stanza con la volta, la Cacciata di Eliodoro e la Messa di Bolsena 32 Veduta della Stanza con la volta, Leone Magno e Attila e la Liberazione di san Pietro 33 Volta 34 Dettaglio della volta 35 36 37 38 39

La Cacciata di Eliodoro Parte centrale Parte sinistra Gruppo di Giulio ii e Raffaello Parte destra

40 41 42 43

La Messa di Bolsena Parte centrale Parte sinistra Parte destra

44 45 46 47

La Liberazione di san Pietro Parte centrale Parte sinistra Parte destra

48 Leone Magno e Attila 49 Parte sinistra 50 Parte destra 51 (a-b) Grottesche e primo e secondo chiaroscuro dell’intradosso della finestra meridionale


Raffaello, le Stanze

tavole

31

142

143


Raffaello, le Stanze

tavole

32

144

145


tavole

33

34

146

x

x

147


Cacciata

tavole

35

148

x

x

x

149


Cacciata

tavole

36

150

x

x

x

151


Raffaello, le Stanze

x

tavole

37

152

x

38

153


tavole

39

154

x

x

x

155


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

156

x

x

157


Raffaello, le Stanze

tavole

41

158

Messa di Bolsena

159


Raffaello, le Stanze

x

tavole

42

160

x

43

161


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

162

x

x

163


Raffaello, le Stanze

x

Liberazione

x

164

x

45

165


Raffaello, le Stanze

x

tavole

46

166

x

47

167


Raffaello, le Stanze

x

Leone e Attila

x

168

x

48

169


Raffaello, le Stanze

x

Leone e Attila

x

170

x

49

171


Raffaello, le Stanze

tavole

x

50

172

x

x

173


Raffaello, le Stanze

x

tavole

51a

174

x

51b

175


La Stanza dell’Incendio di Borgo

52 53

Veduta della Stanza con la volta, la Battaglia di Ostia e l’Incendio di Borgo Veduta della Stanza con la volta, l’Incoronazione di Carlo Magno e la Giustificazione di Leone iii

54 55 56 57

L’Incendio di Borgo Parte sinistra Parte centrale Parte destra

58 59 60 61

La Battaglia di Ostia Dettaglio della Battaglia Parte sinistra Parte destra

62

L’Incoronazione di Carlo Magno

63

La Giustificazione di Leone iii


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

178

x

x

179


Raffaello, le Stanze

x

x

180

x

53


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

182

x

x

183


Raffaello, le Stanze

x

tavole

55

184

x

56

185


Raffaello, le Stanze

tavole

x

57

186

x

x

187


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

188

x

x

189


Raffaello, le Stanze

tavole

59

190

Battaglia di Ostia

191


Battaglia di Ostia

tavole

60

192

x

x

x

193


Raffaello, le Stanze

x

Battaglia di Ostia

x

194

x

61

195


tavole

x

x

196

x

x

197


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

198

x

x

199


La Sala di Costantino

64

Interno con l’Adlocutio e la Battaglia di Costantino contro Massenzio

65

La Battaglia di Costantino contro Massenzio

66

L’Adlocutio


Raffaello, le Stanze

x

tavole

x

202

x

x

203


Battaglia di Costantino contro Massenzio

65

204

205


Adlocutio

tavole

66

206

x

x

x

207


APPARATI


NOTE

Si veda la bibliografia completa fino al 2000 in Shearman 2003, pp. 1537-1635. Ringrazio mio fratello e Claudio Castelletti per il prezioso aiuto. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

21 22

23 24 25 26

Von Pastor 1923-26, 3, pp. 659-1039. Von Pastor, 1923-26, 2, pp. 451-710. Frommel in Fiore 1998, pp. 374-411; Frommel 2002b; Frommel 2009a; Frommel 2012. Frommel 2017. Frommel 2003, pp. 86-155; Frommel 2009a. Frommel 1984c. Frommel 2014b. Pfeiffer 1975; Frommel 1996. Vasari 1986; De Vecchi 2002; Knab, Mitsch, Oberhuber 1983; Oberhuber 1999; Shearman 2003. Frommel 2011. Shearman 2003, pp. 112-120. Shearman 1971; Shearman 1993. Nesselrath 2012, pp. 82-87. Frommel 1981. Shearman 1971, nota 103. Shearman 1971, p. 377. Intorno al 1541 la stanza era ancora chiamata «Camera delle tarsie»; Shearman 1971, nota 96. Dorez 1896. Marchi 2015. Se Leone avesse fatto togliere gli armadi di Giulio ii, come presume Shearman (1971, p. 380), la prosecuzione illusionistica di un sistema che appare più arcaico delle architetture di Raffaello dell’epoca avrebbe avuto poco senso. Shearman 2003, pp. 122-128. Shearman 2003, pp. 122-128. Quando Raffaello, nella versione mantovana della lettera scritta poco prima della morte che riguarda la Roma antica, fa notare di conoscere la città da quattordici anni, evidentemente fa riferimento a una sua visita del periodo precedente il 1508 (Shearman 2003, pp. 502, 537-541). Echinger-Maurach 2014, p. 305, doc. 1. Nesselrath 2012, pp. 97-104. Lo schizzo degli Uffizi era destinato alla volta della Stanza di Eliodoro. Shearman 2003, p. 125. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 281, 282.

27 Studiolo Urbino. 28 Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 278. 29 Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 293, 294. 30 De Silva 2014, pp. 41-43, 65-66. 31 Vasoli 1974; Merlo 2009; Frommel 2017. 32 Frommel 2014b, pp. 30-32. 33 Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 279, 314. 34 Vasari 1986, p. 61; Shearman 2003, pp. 1141-1142. 35 Nesselrath 2012, pp. 97-108. 36 Pfeiffer 1975; Winner 1996a; Reale 2010c; Rohlmann 2004b, pp. 124-134; Frommel 2012, pp. 24-28; Nesselrath 2012, pp. 94-110. 37 Cfr. Le nozze di Alessandro e Rossane del Sodoma. 38 Per altre strade anche Nesselrath (2012, pp. 94-111) perviene a questo risul­ tato. 39 Oberhuber 1983; Winner 1996a; Hall 1997; Reale 2010a; Rohlmann 2004b; Nesselrath 2012, pp. 87-108; Joost-Gaugier 2002. 40 Winner 2003; Joost-Gaugier 2008. 41 Winner 2003. 42 Così la descrive per esempio Massimo di Tiro (Maximus of Tyre 1997, pp. 72-74). Nel 1490 e ancora negli anni 1508-11, il manoscritto parigino della sua opera si trovava nella biblioteca dei Medici. Poiché la stampa della traduzione latina del 1517 è ancora dedicata a Giulio ii, potrebbe essersi trovata anche nella sua biblioteca privata (gentile suggerimento di Alessandro Diana). 43 Oberhuber, Vitale 1972; Frommel 2016, pp. 90-92. 44 A gennaio 1513 Giulio ii scioglie le enigmatiche lettere di diamanti «a.c.r.v.» sul berretto bianco di Federico Gonzaga con le parole «Amor caro ritorna vivo» (Shearman 2002, p. 170). 45 S. Frommel 2014, p. 87. 46 Marcolongo 1928. 47 Benedetti 2004. 48 Joost-Gaugier 2008. 49 Sarpi 2004. 50 Nel 1509, poco dopo l’arrivo di Raffaello a Roma, il futuro doge Girolamo Priuli (Dall’Orto 2015) si lamenta

51 52 53 54 55 56 57 58 59 60

61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81

nel suo diario dell’atteggiamento del papa: «Conduzeva cum lui li sui ganimedi, id est alchuni bellissimi giovani, cum li quali se diceva publice che l’havea acto carnale cum loro, ymmo che lui hera patiente et se dilectava molto di questo vitio sogomoreo, cossa veramente abhorenda in chadauno» (Priuli). Testimonianze simili si trovano in Sanuto e nelle Pasquinate. Frommel 2012, pp. 46-47. Shearman 2002, pp. 158-166. Frommel 2014b, p. 29. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 285-286, 291-294, 346. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 290. Knab, Mitsch, Oberhuber, cat. 287, 289. Knab, Mitsch, Oberhuber, cat. 295. Frommel 2017. Camaioni 2015. «Appositum Raphaelis imagini per ca(r)dinal(em) Senense(m): Arte potens medica, florentes principis artus/ Serva et clavigeri da pia scaeptra senis». Sul bordo accanto: «Raphaelis d(icti) m(e)dicina»; Shearman (2003, pp. 1453-1456) non giunge a una chiara interpretazione di questa poesia. Frommel 1981. Weiss 1965. Rohlmann 1996. Von Pastor 1923-26, 2, p. 454. Frommel 1996, p. 58, doc. 357a. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 311. Kessler 2006. Tanzi 1997. Frommel 2017. Pfeiffer 1975. Per una possibile influenza dell’Apocalypsis Nova sulla Trasfigurazione di Raffaello si veda Pasti 2014. Schröter 1977 (con bibliografia); Reale 2010b; Winner 2000. Shearman 2003, pp. 130-143. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 378. Reale 2010b. Frommel 2012, p. 390. Steppich 2002, p. 196. Künzle 1964. Tateo 1970. Shearman 2003, pp. 640-647. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat.

211


Note

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

82 83 84 85 86 87 88 89

90

91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106

446; Frommel 2012, pp. 39-40 (con bibliografia). Pfeiffer 1996; Frommel 2012, pp. 3032; Nesselrath 2012, pp. 110-111; Rohlmann 2013b; Winner 2014. Hirst 1981. Becker 2004. Stöve 1991. Frommel 2012, p. 32. Falcone 2008. Partridge, Starn 1980. Shearman 1971; Traeger 1971; Oberhuber 1972, pp. 79-104; Shearman 1996; Shearman 2003, pp. 146-147; Nesselrath 2012, pp. 111-118 (con bibliografia). L’ornamento e i finti rilievi sono molto più anticheggianti rispetto agli affreschi di Signorelli a Orvieto e ricordano ancora gli affreschi di Peruzzi nell’abside di Sant’Onofrio. Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 318. Oberhuber 1972, cat. 376; Sacra Bibbia 2008: 2Mac 3,4-30. Oberhuber 1972, cat. 396-402; Knab, Mitsch, Oberhuber 1983, cat. 428-433. Frenz 1986, p. 373, n. 1243a. Frommel 2002b, pp. 38-39. Tönnesmann 1990 (con bibliografia); Rohlmann 2013a. Frommel 1996, pp. 57-58. Nesselrath 2012, pp. 118-119. Oberhuber 1972, cat. 403. Pfeiffer 1996, p. 49, nota 11. Oberhuber 1972, cat. 404. Benzoni, Bortolotti 2002. Benzoni 1998. Von Pastor 1923-26, 3, p. 845. Weiss 1965. Von Pastor 1923-26, 3, pp. 858-860; Rohlmann 1995; Rohlmann 2012 (con bibliografia).

107 Frommel 2014b, pp. 19-24. 108 Frommel 2003, pp. 119-127. 109 Traeger 1971; Nesselrath 2012, pp. 149-158 (con bibliografia). 110 Oberhuber 1972, cat. 411. 111 Ibid., cat. 407. 112 Ibid., cat. 410-411. 113 Dietrich-England 2006. 114 Oberhuber 1972, cat. 413-415. 115 Traeger 1971. 116 Oberhuber 1972, pp. 83-84. 117 Ibid., pp. 84, 103-104. 118 Ibid., p. 84. 119 Shearman 2003, p. 185; Rohlmann 2002. 120 Oberhuber 1972, cat. 490-411. 121 Oberhuber 1972, pp. 104-122; Shearman 1971; Quednau 1984; Jacoby 2007; Rohlmann 2002. 122 Nesselrath 2012. 123 Duchesne 1886-1892, pp. 110-111; Marazzi 2005. 124 Vasoli 1974, pp. 126-127. 125 Shearman 2003, pp. 207-211. 126 Shearman 2003, pp. 503-505. 127 Oberhuber 1972, cat. 420-425. 128 Oberhuber 1962, pp. 46-47; Jacoby 2007. 129 Bertolini 1980. 130 Tabacchi 2009. 131 Benzoni 2006. 132 Oberhuber 1972, cat. 426, 426a. 133 Frommel 2014a. 134 Oberhuber 1962; Mancinelli 1986; Nesselrath 1986; Guillaume 1986; Mancinelli, Nesselrath 1993; Delogu 2005; Jacoby 2007. 135 Guillaume 1986; Kempers 2012. 136 Oberhuber 1972, cat. 4290. 137 Shearman 2003, p. 1156; Vasari 1986, p. 633. 138 Rebecchini 2009. 139 Spini 1960.

140 141 142 143 144

Frommel 2009b, pp. 43-46. Oberhuber 1972, cat. 431a. Kempers 2012, p. 377. Shearman 2003, p. 283. Oberhuber 1962; Jacoby 2007; Rohlmann 2002; Kempers 2012. 145 Delogu 2005. 146 Von Pastor 1923-26, 4, pp. 146-174. 147 Oberhuber 1972, cat. 433. 148 Shearman 2003, p. 289. 149 Oberhuber 1972, cat. 434-437a. 150 Weddigen 2006. 151 Quednau 1979; Rohlmann 1994; Rohl­mann 2004b. 152 Shearman 2003, pp. 615-616. 153 Ibid., pp. 615-616: «… Degli preparamenti de l’incendio del sangue di quei putti, che li intravengono done assai et puttini et manigoldi per amazarli, per fare el bagno de l’imperatore». 154 Duchesne 1886-1892. 155 Oberhuber 1972, pp. 184-207, cat. 478-481, 484-488. 156 Ibid., cat. 477. 157 Ibid., cat. 485. 158 Ibid., cat. 481. 159 Ibid., cat. 483. 160 Shearman 2003, pp. 180-184. 161 Shearman 2003, pp. 606-608. 162 «De sorta che persona alcuna non guarderà più le camere che ha facto Raphaello; che questa salla stupefaria ogni cossa, et che non sarà la più bella opera facta de li antichi in qua de pictura». 163 Oberhuber 1972, cat. 479-481. 164 Shearman 2003, pp. 631-632. 165 Oberhuber 1972, cat. 482. 166 Shearman 2003, p. 504; Frommel 2014c. 167 Oberhuber 1972, cat. 484-487. 168 Quednau 1979, pp. 833-838. 169 Ibid., p. 339, fig. 95. 170 Frommel 2014c.

Agostino 1969 Agostino, Le Confessioni, a cura di C. Marchesi, Bologna 1969. Becker 2004 R. Becker, Domenico Jacovacci, in Dizionario Biografico degli Italiani, 62, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2004. Bellori 1751 G.P. Bellori, Descrizione delle immagini dipinte da Raffaello d’Urbino nel Palazzo Vaticano, e nella Farnesina alla Lungara: con alcuni ragionamenti in onore delle sue opere, e della pittura, e scultura, Roma 1751. Benedetti 2004 S. Benedetti, Tommaso Inghirami, detto Fedra, in Dizionario Biografico degli Italiani, 62, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2004. Benzoni 1998 G. Benzoni, Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 50, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1998. Benzoni 2006 G. Benzoni, Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 66, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2006.

De Silva 2014 A. De Silva, Apocalypsis Nova, a cura di D.L. Dias, Lisbona 2014. De Vecchi 2002 P. De Vecchi, Raffaello, Milano 2002. Delogu 2005 P. Delogu, Leone iii, papa, santo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 64, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2005. Dietrich-England 2006 F. Dietrich-England, Die Sockelzone der Stanza di Eliodoro. Ein Entwurf Raffaels, Weimar 2006. Di Teodoro 2003 F.P. Di Teodoro, Raffaello, Baldassar Castiglione e la lettera a Leone x. Con l’aggiunta di due saggi raffaelleschi, Bologna 2003. Dorez 1896 L. Dorez, La bibliothèque privée du pape Jules ii, in «Révue des Bibliothèques», 6, 1896, pp. 97-124. Duchesne 1886-1892 L. Duchesne, Le liber pontificalis: texte, introduction et commentaire, vol. 1, Paris 1886; vol. 2, Paris 1892; Additions et corrections, Paris 1955.

gien in Raffaels «Disputa»? Beobachtungen zu Bramantes Erweiterung des Papstpalastes in den Jahren 1508/09, in J. Müller Hofstede, W. Spies (a cura di), Festschrift für Eduard Trier zum 60. Geburtstag, Berlin 1981, pp. 103-127. Frommel 1984a Ch.L. Frommel, Il Palazzo Vaticano sotto Giulio ii e Leone x. Strutture e funzioni, in Raffaello in Vaticano, Catalogo della mostra, Città del Vaticano 1984, Milano 1984 (con bibliografia), pp. 118-135. Frommel 1984b Ch.L. Frommel, Raffaello e la sua carriera architettonica, in Frommel, Ray, Tafuri, p. 18. Frommel 1984c Ch.L. Frommel, San Pietro, Storia della costruzione, in Frommel, Ray, Tafuri, pp. 241-310. Frommel 1996 Ch.L. Frommel, La chiesa di San Pietro sotto papa Giulio ii alla luce di nuovi documenti, in C. Tessari (a cura di), San Pietro che non c’è: da Bramante a Sangallo il Giovane, Milano 1996, pp. 23-84. Frommel 1998 Ch.L. Frommel, Roma, in Fiore, pp. 374-411.

Echinger-Maurach 2014 C. Echinger-Maurach, Dokumente, in Frommel 2014b, pp. 305-352.

Frommel 2002a Ch.L. Frommel, L’uomo e l’architettura nel­ l’opera di Raffaello, in «Accademia Raffaello. Atti e Studi», Urbino 2002, 1, pp. 7-34.

Bertolini 1980 P. Bertolini, Cesario, in Dizionario Biografico degli Italiani, 24, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1980.

Ernst, Zambelli 1992 G. Ernst, P. Zambelli, Dragišic´, Juraj, in Dizionario Biografico degli Italiani, 41, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1992.

Frommel 2002b Ch.L. Frommel, Raffaello e Giulio ii, in Lezioni di storia dell’arte dall’umanesimo all’età barocca, Milano 2002, pp. 267-287.

Bruschi 2002 A. Bruschi (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il primo Cinquecento, Milano 2002.

Falcone 2008 G. Falcone, Ius suum cuique tribuit, in «Studi in onore di Remo Martini», Palermo 2008, pp. 133-176.

Frommel 2002c Ch.L. Frommel, La città come opera d’arte: Bramante e Raffaello (1500-20), in Bruschi, p. 76-131.

Camaioni 2015 M. Camaioni, Alfonso Petrucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, 82, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2015.

Ferino Pagden 1989 S. Ferino Pagden, Giulio Romano pittore e disegnatore a Roma, in Giulio Romano, Catalogo della mostra, Milano 1989, pp. 65-95.

Frommel 2003 Ch.L. Frommel, I tre progetti bramanteschi per il Cortile del Belvedere, in Ch.L. Frommel, Architettura alla corte papale del Rinascimento, Milano 2003, pp. 89-155.

Fiore 1998 F.P. Fiore, Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento, Milano 1998.

Frommel 2006 Ch.L. Frommel, San Pietro da Niccolò V fino al modello di Sangallo in Pietro è qui, Catalogo della mostra, Città del Vaticano 2006, a cura di M.C. Carlo-Stella, Monterotondo 2006, pp. 31-77.

Benzoni, Bortolotti 2002 G. Benzoni, L. Bortolotti, Domenico Grimani, in Dizionario Biografico degli Italiani, 59, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2002.

Cazzato, Roberto, Bevilacqua 2014 V. Cazzato, S. Roberto, M. Bevilacqua, La festa delle arti, Roma 2014. Dacos 2008 N. Dacos, Le Logge di Raffaello: l’antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna, Milano 2008 (con bibliografia). Dall’Orto 2015 G. Dall’Orto, Tutta un’altra storia. L’omo-

212

sessualità dall’antichità al secondo dopoguerra, Milano 2015.

Frenz 1986 T. Frenz, Die Kanzlei der Päpste der Hochrenaissance (1471-1527), Tübingen 1986. Frommel 1981 Ch.L. Frommel, Eine Darstellung der Log-

Frommel 2009a Ch.L. Frommel, Il dialogo di Giulio ii con gli artisti, in F. Cantatore, M. Chiabò, M.

213


Bibliografia di riferimento

Gargano, A. Modigliani (a cura di), Giulio ii e Savona, Roma 2009, pp. 5-28. Frommel 2009b Ch.L. Frommel, Palazzo Alberini a Roma, Roma 2009. Frommel 2011 Ch.L. Frommel, Raffaello nella Libreria Piccolomini, in M.G. Aurigemma (a cura di), Dal Razionalismo al Rinascimento, Roma 2011, pp. 53-63. Frommel 2012 Ch.L. Frommel, Raffaello e Giulio ii nella comune ricerca del divino, in «Accademia Raffaello. Atti e Studi», n.s. 2012, 1, pp. 21-48. Frommel 2014a Ch.L. Frommel, Nuovi contributi al primo e all’ultimo Peruzzi, in Cazzato, Roberto, Bevilacqua, pp. 254-259. Frommel 2014b Ch.L. Frommel (a cura di), Michelangelo. Il marmo e la mente. La tomba di Giulio ii e le sue statue, Jaca Book, Milano 2014; Michelangelo – Marmor und Geist: das Grabmal Papst Julius’ ii. und seine Statuen, Regensburg 2014. Frommel 2014c Ch.L. Frommel, Raffaello, Roma e l’antico, in «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», n.s. 60/62, 2013/14, pp. 105-114. Frommel 2016 Ch.L. Frommel, L’architectura picta da Giotto a Raffaello, in S. Frommel, G. Wolf (a cura di), Architectura Picta, Modena 2016, pp. 68-97. Frommel 2017 Ch.L. Frommel, Bramante, il Tempietto e il convento di San Pietro in Montorio, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana» 2017 (in corso di stampa). Frommel, Ray, Tafuri 1984 Ch.L. Frommel, S. Ray, M. Tafuri (a cura di), Raffaello architetto, Milano 1984 (con bibliografia). Frommel, Winner 1986 Ch.L. Frommel, M. Winner (a cura di), Raffaello a Roma. Atti del convegno (Roma 1983), Roma 1986. Frommel S. 2014 S. Frommel, Giuliano da Sangallo, Firenze 2014. Guillaume 1986 J. Guillaume, Francois ier en Charlemagne, in Frommel, Winner, pp. 159-162.

214

Bibliografia di riferimento

Hall 1997 M. Hall (a cura di), Raphael’s ‘School of Athens’, Cambridge 1997. Harprath 1986 R. Harprath, Raffaels Teppiche in der Sixtinischen Kapelle, in Frommel, Winner, pp. 117-126. Henry, Ioannides 2012 T. Henry, P. Ioannides (a cura di), Raphaël. Les dernières années, Catalogo della mostra, Paris, Musée du Louvre, ottobre 2012-gennaio 2013, Paris 2012 (con bibliografia). Hirst 1981 M. Hirst, Sebastiano del Piombo, Oxford 1981. Jacoby 2007 J.W. Jacoby, Bildform und Rechtsnorm: Raphael in der Stanza dell’Incendio im Vatikanischen Palast, München 2007. Joost-Gaugier 2002 C. Joost-Gaugier, Raphael’s Stanza della Segnatura: Meaning and Invention, Cambridge 2002. Joost-Gaugier 2008 C. Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull’arte, Roma 2008. Kempers 2012 B. Kempers, “Sans fiction ne dissimulacion”. The Crown and Crusaders in the Stanza dell’Incendio, in Tewes, Rohlmann, pp. 373-415 (con bibliografia). Kessler 2006 H.L. Kessler, Face and firmament: Dürer’s “An angel with the Sudarium” and the limit of vision, in Ch.L. Frommel, G. Wolf, L’Immagine di Cristo dall’acheropita alla mano d’artista: dal tardo Medioevo all’età barocca, Città del Vaticano 2006, pp. 143-165.

Mancinelli 1986 F. Mancinelli, L’incoronazione di Carlo i nella Stanza dell’Incendio di Borgo, in Frommel, Winner, pp. 163-172.

Nesselrath 2012 A. Nesselrath, Raphaël et Pinturicchio: les grands décors des appartements du pape au Vatican, Paris 2012.

Mancinelli, Nesselrath 1993 F. Mancinelli, A. Nesselrath, La Stanza dell’Incendio, in G. Cornini, C.D. Nesselrath, A.M. De Strobel, Raffaello nell’appartamento di Giulio ii e Leone x, Milano 1993, pp. 293-337.

Oberhuber 1962 K. Oberhuber, Die Fresken der Stanza dell’Incendio im Werk Raffaels, in «Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen in Wien», 58, 1962, pp. 23-72.

Quednau 1984 R. Quednau, Päpstliches Geschichtsdenken und seine Verbildlichung in der Stanza dell’Incendio, in «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», 35, München 1984, pp. 83-128.

Marazzi 2005 F. Marazzi, Leone iv, papa, santo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 64, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2005.

Oberhuber 1972 K. Oberhuber, Entwürfe zu Werken Raphaels und seiner Schule im Vatikan 1511/12 bis 1520, in O. Fischel (a cura di), Raphaels Zeichnungen, Abteilung 9, Berlin 1972.

Reale 2010a G. Reale, La Scuola d’Atene di Raffaello: una interpretazione storico-ermeneutica, Milano 2010 (con bibliografia).

Marchi 2015 A. Marchi (a cura di), Lo Studiolo del Duca. Il ritorno degli uomini illustri alla Corte di Urbino, Milano 2015.

Oberhuber 1983 K. Oberhuber, Polarität und Synthese in Raphaels “Schule von Athen”, Stuttgart 1983.

Reale 2010b G. Reale, Raffaello: il “Parnaso” e il trionfo della poesia, Milano 2010 (con bibliografia).

Oberhuber 1999 K. Oberhuber, Raffaello: l’opera pittorica, Milano 1999; ed. or. Raffael: das malerische Werk, München 1999.

Reale 2010c G. Reale, Raffaello: La “Disputa” o Rivelazione delle cose divine, Milano 2010 (con bibliografia).

Oberhuber, Vitale 1972 K. Oberhuber, L. Vitale, Raffaello: il cartone per la Scuola di Atene, Milano 1972.

Rebecchini 2009 G. Rebecchini, Medici, Ippolito de’, in Dizionario Biografico degli Italiani, 73, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2009.

Marcolongo R. Marcolongo, Leonardo da Vinci nella storia della matematica e della meccanica, in Atti del Congresso Internazionale dei Matematici, Bologna, 3-10 settembre 1928, Bologna 1928, pp. 275-293. Maximus of Tyre 1997 Maximus of Tyre, The philosophical orations, Oxford 1997. Meyer Zur Capellen 2010 J.C. Meyer Zur Capellen, Raffael, München 2010. Merlo 2009 G.G. Merlo, Menes Silva, Amadeo de, in Dizionario Biografico degli Italiani, 73, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2009. Mochi Onori 2009 L.J. Mochi Onori (a cura di), Raffaello: la formazione giovanile e i rapporti con la città natale, Catalogo della mostra Urbino 2009, Milano 2009.

Knab, Mitsch, Oberhuber 1983 E. Knab, E. Mitsch, K. Oberhuber, Raffaello. I disegni, Firenze 1983; ed. or., Raphael. Die Zeichnungen, Stuttgart 1983.

Nesselrath 1986 A. Nesselrath, La progettazione dell’“Incoro­ nazione di Carlo Magno”, in Frommel, Winner, pp. 172-183.

Künzle 1964 P. Künzle, Raffaels Denkmal für Fedra Inghirami auf dem letzen Arazzo, in «Mélanges Eugène Tisserant», 6, Città del Vaticano 1964, pp. 499-548.

Nesselrath 1993 A. Nesselrath, La Stanza d’Eliodoro, in Cornini, Nesselrath, De Strobel, pp. 203-245.

Luzio 1912 A. Luzio, Isabella d’Este di fronte a Giulio ii negli ultimi tre anni del suo pontificato, in «Archivio Storico Lombardo» 17, 1912, pp. 245-334.

Nesselrath 1999 A. Nesselrath, Päpstliche Malerei der Hochrenaissance und des frühen Manierismus von 1506 bis 1534, in Hochrenaissance im Vatikan. Kunst und Kultur im Rom der Päpste (1503-1534), 1, Catalogo della mostra 11 dicembre 1998-11 aprile 1999, Bonn 1999, pp. 240-258.

Partridge, Starn 1980 L. Partridge, R. Starn, A Renaissance Likeness. Art and Culture in Raphael’s Julius ii, Berkeley 1980. Pasti 2014 S. Pasti, La Trasfigurazione di Raffaello. Considerazioni critiche sulla sua genesi e sulle sue fonti teologiche e figurative, in Strinati, pp. 69-113. Pfeiffer 1975 H. Pfeiffer, Zur Ikonographie von Raffaels Disputa: Egidio da Viterbo und die christlich-platonische Konzeption der Stanza della Segnatura, in «Miscellanea historiae pontificiae» 37, Roma 1975. Pfeiffer 1996 H. Pfeiffer, Die drei Tugenden und die Übergabe der Dekretalen in der Stanza della Segnatura, in Frommel, Winner, pp. 47-57. Pico della Mirandola 1942 G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate; Heptaplus; De ente et uno; e Scritti vari, a cura di E. Garin, Firenze 1942. Platina 1588 B. Platina, Delle vite de’ pontefici, dal Salvator del mondo Giesù Christo fino a Paolo ii, Venezia 1588. Quednau 1979 R. Quednau, Die Sala di Costantino im Vatikanischen Palast: zur Dekoration der

beiden Medici-Päpste Leo x. und Clemens vii., Hildesheim, New York 1979 (con bibliografia).

Rohlmann 1994 M. Rohlmann, Leoninische Siegverheißung und clementinische Heilserfüllung in der Sala di Costantino, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte» 57, Bielefeld 1994, pp. 153-169. Rohlmann 1995 M. Rohlmann, Raffaels Sixtinische Madonna, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana» 30, Roma 1995, pp. 221-248. Rohlmann 1996 M. Rohlmann, “Dominus mihi adiutor”: zu Raffaels Ausmalung der Stanza d’Eliodoro unter den Päpsten Julius ii. und Leo x., in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 59, Bielefeld 1996, pp. 1-28 (con bibliografia). Rohlmann 2002 M. Rohlmann, Gemalte Prophetie. Papstpolitik und Familienpropaganda im Bildsystem von Raffaels “Stanza dell’Incendio”, in Tewes, Rohlmann, pp. 241-371 (con bibliografia). Rohlmann 2004a M. Rohlmann, Raffaels vatikanisches “Bilder­ zeremoniell”: Grenzüberschreitungen in der Sixtinischen Kapelle und den Stanzen, in T. Weddigen, S. de Blaauw, B. Kempers (a cura di), Functions and Decorations: Art and Ritual at the Vatican Palace in the

Middle Ages and the Renaissance, Città del Vaticano 2004, pp. 95-113. Rohlmann 2004b M. Rohlmann, Rom, Vatikanpalast, Stanzen, in J. Kliemann, M. Rohlmann (a cura di), Wandmalerei in Italien: Hochrenaissance und Manierismus 1510-1600, München 2004, pp. 124-181. Rohlmann 2005 M. Rohlmann, Giulio ii e le Stanze di Raf­ faello, in Giulio ii: papa, politico, mecenate, Atti del convegno Savona 2004, a cura di G. Rotondi Terminiello, G. Nepi, Genova 2005, pp. 119-129. Rohlmann 2012 M. Rohlmann, Politik und Kunst in Raffaels Sixtinischer Madonna, in «Jahrbuch der Staatlichen Kunstsammlungen Dresden», 38, 2012, pp. 32-47 (con bibliografia). Rohlmann 2013a M. Rohlmann, Repräsentation von Künstler und Auftraggeber in den Fresken von Raffaels Stanzen, der Madonna di Foligno und der Sixtinischen Kapelle, in W. Sander (a cura di), Raffael und das Porträt Julius’ ii. – das Bild eines Renaissance-Papstes, Petersberg 2013, pp. 25-38. Rohlmann 2013b M. Rohlmann, Raffael und die Tugenden Julius’ ii, in T. Weigel, J. Poeschke (a cura di), Leitbild Tugend. Symbolische Kommunikation und gesellschaftliche Wertesysteme, Münster 2013, pp. 179-196 (con bibliografia). Roscoe 1846 W. Roscoe, The life and Pontificate of Leo the Tenth, London 1846. Sacra Bibbia, Edizione CEI nuova versione, 2008. Sanudo 1969-1970 M. Sanudo, I diarii, Bologna 1969-1970. Scarpi 2004 P. Scarpi (a cura di), Le religioni dei misteri, i, Milano 2004. Schröter 1977 E. Schröter, Die Ikonographie des Themas Parnass vor Raffael, Hildesheim 1977. Shearman 1971 J. Shearman, The Vatican Stanze. Functions and Decoration, in «Proceedings of the British Academy» 57, London 1971, pp. 369-424. Shearman 1993 J. Shearman, Gli appartamenti di Giulio ii e

215


Bibliografia di riferimento

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

(i numeri in tondo si riferiscono alle pagine del testo, quelli in corsivo alle immagini)

Leone x, in Cornini, Nesselrath, De Strobel, pp. 15-37.

Courtauld Institutes» 72, London 2009, pp. 103-141.

Shearman 1996 J. Shearman, The expulsion of Heliodorus, in Frommel, Winner, pp. 75-87.

Tewes, Rohlmann 2002 G.-R. Tewes, M. Rohlmann (a cura di), Der Medici-Papst Leo x. und Frankreich. Politik, Kultur und Familiengeschäfte in der europäischen Renaissance, Tübingen 2002.

Shearman 2003 J. Shearman, Raphael in Early Modern Sources (1483-1602), New Haven-London 2003. Spini 1960 G. Spini, Alessandro de’ Medici duca di Firenze, in Dizionario Biografico degli Italiani, 2, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1960. Steppich 2002 C. Steppich, Numine afflatur: die Inspiration des Dichters im Denken der Renaissance, Wiesbaden 2002. Stöve 1991 E. Stöve, De Vio, Tommaso, in Dizionario Biografico degli Italiani, 39, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991. Strinati 2014 C. Strinati, Raffaello pittore del segno e del colore, Roma 2014. Tabacchi 2009 S. Tabacchi, Medici, Giuliano de’, in Dizionario Biografico degli Italiani, 73, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2009. Talvacchia 2007 B. Talvacchia, Raphael, London 2007. Tanzi 1997 M. Tanzi, Pedro Fernández da Murcia lo Pseudo Bramantino: un pittore girovago nell’Italia del primo Cinquecento, Milano 1997. Tateo 1970 F. Tateo, Beaziano, Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1970. Taylor 2009 P. Taylor, Julius ii and the Stanza della Segnatura, in «Journal of the Warburg and

Thoenes 1996 C. Thoenes, La “Lettera” a Leone Frommel, Winner, pp. 373-381.

x,

in

Tönnesmann 1990 A. Tönnesmann, Ein psychologisches Motiv bei Raffael, in E. Könsgen (a cura di), Arbor amoena comis: 25 Jahre Mittellateinisches Seminar in Bonn, 1965-1990, Stuttgart 1990, pp. 293-304. Traeger 1971 J. Traeger, Raffaels Stanza d’Eliodoro und ihr Bildprogramm, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte» 13, Tübingen 1971, pp. 29-99. Traeger 1986 J. Traeger, Die Begegnung Leos des Grossen mit Attila, in Frommel, Winner, pp. 97116. Vasari 1986 G. Vasari, Rafael da Urbino, in Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, volume secondo, Torino 1986, pp. 610-41. Vasoli 1974 C. Vasoli, Profezia e ragione studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Napoli 1974. Von Pastor 1923-26 L. Von Pastor, Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des Mittelalters, 1-4, Freiburg 1923-26. Walek 1999 J. Walek, Rafaela Portret mlodzienca ze zbiorów Czartoryskich, in «Rozprawy Muzeum Narodowego w Krakowie», n.s., i, Krakowie 1999, pp. 13-82.

Weddigen 2006 T. Weddigen, Raffaels Papageienzimmer: Ritual, Raumfunktion und Dekoration im Vatikanpalast der Renaissance, Emsdetten 2006. Weiss 1965 R. Weiss, The medals of Pope Julius ii (15031513), in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» 28, London 1965, pp. 163-182. Winner 1993 M. Winner, Progetti ed esecuzione nella Stanza della Segnatura, in Cornini, Nesselrath, De Strobel, pp. 247-291. Winner 1996a M. Winner, Disputa und Schule von Athen, in Frommel, Winner, pp. 29-45. Winner 1996b M. Winner, Der Architekt in Raffaels Schule von Athen, in C.L. Striker (a cura di), Architectural studies in memory of Richard Krautheimer, Mainz 1996, pp. 181-185. Winner 2000 M. Winner, Lorbeerbäume auf Raffaels Parnass, in M. Seidel (a cura di), L’Europa e l’arte italiana, Venezia 2000, l, pp. 186209. Winner 2003 M. Winner, The Mathematical Sciences in Raphael’s School of Athens, in W. Lefèvre, J. Renn, U. Schoepflin (a cura di), The Power of Images in Early Modern Science, Basel-Boston 2003, pp. 269-308. Winner 2010 M. Winner, Vitruv in Raffaels “Schule von Athen”, in A. Dietl, G. Dobler. S. Paulus, H. Schüller (a cura di), Roma quanta fuit, Augsburg 2010, pp. 469-494. Winner 2014 M. Winner, L’immagine di Roma come rebus nell’affresco della “Giurisprudenza” di Raffaello nella Stanza della Segnatura, in Cazzato, Roberto, Bevilacqua, pp. 248-253.

Abele 31 Abramo 30-31 Adamo 9, 30, 42 Africa 22 Agostino di Ippona, santo 17, 26, 28, 213; tav. 18 Alberini, Giulio 62 Albisola (Sv) 11 Alcibiade 20, 65 Alessandro Magno 21, 26, 54; tav. 25 Alessandro Severo, imperatore 70 Alessandro vi, papa (Roderic Llançol de Borja, italianizzato Rodrigo Borgia) 12, 15-16 Alidosi, Francesco 19 Alighieri, Dante 12, 16-17, 27, 30, 32-34, 39, 45 Amadeo da Silva (João Mendes de Silva) 18, 19, 28, 31, 36, 45, 49, 56; figg. 14, 18, tav. 17 Ambrogio di Milano, santo 17, 26, 28; tav. 18 Anchise 56 Andrea del Castagno (Andrea di Bartolo di Bargilla, detto) 16 Antonino Pio, imperatore 71 Antonio da Sangallo il Vecchio vd. Sangallo, Antonio da Antonio da San Marino 63 Apollo 11, 20-21, 32, 35, 39, 48-49, 53 Apollonio 42 Arezzo, San Francesco 72 Ariosto, Ludovico 34 Aristotele 16, 20-26, 28 Asburgo, famiglia 63, 66-67 Ascanio 56 Asia 22 Assisi 11 Astolfo, re 66 Atena 20-21, 38-39, 48, 52 Atene 10, 16-20, 22-28, 30-35, 38-39, 65; fig. 9, tavv. 1, 4 Acropoli 52 Eretteo 52 loggia delle Cariatidi 52 Attila 10, 49-52, 54-55, 58-59, 68; figg. 27, 28, tavv. 32, 48 Augusto, imperatore 45, 54; tav. 25 Aurigemma, Maria Giulia 214 Averroè 21 Avignone, Palazzo dei papi 15 Bacco 12, 24 Barbara, santa 48 Bartolomeo della Gatta (pseudonimo di Pietro di Antonio Dei) 16

216

Basso della Rovere, Girolamo, cardinale 12 Beatrice vd. Portinari, Beatrice Beazzano, Agostino 34 Becker, Rotraud 213 Bellona 38 Bellori, Giovanni Pietro 34, 213 Benedetti, Stefano 213 Benigno Salviati, Giorgio 19, 29, 31; tav. 17 Benzoni, Gino 213 Berruguete, Pedro 16 Bertoldo di Giovanni 72 Bertolini, Paolo 213 Bessarione, cardinale 18-19 Bevilacqua, Mario 213-214, 216 Bibbiena (Bernardo Dovizi, detto il) 58, 62 Bisanzion 36 Blaauw, Sible de 215 Bobbio, monastero di San Colombano 24 Boccaccio, Giovanni 34 Boezio, Severino 16 Bologna 15, 60 Bolsena 10-11, 45, 48-49, 52-53, 65; fig. 26, tavv. 31, 40 Bonaventura da Bagnoregio, santo 30 Borbone, famiglia 65 Borgia, famiglia 15 Bortolotti, Luca 213 Bramante (Donato Donnino di Angelo di Pascuccio, detto) 12, 15-16, 21-24, 27, 29-30, 32, 39, 52, 57, 61; fig. 7, tav. i, 16 Bramantino (Bartolomeo Suardi, detto) 16 Bregno, Andrea 11-12 Bruschi, Arnaldo 213 Buonarroti, Michelangelo 9-10, 12-13, 16, 21, 23-25, 30, 35, 38, 41, 43-44, 48-49, 52, 57, 59-60. 67, 69-70; tav. 7 Cagli (Pu) 19 Calliope 32-33 Callisto iii, papa (Alfons de Borja y Cabanilles, italianizzato Alfonso de Borgia) 42 Camaioni, Michele 213 Cantatore, Flavia 214 Carlo il Giovane, figlio di Carlo Magno 61 Carlo Magno 46, 56, 60-66; fig. 29, tavv. 53, 62 Carlo iii, duca di Savoia 58 Carlo v d’Asburgo, re, imperatore 60, 63, 67 Carvajal, Bernardino López de 18-19, 36, 42 Castiglione, Baldassarre 70 Caterina d’Alessandria, santa 64, 66 Cazzato, Vincenzo 213-214, 216 Cecilia, santa 56 Celsiria 42 Cesario di Napoli (o Cesario Console) 57, 59

Chiabò, Myriam 214 Chigi, Agostino 34-35, 41, 57 Cicerone 16, 24, 34 Città del Vaticano Appartamento Borgia 15 antica basilica di San Pietro 11, 55-57 Biblioteca Apostolica Vaticana 24, 47, 67 Borgo Santo Spirito 25, 55-57, 59, 63, 65-66, 74; fig. 31, tavv. 52, 54 Cappella Sistina 9-12, 19, 30, 38, 49, 53, 59 Cortile del Belvedere 22, 32, 54; tav. i Cortile del Pappagallo 15 nuova basilica di San Pietro 12, 19, 2223, 30, 57, 60, 64, 67 Palazzi Vaticani 15 Sala dei Chiaroscuri 67; tav. i Sala del Conclave 61 Sala del Pappagallo 15, 67 Stanze di Raffaello (Stanze Vaticane) Sala di Costantino 9-10, 13, 15, 52, 67-74; fig. 33, 34, 35, 36, 37, 39, tav. i Stanza della Segnatura 9-10, 13, 1539, 41-42, 51-53, 58; tav. i Stanza dell’Incendio di Borgo 9-10, 15, 37, 55-66; fig. 31, tavv. i, 52 Stanza di Eliodoro 9, 15-16, 37, 4154, 55-56, 60, 66-67; tav. i Clemente i, papa, santo 70, 74 Clemente vii, papa (Giulio de’ Medici) 74-75 Clio 32, 34 Conti, Sigismondo de’ 44 Cornini, Guido 214, 216 Costantino i il Grande, imperatore 10, 36, 49, 52, 53, 60, 67-68, 71-75; figg. 32, 36, 37, 38, tavv. 64, 65 Cracovia 24 Cristo 10-11, 13, 17, 19, 30-32, 45-46, 53, 55, 62, 68, 73 Cybo, Innocenzo, cardinale 62 Dacos, Nicole 213 Dafne 53 Dall’Orto, Giovanni 213 Damaso i, papa, santo 44, 70 Daniele 30-31 Dante vd. Alighieri, Dante Dario i, re 54 Davide 9, 30-31 Della Rovere, famiglia 47-48 Francesco (poi papa Sisto iv) 11, 19 Francesco Maria, duca di Urbino 19, 46, 60, 64 Giuliano (poi papa Giulio ii) 11, 19, 22, 42

217


Indice dei nomi e dei luoghi

Del Monte, Antonio 37 Delogu, Paolo 213 Democrito 21 De Strobel, Anna Maria 214, 216 De Vecchi, Pierluigi 213 De Vio, Tommaso (cardinale Caietano) 37 Dietl, Albert 216 Dietrich-England, Flavia 213 Diogene di Sinope, detto il Cinico 21 Di Teodoro, Francesco Paolo 213 Dobler, Gerald 216 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto) 24 Dorez, Léon 213 Dragišic´, Juraj vd. Benigno Salviati, Giorgio Duchesne, Louis 213 Dürer, Albrecht 36, 57, 63; fig. 22 Echinger-Maurach, Claudia 213 Egidio da Viterbo 12, 31, 45, 47 Eliodoro 41-44, 71; tavv. 31, 35 Enea 56-57, 66 Ennio 33 Erato 32-33 Ernst, Germana 213 Euclide 16, 20-27, 37; tav. 9 Europa 12, 22, 61 Eusebio di Cesarea 67, 71, 73-74 Euterpe 32 Evangelisti 17 Ezechiele 31 Falcone, Giuseppe 213 Farnese, Alessandro (poi papa Paolo iii) 37, 62 Federico da Montefeltro 16 Federico ii di Svevia, imperatore 36 Fenicia 42 Ferdinando i d’Asburgo, imperatore 63 Ferdinando ii d’Aragona, detto il Cattolico 60, 63, 66 Ferino Pagden, Sylvia 213 Fernández da Murcia, Pedro 31; fig. 18 Fieschi, Niccolò 62 Filiberta di Savoia 58 Fiore, Francesco Paolo 213 Firenze 12-13, 17, 23-24, 56, 58-59, 62 Duomo 13 Galleria degli Uffizi 22, 46, 58 Palazzo Pitti 24 Palazzo Vecchio 13 Fischel, Oskar 215 Flaminio, Marco Antonio 29, 39, 44 Fogliatis, Gian Pietro de 44 Fouquet, Jean 60-61

218

Indice dei nomi e dei luoghi

Fra Bartolomeo (detto anche Baccio della Porta) 13, 17, 31; fig. 1 Francesco d’Assisi, santo 11, 44 Francesco i di Francia 36, 38, 58, 60-62, 6465, 67 Frenz, Thomas 213 Frommel, Christoph Luitpold 213-216 Frommel, Sabine 214 Gabriele, arcangelo 18, 20, 26, 31, 48-49 Galatea 32, 38, 44 Gargano, Maurizio 214 Garin, Eugenio 215 Geremia 31 Gerusalemme 36, 42-43, 45 Ghirlandaio (Domenico Bigordi, detto il) 16 Giacomo il Minore, santo 30 Giano 38 Giosuè 30 Giovanni, apostolo, evangelista 20, 29-30, 36, 45, 53 Giovanni Battista, santo 17, 28, 31, 44, 46 Giovanni da Udine (Giovanni Nani o Giovanni de’ Ricamatori) 54, 59, 63 Girolamo, santo 17, 26-28, 31, 34, 44, 46; tav. 17 Giuliano da Sangallo vd. Sangallo, Giuliano da Giulio Romano (Giulio Pippi de’ Jannuzzi o Giannuzzi, detto) 34, 37, 54, 59-60, 65-66, 70, 72, 74-75 Giulio i, papa, santo 11 Giulio ii, papa (Giuliano della Rovere) 9-13, 15-19, 24-25, 29, 31-32, 35-38, 41-55, 57-60, 62, 64, 67, 75; figg. 16, 23, tavv. i, 18, 38 Giuseppe, santo 31, 41 Giustiniano, imperatore 36-39, 52, 54 Giusto di Gand (Joos van Wassenhove) 16 Goffredo di Buglione 66 Gonzaga, Federico ii 24, 26, 70; fig. 11 Granada 66 Grecia 24, 52 Gregorio i Magno, papa, santo 17, 26-29, 68; fig. 35, tav. 17 Gregorio ix, papa (Ugolino di Anagni) 29, 36-39, 46, 48 Grimani, Domenico, cardinale 15, 46, 62 Grottaferrata 11 Guillaume, Jean 214 Hall, Marcia B. 214 Harprath, Richard 214 Henry, Tom 214

Hirst, Michael 214 Inghilterra 41, 67 Inghirami, Tommaso (detto Fedra) 24-25, 34-35 Innocenzo viii, papa (Giovanni Battista Cybo) 11, 62 Ippocrate 16 Ircano 42 Isabella d’Este 24 Isacco 46 Isaia 31, 47 Istanbul Hagia Irene 22 Italia 34, 36-37, 41, 57 Jacobacci (Jacovacci, Jacovazzi), Domenico 37 Jacoby, Joachim W. 214 Joost-Gaugier, Christiane 214 Kempers, Bram 214-215 Kessler, Herbert Leon 214 Kliemann, Julian 215 Knab, Eckhart 214 Künzle, Paul 214 Lattanzio 67, 71 Lefèvre, Wolfgang 216 Leonardo da Vinci 13, 17, 20, 23-25, 27, 31, 44, 68, 72; fig. 10 Leone i Magno, papa, santo 10, 49, 52-53, 55; figg. 27, 28, tavv. 32, 48 Leone iii, papa, santo 60, 64; fig. 30, tavv. 53, 63 Leone iv, papa, santo 55, 57 Leone x, papa (Giovanni di Lorenzo de’ Medici) 10, 15, 29, 37-38, 46, 51-72, 74, 75; tav. i Leonida 21 Lisimaco 21 Lombardia 36, 49, 58, 60 Londra 43 Lorenzo, santo, martire 30 Loreto 41, 44, 48; fig. 24 Basilica della Santa Casa 12, 41 Palazzo Papale 12 Luigi xii di Francia 41, 47, 58 Luzio, Alessandro 214 Macrobio 24 Madrid Museo del Prado 29 Museo Thyssen-Bornemisza 62 Mancinelli, Fabrizio 214 Mantegna, Andrea 16, 44

Mantova 24, 41, 49 Maratta (o Maratti), Carlo 52 Marazzi, Federico 214 Marchi, Alessandro 214 Marcillat, Guillaume de Pierre de 12 Marco Aurelio, imperatore 73 Marcolongo, Roberto 214 Maria (Madre di Dio, Madonna) 10, 11, 13, 17, 29, 31, 33, 41, 43-44, 48-49, 51, 53, 70; figg. 17, 24, 25 Marsia 39, 53 Massenzio, imperatore 67-68, 71-74; fig. 32, 36, 37, 38, tav. 64 Massimiliano i d’Asburgo, imperatore 19, 60, 63, 67 Massimo di Tiro 214 Matilde di Canossa 66 Medici, famiglia 52-54, 56-58, 60, 65-66, 71, 74 Alessandro di Lorenzo de’, duca di Firenze 62, 65-66 Cosimo i de’, detto il Vecchio 56, 66 Giovanni di Lorenzo de’ (poi papa Leone x) 10, 15, 37, 49 Giuliano di Lorenzo de’, duca di Nemours 59, 62, 66 Giulio de’ (poi papa Clemente vii) 58, 62, 66, 74-75 Ippolito di Giuliano de’, cardinale 6162, 66 Lorenzo di Pietro de’, duca di Urbino 58, 60, 62, 65-66 Pietro di Lorenzo de’, detto il Fatuo 58, 62 Meleagro 13 Melozzo da Forlì (Melozzo di Giuliano degli Ambrosi, detto) 11, 16, 46 Melpomene 32 Merlo, Grado Giovanni 214 Meyer Zur Capellen, Jürg 214 Michelangelo vd. Buonarroti, Michelangelo Michele, arcangelo 71 Milano 68 Casa Panigarola 20 Sant’Eustorgio, Cappella Portinari 38 Mitsch, Erwin 214 Mnemosine 32 Mochi Onori, Lorenza 214 Modena 60 Modigliani, Anna 214 Montorio Romano (Rm), eremo di Sant’Angelo 31 Mosè 9, 16, 20, 30-32, 44, 49, 52 Müller Hofstede, Justus 213 Muse 9, 32-35, 38

Napoli 57, 60, 66 Museo Nazionale 71 Navagero, Andrea 34 Nazareth 19 Nepi, Giulio 215 Nerone, imperatore 12 Nesselrath, Arnold 214-215 Nesselrath, Christiane Denker 214, 216 Niccolò v, papa (Tomaso Parentucelli) 1516, 29, 54, 67; tav. i Noè 31, 51, 53 Oberhuber, Konrad 10, 214-215 Omero 16, 33-34, 54, 68, 72; tav. 21 Onia 42-44 Orazio 34 Orfeo 24 Orsini, Alfonsina 58, 60, 65 Ostia 11, 57, 59-60, 63-66, 72; tavv. 52, 58 cattedrale di Sant’Aurea 58 scalone della Rocca 12 Ovidio 34 Padri della Chiesa 16-17, 26-28, 30, 32, 49 Pandolfini, Giannozzo 62 Paolo, santo 17, 24, 30, 33, 49, 52, 68 Paolo Uccello (Paolo di Dono, detto) 72 Paolo iii, papa (Alessandro Farnese) 15, 66, 70 Parigi, Museo del Louvre 63 Parma 48-49, 60 Parnaso, monte 34 Partridge, Loren 215 Pasti, Stefania 215 Patmos 36 Paulus, Stefan 216 Penni, Giovan Francesco 37, 50, 54, 59, 61, 63, 65, 68, 73-74; fig. 28, 29, 30, 36, 37 Perugia 11, 13 San Severo 13 Perugino (Pietro Vannucci, detto il) 11, 13, 16, 55 Peruzzi, Baldassarre 12, 16, 42, 52, 55, 58, 69 Petrarca, Francesco 34 Petrucci, Alfonso, cardinale 29, 37, 62; fig. 15, tav. 17 Pfeiffer, Heinrich 215 Piacenza 24, 48-49, 60 San Sisto 48 Piccolomini, Enea Silvio (poi papa Pio ii) 18 Pichi, Girolamo 62 Pico della Mirandola (Giovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia) 20, 215

Piero della Francesca (Piero di Benedetto de’ Franceschi) 16, 72 Piero di Cosimo (Pietro di Lorenzo) 22; fig. 8 Pietro, apostolo, santo 10, 17, 27, 30-32, 38, 42, 48-49, 52-53, 68, 70-71, 74; tav. 32, 44 Pindaro 34 Pinturicchio (Bernardino di Betto Betti, detto il) 12-13, 15 Pipino il Breve, padre di Carlo Magno 63, 66 Pisa 36, 41, 46, 62 Pitagora 20-21, 23-25, 38; fig. 9 Platina (Bartolomeo Sacchi, detto il) 49-50, 215 Platone 16, 20-26, 28, 34, 37-38 Plauto 35 Poeschke, Joachim 215 Polimnia 32-33 Poliziano (Agnolo Ambrogini, detto) 34 Pollaiuolo (Antonio Benci, detto il) 11 Pomponio Leto, Giulio 24 Pontelli, Baccio 11 Portinari, Beatrice 33, 45 Pulci, Luigi 33 Quednau, Rolf 215 Rafanelli, Giovanni 30 Raffaello Sanzio passim Raimondi, Marcantonio 32, 66; fig. 19 Ravenna 45 Ray, Stefano 213-214 Rebecchini, Guido 215 Reggio Emilia 60 Renn, Jürgen 216 Riario, Cesare, vecovo 46 Riario, Ottaviano, vescovo 46 Riario, Raffaele, cardinale 46, 52, 62 Ripa, Cesare 52 Ripanda, Jacopo 12, 58 Roberto, Sebastiano 213-214, 216 Rohlmann, Michael 214-216 Roma 9-13, 15-16, 23-24, 34, 37, 45, 48-49, 56-57, 64, 68-69, 72, 74-75 Arco di Costantino 57, 67-68, 71, 73; fig. 32 Biblioteca Hertziana 10 Campidoglio 34, 58, 62 Castel Sant’Angelo, detto anche Mausoleo di Adriano 25, 28, 72-75 Circo di Nerone 74 Colonna Traiana 58, 74 Foro di Augusto 52

219


Indice dei nomi e dei luoghi

Gianicolo 34 Mausoleo di Augusto 74 Meta Romuli 74 Palazzo Alberini (Palazzo ai Banchi) 52, 62 Palazzo Caprini 57 Palazzo di Giustizia 12 Palazzo Farnese 61 Palazzo Lateranense 55 Pantheon 13, 22, 57 Piazza Navona 11 Ponte degli Angeli 72-74 Ponte Milvio 69, 71, 73 Quirinale 49 San Pietro in Montorio 12, 18, 28 San Pietro in Vincoli 11, 42, 47 Tomba di Giulio ii 16, 19, 38, 48, 59 Santa Maria della Pace 35 Santa Maria del Popolo 12, 22, 41, 57 Cappella Chigi 20, 22, 39, 57 Santa Maria in Aracoeli 44 SS. Apostoli 11, 19, 49 Università degli Studi di Roma “La Sapienza” 19 Villa Farnesina 34 Loggia di Amore e Psiche 52 Loggia di Galatea 41 Sala delle Prospettive 69 Villa Madama 72 Romano, Gian Cristoforo 12; figg. 7, 16 Roscoe, William 215 Rossi, Luigi de’, cardinale 58 Rotondi Terminiello, Giovanna 215 Rubens, Pieter Paul 21 Ruysch, Johannes 16 Sabini, monti 31 Saffo 34, 38; tav. 22 Salomone 16, 38-39, 43 Salviati, Francesco 66 Samuele 31 Sander, Joachen 215 Sangallo, Antonio da, detto il Giovane (Antonio Cordini) 61 Sangallo, Antonio da, detto il Vecchio (Antonio Giamberti) 12; tav. 9 Sangallo, Giuliano da (Giuliano Giamberti) 15, 22; fig. 8, tav. 9 Sansovino (Andrea di Niccolò di Menco di Muccio, detto) 12

220

Santi, Giovanni, padre di Raffaello 13, 24 Savona 11 Scarpi, Paolo 215 Schedel, Hartmann 43 Schoepflin, Urs 216 Schröter, Elisabeth 215 Schüller, Hans 216 Sebastiano del Piombo (Sebastiano Luciani, detto) 37, 41, 67, 69-70 Seidel, Max 216 Sellaio, Leonardo 70 Seneca 16, 35 Sergio i, duca di Napoli 57 Serra, Jacopo, cardinale 62 Sforza, famiglia 12 Ascanio Maria, cardinale 12 Shearman, John 10, 215-216 Sibille 32, 35, 38 Siena 13 Duomo, Libreria Piccolomini 13, 18, 39 Signorelli, Luca (pseudonimo di Luca d’Egidio di Ventura) 16, 22 Silvestro i, papa, santo 53, 67-68, 74 Simone 42-44 Sinai, monte 44 Sisto ii, papa, santo 11, 29-30, 48 Sisto iv, papa (Francesco della Rovere) 1416, 18, 29-30, 46-47 Socrate 20-21 Soderini, Francesco, cardinale 62 Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi, detto il) 16, 19, 22, 24, 39, 42, 55 Solone 16 Sovana (Gr) 29 Spagna 29, 41, 58, 60, 63, 66 Stato della Chiesa (Stato pontificio) 11, 36, 41, 48, 52-53, 58, 60, 66 Spies, Werner 213 Spini, Giorgio 216 Starn, Randolph 215 Stefano, santo 30, 35 Steppich, Christoph 216 Stöve, Eckehart 216 Striker, Cecil L. 216 Strinati, Claudio 215-216 Svetonio 12 Svizzera 41 Tabacchi, Stefano 216 Tafuri, Manfredo 213-214

Talia 32 Talvacchia, Bette 216 Tanzi, Marco 216 Tateo, Francesco 216 Tebaldeo (Antonio Tebaldi, detto il) 34 Tersicore 32, 34 Tessari, Cristiano 213 Tevere 18, 57-58, 69, 71, 73-74 Tewes, Götz-Rüdiger 214-216 Tivoli 12 Villa Adriana, Teatro marittimo 12 Tolomeo 16, 21-22 Tommaso d’Aquino, santo 16-17, 30, 34 Tönnesmann, Andreas 216 Torrentino, Lorenzo 216 Toscana 66 Tour d’Auvergne, Madeleine de la 65 Traeger, Jörg 216 Traiano, imperatore 71 Troia 56-57 Turini, Baldassarre 34 Urania 32-34 Urbano i, papa, santo 70 Urbino 15 Palazzo Ducale, Studiolo di Federico da Montefeltro 15-16 Valerio Massimo 53 Vasari, Giorgio 9, 16, 19, 24, 29, 32, 34, 52, 61-62, 66, 74, 216 Vasoli, Cesare 216 Venezia 12-13, 41, 46, 58, 67 Virgilio 16, 34, 54, 56, 68, 72 Viterbo 12, 46 Von Pastor, Ludwig 216 Walek, Janusz 216 Weddigen, Tristan 215-216 Weigel, Thomas 215 Weiss, Roberto 216 Windsor 18-20, 26-27, 29, 31, 35-36, 45 Winner, Matthias 214-216 Wittenberg 63 Wolf, Gerhard 214 Zambelli, Paola 213 Zeus 32 Zoroastro 21, 25 Zosimo di Panopoli 67, 71


CREDITI FOTOGRAFICI

I numeri si riferiscono alle pagine del testo, quelli tra parentesi alle immagini. Archivio Biblioteca Hertziana, Roma: pp. 12 (1), 17, 18, 19 (6), 21, 22, 23, 25, 26, 28, 29, 31, 33, 65, 66, 69, 70, 71, 72, 73. Archivio Editoriale Jaca Book, Milano: pp. 12 (2), 19 (5), 27, 30, 32, 35, 36, 37, 42, 45, 47, 50, 51, 61, 68. Ch.L. Frommel: tavola i, pp. 78-79. Š 2017 Musei Vaticani, Città del Vaticano: tavole a colori, pp. 82-206.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.