FORME DELLA CITTÀ NELLA STORIA
ROMA DALL’ALTO
ALBERTA CAMPITELLI, ROBERTO CASSANELLI, MASSIMILIANO DAVID, VITTORIO FRANCHETTI PARDO, CHRISTOPH LUITPOLD FROMMEL, PAOLO LIVERANI, GILLES SAURON, GERHARD WIEDMANN
FORME DELLA CITTÀ NELLA STORIA
Volume speciale di PATRIMONIO ARTISTICO ITALIANO
ROMA DALL’ALTO a cura di ROBERTO CASSANELLI
Campagna fotografica BAMS PHOTO RODELLA
International Copyright © 2013 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano Verlag Schnell&Steiner GmbH, Regensburg All rights reserved
© 2013 Editoriale Jaca Book SpA, Milano per l’edizione italiana Jaca Book e la Fondazione Roma, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, hanno promosso l’edizione italiana della presente opera realizzata da Jaca Book con il contributo della Fondazione Roma – Arte – Musei Prima edizione italiana settembre 2013
La traduzione dal francese del testo di Gilles Sauron è di Alberto Bacchetta
In copertina: Veduta aerea della piazza del Campidoglio, particolare con il disegno pavimentale e la statua di Marco Aurelio Sul retro: Veduta aerea di Piazza Navona e del Colosseo
La campagna fotografica aerea è dello studio BAMS photo Rodella La cartografia alle pagine 307-310 è di Daniela Blandino. La carta di Ostia antica alla pagina 307 è stata realizzata su disegno di Stefano de Togni © Biblioteca Apostolica Vaticana: pp. 11 (in basso), 15 (in basso)
INDICE Introduzione MIRABILIA URBIS. ROMA “A VOLO D’UCCELLO” Roberto Cassanelli Pag. 9 Capitolo primo L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO Gilles Sauron Pag. 17 Capitolo secondo ALLA FOCE DEL TEVERE Massimiliano David Pag. 55 Capitolo terzo TARDA ANTICHITÀ E CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI Paolo Liverani Pag. 75 Capitolo quarto IL MEDIOEVO: LA “CITTÀ INVISIBILE” Roberto Cassanelli Pag. 105 Capitolo quinto ROMA NEL RINASCIMENTO Christoph Luitpold Frommel Pag. 129 Capitolo sesto GRAN TEATRO BAROCCO. ROMA DA SISTO V A BENEDETTO XIV Gerhard Wiedmann Pag. 167 Capitolo settimo GIARDINI DAL CIELO Alberta Campitelli Pag. 205
Selezione delle immagini e impaginazione Pixel Studio, Milano Stampa e legatura Grafiche Flaminia, Trevi (Pg) luglio 2013 ISBN 978-88-16-60488-9 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA – Servizio Lettori, via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 e-mail: libreria@jacabook.it; internet: www.jacabook.it
Capitolo ottavo DAL XIX AL XXI SECOLO Vittorio Franchetti Pardo Pag. 233 APPARATI Pag. 307 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Pag. 311 INDICI DEI NOMI DI PERSONA E DI LUOGO Pag. 314
Editoriale Il grande storico delle istituzioni Jacques Ellul ha messo in guardia sul rincorrere la tecnica come se si trattasse di una “guida” – anzi “della guida” – capace d’indicare sempre un nuovo orizzonte da raggiungere. Ciò non toglie che, proprio grazie agli avanzamenti tecnici si possa tornare a interrogare il passato con uno sguardo nuovo. Molto si deve a tale proposito alla fotografia nell’indagine del presente e del passato, al punto che la documentazione fotografica è rubricata oggi dagli storici come fonte tout court. Essa è peraltro molto di più. Superato l’iniziale equivoco della duplicazione automatica del reale – della fotografia come “specchio” fedele e immoto del fluire del tempo –, se ne è da tempo compresa la complessità e al tempo stesso la duttilità. Il presente volume ne sottolinea e sperimenta una particolare declinazione, quella cioè della fotografia aerea “a volo d’uccello”, che a differenza di quella zenitale da alta quota conferisce eccezionale evidenza e plasticità a quanto ripreso, in particolare al patrimonio architettonico e al tessuto urbanistico. Non si tratta peraltro di un approccio nuovo. Già nell’anno 1500 Jacopo de’ Barbari aveva pubblicato la sua grande veduta di Venezia, nella quale, unendo attenta rilevazione topografica e sapienza disegnativa, aveva ricreato una straordinaria immagine, all’epoca del tutto impossibile, e quindi eminentemente “mentale”, della città, che ha dato origine a un’importante tradizione durata sino ad oggi. Si può ricordare in questa tradizione la pianta geometrica in proiezione ortogonale di Palermo del 1777 ad opera del Marchese di Villabianca, Francesco Maria Emanuele. La fotografia dall’aereo ha consentito ai giorni nostri di trasformare quel lavoro avveniristico in realtà. Nel caso di Roma, altre iniziative centrate sulla visione dall’alto hanno preceduto quella che qui si presenta, che peraltro se ne distingue nettamente per l’approccio scelto – la visione dall’elicottero con voli programmati – e per il tentativo di rileggere, in una sequenza ordinata di contributi di taglio cronologico (cui si uniscono specifici affondi tematici, su Ostia antica e su ville e giardini), due millenni di storia urbana di una delle più complesse e stratificate città al mondo. Roma attraverso le riprese “a volo d’uccello” si rende straordinamente evidente nelle sue varie fasi storiche: la Roma antica con i fori, le terme e le mura; quella del primo cristianesimo, delle grandi basiliche costantiniane e dei mausolei; la Roma medievale, segreta, ma non meno rilevante delle precedenti; il periodo rinascimentale, con Roma centro dell’arte europea, e il suo simbolo laico più pregnante, il Campidoglio michelangiolesco; la scena barocca, di fascino unico, che ha determinato in modo incisivo il volto attuale della città, e infine, tra Ottocento e Novecento, Roma capitale, con altrettanto rilevanti brani di architettura moderna e contemporanea. Ma Roma non può essere circoscritta, neppure nell’Antichità, alla delimitazione delle mura aureliane. Attraverso gli assi portanti delle vie consolari, il suo territorio si estende dalle prime propaggini dei colli sino al litorale e alla foce del Tevere, con il porto di Ostia antica (ancora oggi il territorio del Comune di Roma – Roma Capitale – è tra i più vasti d’Italia). Tale complessità si traduce soprattutto nella contemporanea e quasi inestricabile presenza di testimonianze antiche, medievali, moderne, frutto, queste ultime, sia di operazioni di restauro o scavo, sia di nuova progettazione, particolarmente intensificatasi dopo l’Unità. Il centro storico presenta così “isole” antiche come il Pantheon o il Colosseo, inserite in una trama urbanistica rinascimentale-barocca, con riprese del perimetro antico (come piazza Navona) e lacerazioni più o meno recenti (come via dei Fori Imperiali o via della Conciliazione). Questa, in un’elencazione sommaria e per nulla esaustiva, l’infinita ricchezza che dispiega la città all’occhio curioso di chi la scruta dall’osservatorio privilegiato e irripetibile di un elicottero. Gli autori coinvolti, tra gli specialisti più accreditati dei singoli aspetti, hanno tentato una sintesi fortemente interpretativa delle forme assunte dalla città nei diversi periodi, e di conseguenza selezionato un ristretto numero di monumenti particolarmente rappresentativi. Su tale traccia ha lavorato il team dello studio BAMS photo Rodella di Montichiari per realizzare le riprese fotografiche, che quindi si sono sviluppate in stretto e proficuo dialogo reciproco. L’opera non ha la pretesa di esaurire una materia di fatto “inesauribile”, sia per lo svilupparsi degli studi sia per l’incalzare delle scoperte archeologiche (di età classica e postclassica), ma l’esperienza degli autori e l’abilità dei fotografi ha consentito di approntare un “atlante” – teoricamente in fieri – di prese di vista nuove e talvolta inedite, fondamentali per la comprensione della storia urbana della città, nella trasformazione del tessuto viario e nella “crescita” del patrimonio monumentale. S.B. E.F.M.E.
INTRODUZIONE MIRABILIA URBIS ROMA “A VOLO D’UCCELLO” Roberto Cassanelli
Tanta di sì grandi cose è in me la meraviglia F. Petrarca, Fam., a F. Colonna, 1373.
I numeri di pagina posti a margine del testo rinviano alle immagini a corredo di altri contributi del volume.
Guardare dall’alto – da molto in alto, da un punto di stazione privilegiato assimilabile a quello degli dèi dell’Olimpo o dei volatili – è un’aspirazione che ha accompagnato l’uomo per secoli, che l’ha poi trasfigurata nel mito di Dedalo e Icaro. Essa si è potuta concretamente realizzare solo nella seconda metà del Settecento con le prime ascensioni in pallone frenato. In precedenza per abbracciare con uno sguardo un territorio, stringerlo in un’unica visione per conoscerlo e dominarlo, ci si poteva avvalere solo di altezze modeste, come la torre di un castello o la cima di un campanile (da cui Leonardo da Vinci ad esempio schizzò sommariamente la topografia di Milano). Alla metà dell’Ottocento il fotografo Nadar, issando su una mongolfiera una macchina fotografica, riuscì a fissare in modo fedele l’immagine di Parigi dall’alto – che gli apparve come «la terra che Swift ci mostrò a Lilliput» (Quand j’étais photographe, 1900) –, secondo modalità che si sarebbero sempre più sviluppate e perfezionate sino alle attuali riprese dall’aereo, dall’elicottero e dal satellite, approdate recentemente, grazie a Google Earth, anche al web. Roma – la città che senza dubbio dispone della più ricca e varia, oltre che continua, iconografia urbana dall’Antichità a oggi – ha una lunga tradizione di rilevamento topografico, che risale all’età severiana, quando venne sistematicamente rappresentata nella monumentale pianta marmorea detta Forma Urbis Romae, realizzata agli inizi del II secolo d.C. e disposta sulla parete di un’aula del tempio della Pace nel foro (ne sopravvivono oggi 1186 frammen-
ti). Non che già in antico non si conoscesse e praticasse la pittura di paesaggio, o non si fossero dipinte (o anche scolpite) vedute urbane – come quella, in parte misteriosa, scoperta alcuni anni fa a colle Oppio, o quelle presenti in alcuni rilievi della colonna Traiana –, oppure delineati itinerari illustrati (itineraria picta), come la celebre Tabula Peutingeriana (IV secolo d.C.), nota attraverso una copia medievale (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek), che abbraccia in circa sette metri l’intero mondo romano. Solo che una tale modalità restitutiva non era assurta a “genere” autonomo, e gli inserti topografici svolgevano funzioni prevalentemente sussidiarie e didattiche, di facilitazione di lettura e comprensione. Nulla insomma che possa essere avvicinato alla visione unificante della prospettiva rinascimentale, ancorché Panofsky ne abbia disvelato già nel 1927 la sostanziale valenza simbolica. Nella raffigurazione di Roma, dalla tarda Antichità e poi nei secoli del Medioevo cristianizzato, hanno prevalso due modalità fondamentali. Da un lato le personificazioni, come la figura femminile, erede delle tychai urbiche, che compare negli avori abbinata a Costantinopoli, o quella incoronata, assisa in trono con scettro e globo e iscritta in un doppio cerchio da cui si dipartono le vie consolari, nella Tabula Peutingeriana, probabilmente non dissimile dalla «forma rotunda Romanae urbis figurata» incisa su una delle mense d’argento di Carlo Magno vista da Eginardo (ancora nel 1347 Cola di Rienzo, secondo la Cronaca dell’Anonimo romano, stabilì che sul gonfalone della città, come eloquente dichiarazio-
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INTRODUZIONE
ne politica, fosse raffigurata Roma che «sedeva in doi leoni, [e] in mano teneva lo munno e la palma»). Dall’altro le sintesi decalcate sul tracciato del circuito murario, testimoniate in una lunga serie di bolle imperiali, e talvolta simbolicamente configurate, come la «Roma edificata a muodo de lione» del Liber Ystoriarum Romanorum (che torna nella perduta mappa di Ebsdorf, già Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarchiv). Con possibilità di singolari commistioni, come la «Roma vidua» (vedova) di un’illustrazione del Dittamondo di Fazio degli Uberti della prima metà del Quattrocento (Parigi, Bibliothèque Nationale, Ital. 81). Una forte valenza simbolica caratterizza anche i primi tentativi di restituzione monumentale della città, come nella volta degli Evangelisti della Basilica Superiore di Assisi, nella quale Cimabue (1280 ca.), ad accompagnare Luca, riassume in Roma l’intera «Ytalia». La messa a punto del dispositivo prospettico, sulla base della sperimentazione di Filippo Brunelleschi e della teorizzazione di Leon Battista Alberti, consentì di realizzare piante in prospettiva che con un solo sguardo cogliessero l’intero disegno urbano, del quale si restituivano il tracciato topografico e la dimensione stereometrica, con novità ed efficacia inusitate. Il punto di vista prescelto era necessariamente molto in alto. Da qui la definizione, fortunata quanto impropria, di veduta “a volo d’uccello”, termine diffusosi molto dopo l’effettivo inizio della produzione di tali piante, che nei cartigli si autodefiniscono «vero ritratto» o semplicemente «descrittione». Va precisato che, per quanto riguarda la produzione che precede l’invenzione della fotografia, è improprio applicare alle piante prospettiche la definizione di “veduta”, trattandosi di una immagine almeno in parte “ideale”. Se della pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (1500), primo straordinario frutto di questa produzione, non può non colpire la strabiliante fedeltà riproduttiva, va precisato che essa è frutto di sapienti aggiustamenti, di accorgimenti particolari e di drastiche semplificazioni. Stupisce semmai che una tale monumentale realizzazione non si ponga a esito di un lungo percorso di esperienze, ma ne sia la pietra di fondazione, preceduta da pochi selezionati testimoni, come la veduta “della catena” di Firenze,
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attribuita a Francesco Rosselli, o la veduta di Napoli dal mare (“tavola Strozzi”) oggi nel Museo di Capodimonte, allo stesso tempo “vedute” e mappe topografiche, che contemperano esigenze di rappresentazione estetica e funzioni più immediatamente utilitaristiche. È in tale linea che si pone il caposaldo della cartografia di Roma, la “veduta” detta di Mantova (oggi nel Museo della Città), dipinta dopo il 1538 sulla base di un prototipo del 147890 attribuito proprio a Francesco Rosselli, nella quale, all’interno della cerchia muraria, sono raffigurati i principali edifici già illustrati nei Mirabilia. Da questo momento la grandiosità dei monumenti dell’Antichità romana può dialogare con l’unicità del sito. Innanzitutto grazie all’intensa attività di rilevazione condotta da un drappello di artisti fiamminghi, acutamente indagati da Nicole Dacos, tra i quali emerge Maarten van Heemskerck (disegni raccolti nell’album del Kupferstichkabinett di Berlino) che nell’autoritratto oggi nel Fitzwilliam Museum di Cambridge si ritrae ponendo eloquentemente a sfondo il Colosseo. Egli troverà nel secolo successivo un altrettanto attento continuatore in Lievin Cruyl (album del Cleveland Museum of Art, 1665). Dalla metà del Cinquecento anche a Roma si diffondono le vedute “a volo d’uccello” che proseguiranno sino a tutto il secolo successivo, consentendo di documentare l’intensa trasformazione urbanistica della città, dalla dimensione tardomedievale a quella scenografica della piena età barocca. Dall’ancora pionieristica pianta di Leonardo Bufalini (1551) si passa così, con ritmo serrato, a quelle pubblicate in rapida successione dall’editore e commerciante di stampe Antoine Lafréry, culminanti nella straordinaria Nova urbis Romae descriptio di Étienne Dupérac (1577), realizzata alla vigilia delle grandi trasformazioni a scala urbana promosse da papa Sisto V (Felice Peretti, 1585-90) e subito recepite nel Prospectus di Antonio Tempesta (1593). Di impianto più assonometrico che prospettico sono le grandi piante dell’età barocca, come quelle di Giovan Battista Falda (1676) e Giovanni Battista Nolli (1748). Con quest’ultimo esempio il fenomeno può dirsi esaurito; quando cederà il campo alle due distinte esperienze della veduta (pittorica e poi fotografica) e della cartografia topografica di impianto geometrico.
Cimabue, Roma come «Ytalia», affresco, 1280 ca.; Basilica Superiore di S. Francesco, Assisi, volta degli Evangelisti. Veduta di Roma, dal Dittamondo di Fazio degli Uberti, disegno parzialmente acquarellato su pergamena, 1447; Parigi, Bibliothèque Nationale, Ital. 81. Pietro del Massaio, Veduta di Roma, miniatura su pergamena, 1469; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5699.
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Maarten van Heemskerck, Autoritratto davanti al Colosseo, olio su tavola, 1553; Cambridge, Fitzwilliam Museum. Anonimo Escurialense, Veduta di Roma dall’Aventino, disegno, fine XV secolo; Biblioteca dell’Escorial, Codice Escurialensis. Francesco Rosselli (attribuito a), Veduta di Roma, tempera su tavola, 1538 ca. (copia da originale della seconda metà del XV secolo, particolare); Mantova, Museo della Città. Lievin Cuyl, Ponte Rotto, disegno, 1665; Cleveland, The Cleveland Museum of Art. Étienne Dupérac, Nova Urbis Romae Descriptio, acquaforte e bulino, 1577. Antonio Tempesta, Pianta di Roma, acquaforte, 1593 (ed. 1606). Antonio Tempesta, Pianta di Roma, particolare con la basilica di S. Pietro.
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Giovan Battista Falda, Nuova pianta et alzata della città di Roma, acquaforte e bulino, 1676.
Giuseppe Vasi, Veduta panoramica di Roma dal Gianicolo, acquaforte, 1765.
Giovanni Battista Nolli, Nuova pianta di Roma, acquaforte, 1748; particolare con strumenti di misurazione e putti.
Alfred Guesdon, Veduta di Roma a volo d’uccello dal Celio, litografia, 1849.
Félix Benoist, Veduta di Roma dalla cupola di S. Pietro, litografia, 1870. Patrizio Di Sciullo e Giuseppe Greco da Riccardo Tommasi Ferroni, Pianta di Roma per il Grande Giubileo del Duemila, acquaforte e bulino, 1999; Biblioteca Apostolica Vaticana, Gabinetto delle Stampe.
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CAPITOLO PRIMO L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO Gilles Sauron
In apparenza i Romani non hanno mai concepito la loro città per essere vista dall’alto. Nei documenti preparatori ai lavori degli architetti, accanto all’«icnografia», che designava la pianta, e all’«ortografia», il disegno della facciata in elevato, la cosa più importante era la «sceno, scaenographia), termine che indigrafia» ( cava, nell’etimologia, le pitture realizzate specificamente ), cioè le decorazioni dipinte per il per la scaena ( teatro, soprattutto raffigurazioni di architetture viste in prospettiva, cosicché il termine è passato nel vocabolario degli architetti per designare «lo schizzo della facciata e dei fianchi in prospettiva e la convergenza di tutte le linee verso il centro del cerchio» (Vitruvio, De architectura, 1, 2, 2: «Item scaenographia est frontis et laterum abscedentium adumbratio ad circinique centrum omniu linearum responsus»). Ciò significa che i clienti degli architetti desideravano vedersi sottoporre un disegno con la veduta dell’edificio da costruire come l’avrebbe potuto vedere un osservatore posto di fronte a questo, ovverosia nel modo in cui l’edificio sarebbe stato visto dai suoi fruitori una volta realizzato. Vero è che, in alcuni casi, si realizzavano dei modellini (si possiede un documento eccezionale, un modellino in calcare del tabernacolo della statua di culto di un grande tempio d’epoca romana a Niha in Libano, esposto nel Museo Archeologico di Beirut, di cui è possibile confrontare la precisione con le vestigia ben conservate dell’edificio nella valle libanese della Beqa’a), che potevano certo essere visti dall’alto, ma non si trattava in alcun modo di un’esperienza comune per i Romani dell’Antichità. Lo sguardo romano era soprattutto abituato, sin dall’infanzia, a contemplare composizioni assiali, vale a dire a portarsi il più lontano possibile su un asse orizzontale. Le
piazze pubbliche erano spesso orientate in direzione della massa imponente dei templi. Si pensi all’area del Campidoglio, dominata dall’enorme santuario, dove Giove, Giunone e Minerva possedevano ciascuno un’aula (cella) a sé stante, al di sopra di un podio e dietro un frontone comune. La zona del foro dove si svolgeva l’attività politica e si amministrava la giustizia, detta Comitium, era, sotto la Repubblica, dominata dalla Curia, dove si riunivano i senatori, un edificio posto a nord che si affacciava verso sud, sulla piazza dove si riuniva il popolo e sulla tribuna per i discorsi, ornata dagli speroni delle navi (rostra), che gli stava di fronte. I fori Imperiali moltiplicheranno più tardi questi spazi orientati verso un tempio, come il foro di Cesare con il tempio di Venere Genetrix, quello di Augusto con il tempio di Marte Ultor, quello di Vespasiano, detto tempio della Pace, impostato sull’asse di un santuario consacrato a questa dea, integrato nel portico posto di fronte all’entrata, o ancora il foro costruito da suo figlio Domiziano e dedicato da Nerva, con un tempio di Minerva che costituiva lo sfondo della piazza. Lo sguardo romano era quindi condizionato a dirigersi sempre sull’asse principale di una struttura pubblica, civile o religiosa, e a scoprirvi la sequenza delle parti più importanti. Ad esempio, nel foro di Cesare a Roma, questo asse intercettava la statua equestre del fondatore della piazza, lo stesso Cesare, l’altare di Venere Genetrix, il frontone del tempio con l’iscrizione di dedica, che associava di norma il nome della divinità dedicataria e quello del magistrato dedicante, nel caso specifico Venere e Cesare, e infine, all’interno della cella, la statua della dea. Pierre Gros ha parlato, a tale proposito, di «assialità effettivamente sacralizzante», in quanto la reciproca disposizione della statua di culto e della statua di Cesare,
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CAPITOLO PRIMO
Foro Romano, angolo nord-ovest, veduta parziale con il Campidoglio e l’asse di via del Corso. In basso, da sinistra: colonnato della fronte del tempio di Saturno; arco di Settimio Severo, che scavalca la via dei Trionfi (la via Sacra); Curia, eretta da Cesare e ricostruita da Diocleziano. Le pendici del Campidoglio verso il foro sono celate dalla grande sostruzione realizzata da Q. Lutazio Catulo dopo l’incendio dell’83 a.C., e sormontate dal palazzo Senatorio di Michelangelo. La via Flaminia (attuale via del Corso) costituisce la grande strada d’accesso da nord al cuore di Roma (sul fondo, porta del Popolo).
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Foro romano, colonna di Foca e tempio di Saturno. Dal basso: colonna di Foca (dedicata da Smaragdo, esarca di Ravenna, l’1 agosto 608 in onore dell’imperatore bizantino); tribuna dei Rostri, la cui fronte rettangolare, d’epoca augustea, nasconde l’antica facciata convessa dedicata da Marco Antonio; tempio di Saturno, ricostruito dopo un incendio (sotto Carino, nel 283 d.C.?); portico degli Dèi Consenti, ricostruito da Pretestato, prefetto dell’Urbe nel 367. Tra questi due ultimi monumenti è il clivo Capitolino, che il generale in trionfo percorreva sulla sua quadriga per sacrificare a Giove Capitolino.
Fori, veduta d’insieme. La lunga prospettiva obliqua abbraccia la zona monumentale, che occupa il versante settentrionale del Palatino e lambisce le pendici del Campidoglio. In basso, a destra, è l’antica zona residenziale dell’aristocrazia in età repubblicana, sostituita in seguito da edifici di epoca neroniana. I due archi (quello di Tito in primo piano, sullo sfondo quello di Settimio Severo) rappresentano le testimonianze visibili dei cortei trionfali.
collegate da un legame visivo, aveva il vantaggio di manifestare l’ascendenza diretta dalla divinità rivendicata dalla famiglia Giulia e, in più, di simboleggiare la protezione privilegiata di cui Cesare godeva da parte di Venere. Ovidio ha sottolineato in modo particolarmente esplicito il ruolo svolto dalle composizioni assiali nell’arte ufficiale dell’età augustea, facendo realizzare da Minerva, all’inizio del sesto libro delle Metamorfosi, un arazzo la cui decorazione era interamente concepita secondo un’estetica della maestà (maiestas), cioè della gerarchia, e materializzava quest’asse collocando l’aggettivo medio nel mezzo di un verso: «Due volte sei divinità celesti, in mezzo Giove, assiso su un alto seggio» (Metamorphoses, VI, 72: «Bis sex caelestes medio Iove sedibus altis»). Questo sguardo, abituato a spingersi lontano (è il tema tipicamente romano del prospectus), era allo stesso tempo continuamente sollecitato dalle altezze e invitato a spostarsi dal basso verso l’alto, là dove culminava il frontone (fastigium) dei templi; di nuovo s’incontra qui il tema fondamentale della maestà (maiestas). Ovidio, che pure s’irritava contro l’abuso di una simile nozione di gerarchia da parte del potere augusteo, ha comunque immaginato di far raccontare dalla musa Polimnia la storia, chiaramente umoristica, di Maiestas divinizzata (Fasti, 5, 11-52). All’inizio, il mondo era preda del caos: Dopo il caos, quando per la prima volta il mondo ebbe riconosciuto i suoi tre elementi e la materia ebbe assunto mille forme nuove, la terra discese verso le regioni inferiori, spinta dal peso della sua massa, trascinando le acque con sé; il cielo, più leggero, s’innalzò al sommo dell’aere; con esso si lanciarono il sole e le stelle, ormai liberatesi dal loro peso; e anche voi, corsieri della Luna. Ma la Terra non rispettò a lungo la superiorità del cielo, né gli astri quella di Febo; tutte le distinzioni scomparvero. Spesso, o Saturno, una divinità volgare osò assidersi sul trono che tu occupavi; un dio straniero venne a prender posto a fianco dell’Oceano; spesso Teti si trovò relegata in infimo rango.
Ma l’ordine gerarchico fa la sua comparsa con la nascita di Maiestas, in cielo innanzitutto: Infine, l’Onore (Honor) e la Buona Creanza (Reverentia) dal contegno dignitoso, dal volto sereno, essendosi uniti in legittimo imeneo, misero al mondo la Maestà; costei li riconobbe entrambi come artefici dei suoi giorni e, già grande al momento stesso della sua nascita, venne subi-
L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO
to, la testa alta, a sedersi nel mezzo dell’Olimpo, tutta risplendente di porpora e d’oro. Ai suoi fianchi si posero il Pudore (Pudor) e la Paura (Metus), e si videro tutte le divinità fissare su di lei i loro sguardi per imitare il suo atteggiamento e il suo contegno. Nacque allora negli spiriti il rispetto delle distinzioni; i più degni hanno riconquistato la loro posizione, e tutti quanti la smettono di preferirsi agli altri.
Quest’ordine venne minacciato un’ultima volta dalla guerra dei Giganti, figli della Terra, contro gli dèi del cielo: Questo stato di cose si mantenne nei cieli per lunghi anni, fino al momento in cui il più vecchio degli dei fu precipitato dai fati dall’alto dell’Olimpo. La Terra generò i giganti, razza feroce, mostri enormi che osarono attaccare il palazzo stesso di Giove. Essa donò loro mille braccia, serpenti al posto delle gambe, poi disse loro: «Dichiarate guerra agli dei potenti». Già essi si disponevano ad accatastare montagne fino agli astri e a provocare a battaglia il grande Giove; ma Giove, scagliando la folgore dall’alto dei cieli, rovesciò queste masse portentose sopra quegli stessi che le avevano accumulate.
Dopo la disfatta dei Giganti, Maiestas s’incarica di far rispettare l’ordine gerarchico attraverso la sua influenza sugli spiriti, senza esercitare alcuna violenza fisica. Essa rappresenta la forza di quella che noi oggi chiameremmo l’ideologia: Così trionfò la Maestà, difesa dalle armi degli dei, e da allora niente ha fatto vacillare il suo impero. Essa sta assisa al fianco di Giove; veglia presso di lui con fedeltà e regge senza violenza (sine vi) nelle sue mani il temibile scettro.
E la sua azione si esercita anche sulla terra, in tutti gli ambiti dove si tratti di garantire in terra un potere, quale che sia: Essa è pure discesa sulla terra; Romolo e Numa le hanno reso onore, e altri ancora dopo di loro, seguendo l’ordine dei tempi. È lei che conserva ai padri e alle madri il pio rispetto che è loro dovuto (illa patres in honore pio matresque tuetur); è lei la compagna dei giovani fanciulli e delle vergini (illa comes pueris virginibusque venit); è lei che rende insigni sia i fasci che l’avorio della sedia curule (illa datos fasces commendat eburque
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curule); è lei che si innalza altera sul carro trionfale cui sono attaccati dei cavalli incoronati (illa coronatis alta triumphat equis).
Tutte le fonti scritte concordano per farci cogliere questa dimensione essenziale dello sguardo romano. Questo era condizionato a muoversi dal basso verso l’alto e, in particolare, verso il fastigio dei templi, poiché la «maestà» consiste nel fatto, per chi è più grande (in latino maior, da cui maiestas), di imporsi a chi è più piccolo. Roma è stata costruita per essere vista dal basso, per sguardi sollecitati a ogni istante verso l’alto, e soprattutto verso i frontoni (fastigia) dei templi, che sembrano bucare il cielo. I Romani erano sensibili al lato spettacolare delle cose, in particolare nel campo delle costruzioni pubbliche. L’architettura di un tempio, ad esempio, doveva ispirare in coloro che la contemplavano dal basso il sentimento della superiorità degli dèi. Il fatto è che, per i Romani, l’utilità (utilitas) di una costruzione è inseparabile dalla sua bellezza (venustas) e dal suo valore morale (dignitas), come spiegava Cicerone (De oratore, 3, 180): In un’imbarcazione, che cosa c’è di più indispensabile (necessarium) dei fianchi, della stiva, della prua, della poppa, delle antenne, degli alberi? Ma tutte queste parti, nel loro aspetto, offrono una tale eleganza (venustatem) che le si crederebbe inventate altrettanto per il piacere (voluptatis) che per la sicurezza (salutis). Le colonne sono fatte per sostenere i templi e i porticati: esse tuttavia non hanno minore dignità (dignitatis) che utilità (utilitatis). Il fastigio superbo del Campidoglio e degli altri templi, non è il bisogno di eleganza (venustas), ma la necessità (necessitas) stessa che l’ha creato. In effetti, si era cercato il modo di far scolare le acque dai due lati dell’edificio, e l’utilità (utilitatem) di questo fastigio del tempio ha, in modo del tutto naturale, portato con sé la dignità (dignitas), di modo che, se si collocasse il Campidoglio in cielo, dove non vi può essere pioggia, sembrerebbe che, privato del suo colmo, esso non avrebbe più alcuna dignità (dignitatem).
I Romani tuttavia, nella realtà della loro esperienza quotidiana e nella loro stessa immaginazione, avevano anche una predilezione per le visioni dall’alto. Era il caso di coloro che avevano la fortuna di possedere delle residenze situate in luoghi elevati, in particolare quando queste ultime dominavano il mare. Seneca ricorda le ville che Mario, Pompeo e Cesare avevano fatto co-
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Pagine seguenti: Colle Palatino. La sommità del colle è occupata dai resti dell’antico palazzo costruito da Domiziano. Nella parte alta è il settore pubblico (domus Flavia), giustapposto alla zona privata (domus Augustana), della quale si può apprezzare in primo piano lo straordinario parco a forma d’ippodromo, circondato da portici e dominato da una tribuna.
struire a Baia «sulla cima più alta delle montagne», per godere di una vista degna dei punti di osservazione cui li avevano abituati le loro imprese militari (Epistulae ad Lucilium, 5, 51, 11: «sembrava essere più militare osservare da un luogo elevato quello che si estendeva ai loro piedi in lungo e in largo», videbatur hoc magis militare, ex edito speculari late longeque subiecta), e Tacito descrive in maniera analoga la villa di Cesare, situata a Baia, sulla strada di Miseno, «che dall’alto del promontorio si affaccia sui golfi che si stendono ai suoi piedi» (Annales, 14, 9, 3: […] villam Caesaris dictatoris quae subiectos sinus editissima prospectat). Anche Fedro aveva descritto la villa di Lucullo a Miseno, passata in seguito nelle mani di Tiberio, che vi sarebbe poi morto, «da dove si scorge da lontano il mare di Sicilia, e ai cui piedi si vede quello di Toscana» (Fabulae, 2, 5, 10: prospectat Siculum et despicit Tuscum mare). E, in un contesto geografico del tutto differente, Apuleio celebrerà in maniera analoga «il punto di vista sul mare» (prospectum maris) della dimora della sua futura sposa Pudentilla situata in Tripolitania (Apologia, 72, 6). Ma i Romani hanno saputo immaginare dei punti di vista molto più elevati, delle vedute della terra a partire dalle più alte vette del cielo. Si pensi al Sogno di Scipione di Cicerone. Mentre sta dormendo, Scipione Emiliano vede comparire nel cielo Scipione l’Africano, suo nonno adottivo, che gli «mostrava Cartagine da un luogo elevato, tutto luccicante di stelle e risplendente di luce» (De re publica, 6, 6: Ostendebat autem Carthaginem de excelso et pleno stellarum, illustri et claro quodam loco). E il padre di Scipione, Paolo Emilio, appare a sua volta e dirige lo sguardo del figlio verso la parte più bassa dell’universo (ibid., 15): Fintanto che Dio, del quale tutto ciò che vedi è il tempio, non ti avrà completamente liberato dalla tua prigione corporale, tu non potrai avere accesso a queste dimore. Il destino degli uomini è di serbare quel globo che tu vedi situato nel mezzo del tempio di Dio, e che si chiama la Terra (illum globum, quem in hoc templo medium vides, quae terra dicitur). Alcune stelle che non si vedono per nulla da qui in basso apparvero ai miei occhi, e la grandezza dei corpi celesti si svelò al mio sguardo; essa supera tutto ciò che l’uomo abbia mai potuto immaginare.
Dall’alto della Via Lattea Scipione Emiliano contempla tutto il cielo (ibid., 16):
Mio padre mi mostrava questo cerchio che brilla della sua straordinaria lucentezza in mezzo a tutti i fuochi celesti, che voi chiamate, con un’espressione presa in prestito dai Greci, la Via Lattea. Dall’alto di quest’orbita luminosa, io contemplavo l’universo e lo vidi tutto pieno di magnificenza e di meraviglie. Alcune stelle che non si vedono per nulla da qui in basso apparvero ai miei occhi, e la grandezza dei corpi celesti si svelò al mio sguardo; essa supera tutto ciò che l’uomo abbia mai potuto immaginare. Di tutti questi corpi, il più piccolo, che è situato agli estremi confini del cielo, e il più vicino alla terra, brillava di una luce non sua; i globi stellati superavano di molto la terra in grandezza. La terra stessa mi parve così piccola, che il nostro impero, che non ne tocca che un punto, mi fece vergogna.
Scipione prende coscienza della piccolezza della Terra, dell’umiltà della sua condizione nel punto più basso del cosmo, ma anche della grandezza dell’uomo, che è partecipe del cielo grazie alla natura della sua anima (ibid., 17): Infine l’orbita inferiore è quella della luna, che ruota infiammata dai raggi del sole. Al di sotto di essa non vi è più niente che non sia mortale e corruttibile, ad eccezione delle anime donate alla razza degli uomini da un dono divino (Infra autem iam nihil est nisi mortale et caducum praeter animos munere deorum hominum generi datos). Al di sopra della luna, tutto ciò che tu vedi è eterno (supra Lunam sunt aeterna omnia). Il nono globo è quello della terra, posta al centro del mondo e nel punto più lontano dal cielo; essa dimora immobile, e tutti i corpi pesanti sono trascinati verso di essa dal loro stesso peso.
La descrizione del mondo qui presentata era conosciuta da secoli attraverso tutta una letteratura di volgarizzazione scientifica, la cui opera più nota erano i Fenomeni di Arato, e la credenza che viene qui espressa sulla natura celeste e dunque eterna dell’anima è divenuta, grazie in parte alla fama di questo testo di Cicerone, un luogo comune della letteratura di consolazione. Seneca, in un opuscolo indirizzato a Marcia dopo la morte di suo figlio Metilio, riprendeva all’epoca di Caligola gli accenti ciceroniani del Sogno, rassicurando soprattutto la madre circa il fatto che il figlio «è stato accolto nella santa società degli Scipioni e dei Catoni», e che, esattamente come era stato il caso dello Scipione Emiliano di Cicerone, egli ritrova in cielo suo padre che «gli spiega il cammino degli astri che gli stanno
vicino e lo inizia con gioia, non sulla base di congetture, ma grazie all’esperienza diretta che egli ha della verità, a tutti i misteri della natura […]. Egli gli fa pure affondare lo sguardo nelle profondità dello spazio, fino alla terra: perché è dolce rivedere da là in alto le regioni che si sono lasciate» (Consolatio ad Marciam, 25, 2). Quelle che dunque, in questi testi, non sono altro che fantasticherie divengono, sotto la penna di Cicerone autore del primo libro delle Tusculanae, un’ardita ipotesi circa la realtà delle visioni di cui godrà l’anima una volta liberatasi del corpo e giunta alla sua dimora celeste. Cicerone si chiede che cosa vedrà l’anima in cielo dopo che avrà lasciato il corpo e sarà privata degli occhi (Tusculanae disputationes, 1, 43-47): Aggiungiamo che, essendo l’anima di una leggerezza senza pari, è per lei molto facile fendere quest’aria spessa ed elevarsi al di sopra di essa. Nulla sta al pari con la sua velocità. Se dunque essa rimane incorruttibile e senza alterazioni, è necessario che, continuando sempre la sua ascesa, penetri attraverso quello spazio dove si formano le nuvole, le piogge, i venti e che, a causa delle esalazioni terrestri, è umido e tenebroso. Quando l’ha attraversato e si trova dove regna un’aria sottile con un calore temperato, conforme alla sua natura, là essa si schiera con gli astri e non smette di sforzarsi per salire più in alto. Essa vi rimane immobile e sempre in equilibrio. Là è quindi la sua dimora naturale, dove non ha più bisogno di niente, perché le stesse cose che servono di alimento agli astri, servono pure a lei. […] Che succederà dunque e quale spettacolo sarà, quando con un colpo d’occhio si scoprirà tutta quanta la terra, quando si potrà ammirarne la posizione, la forma, l’estensione – qui le regioni abitate, altrove quelle che il caldo o il freddo eccessivi rendono deserte? Oggi, le cose stesse che vediamo, non le vediamo con i nostri occhi. Perché il sentimento non si trova all’interno del corpo: ma, secondo i fisici e secondo i medici stessi, che hanno esaminato questa cosa più da vicino, vi sono come dei condotti che vanno dalla sede dell’anima agli occhi, alle orecchie, alle narici. A tal punto che basta una malattia o una distrazione un poco forte, per non vedere né sentire più, per quanto gli occhi siano aperti e le orecchie ben disposte. Prova del fatto che quella che vede e che sente è l’anima; e che le parti del corpo che servono alla vista e all’udito non sono, per così dire, che delle finestre, attraverso le quali l’anima riceve gli oggetti. Addirittura, non le riceve affatto, se essa non vi presta attenzione. Inoltre, la stessa anima riu-
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Pagine precedenti: Circo Massimo. Al Circo Massimo segue, separato dal grande complesso del palazzo dell’ex pastificio Pantanella e da piazza Bocca della Verità, il foro Boario, costeggiato dal Tevere; sullo sfondo è l’area del Campo Marzio. Foro Boario. Il foro Boario visto dal Tevere, con il tempio circolare (di Ercole Vincitore) e quello rettangolare (di Portuno), esempi di edifici sacri di epoca repubblicana. Nella parte alta è la casa dei Crescenzi (XI secolo), rara testimonianza di edilizia civile di epoca medievale.
nisce insieme delle percezioni molto differenti, il colore, il sapore, il calore, l’odore, il suono: e per questo è necessario che i suoi cinque messaggeri le riportino tutto e che essa sia, da sola, giudice di tutto. Ora, quando sarà arrivata dove per natura tende, là essa sarà ben più in condizioni di giudicare. Perché allo stato presente, per quanto i suoi organi siano esercitati con un’arte meravigliosa, essi non smettono di essere ostacolati, in qualche modo, dalle parti terrestri e grezze, da cui sono formati. Ma quando l’anima sarà separata dal corpo, non vi sarà più alcun ostacolo ad impedirle di vedere le cose assolutamente come sono.
Le vedute di Roma dall’alto rivelano una realtà che la tradizione storica romana attribuiva alle origini stesse della città e che consiste nel fatto che Roma è stata concepita come uno spazio posto in permanenza sotto lo sguardo degli dèi. In primo luogo, è la realtà di una città dotata di una definizione religiosa, legata a un rituale di fondazione che veniva attribuito alla tradizione etrusca e che consisteva nel tracciare, con l’ausilio di un aratro, un solco che servisse, sotto il nome di pomerium, alla delimitazione dello spazio dell’urbs. E l’urbs era lo spazio dove gli auguri prendevano gli auspicia urbana, vale a dire osservavano, all’interno di questo perimetro posto deliberatamente sotto lo sguardo degli dèi, il volo degli uccelli che si riteneva trasmettesse la volontà di questi ultimi. Anche all’esterno dell’urbs, i Romani avevano fissato degli spazi da loro chiamati «inaugurati», cioè racchiusi ritualmente entro un rettangolo che formava un templum e che, sempre collocato sotto lo sguardo degli dèi, permetteva di procedere ad alcune attività collettive, come le assemblee elettorali, i comitia, che potevano essere in ogni momento sospesi se gli dei manifestavano, attraverso un qualche segno, la volontà di interromperli. E questi templa, orientati sui punti cardinali, hanno finito per strutturare lo spazio, come si vede nella zona centrale del Campo Marzio, orientata secondo le direzioni nord-sud ed est-ovest intorno a dei recinti elettorali, i saepta, creati verso la metà del VI secolo a.C., epoca in cui la tradizione romana pone la promulgazione della costituzione serviana. Nella porzione meridionale del Campo Marzio si trova un quartiere orientato in modo differente, in quanto strutturato attorno al circus Flaminius, costruito nell’ultimo quarto del III secolo a.C. parallelamente al Tevere. Si tratta del quartiere che la Roma moderna conosce come Portico d’Ottavia, perché Augusto vi ha ridedicato con il nome di sua sorella Ottavia un portico che Metello Macedonico
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A fronte: Teatro di Marcello, sinagoga e portico d’Ottavia. Veduta, dalle pendici del Campidoglio, dell’antico quartiere del Circo Flaminio, con la fronte del teatro di Marcello, costruito da Augusto davanti al tempio di Apollo (di cui sussistono ancora, sulla destra, tre colonne), al quale, sin dal 212-211 a.C., erano dedicati ogni anno, nel mese di luglio, giochi scenici. Subito dopo il tempio di Apollo è la porta monumentale del portico d’Ottavia.
aveva costruito più di un secolo prima. Si vede pure, sempre in questo quartiere, un tempio collocato davanti alla curva del teatro di Marcello. Dedicato ad Apollo, era assai più antico del circus Flaminius, dal momento che risaliva al V secolo a.C. In quest’epoca il dio greco aveva ricevuto, come tutti i templa del Campo Marzio e come i saepta di cui abbiamo appena parlato, un orientamento nordsud. Ci si è meravigliati del fatto che il teatro di Marcello, costruito da Augusto nel sito dove venivano edificati in precedenza i teatri provvisori in legno necessari a offrire ad Apollo gli spettacoli previsti per la celebrazione dei ludi Apollinares nel mese di luglio di tutti gli anni, non sia allineato con il tempio che ne giustifica la presenza. La migliore spiegazione (dovuta a un celebre studio di Bruno Poulle) è che la scena del teatro augusteo sia stata spostata in rapporto alla direzione nord-sud secondo un’inclinazione di circa 24°, che corrisponde a quella dell’eclittica, il cerchio obliquo in relazione all’Equatore che corrisponde al corso annuale del sole. E ciò si spiega dal momento che Augusto identificava Apollo con il Sole (un carro del Sole dominava il frontone del nuovo tempio da lui dedicato ad Apollo sul Palatino nel 28 a.C.), e faceva di questo Apollo solare il dio artefice del ritorno dell’età dell’oro nel cosmo (Virgilio, Bucoliche, 4, 5-10): S’avanza, infine, l’ultima età predetta dalla Sibilla: io vedo spuntare un grande ordine di secoli rinnovati. Già la vergine Astrea ritorna sulla terra, e con lei il regno di Saturno (redeunt Saturnia regna); già discende dai cieli una nuova razza di mortali. Sorridi, casta Lucina, a questo fanciullo nascente; con lui avrà termine l’età del ferro e di fronte al mondo intero spunterà l’età dell’oro (ac toto surget gens aurea mundo): già regna il tuo Apollo (tuus iam regnat Apollo).
E la veduta di questo insieme monumentale, con il tempio di Apollo, orientato nord-sud, e il teatro di Marcello, la cui scena è orientata sull’eclittica, ci offre l’immagine sorprendente di due modalità assai differenti con cui i Romani, a cinque secoli di distanza, hanno voluto stabilire un legame tra gli edifici della loro città e le divinità celesti. Nella stessa epoca, alcuni altri monumenti fissarono altri rapporti con il cielo, come l’impressionante meridiana con le sue linee e le sue lettere di bronzo, costruita da Augusto, sulla quale l’obelisco dedicato al Sole per celebrare la conquista dell’Egitto indicava, ci dice Plinio il Vecchio, la durata dei giorni e delle notti, ma che doveva soprattutto celebrare il destino eccezionale di un imperatore
CAPITOLO PRIMO
L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO
Pagine precedenti: Mausoleo di Augusto. A delimitare piazza Augusto Imperatore, realizzata negli anni Trenta del Novecento, verso il Tevere è la nuova struttura del Museo dell’Ara Pacis progettato da Richard Meier. Colonna di Marco Aurelio, piazza Colonna.
A fronte: Pantheon. Singolare associazione tra la facciata ottastila di un tempio rettangolare e una rotonda dominata da una cupola di oltre 43 m di ampiezza, con al centro un oculus di 9 m di diametro: l’architettura del mondo unita alla comunità degli uomini.
Ampia porzione del Campo Marzio, tra il Tevere e via del Corso, radicalmente trasformato dagli interventi urbanistici del CinqueSeicento, che collega idealmente il mausoleo di Augusto con la colonna di Marco Aurelio.
che venne concepito in occasione del solstizio d’inverno e che nacque all’equinozio d’autunno, nel momento in cui il sole dirigeva l’ombra dell’obelisco verso l’Ara Pacis Augustae. Perché l’Apollo solare aveva scelto Augusto per portare a termine l’opera di pacificazione della terra e accompagnare quaggiù i progressi dell’età dell’oro. La moltiplicazione degli obelischi nel paesaggio urbano di Roma significava che le forme più antiche di omaggio agli dei, ivi compresi questi monoliti egizi dal significato solare, si davano appuntamento nella capitale dell’Impero, dove sottoponevano allo sguardo degli dei la testimonianza dell’universale devozione degli uomini. Si possono fare le stesse considerazioni osservando una veduta trasversale del Campo Marzio. A destra, si riconosce la moderna piazza Navona, disposta esattamente sulle strutture dello stadio costruito da Domiziano e su un odeon per la celebrazione dei ludi Capitolini, da lui creati in omaggio a Giove Capitolino nell’86 e assimilati ai giochi panellenici che esistevano da più di otto secoli nel mondo greco. L’orientamento nord-sud dello stadio, e quindi della piazza attuale, si spiega, come si è visto, con l’antichissimo impianto dei saepta elettorali nel centro del Campo Marzio. A sinistra è la cupola del Pantheon quale è stato ricostruito da Adriano, che sembra congiungere la sfera cosmica alla comunità degli uomini, e viene qui in mente l’interpretazione fornita da Dione Cassio (che credeva che Agrippa l’avesse costruito sulla medesima pianta) di questo tempio circolare, coperto da una cupola alla stregua di un’immagine del cielo (Historiae, 53, 27): [Agrippa] «portò a termine anche il tempio chiamato Pantheon. Il nome di questo tempio deriva forse dal fatto che, sulle statue di Marte e di Venere, esso mostrava anche le rappresentazioni di numerosi dei; a mio giudizio, esso viene invece dal fatto che, formando una rotonda, rassomigliava al cielo».
Queste vedute dall’alto, nello spirito dei Romani, sono innanzitutto quelle degli dèi. Ovidio ha immaginato una visita di Marte a Roma, attirato dal tempio a lui dedicato all’interno del nuovo foro costruito da Augusto (Fasti, V, 550-569): Ecco venire il dio Marte. È il segnale delle battaglie che ci annuncia la sua presenza. Dio vendicatore (Ultor), egli discende dal cielo (caelo descendit) per assistere di persona alle feste in suo onore, in questo tempio che si vede innalzarsi nel mezzo del foro di Augusto (templaque in
Augusto conspicienda foro); immenso è il dio, immenso è il tempio. Nella città di suo figlio, Marte aveva diritto a questa splendida dimora; tale era il santuario che doveva ricevere i trofei della guerra dei Giganti; è da là che Gradivo deve lanciarsi nei terribili combattimenti, sia che un popolo empio ci provochi a Oriente, sia che nelle terre dove il sole tramonta una nazione ribelle chieda di essere domata. Il dio della guerra lancia un colpo d’occhio sui bordi rialzati della copertura del tempio (prospicit armipotens operis fastigia summi); egli ama vedervi ergersi le statue degli dei invitti (et probat invictos summa tenere deos). Contempla, sulle porte, tratti di forme differenti, e le armi dei popoli sottomessi dai soldati. Qui è Enea, carico del suo sacro fardello, e tanti antenati dell’illustre famiglia dei Giulii; là è il figlio d’Ilia, che porta sulle spalle l’armatura di un capo nemico. Sotto le statue di ogni eroe, si sono rievocate le sue azioni gloriose. Egli legge pure il nome di Augusto, scritto sul frontone del tempio (spectat et Augusto praetextum nomine templum) e, di fronte al nome di Cesare, il monumento gli appare più imponente (et visum lecto Caesare maius opus).
Quattro secoli dopo Ovidio, Ammiano Marcellino immaginerà di mettere in parallelo lo sguardo di un imperatore e lo sguardo delle divinità in una comune ammirazione per il foro di Traiano. L’occasione è rappresentata dalla visita che vi fece l’imperatore Costanzo II nel 357, in un’epoca in cui il foro era ancora intatto e dominato dalla massa in bronzo della statua equestre di Traiano (Historiae, 16, 10, 14-16): Egli percorse tutti i quartieri costruiti ai piedi o sulle pendici dei sette colli, senza dimenticare anche i sobborghi, credendo sempre di non aver più niente da vedere di superiore all’ultima cosa vista che potesse colpire il suo sguardo. Qui c’era il tempio di Giove Tarpeiano [Giove Capitolino], che gli parve prevalere sul resto nella stessa misura in cui le cose divine prevalgono sulle cose umane; là le terme, paragonabili per estensione a delle provincie; più lontano la massa orgogliosa di quell’anfiteatro cui la pietra di Tivoli [il travertino] ha fornito i materiali, e di cui la vista fatica a misurare l’altezza; poi la cupola tanto ardita del Pantheon e la sua vasta circonferenza; poi quelle colonne gigantesche, accessibili sino alla cima tramite scalini e che sono sormontate dalle effigi dei principi; e il tempio della dea Roma, e la piazza della Pace, e il teatro di Pompeo, e l’Odeon, e lo Stadio, e le tante
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Piazza Navona e Campo Marzio. Allineato secondo i punti cardinali, a partire dalla costruzione dei recinti elettorali (saepta) alla metĂ del VI secolo a.C., il Campo Marzio moderno conserva alcune testimonianze del passato romano (il Pantheon ricostruito da Adriano) o ne sposa la forma (piazza Navona, che ricalca lo stadio di Domiziano).
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Fori Imperiali. A sinistra, il foro di Traiano con la colonna Traiana, la basilica Ulpia, l’esedra dei mercati Traianei. A destra, il foro di Augusto, dominato dal tempio di Marte Ultore, inquadrato da due esedre. Gli scavi del 2000 hanno messo in luce un quartiere moderno eretto sul piano pavimentale del foro di Traiano, e ulteriori resti del foro (peristilio all’estremità orientale, in prossimità del recinto del foro di Augusto).
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altre meraviglie che costituiscono l’ornamento della città eterna. Ma quando fu arrivato al foro di Traiano, costruzione unica sotto l’intero cielo (singularem sub omni caelo structuram) e degna, a nostro giudizio, dell’ammirazione degli stessi dèi (ut opinamur, etiam numinum assensione mirabilem), egli si fermò interdetto, cercando col pensiero di misurare quelle proporzioni colossali, che sfidano ogni descrizione e che nessuno sforzo umano sarebbe capace di riprodurre. Riconoscendo la sua impossibilità a creare un qualcosa di simile, disse che voleva perlomeno erigere un cavallo ad imitazione di quello della statua equestre di Traiano, collocato nel punto centrale dell’edificio, e che ne avrebbe tentato l’impresa. Accanto a lui si trovava in quel momento il sovrano in esilio Hormisdas, la cui fuga dalla Persia è stata raccontata in precedenza. Costui rispose all’imperatore, con tutta l’eleganza del suo popolo: «Cominciate, sire, col costruire la stalla su questo modello, affinché il vostro cavallo sia altrettanto comodamente alloggiato quanto quello che noi vediamo qui».
Curiosamente, Costanzo II non fa menzione della colonna Traiana, prototipo di una serie di monumenti che proseguì a Costantinopoli, la nuova capitale dell’Impero. Eppure, con un’altezza di circa 40 m e il suo interminabile fregio scolpito a bassorilievo che si avvolge attorno al fusto giustapponendo 155 scene in cui l’imperatore appare una sessantina di volte, la colonna ha introdotto un’innovazione straordinaria nel campo pur già ricco dell’arte trionfale. Dedicata nel 113, la colonna era stata concepita per ricevere nel suo zoccolo le ceneri dell’imperatore e della moglie Plotina. Vista dal basso, il pubblico comprendeva che le ceneri dell’imperatore erano lasciate alla terra, mentre la statua in bronzo che si stagliava alla sommità della colonna contro l’azzurro del cielo simboleggiava l’ascensione della sua anima e la sua divinizzazione, e che le imprese raffigurate tra queste due estremità raccontavano le gesta di Traiano atte a giustificare una simile apoteosi, con l’intervento divino di cui egli aveva beneficiato e che si manifestava nelle sembianze della Vittoria che faceva la sua comparsa esattamente al centro del fregio, a metà dell’altezza della colonna. Il paradosso è che questo fregio, d’una perfezione tecnica straordinaria lungo l’intera sua estensione, non era visibile che in modo molto parziale da parte degli spettatori, tanto di quelli che si trovavano a un livello assai più basso rispetto alla colonna – il cui sguardo non poteva spingersi oltre i
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L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO
rilievi della sesta spira, laddove il fregio ne annoverava ventitre, una sopra l’altra! – quanto di coloro che potevano accedere a punti di osservazione differenti, a partire in particolare dal primo piano della basilica Ulpia. Si è quindi costretti ad ammettere che l’innovazione rivoluzionaria introdotta dalla colonna Traiana consisteva nel nascondere agli occhi dei mortali un racconto figurato la cui contemplazione era riservata ai soli sguardi degli dèi. Mai i Romani si sono spinti tanto lontano nell’affermazione della maiestas del loro potere come nell’offrire la visione di un monumento di cui era noto il contenuto in termini generali, senza che fosse però possibile ammirarlo nel dettaglio. Particolarmente significativa è la veduta di due fori che si possono abbracciare con un unico sguardo: da una parte il vecchio foro risalente all’età monarchica, che aveva attraversato prima tutta l’epoca repubblicana, poi la lunga sequenza degli imperatori e che sarà ancora arricchito al tempo del ducato bizantino di Roma, e dall’altra il foro di Cesare. In effetti, la massa rossa della Curia (coperta nell’Antichità da uno spesso strato di stucco, che dava l’illusione di un rivestimento di marmo bianco) che separa in qualche modo i due spazi, simboleggia la rivoluzione politica che ha fatto passare Roma da una repubblica oligarchica a un regime monarchico e dinastico. Il fatto è che Cesare aveva spianato l’antica Curia Hostilia, quella ancora conosciuta da Cicerone, che dominava la piazza delle assemblee (comitium) dove si trovava la tribuna rostrata (rostra), orientata su una pianta rigorosamente nord-sud, dal momento che si trattava di uno spazio inaugurato, di un templum. Cesare, come si vede qui, ha ricostruito la Curia su una pianta del tutto differente, che faceva di questo luogo di riunione del Senato, oltre che un monumento dell’antico foro, un annesso laterale del nuovo foro cui egli ha attribuito il proprio nome. Si misura qui, in un sol colpo d’occhio, quella che fu la materializzazione più evidente della rivoluzione politica operata da Cesare. E si vede, allo stesso tempo, il luogo che è costato la vita al dittatore perpetuo: perché, secondo Svetonio, fu il fatto di aver ricevuto i senatori in piedi all’interno del suo foro, mentre lui se ne stava seduto, che fece prendere la decisione di assassinarlo. Altri punti di vista raccontano la storia della città in negativo. È il caso della sorprendente visione del Colosseo, la cui massa gigantesca di calcestruzzo e travertino riempiva il lago che Nerone aveva fatto scavare per il suo godimento personale ad imitazione del sinus Baianus, il golfo di Baia, che costituiva un bacino celebre all’epoca per
Foro di Traiano, estremità occidentale. Si è a lungo creduto che fosse qui situato il tempio di Traiano e di Plotina divinizzati. In realtà davanti alla colonna Traiana vi era una porta monumentale, con un ordine corinzio colossale, eretta all’inizio della via Flaminia.
Pagine seguenti: Foro Romano e foro di Cesare. Cesare trasformò l’antico foro aggiungendovi una nuova piazza. La Curia, nella quale si riunivano i senatori, venne spostata e ricostruita per allineare la facciata arretrata a un portico laterale del nuovo foro, di cui sembra divenire così un semplice annesso. Le tre colonne sulla destra appartengono al tempio di Venere Genetrix, mitica antenata della famiglia di Cesare. Nella parte alta è il complesso del Campidoglio, con la basilica e il convento dell’Aracoeli e il Vittoriano.
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l’attrattiva unica al mondo delle residenze aristocratiche che si distribuivano sul suo litorale e che godevano, ad un tempo, della veduta (prospectus), del clima e delle acque termali. E, prima dello scavo di questo lago ai piedi della villa che Nerone aveva voluto Baiano modo di tipo marittimo (villa maritima) e che si estendeva sulle pendici dell’Oppio, bisogna immaginare il gigantesco incendio che sconvolse la città nel 64, e che liberò enormi spazi, grazie a cui l’imperatore, secondo le sue stesse parole, poté finalmente abitare come un uomo. Ed è a partire dalla scomparsa di questo tiranno, che aveva voluto fare di Roma una nuova Alessandria che portasse il suo nome, con un palazzo reale che occupava, come nell’antica fondazione di Alessandria, quasi un terzo della città, che gli imperatori offriranno alla comunità dei Romani dei vasti spazi di svago, come fecero i Flavi con il loro anfiteatro, e poi, ad esempio, Caracalla con le sue terme, due edifici che, in aggiunta alle attrattive che offrivano – spettacoli per il primo, spazi destinati alle attività sportive e al bagno per le seconde – creavano un clima artificiale per coloro che li frequentavano: al Colosseo grazie al famoso velum azionato dai marinai di Miseno e, nelle terme, grazie ai complicati sistemi di riscaldamento o di raffreddamento delle sale e dei bagni, insomma l’«eterna primavera» (ver aeternum) che costituiva uno dei tratti caratteristici dell’età dell’oro. Vista dal cielo, la Roma imperiale presenta l’ideale stravagante che gli imperatori avevano cercato di realizzare generazione dopo generazione, quello di una città concepita sul modello dei Campi Elisi immaginati dai poeti, a cominciare da Virgilio, non però, come questi ultimi, aperti a una ristretta cerchia di uomini eccezionali, ma all’insieme dei Romani (Virgilio, Eneide, 6, 637-665): Giunsero infine ai luoghi lieti ed ai verzieri, ridenti fra le selve fortunate, delle beate sedi. Qui più vasto il ciel riveste di purpurea luce i campi in fiore, e le lor stelle e il sole conoscono i beati. Quivi a stuoli godono alcuni esercitar le forze sull’erbose palestre, ed altri accanto in fulva arena lottano, o coi piedi batton cantando delle danze il ritmo; e il tracio sacerdote, in bianca veste, il suon discorde delle sette note in armonia compone, al lieve tocco or dell’eburneo plettro or delle dita. Ivi è di Teucro la progenie antica, splendido albor di giovinezza in fiore, uomini prodi ai quali il Fato in sorte il vivere concesse in più bei giorni: Ilio e Assaraco e Dardano, di Troia progenitori. L’armi e i vuoti carri mira in disparte Enea, e al suol confitte le antiche lance: qua e là pei campi vanno i destrieri pascolando sciolti. L’amor dei carri
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Pagine seguenti: Colosseo. L’anfiteatro Flavio, edificato per iniziativa di Vespasiano e concluso da Domiziano, occupò l’area di un lago artificiale fatto realizzare da Nerone all’interno della sua “casa dorata” (Domus Aurea). Lo stato attuale del monumento consente di apprezzare i dettagli della costruzione: gradinate impostate su volte in calcestruzzo poggianti su muri radiali in tufo (al piano terreno), o in mattoni (al primo piano) e, al di sotto dell’arena, l’impressionante dispositivo che permetteva di far apparire simultaneamente, grazie a botole, diversi animali.
ch’ebbero da vivi, e di lor armi, e dei destrieri lucenti al pascolo guardati, ancor li segue dopo la morte. Ed altri, ecco, ne vede a destra e a manca banchettar sul prato, e cantar lieti in coro un lor peana nell’odoroso bosco degli allori donde per selve scorre su dai vivi l’impetuosa corrente d’Eridano. Ivi è la schiera di color che in guerra morirono lottando per la Patria; e sacerdoti che fur casti in vita, e vati che cantaron cose degne di Febo, e insieme quelli che la vita ci resero più bella con lor arte; e che, ben meritando, ancora memori di sé lasciaron gli altri: bianca benda tutti alle tempie intorno li circonda. (trad. A. Bacchielli)
I Romani avevano ereditato dai Greci dei miti in cui alcuni mortali se ne salivano in volo al cielo, con ali fornite dagli dei o da loro stessi fabbricate. Catullo, partito alla ricerca dell’amico Camerio nel labirinto delle strade di Roma, pensa a questi mezzi che potrebbero offrirgli una veduta di Roma a volo d’uccello (Carmina, 55, 12-21 = 58b, 1-10):
filo mentre ne impastò le estremità con la cera e impose al tutto una leggera curvatura per imitare le ali degli uccelli veri. Il figlioletto Icaro gli stava accanto e, ignaro di maneggiare quello che sarebbe stato per lui un tranello, ridendo ora afferrava le piume che un soffio di vento aveva scompigliato, ora plasmava col pollice la bionda cera: e così giocherellando impacciava lo straordinario lavoro del padre. Comunque, quando l’opera fu terminata, l’artefice librò il suo corpo su due ali e si alzò battendo l’aria.
Ma Dedalo avverte suo figlio in termini che la propaganda ufficiale del regime augusteo non avrebbe disapprovato: se non vuol correre rischi, avvicinandosi al sole, Icaro deve tenere la via mediana. Probabile allusione questa alla famosa aurea mediocritas di Orazio (Carmina, 2, 10):
Ma i più celebri uomini-uccello dell’Antichità restano Dedalo e Icaro. Il racconto che fa Ovidio della loro avventura ci informa su quest’ambito dell’immaginario romano in piena epoca augustea (Metamorphoses, 8, 183-235):
È rischioso, o Licinio, sia tenersi nell’alto mare che accostarsi troppo alla spiaggia malfida per timore della burrasca. La via di mezzo è quella che risplende (auream quisquis mediocritatem diligitit, | tutus), chi l’ama sta lontano da uno squallido tugurio e da una reggia che gli susciti contro l’invidia. Il vento batte facilmente il pino, il crollo di una torre fa più grande fragore, e il fulmine colpisce i vertici alti del monte. L’animo preparato si conforta di speranza nei giorni del dolore e modera la gioia con l’attesa della sventura. Tempeste sconsolate aduna il cielo, e il cielo le disperde; e se un’angustia oggi ti opprime, non ti opprimerà anche domani. Apollo similmente suole a volte destare con la cetra dal silenzio la Musa: ché non può sempre adirato tendere l’arco. Devi mostrarti forte nell’avversa fortuna e offrire esempio di saggezza ammainando le vele quando il vento le gonfia troppo. (trad. E. Cetrangolo)
Intanto a Dedalo erano venuti in odio Creta e il lungo esilio ed era in preda alla nostalgia per la sua patria: ma si trovava prigioniero, circondato dal mare. Egli pensò allora: «Mi vieti pure il tiranno le vie della terra e del mare! Tuttavia ho a disposizione il cielo. Me ne andrò per di là! Minosse può possedere tutto, ma non è signore dell’aria!». Si concentrò dunque su un tentativo finora inesplorato, cercando nella natura nuove possibilità. Dispone delle penne una dopo l’altra, in scala ascendente, dalla più piccola alla più grande, tanto che le avresti dette cresciute in pendio. Allo stesso modo si può formare una zampogna rustica, con canne diverse disposte in gradazione. Legò le canne al centro con del
Questa «aurea mediocrità», era senz’altro l’antica saggezza, diffusa in particolare dai cinici greci, che consisteva nel considerare la vita come un teatro in cui bisogna saper giocare fino alla fine il ruolo che ci ha attribuito la Fortuna, senza cercare di cambiare alcunché. Ma definendo questa via mediana come «aurea mediocrità», Orazio faceva probabilmente allusione all’«età dell’oro» di cui il potere augusteo stabiliva il ritorno sulla terra a partire dalla vittoria di Azio e dall’avvento di Augusto al vertice dell’Impero. In effetti, questa mediocrità accettata era davvero una virtù adatta a un’«età dell’oro» che offriva alla comunità degli uomini la stabilità e la prosperità in cambio di un
pure se mi credessi il custode di Creta, se Pegaso mi rapisse in volo, se fossi Lada o Perseo piedalato (non Ladas ego pinnipesve Perseus), se veloce come i bianchi cavalli di Reso e aggiungici gli uccelli, gli dei piedepiumati (plumipedes volatilesque), e insieme chiama l’impeto dei venti, e dammeli, Camerio, dentro un’otre: sarei sempre sfinito fino all’osso consunto da un languore estremo nel cercarti, amico mio. (trad. T. Rizzo)
rigido rispetto di tutte le gerarchie. Tali sono i consigli che Dedalo fornisce a Icaro: Attrezzando per l’avventura anche il figlio lo ammonisce: «Ti raccomando, Icaro, di tenerti a un’altezza media (Instruit et natum “medio” que “ut limite curras, | Icare,” ait “moneo), perché l’acqua del mare non ti appesantisca le penne, se ti abbassi troppo, o il sole non te le bruci se troppo ti alzi. Vola a mezza strada e non incantarti a guardare Boote o Elice o la spada sguainata di Orione: tira diritto seguendo la mia guida». Gli trasmette le norme per volare e contemporaneamente gli adatta alle spalle quelle ali mai viste. Mentre si dà da fare per prepararlo e ammonirlo, le guance del vecchio si bagnano di lacrime e le sue mani paterne sono scosse da un tremito. Bacia suo figlio come non potrà più fare, e levatosi sulle ali vola via per primo, pieno di timore per il suo compagno, come un uccello che ha spinto il suo piccolo fuori dall’alto nido, nell’aria: lo esorta a seguirlo, lo istruisce nel pericoloso esercizio, e mentre muove le proprie ali si volge a controllare come il figlio muova le sue.
Curiosamente, Ovidio non ci mostra ciò che vedono dall’alto Dedalo e Icaro, ma s’interessa invece allo sguardo dei personaggi che li scorgono da terra al loro passaggio: Fu forse un pescatore intento a far vibrare la lenza o un pastore appoggiato al suo bastone o un contadino che premeva il manico dell’aratro. A quell’apparizione si riempì di stupore e credette che quei due, per il fatto che potevano volare, fossero degli dei.
E, alla fine, la disgrazia arriva, perché Icaro vuole innalzarsi fino ai cieli. Egli cadrà vittima dei raggi del sole. Il carro del sole era rappresentato al di sopra del frontone del tempio di Apollo Palatino, dedicato da Augusto nel 28 a.C. Non si possono sfidare impunemente gli dei, soprattutto, sembra suggerire maliziosamente Ovidio, il dio protettore di Augusto, considerato il garante della rivoluzione politica che aveva sconvolto le istituzioni romane: Già essi avevano alla loro sinistra Samo, l’isola di Giunone, e a destra Lebinto e Calimne, ricca di miele, mentre si erano lasciati alle spalle Delo e Paro, quando il fanciullo cominciò a provar gusto all’audace volo e abbandonò la sua guida; sentendo l’attrazione del cielo, si mise a volare più in alto. La vicinanza dei raggi del sole ammorbidisce la cera profumata che saldava le penne ed essa ben pre-
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CAPITOLO PRIMO
L’ANTICHITÀ: IL PUNTO DI VISTA DI DEDALO E ICARO
CAPITOLO PRIMO
sto si scioglie: il ragazzo sbatte le braccia nude e, mancando delle ali, non può più captare l’aria e va a cadere in un mare azzurro che lo sommerge, soffocando il suo grido d’invocazione al padre. Quel mare prese il nome da lui. Il disgraziato padre, che padre ormai più non era, urlava: «Icaro, Icaro, dove sei? Dove devo venire a cercarti?». Mentre pronunciava quel nome vide delle penne galleggiare sulle onde e maledisse la sua invenzione. Seppellì poi il corpo del figlio in un luogo che da lui prese il nome. (trad. G. Faranda Villa)
Certo i Romani e, prima di loro, i Greci avevano immaginato più di una volta che una simile veduta «a volo d’uccello» fosse possibile ai mortali. Ma la morte tragica di Icaro stava a significare che un’impresa del genere era considerata come un atto di sfida orgogliosa nei confronti delle divinità, quella che i Greci definivano hybris e i Romani audacia. Perché il cielo è il regno esclusivo degli dèi e se Platone e i suoi seguaci romani come Cicerone immaginavano che l’anima potesse un giorno raggiungerli, è perché, a loro giudizio, essa possiede un’essenza divina. Uno sguardo rivolto dall’alto non potrebbe es-
Pagine precedenti: Colosseo e colle Oppio. Il cuore della Domus Aurea di Nerone venne trasformato in edifici per i piaceri del popolo: il lago artificiale in anfiteatro (Colosseo) per gli spettacoli dei gladiatori (munera) e la caccia alle fiere (venationes), e il colle Oppio (dove Nerone aveva costruito una sorta di villa marittima, riscoperta in età rinascimentale) in terme, quelle di Tito e poi quelle, di dimensioni gigantesche, di Traiano. Il Palatino, con il palazzo costruito da Domiziano a dominare il Circo Massimo. Il Circo Massimo, tra l’Aventino e il Palatino. Terme di Caracalla.
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sere, per i Romani, altro che uno sguardo divino. Ed è per questo che i Romani, così fieri della loro devozione, hanno concepito una città fatta per essere vista non solamente dagli uomini sulla terra, con monumenti di straordinaria altezza, fatti per impressionare con la loro maestà e ordinati secondo prospettive assiali, così da manifestare il loro significato, ma anche dagli dei dal cielo. Soprattutto la Roma cristiana prolungherà fino ad oggi questo dialogo tra la terra e il cielo che la città di Romolo aveva intrapreso sin dalla sua origine. Gli angeli che dominano tanti monumenti di Roma hanno sostituito le Vittorie di un tempo, messaggere degli dèi che hanno preceduto i messaggeri di Dio. E ora, supponiamo che si possa, secondo un famoso verso di Pacuvio, innalzarsi sopra un carro trainato da draghi, e, dall’alto del cielo, veder passare sotto i nostri occhi nazioni e città numerose e diverse (...). Si vedranno poi gli splendidi templi della Grecia e del nostro paese servire da santuario a rappresentazioni umane degli dei, che sono considerate sacrileghe dai Persiani. (Cicerone, De re publica, 3, 9, 14).
A fronte: Zona centrale del Campo Marzio. Nell’area si succedevano nell’Antichità lo stadio di Domiziano (piazza Navona), costruito da Domiziano per giochi alla maniera greca in onore di Giove Capitolino (ludi Capitolini), seguito da un lago artificiale alimentato dall’Aqua Virgo (l’acqua della fontana di Trevi) a fianco delle terme di Agrippa, poi il sito dei saepta, i recinti elettorali, vasta spianata rettangolare orientata nord-sud e, nella parte alta, i templi di largo di Torre Argentina, a est dei monumenti di Pompeo, che si estendevano fino al limite del moderno Campo de’ Fiori e inglobavano la chiesa di S. Andrea della Valle.
CAPITOLO PRIMO
Porta Maggiore. Le vestigia sono tipiche della cintura verde di Roma in epoca imperiale: acquedotti (quello di Claudio, monumentalizzato al di sopra di due vie, la Labicana e la Prenestina), tombe (quella di M. Virgilio Eurisace, un liberto arricchitosi grazie alla panificazione, nell’epoca della carestia provocata dal blocco navale di Sesto Pompeo contro l’Italia dominata da Ottaviano). Sono scomparsi i giardini (horti), qui occupati dalle linee ferroviarie che convergono verso la stazione Termini.
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Piramide di Caio Cestio. Monumentale tomba di C. Cestio Epulone, ricco personaggio vissuto agli inizi del principato di Augusto, che si fece seppellire in una piramide marmorea alcuni anni dopo l’annessione dell’Egitto all’impero. Nel III secolo d.C. la Piramide Cestia venne inglobata nelle mura aureliane, di cui costituì un bastione.
CAPITOLO SECONDO ALLA FOCE DEL TEVERE Massimiliano David
Roma e il mare Le ragioni dell’insediamento ostiense discendono direttamente da due fattori evidenti: il mare e il Tevere. La città di Ostia nasce come appendice di Roma sul mare e come espressione delle esigenze di controllo della foce del fiume, sulla stessa riva sinistra occupata da Roma. Non sono mancati tentativi moderni di ricostruire la storia del rapporto della città di Ostia con l’ambiente nel quale è inserita e i tempi e i modi della trasformazione sono ancora argomento di discussione. L’ambiente era segnato in epoca storica anche dall’estesa presenza di zone umide semilacustri o paludose, con acque in parte salate o salmastre e in parte dolci. È convenzionalmente riconosciuta l’esistenza di saline sulla riva destra del Tevere; mentre su quella sinistra gli studiosi hanno individuato estesi stagni e persino un bacino interno, sfruttato forse anche come sicuro rifugio portuale. L’immagine poetica di Virgilio quando nell’Eneide descrive la costa ostiense è per l’arcaica età di Enea molto nitida (VII, 29-36): Il mare ormai rosseggiava di raggi e dall’alto etere splendeva la biga della gialla Aurora splendeva, quando i venti cessarono e subito ogni soffio si fermò, e sulla calma superficie risuonavano i remi. Allora Enea sul mare vide un ingente bosco. In mezzo ad esso con corso ameno il Tevere, con passo rapido e biondo di molto limo, si gettava in mare. Vari uccelli avvezzi alle rive ed all’alveo del fiume attorno e sopra volteggiavano sul bosco e col canto accarezzavano l’aria. Ordinò allora ai compagni di cambiare la rotta e volgere le prue a terra e lieto si inoltrò nel fiume ombroso.
Dunque Virgilio lascia immaginare un ampio estuario navigabile che sfociava in mare tagliando un folto bosco (il secondo sbocco a mare – il cosiddetto Fiumicino – era all’origine un canale connesso alle opere realizzate da Traiano per il rinnovamento del porto commerciale di Claudio). Eppure, a questo proposito la critica ha voluto leggere la foce anche come un vero e proprio delta. Un tale paesaggio era certamente all’epoca di Virgilio ben diverso a causa del diboscamento, anche perché Ostia allungava ormai i suoi tentacoli suburbani lambendo il mare. Già dalla prima età imperiale la fascia costiera doveva essere segnata da dighe foranee a protezione degli edifici pubblici e privati, mentre forse già da allora era in via di formazione un lungomare che collegava gli insediamenti litoranei. In epoca severiana il percorso venne attrezzato e lastricato (l’andamento, non rettilineo, è stato parzialmente riconosciuto). Non esistono ancora studi dettagliati sulle trasformazioni della costa nell’arco dei secoli dell’età imperiale. Riesce però a trasmettere efficacemente il piacere di una passeggiata sulle rive del mare l’opera apologetica del cristiano Minucio Felice. Egli parla nell’Octavius anche di barriere frangiflutti (a pettine?) presenti evidentemente in epoca severiana a protezione delle spiagge e dei quartieri suburbani (con ben attrezzati impianti termali) in caso di forti mareggiate: «E così procedendo a poco a poco tranquillamente, costeggiavamo la dolce curva del lido e alleviavamo il cammino discorrendo. Questi discorsi erano il racconto di Ottavio che parlava della navigazione. Ma quando terminammo un tratto di cammino proporzionale al nostro discorrere, ripercorrendo di nuovo la stessa via la faceva-
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Pagine precedenti: L’ansa del Tevere prima della foce. Prima di gettarsi in mare, il fiume descrive un’ansa e forma un’isola. È scavalcato dal ponte della Scafa, che coincide grosso modo con la linea di costa antica. Il mare dista oggi circa 4 km dalla città antica, che nel II secolo d.C. aveva una popolazione di più di 50.000 abitanti. Il parco archeologico di Ostia antica occupa un’area di circa 60 ettari.
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In queste pagine: Complesso delle “case a giardino”. Le cosiddette “case a giardino”, scoperte nel corso degli scavi dell’E42, costituiscono uno dei complessi edilizi residenziali ostiensi di maggior interesse. Progettate e costruite alla periferia occidentale della città in età adrianea (ca. 135 d.C.), non lontano dal mare, erano concepite per le esigenze del ceto medio ostiense. Costituite da un quadrato di 67 m di lato, sono formate da un blocco perimetrale di appartamenti e botteghe che include una grande corte, interpretata dagli scavatori come un giardino (da cui il nome), entro il quale si sviluppavano due fabbricati di forma rettangolare allungata. Le singole unità abitative anticipano le forme residenziali dell’appartamento borghese ed elaborano un nuovo stile di benessere urbano monofamiliare. Il livello di conservazione delle strutture è eccezionale, soprattutto nel caso dei pavimenti a mosaico e delle pitture parietali. Rettifilo della via Ostiense. La via, uscita dalla porta Romana, si dirigeva verso Roma. In primo piano, a sinistra, sono le terme dei cisiarii, famose per il grande mosaico pavimentale del frigidarium con la rappresentazione delle vetture da viaggio guidate dai cocchieri (i cisiarii). Sul fondo è il mastio della rocca di Giulio II, a guardia del borgo di Ostia medievale e rinascimentale.
CAPITOLO SECONDO
Il teatro e il cosiddetto piazzale delle Corporazioni. Il grande porticato divenne tra II e III secolo d.C. il centro delle contrattazioni dei principali armatori navali del Mediterraneo. La struttura, una delle grandi opere pubbliche dell’età augustea, subì considerevoli interventi di restauro all’epoca di Settimio Severo.
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Pagine precdedenti: Terme del Foro, particolare della sezione propriamente termale, originariamente coperta. Sorte nel terzo quarto del II secolo d.C. in connessione con il vicino foro, le terme, finanziate inizialmente dal prefetto del pretorio Gavio Massimo, furono sottoposte a una lunga serie di interventi trasformativi e restaurativi, almeno sino alla fine del IV secolo d.C.
mo in senso inverso. E quando giungemmo a quel luogo, dove alcune piccole imbarcazioni tirate a riva giacevano sollevate al di sopra del terriccio da travi di quercia infilate sotto, vediamo dei fanciulli che facevano a gara impegnandosi in lanci di cocci nel mare. Questo gioco consiste nel raccogliere dalla spiaggia un coccio levigato dallo sbattere delle onde e, dopo averlo afferrato di piatto con le dita, lanciarlo facendolo ruotare, disteso e radente il più possibile sulle onde, in modo che l’oggetto lanciato o sfiori la superficie del mare o nuoti via, mentre scivola con dolce slancio; oppure balzi via, sbuchi, spuntando la cresta dei flutti, mentre si innalza con salti ripetuti. Si riteneva vincitore tra i fanciulli, quello il cui coccio arrivava più lontano e saltava via più volte» (Oct., cap. 3).
Nascita, vita e morte di una città Il debutto di Roma come protagonista della politica mediterranea fu accompagnato nella seconda metà del IV secolo a.C. dalla fondazione di una serie di coloniae maritimae, tra le quali s’inserisce la costituzione alla foce (ostium) del Tevere di un avamposto che si rivelerà fondamentale per lo sviluppo della città. La posizione era davvero particolare, poiché le principali città del Lazio occidentale antico si trovavano ben discoste dal mare (si pensi a Lavinium, Ardea, Laurentum, Satricum). In questo luogo estremo non si può escludere la presenza di un santuario o di altre forme insediative, a dispetto della fitta copertura boschiva, come suggerisce insistentemente la tradizione storiografica romana: essa fa risalire all’iniziativa di Anco Marzio, quarto della serie dei re, l’origine di Ostia. La ricerca archeologica ha potuto accertare la costituzione nel IV secolo di un solido nucleo insediativo rettangolare (193 x 125 m) con quattro porte. A questo centro il nome di castrum è attribuito dalla critica solo convenzionalmente. Infatti le sue funzioni andarono ben al di là delle strette esigenze di controllo militare, poiché l’insediamento era preposto alla gestione delle funzioni portuali della foce, allo sfruttamento del patrimonio boschivo, degli spazi agricoli e anche delle saline. Con queste premesse, e in conseguenza del decollo economico della città madre, Ostia vive una progressiva crescita urbanistica sotto la protezione del dio Vulcano e delle divinità ospitate all’interno delle mura, oltre che in eminenti santuari extraurbani. Il centro era collegato a Roma con la via Ostiense, ed era in contatto con l’entroterra per mezzo di una via (la cosiddetta via Laurentina)
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Terme della Marciana. Quasi affacciate sulla riva del mare, le terme vennero erette sotto Traiano. Gli scavi, condotti fin dal XVIII secolo, hanno portato alla luce notevoli gruppi scultorei e anche i ritratti di Plotina e Marciana, rispettivamente moglie e sorella di Traiano. Il complesso ebbe lunga vita, e ancora all’epoca di Teoderico era sottoposto a restauri conservativi. Terme del Mitra. Scavate tra il 1939 e il 1940, vennero costruite in epoca adrianea, modificate in epoca severiana e successivamente restaurate nel primo quarto del IV secolo. Il complesso prende il nome dalla statua di Mitra rinvenuta nel mitreo collocato nei sotterranei.
che usciva dalla porta meridionale delle mura. L’asse principale del castrum – parallelo al corso del Tevere – una volta uscito dalla porta occidentale si biforcava: le due vie puntavano risolutamente l’una verso la foce, l’altra verso la spiaggia. Una formula elementare quanto efficace che è alla base dei sistemi viabilistici di molte città romane. In realtà il profilo urbanistico e il tessuto edilizio dell’abitato sono conosciuti archeologicamente soprattutto a partire dal I secolo a.C. Sotto il consolato di Cicerone (63 a.C.) – e non all’epoca di Silla, come si riteneva fino a qualche anno fa – Ostia viene dotata di un’ampia cerchia di mura, conosciuta solo parzialmente. Il tratto in cui le mura fiancheggiavano la riva del fiume è ancora da indagare. La superficie abitata passava così da 2,5 a 77 ettari con un circuito murario di circa 4.000 metri. In età augustea la città è tenuta in notevole considerazione dal potere centrale, ed è proprio in questo periodo che viene edificato il monumentale teatro. In età giulio-claudia l’espansione urbana prosegue, emergendo nel contempo con chiarezza l’insufficienza di una sola città alla foce a fronte della moltiplicazione del volume dei traffici commerciali di età imperiale. Sotto questa urgenza è dunque aperto il nuovo porto di Claudio sull’opposta riva del fiume. L’impresa consente di accogliere grandi navi da carico che, di fronte a Ostia, dovevano limitarsi a sostare in rada. Nell’arco di un secolo l’area della foce è destinata a trasformarsi in una grande conurbazione. A partire dall’età traianea e da quella adrianea Ostia vive una sorta di rivoluzione urbanistica: da una parte sono ricostruiti il foro e i principali edifici pubblici del centro, dall’altra l’espansione urbana va ben al di là dei limiti delle mura repubblicane. La «colata di cemento» raggiunge la riva del mare e investe perfino i terreni agricoli centuriati. Sotto Adriano sono sperimentate nuove forme di edilizia privata residenziale per l’agiata borghesia locale: esemplare è a tale proposito il caso del grande “residence” detto delle «case a giardino». Un’iscrizione dedicatoria all’imperatore (CIL XIV 95) è posta dalla «colonia Ostia conservata et aucta omni indulgentia et liberalitate eius». Tra II e III secolo si moltiplicano gli impianti termali, segni monumentali del benessere (la città è servita da un imponente acquedotto). Si pensi alle centralissime terme del Foro, ma anche alle terme del Nettuno o alle terme del Mitra. Fuori città sorgono le terme della Marciana, mentre le cosiddette terme Marittime si impiantano a cavallo delle mura, a dimostrazione dell’ormai definitivo svuotamento di ogni valore difensivo delle mura. Alla metà del III secolo Ostia condivide con Roma la di-
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mensione di città aperta, senza confini e senza mura, e ne riflette anche la condizione multiculturale e multireligiosa: sono ben attestati non solo il culto di Cibele e Iside, ma anche mitraismo e cristianesimo. I cristiani di Ostia sono organizzati dal IV secolo intorno a una grande cattedrale intramurana, alla quale si accedeva dalla cosiddetta via del Sabazeo presso le mura, mentre fuori città dispongono di una chiesa cimiteriale nell’area di Pianabella. Nel V secolo Ostia tende a cedere il passo a Portus, che, soprattutto a partire dall’epoca di Traiano aveva sviluppato la sua vocazione urbana. Tuttavia l’insediamento ostiense si esaurirà in tempi lunghi, restringendosi progressivamente nei quartieri centrali. Risale al IX secolo una sorta di rifondazione in altro sito, per iniziativa di papa Gregorio IV, che da lui prenderà il nome di Gregoriopoli. L’insediamento era raccolto intorno alla piccola chiesa cimiteriale di S. Aurea, che alla fine del IV secolo aveva accolto le spoglie di Monica, madre di sant’Agostino. Intorno al 1162 l’antico areale della città era frequentato solo in ragione dell’esistenza di un piccolo oratorio, costruito in ricordo di martiri locali come Ciriaco presso il teatro e oggi conservato solo assai limitatamente. In quel tempo l’antica città era ormai definitivamente in rovina.
Dalle spoliazioni agli scavi archeologici Per secoli Ostia, ridotta a vera e propria selva di ruderi, ha rappresentato una delle più grandi cave di materiali lapidei e laterizi di tutta Italia. I cantieri delle monumentali basiliche romane, ma anche di cattedrali di città lontane da Roma, come Pisa e Orvieto, si sono ampiamente rifornite di materiali edili ostiensi, e il fenomeno si protratto per secoli. Tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento Ostia ha attratto la curiosità degli antiquari e alimentato i musei pontifici, in particolare negli anni di Pio IX, tra il 1855 e il 1870. Dopo il 1870 indagini propriamente archeologiche vennero avviate dapprima per iniziativa di Rodolfo Lanciani (1877-1889) e poi – portata a compimento la bonifica del territorio e debellata la malaria, e dunque risolte le gravi avversità ambientali – sotto la guida di Dante Vaglieri all’inizio del Novecento (1908-1913). Le ricerche ebbero un impulso particolare a partire dal 1911, anno delle celebrazioni del cinquantenario del regno, quando la storica prima fotografia aerea dal pallone fornì l’evidenza di una città sepolta oltre che di un paesaggio fortemente dinamico a causa della mobilità del corso del Tevere e della ritmata progressione della linea di costa. Il patrimonio di conoscenze fu straordinariamente implementato nel ventennio fascista, soprattutto tra il 1938 e il 1942, sfruttando i grandi finanziamenti legati al progetto dell’E42, l’Esposizione Universale prevista dal regime per il 1942 e non svolta a causa della guerra (che fu all’ori-
gine del moderno quartiere dell’EUR). Lo straordinario impegno profuso restituì circa 34 ettari della città antica, trasformando una plaga desolata della costa romana in uno dei parchi archeologici più ampi e famosi dell’intero mondo antico, con edifici conservati in altezza fino al primo, o persino al secondo piano. Nel dopoguerra il sito ha costituito la palestra nella quale si sono esercitate le metodologie innovative e le qualità scientifiche delle principali scuole archeologiche. Si collocano in questo periodo le ricerche svolte per lunghi anni dall’Università di RomaLa Sapienza nel sito delle cosiddette terme del Nuotatore. Gli anni Novanta del Novecento sono stati caratterizzati non solo da diverse campagne di scavo di équipe provenienti da vari paesi, ma anche da una sistematica campagna di prospezioni geologiche condotta dall’Istituto Archeologico Germanico (Deutsches Archäologisches Institut) di Roma. Le indagini – soprattutto geoelettriche e geomagnetiche – hanno offerto un’immagine nuova di Ostia, soprattutto in termini di estensione territoriale dell’area urbanizzata, di conoscenza dell’areale agricolo periurbano e di scoperta di singoli complessi infrastrutturali o edilizi. È infatti ormai provato che il processo di urbanizzazione colmò non solo l’intero spazio intramurano, ma interessò anche larghi settori del suburbio meridionale e del Trastevere ostiense. La cerchia di mura del I secolo a.C. era stata realizzata sottostimando dunque ampiamente le possibilità di sviluppo della città, al punto da risultare nel VI secolo del tutto fagocitata e annullata agli occhi di Procopio, che la riteneva appunto priva di mura. Da più di un decennio il lavoro degli archeologi trova inoltre un supporto anche nello spazio virtuale del web. Nel 2001 Ginevra ha ospitato una grande mostra che ha offerto l’occasione per fare il punto su tutte le conoscenze acquisite sino a quel momento, grazie al lavoro di archeologi come Dante Vaglieri, Italo Gismondi, Guido Calza e Giovanni Becatti, che hanno grandemente contribuito a disvelare il tessuto urbano della città, porto e porta di Roma sul Mediterraneo. L’avvicinamento alla conoscenza di Ostia e Portus non si esaurisce però nella visita dei due attuali parchi archeologici, frammentati peraltro in singoli complessi di grande interesse (tra questi spiccano la straordinaria testimonianza offerta complesso funerario di porta Laurentina e dall’area cimiteriale tardoantica di S. Ippolito, ma soprattutto dalla necropoli monumentale di Portus sull’Isola Sacra). La comprensione dei siti è affidata anche alle strutture museali: oltre all’Antiquarium Ostiense vanno segnalati il Museo delle Navi di Fiumicino, il Museo della via Ostiense (all’interno di porta S. Paolo), il Museo nella rocca di Giulio II nel Borgo di Ostia e il Museo dell’Alto Medioevo all’EUR, che offre attualmente la ricostruzione della monumentale decorazione parietale a intarsio marmoreo di una grande villa tardoantica sulla riva del mare ostiense (detta appunto di porta Marina).
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In queste pagine: Il Capitolium, affacciato sul foro con la grande gradinata di accesso alla cella. Area del foro e ansa moderna del Tevere. L’area è dominata dal grande Capitolium di epoca adrianea.
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Pagine seguenti: Complesso edilizio tra il cardo degli Aurighi e la via della Foce. Sono visibili tre corpi di fabbrica eccezionalmente conservati in elevato (II-III secolo d.C.): il caseggiato di Serapide, le terme dei Sette Sapienti e il caseggiato degli Aurighi. Il primo è celebre per la figura a stucco di Serapide; il secondo, con mosaici pavimentali di straordinario pregio, è dotato di una latrina con raffigurazione ad affresco dei Sette Sapienti; il terzo conserva affreschi raffiguranti aurighi vincitori nel circo. Bacino esagonale di Traiano, sulla riva destra del Tevere.
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CAPITOLO TERZO TARDA ANTICHITÀ E CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI Paolo Liverani
Solo negli ultimi decenni la tarda Antichità ha avuto il peso che merita nel panorama degli studi su Roma. In precedenza un’archeologia troppo dominata dall’ideale classico aveva trascurato questo periodo o lo aveva considerato, riduttivamente, come capitolo secondario dell’archeologia cristiana. Una recente stagione di scavi e ricerche ha invece rinnovato profondamente l’immagine della città nella transizione tra evo antico e medio. Probabilmente a questo risveglio di interesse non è estranea la sensazione contemporanea di trovarsi in un’epoca di passaggio che – a torto o ragione – sembra trovare corrispondenze anche nella tarda Antichità. Grazie agli scavi – innanzitutto quello dell’area centrale dei fori Imperiali – e a un approccio rinnovato nel metodo e nella prospettiva si conosce oggi assai meglio l’evoluzione urbana dal IV al VII secolo. In questo arco di tempo si riscontra certamente una progressiva semplificazione e contrazione di quella che era la complessa organizzazione amministrativa e monumentale dell’antica capitale, un progressivo e talvolta drastico calo demografico, nonché una altrettanto netta diminuzione di risorse. In una visione d’insieme, però, colpisce almeno altrettanto la ristrutturazione e la differente distribuzione di funzioni, il sorgere di nuovi poli urbanistici, sociali e amministrativi, i cambiamenti dei percorsi attraverso i quali si configura la città. È d’altronde proprio una visione di questo tipo, cioè per grandi linee, quella che si può ottenere da una panoramica dall’alto che – se perde qualche cosa per l’impossibilità di calarsi nelle viscere della città – guadagna d’altro canto una certa essenzialità e ricava dalle emergenze o sopravvivenze monumentali poli, percorsi e confini. Se per il periodo precedente la storia urbanistica di Roma
poteva essere narrata – probabilmente in maniera riduttiva – come la successione delle iniziative prese dai diversi imperatori, il panorama tardoantico è più complesso: gli attori che indirizzano, assecondano o sanciscono i mutamenti urbani sono molteplici. L’imperatore – sempre più spesso residente nelle altre capitali imperiali e soprattutto a Costantinopoli – mantiene ancora un certo controllo dell’attività edilizia e, soprattutto per il IV e V secolo, svolge ancora un ruolo attivo. Tuttavia a compensare l’assenza dell’imperatore emergono prima il Senato romano e l’alta burocrazia imperiale – a cui è delegata l’amministrazione – in secondo luogo la Chiesa romana, a cui la legislazione imperiale e la dinamica storica trasferirà progressivamente una serie di competenze civiche, attribuendole un ruolo sempre più protagonista. In breve Roma diventa, per così dire, meno capitale e più città. Le conseguenze di questo processo per il tema qui affrontato sono evidenti: chi voglia seguire almeno nelle grandi linee l’evoluzione della Roma tardoantica e paleocristiana deve innanzitutto abbandonare qualche vecchia abitudine. La caduta dell’impero romano d’Occidente, con la destituzione di Romolo Augustolo da parte del re goto Odoacre nel 476, resta una data simbolica, ma ha sempre meno significato agli occhi degli storici che – per citare Arnaldo Momigliano – parlano di una «caduta senza rumore» dell’impero d’Occidente. Ciò vale a maggior ragione per chi studia un organismo come quello della città, dove le cesure non risentono tanto di un cambio di governo, quanto piuttosto della diversa configurazione dell’economia e dell’amministrazione, dell’andamento demografico e dei valori sociali dominanti che identificano e modificano i poli di riferimento della vita urbana. Se si scende a un’analisi più dettagliata, si nota subito che
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il vecchio centro sociale e amministrativo della città – foro Romano e fori Imperiali – mantiene ancora a lungo le sue funzioni di rappresentanza e, in maniera più ridotta, quelle politiche, ma con una graduale restrizione degli spazi, i quali progressivamente ricevono differenti destinazioni d’uso. Nel foro Romano, per esempio, si conoscono importanti restauri ancora nel corso del IV secolo: si pensi al portico degli Dèi Consenti, subito sotto il Campidoglio, e – a poca distanza – al tempio di Saturno (l’erario dello Stato), interventi che sono ovviamente anteriori alle costituzioni imperiali di Teodosio e dei suoi figli, che dal 391 in poi stabiliscono la chiusura dei luoghi di culto pagani. Anche la Curia – sede del Senato – conosce diversi interventi di restauro sia all’edificio che alle sue immediate adiacenze. Ancora nel 608 è attestato un ultimo intervento – di scarso impegno a dire il vero – l’erezione cioè sulla colonna al centro del foro della statua dell’imperatore bizantino Foca, che dovette sostituire quella di qualche precedente imperatore: la colonna infatti era stata eretta già durante l’ultimo grande intervento organico sulla piazza, quello di Diocleziano. In epoca successiva si assiste all’impianto di botteghe attive nel recupero di marmi e metalli fino all’alluvione del IX secolo, che interra il lastricato secolare. Una storia diversificata è invece quella dei fori Imperiali. Le trasformazioni più precoci sono quelle del foro della Pace – costruito da Vespasiano e completamente rifatto da Settimio Severo. Già nel IV secolo, infatti, vi vengono costruiti piccoli ambienti e un’ampia fontana, destinando a scopi utilitari uno spazio di rappresentanza. Forse le nuove opere servirono a ospitare alcune delle funzioni che – come il mercato delle spezie – dovettero essere spostate per liberare l’area destinata alla basilica di Massenzio. Nel VI secolo si assiste a un interro e abbandono di questo foro, una parte del quale è adattata addirittura a necropoli. Il foro di Cesare conosce estesi restauri all’inizio del IV secolo, ma nel corso del V il tempio di Venere Genitrice – che ne costituiva il punto focale – iniziò a essere spogliato della sua ornamentazione: di qui infatti provengono i capitelli e le basi delle colonne che papa Sisto III (432-440) riutilizzò per l’atrio d’ingresso del battistero lateranense. Al VI secolo infine risalgono i primi interri, spia di un abbandono ormai inarrestabile. Tra la fine V e gli inizi VI secolo si trovano le prime testimonianze della perdita di significato anche del foro di Augusto: su una colonna del tempio di Marte Ultore, già in posizione giacente, venne inciso il nome di Decio, al
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genitivo. Può trattarsi di Basilio Decio console del 486, prefetto urbano e prefetto del pretorio, oppure di Flavio Decio console del 529 e patrizio nel 546. L’iscrizione deve indicare la proprietà del blocco di marmo, il che è indice della demolizione e riuso dei suoi marmi, nonché della privatizzazione di beni un tempo demaniali. In altre parole un privato mette il suo nome sulle colonne di un edificio pubblico riservandosene lo sfruttamento. Qualcosa di simile è noto anche per il Colosseo, dove si trova iscritto su un blocco, ancora oggi in posto nella parte alta dell’edificio, il nome di un certo Gerontius, che ricoprì importanti cariche nella Roma di Teodorico e che morì nel 523. Si conserva assai più a lungo nel suo aspetto e nella sua destinazione pubblica il foro di Nerva o Transitorio: la piazza di forma allungata che ricalcava l’antichissimo percorso dell’Argileto, tra foro Romano e Suburra. Non sembra infatti che l’area venga destinata a impieghi troppo difformi da quelli originari almeno fino all’VIII secolo. Ancora nel terzo quarto di questo stesso secolo l’Itinerario di Einsiedeln – una sorta di guida del pellegrino che descrive i principali percorsi attraverso la città con i monumenti classici e cristiani che vi si affacciano – attribuisce addirittura il nome di «foro romano» a questa piazza invece che a quella classica. Il foro di Traiano infine è certamente quello che mantiene più a lungo il suo prestigio. È famosa la descrizione che lo storico Ammiano Marcellino ha lasciato dello stupore che prese il pur sussiegoso Costanzo II, in visita all’antica capitale nel 357: di fronte alla piazza enorme e al colossale cavallo bronzeo con la statua di Traiano, l’imperatore esclamò che avrebbe voluto avere un cavallo simile. Al suo fianco, però, il principe persiano Ormisda gli rispose scherzando che prima sarebbe stata necessaria una stalla adatta, alludendo alle dimensioni del foro. Il complesso traianeo è ancora decantato da Procopio nel VI secolo e l’ultimo intervento di manutenzione della pavimentazione è della prima metà del IX secolo, in età carolingia. Poco dopo anche questo verrà smantellato e interrato. Secondo un’ipotesi recente le lastre della sua pavimentazione potrebbero essere servite per la calce necessaria alla costruzione delle mura della Città Leonina, erette da papa Leone IV per difendere S. Pietro e il borgo circostante dopo la razzia saracena. Dalle linee di continuità, passiamo a esaminare le novità e dal centro storico spostiamoci al limite esterno della città. L’elemento monumentale più appariscente aggiunto nel III secolo sono ovviamente le mura aureliane. Il circuito
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difensivo, ripristinato dopo un lunghissimo periodo privo di minacce esterne, aveva inciso profondamente nel tessuto cittadino, attraversando i parchi imperiali, demolendo o inglobando costruzioni di vario tipo e stabilendo una demarcazione rigida tra la città e il mondo esterno, ma aveva progressivamente condizionato anche l’ulteriore evoluzione dell’organismo cittadino. Venivano infatti definiti i punti di accesso e posti dei vincoli urbanistici, che si sarebbero mantenuti con poche differenze fino alla presa di Roma del 1870. Anche l’organizzazione dei trasporti sul fiume fu modificata sensibilmente in quanto il punto di sbarco dei carichi che risalivano dal porto di Ostia venne spostato più a valle delle mura e si dovette realizzare un nuovo sistema logistico per il trasporto in città delle derrate e delle merci e per la loro distribuzione. L’efficienza delle mura sarebbe rimasta una costante preoccupazione della città, soprattutto nei momenti più critici. Un primo restauro fu realizzato da Massenzio che temeva – a ragione – l’arrivo del rivale Costantino. Le mura aureliane erano state infatti pensate per reggere assalti di breve durata: scorrerie, più che veri assedi, come potevano essere quelle delle orde degli Alamanni o degli Iutungi, che minacciavano le frontiere nord-orientali dell’Italia alla fine del III secolo. Difficilmente avrebbero retto invece di fronte a un esercito come quello di Costantino, esperto negli assedi e dotato di abili genieri. Fu per questo che, alla fine, Massenzio dovette accettare battaglia in campo aperto a Grottarossa, con l’esito per lui tragico che tutti conoscono. Una soluzione radicale del problema doveva arrivare solo con Onorio, l’unico imperatore che tra IV e V secolo prese sul serio Roma come sede imperiale. Nel 403, infatti, questi promosse un sostanziale potenziamento delle difese che vennero raddoppiate in altezza con una serie di accorgimenti per rendere più efficienti le torri e meglio munite le porte. Tali provvedimenti non riuscirono però a fermare i Goti di Alarico, che entrò con il tradimento da porta Salaria nel 410, l’avvenimento più scioccante che Roma avesse conosciuto in otto secoli, dall’epoca delle invasioni galliche. Neanche Annibale, infatti, era riuscito ad arrivare sotto le mura, accontentandosi di fermarsi a otto miglia dalla città. Ulteriori interventi di un certo significato sono da attribuire ancora a Teodorico che – forse dopo il terremoto del 502 – diede la forma che oggi conosciamo a porta S. Sebastiano e intervenne probabilmente anche su porta Flaminia (non più esistente) e sul settore delle mura dell’antico Castro Pretorio, come mostrano i resti delle torri pentagonali caratteristiche di questo periodo.
Facciamo però un passo indietro e torniamo a Costantino. Gli interventi sul patrimonio monumentale civile della città sono significativi, ma – a parte un caso – non sono i più famosi: si tratta del completamento della basilica di Massenzio, della realizzazione delle terme di Costantino, delle terme Eleniane e della Porticus Constantini, degli interventi sul palazzo imperiale del Sessorium presso S. Croce in Gerusalemme, dei restauri al Circo Massimo e all’Aqua Virgo. Una serie di archi monumentali sono legati al suo nome con diverso grado di certezza: uno è quello di Malborghetto – posto a nord della città, al XIX chilometro della via Flaminia – un arco quadrifronte in laterizio originariamente rivestito di marmo, che in genere viene considerato un ricordo della sua “marcia su Roma” e della vittoria su Massenzio. Il secondo è quello in travertino, pure quadrifronte, detto popolarmente arco di Giano, che si trova al foro Boario, tra Campidoglio e Tevere. L’ultimo è quello famosissimo, eretto dal Senato in suo onore vicino al Colosseo, anch’esso per commemorare la vittoria su Massenzio e inaugurato in occasione della seconda visita dell’imperatore a Roma nel 315. L’arco di Costantino è un monumento altamente simbolico per il suo complesso programma decorativo e per il fatto che venne realizzato attraverso un massiccio reimpiego di elementi architettonici e di fregi scultorei di epoche differenti a integrazione delle parti realizzate ex novo. I rilievi sui lati lunghi dell’attico derivano forse da un arco di Marco Aurelio, quelli con scene di battaglia nel fornice principale e sui lati corti dell’attico sono in genere attribuiti al foro di Traiano assieme alle statue di prigionieri daci sul coronamento, mentre più discussi sono i tondi adrianei. Sui fregi sopra i fornici minori, scolpiti invece espressamente per l’occasione, è celebrata la sua discesa in Italia: l’assedio di Verona, la battaglia di ponte Milvio e l’avvento trionfale a Roma. Il nome di questo imperatore, però, è soprattutto legato a un mutamento di enorme importanza: il cristianesimo, fino allora religione minoritaria e fuori legge (superstitio illicita) venne legittimato e anzi incoraggiato. L’imperatore stesso alla fine della sua vita si fece battezzare, ma già subito dopo la conquista di Roma e la concessione della libertà di culto (313) iniziò a far costruire a sue spese le prime basiliche cristiane. Fino a quell’epoca, infatti, le comunità si erano riunite in maniera più o meno clandestina in abitazioni private messe a disposizione dai membri più agiati. Di queste, però, a Roma non abbiamo alcuna traccia sicura – tranne forse nel caso dei Ss. Giovanni e Paolo sul Celio. La prima vera basilica dell’antica capitale
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Terme di Diocleziano. Le terme, sorte sul colle Esquilino, sono il complesso termale piÚ grande di Roma. Il corpo principale venne trasformato da Michelangelo nella basilica di S. Maria degli Angeli. Le aule sulla destra sono ora occupate da Museo Nazionale Romano, che comprende anche il chiostro di quella che era la Certosa di Roma. Sullo sfondo compaiono i palazzi dei ministeri, costruiti nella seconda metà dell’Ottocento per trasformare Roma nella capitale del nuovo stato unitario.
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Mura aureliane, angolo sud- orientale tra porta S. Sebastiano e porta Latina. Ăˆ uno dei tratti meglio conservati del circuito delle mura, anche dal punto di vista ambientale.
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Porta S. Sebastiano. Porta Appia (oggi porta S. Sebastiano) appare nelle sua imponenza dopo gli interventi di rafforzamento delle difese e innalzamento delle torri dovuti a Onorio e Teoderico. Il camminamento sulla destra può essere ancora percorso per un buon tratto a partire dal Museo delle Mura, ospitato nelle torri.
Arco di Costantino. L’arco (315 d.C.) ricorda l’ingresso a Roma dell’imperatore dopo la vittoria su Massenzio. Sorge tra Colosseo e Palatino, lungo il percorso che gli imperatori seguivano per il trionfo e l’adventus (arrivo solenne). Di fronte all’arco è la fondazione circolare della Meta Sudans, la fontana che, sopravvissuta fino al secolo scorso, fu rasa al suolo nel periodo fascista per dare spazio alle manifestazioni di regime.
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Pagine precedenti: Ponte Milvio. Si tratta del ponte che permetteva alla via Flaminia di superare il Tevere. Parte dei piloni – in tufo – risale ancora all’età romana; il resto è stato più volte ricostruito. L’aspetto attuale gli è stato attribuito dal restauro di Giuseppe Valadier (1805). La fama del ponte è legata alla battaglia del 312 con cui Costantino sconfisse e uccise il rivale Massenzio, impossessandosi di Roma.
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dunque fu la basilica del Salvatore, la cattedrale che oggi è meglio conosciuta con l’intitolazione di S. Giovanni in Laterano. Per la sua erezione l’imperatore rase al suolo la caserma degli Equites Singulares, i Cavalieri Scelti che costituivano la guardia del corpo del rivale Massenzio. L’area era periferica, posta a ridosso delle mura aureliane in prossimità dell’accesso della via Tuscolana. Poco possiamo riconoscere oggi delle strutture originali della basilica: senza contare i numerosi interventi medievali, le murature paleocristiane vennero inglobate dal restauro seicentesco del Borromini, che ne ridisegnò l’interno nelle forme attuali. Da piante e vedute anteriori all’intervento barocco e dagli scavi archeologici si può però avere un’idea abbastanza precisa della pianta. L’edificio si articolava in cinque navate con una lunghezza di circa 105 m per 56 di larghezza. La navata centrale, molto più larga e alta in modo da permettere un’abbondante illuminazione dalle finestre, contava 21 colonne per lato alte quasi 10 m. Al termine si apriva una grande abside, mentre le navatelle minori esterne si allargavano lateralmente a formare quello che è stato definito uno “pseudo-transetto”, in quanto non si estende a tutte le navate. È una soluzione architettonica che non ebbe seguito, ma si deve tenere conto che questa basilica presenta molte anomalie, rispetto alle soluzioni più largamente adottate nei secoli successivi, proprio a causa del suo carattere fortemente sperimentale. Alle spalle della basilica lo stesso imperatore costruì anche il primo battistero della cristianità occidentale approfittando di un complesso termale, forse al servizio della caserma. La pianta ottagonale dell’edificio – ancora oggi ben conservata – sarebbe stata destinata a una grandiosa fortuna in tutta Europa, attraverso la mediazione del battistero di sant’Ambrogio a Milano che ne aveva ripreso l’idea planimetrica. Nel corso del IV secolo, ma in un momento difficilmente precisabile, le Aedes Laterani – la ricca casa che il generale di Settimio Severo Tito Sestio Laterano aveva ricevuto in dono dall’imperatore – entrarono a far parte della proprietà ecclesiastica e furono trasformate nella sede ufficiale del vescovo romano, nonché dell’amministrazione della diocesi. L’episcopio crebbe a dismisura durante il Medioevo, ma di esso sono giunte solo alcune vedute rinascimentali e qualche pianta: papa Sisto V (1585-1590) infatti lo distrusse quasi completamente considerandolo cadente e inadatto e lo sostituì con l’attuale Palazzo Apostolico Lateranense. Solo qualche piccola parte della struttura tardoantica e alto-medioevale sopravvive oggi, inglobata nel Sancta Sanctorum e nel santuario della Scala Santa subito a nord-est della basilica.
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Pagine seguenti: Basilica di S. Sebastiano. La basilica risale all’età costantiniana, quando portava il nome di basilica Apostolorum. Ancor prima della costruzione, alla metà del III secolo d.C., è infatti attestato nel luogo il culto degli apostoli Pietro e Paolo. La basilica sorge su uno degli accessi al fitto ed esteso reticolo delle catacombe di S. Sebastiano, uno dei complessi più antichi destinato alla sepoltura dei primi cristiani.
Una traccia dell’antica struttura rimane però nel nome: è infatti da questa ricca casa che la basilica e il complesso monumentale ereditò il nome di Laterano, in uso fino ai nostri giorni. L’altra grande basilica di Costantino è quella posta all’estremità opposta della città, sul lato destro del Tevere. Si tratta della basilica vaticana di S. Pietro, che sorse sulla tomba dell’apostolo e, più precisamente, fece coincidere il centro dell’abside con la tomba, che già verso la metà del II secolo era stata segnalata da una edicola funeraria. A dire il vero la zona era inadatta a una costruzione così grandiosa per due motivi: innanzitutto era situata su un pendio irregolare e fu necessario un notevole sforzo ingegneristico per realizzare il grande terrazzamento sostenuto a valle da un poderoso muro di sette metri di altezza. Il secondo problema era di natura differente: l’area era occupata da necropoli e, secondo il diritto romano, la sepoltura era un locus religiosus, era sottoposta cioè a vincoli che vietavano demolizioni e spostamenti. L’imperatore, però, ricopriva anche la carica di Pontefice Massimo – la più alta autorità pagana – che poteva autorizzare deroghe al diritto sacrale. Il problema si sarebbe riproposto in forme differenti anche per le altre basiliche martiriali che fanno corona alla città. In breve, la serie delle grandi basiliche cristiane poté essere costruita solo grazie alle attribuzioni sacerdotali pagane di Costantino, una contraddizione tipica di quest’epoca di passaggio. S. Pietro era ancora più imponente della cattedrale: dalla porta d’ingresso all’abside era lunga 123 m, le cinque navate erano larghe complessivamente 66 metri e suddivise da una selva di 88 colonne, l’apice del tetto raggiungeva quasi 39 m di altezza rispetto al pavimento della chiesa, il transetto era largo 90 m. A queste dimensioni si doveva aggiungere l’atrio d’ingresso formato da un cortile quadrato circondato da portici, che fu probabilmente terminato sotto i successori di Costantino. La basilica, costruita negli anni venti del IV secolo, mostrava già una maggiore maturità architettonica, con un vero transetto distinto chiaramente dalle navate a sottolineare la posizione della tomba dell’apostolo. Anche di questa basilica, purtroppo, possediamo pochi resti: nel Rinascimento l’antico edificio mostrava forti problemi statici e limiti di capienza e fu completamente ricostruito nelle forme che oggi conosciamo. Con queste due basiliche Costantino aveva posto le basi per lo sviluppo di due importantissimi poli urbanistici destinati ad acquisire sempre maggiore importanza nei
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secoli successivi. Gli altri cantieri costantiniani, benché importanti, non avranno lo stesso peso urbanistico. Per san Paolo, sepolto poco fuori Roma sulla via Ostiense, Costantino costruì una basilica di scala assai più ridotta. Pure in questo caso si avevano problematiche non troppo differenti da quelle della basilica di S. Pietro. L’Apostolo delle genti, infatti, aveva una tomba in mezzo a una necropoli pagana e si scelse di costruire la basilica ponendo la tomba al centro dell’abside. La distanza tra la tomba e la strada, però, non era grande mentre sul lato opposto correva una via di minore importanza e quindi si apriva la piana della riva del Tevere, spesso soggetta a straripamenti. Lo spazio disponibile, quindi, non era molto, né si poteva facilmente modificare il percorso dell’Ostiense perché in questo tratto la via correva ai piedi di una collina. Visti i notevoli ostacoli già superati in Vaticano, forse ci si sarebbe aspettato un pari impegno, ma – pur essendo già chiaro alla coscienza della Chiesa romana che Pietro e Paolo erano le “colonne” su cui posava la sua autorità – si scelse una soluzione meno impegnativa. L’originaria basilica – di cui recentemente è stato riscoperto un breve tratto dell’abside – dovette essere lunga solo una ventina di metri e larga in proporzione. Fu solo nel 386 che gli imperatori Valentiniano II, Arcadio e Teodosio decisero di erigere una nuova basilica di forma e dimensioni simili a quella vaticana, per ribadire anche liturgicamente la pari dignità dei due martiri. Purtroppo anche questa chiesa è sostanzialmente perduta, a causa del terribile incendio che la distrusse nel 1823, e ce ne rimane la fredda ricostruzione di Luigi Poletti, assieme alle piante realizzate prima del disastro e ai resti inglobati dalla nuova costruzione. Per completare il panorama sulle basiliche costantiniane vanno ricordate più brevemente quelle che vennero costruite da quest’imperatore – o dai suoi familiari – nell’area suburbana, di solito in connessione con tombe di importanti martiri, a formare una corona attorno alla città. Tutte avevano una pianta particolare mai più utilizzata in seguito: a tre navate con un deambulatorio che dalle navate minori girava dietro all’abside, mentre quella centrale era come al solito più elevata. Sulla via Appia venne dunque eretta la Basilica Apostolorum, dedicata congiuntamente ai santi Pietro e Paolo – oggi meglio nota come S. Sebastiano – in un punto dove già dalla metà del III secolo si celebravano i due santi nella ricorrenza del 29 giugno. Curiosamente la basilica sorgeva a poca distanza dalla grande villa del rivale Massenzio, dotata di un grande circo ancora ben riconoscibile e di un mausoleo circolare per il figlio Romolo.
Procedendo in senso antiorario, sulla via Labicana si incontra la basilica dedicata ai santi Pietro e Marcellino: sul lato che normalmente ospitava l’accesso alla basilica sorgeva invece un grande mausoleo circolare che avrebbe accolto il corpo della madre di Costantino, sant’Elena. Il suo sarcofago in porfido, conservato nei Musei Vaticani, è decorato con scene militari che poco si intonano con la sepoltura di una donna e che hanno fatto pensare che il mausoleo e il sarcofago fossero destinati inizialmente a un membro maschile della famiglia imperiale, forse allo stesso Costantino. Sulla via Tiburtina sorse la basilica di uno dei santi più venerati a Roma, san Lorenzo. Ancora oggi accanto ad essa si estende il cimitero monumentale storico della città moderna. La basilica originaria non è più visibile e quella che oggi ne porta il nome è un edificio più tardo costruito a nord del primo per successivi ampliamenti accanto a un’area cimiteriale. Sulla via Nomentana la figlia Costanza, o forse più probabilmente Costantina, costruì una grande basilica di un sottotipo particolare: gli ultimi studi hanno riconosciuto infatti la rara presenza di matronei al di sopra delle navate laterali. Sul suo fianco sinistro, presso l’ingresso, Costanza fece erigere in un secondo momento anche il suo mausoleo circolare, ancora ben conservato con un importantissimo ciclo di mosaici. A queste fondazioni, meglio conosciute, si possono probabilmente aggiungere ancora almeno due basiliche dello stesso tipo: la basilica anonima della via Prenestina, che solo per ragioni tipologiche può essere attribuita a Costantino, ma di cui non si è potuto finora identificare il nome, e quella recentemente scoperta sulla via Ardeatina, che con molta verosimiglianza fu costruita da papa Marco nel 336 grazie al sostegno dell’imperatore. Tornando all’interno delle mura, non si può dimenticare un’ultima basilica, quella di S. Croce in Gerusalemme, non lontana dal Laterano, che secondo la tradizione sant’Elena avrebbe realizzato adattando un’aula di udienza del palazzo imperiale, il Sessorium, destinandola alla venerazione delle reliquie della croce del Salvatore. Secondo una tradizione forse leggendaria attestata in epoca alquanto successiva – fine IV secolo – tali reliquie sarebbero state scoperte in Terra Santa dalla stessa madre dell’imperatore con quello che si può considerare il primo scavo di archeologia cristiana. Alcune delle basiliche suburbane declinarono in età medioevale, ma tre di esse mantennero una speciale importanza e formavano i vertici di una sorta di triangolo presi-
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In queste pagine: Mausoleo di Torpignattara. Il mausoleo, circolare, prende il nome dalle anfore (pignatte) inserite nella volta, oggi crollata, per alleggerirne la muratura. Annesso alla basilica dei Ss. Marcellino e Pietro, era stato costruito da Costantino e ospitava la sepoltura di Elena, madre dell’imperatore, nel grande sarcofago in porfido oggi conservato nei Musei Vaticani.
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Basilica e mausoleo di Tor de’ Schiavi. Al terzo miglio della via Prenestina sono i resti di una grande basilica paleocristiana con deambulatorio. Non ne è nota l’intitolazione, ma per la pianta deve datarsi ad età costantiniana. Accanto è un grande sepolcro circolare dell’inizio del IV secolo noto come Tor de’ Schiavi. L’area faceva parte della grande villa della famiglia dei Gordiani, che tra il 238 e il 244 d.C. diede a Roma tre effimeri imperatori.
Pagine seguenti: S. Giovanni in Laterano. La cattedrale di S. Giovanni in Laterano è la prima basilica costruita a Roma da Costantino dopo l’“editto di Milano” (313), con il quale l’imperatore riconosceva la libertà di culto ai cristiani. Alle spalle sorge il battistero ottagonale, il più antico dell’Occidente cristiano. Sul fianco destro della basilica si trova il Palazzo Apostolico Lateranense, costruito da Sisto V, mentre al centro della piazza lo stesso papa innalzò l’obelisco che l’imperatore Costanzo II aveva posto a decorazione del Circo Massimo.
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Pagine precedenti: S. Paolo fuori le mura. La basilica, eretta da Costantino sulla tomba dell’apostolo, alla fine del IV secolo venne ricostruita in dimensioni assai maggiori, capovolgendone l’orientamento e adottando la stessa pianta di S. Pietro in Vaticano, per conferire la medesima dignità liturgica ai due patroni della città. L’attuale basilica ripete le forme paleocristiane, ma è una ricostruzione dell’architetto Luigi Poletti successiva al terribile incendio del 1823 che distrusse l’antica chiesa.
A fronte: S. Croce in Gerusalemme. La basilica fu voluta dall’imperatrice Elena, madre di Costantino, trasformando un’aula di rappresentanza del palazzo imperiale che sorgeva nell’area, il Sessorium. Sarebbe stata destinata a custodire le reliquie della Croce di Cristo, rinvenute dalla stessa imperatrice a Gerusalemme. Il grande edificio a pianta circolare adiacente alla basilica è l’anfiteatro Castrense, parte del complesso imperiale costruito dagli imperatori Severi e inglobato nel circuito delle mura di Aureliano.
diando gli accessi principali alla città. Se infatti san Pietro fungeva da portiere – ianitor lo definisce un’iscrizione di papa Simmaco – tutelando l’accesso da nord, san Paolo svolgeva analoga funzione sulla via che proveniva dal porto di Ostia e san Lorenzo controllava la via Tiburtina, la strada impiegata da chi proveniva dal Lazio interno. Tutte e tre le basiliche vennero dotate di strutture di accoglienza e di assistenza per i poveri. Il sistema dei rifornimenti dell’annona – che nella Roma imperiale assicurava il rifornimento di derrate alla città – venne in parte decentrato e completamente riformato: la condizione di cittadino non era più il requisito unico per beneficiare delle distribuzioni di cibo, ma si aggiunse ora la condizione sociale di povertà sulla spinta della nuova etica cristiana. Cambiavano così alcuni dei cardini stessi del concetto di cittadinanza. Cambiavano di conseguenza anche i poli urbanistici che rappresentavano i luoghi di interesse della comunità cittadina, non solo da un punto di vista ideale e religioso – con le nuove basiliche – ma anche da un punto di vista logistico e amministrativo. La perdita di importanza dei fori Imperiali corrisponde infatti alla crescita di una serie di fori minori – purtroppo assai mal noti – che si disponevano in una fascia a metà strada tra il centro della città e la linea delle mura e che dovevano servire per il sostentamento della città. Tornando al IV secolo, va osservato un altro elemento interessante. La rinnovata visibilità che – come si diceva all’inizio – acquista il Senato romano si manifesta anche nelle abitazioni dell’élite. Questo secolo conosce il massimo splendore delle domus romane, in cui gli spazi si articolano attorno a sale di rappresentanza absidate risplendenti per i pavimenti musivi e le pareti decorate da lastre di marmo pregiato o – nei casi più ricchi – di tarsie marmoree di qualità insuperata. Diverse di esse sono state scavate negli ultimi decenni: si possono ricordare quelle rinvenute nell’area dell’Ospedale militare del Celio, dove è stata identificata la casa di Quinto Aurelio Simmaco o quella, meno lussuosa, di Gaudenzio, o ancora quella rinvenuta alla pendici del Palatino di fronte all’arco di Costantino. Poche di queste dimore mantengono lo stesso livello nel secolo successivo. Uno dei casi più interessanti di continuità è probabilmente costituito dalla grandiosa aula absidata sul Celio che viene spesso identificata come la biblioteca di papa Agapito (535-536), ma molte altre vennero invece abbandonate o utilizzate per scopi produttivi o funzionali dopo il sacco di Alarico (410). Ciò vale per
le già citate domus dell’Ospedale militare, ma anche per una domus – meno lussuosa – che papa Sisto III (432-440) interrò per costruirvi al di sopra una delle principali basiliche romane, quella di S. Maria Maggiore. La chiesa era la prima dedicata in Occidente alla Theotokos, la madre di Dio, dopo che il Concilio di Efeso (431) le aveva riconosciuto questo titolo dalle profonde implicazioni teologiche. Si trattava di una basilica pontificia, una sorta di succursale della cattedrale lateranense: l’esterno è stato profondamente modificato dagli interventi medievali e moderni, ma all’interno è facilmente riconoscibile la struttura a tre navate che conserva sostanzialmente l’aspetto paleocristiano con la straordinaria serie dei mosaici originali nella navata centrale e sull’arcone trionfale. L’area del presbiterio è invece quella che ha subìto le modifiche più importanti: l’attuale abside mosaicato è il capolavoro di Jacopo Torriti realizzato alla fine del XIII secolo per volere di papa Niccolò IV e sostituisce un’architettura più complessa, costituita da un’abside con deambulatorio: un tipo poco usuale, ma che trova i confronti migliori in Italia meridionale a Napoli (S. Giorgio Maggiore, S. Giovanni Maggiore, S. Gennaro) e in Puglia a Venosa. Un altro esempio interessante di come l’edilizia religiosa occupasse spazi e strutture non più funzionali è di poco successivo. Nei suoi primi anni di pontificato papa Simplicio (468-483) consacrò la chiesa di S. Stefano Rotondo, posta a sud del Laterano, che era stata costruita sull’area occupata in precedenza dalla caserma dei Castra Peregrina. L’edificio era di una elaborazione architettonica straordinaria, forse il canto del cigno dell’architettura tardoantica a Roma. A pianta centrale, si articolava su tre cerchi concentrici: un corpo centrale circondato da un deambulatorio e infine dalla fascia più esterna – oggi quasi completamente perduta – in cui spazi aperti e colonnati coperti si alternavano con una simmetria radiale davvero straordinaria. Non sarà facile trovare in età successiva nuove costruzioni di questo livello: si preferirà riutilizzare edifici preesistenti, ma in compenso la cristianizzazione dello spazio urbano si affermerà definitivamente in una città imbevuta della cultura sorta dalla nuova fede. Le basiliche arrivarono quindi a occupare quel centro monumentale che ancora sotto Costantino aveva mantenuto il suo aspetto esclusivamente civile o pagano. La trasformazione di un’aula del foro della Pace in basilica dedicata ai Ss. Cosma e Damiano (526-530) e la dedicazione della rotonda del Pantheon a S. Maria ad Martyres (609) sono due passi che marcano la piena maturità di un cambiamento radicale nell’identità urbana.
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Pagine precedenti: Il colle Celio e la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo. La basilica, forse l’unico titulus paleocristiano (oggi si direbbe parrocchia) riconoscibile archeologicamente, s’impianta su una domus di età imperiale verosimilmente donata alla Chiesa da una ricca famiglia della prima comunità. Sulla sinistra della basilica, celati dagli edifici moderni, sono i resti della biblioteca di Agapito, mentre sulla destra sono quelli del tempio del Divo Claudio e il convento dei padri passionisti, che officiano la basilica. S. Stefano Rotondo. Tra i più straordinari esempi di architettura tardoantica, fu costruita da papa Simplicio (468-483) al di sopra dell’area occupata dai Castra Peregrina. Resta oggi il corpo centrale e l’anello intermedio, mentre quello esterno sopravvive solo parzialmente nel convento.
In queste pagine: S. Agnese fuori le mura. Costantina, figlia di Costantino, costruì in un terreno di sua proprietà sulla via Nomentana la basilica con deambulatorio dedicata alla martire Agnese, presso le catacombe che portano il suo nome. Della grandiosa costruzione resta oggi solo il perimetro. L’attuale chiesa venne ricostruita nell’alto Medioevo da papa Onorio. A fianco della basilica, a sinistra dell’ingresso, sorge il mausoleo, circolare, ancora molto ben conservato con la decorazione a mosaico, che ospitava i resti mortali di Costantina nel grandioso sarcofago di porfido ora nei Musei Vaticani.
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CAPITOLO QUARTO IL MEDIOEVO: LA “CITTÀ INVISIBILE” Roberto Cassanelli
Agli occhi di chi percorre le vie e le piazze della Roma contemporanea, o di chi può librarsi nell’aria sorvolandone la fitta trama urbana – in aereo o in elicottero (come nel caso della campagna di rilevazione fotografica che questo volume propone) –, oppure più semplicemente di chi compulsa una carta topografica, l’evidenza archeologica, architettonica ed edilizia del periodo convenzionalmente definito Medioevo, che dal V-VI giunge a lambire il XV secolo, quasi scompare. A eccezione di esigui lacerti, di brandelli tra loro irrelati, tale fase è infatti schiacciata e quasi annullata tra il mito e l’ineguagliabile prestigio dei resti dell’Antichità e le fabbriche rinascimentali e barocche, spesso erette a emulazione di quelle antiche, a loro volta condizionate dagli incisivi interventi postunitari (si pensi alla radicale trasformazione delle rive del Tevere determinata dalla costruzione a fine Ottocento dei “muraglioni”). Il ritorno dei papi a Roma dopo il periodo avignonese costituisce d’altra parte un elemento di profonda discontinuità con il passato, e segna l’avvio di un incisivo riassetto urbano proseguito di fatto pressoché ininterrottamente sino a oggi. Vista dall’alto, la Roma attuale appare rigidamente costretta dalla ferrea “cintura” di cemento e asfalto del Grande Raccordo Anulare (GRA), che al momento della realizzazione, nell’immediato secondo dopoguerra, era ancora lontano dal limite dell’abitato, estesosi poi a macchia d’olio in tutte le direzioni. Il raggio allora fissato per il tracciamento della circonferenza ideale (il settimo miglio, circa 11 km, calcolato dal miliario aureo nel foro Romano), si sarebbe rivelato presto insufficiente, e anzi in qualche misura controproducente, per la forza attrattiva esercitata sullo sviluppo edilizio (spesso abusivo) dall’anello di scorrimento veloce, che intercettava, tagliando-
le e raccordandole, le vie consolari e le grandi arterie di collegamento nel loro innesto in città. Verso sud-ovest la creazione dell’EUR (già E42), quartiere satellite destinato all’Esposizione Universale del 1942 e rimasto incompiuto per lo scoppio della guerra, ha fortemente condizionato lo sviluppo dei centri abitati in direzione del litorale e della foce del Tevere, raccordando la città a Ostia Lido. Più all’interno, le mura aureliane, tracciate in tutta fretta nella seconda metà III secolo d.C. per sostituire quelle serviane ormai insufficienti, definiscono tuttora il nucleo urbano più antico, del quale hanno contenuto l’espansione sino al 1870. Si è spesso sottolineata la difficoltà di scrivere una storia di Roma nel Medioevo, in relazione soprattutto alla scarsità dei documenti disponibili, e tale limitazione è ancora più evidente nel campo della storia urbana. Anche le partizioni cronologiche costituiscono un tema di discussione, e talvolta neppure coincidono: se Léon Homo, in Rome médiévale (1934) fissa convenzionalmente i termini estremi al 476 (cosiddetta «caduta» dell’impero romano d’Occidente) e al 1420 (ingresso di Martino V a Roma e definitivo ritorno dei papi in città), Richard Krautheimer, al quale si deve la più nota storia urbanistica della città nel Medioevo (Rome Profile of a city, 1980), li riconosce nel 312 (battaglia di ponte Milvio) e nel 1308 (inizio della «cattività avignonese»), con una differenza che non corrisponde solo a un’inevitabile maturazione delle ricerche, ma soprattutto a una diversità di paradigmi interpretativi. Per lungo tempo infatti l’interesse degli studiosi è stato essenzialmente concentrato sulla storia del papato e sugli edifici religiosi, anche in relazione agli sviluppi dell’archeologia cristiana, particolarmente favorita da Pio IX: si pensi alle ricerche di Giovan Battista De Rossi, Louis
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Duchesne e Ludwig von Pastor, piuttosto che agli studi sulle chiese di Christian Hülsen e di Carlo Cecchelli, e dello stesso Krautheimer, autore, con Wolfgang Frankl, Spencer Corbett e Alfred K. Frazer, del grande Corpus Basilicarum Christianarum Romae, puntuale censimento di tutte le basiliche tra IV e IX secolo (1937-77). Si deve d’altra parte ammettere che nel caso di Roma la definizione convenzionale di Medioevo – ideata dagli umanisti per marcare l’aspirazione a un diretto collegamento con l’Antichità – appare se possibile ancora più arbitraria, assommando epoche tra loro del tutto incongrue, in una parabola che dall’età delle migrazioni tocca il pieno umanesimo. A causa dell’esiguità della documentazione scritta disponibile, è pertanto indispensabile rivolgersi a fonti di altra natura che, seppure di grande rilievo, sono inevitabilmente tendenziose e di parte, come il Liber Pontificalis, sequenza di biografie dei papi redatta nella cancelleria pontificia a partire dal V-VI secolo. Le tracce materiali si limitano ad alcune specifiche tipologie di monumenti, come le chiese (le pochissime scampate ai rifacimenti sei-settecenteschi e ai restauri otto-novecenteschi), o le torri gentilizie (rarissime viceversa le attestazioni di architettura civile), mentre il resto è celato sotto il piano di calpestio, come hanno rivelato in modo eloquente gli scavi della Crypta Balbi. Indagini archeologiche recenti, condotte anche nell’area dei fori e nella campagna romana, hanno costituito un importante correttivo a tale situazione, sanando in parte i gravissimi danni arrecati dagli sterri di epoca fascista – che miravano a individuare la fase di età romana imperiale a scapito di tutte le altre –, rivelando parte dell’abitato medievale e facendo emergere in particolare la fitta trama dell’attività artigianale e, attraverso i materiali, la dimensione degli scambi dopo l’interruzione dei rapporti diretti con l’Oriente a seguito dell’espansione araba. Un discorso a parte, di non minore rilevanza, è costituito dalla storia iconografica della città e dalla superstite documentazione grafica, prodotta degli artisti stranieri recatisi per studio a Roma, in particolare nella prima metà del XVI secolo (soprattutto quelli provenienti dalle Fiandre, acutamente indagati da Nicole Dacos), tra i quali emerge Maerten van Heemskerck, al quale si deve la maggior parte dei disegni riuniti in due album conservati nel Kupferstichkabinett degli Staatliche Museen di Berlino (impropriamente definiti Skizzenbücher dai primi editori moderni, Hülsen e Egger), realizzati nei due anni del suo soggiorno, tra il 1532 e il 1534, straordinaria miniera visiva di un patrimonio monumentale dell’Antichità
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Mariam Transtyberi; ad Sanctum Pancratium. Deinde reversi sunt in domum. [...] Mane ad Sanctam Mariam rotundam; ad Sanctos Apostolos; ad Sanctus Johannes in Laterane. [...] Deinde ad Jerusalem; ad Sanctam Mariam majorem; ad Sanctum Petrum ad Vincula; ad Sanctum Laurentium ubi corpus ejus assatus fuit.
e del Medioevo destinato di lì a poco perlopiù a scomparire a causa dei grandi lavori di sistemazione urbanistica cinque-seicenteschi.
Una topografia sacra Una specifica categoria di fonti scritte è costituita dagli itinerari, resoconti, molto diffusi già nell’impero romano, stilati per esigenze militari e di commercio, e dalla tarda Antichità modulati anche ad uso dei pellegrini, con indicazione dei luoghi da visitare e dei corpi santi e delle reliquie da venerare. Primi nel genere furono quelli di Terra Santa, come lo scarno Itinerarium Burdigalense, da Bordeaux a Gerusalemme, o la più articolata Peregrinatio Aetheriae. Con gli inizi del VII secolo fanno la loro comparsa gli itinerari romani, come la Notitia ecclesiarum urbis Romae (itinerario di Salisburgo), databile all’epoca di papa Onorio I (625-638), che partendo dalla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio conduce in Vaticano, o il di poco posteriore De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae (ritrovato a Würzburg), che guida il pellegrino attraverso i santuari del suburbio partendo dal Vaticano e facendo il giro delle mura. In età carolingia si colloca il più celebre, quello di Einsiedeln, scoperto nella biblioteca monastica della cittadina svizzera e pubblicato da Jean Mabillon, scarno elenco dei principali monumenti della città, corredato da una silloge epigrafica, nel quale i percorsi sono ormai cristallizzati secondo direttrici costanti, che privilegiano le tappe intramurane. Era infatti in corso la traslazione dei corpi santi dalle catacombe e dai cimiteri del suburbio, caduti ormai in abbandono, alle chiese interne alla città. Nella seconda metà del X secolo visita Roma Sigerico, vescovo di Canterbury (950 ca.-994), che vi giunge percorrendo la via Francigena. Il suo percorso inizia dal Vaticano e prosegue secondo un’ormai consolidata, cadenzata, sequenza di luoghi di venerazione: Adventus archiespiscopi nostri Sigeric ad Romam: primitus ad limitem beati Petri apostoli; deinde ad Sanctam Mariam scolam Anglorum; ad Sanctum Laurentium in craticula; ad Sanctum Valentinum in ponte Molui; ad Sanctam Agnes; ad Sanctum Laurentium foris murum; ad Sanctum Sebastianum; ad Sanctum Anastasium; ad Sanctum Paulum; ad Sanctum Bonefatium; ad Sanctam Savinam; ad Sanctam Mariam scolam Graecam; ad Sanctam Ceciliam; ad Sanctum Crisogonum; ad Sanctam
Nel XII secolo Guglielmo, monaco benedettino inglese dell’abbazia di Malmesbury (nel Wiltshire), inserisce nella sua storia dei re d’Inghilterra (Gesta regum Angliæ) un itinerario e una descrizione delle mura di Roma (Notitia Portarum). Nello stesso secolo inizia la serie dei cosiddetti Mirabilia Urbis Romae, precursori della letteratura periegetica, che arricchiscono gli itinerari di notizie spesso fantasiose.
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L’affermarsi, negli anni Ottanta del Novecento, dell’archeologia stratigrafica e la ripresa di indagini approfondite in contesti inattesi e sorprendenti come nel caso della Crypta Balbi, o in luoghi simbolo degli sterri del periodo fascista, come i fori Imperiali, nel tentativo di sanare le ferite inferte da un’operazione fondamentalmente ideologica come la creazione di via dell’Impero (ma lo stesso discorso vale anche per via della Conciliazione), hanno avuto come effetto immediato – oltre allo straordinario incremento delle conoscenze – l’attenuazione della disputa tra “continuisti” e “catastrofisti” (secondo la definizione di Bryan Ward-Perkins) nella valutazione delle trasformazioni dell’impianto urbano nella transizione tra tarda Antichità e primo Medioevo. I dati salienti sono ben noti: la definitiva perdita del ruolo di capitale a vantaggio di Ravenna, dopo la riconquista giustinianea sede esarcale, ancorché periferica, e la conseguente dissoluzione del ceto senatorio; il crollo demografico (dai 500-800.000 abitanti stimati per il IV secolo alle poche decine di migliaia del VII) e la drastica contrazione dell’abitato nell’ansa del Tevere, nell’area del Campo Marzio, con il progressivo abbandono, anche se mai completo, delle zone simbolo del potere, dal Palatino ai fori, nei quali si insediano piccole chiese e si diffondono un po’ ovunque le sepolture, caduti gli antichissimi divieti imposti dalla legislazione romana; la sistematica spoliazione degli edifici ormai in disuso, riconvertiti a usi privati o trasformati in cave da sfruttare intensivamente, spesso con l’inserimento diretto di “calcare” per la trasformazione dei marmi in calce, utile alle
più modeste esigenze edilizie del momento, nelle quali il ruolo del marmo viene surrogato dal legno e da altri materiali deperibili. A tutto ciò si accompagna la progressiva cristianizzazione della città, simbolicamente sancita da papa Bonifacio IV con la dedicazione del Pantheon a S. Maria ad Martyres nel 609. Con la metà dell’VIII secolo si avvertono indizi di un radicale cambiamento, probabilmente da attribuirsi al definitivo distacco da Bisanzio e al progressivo avvicinamento al mondo franco, e di un rinnovamento edilizio che incide significativamente sul paesaggio urbano, preannunciando la rinascita carolingia.
I papi in Lateramo La storia della città non può prescindere da quella delle sue istituzioni politiche e religiose, dalle loro aspirazioni di legittimazione e dalla loro volontà di auto-rappresentazione. Il Palatino continua perciò a svolgere una funzione simbolica anche quando Roma non è più sede del potere centrale. L’enorme complesso sorto attorno alla casa di Augusto non viene completamente abbandonato, anche se già nel V secolo alcune parti cadono in disuso e sono spogliate, e altre vengono destinate a scopi lontani da quelli per i quali erano state originariamente progettate. Si tratta di uno dei tanti sintomi dello sfilacciamento del tessuto urbano attraverso la sua progressiva decrescita, che interessa la città in questa delicata fase di passaggio. Vi si stabiliscono comunque i funzionari bizantini inviati da Costantinopoli, vi soggiornano gli imperatori nelle ormai rare e fugaci visite, e vi fisserà la propria residenza, in una breve ancorché significativa parentesi, anche il papa. Nei primi secoli la collocazione della sede pontificia presenta infatti qualche oscillazione. Le prime attestazioni di una sede episcopale accanto alla cattedrale di S. Giovanni risalgono al 501. Se ancora papa Simmaco costruisce una residenza presso il Vaticano, nell’età di Gregorio Magno quella del Laterano appare comunque già riccamente articolata. Un elemento di discontinuità in questo percorso di radicamento è segnato dall’elezione al soglio pontificio di Giovanni VII, greco di origine, figlio di Platone, curator Palatii, cioè custode del palazzo imperiale (come lui stesso dichiara nell’epitaffio funebre dedicato ai genitori), il quale fissa la propria residenza ufficiale sul Palatino. Le ragioni non sono da ricercare tanto nelle vicende personali e familiari del prelato, quanto nella sua volontà di
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Pagine precedenti: Complesso della basilica di S. Giovanni in Laterano, con la Scala Santa e il triclinio di Leone III. L’edificio della Scala Santa venne fatto costruire alla fine del Cinquecento da Sisto V su progetto di Domenico Fontana. Esso comprende la Scala Santa vera e propria, formata da ventotto gradini, che secondo una leggenda risalente al Medioevo sarebbe stata percorsa da Cristo a Gerusalemme; la cappella privata dei pontefici, detta Sancta Sanctorum, dedicata a san Lorenzo; l’oratorio di S. Silvestro. Il nicchione del triclinium Leoninum è ciò che resta (nel restauro di Ferdinando Fuga del 1743) di un ampio ambiente destinato ai banchetti ufficiali dell’antico palazzo lateranense (il Patriarchio), prima residenza pontificia.
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In queste pagine: Sistema delle fortificazioni vaticane medievali e rinascimentali alle spalle della basilica di S. Pietro. Il collegamento pedonale tra la basilica di S. Pietro e Castel S. Angelo (cosiddetto “passetto”) e il rione Borgo.
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Pagine seguenti: Basilica e monastero dei Ss. Quattro Coronati. Basilica di S. Maria in Domnica sul colle Celio. La basilica, di impianto carolingio, appare oggi in una veste rinascimentale (facciata di Andrea Sansovino). Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo sul colle Celio. Isola Tiberina. Basilica di S. Maria in Trastevere.
affiancarsi simbolicamente alla figura del luogotenente dell’esarca, che lì continuava a risiedere, e nella rivendicazione delle prerogative della Chiesa (affidando agli affreschi della basilica di S. Maria Antiqua la visualizzazione del proprio messaggio ideologico). La situazione di contiguità proseguì sino alla metà dell’VIII secolo, quando papa Zaccaria tornò all’antica residenza periferica, della quale promosse preliminarmente il restauro. Il palazzo del Laterano era costituito da due blocchi edilizi distinti, uno destinato agli appartamenti privati del papa e uno agli ambienti di rappresentanza, collegati da un corridoio porticato, detto «Macrona». Papa Zaccaria VI fece aggiungere una torre con una porta bronzea e un effige di Cristo, con evidente richiamo alla Chalké di Costantinopoli, ma anche in aperta contrapposizione all’iconoclastia affermatasi nella capitale d’Oriente. A Zaccaria è riferita anche la realizzazione di una sala per i banchetti ufficiali, un triclinio, al quale fece seguito, poco dopo l’Ottocento, la costruzione di un secondo analogo ambiente da parte di papa Leone III. Tali strutture erano ancora in parte visibili nel XVI secolo. Il triclinio di Zaccaria era formato da una grande sala con un’abside in asse e altre due sui lati maggiori, e un atrio a forcipe. Si tratta di una tipologia ben nota già dall’epoca tardoantica, destinata a commensali che consumavano i pasti distesi su “stibadia”, davanti a mense a sigma. Il triclinio di Leone comportava cinque absidi per lato, sul tipo del decaenneacubita di Costantinopoli, che ne contava diciannove. Erano ambienti riccamente decorati con mosaici pavimentali e parietali di cui nulla rimane dopo le radicali trasformazioni dell’area, ad eccezione della porzione absidale conservata alla fine del Cinquecento da Domenico Fontana nel quadro della profonda trasformazione dell’area voluta da Sisto V. La preferenza dei papi per il Laterano durerà sino al XIII secolo, quando tornerà a imporsi con forza il ruolo del Vaticano.
Civitas Leonina Le mura leonine (o leoniane) vennero erette da papa Leone IV tra l’848 e l’852, con il sostegno finanziario dell’imperatore Lotario, a protezione della basilica di S. Pietro e del colle Vaticano dopo che nell’846 la chiesa era stata saccheggiata, insieme a S. Paolo fuori le mura, nel corso di un’incursione saracena. La basilica infatti, con funzioni cimiteriali, era, a differenza della cattedrale di S. Giovanni in Laterano, esterna alla cerchia muraria
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della seconda metà del III secolo ed era stata sino a quel momento sostanzialmente rispettata. Gli arabi costituivano una minaccia costante, controllando la costa dal Garigliano e potendo agevolmente risalire il Tevere, che a tale proposito venne sbarrato da una catena all’altezza di porta Portese. Il tracciato formava una sorta di laccio attorno al colle. Facendo perno su Castel S. Angelo, l’antico mausoleo di Adriano trasformato in fortezza, il muro saliva rettilineo lungo il lato nord, girando intorno all’abside della basilica, per piegare poi verso il Tevere riprendendo il tracciato con un ulteriore tratto rettilineo, che si ricollegava al castello. Non sono molti i resti visibili della cerchia, che venne tra XV e XVI secolo completamente sostituita da una nuova, adeguata alle più avanzate tecniche difensive (nel 1543, per iniziativa di Paolo III Farnese, si iniziò la nuova cerchia progettata da Antonio da Sangallo e Michelangelo). Il muro di cinta, profondo alla base circa 4 m e alto circa 6, era rivestito esternamente da blocchetti di tufo; aveva 44 torri quadrangolari e tre soli accessi: la posterula S. Angeli, la porta S. Pellegrino e la posterula Saxonum. Non è chiaro quando il “passetto” sia stato concepito come passaggio riservato ai pontefici tra la basilica e Castel S. Angelo. Certamente Alessandro VI lo restaurò nella forma attuale. La “civitas” fu considerata una città nella città, ed ebbe anche un proprio governatore e distinte magistrature sino al 1586, quando Sisto V la ridusse a rione (XIV, Borgo).
L’età dell’incertezza A differenza di altre città italiane, Roma, a causa del ruolo determinante svolto dalla Chiesa e dal papa, emerge con ritardo e difficoltà dalle vicende che portano alla formazione delle istituzioni comunali. Il passaggio tra XI e XII secolo è marcato dall’instabilità prodotta dalle tensioni tra papato e impero che, improntando il pontificato di Gregorio VII, sarebbero proseguite a lungo, almeno sino a Innocenzo III (1198-1216). Questa situazione di incertezza si riverbera immediatamente sulla città, in particolare sulle famiglie aristocratiche, di volta in volta schierate a favore di papi e antipapi (dei quali, nel corso di un secolo, se ne alternarono ben dieci). Nel 1143, in aperta opposizione a Innocenzo II, si costituisce il Comune, inteso come renovatio senatus, con a capo la famiglia Pierleoni, che aveva espresso l’antipapa Anacleto II. La renovatio dell’architettura fu invece promossa
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da papa Pasquale II, e si manifestò per gli edifici sacri con il recupero dell’impianto basilicale di ascendenza tardoantica, mai del tutto abbandonato, e con l’elaborazione di un arredo liturgico funzionale alle nuove esigenze della riforma. Elemento del tutto nuovo è il campanile, destinato a una rapidissima, capillare diffusione (nella pianta di Antonio Tempesta del 1593 se ne contano un centinaio). La sua origine è forse da ricercare nella turris fatta erigere in Vaticano nell’VIII secolo per disporvi le tre campane donate da papa Stefano II, assunta probabilmente a prototipo per il campanile fatto costruire in Laterano da Pasquale II intorno al 1100. Il tipo che si afferma è quello a canna quadrata, in laterizio, scandito su più livelli da piani contraddistinti da bifore, trifore e quadrifore, e animato cromaticamente da inserti in marmi e bacini ceramici. Il cantiere che inaugura il nuovo corso è certamente quello di S. Clemente, basilica di cui era stato titolare il cardinale Raniero di Bieda, poi papa Pasquale II. Gli interventi, avviati probabilmente già alla fine dell’XI secolo, comportarono una scelta drastica, l’interramento cioè della basilica tardoantica (secondo una soluzione che sarebbe stata adottata in seguito anche in S. Crisogono) e la costruzione al disopra di un edificio del tutto nuovo, che ne ricalcava il tracciato perimetrale riprendendone la scansione tripartita, consacrato nel 1118. L’ispirazione classica fu così marcata, che a lungo l’edificio fu creduto la basilica antica, sino almeno agli scavi del padre domenicano Joseph Mullooly nel 1857. L’iscrizione con la data 1113 apposta sul portale della chiesa di S. Benedetto all’Isola, sull’Isola Tiberina, già in antico rimodellata a forma di nave e destinata a ospitare luoghi di culto (il tempio di Esculapio, ad esempio) e cura, ne attesta con certezza la rielaborazione in nuove forme. I lavori, protrattisi per tutto il secolo, si conclusero nel 1180 con la costruzione del campanile. Ancora all’età di Pasquale II vanno riferiti i lavori ai Ss. Quattro Coronati, basilica di origine carolingia incendiata nel 1084 dalle truppe di Roberto il Guiscardo giunte in soccorso di Gregorio VII, e riconsacrata nel gennaio 1116. L’interno venne tripartito da arcate su colonne e capitelli di spoglio, e dotato di transetto. Sul lato sinistro si costruì il monastero, il cui piccolo chiostro venne aggiunto agli inizi del Duecento, forse da quel Pietro de Maria che lascia la firma nel quadriportico dell’abbazia di Sassovivo, alla quale Innocenzo II aveva affidato nel 1138 il monastero. Il cardinale dei Ss. Giovanni e Paolo, Teobaldo, promosse sotto il pontificato di Pasquale II i lavori di ammoder-
namento dell’antico titulus Pammachii, proseguiti poi da Giovanni di Sutri (1145-78), che aggiunse il portico architravato e completò la fabbrica del campanile. Cencio Savelli (poi papa Onorio III) intervenne nella zona absidale, coronandola con una galleria ad arcatelle, e in facciata, con il collegamento al di sopra del portico tra chiesa e monastero. La vicina S. Maria in Domnica, alla Navicella, di cui fu cardinale titolare Giovanni de’ Medici prima di essere eletto papa col nome di Leone X, venne invece ricostruita nel Rinascimento. Alla basilica, pure di fondazione carolingia, di S. Cecilia in Trastevere vennero aggiunti invece il portico di facciata, il campanile e il chiostro. Più controversa è la cronologia di S. Maria in Trastevere. Si è ipotizzato che i lavori sarebbero stati iniziati sotto Callisto II, durante il cardinalato di Pietro Pierleoni (poi antipapa Anacleto II), quando venne attribuita alla basilica la festività della circoncisione, già celebrata in S. Maria ad Martyres e collegata al presepe di S. Maria Maggiore. Altre fonti riferiscono invece le opere al tempo di Innocenzo II, come conferma l’iscrizione sepolcrale del pontefice (ora nel portico della basilica). Si potrebbe trattare peraltro di un’unica campagna costruttiva, dilatatasi nei decenni che videro il confronto tra la famiglia Pierleoni e quella trasteverina dei Papareschi, da cui proveniva Innocenzo, che avrebbe fatto della basilica la testimonianza visiva e parlante del suo trionfo sull’antipapa avversario. Nello stesso periodo un altro significativo cantiere fu aperto nella zona del foro Boario, nell’antica diaconia di S. Maria in Cosmedin, promosso dal camerario Alfano. Il restauro “neoromanico” diretto tra Otto e Novecento da Giovanni Battista Giovenale ne ha purtroppo in parte compromesso la leggibilità.
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Case-torri e fortilizi gentilizi A Roma non sono mai esistiti quartieri “medievali”, comparabili ad esempio agli agglomerati urbani di Viterbo. L’edilizia civile ha quindi seguito le sorti segnate dalla rapida trasformazione impressa alla città soprattutto dalla seconda metà del Cinquecento, che ne ha mutato profondamente il volto. Come testimoniano però ancora le vedute di Maerten van Heemskerck e di Anton van den Wynaerde, case fortificate e torri gentilizie ne punteggiavano il profilo (di queste ultime Ferdinand Gregorovius ne ha calcolate circa trecento), svettando un po’ dovunque. Tra le più antiche testimonianze di abitazioni private fortificate è la cosiddetta casa dei Crescenzi, al foro Boario, edifi-
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Pagine precedenti: Torre delle Milizie e chiesa di S. Caterina.
Pagine seguenti: Basilica di S. Maria sopra Minerva.
Castello Caetani e mausoleo di Cecilia Metella sulla via Appia.
cata nella prima metà dell’XI secolo da Nicola Crescenzi presso la testata del ponte Rotto (ponte Emilio). Tra XII e XIII secolo numerose strutture antiche, come il Colosseo, il Circo Massimo o il mausoleo di Augusto, vennero convertite in fortificazioni dalle principali famiglie gentilizie, che provvidero anche a erigere in posizioni strategiche torri per il controllo di snodi particolarmente critici dell’abitato, con una particolare concentrazione nel cosiddetto Campo di Torrechiano, nell’area dei fori. Qui, presso l’arcus Nervae, fu innalzata all’inizio del XIII secolo dalla famiglia dei Conti di Segni, alla quale apparteneva papa Innocenzo III, la torre (detta appunto dei Conti) più alta della città, «turris toto orbe unica» come la definì Petrarca (Familiares, XI, 7), con una struttura “a cannocchiale” formata da tre blocchi sovrapposti, che sfruttò per le fondazioni una delle esedre del Foro della Pace (il fastigio crollò a seguito del terremoto del 1348). Al margine dei mercati di Traiano, di cui utilizza parte delle murature, sorse invece la torre delle Milizie, uno dei più imponenti complessi fortificati cittadini. Non è chiara la data di fondazione, anche se esisteva certamente già nella prima metà del XIII secolo, così come sussistono tuttora dubbi sull’origine della denominazione di «contrata Militiarum» e della vicina Magnanapoli (Magna nea-polis, cioè nuova grande cittadella?). Agli inizi del secolo successivo passò in proprietà di Pietro Caetani, nipote di Bonifacio VIII; i disegni espansionistici della famiglia Caetani erano però ben più ampi, e coinvolgevano la circostante campagna romana. In via Appia è anchora in piede il sepolchro de’ Metelli, hoggi dì detto volgarmente Capo di Bove [...]. Questo sepolchro ne’ tempi moderni ha servito per rocca d’un castelletto che vi fu edificato da Bonifatio ottavo...
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Così Pirro Ligorio, nel Libro delle antichità (cap. XLIX), riassume le vicende del celebre monumento, posto al terzo miglio della via Appia, nella zona in cui in seguito sarebbe sorto il complesso imperiale di Massenzio e quello cristiano di S. Sebastiano. Il sito, per la sua lieve altura, ben si prestava a essere convertito in castrum, a controllo di un’arteria di fondamentale importanza. Agli inizi del Trecento i Caetani, ai quali apparteneva il papa regnante Bonifacio VIII – che intanto aveva provveduto a rimuovere il divieto per le famiglie nobili romane di acquisire proprietà nella campagna circostante –, acquistarono i terreni di Capo di Bove (così detto per la fascia di bucrani posta alla sommità del mausoleo) nell’ambito di un più vasto disegno di costituzione di un proprio dominio territoriale,
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Basilica dell’Aracoeli, con la scalinata stretta tra il Vittoriano e la rampa di salita al Campidoglio.
tra Lazio meridionale e Campania. Attorno al mausoleo, sopraelevato di un piano e cinto da merlature, sorse così un vero e proprio borgo fortificato (è ancora controverso quanto possa essere in parte pertinente a precedenti interventi), con cinta di mura, chiesa (dedicata a S. Nicola) e palazzo (ancora abbastanza conservato, nonostante il crollo delle coperture). I Caetani ne mantennero il controllo per brevissimo tempo, e già nel 1303, alla morte del papa, la proprietà passò rapidamente di mano, dai Savelli ai Colonna agli Orsini. Poggio Bracciolini, che visitò il mausoleo nel 1447, lo descrive ancora «integrum», ma già nel secolo successivo se ne iniziò la spoliazione per cavarne marmi e sculture (scampando per poco anche alla demolizione, decisa da Sisto V). Due secoli dopo poteva così accamparsi al centro dello sfondo del dipinto con Goethe nella Campagna romana, di Johann Heinrich Tischbein (1786), culmine simbolico dell’Italienische Reise.
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presso alcuni ambienti dell’ospedale di S. Biagio a Trastevere, grazie all’intervento di Jacopa de’ Settesoli (Giacoma Frangipane) questi spazi vengono concessi dai benedettini di S. Cosimato a un gruppo di frati, primo nucleo della futura S. Francesco a Ripa. Un ulteriore gruppo, stabilitosi presso porta Flaminia in S. Maria del Popolo, si trasferisce dal 1249 nel monastero benedettino di S. Maria in Capitolio, messo a disposizione da Innocenzo IV, e in seguito ricostruito col nome di S. Maria in Aracoeli. I francescani conquistavano così il cuore della città, accanto alle nuove strutture del potere comunale (ora celate dalla facciata michelangiolesca, ma riguadagnabili,
almeno in immagine, grazie all’«Ytalia» di Cimabue ad Assisi). Nei primi anni del Trecento i papi abbandonano Roma per trasferirsi ad Avignone. Iniziava un secolo controverso, tumultuoso, dominato negli anni centrali da una figura del tutto nuova, quella di Cola di Rienzo, il tribuno umanista in corrispondenza con Petrarca. Il segno architettonico più significativo è la scalinata dall’Aracoeli, monumentale ex voto per la peste del 1348, realizzata smontando il tempio di Serapide sul Quirinale. Di lì a poco, col ritorno definitivo del papato nel 1420, una nuova stagione si sarebbe aperta, quella della modernità.
Il segno mendicante Un primo segno, incisivo quanto eloquente, di un nuovo indirizzo nell’architettura religiosa è offerto nel 1140 dalla fondazione, ai margini estremi della città – nel suburbio meridionale lungo la via Laurentina –, dell’abbazia delle Tre Fontane, per volere di Innocenzo II che vi chiamò, vivo ancora Bernardo, un gruppo di monaci cisterciensi. Essi vi affermarono, nella costruzione degli edifici per la comunità, i criteri di razionalità, essenzialità ed economicità cui era improntato l’ordine, anticipando formule di semplificazione strutturale che saranno fatte proprie nel secolo successivo dagli ordini mendicanti, che viceversa per i loro insediamenti privilegeranno, con una tendenza fortemente centripeta, l’abitato interno alle mura. Nel 1215 Domenico è a Roma in occasione del quarto Concilio lateranense, e una piccola comunità femminile che si riconosce nel suo insegnamento si stabilisce presso S. Sisto Vecchio (non lontano dalle terme di Caracalla) e ne promuove il rifacimento. Poco dopo, sotto il pontificato di Onorio III, è messa a disposizione dei domenicani l’antica basilica di S. Sabina all’Aventino, presso la fortezza di famiglia del papa, i Savelli. Un gruppo si stabilisce anche in Campo Marzio, dando vita al grande cantiere di S. Maria sopra Minerva, a breve distanza dal Pantheon, uno dei più significativi dell’età gotica a Roma. In parallelo, anche se con modalità differenti, si svolge il radicamento in città dell’ordine francescano. Essendo solito Francesco, nei suoi soggiorni romani, alloggiare
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CAPITOLO QUINTO ROMA NEL RINASCIMENTO Christoph Luitpold Frommel
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Osservando la pianta prospettica di Roma di Étienne Dupérac (1577), si può notare come alla fine del Rinascimento la città sia concentrata nell’ansa del Tevere, nel Borgo, ampliato da Pio IV verso nord, e nell’antica Trastevere. Protetta dalle mura aureliane, la maggior parte della città antica è occupata da ville, vigne e aree agricole, o è lasciata addirittura incolta. Durante la lunga assenza dei papi, Roma non partecipa all’ascesa delle altre città italiane, e per prosperare ha bisogno di ogni tipo di infrastrutture. Già nella prima metà del Quattrocento i papi iniziano il rinnovamento del Vaticano, del Laterano e del Campidoglio. Solo Paolo II costruisce, verso il 1465, una nuova residenza in piazza Venezia, riaprendo l’antica via Flaminia per creare una strada di accesso rettilinea. Con Sisto IV sorgono numerosi conventi, chiese, palazzi e un ospedale con le relative strade e piazze, e si erige ponte Sisto. Alessandro VI è il primo a far tracciare una strada perfettamente rettilinea per collegare piazza S. Pietro con Castel S. Angelo, trasformato in moderna fortezza. La vera rinascita architettonica inizia però con la Cancelleria di Raffaele Riario, che diviene il palazzo più sontuoso del suo tempo e il centro di un nuovo quartiere. Giulio II, zio del committente, chiama Bramante e lo incarica non solo della ricostruzione di S. Pietro e del rinnovamento in senso moderno del Vaticano, ma anche della sistemazione dei Banchi, la nuova “city”. Bramante avrebbe dovuto collegarli con una nuova piazza fiancheggiata dal palazzo dei Tribunali e da quello del vicecancelliere e con la rettilinea via Giulia. Lungo questa e la parallela via della Lungara, proprietari facoltosi avrebbero eretto palazzi e ville suburbane, da palazzo Farnese alla Farnesina fino a villa Giulia e villa Madama, che in pochi decenni avrebbero trasformato il Tevere in una sorta di strada trionfale.
Leone X incarica Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane di collegare la residenza dei Medici a piazza S. Eustachio con piazza del Popolo. Sangallo aggiunge poi a via di Ripetta e via del Corso il tracciato di via del Babuino, trasformando il “bidente” di piazza del Popolo nell’attuale “tridente”. Grazie a queste nuove arterie nascono i nuovi quartieri progettati a scacchiera tra Tevere, Pincio e piazza Colonna. Dal 1534 Sangallo sviluppa il palazzo cardinalizio di Paolo III Farnese in una residenza pontificia e ne fa un nuovo centro urbano, come in precedenza aveva fatto solo Paolo II con palazzo Venezia. A Sangallo si deve anche il tridente, ormai scomparso, che collegava piazza del Ponte a S. Giovanni dei Fiorentini e al Monte Giordano degli Orsini. Portando verso il 1560 l’acqua sul Quirinale, Pio IV crea le condizioni per farne la nuova zona preferita per realizzarvi ville e giardini. Committenti come i cardinali Medici e Peretti si ritirano dalle zone basse, minacciate dalle inondazioni, cercando di costruire le loro ville in collina. Oltre un secolo dopo Sisto IV, un altro papa francescano di nome Sisto si serve dei nuovi sistemi urbani per rinnovare le infrastrutture della città in scala maggiore. Allargando i tridenti in un sistema stellare con piazze contraddistinte da obelischi, espande la rete di strade rettilinee con la costruzione di nuovi quartieri fino a S. Maria Maggiore e al Laterano.
Dal Vaticano a Castel S. Angelo Nel corso del Medioevo il baricentro della città si sposta dal foro e dal Laterano al Vaticano. La tomba dell’apostolo Pietro godeva di una sempre crescente venerazione e la basilica a lui consacrata di sempre maggiore affluenza.
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CAPITOLO QUINTO
Pagine seguenti: Basilica di San Pietro. Il cortile del Belvedere e la basilica di S. Pietro, da nord. Sono apprezzabili l’esedra di Pirro Ligorio, la torre Borgia, l’ala di Niccolò V e, in secondo piano, la Cappella Sistina. San Pietro e il prospetto orientale del Vaticano. Nel corso del Cinquecento a nord del “passetto” si sviluppò Borgo Pio, iniziato sotto Pio IV.
Sulla collina del Vaticano, che s’innalza a nord della basilica, i pontefici costruiscono un palazzo irregolare, più sicuro e protetto della loro precedente residenza al Laterano. Tra questo e il Tevere si sviluppa il borgo medievale, protetto verso nord da mura leggermente curvilinee, utilizzate anche come “passetto”, passaggio mediante il quale i pontefici potevano rifugiarsi in caso di pericolo nel vicino Castel S. Angelo, il mausoleo di Adriano trasformato in fortezza. In seguito, nel corso del Cinquecento, a nord del passetto si sviluppa Borgo Pio, iniziato sotto Pio IV. Dopo il ritorno da Avignone, i pontefici iniziano ad ampliare e modernizzare la residenza. Niccolò V (1447-55) vi aggiunge l’ala settentrionale, Sisto IV (1471-84) la Cappella Sistina, Alessandro VI (1492-1503) la Torre Borgia e Innocenzo VIII (1484-92) erige la prima villa di Roma, ancora merlata e irregolare, detta Belvedere, all’estremità settentrionale della collina. Per accedervi direttamente dal suo appartamento Giulio II (1503-13), subito dopo l’elezione, incarica Bramante di progettare il cortile del Belvedere. I due corridoi creavano al contempo una corte inferiore per tornei, un giardino terrazzato mediano e un più ampio giardino superiore. Dalle sue stanze il pontefice poteva ammirare una prospettiva simmetrica profonda più di 300 m che culminava nell’esedra di un odeion all’antica. Il grandioso progetto rispecchiava i suoi sogni imperiali, ma la visuale fu in seguito interrotta dalle ali della Biblioteca e del Braccio Nuovo dei Musei. Già Niccolò V intendeva trasformare l’umile basilica costantiniana in un monumento che rispecchiasse l’autorità della Chiesa. Secondo il progetto del suo architetto Bernardo Rossellino, l’antica abside doveva essere sostituita da una crociera con cupola e tre lunghi bracci di croce, ma i lavori non procedettero oltre l’inizio del braccio occidentale. Giulio II li riprese all’inizio del 1505, questa volta con l’intenzione di ricostruire l’intera basilica. Inizialmente Bramante aveva proposto un tempio simmetrico su entrambi gli assi. La cupola, che doveva segnalare il presbiterio con l’altare maggiore e la tomba dell’apostolo, sarebbe stata simile a quella del Pantheon. Poco prima dell’inizio dei lavori Giulio tornò al progetto a croce latina dell’antica basilica e sino alla sua morte, nel 1513, Bramante riuscì a finire solo il braccio del coro e la crociera fin sotto il tamburo. Leone X (1513-21) lo incaricò di costruire tutto l’esterno in travertino, di ampliare e prolungare la navata maggiore, di circondare i tre bracci con deambulatori e di aprire il tamburo della cupola con un triplice colonnato. Neppure i successivi architetti, Raffaello e Sangallo,
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riuscirono però a procedere molto oltre, e Clemente VII (1523-34), cugino e successore di Leone, dopo il Sacco di Roma si vide costretto a ridimensionare il progetto. Solo Paolo III (1534-49) fu all’altezza di Giulio II, decidendo di tornare al progetto a pianta centrale, ma se non avesse sostituito il proprio architetto, Sangallo, morto all’improvviso nel 1546, con Michelangelo, la basilica non avrebbe mai raggiunto una tale perfezione. Michelangelo sostituì lo snello ordine dorico di Bramante dell’esterno con un corinzio più classicheggiante che corrispondeva all’ordine interno. Eliminò i deambulatori e le cappelle laterali articolate da Raffaello e Sangallo con ordini più minuti e rese l’interno più luminoso. Adeguò il braccio del coro a quelli laterali, e collegando le tre absidi semicilindriche con pilastri diagonali rese l’esterno più massiccio e omogeneo. Si discostò dalle regole di Vitruvio solo nelle finestre e nelle nicchie. Probabilmente intendeva esaltare la facciata con un colonnato da fronte di tempio. Le campate più strette aumentano lo slancio verticale, che prosegue nelle doppie colonne del tamburo, nell’attico e nei costoloni della cupola e nella lanterna. Attraverso le finestre delle absidi, svasate a imbuto, e dell’attico non ancora articolato, la luce doveva ricadere direttamente sull’altare maggiore. Le piccole finestre dell’attico, che ora riducono considerevolmente l’illuminazione, risalgono a Pirro Ligorio e agli anni immediatamente successivi alla morte di Michelangelo. Fu Giacomo Della Porta a conferire alla pesante emisfera di Michelangelo il più snello contorno attuale. Incluso dall’imperatore Aureliano nelle mura urbiche, il mausoleo di Adriano venne utilizzato già sotto Teoderico anche come carcere. Il monumento, composto da un basso pianterreno quadrangolare e da un alto cilindro con la tomba dell’imperatore, fu spogliato del suo splendore antico. Niccolò V lo circondò con bastioni protettivi e merlature, adattate sotto Alessandro VI da Antonio da Sangallo il Vecchio e dai suoi successori all’impiego del cannone. Sulla piattaforma della rotonda si erge l’appartamento pontificio con la loggia costruita da Antonio da Sangallo il Giovane per Paolo III. Il cortile d’Onore, sulla destra, si distingue per la piccola facciata con cui Michelangelo decorò la cappella di Leone X, mentre il semicircolare cortile del Pozzo, sulla sinistra, suddiviso dalla stufetta di Clemente VII, era riservato ai pontefici. La statua dell’arcangelo Michele, scolpita per Paolo III da Raffaello da Montelupo, fu in seguito sostituita da una settecentesca in bronzo.
Il quartiere dei Banchi Ponte S. Angelo, già parte del mausoleo, venne in seguito ornato con gli angeli di Bernini. Fino alla regolarizzazione del corso del Tevere, il ponte scendeva sino a piazza del Ponte, che era dominata dal palazzo degli Altoviti, ricchissimi banchieri fiorentini, ma i cui resti sono conservati solo nella cinquecentesca casa Bonadies, una famiglia di commercianti, situata all’angolo nord-occidentale di via del Banco di S. Spirito. Giulio II incaricò Bramante di sistemare la piazza integrandola nell’urbanizzazione delle sponde del Tevere. Bramante vi iniziò la costruzione della chiesa a pianta centrale con cupola dei Ss. Celso e Giuliano. Fece anche prolungare il tracciato di ponte S. Angelo fino alla nuova via Giulia. All’angolo di via di S. Spirito e dell’attuale vicolo del Curato, la via Recta che nella Roma antica portava direttamente a via del Corso, Raffaello costruì un ampio ed elegante palazzo, una delle sue prime opere architettoniche e anche una delle poche ancora conservate. Il committente Giulio Alberini, un patrizio romano, avrebbe voluto affittarlo a ricchi banchieri, ma finì in bancarotta prima di riuscire a completare il progetto. Il palazzo non segue già più esattamente l’asse del ponte, e ancor meno lo fanno il successivo palazzo Gaddi, costruito da Jacopo Sansovino, e la facciata della Zecca, di Sangallo. Nell’irregolare via dei Banchi Vecchi, continuazione verso sud di via del Banco di S. Spirito, il concetto di un tracciato assiale è realizzato in maniera ancora meno precisa. Il tridente, oggi appena visibile, che collegava piazza del Ponte con S. Giovanni dei Fiorentini sulla destra e il Monte Giordano degli Orsini a sinistra, risale a un progetto di Sangallo.
Il Tevere «strada trionfale» Il Tevere è oggi imbrigliato dai muraglioni ottocenteschi e dalle strade del lungotevere, che dividono a metà la città in modo molto più rigoroso del passato. Lungo il tracciato rettilineo di via Giulia, che si conclude a ponte Sisto, si affaccia palazzo Sacchetti, il cui giardino scendeva originariamente fino al Tevere. Verso il 1540 Sangallo aveva acquistato da un patrizio romano l’incompiuto piano terreno destinato a botteghe per costruirsi un palazzo, ma la realizzazione non andò oltre il piano nobile. Il palazzo fu ampliato poi da Nanni di Baccio Bigio su commissione del cardinale Ricci, che fece aggiungere l’ala della grande galleria rivolta verso il giardino. A sud del palazzo segue il terreno dove Bramante aveva cominciato la costruzio-
ne del palazzo dei Tribunali, che avrebbe dovuto riunire i tribunali pontifici. Caratterizzato da torri angolari e da una chiesa a cupola, doveva dominare il Tevere ed essere collegato mediante una piazza regolare alla sede del vicecancelliere situata di fronte, l’attuale palazzo Sforza Cesarini. Si erge lungo via dei Banchi Vecchi, continuazione di via del Banco di S. Spirito, che prosegue verso sud. Davanti alla casa quattrocentesca di Paolo della Zecca essa si divide, a sinistra, in via del Pellegrino, che prosegue sino al palazzo della Cancelleria e a Campo de’ Fiori, e a destra in via di Monserrato, caratterizzata da un andamento serpeggiante, che conduce a piazza Farnese. Le vie strette e in parte tortuose rivelano che si tratta di uno dei quartieri più antichi conservati in città. Verso il 1510, e quindi quasi contemporaneamente alla realizzazione di via Giulia, Bramante iniziò sulla sponda opposta del fiume il tracciato parallelo di via della Lungara, che collega porta di S. Spirito a porta Settimiana, una zona verde, non protetta dalle mura, particolarmente invitante per la progettazione di nuove costruzioni di prestigio. Il tracciato prosegue, più stretto e meno regolare, fino a S. Maria in Trastevere. Con l’ideazione di via Giulia e di via della Lungara, e con i progetti per piazza del Ponte e il palazzo dei Tribunali, Giulio II e Bramante avevano iniziato a trasformare il fiume in una strada trionfale, e, con la realizzazione di costruzioni sontuose visibili anche dal fiume, a superare addirittura il Canal Grande di Venezia. L’urbanizzazione del fiume venne subito riproposta dagli allievi di Bramante all’interno dei progetti per la Farnesina, palazzo Farnese e villa Madama, ma non proseguì nei secoli successivi. Disceso da celebri condottieri dell’alto Lazio e figlio di una donna appartenente al casato dei Caetani, Alessandro Farnese faceva parte dell’alta nobiltà romana. Nel 1493, conclusi gli studi a Firenze, il giovane appena venticinquenne ricevette, grazie al rapporto della sorella Giulia con papa Alessandro VI, il cappello rosso. Poco dopo Alessandro acquistò il palazzo cardinalizio in via Arenula, che all’epoca corrispondeva all’incirca alla metà destra del palazzo attuale. Probabilmente a ispirarlo nella progettazione della nuova fabbrica fu la progettazione nel 1508 di via Giulia. Il nuovo tracciato avrebbe attraversato la sua proprietà, e Giulio II era estremamente interessato che fosse costeggiato da edifici sontuosi. La realizzazione della fabbrica iniziò solo più tardi, in seguito all’elezione a pontefice nel 1513 di Giovanni de’ Medici, suo amico, e dopo che quest’ultimo gli aveva elargito ulteriori prebende. Il nuovo papa acconsentì anche al matrimonio tra il figlio illegittimo di Alessandro e la propria nipote, svilup-
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CAPITOLO QUINTO
Castel S. Angelo e il corso del Tevere. Castel S. Angelo. Il “tridente”, oggi appena visibile, che collegava piazza del Ponte con S. Giovanni dei Fiorentini e il Monte Giordano degli Orsini, risale a Paolo III e a un progetto di Sangallo.
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Pagine seguenti: Il Tevere sino a ponte Sisto. Le due sponde del Tevere (fortemente modificate dai “muraglioni” ottocenteschi) sono delimitate da via Giulia (sponda sinistra) e via della Lungara (sponda destra). Il tracciato rettilineo di via Giulia termina a ponte Sisto. Il giardino di palazzo Sacchetti originariamente scendeva fino al Tevere.
La Farnesina, il Tevere, ponte Sisto e palazzo Farnese da nord-ovest.
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CAPITOLO QUINTO
Palazzo Farnese. Palazzo Adimari Salviati e via della Lungara. Già sede del Collegio Militare, ospita attualmente il Centro Alti Studi per la Difesa.
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Pagine seguenti: Palazzo Corsini, sede dell’Accademia dei Lincei. Ponte Sisto e piazza Trilussa a Trastevere. L’ansa del Tevere e Campo Marzio da Trastevere.
CAPITOLO QUINTO
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ROMA NEL RINASCIMENTO
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Pagine precedenti: Il corso del Tevere sino all’isola Tiberina e la sponda sinistra da Trastevere.
pando in modo considerevole i progetti dinastici di Alessandro. Il suo architetto, Antonio da Sangallo il Giovane, anch’egli cresciuto nell’entourage dei Medici, che aveva già ristrutturato il castello di Capodimonte sul lago di Bolsena, fu incaricato della progettazione di un palazzo doppio per i due figli di Alessandro. Probabilmente la parte privilegiata, orientata verso il Tevere, era destinata al primogenito e doveva essere collegata a via Giulia mediante una piazza. Nella progettazione Sangallo fu condizionato da muri e mosaici antichi. Nello stereometrico esterno ripropose il palazzo gemello degli Strozzi a Firenze, limitando però il bugnato agli angoli e al portale e decorando i tre piani quasi uguali con edicole antichizzanti. Dopo la morte del secondo figlio Ranuccio e la sua elezione a pontefice, nel 1537 Paolo III nominò il primogenito Pierluigi duca di Castro e gli donò il palazzo, abbandonando l’idea del palazzo doppio. Il lato nord-orientale rimase il prospetto principale del palazzo e venne distinto da un’ampia piazza antistante e due fontane con vasche ritrovate nelle terme di Caracalla. Il colonnato doppio della finestra del balcone con lo stemma papale e lo stupendo cornicione decorato con gigli farnesiani e foglie d’acanto risalgono invece a Michelangelo e agli anni 1547-49. Prima della regolazione del fiume le sponde del Tevere erano molto più ampie e discendevano gradualmente. Quando Pierluigi fu nominato duca di Castro, Sangallo propose di aprire l’ala posteriore del palazzo in una loggia sul giardino – particolare allora indispensabile in un palazzo principesco – mentre Michelangelo suggerì addirittura di fiancheggiare, come in una villa, la loggia con due avancorpi. Sino all’Ottocento il ponte sotto il quale scorre via Giulia collegava il giardino attuale con il giardino precedente, che scendeva fino al fiume. I Farnese raggiungevano in barca la loro vigna trasteverina, posta di fronte, ma Michelangelo avrebbe voluto collegarla col palazzo attraverso un ponte di assi. L’attuale ala posteriore fu completata nel 1589 da Giacomo Della Porta su commissione del cardinale Alessandro il Giovane, nipote di Paolo.
Da ponte Sisto a S. Pietro in Montorio A Sisto IV spetta la costruzione di ponte Sisto, il primo ponte eretto a Roma dopo l’Antichità. Come tanti altri monumenti che migliorarono le infrastrutture cittadine, venne progettato alla vigilia dell’Anno Santo 1475 per collegare il centro storico e via Giulia con Trastevere.
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A fronte: S. Pietro in Montorio.
All’imbocco meridionale di via della Lungara, tracciato sotto Alessandro VI, Alessandro Farnese costruì la casa quattrocentesca della sua vigna, mentre il cardinale Raffaele Riario vi fece erigere un palazzo suburbano poi integrato nel settecentesco palazzo Corsini. Nel 1505 Agostino Chigi, il banchiere più ricco del suo tempo, incaricò il conterraneo Baldassarre Peruzzi di realizzare un palazzo da abitare tutto l’anno, decisione resa possibile in quell’area, non fortificata, solo grazie alla pace assicurata da Giulio II. Nel 1580 l’edificio fu acquistato dai vicini Farnese e da allora è detto Farnesina. Come in una villa, avancorpi turriformi fiancheggiano la loggia-vestibolo e l’antistante piattaforma rialzata, occasionalmente impiegata come palco per le rappresentazioni teatrali. I due piani sono articolati da uno snello ordine tuscanico originariamente stuccato in bianco. Il decoro delle pareti – statue e finti rilievi di satiri, vittorie e scene mitologiche di cui si sono conservati solo piccoli frammenti – culminava nei putti, candelabri e festoni del fregio in stucco. Il lato orientale si apriva nella loggia del pianterreno con un belvedere sul grande giardino che digradava verso il Tevere, dove era una grotta, per i bagni e la pesca, con una loggia soprastante. Nel 1510 Chigi acquistò il giardino confinante a nord, che seguiva già il tracciato rettilineo di Bramante. Verso il 1511-12 Raffaello vi costruì le scuderie del banchiere, oggi conservate solo in frammenti della facciata. Via Garibaldi, già via delle Fornaci, l’antica strada che sale da porta Settimiana, già piazza delle Fornaci, conduce al grande convento francescano di S. Pietro in Montorio. Già Sisto IV aveva affidato il vecchio edificio decaduto al beato Amadeo de Silva, che vi fondò un convento francescano iniziando una nuova chiesa. Solo dopo la morte del pontefice i reali spagnoli s’impegnarono nel finanziamento incaricando, tramite il loro luogotenente e futuro cardinale Carvajal, probabilmente Baccio Pontelli della progettazione di una chiesa monumentale e di un convento con due chiostri. Per il rapporto della chiesa col paesaggio quest’ultimo s’ispirò alla Madonna del Calcinaio del suo maestro Francesco di Giorgio. Successivamente il suo posto fu preso probabilmente da Antonio da Sangallo il Vecchio, che sopraelevò la chiesa, aggiunse il campanile e cominciò il secondo chiostro, integrato in seguito nell’attuale Accademia di Spagna. Nel 1502 Carvajal incaricò Bramante di realizzare il primo chiostro e il tempietto, in forma di una tholos antica, in memoria del presumibile luogo della crocifissione di Pietro. Il chiostro rotondo che doveva circondarlo non venne mai realizzato.
CAPITOLO QUINTO
Pagine seguenti: Il Campidoglio e la scalinata di S. Maria in Aracoeli.
S. Maria dell’Anima. Campo de’ Fiori.
Il Campidoglio, particolare con il disegno pavimentale e la statua di Marco Aurelio (originale attualmente nei Musei Capitolini).
Palazzo Venezia. Chiesa del Gesù e via del Plebiscito.
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Accanto alla concava porta di S. Spirito, di Antonio da Sangallo il Giovane, l’unico significativo monumento cinquecentesco nella parte settentrionale di via della Lungara, è il palazzo che il giovane Giulio Romano progettò nel 1520 per un fiduciario di Leone X, il vescovo fiorentino Filippo Adimari. Non a caso questo scelse un sito di fronte alla propria chiesa nazionale di S. Giovanni dei Fiorentini, allora appena cominciata su progetto di Jacopo Sansovino. L’unico prospetto di palazzo Adimari è rivolto verso il Tevere e il quartiere dei Banchi, mentre il lato posteriore si apriva in arcate sui vasti giardini che risalivano le pendici del Gianicolo. Giulio Romano intendeva proseguire il bugnato del pianterreno in un piano nobile articolato da un ordine di paraste con una grande finestra centrale. Verso il 1550 il pianterreno incompiuto venne acquistato dai Salviati e, come palazzo Sacchetti, continuato e ampliato da Nanni di Baccio Bigio in forme non coerenti col primo progetto.
Il Campidoglio Nel corso del Medioevo il Campidoglio divenne la sede del Comune, la debole controparte del Vaticano, situato dall’altra parte della città. Il palazzo dei Senatori, il palazzo dei Conservatori e S. Maria in Aracoeli presero il posto del Tabularium e dei templi di Giove e di Giunone Moneta. Secondo la leggenda l’altare maggiore della duecentesca chiesa francescana, l’“Aracoeli”, fu eretto sul luogo nel quale la Vergine Maria era apparsa ad Augusto. La chiesa, alla quale si accede ancor oggi mediante la ripida scalinata originaria, divenne il santuario comunale e vi furono tumulati un pontefice, alti prelati e numerosi patrizi. Accanto all’adiacente convento, Paolo III si fece costruire una villa fortificata collegata tramite un viadotto a palazzo Venezia, sua residenza estiva, successivamente sacrificata per la realizzazione dell’Altare della Patria. Niccolò V ristrutturò i due palazzi capitolini e Sisto IV contraddistinse la piazza con opere dell’antica Roma. Paolo III, l’unico tra i pontefici rinascimentali di origini romane, nel 1538 incaricò Michelangelo di trasferirvi dal Laterano la statua equestre di Marco Aurelio (creduto Costantino), e si presentò nell’iscrizione dello zoccolo come il legittimo erede degli imperatori. Poco dopo, sempre Michelangelo costruì la scalinata a doppie braccia del palazzo Senatorio. Successivamente Pio IV (1559-65) lo incaricò della ristrutturazione della piazza e delle facciate che vi prospettavano, ma alla sua morte, nel 1564, era stato ese-
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guita soltanto l’ultima campata del palazzo dei Conservatori. Michelangelo voleva trasformare la piazza in un trapezio simmetrico tramite l’analogo palazzo Nuovo a sinistra, ideato come sala di riunioni del Comune, ma realizzato solo nel Seicento per destinarlo a museo. Benché realizzato solo nel secolo scorso, anche l’ovale leggermente in salita della piazza e la sua decorazione risalgono a Michelangelo. Da ognuno dei dodici raggi della stella al centro della quale sta la statua equestre, si originano due linee curve divergenti che s’incontrano con analoghe linee curve alla periferia dell’ovale in archi ogivali, una decorazione del tutto inusuale per il Rinascimento che ricorda le costolature delle volte delle moschee spagnole e fa apparire l’ovale ancora più tondeggiante e la piazza ancora più centralizzata. A chi sale la rampa che parte a lato della scalinata della chiesa, l’effetto anti-prospettico della pianta trapezoidale fa apparire la piazza quasi quadrata. Funzionalmente e gerarchicamente i due palazzi laterali erano gerarchicamente subordinati al palazzo Senatorio, sede della massima autorità comunale. Non a caso è l’unico ad avere un pianterreno bugnato, una simmetrica scalinata esterna, due file di finestre e un campanile centrale. Dietro agli avancorpi angolari sono celate le torri precedenti. Quando Giacomo Della Porta realizzò la facciata le conferì un rilievo molto più piatto di quello previsto da Michelangelo, adattando le finestre al proprio linguaggio più decorativo e capriccioso. Nelle facciate dei palazzi laterali soltanto la più larga e complessa finestra centrale risale a Della Porta. L’ordine corinzio gigante del palazzo dei Conservatori è più classicheggiante di qualsiasi altra costruzione rinascimentale e le finestre appaiono ancora meno capricciose di quelle realizzate da Michelangelo quattordici anni prima a S. Pietro. Tra le colonne del piccolo ordine ionico che fiancheggiano i pilastri del palazzo dei Conservatori, si apre il portico del pianterreno con le botteghe degli artigiani da cui si accede al cortile, in parte ancora medievale .
Da piazza Venezia a corso Vittorio Da cardinale, il veneziano Marco Barbo era stato titolare di S. Marco, chiesa nazionale dei veneti. Appena nominato papa Paolo II, nel 1465 incaricò Francesco del Borgo, il discepolo più dotato di Leon Battista Alberti, di trasformarlo in una residenza pontificia non solo collocata nelle immediate vicinanze del centro della Roma antica, ma anche più classicheggiante, rappresentativa e comoda rispetto alle precedenti residenze dei pontefici. Francesco
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si ispirò, per le logge delle benedizioni papali della chiesa e del cortile del palazzo, esplicitamente al Colosseo, e aggiunse un palazzetto, la residenza del nipote, con giardino segreto a forma di chiostro. Poiché la pur salda torre asimmetrica aggiunta successivamente non offriva la stessa protezione delle mura del Vaticano, i papi risiedettero raramente nel palazzo, cedendolo nel 1564 alla Repubblica di Venezia. Il quartiere circostante fu distrutto per permettere la costruzione dell’Altare della Patria, mentre il Palazzetto fu spostato verso occidente. Alle spalle del palazzo, verso ovest, è la chiesa del Gesù, la chiesa madre dei gesuiti. Venne commissionata nel 1568 dal cardinale Alessandro Farnese, nipote maggiorenne di Paolo III, e cominciata su progetto di Vignola. Quando la costruzione giunse alla trabeazione, fu sostituito da Giacomo Della Porta, che rese le proporzioni della chiesa più snelle, ne migliorò l’illuminazione e ne mutò il progetto sia della cupola che della facciata. Nel Gesù la tipologia di una sala a croce latina con tamburo, cupola e cappelle laterali risalente ai Sangallo venne codificata per servire poi da modello per tante chiese non solo romane, in particolare per quelle dei grandi ordini, come le vicine chiese di S. Andrea della Valle, S. Ignazio e S. Carlo ai Catinari. Esemplare per l’architettura religiosa dei secoli successivi fu anche la facciata in travertino, che corrisponde esattamente all’interno. Il suo ordine inferiore culmina nell’iscrizione e nello stemma del committente e prosegue in forma astratta sul fianco sinistro. Nel dinamismo verticale della facciata Della Porta va oltre Michelangelo e Vignola e inaugura un periodo della storia dell’architettura definito dalla critica otto-novecentesca “barocco” e, in tempi più recenti, “manierista”. A piazza del Gesù via del Plebiscito diviene corso Vittorio Emanuele II, che prosegue verso largo di Torre Argentina. Il largo deve la sua forma agli scavi novecenteschi dei templi repubblicani, per rivelare i quali vennero sacrificati le case dei Cesarini, e prese nome dalla torre di Johannes Burcardus (Giovanni Burcardo), cerimoniere di Alessandro VI e Giulio II, nato a Strasburgo, l’antico Argentoratum. A ovest di corso Vittorio si apre Campo de’ Fiori, che si dice abbia preso il nome dalla rosa, simbolo degli Orsini; il loro irregolare palazzo medievale nel lato sud della piazza è stato poi sostituito nel Settecento da palazzo Righetti. Il rione Parione, a est di corso Vittorio, è dominato da S. Maria della Pace, eretta da Sisto IV, dall’adiacente chiostro di Bramante e dalla chiesa tedesca di S. Maria dell’Anima, contraddistinta da un campanile ugualmente bramantesco e da una facciata rettangolare.
Dalla chiesa di S. Andrea della Valle, si diparte corso Rinascimento, tracciato nell’epoca fascista. Questo costeggia la Sapienza, l’antica sede dell’università romana. La più stretta e irregolare via del Teatro Valle, che corre parallelamente a est, parte dai palazzi del cardinale Andrea della Valle, situati di fronte a S. Andrea e già sede della sua famosa collezione d’antichità. All’altezza della Sapienza sbocca in piazza S. Eustachio e prosegue nella via della Dogana Vecchia lungo palazzo Madama, sede del Senato e già residenza cardinalizia di Leone X. In maniera quasi programmatica questo era fiancheggiato dalla Sapienza e da S. Luigi dei Francesi, la chiesa francofona fondata durante il pontificato di Leone X. Il papa incaricò Raffaello e Sangallo di collegare il palazzo con la via Flaminia per permettere ai viaggiatori provenienti da nord di recarsi direttamente alla sede della sua famiglia. Il tracciato rettilineo non riuscì però mai ad arrivare oltre via Ripetta e via della Scrofa, che comincia solo all’altezza di S. Agostino. Via Ripetta costeggia palazzo Borghese, cominciato verso il 1560 da Vignola per il vescovo Tommaso del Giglio, S. Rocco, la chiesa dei mulattieri e vignaroli, e il mausoleo d’Augusto, sfociando in piazza del Popolo.
Piazza del Popolo Prima di Valadier e del periodo napoleonico i confini di piazza del Popolo erano delimitati a sud dal convento agostiniano di S. Maria del Popolo, costruito da Sisto IV, e a nord da una zona poco edificata che scendeva verso le mura aureliane e il Tevere. La chiesa di S. Maria del Popolo, dove viene venerata l’icona di Maria attribuita all’evangelista Luca, s’appoggia alle mura aureliane. L’interno è ispirato al progetto di Niccolò V per S. Pietro, e la facciata a quella albertiana di S. Maria Novella a Firenze. Poiché desiderava un collegamento diretto tra l’ingresso settentrionale della città e la sua nuova residenza a palazzo Venezia, Paolo II fece rinnovare l’ultimo tratto dell’antica via Flaminia; fu sempre lui a introdurre le corse del carnevale, ai quali via del Corso deve il proprio nome. Dopo che Raffaello e Sangallo ebbero tracciato via di Ripetta per volontà di Leone X, Sangallo progettò anche il terzo raggio del tridente, l’odierna via del Babuino, che dava accesso al nuovo quartiere ai piedi del Pincio e terminava davanti al Quirinale. Già Raffaello aveva previsto di contraddistinguere con un obelisco il centro della piazza, anche se quello attuale risale solo a Sisto V.
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Pagine precedenti: Campo Marzio, da largo di Torre Argentina ai quartieri di nord-est.
Il Quirinale e porta Pia 184-185
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Dal tardo Quattrocento in poi, il Quirinale, sede nell’antichità di templi fastosi e di terme, aveva riacquistato splendore grazie ai giardini commissionati dal cardinale Oliviero Carafa. Paolo III fu il primo Papa a soggiornare nell’estate sul Quirinale. Pio IV (1560-65) vi portò l’acqua, che permise al cardinale Ippolito d’Este la creazione dei più grandiosi giardini d’Europa. Poco dopo il suo architetto, Pirro Ligorio, progettò per Ippolito l’ancora più fastosa villa d’Este a Tivoli. Nel tardo Cinquecento i papi trasformarono il palazzo nella loro residenza estiva, successivamente divenuta quella dei Savoia e del Presidente della Repubblica, che adattarono i giardini cinque-seicenteschi ai loro gusti. Pio IV fece anche rinnovare e allargare l’antica via che portava a porta Nomentana, costeggiata dai più famosi giardini della Roma cinquecentesca, che solo nel Seicento avrebbero ceduto il posto a conventi e chiese come S. Andrea, S. Carlino, S. Susanna e S. Maria della Vittoria. Pio IV incaricò Michelangelo di erigere la nuova porta Pia come point-de-vue della strada, in una posizione più assiale rispetto alla porta precedente. La Dogana e le sue tre fronti esterne risalgono invece a Virginio Vespignani, architetto di Pio IX. La notevole altezza di porta Pia è riconducibile a prototipi come la porta Romana della patria fiorentina del maestro. Nell’articolarla con un linguaggio decisamente meno classicheggiante del contemporaneo Campidoglio, s’ispirò ai capricciosi portali rustici dei vicini giardini, conferendo al portale una fisionomia antropomorfa. La conclusione poligonale ricorda una bocca, la maschera centrale un naso e il frontone spezzato, con il festone e l’iscrizione di Pio IV, l’acconciatura della testa. Le fessure triangolari della finestra termale cieca, utilizzata come arco di scarico, assomigliano a occhi, e le volute laterali a orecchie: una fisionomia tanto spaventosa quanto umoristica, che corrisponde allo spirito di quegli anni. Diversamente dal baroccheggiante Vespignani, Michelangelo avrebbe voluto tornare a un linguaggio più antico nelle paraste doppie dell’ordine corinzio e nel frontone triangolare del piano superiore, ma vi ripeté il motivo umoristico delle finte finestre delle campate laterali del pianterreno, interpretate come piatti e tovaglie di un barbiere, il mestiere degli antenati dei Medici. Gli angeli che fiancheggiano lo stemma del pontefice si riferiscono al nome di battesimo di Pio IV. Nella sintassi della porta Michelangelo si permette una libertà capricciosa come non ha mai osato in nessun’altra architettura. Pone le paraste, articolate da scanalature
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A fronte: Porta Flaminia, S. Maria del Popolo e piazza del Popolo. La piazza si presenta attualmente nella redazione neoclassica attribuita a Giuseppe Valadier.
ioniche, su basi tuscaniche, le dota di capitelli nudi e limita l’architrave a gocce doriche, propone un fregio liscio estremamente alto, spezza la cornice e continua l’ordine e il frontone ai lati in due livelli più sintetici. L’enorme peso della trabeazione e del frontone delle finestre laterali ricorda quelli del palazzo dei Conservatori, ma le forme sono più astratte e meno eleganti, come conviene a una porta di città. La merlatura puramente decorativa è composta da capitelli ionici ornati con le “palle” dei Medici.
Villa Madama Come il padre Lorenzo il Magnifico, anche Leone X fece erigere solo poche fabbriche, e neppure villa Madama fu frutto di una sua iniziativa. Suo cugino Giulio, il futuro Clemente VII, nel 1518, poco dopo la sua nomina a vicecancelliere, incaricò Raffaello di edificarla per potervi vivere more antiquo e ricevere ospiti di riguardo. In una lettera del 1519 all’amico Baldassarre Castiglione, Raffaello descrive come intendeva unire le caratteristiche dei palazzi e delle ville moderne a quelle dell’Antichità, che conosceva dalle descrizioni di Plinio il Giovane e Cicerone. Erano previsti una dietha nella torre d’ingresso, una cenatio accanto alla piscina, dove si poteva pranzare all’aperto, terme con frigidarium, tepidarium e caldarium, un anfiteatro all’antica e un ippodromo. Come nella villa Medici di Fiesole, egli tagliò le terrazze del pendio di Monte Mario verso il Tevere e ponte Milvio, e aprì la loggia sul giardino pensile. Per la sequenza dei tre cortili e l’asse longitudinale che li percorre, egli s’ispirò al cortile del Belvedere di Bramante, mentre, per le due logge e l’ordine colossale dell’esterno, al bramantesco “Ninfeo” di Genazzano. Appena iniziati i lavori, il terreno minacciò di cedere e Raffaello, solo grazie all’aiuto del suo vice Antonio da Sangallo il Giovane, il quale probabilmente ebbe l’idea del cortile rotondo mai completato, poté modificare il progetto riuscendo a proseguire nella costruzione. Dopo la morte di Raffaello, nell’aprile del 1520, Giulio Romano, suo discepolo, proseguì insieme a Sangallo nella costruzione concentrandosi principalmente sull’ala del giardino, la cenatio e la peschiera, gli spazi essenziali per permettere il soggiorno del cardinale. Quando nel dicembre 1521 Leone morì, meno della metà della villa era stata completata e i lavori si interruppero, e dopo essere stato eletto pontefice nell’autunno 1523, Clemente VII preferì concentrarsi sui progetti fiorentini collegati più intimamente alla sua famiglia.
Pagine precedenti: Porta Pia. Il palazzo del Quirinale, la Manica Lunga e via XX Settembre sino a porta Pia.
Villa Giulia 208-209
All’inizio degli anni Venti del Cinquecento il cardinale Antonio del Monte aveva incaricato Jacopo Sansovino di costruire una villa con cortile circolare sul lato settentrionale del Pincio, ma non riuscì a completarla, lasciando la proprietà ai nipoti Baldovino e Giovanni Maria Ciocchi del Monte. Nominato cardinale nel 1536, quest’ultimo incaricò nel 1538 Jacopo Meleghino, domestico e architetto di fiducia di Paolo III, della progettazione della villa, ma questo non ne ha lasciato traccia visibile. Eletto papa Giulio III nel 1550, Giovanni Maria fece ampliare considerevolmente il terreno, basandosi sul consiglio di Michelangelo e Vasari e incaricando Vignola della progettazione di una villa degna di un pontefice. La villa doveva essere visibile e accessibile dal Tevere, in modo che la si potesse raggiungere direttamente in barca da Castel S. Angelo. Nella parte centrale e nella loggia semicircolare del cortile Vignola si servì delle preesistenze sansoviniane, il che spiega l’orientamento della fabbrica e il motivo per cui l’asse longitudinale dominante del cortile si flette leggermente a sud. Il papa teneva particolarmente al basso ninfeo retrostante il cortile, pensato per lenire i suoi dolori reumatici. Dopo che Vignola, nella primavera del 1552, aveva concluso la realizzazione di gran parte del palazzetto e del ninfeo, il papa lo sostituì con lo scultore Ammannati, che ornò riccamente con sculture, colonne e stucchi sia il cortile sia il ninfeo. Solo pochi anni dopo il Rinascimento avrebbe trovato la sua definitiva conclusione con il Casino di Pio IV e villa d’Este a Tivoli.
Villa Madama.
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CAPITOLO SESTO GRAN TEATRO BAROCCO ROMA DA SISTO V A BENEDETTO XIV Gerhard Wiedmann
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L’immagine attuale di Roma è frutto del lungo periodo del barocco, che orienta precocemente il tessuto urbano verso uno sviluppo moderno. A tale proposito non vi è visione migliore di quella dall’alto, che rivela cupole e torri bizzarre accanto a vaste piazze e strade rettilinee. Già le prime piante di Roma rappresentavano la città da una posizione elevata, anche se immaginaria. Il punto di stazione privilegiato era il Gianicolo, da dove la vista poteva spaziare da S. Pietro fino a porta S. Paolo. Oggi, che non si è più vincolati a una veduta fissa, si può mutare l’angolazione, focalizzando l’attenzione in modo più adeguato su particolari monumenti. Tra i primi straordinari esempi di piante di Roma, quella stampata da Antonio Tempesta nel 1593 mostra la città agli inizi della nuova epoca. Dopo le tante iniziative dei papi del Rinascimento, un nuovo impulso si ha nella seconda metà del Cinquecento con papa Sisto V Peretti (1585-1590), che prosegue l’opera dei predecessori Pio V (1566-1572) e Gregorio XIII (1572-1585), dando peraltro corso agli interventi urbanistici con maggiore rigore e determinazione. Il papa non badava a spese e non si curava mai delle contestazioni dei proprietari in caso di espropri: le colline venivano spianate e gli avvallamenti riempiti al fine di agevolare i tracciati, cercando soprattutto di creare strade diritte per congiungere le principali basiliche. A tale scopo il percorso doveva essere agevolato senza disperdersi in vicoli, e offrire al tempo stesso una prospettiva diretta sul monumento. Il grande architetto e ingegnere Domenico Fontana, attuatore dei progetti del papa, descrive nel suo libro del 1590 proprio questo aspetto: «Volendo ancora Nostro Signore facilitare la strada a quelli, che mossi da devozione o da voti sogliono visitare spesso i più santi luoghi della Città di Roma, e in
particolare le sette Chiese tanto celebrate per le grandi indulgenze, e reliquie, che vi sono, ha in molti luoghi aperte molte strade amplissime, e drittissime: talché può ciascuno a piedi, a cavallo, e in cocchio partirsi di che luogo si voglia di Roma, e andarsene quasi per drittura alle più famose devozioni, la qual cosa giova a riempir la Città: perché essendo queste strade frequentate dal popolo…». Il primo esempio di tale assetto è offerto da Gregorio XIII con la creazione di via Gregoriana (oggi via Merulana), tra S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano. La maggiore ambizione di Sisto V era la realizzazione di una strada che da piazza del Popolo, passando per S. Maria Maggiore, raggiungesse S. Croce in Gerusalemme. L’arcivescovo di Avignone Giovanni Francesco Bordini allega alla biografia di Sisto V (De rebus praeclare gestis, Roma 1588) uno schema dell’impianto viario proposto dal pontefice, in forma di stella (in syderis formam), con al centro S. Maria Maggiore. Questa formulazione ha indotto a una falsa interpretazione, non rappresentando la pianta una vera e propria stella. Vi si può infatti aggiungere la strada di collegamento tra S. Giovanni in Laterano e il Colosseo, o la progettata strada dalla basilica a S. Paolo fuori le mura. L’abitato di Roma si era sviluppato soprattutto lungo il Tevere, escludendo la zona orientale, collinare e più ventilata. Il primo importante insediamento è costituito dal Quirinale, già con Sisto V residenza estiva dei pontefici. Per rendere vivibile questa parte della città occorreva però l’acqua. Un’impresa particolarmente impegnativa fu perciò rappresentata dalla costruzione dell’acquedotto, detto Acqua Felice, che provenendo dalle vicinanze di Zagarolo andava ad alimentare in particolare la vasta area orientale della città, da sempre esclusa da questo be-
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CAPITOLO SESTO
neficio. Il lavoro fu completato in diciotto mesi e la fontana, con la trionfale mostra finale, venne inaugurata il 15 giugno 1587. Della conduttura poterono usufruire anche la villa e la vigna dei Montalto, ma poche abitazioni e imprese commerciali godettero alla fine di questa novità, che contribuì all’incremento delle vigne. In appena cinque anni la città visse numerose trasformazioni, con il trasferimento e l’erezione di obelischi egizi e la creazione di nuovi spazi. Appena qualche anno dopo, il monaco benedettino Angelo Grillo scrisse in una lettera che papa Sisto aveva cambiato la città «di Roma spettatrice in Roma spettacolo: anzi in gran teatro» (Lettere, Venezia 1612). Questo «gran teatro» rappresentava e celebrava l’Urbe come «ecclesia triumphans», la città che dopo il Concilio di Trento si riaffermava come centro della Cristianità. I successori di Sisto V contribuirono al miglioramento della vita in città, e col radicarsi dell’arte barocca insieme agli interventi urbanistici crebbe anche l’aspetto spettacolare. Se molti papi ebbero a cuore il bene comune, altri come Innocenzo X (1644-1655) si preoccuparono soprattutto della glorificazione della propria famiglia facendo costruire un palazzo affacciato su piazza Navona. Paolo V (1605-1621) continuò il riassetto della zona intorno a S. Maria Maggiore e intervenne anche in Trastevere, realizzando un importante impianto idrico utile per le abitazioni e per il mondo produttivo. Anche Urbano VIII (1623-1644) – legato a interventi monumentali in S. Pietro come l’erezione del baldacchino, frutto della creatività di Gian Lorenzo Bernini – lasciò la propria impronta nella strada che da lui prese il nome (via Urbana), di collegamento tra la via Felice e la Suburra. Il termine «gran teatro» è consapevolmente impiegato nel pontificato di Alessandro VII (1655-1667) per l’attività del suo artista preferito, Gian Lorenzo Bernini, che ricopre i ruoli di architetto, scultore, pittore e scenografo. Papa Alessandro partecipa attivamente agli interventi urbanistici, come conferma il suo diario e il gran numero di disegni con annotazioni di suo pugno. Nel 1665 Giovan Battista Falda pubblica il Nuovo teatro delle fabriche, et edificii in prospettiva moderna presentando attraverso le incisioni le nuove architetture ed esaltando l’opera del papa (i due volumi sono dedicati a Mario Chigi, fratello del pontefice). La città, con i palazzi e le chiese affacciati sulle vie e le piazze, assume la forma di una gigantesca quinta teatrale dove si svolge un grande spettacolo. Il delegato genovese riferisce che al momento della morte del papa aveva visto nella camera da letto un plastico ligneo di Roma, a conferma dello stretto rapporto tra Alessandro VII e la città.
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Il suo volto barocco, con artisti di eccezione come Francesco Borromini e Pietro da Cortona, oltre naturalmente a Bernini, raggiunge in questo momento il culmine con la riorganizzazione dell’assetto urbano definita da Richard Krautheimer «the remapping of Rome».
Basilica di S. Giovanni in Laterano, facciata (arch. Alessandro Galilei).
Basilica di S. Maria Maggiore, particolare dell’abside.
Basilica di S. Pietro, con piazza e colonnato, e Palazzo Apostolico Vaticano.
sulla via Liberiana, proseguiva nel palazzo dei Canonici, su cinque piani, e unificava così tutto il lato sino alla facciata principale. Con il concorso del 1732 per la facciata di S. Giovanni in Laterano si era elaborato un nuovo modello per l’aspetto esterno delle basiliche romane. Benedetto XIV dette perciò incarico a Ferdinando Fuga di adeguare anche S. Maria Maggiore ai nuovi stilemi, integrando nella facciata le due case dei Canonici ai lati della basilica. La nuova facciata, conclusa nel 1743, è su due ordini e si allinea, nei livelli dei piani, a quelli dei palazzi, che divengono così elementi dominanti. La facciata è incisa da grandi arcate, come in S. Giovanni in Laterano. Fuga segue però la tradizione del barocco romano e usa il doppio portico con al centro la loggia delle benedizioni a protezione dei mosaici romanici. L’ordine inferiore presenta cinque aperture scandite da pilastri con capitelli ionici, mentre quello superiore, spartito da colonne corinzie, si apre in tre fornici, di cui quello centrale più alto. L’effetto chiaroscurale è enfatizzato dalla balaustra traforata marcapiano. Celebri scultori eseguirono la decorazione scultorea: al centro domina la Madonna col Bambino di Giuseppe Lironi, mentre i quattro pontefici sono opera di Bernardino Ludovisi, Carlo Marchionni, Carlo Monaldi e Agostino Corsini.
S. Maria Maggiore La strada di collegamento tra piazza del Popolo e S. Maria Maggiore, e poi con S. Croce in Gerusalemme, è uno dei primi interventi urbanistici intrapresi da Sisto V (Felice Peretti di Montalto). Il nome della strada, via Felice, ricorda quello del papa, mentre la basilica rientrava nei suoi interessi in quanto confinante con la villa di famiglia, distrutta dopo l’Unità per far posto ai nuovi quartieri. Al termine della strada, che giunge all’abside di S. Maria Maggiore, venne collocato un obelisco (1587) per evidenziare il luogo e nobilitare l’edificio. L’aspetto attuale dell’abside si deve invece all’intervento di Gian Lorenzo Bernini sotto papa Clemente IX (1669). Sulla balaustra vennero collocate le statue, scolpite da Francesco Fancelli, di San Pietro, San Paolo, San Domenico e David, ma originariamente era prevista una serie di figure che come pinnacoli si sarebbero slanciate verso l’alto. Sul lato nord Sisto V iniziò a costruire, quasi in forma di transetto, la propria cappella funeraria conclusa da una cupola. Vi era conservata la reliquia del presepio di Gesù, che Domenico Fontana, con un lavoro ingegneristico piuttosto complesso, aveva spostato nella nuova posizione, in un vano inferiore, mentre al di sopra angeli reggevano il ciborio. Di fronte alla tomba di Sisto è quella di Pio V, papa da lui particolarmente venerato. L’aspetto del transetto fu completato nel 1611 da Paolo V, che fece costruire sul lato opposto la propria cappella funeraria, che accolse la venerata icona della Madonna Salus Populi Romani. Gesù e Maria si integravano così non solo dal punto di vista formale, ma anche da quello religioso. Proseguendo con coerenza il programma urbanistico di Sisto V, nel 1613 Paolo V fece innalzare davanti alla facciata una colonna proveniente dalla basilica di Massenzio. Dal nuovo perno si diramarono due strade, una verso S. Giovanni in Laterano, l’odierna via Merulana, l’altra verso S. Croce in Gerusalemme, entrambe concepite come percorsi di pellegrinaggio. L’esterno della basilica liberiana si presentava poco omogeneo e armonioso. La sacrestia, accanto alla Cappella Paolina, occupava un vuoto che sarebbe stato di disturbo del prospetto absidale. Il fianco sud,
Pagine seguenti: Basilica di S. Maria Maggiore. L’abside è affiancata dalle cappelle Sistina (a sinistra) e Paolina (a destra).
S. Giovanni in Laterano, Palazzo Apostolico Lateranense e Scala Santa
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Tra gli interventi architettonici intrapresi da Sisto V vi fu la costruzione come residenza estiva del palazzo Lateranense, in attesa del completamento del Quirinale. Domenico Fontana iniziò i lavori nel 1586 sopra le rovine dell’antico Patriarchio. Realizzato sul modello di palazzo Farnese, con un lato addossato alla basilica, si sviluppa con tre facciate uguali intorno a un cortile quadrato. Di fronte a palazzo Fontana costruì nel 1589 la Scala Santa come cappella privata dei papi. Si vuole per tradizione che sia la scala percorsa da Gesù nel palazzo pretorio di Pilato, governatore romano a Gerusalemme, portata a Roma da sant’Elena nel 329. Era collocata nel palazzo del Patriarchio presso l’oratorio di S. Silvestro. Analogamente ricostruito, alla sommità è il Sancta Sanctorum, che conserva l’immagine di Cristo portata una volta all’anno in processione a S. Maria Maggiore, dove incontrava la venerata immagine della Madre, la Salus Populi. Fontana curò anche la sistemazione della basilica e della piazza da cui partiva la strada di collegamento con S. Maria Maggiore. La facciata del transetto settentriona-
Basilica di S. Maria Maggiore, facciata (arch. Ferdinando Fuga).
le, ancora nelle caratteristiche forme romaniche, assunse così quasi la funzione di quella principale. Il transetto è di forme rinascimentali severe con due ordini di cinque arcate come la grande loggia delle benedizioni. Dietro la facciata si innalzano due campanili del XIII secolo con tetti a punta molto aguzza, ai quali corrisponde formalmente l’obelisco eretto nel 1587, il più alto di Roma (47 m con la base). Anche questo obelisco segna la fine della strada e ne costituisce a distanza il fulcro. La basilica ha subìto vari restauri sempre in occasione di un Anno Santo, il più incisivo dei quali fu senz’altro quello di Borromini tra il 1646 e il 1649. Per il rifacimento della facciata Clemente XII Corsini bandì nel 1732 un concorso al quale parteciparono 23 architetti, da cui uscì vincitore il fiorentino Alessandro Galilei, che ricevette anche l’incarico della costruzione della cappella di famiglia del papa, suo conterraneo, che dall’esterno si percepisce per la sua armoniosa cupola sul lato sinistro della chiesa. Il prospetto è formato da un doppio portico sovrapposto, l’inferiore architravato e il superiore con archeggiature. Uniti da un ordine gigante di lesene e semicolonne che sottolineano con un timpano triangolare la parte centrale della loggia delle benedizioni. Il tutto è sormontato da una balaustra con statue. Quella del Salvatore poggia su uno zoccolo curvilineo, accanto a San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista e ai Dottori della Chiesa.
S. Pietro: la basilica e la piazza La maggiore chiesa della Cristianità è costruita sopra la tomba di san Pietro, l’apostolo scelto da Cristo per guidare i suoi fedeli. I successori di Pietro sono i papi, che hanno fissato – ad eccezione di qualche periodo – la loro residenza in Vaticano. La vecchia basilica fondata dall’imperatore Costantino venne sostituita da una nuova architettura per la quale Bramante, i da Sangallo e Michelangelo proposero una pianta a croce greca sormontata da una cupola. La prima pietra fu posta nel 1506, ma solo nel 1593, sotto il papato di Sisto V, Giacomo Della Porta riuscì a terminare la cupola, alzandone e snellendone leggermente il profilo rispetto al progetto di Michelangelo. Sotto Paolo V Borghese la chiesa fu trasformata in una basilica con pianta a croce latina con l’aggiunta di un corpo longitudinale su progetto di Carlo Maderno. La facciata, completata nel 1614, risultò piuttosto larga, dovendo raccordarsi col palazzo papale a destra. D’altra parte non doveva essere neppure troppo alta, per non impedire la vista
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Chiesa di S. Gregorio al Celio.
Pagine seguenti: Piazza Navona, con la chiesa di S. Agnese in Agone (arch. Francesco Borromini). Piazza Navona, la chiesa di S. Agnese in Agone e la fontana dei Fiumi (di Gian Lorenzo Bernini).
della cupola. La struttura è grosso modo rettangolare, e solo al centro, al di sopra della loggia delle benedizioni, si innalza il timpano triangolare. I due livelli della facciata sono unificati da un ordine gigante su cui poggia l’attico rettilineo con le statue degli apostoli che attorniano Gesù e san Giovanni Battista. Ai lati, in sostituzione dei campanili, vi sono oggi gli orologi di Giuseppe Valadier. La piazza antistante era circondata dalle case di Borgo e dalle abitazioni dei canonici. Per la sua sistemazione, dopo infinite discussioni, nel 1657 si costruì un modello in grandezza naturale del «Gran Teatro di Colonnate nella Piazza Vaticana» secondo il progetto di Bernini, approvato da papa Alessandro VII, che poté essere realizzato. Quando nel 1586 l’obelisco fu posto al centro della piazza davanti alla basilica si creò anche un perno geometrico intorno al quale Bernini costruì la piazza, ovale in larghezza (“piazza obliqua”), che attenua l’effetto dell’estensione della facciata. Dopo la piazza ovale se ne realizzò una lineare (“piazza retta”), allargata verso la basilica per ridurre l’impatto prospettico. Dalla chiesa è ripreso il motivo delle alte colonne e la serie di statue sul cornicione. Le statue sono progettate da Bernini, ma le sculture sono opera della sua vasta bottega. Il colonnato, che aveva la funzione di riparare i fedeli dal sole e dalla pioggia, e il cui vasto passaggio era percorribile anche in carrozza, ha il significato simbolico di un abbraccio che accoglie i fedeli.
Acqua Paola Nell’agosto 1608 Paolo V acquistò da Virginio Orsini, duca di Bracciano, le sorgenti vicino al lago di Bracciano. Si trattava del riutilizzo di vecchi acquedotti bisognosi di restauri. Nel febbraio del 1609 si aprì la gara d’appalto per la ricostruzione dell’antica conduttura di Traiano, e già il 3 novembre 1610 si poté fare il collaudo del lavoro. Nel 1612 Giovanni Fontana e Carlo Maderno crearono l’imponente mostra d’acqua, alta sul colle del Gianicolo e visibile a distanza. Anche Goethe nel suo viaggio in Italia la descrisse con entusiasmo. Questa mostra d’acqua segue il prototipo dell’Acqua Felice con grandi archi a forma di arco trionfale. La mostra è composta da tre nicchie grandi e due più piccole divise da sei colonne ioniche di granito, quattro delle quali provengono dalla facciata della basilica costantiniana di S. Pietro. Sopra la trabeazione è la grande iscrizione che avverte che l’acqua proviene da sorgenti che distano 35 miglia (circa 50 km) rinnovando l’antico acquedotto.
Conclude la costruzione un timpano curvo con due figure alate, opera di Ippolito Buzio, che reggono lo stemma Borghese sormontato dalla croce. Gli angoli sono decorati con l’aquila e il drago, elementi araldici della famiglia del papa. Originariamente i draghi immettevano l’acqua in tre grandi vasche che sotto Alessandro VIII furono riunite in un’unica e grande vasca. Anche l’arco centrale fu ingrandito nell’occasione, forse riprendendo progetti di Bernini per la fontana di Trevi. Ora l’acqua cade in questo bacino in grandi cascate da ogni fornice. A differenza del modello, dell’Acqua Felice, che è circondata da un’intensa urbanizzazione, l’Acqua Paola è rimasta una zona poco abitata, perché papa Alessandro VII creò al di sotto l’Orto Botanico, mentre una strada rettilinea di collegamento con ponte Sisto è rimasta allo stato di progetto.
Piazza Navona Innocenzo X non appena eletto papa iniziò i lavori per la costruzione del palazzo di famiglia, della chiesa di S. Agnese e della piazza antistante, che avrebbe costituito il «foro Pamphilj». La piazza è costruita sull’antico stadio di Domiziano, ben percepibile nella veduta dall’alto, le cui strutture permangono ancora nel sottosuolo. Gli architetti prescelti in questa fase furono Girolamo e Carlo Rainaldi. In seguito al centro della piazza Bernini innalzò un grande obelisco sorretto da massi di travertino che lo trasformano in una fontana. Dopo la pace di Westfalia (1648) vi vennero raffigurati i quattro continenti, rappresentati dai quattro fiumi. In cima all’obelisco è posta una colomba col ramo d’ulivo nel becco, simbolo della pace, ma anche figura araldica dei Pamphilj. Due fontane preesistenti furono trasformate in forme barocche da Bernini (1655) con tritoni tra gli scogli. Qui la natura, con la roccia e l’acqua, si trasforma in un grande spettacolo. Un nuovo progetto per la chiesa, già in parte costruita, venne affidato a Borromini, che ne mutò la pianta, ampliando la facciata. Fallito il tentativo di Bernini di costruire due campanili ai lati della facciata di S. Pietro, abbattuti definitivamente sotto Innocenzo X, Borromini riuscì a incorniciare la facciata e la cupola di S. Agnese tra due campanili di struttura aperta e leggera. La facciata, con alto timpano e una serie di statue sull’attico, ha una rientranza concava che si dilata con andamento curvilineo come la piazza. La chiesa doveva costituire la cappella di famiglia e ospitare la sepoltura del papa; per questo moti-
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Acqua Paola sul Gianicolo.
vo è integrata nella residenza privata, con accesso diretto. Tra il palazzo e la chiesa Borromini inserì una Galleria affacciata sulla piazza con una serliana. Palazzo Pamphilj a sinistra e il quasi uguale Collegio Innocenziano a destra costituiscono la quinta ideale di questo «gran teatro» che tuttora affascina e suggestiona.
GRAN TEATRO BAROCCO ROMA DA SISTO V A BENEDETTO XIV
delle due chiese, simili ma pur così diverse tra loro. Tra il 1758 e il 1761 venne costruita, secondo il progetto di Girolamo Theodoli, la torre campanaria, bassa e compatta, di S. Maria di Montesanto, mentre snella e aperta, su disegno di Giovanni Domenico Navone (1759-63), si innalza quella della chiesa gemella. Si apre così il percorso verso il centro amministrativo della città, al tempo stesso meta agognata di pellegrinaggio.
Piazza del Popolo 161, 236-237
Sotto Alessandro VII piazza del Popolo assunse la forma di una scenografia teatrale. Da quando, nel 1589, Sisto V vi aveva collocato l’obelisco, precedentemente destinato a S. Croce in Gerusalemme, si era sottolineata l’importanza del luogo come primo impatto per chi giungeva in città da nord. La chiesa di S. Maria del Popolo costituiva una delle basiliche principali, e aveva sostituito la lontana S. Lorenzo fuori le mura. Per Alessandro VII vi era un ulteriore legame personale, dato che la chiesa ospitava la cappella di famiglia, completata da Bernini, dove era sepolto Agostino Chigi. Un nuovo stimolo per il completamento della piazza fu costituito dall’arrivo nel 1655 della regina Cristina di Svezia e dal suo ingresso trionfale proprio dalla porta del Popolo, per l’occasione decorata con gli emblemi della famiglia Chigi, i monti sormontati dalla stella, e con una dedica alla regina sul lato rivolto verso l’interno, la targa commemorativa del «felice e fausto ingresso». Anche la facciata della chiesa fu coinvolta nel programma celebrativo (ancora oggi si vedono gli emblemi chigiani dei monti). Subito dopo l’ingresso si apre il grande prospetto urbano con le tre strade (“tridente”) che si dipartono dalla piazza. L’impianto risale a papa Leone X, che per facilitare l’accesso a S. Pietro aprì il tracciato di via di Ripetta. Alessandro VII con maggiore rigore creò il percorso della via Lata (odierna via del Corso) facendo abbattere l’antico arco di Portogallo per consentire la visione continua sino al colle Capitolino, oggi vanificata dalla costruzione del Vittoriano. Come propilei, all’inizio delle tre strade sono due chiese, simmetriche e quasi gemelle, che fungono da quinta teatrale. Già nel 1661 il papa aveva approvato il primo progetto di Carlo Rainaldi e si potevano iniziare i lavori. Il pronao tetrastilo con la cupola ribassata è simile al Pantheon, a cui evidentemente si ispira. Nel completamento di S. Maria di Montesanto intervenne Bernini affiancato da Mattia de’ Rossi, mentre la chiesa di S. Maria dei Miracoli è opera di Carlo Fontana. Un ruolo non secondario per la definizione del prospetto è svolto dai campanili
S. Andrea al Quirinale I gesuiti avevano fissato dal 1566 il loro Noviziato sul Quirinale. Nel 1658 per la costruzione di una nuova chiesa Alessandro VII accettò l’offerta di un finanziamento da parte del principe Camillo Pamphilj e affidò l’incarico a Bernini. Posta lungo la via Pia e affacciata sulla Manica Lunga del palazzo del Quirinale, la piccola chiesa rappresenta uno degli esempi più singolari del barocco romano. Su ordine del papa venne arretrata per evitare la concorrenza col palazzo papale. Da qui proviene l’idea della chiesa a pianta ellittica. L’edificio è preceduto da un’edicola con lesene corinzie e una sorta di baldacchino con lo stemma Pamphilj che incornicia il portone. Una breve scalinata semicircolare conduce all’entrata. Si tratta di un gioco di geometrie tra convesso e concavo che viene sottolineato dal muro perimetrale, che con la sua forma concava abbraccia l’edificio e lo collega al filo della strada.
S. Carlino La chiesa è situata all’incrocio tra la via Pia, che unisce il Quirinale a porta Pia, e la vecchia via Felice tracciata da Sisto V. In ciascuno dei quattro angoli è inserita una fontana. Nel 1634 Borromini ricevette l’incarico della costruzione della chiesa e dell’edificio conventuale dei Trinitari spagnoli. Nel 1641 erano conclusi i lavori per la chiesa, mentre la facciata fu completata solo dopo il 1665. Alla morte di Borromini, sovraintese ai lavori fino al 1682 suo nipote Bernardo Castello, che aggiunse il campanile. In uno spazio minimo, la facciata a due ordini concentra un movimento di gusto barocco arricchito da moltissimi elementi. Le pareti del prospetto si flettono in avanti e all’indietro creando una linea ondulata. Il centro, convesso, è più ampio e sottolinea i lati concavi. Le nicchie accentuano la profondità, in modo che nell’ordine superiore, dietro la balconata, si è inserita un’edicola simile a una
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CAPITOLO SESTO
Chiese di S. Rocco e S. Girolamo degli Illirici (degli Schiavoni). Sul fondo l’abside di S. Carlo al Corso. Piazza del Popolo e il “tridente”. In primo piano la porta Flaminia e la chiesa S. Maria del Popolo; all’inizio di via del Corso le due chiese di S. Maria di Montesanto e S. Maria dei Miracoli. Sul fondo, alla fine di via del Corso, il Vittoriano (Altare della Patria).
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Pagine seguenti: Il palazzo del Quirinale, i giardini e la Manica Lunga, e il palazzo della Consulta. S. Andrea al Quirinale (arch. Gian Lorenzo Bernini). S. Carlino alle Quattro Fontane (arch. Francesco Borromini).
GRAN TEATRO BAROCCO ROMA DA SISTO V A BENEDETTO XIV
CAPITOLO SESTO
garitta. Dietro il campanile si intravvede la cupola ovale, celata da un tamburo illuminato lateralmente. Sopra si erge la lanterna, caratterizzata da un forte movimento di rientranze continue scandite da colonne e con un coronamento a gradini. Queste strutture, poco percettibili a livello della strada, sono chiaramente leggibili dall’alto.
rococò forse un po’ estraneo all’architettura romana. Il cardinale Nicolò Ludovisi aveva intenzione di unire con una strada rettilinea il suo palazzo di Montecitorio con S. Ignazio, ma il progetto non fu mai realizzato.
Ponte S. Angelo Ss. Domenico e Sisto Qui nel 1569 Pio V affidò una vecchia chiesa alle suore domenicane. La costruzione della nuova si deve inizialmente a Giacomo Della Porta. Alla sua morte, nel 1602, gli subentrò Niccolò Torriani, fratello del più noto Orazio, che completò l’edificio, consacrato nel 1640. Le scenografiche scale, a doppia rampa con balconata all’ultimo piano, risalgono al 1654-57, ma l’effetto è stato alterato nell’Ottocento dopo lo sbancamento del terreno per la creazione delle strade circostanti. Sulla sinistra della chiesa sono i resti di villa Aldobrandini, a sua volta in posizione elevata rispetto l’asse stradale. L’aggiunta della scala per superare il dislivello s’ispira alla scalinata di Trinità dei Monti. La facciata, a due ordini, è chiusa da un timpano triangolare. Nell’ordine inferiore sono le statue di San Domenico e di San Sisto di Marco Antonio Canini (1654), mentre in quello superiore sono i santi Tommaso e Pietro Martire di Stefano Maderno (1636).
S. Ignazio Il cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di papa Gregorio XV, finanziò la costruzione di una chiesa dedicata a sant’Ignazio di Loyola dopo la sua canonizzazione nel 1622. Il luogo prescelto per la chiesa era vicino al Collegio Romano, la scuola per eccellenza dell’ordine gesuitico. Vari artisti vennero coinvolti per proposte progettuali. Intervenne infine il matematico Orazio Grassi, membro dell’ordine, che sviluppò le proprie idee seguendo le tradizioni della scuola romana. La problematica costruzione di una cupola fu risolta con l’inserimento di una grande tela con una prospettiva di una cupola dipinta da Andrea Pozzo (1685). Fu papa Benedetto XIII a volere aggiungere di fronte alla chiesa una piazza, ritenendo «disdicevole che una facciata così insigne resti senza il dovuto prospetto e comodità d’una piazza proporzionata». Tra il 1726 e il 1734 Filippo Raguzzini realizzò la particolare piazza, stretta tra case con facciate concave e con balconi che assumono un aspetto
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Il ponte, l’antico Pons Aelius, è strettamente legato al mausoleo di Adriano. Le tre arcate centrali sono ancora quelle originarie. Bernini propose, sotto il pontificato di Clemente IX, di collocarvi una serie di angeli. Per la visita di Carlo V nel 1535 Paolo III aveva commissionato le due statue di San Pietro e San Paolo per la testata del ponte e otto angeli in stucco. Gli angeli mostrano gli strumenti della Passione, come la lancia, il sudario, la corona di spine. Il movimento delle statue alleggerisce la staticità e rende la scenografia teatrale sulla balaustra trasformata in palcoscenico. Via obbligatoria da percorrere per i pellegrini diretti a S. Pietro, costituiva una forma di preparazione spirituale alla redenzione rappresentata da Cristo. Il ponte è aperto verso il fiume con grate che rendono come sospesa nell’aria la struttura muraria.
Trinità dei Monti L’inizio dei lavori risale al 1502 ed è dovuto alla munificenza di Carlo VIII re di Francia che volle mettere a disposizione dei frati Minimi (detti Paolotti) un convento. La facciata, con due campanili attribuiti a Giacomo Della Porta, fu completata nel 1587. In quel tempo Domenico Fontana aggiunse la scala a doppia rampa, raccordandola alla via Felice di papa Sisto V. L’obelisco, proveniente dagli Orti di Sallustio, è un’aggiunta neoclassica. Fu collocato da Pio VI nel 1789 ed interpreta pienamente l’eredità di Sisto V, segnando il termine della via Felice, che si interrompe qui, non essendosi più realizzato il percorso rettilineo fino a piazza del Popolo. Essendo il convento e la chiesa di pertinenza francese, nel 1660 il cardinale Mazzarino, primo ministro di Luigi XIV, propose di mutare l’aspetto della facciata della chiesa, ma soprattutto volle creare uno spettacolare accesso di collegamento al livello inferiore di piazza di Spagna. Appena tre anni prima si era creata una ripida salita alberata con rampe e scale. Il cardinale la volle dedicare alla Pace dei Pirenei appena conclusa un anno prima tra Francia e Spagna. Al centro si sarebbe dovuta erigere la statua equestre
Trinità dei Monti e scalinata di piazza di Spagna (arch. Alessandro Specchi).
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S. Giovanni dei Fiorentini.
Pagine seguenti: Chiesa dei Ss. Domenico e Sisto.
Il Tevere a Castel S. Angelo.
S. Ignazio e il Collegio Romano.
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Fontana di Trevi (arch. Nicola Salvi).
CAPITOLO SESTO
del re di Francia. Pur senza essere ufficialmente coinvolto, Gian Lorenzo Bernini, l’architetto preferito di papa Alessandro VII, fece sotto falso nome un progetto che si sviluppava su tre terrazze con al centro una fontana coronata dalla statua del re. La rampa era inoltre percorribile dalle carrozze. La creazione delle tre terrazze con funzione di piani di sosta alludeva nel numero alla SS. Trinità. Ciò non andava oltre il progetto e, se non si fosse tanto insistito sulla rappresentazione del potere francese nel cuore della città pontificia, forse sarebbe stato realizzato. I lavori rimasero fermi fino al 1717 quando papa Clemente XI rimise mano alla questione indicendo un concorso che accese le polemiche tra Alessandro Specchi, architetto del popolo romano, e Francesco de Sanctis, favorito dai frati francesi. Alla fine l’architetto prescelto risultò Specchi, che già in precedenza (1707) aveva progettato il porto sul Tevere collegato da via Condotti. Un’iscrizione sulla scalinata indica l’Anno Santo 1725 come anno della conclusione dei lavori, che in realtà si trascinarono ancora fino all’anno seguente. Il porto di Ripetta, disegnato nello stesso stile della scalinata di piazza di Spagna, era formato da gradini che seguivano con andamento ondulato la terrazza soprastante; alla fine dell’Ottocento fu purtroppo demolito per la costruzione dei muraglioni di protezione del Tevere. La veduta su quell’asse nel suo complesso rappresenta il più riuscito allestimento scenico di una serie di monumenti appartenenti a quel barocchetto di fine stagione che ha segnato l’arte romana. Non a caso a metà della strada – nei pressi dell’incrocio con il Corso – è la chiesa della SS. Trinità degli Spagnoli, iniziata nel 1734. L’architetto portoghese Emanuel Rodríguez dos Santos seguì nell’impianto della facciata proprio la leggera curva che porta all’imbocco di via Condotti, la vecchia Via Trinitatis creata da Paolo III come un rettilineo che prosegue nell’odierna via di Fontanella Borghese. Via Condotti ricorda le condutture dell’Acqua Vergine che sotto papa Urbano VIII furono evidenziate con la costruzione di una piccola fontana alla base della scalinata. Pietro Bernini, «architetto dell’acqua Vergine» dal 1623, è spesso considerato l’artista che ha creato questa particolare fontana. Ma dev’essere l’estroso figlio Gian Lorenzo lo scultore capace di questa invenzione di una barca («barcaccia») in mezzo all’acqua. La fontana è ricoperta da elementi araldici della famiglia Barberini, quali le api e il sole. La simbologia di questi elementi si riferisce alla fine anche alla Trinità. Da bocche di cannoni a prua e a poppa esce il getto dell’acqua. Il riferimento agli elementi araldici del papa presuppone altri
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significati, anche politici, perché la fontana si trova vicino all’ambasciata spagnola e, all’altra estremità della piazza, alla missione cattolica di Propaganda Fide appena creata in quegli anni. Perciò la barca assume anche il valore simbolico di tutta la Chiesa.
Fontana di Trevi Nel 1640 Urbano VIII incaricò Gian Lorenzo Bernini di elaborare un progetto per la mostra dell’Acqua Vergine nel luogo dell’attuale fontana. Doveva essere monumentale, e gareggiare con quelle dell’Acqua Felice e dell’Acqua Paola. Con la morte del papa i lavori vennero interrotti e la struttura architettonica rimase incompiuta sino alla costruzione del palazzo dei Conti di Poli, da cui nacque l’idea di addossarvi la fontana. Con il concorso indetto nel 1732 da Clemente XII si concluse il lungo dibattito. Vi presero parte architetti come Vanvitelli, Bracci, Fuga, Salvi e molti altri, ma risultò vincitore Nicola Salvi, che aveva già partecipato al concorso per S. Giovanni. L’idea architettonica fondamentale è quella dell’arco di trionfo, con un nicchione centinato al centro, dove si trova la statua dell’Oceano. Sull’alto attico, sotto lo stemma di Clemente XII, Benedetto XIV appose un’iscrizione. Ai lati rimase visibile il palazzo. L’acqua scorre su alte scogliere in un assetto scenico plastico con tritoni e cavalli marini, in cui natura e artificio si fondono. Salvi, che per le statue aveva scelto i migliori scultori (Pietro Bracci, Andrea Bergondi, Filippo Della Valle), così come per quelle nelle nicchie rettangolari ai lati e per i rilievi della parte alta, crea così una delle ultime opere del tardo barocco romano. Dopo la sua morte (1751) la direzione dei lavori fu assunta da Giuseppe Pannini.
S. Croce in Gerusalemme La basilica è una delle sette principali chiese di Roma che i pellegrini dovevano visitare. Già ai tempi di Sisto V era stato previsto di inserirla nel sistema di collegamento tra le basiliche, e non a caso si era pensato di alzare un obelisco al termine della via Felice proveniente da S. Maria Maggiore, poi utilizzato per piazza del Popolo. Il tratto di strada che la collega a S. Giovanni in Laterano fu realizzato durante il rifacimento di S. Croce e del monastero cisterciense ai tempi di Benedetto XIV. La strada, un rettilineo, sorta nel 1741 era accompagnata da una fila di
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CAPITOLO SESTO
Basilica di S. Croce in Gerusalemme.
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Il rettifilo di collegamento tra S. Croce in Gerusalemme e S. Giovanni in Laterano.
Il palazzo di Montecitorio con l’obelisco augusteo.
CAPITOLO SESTO
Pagine seguenti: Il Casino Borghese (sede della Galleria Borghese) nella villa omonima. Palazzo Barberini. Nella parte alta è piazza Barberini con la fontana del Tritone di Gian Lorenzo Bernini.
alberi di gelso per la produzione della seta che offriva sostentamento economico ai monaci. Il romano Domenico Gregorini e il messinese Pietro Passalacqua, parente di Juvarra, trasformarono la basilica romanica, di cui rimase solo il campanile. L’interno assunse una nuova veste con la chiusura ritmata degli spazi tra le colonne, che creò un aspetto più solido. Innovativa è l’aggiunta di una atrio che funge anche da facciata. La linearità tra quattro pilastri giganti tende ad uno sviluppo in altezza ed il prospetto convesso è incastonato tra i palazzi annessi. Anche il coronamento sull’asse centrale rinforza la tendenza del sollevamento con le statue poste sulla balaustra. La forma curvilinea toglie la veduta ortogonale e aiuta la visione anche laterale come è sottinteso venendo da S. Giovanni in Laterano. Proprio dopo l’esperienza classicista di questa basilica si avverte la teatralità del barocco romano che giunge verso la sua conclusione.
Montecitorio Nel 1650 Bernini progettò, come residenza di Nicolò Ludovisi, un palazzo in posizione preminente. Dopo la
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morte di Ludovisi, nel 1664, i Chigi e papa Alessandro VII in prima persona tentarono di acquistare il palazzo ancora incompiuto per unirlo alla loro vicina residenza e creare così un grande isolato, per il quale Bernini propose di sistemare la piazza antistante con la colonna Antonina. Carlo Fontana completò l’edificio per Innocenzo XII, che lo destinò a tribunale, la Curia Innocenziana. Bernini aveva sfruttato il dislivello del terreno con un accorgimento prospettico, dissimulandolo con il movimento della facciata, formata da cinque campi su tre piani e dominata dalla parte centrale, in aggetto rispetto alle laterali, spinte all’indietro con un angolo ottuso. Il centro è sottolineato dal grande portale d’ingresso, che nei bassorilievi ricorda l’arco di Costantino, e da un campanile a vela nella parte alta. L’obelisco che già fungeva da «gnomone» della grande meridiana di Augusto fu innalzato sotto Pio VI nel 1792, concludendo i vari progetti della piazza con un elemento verticale, come già previsto da Bernini. Dopo l’Unità il palazzo è divenuto sede della Camera dei Deputati. Tra il 1902 e il 1918 Ernesto Basile ha completamente ristrutturato la parte retrostante, e trasformato il vecchio cortile nell’aula parlamentare, coperta da una grande vetrata.
CAPITOLO SESTO
La Chiesa Nuova (S. Maria in Vallicella) e l’oratorio dei Filippini (arch. Francesco Borromini). S. Ivo alla Sapienza (arch. Francesco Borromini).
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CAPITOLO SETTIMO GIARDINI DAL CIELO Alberta Campitelli
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236-237 98-99 46-47 88-89
100-101 114-115 98-99, 189 149
201 142, 137
Roma città verde, città di ville e giardini: è questa l’immagine che si ha guardandola dall’alto e osservando le grandi e diffuse macchie verdi che interrompono il tessuto urbano. L’area entro le mura si presenta, ovviamente, densamente costruita, ma anche al suo interno non mancano ville e giardini, seppur di modeste dimensioni. Vale la pena enumerare le ville e i giardini che vi si trovano per avere un’idea di quanto sia ricco e diversificato questo patrimonio. Possiamo elencare, in primis, nell’area centrale: i giardini del Quirinale, villa Colonna, villa Rospigliosi Pallavicini, i piccoli giardini pubblici del Quirinale e di S. Andrea al Quirinale, villa Aldobrandini, la Passeggiata del Pincio, villa Paolina, i giardini di Castel S. Angelo; verso sud villa Mattei Celimontana, villa Giustiniani Massimo, il Parco del Celio, i giardini di colle Oppio, il Parco di S. Sebastiano, il Parco degli Scipioni, villa Wolkonski; verso ovest: la Passeggiata del Gianicolo, villa Lante, villa Sciarra, il Bosco Parrasio, villa Farnese Aurelia. Non mancano spazi più raccolti e riservati quali i giardini delle chiese e dei conventi che, sempre per restare nell’area centrale, annoverano quelli di S. Maria degli Angeli, di S. Cecilia, di S. Bonaventura, di S. Stefano Rotondo, dei Ss. Quattro Coronati, dei Ss. Giovanni e Paolo, di Trinità dei Monti, di S. Pietro in Montorio, di S. Andrea delle Fratte, il Giardino degli Aranci o Parco Savello, il giardino di S. Alessio, di S. Maria del Priorato. Anche molti palazzi nobiliari sono dotati di giardini ricercati e con interessanti sistemazioni, oasi incastonate nel fitto tessuto edilizio, come a palazzo Barberini, palazzo Farnese, palazzo Spada, palazzo Sacchetti, palazzo Brancaccio, palazzo S. Marco, palazzo Margherita, per citare solo i più importanti. Si tratta di spazi limitati, ridotti e
soffocati dall’espansione edilizia, ma che in alcuni casi sono stati celeberrimi in passato, come il giardino di palazzo Barberini. Voluto nella prima metà del Seicento dal cardinale Francesco e dal fratello Taddeo, appassionati cultori di fiori rari che facevano pervenire da tutto il mondo allora conosciuto, il giardino era portato a modello nei trattati dell’epoca per la sua ricercatezza, della quale oggi resta ben poco. Una tipologia a parte è costituita dal verde “archeologico”, cioè da quelle sistemazioni attorno ai monumenti archeologici più importanti della città, che ingentiliscono i resti a volte colossali di terme e palazzi. Fuori della cinta muraria e lungo gli assi delle antiche vie consolari sono numerose le ville, già residenze suburbane di nobili e cardinali, spesso acquisite all’uso pubblico; molte ville sono state lottizzate e distrutte nella febbre edilizia dei decenni tra fine Ottocento e inizi Novecento, ma di alcune ne restano porzioni di parco, a volte trasformate in giardini pubblici, e numerose sono quelle che ci sono pervenute pressoché integre. Naturalmente anche molte piazze sono sistemate a verde, con impianti risalenti in alcuni casi all’Ottocento e ormai storicizzati, e non si contano, inoltre, le alberate stradali che contribuiscono ad alleggerire il costruito. Viste dall’alto queste aree verdi rivelano aspetti che sfuggono al visitatore e permettono di individuare, a volte, il disegno dei viali. Spesso però l’impianto dei giardini e la presenza di arredi e fontane sono celati alla vista, in quanto predominano le masse verdeggianti degli alberi, quelli tipici dell’ambiente romano come i pini, i lecci, gli olmi, i platani e, più raramente, esemplari esotici. Solo a uno sguardo approfondito è possibile individuare le tipologie di verde che caratterizzano la città, un campionario di grande interesse che ha le sue radici nel Medioevo e
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CAPITOLO SETTIMO
GIARDINI DAL CIELO
Pagine seguenti: Villa Giulia, con i due cortili in successione, sulla destra la boscaglia a confine con villa Strohl Fern e villa Poniatowski, a sinistra gli assi viari che hanno interrotto il collegamento con la rupe dei Parioli.
che si evolve continuamente. La varietà tipologica delle sistemazioni a verde è peraltro effetto delle stratificazioni e delle trasformazioni che la storia ha prodotto e dunque una lettura che ne mette in luce i caratteri fornisce anche elementi per la conoscenza di un luogo particolarmente complesso come è Roma. Troviamo, infatti, le grandi e paludate residenze dei pontefici, quindi le innumerevoli residenze nel verde della nobiltà romana e poi della ricca borghesia, le passeggiate pubbliche ottocentesche, i giardini pubblici in gran parte realizzati durante il ventennio fascista, i giardini annessi a chiese e conventi, i giardini non grandi ma raffinati sui quali si affacciano i più importanti palazzi nobiliari cittadini. Un itinerario tipologico ci permette, inoltre, di evidenziare la committenza, di volta in volta privata o pubblica, che riflette il gusto dell’epoca in un percorso che attraversa i secoli.
Le ville dei papi
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Palazzo Barberini, con la porzione di giardino superstite di recente ridisegnata.
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La storia di Roma quale sede del papato ha determinato la presenza di residenze paludate, dotate di edifici complessi e articolati con vaste estensioni a giardino. Senza contare quelle commissionate dai cardinal nipoti, che in molti casi agivano per volere e per conto dello zio pontefice, vanno prese in considerazione le due residenze ufficiali, il Vaticano e il Quirinale, e villa Giulia, frutto della passione di papa Giulio III, da lui direttamente voluta e dove si rifugiava ogni volta che i doveri istituzionali lo consentivano. La residenza pontificia del Vaticano, costituita fin dal Medioevo attorno alla basilica costantiniana in un’area limitrofa all’abitato, aveva attorno la campagna. Una prima cinta muraria, voluta da Leone IV (847-855), delimitava quella che si andò configurando come una vera e propria cittadella e che aveva al suo interno e in prossimità dei palazzi e della basilica, almeno dal XIII secolo, un giardino con aiuole e pergole, destinato a svilupparsi e trasformarsi nei secoli. Era probabilmente il primo orto botanico di Roma, per ricchezza di varietà di piante e per lo studio ad esse dedicato, affidato a un “semplicista”, esperto in botanica non solo dal punto di vista pratico, ma anche da quello scientifico. Ben presto i giardini annessi ai palazzi risultarono insufficienti e, soprattutto, troppo legati alle funzioni istituzionali. Così, per garantire una divisione più netta tra negotia e otia, all’altra estremità del colle, in un sito più elevato e salubre, fu creato il Belvedere, inizialmente un palazzetto isolato, divenuto poi il nucleo dei Musei Vaticani. Nel corso dei secoli molte furono le
trasformazioni dei giardini e della cittadella nel suo complesso, in quanto ogni pontefice, in modo più o meno evidente, volle lasciarvi le tracce della sua committenza. La valle situata tra il nucleo originario della basilica e dei palazzi e quello quattrocentesco del Belvedere fu ben presto utilizzata grazie al collegamento voluto da Giulio II e ideato da Donato Bramante, ovvero le celebri Logge che racchiudono il cortile del Belvedere, articolato in tre terrazzamenti, che univa le tipologie del giardino, del cortile e del teatro, come ampiamente documentato, sebbene oggi sia difficilmente leggibile alla luce delle notevoli trasformazioni che hanno configurato tre cortili separati. Nell’area libera che restava si susseguirono le creazioni di giardini, disposti quasi come in un puzzle: Clemente VII ne realizzò uno lungo e stretto con affaccio verso Monte Mario, oggi completamente scomparso; a Paolo III si deve la creazione di uno splendido giardino segreto cinto da muri e con un grande pergolato a crociera, giardino solo in parte conservato con la denominazione di Giardino Quadrato, sul quale si affaccia l’edificio della pinacoteca realizzato nel 1930; Giulio III volle un giardino con ninfeo con roccaglie addossato alle logge bramantesche, poi cornice della spettacolare seicentesca fontana della Galera e modificato da un settecentesco paramento a bugnato; Paolo IV e dopo di lui Pio IV commissionarono a Pirro Ligorio la splendida Casina a ridosso del bosco, con una sistemazione a giardino eclatante, dovuta a uno dei massimi botanici del tempo, Michele Mercati, con varietà di fiori importati d’oltreoceano; Paolo V dotò i giardini di acqua in abbondanza, che permise l’invenzione di scenografiche fontane quali, oltre alla citata Galera, quella detta del Forno, quella dello Scoglio o dell’Aquilone, quella delle Torri o del Sacramento, quella degli Specchi. Dopo un lungo periodo segnato da interventi di portata modesta, con la trasformazione all’inglese del bosco, arredato con statue e frammenti antichi secondo il gusto romantico, mentre le aiuole cambiavano disegno seguendo le mode del tempo, una vera rivoluzione interessò i giardini dopo il Concordato tra papato e stato italiano nel 1929. Grazie al cospicuo indennizzo ricevuto, la cittadella vaticana divenne sede di un vero e proprio stato, con nuovi edifici per ospitare le funzioni istituzionali e l’area, un tempo destinata a usi agricoli, paludata dall’impianto di nuovi giardini in un revival degli stili del passato: un giardino “all’italiana”, un giardino “alla francese”, un giardino roccioso, ed altri meno caratterizzati si susseguono a decoro degli edifici. I giardini vaticani si presentano oggi con un assetto molto vario, ma a una lettura attenta
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CAPITOLO SETTIMO
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rivelano le diverse stratificazioni storiche, rendendoci un palinsesto della complessa e plurisecolare storia dei giardini e dei loro committenti. I giardini annessi ai palazzi del Quirinale hanno una storia altrettanto complessa, che data dalla prima residenza dei Carafa alla fine del Quattrocento, ai lavori promossi da Paolo III (1534-1549) fino agli interventi del cardinale Ippolito d’Este, figura di raffinato erudito e committente di celebri giardini quali quelli della villa di Tivoli. Al cardinale spetta il carattere monumentale conferito ai giardini, la realizzazione di numerose fontane, nonché la presenza di un padiglione ligneo ricoperto di verzura immortalato nelle vedute dell’epoca a partire dal 1560. Molti furono gli artefici del giardino, dagli architetti Giovanni Alberto Galvani e Tommaso Ghinucci all’esperto fontaniere Curzio Maccarone, accanto a Pirro Ligorio, fido antiquario del cardinale ma probabilmente presente anche con idee progettuali complessive. I giardini, per i caratteri del luogo e per le ingombranti preesistenze, non si svilupparono secondo un disegno unitario ma con un’addizione di diversi settori, con molteplici assi prospettici, con un assetto che gli interventi successivi hanno modificato solo in parte e tra i quali va ricordato quello di Ottavio Mascarino su committenza di Gregorio XIII. L’impronta di maggiore portata fu quella impressa dal cardinale Ippolito: l’idea originaria della fontana dell’Organo, ad esempio, vera meraviglia delle meraviglie, risaliva alla grotta ricoperta di tartari e mosaici da lui voluta e che il pontefice Clemente VIII rese più spettacolare con le decorazioni che illustrano le storie di Mosè. Mentre i giardini non conobbero sostanziali trasformazioni nei secoli successivi, si modificò radicalmente tutto il contesto, sia edilizio che viario, fino a configurare quella che divenne accanto al Vaticano la residenza ufficiale dei pontefici e poi la sede dei re dell’Italia unita, un complesso cinto da muri, quasi un piccolo fortilizio nel cuore dell’Urbe, con il lungo tratto costruito della cosiddetta Manica Lunga che racchiude ancor oggi un giardino di non grandi dimensioni, ma ricco di sistemazioni originali e di arredi di pregio. Villa Giulia ha una storia più definita, compresa nei pochi anni del pontificato di Giulio III (1550-1555), che con determinazione unita a una illimitata disponibilità di risorse (in gran parte provenienti dalla Reverenda Camera Apostolica), affidò la realizzazione della sua residenza di delizie a personaggi del calibro di Michelangelo, Bartolomeo Ammannati, Jacopo Barozzi da Vignola, Giorgio Vasari. L’edificio principale era impreziosito da stucchi
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Pagine seguenti: Villa Medici.
e affreschi di Federico Brandani, di Taddeo Zuccari, di Prospero Fontana, ma spettacolare doveva essere il parco, che si estendeva dalle rive del Tevere alle colline dei Monti Parioli, dove furono impiantati oltre trentamila alberi. Nell’alternanza di giardini formali e di boschetti, tra ninfei all’antica e pergolati dipinti, il pontefice soggiornava ogni qualvolta gli era possibile, attraversando il fiume in barca e percorrendo quindi una lunga pergola ombrosa. La villa era la celebrazione della sua persona, con riferimenti espliciti nella sala dove fece affrescare le vedute dei sette colli di Roma con in aggiunta un ottavo, il colle Del Monte (il suo nome secolare) dove era raffigurata villa Giulia. È difficile immaginare la grandiosità del complesso, oggi ridotto al solo Casino nobile con una piccola porzione di giardino, contornato da assi viari di grande scorrimento. La decadenza della villa fu davvero precoce: a lavori appena ultimati, con la morte del pontefice ebbe inizio lo smembramento della proprietà e l’introduzione di usi non sempre consoni (si pensi che nell’Ottocento vi fu allestito un ospedale), fino all’acquisizione da parte dello Stato e alla sua destinazione a museo che ha permesso il recupero dell’edificio con il suo giardino residuo.
Le ville della nobiltà e della borghesia Il nucleo tipologico più importante per quantità, ma senza dubbio anche il più rilevante per qualità, è quello delle residenze in villa, commissionate da nobili e cardinali e, dalla fine dell’Ottocento, anche dalla ricca borghesia, dotate di edifici di rappresentanza e di estensioni di parco che spesso ospitavano sistemazioni diverse. All’interno delle mura urbane ne sopravvivono poche, in quanto l’espansione edilizia che fece seguito alla proclamazione di Roma capitale ha imposto un prezzo molto alto al patrimonio di verde. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, infatti, sono state impietosamente distrutte la splendida villa Ludovisi, villa Montalto Peretti, villa Caserta Caetani, villa Campana, villa Casali; molte altre sono state private di gran parte del giardino, come nel caso di villa Altieri, villa Giustiniani al Laterano, villa Sciarra Barberini. A questo “vento di barbarie” che ha privato Roma di questa corona di delizie, come denunciato all’epoca da Gabriele D’Annunzio, sono però sopravvissute pressoché integralmente alcune importanti testimonianze di residenze nobiliari, che ancor oggi interrompono il fitto tessuto edilizio con improvvisi scorci di natura. Ancora all’interno della mura, villa Medici, isolata
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su quello che è stato definito il «colle dei giardini», sogno del cardinale Ferdinando de’ Medici, si affaccia con il suo rigoroso e severo prospetto sulla città sottostante, trasmettendo un’immagine di potere e dominio, mentre sul retro la facciata mossa e articolata, impreziosita di rilievi scultorei antichi, si apre su splendidi giardini organizzati in aiuole geometriche, circondati da alte siepi e da ombrosi boschetti. Attigua a villa Medici, ma basata su una impostazione completamente diversa, è la Passeggiata del Pincio, il primo giardino concepito, agli inizi dell’Ottocento, per i “piaceri del popolo”, espressione di un “diritto” al verde non più e non solo per le classi dominanti (Panzini 1993). Villa Aldobrandini ugualmente offre un magnifico affaccio, nonostante il giardino sia stato smembrato e ridotto per consentire l’apertura di via Nazionale. Si è così perduto quel nesso strettissimo con il colle del Quirinale e con la residenza pontificia, il motivo che aveva spinto il cardinale Pietro Aldobrandini, all’aprirsi del Seicento, a insediarsi in quella che era la villa, già paludata, dei Vitelli. Meglio conservati sono i giardini annessi al palazzo della famiglia Colonna, fin dal Medioevo signori della zona. Nell’assetto voluto agli inizi del Seicento da Filippo I Colonna, i giardini sono incastonati tra le massicce rovine del tempio di Serapide, si dispiegano con terrazzamenti lungo il ripido pendio che dalla piazza del Quirinale giunge all’altezza del piano nobile del palazzo, che ha il suo prospetto principale su piazza Ss. Apostoli e che, con la sua mole compatta, cela alla vista la magnificenza del verde. Immediatamente fuori le mura, al colpo d’occhio dall’alto risalta in modo evidente la sequenza di spazi verdi allineati lungo le vie consolari. Sebbene circondate da un fitto tessuto edilizio databile a partire dalla metà del secolo scorso, le “macchie” verdi appaiono particolarmente fitte lungo la via Salaria, la Nomentana e l’Aurelia. Colpisce l’assenza di residenze in villa nell’area meridionale, dove il verde è confinato nella grande estensione del Parco dell’Appia Antica che, come un cuneo, si collega all’area archeologica centrale. La più ricca di residenze è l’area compresa tra la via Salaria e la via Pinciana, dove fanno da corona a villa Borghese numerose altre residenze. Villa Borghese ha conservato quasi integra la sua storica estensione di ottanta ettari e, ancor oggi, è leggibile la compresenza di aree formali, di estensioni di campagna e di sistemazioni pittoresche ispirate alla moda dei giardini all’inglese. I seicenteschi «giardini segreti» (così definiti in quanto in origine cinti da muri e riservati all’uso dei
proprietari) sono disposti in sequenza, addossati ai prospetti laterali del Casino nobile, sede del Museo e Galleria Borghese, con le loro aiuole rigorosamente disegnate secondo schemi geometrici, con le fioriture multicolori che si alternano nel corso dell’anno e che, dopo un recente ripristino, ci ripropongono i fiori rari e pregiati in voga all’epoca del cardinale Scipione Borghese. A questo evidente e raffinato segno della mano dell’uomo fa da cornice la densa e compatta distesa verde delle chiome degli alberi, pini e lecci, platani ed olmi, allori e abeti, tra i quali vi sono alcuni “monumenti viventi” in quanto piantati nei primi anni del Seicento, all’epoca del cardinale. Al settore seicentesco fa riscontro la scenografica sistemazione risalente alla fine del Settecento e inizi Ottocento, che ha il suo fulcro nel Giardino del Lago, dove un articolato disegno del giardino, che ospita piante esotiche e rare, fa da cornice a un piccolo lago con un’isola al centro sulla quale poggia il tempio dedicato ad Esculapio, mirabile pastiche di sculture antiche e moderne, tipica espressione del gusto antiquariale dell’epoca e segno della diffusione dei modelli del giardino cosiddetto “all’inglese”. Nonostante la villa abbia conservato la sua estensione originaria, una parte del settore rustico, a partire dal 1911 è stata trasformata per ospitare il Giardino Zoologico, oggi Bioparco. Non lontano da villa Borghese, divenuta pubblica nel 1901 e oggi di fatto considerata il più popolare parco cittadino, si trova una villa che, invece, cela gelosamente i suoi tesori, accessibili solo su concessione del principe Torlonia, il cui avo, Alessandro, nel 1866 acquistò la raffinata residenza del cardinale Alessandro Albani. Mirabilmente concepita intorno alla metà del Settecento con l’apporto dell’esperto di antichità Johann Joachim Winckelmann e dell’architetto Carlo Marchionni, villa Albani assomma la bellezza dei giardini a quella degli edifici, spesso evocazioni di modelli antichi e arredati con opere d’arte d’eccezione, sculture provenienti da villa Adriana e affreschi etruschi staccati dalle tombe di Cerveteri. Tra parterre dall’elegante disegno, viali scanditi da alte siepi, boschetti verdeggianti, sono disseminati statue e busti, colonne e vasi, che contornano il Casino nobile, l’edificio del biliardo, il teatro, altri edifici minori tra i quali un tempietto diruto, omaggio alla moda delle false rovine. A questa profusione di riferimenti culturali e di elaborata impostazione fa riscontro, sempre lungo l’asse della via Salaria, la villa Ada Savoia, residenza del primo re dell’Italia unita, Vittorio Emanuele II, e oggi parco pubblico. Con l’eccezione del giardino regolare, risalente agli anni
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CAPITOLO SETTIMO
Trenta del Novecento, annesso alla Palazzina Reale, il parco nei suoi 160 ettari è il trionfo della natura libera e incontaminata: distese di prati, vallette e montagnole, zone dalla vegetazione così fitta da essere impraticabili, fanno dimenticare di essere in città. Nel quartiere Salario-Pinciano vanno citate alcune ville più recenti ma di grande interesse, oggi pressoché inaccessibili perché sedi di ambasciate. Si tratta di villa Lusa, Ambasciata del Portogallo presso la Santa Sede, e di villa Taverna, residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti. Entrambe hanno una storia secolare, ma l’assetto attuale è frutto dell’intervento, negli anni Venti del Novecento, dell’architetto Carlo Busiri-Vici, che ha coniugato con armonia antico e moderno. Ricca di residenze in villa era la via Nomentana, descritta da Gabriele D’Annunzio come un susseguirsi di portali oltre i quali si intravedevano lussureggianti giardini. Distrutte villa Bolognetti e villa Patrizi, ridotta a un modesto giardino pubblico denominato villa Paganini quella che fu la settecentesca dimora del potente cardinale Giulio Alberoni, resta a ricordare i fasti della zona la villa della famiglia Torlonia, divenuta pubblica nel 1978. Nei tredici ettari di estensione, in un parco dall’assetto movimentato da prati e colline artificiali, si collocano diverse fabbriche, riferibili ad un arco temporale che va dagli ultimi anni del Settecento ai primi decenni del Novecento. Si alternano così quelle neoclassiche (il Casino nobile, il Casino dei Principi ed il Teatro), evocazioni neomedievali (il Villino medioevale e il Campo da Tornei), esotiche creazioni in stile moresco (la Serra e la Torre Moresca) ed eclettici e ridondanti esempi di fusione di architetture ed arti decorative (la Casina delle Civette), che rendono il complesso un compendio di tipologie, in quella che è stata definita «l’ultima impresa del mecenatismo romano». L’altro asse consolare prediletto nei secoli per le residenze in villa è stata la via Aurelia Antica, grazie alla presenza dell’acquedotto Traiano Paolo che forniva l’alimentazione idrica per fontane e giardini. La presenza di sistemazioni a verde caratterizza, tuttavia, l’insieme del colle del Gianicolo, dove fin dal Cinquecento fu realizzata villa Lante, e ancor prima vi fu il primo nucleo di quella oggi nota come villa Sciarra, radicalmente reinterpretata da George Wurts e Henrietta Tower, due americani amanti dell’Italia che, nel complesso acquistato agli inizi del Novecento, vollero ricreare i modelli delle più celebri ville rinascimentali e barocche. Oltre l’altra celebre Passeggiata pubblica, quella detta appunto del Gianicolo, varcata porta S. Pancrazio e oltrepassati i resti della villa del Va-
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GIARDINI DAL CIELO
Villa Borghese, particolare con il padiglione della Meridiana e il portale dei Draghi.
scello, distrutta nel 1849, ha inizio la sequenza di ville di vasta estensione, con sulla destra la villa Abamelek, oggi residenza dell’ambasciatore russo, e sulla sinistra la villa Doria Pamphilj, voluta da Camillo Pamphilj, potente nipote del pontefice Innocenzo X (1644-1655). Con trasformazioni successive e addizioni di nuove aree come la villa Corsini, villa Pamphilj, estesa per 184 ettari, è la più grande tra le ville di Roma e piena espressione del gusto barocco, sia negli edifici che nelle sistemazioni a verde. Anche in questo caso ai giardini formali con elaborati parterres, come accanto al Casino detto del Bel Respiro, si susseguono spettacolari pinete e tratti di campagna libera, come la valle dei Daini, che evoca ancor oggi le battute di caccia che vi si organizzavano. In continuità con il parco della villa Pamphilj si estende la Valle dei Casali, area incontaminata di campagna romana dove, tra rustici edifici e coltivazioni agricole, è incastonata una pregevole residenza, la seicentesca villa Baldinotti York, con un Casino dalle architetture ricercate, un giardino scandito da una spettacolare catena d’acqua, una chiesetta ad uso della tenuta.
Flora e “ruine” La celebre definizione dell’archeologo Giacomo Boni, che tra fine Ottocento e inizi Novecento fu il protagonista della “sistemazione” del patrimonio archeologico cittadino, ben illustra la sua teoria di utilizzo del verde per ingentilire e arredare le antiche rovine, ma anche per «aiutare a ricostruire mentalmente linee e profili originari» (Cazzato 1990). Nel promuovere e sostenere l’armonia tra i ruderi e la vegetazione Boni si richiamava ad esempi dei secoli passati, quando alcuni celebri monumenti antichi erano stati utilizzati come cornice per giardini. È sufficiente citare il caso del mausoleo di Augusto, il cui invaso circolare ha accolto il cinquecentesco giardino Soderini, oppure l’anfiteatro Castrense, presso S. Croce in Gerusalemme, dove ugualmente vi era un giardino di recente ricostituito. L’archeologo mirava ad un progetto di portata più ampia, non si proponeva la creazione di singoli definiti giardini ma la diffusione su vaste aree di quelle che erano le piante amate nell’Antichità, con una predilezione per quelle spontanee. Quindi la rivalutazione dell’edera e della paretaria, accanto a rose e gelsomini, a lauri e mirti, ad iris ed acanto, a caprifogli e oleandri. Il suo campo d’azione privilegiato fu il Palatino, ma anche i resti grandiosi delle
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CAPITOLO SETTIMO
Villa Borghese, l’area del Bioparco con il rettilario. Villa Borghese con il Casino nobile (Museo e Galleria Borghese) e i giardini segreti ai lati.
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Pagine seguenti: Villa Borghese, il Giardino del Lago con lo specchio d’acqua artificiale e al centro il tempio di Esculapio.
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GIARDINI DAL CIELO
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CAPITOLO SETTIMO
Villa Albani al centro del fitto tessuto edilizio. Villa Albani, particolare con il parterre e il “coffee-house” a semicircolo.
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Pagine seguenti: Villa Torlonia, in primo piano il Teatro e in alto il Casino nobile. Villa Torlonia, la Serra Moresca e dietro la Torre Moresca. Villa Sciarra, il Casino nobile e, a sinistra, l’esedra dei dodici mesi.
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GIARDINI DAL CIELO
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Villa Pamphilj, al centro della vasta estensione della campagna.
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CAPITOLO SETTIMO
Villa Pamphilj, il Casino nobile o del Bel Respiro con i giardini formali e attorno il parco. Villa Pamphilj, particolare del giardino.
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La basilica dei Ss. Bonifacio e Alessio all’Aventino.
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terme di Caracalla furono scanditi dal verde e attorno al mausoleo di Augusto venne piantata una corona di austeri cipressi. Ancor oggi i risultati di quelle sistemazioni sono visibili: accanto ai caldi colori delle antiche murature fioriscono le piante spontanee, in un connubio sempre originale e affascinante.
I giardini dei monasteri
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Nel Medioevo i giardini erano in genere confinati tra le mura dei conventi o annessi alle chiese, secondo il modello dell’hortus conclusus, sorta di paradiso protetto dalle molteplici valenze simboliche, come documentato da miniature e incisioni. Degli impianti dell’epoca nulla è sopravvissuto, ma alcuni complessi hanno conservato gli spazi liberi annessi con impianti rivisitati. Accanto ai semplici e lineari praticelli del chiostro della basilica di S. Paolo, si possono scoprire gioielli poco noti come il giardino annesso a S. Maria del Priorato sull’Aventino, sede del Priorato dell’Ordine di Malta, dove prima del celebrato intervento di Giovan Battista Piranesi alcuni committenti illuminati come il cardinale Benedetto Pamphilj, negli ultimi decenni del Seicento, avevano introdotto pergolati e fiori esotici. Interessante è inoltre il cinquecentesco disegno del chiostro di S. Maria degli Angeli, sorta sulla rovine delle terme di Diocleziano, dove ancora svettano alcuni cipressi piantati, sembra, su indicazione di Michelangelo Buonarroti. Mentre per alcuni giardini nobiliari negli ultimi anni vi sono stati interventi mirati al ripristino degli assetti rinascimentali o barocchi, a Roma nulla in questo settore è stato sperimentato, nonostante la ricchezza documentaria dei nostri archivi che permetterebbe la ricostruzione di una tipologia perduta, ma che sta alla base del grande sviluppo di ville e giardini che, nei secoli, ha impresso un carattere particolare alla città. Sempre all’Aventino le due chiese di Alessio e Bonifacio, un articolato complesso di edifici affacciati sul corso del Tevere, conservano ancora i giardini dei chiostri, più volte trasformati nel tempo, soprattutto nel XVIII secolo su committenza dei padri Girolamini. Oggi presentano un disegno e un impianto molto scarni e semplificati e non sono più connessi con il giardino del convento, divenuto a fine Ottocento proprietà del Comune di Roma.
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CAPITOLO OTTAVO DAL XIX AL XXI SECOLO Vittorio Franchetti Pardo
Gli oltre duecento anni oggetto di questa breve narrazione sottendono quattro differenti fasi: a) il periodo preunitario, quando Roma è ancora la capitale dello stato pontificio (dagli ultimi anni del XVIII secolo fino al 20 settembre 1870); b) la fase postunitaria (dal 20 settembre 1970 al 1915-18), che inizia quando la città diventa capitale dello Stato unitario italiano e si avvia ad assumerne gli assetti (sotto i profili delle infrastrutture simboliche, amministrative, residenziali, della viabilità di varia natura, e così via) e l’immagine fisico-simbolica, e che si conclude dopo la fine della Grande Guerra del 1915-18; c) il periodo tra le due guerre: età fascista, cioè dal 28 ottobre 1922 alla caduta del regime e alla successiva fine della Seconda Guerra mondiale; d) il periodo dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e fino ad oggi. Nel corso di queste fasi Roma muta progressivamente e completamente sia l’assetto del suo nucleo storicamente sedimentato, sia, e ancor più, la sua dimensione fisica e demica. Se al finire del XVIII secolo Roma aveva circa 160.000170.000 abitanti, attualmente la popolazione gravitante sulla città si avvicina ai tre milioni. Perché, essendo Roma divenuta polo accentrante di un’area metropolitana, la popolazione del nuovo sistema insediativo (ora di scala territoriale) è assai più consistente di quella della sola città: per usare un’antica e nota definizione, la civitas ha travalicato i confini dell’urbs. Insomma la Roma del terzo millennio (fenomeno comune a molte città europee) è una realtà (socio-economica e configurativa) totalmente differente da quella che dalla metà del XV secolo fino al XIX ha progressivamente dato forma e immagine (urbanistica e architettonica) alla città dei papi. Agli inizi dell’Ottocento Roma è una capitale di media dimensione demica e fisica; però, a partire dalla dominazione francese, vi si colgono
i primi segnali di ammodernamento e di lento sviluppo. Ciò malgrado, nel confronto con le altri principali capitali europee (in particolare Parigi e Londra), figurava tra quelle di media dimensione (Vienna, Berlino, e così via). Fino al momento in cui diverrà la capitale dello stato italiano (1870), vi dominano ancora i ceti legati alla struttura governativa papale (un sistema di ancien régime): Roma non si è ancora trasformata, come le altre capitali europee, in città della borghesia moderna. Da quel momento, e fino agli anni Venti del XX secolo, la città cresce però con ritmo accelerato. Dunque, e anche se la popolazione di Roma continua a lungo ad essere attestata su valori inferiori a quelli delle altre capitali europee, si va profondamente modificando il preesistente assetto della città: quindi la sua immagine. In questo nuovo (seppure ancora dimensionalmente limitato) contesto urbano, le immagini fornite dagli edifici e spazi dei secoli passati (età moderna) e dalle presenze archeologiche, cioè dall’insieme del suo sedimentato nucleo storico (fino a quel momento unica, totalizzante e paradigmatica espressione dei suoi valori identitari), cominciano a doversi confrontare con quelle della nascente e pervasiva città borghese e delle correlate nuove realtà (anche valori e simbolicità) nazionali. E ciò accadrà in misura sempre più evidente nelle fasi che si susseguono dagli ultimi decenni del XIX secolo ai primi decenni del XXI. Talvolta con rallentamenti (in genere legati a eventi bellici oppure a crisi economiche e politiche), talaltra con accentuata velocità di trasformazione. Roma, superando lo status di città-urbs, è oggi divenuta il polo accentrante, e di riferimento, di un’area insediativa a dimensione come detto metropolitana. Dunque, pur conservando gelosamente (ma come singoli e residuati episodi urbani ed architettonici) i segni identi-
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CAPITOLO OTTAVO
DAL XIX AL XXI SECOLO
tari del suo passato, è divenuta realtà insediativa “altra”: insomma sono profondamente mutati il suo, anche recente, DNA urbanistico e la natura del suo tessuto sociologico (della sua tradizionale civitas). In conclusione, “vista dall’alto”, la sua immagine attuale registra (quasi come fermo-immagine di una sequenza filmica) il differente peso percentuale che le sue “presenze” passate (quelle archeologiche, quelle della città rinascimentale e poi barocca e di ancien régime) hanno nei confronti di quelle della «città moderna», o addirittura, come si usa dire, «postmoderna». Di ciò intende dar conto, sinteticamente, la sequenza delle immagini prescelte per emblematizzare ciascuna delle quattro fasi qui prese in considerazione. Che dunque visualizzano i principali residuati esiti urbanistici del modo in cui sia le istituzioni, sia gli esponenti, sia (più in generale) i ceti dirigenti, hanno sequenzialmente “pensato” (espressione a sua volta dell’evolversi della loro cultura urbana) e, conseguentemente, modificato Roma in ciascuna di quelle fasi. Quale causa e conseguenza del continuo, talora traumatico, variare del quadro politico, sociologico, economico e culturale, nonché delle opportunità offerte dal succedersi delle innovazioni tecniche, scientifiche, o di qualunque altra natura. Fattori, tutti questi, che hanno influito sul vissuto dei cittadini romani: cioè sulle loro esigenze ed opportunità e, conseguentemente, sui loro stili di vita.
Il periodo preunitario
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Questa fase si avvia con più evidenza nel 1798, quando l’esercito napoleonico occupa Roma (è il penultimo anno del papato di Pio VI, che, dopo esser stato arrestato, morirà in esilio nel 1799) e si avvia il periodo del governo francese (1800-1814). Tuttavia è possibile cogliere qualche segnale di cambiamento anche prima. La popolazione della città era infatti già salita a circa 165.000 abitanti e, qua e là, il tessuto urbanistico aveva già iniziato a mutare il suo volto: in ispecie per l’accresciuta densità abitativa. Se entro la cerchia cittadina la superficie edificata risultava ancora praticamente invariata (per la presenza di parchi, di ville e giardini, di vigne od altro), i nuovi flussi dell’inurbamento venivano infatti prevalentemente assorbiti dall’aumento del numero dei piani delle case esistenti. Ed erano inoltre stati attuati rapsodici interventi di nuovo arredo urbano: ne sono esempio i due obelischi installati l’uno a Trinità dei Monti, l’altro nella piazza Montecitorio. Nel 1800 sale al soglio pontificio Pio VII, che regnerà fino
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al 1823, però con il quinquennale intervallo del suo esilio. È comunque l’azione del governo francese della città il fattore che ha innescato il processo innovativo: l’Urbe, da città rinascimentale-barocca qual era, inizia a trasformarsi in città dell’età moderna. Anche se, e proprio per effetto dell’occupazione francese, la popolazione romana era nel frattempo diminuita (123.000 abitanti nel 1809; poi scenderà ancora ma risalirà fino a 128.000 nel 1813-14), la città inizia ad assumere un nuovo assetto (fisico ed amministrativo). Muta anche, dunque, l’immagine di alcune parti del suo “paesaggio”. In primo luogo quale effetto dell’alto valore simbolico attribuito a Roma da Napoleone (auto-incoronatosi imperatore alla presenza di Pio VII) tradotto in interventi che combinano i miti dei valori (“rivoluzionari”) della “Roma repubblicana” con quelli della “Roma imperiale”: cioè in episodi edilizi ed urbani ispirati alla cultura neoclassica. In secondo luogo, e correlatamente, con l’accelerazione degli interventi ispirati al nuovo corso della cultura archeologica: che inaugurano il tema urbanistico della Roma “città degli scavi” e che, da allora fino ai nostri giorni, sarà una incisiva costante nelle scelte pianificatorie romane. Inoltre per effetto dell’adozione dei principi della nuova cultura tecnico-urbanistica europea e delle sue conseguenti applicazioni: sopratutto perché alcuni di essi (essenziale il divieto delle sepolture nelle chiese od in luoghi privati e l’avvio alla realizzazione del cimitero cittadino) saranno adottati anche quando, caduto Napoleone, Pio VII torna sul soglio pontificio. In tutta questa fase, prima, durante e dopo il governo francese, sono all’opera alcuni importanti architetti, restauratori e artisti (Valadier, Camporesi, Stern, Canina, Canova) ai quali si devono le più interessanti realizzazioni edilizie e urbanistiche del tempo. Ne sono segni emblematici (tra quelli di matrice pubblica tuttora leggibili): consolidamenti del Colosseo, la “liberazione” del Pantheon da quanto vi si era addossato nei secoli passati e la conseguente formazione della piazza antistante; la liberazione (e restauro) dell’Arco di Tito; i primi scavi nell’area del foro di Traiano con integrale liberazione della colonna; la rettificazione di alcuni tracciati degli allineamenti di via del Corso; soprattutto l’incisiva sistemazione edilizia e decorativo-scultorea (in chiave neoclassica) di piazza del Popolo e il suo articolato collegamento con il Pincio (Valadier). Ma altrettanto significative della ormai diffusa cultura neoclassica sono anche alcune grandi iniziative private: la riorganizzazione, promossa dal principe Camillo, di villa Borghese (sia i propilei verso l’attuale piazzale Flaminio, sia quelli, meno evidenti, prospicienti
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porta Pinciana, sia la realizzazione di falsi “ruderi antichi” [Canina]), e l’impianto di villa Torlonia (i Torlonia avevano da poco ottenuto il titolo di principi romani). Meno evidenti i segni urbani qualificanti del periodo successivo: la città che non piaceva né a Giacomo Leopardi né a Stendhal, perché per entrambi Roma era una città dove non avviene nulla di nuovo o di significativo. Nella quale, invece, vengono realizzate alcune importanti opere. Oggi ne restano riconoscibili soltanto due: il restauro ricostruttivo della basilica di S. Paolo distrutta da un grave incendio (Poletti, Camporese e altri) e la facciata neoclassica del preesistente teatro Argentina (Camporese). Pio IX sale al soglio nel 1846 e (anche in questo caso con la breve interruzione della Repubblica Romana) regnerà fino al 1878: cioè anche dopo la proclamazione di Roma a capitale del regno italiano. Nel frattempo la popolazione romana continua a crescere: nel 1870 raggiungerà i 226.000 abitanti. Essenziale fattore innovativo del sistema urbanistico romano è la creazione, fortemente voluta dal nuovo pontefice, della cintura ferroviaria. Ne consegue il deciso decadimento delle attività legate al Tevere: gli scali (portuali e no), gli impianti manifatturieri, i traffici commerciali di breve raggio che si immettevano nella città tramite le porte cittadine. Inoltre, ed è il fattore più carico di conseguenze, la scelta di fissare la principale stazione ferroviaria cittadina a Termini: seme del sorgere di un nuovo polo insediativo cioè il cosiddetto “quartiere De Merode” (dal nome del cardinale che, secondo un’ottica che favoriva gli interessi speculativi, ne è stato il principale ideatore e realizzatore). L’intervento interessa una vasta zona che (oltre al complesso del Macao) si estende principalmente tra i colli Esquilino e Quirinale (attuali vie Firenze, Torino, e così via) e che sarà destinata a divenire una cerniera tra la nuova “città alta” e la tradizionale “città bassa”. Questo impianto, innervato da un nuovo asse viario (poi denominato via Nazionale), ha richiesto in seguito anche un’incisiva modifica delle quote dei luoghi attraversati e la distruzione di ville e giardini ivi esistenti; così come una nuova utilizzazione dei ruderi delle amplissime terme di Diocleziano (sulla sua originaria esedra sorgerà una vasta piazza semicircolare appunto detta piazza dell’Esedra, oggi della Repubblica). A Pio IX si devono molte altre importanti iniziative di cui restano i principali segni. La creazione (Sarti) della Manifattura Tabacchi in Trastevere, la correlata sistemazione della piazza antistante; la definitiva realizzazione del cimitero del Verano, che verrà detto “monumentale” per gli importanti esiti architettonici (Vespignani); inoltre, ma
non “visibili”, il nuovo acquedotto dell’Acqua Pia Antica Marcia, l’introduzione dell’illuminazione a gas, il sostegno alle attività alberghiere e manifatturiere in genere, il riordino dei sistemi bancari, e così via. È la Roma che, dopo la celebre e simbolizzata breccia di porta Pia (20 settembre 1870) verrà trasformata per divenire la capitale dello stato unitario italiano.
Il periodo postunitario, fino al secondo decennio del XX secolo Il tessuto insediativo romano cui, dopo il 1870 e per oltre un ventennio, faranno riferimento (con piani regolatori spesso disattesi o addirittura contrastati), sia le istituzioni nazionali e civiche, sia le classi dirigenti cittadine (nuove o no), è ancora sostanzialmente quello racchiuso dalla tuttora troppo vasta cerchia delle mura cosiddette Aureliane (molte, al suo interno, le aree inedificate). Al quale, però, si aggiungevano le aree del Trastevere e del Testaccio e, all’esterno delle porte urbiche, alcuni insediamenti paraurbani e altre aree disabitate. È invece del tutto nuovo il quadro sociopolitico ed economico della Roma divenuta capitale dello stato unitario. In primo luogo per motivi di ordine istituzionale. La corte sabauda si sostituisce a quella pontificia, ma questa, pure se il suo territorio di competenza è ora ristretto nella sola area vaticana, continua ad essere situata in Roma. Nella città sono dunque compresenti due distinti e contrapposti centri di potere (con i loro corrispettivi indotti sociali ed economici ubiquitariamente insediati in più parti del suo tessuto urbanistico). In secondo luogo per più complesse motivazioni di natura demica. Il fatto che Roma sia stata prescelta come città-capitale del regno italiano (prima ne erano state capitali Torino e poi Firenze), determina da un lato un ingente e quasi immediato flusso immigratorio di varia natura e provenienza (soprattutto esponenti del nuovo funzionariato pubblico, della magistratura, di altre istituzioni, e così via); dall’altro lato, una serie di incisive modifiche del suo tessuto urbanistico (per l’effetto combinato dell’introduzione delle nuove istituzioni statali e civiche e della connessa distribuzione delle sedi e delle abitazioni degli addetti). In terzo luogo per il modificarsi della struttura sociologica (e correlati interessi e stili di vita) della popolazione romana. Nelle classi dirigenti alte (ceti nobiliari; alto funzionariato civile, finanziario, militare; i tradizionali ceti medio-alti definiti “generone”) e in quelle dei ceti medi (il “generetto” della borghesia media
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Piazza del Popolo e la collina del Pincio (arch. Giuseppe Valadier). In basso, l’asse viario verso l’area vaticana; a sinistra la chiesa di S. Maria del Popolo e, più oltre, i propilei d’accesso a villa Borghese (arch. Luigi Canina); sulla destra, le cupole delle due chiese di accesso al “tridente” (via del Babuino, via del Corso, via di Ripetta).
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Pagine seguenti: Piazzale Flaminio. Al centro, l’asse di scorrimento lungo le mura; porta del Popolo (i due fornici di destra e di sinistra fanno parte della sistemazione postunitaria); chiesa e convento di S. Maria del Popolo; a sinistra, propilei d’accesso a villa Borghese.
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Pagine precedenti: Complesso monumentale del Cimitero Campo Verano (arch. Virginio Vespignani). A sinistra, la basilica di S. Lorenzo fuori le mura.
DAL XIX AL XXI SECOLO
In queste pagine: Piazza della Repubblica (già piazza Esedra). I palazzi (arch. Gaetano Koch) sorgono sul tracciato dell’esedra delle terme di Diocleziano; al centro è la fontana delle Najadi (scultore Mario Rutelli).
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e la piccola borghesia), vengono infatti a configurarsi e coesistere due distinte realtà: la società “nera” tuttora legata al preesistente sistema papalino, e la società “bianca” (originaria e immigrata) interrelata, invece, con il sistema del nuovo stato laico. Molti gli effetti di questa complessa realtà. Nuove scelte insediative e viarie di natura urbanistica generale; il contrapporsi o combinarsi (sotterraneo o no) degli interessi economici (ed insorgenti appetiti speculativi fondiario-edilizi) di ciascuna delle due componenti sociali; infine, e non secondariamente, interventi mirati ad affermare e rappresentare i nuovi valori simbolici dello stato unitario italiano. Quali gli episodi le cui residue ed emblematiche immagini di questa fase? Primo fra tutti, perché pieno di impliciti ed espliciti significati simbolici, è la scelta del palazzo del Quirinale quale sede della corte sabauda: ora, contrapponendosi anche fisicamente al complesso vaticano situato nella tradizionale “città bassa”, è la reggia sabauda (e il complesso degli edifici che le fanno da immediato contorno), situata nel contesto della nascente “città alta”, a fungere da elemento coordinatore e di attrazione gravitazionale del tessuto insediativo cittadino presente e futuro (non è difficile notare che alcune delle innovative scelte del precedente governo papalino hanno influito su quelle del piano e programma urbanistico del nuovo stato italiano). E ciò tanto sotto il più generale profilo insediativo, quanto sotto quello dei collegamenti a largo raggio (in primo luogo, tra questi ultimi, la già ricordata localizzazione della stazione Termini). Nel piano del ministro Sella l’antico asse viario (in una zona allora scarsamente edificata) che da porta Pia conduce a piazza del Quirinale (il suo tratto intermedio non è distante dalla stazione di Termini) viene scelto come arteria, a un tempo simbolica (sarà detta via XX Settembre) e funzionale, lungo la quale insediare i principali nuovi ministeri: o realizzando nuovi appositi edifici (ministeri delle Finanze e del Tesoro, della Guerra e dell’Agricoltura), oppure, nel caso del ministero degli Esteri (oggi della Consulta; il ministero degli Esteri avrà poi altre sedi: palazzo Chigi e infine il palazzo della Farnesina), utilizzando il settecentesco palazzo (F. Fuga) situato laddove quell’asse si immette nella piazza del Quirinale. Inoltre, come si dirà, anche l’asse viario che muove da piazza dell’Esedra e che innerva il quartiere De Merode, sarà una delle principali arterie dello sviluppo della Roma tardo-ottocentesca. Conviene però analizzare gli episodi salienti della trasformazione della città a partire dal 1870. Una grave esondazione del Tevere verificatasi subito dopo il trasferimento
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Ministero delle Finanze (architetti Antonio Canevari, Francesco Pieroni e Ercole Rosa), lungo via XX Settembre, da porta Pia al Quirinale.
a Roma della capitale italiana (dunque la Roma “nera” lo ha interpretato come segnale dello sdegno divino per la fine dello stato pontificio), pone subito (1871) il tema della protezione del tessuto della città bassa dalle alluvioni. Vi si provvede mediante la creazione di alti e grandi muraglioni anche destinati a creare la rete dei lungotevere pensati come ampi viali alberati per il passeggio delle carrozze (una variante, in piccolo, sia dei ben più estesi boulevards e quais parigini, sia del Ring viennese, sia perfino del circuito dei viali che poco dopo, ma quasi contemporaneamente, verrà realizzato a Firenze). Il dibattito (ne sarà protagonista anche Garibaldi) durerà alcuni anni dando luogo all’intervento progettato (Canevari): assai complesso perché, in particolare laddove si attraversava il nucleo storico della città e il Trastevere e cioè nelle zone più esposte al rischio delle esondazioni, occorreva risolvere numerosi e difficili problemi di assetto tecnico-idrologico, di viabilità, e di altra natura. A partire dal 1876 verranno prima realizzati i tratti relativi al nucleo storico della “città bassa”, alle rive del Trastevere e al corso del fiume a valle della città; in seguito saranno via via realizzati (in parallelo con il progressivo espandersi della città) i tratti più settentrionali del corso del fiume: quest’ultima fase si concluderà soltanto nel 1926. La quota assai elevata alla quale è stato costruito il nastro dei lungotevere ha sostanzialmente cambiato l’intero assetto, e l’immagine, del preesistente sistema urbanistico romano. Di particolare incisività è risultata, nelle aree insediative storiche (sia sulla riva sinistra che destra del fiume), la modifica delle preesistenti quote viarie (e connessi complessi edilizi: taluni, architettonicamente rilevanti, sono scomparsi) fino allora relazionate al profilo ed all’altimetria delle originarie rive del fiume. È stato infatti necessario raccordare i tracciati viari originari (anche cambiandone le pendenze, e ristrutturando o sostituendo gli edifici che li fiancheggiavano) alla quota dei numerosi nuovi ponti man mano realizzati (tra i primi, ponte Garibaldi in struttura metallica, ponte Umberto I, ponte Cavour, ponte Mazzini) che hanno collegato al tessuto insediativo tradizionale le aree espansive sviluppatesi tra fine Ottocento e primo Novecento (altri ponti saranno costruiti in più momenti del XX secolo e fino ai nostri giorni). Un’iniziativa di notevole rilievo del mutato quadro religioso, simbolica del nuovo quadro politico e culturale dell’Italia postunitaria, è la costruzione, nell’area del subito demolito Ghetto, in fregio al lungotevere e nei pressi del ponte Garibaldi (Armanni e Costa, 1901-1904), della sinagoga (o tempio Maggiore) di Roma.
Pagine seguenti: Ministero della Marina (arch. Giulio Magni), fronte sul lungotevere. In alto a sinistra (al di là della via Flaminia), complesso già industriale e artigianale detto “il borghetto di via Flaminia”, in parte ora divenuto centro di attività varie: mercato rionale, università, piccoli centri per attività artistiche o ricreative, ecc.
Ponti sul Tevere. Dal basso: ponte Regina Margherita, ponte Nenni, ponte Matteotti. Nei pressi del più recente ponte Nenni in cemento armato (arch. Luigi Moretti) è situato lo scalo De Pinedo (nelle sue scalinate, richiama il settecentesco porto di Ripetta, demolito per la creazione dei muraglioni del lungotevere) il cui nome richiama il luogo ove, nel 1925, arrivò l’idrovolante di De Pinedo che aveva compiuto il raid Giappone-Roma.
Asse viario di ponte Cavour-via Tomacelli e muraglioni del lungotevere. A sinistra la sistemazione novecentesca di piazza Augusto Imperatore (arch. Vittorio Ballio Morpurgo), con al centro il mausoleo di Augusto. Sul lungotevere il complesso museale dell’Ara Pacis (arch. Richard Meier). Oltre il ponte (sulla destra), il complesso del palazzo Borghese (detto “il cembalo Borghese”). In alto (a sinistra) villa Medici, ora Accademia di Francia, e il complesso di Trinità dei Monti.
Ponti di collegamento tra l’area nell’ansa del Tevere e il Trastevere. Zona abitata anche nei secoli della decadenza urbana; nei pressi vi era anche il demolito ponte neroniano di accesso all’area vaticana. Al centro: ponte Vittorio Emanuele II (terminale di corso Vittorio Emanuele II) con testate decorate e statue bronzee di Vittorie alate; in alto: ponte Principe Amedeo (al di sopra emerge la cupola della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini).
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Pagine precedenti: Tempio Maggiore o sinagoga (arch. Osvaldo Armanni). Le alberature sono quelle che si affacciano sui muraglioni del lungotevere. Ponte Garibaldi e isola Tiberina. Più oltre la punta terminale dell’isola Tiberina con il complesso edilizio di origine medievale, ma con i suoi ulteriori anche recenti sviluppi.
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Conviene però tornare al quadro d’insieme degli interventi urbanistici nel periodo che va dagli Ottanta del XIX secolo agli anni Venti del XX secolo (cioè nei decenni che precedono e seguono gli anni della cosiddetta Grande Guerra): sia d’iniziativa pubblica (campagne di scavi archeologici, nuovi insediamenti, interventi di “sventramento”, ed altro); sia di iniziativa privatistica (particolarmente intensi nel quinquennio 1885-1890, definito della “febbre edilizia” perché verranno aperti ben 250 cantieri). È in questo momento che, su iniziativa pubblica, riprendono con lena (protagonista Rodolfo Lanciani) i lavori di scavo archeologico nelle aree del foro Romano, dei fori Imperiali, del Palatino, e così via, e che, correlatamente (legge del 1887 promossa da Baccelli e Bonghi), prende il via il contrastato iter per la sistemazione urbanistica dell’area archeologica compresa tra le pendici del Palatino e il complesso delle terme Antonine (dette di Caracalla); cioè la cosiddetta Passeggiata archeologica, che, almeno in parte, fu anche percepita come occasione di processi edilizi speculativi privatistici. Nel frattempo stava enormemente crescendo il numero degli abitanti: negli anni Ottanta erano circa 425.000 e nel 1911 supereranno le 520.000 unità. D’iniziativa pubblica, mirata a nuovi insediamenti abitativi, è la creazione dell’esteso quartiere dell’Esquilino (Koch, Podesti e altri) che si affianca, verso est, al quartiere De Merode. Un impianto (tipologie edilizie a più piani; linguaggio architettonico un po’ monotono) su maglia viaria ortogonale che applica a Roma il modello ripetutamente adottato in più città europee, e in Italia nelle già capitali Torino e Firenze. Centro di coordinamento è piazza Vittorio Emanuele II, un vasto spazio quadrilatero, contornato da palazzi porticati e con negozi a pianoterra, al cui centro è un’ampia area a parco-giardino originariamente corredata da padiglioni di varia funzionalità (caffè ed altro) e da alcuni, questi tuttora esistenti e restaurati, interessanti (ma ivi collocati artificiosamente) ruderi della romanità. Ancora d’iniziativa pubblica sono anche altri interventi. Il prolungamento del già ricordato asse viario (ora via Nazionale) che innerva il quartiere De Merode (nell’ambito del quale, su iniziativa privata, nel 1880 verrà costruito il Teatro dell’Opera) e la conseguente costruzione di vari importanti complessi edilizi. Il grande palazzo delle Esposizioni (Pio Piacentini, 1978-82) e la sede della Banca d’Italia (Koch, 1986-94); il complesso semicircolare degli edifici (Koch, 1986-90) che configurano la già ricordata piazza dell’Esedra (oggi della Repubblica), caratterizzata dalla grande fontana circolare (Guerrieri, 1885) con le successive statue bronzee (Rutelli, 1901) delle Najadi; la
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A fronte: Complesso del Mattatoio (arch. Gioacchino Ersoch). Il Testaccio, che deve il suo nome al cosiddetto Monte dei Cocci (in latino Mons Testaceum), è stato progettato e realizzato in età preunitaria come quartiere operaio (oggi ha assunto altra caratterizzazione) in rapporto all’indotto abitativo di questo, allora innovativo, impianto industriale poi sostituito da altro impianto. I capannoni sono stati restaurati e innovati per accogliere sia una parte del Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO), sia una delle sedi della Terza Università di Roma.
realizzazione – nella piazza situata alla metà circa della via XX Settembre e dove campeggia la mostra del tardocinquecentesco Acquedotto Felice – dell’interessante Ufficio Geologico (1875); la costruzione dei grande complessi del Policlinico (Podesti, 1888-93), localizzato presso il Castro Pretorio, e dell’Ospedale militare del Celio (Bianchi, Durand de la Penne, 1885-91); nei pressi del Monte Testaccio l’esteso impianto, allora tecnicamente innovativo, del Mattatoio (Ersoch, 1888-94), rivelatosi anche socialmente molto importante perché vi graviteranno 2000 persone. Numerosi anche gli interventi di sventramento sui fitti tessuti urbani delle parti storiche della città, divenuti consueti dopo quelli, paradigmatici, già attuati a Parigi dal barone Haussmann. Il già ricordato asse di via Nazionale si concludeva, fino allora, con l’ingresso su piazza Venezia. Si decide ora, ed è il primo dei due nuovi interventi, di prolungarne il percorso oltre tale piazza. Attraversando cioè (con un accorto e ampio tracciato viario sinusoidale: il corso Vittorio Emanuele II), l’intero cosiddetto quartiere del Rinascimento (distruggendone molti, interessanti complessi storici) fino a raggiungere i limiti dei borghi vaticani (e anche il sorgente quartiere di Prati di Castello, di cui si dirà) dopo aver scavalcato il Tevere con il ponte Vittorio Emanuele II posto a valle dell’antico ponte S. Angelo (quello che dava accesso al mausoleo di Adriano da più secoli trasformato in fortezza poi “modernizzata” dal Sangallo nel XVI secolo). Con tale intervento si creava dunque un lunghissimo e rapido collegamento dell’intera città con la stazione ferroviaria. La città alta (“dei piemontesi”) e la tradizionale città bassa (“dei romani”), ormai divenute i fulcri di sviluppo in più direzioni della nuova capitale, saranno poi ulteriormente collegate tra loro dall’apertura del Traforo (1900-05) che collega via Nazionale con via del Tritone, a sua volta connessa, questa, al nuovo asse di via Veneto che, muovendo da piazza Barberini, si dirige verso porta Pinciana. Appartiene a questo genere di interventi pubblici un’iniziativa di forte valenza simbolica: la celebrazione, in chiave sabauda, del futuro cinquantenario dell’avvenuta formazione dello Stato unitario. A partire da un concorso pubblico del 1880 (vinto da Giuseppe Sacconi), si avvia la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II (“il Vittoriano”): pensato come pseudo-ellenistico fondale scenico del tratto finale di via del Corso (modificato e rettificato assieme ad alcune vie ad esso ortogonali) lungo il quale, aggiungendosi ai grandi antichi palazzi, sorgeranno anche nuovi edifici bancari. Ne consegue la demolizione sia di parte delle pendici del Campidoglio e
A fronte: Complesso del Vittoriano, monumento a Vittorio Emanuele II (arch. Giuseppe Sacconi). Il Vittoriano conclude la prospettiva di via del Corso e prospetta su piazza Venezia, sul cui lato destro è palazzo Venezia (l’area a giardino a sinistra del palazzo è frutto di demolizioni), fungendo da snodo tra i due grandi assi viari aperti in età fascista diretti, rispettivamente, (a sinistra) al complesso dei fori Imperiali e poi al Colosseo, e (a destra) al teatro di Marcello, al complesso di S. Nicola in Carcere, alla casa dei Crescenzi, ai templi del foro Boario e, più oltre, a S. Maria in Cosmedin.
del connesso preesistente tessuto edilizio medievale e cinquecentesco (anche la bottega di Michelangelo), sia degli edifici storici ivi ancora esistenti (convento dell’Aracoeli, torre e viadotto di Paolo III), sia la modifica dell’immagine e dell’assetto di piazza Venezia (vengono costruiti nuovi edifici bancari ed assicurativi, viene demolito e ricostruito, ma spostandolo all’indietro, il cosiddetto Palazzetto che si affiancava al palazzo Venezia con fronte sopravanzato verso la piazza) per dare più ampio spazio e più ampia visibilità all’erigendo monumento. Inoltre, sempre nel tratto finale del Corso (denominato corso Umberto), in corrispondenza di piazza Colonna (vi erano già state precedenti modifiche), e con fronte principale su di essa, si realizza la biforcata galleria Colonna (oggi Alberto Sordi) e, poco più a nord, il grande magazzino che poi diventerà “La Rinascente”. Più complesso il quadro della creazione, e configurazione, dei nuovi quartieri di espansione della città al di fuori dei limiti tradizionali. In questa fase le iniziative pubbliche si intrecciano con quelle di iniziativa privata: se ne possono citare gli esempi più importanti. La già ricordata via Veneto che innerva il nuovo quartiere Ludovisi, frutto della lottizzazione speculativa (avviata subito dopo il 1870 da componenti della società tradizionalista) delle aree di preesistenti ville. È il primo dei due “quartieri alti” (l’altro sarà quello dei Parioli) che, da allora in poi, diventeranno luogo privilegiato delle residenze e degli alberghi dei ceti economicamente più elevati. Altrettanto interessante è la vicenda della realizzazione del quartiere cosiddetto dei Prati di Castello. È stata la spinta degli interessi privati di più esponenti dei ceti imprenditoriali (prevalentemente, ma non solo, della società “bianca”) a fungere da innesco alle iniziative pubbliche. Subito dopo il 1870 (secondo alcuni vi erano però stati accordi segreti anche anteriormente), si avvia un processo di urbanizzazione di una vasta e pianeggiante area disabitata: situata, al di là del Tevere, come già detto ai margini dei borghi vaticani e in prossimità del Castel S. Angelo (i prati di Castello) e sviluppato a partire dalle rive del fiume. Fino allora meta di scampagnate “fuoriporta” e raggiungibile solo mediante un traghetto fluviale, l’area venne prescelta dall’iniziativa privata (ovviamente con intenti speculativi) per realizzarvi un nuovo quartiere abitativo per ceti medio-borghesi. Venne dunque subito avviato un ambizioso programma insediativo. L’area, resa raggiungibile mediante una passerella, venne dunque lottizzata, adottando il modello allora consueto, in base a una rete viaria ortogonale correlata a una vasta e centrale piazza qua-
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Pagine seguenti: Prati di Castello. In basso, ponte Cavour e asse viario che conduce, attraversandola diagonalmente, a piazza Cavour; sul lato destro della piazza il complesso del Politeama Adriano (oggi cinema plurisala). A sinistra della piazza è il complesso del palazzo di Giustizia e ponte Umberto I. Lungo il Tevere sono ponte S. Angelo e Castel S. Angelo e, più oltre, via della Conciliazione, piazza S. Pietro e la basilica di S. Pietro.
drilatera. Caratterizzata da giardini con palmizi (vi verrà poi impiantato il grande monumento a Cavour), vi si prospetta anche un nuovo impianto teatrale, il Politeama Adriano. Qualche anno più tardi (a partire dal 1889), sul lato della piazza più prossimo al fiume venne costruito dallo Stato il grande palazzo di Giustizia (Calderini), dai romani definito sprezzantemente “il Palazzaccio”. Quel palazzo è stato infatti configurato adottando, su espresso intento del ministro Zanardelli, un linguaggio eclettico ed artificioso proposto come “stile ufficiale e nazionale” che non ebbe né successo, né, fortunatamente, seguito. Però il quartiere era ormai parte integrante della nuova capitale. Dunque, in luogo della preesistente passerella e dei suoi ulteriori sviluppi, venne costruito, su iniziativa pubblica (1901) ed in asse con quel palazzo, il nuovo ponte in muratura (ponte Cavour) che unisce il quartiere Prati al nucleo storico della città. A questa iniziativa pubblica ne seguono altre sempre correlate a Prati. In primo luogo la costruzione di un altro ponte (ponte Regina Margherita) per collegare via Cola di Rienzo (in asse con piazza Cavour) con piazza del Popolo. Ma, in secondo luogo, anche un più impegnativo intervento urbanistico che, in effetti, è un logico sviluppo verso settentrione del quartiere Prati. È il quartiere che si sviluppa nella zona della già piazza d’Armi e che avrà importanti sviluppi edilizi. Al di là, cioè, dei due lunghi e ampi viali alberati ove sono state realizzati, appunto in rapporto con la piazza d’Armi, gli estesi ottocenteschi complessi delle caserme. Occasione della realizzazione del nuovo quartiere (tipologia edilizia a blocco e scelte architettoniche di un certo interesse) è la scelta di quell’area per realizzare l’Esposizione Universale: finalizzata a celebrare, nel 1911, il cinquantenario dell’Unità italiana. Fulcro di coordinamento del quartiere, che prende il nome di quartiere Mazzini (o delle Vittorie), è la quadrilatera piazza Mazzini (caratterizzata, nella sua zona centrale, da un giardino alberato con ampia e architettonica vasca-fontana). Il sistema viario che innerva l’intero sistema urbanistico è costituto da due grandi assi ortogonali (uno diretto verso piazza Cavour, l’altro verso il Tevere) e dalla raggiera delle strade che parte dai quattro vertici di figura della piazza (M. Piacentini e Giovannoni). Di rilevante interesse tecnico e architettonico è, in questo contesto, l’elegante ponte Risorgimento, a una sola arcata (il primo esempio romano dell’impiego del cemento armato per la costruzione di un ponte), sul quale si immettono i flussi di traffico del secondo dei due assi viari ora ricordati: trasferendoli, oltrepassata la via Flaminia, all’area (valle Giulia) dove (ai piedi di una scalinata che scende da
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Pagine precedenti: Prati di Castello (quartiere Mazzini). Al centro: asse di collegamento tra ponte Risorgimento e piazza Mazzini (con sistemazione di alberature su impianto quadrato che circondano un’ampia vasca) con terminale sul palazzo di Giustizia. Lungo il percorso viario è il complesso edilizio della sede RAI-TV e più oltre vista absidale della chiesa di Cristo Re (arch. Pio Piacentini). Sulla sinistra il Tevere, con (in sequenza) ponte Regina Margherita, ponte Nenni, ponte Matteotti. In alto: tra i due viali alberati attraversati dall’asse viario sono gli impianti edilizi, un tempo caserme, che oggi hanno funzioni differenziate (anche di tribunale civile).
A fronte: Monti Parioli, veduta parziale. In basso: tracciato sinuoso di viale Parioli, lungo il quale sono allineati edifici (abitativi e no) riferibili agli sviluppi del quartiere negli anni Trenta-Cinquanta del Novecento. In alto: due delle sale dell’Auditorium Parco della Musica, stadio Olimpico (la copertura dell’impianto è un’aggiunta recente) e, più a destra, Ministero degli Affari Esteri.
villa Borghese) c’è la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (Bazzani, 1911), e dove sorgeranno le varie Accademie di più stati esteri. Più oltre, ai bordi di villa Borghese (ora parco pubblico), verrà inaugurato, in quegli anni, il Giardino Zoologico, fiancheggiato da un viale che collega la zona al sorgente quartiere dei Parioli. Un’importante, simbolicamente e politicamente, iniziativa pubblica è soprattutto la realizzazione, avviata nel 1907 ma completata negli anni Venti, del nuovo palazzo del Parlamento (Basile), che tra l’altro è il primo episodio nel quale le istituzioni pubbliche adottano una delle varianti italiane dello stile Liberty. Il complesso delle iniziative (di matrice pubblica, semipubblica e privata) che connotano la fase postunitaria è completato da più edifici di varia natura e finalità. Alcuni ministeri in più zone: nel viale del Re (oggi di Trastevere) quello della Pubblica Istruzione (Bazzani); lungo la nuova via Arenula (frutto di uno sventramento) quello di Grazia e Giustizia (P. Piacentini, 1913-14); in piazza del Viminale, cioè nell’ambito del quartiere De Merode, quello dell’Interno (1920); tra via Flaminia e il lungotevere quello della Marina (1928). Inoltre alcuni impegnativi programmi di edilizia abitativa. La costruzione di case popolari, affidandone la realizzazione a un nuovo ed apposito ente pubblico (I.C.P., cioè Istituto per le Case Popolari), nelle aree di Testaccio, S. Lorenzo, Torpignattara, Quadraro, Centocelle, Garbatella e così via. La complementare iniziativa (affidata a un apposito ente: INCIS, cioè Istituto Nazionale Case Impiegati Statali) di costruzione di case a riscatto per i ceti impiegatizi o funzionariali. Ne è un esempio (e un segno urbano) il quartiere incentrato su piazza Verbano. Possono inoltre essere considerati esiti tardi (anni Venti del XX secolo) di questa fase i seguenti episodi, in genere di iniziativa privatistica: la cosiddetta (circa 3.000 alloggi) città-giardino Aniene (Giovannoni) in fondo alla via Nomentana; il quartiere S. Saba (o Piccolo Aventino) situato non lontano dalla porta Ostiense (cioè in prossimità della Passeggiata archeologica), all’esterno della quale era stata realizzata la stazione della ferrovia Roma-Ostia; infine il singolare quartiere per ceti medi, realizzato dall’architetto Coppedè (di qui il suo nome) realizzato in fregio al nuovo asse viario che dal quartiere Parioli si dirige verso il Policlinico e poi verso S. Lorenzo e il Verano.
del continuativo flusso immigratorio (non sempre controllabile) provocato dalla combinazione di due differenti, ma paralleli, fenomeni. Da un lato l’accresciuta dinamicità della vita cittadina (e conseguenti occasioni lavorative: in questo caso il fenomeno immigratorio riguardava dunque ceti operai dotati di qualche specializzazione ma anche ceti borghesi di varia estrazione); dall’altro lato flussi causati dalla persistente crisi delle campagne vicine alla città o provenienti dalle aree meridionali ai confini con il Lazio (in questo caso gli immigrati appartenevano ai ceti più poveri e meno qualificati). Divenne pertanto pressante la domanda di alloggi idonei alle esigenze di entrambi i gruppi immigratori. Le istituzioni cittadine risposero favorendo la capacità abitativa cittadina e adottando a tal fine un duplice programma: da un lato l’urbanizzazione di nuove aree destinate ai ceti medi ove far sorgere nuove tipologie edilizie di media densità ed altezza; dall’altro la realizzazione di complessi abitativi a tipologia intensiva (anche questa innovativa: ripeteva, anche nel caso delle iniziative promosse dalle cooperative operaie e dei ferrovieri, i modelli delle settentrionali delle case a ringhiera con sevizi igienici sui ballatoi interni) in quartieri od aree periferiche. Tuttavia, nelle aree più esterne, si erano venuti creando, nel frattempo, insediamenti spontanei con effetti di degrado sociale ed ambientale. È in questo contesto sociale che si precisa l’idea mussoliniana di trasformare Roma in linea con i principi del pensiero e del sistema fascista. Salito al potere nel 1922, Mussolini, dopo il 1925, aveva di fatto assunto, anche costituzionalmente e conseguentemente sul piano delle istituzioni civili e militari, poteri dittatoriali. Ne sono conseguiti importanti programmi urbanistici che saranno rapidamente realizzati. Alcuni di natura e finalità infrastrutturale e urbanistica; altri più direttamente finalizzati a proporre, nei modificati spazi cittadini, episodi edilizi che, per il loro impianto e linguaggio così come per il recupero di significativi resti archeologici, fossero in grado di metabolizzare simbolicamente (con ardito, sbrigativo e retorico salto concettuale) la Roma di età imperiale nella Roma fascista. Se i già segnalati interventi della fase prefascista erano improntati alla logica (o agli interessi) della cultura urbana dei ceti della borghesia postunitaria (ampliamento delle aree urbane, modifica delle tipologie edilizie e dei percorsi stradali, infrastrutture di varia natura e finalità, e via seguitando) ed erano dunque improntati a un pensiero urbano a carattere, per così dire, “riformistico”, ora invece gli interventi fascisti sono finalizzati a dare un nuovo assetto ai luoghi più significativi della città. E
Tra le due guerre Nel 1921 Roma contava più di 690.000 abitanti: un esito
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Pagine seguenti: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (arch. Cesare Bazzani).
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Pagine precedenti: Piazzale di porta S. Paolo e quartiere S. Saba. Delimitato a sinistra da viale Aventino, che lo separa dal Grande Aventino, il quartiere (detto anche Piccolo Aventino) si è sviluppato nel XX secolo attorno all’antica chiesa di S. Saba. Nella parte alta è il grande edificio della FAO.
In questa pagina: Palazzo del Parlamento (arch. Ernesto Basile). Adiacente è il complesso di palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio; più oltre piazza Colonna con la colonna di Marco Aurelio.
Pagine seguenti: Città universitaria. A sinistra i propilei d’ingresso (arch. Arnaldo Foschini) e più oltre la chiesa della Divina Sapienza (arch. Marcello Piacentini). Al centro: viale alberato di accesso alla piazza centrale con vasca e statua di Minerva (scultore Arturo Martini); più oltre e verso destra è il palazzo del Rettorato con l’aula magna (arch. Marcello Piacentini). Sul lato destro della piazza: Istituto di Matematica (arch. Gio Ponti); sul lato sinistro della piazza: palazzo delle Scienze Geologiche (arch. Giovanni Michelucci). Nel complesso vi sono anche opere di altri architetti. Tra i più significativi: Giuseppe Pagano, Giuseppe Capponi (inoltre, Casa dello studente esterno alla città universitaria: Alberto Calza-Bini, Francesco Fariello e Saverio Muratori); e, con riferimento agli interventi della seconda metà del secolo XX, Claudio Dall’Olio, Alfredo Lambertucci, Carlo Fegiz e altri.
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ciò in base a due differenti criteri. Da un lato sovrapponendo a quella del tessuto esistente una nuova immagine (tradotta in icastici episodi architettonici: edifici, vie, piazze, arredi urbani, un cospicuo programma di scavi archeologici e loro valorizzazione) politicamente alternativa a quella esistente. Dall’altro lato relegando nelle aree periferiche tutto ciò che, offrendo negative immagini di degrado (fisico, sociale, ambientale, nonché di possibile dissenso politico), poteva opporsi al raggiungimento degli obiettivi prefissati. In questo programma il ricorso ai ben noti sventramenti di “risanamento” viene simbolizzato dall’immaginario mussoliniano del “piccone demolitore”. E poiché, soprattutto quanto agli interventi più significativi, per il regime fascista era molto importante la scelta del linguaggio architettonico da adottare, architetti e linguaggio erano ovviamente espressione delle scelte ufficiali: le opere realizzate riflettono infatti, puntualmente, il variare delle opzioni della committenza governativa e dunque anche la diversificata qualificazione dei “segni architettonici” che ne sono conseguiti. All’obiettivo di formare i giovani nel quadro della cultura politica del fascismo si devono due grandi episodi urbanistici: nel quadrante nordoccidentale della città, più precisamente nei pressi di ponte Milvio e ai piedi della collina ove è situata la cinquecentesca villa Madama, il polo sportivo allora detto foro Mussolini (oggi foro Italico); tra il Policlinico e il quartiere San Lorenzo la Città universitaria. Il primo dei due prende ufficialmente avvio nel 1928. L’impianto iniziale (Del Debbio) comprende gli edifici che inquadrano la piazza con il “monolite” marmoreo (Costantini, su base ispirata alle nuove ricerche scultoree costruttiviste e decorato dalla scritta «Mussolini» e guglia in lucido metallo) e che costituiscono l’accesso scenico del complesso (tra questi la cosiddetta Accademia di educazione fisica per la formazione degli insegnanti di atletica). Due suoi elementi sono eloquenti spie dei valori politici attribuiti al complesso. Il primo è il vasto impiego del marmo bianco di Carrara: le cave estrattive erano allora in crisi e ciò aveva sollevato pulsioni anarchiche nei “cavatori”. Dunque occorreva incrementare la produzione del marmo: ne è conseguita la profusione di statue e l’obelisco che marca l’ingresso (e l’asse compositivo) del complesso: e che evidenziava l’interesse del governo a favorire i lavoratori carraresi. Il secondo, meno noto, è la creazione di una “palestra del duce”, che vi si allenava fisicamente per adeguare il suo corpo ai miti “maschi” da lui stesso incarnati e propagandati. L’insieme del nuovo polo sportivo (vi lavoreranno numerosi architetti, scul-
tori e pittori di varia formazione), ben organizzato e incentrato su di un impianto assiale, è caratterizzato da un linguaggio architettonico (una semplicistica, scolastica e convenzionale sintesi di elementi degli ordini architettonici della romanità) non privo di accenti retorici (peraltro riscontrabili in quegli anni anche in architetture ufficiali di altri paesi europei). Il coordinamento dell’opera sarà in seguito affidato all’architetto Moretti. Questi, allora in linea con le scelte del Movimento Moderno cui i più avanzati esponenti del fascismo stavano dando spazio, ha così realizzato un complesso edificio (la Sala delle Armi) considerato uno dei principali esempi del nuovo corso dell’architettura romana ed italiana del tempo. L’area è situata sulla riva destra del Tevere: seguiva cioè la felice localizzazione proposta dal piano regolatore del 1909. La zona, allora poco edificata, era infatti situata in prossimità dell’accesso verso Roma dei traffici viari provenienti da settentrione, ed era anche di facile collegamento con il quartiere Flaminio, con cui il complesso del foro Mussolini verrà più tardi (1939-42) posto in comunicazione dall’elegante ponte Duca d’Aosta (Fasolo). Il secondo episodio, la realizzazione della nuova Città universitaria, prende avvio nel 1932. Fino allora la sede dello Studium Urbis era quella prescelta da più secoli (il complesso della Sapienza di cui fa parte il grande insieme edilizio caratterizzato dal cortile porticato che dà accesso alla borrominiana chiesa di S. Ivo). Era cioè situata nel cuore del tessuto storico più antico, poi modificato dagli interventi viari ottocenteschi (corso Vittorio Emanuele II) e novecenteschi (corso Rinascimento). Ora invece, e non senza prudenze politiche, il nuovo e più esteso impianto universitario (previsto per 25.000 studenti in luogo degli originari 10.000) viene insediato in una zona allora sostanzialmente periferica (ma già vi era stato creato il Ministero dell’Aeronautica: allora considerata “arma fascista”). Vale a dire entro una vasta area (oltre venti ettari) circoscritta da una cinta murata e con accesso monumentale (Foschini). Pianificatore e regista dell’intero impianto (che sarà definito della Minerva: vi sarà installata una statua appunto dedicata alla dea della Sapienza), e degli edifici principali, è Marcello Piacentini, che, divenuto nel frattempo architetto ufficiale del governo fascista, adotta qui un prudente linguaggio architettonico, inteso a mediare tra la tradizione e le nuove correnti, e che, sostanzialmente, impronta l’insieme e le parti più significative dell’intero complesso. E ciò anche se a Piacentini si affiancano, da lui selezionati nell’intero contesto italiano, architetti di differente formazione: sia della cultura accademica del tem-
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Pagine seguenti: Il complesso dell’EUR (già E42). Il grande asse trasversale è la principale spina di coordinamento del complesso secondo la direttrice nord-sud di accesso all’EUR da viale Cristoforo Colombo, che collega l’area di Roma situata entro le mura aureliane con il polo di Ostia. La piazza con la stele (a sinistra) è dedicata a Guglielmo Marconi. Il grande asse ortogonale al primo è invece l’asse di coordinamento minore (viale della Civiltà del Lavoro). Nella parte alta è il palazzo della Civiltà del Lavoro (detto “Colosseo quadrato”; architetti Ernesto La Padula e altri),
che costituisce il terminale fisico e simbolico di questo asse. Ai lati della grande piazza, al cui centro sorge la stele, sono situati i complessi edilizi a varia destinazione, anche museale, che si devono agli architetti Francesco Fariello, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni. In tutti i principali edifici del complesso era richiesto il riferimento ai temi linguistici dell’architettura classica: colonne e altri elementi (archi, timpani e così via). Si noti la raffinata interpretazione “critica” delle colonne e di altri elementi allusivi alla tematica degli ordini architettonici che richiama le atmosfere della “pittura metafisica” italiana (in ispecie di De Chirico).
po, sia del Movimento Moderno (tra questi anche giovani architetti che cinque anni prima lo avevano duramente avversato). Ma, com’è ovvio, nel corso del tempo (soprattutto dopo la Seconda Guerra mondiale) l’impianto originario è stato poi più o meno incisivamente modificato: spesso con infelici risultati. Ancor più significativi del pensiero e del programma urbanistico mussoliniano sono altri due interventi. Il primo è connesso alla scelta di palazzo Venezia quale sede ufficiale del governo e, conseguentemente, al nuovo ruolo assegnato all’antistante piazza Venezia, che diventa il luogo delle sue apparizioni e delle sue comunicazioni ufficiali e solenni alle folle: perché, riprendendo (consapevolmente o no) il rituale degli affacciamenti e dei colloqui proprio degli imperatori romani, su di essa, dal balcone del palazzo, si affaccerà il Duce. La piazza viene dunque anche simbolicamente prescelta a luogo di origine di un nuovo sistema viario a due bracci (a V) che muovono dai due lati del Vittoriano, cioè ai piedi delle due rispettive pendici del colle Capitolino. L’uno proiettato a collegarsi con i percorsi diretti verso il mare (il nuovo centro marino di Ostia) appunto denominato via del Mare. L’altro, che avrà come fondale il Colosseo (fino allora non visibile da piazza Venezia: lo impediva il colle della Velia che verrà dunque eliminato) è la via dell’Impero (oggi via dei Fori Imperiali). Finalizzata, questa, allo svolgimento delle grandi parate militari che, muovendo dal Colosseo (reso appunto visibile da piazza Venezia) e “liberato” da quanto (anche di archeologico) lo contornava, si immettevano in piazza Venezia: scena teatralizzante il Vittoriano divenuto luogo delle ritualità ufficiali del governo fascista. La realizzazione di ciascuno dei due bracci richiederà massicci interventi di demolizioni di zone ricche di presenze storiche ed archeologiche: attuati in base alla cultura degli “sventramenti” e del “diradamento” e isolamento dei “monumenti” storico-artistici. Al di là delle motivazioni simboliche e rituali, la creazione della via dell’Impero ha però al suo attivo una più intensa ripresa degli scavi archeologici. Ripropone, infatti (nell’area, in parte sacrificata alle esigenze della nuova viabilità, dei fori Imperiali) ancora una volta, l’idea della “Roma degli scavi”, ora paesaggisticamente valorizzata dalla sistemazione a verde (pini ed aiuole) delle aree di risulta. Il secondo episodio è la creazione della piazza creata attorno ai resti del “liberato” e restaurato mausoleo di Augusto (attorno al suo cilindro superiore è stata anche piantata una corona di cipressi a imitazione di antiche soluzioni). Ne fa parte anche un manufatto su due livelli (del lungotevere e della
piazza) situato a un margine della piazza, entro il quale sono state immesse (ivi trasportate dal differente luogo originario) le recuperate parti dell’Ara Pacis (uno degli elementi simbolicamente centrali della sistemazione augustea e di certo sua essenziale espressione scultoreo-decorativa) a tale scopo accuratamente ricostruita in modo conforme all’originale. Anche in questo caso l’intervento ha comportato una spregiudicata e massiccia demolizione del tessuto urbano preesistente; alla quale è conseguita la costruzione di edifici pluripiano porticati (per uffici, negozi e così via) che danno una nuova immagine allo spazio urbano così creato. È in questo nuovo contesto urbanistico che in questi ultimi anni, dopo la demolizione (per motivi sia tecnici che ideologici) del precedente manufatto, è stato realizzato (Meier) l’esteso e plurifunzionale edificio (oltre allo spazio dedicato alla ricostruita Ara Pacis vi sono ambienti per mostre, una sala per conferenze ed altro) fin dall’inizio oggetto di continue ed accese dispute. L’iniziativa urbanistica più ambiziosa (politicamente, culturalmente, dimensionalmente) è quella proposta nel 1937 da Bottai (uno dei principali esponenti del fascismo, allora governatore di Roma): realizzare un nuovo grande ed autonomo polo insediativo in un luogo disabitato situato sulla direttrice verso il mare (il fascismo promuoveva “la spinta al mare”: favoriva cioè lo sviluppo dei nascenti poli di Ostia e Castel Fusano). Inizialmente finalizzato a ospitare la grande Esposizione Universale di Roma che doveva celebrare il ventennale dell’ascesa al potere del fascismo (il nuovo polo insediativo venne infatti icasticamente denominato E42 ( oggi quartiere EUR) era però concepito per divenire, in seguito, stabile insediamento polifunzionale (espositivo-museale, residenziale, congressuale, in parte con funzioni amministrative e così via): cioè un nuovo, autonomo, centralizzante, “moderno” polo urbano. Un Ente Autonomo (a presiederlo era stato chiamato Oppo, uno dei pittori graditi alle autorità del fascismo) appositamente creato per il necessario coordinamento organizzativo del programma. Ideatore del piano urbanistico, regista e principale progettista è, anche in questo caso, Marcello Piacentini, coadiuvato però da altri importanti architetti (tra questi Libera) di riconosciuto livello nazionale. All’iniziativa partecipano cioè, ancora una volta, più architetti italiani di differente caratterizzazione: esponenti delle correnti di mediazione tra linguaggi con accenti accademici e innovativi (oggi definiti “altra modernità”), giovani e meno giovani esponenti di alcune correnti del Movimento Moderno, altri con ulteriori declinazioni linguistiche. Ma i progettisti dovevano comunque attenersi
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EUR. Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo (arch. Arnaldo Foschini) e palazzo della Civiltà del Lavoro. EUR. Palazzo della Civiltà del Lavoro, particolare. EUR. Palazzo dei Congressi (arch. Adalberto Libera). Nell’edificio viene allusivamente richiamato il tema “classico” delle volte a crociera, le cui vele si librano leggere nello spazio perché realizzate in cemento armato.
EUR. Palazzo della Civiltà del Lavoro e palazzo dei Congressi. Anche in questo caso le colonne sono tradotte in pilastri in cemento armato in forma di snelli fusi cilindrici.
ai dettati linguistici e tipologici indicati dall’Ente. Così il previsto risultato d’insieme (tracciati del piano urbanistico, configurazione degli edifici principali e qualificanti) sembra volersi riferire, a un tempo, alle astratte e sognanti astrazioni della pittura metafisica (o del “realismo magico” e così via) e le più raggelate interpretazioni di una convenzionale classicità “italica”. Lo scoppio della guerra (1940) interrompe però l’iter realizzativo giunto alle sole prime fasi: concorsuale-progettistica, lavori stradali principali, alcune realizzazioni edilizie, tra cui il palazzo della Civiltà del Lavoro (La Padula), subito definito “Colosseo Quadrato”, il palazzo per le Esposizioni (Libera) e il primo avvio alla realizzazione degli edifici che configurano la piazza centrale, anche qui vitalizzata e marcata da un obelisco, la chiesa (di Foschini). Di modalità uguale a quella degli interventi ora descritti è anche quella relativa alla creazione dell’asse viario che, muovendo dai pressi del Castel S. Angelo, conduce alla berniniana piazza S. Pietro. Ma è diversa la natura politica che ne è all’origine. In questo caso l’intervento, che sottende e avvia la demolizione della cosiddetta “spina dei borghi” vaticani (sono stati demoliti o “spostati” ai lati della nuova via anche edifici di rilievo storico-architettonico), consegue infatti ai nuovi accordi (sanciti nel 1929 dai cosiddetti Patti Lateranensi) tra lo Stato italiano e lo Stato vaticano: un indiretto “segnale” politico di (apparente) accordo con la Chiesa. La nuova via, contestata da molti storici dell’architettura, è stata infatti fortemente voluta da papa Pio XI (cui si deve anche la creazione della Radio Vaticana e la conseguente installazione dell’antenna di trasmissione nella Città del Vaticano): sarà dunque icasticamente denominata via della Conciliazione. Ma i lavori saranno interrotti dopo la fase delle demolizioni e verranno completati soltanto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Invece non possono essere considerati del tutto di matrice propriamente fascista altri due interventi, anche se attuati in epoca fascista. L’uno è l’apertura (mediante “sventramenti”) delle due nuove strade (oggi via Barberini e via Bissolati, entrambe connotate da edifici di varia finalità e con linguaggio architettonico di matrice piacentiniana) che collegano, rispettivamente, piazza Barberini e via Veneto con largo S. Susanna, cioè con l’asse di via XX Settembre. L’altro è l’intervento di “diradamento” – variante italiana (Giovannoni) dello “sventramento” – del cosiddetto quartiere del Rinascimento. Sono invece ulteriormente connesse alle scelte del nuovo regime altre iniziative. La realizzazione, tra il 1933 e il 1935, di uffici
postali che hanno dato luogo a due importanti esempi della cosiddetta “architettura moderna”: quello nei pressi di porta S. Paolo (Libera, De Renzi) e quello in piazza Bologna (Ridolfi, Fagiolo). Lo sviluppo dei nuovi quartieri residenziali alto-borghesi (ora anche prescelti, e tra questi il quartiere Parioli, dai gerarchi fascisti). Inoltre, in aree più periferiche, la realizzazione dell’aeroporto civile (aeroporto dell’Urbe) lungo la via Salaria, e di quello militare a Centocelle, la creazione del nuovo polo cinematografico di Cinecittà (il cinema era considerato un essenziale strumento di comunicazione e propaganda del fascismo). Infine, ma in questo caso come effetto di risulta dei numerosi interventi di demolizione e “risanamento”, la formazione di alcune nuove “borgate” (quasi fossero necessari “scarti di lavorazione”) destinate agli abitanti delle aree demolite: il che, in anni successivi, avrà negativi esiti sociali.
EUR. Vista d’insieme del settore meridionale. In basso: edificio amministrativo (anni Cinquanta del XX secolo); al centro e in alto: lago artificiale, sorpassato dal ponte della viabilità automobilistica principale.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, fino ad oggi In questo periodo, della durata di poco meno di settant’anni (fine anni Quaranta del XX secolo-primi due decenni del XXI), sono riconoscibili due distinte fasi. La prima ha inizio nel quadro della “ricostruzione” postbellica (dopo il 1945) con la progressiva eliminazione dei manufatti sorti un po’ ovunque nelle aree periferiche della città (anche utilizzando i ruderi della romanità, acquedotti o altro). Prosegue poi con il sorprendente fenomeno del boom economico (ne sono effetti lo sviluppo dell’edilizia abitativa, d’iniziativa pubblica e privata, e l’affermarsi di un vivace sistema industriale ad alta specializzazione tecnica) e con i suoi ulteriori esiti nelle opere correlate all’Anno Santo (1950) e alla di poco successiva vicenda dei giochi olimpici. Si conclude infine alle soglie degli anni Settanta (quando si è esaurita la sequenza dei primi programmi dell’edilizia abitativa pubblica e semipubblica, ma continua, pervasivamente, l’edilizia di matrice privata). Durante questa prima fase la città si è enormemente estesa ed è in progressivo aumento il numero di abitanti (1.650.000 nel 1951; 2.188.000 nel 1961; circa 2.800.000 negli anni Settanta). Il trend di crescita può essere così ricostruito. All’inizio degli anni Cinquanta il dato demico registra l’avvenuta immigrazione di popolazioni del Lazio (meridionale e settentrionale) che, di fronte ai rischi bellici, avevano abbandonato i loro luoghi d’origine: Roma era città più sicura e poteva offrire occasioni di occupazione. In seguito, fino
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Via della Conciliazione (arch. Marcello Piacentini). In basso: testate dei due palazzi che inquadrano l’accesso alla via e sequenza di altri palazzi: alcuni di nuova realizzazione, altri preesistenti ma spostati per rispettare i nuovi allineamenti; lungo la via: spina di separazione delle due direttrici di marcia con sistemazioni architettoniche (obelischi-lampione, panchine e altro); alla sinistra della via: antico percorso viario il cui lato sinistro è costituito dal complesso edilizio dell’antico ospedale di S. Spirito (le sue parti restaurate sono ora utilizzate per finalità culturali). Palazzo delle Poste (architetti Adalberto Libera e Mario Ridolfi). Nella zona di porta Ostiense, l’edificio si colloca a breve distanza dalla piramide di Caio Cestio, ai limiti del Testaccio.
Pagine seguenti: Cinecittà. Assemblaggio scenografico della Roma antica per un film sulla romanità imperiale. Al centro è la ricostruzione di un arco di trionfo.
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agli anni Sessanta, l’incremento è il risultato del combinarsi di una doppia realtà. Da un lato l’ulteriore immigrazione di ceti popolari e rurali, che aveva già prodotto fenomeni di degrado sociologico che si intendeva contrastare: di qui un nuovo programma di edilizia sociale pubblica. Dall’altro lato, l’accrescersi (una conseguenza del boom economico) del flusso immigratorio di esponenti sia del nuovo ceto dirigente (politico ed economico), sia delle rappresentanze (diplomatiche, commerciali, finanziarie, e così via) tanto straniere che italiane. Interessa inoltre sottolineare che nei decenni finali della prima fase si è svolto il pontificato di Paolo VI (1963-78) e si è conclusa la vicenda conciliare; e che ciò ha anche avuto significative conseguenze non solo, com’è ovvio, sul sistema religioso della cristianità, ma anche sul vissuto quotidiano dei cittadini e dunque anche sull’assetto urbano. La seconda fase si avvia dopo circa un decennio di stasi demica (la popolazione si mantiene cioè stabilmente sui valori degli anni Settanta) e prosegue fino ad oggi. Ma nel frattempo il quadro politico, socio-economico (riprende lentamente la crescita demica) e culturale è completamente cambiato. Muta dunque anche la natura e la finalità degli interventi di iniziativa sia pubblica che privata. È quantitativamente (ma non sempre qualitativamente) prevalente l’edilizia privatistica: quella abitativa e alberghiera per i ceti alti, medio-alti e medi (in più quadranti della città ed anche in aree di nuova espansione); quella per gli uffici (e simili); quella per i circoli sportivi; infine, particolarmente importante e paesisticamente incisiva, quella per la creazione dei nuovi poli dei grandi centri commerciali. Per quanto concerne l’edilizia pubblica, mentre riprende (ma su nuove linee) l’attività edilizia per il settore abitativo-sociale, sono forse più significativi gli interventi di natura infrastrutturale: la viabilità di medio e largo raggio (rete del Grande Raccordo Anulare, sottopassi e sovrappassi viari, tunnel, e così via); la realizzazione dell’aeroporto internazionale di Fiumicino; nuovi poli ospedalieri; il polo della Seconda Università; complessi sportivi, culturali, direzionali, commerciali e così via: particolarmente significativi, in particolare, i nuovi impianti museali. Ciò premesso, conviene passare all’analisi di ciascuna delle due fasi.
Prima fase Paradigmatica espressione delle varie tendenze dell’architettura italiana dell’epoca, perché vi sono stati coinvolti
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diversificati gruppi di progettazione, sono i “quartieri” popolari realizzati, in apposite aree urbane periferiche, nel quadro del programma del nuovo ente INA-Casa (istituito con apposita legge nazionale). Finalizzato da un lato a rispondere alla forte domanda abitativa dei ceti popolari e, dall’altro lato, ad incrementare l’occupazione operaia priva di specifica qualificazione (imponendo il ricorso alle prassi edilizie tradizionali, ma ammettendo soluzioni diversificate). Interpretazione italiana dei modelli e delle tipologie scandinave (edifici a pochi piani e con planimetrie a croce o simili) sono, tra gli altri, i quartieri Valco S. Paolo, e un primo settore del Tuscolano II. Intenzionale alternativa “mediterranea” (case a patio e a un solo piano) all’Unità di abitazione di Le Corbusier è un secondo settore del quartiere Tuscolano II. Del tutto differente da entrambi è il quartiere Tiburtino III, perché mirato a riproporre (echeggiando il contemporaneo cinema “neorealista”) i tessuti, le tipologie, ed i linguaggi, dell’edilizia dei paesi meridionali italiani. Lo sviluppo successivo ha però poi inglobato tutti questi quartieri in contesti edilizi intensivi che ne hanno alterato e vanificato i presupposti sociologici. Entro certi limiti, ma in base a una nuova legge (1962) e a suoi ulteriori sviluppi, rientrano nel quadro precedente anche altri più tardi quartieri (tra la fine dei Sessanta e i primi anni Settanta) la cui presenza segna fortemente il paesaggio romano: Tor Bella Monaca, Spinaceto, Casilino, Vigne Nuove e soprattutto Corviale (un complesso per 8500 abitanti, quasi un polo urbano ispirato alla tipologia dell’Unità di abitazione di Le Corbusier, ma tradotta in un lineare complesso edilizio di circa 1 km di lunghezza). Di iniziativa pubblica sono inoltre le opere realizzate rispettivamente in concomitanza con la proclamazione liturgica dell’Anno Santo (1950) e con quella, di qualche anno successiva (1960), dello svolgimento a Roma delle Olimpiadi. Le principali sono le seguenti. Il completamento (1950) di via della Conciliazione, il cui impianto architettonico (M. Piacentini) può essere così descritto: sede viaria a tre corsie (separate da alti marciapiedi aggettivati da un singolare arredo urbano di obelischi-lanterna e di panchine di sosta); due testate architettoniche che, quasi propilei o quinte sceniche che, con linguaggio “accademico”, ne segnalano l’ingresso dal lato del fiume; sistemazione architettonica delle facciate degli edifici (preesistenti ma modificati, oppure di nuova realizzazione) lungo i due lati della strada. La costruzione del nuovo edificio di testata della stazione Termini, che, sostituendo quello ottocentesco, completava, ma con nuovo linguaggio (Montuori e altri, 1950), il
Complesso del Corviale (arch. Mario Fiorentino). Questo edificio, ad andamento lineare e della lunghezza di oltre 1,5 km, costituisce il punto di arrivo di sperimentazione (degli anni Cinquanta-Sessanta) di modelli abitativi popolari ispirati al concetto delle unità di abitazione di Le Corbusier. Esempi analoghi, ma di differente impianto tipologico, sono riconoscibili in altre città italiane (ad esempio, a Napoli, le cosiddette “Vele”). In tutti i casi si sono dovuti però registrare insuccessi con fenomeni di degrado sociale e fisico. Il complesso sembra proporsi paesisticamente come segnale del passaggio dal “costruito urbano” al “non costruito” della campagna.
Pagine seguenti: Stazione Termini e piazza dei Cinquecento. Lo stato attuale consegue a due fasi successive, ben evidenziate dal cambio delle scelte architettoniche: la prima è quella degli anni Trenta-Quaranta del XX secolo, che ha avviato (arch. Angiolo Mazzoni) la sostituzione dell’antica stazione pontificia (edifici ai lati dei binari), richiamando temi dell’architettura romano-imperiale; la seconda (sala per la biglietteria e complesso degli uffici) è quella degli anni Cinquanta realizzata. A sinistra: la testata con la sala delle biglietterie e altro (arch. Eugenio Montuori) è frutto di un concorso nazionale cui hanno partecipato numerosi importanti architetti italiani; la superficie ondulata della copertura è disegnata tenendo conto dei confinanti ruderi delle cosiddette mura serviane; a destra è un’ala della soluzione mazzoniana.
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Stazione Termini. Ala di destra della soluzione mazzoniana. Pagine seguenti: Stadio Olimpico. Le due fasi si devono, nell’ordine, a Enrico Del Debbio (piano d’insieme ed edifici principali di testata) e Luigi Moretti (in particolare la Sala delle Armi, considerata uno dei principali esempi dell’architettura razionalista italiana).
Ministero degli Affari Esteri (architetti Enrico Del Debbio, Vittorio Ballio Morpurgo). La vasta piazza antistante è decorata da una vasca con scultura bronzea di Giò Pomodoro (una sfera la cui superficie corrosa rivela all’interno un complesso sistema allusivo a dentature di congegni meccanici). Ponte Flaminio (arch. Armando Brasini). Il ponte immette il traffico di accesso a Roma da nord (la via Cassia e la Flaminia, convergenti su corso Francia). Il ponte, a carattere monumentale, è scandito da colonne con lanterne, sculture di aquile e cippi con le indicazioni delle distanze da Roma di alcuni centri urbani.
suo già precedente ammodernamento (Mazzoni). La sede definitiva del Ministero degli Affari Esteri (Del Debbio, Ballio Morpurgo, fine anni Cinquanta), che ha utilizzato la parte strutturale di un edificio (poi non completato) iniziato in epoca fascista per altra finalità. Inoltre, e particolarmente impegnativi tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello dei risultati urbanistici ed architettonici, sono i seguenti complessi finalizzati allo svolgimento delle Olimpiadi. Nel quadrante settentrionale della città la costruzione dell’esteso complesso abitativo del Villaggio Olimpico (Libera, Moretti, Monaco, Luccichenti, Cafiero, 1958-60), un insieme di edifici articolati in sistemi edilizi di varia configurazione (lineare o no) a due o tre piani e poggiati su pilotis (pilastri in cemento armato che lasciano libero il pianoterra), il tutto immerso in grandi sistemazioni viarie e a verde; la realizzazione del grande asse viario di corso Francia, che immette i traffici automobilistici provenienti da nord nel quartiere Parioli tramite il retorico ponte Flaminio (Brasini, 1938-52) e il successivo viadotto, su piloni in cemento armato di insolita configurazione (Nervi, 1958-60), che attraversa, scavalcandolo, il Villaggio Olimpico; un ardito ponte in speciale struttura in cemento armato che sovrappassa corso Francia (Morandi, 1958-59), il palazzetto dello Sport (in vicinanza di ponte Milvio), edificio a pianta circolare con speciali soluzioni tecniche che sembrano riprodurre, in cemento armato, la copertura dei tendoni da circo con tiranti ancorati a terra (Nervi, Vitellozzi). Altre realizzazioni pubbliche sono la creazione di impianti sportivi (alcuni di ampliamento delle dotazioni del Foro Italico: lo stadio del nuoto e quello del calcio che, a loro volta, saranno oggetto di più tarde, ed anche attuali, modifiche). È in riferimento a questo programma che – su iniziativa però di un importante gruppo privato – si avvia l’urbanizzazione (lottizzazione edilizia, viabilità, piazze, edifici per esercizi commerciali, impianti tecnici e altro) della vasta area del nuovo quartiere residenziale Vigna Clara-Vigna Stelluti (tra il nuovo corso Francia ed il tratto della via Cassia che immette sul ponte Milvio) destinato ai ceti medi ed alti. Ne è fulcro, primo esempio a Roma, un complesso residenziale con nuove tipologie edilizie (edifici a più piani su impianto cruciforme) e dotato di propri impianti sportivi ed aree verdi. Di qui si svilupperà in seguito tutto il sistema edilizio del quadrante settentrionale della città. Nel quadrante meridionale della città, laddove il quartiere EUR si reimmette nell’asse viario per Ostia, resta, dei numerosi originari impianti sportivi a suo tempo realizzati, soltanto il grande palazzo dello Sport (di dimensioni
molto maggiori di quelle del Palazzetto): anche questo su pianta circolare e con complessa struttura in cemento armato per la copertura (Nervi, Piacentini, 1956-60). Un esito del nuovo clima introdotto dal pontificato di Paolo VI è infine la realizzazione della grande aula per le udienze pontificie (1964-71): una vasta sala preceduta da un atrio le cui rispettive strutture di sostegno e copertura sono un ulteriore sviluppo delle innovative soluzioni di impiego del cemento armato elaborate da Pier Luigi Nervi.
Seconda fase In questi decenni, in stretta correlazione con lo sviluppo del grande circuito del raccordo anulare e di altri percorsi di scorrimento veloce, la città si espande in tutti i quadranti dando luogo alla formazione di estesi nuclei residenziali e, al di là di essi, di anonime ed indifferenziate periferie. Ora, insomma, l’immagine che la città offre di sé stessa è quella di un sistema insediativo privo di una riconoscibile morfologia: un continuum che intesse tra di loro il polo metropolitano e quelli di centri insediativi (e comuni) minori. Ciò è forse all’origine delle scelte delle istituzioni (civili e religiose) di realizzare opere architettoniche proponibili come intenzionali icone urbane: edifici per le attività culturali ed artistiche, per i culti religiosi e le loro esigenze rituali; sistemazioni di arredo urbano; recupero e valorizzazione di complessi archeologici e simili. Molte le realizzazioni di diversificata occasione e committenza. Un episodio che segna una tappa essenziale del nuovo clima del dialogo interreligioso, è la costruzione della grande Moschea di Roma e del correlato Centro Islamico Culturale (progettata nel 1976 [Portoghesi e altri], è stata completata nel 1995): opera a lungo osteggiata da più parti (lo evidenzia la lunga durata della vicenda della sua realizzazione), realizzata ai piedi della collina di Forte Antenne (nei pressi del fiume Aniene). Particolarmente interessanti alcuni suoi criteri progettuali. La complessa e rigorosa costruzione geometrica della pianta che regola (a partire da moduli quadrati metamorficamente trasformati in altre figure geometriche) la disposizione dei pilastri; dai quali, come rami di un albero (forse un richiamo alla primitiva moschea del Profeta) che, trasformati in complessi intrecci strutturali, sorreggono la cupola principale e quelle minori in una intelligente e sorprendente applicazione, in cemento armato, dei principi religiosi e delle prassi tipologiche e costruttive della tradizione islamica. Un secondo, ed altrettanto importante episodio di com-
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Pagine precedenti: Villaggio Olimpico (architetti Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco, Luigi Moretti). Il quartiere deve il nome al fatto che è stato realizzato in occasione delle Olimpiadi svoltesi a Roma nel 1960 (ospitò le delegazioni sportive) sul luogo fino allora occupato da una baraccopoli sorta durante e dopo la Seconda Guerra mondiale. Il quartiere è attraversato e sovrastato da un lungo cavalcavia automobilistico (Pier Luigi Nervi) che fa seguito al ponte Flaminio e convoglia il traffico proveniente dai quartieri nord della città, dal Grande Raccordo Anulare (GRA) e inoltre dalle vie Cassia e Flaminia. Al centro è lo stadio Flaminio (architetti Pier Luigi Nervi, Antonio Nervi). In questa pagina: Quartiere Flaminio, palazzetto dello Sport (architetti Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi). La struttura, in cemento armato precompresso (sistema Nervi), allude ai tendoni da circo: coperture con sistemi di irrigidimento e tiranti ancorati a terra.
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A fronte: Quartiere EUR, palazzo dello Sport (architetti Pier Luigi Nervi e Marcello Piacentini). La struttura della volta in cemento armato è una delle varianti applicative dei sistemi ideati da Pier Luigi Nervi. L’impianto complessivo dipende dalle ricerche di Piacentini intese a mediare fra tradizione e innovazione. Pagine seguenti: Moschea e Centro Islamico Culturale (architetti Paolo Portoghesi, Sami Mousawi e altri). Situato lungo la cosiddetta via Olimpica (al suo ingresso verso la parte urbana della via Salaria e ai piedi di una collina), il vasto complesso è il primo e unico impianto ufficiale a Roma (1995) di un importante centro islamico con grande moschea. Nella configurazione delle sue strutture costruttive (cemento armato) e delle sue articolazioni spaziali è stata ricercata e attuata una raffinata mediazione fra la tradizionale architettura religiosa islamica e le più aggiornate ricerche del linguaggio architettonico post moderno italiano.
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mittenza religiosa, è la costruzione della chiesa (e complesso parrocchiale) di Dio Padre Misericordioso in un periferico nuovo quartiere abitativo della città (Tor Tre Teste). Realizzata nel quadro della celebrazione del Giubileo che ha aperto il terzo millennio (Meier, 2001), la chiesa è costituita da un elemento verticale (l’albero di una imbarcazione) e da una sequenza di tre complesse superfici curve (tre vele incurvate dal vento): il tutto emergente dallo specchio acqueo di una ampia vasca quale intenzionale replica architettonica della nota simbologia della Chiesa come nave che supera i flutti del tempo e delle avversità. La committenza pubblica di rango civico promuove invece la realizzazione di complessi edilizi finalizzati alle attività culturali. Il primo tra questi è il grande complesso Auditorium Parco della Musica (Piano, 2003) situato ai margini del già ricordato Villaggio Olimpico (ai piedi della collina dei Parioli). È principalmente costituito da tre emergenti e icastici volumi (le tre sale principali con corpo rivestito in mattoni e copertura in lastre di piombo) che si proiettano radialmente su di uno spazio scoperto (con gradinate disposte a esedra) destinato a vari eventi e occasioni. Ne fanno parte altri corpi edilizi (alcuni caratterizzati da un braccio porticato) destinati tanto alle attività connesse alle occasioni musicali, quanto ad altre accessorie finalità. Completa l’insieme un grande piazzale che permette più utilizzazioni. Benché abbia dato occasione a più critiche, il complesso piace a molti cittadini e, soprattutto, è divenuto un vitalissimo polo di aggregazione sociale del settore nord della città. Un secondo esempio è il già ricordato complesso museale entro cui è conservata ed esposta la ricostruita Ara Pacis.
L’edificio (su due livelli funzionali), situato da un lato sul lungotevere, dall’altro ai margini di piazza Augusto Imperatore e in relazione con il tessuto storico (fronteggia le facciate di due preesistenti chiese di tradizionale matrice architettonica), è completato da un’articolata sistemazione esterna (muro-fontana e gradinate). In questo delicato contesto ambientale il linguaggio riferibile agli stilemi del Movimento Moderno, il predominante colore bianco, la stessa sistemazione esterna, e altri elementi hanno dato luogo ad aspre critiche. Ma il complesso (vi si tengono piccole esposizioni di varia finalità) assolve al suo voluto compito di nuova, anche se sgradita, icona urbana. La terza e più incisiva icona è il grandioso Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (MAXXI) realizzato, a seguito di un concorso, in un’area del quartiere Flaminio nella quale preesistevano complessi edilizi militari (poi in parte demoliti). È un edificio (Hadid, 2010) la cui complessa struttura in cemento armato dà luogo a volumi morfologicamente riferiti ad alcune recenti linee della ricerca architettonica internazionale. La sua insolita configurazione consegue all’altrettanto complessa articolazione degli spazi interni: pensati (scale mobili e no, lunghi vani curvilinei, spazi di varia configurazione, e così via) in funzione dei flussi e dei luoghi di sosta dei visitatori. Interessa sottolineare che questo edificio dovrebbe far parte di un recente programma urbanistico che prevede, per il quartiere Flaminio, la realizzazione di un lungo asse mirato a collegarne sequenzialmente (a tal fine è stato realizzato un nuovo ponte) gli episodi e luoghi più significativi: Foro Italico, MAXXI, Palazzetto dello Sport, Auditorium Parco della Musica. Una sorta di (presunta) “passeggiata” nell’architettura moderna di Roma.
Pagine seguenti: Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo – MAXXI (arch. Zaha Hadid).
A fronte: Quartiere Flaminio, asse di collegamento tra il Foro Italico e l’Auditorium Parco della Musica. L’insieme prelude alla creazione di un unitario percorso che lega più e nuovi impianti museali e sportivi. In basso: ponte delle Arti e piazza Gentile da Fabriano; al centro: sulla sinistra edifici già militari, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, il palazzetto dello Sport; sulla destra: edifici di abitazione medio-borghese, un complesso militare, lo stadio Flaminio, l’Auditorium Parco della Musica.
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Auditorium Parco della Musica (arch. Renzo Piano). Il complesso, situato ai margini del quartiere del Villaggio Olimpico alla base della collina dei Parioli, è costituito da tre sale principali, da un corpo di collegamento con più finalità (altre sale minori, salette per complessi, ecc.). L’insieme è disposto, all’esterno, su due livelli. Quello inferiore, che dà accesso alle sale, è costituito da una piazza a esedra (con gradinate) finalizzata a varie occasioni musicali o di altra natura. Quello superiore è attrezzato a parco-giardino e costituisce anche una via di fuga d’emergenza dalle sale principali. Per la sua situazione urbana e per il fatto che vi si accede da un’area pedonale, il complesso è divenuto un vivace centro di vita del settore nord della città.
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ANTICHITÀ: DALLA REPUBBLICA ALL’IMPERO
ANTICHITÀ: LA FOCE DEL TEVERE
1 Foro di Cesare e tempio di Venere Genetrix 2 Curia Iulia 3 Foro di Augusto e tempio di Marte Ultor 4 Tempio della Pace (Templum Pacis) 5 Foro di Nerva (o Transitorio) 6 Basilica di Massenzio 7 Domus Flavia e domus Augustana 8 Portico di Ottavia 9 Tempio di Apollo 10 Teatro di Marcello 11 Campo Marzio 12 Saepta Iulia 13 Tempio di Ercole e tempio di Portuno 14 Foro Boario 15 Mausoleo di Augusto 16 Colonna di Marco Aurelio 17 Via Flaminia 18 Stadio di Domiziano 19 Pantheon 20 Foro di Traiano, colonna Traiana e basilica Ulpia 21 Mercati Traianei 22 Colosseo 23 Terme di Caracalla 24 Circo Massimo
1 Piazzale delle Corporazioni 2 Teatro 3 Terme di Nettuno 4 Necropoli di porta Romana 5 Necropoli di porta Laurentina 6 Terme del Foro 7 Terme Marittime 8 Bacino esagonale di Traiano 9 Complesso edilizio tra il cardo degli Aurighi e la via della Foce 10 “Case a giardino” 11 Via Ostiense 12 Via Laurentina 13 Terme del Mitra 14 Terme della Marciana
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1 Ponte Milvio 2 Mura aureliane 3 Porta Salaria 4 Portico e terme di Costantino 5 S. Costanza 6 S. Lorenzo 7 Ss. Cosma e Damiano 8 Terme Eleniane e Sessorium 9 Basilica di Massenzio 10 Casa di Quinto Aurelio Simmaco 11 Porta S. Sebastiano e chiesa di S. Sebastiano 12 Arco di Costantino 13 Ss. Giovanni e Paolo 14 Arco di Giano 15 S. Paolo fuori le mura 16 Biblioteca di papa Agapito 17 Pantheon 18 S. Pietro 19 S. Giovanni in Laterano 20 Ss. Pietro e Marcellino 21 S. Maria Maggiore 22 S. Stefano Rodondo 23 S. Croce in Gerusalemme
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MEDIOEVO Mura Leonine 1 S. Giovanni in Laterano 2 Castel S. Angelo 3 Civitas Leonina 4 S. Clemente 5 Ss. Quattro Coronati 6 Ss. Giovanni e Paolo 7 S. Maria in Domnica 8 Isola Tiberina 9 S. Cecilia in Trastevere 10 S. Maria in Trastevere 11 Casa dei Crescenzi 12 S. Maria in Cosmedin 13 Torre dei Conti 14 Torre delle Milizie 15 Castello Caetani e mausoleo di Cecilia Metella 16 S. Sisto Vecchio 17 S. Maria sopra Minerva 18 Basilica dell’Aracoeli
RINASCIMENTO Città Leonina e fortificazioni vaticane 1 Cappella Sistina 2 Cortile del Belvedere 3 Borgo Pio 4 Villa Giulia 5 Villa Madama 6 Villa Lante 7 Quirinale 8 Chiesa del Gesù 9 Piazza del Popolo 10 Palazzo Madama 11 S. Luigi dei Francesi 12 Cancelleria 13 Via Garibaldi 14 Farnesina 15 Palazzo Farnese 16 Palazzo Corsini 17 Palazzo Salviati 18 Trinità dei Monti 19 S. Maria Maggiore 20 S. Giovanni in Laterano 21 S. Maria del Popolo 22 S. Pietro in Vincoli 23 Aracoeli-Campidoglio 24 Piazza Venezia e palazzo Venezia 25 S. Croce in Gerusalemme 26 Ponte Sisto 27 Ponte Elio e Castel S. Angelo 28 S. Pietro in Montorio (al Gianicolo) 29 Ss. Celso e Giuliano 30 S. Andrea della Valle A Via Aurelia B Via delle Fornaci C Via del Babuino D Via del Banco di Santo Spirito E Via Lata F Via di Porta Pia G Via Recta H Via della Lungara I Via Giulia L Via di Torre Argentina M Borgo Nuovo e Passetto N Via di Ripetta
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TARDA ANTICHITÀ E CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI
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ETÀ BAROCCA 1 Biblioteca Vaticana 2 Palazzo Vaticano 3 Palazzo Lateranense 4 S. Giovanni in Laterano e Scala Santa 5 S. Pietro 6 Ponte S. Angelo 7 SS. Trinità degli Spagnoli 8 Trinità dei Monti 9 Fontana di Trevi 10 S. Andrea al Quirinale 11 S. Carlino 12 Ss. Domenico e Sisto 13 Montecitorio 14 S. Ignazio 15 Orto Botanico 16 Fontana dell’Acqua Paola 17 Piazza Navona 18 S. Agnese 19 Gianicolo 20 S. Croce in Gerusalemme A B C D E F G
Via Felice Via Panisperna Via del Banco di S. Spirito Via di Ripetta Via Flaminia Via Merulana Via Urbana
Obelischi sistini: Piazza del Popolo Piazza S. Pietro S. Maria Maggiore S. Giovanni in Laterano
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 25
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a cura di Roberto Cassanelli
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La bibliografia su Roma è ovviamente sterminata, e da sola potrebbe occupare più volumi. In questa sede ci si limita a segnalare le opere essenziali relative alla storia urbana, oltre a quelle indicate dagli autori dei singoli contributi per ulteriori approfondimenti.
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Opere generali 28 13
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VILLE E GIARDINI
OTTOCENTO E NOVECENTO
1 Cortile del Belvedere 2 Palazzo Barberini 3 Palazzo del Quirinale 4 Villa Giulia 5 Villa Medici 6 Passeggiata del Pincio 7 Villa Paganini 8 Villa Torlonia 9 Villa Aldobrandini 10 Palazzo Colonna 11 Giardino di S. Maria del Priorato 12 Villa Sciarra 13 Villa York 14 Villa Lante 15 Villa Lusa 16 Villa Taverna 17 Villa Abamelek 18 Villa Corsini 19 Villa Ada 20 Villa Borghese 21 Villa Doria Pamphilj 22 Ville dei Casali
1 “Palazzaccio” 2 Propilei di piazzale Flaminio 3 Pantheon e piazza della Rotonda 4 Policlinico 5 Piazza Esedra 6 Stazione Termini 7 Piazza Vittorio Emanuele II 8 Scavi del foro di Traiano 9 Vittoriano 10 Sinagoga 11 Piazza Cavour 12 Piazza Mazzini 13 Cimitero del Verano 14 Piazza Bologna 15 Aula Nervi 16 Foro Mussolini (Foro Italico) 17 Villaggio Olimpico 18 Viadotto Nervi 19 Porta S. Paolo 20 Palazzo delle Poste 21 Museo dell’Ara Pacis 22 Chiesa di via di Tor Tre Teste 23 MAXXI 24 Palazzetto dello Sport 25 Moschea 26 Auditorium Parco della Musica 27 Città universitaria 28 Cinecittà 29 EUR 30 Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM)
Per le indicazioni bibliografiche di base, un buon punto di partenza è costituito dalle bibliografie a corredo delle «voci» dedicate, sotto più aspetti, a Roma nell’Enciclopedia dell’arte antica e nell’Enciclopedia dell’arte medievale dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana. La Storia di Roma promossa sin dagli anni Trenta del Novecento dall’Istituto di Studi Romani ha dedicato un volume (il XXII), con contributi di F. Castagnoli, C. Cecchelli, G. Giovannoni e M. Zocca, alla Topografia e urbanistica di Roma (Bologna 1958). Più breve, ma anche più aggiornata, la Storia di Roma dall’antichità ad oggi, delle edizioni Laterza, in sei volumi monografici dedicati ai singoli periodi storici (a cura di A. Giardina, A. Vauchez, A. Pinelli, L. De Rosa, V. Vidotto, G. Ciucci). La Storia di Roma curata da A. Momigliano e A. Schiavone (Torino 1988 e sgg.), dedicata esclusivamente alle fasi antiche della città, presenta molti contributi e riferimenti alle vicende urbane. Per il Medioevo una buona sintesi storica, con ampia bibliografia, è L. GATTO, Storia di Roma nel Medioevo, Roma 2003. Per l’età moderna e contemporanea, oltre ai già ricordati volumi della Storia di Roma dell’Istituto di Studi Romani, alcuni dei quali ancora attuali, esiste dal 1993 una rivista specializzata, Roma moderna e contemporanea, affiancata più recentemente da Città e Storia, entrambe edite dall’Università di Roma-Tre. La medesima Università ha in corso di pubblicazione l’Atlante di Roma moderna e contemporanea, di cui sono apparsi cinque volumi, dei quali occorre segnalare almeno: Un patrimonio urbano tra memoria e progetti. Roma, l’area OstienseTestaccio (2004), Roma dall’alto (2006), Trastevere. Società e trasformazioni urbane dall’Ottocento ad oggi (2007) e Il primo miglio della via Appia a Roma (2011).
Cartografia e iconografia urbana H. EGGER, Römische veduten, Wien-Leipzig 1911. Die römischen Skizzenbücher von Marten van Heemskerck im Königlichen Kupferstichkabinett zu Berlin, hrsg. von Ch. Huelsen u. H. Egger, Berlin 1913 (rist. anast. Soest 1975). F. EHRLE, Roma ai tempi di Clemente VIII. La pianta di Roma di Antonio Tempesta del 1593, Città del Vaticano 1932. ID., Roma ai tempi di Benedetto XIV. La pianta di Roma di G. B. Nolli del 1748, Città del Vaticano 1932. A.P. FRUTAZ, Roma ai tempi di Clemente VIII. La
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pianta di Roma di A. Tempesta del 1593 riprodotta da un esemplare del 1606, Roma 1932. CH. HUELSEN, Saggio di bibliografia ragionata delle piante iconografiche e prospettiche di Roma dal 1551 al 1748, Firenze 1933. F. EHRLE, H. EGGER, A.P. FRUTAZ, Piante e vedute di Roma e del Vaticano dal 1300 al 1676, Città del Vaticano 1956 . A.P. FRUTAZ, Le piante di Roma, 3 voll., Roma 1962. S. PRESSOUYRE, Rome au fil du temps. Atlas historique d’urbanisme et d’architecture, Boulogne 1973. I. INSOLERA, Roma. Immagini e realtà dal X al XX secolo, Roma-Bari 1980. E. FILIPPI, Maarten van Heemskerck. Inventio urbis, Milano 1990. S. MADDALO, In figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990. Atlante di Roma. La forma del centro storico in scala 1:1000 nel fotopiano e nella carta numerica, Venezia 1991. M. SANFILIPPO, Le tre città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini a oggi, Roma-Bari 1993. J. GARMS, Vedute di Roma dal Medioevo all’Ottocento. Atlante iconografico, topografico, architettonico, 2 voll., Napoli 1995. P.M. LUGLI, Urbanistica di Roma. Trenta planimetrie per trenta secoli di storia, Roma 1998. M. GORI SASSOLI (a cura di), Roma veduta. Disegni e stampe panoramiche della città dal XV al XIX secolo, Roma 2000. N. DACOS, Roma quanta fuit. Tre pittori fiamminghi nella Domus Aurea, Roma 1995; nuova ed. Roma quanta fuit ou l’invention du paysage de ruines, Paris-Bruxelles 2004. C. DE SETA (a cura di), Imago urbis Romae. L’immagine di Roma in età moderna, Milano 2005. C. DE SETA, Roma. Cinque secoli di vedute, Napoli 2005. Rom. Eine Stadt in Karten von der Antike bis heute, hrgg. von S. Bogen, F. Thürlemann, Darmstadt 2009.
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INDICE DEI NOMI DI PERSONA
INDICE DEI NOMI DI PERSONA Le occorrenze in tondo si riferiscono al testo, quelle in corsivo alle pagine delle didascalie
Adimari, Filippo 142, 150 Adriano, Publio Elio Traiano 33, 66, 112, 130, 188, 254, 35 Agapito I, papa 96, 102, 308 Agnese, santa 177, 102, 177 Agostino d’Ippona, santo 67, 148 Agrippa, Marco Vipsanio 33, 50 Alarico, re dei Visigoti 77, 96 Albani, Alessandro 211 Albani, Giovanni Francesco, v. Clemente XI Alberini, Giulio 131 Alberti, Leon Battista 10, 150 Aldobrandeschi di Soana, Ildebrando, v. Gregorio VII Aldobrandini, Ippolito, v. Clemente VIII Aldobrandini, Pietro 211 Alessandro VI (Rodrigo Borgia), papa 112, 129, 130, 131, 148, 151, 168 Alessandro VII (Fabio Chigi), papa 168, 177, 181, 194, 198 Alessandro VIII (Pietro Vito Ottoboni), papa 177 Alfano, camerario 113 Altavilla, Roberto d’, detto il Guiscardo 133 Altoviti, famiglia 131 Ammannati, Bartolomeo 164, 210 Ammiano Marcellino 33, 76 Anacleto II (Pietro Pierleoni), antipapa 112 Anco Marzio 66 Annibale, v. Barca, Annibale Apollo (Febo) 21, 33, 42, 43, 28, 307 Apuleio, Lucio 22 Arato di Soli 23 Arcadio, Flavio 87 Armanni, Osvaldo 244, 254 Assaraco 42 Astrea 28 Augusto, Caio Giulio Cesare Ottaviano 17, 28, 33, 43, 76, 107, 124, 150, 151, 198, 214, 230, 272, 300, 28, 33, 37, 52, 245, 307 Aureliano, Lucio Domizio 130, 96 Aurora 55 Baccelli, Guido 254 Bacchielli, Adriano 42 Ballio Morpurgo, Vittorio 291, 245, 291 Barbari, Jacopo de’ 7, 10 Barberini, famiglia 194, 310 Barberini, Francesco 205 Barberini, Maffeo, v. Urbano VIII Barberini, Taddeo 205 Barbo, Marco 150 Barbo, Pietro, v. Paolo II Barca, Annibale 77 Barozzi da Vignola, Jacopo, detto Vignola 151, 160, 164, 210 Basile, Ernesto 198, 262, 268 Bazzani, Cesare 262 Becatti, Giovanni 67 Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini), papa 188 Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini), papa 167, 169, 194 Benoist, Félix 15 Bergondi, Andrea 194 Bernardo di Clairvaux, santo 124 Bernini, Gian Lorenzo 131, 168, 177, 181, 188, 194, 198, 177, 182, 198 Bernini, Pietro 194
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Berrettini, Pietro, detto Pietro da Cortona 168 Bianchi, Salvatore 254 Bonadies, famiglia 131 Bonaparte, Napoleone 234 Bonghi, Ruggiero 254 Boni, Giacomo 214 Bonifacio IV, papa 107 Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), papa 124 Bordini, Giovanni Francesco 167 Borghese, Camillo, v. Paolo V Borghese, Scipione 211 Borgia Rodrigo, v. Alessandro VI Borgo, Francesco del 150 Borromini (Francesco Castelli) 86, 168, 169, 177, 181, 177, 182, 202 Bottai, Giuseppe 272 Bracci, Pietro 194 Bracciolini, Poggio 124 Bramante, Donato (Donato di Angelo di Pascuccio detto) 129, 130, 131, 148, 151, 160, 169, 207 Brandani, Federico 211 Braschi, Giovanni Angelico, v. Pio VI Brasini, Armando 291, 291 Brunelleschi, Filippo 10 Bufalini, Leonardo 10 Buonarroti, Michelangelo 7, 112, 130, 148, 150, 151, 160, 164, 169, 210, 230, 256, 18, 79 Buoncompagni, Ugo, v. Gregorio XIII Burcardus, Johannes (Giovanni Burcardo) 151 Busiri-Vici, Carlo 214 Buzio, Ippolito 177 Caetani, Benedetto, v. Bonifacio VIII Caetani, famiglia 124, 125, 131, 308 Caetani, Pietro 124 Cafiero, Vittorio 291, 296 Caio Mario, v. Mario, Caio Calderini, Guglielmo 256 Caligola, Caio Giulio Cesare Germanico 23 Callisto II (Guido dei Conti di Borgogna), papa 113 Calza, Guido 67 Calza-Bini, Alberto 269 Camerio, amico di Catullo 42 Camporesi, Francesco 234 Canevari, Antonio 244, 245 Canina, Luigi 234, 235, 236 Canini, Marco Antonio 188 Canova, Antonio 234 Capponi, Giuseppe 269 Caracalla, Marco Aurelio Antonino 42, 124, 148, 230, 254, 50, 307 Carafa, famiglia 210 Carafa, Gian Pietro, v. Paolo IV Carafa, Oliviero 160 Carino, Marco Aurelio 18 Carlo Magno 9 Carlo V d’Asburgo 188 Carlo VII Valois 188 Carvajal, Bernardino 148 Castello, Bernardo 181 Castiglione, Baldassarre 160 Catullo, Caio Valerio 42 Catulo, Quinto Lutazio 18 Cazzato, Vincenzo 214 Cecchelli, Carlo 106 Cesare, Caio Giulio 17, 21, 22, 33, 38, 76, 18, 39, 307
Cetrangolo, Enzio 43 Chiaramonti, Barnaba, v. Pio VII Chigi, Agostino 148, 181 Chigi, Fabio, v. Alessandro VII Chigi, famiglia 181, 198, 244, 228, 268 Chigi, Mario 168 Cibele, dea 67 Cicerone, Marco Tullio 22, 38, 50, 66, 160 Cimabue (Cenni di Pepo detto) 10, 11, 125 Ciocchi del Monte, Baldovino 164 Ciocchi del Monte, Giovanni Maria, v. Giulio III Ciriaco, santo 67 Claudio, Tiberio Cesare Augusto Germanico 55, 66, 52, 102 Clemente VII (Giulio de’ Medici), papa 130, 160, 207 Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa 210 Clemente IX (Giulio Rospigliosi), papa 168, 188 Clemente XI (Giovanni Francesco Albani), papa 194 Clemente XII (Lorenzo Corsini), papa 169, 194 Cola di Rienzo 9, 125, 256 Colonna, famiglia 124, 205, 211, 310 Colonna, Filippo I 211 Colonna, Francesco 9 Colonna, Ottone (o Oddone), v. Martino V Conti di Borgogna, Guido dei, v. Callisto II, papa 113 Conti di Lavagna, Sinibaldo Fieschi dei, v. Innocenzo IV Conti di Poli, famiglia 194 Conti di Segni, famiglia 124, 308 Conti di Segni, Lotario dei, v. Innocenzo III Conti, Michelangelo, v. Innocenzo XIII Coppedè, Gino 262 Corbett, Spencer 106 Corsini, Agostino 142, 148, 169, 214, 309, 310 Corsini, Lorenzo, v. Clemente XII Costa, Vincenzo 244 Costantini, Costantino 269 Costantino, imperatore 7, 77, 86, 87, 96, 150, 169, 198, 82, 86, 90, 96, 102, 308 Costanza (o Costantina) 87, 102 Costanzo II (Flavio Giulio Costanzo) 33, 38, 76, 90 Crescenzi, famiglia 28, 113, 256, 308 Crescenzi, Nicola 124 Cristina di Svezia, regina 181 Cruyl, Lievin 10 Cybo, Giovanni Battista, v. Innocenzo VIII D’Annunzio, Gabriele 210, 214 Dacos, Nicole 10, 106 Dall’Olio, Claudio 269 Dardano 42 de Chirico, Giorgio 272 De Pinedo, Francesco 245 De Renzi, Mario 273 De Rossi, Giovan Battista 106 De Sanctis, Francesco 194 Decio, Basilio Flavio Cecina 76 Decio, Cecina Mavorzio Basilio 76 Dedalo 9, 17, 42, 43 Del Debbio, Enrico 269, 291, 291 Della Porta, Giacomo 130, 148, 150, 151, 169, 188 della Rovere, Francesco, v. Sisto IV della Valle, Andrea, cardinale 151 Di Sciullo, Patrizio 15
Diocleziano, Caio Aurelio Valerio 76, 230, 235, 18, 79, 242 Dione Cassio, Lucio Cocceiano 33 Domenico di Guzmán, santo 124, 168, 188, 191 Domiziano, Tito Flavio 17, 33, 177, 23, 35, 43, 50, 307 Duchesne, Louis 106 Dupérac, Étienne 10, 12, 129 Durand de la Penne, Luigi 254 Egger, Hermann 106 Eginardo 9 Elena, santa 87, 90, 96, 169 Ellul, Jacques 7 Enea 33, 42, 55 Epulone, Caio Cestio 52 Ercole 28, 307 Ersoch, Gioacchino 254, 254 Esculapio 113, 116 Este, Ippolito d’ 160, 210 Eurisace, Marco Virgilio 52 Fagiolo, Mario 273 Falda, Giovan Battista 10, 14, 168 Fancelli, Francesco 168 Faranda Villa, Giovanna 50 Fariello, Francesco 269, 272 Farnese, Alessandro, detto il Giovane 148, 150, 169, 205, 309 Farnese, Alessandro, v. Paolo III Farnese, famiglia 129, 131, 141, 142, 148 Farnese, Pierluigi, duca di Castro 148 Farnese, Ranuccio 148 Fasolo, Vincenzo 269 Febo, v. Apollo Fedro 22 Fegiz, Carlo 269 Fiorentino, Mario 287 Foca, imperatore bizantino 18, 76 Fontana, Carlo 181, 198 Fontana, Domenico 112, 167, 168, 169, 188, 110 Fontana, Giovanni 177 Fontana, Prospero 210 Foschini, Arnaldo 269, 273, 269, 273 Francesco d’Assisi, santo 124, 125 Francesco di Giorgio Martini 148 Frangipane, Giacoma (detta Jacopa de’ Settesoli), 125 Frankl, Wolfgang 106 Frazer, Alfred K. 106 Fuga, Ferdinando 169, 194, 244, 110, 169 Galilei, Alessandro 169 Galvani, Giovanni Alberto 210 Garibaldi, Giuseppe 148, 244, 254 Gaudenzio 96 Gavio Massimo 66 Ghinucci, Tommaso 210 Ghislieri, Antonio, v. Pio V Giano 77, 308 Giglio, Tommaso del 151 Giovanni Battista, santo 169, 177 Giovanni VII, papa 107 Giovanni di Sutri 113 Giovannoni, Gustavo 256, 262, 273 Giove 17, 21, 150 Giove Tarpeiano (Giove Capitolino) 33, 18, 50 Giovenale, Giovanni Battista 113 Gismondi, Italo 67 Giulio II (Giuliano della Rovere), papa 67, 129, 130, 131, 148, 151, 160, 207, 58 Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte), papa 164, 207, 210 Giulio Romano (Giulio Pippi detto) 150, 160 Giunone 17, 43
Giunone Moneta 150 Goethe, Johann Wolfgang von 124, 177 Gordiani, famiglia 90 Grassi, Orazio 188 Gregorini, Domenico 198 Gregorio I Magno, papa 107 Gregorio IV, papa 67 Gregorio VII (Ildebrando Aldobrandeschi di Soana), papa 112, 113 Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni), papa 167, 210 Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), papa 188 Gregorovius, Ferdinand 113 Grillo, Angelo 168 Gros, Pierre 17 Guerrieri, Alessandro 254 Guesdon, Alfred 15 Guglielmo di Malmesbury 107 Guido dei Conti di Borgogna, v. Callisto II Hadid, Zaha 300, 300 Haussmann, Georges Eugène 254 Heemskerck, Maerten van 10, 106, 113, 12 Homo, Léon 105 Hormisdas (Ormisda), principe persiano 38, 76 Hülsen, Christian 106 Icaro 9, 17, 42, 43, 50 Ignazio di Loyola, santo 151, 188, 191 Ildebrando di Soana, v. Gregorio VII Ilia (Rea Silvia) 33 Ilio 42 Innocenzo II (Gregorio Papareschi), papa 112, 113, 124 Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni), papa 112, 124 Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna), papa 125 Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo), papa 130 Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj), papa 168, 177, 214 Innocenzo XIII (Michelangelo Conti), papa 198 Iside 67 Jacopa de’ Settesoli, v. Frangipane, Giacoma Juvarra, Filippo 198 Koch, Gaetano 254, 242 Krautheimer, Richard 105, 106, 168 La Padula, Ernesto 273, 272 Lada 42 Lafréry, Antoine 10 Lambertini, Prospero Lorenzo, v. Benedetto XIV Lambertucci, Alfredo 269 Lanciani, Rodolfo 67, 254 Le Corbusier (Charles-Édouard Jeanneret-Gris detto) 286, 287 Leone III, papa 111, 110 Leone IV, papa 76, 112, 207 Leone X (Giovanni de’ Medici), papa 113, 129, 130, 131, 150, 151, 160, 181 Leopardi, Giacomo 235 Libera, Adalberto 272, 273, 291, 273, 283, 296 Licinio, Valerio Liciniano, imperatore romano 43 Ligorio, Pirro 124, 130, 160, 207, 210, 131 Lironi, Giuseppe 169 Lorenzo, santo 87, 96, 181, 242, 269, 110, 262 Lorenzo il Magnifico, v. Medici, Lorenzo di Piero de’ 160 Lotario, imperatore 112 Luca, santo 151 Luccichenti, Amedeo 291, 296 Lucina, dea 28 Ludovisi, Alessandro, v. Gregorio XV Ludovisi, Bernardino 169
Ludovisi, Ludovico 188 Ludovisi, Nicolò 188, 198 Luigi XIV di Borbone 188 Mabillon, Jean 106 Maccarone, Curzio 210 Maderno, Carlo 169, 177 Maderno, Stefano 188 Magni, Giulio 245 Marcellino, santo 87, 90 Marcello, Marco Claudio 28, 28, 256, 307 Marchionni, Carlo 169, 211 Marcia, figlia di Cremuzio Cordo e madre di Metilio 23 Marciana 66, 66 Marco Antonio 18 Marco Aurelio Antonino Augusto 77, 150, 151, 268, 307 Marco, papa 87 Maria Vergine 150, 96, 107, 112, 113, 124, 125, 129, 131, 151, 167, 168, 169, 181, 194, 205, 230, 79, 113, 125, 151, 160, 169, 182, 202, 236, 237, 256 Mario, Caio 22 Marte Ultor (Marte Ultore o Gradivo) 17, 33, 76, 37, 307 Martini, Arturo 269 Martini, Francesco di Giorgio, v. Francesco di Giorgio Martini Martino V (Ottone, o Oddone, Colonna), papa 105 Mascarino, Ottavio 210 Masci, Girolamo, v. Niccolò IV Massaio, Pietro del 11 Massenzio, Marco Aurelio Valerio 76, 77, 86, 87, 124, 168, 82, 86, 307, 308 Mastai Ferretti, Giovanni Maria, v. Pio IX Mazzarino, Giulio 188 Mazzoni, Angiolo 291, 287 Medici di Marignano, Giovanni Angelo, v. Pio IV Medici, famiglia 129, 148, 160, 210, 211, 211, 245, 310 Medici, Ferdinando de’ 211 Medici, Giovanni de’, v. Leone X Medici, Giulio de’, v. Clemente VII Medici, Lorenzo di Piero de’, detto il Magnifico 314 Meier, Richard 272, 300, 33, 245 Meleghino, Jacopo 164 Mercati, Michele 207 Mérode, Francesco Saverio de 235, 244, 254, 262 Metello, Quinto Cecilio Macedonico 28 Metilio, figlio di Marcia 23 Metus 21 Michelangelo, v. Buonarroti, Michelangelo Michele, arcangelo 130 Michelucci, Giovanni 269 Minerva 17, 21, 124, 269, 125 Minosse 42 Minucio Felice 55 Mitra 66, 66, 307 Momigliano, Arnaldo 75 Monaco, Vincenzo 291, 296 Monaldi, Carlo 169 Monica, santa 67 Montalto, famiglia 168 Monte, Antonio del 164 Montini, Giovanni Battista, v. Paolo VI Montuori, Eugenio 286, 287 Morandi, Riccardo 291 Moretti, Luigi 269, 291, 245, 291, 296 Mosè 210 Mousawi, Sami 296 Mullooly, Joseph 113 Muratori, Saverio 269, 272 Mussolini, Benito 262, 269, 291, 310
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INDICE DEI NOMI DI PERSONA
Nadar (Félix Tournachon) 9 Nanni di Baccio Bigio 131, 150 Navone, Giovanni Domenico 181 Nerone, Lucio Domizio Enobarbo 38, 42, 43, 50 Nerva, Marco Cocceio 17, 76, 124, 307 Nervi, Antonio 296 Nervi, Pier Luigi 291, 296, 310 Niccolò IV (Girolamo Masci), papa 96 Niccolò V (Tomaso Parentucelli), papa 130, 150, 151, 131 Nolli, Giovanni Battista 10, 14 Numa Pompilio 21 Odoacre, re degli Eruli 75 Onorio, Flavio 77, 80 Onorio I, papa 106, 102 Onorio III (Cencio Savelli), papa 113, 124 Oppo, Cipriano Efisio 254 Orazio, Quinto Flacco 43 Ormisda, v. Hormisdas Orsini, famiglia 124, 129, 131, 136, 151 Orsini, Pietro Francesco, v. Benedetto XIII Orsini, Virginio 177 Ottavia Minore 28, 28, 307 Ottaviano, v. Augusto Ottavio, Caio 55 Ottoboni, Pietro Vito, v. Alessandro VIII Ovidio, Publio Nasone 21, 33, 42, 43 Pacuvio, Marco 50 Pagano Pogatschnig, Giuseppe 269 Pamphilj, Benedetto 230 Pamphilj, Camillo 181, 214 Pamphilj, famiglia 177, 181, 214, 227, 228, 310 Pamphilj, Giovanni Battista, v. Innocenzo X Pannini, Giuseppe 194 Panofsky, Erwin 9 Paolo della Zecca 131 Paolo Emilio (Lucio Emilio Paolo) 22 Paolo II (Pietro Barbo), papa 129, 150, 151 Paolo III (Alessandro Farnese), papa 112, 129, 130, 131, 148, 150, 151, 160, 188, 194, 207, 210, 256, 136 Paolo IV (Gian Pietro Carafa), papa 207 Paolo V (Camillo Borghese), papa 168, 169, 177, 207 Paolo VI (Giovanni Battista Montini), papa 286, 291 Paolo di Tarso, santo 67, 77, 87, 96, 106, 112, 113, 167, 168, 188, 205, 230, 235, 273, 286, 87, 96, 102, 113, 268, 273 Papareschi, famiglia 113 Papareschi, Gregorio, v. Innocenzo II Parentucelli, Tomaso, v. Niccolò V Pasquale II (Raniero di Bieda), papa 113 Passalacqua, Pietro 198 Pastor, Ludwig von 106 Peretti di Montalto, Felice, v. Sisto V Perseo 42 Peruzzi, Baldassarre 148 Petrarca, Francesco 9, 124, 125 Piacentini, Marcello 256, 269, 272, 286, 291, 262, 269, 283, 296 Piacentini, Pio 254, 262 Piano, Renzo 300, 300 Pierleoni, famiglia 112, 113 Pierleoni, Francesco 113 Pierleoni, Pietro, v. Anacleto II Pieroni, Francesco 245 Pietro, santo 76, 86, 87, 96, 112, 129, 148, 150, 160, 167, 168, 169, 177, 181, 188, 205, 256, 273, 12, 15, 87, 90, 96, 110, 131, 148, 169, 256 Pietro da Cortona, v. Berrettini, Pietro Pietro de Maria 113
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Pio IV (Giovanni Angelo Medici di Marignano), papa 129, 130, 150, 151, 160, 164, 207, 131 Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa 67, 106, 160, 235 Pio V (Antonio Ghislieri), papa 167, 168, 188 Pio VI (Giovanni Angelico Braschi), papa 188, 198, 234 Pio VII (Barnaba Chiaramonti), papa 234 Pio XI (Achille Ratti), papa 273 Piranesi, Giovan Battista 230 Platone 50 Platone, padre di Giovanni VII 107 Plinio il Giovane, Caio Plinio Cecilio Secondo 160 Plinio il Vecchio, Caio Plinio Secondo 28 Plotina, Pompeia Claudia Febe Pisone 38, 39, 66 Podesti, Giulio 254 Poletti, Luigi 87, 96, 235 Polimnia, musa 21 Pomodoro, Giò 291 Pompeo, Cneo 22, 33, 50, 52 Pontelli, Baccio 148 Ponti, Gio 269 Portoghesi, Paolo 291, 296 Portuno (Portunno) 28 Poulle, Bruno 28 Pozzo, Andrea 188 Pretestato, Vettio Agorio 18 Procopio di Cesarea 67, 76 Pudentilla, Emilia 22 Quaroni, Ludovico 272 Raffaello, v. Sanzio, Raffaello Raffaello da Montelupo 130 Raguzzini, Filippo 188 Rainaldi, Carlo 177, 181 Rainaldi, Girolamo 177 Ratti, Achille, v. Pio XI Rea Silvia, v. Ilia Reso 42 Riario, Raffaele 129, 148 Riccardo Tommasi Ferroni, Giuseppe Greco da 15 Ricci, Giovanni 131 Ridolfi, Mario 273, 283 Rizzo, Tiziano 42 Roberto il Guiscardo, v. Altavilla, Roberto d’ Rodríguez dos Santos, Emanuel 194 Roma, dea 33 Romolo Augustolo, Flavio 75, 87 Romolo 21, 50 Rosa, Ercole 245 Rospigliosi, Giulio, v. Clemente IX Rosselli, Francesco 10, 12 Rossellino, Bernardo 130 Rossi, Mattia de’ 181 Rutelli, Mario 254, 242 Sacconi, Giuseppe 254, 256 Salvi, Nicola 194 Salviati, famiglia 142, 150, 309 Sangallo Antonio da, detto il Giovane 129, 130, 131, 136, 150, 151, 160, 169, 254 Sangallo Antonio da, detto il Vecchio 112, 130, 131, 148, 151, 169 Sansovino, Jacopo 113, 131, 150, 160 Sanzio, Raffaello 129, 130, 131, 148, 151, 160 Sarti, Antonio 235 Saturno 21, 28, 76, 18 Savelli, Cencio, v. Onorio III Savelli, famiglia 124 Savoia, famiglia 160 Scipione Emiliano, Publio Cornelio 22, 23 Scipione l’Africano, Publio Cornelio 22 Seneca, Lucio Anneo 22, 23
Serapide 125, 211, 68 Sesto Pompeo Magno Pio 52 Settimio Severo 76, 86, 18, 21, 60 Sigerico di Canterbury 106 Silla, Lucio Cornelio 66 Silva, Amadeo da, beato 148 Simmaco, papa 96, 107 Simmaco, Quinto Aurelio 96, 308 Simplicio, papa 96, 102 Sisto III, papa 76, 96 Sisto IV (Francesco della Rovere), papa 129, 130, 131, 148, 150, 151, 177, 191, 136, 141, 142 Sisto V (Felice Peretti di Montalto), papa 10, 89, 112, 124, 151, 167, 168, 181, 188, 194, 90, 110 Smaragdo 18 Specchi, Alessandro 189, 194 Stefano II, papa 113 Stendhal (Marie-Henri Beyle detto) 235 Stern, Raffaele 234 Svetonio, Caio Tranquillo 38 Swift, Jonathan 9 Tacito, Publio Cornelio 22 Tempesta, Antonio 10, 113, 167, 12 Teobaldo, cardinale 113 Teodorico (Teoderico) 76, 77, 130, 66, 80 Teodosio, Flavio 76, 87 Teti 21 Teucro 42 Theodoli, Girolamo 181 Tiberio, Giulio Cesare Augusto 22 Tischbein, Johann Heinrich 124 Tito Sestio Laterano 86 Tito, Flavio Vespasiano 234, 21, 50 Torlonia, Alessandro 211 Torlonia, famiglia 214, 235, 220, 310 Torriani, Niccolò 188 Torriani, Orazio 188 Torriti, Jacopo 96 Tournachon, Félix, v. Nadar Tower, Henrietta 214 Traiano, Marco Ulpio Nerva 33, 38, 55, 67, 76, 77, 124, 177, 234, 37, 39, 50, 66, 68, 307, 310 Uberti, Fazio degli 10, 11 Urbano VIII (Maffeo Barberini), papa 168, 194 Vaglieri, Dante 67 Valadier, Giuseppe 86, 151, 177, 234, 160, 236 Valentiniano II (Flavio Valentiniano) 87 Vanvitelli, Luigi 194 Vasari, Giorgio 164, 210 Vasi, Giuseppe 15 Venere 17, 21, 33, 76, 39, 307 Vespasiano, Tito Flavio 17, 43, 76 Vespignani, Virginio 160, 235, 242 Vignola, v. Barozzi da Vignola, Jacopo Vitellozzi, Annibale 291, 296 Vitruvio, Marco Pollione 17, 130 Vittorio Emanuele II di Savoia 150, 151, 211, 254, 269, 245, 256 Vulcano 66 Ward-Perkins, Bryan 107 Winckelmann, Johann Joachim 211 Wurts, George 214 Wynaerde, Anton van den 113 Zaccaria, papa 112 Zanardelli, Giuseppe 256 Zecca, Paolo della, v. Paolo della Zecca Zuccari, Taddeo 210
INDICE DEI NOMI DI LUOGO Le occorrenze in tondo si riferiscono al testo, quelle in corsivo alle pagine delle didascalie
Alessandria 42 Aniene, fiume 291 Ardea 66 Argileto, fiume 76 Assisi 10, 125 Basilica Superiore 10, 11 Avignone 125, 130, 167 Azio 43 Baia 22, 38, 42 Beirut, Museo Archeologico 17 Beqa’a, valle 17 Berlino 10, 106, 233 Bisanzio v. Costantinopoli Bolsena, lago 148 Bordeaux 106 Bracciano, lago 177 Calimne 43 Campania 124 Canterbury 106 Cartagine 22 Cerveteri 211 Costantinopoli (Bisanzio) 9, 38, 75, 107, 112 Creta 42 Delo 43 Ebsdorf 10 Egitto 28, 52 Eridano, v. Po Fiandre 106 Fiesole, villa Medici 160 Fiumicino 55, 67, 286 Aeroporto internazionale 286 Museo delle Navi 67 Firenze 10, 131, 148, 151, 235, 244, 254 Palazzo Strozzi 148 S. Maria Novella 151 Francia 188, 194, 291, 245, 291 Garigliano, fiume 112 Genazzano 160 Gerusalemme 106, 169, 96, 110 Ginevra 67 Grecia 50 Hannover 10 Laurentum 66 Lavinium 66 Lazio 66, 96, 124, 131, 262, 273 Lebinto 43 Libano 17 Malmesbury (Wiltshire), abbazia 107 Mantova 10 Milano 9, 86, 90 battistero di S. Giovanni alle Fonti 86 Miseno 22, 42; v. anche Baia Napoli 10, 96, 287 Capodimonte 10, 148 S. Gennaro, duomo 96 S. Giorgio Maggiore 96 S. Giovanni Maggiore 96
Niha 17 Orvieto 67 Ostia Antica 7, 55, 66, 67, 77, 96, 105, 262, 272, 291, 58, 272 Antiquarium Ostiense 67 Bacino esagonale di Traiano 68, 307 Borgo 67, 58 S. Aurea 67 Capitolium 68 Cardo degli Aurighi 68, 307 Case a giardino 66, 58, 307 Caseggiato degli Aurighi 68 Caseggiato di Serapide 68 Cimitero di S. Ippolito 67 Complesso edilizio tra il cardo degli Aurighi e la via della Foce 68, 307 Museo nella rocca di Giulio II 67 Necropoli di Porta Romana 307 Necropoli Laurentina 307 Parco archeologico di Ostia 58 Pianabella 67 Piazzale delle Corporazioni 60, 307 Ponte della Scafa 58 Porta Laurentina 67 Porta Marina 67 Porta Romana 160, 58 Porto 77, 96 Rocca (o castello) di Giulio II 67, 58 Teatro delle Corporazioni 60 Terme dei Cisiarii 58 Terme dei Sette Sapienti 68 Terme del Foro 66, 66, 307 Terme del Mitra 66, 66, 307 Terme del Nettuno 66, 307 Terme del Nuotatore 67 Terme della Marciana 66, 66, 307 Terme Marittime 66, 307 Trastevere ostiense 67 Via del Sabazeo 67 Via della Foce 68, 307 Via Laurentina 66, 124, 307 Via Ostiense 66, 67, 87, 58, 307 Ostia Lido 105 Paro 43 Persia 38 Pisa 67 Po, fiume 42 Portus (Porto, Gregoriopoli) 67 Puglia 96 Ravenna 107, 18 ROMA Accademia dei Lincei, v. palazzo Corsini Accademia di Francia, v. villa Medici Accademia di Spagna 148 Acqua Felice, mostra (fontana) 177, 194 Acquedotto 167 Acqua Paola, mostra (fontana) 177, 194, 181, 309 Acqua Pia Antica Marcia, acquedotto 235 Acqua Vergine (Aqua Virgo), mostra (fontana) 194 Acquedotto Claudio 52 Acquedotto Traiano Paolo 214 Aeroporto dell’Urbe 273 Aeroporto militare di Centocelle 273
Altare della Patria, v. Vittoriano Anfiteatro Castrense 214, 96 Anfiteatro Flavio, v. Colosseo Ara Pacis 33, 272; v. anche Museo dell’Ara Pacis Archi Costantino 77, 96, 198, 82, 308 Giano 77, 308 Malborghetto 77 Marco Aurelio 77 Nerva (arcus Nervae) 124 Portogallo 181 Settimio Severo 18, 21 Tito 234, 21 Auditorium Parco della Musica 300, 262, 300, 310 Aventino, colle 124, 230, 12, 50, 230 Basilica di Massenzio 76, 77, 96, 168 Basilica Ulpia 38, 37, 307 Biblioteca di Agapito 96, 102, 308 Bioparco, v. Villa Borghese, Giardino Zoologico Camera dei deputati, v. Montecitorio Campidoglio, colle Capitolino 7, 17, 22, 76, 77, 129, 150, 160, 181, 254, 272, 18, 21, 28, 39, 125, 151, 309 Campo di Torrechiano 124 Campo Marzio 9, 28, 33, 107, 124, 28, 33, 35, 50, 142, 160, 307 Campo Verano, cimitero 235, 262, 242, 310 Capo di Bove 124 Case, v. Palazzi e case Castel S. Angelo (mausoleo di Adriano) 112, 129, 130, 131, 160, 164, 188, 205, 256, 273, 110, 136, 191, 256, 308, 309 Cortile del Pozzo 130 Castelfusano 272 Castello Caetani 124, 308 Castra Peregrina 96, 102 Castro Pretorio 77, 254 Celio, colle 77, 96, 106, 205, 15, 102, 113, 177 Ospedale militare 96, 254 Centro Islamico Culturale 291, 296 Chiese, abbazie, conventi, monasteri, oratori Certosa, v. S. Maria degli Angeli Chiesa Nuova, v. S. Maria in Vallicella Cristo Re 292 Dio Padre Misericordioso (o del Giubileo o Dives in Misericordia) 300 Divina Sapienza 269 Filippini, oratorio 202 Gesù 150, 151, 309 Padri passionisti, convento 102 S. Agnese fuori le mura 102 S. Agnese in Agone 177, 177, 309 S. Agostino in Campo Marzio 151 S. Andrea al Quirinale 181, 205, 182 S. Andrea della Valle 160, 50, 309 S. Benedetto all’Isola 113 S. Carlino alle Quattro Fontane 160, 181, 182, 309 S. Carlo ai Catinari 151 S. Carlo al Corso 182 S. Caterina 124 S. Cecilia in Trastevere 113, 205, 308 S. Clemente 113, 308 S. Cosimato 125 S. Costanza 308 S. Crisogono 113 S. Croce in Gerusalemme 77, 87, 167, 168, 181, 194, 214, 96, 196, 308
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INDICE DEI NOMI DI LUOGO
S. Francesco a Ripa 125 S. Giovanni dei Fiorentini 129, 131, 150, 136, 191, 245 S. Giovanni in Laterano 86, 87, 107, 112, 167, 168, 169, 194, 198, 90, 110, 169, 196, 308, 309 Battistero 76, 86, 90 S. Silvestro, oratorio 169, 110 S. Girolamo degli Illirici (degli Schiavoni) 182 S. Ignazio 151, 188, 191, 309 S. Ivo alla Sapienza 269, 202 S. Lorenzo fuori le mura 86, 87, 181, 242, 308 S. Luigi dei Francesi 151, 309 S. Maria ad Martyres, v. Pantheon S. Maria alla Navicella, v. S. Maria in Domnica S. Maria Antiqua 112 S. Maria degli Angeli e dei Martiri 205, 230, 79 S. Maria dell’Anima 151 S. Maria della Pace 151 S. Maria della Vittoria 160 S. Maria del Popolo 125, 151, 181, 160, 182, 236, 237, 309 S. Maria del Priorato 205, 230, 310 S. Maria di Montesanto 181, 182 S. Maria in Aracoeli (S. Maria in Capitolio) 125, 150, 256, 39, 125, 151, 308, 309 S. Maria in Capitolio, v. S. Maria in Aracoeli S. Maria in Cosmedin 113, 256, 308 S. Maria in Domnica (S. Maria alla Navicella) 113, 113, 308 S. Maria in Trastevere 113, 131, 113, 308 S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) 202 S. Maria Maggiore 96, 113, 129, 167, 168, 169, 194, 169, 308, 309 S. Maria sopra Minerva 124, 125, 308 S. Nicola in Carcere 124, 256 S. Paolo fuori le mura 112, 167, 230, 235, 96, 308 S. Pietro in Montorio, tempietto 148, 148 S. Pietro in Vincoli 309 S. Rocco 151, 182 S. Saba 268 S. Sabina 124 S. Sebastiano (Basilica Apostolorum) 87, 124, 87, 308 Catacombe 87 S. Sisto Vecchio 124, 308 S. Stefano Rotondo 96, 102, 308 S. Susanna 160 Ss. Celso e Giuliano, 131, 309 Ss. Cosma e Damiano 96, 308 Ss. Domenico e Sisto 188, 191, 309 Ss. Giovanni e Paolo 77, 106, 113, 205, 102, 113, 308 Ss. Marcellino e Pietro 87, 90, 308 Ss. Pietro e Paolo 273 Ss. Quattro Coronati 113, 308 SS. Trinità degli Spagnoli, 181, 194, 309 SS. Trinità dei Monti 188, 205, 234, 189, 245, 309 Tre Fontane, abbazia 124 Cinecittà 273, 283, 310 Circo Flaminio 28 Circo Massimo 77, 124, 28, 50, 90, 307 Città universitaria, v. Università Città-giardino Aniene 262 Civitas Leonina 112, 308 Collegio Innocenziano 181 Collegio Militare, v, palazzo Adimari Salviati Collegio Romano 188, 191 Colonna Antonina 198 Colonna di Foca 76, 18, 268 Colonna di Marco Aurelio 33, 268, 307 Colonna Traiana 9, 38, 234, 37, 39, 307 Colosseo (anfiteatro Flavio) 7, 10, 38, 42, 76, 77, 124, 150, 167, 272, 12, 43, 50, 82, 256, 307 Crypta Balbi 106, 107
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INDICE DEI NOMI DI LUOGO
Curia (Curia Iulia) 38, 76, 18, 39, 307 Curia Hostilia 38 Curia Innocenziana 198 Dogana 160 Domus Augustana 23 Domus Aurea 43, 50 Domus Flavia 23 Esquilino, colle 235, 79 Fontana dei Fiumi 177, 177 Fontana del Tritone 198 Fontana delle Najadi 254, 242 Fontana di Trevi 177, 194, 50, 194, 309 Fori Augusto 17, 33, 76, 37 Boario 77, 113, 28, 256, 307 Cesare 17, 38, 76, 39, 307 Nerva (o Transitorio) 17, 307 Pace (o di Vespasiano) 9, 17, 76, 96, 124, 307 Pamphilj (o Pamphilio) 177 Romano 76, 105, 254, 18, 39 Traiano 33, 38, 76, 77, 234, 37, 39, 307, 310 Transitorio, v. foro di Nerva Vespasiano, v. foro della Pace Foro Italico (già foro Mussolini) 269, 291, 300, 300, 310 Forte Antenne, collina 291 Galleria Alberto Sordi (già galleria Colonna) 256 Galleria Borghese, v. villa Borghese Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) 262, 26, 310 Ghetto 244 Gianicolo, colle 150, 167, 205, 214, 15, 181, 309 Giardini e parchi; v. anche Ville e giardini Appia Antica, parco dell’ 211 Bosco Parrasio 205 Casali, valle dei 214, 310 Castel S. Angelo 205 Celio, parco del 205 Colle Oppio 205 Orti di Sallustio 188 Orto botanico 177, 309 Palazzo Barberini 205, 206 Palazzo Brancaccio 205 Palazzo Farnese 205 Palazzo Margherita 205 Palazzo S. Marco 205 Palazzo Sacchetti 205, 136 Palazzo Spada 205 Quirinale 205, 182 Fontana dell’Organo 210 S. Alessio (Ss. Bonifacio e Alessio all’Aventino) 205, 230, 230 S. Andrea al Quirinale 205 S. Andrea delle Fratte 205 S. Bonaventura 205 S. Cecilia in Trastevere 205 S. Maria degli Angeli e dei Martiri, chiostro 205, 230 S. Maria del Priorato 205, 230, 310 S. Paolo fuori le mura 230 S. Pietro in Montorio 205 S. Sebastiano, parco di 205 S. Stefano Rotondo 205 Savello, parco (giardino degli Aranci) 205 Scipioni, parco degli 205 Soderini 214 Ss. Giovanni e Paolo al Celio 205 Ss. Quattro Coronati 205 Trinità dei Monti 205 Grande Raccordo Anulare (GRA) 105, 286, 291, 296 Isola Tiberina 113, 113, 148, 254, 308 Istituto Archeologico Germanico (Deutsches Archäologisches Institut) 67 La Rinascente 256 Laterano, colle 86, 87, 96, 107, 112, 113, 129,
167, 168, 194, 198, 210, 90, 110, 169, 196, 308, 309 Lungotevere 131, 244, 262, 272, 300, 245, 254 Muraglioni 194, 244, 136, 245, 254 Macao, complesso del 235 MACRO, v. Museo d’Arte Contemporanea di Roma Magnanapoli (Magna nea-polis) 124 Manifattura Tabacchi 235 Mattatoio 254 Mausoleo di Adriano, v. Castel S. Angelo Mausoleo di Augusto 124, 151, 214, 230, 272, 33, 245, 307 Mausoleo di Cecilia Metella 124, 308 MAXXI, v. Museo Nazionale delle arti del XXI secolo Mercati di Traiano (o Traianei) 124, 307 Meta sudans 82 Ministeri, v. rispettivi palazzi Monte Giordano degli Orsini 129, 131, 136 Monte Mario 160, 207 Monte Testaccio (Mons Testaceum o Monte dei Cocci) , v. quartiere Testaccio Monti Parioli (Rupe dei Parioli) 210, 300, 207, 262, 300; v. anche quartiere Parioli Monumento a Cavour 256 Moschea 291, 296, 310 Mura aureliane 76, 77, 86, 87, 105, 129, 151, 52, 80, 96, 272, 307 Mura leonine (o leoniane) 76, 112, 308 Mura serviane 287 Museo Borghese, v. villa Borghese Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO) 254 Museo dell’Alto Medioevo 67 Museo dell’Ara Pacis 272, 300, 33, 245, 310 Museo della via Ostiense 67 Museo delle Mura 80 Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (MAXXI) 300, 300 Museo Nazionale Romano 79 Odeon 33 Oppio, colle 9, 205, 50 Ospedale del Celio, v. Celio Ospedale S. Biagio 125 Ospedale S. Spirito 285 Palatino, colle 28, 96, 107, 214, 254, 21, 23, 50, 82 Palazzi e case Adimari Salviati (Collegio Militare) 148, 142 Aeronautica Militare, Ministero 269 Affari Esteri, Ministero 291, 262, 291 Agricoltura, Ministero 244 Altoviti 131 Apostolico Lateranense (Patriarchio o palazzo del Laterano) 107, 112, 130, 150, 169, 90, 110, 309 Macrona 112 Triclinio di Zaccaria 112 Triclinio di Leone III (Triclinium Leoninum) 112, 110 Banca d’Italia 245 Barberini 205, 198, 206, 310 Bonadies 131 Borghese (Cembalo Borghese) 151, 245 Brancaccio 205 Cancelleria 129, 131, 309 Cesarini, case dei 151 Chigi 244, 268 Civiltà del Lavoro (“Colosseo quadrato”) 273, 272, 273 Colonna 310 Congressi 273, 273 Conservatori 150, 160 Consulta (Corte Costituzionale, già Ministero degli Esteri) 244, 182 Corsini (Accademia dei Lincei) 148, 142, 309 Crescenzi, casa dei 113, 28, 256, 308
Esposizioni 254, 273 268 Farnese 129, 131, 169, 205, 141, 142, 309 Farnesina 129, 131, 148, 244, 309 Finanze e Tesoro, Ministero 244, 245 Gaddi 131 Giustizia, v. Palazzaccio Grazia e Giustizia, Ministero 262 Guerra, Ministero 244 Imperiale, v. Sessorium Madama 151, 309 Margherita 205 Marina, Ministero 262, 245 Montecitorio (Camera dei Deputati)188, 198, 262, 268, 33, 198, 309 Nuovo (Campidoglio) 150 Palazzaccio (palazzo di Giustizia) 256, 256, 262 Pamphilj 181 Poli 194 Poste (via Marmorata) 283 Pubblica Istruzione, Ministero 262 Quirinale 151, 167, 169, 181, 205, 207, 210, 244, 164, 182, 245 Manica Lunga 181, 210, 164, 182 RAI-TV 262 Righetti 151 S. Marco 205 Sacchetti 131, 150, 205, 136 Sala delle Armi 269, 291 Senatorio 150, 18 Sessorium 77, 87, 107, 96 Sforza Cesarini 131 Spada 205 Sport, palazzetto (Flaminio) 291, 300, 296, 310 Sport, palazzo (EUR) 291, 296 Tribunali (Bramante) 129, 131 Venezia 7, 129, 150, 151, 256, 272, 151, 256, 309 Viminale, Ministero dell’Interno 262 Pantanella, ex pastificio 28 Pantheon (S. Maria ad Martyres) 7, 33, 96, 107, 113, 124, 130, 181, 234, 33, 35, 307, 308, 310 Passeggiata archeologica 254, 262 Passeggiata del Gianicolo, v. passeggiata pubblica Passeggiata del Pincio 205, 211, 309 Passeggiata pubblica (Passeggiata del Gianicolo) 205, 214 Passetto 112, 130, 110, 131, 309 Patriarchio, v. Palazzo Apostolico Lateranense Piazze, campi, larghi Armi, d’ 256 Augusto Imperatore 300, 33, 245 Barberini 254, 273, 198 Bocca della Verità 28 Bologna 273, 310 Campo de’ Fiori 131, 151, 50, 151 Cavour 256, 300, 256 Cinquecento, dei 287 Colonna 129, 256, 33, 268 Esedra, v. piazza della Repubblica Farnese 131, 205 Flaminio, piazzale 234, 237, 309 Fornaci, delle, v. porta Settimiana Gentile da Fabriano 300 Gesù, del 151 Mazzini 256, 262, 310 Montecitorio 234 Navona 7, 33, 168, 177, 35, 50, 177, 309 Pace, della 33 Ponte, del 129, 131, 136 Popolo, del 129, 151, 167, 168, 181, 188, 194, 234, 256, 160, 182, 236, 309 Porta S. Paolo, piazzale di 268 Quirinale, del 211, 244 Repubblica, della (già piazza Esedra) 245, 310 FAO
Rotonda, della 310 S. Eustachio 129, 151 S. Susanna, largo 273 Ss. Apostoli 211 Spagna, di 188 Torre Argentina, largo di 151, 50, 160 Trilussa 142 Venezia 129, 150, 254, 256, 272, 256, 309 Verbano 262 Viminale, del 262 Vittorio Emanuele II 254, 245, 310 Pincio, colle 129, 151, 160, 205, 211, 234, 236 Piramide di Caio Cestio Epulone (piramide Cestia) 52, 283 Politeama Adriano 131 Ponti e viadotti Aelius, pons, v. ponte S. Angelo Arti, delle 300 Cavour 244, 256, 245, 256 Duca d’Aosta 269 Elio 309 Emilio, v. ponte Rotto Flaminio 291, 291, 296 Garibaldi 244 Matteotti 245, 262 Mazzini 244 Milvio 77, 105, 160, 269, 291, 86, 308 Nenni 245, 262 Nervi, viadotto 291, 310 Principe Amedeo 245 Regina Margherita 256, 245, 262 Risorgimento 256, 262 Rotto (ponte Emilio) 124, 12 S. Angelo (già Pons Aelius) 131, 188, 254, 256, 309 Sisto 129, 131, 148, 177, 136, 141, 142, 309 Umberto I 244, 256 Vittorio Emanuele II 254, 245 Porte Appia, v. porta S. Sebastiano Flaminia 77, 125, 160, 182 Latina 80 Nomentana 160 Ostiense 262, 283 Pia 160, 181, 235, 244, 164, 245, 309, 310 Pinciana 234, 254 Popolo, del 181, 18, 237 Portese 112 Romana 160, 58 S. Pancrazio 214 S. Paolo 67, 167, 268, 273, 268, 310 S. Pellegrino 112 S. Sebastiano (già porta Appia) 77, 80, 308 S. Spirito 131, 150 Salaria 77, 308 Settimiana (già piazza delle Fornaci) 131, 148 Portico d’Ottavia 28, 28 Portico degli Dèi Consenti 76, 18 Porticus Constantini 77 Porto di Ripetta 194, 245 Posterula S. Angeli 112 Posterula Saxonum 112 Priorato dell’Ordine di Malta 230 Quartieri e rioni Aventino (Grande Aventino) 268 Banchi 129, 131, 150 Borghetto di via Flaminia 245 Borgo, rione 130, 110, 131 Casilino 286 Centocelle 262, 273 Coppedè 262 Corviale 286, 287 De Merode 235, 244, 254, 262 Esquilino 254 EUR (già E42) 67, 105, 272, 291, 272, 273, 296, 310
Flaminio 269, 300, 296, 300 Garbatella 262 Grottarossa 77 Ludovisi 256 Mazzini (o delle Vittorie) 256, 262 Parioli 256, 262, 273, 291; v. anche Monti Parioli Piccolo Aventino, v. S. Saba Policlinico 254, 262, 269, 310 Prati di Castello 254, 256, 256, 262 Quadraro 262 Parione, rione 151 Rinascimento 254, 273 S. Lorenzo 262, 269 S. Saba (o Piccolo Aventino) 262, 268 Spinaceto 286 Testaccio 235, 262, 254, 283 Tiburtino III 286 Tor Bella Monaca 286 Tor de’ Schiavi, mausoleo 90 Torpignattara 262 Mausoleo 90 Tor Tre Teste 300, 310 Trastevere 113, 125, 129, 131, 148, 168, 235, 244, 113, 142, 148, 245, 308 Tuscolano II 286 Valco S. Paolo 286 Valle Giulia 256 Vigna Clara-Vigna Stelluti 291 Vigne Nuove 286 Villaggio olimpico 291, 296, 300 Quirinale, colle 125, 129, 151, 181, 211, 235, 182 Scala Santa 86, 169, 112, 110, 309 Sancta Sanctorum 86, 169, 110 Scalo De Pinedo 245 Seconda Università (Tor Vergata), v. Università Sinagoga (Tempio Maggiore) 244, 28, 254, 310 Stadio di Domiziano 33, 177, 25, 50, 307 Stadio Flaminio 296, 300 Stadio Olimpico 262, 291 Statua equestre di Marco Aurelio 150, 151 Statua equestre di Traiano 33, 38, 76 Stazione Termini 244, 286, 52, 287, 291, 310 Stele a Guglielmo Marconi 272 Suburra 76 Tabularium 150 Teatro Argentina 235 Teatro dell’Opera 254 Teatro di Marcello 28, 28, 256, 307 Teatro di Pompeo 33 Templi Apollo 28, 43, 28, 307 Divo Claudio 102 Ercole Vincitore 28, 307 Esculapio 113 Giove 150 Giove Tarpeiano (Giove Capitolino) 33, 50 Giunone Moneta 150 Marte Ultor 17, 76, 37, 307 Minerva 17 Pace (Templum Pacis) 9, 17, 76, 96, 124, 307 Portuno (Portunno) 28 Saturno 76, 18 Serapide 125, 211 Venere Genetrix (Venere Genitrice) 17, 76, 39, 307 Altare 17 Terme Agrippa 50 Caracalla (terme Antonine) 42, 124, 148, 230, 254, 50, 307 Costantino 77, 308 Diocleziano 230, 235, 79, 242 Eleniane 77, 308 Tito 50
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INDICE DEI NOMI DI LUOGO
Traiano 50, 66 Terza Università di Roma (Roma Tre), v. Università Testaccio, v. Monte Testaccio e quartiere Testaccio Tevere, fiume 7, 28, 55, 66, 67, 77, 87, 105, 107, 112, 129, 130, 131, 150, 151, 160, 167, 194, 210, 235, 244, 254, 256, 269, 28, 33, 58, 68, 86, 136, 141, 148, 191, 245, 256, 262, 307 Titulus Pammachii 113 Tomba di Marco Virgilio Eurisace 52 Torre dei Conti 124, 308 Torre delle Milizie 124, 124, 308 Torre di Johannes Burcardus (Giovanni Burcardo) 151 Tor Vergata, v. Università Traforo Umberto I 254 Tribuna dei Rostri 18 Tribunale civile 262 Ufficio Geologico 254 Università Città universitaria 269, 269, 310 Roma Tor Vergata (seconda Università) 268 Roma Tre 254 Sapienza Università di Roma 67, 151, 269 Velia, colle 272 Verano, v. Campo Verano Viadotti, v. Ponti e viadotti Vie, corsi, viali, vicoli Appia 87, 124, 124 Ardeatina 87 Arenula 131, 262 Aurelia 309 Aurelia Antica 214 Aventino, viale 268 Babuino, del 129, 151, 236, 308 Banchi Vecchi, dei 131 Banco di S. Spirito , del131, 309 Barberini 273 Bissolati 273 Borgo Pio 130, 131, 309 Cassia 291, 291, 296 Civiltà del Lavoro, viale della 272 Cola di Rienzo 256 Conciliazione, della 7, 107, 273, 286, 256, 283 Condotti, dei (già via Trinitatis) 194 Corso, del (via Lata, già corso Umberto I) 129, 131, 151, 181, 194, 234, 254, 256, 18, 33, 182, 236, 245, 256 Cristoforo Colombo, viale 272 Curato, vicolo del 131 Dogana Vecchia, della 151 Felice 168, 181, 188, 194, 309 Firenze 235 Flaminia 77, 129, 151, 256, 262, 18, 39, 86, 245, 291, 296, 307, 309 Fontanella Borghese, di 194 Fori Imperiali, dei (già via dell’Impero) 7, 272 Fornaci, delle, v. via Garibaldi Francia, corso 291, 291 Garibaldi (già via delle Fornaci) 148, 254, 309 Giulia 129, 131, 148, 136, 309 Gregoriana, v. via Merulana Impero, dell’, v. via dei Fori Imperiali Labicana 87, 52 Lata, v. via del Corso Laurentina 66, 124, 307 Liberiana 169 Lungara, della 129, 131, 150, 136, 142, 309 Mare, del 272 Merulana (già via Gregoriana) 167, 168, 309 Monserrato, di 131 Nazionale 211, 235, 254 Nomentana 87, 211, 214, 262, 102 Olimpica 296 Ostiense 66, 67, 87, 58 Panisperna 309
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Parioli, viale 262 Pellegrino, del 131 Pia 181 Pinciana 211 Plebiscito, del 151, 151 Porta Pia, di (oggi via XX Settembre) 309 Prenestina 87, 52, 90 Re, viale del, v. viale di Trastevere Recta 131, 309 Rinascimento, corso 151, 269 Ripetta, di 129, 151, 181, 236, 309 Sacra (o dei Trionfi) 18 Salaria 211, 273, 296 S. Spirito, di 151 Scrofa, della 151 Suburra 168 Teatro Valle, del 151 Tiburtina 87, 96 Tomacelli 245 Torino 235 Torre Argentina, di 309 Tor Tre Teste, di 310 Trastevere, viale di (già viale del Re) 262 Trinitatis, v. via dei Condotti Trionfi, dei, v. via Sacra Tritone, del 254 Tuscolana 86 Umberto I, corso, v. via del Corso Urbana 168, 309 Veneto (Vittorio Veneto) 254, 256, 273 Vittorio Emanuele II, corso 151, 254, 269 XX Settembre 244, 254, 273, 164, 245 Ville e giardini; v. anche Giardini e parchi Abamelek 214, 310 Ada (già Savoia) 211, 310 Adriana 211 Albani 211, 220 Aldobrandini 188, 205, 211, 310 Altieri 210 Baldinotti York 214 Bolognetti 214 Borghese 211, 234, 262, 198, 216, 236, 237, 310 Casino nobile Borghese (Museo e Galleria Borghese) 211, 198, 216 Giardino del lago 211, 216 Giardino Zoologico (Bioparco) 211, 216 Padiglione della Meridiana 214 Portale dei Draghi 214 Propilei d’accesso 234, 237 Tempio di Esculapio 211, 216 Campana 210 Casali 210 Caserta Caetani 210 Chigi 228 Colonna 205 Corsini 214, 310 Doria Pamphilj 214, 227, 228, 309 Casino nobile o del Bel Respiro 214, 228 Valle dei Daini 214 Farnese Aurelia 205 Giulia 129, 160, 207, 210, 207, 309, 310 Giustiniani al Laterano (villa Massimo) 205, 210 Gordiani 90 Lante 205, 214, 309, 310 Lucullo,di 22 Ludovisi 210 Lusa 214, 310 Madama 129, 131, 160, 269, 164, 309 Massenzio, di 87 Mattei Celimontana 205 Medici (Accademia di Francia) 210, 211, 211, 245, 310 Montalto Peretti 210 Paganini 214, 310 Paolina 205
Patrizi 214 Poniatowski 207 Rospigliosi Pallavicini 205 Sciarra Barberini 210, 220 Casino nobile 220 Esedra dei dodici mesi 220 Strohl Fern 207 Taverna 214, 310 Torlonia 214, 235, 220, 310 Campo da Tornei 214 Casina delle Civette 214 Casino dei Principi 214 Casino nobile 214, 220 Serra e Torre Moresca 214, 220 Teatro 214, 220 Villino medievale 214 Vascello, del 214 Wolkonski 205 Vittoriano (Altare della Patria, monumento a Vittorio Emanuele II) 181, 254, 272, 39, 125, 182, 256, 310 Zecca 131 Salisburgo 106 Samo 43 Sassovivo, abbazia 113 Satricum 66 Sicilia 22 Spagna 148, 194 Strasburgo 151 Terra Santa 87, 106 Tivoli 33, 151, 160, 164, 210 Villa d’Este 160, 164, 210 Toscana 22, 160 Tripolitania 22 Troia 42 Vaticano, Città del 87, 106, 107, 112, 113, 129, 130, 150, 169, 207, 210, 273, 96, 131, 169 Aula Nervi 310 Belvedere, cortile del 130, 160, 131, 309, 310 Belvedere, palazzo del 130, 207 Belvedere, pinacoteca del 207 Biblioteca Apostolica Vaticana 309 Cappella Paolina 169, 169 Cappella Sistina 130, 131, 169, 309 Casina (o casino) di Pio IV 164, 207 Esedra di Pirro Ligorio 131 Fontana degli Specchi 207 Fontana del Forno 207 Fontana della Galera 207 Fontana dello Scoglio o dell’Aquilone 207 Fontana delle Torri o del Sacramento 207 Giardino Quadrato 207 Musei Vaticani 87, 130, 207, 90, 102 Biblioteca dei Musei Vaticani 130 Braccio Nuovo dei Musei Vaticani 130 Palazzo Apostolico Vaticano 169 S. Pietro, basilica 76, 86, 87, 112, 129, 150, 151, 167, 168, 169, 177, 181, 188, 12, 15, 96, 110, 131, 256, 308, 309 S. Pietro, piazza 169, 273, 256, 309 Torre Borgia 130, 131 Venosa di Puglia 96 Verona 77 Venezia 10, 131, 150, 168 Canal Grande 131 S. Marco 150 Vienna 9, 233 Viterbo 113 Würzburg 106 Zagarolo 167